MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXIX - NUMERO 9 - WWW.CARITASITALIANA.IT
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA
novembre 2006
Italia Caritas
TRE MILIONI DI IMMIGRATI, L’ANALISI DEL DOSSIER
ITALIA COLOR ARCOBALENO
SERVIZIO CIVILE I PENSIERI DELL’OBIETTORE DIRETTORE
SERBIA PERSONE DA CURARE, NON PIÙ MATTI DA INTERNARE
SUDAN E DARFUR PACE, TRAGUARDO ANCORA LONTANO
sommario
ANNO XXXIX NUMERO 9
Mensile della Caritas Italiana
Organismo Pastorale della Cei
viale F. Baldelli, 41
00146 Roma
www.caritasitaliana.it
email:
[email protected]
IN COPERTINA
Lei italiana, lui africano:
i fenomeni migratori cambiano
la nostra società nella famiglia,
nella scuola, nel lavoro,
nella cultura. E il 16° Dossier
immigrazione Caritas-Migrantes
fotografa questi cambiamenti
foto Romano Siciliani
Italia Caritas
direttore
Don Vittorio Nozza
direttore responsabile
Ferruccio Ferrante
coordinatore di redazione
editoriale
di Vittorio Nozza
IMPARARE A ESSERCI,
PROPOSITO PER IL DOPO-VERONA
Paolo Brivio
in redazione
Danilo Angelelli, Paolo Beccegato,
Renato Marinaro, Francesco Marsico,
Francesco Meloni, Giancarlo Perego,
Domenico Rosati
editoriale di Vittorio Nozza
IMPARARE A ESSERCI, PROPOSITO PER IL DOPO-VERONA
parola e parole di Giovanni Nicolini
LA STRANA MATEMATICA CHE APRE LE PORTE DELL’AMORE
paese caritas di Adolfo Macchioli
IL CAMMINO DELLA CARITÀ INCROCIA LA FAME DI RELAZIONI
3
progetto grafico e impaginazione
Francesco Camagna ([email protected])
Simona Corvaia ([email protected])
5
stampa
Omnimedia
via Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)
Tel. 06 7989111 - Fax 06 798911408
6
nazionale
TRE MILIONI DI IMMIGRATI, È L’ITALIA ARCOBALENO
servizi di Delfina Licata, Oliviero Forti e Pietro Gava
NON E UNA TELA DI PENELOPE CHE LA POLITICA PUO TESSERE E DISFARE
di Guerino Di Tora
dall’altro mondo di Maria Paola Nanni
OBIETTORE DIRETTORE: «COSÌ CAMBIA IL SERVIZIO»
di Ettore Sutti
database di Walter Nanni
RELAZIONI, NON CONSUMI: COSÌ CI SCOPRIAMO FELICI
di Andrea Olivero
contrappunto di Domenico Rosati
panoramacaritas PAKISTAN, RAPPORTO SULL’ESCLUSIONE
progetti LOTTA ALL’AIDS
sede legale
8
viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma
tel. 06 541921 (centralino)
06 54192226-7-77 (redazione)
9
offerte
Paola Bandini ([email protected])
tel. 06 54192205
14
15
inserimenti e modifiche nominativi
richiesta copie arretrate
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19
spedizione
Marina Olimpieri ([email protected])
tel. 06 54192202
in abbonamento postale
D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)
art.1 comma 2 DCB - Roma
Autorizzazione numero 12478
dell’8/2/1969 Tribunale di Roma
22
Chiuso in redazione il 27/10/2006
23
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AVVISO AI LETTORI
Per ricevere Italia Caritas per un anno occorre versare un contributo alle spese di realizzazione di almeno 15 euro: causale contributo Italia Caritas.
internazionale
LA SERBIA CAMBIA CURA: NON MATTI, MA PERSONE
servizi di Daniele Bombardi foto Alberto Minoia
casa comune di Gianni Borsa
LA PACE IN SUDAN, SCOMMESSA DA VINCERE
di Diego Marani
ACCORDO PRIVO DI LEGITTIMITA, IN DARFUR RIESPODE LA VIOLENZA
di Giovanni Sartor
guerre alla finestra di Paolo Beccegato
DIECI ANNI SENZA GUERRA, LA MEMORIA RESTA FERITA
di Guido Miglietta
contrappunto di Alberto Bobbio
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agenda territori
villaggio globale
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La Caritas Italiana, su autorizzazione della Cei, può
trattenere fino al 5% sulle offerte per coprire i costi di
organizzazione, funzionamento e sensibilizzazione.
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Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite:
●
Versamento su c/c postale n. 347013
●
Bonifico una tantum o permanente a:
- Banca Popolare Etica, piazzetta Forzaté 2, Padova
Cin: S - Abi: 05018 - Cab: 12100
conto corrente 11113
Iban: IT23 S050 1812 1000 0000 0011 113
Bic: CCRTIT2T84A
- Banca Intesa, piazzale Gregorio VII, Roma
Cin: D - Abi: 03069 - Cab: 05032
conto corrente 10080707
Iban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707
Bic: BCITITMM700
●
Donazione con Cartasì e Diners,
telefonando a Caritas Italiana 06 541921
Cartasì anche on line, sul sito
www.caritasitaliana.it (Come contribuire)
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5 PER MILLE
Per destinarlo a Caritas Italiana, firmare il primo
dei quattro riquadri sulla dichiarazione dei redditi
e indicare il codice fiscale 80102590587
a questa assemblea sale un’umile preghiera, che implica però anche un sincero proposito, affinché il primato di Dio sia il più possibile visibile e palpabile nell’esistenza concreta e quotidiana delle nostre persone e delle
nostre comunità” (dal Messaggio finale del Convegno ecclesiale nazionale di Verona). Da queste parole scaturisce l’invito a
portare a casa da Verona un proposito. Uno, uno solo. Ma definito con precisione. Questo proposito non è l’affannosa
paese, tutto intero.
È una passione che val bene un
proposito. Il proposito di vivere gli
affetti e la famiglia come segno dell’amore di Dio; il lavoro e la festa come momenti di fatica, di gioia e di
un’esistenza compiuta; la presenza e
la solidarietà che si china sul povero
e sull’ammalato come espressione
di fraternità; il rapporto tra le generazioni come dialogo volto a liberafortificazione delle mura difensive,
re le energie profonde che ciascuno
quanto piuttosto l’impegno per “allarcustodisce dentro di sé, orientandoIl Convegno ecclesiale
gare gli spazi della nostra razionalità”,
le alla verità e al bene; l’essere cittanazionale, dal 16 al 20
un’opera cui le chiese in Italia “devono
dini credenti come esercizio di reottobre, ha fornito
dedicarsi con fiducia e creatività”.
sponsabilità, a servizio della giustiindicazioni cruciali
Non si tratta oggi di difendersi né di
zia e dell’amore, per un cammino di
alla Chiesa italiana.
contrattaccare, ma di “essere uomini
vera pace. Si tratta di rinnovare il
La testimonianza
toccati da Dio”, come dice il cardinale
proposito di non tirarci indietro dadella fede non può fuggire
Ruini citando papa Ratzinger e poi
vanti alle grandi sfide dell’oggi: prole sfide dell’oggi:
Giovanni Paolo II; si tratta di essere
mozione della vita, della dignità di
situandosi nella storia,
cristiani che avvertono il fascino e la
ogni persona e del valore della famiconcretezza di quella “misura alta delglia; attenzione ai volti e alle storie
deve provare a cambiarla
la vita cristiana che è la santità”.
di povertà e al senso di smarrimenQui sta il vero “fondamentale del
to e fragilità che avvertiamo attorno
nostro essere cristiani”. La misura della testimonianza e dentro di noi; dialogo tra le religioni e le culture; ricernon è il piccolo cabotaggio dell’arrabattarsi mettendo ca umile e coraggiosa della santità come misura alta
d’accordo coscienza e cultura del tempo, ma il vigore della vita cristiana ordinaria; comunione e correspondel “Crocifisso Risorto speranza del mondo”, capace di sabilità nella comunità cristiana; necessità per le nostre
trasformare l’uomo dal profondo. Capace di renderlo chiese di dirigersi decisamente verso modelli essenziali
santo, persino: testimone ovunque dell’amore di Dio, ed evangelicamente trasparenti.
uomo all’altezza di sfide che diversamente avrebbe ritenuto fuori portata. “Io, ma non più io”, secondo l’e- Accoglienza e denuncia
spressione di Benedetto XVI nel suo discorso al Conve- A Verona, papa Benedetto XVI ci ha ricordato che la via
gno, forse la più bella ascoltata nei giorni di Verona.
maestra della missione della chiesa è “l’unità tra verità e
Il tempo che si apre è quello di un nuovo discerni- amore nelle condizioni proprie del nostro tempo, per
mento, che sprigiona la “testimonianza missionaria de- l’evangelizzazione dell’Italia e del mondo di oggi”. Il
cisiva per il futuro del cristianesimo”, di cui sono capaci mondo, ovvero i modi con cui l’uomo d’oggi desidera,
cattolici di fede vera, formata, intrepida. Ciò di cui ha soffre, lotta, sogna, ama e spera, è l’alfabeto dell’annunveramente bisogno l’Italia, perché ci sta a cuore il nostro cio del Vangelo. E la testimonianza cristiana, come eser-
“D
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editoriale
parola e parole
di Giovanni Nicolini
cizio negli spazi della vita, è l’agire che sa assumere le
forme della vita umana come un alfabeto in cui dirsi e
in cui realizzarsi.
Una testimonianza seria sarà dunque legata alla
realtà che si vive ogni giorno, ai temi e alle problematiche magari scontate, ma inalienabili, della giustizia, della dignità, dello scoraggiamento, della disperazione e del
futuro di tantissime persone. Una testimonianza che
non tocca, non giudica e non interpella la vita è sfasata e
dissociata dalla realtà. Frequentare e abitare la storia e i
territori significa, per la Chiesa, saldare la pastorale dell’accoglienza con il dovere della denuncia, con il coraggio dell’andare dove la dignità dell’uomo è più calpestata e dove il suo grido è soffocato e zittito: “L’autenticità
della nostra adesione a Cristo si verifica dunque specialmente nell’amore e nella sollecitudine concreta per i più
deboli e i più poveri, per chi si trova in maggior pericolo
e in più grave difficoltà” (Benedetto XVI).
Nella linea dell’incarnazione, la fede è chiamata a
compromettersi con l’uomo per essere una testimonianza che non corre sopra o fuori dalla storia, ma si situa nella storia, fa storia, cambia la storia, perché la storia della
salvezza diventi salvezza della storia. Una Chiesa chiusa
nel tempio o abbarbicata attorno al campanile è una comunità che non solo si sottrae alle grida degli uomini, ma
si dimentica anche della fedeltà alla Parola e al Pane del
suo Dio: “Le parrocchie devono continuare ad assicurare
la dimensione popolare della Chiesa, rinnovandone il legame con il territorio nelle sue concrete e molteplici dimensioni sociali e culturali: c’è bisogno di parrocchie che
siano case aperte a tutti, si prendano cura dei poveri, collaborino con altri soggetti sociali e con le istituzioni, promuovano cultura in questo tempo della comunicazione”
(Cei, dall’introduzione alla nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia).
Contestare le sicurezze
Bisogna imparare a esserci, insomma, senza facili semplificazioni ma anche senza rinunciare a prendere posizione, a denunciare condizionamenti sociali, ingiustizie, paure che troppo duramente sfigurano la dignità
delle persone. L’incarnazione della fede, e la forza della
speranza che da essa promana, fanno sì che non possiamo non interessarci della centralità della persona. Il
cui primato diventa cura della vita, della storia, delle
tradizioni, delle culture, dell’ambiente, del territorio di
una popolazione.
C’è un futuro che ci attende come Chiesa, un futuro
che ci rende capaci di riscoprire la forza del Vangelo, che
contesta le sicurezze egoistiche dell’uomo ma ne fonda
altre, più stabili, nella fede. Una Chiesa che accetta di vivere in situazione, attenta alle realtà concrete, mai in fuga, ma in difesa della persona, dell’uomo concreto, di
chi non ha parole. Una Chiesa che non proclama o esalta se stessa, ma che rivela al mondo il mistero di Dio e si
fa portatrice di salvezza e speranza. Una Chiesa che addita agli uomini la vita futura, dono di Dio, ma proporzionato all’impegno espresso in questo mondo. Una
Chiesa che a noi chiede l’umile ma coraggioso gesto di
affermare con continuità “sulla tua parola getterò le reti”, nella fatica dei molteplici tentativi di annunciare e
fare giustizia (chiesa profetica), nella promozione di
opere e locande di accoglienza e condivisione (chiesa
regale), nell’animazione della comunità, per far crescere sempre più la testimonianza di carità e una speranza
di popolo (chiesa sacerdotale).
‘‘
Una Chiesa chiusa nel tempio o abbarbicata attorno
al campanile si sottrae alle grida degli uomini e
si dimentica della fedeltà alla Parola e al Pane del suo Dio
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LA STRANA MATEMATICA
CHE APRE LE PORTE DELL’AMORE
E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro.
E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli,
cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: «In verità vi dico:
questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato
del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva,
tutto quanto aveva per vivere» (Marco 12, 41-44)
n amico esperto di ebraismo mi dice che la piccola offerta gettata dalla vedova nel tesoro del tempio era al di sotto del minimo obbligatorio: quasi un’offerta “da non fare”, illegittima,
troppo misera! È stata dunque non solo generosa, quella povera
donna, ma anche coraggiosa. Noi possiamo trarre gran bene dal suo
esempio. E ci fa bene accorgerci, ancora una volta, che la nostra vita è seguita dallo sguardo attento e buono del Signore. L’unico piccolo rammarico potrebbe essere che il bel commento di Gesù
A questo punto mi si perdoneranno due modeste osservazioni da finto
esegeta biblico. La parola che Gesù
sceglie per descrivere la povertà di
quella donna è un termine estremo,
che dice non solo che di quattrini ne
aveva pochi, ma addirittura – per rifarsi a termini bancari – che aveva “il
conto in rosso”: quei due spiccioli li
ha tirati fuori non dal poco, ma proprio dal niente che aveva. Quando il
Signore rivela pienamente quanto è
sull’episodio del tempio non viene a
successo, afferma che lei ha offerto
conoscenza della protagonista, perL’obolo della vedova
“tutto ciò che aveva, tutto ciò che avechè Lui lo racconta solo a noi. Poi, riera un’offerta
va per vivere”: se si prendono le paropensandoci, anche questo ci comal di sotto del
le come si presentano nel testo origimuove e ci allieta: al gesto riservato e
minimo obbligatorio.
nale, si legge lei che ha gettato nel teumile della donna corrisponde la deMa secondo
soro del Tempio “tutta la sua vita”!
licata riservatezza del Signore, quasi
l’imprevedibile
Questa è la meraviglia della matead affermare che lei non ha bisogno
logica divina riveste
matica di Dio. Essa stabilisce la portadi certe spiegazioni, perchè quello
un valore eccezionale.
ta di un gesto sulla base delle reali
che vive e fa è già tutto frutto della sua
Perchè
noi spesso diamo
intesa profonda con il mistero della
possibilità di ciascuno, ma soprattutil superfluo, i poveri
carità divina.
to apre ai più piccoli le porte dell’atutto quello che hanno
more più grande. Noi offriamo il superfluo: dei nostri soldi, ma anche
Dal niente che aveva
I ricchi continueranno a gettare molte monete nel tesoro; della nostra testa, del nostro impegno, del nostro tempo,
ma per fortuna ci saranno sempre delle povere vedove che del nostro affetto. I poveri, invece, danno tutto quello che
vi getteranno solo “due spiccioli”. Solo? Qui, appunto, in- hanno. Ma quando non hanno proprio niente, e si penseterviene la “strana matematica” di Dio. «Questa vedova ha rebbe che da loro non verrà nulla di importante, allora cegettato nel tesoro più di tutti gli altri», afferma Gesù. E lebrano in pienezza il mistero di Gesù: danno la loro vita!
Come il fratellino povero che mi siede accanto alla
quando vuole spiegare il come e il perchè della sua affermazione, dice di lei che gettando quel pochissimo «vi ha mensa di casa mia: nulla sa dire, nè fare, se non sorridere.
messo, nella sua povertà, tutto quello che aveva, tutto Ma in quel sorriso, egli celebra, nella sua piccola e povera
quanto aveva per vivere».
vita, tutta la Passione del Figlio di Dio.
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paese caritas
di Adolfo Macchioli
direttore Caritas diocesana Savona-Noli
IL CAMMINO DELLA CARITÀ
INCROCIA LA FAME DI RELAZIONI
centro di ascolto diocesano e sulla base di un progetto di reinserimento sociale. Un gruppo di volontari dell’unità pastorale frequenta la casa, condividendo la cena e, soprattutto, un
pezzo di cammino: il clima è buono,
famigliare, un piccolo trampolino di
lancio verso una vita autonoma.
Casa Emmaus e il piccolo centro
d’ascolto parrocchiale diventano i
luoghi dove una comunità cresce nela persone che stanno accalcate sulla
la carità, non solo perché accoglie fiporta, col timore di non riuscire a
sicamente le persone e ne condivide il
Filippo è stato accolto
cammino, ma perché l’esperienza di
prendere abbastanza, stimando l’alin un alloggio attorno
volontariato cambia la vita, rende più
tro un pericoloso concorrente.
al quale operano diversi
attenti alle cose semplici, educa all’atFilippo è passato anche di qui.
soggetti, dalla Caritas
tenzione all’altro, ravviva la capacità
Dove c’è tempo per fermarsi un attidiocesana ai volontari
di non lasciare cadere i rapporti. Da
mo, per parlare con Angelo, con Madella parrocchia.
quest’anno si è aperto anche lo sparisa o col “don”. La comunità parroczio per un progetto del servizio civile
chiale sa che di lì passano tante perI bisogni evidenziati
nazionale. E Filippo ha dato una masone, glielo dicono quelli della Caridal territorio non smettono
no – a modo suo – ad accogliere altre
tas, li ricordano nella preghiera, rendi proporre percorsi nuovi
dono presente i loro bisogni attraverpersone: ora ha ottenuto la pensione,
di vita ecclesiale
so un cartellone o il “passaparola”, ofuna casa popolare e la speranza di viferto con delicatezza, non per pettevere dignitosamente la vecchiaia, con
golezzo. Un servizio nasce sempre come risposta a un’esi- il peso dei suoi dolori e sofferenze, ma anche con la liberagenza del territorio: coinvolgere la comunità attraverso di- zione dall’ansia di non farcela.
versi strumenti è compito essenziale per una Caritas atCasa Emmaus e il centro d’ascolto insegnano che c’è
tenta non solo al proprio “bisogno di dare”, ma a far sì che fame di relazioni, anche minime, anche poche parole da
il bisogno di “qualcuno” trovi accoglienza da parte di tutti. scambiare, un piccolo contatto fisico, un gesto di accoglienza. La fase della verifica e della rilettura del territorio
può far cogliere i mutamenti nei bisogni di persone che
L’attenzione all’altro
L’appartamento di Filippo è frutto anche dello stimolo sor- appaiono incancrenite nella loro condizione: si tratta di
to dalla collaborazione con la Caritas diocesana, attraverso continuare, ai diversi livelli, a lavorare insieme e a interroil centro di ascolto diocesano. É diventato occasione di garsi sul proprio operato e sui bisogni che si presentano.
confronto, scambio, progettualità: Fondazione Comunità Alle comunità dell’unità pastorale San Francesco – San
Servizi onlus (ente gestore per Caritas) e unità pastorale Lorenzo si prospetta la sfida di creare rete, relazioni quotihanno collaborato intensamente per l’elaborazione del diane, contatti di buon vicinato, porta a porta: è il cammiprogetto, l’avvio e la gestione dell’appartamento. Casa Em- no della carità, che non smette mai di interpellare e di
maus ospita al massimo quattro persone, selezionate dal proporre percorsi di vita ecclesiale.
ilippo ne ha passate tante nella sua vita: un matrimonio fallito,
un’attività commerciale tracollata in pochi mesi, l’età vicina, ma
non troppo, alla pensione, un carattere non facile, orgoglioso, logorroico, “da commerciante”. Ha trovato accoglienza a Casa Emmaus,
un appartamento messo a disposizione dall’unità pastorale delle parrocchie di San Lorenzo e San Francesco da Paola, nella zona popolare
di Savona, dove opera anche un piccolo centro di ascolto parrocchiale,
simile a un centro di distribuzione: si danno pacchi viveri, abiti usati
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NOVEMBRE 2006
Italia Caritas
le notizie che contano
Per ricevere il nuovo Italia Caritas per un anno
occorre versare un contributo alle spese
di realizzazione, che ammonti ad almeno
15 euro. A partire dalla data di ricevimento
del contributo (causale ITALIA CARITAS)
sarà inviata un’annualità del mensile.
un anno con Italia Caritas
Nel 2004 abbiamo cambiato veste.
Da allora abbiamo migliorato sempre.
Contenuti incisivi. Opinioni qualificate.
Dati capaci di sondare i fenomeni sociali.
Storie che raccontano l’Italia e il mondo.
Un anno a 15 euro, causale “Italia Caritas”
L E G G I L A S O L I DA R I E T À , S C E G L I I TA L I A CA R I TA S
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telefonando a Caritas Italiana 06.54.19.21
(orario d’ufficio)
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Per informazioni
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viale F. Baldelli 41, 00146 Roma
tel 06.54.19.22.02 - fax 06.54.10.300
e-mail [email protected]
nazionale
ROMANO SICILIANI
dossier immigrazione
INTEGRAZIONE
SUI BANCHI
Nelle scuole italiane
i bambini stranieri
sono ormai 425 mila,
1 ogni 20 studenti.
E uno dei dati
del 16° Dossier
Caritas-Migrantes
TRE MILIONI DI IMMIGRATI,
È L’ITALIA ARCOBALENO
di Delfina Licata
Presentato il sedicesimo
Dossier immigrazione
Caritas-Migrantes. Ormai
più del 5% dei residenti nel
nostro paese sono stranieri.
Dati su demografia, lavoro,
casa, istruzione. Appello
trasversale alla politica
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NOVEMBRE 2006
ono poco più di 3 milioni gli stranieri soggiornanti in Italia,
secondo i dati registrati dal ministero dell’interno alla fine
del 2005 e il numero dei minori e dei permessi di soggiorno in corso di registrazione. Il superamento della soglia dei
3 milioni è l’elemento centrale – ma anche il punto di partenza per altre, approfondite analisi – del sedicesimo Rapporto elaborato dal Dossier statistico immigrazione Caritas-Migrantes, presentato il 25 ottobre a Roma (alla presenza, tra gli altri, del presidente del consiglio, Romano
Prodi) e in contemporanea in altre quindici città d’Italia.
S
Cento redattori, 512 pagine, 59 capitoli: l’edizione 2006
del Rapporto, realizzato in collaborazione con organizzazioni internazionali, enti pubblici e associazioni, è strutturata in cinque parti (contesto internazionale ed europeo
delle migrazioni, stranieri soggiornanti in Italia, inserimento socio-culturale, mondo del lavoro, contesti regionali) e completata da una parte statistica (con schede regionali e tabelle provinciali) e un inserto sui rifugiati curato dall’Acnur. Lo slogan scelto quest’anno dai curatori del
Rapporto è “Al di là dell’alternanza”: sottolinea che la sensibilità al fenomeno della mobilità di uomini deve porsi al
di sopra delle vicende politiche contingenti e non deve dipendere dall’avvicendamento, nel quadro politico nazionale, di governi di impostazione diversa.
Come di consueto, la ricchezza del Dossier è costituita
dai suoi molti dati, aggiornati e ragionati. Dal Rapporto si
apprende dunque che in Italia vi è un immigrato ogni 19
residenti e che l’incidenza degli immigrati sulla popolazione residente ha raggiunto il 5,2%. Al nord e al centro è
immigrato un residente ogni 14 persone, ma gli immigrati sono diffusi in tutto il paese, seppure in maniera differenziata: nord 59,5%, centro 27%, meridione 13,5%. La
tendenza in atto privilegia l’espansione al di fuori dei comuni capoluogo, perché i centri della cintura soddisfano
meglio le esigenze abitative dei nuovi venuti. Le 12 mila
case acquistate a Roma e le 9.900 a Milano nel 2005 lo sono state in prevalenza in comuni periferici.
Roma e Milano si confermano “capitali dell’immigrazione”, ospitando l’11,4% e il 10,9% della popolazione
straniera in Italia. In Lombardia e nel Lazio vi è un immigrato ogni 13 residenti. Ma il trend lascia intendere che,
entro breve, il primato di Roma, detenuto fin dall’arrivo
dei primi immigrati in Italia, verrà scalzato da Milano.
La maggioranza dei permessi di soggiorno rilasciati
ha carattere stabile: 9 immigrati su 10 sono presenti per
lavoro e per motivi di famiglia; tra le giustificazioni del rilascio, se ne aggiungono altre (motivi religiosi, residenza
elettiva, motivi di studio) che denotano una certa tendenza alla stabilità.
In prevalenza cristiani
Dal Dossier 2006 emerge che le donne straniere sono più
prolifiche: hanno in media 2,4 figli, rispetto all’1,25 delle
donne italiane. Il contributo degli immigrati al mantenimento del livello della popolazione residente, altrimenti
pregiudicato dal prevalere delle morti sulle nascite, è dunque fondamentale. I nuovi nati da genitori entrambi stranieri sono stati, nel 2005, ben 52 mila: incidono per il 10%
Non è una tela di Penelope
che la politica può tessere e disfare
L’immigrazione è divenuta “fenomeno sociologico” in Italia
solo a partire dagli anni Novanta quando, in seguito alla
regolarizzazione disposta dalla legge Martelli, ci si accorse
che le migliaia di cittadini stranieri giunti nel nostro paese
senza una regolamentazione erano qui per un progetto di vita
stabile. L’Italia divenne così, nel panorama internazionale,
una meta per le migrazioni dai paesi in via di sviluppo,
mentre nei decenni precedenti aveva costituito una scelta
secondaria, dove transitare per andare in altri paesi.
A favorire tale processo contribuirono anche mutamenti
nella struttura economico-sociale: l’andamento demografico
negativo e il fabbisogno di manodopera in determinati settori.
Ma gli anni Novanta, in Italia, sono stati anche quelli della
cosiddetta “seconda repubblica”: è stato introdotto il sistema
bipolare dei due schieramenti che, se ha esplicato effetti
positivi a livello politico, ha determinato conseguenze
estremamente negative per quanto riguarda la politica
migratoria. Come evidenzia l’introduzione al Dossier 2006,
è invalsa l’abitudine, seppure non tra tutti i partiti e non
tra tutti gli uomini politici, di accomunare l’apertura
all’immigrazione a una mancanza di prudenza,
a una impostazione politica approssimativa e, sul piano
socio-culturale e religioso, a una mortificazione delle nostre
tradizioni. Fattore che minaccia di condurci a un futuro
societario disastroso. L’immigrazione non è una nuova tela
di Penelope che, tessuta da uno schieramento politico, debba
essere disfatta dal successivo: ciò mortificherebbe le ragioni
di fondo di un fenomeno di dimensioni mondiali. Sugli aspetti
da condividere, al di là dell’appartenenza partitica, bisogna
imparare a essere concordi, seppure attraverso l’impegnativa
mediazione delle decisioni concrete. I numeri raccolti
nel Dossier 2006 sono di grande aiuto per trovare un giusto
orientamento: l’introduzione di Caritas e Migrantes indica
una serie di punti che potrebbero preludere a un’evoluzione
positiva. Le parole d’ordine da far valere sono diverse
da quelle che talvolta si ripetono: non paura, ma razionalità;
non invasione, ma convivenza; non scontro tra le religioni,
ma dialogo; non emarginazione, ma partecipazione;
non estraneità, ma cittadinanza. É la necessità
del nostro paese, è lo spirito e lo slogan cui si ispira
il Dossier Caritas-Migrantes.
Guerino Di Tora
direttore Caritas Roma, comitato di presidenza Dossier statistico
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nazionale
dossier immigrazione
sul totale delle nuove nascite. Il 52,7% del
totale degli immigrati in Italia è sposato,
anche se non tutti sono riusciti a far venire i figli in Italia.
Gli immigrati sono in eguale misura
uomini e donne; si tratta in prevalenza di
giovani tra i 15 e i 44 anni. Il loro peso è
costantemente crescente nel mercato
del lavoro: ogni 10 occupati in Italia, uno
è nato in paesi extraeuropei.
La nuova società interculturale italiana si prospetta, quanto a composizione,
molto variegata. Ogni 10 presenze straniere, 5 sono di europei (in prevalenza
dell’est), 2 di africani, 2 di asiatici, 1 americano. Quanto alle fedi religiose, la cristiana è nettamente prima (1,5 milioni di
fedeli, i cattolici sono 660 mila e altrettanti gli ortodossi); seguono i musulmani (1 milione di fedeli) e i fedeli delle religioni orientali (tra 50 e 100 induisti
e buddisti); 350 mila risultano invece non classificabili o
non credenti.
Nella scuola dell’obbligo italiana, inoltre, studiano 425
mila figli di immigrati; aumentano ogni anno, in maniera
sempre più accelerata, tanto che ormai 1
iscritto su 20 è immigrato. È invece ancora ridotto il numero di studenti stranieri
iscritti nelle nostre università (nel 2004
erano 38 mila su 2,3 milioni, pochi rispetto al 10-12% di Gran Bretagna, Germania e Francia); sono carenti anche le
borse di studio per studenti dei paesi in
via di sviluppo. Le immatricolazioni di
stranieri nell’anno accademico 20042005 sono state 8.758, i laureati 4.438.
Consumatori dinamici
Sul versante economico, gli immigrati
hanno un atteggiamento realistico, ma
nello stesso tempo collaborativo: si tratta
di persone che devono operare in condizioni disagevoli, ma riescono a superarle,
dimostrandosi componente dinamica nel mercato del
consumo. Il 91% degli immigrati ha il cellulare, l’80% possiede il televisore, il 75% invia rimesse in patria, il 60% ha
un conto in banca, il 55% un’auto (gli stranieri incidono
per il 5,3% sul totale delle patenti – i “patentati” sono
1.890.000, 330 mila nuovi nel 2005 –, e rappresentano or-
Nuove norme sull’ingresso,
il governo non ignori la priorità
Le politiche migratorie in Italia continuano a essere centrate sull’emergenza.
Ma con la legge attuale i flussi irregolari appaiono un fenomeno inevitabile…
di Oliviero Forti
L
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Ripartizione territoriale
immigrata [ VALORI IN %]
Sud
9,0
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desiderosi di lavoro e una vita migliore.
Foggia, Lampedusa, Gradisca: luoghi che evocano fatti drammatici, che ci pongono davanti all’interrogativo su
come innescare un reale processo di inclusione dei migranti. Certamente molto è stato fatto e i dati lo confermano, ma la strada verso un meccanismo di inclusione
istituzionalizzato sembra ancora lunga. Fino a che si pensa solo ad accogliere, più che a includere; fino a quando
dovremo fare i conti con una politica centrata quasi esclusivamente sull’emergenza, non potremo definirci un vero
paese di immigrazione, ma un paese con molti migranti.
cialmente nel centro-nord. Le denunce sono venute per lo
più dagli africani (37,6%), per i quali fa da catalizzatore il
colore della pelle. Le discriminazioni colpiscono vari
aspetti della vita quotidiana, ma in prevalenza riguardano
lavoro (28,4%, con aspetti riguardanti l’accesso al mercato e il mobbing) e accesso agli alloggi (20,2%).
Il 40% degli italiani ritiene che gli immigrati siano
maggiormente coinvolti nelle attività criminali, un atteggiamento ostile non del tutto corrispondente alle statistiche. Tra le 549.775 denunce (dato 2004) presentate
contro persone note, la quota dei cittadini stranieri, per
lo più irregolari, è stata del 21,3% (117.118 denunce), con
valori più elevati in diverse città del nord e il 40% a Bologna, Verona, Firenze e Padova. I reati più ricorrenti sono
contro il patrimonio (un terzo del totale) e la persona (un
quinto del totale). Per alcune nazionalità (albanesi, per
esempio) le denunce sono in diminuzione, per altre (rumeni) in aumento. Dei 20 mila detenuti stranieri hanno
beneficiato del recente indulto più di un terzo (7.709 reclusi). Il problema della sicurezza è innegabile e preoccupa gli stessi cittadini stranieri, ma non autorizza a trasformare gli immigrati della porta accanto in delinquenti. Tanto più che, in ogni caso, i regolari incidono solo per
un decimo sulle denunce presentate.
Lavoratori extracomunitari
occupati per regione [ VALORI IN %]
Provenienza
continentale [ VALORI IN %]
Non attribuiti 9,9
Isole 3,2
Nord Ovest
34,1
Isole 2,4
Sud
8,2
UE 10,2
Nord Ovest
31,4
Asia orientale
9,2
Oceania 0,1
America 10,6
Altri paesi
asiatici 8,2
Nord Est
26,9
Centro
20,9
Centro 26,8
a fotografia che il Dossier ci consegna mostra
ancora una volta un’immigrazione verso l’Italia dai contorni non completamente definiti e
dalle tinte forti, non di rado contrastanti. Cresce il numero dei regolari, cresce il numero
dei cittadini stranieri soggiornanti di lungo periodo, aumentano i minori nelle scuole italiane; non aumenta,
però, la qualità del loro inserimento. La cronaca recente è stata generosa di avvenimenti con protagonisti immigrati trattati alla mercè di schiavi e assoggettati alle
regole della malavita, che lucra sul destino di individui
10
mai un quarto degli iscritti alle scuole guida), il 22% possiede un personal computer.
La casa è invece da sempre un problema spinoso. Circa il 12-15% degli immigrati lo ha risolto, diventando proprietario dell’immobile in cui abita. Secondo la stima più
alta, i proprietari sono 506 mila; di essi, 116 mila hanno
acquistato un alloggio nel 2005 (il 14,4% degli acquirenti
totali, ma addirittura il 20% a Roma). Il 72% degli stranieri vive invece in case in affitto.
Ben 8 immigrati su 10 pensano di aver migliorato la
propria vita in seguito all’arrivo in Italia. Questo, nonostante rimangano deficitarie le condizioni di insediamento e di partecipazione: 6 su 10 vorrebbero avere il
diritto di voto, mentre per 1 su 5 la maggiore preoccupazione consiste nel trovare casa e lavoro, esigenze confermate da quanti si recano ai centri d’ascolto Caritas
(reddito e lavoro, in 6 casi su 10, quindi l’alloggio, 3 casi
su 10, sono le angosce principali). Perdurano, poi, le lamentele nei confronti della lunghissima procedura per
acquisire la cittadinanza.
Motivi di insoddisfazione riguardano non solo normative o uffici pubblici, ma anche l’ambito sociale. Nel 2005
sono stati segnalati all’Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali 867 casi di discriminazioni, concentrati spe-
Alleggerire i requisiti
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una politica migratoria restrittiva, la cui sola preoccupazione è stata
contenere i flussi irregolari, attraverso l’attività di contrasto e fissando paletti sempre più rigidi all’ingresso regolare nel nostro paese. Risultato? Flussi irregolari e
mercato del lavoro nero hanno continuato a prosperare. L’incapacità di comprendere che la questione non si
risolve attraverso un rigido contenimento, ma va affrontata con strumenti di reale flessibilità, è forse il dato
più preoccupante.
Altri paesi
africani 7,2
Nord Est
27,2
Altri paesi
europei 38,6
Nord Africa 15,9
Una legge che colpisce chi intende arrivare e lavorare regolarmente in Italia fa il gioco di chi vede nello
sfruttamento degli immigrati irregolari il business del
ventunesimo secolo. E non si tratta di intervenire con
norme persecutorie, ma con un sano realismo, che induca ad accogliere e includere coloro che legittimamente aspirano a costruirsi un futuro tra noi. Quanto
prima si interverrà su questo fronte, tanto più veloci ed
efficaci saranno i risultati. È inaccettabile che, per raggiungere l’Italia e lavorarvi onestamente, si debba affrontare una trafila come quella prevista dall’attuale
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normativa. Le necessità legate alla sopravvivenza spingono molti a eludere la legge e ad entrare: scelta non
giustificabile, ma comprensibile, tanto poi il modo per
ottenere un permesso di soggiorno si trova, magari presentando domanda nell’ambito dei flussi annuali. Certo, la legge dice che la domanda dovrebbe farla il datore di lavoro e che il lavoratore dovrebbe trovarsi all’estero: ma nel frattempo chi mantiene la famiglia? E se
la domanda di ingresso rimane ferma nei meandri della pubblica amministrazione per mesi, come non sentirsi legittimati ad adottare tutti i sistemi possibili, pur
di lavorare e tirare avanti? I centri Caritas sono quotidianamente investiti da richieste di italiani che vogliono sapere come regolarizzare i preziosi lavoratori immigrati già presenti. La risposta purtroppo è sempre la
stessa: non è possibile!
Su questi nodi ci attendiamo quanto prima un intervento da parte del nuovo governo. Ben venga la
riforma della legge sulla cittadinanza. Ben venga il superamento del vigente sistema dei centri di permanenza temporanea. Ma finché non si interverrà sul sistema di ingresso regolare in Italia, alleggerendo i requisiti necessari, avremo un sistema zoppo, una casa
senza fondamenta.
Sfruttati nei campi di Puglia:
«Aiutiamo i nuovi servi della gleba»
I raccoglitori stagionali di pomodori e uva sono costretti a condizioni di vita e
lavoro inumane. Con altri soggetti, Caritas Cerignola cerca di non lasciarli soli
di Pietro Gava
L’
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sessiva: “Tu sei mio, quindi io posso fare di te qualsiasi
cosa”. Non è un azzardo affermare che gli immigrati stagionali sono come i servi della gleba nel Medio Evo».
Subire per continuare a lavorare
Ma c’è chi non si rassegna a questo stato di cose. Dal
2001 la cooperativa sociale Pietra di scarto (che con i
suoi volontari conduce le attività del centro di ascolto
della Caritas diocesana a Cerignola) rappresenta un’efficace antenna per rilevare i bisogni e individuare le aree
in cui intervenire. Anche grazie al sostegno di Medici
senza frontiere e alla sensibilità dimostrata da Asia, l’azienda idrica locale, quest’anno ha installato sei cisterne da duemila litri in contrada Tre Titoli. «Sono riempite due volte a settimana – spiega Pietro Fragasso, presidente della cooperativa –. Abbiamo deciso di portare
l’acqua in quella zona, dove molti alloggi di fortuna sono occupati soprattutto da africani, perché molti stranieri vivono in condizioni di miseria e bevono acqua
non potabile o inquinata dai prodotti utilizzati in agricoltura». Piccoli grandi gesti di attenzione, che non cancellano un panorama di drammi quotidiani. «Gli immigrati – continua Fragasso – guadagnano 2 euro e mezzo
ogni cassone di pomodori e 3 euro e mezzo l’ora per
raccogliere l’uva. Sono rassegnati a essere sfruttati, lamentarsi significherebbe non avere più la possibilità di
lavorare. Purtroppo, lo sfruttamento non riguarda solo
le campagne, ma anche le fabbriche, che si assicurano
ROMANO SICILIANI
ondata delle migliaia di immigrati per i lavori stagionali. Il clamore per le inchieste giornalistiche. La girandola di arresti di caporali
e sfruttatori. È un ciclo che si chiude quasi
ogni due anni. Questa estate, dopo la pubblicazione sull’Espresso di un’agghiacciante inchiesta firmata da Fabrizio Gatti, la storia si è ripetuta. Fondata su
un’evidenza: il crocevia di umiliazioni e soprusi in cui si
trasforma, ogni anno, la raccolta dei pomodori e dell’uva
nelle campagne di Cerignola, in provincia di Foggia.
Così la Caritas diocesana di Cerignola, la cooperativa Pietra di scarto e Medici senza frontiere hanno unito
le forze. «Lavoriamo per abbattere i muri della diffidenza e costuire una convivenza solidale pacifica, che porti
a una piena integrazione degli stranieri». Don Pasquale
Cotugno, direttore della Caritas diocesana pugliese, dichiara subito l’obiettivo. Ma non nasconde quanto la
strada sia ardua: «In questa terra, lo straniero è come un
elettrodomestico. I miei compaesani spesso vengono a
chiedermi personale da impegnare nelle case con un
preciso identikit, come se dovessero indicare le caratteristiche di un prodotto e acquistarlo al supermercato.
Nei campi la situazione non cambia, anzi molti contadini giustificano lo sfruttamento affermando che gli
stranieri non pagano le tasse, mentre loro hanno le spese. Insomma, un motivo come un altro per mettere a
posto la coscienza. La relazione tra datore di lavoro e dipendente straniero è al tempo stesso superficiale e pos-
COME NEL MEDIO EVO
Raccoglitori stagionali di pomodori. Nella provincia di Foggia
si calcola che siano circa seimila ogni anno, di cui tremila
irregolari. Vivono in condizioni terribili, se protestano
vengono addirittura eliminati: l’ambasciata polacca denuncia
la scomparsa, negli ultimi anni, di 119 connazionali
manodopera in nero con estrema facilità…».
La Pietra di scarto e Medici senza frontiere hanno
anche aperto un campo a Borgo Libertà, in una ex scuola elementare resa disponibile dal comune. «La cooperativa distribuisce alimenti e vestiario. Ma fornisce anche assistenza legale gratuita – spiega Fragasso –, aiutando in particolare chi chiede asilo politico e gli immigrati detenuti in carcere in attesa di giudizio. Medici
senza frontiere ha attivato un ambulatorio medico (i
malanni dovuti alla cattiva alimentazione sono frequenti) e uno sportello sociale». Come dire: non tutto è
sfruttamento. Anche se l’immagine che l’Italia dà di sé,
nei campi attorno, è un concentrato di crudeltà.
Imparare l’italiano a distanza,
in Piemonte integrazione on line
Apprendere la lingua italiana. Primo passo lungo la strada
di un’integrazione senza traumi. La lingua è lo strumento
principale per socializzare, conoscere i servizi del territorio,
lavorare al meglio, avvicinarsi alla cultura del paese
ospitante. Ecco perché l’Università di Torino (membro
del consorzio Icon – Italian Culture on the Net, composto
da 23 università italiane), le Caritas diocesane della
provincia di Cuneo e l’ufficio Migrantes di Torino hanno
proposto ai cittadini stranieri residenti in Piemonte
un’opportunità formativa estremamente innovativa.
Si tratta di corsi di italiano on line, gratuiti e di vario
livello (elementare, intermedio, avanzato, oltre a corsi
specialistici di italiano scritto e tecnico per aziende, uffici
e banche), fruibili sia in aule di informatica con tutoraggio,
ma anche altrove, a scelta del partecipante, senza limiti
di spazio e di tempo. Terminato il modulo scelto, Icon
rilascia un attestato di certificazione a livello universitario,
nel caso i partecipanti superino un esame finale.
La sessione pilota dell’innovativa proposta,
con la partecipazione dei primi corsisti, ha preso avvio
a settembre, sebbene l’Università di Torino abbia
già utilizzato con successo i corsi Icon, in particolar modo
per la formazione degli studenti stranieri che, prima ancora
di partire dai luoghi d’origine, in passato hanno scelto
di trascorrere un periodo di studio nell’ateneo torinese.
Le Caritas diocesane della provincia di Cuneo
e la Migrantes di Torino, per sensibilità ed esperienza,
hanno subito compreso la valenza della proposta; sovente,
infatti, per i più disparati motivi gli immigrati, seppur
detentori di un elevato livello di istruzione, “rinunciano”
ad acquisire una buona padronanza della lingua italiana.
La nuova opportunità può dunque rappresentare
un’importante credenziale per recuperare e far valere
competenze e professionalità che generalmente
la migrazione fa passare in secondo piano.
Gli attori del progetto sono convinti che l’impegno
per (ri)costruire un tessuto sociale sempre più plurale
debba passare anche tramite azioni concrete e facilmente
spendibili. La lingua, fondamento di ogni relazione,
diventa anche base dell’integrazione. Per consentire
un futuro da cittadini, rispettoso della dignità umana
e realmente prodigo di opportunità.
Alessandro Bergamaschi
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ESPATRIATI IN OGNI DOVE,
IL NOSTRO BIGLIETTO DA VISITA
di Maria Paola Nanni redazione Rapporto italiani nel mondo
ono oltre tre milioni i cittadini italiani residenti all’estero, mentre la
comunità degli oriundi italiani supera i 60 milioni di persone. A una
più puntuale conoscenza di questa composita realtà è dedicato il
Rapporto italiani nel mondo 2006, promosso dalla Fondazione Migrantes, con il sostegno di un comitato promotore composto da Acli, Inas-Cisl, Mcl e Missionari Scalabriniani e l’apporto redazionale dell’équipe del
Dossier statistico immigrazione Caritas-Migrantes, e presentato a Roma
all’inizio di ottobre. Da venti anni ormai non era più disponibile, neanche per la cerchia ristretta degli addetti ai lavori, una pubbli-
no in Germania e in Venezuela. Il primo è il paese che ospita il più alto numero di cittadini italiani residenti
(533.327, il 17,2% del totale dei nostri
concittadini espatriati), il secondo
rende conto in modo emblematico
delle difficoltà che gli italiani residenti in America Latina (nel complesso
circa 760 mila persone) devono fronteggiare, in seguito a crisi economicosociali più o meno recenti.
cazione che analizzasse in modo orNell’insieme il Rapporto fotograganico la realtà degli italiani nel
fa
in
modo completo, fruibile e agGli oriundi italiani
mondo, partendo dalla raccolta e
giornato
una realtà estremamente
nel mondo sono più
dalla presentazione dei dati statistici
eterogenea,
ma resa in qualche modi 60 milioni.
di riferimento. Il Rapporto risponde
do
uniforme
da quel senso di apparI nostri concittadini
all’esigenza di colmare questa lacuna
tenenza
all’Italia
che è sempre molall’estero 3 milioni.
conoscitiva e di restituire visibilità alto
forte
tra
gli
italiani
all’estero e che
Dopo vent’anni,
le collettività italiane all’estero, valosollecita
risposte
adeguate.
La racun Rapporto torna ad
rizzandone le potenzialità all’interno
colta
e
la
sistematica
esposizione
dei
analizzare il fenomeno.
dell’attuale mondo globalizzato. Indati è quindi funzionale anche a una
Che rappresenta
più attenta valutazione delle problefatti, pur ripercorrendo le fasi storiun’importante risorsa
che più importanti dell’emigrazione
matiche in campo, indispensabile
promozionale per l’Italia
italiana, il Rapporto si concentra soper calibrare le decisioni politicoprattutto sull’oggi.
amministrative e attivare un frutAttraverso la presentazione di informazioni che tra- tuoso percorso di sensibilizzazione, in Italia e all’estero.
scendono il piano statistico, l’opera affronta, in modo
Obiettivo dell’iniziativa è promuovere, in un ottica di
semplice e rigoroso, gli aspetti più importanti che ca- partecipazione e reciprocità, il ruolo degli emigrati per
ratterizzano l’attuale realtà degli italiani nel mondo: dai la promozione dell’immagine dell’Italia nel mondo. Noflussi annuali all’insediamento nei contesti nazionali, nostante i tanti problemi messi in luce all’interno delle
dall’evolversi della rete associativa alle problematiche 352 pagine, il Rapporto predispone all’ottimismo: abassistenziali e previdenziali, dalle migrazioni qualificate biamo all’estero una vasta rete di persone che studiano
all’imprenditoria italiana all’estero, dal voto alle elezio- la nostra lingua, che commercializzano prodotti made
ni politiche dello scorso aprile alla diffusione della lin- in Italy, che sono legati indissolubilmente alle tradiziogua e cultura italiana nel mondo.
ni italiane e all’amore per il belpaese. Sollecitando nei
loro confronti una maggiore attenzione da parte della
Calibrare le decisioni
società italiana, l’indagine sottolinea dunque il “valore
Ci sono poi approfondimenti dedicati a situazioni parti- aggiunto” che gli italiani all’estero rappresentano per la
colari. Nel primo numero del Rapporto si guarda da vici- valorizzazione del nostro paese, sia sul versante econono alle condizioni di vita e di lavoro degli italiani che vivo- mico-produttivo che su quello culturale e sociale.
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servizio civile
OBIETTORE
DIRETTORE:
«COSÌ CAMBIA
IL SERVIZIO»
ELENA GAGLIARDI
dall’altro mondo
Intervista a Diego Cipriani,
vent’anni in Caritas,
da agosto alla guida dell’Ufficio
nazionale servizio civile.
«L’organizzazione si evolve,
la radice è la stessa:
coniugare pace e giustizia
al servizio da cittadini
per il nostro paese»
di Ettore Sutti
VERTICE E BASE
l consiglio dei ministri lo ha nomi- Diego Cipriani, nuovo
In questa sfida è fondamentale avere ben
dell’Unsc. A destra
nato nel cuore dell’estate. E così lui capo
presente cosa significa lavorare a stretto
volontaria Caritas in un
ha posto fine, in agosto, a una mili- centro anziani anziani
contatto con i giovani. È un’esperienza che
tanza in Caritas che durava dagli
ho potuto maturare dal 1990, quando ho asanni Ottanta. Prima obiettore di coscienza per la sunto il ruolo di responsabile per il servizio civile di Caritas
Caritas diocesana di Bari-Bitonto, Diego Cipriani Italiana. In dieci anni ho incontrato migliaia di obiettori e
è stato responsabile dal 1990 al 1999, per Caritas questo mi ha fatto bene. Anche il mio servizio da obiettoItaliana, dell’Ufficio servizio civile; poi si è occupato del- re rappresenta oggi un valore aggiunto, nonostante il serl’Ufficio per la ricostruzione storica di obiezione di co- vizio civile durante gli anni si sia modificato.
scienza e servizio civile, dal 2005 curava il progetto dell’Osservatorio sui conflitti dimenticati. Oggi è il nuovo direttoLo spirito dell’obiezione era premessa necessaria, nere dell’Ufficio nazionale per il servizio civile (Unsc), la
gli anni ’70 e ’80, dell’impegno di servizio. Cosa fare,
struttura da cui dipendono organizzazione e gestione del
oggi, per evitare che i giovani concepiscano il servizio
servizio civile in Italia. E spiega come intende fare tesoro,
civile come mero arricchimento del curriculum?
nel nuovo incarico istituzionale, del suo dna di obiettore.
A dire la verità non vedo grosse differenze con il passato. I
rischi si correvano anche con gli obiettori, alcuni dei quali
Diego Cipriani, da obiettore a direttore Unsc. Del pa- erano più interessati a cercare una bella esperienza di sertrimonio di motivazioni ed esperienze maturato in vizio che a viverla con il giusto impegno. Credo, semplicedue decenni di Caritas, che cosa sarà più prezioso per mente, che occorra recuperare le radici profonde del seril nuovo incarico?
vizio civile volontario, le stesse del servizio civile degli
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servizio civile
Veniamo all’attualità. Stanno per essere presentati i
nuovi progetti per il 2007. Dalla Finanziaria temete
sorprese negative?
A prescindere da come saranno definiti i capitoli di bilancio nella prossima Finanziaria, è evidente che esiste un
problema. L’unico dato certo è che la richiesta di servizio
civile, sia da parte degli enti sia da parte dei giovani, supererà le risorse che lo stato può mettere in campo. Una differenza che, temo, sarà impossibile far scomparire.
Il ministro della solidarietà sociale ha fatto sapere che
intende privilegiare alcuni enti, quelli del terzo settore, e alcuni settori di servizio, come l’assistenza. Qual
è l’orientamento dell’Ufficio nazionale?
Si tratta di semplici indirizzi su cui dovremo lavorare, anche proponendo modifiche all’attuale sistema, che non
Servizio civile obbligatorio: c’è una proposta di legge
depositata alla Camera. È un tema ancora in agenda
per la politica e per l’Ufficio nazionale?
Questo argomento deve essere inserito nel dibattito politico; solo la politica è in grado di decidere ed eventualmente di dare gambe a un’iniziativa del genere. Di servizio civile obbligatorio si sta parlando un po’ in tutta Europa; Nicolas Sarkozy, candidato di centrodestra alle presidenziali
francesi, ha inserito nel proprio programma l’istituzione
del servizio civile obbligatorio per tutti i giovani del suo
paese. Ma in Italia il dibattito in materia stenta a decollare.
prevede scelte preferenziali di tipologie o aree di intervento. Dovremo attrezzarci per poter fare certe scelte, ma allo
stato attuale non esistono indicazioni su come procedere.
La recente vicenda del Libano ha riproposto la questione dei corpi civili di pace e della difesa popolare
nonviolenta. È una discussione anacronistica?
Una riflessione su questi temi appare oggi necessaria. Non
solo perché nel mondo i conflitti continuano a essere una
triste realtà, ma anche, ed è sempre più evidente a tutti,
perché l’uso delle armi non è in grado di risolverli. Il semplice intervento di interposizione armata può essere utile
per fermare un conflitto o per congelarlo per qualche periodo, ma appare incapace di generare processi di pace
duraturi e condivisi. Questa è la scommessa che il mondo
nonviolento deve raccogliere, cercando di offrire contributi che, se non risolutivi, aiutino a ricostruire una coscienza civile dopo un conflitto. Presso l’Ufficio nazionale
esiste un comitato per la consulenza alla difesa civile non
armata e nonviolenta. Il servizio civile può essere un modello di risoluzione alternativa dei conflitti.
Il coraggio di Monica,
un anno da rom con i rom
Come procede la regionalizzazione del servizio civile?
Come giudica la stesura delle leggi regionali sul servizio civile?
Le leggi regionali – attualmente ce ne sono solo cinque –
sono uno strumento importante, soprattutto per i vantaggi che possono dispiegare in ambito territoriale. Ne è un
esempio la possibilità che si costituiscano consulte per il
servizio civile regolate da leggi regionali, quindi molto più
tagliate “a misura” della realtà in cui si deve operare. Ma
ELENA GAGLIARDI
obiettori di coscienza di cui è figlio. Anche oggi il servizio
civile deve, o almeno dovrebbe, saper coniugare la pace e
la giustizia all’impegno personale da cittadino nel nostro
paese. Non è una ricetta, è una buona pista da seguire.
Volontaria in servizio civile
con una ragazza rom,
residente in un campo
seguito dalla Caritas a Milano
di Generoso Simeone
M
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sione di dare una svolta a questo percorso di precarietà.
La ragazza ha aderito con entusiasmo all’idea di svolgere il servizio civile in Caritas, ma non sono pochi i problemi che deve affrontare, legati soprattutto alle resistenze
culturali della famiglia e della comunità d’origine. Monica
ha saltato la prima settimana di formazione per giovani
volontari, in una struttura distante una ventina di chilometri da Frosinone. Era obbligatoria, ma la cultura rom
considera un disonore trascorrere la notte lontano dalla
propria famiglia e soprattutto la madre si è impuntata, temendo che la figlia potesse essere lasciata dal fidanzato e
restare senza marito per tutta la vita. Gli operatori Caritas
e gli assistenti sociali del comune avevano tentato una
mediazione, dandole la possibilità di fare avanti e indietro
ogni giorno da casa al luogo della formazione. Ma la mam-
Il bando di giugno ha accreditato come “service” enti
che hanno un ruolo di “intermediazione” per conto
degli enti pubblici. Ciò è andato a scapito di molte associazioni storiche, creando non pochi malumori…
Nel corso degli anni il sistema si è andato sempre più articolando. La prima circolare sugli accreditamenti, nel 2001,
era più scarna della regolamentazione attuale. In ogni caso l’Unsc e i suoi referenti istituzionali intendono garantire
un servizio civile sempre più di qualità e inserito nei contesti territoriali. In futuro, grazie anche al fondamentale
supporto delle regioni, dovremo privilegiare un collegamento sempre migliore tra progettazione e territorio.
CULTURE A CONTATTO
Compiuti i 18 anni, ha ottenuto la cittadinanza italiana e chiesto di entrare
in servizio civile con la Caritas di Frosinone. Per (e nonostante) la sua gente
onica è nata in Italia. Ma la cittadinanza italiana l’ha ottenuta solo lo scorso aprile. I 18
anni le hanno consentito di effettuare subito
anche la domanda per il bando del servizio
civile volontario. Nuova nazionalità e nuove
responsabilità: un bell’ingresso nell’età della ragione.
Monica è una ragazza rom. Forse la prima rom in servizio civile in Italia. L’idea le è stata proposta dagli assistenti sociali del comune di Frosinone, che insieme alla
Caritas diocesana seguono da tempo la sua famiglia. Lei
abita con i genitori e quattro fratelli più piccoli in una casa
popolare, alle spalle vicissitudini che hanno visto l’intero
nucleo familiare passare per baraccopoli varie, poi per alloggi di fortuna. La famiglia proviene dai Balcani, ma risiede nella città ciociara da più di vent’anni. Ora lei ha l’occa-
una legge regionale può anche concretizzare l’impegno
che le regioni si sono prese, dall’inizio del 2006, di entrare
come attori protagonisti nel sistema del servizio civile. È
ancora presto per capire quale sia l’orientamento generale delle regioni, ma da un primo monitoraggio appare che,
seppur con qualche eccezione, si stanno muovendo bene
in ambiti delicati, come la costituzione degli albi regionali
e l’accreditamento degli enti.
ma ha mandato tutto a monte, facendo pervenire un certificato medico che dichiarava la figlia malata.
Bambini sì, padri no
Comunque Monica in servizio ci è entrata. Anche rispetto
all’attività che dovrà svolgere non mancano i problemi. Si
occuperà di minori, in particolare di accudimento dei
bambini più piccoli, dai due ai sei anni. Dovrà recarsi nei
campi nomadi di Frosinone, entrare in contatto con le famiglie dei piccoli e quindi anche con i loro padri, uomini
poco più grandi di lei. Questo non va bene, non è accettato dalla famiglia né dalla comunità rom, perché viene
considerato un disonore. Anche in questo caso occorrerà
una mediazione: si farà in modo che le visite di Monica ai
bambini non avvengano in presenza di uomini.
Gli operatori Caritas e gli assistenti sociali del comune
auspicano che gli sforzi fatti con la ragazza non siano penalizzati dalle resistenze della famiglia. Monica non è mai
andata a scuola ed è praticamente analfabeta. Quando la
domanda per il servizio civile fu avanzata non era affatto
sicuro che la ragazza passasse il bando. Dovendo essere
inserita in un progetto di cura rivolto a minori rom, sono
state decisive l’esperienza e le competenze individuali, che
in termini di punteggio hanno pesato molto. Ora i dodici
mesi di servizio assicurano anche un piccolo stipendio,
che rappresenta un’importante fonte di reddito per la famiglia. Il padre (apolide, mentre la madre è serba) non lavora, se non sporadicamente come commerciante ambulante. Ma per Monica conta soprattutto la possibilità di
servire la sua gente, da cittadina italiana. L’anno da volontaria diventa un’occasione importantissima di formazione
personale, di attenzione agli altri, di mediazione tra culture. Non sarà facile, ma davvero non è poco.
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nazionale
nazionale
database
esclusione
politiche
sociale
sociali
AI CENTRI D’ASCOLTO
IL POPOLO DEI POVERI “CLASSICI”
di Renato Marinaro ufficio studi e ricerche Caritas Italiana
l sesto “Rapporto sulla povertà e l’esclusione sociale” di Caritas
Italiana e Fondazione Zancan, intitolato Vite fragili e pubblicato
a ottobre per Il Mulino, illustra tra le altre cose i dati relativi alle
persone in difficoltà che, nei mesi di aprile e maggio 2005, si sono rivolte ai centri di ascolto collegati con le Caritas diocesane aderenti al
“Progetto Rete” nazionale. I dati sono stati raccolti in 241 centri di 147
diocesi italiane (due terzi del totale) e si riferiscono alle principali caratteristiche anagrafiche, ai bisogni e alle richieste di 17.203 persone.
I
giunge il 72,1%, tra gli italiani il 60,3%.
Altri tipi di problemi
Un quinto degli utenti dei centri di
ascolto (20,2%) è costituito da persone con gravi difficoltà abitative
(senza dimora o in sistemazioni
precarie). Anche in questo caso la
differenza tra italiani e stranieri (rispettivamente, 17,4% e 21,9%) è sensibile, seppure meno marcata riSi tratta in maggioranza di cittadispetto ad altri aspetti.
ni stranieri (63,6%), più della metà
I tipi di bisogno maggiormente
Nel sesto rapporto
provenienti dall’Europa orientale
rilevati
sono quelli relativi ai probleCaritas-Zancan
(51,9%) e poco meno di un quarto dal
mi
economici,
che riguardano i due
i dati 2005 del “Progetto
continente africano (23,8%). Molto
terzi
degli
utenti
(67%); tali bisogni
Rete”. Agli sportelli
inferiori sono invece le quote di strasono
strettamente
connessi a quelli
diocesani si rivolgono
nieri provenienti dall’Asia (13,1%) e
occupazionali
e
abitativi,
già citati.
soprattutto cittadini
dalle Americhe (10,9%), mentre è
Va
comunque
sottolineato
che i
stranieri. Hanno
scarsissima quella di coloro che proproblemi
economici
riguardano
gli
caratteristiche diverse
vengono dall’Oceania (0,3%). Va conutenti
italiani
in
maggior
misura
ridagli italiani. Ma tutti
siderato che quasi il 60% dei cittadini
spetto
a
quelli
stranieri
(rispettivahanno problemi
stranieri che si sono rivolti ai centri
mente 74,6% e 62,5%).
di lavoro, reddito e casa
era in possesso di permesso di sogTra le richieste registrate dagli
giorno, o in attesa di riceverlo.
operatori dei centri di ascolto, spicDai dati risulta evidente che le caratteristiche dei cit- cano quelle relative a beni e servizi materiali (47,1% detadini italiani e dei cittadini stranieri differiscono in mo- gli utenti) e al lavoro (29,3%). Ma c’è anche una quota
do piuttosto significativo e per diversi aspetti. Una pri- consistente di persone che richiedono esplicitamente
ma forte differenza riguarda il livello di istruzione: solo sussidi economici (16,5%). Quest’ultimo tipo di richieil 15,6% degli utenti italiani è risultato in possesso alme- sta appare molto frequente tra gli utenti italiani (30,1%,
no della licenza media inferiore, mentre tra gli stranieri contro l’8,7% degli stranieri), mentre le richieste di lavotale quota è del 45,7%. Viceversa, solo il 40,9% degli uten- ro sono molto più diffuse tra gli stranieri (35%, contro il
ti stranieri vive con i propri familiari o con parenti (a 19,6% degli italiani).
fronte del 60,5% di italiani), mentre la maggioranza vive
L’elemento essenziale che emerge dall’analisi dai
con conoscenti o soggetti esterni alla rete familiare, se dati raccolti è la persistenza di una povertà “classica”, lenon da solo. Va comunque tenuto presente che quasi un gata a problemi di lavoro, reddito e abitativi. Tutto ciò,
terzo degli utenti italiani (31%) vive da solo. Un’altra dif- senza dimenticare altri tipi di problemi (familiari, relaferenza piuttosto marcata è relativa alla condizione la- zionali, sanitari, di istruzione, di dipendenza da sostanvorativa. Più dei due terzi degli utenti sono risultati di- ze, di detenzione o post-detenzione, disabilità), comunsoccupati (67,8%); ma tra gli stranieri tale valore rag- que presenti tra gli utenti dei centri di ascolto.
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NOVEMBRE 2006
tendenze sociali
Le Acli hanno discusso,
nell’ultimo convegno
nazionale, di un tema
cruciale per le nostre
società. La felicità non
dipende da crescita
e benessere materiale.
E la politica deve investire
sui “beni relazionali”
e non monetari
ROMANO SICILIANI
RELAZIONI, NON CONSUMI
COSÌ CI SCOPRIAMO FELICI
di Andrea Olivero presidente nazionale Acli
S
e il convegno organizzato dalle Acli a Orvieto
nel mese di settembre sul tema della felicità ha
suscitato un così vasto interesse e un’eco positiva nell’opinione pubblica, forse è dovuto al
fatto che siamo rimasti con i piedi per terra,
confrontandoci sui problemi concreti della vita quotidiana. Infatti, un grande ostacolo alla felicità è
quello di nascere da un’attesa troppo grande. La vera felicità è invece feriale, e sa gustare la gioia delle piccole
cose, perfino il dettaglio, le sfumature.
Pensiamoci bene: tante volte non riusciamo a essere
felici perché diventiamo ingordi, insaziabili, vogliamo
avere sempre di più, nella convinzione che solo quando
arriviamo all’apice del continuo accumulare o del successo, allora sboccia la vera felicità! Niente di più falso.
Non può far nulla per la felicità degli altri colui che
non sa essere felice egli stesso. Solo se tu sei sereno e pa-
cificato nello spirito, riuscirai a irradiare anche negli altri
la luce della gioia, la letizia dell’anima e la festa della vita.
Ma insieme alla felicità nelle piccole cose, è giusto
sottolineare soprattutto la felicità che ci viene donata
dalla relazione con gli altri. È infatti nella relazione il
cuore della felicità. Accade però che nel nostro tempo le
persone stiano ricercando il senso del vivere non attraverso la relazione con l’altro, ma attraverso l’acquisto e
il consumo degli oggetti. Possiamo anzi dire che questa
“legge del consumo”, che sembra dominare sulla nostra
società, trova il suo alleato più forte nella fragilità identitaria degli individui. Più le identità sono deboli, più il
ricorso all’acquisto compulsivo e compensativo delle
merci diventa impellente.
È invece ristabilendo il primato delle relazioni sulle
cose che si restituisce alla realtà un ordine di verità e di
priorità: la felicità non è data dalla quantità di beni maI TA L I A C A R I TA S
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nazionale
tendenze sociali
viduo isolato come una monade solitaria, ma quei “beni relazionali” (la famiglia, la vita associativa, la comunità locale...) che di certo contribuiscono allo sviluppo
integrale e alla felicità delle persone, ma che al contempo richiedono un investimento congiunto da parte di
tutti i soggetti coinvolti.
Paradosso e convinzione
PRESIDENTE
FELICE
Andrea Olivero, 36 anni,
cuneese, insegnante
di lettere, è presidente
nazionale delle Acli
da marzo, il dodicesimo
nei 60 anni di storia
dell’associazione
teriali prodotti, posseduti o consumati, ma dallo star
bene con se stessi e con gli altri.
Economicamente sostenibile
Il convegno delle Acli è andato controcorrente, si è posto
in contrasto con tutte le forze economiche e sociali che
propongono facili equazioni, secondo cui “più crescita”
equivale a “più consumo”, e più consumo assicurerebbe
“più benessere”. È una vera mistificazione della realtà.
Contro questo gigantesco bluff, orchestrato magistralmente dal mercato, ben poco riescono a fare le tradizionali agenzie educative. Né la famiglia, né la scuola,
né l’associazionismo e ancor meno la parrocchia riescono più ad arginare questa eruzione vulcanica del mercato, che si abbatte su tutti noi con la forza di uno tsunami!
Basterebbe invece volgere lo sguardo su ciò che sta accadendo dall’altra parte della strada, sul volto della gente che non ce la fa più a trovare la forza per vivere, su chi
si lascia andare, o su chi deve recarsi dallo psicanalista o
è costretto a imbottirsi di psicofarmaci. Ci deve pur far
pensare il fatto che nell’ultimo periodo si sono registrati
in Italia circa quattromila suicidi ogni anno. Oppure che
nell’ultimo Rapporto 2006 dell’Osservatorio nazionale
sull’impiego dei medicinali si denuncia un boom, nel
nostro paese, del consumo di antidepressivi.
Il nostro impegno per conseguire l’obiettivo di una
“felicità economicamente sostenibile” (facendo nostra
l’efficace espressione del professor Leonardo Becchetti)
è in piena coerenza con le radici del popolarismo democratico e del personalismo cristiano. Al centro di
questa visione della società troviamo infatti non l’indi20
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NOVEMBRE 2006
La ragione per cui le Acli puntano oggi sulle politiche
per la famiglia e su tutti gli altri “beni relazionali” e non
monetari (sanità, sicurezza, convivenza, istruzione, ambiente) rappresenta un contributo diretto alla promozione della felicità degli individui, oltre che un formidabile supporto allo sviluppo economico. Si tratta infatti
di capire che le relazioni, che sono al centro dei beni relazionali, non sono soltanto un bene privato, ma anche
un bene pubblico e un fondamentale fattore in grado di
promuovere la produttività individuale, ossia di trasformarsi in ricchezza per il paese.
Infatti, l’economia di un paese non è mai una sfera
avulsa dalle relazioni sociali che caratterizzano le persone che in quella società vivono. Se tutto si riducesse a Pil
e a concorrenza, a prezzi e a tassi d’interesse, senza mai
un atteggiamento di fiducia e generosità, senza un tempo per il volontariato e un gesto di altruismo... saremmo
dinanzi a un mondo di robot forse più concorrenziale e
competitivo, ma sicuramente più indifferente, più triste
e più glaciale nelle relazioni.
Bisogna aver chiaro il cosiddetto “paradosso della felicità”, che è poi la conferma di una convinzione molto
diffusa tra la gente semplice, e cioè che le persone più
ricche non sono affatto anche le più felici. E la stessa cosa si può dire anche per i paesi del mondo: una recente
classifica mostra che i cosiddetti paesi più avanzati non
sembrano essere i più felici, mentre esiste una sorprendente “gioia di vivere” che è testimoniata proprio dai
paesi in via di sviluppo.
Sono la creatività dei propri talenti e la partecipazione alla vita democratica a contare molto di più dei dollari e del reddito, quando si misura la felicità pubblica di
una nazione. Ecco perché diventa importante il tasso di
democrazia, più che il tasso d’interesse; la formazione
del capitale umano e sociale, più che il solo aumento del
capitale economico; la fiducia nelle relazioni interpersonali, più che la concorrenza sfrenata tra gli individui.
Attraverso il convegno sulla felicità abbiamo capito che ragionando di felicità si possono rivedere le
scelte della politica, per “convertirle” maggiormente
ai reali bisogni delle persone, delle famiglie e delle comunità locali.
Nigeria prima, Italia lontana:
Pil e ricchezza non sono tutto...
Quali sono i paesi più felici del mondo? L’ultima ricerca
in materia è stata realizzata nel 2006, per conto del Centro
per gli studi internazionali della crescita economica,
dal professor Leonardo Becchetti, professore di economia
politica all’Università di Roma “Tor Vergata” e relatore
al convegno Acli. Utilizzando i dati dell’indagine
internazionale World Value Survey, è stata stilata
una classifica dei paesi del mondo secondo la felicità
media dichiarata. Ai primi tre posti sono risultati Nigeria,
Tanzania e Messico, seguiti da Portorico, Salvador, Islanda,
Venezuela e Vietnam. Il primo paese “ricco” nella classifica
è il Canada, al nono posto, con Olanda, Danimarca
e Regno Unito subito dietro. L’Italia risulta in cinquantesima
posizione, tra India e Repubblica Ceca. All’ultimo posto
la Romania. «Ci vuole ovviamente cautela nell’interpretare
questi dati – ha spiegato il professor Becchetti –, perché
possono essere influenzati da distorsioni culturali. Eppure
appare evidente e incontrovertibile che alla differenza
in termini di reddito pro capite tra nord e sud del mondo
non corrisponde un’uguale differenza di felicità».
Una casa popolare,
e si torna a volare
Un saluto dalla soglia,
dopo il colloquio
Un figlio tratto in salvo,
la forza per tutti
Appena si materializza una possibilità
di autonomia e indipendenza attraverso
l’inserimento lavorativo, un’opportunità
di guadagno e un sia pur minimo risparmio,
la felicità appare negli occhi di donne sole, che
spesso sono state maltrattate. Abbiamo ospitato
una donna per tre anni: dopo aver svolto per
un certo periodo lavori saltuari, quando ha trovato
un impiego stabile e le è stata assegnata una casa
popolare dove vivere con le sue due bambine,
mentre camminava sembrava di vederla volare…
Di storie, volti, persone, ne ho incontrati tanti. A volte
capita durante e dopo i colloqui di scorgere attimi di gioia
da parte delle persone, per il semplice fatto di essere
state ascoltate e aver trovato un clima familiare.
Le persone che si rivolgono a noi non sempre trovano
risposta a tutti i bisogni materiali, ma tornano anche solo
per respirare per poco tempo un clima sereno. C’era un
uomo italiano di mezza età, caduto nell’alcolismo a causa
di disagi familiari, che dopo il colloquio si fermava poco
lontano dall’ingresso del centro d’ascolto solo per
salutarci, poi andava via. Era il suo modo di dire grazie.
In quel momento, quando alzava il braccio, sorrideva.
Forse, era il momento felice della sua giornata.
Sono andata per aiutare e sono stata aiutata. L’esperienza
del Progetto Diaspora è cominciata poche settimane dopo
il terremoto che ha colpito il Molise il 31 ottobre 2002. Occorreva
aiutare gli sfollati e il loro principale disagio, oltre i lutti,
consisteva nel venir meno di tutti i riferimenti che concorrono
alla definizione dell’idea di comunità. Nonostante il trambusto
dovuto al terremoto e i danni fisici permanenti riportati dal loro
figlio, due coniugi, in tutta la loro dignità, trovavano anche
la forza per rincuorare gli altri, affrontando i disagi con serenità.
In quelle condizioni, credetemi, hanno insegnato a me e agli altri
volontari cosa significa essere felici. Erano felici, perché il loro
figlio era ancora vivo. Anche il loro bambino si è giovato della
serenità sentita in famiglia e ha avuto piccoli miglioramenti.
Ilarina Pacilli, Caritas Latina-Terracina-Sezze-Priverno,
in servizio al centro d’ascolto diocesano di Latina
Lia Melis, Caritas Termoli-Larino,
coordinatrice del progetto Diaspora
Michela Vennari, Caritas Vigevano,
impegnata nel progetto “Donna”
(accoglienza per donne in situazione di disagio sociale
con o senza bambini, vittime di maltrattamenti
o violenza, provenienti dalla tratta o dal carcere)
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21
nazionale
contrappunto
TRA STATO E MERCATO
CHI ASSICURA I “FINI SOCIALI”?
di Domenico Rosati
l duro confronto sul caso Telecom e sui rapporti tra politica ed economia ha dato la percezione del limite storico che contraddistingue
la visione eminentemente mercantile dell’economia, affermatasi in
Italia dopo il ciclo dell’intervento statale, canone vincolante per tutto
ciò che si muove in Europa. Dentro questo perimetro, il massimo che
la tutela del bene comune può reclamare si compendia nell’affermazione per cui “l’interesse pubblico sarà assicurato non dalla proprietà,
ma da un insieme certo di regole chiare e trasparenti” (Prodi). Formule e strumenti di intervento, diretto o indiretto, dello stato democratico
(non totalitario!) per assicurare le finalità che all’economia assegna
I
Corollario per l’Europa
In queste condizioni, che senso ha
appellarsi al mercato (o ai mercati)?
Non è un rimettersi ai risultati del rapporto di forza tra i soggetti della speculazione finanziaria? Il capitale finanziario da sempre ritiene che la sua
patria sia “là dove si sta bene”, come si
legge nella remota (1931) enciclica di
Pio XI che denunciava “l’imperialismo del denaro”. La consapevolezza
di trovarsi in presenza di soggetti potenti e inafferrabili fa comprendere
la Costituzione italiana sembrano
quanto sia arduo il compito di chi non
consegnati all’archivio degli oggetti
Il caso Telecom
si rassegna al “lasciar fare” di improninutilizzabili. Tanto che viene da
ha risollevato in Italia
ta paleocapitalistica e perciò non richiedersi se abbia ancora un senso,
il dibattito sulle regole
nuncia a una qualche modalità di
e quale, l’articolo 41, secondo il quache lo stato deve
correzione e controllo degli automale “la legge determina i programmi e
esercitare per assicurare
tismi di produzione e distribuzione
i controlli opportuni perché l’attile finalità assegnate
della ricchezza. Modalità che tuttavia
vità economica pubblica e privata
dalla Costituzione
ha da essere ben “chiara e trasparenpossa essere indirizzata e coordinaall’iniziativa economica.
te”, anche per impedire che intrecci di
ta a fini sociali”.
L’“imperialismo
bassa lega si svolgano “dietro la facI casi più clamorosi degli ultimi
del denaro”
ciata di quello che si chiama stato”, ad
anni, da Cirio a Parmalat a Bankiè irreversibile?
opera di gruppi organizzati della fitalia, confermano la forza fatale di
nanza e della politica.
un’economia che, almeno finora,
Se il confronto di questi mesi avrà un seguito, varrà
ha imposto le sue leggi, anche se a danno dell’interesse pubblico. Il cuore del problema è qui, non in una la pena non lasciar cadere il meglio degli elementi che
regressiva simpatia per forme dirigistiche o anche sol- esso è riuscito a mettere a fuoco: in particolare l’esigentanto di compartecipazione pubblica. Ma quale signi- za di un “governo” (o come altrimenti si voglia dire) delficato assume l’evocazione di un “insieme certo di re- le “reti”, cioè dei “beni comuni” di cui va garantita la piegole chiare e trasparenti” nel contesto italiano? Più na ed eguale disponibilità a tutti i cittadini. Non è solo
che un “insieme”, cioè un sistema unitario e finalizza- questione di merci e scambi. Ne va delle libertà fondato di regole, abbiamo infatti un assiemaggio di norme mentali, civili e dal bisogno.
settoriali che, di fatto, hanno sin qui consentito spazi
C’è infine un corollario che non va schivato e che inoperativi (e di immunità) ai soggetti più forti, come le veste l’Europa: se l’Unione si limita a registrare le regole
banche. Quanto poi a chiarezza e trasparenza, basta dei singoli paesi e non ne delibera di proprie, obbligandare una scorsa agli atti parlamentari per rendersi ti per tutti, l’ingorgo crescerà. E con esso le fortune per i
conto che si tratta, ancora e sempre, di un’esigenza in- tanti trafficanti senza rischio, annidati nel “capitalismo
soddisfatta.
senza capitali”.
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NOVEMBRE 2006
panoramacaritas
RAPPORTO
POST-EMERGENZE
Esclusione
sociale: a Roma
“Vite fragili”
Terremoto in Pakistan e tsunami:
accurati dossier sugli aiuti Caritas
Vite fragili:
così si intitola
il sesto
rapporto
di Caritas
Italiana
e Fondazione
Zancan su povertà ed
esclusione sociale in Italia.
Il nuovo rapporto (di cui Italia
Caritas ha parlato
ampiamente nell’ultimo
numero) viene presentato
venerdì 10 novembre
a Roma, nella Sala Ucsi stampa cattolica,
in via in Lucina 16/A.
Alla presentazione
intervengono monsignor
Vittorio Nozza (direttore
Caritas Italiana), monsignor
Giuseppe Pasini (presidente
Fondazione Zancan)
e i curatori del rapporto,
che per la prima volta è edito
da Il Mulino. Il volume
è suddiviso in tre sezioni:
la parte introduttiva fornisce
le coordinate dell’opera,
con particolare riguardo
ai recenti sviluppi della
legislazione sociale dopo
le modifiche del titolo quinto
della Costituzione; la seconda
si sofferma su situazioni di
fragilità e vulnerabilità sociale
dei bambini in tenera età
e delle loro famiglie; l’ultima
sezione presenta i risultati
di un’ampia rilevazione
nazionale, condotta sugli utenti
dei centri di ascolto Caritas.
L’8 ottobre 2005 un anno dal terremoto di intensità
7,6 della scala Richter devastò il Kashmir pachistano
(ma danni gravi furono registrati anche nelle confinanti
regioni dell’India), mietendo più di 70 mila vite e lasciando
3,3 milioni di persone senza casa. Il network
internazionale Caritas si attivò prontamente, a supporto
dell’azione di Caritas Pakistan, per rendere possibili aiuti
d’emergenza e, nei mesi successivi, un intenso programma di ricostruzione e
riabilitazione, del valore di oltre 8 milioni di euro. Caritas Italiana ha fatto la sua parte,
raccogliendo più di un milione gli euro, che sono stati impiegati nei primi dodici mesi.
Dell’entità dei danni causati dalla tragedia e dell’impiego dei fondi Caritas dà conto
un accurato dossier, che si può scaricare dal sito internet www.caritasitaliana.it.
A fine dicembre, invece, ricorreranno i due anni dalla tragedia dello tsunami
in tanti paesi affacciati sull’Oceano Indiano: anche a questo proposito verrà redatto
un documentato aggiornamento sull’impegno Caritas per la ricostruzione.
CARITAS ITALIANA
Un anno di
attività dedicate
all’animazione
“Animare territori
e parrocchie”: è lo slogan
che contraddistingue
la programmazione di Caritas
Italiana per l’anno pastorale
2006-2007. L’opuscolo, oltre
a indicare indirizzi e recapiti
della “galassia Caritas”,
descrive le linee portanti
e le attività pastorali,
formative e culturali che
saranno proposte da Caritas
Italiana nel corso dell’anno;
è stato messo a punto a
metà ottobre ed è disponibile
in versione cartacea
(richiedendolo a Caritas
Italiana) o scaricabile
dal sito internet
www.caritasitaliana.it.
L’attenzione all’animazione
sarà cruciale nel corso
di un anno che, apertosi
con il Convegno ecclesiale
nazionale
di Verona,
culminerà nel
31° convegno
nazionale
delle Caritas
diocesane, in programma
a Montesilvano (Pe) dal’11
al 14 giugno 2007.
VOLONTARIATO
Documento
sui rapporti
con le istituzioni
La Consulta ecclesiale degli
organismi socio-assistenziali
organizza per venerdì 24
e sabato 25 novembre
a Roma un convegno
per presentare il documento
“Riflessioni sulle
caratteristiche e i valori
portanti del volontariato
che incontrano le istituzioni
sociali”. L’appuntamento
si propone di riflettere
con rappresentanti qualificati
dei gruppi ecclesiali che
operano nella solidarietà,
nel mondo del volontariato
e del terzo settore sulle
implicanze del rapporto
fra volontariato e istituzioni
e sulle istanze che tale
rapporto pone al quadro
normativo del paese.
All’incontro interverranno
politici, studiosi, dirigenti
di realtà del volontariato
ecclesiale. La Consulta
raduna molti organismi attivi
nel settore; è presieduta,
per statuto, dal presidente
di Caritas Italiana.
I TA L I A C A R I TA S
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NOVEMBRE 2006
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internazionale
progetti > lotta all’Aids
a cura dell’Area internazionale
Ogni minuto nel mondo
muore un bambino per
le conseguenze dell’Aids
e oltre la metà dei nuovi casi
di infezione (3 milioni
nel 2005) colpisce giovani
sotto i 25 anni. Sono
15 milioni nel mondo
i bambini che hanno
perso uno o entrambi
i genitori a causa della
malattia. E mai come
nel 2005 si sono contati
tanti morti tra gli africani:
circa 2,4 milioni tra adulti
e bambini. È stato creato
un Fondo globale per la lotta
contro l’Aids, ma dispone
di risorse insufficienti.
La Giornata mondiale
di lotta all’Aids,
il 1° dicembre, ci ricorda
che l’epidemia rappresenta
una sfida etica, oltre
che un problema di giustizia.
Caritas Italiana sostiene
molti programmi, d’intesa
con le chiese locali,
con tre obiettivi di fondo:
informare e formare, curare
e assistere, promuovere.
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24
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NOVEMBRE 2006
ETIOPIA
MICROPROGETTI
L’importanza della prevenzione nelle scuole
INDIA. Allevamento e artigianato al femminile
Ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia, Caritas Italiana
sostiene un progetto di educazione sociosanitaria per circa
tremila giovani di due scuole superiori. L’obiettivo
è prevenire il diffondersi dell’Aids attraverso l’educazione
a uno stile di vita e un comportamento che valorizzino
positivamente le relazioni interpersonali sia verticali,
con i genitori e gli adulti, sia orizzontali, con gli altri giovani,
con riferimento soprattutto agli ambiti dell’affettività e della
sessualità. Il progetto è realizzato dalle Suore missionarie
francescane di Maria, in collaborazione con l’arcidiocesi
di Addis Abeba, e prevede la formazione per un periodo
di nove mesi di sei giovani, che poi diventeranno punti
di riferimento per le attività nelle scuole. Saranno organizzati
incontri di scambio e confronto con gli studenti utilizzando
un approccio partecipativo, cui seguirà la creazione di focus
group su tematiche specifiche. Sarà inoltre offerta, a coloro
che lo desiderano, la possibilità di usufruire di sessioni
individuali di counselling.
> Costo 15 mila euro (contributo Caritas Italiana per anno)
> Causale Etiopia / lotta all’Aids
Un programma di allevamento di capre e per lo sviluppo
di piccolo artigianato locale è stato pensato a favore
di 20 donne affette da Hiv-Aids nella zona di Dharmapeta
(Kurnool Town); salari e costi amministrativi e di gestione
e sono a carico della locale diocesi.
> Costo 2.500 euro (contributo iniziale Caritas Italiana)
> Causale MP 360/06 India
KENYA
Assistenza e informazione nei quartieri di Nairobi
Nella capitale Nairobi, nei quartieri di Kangemi e Dagoretti,
Caritas Italiana sostiene due progetti di assistenza e prevenzione,
realizzati dalla parrocchia di San Giuseppe lavoratore e dal Kivuli
Centre, con la partecipazione di volontari provenienti dalle
comunità cristiane di base. Ai circa 600 beneficiari è garantita
l’assistenza medica per le malattie opportunistiche,
cui si aggiunge il cibo dato a chi è in trattamento con i farmaci
antiretrovirali e con quelli per la cura della tubercolosi. Sono
anche previsti, per chi ne ha le forze, piccoli presiti per l’avvio
di attività generanti reddito. Grande importanza è accordata
all’aspetto psicologico e sociale della malattia, attraverso
sessioni individuali di counselling per la persona infetta
e i famigliari, e a livello collettivo attraverso i gruppi di supporto.
Le attività di prevenzione prevedono incontri di informazione
e confronto con gruppi di giovani, comunità cristiane
di base e nelle scuole dei due quartieri.
> Costo 40 mila euro (contributo Caritas Italiana
per anno)
> Causale Kenya / lotta all’Aids
UGANDA. Lavoro per chi aiuta malati e famigliari
DUE PROGETTI.
Il primo prevede di realizzare
un allevamento di maiali per gli orfani
a causa dell’Aids del Ggogonya
Village, appartenente alla parrocchia,
e del villaggio di Kisubi: i primi
beneficiari saranno 50 tra ragazzi
e ragazze delle scuole, che potranno così mantenersi
agli studi e aiutare altri abitanti del villaggio.
Il secondo è un programma di allevamento in favore del Kigonwe
Tunyykire Women’s Group (parrocchia di Nkoni),
promosso anche dalla Caritas diocesana
di Masaka. Concepito come fondo di rotazione,
il progetto è rivolto a 200 donne del gruppo,
che sostengono parenti malati o familiari
di persone decedute a causa dell’Aids.
È previsto l’acquisto di pulcini, galline e mangime;
la comunità locale contribuirà con la costruzione del pollaio
e con le spese di gestione.
> Costo 4 mila euro e 4.250 euro
> Causale MP 342/06 e MP 343/06 Uganda
REP. CENTRAFRICANA. Centro sanitario da sostenere
Nel centro sanitario San Giuseppe della missione di Bangui,
capitale della Repubblica Centrafricana, la presenza di malati
di tubercolosi, perlopiù sieropositivi, varia da 150 a 200 persone
al mese. La malnutrizione e le reazioni allergiche alle cure
causano altre malattie, che devono essere curate. Ma i pazienti
non hanno la possibilità di acquistare i medicinali. Il continuo
aumento delle persone da assistere – anche dal punto di vista
sociale e familiare – non consente di far fronte al programma
previsto senza sostegno esterno.
> Costo 4.500 euro (contributo iniziale Caritas Italiana)
> Causale MP 298/06 Rep. Centrafricana
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NOVEMBRE 2006
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internazionale
serbia
lizzata ha un duplice effetto: da un lato la mancanza di sostegno (istituzionale, sociale, familiare) alle fasce più deboli, che ha aumentato il numero delle persone da ricoverare e ha accentuato lo stato di indigenza e solitudine di
chi ricoverato lo era già; d’altro canto, sono crollate le motivazioni professionali di operatori e infermieri, che si sentono abbandonati, proprio come i loro pazienti.
«Oramai agli ospedali psichiatrici si rivolgono tutti coloro che hanno problemi di povertà economica, relazionale o sociale», incalza Dragana. E le statistiche supportano questa considerazione: si calcola che all’interno delle
strutture manicomiali della Serbia almeno il 25% dei ricoverati non presenti patologie che ne giustifichino il ricovero (in alcuni casi si arriva addirittura al 45%). Gli ospedali
psichiatrici, quindi, sono diventati con il tempo sempre
più “recipienti per rifiuti” della società.
NUOVA STAGIONE
Le foto di queste pagine risalgono
a sei anni fa e ritraggono pazienti
dell’ospedale psichiatrico di Kovin.
Grazie anche a Caritas, l’approccio
terapeutico oggi sta migliorando
LA SERBIA
CAMBIA CURA:
NON MATTI,
MA PERSONE
Quindici anni di conflitti hanno
esasperato i “fattori di vulnerabilità”.
Ma i tempi cambiano
e nel paese balcanico si fa strada
un nuovo approccio ai soggetti
con problemi psichici. Quelli che
un tempo finivano nei “ludica”
servizi di Daniele Bombardi foto di Alberto Minoia
i chiamavano ludica (manicomi). E
qualcuno li chiama ancora così. Ma
noi no. A noi non piace questo nome: qui dentro non ci sono ludi
(matti), ma persone. Persone che
hanno i loro problemi e le loro difficoltà, ma nella gran parte dei casi
non è vero che non sanno ragionare». Miša Glavonjic è di
Belgrado, è medico psicologo, uno dei responsabili del
centro di salute mentale “Laza Lazarevic” della sua città,
che prende il nome da un medico scrittore belgradese,
considerato uno dei padri della psichiatria serba. «A me
questo centro piace chiamarlo semplicemente Laza. È
un nome più umano. Anzi, dirò di più: vorremmo che diventasse proprio così, un centro più umano».
Miša è uno dei testimoni diretti della grande transizione che sta vivendo il suo paese, la Serbia, negli ultimi
anni: cambiamenti istituzionali, politici, economici. Ma
anche e soprattutto cambiamenti sociali. Se ne accorge
proprio dal suo lavoro, al centro di salute mentale di
Belgrado. «Questa struttura esiste da 145 anni, prova so-
L
«
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lo a immaginare quanto il nostro mondo e il nostro paese è cambiato da allora. E anche i pazienti del Laza sono cambiati». Molti studi, infatti, concordano su una
cosa: ci sono elementi sociali, i cosiddetti “fattori di vulnerabilità”, che possono rendere più ampio e diffuso il
fenomeno del disagio mentale.
La sofferenza psichica, in altre parole, si accresce notevolmente quando sono messe in discussione le basi
dell’identità culturale, quando si perde lo status che si
aveva precedentemente, quando il supporto sociale è
assente o inadeguato, quando si è costretti forzatamente a migrare, se si devono affrontare gravi lutti. È facile
allora capire perché il problema del disagio mentale sia
così diffuso in un paese come la Serbia. Gli avvenimenti capitati a questo paese nell’ultimo quindicennio (il
collasso di un intero sistema politico e economico, l’esplosione della conflittualità etnica, le vittime della
guerra, le migliaia di profughi e di rifugiati, la debolezza
del nuovo stato e delle sue strutture, l’indebolimento
delle reti parentali e sociali) hanno esasperato i suoi
“fattori di vulnerabilità”.
Più pazienti dopo le guerre
Con Miša lavora anche Dragana Stankovic, psicologa specializzata. «Quello che più colpisce noi operatori dei centri di salute mentale è l’onda lunga della tensione degli anni scorsi, e quanto questa stia influenzando la vita della
gente comune. Paradossalmente, c’erano meno pazienti
ricoverati al Laza quando c’erano guerre in tutti i Balcani:
la gente era più attiva, pensava a come sopravvivere. Oggi
invece tutto è depresso, tutto è apatico». E l’apatia genera-
L’esperimento di Niš
Ma da qualche tempo qualcosa inizia a muoversi: sta infatti cambiando l’approccio a questi problemi da parte degli operatori, ma anche delle famiglie dei pazienti e delle
istituzioni. Alcuni settori della società serba stanno comprendendo che quella della salute mentale non è una questione che si può affrontare da sola, in maniera separata.
Con l’obiettivo di diffondere un modello organizzativo
nuovo e sostenibile per le problematiche relative alla salute mentale (a livello nazionale, regionale e locale), è nato
un anno fa il centro di salute mentale Medijana a Niš, nel
sud della Serbia. Il progetto, sostenuto da Caritas Italiana
e da Caritas Serbia e Montenegro, intende concretizzare
un nuovo approccio al tema della salute mentale, in virtù
del quale il paziente venga trattato non solo dal punto vista medico, ma anche da quello umano e relazionale. È un
modello nuovo per il paese: le forme di trattamento sono
tutte alternative al tradizionale ricovero ospedaliero ed è
l’intera comunità sociale a venire responsabilizzata nella
cura verso i suoi elementi più deboli e problematici.
Approdo finale di questo cammino comune tra pazienti, operatori e comunità dovrebbe essere il reinserimento del paziente stesso nel suo ambiente familiare, sociale e lavorativo: il Medijana, in altre parole, vuole dimostrare che i centri di salute mentale devono essere sempre
più luoghi di passaggio e sistemazioni temporanee, e
sempre meno punti di approdo definitivi.
I primi risultati già si vedono. Aleksandra Markovic, infermiera al Medijana, riassume bene lo spirito del primo
anno di lavoro: «Quando abbiamo aperto il centro a Niš,
ci sono arrivati pazienti che già da anni giravano per gli
ospedali psichiatrici della Serbia. Venivano ricoverati per
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serbia
settimane o addirittura mesi, seguiti secondo metodi tradizionali, poi reimmessi nel loro ambiente familiare o sociale. Tempo pochi giorni e venivano fatti ricoverare di
nuovo nella stessa struttura o in altri centri. Ma da quando sono seguiti con il nuovo metodo, i peggioramenti sono stati rarissimi: anzi, alcuni di loro sono perfino rientrati con successo nel loro ambiente familiare». Ora si sta addirittura provando a fare un passo ulteriore. «Alcuni soggetti non hanno nemmeno bisogno di essere ricoverati: se
esiste un buon accompagnamento, esteso alla famiglia e
alla comunità, i problemi possono essere affrontati molto
meglio che in un centro».
Anche le istituzioni non sono rimaste indifferenti al
vento del cambiamento. Grazie alla spinta data da percor-
si formativi e incontri tra leader politici, direttori e medici
dei centri psichiatrici di tutta la Serbia, organizzati da Caritas Italiana nell’almbito del progetto salute mentale (avviato nel 2001), è stata creata al ministero della salute una
commissione nazionale per la salute mentale: operatori
del settore e uomini delle istituzioni stanno provando a rimuovere gli ostacoli alla crescita di esperienze innovative,
creando un fertile terreno legislativo e sociale per affrontare i problemi della salute mentale.
Le premesse positive sembrano dunque non mancare:
società civile, medici e istituzioni remano nella stessa direzione, per aiutare nella maniera migliore chi è più debole ed emarginato socialmente. Perdere un’occasione del
genere sarebbe da manicomio.
APATIA
GENERALIZZATA
Dopo le guerre,
nei “manicomi”
serbi è finito
anche chi aveva
problemi di
povertà materiale
o relazionale
«Abbiamo dimezzato i ricoverati
coinvolgendo parenti e comunità»
Intervista a una psichiatra del centro Medijana di Niš, sostenuto da Caritas.
«Organizzazione e approccio nuovi, vogliamo essere di stimolo per lo stato»
andra Stanojkovic è una signora sorridente. Di
professione è medico psicoterapeuta, lavora al
centro di salute mentale Medijana di Niš da due
anni. La incontriamo a Belgrado, durante un seminario sull’auto-mutuo aiuto organizzato da
Caritas Italiana e dall’associazione Ama di Trento. È indispensabile, per lei e i colleghi del centro e di altre strutture, tenersi costantemente al passo con nuovi metodi e
nuovi approcci, per affrontare e aiutare le persone con
problemi di salute mentale.
S
Signora Stanojkovic, com’era nel recente passato la
situazione degli ospedali psichiatrici in Serbia?
Molte cose sono cambiate nel paese in questi ultimi 1015 anni. Purtroppo però non è cambiato molto, dai tempi
di Miloševic, l’approccio verso la salute mentale: la situazione era difficile nel passato e continua a esserlo. Il trattamento verso le persone con problemi psichici, ad esempio,
è rimasto pressoché lo stesso. E non è cambiato nemmeno
l’atteggiamento di forte stigma verso i pazienti.
La perenne situazione di tensione che ha segnato la
Serbia in questi anni ha aumentato i casi di perso28
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ne con problemi di salute mentale?
Le patologie per cui le persone vengono negli ospedali psichiatrici sono rimasti più o meno le stesse: in questo
senso la situazione politica non ha mutato la situazione.
Quello che forse è cambiato è il numero di persone ricoverate, credo sia un po’ aumentato.
Come reagiscono le nuove istituzioni politiche alle
vostre richieste?
Lo stato serbo è in grande difficoltà, ci sono mille problemi da risolvere nel paese, ma qualcosa stanno facendo: hanno istituito una commissione nazionale per la salute mentale, organo che sta scrivendo un testo di legge
moderno, in grado di aiutare maggiormente chi opera ed
è curato negli ospedali psichiatrici. Mi auguro che la
commissione lo completi e lo faccia approvare presto. In
seguito sarà essenziale provvedere un coordinamento
migliore delle attività tra i centri di salute mentale, e tra
questi e tutti gli altri servizi sociali.
Con il centro di salute mentale di Niš, voi state già
battendo strade nuove…
L’idea di fondo è dimostrare che un cambiamento in
positivo è possibile. Abbiamo modificato l’organizzazione interna all’ospedale, grazie anche al sostegno (economico e in termini di conoscenze) che è arrivato da molte
organizzazioni e molti esperti; abbiamo prestato attenzione alle condizioni igieniche del centro e delle persone
ricoverate. Abbiamo modificato anche il rapporto medico-paziente, facendolo diventare più umano e coinvolgendo sempre di più la famiglia e la comunità di appartenenza del paziente: ogni due settimane, ad esempio, ci
sono incontri con i parenti e in alcuni casi i contatti sono
anche più frequenti.
I risultati?
Non mancano: siamo già riusciti a dimezzare il numero di persone ricoverate, da 1.200 a 600, proprio perché molte sono riuscite a rientrare nel loro ambiente familiare e sociale. Anche il ministero della salute se n’è accorto. Abbiamo veramente dato il segno che un cambiamento in positivo è possibile.
Come hanno accolto le novità operatori e ricoverati?
Medici e infermieri di questi centri amano tutti il loro
lavoro. Ma avevano perso motivazioni a causa delle nu-
Non soltanto psichiatria,
forte impegno nelle parrocchie
L’attenzione di Caritas Italiana per il territorio serbomontenegrino risale agli anni precedenti la guerra in Kosovo,
ma si è intensificata dopo la primavera del 1999, quando
si è resa possibile la presenza di operatori italiani a Belgrado.
Caritas Italiana contribuisce anzitutto al consolidamento
della struttura della Caritas nazionale e alla promozione
delle Caritas diocesane e parrocchiali. A livello sociale,
uno dei maggiori ambiti di intervento riguarda il tema della
salute mentale: dal 2001 l’attenzione è stata focalizzata
sugli ospedali psichiatrici presenti nel paese per migliorarne
le strutture, l’organizzazione, le modalità operative e le terapie
utilizzate. Da ottobre 2005 è stato anche avviato un progettopilota a Niš, nel sud del paese, con l’apertura del centro
di salute mentale Medijana. Importante è il programma
di assistenza domiciliare, rivolto principalmente agli anziani:
Caritas Italiana sostiene i team di operatori sociali delle locali
Caritas diocesane e parrocchiali. Caritas Italiana coordina
infine i programmi di gemellaggio con realtà ecclesiali locali,
che vedono protagoniste numerose Caritas diocesane
e delegazioni regionali italiane.
merose difficoltà che si trovavano ad affrontare quotidianamente. Il progetto di Niš ha dato loro nuova forza, nuova energia, e oggi i medici (io per prima!) lavorano meglio
e sono molto più gratificati. Di conseguenza, anche i pazienti si accorgono del clima mutato e reagiscono meglio
a ciò che viene loro proposto.
C’è un episodio o qualche paziente che vi ha dato
una soddisfazione particolare?
Ce ne sono tantissimi! A me fa sempre un enorme piacere quando qualche paziente può rientrare con successo
nella propria famiglia o nella propria comunità. Ma la cosa che mi dà più soddisfazione è vedere i pazienti che erano conosciuti perché non miglioravano mai e che in passato venivano ricoverati più e più volte proprio perché non
potevano stare fuori dagli ospedali psichiatrici. Ebbene,
questi stessi pazienti oggi vengono ricoverati sempre meno e i peggioramenti sono rarissimi. Grazie a cose come
queste trovo la gioia per continuare il mio lavoro. E capisco
sempre più l’importanza di rapportarsi con questi soggetti non tanto come a “malati” che hanno bisogno di medicinali, ma come a “persone” che hanno bisogno di amore:
è tutta qui la chiave del nostro successo.
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internazionale
internazionale
EUROPA ALLARGATA?
AVANTI, TRA MILLE CAUTELE
di Gianni Borsa inviato agenzia Sir a Bruxelles
GENERAZIONE
DI GUERRA
Un sudanese
di fronte alla
sua capanna.
Un intero paese
deve imparare
a convivere
con la pace
ì all’allargamento, ma con mille condizioni. Via libera ad alcuni
paesi, stop ad altri. A Bruxelles il principio di solidarietà si alterna a repentine, comprensibili prudenze. Solo così si spiega il recente semaforo verde della commissione Barroso all’ingresso di Romania e Bulgaria nella “casa comune” a partire dal 1° gennaio 2007,
seguito, a brevissima distanza, dal pronunciamento del parlamento
Ue sulla Turchia. Il quale, senza mezzi termini, lascia intendere che
le distanze tra Ue e Ankara vanno crescendo, anziché ridursi.
profonda riforma delle istituzioni comuni. Per qualcuno, poi, l’Ue non può
più crescere senza una costituzione
che faccia da quadro valoriale e giuridico per un’Europa tanto vasta.
Su questa linea si muove pure il
parlamento di Strasburgo. Il quale, a fine settembre, ha votato una documento in cui critica “il rallentamento
delle riforme in Turchia” e chiede “di
valutare la capacità di assorbimento
Secondo l’esecutivo di Bruxelles,
dell’Unione”. Particolare attenzione
è giusto confermare l’inizio del prosviene posta dagli eurodeputati ai rapOk condizionato
simo anno quale data di adesione
porti internazionali di Ankara (contendella commissione
dei due paesi ex comunisti. Ciò favoziosi con la Grecia, mancato riconoscidi Bruxelles a Romania
rirà – è questo l’intento – il cammino
mento della Repubblica di Cipro), al
e Bulgaria. Critiche del
delle riforme avviato per rispettare i
ruolo dell’esercito nel quadro politico
parlamento di Strasburgo
“criteri di Copenaghen” (stato di diinterno, alla protezione delle minoranalla lentezza delle
ritto, economia di mercato, rispetto
ze (leggasi curdi), alla tutela dei diritti
riforme in Turchia.
dei diritti umani…) necessari per far
delle donne e alla libertà di culto.
Dal 2007 Unione a 27.
parte del club europeo. «Romania e
Dal canto suo il parlamento ribadiMa ci si interroga
sce
che “il rafforzamento dei legami tra
Bulgaria però – lamenta il presidensulle ulteriori “capacità
te, José Manuel Barroso – hanno anla
Turchia
e l’Ue è di fondamentale imdi assorbimento”
cora molta strada da compiere»:
portanza per l’Europa, per la Turchia e
riformare l’amministrazione dello
per tutta la regione” mediorientale. Ma
stato; recepire tutto il diritto comunitario; ammoderna- nel documento votato a Strasburgo appare chiaro che l’are l’economia; combattere la corruzione e la criminalità pertura di negoziati costituisce il punto di avvio di un proorganizzata; rispettare le prerogative delle minoranze cesso duraturo, “che per sua stessa natura è aperto e non
(ad esempio i rom). Così ecco scattare alcune “condizio- porta automaticamente all’adesione”. Così, come detto, i deni”, che dovranno essere pienamente soddisfatte per evi- putati deplorano “il rallentamento del processo di riforma in
tare sanzioni concrete, fra cui il blocco degli aiuti Ue per Turchia”, evidenziato “da persistenti carenze e progressi inle infrastrutture o il settore agricolo.
sufficienti”, specialmente “nell’ambito della libertà di
espressione, dei diritti religiosi e delle minoranze, delle relaPorte chiuse ai Balcani?
zioni civili-militari, della concreta applicazione delle leggi,
Ma c’è di più: è sempre Barroso, insieme al commissario al- dei diritti culturali e della rapida e corretta esecuzione delle
l’allargamento, Olli Rehn, ad affermare che, per eventuali fu- decisioni in materia giudiziaria”. Infine l’emiciclo di Straturi ampliamenti, “occorrerà tener conto della capacità di sburgo auspica che la prossima visita del papa in Turchia
assorbimento dell’Unione”. Ciò significa che non sarà possi- “contribuisca a rafforzare il dialogo interreligioso e interculbile andare oltre quota 27 aderenti (strada sbarrata anche a turale fra il mondo cristiano e quello musulmano”. Un’aperCroazia e Balcani, dunque?) se prima non vedrà la luce una tura di credito da non sottovalutare.
S
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PACE
IN SUDAN,
SCOMMESSA
DA VINCERE
NILS CARSTENSEN - DAN CHURCH AID
crisi africane
casa comune
La guerra è finita. Ma non in tutti
i territori del più grande paese
africano. E i problemi sociali
restano tremendi. La situazione
del paese e il decisivo ruolo della
società civile in un documentato
libro della Campagna Sudan
di Diego Marani
n Sudan non c’è più la guerra ma probabilmente
non c’è ancora la pace. La situazione sul terreno
sembra ancora essere confusa e complicata, a
poco meno di due anni dalla firma dello storico
accordo di pace che ha posto fine alla guerra civile scoppiata tra Nord e Sud nel 1983. Il più grande paese africano è vasto otto volte l’Italia: non ci
si può stupire troppo se, pur essendo stata firmata la pace
tra governo centrale di Khartoum e ribelli Spla, alcune regioni continuino a rimanere agitate da tensioni costanti e
scontri più o meno sporadici. Così, mentre nella capitale
gli ex nemici ora coalizzati nel governo di unità nazionale
sono impegnati a spartirsi ministeri e commissioni (e soprattutto le rendite petrolifere), il Darfur – dopo la firma di
una pace separata e discussa a maggio – sembra essere ri-
I
piombato in uno stato di guerra; i ribelli dell’Est hanno iniziato una serie di colloqui che potrebbero avere una conclusione positiva; il problema delle bande dell’Lra (di origine ugandese, ma che in particolare negli ultimi mesi hanno causato morte e distruzioni in alcune zone del Sud Sudan) sembra, tra mille difficoltà e la costante minaccia di
tornare a far parlare le armi, avviarsi a una soluzione diplomatica, o meglio a un compromesso politico.
Il più lungo conflitto civile del continente africano ha
causato almeno due milioni di morti e inenarrabili sofferenze. Un’intera generazione di sudanesi è nata e cresciuta conoscendo solo la guerra, e ora deve imparare –
e in fretta – a vivere in pace. Ma non basta, a questo scopo, firmare un pur importantissimo pezzo di carta. La
gente comune che è riuscita a sopravvivere nelle pianuI TA L I A C A R I TA S
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internazionale
ACT/CARITAS
crisi africane
re del Sud, sui Monti Nuba, lungo il Mar CRISI
Rosso, nelle aree semidesertiche del GRAVISSIMA
Profughi del
Darfur, non chiede pezzi di carta, e for- Darfur. Sotto,
se nemmeno le briciole del potere che i la copertina
del Rapporto
leader si spartiscono a Khartoum. “Pa- Campagna
ce” non significa solo assenza di com- Sudan
battimenti (risultato comunque importantissimo e riconosciuto da tutti). Per i
contadini vuol dire un pezzo di terra da
coltivare; per i pastori, pascoli per le
vacche senza il rischio di saltare su una
mina; per tutti, acqua potabile senza
dover litigare per accedervi. Per i profughi e gli sfollati, “pace” è il ritorno a casa, senza sottrarre ai familiari il poco
che hanno da mangiare e le già scarse risorse. Per gli scolari, “pace” è andare a scuola senza troppe ore di cammino, e avere insegnanti fissi, che non fanno lezione sotto un albero o al riparo di una roccia con un kalashnikov
al fianco. Per tutti, giovani e adulti, uomini e donne, “pace” significa anche medici, ambulatori e farmaci.
Milioni di sfollati e rifugiati
Analizzare il tentativo di costruire la pace significa anche
affrontare la realtà – troppo spesso e a lungo negata, con
conseguenze drammatiche – di un paese multietnico,
multireligioso e multiculturale. In Italia è appena uscito
un libro, Scommessa Sudan, che può aiutare a cogliere i
profondi cambiamenti che il Sudan ha vissuto tra 2005 e
2006: la firma dell’accordo di pace tra Khartoum e Spla,
che ha portato alla creazione di un nuovo governo di unità
nazionale e di un governo regionale del Sud Sudan dotato
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di amplissima autonomia; il varo di una nuova costituzione e l’avvio del processo di trasformazione dell’intero corpo legislativo del paese e delle sue principali istituzioni e
strutture, fra cui esercito e magistratura. La prima parte
del libro è suddivisa in tre sezioni, che affrontano i cambiamenti istituzionali, la situazione dei diritti umani e il
ruolo delle risorse economiche; la seconda parte cerca di
monitorare le conseguenze dell’accordo di pace fra Nord
e Sud in altre aree “calde” del paese, come l’Est, i Monti
Nuba e il Darfur. Una cronologia dettagliata degli ultimi
avvenimenti contribuisce a rendere il libro anche un valido strumento di lavoro.
Il testo è a cura della Campagna Sudan, una coalizione tra diversi organismi del mondo dell’associazionismo,
e cerca di fare proprio il punto di vista della società civile,
composta sia da organizzazioni internazionali che lavorano nel Sud (come Caritas), sia da esponenti della realtà
sudanese, che talvolta hanno dato vita a organizzazioni
non governative locali, i quali esprimono analisi, dubbi e
critiche, ma non tacciono nemmeno le speranze e indicano le priorità. Quasi tutti sottolineano che un punto
fondamentale è rappresentato dalle condizioni di vita di
milioni di sfollati e rifugiati – il Sudan è il paese al mondo
che ne conta di più – che purtroppo finora non hanno registrato miglioramenti sensibili e diffusi. In novembre alcuni di questi esponenti sudanesi (Adam Ibrahim Mudawi, Mary James Kuku e Asha el Karib) gireranno l’Italia
per presentare il libro e la situazione in Sudan. Nel libro
va segnalato anche il contributo dell’ambasciatore italiano in Sudan, Lorenzo Angeloni, che sottolinea i passaggi
istituzionali avvenuti nel paese e il ruolo avuto dalla comunità internazionale.
Il paradosso del kalashnikov
La Campagna Sudan da oltre dieci anni lavora per promuovere la pace e il rispetto dei diritti umani in un paese
dilaniato da un conflitto complesso, talvolta interpretato
in maniera troppo schematica: guerra tra Nord e Sud,
mentre interessava tutto il paese; guerra tra musulmani e
cristiani, mentre seguaci delle due religioni si trovavano in
entrambi gli schieramenti; guerra tra arabi e africani,
quando la situazione sul terreno era molto più intrecciata.
Inoltre la Campagna Sudan, negli ultimi anni, ha prestato
particolare attenzione anche al boom petrolifero, la nuova
recente manna piovuta su Khartoum, che ha costituito un
fattore determinante per arrivare alla pace (fortemente sostenuta dagli Stati Uniti, così come l’accordo in Darfur).
Altri stati africani, come Mozambico e Angola e in
parte la Repubblica democratica del Congo, hanno dimostrato di poter uscire da una guerra civile dilaniante, o
almeno di poterci provare. Ora è il tempo per i sudanesi
di dimostrare, a sé stessi e al mondo, che anche chi è nato e cresciuto nella guerra è in grado di vivere in pace. Ma
è anche il tempo, per ong, istituzioni e l’intera comunità
internazionale, di non smettere di interessarsi al Sudan e
di sostenere i sudanesi. Sarebbe amaramente paradossale per essi scoprire che si ottengono maggior attenzione,
più titoli sui giornali e più aiuti materiali, magari di emergenza, quando si ha un kalashnikov in mano piuttosto
che una zappa, un aratro, una penna o un quaderno.
Qualcuno di loro, perso per perso, potrebbe decidere di
tornare al lavoro di prima.
Accordo privo di legittimità,
in Darfur riesplode la violenza
Sei mesi fa intesa tra governo e una fazione ribelle. Ma altri gruppi non l’hanno
riconosciuta. Ripresi gli scontri armati, Khartoum non vuole i caschi blu
di Giovanni Sartor
ono passati sei mesi dalla firma dell’Accordo di pace sul Darfur (Dpa), i peggiori degli ultimi due anni
per la popolazione civile: la firma che avrebbe dovuto far tacere per sempre le armi ha invece innescato una spirale incontrollabile di violenza. Le Nazioni Unite rinnovano il loro interesse per la regione del
Sudan, ma non trovano grande disponibilità a collaborare
da parte del governo di Khartoum, che preferisce come interlocutore l’Unione Africana. Intanto, la situazione umanitaria si è fatta, secondo l’Onu, la più grave al mondo.
Nella regione sudanese non si assisteva a una spirale di
violenza così diffusa dai primi mesi del 2004. Essa fa vittime civili e costringe migliaia di persone alla fuga, sia dai
villaggi in passato risparmiati dalla guerra, sia dai campi di
sfollati, alcuni dei quali si ritrovano oggi in mezzo ai combattimenti. Tutto ciò è un paradosso, poiché è avvenuto in
seguito alla firma, il 5 maggio 2006, ad Abuja in Nigeria,
dell’Accordo di pace sul Darfur (Dpa), che avrebbe dovuto invece mettere fine alle ostilità.
Il Dpa, dopo lunghe ed estenuanti trattative condotte
dall’Unione Africana, alla quale si sono aggiunti nell’ultima fase diversi stati occidentali (Stati Uniti in testa) desiderosi di arrivare al più presto a un accordo, è stato firmato solamente dal governo del Sudan e da una fazione di
uno dei due principali gruppi di ribelli, il Movimento di liberazione del Sudan (Slm), guidata Minni Arkua Minnawi,
cui fa riferimento soprattutto la popolazione di etnia Zaghawa. Gli altri due gruppi di ribelli presenti ai negoziati,
S
la fazione del Slm guidata da Abdel Wahid Nour (in seguito dimessosi dall’incarico di presidente del movimento),
cui fa riferimento soprattutto la popolazione di etnia Fur,
e il Movimento per la giustizia e l’uguaglianza (Jem) di
Khalil Ibrahim, nonostante le forti pressioni internazionali non hanno accettato i termini dell’accordo, in riferimento a due dei suoi capitoli (distribuzione del potere e
delle ricchezze; gli altri tre riguardano sicurezza, cessate il
fuoco e dialogo Darfur-Darfur).
Azioni militari, anche tra ribelli
In realtà la suddivisione all’interno della regione è ancora
più complessa: sono diversi i gruppi, ognuno con le proprie rivendicazioni (non sempre in linea con quelle dei
gruppi maggiori), che controllano piccole porzioni di territorio escluse a priori dai negoziati di Abuja. L’accordo di
pace è stato considerato, dal governo del Sudan e dalla fazione firmataria del Slm, come strumento per riconoscere
illegittime l’esistenza e le rivendicazioni dei gruppi non firmatari. Ciò ha provocato l’esclusione di questi gruppi dalle commissioni per il cessate il fuoco, istituite nel 2004, e ha
giustificato il posizionamento di un numero consistente di
soldati governativi soprattutto in Nord Darfur, nonché la
ripresa di azioni militari su vasta scala, nelle quali si fronteggiano tra loro anche i diversi gruppi di ribelli.
Il Dpa è dunque un accordo voluto fortemente da attori esterni, cui hanno aderito le forze interne che in esso
hanno scorto vantaggi contingenti; manca però di una leI TA L I A C A R I TA S
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NOVEMBRE 2006
33
internazionale
internazionale
Gravissima crisi umanitaria,
centinaia di migliaia senza aiuti
Nel quadro intricato e violento degli ultimi mesi in Darfur,
la situazione umanitaria della popolazione è andata
notevolmente peggiorando. Le statistiche parlano di circa
tre milioni di persone che hanno bisogno di aiuti umanitari
per sopravvivere, numero che comprende sia gli sfollati
nei campi, sia chi è rimasto nei villaggi, ma ha perso ogni
possibilità di autosostentamento. La cosa più grave è che
è diminuita fortemente la possibilità, per le organizzazioni
umanitarie, di raggiungere la popolazione, a causa della
situazione di insicurezza: il risultato è che molte centinaia
di migliaia di persone sono oggi abbandonate a se stesse.
Caritas Italiana prosegue il suo sostegno all’intervento
del network internazionale Caritas, condotto insieme
con la rete delle chiese ortodosse e protestanti Act (Action
by Churches Together), nelle regioni del Darfur dell’Ovest
e del Sud. Il programma si svolge in nove aree geografiche,
coinvolge circa 470 mila persone tra sfollati e membri delle
comunità locali e riguarda i settori sanità e nutrizione, acqua,
interventi igienico-sanitari, istruzione, agricoltura, protezione,
sostegno psicosociale, pace e riconciliazione, fornitura
di kit di emergenza per i nuovi sfollati.
Serve una forza di pace
L’incapacità, da parte della missione di pace dell’Unione
africana (Amis) di fronteggiare la crisi e, in prospettiva futura, la mancanza dei finanziamenti necessari per proseguire la missione stessa hanno fatto sì che si riaccendesse il dibattito sulla possibilità che Amis sia sostituita da
una forza, più numerosa e con un mandato più forte, del34
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CONFLITTI, CHI L’HA DETTO
CHE SONO SOLO “A SOMMA ZERO”?
di Paolo Beccegato
infinita crisi in Medio Oriente, il riacutizzarsi degli scontri in Sri
Lanka, il dramma senza fine del Darfur, il sangue che di nuovo
torna a scorrere in Somalia, non fanno che riproporre la grande
questione di come tentare di risolvere un conflitto armato in modo diplomatico e nonviolento. Gli studi sui conflitti hanno identificato almeno cinque possibili approcci a una situazione di conflitto.
Competere. Chi si trova in un conflitto, anche non violento, di solito tende
a concentrarsi principalmente sulle proprie ragioni e sui propri interessi
lo dell’altro. Chi adotta questo stile è
moderatamente assertivo e moderatamente collaborativo, ricerca soluzioni mutualmente accettate dal
principio e vede la questione del contendere come una torta che può essere divisa, preferibilmente con maggior soddisfazione per sé o al più in
parti uguali.
Collaborare. C’è una quinta soluzione,
la collaborazione o cooperazione. Ene a trascurare quelli dell’altro, cioè a
trambi i soggetti in conflitto hanno
essere attento più a sé che all’altro. Il
un’alta considerazione sia per il proLe tensioni
competitivo fa la sua strada anche se il
prio interesse, sia per quello dell’altro,
che perdurano o si
prezzo da pagare è rovinare la relazioma entrambi tengono anche alla reriacutizzano in molti
ne con la controparte, fino a usare la
lazione reciproca. Cercano assieme
paesi confermano
violenza. Egli vede nella controparte
di generare soluzioni alternative e
che è difficile spegnere
un avversario ed è disposto a utilizzacreative, che possano soddisfare al
una guerra in maniera
re tutto il proprio potere per vincere.
meglio gli interessi di ciascuno. Per
diplomatica e non
Accomodare. Se prevalesse l’attenzione
far ciò, è necessario esplorare gli
violenta. Ma esiste anche
obiettivi propri e dell’altra parte e ca(o la paura) per l’avversario e una
un modo collaborativo
pire le cause del conflitto. La disputa
scarsa attenzione per sé, il soggetto in
per accostare
viene vista come un problema da riconflitto sarebbe accomodante: riquestioni spinose…
solvere assieme e non come disacnuncia a soddisfare il proprio interescordo che divide le parti.
se, facendo contento l’altro. È l’opposto del competitivo: cerca di mantenere la pace a ogni co- Le possibili soluzioni. Comunemente, chi si trova in conflitsto, sacrifica le ragioni proprie e della sua parte, magari an- to pensa che da esso ne uscirà un vincente e un perdenche perché sa che dal conflitto uscirebbe sconfitto.
te, oppure che si troverà un compromesso. In questi casi,
Evitare. La persona coinvolta nel conflitto potrebbe rifug- le parti percepiscono il conflitto come una situazione a
girlo ed evitare il confronto con l’altro; in questo modo somma zero, in cui il guadagno di una parte equivale alla
non soddisferebbe né il proprio interesse, né quello del- perdita dell’altra. In realtà, in un conflitto violento il risull’avversario. Chi tiene poco alla relazione e poco al proprio tato più comune è che ambedue le parti perdano. Scopo
obiettivo, evita il conflitto o lo posticipa a un tempo futu- tradizionale della risoluzione del conflitto è aiutare le
ro, perché vede il conflitto senza speranza e pensa che non parti a percepire lo stesso come una situazione a nonvalga la pena spenderci energie. Le differenze sono sotto- somma-zero, dove ambedue le parti possono perdere e
valutate e il disaccordo, come risultato, è accettato.
ambedue le parti possono guadagnare, collaborando e
identificando insieme soluzioni che soddisfino entrambi.
È quanto si è tentato di fare in Libano e si dovrebbe
Problema, non disaccordo
Compromettere. La ricerca di un compromesso è una solu- perseguire negli altri teatri di violenza organizzata, a cozione che soddisfa in parte sia l’interesse dell’uno sia quel- minciare dai più dimenticati.
L’
TRE MILIONI IN CERCA DI AIUTO
Pesatura di un bambino in un campo profughi del Darfur.
Nella regione sono oltre tre milioni le persone
che hanno bisogno di soccorso umanitario per sopravvivere
gittimità popolare e di questo si sono accorti, anche se in
ritardo, coloro che hanno preparato e facilitato l’accordo,
inserendo un capitolo per certi versi innovativo che propone l’avvio di un dialogo Darfur-Darfur. Esso si pone l’obiettivo di coinvolgere il maggior numero possibile di soggetti nell’accordo di pace e di “costruire la pace e la riconciliazione in Darfur”. Prevede una conferenza permanente, nella quale rappresentanti nei diversi soggetti presenti
nella regione possono incontrarsi per discutere le sfide
collegate al raggiungimento della pace nel loro territorio,
superando le divisioni tra le comunità e cercando di risolvere i problemi per costruire un futuro comune. I risultati
della conferenza diventeranno raccomandazioni alle autorità del Darfur e nazionali.
guerre alla finestra
ACT/CARITAS
crisi africane
le Nazioni Unite. Il 31 agosto 2006 il Consiglio di sicurezza ha approvato, con l’astensione di Qatar, Russia e Cina,
la risoluzione numero 1706, che prevede l’invio di 20.500
caschi blu in Darfur, previo consenso da parte del governo di Khartoum. Quest’ultimo finora si è rifiutato di accettare il passaggio dalla missione africana a quella Onu,
che considera forza di occupazione illegittima. In seguito
al fallimento di ogni tentativo diplomatico di convincere
il governo del Sudan a cambiare idea, l’Unione africana
ha per il momento deciso, sostenuta in questo dalle Nazioni Unite, di prolungare la sua missione fino al 31 dicembre 2006; il governo sudanese, dal canto suo, ha accettato un supporto tecnico e logistico all’Amis, che prevede sia equipaggiamento sia invio di esperti, da parte
delle Nazioni Unite.
Il quadro non è dunque incoraggiante. Per migliorarlo,
in Darfur è necessaria una forza di pace che eviti e scoraggi il proseguimento dei conflitti, protegga la popolazione
civile e gli operatori umanitari, garantisca la possibilità
dello svolgimento del dialogo sul terreno tra i diversi gruppi presenti. È una prospettiva ardua da realizzare. Ma è la
sola strada da percorrere per raggiungere la pace.
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internazionale
guatemala
Tre lettere pastorali memorabili
e il martirio del vescovo Gerardi
DIECI ANNI SENZA GUERRA,
LA MEMORIA RESTA FERITA
Un posto speciale, nella storia della processo di pace
in Guatemala, merita il magistero della chiesa. Tre sono
le lettere pastorali dei vescovi guatemaltechi che hanno
tracciato un solco profondo nel paese: Uniti nella speranza,
scritta dopo il terremoto di 1976; Il clamore per la terra,
che nel 1988 denunciò la triste situazione dei contadini
e degli indigeni; È urgente la vera pace, che nel luglio 1995
sottolineò che non può esserci pace senza giustizia.
Una perla preziosa dell’operato della
Conferenza episcopale è stato Progetto
Remhi (per il recupero della memoria
storica), a cui è stato pagato un elevato
prezzo di sangue: il martirio del vescovo
Juan Gerardi (nella foto, la tomba).
Costui, già vescovo del Quiché,
quindi vescovo ausiliario di Città
del Guatemala, nel 1997 fu chiamato a coordinare
un’inchiesta sugli anni del conflitto, conclusasi il 24 aprile
1998 con la presentazione del rapporto Guatemala, nunca
más, che provava migliaia di casi di gravissime violazioni dei
diritti umani. Due giorni dopo, Gerardi fu barbaramente ucciso
a colpi di pietra sulla porta di casa da sicari rimasti impuniti.
servizi e foto di Guido Miglietta
osì lungo il conflitto armato, ancora così immaturo il tempo della pace. Sono passati
ormai dieci anni dalla firma (29 dicembre 1996) dei cinque accordi operativi, che a loro volta concretizzavano sette accordi di contenuto, faticosamente raggiunti nel corso del lustro precedente. Da un decennio il Guatemala è ufficialmente un paese pacificato. Ma la memoria della guerra sovrasta ancora il paese. Lo permea, rilascia veleni, paure e un’irrisolta sete di giustizia. Il sanguinosissimo conflitto civile, d’altronde, non era
stato uno scherzo: quasi quarant’anni di violenze dopo un decennio (1945-1954) di governi
democratici, forze di guerriglia che
avevano tradotto in armi la causa Gli accordi del dicembre 1996
dei popoli indigeni e delle misere misero fine, in Guatemala,
popolazioni rurali, la sanguinosa
repressione di governo ed esercito a a un conflitto di decenni, che aveva
PACE SOSPESA
Processione
difesa degli interessi del ceto dell’o- causato 200 mila morti. Oggi però
di campesinos
ligarchia terriera, i brutali regimi ingiustizie sociali e discriminazioni
a Dos Erres, luogo
di un eccidio
golpisti degli anni Ottanta, più di
negli anni
duecentomila tra morti e scompar- razziali continuano a dominare
della guerra civile
si, centinaia di migliaia di feriti e il paese. Che reclama giustizia
mutilati, più di 400 villaggi e paesi
rasi al suolo dall’esercito, più di un milione di sfollati e aree di azione indicate negli accordi. Si tratta di situaprofughi nelle fasi acute della guerra.
zioni gravi che colpiscono la società guatemalteca, che
A novembre cinque premi Nobel per la pace saran- hanno impedito lo sviluppo integrale della persona e la
no in visita nel paese centroamericano, in occasione del protezione dei suoi diritti fondamentali. (…) È urgente
decimo anniversario della firma degli accordi “per una agire in tutte gli ambiti che ci devono condurre a una
pace ferma e duratura”. L’iniziativa è stata promossa società più giusta ed equa, più libera e umana”.
dalla guatemalteca (pure lei Nobel, nel 1992) Rigoberta
Menchù. Constateranno che la memoria è un cantiere Genocidio pianificato
aperto, inconcluso. Le comunità campesinas, contadi- Oggi il Guatemala è il paese della pace sospesa. Solo alcune, e i movimenti indigeni e sociali continuano a chie- ni hanno potuto seppellire i morti, altri non lo hanno andere una pace sostanziata di giustizia sociale. E anche la cora potuto fare, perché i loro congiunti continuano a richiesa guatemalteca, protagonista cruciale della lunga manere desaparecidos, svaniti nel nulla, i resti perduti sotstagione di ricerca della pace e del tribolato dopoguer- to il fango e la terra di quello che le guide turistiche definira, sfodera un’analisi critica. “Dopo tanti anni di conflit- scono “il paese dei vulcani”. La Commissione di chiarito armato che ha dissanguato la patria – afferma un mento storico (Ceh) insediata all’indomani degli accordi
messaggio pubblicato a febbraio dalla Conferenza epi- di pace ha condotto un’inchiesta, conclusasi il 25 febbraio
scopale –, la firma degli accordi di pace ha significato la 1999 con la presentazione del rapporto Guatemala, mesperanza di tempi migliori. Tuttavia, la realtà è un’altra. moria del silenzio. Esso giunge alla conclusione che in tut(…). Compiendosi i dieci anni dalla firma degli accordi to il paese, specialmente nel periodo 1981-1983, durante
di pace, vogliamo sollecitare tutti a tenere presenti le il regime dei generali golpisti Lucas García e Ríos Montt, “è
C
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stato sviluppato un genocidio attraverso una strategia
pianificata dallo stato contro la popolazione civile, in particolare nella sua componente indigena”. I risultati dell’inchiesta mostrano che la responsabilità delle violazioni dei
diritti umani e dei fatti di violenza ricade per il 93% sulle
forze repressive dello stato (esercito, polizia, ecc), mentre
solo il 3% è attribuito alla guerriglia; i responsabili del restante 4% di violazioni non sono stati identificati.
Gli accordi che nel 1996, sottoscritti dai guerriglieri
dell’Unrg (Unità rivoluzionaria nazionale guatemalteca) e
dal governo di Àlvaro Arzù, misero fine a 36 anni di conflitto armato interno non riguardavano però solo il ristabilimento della sicurezza collettiva. Essi comprendevano
anche l’impegno, da parte del governo, di dare il via a una
serie di provvedimenti per rispondere all’iniqua distribuzione delle terre e assicurare ai lavoratori e alle comunità
indigene il rispetto dei diritti umani. Finora, però, solo alcuni di questi obiettivi sono stati raggiunti. Invece le violenze, la militarizzazione del territorio, l’impunità e gli
abusi di potere, così come l’inveterato razzismo, le discri-
minazioni di ogni tipo e la povertà di milioni di persone
continuano a caratterizzare la realtà nazionale, sempre
più lacerata economicamente e socialmente.
Le forme di oppressione patriarcale, di classe ed etnocentriche continuano a prosperare. La scelta di affidarsi,
in campo economico, a un modello neoliberale ha reso
più marcati gli squilibri strutturali del paese. La criminalità organizzata e l’insicurezza tra i cittadini hanno il sopravvento. Lo stato è svilito dalle reti di corruzione e ridicolizzato dalle alleanze mafiose, che esercitano il loro
controllo su vaste aree.
Il ruolo della società civile
Gli accordi del 1996 costituiscono ancora un’agenda valida per la promozione dello sviluppo e della democrazia
nel paese. Soltanto, richiedevano il consenso nazionale.
Allo stato e al governo, in coordinamento con la società civile, spettava garantire e portare a compimento la realizzazione del contenuto dei trattati e, contemporaneamente, generare iniziative per migliorare condizioni e qualità
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internazionale
internazionale
contrappunto
guatemala
di vita della popolazione. In effetti gli accordi hanno dato
il via a grandi trasformazioni: un esempio su tutti, il ridimensionamento dell’esercito. Ma le cause che negli anni
L’impegno di Caritas Italiana in Guatemala
Sessanta avevano originato il movimento guerrigliero
si è intensificato dopo la tempesta tropicale Stan,
continuano a perdurare.
nell’ottobre 2005, con i fondi inviati (400 mila euro)
In Guatemala, dove vivono più di 12 milioni di persoalla Caritas nazionale per i soccorsi, gli aiuti per la ripresa
ne, l’80% della popolazione si trova in condizioni di podella semina, quindi il piano di ricostruzione. Ma i rapporti
vertà, come riconoscono le stesse autorità, mentre gli incon la chiesa del paese centroamericano durano
digeni maya si lamentano di continuare a subire razzismo
da tempo. Nel triennio 2004-2006 è stato condotto,
e discriminazioni.
anche grazie a fondi italiani, un progetto di formazione
Per investire sulla pace è stata determinante in questo
alla coscienza politica in sette diocesi del paese:
decennio, e continua a esserlo, la presenza di soggetti delsono stati proposti intensi seminari di formazione,
la cooperazione internazionale. Ma ciò non può sostituire
con lo scopo di educare a una coscienza critica e favorire
l’impegno diretto del governo per la realizzazione degli
la partecipazione attiva dei cittadini alla vita sociale
impegni assunti, che la società civile ha il compito di cone politica. Dal 2003, inoltre, operano in realtà indicate
tinuare a esigere. La Pastorale sociale - Caritas del Guatemala fa la sua parte, in questo senso: nel piano programda Caritas Guatemala giovani “caschi bianchi” in servizio
matico in fase di attuazione (2004-2007) parla di “stagnacivile con Caritas Italiana.
zione del processo di pace” sul versante politico, di “debilitazione dello stato di diritto, mancanza
di governabilità, deterioramento dei diritti umani”. La Caritas aggiunge che “sono riapparsi gli apparati clandestini”: “il
sistema giudiziario è incompetente e gli
agenti dello stato hanno la possibilità di
agire nell’impunità”. Debole appare anche “l’istituzionalizzazione dei partiti
politici”, mentre si è “rafforzato il potere
locale, tanto delle municipalità di fronte
al governo centrale, come della società
civile di fronte ai comuni”.
La maturazione della società civile
appare incoraggiante. Ma non basta a ribaltare dati sociali preoccupanti. A cominciare dai ritardi nel campo dell’educazione, dove i progressi “sono insufficienti”, anche se sono stati compiuti
sforzi importanti, e “gli abbandoni continuano ad essere
un problema (8,5 su 10 bambini entrano nella scuola primaria, solo 4 finiscono il terzo grado e meno di 3 sono
FIGLI DEL
DOPOGUERRA promossi)”. Sul fronte sanitario, la mortalità infantile sfioSopra, bimbi
ra ancora il 50 per mille e rimane alta quella materna tra le
di una comunità
donne indigene e nell’area rurale; si stima inoltre che cirsul fiume
Usumachinta
ca il 20% degli abitanti del paese vivano senza accesso a
al confine
strutture sanitarie istituzionali. E si potrebbe continuare a
col Messico.
Sotto, disegni
lungo. Ma è l’ora di cambiare registro. Perché la parola
di guerra
“pace”, in un contesto di deterioramento, finisce per semsul muro
brare un suono vuoto.
di una scuola
Formazione e caschi bianchi,
più vicini dopo l’uragano Stan
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PACE FREDDA IN LIBANO,
È SOLO UN CONFLITTO RINVIATO?
di Alberto Bobbio
e domande sono due e le risposte sarebbero troppe da mettere
in fila. Prima domanda: cosa fanno i caschi blu in Libano? Seconda: quale lezione è stata tratta dalla guerra dei 33 giorni? Le
truppe delle Nazioni Unite si sono schierate nel sud del Libano perché
Hezbollah lo ha permesso. Il Partito di Dio resta nel sud del paese, anche se tutto il mondo, caschi blu, Onu e generali internazionali al comando di varie task force, fanno finta di non vederlo. Hezbollah è molto più di un gruppo di guerriglieri, che hanno dimostrato durante la
guerra buone capacità balistiche, flessibilità tattica e determinazione.
È uno stato e per alcuni l’unico stato esistente in Libano, dotato di un
Forse è questo il traguardo mai annunciato, ma anche mai smentito, oltre le retoriche. Potrebbe essere rubricato sotto il nome di “pace fredda in
Medioriente”. Purtroppo però le paci
fredde di solito spostano solo nel tempo le guerre calde. Ma oggi sembra
questa la soluzione, perché i tanti
contendenti hanno deciso di subappaltare temporaneamente la deterrenza alle forze internazionali. Lo fa
con gioia Israele, lacerato da gravissimi problemi interni; lo fa altrettanto
sistema amministrativo, scolastico,
felicemente il risorgimento sciita di
I caschi blu Onu
sanitario e di welfare. La gente lo veTeheran, ancora non pronto a sostischierati al confine
de e lo appoggia.
tuirsi al fallimento del panarabismo
con Israele. Tutti
Essendo uno stato, ha deciso di
arabo; lo fa il Libano, che continua a
i contendenti li hanno
non rendere le armi ai soldati con l’elpercorre la rotta tragica dello stato che
accolti con favore, ma
metto blu, che devono mediare su
non esiste. Il futuro prevede una lunga
Hezbollah resta padrone permanenza dei caschi blu e qualche
tutto, compresi gli affitti dei terreni
del campo nel sud del
per le basi. Alcuni ufficiali italiani lo
incidente che potrebbe infiammare
paese. La diplomazia
l’area, se qualcuno dei contendenti
hanno raccontato agli inviati dei quointernazionale
decidesse che l’altro ha superato la sotidiani americani, ma tutto è stato
saprà approfittare
glia critica del suo rafforzamento.
messo a tacere. C’è una retorica delle
della tregua?
missioni di pace che governa la scena
In realtà qualche lezione tutti
e non ammette retroscena. L’Unifil ril’hanno tratta. Ma purtroppo non è
schia di fare la stessa fine dell’Onu a Sarajevo (solo in un quella fondamentale, cioè che è meglio rinunciare alla
quadro, si spera, meno cruento): accumulerà voluminosi guerra. Israele è stato sconfitto ed è una prima volta che lo
dossier con le lettere di protesta sulle violazioni delle ri- porterà a ripetere l’esperienza per tentare il riscatto. Hezsoluzione Onu, come d’altronde fa da molti anni.
bollah si è svincolato dall’Iran e si propone di diventare
l’interlocutore cardine del paese, cioè di diventare il LibaDeterrenza subappaltata
no. Anche la comunità internazionale ha tratto la sua leEppure questa prospettiva va bene alla parti in conflitto. zione, uguale a tante altre volte: una tregua è meglio della
Sono contenti gli israeliani, perché i caschi blu hanno pace. Resta da vedere se nelle pieghe della situazione riutratto d’impaccio l’esercito di Tel Aviv dalla sconfitta mi- scirà a infilarsi la diplomazia. Oppure se l’orologio della
litare e ora sarà possibile addossare loro le responsabi- storia è stato solo fermato. Per ora è la seconda ipotesi che
lità, se le cose dovessero di nuovo precipitare. È conten- sembra prevalere. In attesa della guerra prossima ventura,
to anche Hezbollah, con cui caschi blu trattano, raffor- che rischia di vedere in campo i veri protagonisti lungo la
zandone l’immagine istituzionale e mantenendone la dorsale geopolitica che va da Gerusalemme a Islamabad,
forza militare sotto il limite di sicurezza.
passando per Damasco, Bagdad, Teheran e Kabul.
L
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agenda territori
parrocchia e mondialità
NAPOLI
Casa di accoglienza per senza dimora,
è l’“opera-segno” lasciata dal Convegno
Sepe inaugura
i nuovi laboratori
del “Binario”
Nelle scuole di Udine per volare oltre i falsi valori,
in parrocchia per proporre una globalizzazione “fraterna”
Il cardinale Crescenzio Sepe ha visitato
a metà ottobre il centro di accoglienza
diurna “Binario della solidarietà”, operasegno della Caritas diocesana di Napoli.
Il nuovo arcivescovo di Napoli
ha incontrato i circa 300 volontari
e inaugurato i laboratori di cuoio,
ceramica e decoupage, oltre al deposito
bagagli per gli ospiti del centro
di accoglienza diurna. Il “Binario” offre
spazi, opportunità e servizi alle persone
senza dimora. Dall’apertura, nel 1995,
ha avuto 1.351 utenti, 121 dei quali
nel 2005; 733 ospiti sono stati presi
in carico per un percorso di
accompagnamento e 183 hanno potuto
realizzare varie forme di reinserimento
(lavoro, casa, ricongiungimento
familiare, strutture residenziali...).
“Bambini, come cominciano tutte le storie?”. “C’era una
volta!”. E così tante e tante volte, entrando nelle scuole
primarie, abbiamo catturato l’attenzione dei bambini,
sempre meno abituati ad ascoltare fiabe e a far volare
la fantasia verso luoghi e spazi da noi adulti ormai
dimenticati.
Raccontare fiabe che aiutino i bambini a rielaborare
emozioni e sentimenti, spesso soffocati dalla frenesia
del fare, è stato solo uno dei modi per introdurre nelle
scuole le tematiche legate all’educazione alla pace
e alla mondialità. Ma anche un altro modo per ascoltare
CONDIVIDERE CON FANTASIA
esigenze e povertà del territorio della diocesi di Udine,
Una “piramide della pace”, costruita
in cui operiamo. Andare nelle scuole, non soltanto
in una scuola del territorio di Udine grazie
alle iniziative di educazione alla mondialità
primarie, ma anche secondarie di primo e secondo grado,
proposte dalla Caritas diocesane
è un’opportunità che ci viene offerta quotidianamente,
per calarci nella realtà in cui vivono e operano bambini, ragazzi ed insegnanti. Ci rendiamo conto che
ogni tanto c’è qualcosa che non va: la macchina a volte si inceppa... Anche perché si incontrano minori
che hanno difficoltà di relazione con i genitori, i docenti e i loro coetanei, a causa della mancanza di valori
e della proposta di modelli che privilegiano l’avere, il possedere, il consumo facile, l’amicizia che non
impegna… E quando ci si ferma ad ascoltare con attenzione e a proporre alternative, ecco che la catena
di “certezze” legate a falsi valori si spezza e nasce la necessità di fermarsi, di approfondire il rapporto
con l’altro, di capire chi, dall’alto, sta manipolando le nostre vite.
Allora il tempo trascorso insieme ai giovani acquista un senso, grazie anche alle loro provocazioni
e alle domande che chiedono con urgenza risposte e motivazioni. E, non senza difficoltà, si vedono
nascere piccoli germogli che riscoprono l’attualità della Parola scritta più di duemila anni fa. Insieme
agli insegnanti, siamo sempre più convinti che la trasmissione di “valori altri” possa ridare il giusto
valore ai sentimenti, alle emozioni e alle relazioni. Così scopriamo bambini che, invece di creare in classe
un clima competitivo, preferiscono cooperare, ragazzi che si accostano ad attività di volontariato, giovani
che ogni anno decidono di spendere le proprie vacanze all’estero, in terra di missione.
La chiesa italiana ha lasciato a Verona, sede del quarto
Convegno ecclesiale nazionale, un’importante “operasegno”. Si tratta della casa d’accoglienza “Il Samaritano”,
inaugurata il 18 ottobre dal cardinale Camillo Ruini,
presidente della Cei, e finanziata con i fondi otto per mille.
È una struttura per le persone senza dimora, che sarà
gestita dalla cooperativa sociale omonima, promossa dalla Caritas
diocesana veronese. Già da quest’inverno darà ricovero a 63 dei circa
300 homeless che si stima vivano nelle strade del capoluogo veneto,
accogliendoli in 16 camere da tre a cinque posti letto, cui si aggiungerà
in futuro uno spazio per 11 donne. Mensa, magazzino, guardaroba,
lavanderia e docce completano la struttura, i cui operatori si propongono
di costruire percorsi di reinserimento sociale per gli ospiti. Intanto,
approssimandosi l’inverno, anche altre Caritas diocesane si mobilitano
in favore dei senza dimora. A Vicenza riapre il 1° novembre il ricovero
notturno invernale d’emergenza, che l’anno scorso ha ospitato nei 65 posti
letto ben 419 persone. A Bologna è stato lanciato un appello per la raccolta
di sacchi a pelo: la Caritas li distribuirà (l’anno scorso furono 162) ai senza
dimora, per offrire loro un riparo, e sfrutterà l’occasione del contatto
per avvicinarli a percorsi di accoglienza e reinserimento più strutturati.
CONVERSANO-MONOPOLI
MILANO
Emergenza dimora:
al via mini-strutture
di prima accoglienza
Un approccio innovativo al problema
della grave emarginazione
e dell’emergenza abitativa. È questa
l’idea che ha guidato la Fondazione
Cariplo a impostare e finanziare (con
3 milioni di euro) il progetto “Emergenza
dimora, percorsi di emergenza
e solidarietà sociale”. Il progetto prevede
l’allestimento di 14 mini-strutture
di “prima accoglienza” (ciascuna in
grado di accogliere 8-10 persone), nei
territori di Milano e Bergamo, alternative
alla logica del grande dormitorio. La
prima fase dell’iniziativa prevede, entro
marzo, la stesura dei singoli progetti
40
di Letizia Banchig
VERONA
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di accoglienza; nel frattempo verrà
avviato l’intervento edilizio sui 10 alloggi
resi disponibili da altrettante parrocchie
della diocesi di Milano e sui
4 di proprietà di una fondazione
bergamasca. L’obiettivo è avviare
le accoglienze (di senza dimora,
persone con forte disagio abitativo,
soggetti in uscita dal carcere, donne
rimaste sole con i figli, ecc) tra fine
2007 e inizio 2008, puntando a favorire
processi di recupero e di reinserimento
sociale personalizzati, supportati
dalle comunità ecclesiali e civili,
dall’associazionismo e dal volontariato
locali. Caritas Ambrosiana collaborerà
alla progettazione degli interventi
e gestirà la rete di alloggi, individuando
le risorse professionali e coordinando
quelle volontarie.
“Proviamo a capire”,
progetto e meeting
insieme ai giovani
Critici con i muri
Il Meeting dei giovani 2006 ha concluso
a Conversano, dal 5 all’8 ottobre,
il progetto “In ascolto del mondo
dei giovani. Proviamo a capire”,
realizzato dalla Caritas diocesana
con un contributo otto per mille ottenuto
grazie a Caritas Italiana. Il progetto
ha proposto esperienze di ascolto
Sembra quasi un paradosso, ma condividere l’attualizzazione del vangelo con i ragazzi, che frequentano
la parrocchia, è la sfida più grande. Viviamo in una società talmente efficientista e razionale che
l’ora di catechismo e la messa domenicale sono completamente scollate dalla vita quotidiana. E dove,
purtroppo, spesso si trova terreno fertile per erigere muri che contrappongono, per esempio, la civiltà
cristiana a quella islamica, piuttosto che gettare le basi che ne favoriscono un dialogo. Ma la sfida
più grande sta proprio nel far comprendere ai ragazzi che devono porsi di fronte ai nuovi “muri”
e alla globalizzazione in maniera critica, come i primi cristiani di fronte all’impero romano, e devono
affermare con la loro stessa esistenza un modo diverso di sentirsi ed essere “fratelli”, gettando basi
nuove per promuovere e favorire il dialogo e l’integrazione del genere umano.
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agenda territori
sto in campagna
a cura dell’Ufficio comunicazione
Lo sminamento progredisce,
ma aumentano anche le vittime
Il fenomeno
È stato pubblicato a metà settembre il Landmine Monitor
Report 2006. L’ottavo rapporto della campagna
internazionale per la messa al bando delle mine (nella foto,
la copertina) evidenzia che le mine terrestri sono presenti
in più di 78 paesi e continuano a contaminare un’area
grande come la Siria. La bonifica nel 2005 ha riguardato
circa 740 chilometri quadrati, pari alla dimensione
della città di New York: circa 470 mila mine terrestri sono stati rimosse.
È la bonifica più estesa dal 1980, grazie al moderno sistema di sminamento.
Malgrado questo progresso però, 13 dei 29 paesi che dovrebbero terminare
la bonifica dei territori entro il 2009-2010 (ad esempio Bosnia, Cambogia,
Yemen e altri paesi aderenti alla Convenzione di Ottawa) non hanno adottato
le misure previste. Inoltre tre governi (Myanmar, Nepal e Russia) hanno
continuato a utilizzare mine terrestri, e così gruppi armati ribelli in almeno
10 paesi. La percentuale delle persone ferite è aumentata dell’11%,
soprattutto a causa dell’intensificarsi dei conflitti in Myanmar, Ciad, Colombia,
Pakistan e Sri Lanka; il più alto numero di feriti, 1.100, è stato individuato
in Colombia. In totale, ancora 15-20 mila persone ogni anno vengono ferite
o uccise, mentre più di un milione continuano a vivere in aree minate.
L’iniziativa
Secondo l’ottavo rapporto, nel 2005, per la prima volta, la raccolta
fondi internazionale per la mine action è diminuita: 376 milioni
di dollari, circa 23 in meno rispetto al 2004. Commissione Europea
e Stati Uniti, i più grossi donatori per lo sminamento umanitario,
hanno diminuito le loro erogazioni. Afghanistan e Sudan hanno ottenuto
la parte più consistente dei fondi raccolti. Giuseppe Schiavello,
direttore della campagna italiana contro le mine, ha ricordato che
anche il nostro paese continua a limare i fondi dedicati alla mine action:
il fondo istituzionale per lo sminamento umanitario, istituito
con la legge 58/2001, doveva avere una dotazione iniziale di 15 milioni
di euro per un triennio, ma è stato portato a meno di 7,5 milioni di euro
e ogni anno si verificano erosioni. La campagna italiana ha chiesto
infine al nostro governo di approvare urgentemente il disegno di legge
di modifica della legge 374/97 (messa al bando delle mine
antipersona) per estenderne gli effetti alle cluster bombs, micidiali
ordigni che colpiscono prevalentemente la popolazione civile.
INFO www.campagnamine.org
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NOVEMBRE 2006
del mondo dei giovani, luoghi di dialogo
intraecclesiale e occasioni di confronto
con quanti operano con i giovani nella
società civile. Il meeting finale è stato
un laboratorio di dialogo che ha visto
coinvolte, oltre a centinaia di giovani,
anche le istituzioni e molte realtà
associative locali: ricchissimo
il programma, con eventi, mostre e una
rassegna teatrale realizzati con i lavori
che hanno partecipato al concorso
“Giovani: raccontare una generazione”.
E ancora, testimonianze, un’animazione
musicale, ma anche una tenda della
preghiera e l’incontro con il vescovo
al termine di un pellegrinaggio
da Castellana Grotte. Durante il meeting
è stata presentata anche la ricerca
sociale sui giovani svolta durante
il progetto e pubblicata a cura della
Caritas con il titolo “In ascolto
e al servizio del mondo giovanile”.
PIAZZA ARMERINA
“Immigrati in città”,
in diocesi si punta
sull’accoglienza
Ha preso l’avvio a ottobre il progetto Inci
- Immigrati in Città. Attivato dalla Caritas
diocesana, si propone di sviluppare
nella comunità ecclesiale
una disponibilità all’accoglienza,
all’integrazione e al dialogo
interculturale nei confronti degli
immigrati del territorio. Inci coinvolgerà
anche istituzioni e associazioni
di volontariato locali. Data la carenza
di opportunità lavorative nel territorio
ennese, le cifre dell’immigrazione
in diocesi non sono altissime: i dati
ufficiali censiscono 1.287 immigrati
da circa 70 nazioni, cui vanno aggiunte
le presenze illegali, stimate in circa
3 mila unità. Non mancano però
i problemi sociali e culturali, cui intende
rispondere il nuovo progetto.
OSSERVATORI
Toscana e Campania,
sempre più donne
ai centri d’ascolto
Prosegue, da parte delle delegazioni
regionali Caritas e delle Caritas
diocesane, la presentazione
dei “Rapporti sulla povertà”, sviluppati
dai locali Osservatori sulle povertà
e le risorse. In Toscana chi si rivolge
ai centri d’ascolto Caritas (oltre 15 mila
persone, nel 2005) arriva in prevalenza
dall’Europa centro-orientale, è in Italia
da un anno o meno, è donna, senza
permesso di soggiorno, vive in affitto
o da amici, è senza lavoro pur avendo
un titolo di studio. Rispetto al Rapporto
dell’anno precedente, la componente
femminile (il 52,7%) ha sorpassato
quella maschile. Anche in Campania
l’utente medio dei centri d’ascolto
è donna, tra i 35 e i 39 anni, ma
è coniugata, in possesso di licenza
elementare, disoccupata, ha una dimora
abituale e vive con propri familiari
o parenti. I dati sono relativi a un
campionamento casuale di 1.245 utenti
di centri di ascolto in 11 delle 24
diocesi campane. Emerge sensibile
anche l’aumento di famiglie tra gli
utenti: non più casi singoli di povertà,
ma situazioni multiproblematiche che
investono l’intero
nucleo familiare. Infine
il primo “Rapporto sulle
povertà” della Caritas
della diocesi lucana
di Melfi-Rapolla-Venosa
riporta i dati relativi
all’attività di tre centri
d’ascolto (altri due ne stanno
sorgendo), dove nel 2005 sono
transitate oltre 2.700 persone: molto
forte la componente di italiani, da cui
emerge una consistente domanda
di lavoro (la zona è stata interessata
dalla crisi dello stabilimento Fiat).
sussidi
a cura dell’Ufficio comunicazione
L'Avvento guidato dai pastori,
è tempo di ascolto e stupore
“Quelli che udirono si stupirono”. Il versetto
(2, 18) del Vangelo di Luca è l’elemento ispiratore
dei sussidi predisposti per il periodo di AvventoNatale 2006 da Caritas Italiana e dall’Ufficio
nazionale per la pastorale della famiglia della Cei.
Il consueto e ricco kit, che serve all’animazione
pastorale in parrocchia e a ispirare la preghiera
a casa, si compone di un opuscolo per le famiglie,
un album per i bambini, un poster, un salvadanaio
e una scheda per l’animazione pastorale
(disponibile anche on line, sul sito internet
di Caritas Italiana). «Tutti quelli che odono
il racconto dei pastori – si legge nell’introduzione
biblica del sussidio di Avvento – si stupiscono
di quanto essi dicono. Chi sono? Il Vangelo non
lo dice. Di quale stupore si tratta? È meraviglia o diffidenza? Di fronte
alla rivelazione del divino può sorgere uno stupore intuitivo e aperto,
addirittura un’ammirazione devota; ma può nascere anche soltanto
una meraviglia ottusa, o addirittura un dubbio che si chiude nel rifiuto».
Atteggiamenti di fronte al mistero
Il tema scelto dalla Conferenza episcopale italiana per quest’anno mette
insomma l’accento su due atteggiamenti possibili di fronte al mistero
dell’incarnazione: l’ascolto e lo stupore. I sussidi proposti vogliono
aiutare ad approfondire il tema attraverso le immagini, le esperienze
di vita, il gioco. L’opuscolo aiuta a mettersi in ascolto della Parola di Dio
e delle parole di persone che si sono messe in ascolto, in relazione,
pronte a stupirsi della grandezza e della misericordia di Dio che
si manifestano in ognuno; persone sconosciute, in Italia e nel mondo,
ma anche persone dal nome e dalla vita famosi. L’album è uno
strumento imperniato su cinque verbi (“Io vedo, io ascolto, io mi
meraviglio, io aspetto, io incontro”) che aiutano i bambini ad attivare
fantasia e attenzione, anche grazie all’apporto di Cosetta Canotti
e Cinzia Ratto, autrice e illustratrice di pubblicazioni per minori.
Il poster si concentra sull’espressione di stupore e affetto che si disegna
sul viso di una suora di fronte a un bimbo che racconta qualcosa:
l’annuncio viene da un bimbo, proprio come accade a Natale.
Quanto al salvadanaio, è un piccolo strumento – molto utilizzato in tante
parrocchie – per chi intende accompagnare il cammino di Avvento
con un gesto concreto di solidarietà.
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villaggio globale
a tu per tu
CINEMA
TV
Una storia animata
è il “corto di pace”
al “Città di Pergola”
Il volontariato sul satellite,
“Tempi dispari” è anche per gli altri
Un’idea sempre più
convincente. Che cresce
in numero e qualità delle
partecipazioni. Si è
svolta all’inizio di ottobre
(premiazione sabato 7) la terza edizione
del Festival del cortometraggio “Città
di Pergola”, dedicato in particolare
ai giovani registi e autori. La sezione
“Pace e diritti umani”, promossa dalla
Delegazione regionale Caritas delle
Marche, aveva come tema, quest’anno,
“Pace ambiente”: l’opera prima
classificata è risultata “La mia migliore
amica”, di Stefano Buonamico, “piccolo
gioiello di animazione – recita la
motivazione della giuria –, che riesce
a toccare il cuore”. La vicenda
di una bambina profuga in un campo
del Pakistan “è magistralmente illuminata
da una semplice bambolina, che per
la piccola Nahir (…) è un segno grande
e gioioso di vita e di speranza”.
Un premio speciale della giuria, sempre
per la sezione Caritas, è andato
a “Baiano”, di Elisabetta Bernardini, che
con un’ottima scenografia (…) evidenzia
molto bene la centralità dei valori più veri:
la vecchia casa dei ricordi, il paese natio,
le cose e gli amici più cari, che rendono
autentica la vera amicizia”.
INFO www.festivalcortopergola.it
RADIO
In onda su Ecoradio
e altre 40 emittenti
il “Gr Solidarietà”
Ecoradio è un’emittente radiofonica
che diffonde le sue trasmissioni (sulla
frequenza 88.3) nel Lazio e in Abruzzo,
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I TA L I A C A R I TA S
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La tv via satellite riesce a sfornare idee, nel campo
dell’informazione sociale e culturale, molto più originali
e incisivi di quanto faccia l’elefante delle reti
generaliste via etere. Ne è un esempio “Tempi
dispari”, una trasmissione che dallo scorso 8 marzo,
condotta da Manuela Pasquini, presenta ogni giorno, da lunedì a venerdì,
collegamenti con le redazioni dei media internazionali, analisi e commenti
di autorevoli opinionisti sui fatti di cronaca, ma anche intervista a testimoni
e intelligenti spazi riservati a temi che in tv faticano a trovare cittadinanza.
Ne è un esempio Tempi dispari per gli altri, spazio informativo che
dal 9 ottobre ogni giorno, per tre minuti, parla di volontariato, offrendo
informazioni, testimonianze, storie. “Tempi dispari” va in onda sul canale
satellitare Rainews 24 dal lunedì al venerdì dalle 21.15 alle 22.30.
INFO www.rainews24.it/ran24/magazine/tempi-dispari
ma trasmette 24 ore su 24 anche
tramite sito web e satellite. È legata
al movimento politico dei Verdi e dedica
ampio spazio ai temi dell’ambiente
e della pace, ma anche della solidarietà.
Gr Solidarietà,
in particolare,
è il suo format
che quotidianamente
accende i riflettori
sul mondo del volontariato e del terzo
settore, rilanciato anche da una rete
di altre 40 emittenti. Presentando
appuntamenti e notizie avvicina
il radioascoltatore a tematiche
fondamentali per lo sviluppo sostenibile
del nostro pianeta: i diritti dell’infanzia,
degli anziani e dei detenuti, la protezione
degli animali, il sostegno alle popolazioni
del sud del mondo, la promozione
di un’economia etica, le battaglie contro
la pena di morte. Esponenti delle
maggiori associazioni di solidarietà
e umanitarie intervengono ai microfoni
di Ecoradio per illustrare le attività
condotte a favore di chi non ha voce.
INFO www.ecoradio.it
INTERNET
Nuovo Superabile.it,
sguardo “normale”
sulle disabilità
Una nuova veste grafica. Una gestione
più completa e articolata dei contenuti.
È stato presentato il 19 ottobre
a Roma, nella sede centrale dell’Inail,
il nuovo portale di Superabile.it,
che a quasi sei anni dalla nascita
si sviluppa e si rafforza, per riuscire
sempre meglio a imporsi come portale
“per” e “dalla” disabilità. I contenuti
giornalistici del portale rinnovato sono
a cura dell’agenzia Redattore Sociale;
l’iniziativa è sostenuta dall’Inail,
che anche grazie al portale intende
divenire un punto di riferimento culturale
e operativo per tutte le persone disabili,
mettendo a disposizione strumenti
di comunicazione, informazione
e formazione sui principali problemi
della vita quotidiana. Superabile,
accessibile a tutti i tipi di disabilità,
offre informazioni e consulenze tramite
un call center e il portale. Franco
di Danilo Angelelli
Il “condominio terra” raccontato
a notte fonda: «La Tv che rende
cittadini del mondo è ancora utopia»
Gli spazi sulla tv generalista sono sempre meno. Ma a Silvestro Montanaro
è “concesso” ugualmente di praticare l’attenzione per il sociale e di raccontare ingiustizie
impossibili da tacere. E questo, al culmine di un percorso giornalistico fatto di carta
stampata (Paese Sera e L’Unità) e, appunto, televisione (con Michele Santoro: Il Rosso
e il Nero, Tempo Reale, Sciuscià). La sua “creatura”, quel C’era una volta che nel 1999,
all’esordio, raccontava storie di infanzia negata, con il tempo ha allargato gli orizzonti.
Ed è tornata da mercoledì 25 ottobre, alle 23.30 su Rai Tre. Orari impraticabili ai più,
ma Montanaro va per la sua strada: nella nuova serie in dieci puntate fa luce sulle
interdipendenze che legano in un unico destino i paesi di tutto il mondo.
Quali sono le novità dell’edizione 2006?
Anzitutto il racconto critico della globalizzazione: siamo convinti che sia una grande
occasione per risolvere molti problemi del “condominio terra”, ma finora a essere
davvero globalizzate sono state le disuguaglianze. Poi la lettura, attraverso il racconto
popolare, di alcune crisi che gli stereotipi dell’informazione hanno reso lontane.
Una non novità, invece, è che a subire le conseguenze negative dei fenomeni
REPORTAGE
PER NOTTAMBULI
di cui parliamo sono sempre le stesse persone.
Sopra, Silvestro
La seconda serata è spesso il luogo della riflessione in tv. Oggi, con gli investimenti
Montanaro e (di fianco
pubblicitari
nell’access prime time (fascia-ponte tra tg e prima serata), parte sempre
al titolo) il logo
della trasmissione.
più tardi. E il servizio pubblico?
I documentari
La televisione purtroppo è territorio di nomine. Sento parlare molto poco di problemi
di C’era una volta
editoriali. Una televisione che ci faccia diventare cittadini europei e del mondo è ancora
(foto sotto, immagine
dalla puntata sui Darfur)
un’utopia. Africa, sud-est asiatico e America Latina non hanno spazio. Non lo dico da
vanno in onda mercoledì
terzomondista, ma da cittadino, che avverte la mancanza di un racconto onesto della realtà.
alle 23.30 su Rai Tre
Nelle sue trasmissioni si è spesso occupato di aiuti umanitari…
Ogni volta che ho rilanciato campagne ho controllato in prima persona e rendicontato. Cercando di parlare all’intelligenza
delle persone. Basta con i bambini disperati usati come immagine, accompagnati da parole pietistiche che vogliono dire:
“Sta al tuo senso di colpa far sì che lui sopravviva”. Nella nuova serie parliamo di Avamposto 55, la campagna per
il Darfur lanciata da Bonolis al Festival di Sanremo 2005. Gli aiuti sono arrivati, ma lì stanno succedendo cose gravissime.
Perché il programma si intitola ancora C’era una volta?
Il racconto dei grandi temi deve avere dentro anche grandi passioni e sentimenti. La narrazione delle favole ha sempre
avuto questa capacità. Però di favole bugiarde in giro ce ne sono tante: in qualche modo proviamo a svelarle.
Tra le tante “favole” del suo percorso giornalistico ce n’è una a lieto fine?
L’amarezza di questi anni è ritornare nei posti e trovare situazioni incancrenite. Ricordo il candore delle ragazze
di strada di Fortaleza, in Brasile. Si vendevano ma non accettavano di qualificarsi come prostitute. Sognavano
il principe azzurro, l’incontro che risolveva una vita. Oggi nessuna di loro sogna più. Tutte coscienti di essere
prostitute. Ma ricordo anche Marilene, 10 anni. Diceva che preferiva spaccarsi la schiena al sole in una pietraia
piuttosto che vendersi. La gente vide la sua storia in tv e inviò soldi, che, attraverso i comboniani, destinammo
a un progetto per lo studio. Marilene l’anno prossimo si laurea in medicina: sente che il suo lavoro è una funzione
sociale, sarà una splendida dottoressa.
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villaggio globale
Bomprezzi, giornalista, fondatore quasi
sei anni fa di Superabile, ha affermato
che esso prova a rettificare una
tendenza secondo la quale «i mass
media si occupano di questi temi a
partire da casi estremi. Così ci si trova
quasi sempre di fronte a un giornalismo
troppo rapido, che non ha il tempo
di verificare le notizie né di approfondire
i temi». Invece una buona informazione
sulla disabilità, per Bomprezzi,
è essenzialmente un’informazione
normale. [redattore sociale]
INFO www.superabile.it
STAMPA
Afro, un’agenzia
per chi scommette
su un continente
Un’agenzia di stampa per dare voce
all’Africa. Il progetto, promosso dalla
banca Unicredit, dal comune di Roma
e dalla società editoriale Vita, è stato
annunciato a inizio ottobre. Afro è un
progetto complesso: oltre all’agenzia
internazionale di stampa, prevede varie
iniziative di promozione della cultura
e della società africane. Per i promotori
del progetto si tratta di cambiare
la logica tradizionale con la quale si sono
guardati storicamente i problemi del
continente e si è impostato il rapporto
tra Europa e Africa. Quest’ultimo
è anche, secondo i promotori, e non
solo per il positivo tasso di sviluppo
maturato da metà degli anni Novanta,
un continente su cui investire.
Soprattutto perché “è un grande pozzo
di risorse. Non solo naturali, ma
soprattutto umane. E culturali”. Nelle
intenzioni dei promotori, Afro intende
proporsi come un media originale. La
sede sarà a Roma, i giornalisti saranno
una decina, metà africani e metà
italiani, sono previste collaborazioni
dall’Africa. [redattore sociale]
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I TA L I A C A R I TA S
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pagine altre pagine
Italia Caritas + Valori
È un mensile di economia sociale e finanza etica promosso da Banca Etica.
Propone ogni mese “Osservatorio nuove povertà”, in collaborazione con Caritas Italiana.
di Francesco Meloni
L’esperimento di un laico cattolico,
ovvero le tensioni della coscienza
Un libro di politica e sulla politica? Piuttosto,
la testimonianza personale di un percorso
politico-sociale che copre il decennio in cui
l’autore, da anni collaboratore di Caritas Italiana,
è stato presidente nazionale delle Acli. Il laico
esperimento. Lavoratori cristiani tra fedeltà
e ricerca, 1976-1987 (Edup 2006, pagine 267),
firmato da Domenico Rosati, può essere letto
in due modi: come la descrizione di un microcosmo
nel quale si riproducono le tensioni della
coscienza cristiana (autorità e libertà, clericalismo
e laicità), alla ricerca della giustizia in un contesto
democratico e pluralistico; oppure come una
ripresa “in soggettiva” di fatti, umori e malumori,
persone, intrecci e tragedie (dal terrorismo al
riarmo nucleare, dalla “sintonia” ideale e politica
tra Moro e Berlinguer al nuovo rapporto con
il Pci e… al recente ritorno dell’anticomunismo)
che hanno segnato una fase ancora poco esplorata della storia politica
e sociale italiana. Non è un diario, ma una ricostruzione (con tutti i vizi
dell’unilateralità e dell’influsso cumulativo delle passioni) che parla all’oggi;
e non è neppure un libro di storia o l’impresa vana e vanitosa di chi vuole
contrastare le inesorabili dissolvenze dell’oblio.
È, piuttosto, il tentativo di ripercorrere fedelmente le tappe di uno
dei più originali esperimenti cattolici del Novecento in Italia (quello appunto
delle Acli, ma non solo!), inzuppato fino al midollo dall’impegno per la
liberazione umana e la promozione civile e dallo sforzo di concorrere (con
l’orientamento politico e la pressione sociale) alla determinazione di scelte
significative per l’intera comunità nazionale. Scelte che in seguito Rosati
ha contribuito a delineare anche da senatore della repubblica (1987-1992).
I temi e i problemi dell’opera di Rosati riecheggiano in altri saggi
e studi che, tra l’altro, hanno trovato spazio all’annuale fiera del libro
di Francoforte: La democrazia dei cristiani. Il cattolicesimo politico
nell’Italia unita (Laterza 2006, pagine 229), di Pietro Scoppola;
La differenza cristiana (Einaudi 2006, pagine 118), di Enzo Bianchi;
Italia in frantumi (Laterza 2006, pagine 188), di Luciano Gallino;
Cattolici, pacifisti, teocon. Chiesa e politica in Italia, dopo la caduta
del muro (Mondatori 2006, pagine 193), di Gaetano Quagliariello;
Dibattito sulla laicità (ElleDiCi 2006, pagine 160),
di Giuseppe Savagnone.
+
Dieci numeri annui dei due mensili a 40 euro
Per aderire:
• versamento su c/c postale n. 28027324 intestato a Soc. Cooperativa Editoriale Etica, via Copernico 1, 20125 Milano
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Indicare la causale “Valori + Italia Caritas” e inviare copia dell’avvenuto pagamento al fax 02.67.49.16.91
Leggo doppio
Leggo solidale
Occasione 2007 per i lettori: Italia Caritas a casa vostra, insieme a un altro periodico,
per capire meglio la società e il mondo che ci ruotano attorno, nel segno della solidarietà.
Alleanza di pagine e idee, a un prezzo conveniente.
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I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione,
stampa e spedizione di Italia Caritas, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a:
Caritas Italiana - c.c.p. 347013 - viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma - www.caritasitaliana.it
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Numero 9 - Caritas Italiana