MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXIX - NUMERO 9 - WWW.CARITASITALIANA.IT POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA novembre 2006 Italia Caritas TRE MILIONI DI IMMIGRATI, L’ANALISI DEL DOSSIER ITALIA COLOR ARCOBALENO SERVIZIO CIVILE I PENSIERI DELL’OBIETTORE DIRETTORE SERBIA PERSONE DA CURARE, NON PIÙ MATTI DA INTERNARE SUDAN E DARFUR PACE, TRAGUARDO ANCORA LONTANO sommario ANNO XXXIX NUMERO 9 Mensile della Caritas Italiana Organismo Pastorale della Cei viale F. Baldelli, 41 00146 Roma www.caritasitaliana.it email: [email protected] IN COPERTINA Lei italiana, lui africano: i fenomeni migratori cambiano la nostra società nella famiglia, nella scuola, nel lavoro, nella cultura. E il 16° Dossier immigrazione Caritas-Migrantes fotografa questi cambiamenti foto Romano Siciliani Italia Caritas direttore Don Vittorio Nozza direttore responsabile Ferruccio Ferrante coordinatore di redazione editoriale di Vittorio Nozza IMPARARE A ESSERCI, PROPOSITO PER IL DOPO-VERONA Paolo Brivio in redazione Danilo Angelelli, Paolo Beccegato, Renato Marinaro, Francesco Marsico, Francesco Meloni, Giancarlo Perego, Domenico Rosati editoriale di Vittorio Nozza IMPARARE A ESSERCI, PROPOSITO PER IL DOPO-VERONA parola e parole di Giovanni Nicolini LA STRANA MATEMATICA CHE APRE LE PORTE DELL’AMORE paese caritas di Adolfo Macchioli IL CAMMINO DELLA CARITÀ INCROCIA LA FAME DI RELAZIONI 3 progetto grafico e impaginazione Francesco Camagna ([email protected]) Simona Corvaia ([email protected]) 5 stampa Omnimedia via Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm) Tel. 06 7989111 - Fax 06 798911408 6 nazionale TRE MILIONI DI IMMIGRATI, È L’ITALIA ARCOBALENO servizi di Delfina Licata, Oliviero Forti e Pietro Gava NON E UNA TELA DI PENELOPE CHE LA POLITICA PUO TESSERE E DISFARE di Guerino Di Tora dall’altro mondo di Maria Paola Nanni OBIETTORE DIRETTORE: «COSÌ CAMBIA IL SERVIZIO» di Ettore Sutti database di Walter Nanni RELAZIONI, NON CONSUMI: COSÌ CI SCOPRIAMO FELICI di Andrea Olivero contrappunto di Domenico Rosati panoramacaritas PAKISTAN, RAPPORTO SULL’ESCLUSIONE progetti LOTTA ALL’AIDS sede legale 8 viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma tel. 06 541921 (centralino) 06 54192226-7-77 (redazione) 9 offerte Paola Bandini ([email protected]) tel. 06 54192205 14 15 inserimenti e modifiche nominativi richiesta copie arretrate 18 19 spedizione Marina Olimpieri ([email protected]) tel. 06 54192202 in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) art.1 comma 2 DCB - Roma Autorizzazione numero 12478 dell’8/2/1969 Tribunale di Roma 22 Chiuso in redazione il 27/10/2006 23 24 AVVISO AI LETTORI Per ricevere Italia Caritas per un anno occorre versare un contributo alle spese di realizzazione di almeno 15 euro: causale contributo Italia Caritas. internazionale LA SERBIA CAMBIA CURA: NON MATTI, MA PERSONE servizi di Daniele Bombardi foto Alberto Minoia casa comune di Gianni Borsa LA PACE IN SUDAN, SCOMMESSA DA VINCERE di Diego Marani ACCORDO PRIVO DI LEGITTIMITA, IN DARFUR RIESPODE LA VIOLENZA di Giovanni Sartor guerre alla finestra di Paolo Beccegato DIECI ANNI SENZA GUERRA, LA MEMORIA RESTA FERITA di Guido Miglietta contrappunto di Alberto Bobbio 26 agenda territori villaggio globale 40 44 La Caritas Italiana, su autorizzazione della Cei, può trattenere fino al 5% sulle offerte per coprire i costi di organizzazione, funzionamento e sensibilizzazione. 30 31 33 Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite: ● Versamento su c/c postale n. 347013 ● Bonifico una tantum o permanente a: - Banca Popolare Etica, piazzetta Forzaté 2, Padova Cin: S - Abi: 05018 - Cab: 12100 conto corrente 11113 Iban: IT23 S050 1812 1000 0000 0011 113 Bic: CCRTIT2T84A - Banca Intesa, piazzale Gregorio VII, Roma Cin: D - Abi: 03069 - Cab: 05032 conto corrente 10080707 Iban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707 Bic: BCITITMM700 ● Donazione con Cartasì e Diners, telefonando a Caritas Italiana 06 541921 Cartasì anche on line, sul sito www.caritasitaliana.it (Come contribuire) 35 36 39 5 PER MILLE Per destinarlo a Caritas Italiana, firmare il primo dei quattro riquadri sulla dichiarazione dei redditi e indicare il codice fiscale 80102590587 a questa assemblea sale un’umile preghiera, che implica però anche un sincero proposito, affinché il primato di Dio sia il più possibile visibile e palpabile nell’esistenza concreta e quotidiana delle nostre persone e delle nostre comunità” (dal Messaggio finale del Convegno ecclesiale nazionale di Verona). Da queste parole scaturisce l’invito a portare a casa da Verona un proposito. Uno, uno solo. Ma definito con precisione. Questo proposito non è l’affannosa paese, tutto intero. È una passione che val bene un proposito. Il proposito di vivere gli affetti e la famiglia come segno dell’amore di Dio; il lavoro e la festa come momenti di fatica, di gioia e di un’esistenza compiuta; la presenza e la solidarietà che si china sul povero e sull’ammalato come espressione di fraternità; il rapporto tra le generazioni come dialogo volto a liberafortificazione delle mura difensive, re le energie profonde che ciascuno quanto piuttosto l’impegno per “allarcustodisce dentro di sé, orientandoIl Convegno ecclesiale gare gli spazi della nostra razionalità”, le alla verità e al bene; l’essere cittanazionale, dal 16 al 20 un’opera cui le chiese in Italia “devono dini credenti come esercizio di reottobre, ha fornito dedicarsi con fiducia e creatività”. sponsabilità, a servizio della giustiindicazioni cruciali Non si tratta oggi di difendersi né di zia e dell’amore, per un cammino di alla Chiesa italiana. contrattaccare, ma di “essere uomini vera pace. Si tratta di rinnovare il La testimonianza toccati da Dio”, come dice il cardinale proposito di non tirarci indietro dadella fede non può fuggire Ruini citando papa Ratzinger e poi vanti alle grandi sfide dell’oggi: prole sfide dell’oggi: Giovanni Paolo II; si tratta di essere mozione della vita, della dignità di situandosi nella storia, cristiani che avvertono il fascino e la ogni persona e del valore della famiconcretezza di quella “misura alta delglia; attenzione ai volti e alle storie deve provare a cambiarla la vita cristiana che è la santità”. di povertà e al senso di smarrimenQui sta il vero “fondamentale del to e fragilità che avvertiamo attorno nostro essere cristiani”. La misura della testimonianza e dentro di noi; dialogo tra le religioni e le culture; ricernon è il piccolo cabotaggio dell’arrabattarsi mettendo ca umile e coraggiosa della santità come misura alta d’accordo coscienza e cultura del tempo, ma il vigore della vita cristiana ordinaria; comunione e correspondel “Crocifisso Risorto speranza del mondo”, capace di sabilità nella comunità cristiana; necessità per le nostre trasformare l’uomo dal profondo. Capace di renderlo chiese di dirigersi decisamente verso modelli essenziali santo, persino: testimone ovunque dell’amore di Dio, ed evangelicamente trasparenti. uomo all’altezza di sfide che diversamente avrebbe ritenuto fuori portata. “Io, ma non più io”, secondo l’e- Accoglienza e denuncia spressione di Benedetto XVI nel suo discorso al Conve- A Verona, papa Benedetto XVI ci ha ricordato che la via gno, forse la più bella ascoltata nei giorni di Verona. maestra della missione della chiesa è “l’unità tra verità e Il tempo che si apre è quello di un nuovo discerni- amore nelle condizioni proprie del nostro tempo, per mento, che sprigiona la “testimonianza missionaria de- l’evangelizzazione dell’Italia e del mondo di oggi”. Il cisiva per il futuro del cristianesimo”, di cui sono capaci mondo, ovvero i modi con cui l’uomo d’oggi desidera, cattolici di fede vera, formata, intrepida. Ciò di cui ha soffre, lotta, sogna, ama e spera, è l’alfabeto dell’annunveramente bisogno l’Italia, perché ci sta a cuore il nostro cio del Vangelo. E la testimonianza cristiana, come eser- “D I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 3 editoriale parola e parole di Giovanni Nicolini cizio negli spazi della vita, è l’agire che sa assumere le forme della vita umana come un alfabeto in cui dirsi e in cui realizzarsi. Una testimonianza seria sarà dunque legata alla realtà che si vive ogni giorno, ai temi e alle problematiche magari scontate, ma inalienabili, della giustizia, della dignità, dello scoraggiamento, della disperazione e del futuro di tantissime persone. Una testimonianza che non tocca, non giudica e non interpella la vita è sfasata e dissociata dalla realtà. Frequentare e abitare la storia e i territori significa, per la Chiesa, saldare la pastorale dell’accoglienza con il dovere della denuncia, con il coraggio dell’andare dove la dignità dell’uomo è più calpestata e dove il suo grido è soffocato e zittito: “L’autenticità della nostra adesione a Cristo si verifica dunque specialmente nell’amore e nella sollecitudine concreta per i più deboli e i più poveri, per chi si trova in maggior pericolo e in più grave difficoltà” (Benedetto XVI). Nella linea dell’incarnazione, la fede è chiamata a compromettersi con l’uomo per essere una testimonianza che non corre sopra o fuori dalla storia, ma si situa nella storia, fa storia, cambia la storia, perché la storia della salvezza diventi salvezza della storia. Una Chiesa chiusa nel tempio o abbarbicata attorno al campanile è una comunità che non solo si sottrae alle grida degli uomini, ma si dimentica anche della fedeltà alla Parola e al Pane del suo Dio: “Le parrocchie devono continuare ad assicurare la dimensione popolare della Chiesa, rinnovandone il legame con il territorio nelle sue concrete e molteplici dimensioni sociali e culturali: c’è bisogno di parrocchie che siano case aperte a tutti, si prendano cura dei poveri, collaborino con altri soggetti sociali e con le istituzioni, promuovano cultura in questo tempo della comunicazione” (Cei, dall’introduzione alla nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia). Contestare le sicurezze Bisogna imparare a esserci, insomma, senza facili semplificazioni ma anche senza rinunciare a prendere posizione, a denunciare condizionamenti sociali, ingiustizie, paure che troppo duramente sfigurano la dignità delle persone. L’incarnazione della fede, e la forza della speranza che da essa promana, fanno sì che non possiamo non interessarci della centralità della persona. Il cui primato diventa cura della vita, della storia, delle tradizioni, delle culture, dell’ambiente, del territorio di una popolazione. C’è un futuro che ci attende come Chiesa, un futuro che ci rende capaci di riscoprire la forza del Vangelo, che contesta le sicurezze egoistiche dell’uomo ma ne fonda altre, più stabili, nella fede. Una Chiesa che accetta di vivere in situazione, attenta alle realtà concrete, mai in fuga, ma in difesa della persona, dell’uomo concreto, di chi non ha parole. Una Chiesa che non proclama o esalta se stessa, ma che rivela al mondo il mistero di Dio e si fa portatrice di salvezza e speranza. Una Chiesa che addita agli uomini la vita futura, dono di Dio, ma proporzionato all’impegno espresso in questo mondo. Una Chiesa che a noi chiede l’umile ma coraggioso gesto di affermare con continuità “sulla tua parola getterò le reti”, nella fatica dei molteplici tentativi di annunciare e fare giustizia (chiesa profetica), nella promozione di opere e locande di accoglienza e condivisione (chiesa regale), nell’animazione della comunità, per far crescere sempre più la testimonianza di carità e una speranza di popolo (chiesa sacerdotale). ‘‘ Una Chiesa chiusa nel tempio o abbarbicata attorno al campanile si sottrae alle grida degli uomini e si dimentica della fedeltà alla Parola e al Pane del suo Dio ’’ 4 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 LA STRANA MATEMATICA CHE APRE LE PORTE DELL’AMORE E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Marco 12, 41-44) n amico esperto di ebraismo mi dice che la piccola offerta gettata dalla vedova nel tesoro del tempio era al di sotto del minimo obbligatorio: quasi un’offerta “da non fare”, illegittima, troppo misera! È stata dunque non solo generosa, quella povera donna, ma anche coraggiosa. Noi possiamo trarre gran bene dal suo esempio. E ci fa bene accorgerci, ancora una volta, che la nostra vita è seguita dallo sguardo attento e buono del Signore. L’unico piccolo rammarico potrebbe essere che il bel commento di Gesù A questo punto mi si perdoneranno due modeste osservazioni da finto esegeta biblico. La parola che Gesù sceglie per descrivere la povertà di quella donna è un termine estremo, che dice non solo che di quattrini ne aveva pochi, ma addirittura – per rifarsi a termini bancari – che aveva “il conto in rosso”: quei due spiccioli li ha tirati fuori non dal poco, ma proprio dal niente che aveva. Quando il Signore rivela pienamente quanto è sull’episodio del tempio non viene a successo, afferma che lei ha offerto conoscenza della protagonista, perL’obolo della vedova “tutto ciò che aveva, tutto ciò che avechè Lui lo racconta solo a noi. Poi, riera un’offerta va per vivere”: se si prendono le paropensandoci, anche questo ci comal di sotto del le come si presentano nel testo origimuove e ci allieta: al gesto riservato e minimo obbligatorio. nale, si legge lei che ha gettato nel teumile della donna corrisponde la deMa secondo soro del Tempio “tutta la sua vita”! licata riservatezza del Signore, quasi l’imprevedibile Questa è la meraviglia della matead affermare che lei non ha bisogno logica divina riveste matica di Dio. Essa stabilisce la portadi certe spiegazioni, perchè quello un valore eccezionale. ta di un gesto sulla base delle reali che vive e fa è già tutto frutto della sua Perchè noi spesso diamo intesa profonda con il mistero della possibilità di ciascuno, ma soprattutil superfluo, i poveri carità divina. to apre ai più piccoli le porte dell’atutto quello che hanno more più grande. Noi offriamo il superfluo: dei nostri soldi, ma anche Dal niente che aveva I ricchi continueranno a gettare molte monete nel tesoro; della nostra testa, del nostro impegno, del nostro tempo, ma per fortuna ci saranno sempre delle povere vedove che del nostro affetto. I poveri, invece, danno tutto quello che vi getteranno solo “due spiccioli”. Solo? Qui, appunto, in- hanno. Ma quando non hanno proprio niente, e si penseterviene la “strana matematica” di Dio. «Questa vedova ha rebbe che da loro non verrà nulla di importante, allora cegettato nel tesoro più di tutti gli altri», afferma Gesù. E lebrano in pienezza il mistero di Gesù: danno la loro vita! Come il fratellino povero che mi siede accanto alla quando vuole spiegare il come e il perchè della sua affermazione, dice di lei che gettando quel pochissimo «vi ha mensa di casa mia: nulla sa dire, nè fare, se non sorridere. messo, nella sua povertà, tutto quello che aveva, tutto Ma in quel sorriso, egli celebra, nella sua piccola e povera quanto aveva per vivere». vita, tutta la Passione del Figlio di Dio. U I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 5 paese caritas di Adolfo Macchioli direttore Caritas diocesana Savona-Noli IL CAMMINO DELLA CARITÀ INCROCIA LA FAME DI RELAZIONI centro di ascolto diocesano e sulla base di un progetto di reinserimento sociale. Un gruppo di volontari dell’unità pastorale frequenta la casa, condividendo la cena e, soprattutto, un pezzo di cammino: il clima è buono, famigliare, un piccolo trampolino di lancio verso una vita autonoma. Casa Emmaus e il piccolo centro d’ascolto parrocchiale diventano i luoghi dove una comunità cresce nela persone che stanno accalcate sulla la carità, non solo perché accoglie fiporta, col timore di non riuscire a sicamente le persone e ne condivide il Filippo è stato accolto cammino, ma perché l’esperienza di prendere abbastanza, stimando l’alin un alloggio attorno volontariato cambia la vita, rende più tro un pericoloso concorrente. al quale operano diversi attenti alle cose semplici, educa all’atFilippo è passato anche di qui. soggetti, dalla Caritas tenzione all’altro, ravviva la capacità Dove c’è tempo per fermarsi un attidiocesana ai volontari di non lasciare cadere i rapporti. Da mo, per parlare con Angelo, con Madella parrocchia. quest’anno si è aperto anche lo sparisa o col “don”. La comunità parroczio per un progetto del servizio civile chiale sa che di lì passano tante perI bisogni evidenziati nazionale. E Filippo ha dato una masone, glielo dicono quelli della Caridal territorio non smettono no – a modo suo – ad accogliere altre tas, li ricordano nella preghiera, rendi proporre percorsi nuovi dono presente i loro bisogni attraverpersone: ora ha ottenuto la pensione, di vita ecclesiale so un cartellone o il “passaparola”, ofuna casa popolare e la speranza di viferto con delicatezza, non per pettevere dignitosamente la vecchiaia, con golezzo. Un servizio nasce sempre come risposta a un’esi- il peso dei suoi dolori e sofferenze, ma anche con la liberagenza del territorio: coinvolgere la comunità attraverso di- zione dall’ansia di non farcela. versi strumenti è compito essenziale per una Caritas atCasa Emmaus e il centro d’ascolto insegnano che c’è tenta non solo al proprio “bisogno di dare”, ma a far sì che fame di relazioni, anche minime, anche poche parole da il bisogno di “qualcuno” trovi accoglienza da parte di tutti. scambiare, un piccolo contatto fisico, un gesto di accoglienza. La fase della verifica e della rilettura del territorio può far cogliere i mutamenti nei bisogni di persone che L’attenzione all’altro L’appartamento di Filippo è frutto anche dello stimolo sor- appaiono incancrenite nella loro condizione: si tratta di to dalla collaborazione con la Caritas diocesana, attraverso continuare, ai diversi livelli, a lavorare insieme e a interroil centro di ascolto diocesano. É diventato occasione di garsi sul proprio operato e sui bisogni che si presentano. confronto, scambio, progettualità: Fondazione Comunità Alle comunità dell’unità pastorale San Francesco – San Servizi onlus (ente gestore per Caritas) e unità pastorale Lorenzo si prospetta la sfida di creare rete, relazioni quotihanno collaborato intensamente per l’elaborazione del diane, contatti di buon vicinato, porta a porta: è il cammiprogetto, l’avvio e la gestione dell’appartamento. Casa Em- no della carità, che non smette mai di interpellare e di maus ospita al massimo quattro persone, selezionate dal proporre percorsi di vita ecclesiale. ilippo ne ha passate tante nella sua vita: un matrimonio fallito, un’attività commerciale tracollata in pochi mesi, l’età vicina, ma non troppo, alla pensione, un carattere non facile, orgoglioso, logorroico, “da commerciante”. Ha trovato accoglienza a Casa Emmaus, un appartamento messo a disposizione dall’unità pastorale delle parrocchie di San Lorenzo e San Francesco da Paola, nella zona popolare di Savona, dove opera anche un piccolo centro di ascolto parrocchiale, simile a un centro di distribuzione: si danno pacchi viveri, abiti usati F 6 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 Italia Caritas le notizie che contano Per ricevere il nuovo Italia Caritas per un anno occorre versare un contributo alle spese di realizzazione, che ammonti ad almeno 15 euro. A partire dalla data di ricevimento del contributo (causale ITALIA CARITAS) sarà inviata un’annualità del mensile. un anno con Italia Caritas Nel 2004 abbiamo cambiato veste. Da allora abbiamo migliorato sempre. Contenuti incisivi. Opinioni qualificate. Dati capaci di sondare i fenomeni sociali. Storie che raccontano l’Italia e il mondo. Un anno a 15 euro, causale “Italia Caritas” L E G G I L A S O L I DA R I E T À , S C E G L I I TA L I A CA R I TA S Per contribuire • Versamento su c/c postale n. 347013 • Bonifico una tantum o permanente a: - Banca Popolare Etica, piazzetta Forzaté 2, Padova Cin: S - Abi: 05018 - Cab: 12100 conto corrente 11113 - Iban: IT23 S050 1812 1000 0000 0011 113 Bic: CCRTIT2T84A - Banca Intesa, piazzale Gregorio VII, Roma Cin: D - Abi: 03069 - Cab: 05032 conto corrente 10080707 - Iban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707 Bic: BCITITMM700 • Donazione con Cartasì e Diners, telefonando a Caritas Italiana 06.54.19.21 (orario d’ufficio) Cartasì anche on-line, sui siti www.caritasitaliana.it (Come contribuire) www.cartasi.it (Solidarietà) Per informazioni Caritas Italiana viale F. Baldelli 41, 00146 Roma tel 06.54.19.22.02 - fax 06.54.10.300 e-mail [email protected] nazionale ROMANO SICILIANI dossier immigrazione INTEGRAZIONE SUI BANCHI Nelle scuole italiane i bambini stranieri sono ormai 425 mila, 1 ogni 20 studenti. E uno dei dati del 16° Dossier Caritas-Migrantes TRE MILIONI DI IMMIGRATI, È L’ITALIA ARCOBALENO di Delfina Licata Presentato il sedicesimo Dossier immigrazione Caritas-Migrantes. Ormai più del 5% dei residenti nel nostro paese sono stranieri. Dati su demografia, lavoro, casa, istruzione. Appello trasversale alla politica 8 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 ono poco più di 3 milioni gli stranieri soggiornanti in Italia, secondo i dati registrati dal ministero dell’interno alla fine del 2005 e il numero dei minori e dei permessi di soggiorno in corso di registrazione. Il superamento della soglia dei 3 milioni è l’elemento centrale – ma anche il punto di partenza per altre, approfondite analisi – del sedicesimo Rapporto elaborato dal Dossier statistico immigrazione Caritas-Migrantes, presentato il 25 ottobre a Roma (alla presenza, tra gli altri, del presidente del consiglio, Romano Prodi) e in contemporanea in altre quindici città d’Italia. S Cento redattori, 512 pagine, 59 capitoli: l’edizione 2006 del Rapporto, realizzato in collaborazione con organizzazioni internazionali, enti pubblici e associazioni, è strutturata in cinque parti (contesto internazionale ed europeo delle migrazioni, stranieri soggiornanti in Italia, inserimento socio-culturale, mondo del lavoro, contesti regionali) e completata da una parte statistica (con schede regionali e tabelle provinciali) e un inserto sui rifugiati curato dall’Acnur. Lo slogan scelto quest’anno dai curatori del Rapporto è “Al di là dell’alternanza”: sottolinea che la sensibilità al fenomeno della mobilità di uomini deve porsi al di sopra delle vicende politiche contingenti e non deve dipendere dall’avvicendamento, nel quadro politico nazionale, di governi di impostazione diversa. Come di consueto, la ricchezza del Dossier è costituita dai suoi molti dati, aggiornati e ragionati. Dal Rapporto si apprende dunque che in Italia vi è un immigrato ogni 19 residenti e che l’incidenza degli immigrati sulla popolazione residente ha raggiunto il 5,2%. Al nord e al centro è immigrato un residente ogni 14 persone, ma gli immigrati sono diffusi in tutto il paese, seppure in maniera differenziata: nord 59,5%, centro 27%, meridione 13,5%. La tendenza in atto privilegia l’espansione al di fuori dei comuni capoluogo, perché i centri della cintura soddisfano meglio le esigenze abitative dei nuovi venuti. Le 12 mila case acquistate a Roma e le 9.900 a Milano nel 2005 lo sono state in prevalenza in comuni periferici. Roma e Milano si confermano “capitali dell’immigrazione”, ospitando l’11,4% e il 10,9% della popolazione straniera in Italia. In Lombardia e nel Lazio vi è un immigrato ogni 13 residenti. Ma il trend lascia intendere che, entro breve, il primato di Roma, detenuto fin dall’arrivo dei primi immigrati in Italia, verrà scalzato da Milano. La maggioranza dei permessi di soggiorno rilasciati ha carattere stabile: 9 immigrati su 10 sono presenti per lavoro e per motivi di famiglia; tra le giustificazioni del rilascio, se ne aggiungono altre (motivi religiosi, residenza elettiva, motivi di studio) che denotano una certa tendenza alla stabilità. In prevalenza cristiani Dal Dossier 2006 emerge che le donne straniere sono più prolifiche: hanno in media 2,4 figli, rispetto all’1,25 delle donne italiane. Il contributo degli immigrati al mantenimento del livello della popolazione residente, altrimenti pregiudicato dal prevalere delle morti sulle nascite, è dunque fondamentale. I nuovi nati da genitori entrambi stranieri sono stati, nel 2005, ben 52 mila: incidono per il 10% Non è una tela di Penelope che la politica può tessere e disfare L’immigrazione è divenuta “fenomeno sociologico” in Italia solo a partire dagli anni Novanta quando, in seguito alla regolarizzazione disposta dalla legge Martelli, ci si accorse che le migliaia di cittadini stranieri giunti nel nostro paese senza una regolamentazione erano qui per un progetto di vita stabile. L’Italia divenne così, nel panorama internazionale, una meta per le migrazioni dai paesi in via di sviluppo, mentre nei decenni precedenti aveva costituito una scelta secondaria, dove transitare per andare in altri paesi. A favorire tale processo contribuirono anche mutamenti nella struttura economico-sociale: l’andamento demografico negativo e il fabbisogno di manodopera in determinati settori. Ma gli anni Novanta, in Italia, sono stati anche quelli della cosiddetta “seconda repubblica”: è stato introdotto il sistema bipolare dei due schieramenti che, se ha esplicato effetti positivi a livello politico, ha determinato conseguenze estremamente negative per quanto riguarda la politica migratoria. Come evidenzia l’introduzione al Dossier 2006, è invalsa l’abitudine, seppure non tra tutti i partiti e non tra tutti gli uomini politici, di accomunare l’apertura all’immigrazione a una mancanza di prudenza, a una impostazione politica approssimativa e, sul piano socio-culturale e religioso, a una mortificazione delle nostre tradizioni. Fattore che minaccia di condurci a un futuro societario disastroso. L’immigrazione non è una nuova tela di Penelope che, tessuta da uno schieramento politico, debba essere disfatta dal successivo: ciò mortificherebbe le ragioni di fondo di un fenomeno di dimensioni mondiali. Sugli aspetti da condividere, al di là dell’appartenenza partitica, bisogna imparare a essere concordi, seppure attraverso l’impegnativa mediazione delle decisioni concrete. I numeri raccolti nel Dossier 2006 sono di grande aiuto per trovare un giusto orientamento: l’introduzione di Caritas e Migrantes indica una serie di punti che potrebbero preludere a un’evoluzione positiva. Le parole d’ordine da far valere sono diverse da quelle che talvolta si ripetono: non paura, ma razionalità; non invasione, ma convivenza; non scontro tra le religioni, ma dialogo; non emarginazione, ma partecipazione; non estraneità, ma cittadinanza. É la necessità del nostro paese, è lo spirito e lo slogan cui si ispira il Dossier Caritas-Migrantes. Guerino Di Tora direttore Caritas Roma, comitato di presidenza Dossier statistico I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 9 nazionale dossier immigrazione sul totale delle nuove nascite. Il 52,7% del totale degli immigrati in Italia è sposato, anche se non tutti sono riusciti a far venire i figli in Italia. Gli immigrati sono in eguale misura uomini e donne; si tratta in prevalenza di giovani tra i 15 e i 44 anni. Il loro peso è costantemente crescente nel mercato del lavoro: ogni 10 occupati in Italia, uno è nato in paesi extraeuropei. La nuova società interculturale italiana si prospetta, quanto a composizione, molto variegata. Ogni 10 presenze straniere, 5 sono di europei (in prevalenza dell’est), 2 di africani, 2 di asiatici, 1 americano. Quanto alle fedi religiose, la cristiana è nettamente prima (1,5 milioni di fedeli, i cattolici sono 660 mila e altrettanti gli ortodossi); seguono i musulmani (1 milione di fedeli) e i fedeli delle religioni orientali (tra 50 e 100 induisti e buddisti); 350 mila risultano invece non classificabili o non credenti. Nella scuola dell’obbligo italiana, inoltre, studiano 425 mila figli di immigrati; aumentano ogni anno, in maniera sempre più accelerata, tanto che ormai 1 iscritto su 20 è immigrato. È invece ancora ridotto il numero di studenti stranieri iscritti nelle nostre università (nel 2004 erano 38 mila su 2,3 milioni, pochi rispetto al 10-12% di Gran Bretagna, Germania e Francia); sono carenti anche le borse di studio per studenti dei paesi in via di sviluppo. Le immatricolazioni di stranieri nell’anno accademico 20042005 sono state 8.758, i laureati 4.438. Consumatori dinamici Sul versante economico, gli immigrati hanno un atteggiamento realistico, ma nello stesso tempo collaborativo: si tratta di persone che devono operare in condizioni disagevoli, ma riescono a superarle, dimostrandosi componente dinamica nel mercato del consumo. Il 91% degli immigrati ha il cellulare, l’80% possiede il televisore, il 75% invia rimesse in patria, il 60% ha un conto in banca, il 55% un’auto (gli stranieri incidono per il 5,3% sul totale delle patenti – i “patentati” sono 1.890.000, 330 mila nuovi nel 2005 –, e rappresentano or- Nuove norme sull’ingresso, il governo non ignori la priorità Le politiche migratorie in Italia continuano a essere centrate sull’emergenza. Ma con la legge attuale i flussi irregolari appaiono un fenomeno inevitabile… di Oliviero Forti L I TA L I A C A R I TA S | Ripartizione territoriale immigrata [ VALORI IN %] Sud 9,0 NOVEMBRE 2006 desiderosi di lavoro e una vita migliore. Foggia, Lampedusa, Gradisca: luoghi che evocano fatti drammatici, che ci pongono davanti all’interrogativo su come innescare un reale processo di inclusione dei migranti. Certamente molto è stato fatto e i dati lo confermano, ma la strada verso un meccanismo di inclusione istituzionalizzato sembra ancora lunga. Fino a che si pensa solo ad accogliere, più che a includere; fino a quando dovremo fare i conti con una politica centrata quasi esclusivamente sull’emergenza, non potremo definirci un vero paese di immigrazione, ma un paese con molti migranti. cialmente nel centro-nord. Le denunce sono venute per lo più dagli africani (37,6%), per i quali fa da catalizzatore il colore della pelle. Le discriminazioni colpiscono vari aspetti della vita quotidiana, ma in prevalenza riguardano lavoro (28,4%, con aspetti riguardanti l’accesso al mercato e il mobbing) e accesso agli alloggi (20,2%). Il 40% degli italiani ritiene che gli immigrati siano maggiormente coinvolti nelle attività criminali, un atteggiamento ostile non del tutto corrispondente alle statistiche. Tra le 549.775 denunce (dato 2004) presentate contro persone note, la quota dei cittadini stranieri, per lo più irregolari, è stata del 21,3% (117.118 denunce), con valori più elevati in diverse città del nord e il 40% a Bologna, Verona, Firenze e Padova. I reati più ricorrenti sono contro il patrimonio (un terzo del totale) e la persona (un quinto del totale). Per alcune nazionalità (albanesi, per esempio) le denunce sono in diminuzione, per altre (rumeni) in aumento. Dei 20 mila detenuti stranieri hanno beneficiato del recente indulto più di un terzo (7.709 reclusi). Il problema della sicurezza è innegabile e preoccupa gli stessi cittadini stranieri, ma non autorizza a trasformare gli immigrati della porta accanto in delinquenti. Tanto più che, in ogni caso, i regolari incidono solo per un decimo sulle denunce presentate. Lavoratori extracomunitari occupati per regione [ VALORI IN %] Provenienza continentale [ VALORI IN %] Non attribuiti 9,9 Isole 3,2 Nord Ovest 34,1 Isole 2,4 Sud 8,2 UE 10,2 Nord Ovest 31,4 Asia orientale 9,2 Oceania 0,1 America 10,6 Altri paesi asiatici 8,2 Nord Est 26,9 Centro 20,9 Centro 26,8 a fotografia che il Dossier ci consegna mostra ancora una volta un’immigrazione verso l’Italia dai contorni non completamente definiti e dalle tinte forti, non di rado contrastanti. Cresce il numero dei regolari, cresce il numero dei cittadini stranieri soggiornanti di lungo periodo, aumentano i minori nelle scuole italiane; non aumenta, però, la qualità del loro inserimento. La cronaca recente è stata generosa di avvenimenti con protagonisti immigrati trattati alla mercè di schiavi e assoggettati alle regole della malavita, che lucra sul destino di individui 10 mai un quarto degli iscritti alle scuole guida), il 22% possiede un personal computer. La casa è invece da sempre un problema spinoso. Circa il 12-15% degli immigrati lo ha risolto, diventando proprietario dell’immobile in cui abita. Secondo la stima più alta, i proprietari sono 506 mila; di essi, 116 mila hanno acquistato un alloggio nel 2005 (il 14,4% degli acquirenti totali, ma addirittura il 20% a Roma). Il 72% degli stranieri vive invece in case in affitto. Ben 8 immigrati su 10 pensano di aver migliorato la propria vita in seguito all’arrivo in Italia. Questo, nonostante rimangano deficitarie le condizioni di insediamento e di partecipazione: 6 su 10 vorrebbero avere il diritto di voto, mentre per 1 su 5 la maggiore preoccupazione consiste nel trovare casa e lavoro, esigenze confermate da quanti si recano ai centri d’ascolto Caritas (reddito e lavoro, in 6 casi su 10, quindi l’alloggio, 3 casi su 10, sono le angosce principali). Perdurano, poi, le lamentele nei confronti della lunghissima procedura per acquisire la cittadinanza. Motivi di insoddisfazione riguardano non solo normative o uffici pubblici, ma anche l’ambito sociale. Nel 2005 sono stati segnalati all’Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali 867 casi di discriminazioni, concentrati spe- Alleggerire i requisiti Negli ultimi anni abbiamo assistito a una politica migratoria restrittiva, la cui sola preoccupazione è stata contenere i flussi irregolari, attraverso l’attività di contrasto e fissando paletti sempre più rigidi all’ingresso regolare nel nostro paese. Risultato? Flussi irregolari e mercato del lavoro nero hanno continuato a prosperare. L’incapacità di comprendere che la questione non si risolve attraverso un rigido contenimento, ma va affrontata con strumenti di reale flessibilità, è forse il dato più preoccupante. Altri paesi africani 7,2 Nord Est 27,2 Altri paesi europei 38,6 Nord Africa 15,9 Una legge che colpisce chi intende arrivare e lavorare regolarmente in Italia fa il gioco di chi vede nello sfruttamento degli immigrati irregolari il business del ventunesimo secolo. E non si tratta di intervenire con norme persecutorie, ma con un sano realismo, che induca ad accogliere e includere coloro che legittimamente aspirano a costruirsi un futuro tra noi. Quanto prima si interverrà su questo fronte, tanto più veloci ed efficaci saranno i risultati. È inaccettabile che, per raggiungere l’Italia e lavorarvi onestamente, si debba affrontare una trafila come quella prevista dall’attuale I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 11 nazionale dossier immigrazione normativa. Le necessità legate alla sopravvivenza spingono molti a eludere la legge e ad entrare: scelta non giustificabile, ma comprensibile, tanto poi il modo per ottenere un permesso di soggiorno si trova, magari presentando domanda nell’ambito dei flussi annuali. Certo, la legge dice che la domanda dovrebbe farla il datore di lavoro e che il lavoratore dovrebbe trovarsi all’estero: ma nel frattempo chi mantiene la famiglia? E se la domanda di ingresso rimane ferma nei meandri della pubblica amministrazione per mesi, come non sentirsi legittimati ad adottare tutti i sistemi possibili, pur di lavorare e tirare avanti? I centri Caritas sono quotidianamente investiti da richieste di italiani che vogliono sapere come regolarizzare i preziosi lavoratori immigrati già presenti. La risposta purtroppo è sempre la stessa: non è possibile! Su questi nodi ci attendiamo quanto prima un intervento da parte del nuovo governo. Ben venga la riforma della legge sulla cittadinanza. Ben venga il superamento del vigente sistema dei centri di permanenza temporanea. Ma finché non si interverrà sul sistema di ingresso regolare in Italia, alleggerendo i requisiti necessari, avremo un sistema zoppo, una casa senza fondamenta. Sfruttati nei campi di Puglia: «Aiutiamo i nuovi servi della gleba» I raccoglitori stagionali di pomodori e uva sono costretti a condizioni di vita e lavoro inumane. Con altri soggetti, Caritas Cerignola cerca di non lasciarli soli di Pietro Gava L’ 12 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 sessiva: “Tu sei mio, quindi io posso fare di te qualsiasi cosa”. Non è un azzardo affermare che gli immigrati stagionali sono come i servi della gleba nel Medio Evo». Subire per continuare a lavorare Ma c’è chi non si rassegna a questo stato di cose. Dal 2001 la cooperativa sociale Pietra di scarto (che con i suoi volontari conduce le attività del centro di ascolto della Caritas diocesana a Cerignola) rappresenta un’efficace antenna per rilevare i bisogni e individuare le aree in cui intervenire. Anche grazie al sostegno di Medici senza frontiere e alla sensibilità dimostrata da Asia, l’azienda idrica locale, quest’anno ha installato sei cisterne da duemila litri in contrada Tre Titoli. «Sono riempite due volte a settimana – spiega Pietro Fragasso, presidente della cooperativa –. Abbiamo deciso di portare l’acqua in quella zona, dove molti alloggi di fortuna sono occupati soprattutto da africani, perché molti stranieri vivono in condizioni di miseria e bevono acqua non potabile o inquinata dai prodotti utilizzati in agricoltura». Piccoli grandi gesti di attenzione, che non cancellano un panorama di drammi quotidiani. «Gli immigrati – continua Fragasso – guadagnano 2 euro e mezzo ogni cassone di pomodori e 3 euro e mezzo l’ora per raccogliere l’uva. Sono rassegnati a essere sfruttati, lamentarsi significherebbe non avere più la possibilità di lavorare. Purtroppo, lo sfruttamento non riguarda solo le campagne, ma anche le fabbriche, che si assicurano ROMANO SICILIANI ondata delle migliaia di immigrati per i lavori stagionali. Il clamore per le inchieste giornalistiche. La girandola di arresti di caporali e sfruttatori. È un ciclo che si chiude quasi ogni due anni. Questa estate, dopo la pubblicazione sull’Espresso di un’agghiacciante inchiesta firmata da Fabrizio Gatti, la storia si è ripetuta. Fondata su un’evidenza: il crocevia di umiliazioni e soprusi in cui si trasforma, ogni anno, la raccolta dei pomodori e dell’uva nelle campagne di Cerignola, in provincia di Foggia. Così la Caritas diocesana di Cerignola, la cooperativa Pietra di scarto e Medici senza frontiere hanno unito le forze. «Lavoriamo per abbattere i muri della diffidenza e costuire una convivenza solidale pacifica, che porti a una piena integrazione degli stranieri». Don Pasquale Cotugno, direttore della Caritas diocesana pugliese, dichiara subito l’obiettivo. Ma non nasconde quanto la strada sia ardua: «In questa terra, lo straniero è come un elettrodomestico. I miei compaesani spesso vengono a chiedermi personale da impegnare nelle case con un preciso identikit, come se dovessero indicare le caratteristiche di un prodotto e acquistarlo al supermercato. Nei campi la situazione non cambia, anzi molti contadini giustificano lo sfruttamento affermando che gli stranieri non pagano le tasse, mentre loro hanno le spese. Insomma, un motivo come un altro per mettere a posto la coscienza. La relazione tra datore di lavoro e dipendente straniero è al tempo stesso superficiale e pos- COME NEL MEDIO EVO Raccoglitori stagionali di pomodori. Nella provincia di Foggia si calcola che siano circa seimila ogni anno, di cui tremila irregolari. Vivono in condizioni terribili, se protestano vengono addirittura eliminati: l’ambasciata polacca denuncia la scomparsa, negli ultimi anni, di 119 connazionali manodopera in nero con estrema facilità…». La Pietra di scarto e Medici senza frontiere hanno anche aperto un campo a Borgo Libertà, in una ex scuola elementare resa disponibile dal comune. «La cooperativa distribuisce alimenti e vestiario. Ma fornisce anche assistenza legale gratuita – spiega Fragasso –, aiutando in particolare chi chiede asilo politico e gli immigrati detenuti in carcere in attesa di giudizio. Medici senza frontiere ha attivato un ambulatorio medico (i malanni dovuti alla cattiva alimentazione sono frequenti) e uno sportello sociale». Come dire: non tutto è sfruttamento. Anche se l’immagine che l’Italia dà di sé, nei campi attorno, è un concentrato di crudeltà. Imparare l’italiano a distanza, in Piemonte integrazione on line Apprendere la lingua italiana. Primo passo lungo la strada di un’integrazione senza traumi. La lingua è lo strumento principale per socializzare, conoscere i servizi del territorio, lavorare al meglio, avvicinarsi alla cultura del paese ospitante. Ecco perché l’Università di Torino (membro del consorzio Icon – Italian Culture on the Net, composto da 23 università italiane), le Caritas diocesane della provincia di Cuneo e l’ufficio Migrantes di Torino hanno proposto ai cittadini stranieri residenti in Piemonte un’opportunità formativa estremamente innovativa. Si tratta di corsi di italiano on line, gratuiti e di vario livello (elementare, intermedio, avanzato, oltre a corsi specialistici di italiano scritto e tecnico per aziende, uffici e banche), fruibili sia in aule di informatica con tutoraggio, ma anche altrove, a scelta del partecipante, senza limiti di spazio e di tempo. Terminato il modulo scelto, Icon rilascia un attestato di certificazione a livello universitario, nel caso i partecipanti superino un esame finale. La sessione pilota dell’innovativa proposta, con la partecipazione dei primi corsisti, ha preso avvio a settembre, sebbene l’Università di Torino abbia già utilizzato con successo i corsi Icon, in particolar modo per la formazione degli studenti stranieri che, prima ancora di partire dai luoghi d’origine, in passato hanno scelto di trascorrere un periodo di studio nell’ateneo torinese. Le Caritas diocesane della provincia di Cuneo e la Migrantes di Torino, per sensibilità ed esperienza, hanno subito compreso la valenza della proposta; sovente, infatti, per i più disparati motivi gli immigrati, seppur detentori di un elevato livello di istruzione, “rinunciano” ad acquisire una buona padronanza della lingua italiana. La nuova opportunità può dunque rappresentare un’importante credenziale per recuperare e far valere competenze e professionalità che generalmente la migrazione fa passare in secondo piano. Gli attori del progetto sono convinti che l’impegno per (ri)costruire un tessuto sociale sempre più plurale debba passare anche tramite azioni concrete e facilmente spendibili. La lingua, fondamento di ogni relazione, diventa anche base dell’integrazione. Per consentire un futuro da cittadini, rispettoso della dignità umana e realmente prodigo di opportunità. Alessandro Bergamaschi I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 13 nazionale nazionale ESPATRIATI IN OGNI DOVE, IL NOSTRO BIGLIETTO DA VISITA di Maria Paola Nanni redazione Rapporto italiani nel mondo ono oltre tre milioni i cittadini italiani residenti all’estero, mentre la comunità degli oriundi italiani supera i 60 milioni di persone. A una più puntuale conoscenza di questa composita realtà è dedicato il Rapporto italiani nel mondo 2006, promosso dalla Fondazione Migrantes, con il sostegno di un comitato promotore composto da Acli, Inas-Cisl, Mcl e Missionari Scalabriniani e l’apporto redazionale dell’équipe del Dossier statistico immigrazione Caritas-Migrantes, e presentato a Roma all’inizio di ottobre. Da venti anni ormai non era più disponibile, neanche per la cerchia ristretta degli addetti ai lavori, una pubbli- no in Germania e in Venezuela. Il primo è il paese che ospita il più alto numero di cittadini italiani residenti (533.327, il 17,2% del totale dei nostri concittadini espatriati), il secondo rende conto in modo emblematico delle difficoltà che gli italiani residenti in America Latina (nel complesso circa 760 mila persone) devono fronteggiare, in seguito a crisi economicosociali più o meno recenti. cazione che analizzasse in modo orNell’insieme il Rapporto fotograganico la realtà degli italiani nel fa in modo completo, fruibile e agGli oriundi italiani mondo, partendo dalla raccolta e giornato una realtà estremamente nel mondo sono più dalla presentazione dei dati statistici eterogenea, ma resa in qualche modi 60 milioni. di riferimento. Il Rapporto risponde do uniforme da quel senso di apparI nostri concittadini all’esigenza di colmare questa lacuna tenenza all’Italia che è sempre molall’estero 3 milioni. conoscitiva e di restituire visibilità alto forte tra gli italiani all’estero e che Dopo vent’anni, le collettività italiane all’estero, valosollecita risposte adeguate. La racun Rapporto torna ad rizzandone le potenzialità all’interno colta e la sistematica esposizione dei analizzare il fenomeno. dell’attuale mondo globalizzato. Indati è quindi funzionale anche a una Che rappresenta più attenta valutazione delle problefatti, pur ripercorrendo le fasi storiun’importante risorsa che più importanti dell’emigrazione matiche in campo, indispensabile promozionale per l’Italia italiana, il Rapporto si concentra soper calibrare le decisioni politicoprattutto sull’oggi. amministrative e attivare un frutAttraverso la presentazione di informazioni che tra- tuoso percorso di sensibilizzazione, in Italia e all’estero. scendono il piano statistico, l’opera affronta, in modo Obiettivo dell’iniziativa è promuovere, in un ottica di semplice e rigoroso, gli aspetti più importanti che ca- partecipazione e reciprocità, il ruolo degli emigrati per ratterizzano l’attuale realtà degli italiani nel mondo: dai la promozione dell’immagine dell’Italia nel mondo. Noflussi annuali all’insediamento nei contesti nazionali, nostante i tanti problemi messi in luce all’interno delle dall’evolversi della rete associativa alle problematiche 352 pagine, il Rapporto predispone all’ottimismo: abassistenziali e previdenziali, dalle migrazioni qualificate biamo all’estero una vasta rete di persone che studiano all’imprenditoria italiana all’estero, dal voto alle elezio- la nostra lingua, che commercializzano prodotti made ni politiche dello scorso aprile alla diffusione della lin- in Italy, che sono legati indissolubilmente alle tradiziogua e cultura italiana nel mondo. ni italiane e all’amore per il belpaese. Sollecitando nei loro confronti una maggiore attenzione da parte della Calibrare le decisioni società italiana, l’indagine sottolinea dunque il “valore Ci sono poi approfondimenti dedicati a situazioni parti- aggiunto” che gli italiani all’estero rappresentano per la colari. Nel primo numero del Rapporto si guarda da vici- valorizzazione del nostro paese, sia sul versante econono alle condizioni di vita e di lavoro degli italiani che vivo- mico-produttivo che su quello culturale e sociale. S 14 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 servizio civile OBIETTORE DIRETTORE: «COSÌ CAMBIA IL SERVIZIO» ELENA GAGLIARDI dall’altro mondo Intervista a Diego Cipriani, vent’anni in Caritas, da agosto alla guida dell’Ufficio nazionale servizio civile. «L’organizzazione si evolve, la radice è la stessa: coniugare pace e giustizia al servizio da cittadini per il nostro paese» di Ettore Sutti VERTICE E BASE l consiglio dei ministri lo ha nomi- Diego Cipriani, nuovo In questa sfida è fondamentale avere ben dell’Unsc. A destra nato nel cuore dell’estate. E così lui capo presente cosa significa lavorare a stretto volontaria Caritas in un ha posto fine, in agosto, a una mili- centro anziani anziani contatto con i giovani. È un’esperienza che tanza in Caritas che durava dagli ho potuto maturare dal 1990, quando ho asanni Ottanta. Prima obiettore di coscienza per la sunto il ruolo di responsabile per il servizio civile di Caritas Caritas diocesana di Bari-Bitonto, Diego Cipriani Italiana. In dieci anni ho incontrato migliaia di obiettori e è stato responsabile dal 1990 al 1999, per Caritas questo mi ha fatto bene. Anche il mio servizio da obiettoItaliana, dell’Ufficio servizio civile; poi si è occupato del- re rappresenta oggi un valore aggiunto, nonostante il serl’Ufficio per la ricostruzione storica di obiezione di co- vizio civile durante gli anni si sia modificato. scienza e servizio civile, dal 2005 curava il progetto dell’Osservatorio sui conflitti dimenticati. Oggi è il nuovo direttoLo spirito dell’obiezione era premessa necessaria, nere dell’Ufficio nazionale per il servizio civile (Unsc), la gli anni ’70 e ’80, dell’impegno di servizio. Cosa fare, struttura da cui dipendono organizzazione e gestione del oggi, per evitare che i giovani concepiscano il servizio servizio civile in Italia. E spiega come intende fare tesoro, civile come mero arricchimento del curriculum? nel nuovo incarico istituzionale, del suo dna di obiettore. A dire la verità non vedo grosse differenze con il passato. I rischi si correvano anche con gli obiettori, alcuni dei quali Diego Cipriani, da obiettore a direttore Unsc. Del pa- erano più interessati a cercare una bella esperienza di sertrimonio di motivazioni ed esperienze maturato in vizio che a viverla con il giusto impegno. Credo, semplicedue decenni di Caritas, che cosa sarà più prezioso per mente, che occorra recuperare le radici profonde del seril nuovo incarico? vizio civile volontario, le stesse del servizio civile degli I I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 15 nazionale servizio civile Veniamo all’attualità. Stanno per essere presentati i nuovi progetti per il 2007. Dalla Finanziaria temete sorprese negative? A prescindere da come saranno definiti i capitoli di bilancio nella prossima Finanziaria, è evidente che esiste un problema. L’unico dato certo è che la richiesta di servizio civile, sia da parte degli enti sia da parte dei giovani, supererà le risorse che lo stato può mettere in campo. Una differenza che, temo, sarà impossibile far scomparire. Il ministro della solidarietà sociale ha fatto sapere che intende privilegiare alcuni enti, quelli del terzo settore, e alcuni settori di servizio, come l’assistenza. Qual è l’orientamento dell’Ufficio nazionale? Si tratta di semplici indirizzi su cui dovremo lavorare, anche proponendo modifiche all’attuale sistema, che non Servizio civile obbligatorio: c’è una proposta di legge depositata alla Camera. È un tema ancora in agenda per la politica e per l’Ufficio nazionale? Questo argomento deve essere inserito nel dibattito politico; solo la politica è in grado di decidere ed eventualmente di dare gambe a un’iniziativa del genere. Di servizio civile obbligatorio si sta parlando un po’ in tutta Europa; Nicolas Sarkozy, candidato di centrodestra alle presidenziali francesi, ha inserito nel proprio programma l’istituzione del servizio civile obbligatorio per tutti i giovani del suo paese. Ma in Italia il dibattito in materia stenta a decollare. prevede scelte preferenziali di tipologie o aree di intervento. Dovremo attrezzarci per poter fare certe scelte, ma allo stato attuale non esistono indicazioni su come procedere. La recente vicenda del Libano ha riproposto la questione dei corpi civili di pace e della difesa popolare nonviolenta. È una discussione anacronistica? Una riflessione su questi temi appare oggi necessaria. Non solo perché nel mondo i conflitti continuano a essere una triste realtà, ma anche, ed è sempre più evidente a tutti, perché l’uso delle armi non è in grado di risolverli. Il semplice intervento di interposizione armata può essere utile per fermare un conflitto o per congelarlo per qualche periodo, ma appare incapace di generare processi di pace duraturi e condivisi. Questa è la scommessa che il mondo nonviolento deve raccogliere, cercando di offrire contributi che, se non risolutivi, aiutino a ricostruire una coscienza civile dopo un conflitto. Presso l’Ufficio nazionale esiste un comitato per la consulenza alla difesa civile non armata e nonviolenta. Il servizio civile può essere un modello di risoluzione alternativa dei conflitti. Il coraggio di Monica, un anno da rom con i rom Come procede la regionalizzazione del servizio civile? Come giudica la stesura delle leggi regionali sul servizio civile? Le leggi regionali – attualmente ce ne sono solo cinque – sono uno strumento importante, soprattutto per i vantaggi che possono dispiegare in ambito territoriale. Ne è un esempio la possibilità che si costituiscano consulte per il servizio civile regolate da leggi regionali, quindi molto più tagliate “a misura” della realtà in cui si deve operare. Ma ELENA GAGLIARDI obiettori di coscienza di cui è figlio. Anche oggi il servizio civile deve, o almeno dovrebbe, saper coniugare la pace e la giustizia all’impegno personale da cittadino nel nostro paese. Non è una ricetta, è una buona pista da seguire. Volontaria in servizio civile con una ragazza rom, residente in un campo seguito dalla Caritas a Milano di Generoso Simeone M 16 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 sione di dare una svolta a questo percorso di precarietà. La ragazza ha aderito con entusiasmo all’idea di svolgere il servizio civile in Caritas, ma non sono pochi i problemi che deve affrontare, legati soprattutto alle resistenze culturali della famiglia e della comunità d’origine. Monica ha saltato la prima settimana di formazione per giovani volontari, in una struttura distante una ventina di chilometri da Frosinone. Era obbligatoria, ma la cultura rom considera un disonore trascorrere la notte lontano dalla propria famiglia e soprattutto la madre si è impuntata, temendo che la figlia potesse essere lasciata dal fidanzato e restare senza marito per tutta la vita. Gli operatori Caritas e gli assistenti sociali del comune avevano tentato una mediazione, dandole la possibilità di fare avanti e indietro ogni giorno da casa al luogo della formazione. Ma la mam- Il bando di giugno ha accreditato come “service” enti che hanno un ruolo di “intermediazione” per conto degli enti pubblici. Ciò è andato a scapito di molte associazioni storiche, creando non pochi malumori… Nel corso degli anni il sistema si è andato sempre più articolando. La prima circolare sugli accreditamenti, nel 2001, era più scarna della regolamentazione attuale. In ogni caso l’Unsc e i suoi referenti istituzionali intendono garantire un servizio civile sempre più di qualità e inserito nei contesti territoriali. In futuro, grazie anche al fondamentale supporto delle regioni, dovremo privilegiare un collegamento sempre migliore tra progettazione e territorio. CULTURE A CONTATTO Compiuti i 18 anni, ha ottenuto la cittadinanza italiana e chiesto di entrare in servizio civile con la Caritas di Frosinone. Per (e nonostante) la sua gente onica è nata in Italia. Ma la cittadinanza italiana l’ha ottenuta solo lo scorso aprile. I 18 anni le hanno consentito di effettuare subito anche la domanda per il bando del servizio civile volontario. Nuova nazionalità e nuove responsabilità: un bell’ingresso nell’età della ragione. Monica è una ragazza rom. Forse la prima rom in servizio civile in Italia. L’idea le è stata proposta dagli assistenti sociali del comune di Frosinone, che insieme alla Caritas diocesana seguono da tempo la sua famiglia. Lei abita con i genitori e quattro fratelli più piccoli in una casa popolare, alle spalle vicissitudini che hanno visto l’intero nucleo familiare passare per baraccopoli varie, poi per alloggi di fortuna. La famiglia proviene dai Balcani, ma risiede nella città ciociara da più di vent’anni. Ora lei ha l’occa- una legge regionale può anche concretizzare l’impegno che le regioni si sono prese, dall’inizio del 2006, di entrare come attori protagonisti nel sistema del servizio civile. È ancora presto per capire quale sia l’orientamento generale delle regioni, ma da un primo monitoraggio appare che, seppur con qualche eccezione, si stanno muovendo bene in ambiti delicati, come la costituzione degli albi regionali e l’accreditamento degli enti. ma ha mandato tutto a monte, facendo pervenire un certificato medico che dichiarava la figlia malata. Bambini sì, padri no Comunque Monica in servizio ci è entrata. Anche rispetto all’attività che dovrà svolgere non mancano i problemi. Si occuperà di minori, in particolare di accudimento dei bambini più piccoli, dai due ai sei anni. Dovrà recarsi nei campi nomadi di Frosinone, entrare in contatto con le famiglie dei piccoli e quindi anche con i loro padri, uomini poco più grandi di lei. Questo non va bene, non è accettato dalla famiglia né dalla comunità rom, perché viene considerato un disonore. Anche in questo caso occorrerà una mediazione: si farà in modo che le visite di Monica ai bambini non avvengano in presenza di uomini. Gli operatori Caritas e gli assistenti sociali del comune auspicano che gli sforzi fatti con la ragazza non siano penalizzati dalle resistenze della famiglia. Monica non è mai andata a scuola ed è praticamente analfabeta. Quando la domanda per il servizio civile fu avanzata non era affatto sicuro che la ragazza passasse il bando. Dovendo essere inserita in un progetto di cura rivolto a minori rom, sono state decisive l’esperienza e le competenze individuali, che in termini di punteggio hanno pesato molto. Ora i dodici mesi di servizio assicurano anche un piccolo stipendio, che rappresenta un’importante fonte di reddito per la famiglia. Il padre (apolide, mentre la madre è serba) non lavora, se non sporadicamente come commerciante ambulante. Ma per Monica conta soprattutto la possibilità di servire la sua gente, da cittadina italiana. L’anno da volontaria diventa un’occasione importantissima di formazione personale, di attenzione agli altri, di mediazione tra culture. Non sarà facile, ma davvero non è poco. I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 17 nazionale nazionale database esclusione politiche sociale sociali AI CENTRI D’ASCOLTO IL POPOLO DEI POVERI “CLASSICI” di Renato Marinaro ufficio studi e ricerche Caritas Italiana l sesto “Rapporto sulla povertà e l’esclusione sociale” di Caritas Italiana e Fondazione Zancan, intitolato Vite fragili e pubblicato a ottobre per Il Mulino, illustra tra le altre cose i dati relativi alle persone in difficoltà che, nei mesi di aprile e maggio 2005, si sono rivolte ai centri di ascolto collegati con le Caritas diocesane aderenti al “Progetto Rete” nazionale. I dati sono stati raccolti in 241 centri di 147 diocesi italiane (due terzi del totale) e si riferiscono alle principali caratteristiche anagrafiche, ai bisogni e alle richieste di 17.203 persone. I giunge il 72,1%, tra gli italiani il 60,3%. Altri tipi di problemi Un quinto degli utenti dei centri di ascolto (20,2%) è costituito da persone con gravi difficoltà abitative (senza dimora o in sistemazioni precarie). Anche in questo caso la differenza tra italiani e stranieri (rispettivamente, 17,4% e 21,9%) è sensibile, seppure meno marcata riSi tratta in maggioranza di cittadispetto ad altri aspetti. ni stranieri (63,6%), più della metà I tipi di bisogno maggiormente Nel sesto rapporto provenienti dall’Europa orientale rilevati sono quelli relativi ai probleCaritas-Zancan (51,9%) e poco meno di un quarto dal mi economici, che riguardano i due i dati 2005 del “Progetto continente africano (23,8%). Molto terzi degli utenti (67%); tali bisogni Rete”. Agli sportelli inferiori sono invece le quote di strasono strettamente connessi a quelli diocesani si rivolgono nieri provenienti dall’Asia (13,1%) e occupazionali e abitativi, già citati. soprattutto cittadini dalle Americhe (10,9%), mentre è Va comunque sottolineato che i stranieri. Hanno scarsissima quella di coloro che proproblemi economici riguardano gli caratteristiche diverse vengono dall’Oceania (0,3%). Va conutenti italiani in maggior misura ridagli italiani. Ma tutti siderato che quasi il 60% dei cittadini spetto a quelli stranieri (rispettivahanno problemi stranieri che si sono rivolti ai centri mente 74,6% e 62,5%). di lavoro, reddito e casa era in possesso di permesso di sogTra le richieste registrate dagli giorno, o in attesa di riceverlo. operatori dei centri di ascolto, spicDai dati risulta evidente che le caratteristiche dei cit- cano quelle relative a beni e servizi materiali (47,1% detadini italiani e dei cittadini stranieri differiscono in mo- gli utenti) e al lavoro (29,3%). Ma c’è anche una quota do piuttosto significativo e per diversi aspetti. Una pri- consistente di persone che richiedono esplicitamente ma forte differenza riguarda il livello di istruzione: solo sussidi economici (16,5%). Quest’ultimo tipo di richieil 15,6% degli utenti italiani è risultato in possesso alme- sta appare molto frequente tra gli utenti italiani (30,1%, no della licenza media inferiore, mentre tra gli stranieri contro l’8,7% degli stranieri), mentre le richieste di lavotale quota è del 45,7%. Viceversa, solo il 40,9% degli uten- ro sono molto più diffuse tra gli stranieri (35%, contro il ti stranieri vive con i propri familiari o con parenti (a 19,6% degli italiani). fronte del 60,5% di italiani), mentre la maggioranza vive L’elemento essenziale che emerge dall’analisi dai con conoscenti o soggetti esterni alla rete familiare, se dati raccolti è la persistenza di una povertà “classica”, lenon da solo. Va comunque tenuto presente che quasi un gata a problemi di lavoro, reddito e abitativi. Tutto ciò, terzo degli utenti italiani (31%) vive da solo. Un’altra dif- senza dimenticare altri tipi di problemi (familiari, relaferenza piuttosto marcata è relativa alla condizione la- zionali, sanitari, di istruzione, di dipendenza da sostanvorativa. Più dei due terzi degli utenti sono risultati di- ze, di detenzione o post-detenzione, disabilità), comunsoccupati (67,8%); ma tra gli stranieri tale valore rag- que presenti tra gli utenti dei centri di ascolto. 18 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 tendenze sociali Le Acli hanno discusso, nell’ultimo convegno nazionale, di un tema cruciale per le nostre società. La felicità non dipende da crescita e benessere materiale. E la politica deve investire sui “beni relazionali” e non monetari ROMANO SICILIANI RELAZIONI, NON CONSUMI COSÌ CI SCOPRIAMO FELICI di Andrea Olivero presidente nazionale Acli S e il convegno organizzato dalle Acli a Orvieto nel mese di settembre sul tema della felicità ha suscitato un così vasto interesse e un’eco positiva nell’opinione pubblica, forse è dovuto al fatto che siamo rimasti con i piedi per terra, confrontandoci sui problemi concreti della vita quotidiana. Infatti, un grande ostacolo alla felicità è quello di nascere da un’attesa troppo grande. La vera felicità è invece feriale, e sa gustare la gioia delle piccole cose, perfino il dettaglio, le sfumature. Pensiamoci bene: tante volte non riusciamo a essere felici perché diventiamo ingordi, insaziabili, vogliamo avere sempre di più, nella convinzione che solo quando arriviamo all’apice del continuo accumulare o del successo, allora sboccia la vera felicità! Niente di più falso. Non può far nulla per la felicità degli altri colui che non sa essere felice egli stesso. Solo se tu sei sereno e pa- cificato nello spirito, riuscirai a irradiare anche negli altri la luce della gioia, la letizia dell’anima e la festa della vita. Ma insieme alla felicità nelle piccole cose, è giusto sottolineare soprattutto la felicità che ci viene donata dalla relazione con gli altri. È infatti nella relazione il cuore della felicità. Accade però che nel nostro tempo le persone stiano ricercando il senso del vivere non attraverso la relazione con l’altro, ma attraverso l’acquisto e il consumo degli oggetti. Possiamo anzi dire che questa “legge del consumo”, che sembra dominare sulla nostra società, trova il suo alleato più forte nella fragilità identitaria degli individui. Più le identità sono deboli, più il ricorso all’acquisto compulsivo e compensativo delle merci diventa impellente. È invece ristabilendo il primato delle relazioni sulle cose che si restituisce alla realtà un ordine di verità e di priorità: la felicità non è data dalla quantità di beni maI TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 19 nazionale tendenze sociali viduo isolato come una monade solitaria, ma quei “beni relazionali” (la famiglia, la vita associativa, la comunità locale...) che di certo contribuiscono allo sviluppo integrale e alla felicità delle persone, ma che al contempo richiedono un investimento congiunto da parte di tutti i soggetti coinvolti. Paradosso e convinzione PRESIDENTE FELICE Andrea Olivero, 36 anni, cuneese, insegnante di lettere, è presidente nazionale delle Acli da marzo, il dodicesimo nei 60 anni di storia dell’associazione teriali prodotti, posseduti o consumati, ma dallo star bene con se stessi e con gli altri. Economicamente sostenibile Il convegno delle Acli è andato controcorrente, si è posto in contrasto con tutte le forze economiche e sociali che propongono facili equazioni, secondo cui “più crescita” equivale a “più consumo”, e più consumo assicurerebbe “più benessere”. È una vera mistificazione della realtà. Contro questo gigantesco bluff, orchestrato magistralmente dal mercato, ben poco riescono a fare le tradizionali agenzie educative. Né la famiglia, né la scuola, né l’associazionismo e ancor meno la parrocchia riescono più ad arginare questa eruzione vulcanica del mercato, che si abbatte su tutti noi con la forza di uno tsunami! Basterebbe invece volgere lo sguardo su ciò che sta accadendo dall’altra parte della strada, sul volto della gente che non ce la fa più a trovare la forza per vivere, su chi si lascia andare, o su chi deve recarsi dallo psicanalista o è costretto a imbottirsi di psicofarmaci. Ci deve pur far pensare il fatto che nell’ultimo periodo si sono registrati in Italia circa quattromila suicidi ogni anno. Oppure che nell’ultimo Rapporto 2006 dell’Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali si denuncia un boom, nel nostro paese, del consumo di antidepressivi. Il nostro impegno per conseguire l’obiettivo di una “felicità economicamente sostenibile” (facendo nostra l’efficace espressione del professor Leonardo Becchetti) è in piena coerenza con le radici del popolarismo democratico e del personalismo cristiano. Al centro di questa visione della società troviamo infatti non l’indi20 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 La ragione per cui le Acli puntano oggi sulle politiche per la famiglia e su tutti gli altri “beni relazionali” e non monetari (sanità, sicurezza, convivenza, istruzione, ambiente) rappresenta un contributo diretto alla promozione della felicità degli individui, oltre che un formidabile supporto allo sviluppo economico. Si tratta infatti di capire che le relazioni, che sono al centro dei beni relazionali, non sono soltanto un bene privato, ma anche un bene pubblico e un fondamentale fattore in grado di promuovere la produttività individuale, ossia di trasformarsi in ricchezza per il paese. Infatti, l’economia di un paese non è mai una sfera avulsa dalle relazioni sociali che caratterizzano le persone che in quella società vivono. Se tutto si riducesse a Pil e a concorrenza, a prezzi e a tassi d’interesse, senza mai un atteggiamento di fiducia e generosità, senza un tempo per il volontariato e un gesto di altruismo... saremmo dinanzi a un mondo di robot forse più concorrenziale e competitivo, ma sicuramente più indifferente, più triste e più glaciale nelle relazioni. Bisogna aver chiaro il cosiddetto “paradosso della felicità”, che è poi la conferma di una convinzione molto diffusa tra la gente semplice, e cioè che le persone più ricche non sono affatto anche le più felici. E la stessa cosa si può dire anche per i paesi del mondo: una recente classifica mostra che i cosiddetti paesi più avanzati non sembrano essere i più felici, mentre esiste una sorprendente “gioia di vivere” che è testimoniata proprio dai paesi in via di sviluppo. Sono la creatività dei propri talenti e la partecipazione alla vita democratica a contare molto di più dei dollari e del reddito, quando si misura la felicità pubblica di una nazione. Ecco perché diventa importante il tasso di democrazia, più che il tasso d’interesse; la formazione del capitale umano e sociale, più che il solo aumento del capitale economico; la fiducia nelle relazioni interpersonali, più che la concorrenza sfrenata tra gli individui. Attraverso il convegno sulla felicità abbiamo capito che ragionando di felicità si possono rivedere le scelte della politica, per “convertirle” maggiormente ai reali bisogni delle persone, delle famiglie e delle comunità locali. Nigeria prima, Italia lontana: Pil e ricchezza non sono tutto... Quali sono i paesi più felici del mondo? L’ultima ricerca in materia è stata realizzata nel 2006, per conto del Centro per gli studi internazionali della crescita economica, dal professor Leonardo Becchetti, professore di economia politica all’Università di Roma “Tor Vergata” e relatore al convegno Acli. Utilizzando i dati dell’indagine internazionale World Value Survey, è stata stilata una classifica dei paesi del mondo secondo la felicità media dichiarata. Ai primi tre posti sono risultati Nigeria, Tanzania e Messico, seguiti da Portorico, Salvador, Islanda, Venezuela e Vietnam. Il primo paese “ricco” nella classifica è il Canada, al nono posto, con Olanda, Danimarca e Regno Unito subito dietro. L’Italia risulta in cinquantesima posizione, tra India e Repubblica Ceca. All’ultimo posto la Romania. «Ci vuole ovviamente cautela nell’interpretare questi dati – ha spiegato il professor Becchetti –, perché possono essere influenzati da distorsioni culturali. Eppure appare evidente e incontrovertibile che alla differenza in termini di reddito pro capite tra nord e sud del mondo non corrisponde un’uguale differenza di felicità». Una casa popolare, e si torna a volare Un saluto dalla soglia, dopo il colloquio Un figlio tratto in salvo, la forza per tutti Appena si materializza una possibilità di autonomia e indipendenza attraverso l’inserimento lavorativo, un’opportunità di guadagno e un sia pur minimo risparmio, la felicità appare negli occhi di donne sole, che spesso sono state maltrattate. Abbiamo ospitato una donna per tre anni: dopo aver svolto per un certo periodo lavori saltuari, quando ha trovato un impiego stabile e le è stata assegnata una casa popolare dove vivere con le sue due bambine, mentre camminava sembrava di vederla volare… Di storie, volti, persone, ne ho incontrati tanti. A volte capita durante e dopo i colloqui di scorgere attimi di gioia da parte delle persone, per il semplice fatto di essere state ascoltate e aver trovato un clima familiare. Le persone che si rivolgono a noi non sempre trovano risposta a tutti i bisogni materiali, ma tornano anche solo per respirare per poco tempo un clima sereno. C’era un uomo italiano di mezza età, caduto nell’alcolismo a causa di disagi familiari, che dopo il colloquio si fermava poco lontano dall’ingresso del centro d’ascolto solo per salutarci, poi andava via. Era il suo modo di dire grazie. In quel momento, quando alzava il braccio, sorrideva. Forse, era il momento felice della sua giornata. Sono andata per aiutare e sono stata aiutata. L’esperienza del Progetto Diaspora è cominciata poche settimane dopo il terremoto che ha colpito il Molise il 31 ottobre 2002. Occorreva aiutare gli sfollati e il loro principale disagio, oltre i lutti, consisteva nel venir meno di tutti i riferimenti che concorrono alla definizione dell’idea di comunità. Nonostante il trambusto dovuto al terremoto e i danni fisici permanenti riportati dal loro figlio, due coniugi, in tutta la loro dignità, trovavano anche la forza per rincuorare gli altri, affrontando i disagi con serenità. In quelle condizioni, credetemi, hanno insegnato a me e agli altri volontari cosa significa essere felici. Erano felici, perché il loro figlio era ancora vivo. Anche il loro bambino si è giovato della serenità sentita in famiglia e ha avuto piccoli miglioramenti. Ilarina Pacilli, Caritas Latina-Terracina-Sezze-Priverno, in servizio al centro d’ascolto diocesano di Latina Lia Melis, Caritas Termoli-Larino, coordinatrice del progetto Diaspora Michela Vennari, Caritas Vigevano, impegnata nel progetto “Donna” (accoglienza per donne in situazione di disagio sociale con o senza bambini, vittime di maltrattamenti o violenza, provenienti dalla tratta o dal carcere) I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 21 nazionale contrappunto TRA STATO E MERCATO CHI ASSICURA I “FINI SOCIALI”? di Domenico Rosati l duro confronto sul caso Telecom e sui rapporti tra politica ed economia ha dato la percezione del limite storico che contraddistingue la visione eminentemente mercantile dell’economia, affermatasi in Italia dopo il ciclo dell’intervento statale, canone vincolante per tutto ciò che si muove in Europa. Dentro questo perimetro, il massimo che la tutela del bene comune può reclamare si compendia nell’affermazione per cui “l’interesse pubblico sarà assicurato non dalla proprietà, ma da un insieme certo di regole chiare e trasparenti” (Prodi). Formule e strumenti di intervento, diretto o indiretto, dello stato democratico (non totalitario!) per assicurare le finalità che all’economia assegna I Corollario per l’Europa In queste condizioni, che senso ha appellarsi al mercato (o ai mercati)? Non è un rimettersi ai risultati del rapporto di forza tra i soggetti della speculazione finanziaria? Il capitale finanziario da sempre ritiene che la sua patria sia “là dove si sta bene”, come si legge nella remota (1931) enciclica di Pio XI che denunciava “l’imperialismo del denaro”. La consapevolezza di trovarsi in presenza di soggetti potenti e inafferrabili fa comprendere la Costituzione italiana sembrano quanto sia arduo il compito di chi non consegnati all’archivio degli oggetti Il caso Telecom si rassegna al “lasciar fare” di improninutilizzabili. Tanto che viene da ha risollevato in Italia ta paleocapitalistica e perciò non richiedersi se abbia ancora un senso, il dibattito sulle regole nuncia a una qualche modalità di e quale, l’articolo 41, secondo il quache lo stato deve correzione e controllo degli automale “la legge determina i programmi e esercitare per assicurare tismi di produzione e distribuzione i controlli opportuni perché l’attile finalità assegnate della ricchezza. Modalità che tuttavia vità economica pubblica e privata dalla Costituzione ha da essere ben “chiara e trasparenpossa essere indirizzata e coordinaall’iniziativa economica. te”, anche per impedire che intrecci di ta a fini sociali”. L’“imperialismo bassa lega si svolgano “dietro la facI casi più clamorosi degli ultimi del denaro” ciata di quello che si chiama stato”, ad anni, da Cirio a Parmalat a Bankiè irreversibile? opera di gruppi organizzati della fitalia, confermano la forza fatale di nanza e della politica. un’economia che, almeno finora, Se il confronto di questi mesi avrà un seguito, varrà ha imposto le sue leggi, anche se a danno dell’interesse pubblico. Il cuore del problema è qui, non in una la pena non lasciar cadere il meglio degli elementi che regressiva simpatia per forme dirigistiche o anche sol- esso è riuscito a mettere a fuoco: in particolare l’esigentanto di compartecipazione pubblica. Ma quale signi- za di un “governo” (o come altrimenti si voglia dire) delficato assume l’evocazione di un “insieme certo di re- le “reti”, cioè dei “beni comuni” di cui va garantita la piegole chiare e trasparenti” nel contesto italiano? Più na ed eguale disponibilità a tutti i cittadini. Non è solo che un “insieme”, cioè un sistema unitario e finalizza- questione di merci e scambi. Ne va delle libertà fondato di regole, abbiamo infatti un assiemaggio di norme mentali, civili e dal bisogno. settoriali che, di fatto, hanno sin qui consentito spazi C’è infine un corollario che non va schivato e che inoperativi (e di immunità) ai soggetti più forti, come le veste l’Europa: se l’Unione si limita a registrare le regole banche. Quanto poi a chiarezza e trasparenza, basta dei singoli paesi e non ne delibera di proprie, obbligandare una scorsa agli atti parlamentari per rendersi ti per tutti, l’ingorgo crescerà. E con esso le fortune per i conto che si tratta, ancora e sempre, di un’esigenza in- tanti trafficanti senza rischio, annidati nel “capitalismo soddisfatta. senza capitali”. 22 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 panoramacaritas RAPPORTO POST-EMERGENZE Esclusione sociale: a Roma “Vite fragili” Terremoto in Pakistan e tsunami: accurati dossier sugli aiuti Caritas Vite fragili: così si intitola il sesto rapporto di Caritas Italiana e Fondazione Zancan su povertà ed esclusione sociale in Italia. Il nuovo rapporto (di cui Italia Caritas ha parlato ampiamente nell’ultimo numero) viene presentato venerdì 10 novembre a Roma, nella Sala Ucsi stampa cattolica, in via in Lucina 16/A. Alla presentazione intervengono monsignor Vittorio Nozza (direttore Caritas Italiana), monsignor Giuseppe Pasini (presidente Fondazione Zancan) e i curatori del rapporto, che per la prima volta è edito da Il Mulino. Il volume è suddiviso in tre sezioni: la parte introduttiva fornisce le coordinate dell’opera, con particolare riguardo ai recenti sviluppi della legislazione sociale dopo le modifiche del titolo quinto della Costituzione; la seconda si sofferma su situazioni di fragilità e vulnerabilità sociale dei bambini in tenera età e delle loro famiglie; l’ultima sezione presenta i risultati di un’ampia rilevazione nazionale, condotta sugli utenti dei centri di ascolto Caritas. L’8 ottobre 2005 un anno dal terremoto di intensità 7,6 della scala Richter devastò il Kashmir pachistano (ma danni gravi furono registrati anche nelle confinanti regioni dell’India), mietendo più di 70 mila vite e lasciando 3,3 milioni di persone senza casa. Il network internazionale Caritas si attivò prontamente, a supporto dell’azione di Caritas Pakistan, per rendere possibili aiuti d’emergenza e, nei mesi successivi, un intenso programma di ricostruzione e riabilitazione, del valore di oltre 8 milioni di euro. Caritas Italiana ha fatto la sua parte, raccogliendo più di un milione gli euro, che sono stati impiegati nei primi dodici mesi. Dell’entità dei danni causati dalla tragedia e dell’impiego dei fondi Caritas dà conto un accurato dossier, che si può scaricare dal sito internet www.caritasitaliana.it. A fine dicembre, invece, ricorreranno i due anni dalla tragedia dello tsunami in tanti paesi affacciati sull’Oceano Indiano: anche a questo proposito verrà redatto un documentato aggiornamento sull’impegno Caritas per la ricostruzione. CARITAS ITALIANA Un anno di attività dedicate all’animazione “Animare territori e parrocchie”: è lo slogan che contraddistingue la programmazione di Caritas Italiana per l’anno pastorale 2006-2007. L’opuscolo, oltre a indicare indirizzi e recapiti della “galassia Caritas”, descrive le linee portanti e le attività pastorali, formative e culturali che saranno proposte da Caritas Italiana nel corso dell’anno; è stato messo a punto a metà ottobre ed è disponibile in versione cartacea (richiedendolo a Caritas Italiana) o scaricabile dal sito internet www.caritasitaliana.it. L’attenzione all’animazione sarà cruciale nel corso di un anno che, apertosi con il Convegno ecclesiale nazionale di Verona, culminerà nel 31° convegno nazionale delle Caritas diocesane, in programma a Montesilvano (Pe) dal’11 al 14 giugno 2007. VOLONTARIATO Documento sui rapporti con le istituzioni La Consulta ecclesiale degli organismi socio-assistenziali organizza per venerdì 24 e sabato 25 novembre a Roma un convegno per presentare il documento “Riflessioni sulle caratteristiche e i valori portanti del volontariato che incontrano le istituzioni sociali”. L’appuntamento si propone di riflettere con rappresentanti qualificati dei gruppi ecclesiali che operano nella solidarietà, nel mondo del volontariato e del terzo settore sulle implicanze del rapporto fra volontariato e istituzioni e sulle istanze che tale rapporto pone al quadro normativo del paese. All’incontro interverranno politici, studiosi, dirigenti di realtà del volontariato ecclesiale. La Consulta raduna molti organismi attivi nel settore; è presieduta, per statuto, dal presidente di Caritas Italiana. I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 23 internazionale progetti > lotta all’Aids a cura dell’Area internazionale Ogni minuto nel mondo muore un bambino per le conseguenze dell’Aids e oltre la metà dei nuovi casi di infezione (3 milioni nel 2005) colpisce giovani sotto i 25 anni. Sono 15 milioni nel mondo i bambini che hanno perso uno o entrambi i genitori a causa della malattia. E mai come nel 2005 si sono contati tanti morti tra gli africani: circa 2,4 milioni tra adulti e bambini. È stato creato un Fondo globale per la lotta contro l’Aids, ma dispone di risorse insufficienti. La Giornata mondiale di lotta all’Aids, il 1° dicembre, ci ricorda che l’epidemia rappresenta una sfida etica, oltre che un problema di giustizia. Caritas Italiana sostiene molti programmi, d’intesa con le chiese locali, con tre obiettivi di fondo: informare e formare, curare e assistere, promuovere. [ ] MODALITA OFFERTE E 5 PER MILLE A PAGINA 2 LISTA COMPLETA MICROREALIZZAZIONI, TEL. 06.54.19.22.28 24 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 ETIOPIA MICROPROGETTI L’importanza della prevenzione nelle scuole INDIA. Allevamento e artigianato al femminile Ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia, Caritas Italiana sostiene un progetto di educazione sociosanitaria per circa tremila giovani di due scuole superiori. L’obiettivo è prevenire il diffondersi dell’Aids attraverso l’educazione a uno stile di vita e un comportamento che valorizzino positivamente le relazioni interpersonali sia verticali, con i genitori e gli adulti, sia orizzontali, con gli altri giovani, con riferimento soprattutto agli ambiti dell’affettività e della sessualità. Il progetto è realizzato dalle Suore missionarie francescane di Maria, in collaborazione con l’arcidiocesi di Addis Abeba, e prevede la formazione per un periodo di nove mesi di sei giovani, che poi diventeranno punti di riferimento per le attività nelle scuole. Saranno organizzati incontri di scambio e confronto con gli studenti utilizzando un approccio partecipativo, cui seguirà la creazione di focus group su tematiche specifiche. Sarà inoltre offerta, a coloro che lo desiderano, la possibilità di usufruire di sessioni individuali di counselling. > Costo 15 mila euro (contributo Caritas Italiana per anno) > Causale Etiopia / lotta all’Aids Un programma di allevamento di capre e per lo sviluppo di piccolo artigianato locale è stato pensato a favore di 20 donne affette da Hiv-Aids nella zona di Dharmapeta (Kurnool Town); salari e costi amministrativi e di gestione e sono a carico della locale diocesi. > Costo 2.500 euro (contributo iniziale Caritas Italiana) > Causale MP 360/06 India KENYA Assistenza e informazione nei quartieri di Nairobi Nella capitale Nairobi, nei quartieri di Kangemi e Dagoretti, Caritas Italiana sostiene due progetti di assistenza e prevenzione, realizzati dalla parrocchia di San Giuseppe lavoratore e dal Kivuli Centre, con la partecipazione di volontari provenienti dalle comunità cristiane di base. Ai circa 600 beneficiari è garantita l’assistenza medica per le malattie opportunistiche, cui si aggiunge il cibo dato a chi è in trattamento con i farmaci antiretrovirali e con quelli per la cura della tubercolosi. Sono anche previsti, per chi ne ha le forze, piccoli presiti per l’avvio di attività generanti reddito. Grande importanza è accordata all’aspetto psicologico e sociale della malattia, attraverso sessioni individuali di counselling per la persona infetta e i famigliari, e a livello collettivo attraverso i gruppi di supporto. Le attività di prevenzione prevedono incontri di informazione e confronto con gruppi di giovani, comunità cristiane di base e nelle scuole dei due quartieri. > Costo 40 mila euro (contributo Caritas Italiana per anno) > Causale Kenya / lotta all’Aids UGANDA. Lavoro per chi aiuta malati e famigliari DUE PROGETTI. Il primo prevede di realizzare un allevamento di maiali per gli orfani a causa dell’Aids del Ggogonya Village, appartenente alla parrocchia, e del villaggio di Kisubi: i primi beneficiari saranno 50 tra ragazzi e ragazze delle scuole, che potranno così mantenersi agli studi e aiutare altri abitanti del villaggio. Il secondo è un programma di allevamento in favore del Kigonwe Tunyykire Women’s Group (parrocchia di Nkoni), promosso anche dalla Caritas diocesana di Masaka. Concepito come fondo di rotazione, il progetto è rivolto a 200 donne del gruppo, che sostengono parenti malati o familiari di persone decedute a causa dell’Aids. È previsto l’acquisto di pulcini, galline e mangime; la comunità locale contribuirà con la costruzione del pollaio e con le spese di gestione. > Costo 4 mila euro e 4.250 euro > Causale MP 342/06 e MP 343/06 Uganda REP. CENTRAFRICANA. Centro sanitario da sostenere Nel centro sanitario San Giuseppe della missione di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, la presenza di malati di tubercolosi, perlopiù sieropositivi, varia da 150 a 200 persone al mese. La malnutrizione e le reazioni allergiche alle cure causano altre malattie, che devono essere curate. Ma i pazienti non hanno la possibilità di acquistare i medicinali. Il continuo aumento delle persone da assistere – anche dal punto di vista sociale e familiare – non consente di far fronte al programma previsto senza sostegno esterno. > Costo 4.500 euro (contributo iniziale Caritas Italiana) > Causale MP 298/06 Rep. Centrafricana I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 25 internazionale serbia lizzata ha un duplice effetto: da un lato la mancanza di sostegno (istituzionale, sociale, familiare) alle fasce più deboli, che ha aumentato il numero delle persone da ricoverare e ha accentuato lo stato di indigenza e solitudine di chi ricoverato lo era già; d’altro canto, sono crollate le motivazioni professionali di operatori e infermieri, che si sentono abbandonati, proprio come i loro pazienti. «Oramai agli ospedali psichiatrici si rivolgono tutti coloro che hanno problemi di povertà economica, relazionale o sociale», incalza Dragana. E le statistiche supportano questa considerazione: si calcola che all’interno delle strutture manicomiali della Serbia almeno il 25% dei ricoverati non presenti patologie che ne giustifichino il ricovero (in alcuni casi si arriva addirittura al 45%). Gli ospedali psichiatrici, quindi, sono diventati con il tempo sempre più “recipienti per rifiuti” della società. NUOVA STAGIONE Le foto di queste pagine risalgono a sei anni fa e ritraggono pazienti dell’ospedale psichiatrico di Kovin. Grazie anche a Caritas, l’approccio terapeutico oggi sta migliorando LA SERBIA CAMBIA CURA: NON MATTI, MA PERSONE Quindici anni di conflitti hanno esasperato i “fattori di vulnerabilità”. Ma i tempi cambiano e nel paese balcanico si fa strada un nuovo approccio ai soggetti con problemi psichici. Quelli che un tempo finivano nei “ludica” servizi di Daniele Bombardi foto di Alberto Minoia i chiamavano ludica (manicomi). E qualcuno li chiama ancora così. Ma noi no. A noi non piace questo nome: qui dentro non ci sono ludi (matti), ma persone. Persone che hanno i loro problemi e le loro difficoltà, ma nella gran parte dei casi non è vero che non sanno ragionare». Miša Glavonjic è di Belgrado, è medico psicologo, uno dei responsabili del centro di salute mentale “Laza Lazarevic” della sua città, che prende il nome da un medico scrittore belgradese, considerato uno dei padri della psichiatria serba. «A me questo centro piace chiamarlo semplicemente Laza. È un nome più umano. Anzi, dirò di più: vorremmo che diventasse proprio così, un centro più umano». Miša è uno dei testimoni diretti della grande transizione che sta vivendo il suo paese, la Serbia, negli ultimi anni: cambiamenti istituzionali, politici, economici. Ma anche e soprattutto cambiamenti sociali. Se ne accorge proprio dal suo lavoro, al centro di salute mentale di Belgrado. «Questa struttura esiste da 145 anni, prova so- L « 26 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 lo a immaginare quanto il nostro mondo e il nostro paese è cambiato da allora. E anche i pazienti del Laza sono cambiati». Molti studi, infatti, concordano su una cosa: ci sono elementi sociali, i cosiddetti “fattori di vulnerabilità”, che possono rendere più ampio e diffuso il fenomeno del disagio mentale. La sofferenza psichica, in altre parole, si accresce notevolmente quando sono messe in discussione le basi dell’identità culturale, quando si perde lo status che si aveva precedentemente, quando il supporto sociale è assente o inadeguato, quando si è costretti forzatamente a migrare, se si devono affrontare gravi lutti. È facile allora capire perché il problema del disagio mentale sia così diffuso in un paese come la Serbia. Gli avvenimenti capitati a questo paese nell’ultimo quindicennio (il collasso di un intero sistema politico e economico, l’esplosione della conflittualità etnica, le vittime della guerra, le migliaia di profughi e di rifugiati, la debolezza del nuovo stato e delle sue strutture, l’indebolimento delle reti parentali e sociali) hanno esasperato i suoi “fattori di vulnerabilità”. Più pazienti dopo le guerre Con Miša lavora anche Dragana Stankovic, psicologa specializzata. «Quello che più colpisce noi operatori dei centri di salute mentale è l’onda lunga della tensione degli anni scorsi, e quanto questa stia influenzando la vita della gente comune. Paradossalmente, c’erano meno pazienti ricoverati al Laza quando c’erano guerre in tutti i Balcani: la gente era più attiva, pensava a come sopravvivere. Oggi invece tutto è depresso, tutto è apatico». E l’apatia genera- L’esperimento di Niš Ma da qualche tempo qualcosa inizia a muoversi: sta infatti cambiando l’approccio a questi problemi da parte degli operatori, ma anche delle famiglie dei pazienti e delle istituzioni. Alcuni settori della società serba stanno comprendendo che quella della salute mentale non è una questione che si può affrontare da sola, in maniera separata. Con l’obiettivo di diffondere un modello organizzativo nuovo e sostenibile per le problematiche relative alla salute mentale (a livello nazionale, regionale e locale), è nato un anno fa il centro di salute mentale Medijana a Niš, nel sud della Serbia. Il progetto, sostenuto da Caritas Italiana e da Caritas Serbia e Montenegro, intende concretizzare un nuovo approccio al tema della salute mentale, in virtù del quale il paziente venga trattato non solo dal punto vista medico, ma anche da quello umano e relazionale. È un modello nuovo per il paese: le forme di trattamento sono tutte alternative al tradizionale ricovero ospedaliero ed è l’intera comunità sociale a venire responsabilizzata nella cura verso i suoi elementi più deboli e problematici. Approdo finale di questo cammino comune tra pazienti, operatori e comunità dovrebbe essere il reinserimento del paziente stesso nel suo ambiente familiare, sociale e lavorativo: il Medijana, in altre parole, vuole dimostrare che i centri di salute mentale devono essere sempre più luoghi di passaggio e sistemazioni temporanee, e sempre meno punti di approdo definitivi. I primi risultati già si vedono. Aleksandra Markovic, infermiera al Medijana, riassume bene lo spirito del primo anno di lavoro: «Quando abbiamo aperto il centro a Niš, ci sono arrivati pazienti che già da anni giravano per gli ospedali psichiatrici della Serbia. Venivano ricoverati per I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 27 internazionale serbia settimane o addirittura mesi, seguiti secondo metodi tradizionali, poi reimmessi nel loro ambiente familiare o sociale. Tempo pochi giorni e venivano fatti ricoverare di nuovo nella stessa struttura o in altri centri. Ma da quando sono seguiti con il nuovo metodo, i peggioramenti sono stati rarissimi: anzi, alcuni di loro sono perfino rientrati con successo nel loro ambiente familiare». Ora si sta addirittura provando a fare un passo ulteriore. «Alcuni soggetti non hanno nemmeno bisogno di essere ricoverati: se esiste un buon accompagnamento, esteso alla famiglia e alla comunità, i problemi possono essere affrontati molto meglio che in un centro». Anche le istituzioni non sono rimaste indifferenti al vento del cambiamento. Grazie alla spinta data da percor- si formativi e incontri tra leader politici, direttori e medici dei centri psichiatrici di tutta la Serbia, organizzati da Caritas Italiana nell’almbito del progetto salute mentale (avviato nel 2001), è stata creata al ministero della salute una commissione nazionale per la salute mentale: operatori del settore e uomini delle istituzioni stanno provando a rimuovere gli ostacoli alla crescita di esperienze innovative, creando un fertile terreno legislativo e sociale per affrontare i problemi della salute mentale. Le premesse positive sembrano dunque non mancare: società civile, medici e istituzioni remano nella stessa direzione, per aiutare nella maniera migliore chi è più debole ed emarginato socialmente. Perdere un’occasione del genere sarebbe da manicomio. APATIA GENERALIZZATA Dopo le guerre, nei “manicomi” serbi è finito anche chi aveva problemi di povertà materiale o relazionale «Abbiamo dimezzato i ricoverati coinvolgendo parenti e comunità» Intervista a una psichiatra del centro Medijana di Niš, sostenuto da Caritas. «Organizzazione e approccio nuovi, vogliamo essere di stimolo per lo stato» andra Stanojkovic è una signora sorridente. Di professione è medico psicoterapeuta, lavora al centro di salute mentale Medijana di Niš da due anni. La incontriamo a Belgrado, durante un seminario sull’auto-mutuo aiuto organizzato da Caritas Italiana e dall’associazione Ama di Trento. È indispensabile, per lei e i colleghi del centro e di altre strutture, tenersi costantemente al passo con nuovi metodi e nuovi approcci, per affrontare e aiutare le persone con problemi di salute mentale. S Signora Stanojkovic, com’era nel recente passato la situazione degli ospedali psichiatrici in Serbia? Molte cose sono cambiate nel paese in questi ultimi 1015 anni. Purtroppo però non è cambiato molto, dai tempi di Miloševic, l’approccio verso la salute mentale: la situazione era difficile nel passato e continua a esserlo. Il trattamento verso le persone con problemi psichici, ad esempio, è rimasto pressoché lo stesso. E non è cambiato nemmeno l’atteggiamento di forte stigma verso i pazienti. La perenne situazione di tensione che ha segnato la Serbia in questi anni ha aumentato i casi di perso28 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 ne con problemi di salute mentale? Le patologie per cui le persone vengono negli ospedali psichiatrici sono rimasti più o meno le stesse: in questo senso la situazione politica non ha mutato la situazione. Quello che forse è cambiato è il numero di persone ricoverate, credo sia un po’ aumentato. Come reagiscono le nuove istituzioni politiche alle vostre richieste? Lo stato serbo è in grande difficoltà, ci sono mille problemi da risolvere nel paese, ma qualcosa stanno facendo: hanno istituito una commissione nazionale per la salute mentale, organo che sta scrivendo un testo di legge moderno, in grado di aiutare maggiormente chi opera ed è curato negli ospedali psichiatrici. Mi auguro che la commissione lo completi e lo faccia approvare presto. In seguito sarà essenziale provvedere un coordinamento migliore delle attività tra i centri di salute mentale, e tra questi e tutti gli altri servizi sociali. Con il centro di salute mentale di Niš, voi state già battendo strade nuove… L’idea di fondo è dimostrare che un cambiamento in positivo è possibile. Abbiamo modificato l’organizzazione interna all’ospedale, grazie anche al sostegno (economico e in termini di conoscenze) che è arrivato da molte organizzazioni e molti esperti; abbiamo prestato attenzione alle condizioni igieniche del centro e delle persone ricoverate. Abbiamo modificato anche il rapporto medico-paziente, facendolo diventare più umano e coinvolgendo sempre di più la famiglia e la comunità di appartenenza del paziente: ogni due settimane, ad esempio, ci sono incontri con i parenti e in alcuni casi i contatti sono anche più frequenti. I risultati? Non mancano: siamo già riusciti a dimezzare il numero di persone ricoverate, da 1.200 a 600, proprio perché molte sono riuscite a rientrare nel loro ambiente familiare e sociale. Anche il ministero della salute se n’è accorto. Abbiamo veramente dato il segno che un cambiamento in positivo è possibile. Come hanno accolto le novità operatori e ricoverati? Medici e infermieri di questi centri amano tutti il loro lavoro. Ma avevano perso motivazioni a causa delle nu- Non soltanto psichiatria, forte impegno nelle parrocchie L’attenzione di Caritas Italiana per il territorio serbomontenegrino risale agli anni precedenti la guerra in Kosovo, ma si è intensificata dopo la primavera del 1999, quando si è resa possibile la presenza di operatori italiani a Belgrado. Caritas Italiana contribuisce anzitutto al consolidamento della struttura della Caritas nazionale e alla promozione delle Caritas diocesane e parrocchiali. A livello sociale, uno dei maggiori ambiti di intervento riguarda il tema della salute mentale: dal 2001 l’attenzione è stata focalizzata sugli ospedali psichiatrici presenti nel paese per migliorarne le strutture, l’organizzazione, le modalità operative e le terapie utilizzate. Da ottobre 2005 è stato anche avviato un progettopilota a Niš, nel sud del paese, con l’apertura del centro di salute mentale Medijana. Importante è il programma di assistenza domiciliare, rivolto principalmente agli anziani: Caritas Italiana sostiene i team di operatori sociali delle locali Caritas diocesane e parrocchiali. Caritas Italiana coordina infine i programmi di gemellaggio con realtà ecclesiali locali, che vedono protagoniste numerose Caritas diocesane e delegazioni regionali italiane. merose difficoltà che si trovavano ad affrontare quotidianamente. Il progetto di Niš ha dato loro nuova forza, nuova energia, e oggi i medici (io per prima!) lavorano meglio e sono molto più gratificati. Di conseguenza, anche i pazienti si accorgono del clima mutato e reagiscono meglio a ciò che viene loro proposto. C’è un episodio o qualche paziente che vi ha dato una soddisfazione particolare? Ce ne sono tantissimi! A me fa sempre un enorme piacere quando qualche paziente può rientrare con successo nella propria famiglia o nella propria comunità. Ma la cosa che mi dà più soddisfazione è vedere i pazienti che erano conosciuti perché non miglioravano mai e che in passato venivano ricoverati più e più volte proprio perché non potevano stare fuori dagli ospedali psichiatrici. Ebbene, questi stessi pazienti oggi vengono ricoverati sempre meno e i peggioramenti sono rarissimi. Grazie a cose come queste trovo la gioia per continuare il mio lavoro. E capisco sempre più l’importanza di rapportarsi con questi soggetti non tanto come a “malati” che hanno bisogno di medicinali, ma come a “persone” che hanno bisogno di amore: è tutta qui la chiave del nostro successo. I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 29 internazionale internazionale EUROPA ALLARGATA? AVANTI, TRA MILLE CAUTELE di Gianni Borsa inviato agenzia Sir a Bruxelles GENERAZIONE DI GUERRA Un sudanese di fronte alla sua capanna. Un intero paese deve imparare a convivere con la pace ì all’allargamento, ma con mille condizioni. Via libera ad alcuni paesi, stop ad altri. A Bruxelles il principio di solidarietà si alterna a repentine, comprensibili prudenze. Solo così si spiega il recente semaforo verde della commissione Barroso all’ingresso di Romania e Bulgaria nella “casa comune” a partire dal 1° gennaio 2007, seguito, a brevissima distanza, dal pronunciamento del parlamento Ue sulla Turchia. Il quale, senza mezzi termini, lascia intendere che le distanze tra Ue e Ankara vanno crescendo, anziché ridursi. profonda riforma delle istituzioni comuni. Per qualcuno, poi, l’Ue non può più crescere senza una costituzione che faccia da quadro valoriale e giuridico per un’Europa tanto vasta. Su questa linea si muove pure il parlamento di Strasburgo. Il quale, a fine settembre, ha votato una documento in cui critica “il rallentamento delle riforme in Turchia” e chiede “di valutare la capacità di assorbimento Secondo l’esecutivo di Bruxelles, dell’Unione”. Particolare attenzione è giusto confermare l’inizio del prosviene posta dagli eurodeputati ai rapOk condizionato simo anno quale data di adesione porti internazionali di Ankara (contendella commissione dei due paesi ex comunisti. Ciò favoziosi con la Grecia, mancato riconoscidi Bruxelles a Romania rirà – è questo l’intento – il cammino mento della Repubblica di Cipro), al e Bulgaria. Critiche del delle riforme avviato per rispettare i ruolo dell’esercito nel quadro politico parlamento di Strasburgo “criteri di Copenaghen” (stato di diinterno, alla protezione delle minoranalla lentezza delle ritto, economia di mercato, rispetto ze (leggasi curdi), alla tutela dei diritti riforme in Turchia. dei diritti umani…) necessari per far delle donne e alla libertà di culto. Dal 2007 Unione a 27. parte del club europeo. «Romania e Dal canto suo il parlamento ribadiMa ci si interroga sce che “il rafforzamento dei legami tra Bulgaria però – lamenta il presidensulle ulteriori “capacità te, José Manuel Barroso – hanno anla Turchia e l’Ue è di fondamentale imdi assorbimento” cora molta strada da compiere»: portanza per l’Europa, per la Turchia e riformare l’amministrazione dello per tutta la regione” mediorientale. Ma stato; recepire tutto il diritto comunitario; ammoderna- nel documento votato a Strasburgo appare chiaro che l’are l’economia; combattere la corruzione e la criminalità pertura di negoziati costituisce il punto di avvio di un proorganizzata; rispettare le prerogative delle minoranze cesso duraturo, “che per sua stessa natura è aperto e non (ad esempio i rom). Così ecco scattare alcune “condizio- porta automaticamente all’adesione”. Così, come detto, i deni”, che dovranno essere pienamente soddisfatte per evi- putati deplorano “il rallentamento del processo di riforma in tare sanzioni concrete, fra cui il blocco degli aiuti Ue per Turchia”, evidenziato “da persistenti carenze e progressi inle infrastrutture o il settore agricolo. sufficienti”, specialmente “nell’ambito della libertà di espressione, dei diritti religiosi e delle minoranze, delle relaPorte chiuse ai Balcani? zioni civili-militari, della concreta applicazione delle leggi, Ma c’è di più: è sempre Barroso, insieme al commissario al- dei diritti culturali e della rapida e corretta esecuzione delle l’allargamento, Olli Rehn, ad affermare che, per eventuali fu- decisioni in materia giudiziaria”. Infine l’emiciclo di Straturi ampliamenti, “occorrerà tener conto della capacità di sburgo auspica che la prossima visita del papa in Turchia assorbimento dell’Unione”. Ciò significa che non sarà possi- “contribuisca a rafforzare il dialogo interreligioso e interculbile andare oltre quota 27 aderenti (strada sbarrata anche a turale fra il mondo cristiano e quello musulmano”. Un’aperCroazia e Balcani, dunque?) se prima non vedrà la luce una tura di credito da non sottovalutare. S 30 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 PACE IN SUDAN, SCOMMESSA DA VINCERE NILS CARSTENSEN - DAN CHURCH AID crisi africane casa comune La guerra è finita. Ma non in tutti i territori del più grande paese africano. E i problemi sociali restano tremendi. La situazione del paese e il decisivo ruolo della società civile in un documentato libro della Campagna Sudan di Diego Marani n Sudan non c’è più la guerra ma probabilmente non c’è ancora la pace. La situazione sul terreno sembra ancora essere confusa e complicata, a poco meno di due anni dalla firma dello storico accordo di pace che ha posto fine alla guerra civile scoppiata tra Nord e Sud nel 1983. Il più grande paese africano è vasto otto volte l’Italia: non ci si può stupire troppo se, pur essendo stata firmata la pace tra governo centrale di Khartoum e ribelli Spla, alcune regioni continuino a rimanere agitate da tensioni costanti e scontri più o meno sporadici. Così, mentre nella capitale gli ex nemici ora coalizzati nel governo di unità nazionale sono impegnati a spartirsi ministeri e commissioni (e soprattutto le rendite petrolifere), il Darfur – dopo la firma di una pace separata e discussa a maggio – sembra essere ri- I piombato in uno stato di guerra; i ribelli dell’Est hanno iniziato una serie di colloqui che potrebbero avere una conclusione positiva; il problema delle bande dell’Lra (di origine ugandese, ma che in particolare negli ultimi mesi hanno causato morte e distruzioni in alcune zone del Sud Sudan) sembra, tra mille difficoltà e la costante minaccia di tornare a far parlare le armi, avviarsi a una soluzione diplomatica, o meglio a un compromesso politico. Il più lungo conflitto civile del continente africano ha causato almeno due milioni di morti e inenarrabili sofferenze. Un’intera generazione di sudanesi è nata e cresciuta conoscendo solo la guerra, e ora deve imparare – e in fretta – a vivere in pace. Ma non basta, a questo scopo, firmare un pur importantissimo pezzo di carta. La gente comune che è riuscita a sopravvivere nelle pianuI TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 31 internazionale ACT/CARITAS crisi africane re del Sud, sui Monti Nuba, lungo il Mar CRISI Rosso, nelle aree semidesertiche del GRAVISSIMA Profughi del Darfur, non chiede pezzi di carta, e for- Darfur. Sotto, se nemmeno le briciole del potere che i la copertina del Rapporto leader si spartiscono a Khartoum. “Pa- Campagna ce” non significa solo assenza di com- Sudan battimenti (risultato comunque importantissimo e riconosciuto da tutti). Per i contadini vuol dire un pezzo di terra da coltivare; per i pastori, pascoli per le vacche senza il rischio di saltare su una mina; per tutti, acqua potabile senza dover litigare per accedervi. Per i profughi e gli sfollati, “pace” è il ritorno a casa, senza sottrarre ai familiari il poco che hanno da mangiare e le già scarse risorse. Per gli scolari, “pace” è andare a scuola senza troppe ore di cammino, e avere insegnanti fissi, che non fanno lezione sotto un albero o al riparo di una roccia con un kalashnikov al fianco. Per tutti, giovani e adulti, uomini e donne, “pace” significa anche medici, ambulatori e farmaci. Milioni di sfollati e rifugiati Analizzare il tentativo di costruire la pace significa anche affrontare la realtà – troppo spesso e a lungo negata, con conseguenze drammatiche – di un paese multietnico, multireligioso e multiculturale. In Italia è appena uscito un libro, Scommessa Sudan, che può aiutare a cogliere i profondi cambiamenti che il Sudan ha vissuto tra 2005 e 2006: la firma dell’accordo di pace tra Khartoum e Spla, che ha portato alla creazione di un nuovo governo di unità nazionale e di un governo regionale del Sud Sudan dotato 32 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 di amplissima autonomia; il varo di una nuova costituzione e l’avvio del processo di trasformazione dell’intero corpo legislativo del paese e delle sue principali istituzioni e strutture, fra cui esercito e magistratura. La prima parte del libro è suddivisa in tre sezioni, che affrontano i cambiamenti istituzionali, la situazione dei diritti umani e il ruolo delle risorse economiche; la seconda parte cerca di monitorare le conseguenze dell’accordo di pace fra Nord e Sud in altre aree “calde” del paese, come l’Est, i Monti Nuba e il Darfur. Una cronologia dettagliata degli ultimi avvenimenti contribuisce a rendere il libro anche un valido strumento di lavoro. Il testo è a cura della Campagna Sudan, una coalizione tra diversi organismi del mondo dell’associazionismo, e cerca di fare proprio il punto di vista della società civile, composta sia da organizzazioni internazionali che lavorano nel Sud (come Caritas), sia da esponenti della realtà sudanese, che talvolta hanno dato vita a organizzazioni non governative locali, i quali esprimono analisi, dubbi e critiche, ma non tacciono nemmeno le speranze e indicano le priorità. Quasi tutti sottolineano che un punto fondamentale è rappresentato dalle condizioni di vita di milioni di sfollati e rifugiati – il Sudan è il paese al mondo che ne conta di più – che purtroppo finora non hanno registrato miglioramenti sensibili e diffusi. In novembre alcuni di questi esponenti sudanesi (Adam Ibrahim Mudawi, Mary James Kuku e Asha el Karib) gireranno l’Italia per presentare il libro e la situazione in Sudan. Nel libro va segnalato anche il contributo dell’ambasciatore italiano in Sudan, Lorenzo Angeloni, che sottolinea i passaggi istituzionali avvenuti nel paese e il ruolo avuto dalla comunità internazionale. Il paradosso del kalashnikov La Campagna Sudan da oltre dieci anni lavora per promuovere la pace e il rispetto dei diritti umani in un paese dilaniato da un conflitto complesso, talvolta interpretato in maniera troppo schematica: guerra tra Nord e Sud, mentre interessava tutto il paese; guerra tra musulmani e cristiani, mentre seguaci delle due religioni si trovavano in entrambi gli schieramenti; guerra tra arabi e africani, quando la situazione sul terreno era molto più intrecciata. Inoltre la Campagna Sudan, negli ultimi anni, ha prestato particolare attenzione anche al boom petrolifero, la nuova recente manna piovuta su Khartoum, che ha costituito un fattore determinante per arrivare alla pace (fortemente sostenuta dagli Stati Uniti, così come l’accordo in Darfur). Altri stati africani, come Mozambico e Angola e in parte la Repubblica democratica del Congo, hanno dimostrato di poter uscire da una guerra civile dilaniante, o almeno di poterci provare. Ora è il tempo per i sudanesi di dimostrare, a sé stessi e al mondo, che anche chi è nato e cresciuto nella guerra è in grado di vivere in pace. Ma è anche il tempo, per ong, istituzioni e l’intera comunità internazionale, di non smettere di interessarsi al Sudan e di sostenere i sudanesi. Sarebbe amaramente paradossale per essi scoprire che si ottengono maggior attenzione, più titoli sui giornali e più aiuti materiali, magari di emergenza, quando si ha un kalashnikov in mano piuttosto che una zappa, un aratro, una penna o un quaderno. Qualcuno di loro, perso per perso, potrebbe decidere di tornare al lavoro di prima. Accordo privo di legittimità, in Darfur riesplode la violenza Sei mesi fa intesa tra governo e una fazione ribelle. Ma altri gruppi non l’hanno riconosciuta. Ripresi gli scontri armati, Khartoum non vuole i caschi blu di Giovanni Sartor ono passati sei mesi dalla firma dell’Accordo di pace sul Darfur (Dpa), i peggiori degli ultimi due anni per la popolazione civile: la firma che avrebbe dovuto far tacere per sempre le armi ha invece innescato una spirale incontrollabile di violenza. Le Nazioni Unite rinnovano il loro interesse per la regione del Sudan, ma non trovano grande disponibilità a collaborare da parte del governo di Khartoum, che preferisce come interlocutore l’Unione Africana. Intanto, la situazione umanitaria si è fatta, secondo l’Onu, la più grave al mondo. Nella regione sudanese non si assisteva a una spirale di violenza così diffusa dai primi mesi del 2004. Essa fa vittime civili e costringe migliaia di persone alla fuga, sia dai villaggi in passato risparmiati dalla guerra, sia dai campi di sfollati, alcuni dei quali si ritrovano oggi in mezzo ai combattimenti. Tutto ciò è un paradosso, poiché è avvenuto in seguito alla firma, il 5 maggio 2006, ad Abuja in Nigeria, dell’Accordo di pace sul Darfur (Dpa), che avrebbe dovuto invece mettere fine alle ostilità. Il Dpa, dopo lunghe ed estenuanti trattative condotte dall’Unione Africana, alla quale si sono aggiunti nell’ultima fase diversi stati occidentali (Stati Uniti in testa) desiderosi di arrivare al più presto a un accordo, è stato firmato solamente dal governo del Sudan e da una fazione di uno dei due principali gruppi di ribelli, il Movimento di liberazione del Sudan (Slm), guidata Minni Arkua Minnawi, cui fa riferimento soprattutto la popolazione di etnia Zaghawa. Gli altri due gruppi di ribelli presenti ai negoziati, S la fazione del Slm guidata da Abdel Wahid Nour (in seguito dimessosi dall’incarico di presidente del movimento), cui fa riferimento soprattutto la popolazione di etnia Fur, e il Movimento per la giustizia e l’uguaglianza (Jem) di Khalil Ibrahim, nonostante le forti pressioni internazionali non hanno accettato i termini dell’accordo, in riferimento a due dei suoi capitoli (distribuzione del potere e delle ricchezze; gli altri tre riguardano sicurezza, cessate il fuoco e dialogo Darfur-Darfur). Azioni militari, anche tra ribelli In realtà la suddivisione all’interno della regione è ancora più complessa: sono diversi i gruppi, ognuno con le proprie rivendicazioni (non sempre in linea con quelle dei gruppi maggiori), che controllano piccole porzioni di territorio escluse a priori dai negoziati di Abuja. L’accordo di pace è stato considerato, dal governo del Sudan e dalla fazione firmataria del Slm, come strumento per riconoscere illegittime l’esistenza e le rivendicazioni dei gruppi non firmatari. Ciò ha provocato l’esclusione di questi gruppi dalle commissioni per il cessate il fuoco, istituite nel 2004, e ha giustificato il posizionamento di un numero consistente di soldati governativi soprattutto in Nord Darfur, nonché la ripresa di azioni militari su vasta scala, nelle quali si fronteggiano tra loro anche i diversi gruppi di ribelli. Il Dpa è dunque un accordo voluto fortemente da attori esterni, cui hanno aderito le forze interne che in esso hanno scorto vantaggi contingenti; manca però di una leI TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 33 internazionale internazionale Gravissima crisi umanitaria, centinaia di migliaia senza aiuti Nel quadro intricato e violento degli ultimi mesi in Darfur, la situazione umanitaria della popolazione è andata notevolmente peggiorando. Le statistiche parlano di circa tre milioni di persone che hanno bisogno di aiuti umanitari per sopravvivere, numero che comprende sia gli sfollati nei campi, sia chi è rimasto nei villaggi, ma ha perso ogni possibilità di autosostentamento. La cosa più grave è che è diminuita fortemente la possibilità, per le organizzazioni umanitarie, di raggiungere la popolazione, a causa della situazione di insicurezza: il risultato è che molte centinaia di migliaia di persone sono oggi abbandonate a se stesse. Caritas Italiana prosegue il suo sostegno all’intervento del network internazionale Caritas, condotto insieme con la rete delle chiese ortodosse e protestanti Act (Action by Churches Together), nelle regioni del Darfur dell’Ovest e del Sud. Il programma si svolge in nove aree geografiche, coinvolge circa 470 mila persone tra sfollati e membri delle comunità locali e riguarda i settori sanità e nutrizione, acqua, interventi igienico-sanitari, istruzione, agricoltura, protezione, sostegno psicosociale, pace e riconciliazione, fornitura di kit di emergenza per i nuovi sfollati. Serve una forza di pace L’incapacità, da parte della missione di pace dell’Unione africana (Amis) di fronteggiare la crisi e, in prospettiva futura, la mancanza dei finanziamenti necessari per proseguire la missione stessa hanno fatto sì che si riaccendesse il dibattito sulla possibilità che Amis sia sostituita da una forza, più numerosa e con un mandato più forte, del34 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 CONFLITTI, CHI L’HA DETTO CHE SONO SOLO “A SOMMA ZERO”? di Paolo Beccegato infinita crisi in Medio Oriente, il riacutizzarsi degli scontri in Sri Lanka, il dramma senza fine del Darfur, il sangue che di nuovo torna a scorrere in Somalia, non fanno che riproporre la grande questione di come tentare di risolvere un conflitto armato in modo diplomatico e nonviolento. Gli studi sui conflitti hanno identificato almeno cinque possibili approcci a una situazione di conflitto. Competere. Chi si trova in un conflitto, anche non violento, di solito tende a concentrarsi principalmente sulle proprie ragioni e sui propri interessi lo dell’altro. Chi adotta questo stile è moderatamente assertivo e moderatamente collaborativo, ricerca soluzioni mutualmente accettate dal principio e vede la questione del contendere come una torta che può essere divisa, preferibilmente con maggior soddisfazione per sé o al più in parti uguali. Collaborare. C’è una quinta soluzione, la collaborazione o cooperazione. Ene a trascurare quelli dell’altro, cioè a trambi i soggetti in conflitto hanno essere attento più a sé che all’altro. Il un’alta considerazione sia per il proLe tensioni competitivo fa la sua strada anche se il prio interesse, sia per quello dell’altro, che perdurano o si prezzo da pagare è rovinare la relazioma entrambi tengono anche alla reriacutizzano in molti ne con la controparte, fino a usare la lazione reciproca. Cercano assieme paesi confermano violenza. Egli vede nella controparte di generare soluzioni alternative e che è difficile spegnere un avversario ed è disposto a utilizzacreative, che possano soddisfare al una guerra in maniera re tutto il proprio potere per vincere. meglio gli interessi di ciascuno. Per diplomatica e non Accomodare. Se prevalesse l’attenzione far ciò, è necessario esplorare gli violenta. Ma esiste anche obiettivi propri e dell’altra parte e ca(o la paura) per l’avversario e una un modo collaborativo pire le cause del conflitto. La disputa scarsa attenzione per sé, il soggetto in per accostare viene vista come un problema da riconflitto sarebbe accomodante: riquestioni spinose… solvere assieme e non come disacnuncia a soddisfare il proprio interescordo che divide le parti. se, facendo contento l’altro. È l’opposto del competitivo: cerca di mantenere la pace a ogni co- Le possibili soluzioni. Comunemente, chi si trova in conflitsto, sacrifica le ragioni proprie e della sua parte, magari an- to pensa che da esso ne uscirà un vincente e un perdenche perché sa che dal conflitto uscirebbe sconfitto. te, oppure che si troverà un compromesso. In questi casi, Evitare. La persona coinvolta nel conflitto potrebbe rifug- le parti percepiscono il conflitto come una situazione a girlo ed evitare il confronto con l’altro; in questo modo somma zero, in cui il guadagno di una parte equivale alla non soddisferebbe né il proprio interesse, né quello del- perdita dell’altra. In realtà, in un conflitto violento il risull’avversario. Chi tiene poco alla relazione e poco al proprio tato più comune è che ambedue le parti perdano. Scopo obiettivo, evita il conflitto o lo posticipa a un tempo futu- tradizionale della risoluzione del conflitto è aiutare le ro, perché vede il conflitto senza speranza e pensa che non parti a percepire lo stesso come una situazione a nonvalga la pena spenderci energie. Le differenze sono sotto- somma-zero, dove ambedue le parti possono perdere e valutate e il disaccordo, come risultato, è accettato. ambedue le parti possono guadagnare, collaborando e identificando insieme soluzioni che soddisfino entrambi. È quanto si è tentato di fare in Libano e si dovrebbe Problema, non disaccordo Compromettere. La ricerca di un compromesso è una solu- perseguire negli altri teatri di violenza organizzata, a cozione che soddisfa in parte sia l’interesse dell’uno sia quel- minciare dai più dimenticati. L’ TRE MILIONI IN CERCA DI AIUTO Pesatura di un bambino in un campo profughi del Darfur. Nella regione sono oltre tre milioni le persone che hanno bisogno di soccorso umanitario per sopravvivere gittimità popolare e di questo si sono accorti, anche se in ritardo, coloro che hanno preparato e facilitato l’accordo, inserendo un capitolo per certi versi innovativo che propone l’avvio di un dialogo Darfur-Darfur. Esso si pone l’obiettivo di coinvolgere il maggior numero possibile di soggetti nell’accordo di pace e di “costruire la pace e la riconciliazione in Darfur”. Prevede una conferenza permanente, nella quale rappresentanti nei diversi soggetti presenti nella regione possono incontrarsi per discutere le sfide collegate al raggiungimento della pace nel loro territorio, superando le divisioni tra le comunità e cercando di risolvere i problemi per costruire un futuro comune. I risultati della conferenza diventeranno raccomandazioni alle autorità del Darfur e nazionali. guerre alla finestra ACT/CARITAS crisi africane le Nazioni Unite. Il 31 agosto 2006 il Consiglio di sicurezza ha approvato, con l’astensione di Qatar, Russia e Cina, la risoluzione numero 1706, che prevede l’invio di 20.500 caschi blu in Darfur, previo consenso da parte del governo di Khartoum. Quest’ultimo finora si è rifiutato di accettare il passaggio dalla missione africana a quella Onu, che considera forza di occupazione illegittima. In seguito al fallimento di ogni tentativo diplomatico di convincere il governo del Sudan a cambiare idea, l’Unione africana ha per il momento deciso, sostenuta in questo dalle Nazioni Unite, di prolungare la sua missione fino al 31 dicembre 2006; il governo sudanese, dal canto suo, ha accettato un supporto tecnico e logistico all’Amis, che prevede sia equipaggiamento sia invio di esperti, da parte delle Nazioni Unite. Il quadro non è dunque incoraggiante. Per migliorarlo, in Darfur è necessaria una forza di pace che eviti e scoraggi il proseguimento dei conflitti, protegga la popolazione civile e gli operatori umanitari, garantisca la possibilità dello svolgimento del dialogo sul terreno tra i diversi gruppi presenti. È una prospettiva ardua da realizzare. Ma è la sola strada da percorrere per raggiungere la pace. I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 35 internazionale guatemala Tre lettere pastorali memorabili e il martirio del vescovo Gerardi DIECI ANNI SENZA GUERRA, LA MEMORIA RESTA FERITA Un posto speciale, nella storia della processo di pace in Guatemala, merita il magistero della chiesa. Tre sono le lettere pastorali dei vescovi guatemaltechi che hanno tracciato un solco profondo nel paese: Uniti nella speranza, scritta dopo il terremoto di 1976; Il clamore per la terra, che nel 1988 denunciò la triste situazione dei contadini e degli indigeni; È urgente la vera pace, che nel luglio 1995 sottolineò che non può esserci pace senza giustizia. Una perla preziosa dell’operato della Conferenza episcopale è stato Progetto Remhi (per il recupero della memoria storica), a cui è stato pagato un elevato prezzo di sangue: il martirio del vescovo Juan Gerardi (nella foto, la tomba). Costui, già vescovo del Quiché, quindi vescovo ausiliario di Città del Guatemala, nel 1997 fu chiamato a coordinare un’inchiesta sugli anni del conflitto, conclusasi il 24 aprile 1998 con la presentazione del rapporto Guatemala, nunca más, che provava migliaia di casi di gravissime violazioni dei diritti umani. Due giorni dopo, Gerardi fu barbaramente ucciso a colpi di pietra sulla porta di casa da sicari rimasti impuniti. servizi e foto di Guido Miglietta osì lungo il conflitto armato, ancora così immaturo il tempo della pace. Sono passati ormai dieci anni dalla firma (29 dicembre 1996) dei cinque accordi operativi, che a loro volta concretizzavano sette accordi di contenuto, faticosamente raggiunti nel corso del lustro precedente. Da un decennio il Guatemala è ufficialmente un paese pacificato. Ma la memoria della guerra sovrasta ancora il paese. Lo permea, rilascia veleni, paure e un’irrisolta sete di giustizia. Il sanguinosissimo conflitto civile, d’altronde, non era stato uno scherzo: quasi quarant’anni di violenze dopo un decennio (1945-1954) di governi democratici, forze di guerriglia che avevano tradotto in armi la causa Gli accordi del dicembre 1996 dei popoli indigeni e delle misere misero fine, in Guatemala, popolazioni rurali, la sanguinosa repressione di governo ed esercito a a un conflitto di decenni, che aveva PACE SOSPESA Processione difesa degli interessi del ceto dell’o- causato 200 mila morti. Oggi però di campesinos ligarchia terriera, i brutali regimi ingiustizie sociali e discriminazioni a Dos Erres, luogo di un eccidio golpisti degli anni Ottanta, più di negli anni duecentomila tra morti e scompar- razziali continuano a dominare della guerra civile si, centinaia di migliaia di feriti e il paese. Che reclama giustizia mutilati, più di 400 villaggi e paesi rasi al suolo dall’esercito, più di un milione di sfollati e aree di azione indicate negli accordi. Si tratta di situaprofughi nelle fasi acute della guerra. zioni gravi che colpiscono la società guatemalteca, che A novembre cinque premi Nobel per la pace saran- hanno impedito lo sviluppo integrale della persona e la no in visita nel paese centroamericano, in occasione del protezione dei suoi diritti fondamentali. (…) È urgente decimo anniversario della firma degli accordi “per una agire in tutte gli ambiti che ci devono condurre a una pace ferma e duratura”. L’iniziativa è stata promossa società più giusta ed equa, più libera e umana”. dalla guatemalteca (pure lei Nobel, nel 1992) Rigoberta Menchù. Constateranno che la memoria è un cantiere Genocidio pianificato aperto, inconcluso. Le comunità campesinas, contadi- Oggi il Guatemala è il paese della pace sospesa. Solo alcune, e i movimenti indigeni e sociali continuano a chie- ni hanno potuto seppellire i morti, altri non lo hanno andere una pace sostanziata di giustizia sociale. E anche la cora potuto fare, perché i loro congiunti continuano a richiesa guatemalteca, protagonista cruciale della lunga manere desaparecidos, svaniti nel nulla, i resti perduti sotstagione di ricerca della pace e del tribolato dopoguer- to il fango e la terra di quello che le guide turistiche definira, sfodera un’analisi critica. “Dopo tanti anni di conflit- scono “il paese dei vulcani”. La Commissione di chiarito armato che ha dissanguato la patria – afferma un mento storico (Ceh) insediata all’indomani degli accordi messaggio pubblicato a febbraio dalla Conferenza epi- di pace ha condotto un’inchiesta, conclusasi il 25 febbraio scopale –, la firma degli accordi di pace ha significato la 1999 con la presentazione del rapporto Guatemala, mesperanza di tempi migliori. Tuttavia, la realtà è un’altra. moria del silenzio. Esso giunge alla conclusione che in tut(…). Compiendosi i dieci anni dalla firma degli accordi to il paese, specialmente nel periodo 1981-1983, durante di pace, vogliamo sollecitare tutti a tenere presenti le il regime dei generali golpisti Lucas García e Ríos Montt, “è C 36 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 stato sviluppato un genocidio attraverso una strategia pianificata dallo stato contro la popolazione civile, in particolare nella sua componente indigena”. I risultati dell’inchiesta mostrano che la responsabilità delle violazioni dei diritti umani e dei fatti di violenza ricade per il 93% sulle forze repressive dello stato (esercito, polizia, ecc), mentre solo il 3% è attribuito alla guerriglia; i responsabili del restante 4% di violazioni non sono stati identificati. Gli accordi che nel 1996, sottoscritti dai guerriglieri dell’Unrg (Unità rivoluzionaria nazionale guatemalteca) e dal governo di Àlvaro Arzù, misero fine a 36 anni di conflitto armato interno non riguardavano però solo il ristabilimento della sicurezza collettiva. Essi comprendevano anche l’impegno, da parte del governo, di dare il via a una serie di provvedimenti per rispondere all’iniqua distribuzione delle terre e assicurare ai lavoratori e alle comunità indigene il rispetto dei diritti umani. Finora, però, solo alcuni di questi obiettivi sono stati raggiunti. Invece le violenze, la militarizzazione del territorio, l’impunità e gli abusi di potere, così come l’inveterato razzismo, le discri- minazioni di ogni tipo e la povertà di milioni di persone continuano a caratterizzare la realtà nazionale, sempre più lacerata economicamente e socialmente. Le forme di oppressione patriarcale, di classe ed etnocentriche continuano a prosperare. La scelta di affidarsi, in campo economico, a un modello neoliberale ha reso più marcati gli squilibri strutturali del paese. La criminalità organizzata e l’insicurezza tra i cittadini hanno il sopravvento. Lo stato è svilito dalle reti di corruzione e ridicolizzato dalle alleanze mafiose, che esercitano il loro controllo su vaste aree. Il ruolo della società civile Gli accordi del 1996 costituiscono ancora un’agenda valida per la promozione dello sviluppo e della democrazia nel paese. Soltanto, richiedevano il consenso nazionale. Allo stato e al governo, in coordinamento con la società civile, spettava garantire e portare a compimento la realizzazione del contenuto dei trattati e, contemporaneamente, generare iniziative per migliorare condizioni e qualità I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 37 internazionale internazionale contrappunto guatemala di vita della popolazione. In effetti gli accordi hanno dato il via a grandi trasformazioni: un esempio su tutti, il ridimensionamento dell’esercito. Ma le cause che negli anni L’impegno di Caritas Italiana in Guatemala Sessanta avevano originato il movimento guerrigliero si è intensificato dopo la tempesta tropicale Stan, continuano a perdurare. nell’ottobre 2005, con i fondi inviati (400 mila euro) In Guatemala, dove vivono più di 12 milioni di persoalla Caritas nazionale per i soccorsi, gli aiuti per la ripresa ne, l’80% della popolazione si trova in condizioni di podella semina, quindi il piano di ricostruzione. Ma i rapporti vertà, come riconoscono le stesse autorità, mentre gli incon la chiesa del paese centroamericano durano digeni maya si lamentano di continuare a subire razzismo da tempo. Nel triennio 2004-2006 è stato condotto, e discriminazioni. anche grazie a fondi italiani, un progetto di formazione Per investire sulla pace è stata determinante in questo alla coscienza politica in sette diocesi del paese: decennio, e continua a esserlo, la presenza di soggetti delsono stati proposti intensi seminari di formazione, la cooperazione internazionale. Ma ciò non può sostituire con lo scopo di educare a una coscienza critica e favorire l’impegno diretto del governo per la realizzazione degli la partecipazione attiva dei cittadini alla vita sociale impegni assunti, che la società civile ha il compito di cone politica. Dal 2003, inoltre, operano in realtà indicate tinuare a esigere. La Pastorale sociale - Caritas del Guatemala fa la sua parte, in questo senso: nel piano programda Caritas Guatemala giovani “caschi bianchi” in servizio matico in fase di attuazione (2004-2007) parla di “stagnacivile con Caritas Italiana. zione del processo di pace” sul versante politico, di “debilitazione dello stato di diritto, mancanza di governabilità, deterioramento dei diritti umani”. La Caritas aggiunge che “sono riapparsi gli apparati clandestini”: “il sistema giudiziario è incompetente e gli agenti dello stato hanno la possibilità di agire nell’impunità”. Debole appare anche “l’istituzionalizzazione dei partiti politici”, mentre si è “rafforzato il potere locale, tanto delle municipalità di fronte al governo centrale, come della società civile di fronte ai comuni”. La maturazione della società civile appare incoraggiante. Ma non basta a ribaltare dati sociali preoccupanti. A cominciare dai ritardi nel campo dell’educazione, dove i progressi “sono insufficienti”, anche se sono stati compiuti sforzi importanti, e “gli abbandoni continuano ad essere un problema (8,5 su 10 bambini entrano nella scuola primaria, solo 4 finiscono il terzo grado e meno di 3 sono FIGLI DEL DOPOGUERRA promossi)”. Sul fronte sanitario, la mortalità infantile sfioSopra, bimbi ra ancora il 50 per mille e rimane alta quella materna tra le di una comunità donne indigene e nell’area rurale; si stima inoltre che cirsul fiume Usumachinta ca il 20% degli abitanti del paese vivano senza accesso a al confine strutture sanitarie istituzionali. E si potrebbe continuare a col Messico. Sotto, disegni lungo. Ma è l’ora di cambiare registro. Perché la parola di guerra “pace”, in un contesto di deterioramento, finisce per semsul muro brare un suono vuoto. di una scuola Formazione e caschi bianchi, più vicini dopo l’uragano Stan 38 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 PACE FREDDA IN LIBANO, È SOLO UN CONFLITTO RINVIATO? di Alberto Bobbio e domande sono due e le risposte sarebbero troppe da mettere in fila. Prima domanda: cosa fanno i caschi blu in Libano? Seconda: quale lezione è stata tratta dalla guerra dei 33 giorni? Le truppe delle Nazioni Unite si sono schierate nel sud del Libano perché Hezbollah lo ha permesso. Il Partito di Dio resta nel sud del paese, anche se tutto il mondo, caschi blu, Onu e generali internazionali al comando di varie task force, fanno finta di non vederlo. Hezbollah è molto più di un gruppo di guerriglieri, che hanno dimostrato durante la guerra buone capacità balistiche, flessibilità tattica e determinazione. È uno stato e per alcuni l’unico stato esistente in Libano, dotato di un Forse è questo il traguardo mai annunciato, ma anche mai smentito, oltre le retoriche. Potrebbe essere rubricato sotto il nome di “pace fredda in Medioriente”. Purtroppo però le paci fredde di solito spostano solo nel tempo le guerre calde. Ma oggi sembra questa la soluzione, perché i tanti contendenti hanno deciso di subappaltare temporaneamente la deterrenza alle forze internazionali. Lo fa con gioia Israele, lacerato da gravissimi problemi interni; lo fa altrettanto sistema amministrativo, scolastico, felicemente il risorgimento sciita di I caschi blu Onu sanitario e di welfare. La gente lo veTeheran, ancora non pronto a sostischierati al confine de e lo appoggia. tuirsi al fallimento del panarabismo con Israele. Tutti Essendo uno stato, ha deciso di arabo; lo fa il Libano, che continua a i contendenti li hanno non rendere le armi ai soldati con l’elpercorre la rotta tragica dello stato che accolti con favore, ma metto blu, che devono mediare su non esiste. Il futuro prevede una lunga Hezbollah resta padrone permanenza dei caschi blu e qualche tutto, compresi gli affitti dei terreni del campo nel sud del per le basi. Alcuni ufficiali italiani lo incidente che potrebbe infiammare paese. La diplomazia l’area, se qualcuno dei contendenti hanno raccontato agli inviati dei quointernazionale decidesse che l’altro ha superato la sotidiani americani, ma tutto è stato saprà approfittare glia critica del suo rafforzamento. messo a tacere. C’è una retorica delle della tregua? missioni di pace che governa la scena In realtà qualche lezione tutti e non ammette retroscena. L’Unifil ril’hanno tratta. Ma purtroppo non è schia di fare la stessa fine dell’Onu a Sarajevo (solo in un quella fondamentale, cioè che è meglio rinunciare alla quadro, si spera, meno cruento): accumulerà voluminosi guerra. Israele è stato sconfitto ed è una prima volta che lo dossier con le lettere di protesta sulle violazioni delle ri- porterà a ripetere l’esperienza per tentare il riscatto. Hezsoluzione Onu, come d’altronde fa da molti anni. bollah si è svincolato dall’Iran e si propone di diventare l’interlocutore cardine del paese, cioè di diventare il LibaDeterrenza subappaltata no. Anche la comunità internazionale ha tratto la sua leEppure questa prospettiva va bene alla parti in conflitto. zione, uguale a tante altre volte: una tregua è meglio della Sono contenti gli israeliani, perché i caschi blu hanno pace. Resta da vedere se nelle pieghe della situazione riutratto d’impaccio l’esercito di Tel Aviv dalla sconfitta mi- scirà a infilarsi la diplomazia. Oppure se l’orologio della litare e ora sarà possibile addossare loro le responsabi- storia è stato solo fermato. Per ora è la seconda ipotesi che lità, se le cose dovessero di nuovo precipitare. È conten- sembra prevalere. In attesa della guerra prossima ventura, to anche Hezbollah, con cui caschi blu trattano, raffor- che rischia di vedere in campo i veri protagonisti lungo la zandone l’immagine istituzionale e mantenendone la dorsale geopolitica che va da Gerusalemme a Islamabad, forza militare sotto il limite di sicurezza. passando per Damasco, Bagdad, Teheran e Kabul. L I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 39 agenda territori parrocchia e mondialità NAPOLI Casa di accoglienza per senza dimora, è l’“opera-segno” lasciata dal Convegno Sepe inaugura i nuovi laboratori del “Binario” Nelle scuole di Udine per volare oltre i falsi valori, in parrocchia per proporre una globalizzazione “fraterna” Il cardinale Crescenzio Sepe ha visitato a metà ottobre il centro di accoglienza diurna “Binario della solidarietà”, operasegno della Caritas diocesana di Napoli. Il nuovo arcivescovo di Napoli ha incontrato i circa 300 volontari e inaugurato i laboratori di cuoio, ceramica e decoupage, oltre al deposito bagagli per gli ospiti del centro di accoglienza diurna. Il “Binario” offre spazi, opportunità e servizi alle persone senza dimora. Dall’apertura, nel 1995, ha avuto 1.351 utenti, 121 dei quali nel 2005; 733 ospiti sono stati presi in carico per un percorso di accompagnamento e 183 hanno potuto realizzare varie forme di reinserimento (lavoro, casa, ricongiungimento familiare, strutture residenziali...). “Bambini, come cominciano tutte le storie?”. “C’era una volta!”. E così tante e tante volte, entrando nelle scuole primarie, abbiamo catturato l’attenzione dei bambini, sempre meno abituati ad ascoltare fiabe e a far volare la fantasia verso luoghi e spazi da noi adulti ormai dimenticati. Raccontare fiabe che aiutino i bambini a rielaborare emozioni e sentimenti, spesso soffocati dalla frenesia del fare, è stato solo uno dei modi per introdurre nelle scuole le tematiche legate all’educazione alla pace e alla mondialità. Ma anche un altro modo per ascoltare CONDIVIDERE CON FANTASIA esigenze e povertà del territorio della diocesi di Udine, Una “piramide della pace”, costruita in cui operiamo. Andare nelle scuole, non soltanto in una scuola del territorio di Udine grazie alle iniziative di educazione alla mondialità primarie, ma anche secondarie di primo e secondo grado, proposte dalla Caritas diocesane è un’opportunità che ci viene offerta quotidianamente, per calarci nella realtà in cui vivono e operano bambini, ragazzi ed insegnanti. Ci rendiamo conto che ogni tanto c’è qualcosa che non va: la macchina a volte si inceppa... Anche perché si incontrano minori che hanno difficoltà di relazione con i genitori, i docenti e i loro coetanei, a causa della mancanza di valori e della proposta di modelli che privilegiano l’avere, il possedere, il consumo facile, l’amicizia che non impegna… E quando ci si ferma ad ascoltare con attenzione e a proporre alternative, ecco che la catena di “certezze” legate a falsi valori si spezza e nasce la necessità di fermarsi, di approfondire il rapporto con l’altro, di capire chi, dall’alto, sta manipolando le nostre vite. Allora il tempo trascorso insieme ai giovani acquista un senso, grazie anche alle loro provocazioni e alle domande che chiedono con urgenza risposte e motivazioni. E, non senza difficoltà, si vedono nascere piccoli germogli che riscoprono l’attualità della Parola scritta più di duemila anni fa. Insieme agli insegnanti, siamo sempre più convinti che la trasmissione di “valori altri” possa ridare il giusto valore ai sentimenti, alle emozioni e alle relazioni. Così scopriamo bambini che, invece di creare in classe un clima competitivo, preferiscono cooperare, ragazzi che si accostano ad attività di volontariato, giovani che ogni anno decidono di spendere le proprie vacanze all’estero, in terra di missione. La chiesa italiana ha lasciato a Verona, sede del quarto Convegno ecclesiale nazionale, un’importante “operasegno”. Si tratta della casa d’accoglienza “Il Samaritano”, inaugurata il 18 ottobre dal cardinale Camillo Ruini, presidente della Cei, e finanziata con i fondi otto per mille. È una struttura per le persone senza dimora, che sarà gestita dalla cooperativa sociale omonima, promossa dalla Caritas diocesana veronese. Già da quest’inverno darà ricovero a 63 dei circa 300 homeless che si stima vivano nelle strade del capoluogo veneto, accogliendoli in 16 camere da tre a cinque posti letto, cui si aggiungerà in futuro uno spazio per 11 donne. Mensa, magazzino, guardaroba, lavanderia e docce completano la struttura, i cui operatori si propongono di costruire percorsi di reinserimento sociale per gli ospiti. Intanto, approssimandosi l’inverno, anche altre Caritas diocesane si mobilitano in favore dei senza dimora. A Vicenza riapre il 1° novembre il ricovero notturno invernale d’emergenza, che l’anno scorso ha ospitato nei 65 posti letto ben 419 persone. A Bologna è stato lanciato un appello per la raccolta di sacchi a pelo: la Caritas li distribuirà (l’anno scorso furono 162) ai senza dimora, per offrire loro un riparo, e sfrutterà l’occasione del contatto per avvicinarli a percorsi di accoglienza e reinserimento più strutturati. CONVERSANO-MONOPOLI MILANO Emergenza dimora: al via mini-strutture di prima accoglienza Un approccio innovativo al problema della grave emarginazione e dell’emergenza abitativa. È questa l’idea che ha guidato la Fondazione Cariplo a impostare e finanziare (con 3 milioni di euro) il progetto “Emergenza dimora, percorsi di emergenza e solidarietà sociale”. Il progetto prevede l’allestimento di 14 mini-strutture di “prima accoglienza” (ciascuna in grado di accogliere 8-10 persone), nei territori di Milano e Bergamo, alternative alla logica del grande dormitorio. La prima fase dell’iniziativa prevede, entro marzo, la stesura dei singoli progetti 40 di Letizia Banchig VERONA I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 di accoglienza; nel frattempo verrà avviato l’intervento edilizio sui 10 alloggi resi disponibili da altrettante parrocchie della diocesi di Milano e sui 4 di proprietà di una fondazione bergamasca. L’obiettivo è avviare le accoglienze (di senza dimora, persone con forte disagio abitativo, soggetti in uscita dal carcere, donne rimaste sole con i figli, ecc) tra fine 2007 e inizio 2008, puntando a favorire processi di recupero e di reinserimento sociale personalizzati, supportati dalle comunità ecclesiali e civili, dall’associazionismo e dal volontariato locali. Caritas Ambrosiana collaborerà alla progettazione degli interventi e gestirà la rete di alloggi, individuando le risorse professionali e coordinando quelle volontarie. “Proviamo a capire”, progetto e meeting insieme ai giovani Critici con i muri Il Meeting dei giovani 2006 ha concluso a Conversano, dal 5 all’8 ottobre, il progetto “In ascolto del mondo dei giovani. Proviamo a capire”, realizzato dalla Caritas diocesana con un contributo otto per mille ottenuto grazie a Caritas Italiana. Il progetto ha proposto esperienze di ascolto Sembra quasi un paradosso, ma condividere l’attualizzazione del vangelo con i ragazzi, che frequentano la parrocchia, è la sfida più grande. Viviamo in una società talmente efficientista e razionale che l’ora di catechismo e la messa domenicale sono completamente scollate dalla vita quotidiana. E dove, purtroppo, spesso si trova terreno fertile per erigere muri che contrappongono, per esempio, la civiltà cristiana a quella islamica, piuttosto che gettare le basi che ne favoriscono un dialogo. Ma la sfida più grande sta proprio nel far comprendere ai ragazzi che devono porsi di fronte ai nuovi “muri” e alla globalizzazione in maniera critica, come i primi cristiani di fronte all’impero romano, e devono affermare con la loro stessa esistenza un modo diverso di sentirsi ed essere “fratelli”, gettando basi nuove per promuovere e favorire il dialogo e l’integrazione del genere umano. I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 41 agenda territori sto in campagna a cura dell’Ufficio comunicazione Lo sminamento progredisce, ma aumentano anche le vittime Il fenomeno È stato pubblicato a metà settembre il Landmine Monitor Report 2006. L’ottavo rapporto della campagna internazionale per la messa al bando delle mine (nella foto, la copertina) evidenzia che le mine terrestri sono presenti in più di 78 paesi e continuano a contaminare un’area grande come la Siria. La bonifica nel 2005 ha riguardato circa 740 chilometri quadrati, pari alla dimensione della città di New York: circa 470 mila mine terrestri sono stati rimosse. È la bonifica più estesa dal 1980, grazie al moderno sistema di sminamento. Malgrado questo progresso però, 13 dei 29 paesi che dovrebbero terminare la bonifica dei territori entro il 2009-2010 (ad esempio Bosnia, Cambogia, Yemen e altri paesi aderenti alla Convenzione di Ottawa) non hanno adottato le misure previste. Inoltre tre governi (Myanmar, Nepal e Russia) hanno continuato a utilizzare mine terrestri, e così gruppi armati ribelli in almeno 10 paesi. La percentuale delle persone ferite è aumentata dell’11%, soprattutto a causa dell’intensificarsi dei conflitti in Myanmar, Ciad, Colombia, Pakistan e Sri Lanka; il più alto numero di feriti, 1.100, è stato individuato in Colombia. In totale, ancora 15-20 mila persone ogni anno vengono ferite o uccise, mentre più di un milione continuano a vivere in aree minate. L’iniziativa Secondo l’ottavo rapporto, nel 2005, per la prima volta, la raccolta fondi internazionale per la mine action è diminuita: 376 milioni di dollari, circa 23 in meno rispetto al 2004. Commissione Europea e Stati Uniti, i più grossi donatori per lo sminamento umanitario, hanno diminuito le loro erogazioni. Afghanistan e Sudan hanno ottenuto la parte più consistente dei fondi raccolti. Giuseppe Schiavello, direttore della campagna italiana contro le mine, ha ricordato che anche il nostro paese continua a limare i fondi dedicati alla mine action: il fondo istituzionale per lo sminamento umanitario, istituito con la legge 58/2001, doveva avere una dotazione iniziale di 15 milioni di euro per un triennio, ma è stato portato a meno di 7,5 milioni di euro e ogni anno si verificano erosioni. La campagna italiana ha chiesto infine al nostro governo di approvare urgentemente il disegno di legge di modifica della legge 374/97 (messa al bando delle mine antipersona) per estenderne gli effetti alle cluster bombs, micidiali ordigni che colpiscono prevalentemente la popolazione civile. INFO www.campagnamine.org 42 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 del mondo dei giovani, luoghi di dialogo intraecclesiale e occasioni di confronto con quanti operano con i giovani nella società civile. Il meeting finale è stato un laboratorio di dialogo che ha visto coinvolte, oltre a centinaia di giovani, anche le istituzioni e molte realtà associative locali: ricchissimo il programma, con eventi, mostre e una rassegna teatrale realizzati con i lavori che hanno partecipato al concorso “Giovani: raccontare una generazione”. E ancora, testimonianze, un’animazione musicale, ma anche una tenda della preghiera e l’incontro con il vescovo al termine di un pellegrinaggio da Castellana Grotte. Durante il meeting è stata presentata anche la ricerca sociale sui giovani svolta durante il progetto e pubblicata a cura della Caritas con il titolo “In ascolto e al servizio del mondo giovanile”. PIAZZA ARMERINA “Immigrati in città”, in diocesi si punta sull’accoglienza Ha preso l’avvio a ottobre il progetto Inci - Immigrati in Città. Attivato dalla Caritas diocesana, si propone di sviluppare nella comunità ecclesiale una disponibilità all’accoglienza, all’integrazione e al dialogo interculturale nei confronti degli immigrati del territorio. Inci coinvolgerà anche istituzioni e associazioni di volontariato locali. Data la carenza di opportunità lavorative nel territorio ennese, le cifre dell’immigrazione in diocesi non sono altissime: i dati ufficiali censiscono 1.287 immigrati da circa 70 nazioni, cui vanno aggiunte le presenze illegali, stimate in circa 3 mila unità. Non mancano però i problemi sociali e culturali, cui intende rispondere il nuovo progetto. OSSERVATORI Toscana e Campania, sempre più donne ai centri d’ascolto Prosegue, da parte delle delegazioni regionali Caritas e delle Caritas diocesane, la presentazione dei “Rapporti sulla povertà”, sviluppati dai locali Osservatori sulle povertà e le risorse. In Toscana chi si rivolge ai centri d’ascolto Caritas (oltre 15 mila persone, nel 2005) arriva in prevalenza dall’Europa centro-orientale, è in Italia da un anno o meno, è donna, senza permesso di soggiorno, vive in affitto o da amici, è senza lavoro pur avendo un titolo di studio. Rispetto al Rapporto dell’anno precedente, la componente femminile (il 52,7%) ha sorpassato quella maschile. Anche in Campania l’utente medio dei centri d’ascolto è donna, tra i 35 e i 39 anni, ma è coniugata, in possesso di licenza elementare, disoccupata, ha una dimora abituale e vive con propri familiari o parenti. I dati sono relativi a un campionamento casuale di 1.245 utenti di centri di ascolto in 11 delle 24 diocesi campane. Emerge sensibile anche l’aumento di famiglie tra gli utenti: non più casi singoli di povertà, ma situazioni multiproblematiche che investono l’intero nucleo familiare. Infine il primo “Rapporto sulle povertà” della Caritas della diocesi lucana di Melfi-Rapolla-Venosa riporta i dati relativi all’attività di tre centri d’ascolto (altri due ne stanno sorgendo), dove nel 2005 sono transitate oltre 2.700 persone: molto forte la componente di italiani, da cui emerge una consistente domanda di lavoro (la zona è stata interessata dalla crisi dello stabilimento Fiat). sussidi a cura dell’Ufficio comunicazione L'Avvento guidato dai pastori, è tempo di ascolto e stupore “Quelli che udirono si stupirono”. Il versetto (2, 18) del Vangelo di Luca è l’elemento ispiratore dei sussidi predisposti per il periodo di AvventoNatale 2006 da Caritas Italiana e dall’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Cei. Il consueto e ricco kit, che serve all’animazione pastorale in parrocchia e a ispirare la preghiera a casa, si compone di un opuscolo per le famiglie, un album per i bambini, un poster, un salvadanaio e una scheda per l’animazione pastorale (disponibile anche on line, sul sito internet di Caritas Italiana). «Tutti quelli che odono il racconto dei pastori – si legge nell’introduzione biblica del sussidio di Avvento – si stupiscono di quanto essi dicono. Chi sono? Il Vangelo non lo dice. Di quale stupore si tratta? È meraviglia o diffidenza? Di fronte alla rivelazione del divino può sorgere uno stupore intuitivo e aperto, addirittura un’ammirazione devota; ma può nascere anche soltanto una meraviglia ottusa, o addirittura un dubbio che si chiude nel rifiuto». Atteggiamenti di fronte al mistero Il tema scelto dalla Conferenza episcopale italiana per quest’anno mette insomma l’accento su due atteggiamenti possibili di fronte al mistero dell’incarnazione: l’ascolto e lo stupore. I sussidi proposti vogliono aiutare ad approfondire il tema attraverso le immagini, le esperienze di vita, il gioco. L’opuscolo aiuta a mettersi in ascolto della Parola di Dio e delle parole di persone che si sono messe in ascolto, in relazione, pronte a stupirsi della grandezza e della misericordia di Dio che si manifestano in ognuno; persone sconosciute, in Italia e nel mondo, ma anche persone dal nome e dalla vita famosi. L’album è uno strumento imperniato su cinque verbi (“Io vedo, io ascolto, io mi meraviglio, io aspetto, io incontro”) che aiutano i bambini ad attivare fantasia e attenzione, anche grazie all’apporto di Cosetta Canotti e Cinzia Ratto, autrice e illustratrice di pubblicazioni per minori. Il poster si concentra sull’espressione di stupore e affetto che si disegna sul viso di una suora di fronte a un bimbo che racconta qualcosa: l’annuncio viene da un bimbo, proprio come accade a Natale. Quanto al salvadanaio, è un piccolo strumento – molto utilizzato in tante parrocchie – per chi intende accompagnare il cammino di Avvento con un gesto concreto di solidarietà. I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 43 villaggio globale a tu per tu CINEMA TV Una storia animata è il “corto di pace” al “Città di Pergola” Il volontariato sul satellite, “Tempi dispari” è anche per gli altri Un’idea sempre più convincente. Che cresce in numero e qualità delle partecipazioni. Si è svolta all’inizio di ottobre (premiazione sabato 7) la terza edizione del Festival del cortometraggio “Città di Pergola”, dedicato in particolare ai giovani registi e autori. La sezione “Pace e diritti umani”, promossa dalla Delegazione regionale Caritas delle Marche, aveva come tema, quest’anno, “Pace ambiente”: l’opera prima classificata è risultata “La mia migliore amica”, di Stefano Buonamico, “piccolo gioiello di animazione – recita la motivazione della giuria –, che riesce a toccare il cuore”. La vicenda di una bambina profuga in un campo del Pakistan “è magistralmente illuminata da una semplice bambolina, che per la piccola Nahir (…) è un segno grande e gioioso di vita e di speranza”. Un premio speciale della giuria, sempre per la sezione Caritas, è andato a “Baiano”, di Elisabetta Bernardini, che con un’ottima scenografia (…) evidenzia molto bene la centralità dei valori più veri: la vecchia casa dei ricordi, il paese natio, le cose e gli amici più cari, che rendono autentica la vera amicizia”. INFO www.festivalcortopergola.it RADIO In onda su Ecoradio e altre 40 emittenti il “Gr Solidarietà” Ecoradio è un’emittente radiofonica che diffonde le sue trasmissioni (sulla frequenza 88.3) nel Lazio e in Abruzzo, 44 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 La tv via satellite riesce a sfornare idee, nel campo dell’informazione sociale e culturale, molto più originali e incisivi di quanto faccia l’elefante delle reti generaliste via etere. Ne è un esempio “Tempi dispari”, una trasmissione che dallo scorso 8 marzo, condotta da Manuela Pasquini, presenta ogni giorno, da lunedì a venerdì, collegamenti con le redazioni dei media internazionali, analisi e commenti di autorevoli opinionisti sui fatti di cronaca, ma anche intervista a testimoni e intelligenti spazi riservati a temi che in tv faticano a trovare cittadinanza. Ne è un esempio Tempi dispari per gli altri, spazio informativo che dal 9 ottobre ogni giorno, per tre minuti, parla di volontariato, offrendo informazioni, testimonianze, storie. “Tempi dispari” va in onda sul canale satellitare Rainews 24 dal lunedì al venerdì dalle 21.15 alle 22.30. INFO www.rainews24.it/ran24/magazine/tempi-dispari ma trasmette 24 ore su 24 anche tramite sito web e satellite. È legata al movimento politico dei Verdi e dedica ampio spazio ai temi dell’ambiente e della pace, ma anche della solidarietà. Gr Solidarietà, in particolare, è il suo format che quotidianamente accende i riflettori sul mondo del volontariato e del terzo settore, rilanciato anche da una rete di altre 40 emittenti. Presentando appuntamenti e notizie avvicina il radioascoltatore a tematiche fondamentali per lo sviluppo sostenibile del nostro pianeta: i diritti dell’infanzia, degli anziani e dei detenuti, la protezione degli animali, il sostegno alle popolazioni del sud del mondo, la promozione di un’economia etica, le battaglie contro la pena di morte. Esponenti delle maggiori associazioni di solidarietà e umanitarie intervengono ai microfoni di Ecoradio per illustrare le attività condotte a favore di chi non ha voce. INFO www.ecoradio.it INTERNET Nuovo Superabile.it, sguardo “normale” sulle disabilità Una nuova veste grafica. Una gestione più completa e articolata dei contenuti. È stato presentato il 19 ottobre a Roma, nella sede centrale dell’Inail, il nuovo portale di Superabile.it, che a quasi sei anni dalla nascita si sviluppa e si rafforza, per riuscire sempre meglio a imporsi come portale “per” e “dalla” disabilità. I contenuti giornalistici del portale rinnovato sono a cura dell’agenzia Redattore Sociale; l’iniziativa è sostenuta dall’Inail, che anche grazie al portale intende divenire un punto di riferimento culturale e operativo per tutte le persone disabili, mettendo a disposizione strumenti di comunicazione, informazione e formazione sui principali problemi della vita quotidiana. Superabile, accessibile a tutti i tipi di disabilità, offre informazioni e consulenze tramite un call center e il portale. Franco di Danilo Angelelli Il “condominio terra” raccontato a notte fonda: «La Tv che rende cittadini del mondo è ancora utopia» Gli spazi sulla tv generalista sono sempre meno. Ma a Silvestro Montanaro è “concesso” ugualmente di praticare l’attenzione per il sociale e di raccontare ingiustizie impossibili da tacere. E questo, al culmine di un percorso giornalistico fatto di carta stampata (Paese Sera e L’Unità) e, appunto, televisione (con Michele Santoro: Il Rosso e il Nero, Tempo Reale, Sciuscià). La sua “creatura”, quel C’era una volta che nel 1999, all’esordio, raccontava storie di infanzia negata, con il tempo ha allargato gli orizzonti. Ed è tornata da mercoledì 25 ottobre, alle 23.30 su Rai Tre. Orari impraticabili ai più, ma Montanaro va per la sua strada: nella nuova serie in dieci puntate fa luce sulle interdipendenze che legano in un unico destino i paesi di tutto il mondo. Quali sono le novità dell’edizione 2006? Anzitutto il racconto critico della globalizzazione: siamo convinti che sia una grande occasione per risolvere molti problemi del “condominio terra”, ma finora a essere davvero globalizzate sono state le disuguaglianze. Poi la lettura, attraverso il racconto popolare, di alcune crisi che gli stereotipi dell’informazione hanno reso lontane. Una non novità, invece, è che a subire le conseguenze negative dei fenomeni REPORTAGE PER NOTTAMBULI di cui parliamo sono sempre le stesse persone. Sopra, Silvestro La seconda serata è spesso il luogo della riflessione in tv. Oggi, con gli investimenti Montanaro e (di fianco pubblicitari nell’access prime time (fascia-ponte tra tg e prima serata), parte sempre al titolo) il logo della trasmissione. più tardi. E il servizio pubblico? I documentari La televisione purtroppo è territorio di nomine. Sento parlare molto poco di problemi di C’era una volta editoriali. Una televisione che ci faccia diventare cittadini europei e del mondo è ancora (foto sotto, immagine dalla puntata sui Darfur) un’utopia. Africa, sud-est asiatico e America Latina non hanno spazio. Non lo dico da vanno in onda mercoledì terzomondista, ma da cittadino, che avverte la mancanza di un racconto onesto della realtà. alle 23.30 su Rai Tre Nelle sue trasmissioni si è spesso occupato di aiuti umanitari… Ogni volta che ho rilanciato campagne ho controllato in prima persona e rendicontato. Cercando di parlare all’intelligenza delle persone. Basta con i bambini disperati usati come immagine, accompagnati da parole pietistiche che vogliono dire: “Sta al tuo senso di colpa far sì che lui sopravviva”. Nella nuova serie parliamo di Avamposto 55, la campagna per il Darfur lanciata da Bonolis al Festival di Sanremo 2005. Gli aiuti sono arrivati, ma lì stanno succedendo cose gravissime. Perché il programma si intitola ancora C’era una volta? Il racconto dei grandi temi deve avere dentro anche grandi passioni e sentimenti. La narrazione delle favole ha sempre avuto questa capacità. Però di favole bugiarde in giro ce ne sono tante: in qualche modo proviamo a svelarle. Tra le tante “favole” del suo percorso giornalistico ce n’è una a lieto fine? L’amarezza di questi anni è ritornare nei posti e trovare situazioni incancrenite. Ricordo il candore delle ragazze di strada di Fortaleza, in Brasile. Si vendevano ma non accettavano di qualificarsi come prostitute. Sognavano il principe azzurro, l’incontro che risolveva una vita. Oggi nessuna di loro sogna più. Tutte coscienti di essere prostitute. Ma ricordo anche Marilene, 10 anni. Diceva che preferiva spaccarsi la schiena al sole in una pietraia piuttosto che vendersi. La gente vide la sua storia in tv e inviò soldi, che, attraverso i comboniani, destinammo a un progetto per lo studio. Marilene l’anno prossimo si laurea in medicina: sente che il suo lavoro è una funzione sociale, sarà una splendida dottoressa. I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 45 villaggio globale Bomprezzi, giornalista, fondatore quasi sei anni fa di Superabile, ha affermato che esso prova a rettificare una tendenza secondo la quale «i mass media si occupano di questi temi a partire da casi estremi. Così ci si trova quasi sempre di fronte a un giornalismo troppo rapido, che non ha il tempo di verificare le notizie né di approfondire i temi». Invece una buona informazione sulla disabilità, per Bomprezzi, è essenzialmente un’informazione normale. [redattore sociale] INFO www.superabile.it STAMPA Afro, un’agenzia per chi scommette su un continente Un’agenzia di stampa per dare voce all’Africa. Il progetto, promosso dalla banca Unicredit, dal comune di Roma e dalla società editoriale Vita, è stato annunciato a inizio ottobre. Afro è un progetto complesso: oltre all’agenzia internazionale di stampa, prevede varie iniziative di promozione della cultura e della società africane. Per i promotori del progetto si tratta di cambiare la logica tradizionale con la quale si sono guardati storicamente i problemi del continente e si è impostato il rapporto tra Europa e Africa. Quest’ultimo è anche, secondo i promotori, e non solo per il positivo tasso di sviluppo maturato da metà degli anni Novanta, un continente su cui investire. Soprattutto perché “è un grande pozzo di risorse. Non solo naturali, ma soprattutto umane. E culturali”. Nelle intenzioni dei promotori, Afro intende proporsi come un media originale. La sede sarà a Roma, i giornalisti saranno una decina, metà africani e metà italiani, sono previste collaborazioni dall’Africa. [redattore sociale] 46 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2006 pagine altre pagine Italia Caritas + Valori È un mensile di economia sociale e finanza etica promosso da Banca Etica. Propone ogni mese “Osservatorio nuove povertà”, in collaborazione con Caritas Italiana. di Francesco Meloni L’esperimento di un laico cattolico, ovvero le tensioni della coscienza Un libro di politica e sulla politica? Piuttosto, la testimonianza personale di un percorso politico-sociale che copre il decennio in cui l’autore, da anni collaboratore di Caritas Italiana, è stato presidente nazionale delle Acli. Il laico esperimento. Lavoratori cristiani tra fedeltà e ricerca, 1976-1987 (Edup 2006, pagine 267), firmato da Domenico Rosati, può essere letto in due modi: come la descrizione di un microcosmo nel quale si riproducono le tensioni della coscienza cristiana (autorità e libertà, clericalismo e laicità), alla ricerca della giustizia in un contesto democratico e pluralistico; oppure come una ripresa “in soggettiva” di fatti, umori e malumori, persone, intrecci e tragedie (dal terrorismo al riarmo nucleare, dalla “sintonia” ideale e politica tra Moro e Berlinguer al nuovo rapporto con il Pci e… al recente ritorno dell’anticomunismo) che hanno segnato una fase ancora poco esplorata della storia politica e sociale italiana. Non è un diario, ma una ricostruzione (con tutti i vizi dell’unilateralità e dell’influsso cumulativo delle passioni) che parla all’oggi; e non è neppure un libro di storia o l’impresa vana e vanitosa di chi vuole contrastare le inesorabili dissolvenze dell’oblio. È, piuttosto, il tentativo di ripercorrere fedelmente le tappe di uno dei più originali esperimenti cattolici del Novecento in Italia (quello appunto delle Acli, ma non solo!), inzuppato fino al midollo dall’impegno per la liberazione umana e la promozione civile e dallo sforzo di concorrere (con l’orientamento politico e la pressione sociale) alla determinazione di scelte significative per l’intera comunità nazionale. Scelte che in seguito Rosati ha contribuito a delineare anche da senatore della repubblica (1987-1992). I temi e i problemi dell’opera di Rosati riecheggiano in altri saggi e studi che, tra l’altro, hanno trovato spazio all’annuale fiera del libro di Francoforte: La democrazia dei cristiani. Il cattolicesimo politico nell’Italia unita (Laterza 2006, pagine 229), di Pietro Scoppola; La differenza cristiana (Einaudi 2006, pagine 118), di Enzo Bianchi; Italia in frantumi (Laterza 2006, pagine 188), di Luciano Gallino; Cattolici, pacifisti, teocon. Chiesa e politica in Italia, dopo la caduta del muro (Mondatori 2006, pagine 193), di Gaetano Quagliariello; Dibattito sulla laicità (ElleDiCi 2006, pagine 160), di Giuseppe Savagnone. + Dieci numeri annui dei due mensili a 40 euro Per aderire: • versamento su c/c postale n. 28027324 intestato a Soc. Cooperativa Editoriale Etica, via Copernico 1, 20125 Milano • bonifico bancario: c/c n. 108836 intestato a Soc. Cooperativa Editoriale Etica presso Banca Popolare Etica - Abi 05018 - Cab 12100 - Cin A Indicare la causale “Valori + Italia Caritas” e inviare copia dell’avvenuto pagamento al fax 02.67.49.16.91 Leggo doppio Leggo solidale Occasione 2007 per i lettori: Italia Caritas a casa vostra, insieme a un altro periodico, per capire meglio la società e il mondo che ci ruotano attorno, nel segno della solidarietà. Alleanza di pagine e idee, a un prezzo conveniente. I TA L I A C A R I TA S | OT TOBRE 2006 47 I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione, stampa e spedizione di Italia Caritas, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a: Caritas Italiana - c.c.p. 347013 - viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma - www.caritasitaliana.it