SPORT: GIURISPRUDENZA DE LA CORTE DI GIUSTIZIA DELLE C.E.
ISBN 978-960-92616-2-3
Marios Papalucas
www.sportlaw.gr
www.papaloukas.gr
M. Papalucas
SPORT:
GIURISPRUDENZA DE LA CORTE DI
GIUSTIZIA DELLE C.E.
2008
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Indice
Introduzione
5
1. Causa T-46/92, Scottish Football Association
7
2. Causa C-415/93, Jean-Marc Bosman
17
3. Causa C-124/96, Commissione v Regno di Spagna
37
4. Causa C-9/98, Agostini v Ligue Francophone de Judo
41
5. Causa C-67/98, Questore di Verona v Diego Zenatti
44
6. Causa C-51/96 e C-191/97, Christelle Deliège
50
7. Causa C-176/96, Jyri Lehtonen
61
8. Causa C-150/99, Stockholm Lindöpark AB
71
9. Cause da T-38/99 a T-50/99, Sociedade Agrícola dos Arinhos
79
10. Causa C-174/00, Kennemer Golf
86
11. Causa T-185/00, Antena 3 de Televisión SA
94
12. Causa C-318/00, Bacardi-Martini SAS
110
13. Causa C-206/01, Arsenal Football Club plc
117
14. Causa C-243/01, Piergiorgio Gambelli
127
15. Causa C-438/00, Deutscher Handballbund
140
16. Cause T-346/02 e T-347/02, Cableuropa SA
149
17. Causa C-42/02, Diana Elisabeth Lindman
186
18. Causa C-270/02, Commissione v Repubblica Italiana
191
19. Causa T-216/02, Fieldturf Inc.
196
20. Causa C-429/02, Bacardi France SAS
203
21. Causa C-338/02, Fixtures Marketing Ltd
211
22. Causa C-444/02, Organismos prognostikon agonon podosf. AE
218
23. Causa T-193/02, L. Piau v Commissione & FIFA
226
24. Causa C-246/04, Turn- und Sportunion Waldburg
246
25. Causa C-265/03, Igor Simutenkov
254
26. Causa T-33/01, Infront WM AG
261
27. Causa C-89/05, United Utilities plc
288
28. Causa T-477/04, TDK
293
29. Causa C-345/04, Centro Equestre da Lezíria Grande
304
30. Causa C-519/04, D. Meca-Medina, I. Majcen
310
31. Causa C-338/04, Placanica
321
32. Causa C-409/06, Winner Wetten
334
33. Causa C-49/07, MOT.O.E.
335
34. Causa C-359/07, SOBO Sport & Entertainment GmbH
336
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Introduzione
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha emesso nel corso degli ultimi
anni, numerose decisioni rispetto agli sport. Dopo il caso Bosman, la Corte ha
cominciato a riconoscere una certa autonomia alle organizzazioni sportive, usando
l’eccezione alla regola generale con frase come “…è permesso se questa regola
deriva da une bisogno inerente all’organizzazione di una tale competizione” nel caso
Deliège, oppure “…a meno che non ci siano ragioni obiettive che riguardano
esclusivamente gli sport ” nel caso Lehtonen, o ancora“le restrizioni imposte devono
essere ristrette a tutto ció che è necessario alla buona organizzazione delle
competizioni sportive ” nel caso di Meca-Medina. Infine, la Corte ha riconosciuta
anche il diritto delle organizzazioni sportive ad adottare azioni regolatrici in settori
che non sono esclusivamente sportivi e per i quali lo Stato non ha previsto
regolamenti, come nel caso Piau, ove la Corte ha riconosciuta alla FIFA il diritto di
stabilire delle regole rispetto al rilascio di licenze professionali ai manager dei
giocatori di calcio.
Questo evidentemente significa che la Corte non ha smeso di ripetere alle
organizzazioni sportive che rimane il giudice ultimo delle loro decisioni regolatrici e
di ricordargli i loro limiti, come nei casi Deutscher Handballbund e Simutenkov,
rispetto all’interdizione della discriminazione fondata sulla nazionalità.
D’altra parte, ci sono stati casi nei quali la Corte ha protetto l’autonomia delle
organizzazioni sportive contro l’intervento dello Stato. Cosí, nel settore delle
scommesse sportive, la Corte ha giudicato in ogni caso, dal caso Zennati ai casi
Gambelli e Placanica, che le procedure dello Stato per rilasciare permessi alle ditte di
scommesse sportive sono nulle. Lo stesso, nel caso della Repubblica Italiana rispetto
alla proibizione di imposizione da parte dallo Stato di restrizioni sugli articoli nutritivi
sportivi. La Corte ha trattato nel medesimo modo le restrizioni dello Stato rispetto alle
pubblicità televisive nelle zone della competizione, nel caso Bacardi – Martini.
Oggi, possiamo finalmente dire che la Corte, pur insistendo, in generale, sulla sua
opinione iniziale, come espressa nel caso Bosman, riconosce, con il tempo, che, da
una parte, esistono certe particolarità del settore sportivo e, dall’altra, che c’è un
settore che ricade esclusivamente sotto la competenza degli sport. In ogni modo, è un
peccato che lo sport ed il diritto sportivo, al momento di vedere riconosciuta la loro
indipendenza rispetto alle regole dello Stato, siano stati obbligati ad iniziare una
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nuova battaglia per convincere anche gli organi dell’Unione Europea che non hanno
bisogno di tutori.
Per la Giurisprudenza v. http://www.curia.europa.eu/ e ancora http://eurlex.europa.eu/
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1. Causa T-46/92,
The Scottish Football Association,
società di diritto scozzese, con sede a Glasgow (Regno Unito), ricorrente,
contro
Commissione delle Comunità europee,
convenuta,
avente ad oggetto l' annullamento della decisione della Commissione 31 marzo 1992,
relativa a un procedimento ai sensi dell' art. 11, n. 5, del regolamento del Consiglio 6
febbraio 1962, n. 17, primo regolamento di applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato
(IV/33.742 - TESN/Football Authorities),
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Prima Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Motivazione della sentenza
Antefatti e procedimento
1 La ricorrente è una società di diritto scozzese, costituita in forma di società a
responsabilità limitata e composta principalmente da associazioni ed enti calcistici, che
ha lo scopo di promuovere il calcio in Scozia e di rappresentare gli interessi delle
associazioni scozzesi a tutti i livelli.
2 Il 5 dicembre 1991 la Commissione inviava alla ricorrente una lettera ex art. 11 del
regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento di applicazione
degli artt. 85 e 86 del Trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204, in prosieguo: il "regolamento n.
17"). In tale lettera, che richiamava i passi pertinenti della disposizione di cui trattasi
nonché un estratto dell' art. 15 del medesimo regolamento n. 17, la Commissione,
facendo riferimento ad una denuncia presentata da The European Sports Network (in
prosieguo: la "TESN"), esprimeva perplessità in ordine al fatto che la ricorrente sembrava
voler impedire alla TESN la ritrasmissione in Scozia di incontri di calcio argentino.
Sembrerebbe che la ricorrente abbia avviato contatti al riguardo con l' associazione
calcistica argentina, ai sensi dell' art. 47 dello statuto della Federation of International
Football Associations (in prosieguo: la "FIFA"), che autorizzerebbe il comitato esecutivo
della stessa FIFA a fissare un nuovo sistema di regole a disciplina della trasmissione
televisiva internazionale di incontri di calcio. Stando alle informazioni raccolte dalla
Commissione, tale nuovo sistema non sarebbe stato ancora fissato. La base giuridica dell'
azione della ricorrente presso l' associazione calcistica argentina non sarebbe quindi
chiara. La ricorrente veniva quindi invitata - "al fine di consentire lo svolgimento della
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relativa inchiesta con piena cognizione dei fatti e nel loro corretto contesto economico" a rispondere ai seguenti quesiti:
"1) Sulla base di quale eventuale titolo giuridico siano stati avviati contatti con l'
associazione calcistica argentina.
2) Se, nelle more dell' emanazione di una nuova disciplina ad opera del comitato
esecutivo ex art. 47 degli statuti della FIFA, esistano accordi tra le associazioni nazionali
facenti parte della FIFA relativi alla trasmissione televisiva di incontri di calcio da un
paese all' altro.
3) Se, nelle more dell' emanazione di una nuova disciplina, esistano istruzioni della FIFA,
del comitato esecutivo della medesima o di qualsiasi altra autorità giuridica o esecutiva,
relative, con riguardo alle dette ritrasmissioni televisive, all' applicazione dell' art. 47 o
del precedente art. 37.
4) Si prega di fornire copia della corrispondenza intercorsa con l' associazione calcistica
argentina in merito alla diffusione televisiva di incontri di calcio argentini da parte della
TESN".
Ai fini della risposta ai detti quesiti veniva fissato un termine di quattro settimane. La
Commissione si richiamava al riguardo all' art. 11, n. 5, del regolamento n. 17.
3 In data 14 gennaio 1992 la ricorrente rispondeva nei seguenti termini:
"(...)
E' con una certa sorpresa che ci è pervenuta la vostra richiesta. Costituisce fatto noto in
Scozia così come in altri paesi che la trasmissione televisiva di incontri di calcio può
avere ripercussioni negative sul numero degli spettatori di calcio 'dal vivo' . E' nostro
dovere promuovere ed incoraggiare lo sport del calcio sia a livello di spettacolo sia a
livello di pratica sportiva. La televisione costituisce un eccellente mezzo di promozione e
di sostegno di tale sport, ma, se utilizzata in modo inopportuno, può anche produrre
effetti nocivi, in particolare riducendo il numero delle persone che assisterebbero
normalmente ad un incontro di calcio.
Per tale motivo l' associazione non teme di affermare che essa segue e continuerà a
seguire una politica consistente nel garantire un certo controllo sulla trasmissione
televisiva in Scozia di incontri di calcio laddove questi possano rivelarsi nocivi agli
interessi generali del calcio scozzese (...).
In tutto il mondo le preoccupazioni delle associazioni calcistiche sono le stesse. Per tale
motivo noi ci consultiamo regolarmente, a titolo di cortesia, nell' ambito delle istituzioni
internazionali poste a disciplina del gioco del calcio, al fine di evitare interferenze tra il
calcio in televisione e quello 'dal vivo' . Non riteniamo di dover dare giustificazioni sul
piano giuridico quando scriviamo ad un' altra associazione calcistica per ricordarle il
nostro mutuo interesse a un equilibrato rapporto tra i vantaggi e gli inconvenienti della
ritrasmissione televisiva di incontri di calcio stranieri.
Non sappiamo quando la FIFA concluderà i lavori previsti ai fini della revisione delle
norme esistenti in materia.
A dire il vero, non comprendiamo i motivi per i quali il signor Baron ha mostrato tanto
nervosismo al riguardo, né i motivi per i quali la Commissione è intervenuta in termini
così perentori.
Saremmo lieti di potervi incontrare in qualsiasi momento al fine di esporre le nostre
opinioni sul problema complessivo del contrasto tra ritrasmissione televisiva ed incontri
'dal vivo' , ma riteniamo sinceramente, per quanto attiene alla questione argentina, che la
Commissione non abbia motivo di trarre preoccupazione dalla corrispondenza intercorsa
tra associazioni consorelle sul problema di cosa sia più utile al gioco del calcio (...)".
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In mancanza di reazioni da parte della Commissione, la ricorrente le scriveva nuovamente
in data 11 marzo 1992 per ottenere conferma della ricezione della lettera del 14 gennaio
precedente.
4 Successivamente, con telefax 31 marzo 1992, la Commissione inviava alla ricorrente
una decisione di pari data - la cui notificazione formale è avvenuta qualche giorno più
tardi - relativa ad un procedimento ai sensi dell' art. 11, n. 5, del regolamento n. 17. Con
tale decisione la Commissione invitava la ricorrente, comunicandole una penalità di mora
di 500 ECU al giorno, a fornirle, entro il termine di due settimane a decorrere dalla
notificazione della decisione medesima, le informazioni richieste nella lettera 5 dicembre
1991 (artt. 1 e 2 e allegato). Nella decisione si menziona, all' art. 3, che contro di essa può
essere proposto ricorso dinanzi al Tribunale, ai sensi degli artt. 173 e 185 del Trattato.
Nei 'considerando' della decisione la Commissione indica l' oggetto della denuncia
presentata dalla TESN (punti 1 e 2), ricorda gli scopi della richiesta di informazioni
iniziale e constata il carattere incompleto della risposta data dalla ricorrente il 14 gennaio
1992 (punto 3); essa ricorda inoltre la necessità delle informazioni richieste ai fini della
prosecuzione dell' inchiesta (punto 4) e precisa il termine per la risposta alla decisione,
termine che essa ritiene adeguato (punto 6), nonché l' importo dell' ammenda prevista in
caso di mancata esecuzione della decisione medesima (punti 7 e 8).
5 In risposta a tale decisione, la ricorrente inviava, in data 15 aprile 1992, una lettera in
cui, dopo aver sottolineato come le apparisse profondamente ingiusta la condotta della
Commissione che non aveva risposto ad alcuna delle due lettere inviatele dalla ricorrente
medesima nel gennaio e nel marzo 1992, si pronunciava, in ordine ai quattro quesiti
enunciati nella decisione, nei termini seguenti:
1) La corrispondenza della ricorrente con un' associazione calcistica omologa potrebbe
essere fondata su varie basi giuridiche. Lo statuto della ricorrente le attribuirebbe il
compito di promuovere il calcio in Scozia in tutti i suoi aspetti; scrivere alle altre
associazioni rientrerebbe nella realizzazione di tale compito. La ricorrente avrebbe
chiesto all' associazione argentina di essere consultata, ai sensi dell' art. 47 degli statuti
della FIFA nonché della prassi costante delle associazioni calcistiche del mondo intero,
prima che gli incontri di calcio argentino fossero ritrasmessi in Scozia. Dalla
corrispondenza acclusa risulterebbe chiaramente che la ricorrente non intendeva vietare la
ritrasmissione televisiva di incontri di calcio argentino in Scozia.
2) Le norme della FIFA relative all' utilizzazione e alla ritrasmissione televisiva
internazionale di incontri di calcio sarebbero attualmente oggetto di esame. Nelle more
del compimento di tale revisione, la ricorrente (oltre ad altre associazioni calcistiche nel
mondo intero) continuerebbe ad attenersi alla convenzione precedente, vale a dire
consulterebbe le associazioni omologhe prima dell' avvio delle relative ritrasmissioni
televisive.
3) La ricorrente non sarebbe a conoscenza di alcuna istruzione della FIFA, né del suo
comitato esecutivo né di qualsiasi altra autorità giuridica o esecutiva, relativa all'
applicazione dell' art. 47 (o del precedente art. 37) degli statuti della FIFA con
riferimento alle ritrasmissioni di cui trattasi.
4) In allegato alla lettera la ricorrente ha prodotto copia delle lettere inviate all'
associazione argentina.
Procedimento e conclusioni delle parti
6 Ciò premesso la ricorrente proponeva il presente ricorso, registrato nella cancelleria del
Tribunale il 10 giugno 1992.
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7 Successivamente alla proposizione del ricorso, con lettera indirizzata alla ricorrente il
24 giugno 1992, la Commissione confermava che le risposte date dalla ricorrente
medesima nella lettera del 15 aprile 1992 erano sufficienti e fornivano le informazioni
richieste nella decisione alla quale, conseguentemente, la ricorrente aveva dato piena
esecuzione.
8 La fase scritta del procedimento si è svolta regolarmente, dovendo precisarsi che la
Commissione non ha depositato controreplica. Con memoria depositata il 17 luglio 1992
la Commissione ha sollevato eccezione di irricevibilità che, con ordinanza del Tribunale
(Prima Sezione) 28 ottobre 1992, è stata respinta nel merito. Su relazione del giudice
relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha deciso di passare alla fase orale senza procedere
ad istruttoria. Su richiesta della ricorrente è stato disposto il rinvio dell' udienza già
fissata per il 13 ottobre 1993.
9 Le parti hanno svolto le proprie difese orali e hanno risposto ai quesiti del Tribunale all'
udienza del 12 luglio 1994.
10 La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:
- respingere l' eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione;
- annullare la decisione notificatale dalla Commissione il 31 marzo 1992;
- disporre ogni altro provvedimento che riterrà di giustizia;
- condannare la Commissione alle spese.
La Commissione conclude che il Tribunale voglia:
- dichiarare il ricorso irricevibile;
- in subordine, respingerlo perché infondato;
- condannare la ricorrente alle spese.
Sulla ricevibilità
11 A sostegno dell' eccezione di irricevibilità la Commissione deduce, sostanzialmente,
che, in considerazione delle circostanze concrete della specie, la ricorrente non può
vantare un interesse ad agire, essendosi conformata alla decisione impugnata prima della
proposizione del ricorso, senza mai contestare il diritto della Commissione a richiedere le
informazioni di cui trattasi. Conseguentemente, l' annullamento di tale decisione
risulterebbe del tutto inutile. Alla ricorrente non sarebbe peraltro derivato alcun
pregiudizio sostanziale dalla decisione medesima; infatti, essa non l' ha impugnata prima
della risposta, malgrado fosse stata informata, all' art. 3, dei motivi di ricorso disponibili.
12 La ricorrente ritiene che, se un atto è illegittimo, esso resti illegittimo
indipendentemente dal fatto che vi si dia acquiescenza o meno. Dall' art. 173, quarto
comma, del Trattato CE emergerebbe l' interesse che la ricorrente senz' altro
conserverebbe a contestare una decisione di cui sia specifica destinataria e in cui sia
minacciata l' irrogazione di un' ammenda, quando non vi era invece motivo per disporre
tale provvedimento. Considerato che la Commissione avrebbe illegittimamente esercitato
i poteri decisori attribuitile, la ricorrente ritiene di avere un legittimo interesse a ottenere
la garanzia che una siffatta condotta non si reiteri in futuro. All' udienza la ricorrente ha
aggiunto che all' epoca dell' emanazione della decisione impugnata erano state avviate
trattative a livello europeo tra la Commissione e le associazioni nazionali di calcio in
ordine alla ritrasmissione televisiva di incontri calcistici, trattative che sarebbero tuttora
in fase di svolgimento; con il ricorso la ricorrente intenderebbe quindi garantirsi contro il
rischio concreto che, nell' ambito di tali trattative, le vengano notificate altre decisioni
ingiustificate del tipo di quella oggetto del presente ricorso.
13 Ciò premesso, il Tribunale rileva anzitutto che le censure di natura strettamente
procedurale sollevate dalla ricorrente contro la decisione si limitano, sostanzialmente, a
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sostenere che il passaggio, operato dalla Commissione, dalla prima fase dell' inchiesta quella di richiesta di informazioni "semplice" - alla seconda fase - quella della richiesta
per mezzo di decisione - costituisca una misura eccessiva e prematura. Si deve rilevare
tuttavia che, come emerge dagli artt. 11, n. 5, 15, n. 1, lett. b), e 16, n. 1, lett. c), del
regolamento n. 17, un' impresa o un' associazione di imprese incorre, a fronte di una
decisione di tal genere, nel rischio di sanzioni più elevate rispetto all' ipotesi in cui le sia
stata rivolta una richiesta di informazioni "semplice". Infatti, essa può essere sottoposta
alla sanzione dell' ammenda per non aver fornito le informazioni richieste "nel termine
stabilito" e può esserle inflitta una penalità di mora al fine di costringerla a fornire
informazioni "in maniera completa ed esatta". Ne consegue che solamente laddove la
Commissione proceda ad una richiesta di informazioni per mezzo di decisione può
risultare pregiudicata la situazione giuridica dell' interessato, che non può essere quindi
privato, ancorché sia disposto a dar corso alle richieste formulategli, del legittimo
interesse a evitare che la Commissione passi prematuramente, in mancanza dei requisiti
previsti dall' art. 11, n. 5, del regolamento n. 17, alla fase della decisione.
14 Deve essere quindi riconosciuto l' interesse ad agire che non viene meno anche
qualora la decisione con la quale sia stata disposta la richiesta di informazioni sia stata già
eseguita dal destinatario al momento della proposizione del ricorso di annullamento, non
avendo quest' ultimo effetti sospensivi. Inoltre, l' annullamento di una siffatta decisione
può produrre di per sé conseguenze giuridiche, soprattutto laddove venga ingiunto alla
Commissione di disporre tutti i provvedimenti connessi con l' esecuzione della sentenza
del Tribunale e di astenersi dal reiterare tale condotta (v. sentenze della Corte 24 giugno
1986, causa 53/85, AKZO Chemie/Commissione, Racc. pag. 1965, punto 21, e 26 aprile
1988, causa 207/86, Apesco/Commissione, Racc. pag. 2151, punto 16). Ciò è
particolarmente vero nella specie, atteso che, come rilevato dalle parti all' udienza, le
trattative condotte a livello europeo tra la Commissione e le associazioni nazionali
calcistiche in ordine alla questione della ritrasmissione televisiva degli incontri di calcio
sono tuttora in corso. La ricorrente deve pertanto attendersi di trovarsi in qualsiasi
momento di fronte a nuove richieste di informazioni da parte della Commissione. Essa
mantiene quindi un legittimo interesse a che il giudice comunitario precisi i requisiti
giuridici dati i quali la Commissione può agire in materia per mezzo di decisione.
15 Ne consegue che l' eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione dev' essere
respinta.
Nel merito
16 A sostegno del ricorso la ricorrente deduce cinque motivi relativi, rispettivamente, alla
violazione dell' obbligo di motivazione previsto dall' art. 190 del Trattato CE, alla
violazione dei principi di proporzionalità, di sana amministrazione e della buona fede
nonché alla violazione di diritti fondamentali.
Quanto al motivo relativo alla carenza di motivazione della decisione impugnata
Argomenti delle parti
17 La ricorrente sostiene che, contrariamente all' art. 190 del Trattato, la Commissione
non ha motivato in modo sufficiente la decisione impugnata, laddove tale obbligo di
motivazione assumeva particolare importanza nel contesto della presente controversia. La
Commissione avrebbe infatti omesso importanti elementi di fatto. In particolare, la
decisione ignorerebbe la lettera 11 marzo 1992 in cui la ricorrente chiedeva alla
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Commissione conferma di aver ricevuto la sua prima lettera di risposta. Orbene, l' omessa
menzione di tali elementi nella motivazione della decisione indurrebbe a ritenere che la
ricorrente abbia intenzionalmente posto in essere una politica ostruzionistica diretta ad
ostacolare gli accertamenti della Commissione. Infine, contrariamente a quanto enunciato
al punto 8 della decisione, la ricorrente, nella lettera 14 gennaio 1992, non si sarebbe
"rifiutata" di fornire le informazioni richieste: essa avrebbe risposto ad una parte dei
quesiti e avrebbe proposto di discutere congiuntamente il problema nel suo complesso.
18 La Commissione fa valere di aver indicato, ai punti 1-4, 6 e 8 della decisione
impugnata, i motivi principali che l' avevano indotta a emanare la decisione stessa.
Richiamandosi alla denuncia iniziale, la decisione avrebbe rivolto l' invito a porre a
raffronto i quesiti posti nella lettera 5 dicembre 1991 con le risposte date nella lettera 14
gennaio 1992. Da tale raffronto risulterebbe che giustamente la Commissione avrebbe
considerato la lettera 14 gennaio 1992 quale diniego di fornire in termini completi le
informazioni richieste.
Giudizio del Tribunale
19 Si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza, l' obbligo di motivazione di
una decisione individuale è finalizzato a consentire alla Corte di esercitare il suo
sindacato sulla legittimità della decisione e di fornire all' interessato indicazioni
sufficienti per giudicare se la decisione sia fondata ovvero se sia eventualmente inficiata
da un vizio che consenta di contestarne la validità, dovendosi precisare che la portata di
tale obbligo dipende dalla natura dell' atto in questione e dal contesto nel quale l' atto è
stato emanato (v., per tutte, sentenza della Corte 4 giugno 1992, causa C-181/90,
Consorgan/Commissione, Racc. pag. I-3557, punto 14).
20 Nella specie si deve rilevare che la decisione impugnata è stata emanata a seguito di
uno scambio di corrispondenza tra le parti e che essa riprende esattamente la stessa
richiesta di informazioni già oggetto di tale corrispondenza. Non può quindi sostenersi
che la decisione potesse risultare sorprendente per la ricorrente e che, conseguentemente,
necessitasse una motivazione particolarmente circostanziata.
21 Per quanto attiene, inoltre, ai motivi dedotti dalla Commissione nella decisione
impugnata, si deve ricordare che la Commissione stessa, dopo aver riassunto i fatti dai
quali era scaturita la lettera 5 dicembre 1991 in cui aveva chiesto alla ricorrente di fornire
le informazioni di cui trattasi, ha rilevato, al punto 3, che la lettera di risposta datata 14
gennaio 1992 "non ha fornito le informazioni richieste in modo completo" ("failed to
provide the information requested in complete form"). Inoltre, la Commissione ha fatto
presente, al punto 4, come le informazioni richieste, in particolare la corrispondenza della
ricorrente con l' associazione calcistica argentina, fossero necessarie ai fini della
valutazione della condotta della ricorrente medesima con riguardo agli artt. 85, n. 1, e 86
del Trattato CE. Orbene, è pacifico tra le parti che tale corrispondenza non è stata
prodotta in risposta alla richiesta di informazioni "semplice" inviata alla ricorrente con la
menzionata lettera 5 dicembre 1991. Pertanto, la Commissione non era tenuta a motivare,
in termini più dettagliati, l' incompletezza delle informazioni fornite.
22 Si deve aggiungere che la ricorrente è stata apparentemente in grado di comprendere
la portata della decisione impugnata, considerato che ha fornito, nel termine impartitole
di due settimane, una risposta che la Commissione ha ritenuto completa e soddisfacente.
23 Laddove la ricorrente contesta infine alla Commissione di non aver menzionato, nella
decisione impugnata, né la sua disponibilità al dialogo né la sua richiesta di conferma
dell' avvenuta ricezione della prima lettera, la censura deve ritenersi irrilevante. Tale
omissione, infatti, non era tale da impedire la comprensione da parte della ricorrente della
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portata della decisione impugnata né poteva costituire ostacolo all' esercizio dei relativi
rimedi giuridici né poteva infine incidere sul sindacato giurisdizionale da parte del
Tribunale. La Commissione non era quindi tenuta a esaminare tali elementi nella
motivazione della decisione.
24 Il Tribunale ritiene conseguentemente che la decisione impugnata debba considerarsi
sufficientemente motivata, ai sensi dell' art. 190 del Trattato, e che il motivo relativo alla
carenza di motivazione debba essere respinto.
Quanto al motivo relativo alla violazione del principio di proporzionalità
Argomenti delle parti
25 La ricorrente fonda sostanzialmente tale motivo sull' affermazione secondo cui, in
considerazione delle circostanze del caso di specie, la Commissione, minacciando con la
decisione de qua l' irrogazione di una penalità di mora, avrebbe agito in modo
sproporzionato ed eccessivo rispetto alla condotta della ricorrente, laddove avrebbe
potuto raggiungere tale obiettivo domandando semplicemente alla ricorrente stessa,
eventualmente anche telefonicamente, di integrare le risposte già date nella lettera 14
gennaio 1992. Orbene, il rispetto del principio di proporzionalità assumerebbe particolare
importanza nelle cause che implichino l' applicazione di sanzioni, come affermato dalla
Corte nella sentenza 29 novembre 1956 (causa 8/55, Fédération charbonnière de
Belgique/Alta Autorità, Racc. 1955-1956, pag. 195).
26 La ricorrente sottolinea che nella specie la questione decisiva è quella se un singolo
che si adoperi per rispondere ad una richiesta di informazioni, ma la cui risposta non sia
ritenuta soddisfacente, possa essere esposto alla minaccia di sanzioni pecuniarie. Secondo
la ricorrente, la questione può essere risolta affermativamente nel caso di deliberato
rifiuto di cooperazione a fini ostruzionistici. Tuttavia, un provvedimento di tal genere non
dovrebbe essere emanato nel caso in cui un singolo si sia adoperato al fine di rispondere
ad una richiesta di informazioni, si sia offerto di incontrarsi con i funzionari competenti al
fine di discutere il problema, abbia inviato una seconda lettera alla Commissione e, lungi
dal ricevere una risposta, si sia trovato di fronte al silenzio dell' istituzione.
27 La Commissione replica che già da un raffronto molto superficiale dei quesiti posti
nella lettera 5 dicembre 1991 con le risposte date dalla ricorrente nella lettera 14 gennaio
1992 emerge come quest' ultima abbia praticamente ignorato la seconda e la terza
questione lasciando intendere, quanto alle altre, che la "questione argentina" non doveva
riguardare la Commissione, mentre la disponibilità a discutere di problemi generali non
verteva sui quesiti concreti posti alla ricorrente. Conseguentemente, la Commissione
sostiene di aver correttamente ritenuto che alla propria richiesta iniziale di informazioni
fosse stato opposto un rifiuto. A fronte di un siffatto diniego e in considerazione della
circostanza che l' art. 11 del regolamento n. 17 prevede unicamente un procedimento
articolato in due fasi, la Commissione è passata alla seconda fase, vale a dire a quella
della richiesta di informazioni per mezzo di decisione, in modo del tutto legittimo e
conformemente al principio di proporzionalità.
28 All' udienza la Commissione ha sottolineato la propria responsabilità nei confronti
dell' impresa TESN che aveva proposto una denuncia e che avrebbe potuto avviare un
procedimento per inadempimento. La ricorrente, dal canto suo, ha espressamente
riconosciuto che i due termini fissati dalla Commissione nella lettera 5 dicembre 1991 e
nell' art. 1 della decisione impugnata erano sufficienti per rispondere ai quesiti posti.
Giudizio del Tribunale
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29 Si deve precisare, anzitutto, che il motivo dedotto dalla ricorrente non attiene alla
legittimità, sotto il profilo sostanziale, della richiesta di informazioni inviata alla
ricorrente medesima, atteso che quest' ultima non contesta il potere della Commissione di
porle i quattro quesiti di cui trattasi. La censura consiste semplicemente nell'
affermazione secondo cui la Commissione, emanando la decisione con cui minacciava l'
irrogazione di una sanzione invece di limitarsi a una corrispondenza informale con la
ricorrente stessa, avrebbe agito in modo prematuro ed eccessivo.
30 Per quanto attiene inoltre alla questione se la Commissione, emanando nella specie la
decisione impugnata, abbia correttamente applicato l' art. 11 del regolamento n. 17, si
deve ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, il detto articolo prevede, per l'
esercizio del potere attribuito alla Commissione di richiedere le informazioni che essa
reputi necessarie, una procedura in due fasi, di cui la seconda, comportante l' adozione da
parte della Commissione di una decisione che precisa le informazioni richieste, può
essere iniziata solo ove la prima fase, caratterizzata dall' invio di una richiesta di
informazioni, sia rimasta senza esito (v. sentenza 26 giugno 1980, causa 136/79, National
Panasonic/Commissione, Racc. pag. 2033, punto 10).
31 Per quanto attiene alla questione relativa ai motivi mediante i quali la Commissione
debba "avviare la prima fase" della procedura di inchiesta preliminare, si deve osservare
che la Corte ha affermato che il regolamento n. 17 ha dotato la Commissione di ampi
poteri di indagine e ha imposto ai singoli l' obbligo di collaborare attivamente alle
investigazioni, obbligo che implica che essi tengano a disposizione della Commissione
tutte le informazioni riguardanti l' oggetto dell' indagine (v. sentenza 18 ottobre 1989,
causa 374/87, Orkem/Commissione, Racc. pag. 3283, punti 22 e 27). Conseguentemente,
l' argomento della ricorrente, secondo cui la decisione impugnata sarebbe stata
giustificata solamente ove l' atteggiamento della ricorrente fosse risultato manifestamente
ostruzionistico con riguardo ai compiti della Commissione, dev' essere respinto. In
considerazione dell' obbligo di collaborazione attiva imposto ai singoli interessati nell'
ambito del procedimento di inchiesta preliminare, una reazione passiva può da sola
giustificare l' emanazione di una decisione formale ai sensi dell' art. 11, n. 5, del
regolamento n. 17.
32 Alla luce di tali considerazioni occorre quindi esaminare le risposte date dalla
ricorrente nella lettera 14 gennaio 1992 alla richiesta di informazioni del 5 dicembre
1991. In proposito il Tribunale rileva che, rispondendo al primo quesito, la ricorrente ha
affermato di non dover addurre una base giuridica per l' avvio di contatti epistolari con l'
associazione calcistica argentina e che, per quanto attiene alla risposta al secondo quesito,
essa ha affermato di non disporre delle informazioni richieste. Invece di rispondere al
terzo quesito, si è offerta di fornire chiarimenti generali a voce; la corrispondenza
intercorsa tra la ricorrente e l' associazione calcistica argentina, di cui era stata chiesta
copia nel quarto quesito, non è stata assolutamente prodotta dalla ricorrente. Il Tribunale
ritiene che tali risposte non possano considerarsi quale espressione di collaborazione
attiva da parte della ricorrente.
33 Inoltre, la ricorrente ha dichiarato di ritenere che "sinceramente, per quanto attiene alla
questione argentina, la Commissione non ha motivo di trarre preoccupazione dalla
corrispondenza intercorsa tra associazioni consorelle (...)" ["we honestly think that as to
the Argentinian matter, the Commission need not be troubled about an exchange of
correspondance between two fraternal associations (...)"]. Vista sotto il profilo
sostanziale, tale considerazione si estrinseca in un diniego cortese, ma esplicito, di
cooperare con la Commissione in materia. A fronte di tali circostanze specifiche, la
Commissione non era tenuta a proseguire una corrispondenza informale prolungata né ad
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avviare colloqui con la ricorrente, che aveva fornito solamente parte delle informazioni
richieste. Legittimamente la Commissione poteva quindi passare alla seconda fase della
procedura di inchiesta preliminare, vale a dire a quella richiesta di informazioni per
mezzo di decisione, senza che tale passo possa essere considerato eccessivo.
34 Dall' insieme delle suesposte considerazioni emerge che la Commissione ha
correttamente applicato l' art. 11 del regolamento n. 17 e che il motivo relativo alla
violazione del principio di proporzionalità dev' essere, quindi, respinto.
Quanto al motivo relativo alla violazione del principio di sana amministrazione
Argomenti delle parti
35 La ricorrente, richiamandosi alle sentenze della Corte 19 ottobre 1983, causa 179/82,
Lucchini/Commissione (Racc. pag. 3083), e 8 novembre 1983, cause riunite 96/82102/82, 104/82, 105/82, 108/82 e 110/82, IAZ e a./Commissione (Racc. pag. 3369),
sostiene che essa non poteva prevedere che la lettera 14 gennaio 1992 non corrispondesse
alla richiesta della Commissione. A fronte della mancata reazione della Commissione,
che non ha nemmeno risposto alla lettera 11 marzo 1992, la decisione impugnata non
avrebbe dovuto essere emanata.
36 La Commissione contesta la pertinenza della giurisprudenza citata dalla ricorrente.
Giudizio del Tribunale
37 Dalle suesposte considerazioni emerge che la lettera della ricorrente 14 gennaio 1992
non conteneva tutte le informazioni che la Commissione reputava necessarie ai fini della
propria inchiesta. La ricorrente, affermando che la Commissione non dovesse "trarre
preoccupazione" in ordine alla corrispondenza richiesta, doveva attendersi che tale
risposta potesse essere considerata, dal punto di vista della Commissione, come
insufficiente. La semplice richiesta dell' 11 marzo 1992 di confermare la ricezione della
prima lettera del 14 gennaio precedente resta al riguardo irrilevante. Conseguentemente,
la ricorrente doveva attendersi l' emanazione di una decisione ai sensi dell' art. 11, n. 5,
del regolamento n. 17. Il principio di sana amministrazione non è stato quindi violato.
Quanto al motivo relativo alla violazione del principio di buona fede e dei diritti
fondamentali
38 La ricorrente ritiene che la Commissione, con la sua pretesa condotta arbitraria,
avrebbe violato l' obbligo di attenersi al principio di buona fede. Orbene, il Tribunale ha
già rilevato come la ricorrente non abbia attivamente cooperato con la Commissione nell'
ambito della prima fase del procedimento di inchiesta. Conseguentemente, la ricorrente
non può vantare una buona fede che la Commissione abbia potuto violare. Tali
considerazioni valgono anche con riguardo al motivo relativo alla violazione dei diritti
fondamentali, a sostegno del quale la ricorrente deduce che la Commissione, negandole la
ragionevole possibilità di rispondere alla richiesta di informazioni "semplice", non
avrebbe realmente consentito che la prima fase del procedimento preliminare di inchiesta
potesse andare a buon esito.
39 Questi motivi, che appaiono peraltro quale semplice ripetizione di quelli precedenti,
non possono trovare quindi accoglimento.
40 Conseguentemente, il ricorso dev' essere interamente respinto.
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Per questi motivi,
IL TRIBUNALE (Prima Sezione)
dichiara e statuisce:
Il ricorso è respinto.
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2. Causa C-415/93,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 177 del Trattato CEE, dalla Cour d'appel di Liegi (Belgio) nelle cause dinanzi ad
essa pendenti tra
Union royale belge des sociétés de football association ASBL
e
Jean-Marc Bosman,
tra
Royal club liégeois SA
e
Jean-Marc Bosman, SA
d'économie mixte sportive de l'union sportive du littoral de Dunkerque,
Union royal belge des sociétés de football association ASBL,
Union des associations européennes de football (UEFA),
tra
Union des associations européennes de football (UEFA),
e
Jean-Marc Bosman,
domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 48, 85 e 86 del Trattato CEE,
LA CORTE,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Motivazione della sentenza
1 Con sentenza 1. Ottobre 1993, pervenuta in cancelleria il successivo 6 ottobre, la Cour
d'appel di Liegi ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE,
talune questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione degli artt. 48, 85 e 86 dello
stesso Trattato.
2 Le dette questioni sono state sollevate nell'ambito di varie controversie, delle quali la
prima fra l'Union royale belge des sociétés de football association ASBL (in prosieguo:
l'«URBSFA») e il signor Bosman, la seconda fra il Royal club liégeois SA (in prosieguo:
il «RCL») e il signor Bosman, la SA d'économie mixte sportive de l'union sportive du
littoral de Dunkerque (in prosieguo: la «società di Dunkerque»), l'URBSFA e l'Union des
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associations européennes de football (UEFA) (in prosieguo: l'«UEFA»), e la terza fra
l'UEFA e il signor Bosman.
L'organizzazione del gioco del calcio
3 Lo sport di football association - generalmente noto come «giuoco del calcio» -,
professionistico o dilettantistico, viene praticato, nella forma organizzata, nell'ambito di
società che, in ciascuno degli Stati membri, sono consociate in associazioni nazionali,
dette anche federazioni. Solo nel Regno Unito esistono più federazioni nazionali, e
precisamente quattro, rispettivamente competenti per l'Inghilterra, il Galles, la Scozia e
l'Irlanda del Nord. L'URBSFA è la federazione nazionale belga. Dalle federazioni
nazionali dipendono altre associazioni secondarie o sussidiarie, incaricate
dell'organizzazione del gioco del calcio in taluni settori o in talune regioni. Le federazioni
organizzano campionati nazionali, ripartiti in più serie secondo il valore sportivo delle
società che vi partecipano.
4 Le federazioni nazionali aderiscono alla Fédération internationale de football
association (in prosieguo: la «FIFA»), associazione di diritto svizzero che organizza il
gioco del calcio a livello mondiale. La FIFA è suddivisa in confederazioni continentali, i
cui regolamenti sono soggetti alla sua approvazione. La confederazione competente per
l'Europa è l'UEFA, anch'essa associazione di diritto svizzero. Ne fanno parte circa
cinquanta federazioni, fra le quali, segnatamente, le federazioni nazionali degli Stati
membri che, conformemente allo statuto dell'UEFA, si sono impegnate a rispettare sia lo
statuto sia i regolamenti e le decisioni di quest'ultima.
5 Ogni partita di calcio organizzata sotto l'egida di una federazione nazionale dev'essere
giocata fra due società appartenenti alla detta federazione oppure da associazioni
secondarie o sussidiarie affiliate. La squadra schierata da ciascuna società è composta di
calciatori qualificati dalla federazione per tale società. Ogni calciatore professionista
dev'essere iscritto come tale alla propria federazione nazionale e figura come attuale o ex
dipendente di una specifica società.
La disciplina dei trasferimenti
6 Secondo il regolamento federale dell'URBSFA del 1983, vigente all'epoca dei fatti di
cui alle cause a quibus, si devono distinguere tre rapporti: l'affiliazione, che lega il
calciatore alla federazione nazionale, il tesseramento, che lega il calciatore ad una società,
e la qualificazione, che costituisce il necessario presupposto della partecipazione del
calciatore alle partite ufficiali. Il trasferimento è definito come il procedimento mediante
il quale il calciatore affiliato ottiene una variazione temporanea di tesseramento. In caso
di trasferimento temporaneo il calciatore resta tesserato presso la sua società, ma è
qualificato per un'altra società.
7 A norma dello stesso regolamento, tutti i contratti dei calciatori professionisti, la cui
durata varia da uno a cinque anni, scadono il 30 giugno. Prima della scadenza del
contratto, e non oltre il 26 aprile, la società deve proporre un nuovo contratto al
calciatore, il quale, in caso contrario, è considerato dilettante ai fini dei trasferimenti con
la conseguente applicazione di altre disposizioni del regolamento. Il calciatore è libero di
accettare o di respingere tale proposta.
8 Nel caso in cui la respinga, egli viene iscritto in un elenco di calciatori che possono
essere oggetto, fra il 1_ e il 31 maggio, di un cosiddetto trasferimento «imposto», il quale
non richiede il consenso della società cui il calciatore appartiene, ma comporta il
versamento a quest'ultima, da parte della nuova società, di una cosiddetta indennità «di
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formazione», calcolata moltiplicando il reddito lordo annuo del calciatore per coefficienti
che variano da 14 a 2, secondo la sua età.
9 Il 1_ giugno ha inizio il periodo dei cosiddetti trasferimenti «liberi», che richiedono il
consenso delle due società e del calciatore, in specie per quanto riguarda l'ammontare
dell'indennità di trasferimento che la nuova società è tenuta a versare a quella di
provenienza, a pena di sanzioni che possono arrivare fino alla radiazione della prima per
debiti.
10 Se non ha luogo alcun trasferimento, la società della quale il calciatore fa parte deve
offrirgli un nuovo contratto per una stagione, che prevede le stesse condizioni stabilite dal
contratto proposto entro il 26 aprile. Se il calciatore lo respinge, la società ha il diritto di
adottare, entro il 1_ agosto, un provvedimento di sospensione, in mancanza del quale
l'interessato riacquista la qualifica di dilettante. Il calciatore che persiste nel rifiuto di
firmare i contratti proposti dalla società di appartenenza può ottenere un trasferimento
come dilettante, senza il consenso della società, dopo due stagioni di inattività.
11 I regolamenti dell'UEFA e della FIFA, dal canto loro, non si applicano direttamente
nei confronti dei calciatori, ma sono inclusi nei regolamenti delle federazioni nazionali, le
sole ad avere il potere di farli applicare e di disciplinare i rapporti fra le società e i
calciatori.
12 L'UEFA, l'URBSFA e il RCL hanno sostenuto dinanzi al giudice nazionale che le
norme che si applicavano all'epoca dei fatti di causa ai trasferimenti tra società di Stati
membri diversi o tra società facenti parte di federazioni nazionali diverse nell'ambito
dello stesso Stato membro erano contenute in un documento intitolato «principi di
collaborazione tra le federazioni aderenti all'UEFA e le loro società», approvato dal
comitato esecutivo dell'UEFA il 24 maggio 1990 e in vigore dal 1_ luglio 1990.
13 Tale documento prevede che, alla scadenza del contratto, il calciatore sia libero di
stipulare un nuovo contratto con la società di sua scelta. Quest'ultima deve informarne
immediatamente la società di provenienza, la quale, a sua volta, ne informa la federazione
nazionale, che è tenuta a redigere il certificato internazionale di trasferimento. Tuttavia, la
società di provenienza ha il diritto di ricevere dalla nuova società un'indennità di
promozione o di formazione, il cui importo, in caso di disaccordo, viene fissato da una
commissione costituita nell'ambito dell'UEFA, moltiplicando il reddito lordo del
calciatore nella stagione precedente per un coefficiente variabile da 12 a 1, secondo l'età
dell'interessato, e con un massimo di 5 000 000 SFR.
14 Lo stesso documento precisa che i rapporti economici fra le due società per quanto
riguarda la fissazione dell'indennità di promozione o di formazione non influiscono
sull'attività del calciatore, il quale è libero di giocare per la società da lui prescelta.
Tuttavia, se quest'ultima non versa immediatamente l'indennità alla società di
provenienza, la commissione di controllo e di disciplina dell'UEFA esamina il caso e
rende nota la sua decisione alla federazione nazionale interessata, che può a sua volta
infliggere sanzioni alla società inadempiente.
15 Il giudice di rinvio ritiene che nella fattispecie oggetto delle cause a quibus l'URBSFA
e il RCL non abbiano applicato il regolamento dell'UEFA, ma quello della FIFA.
16 All'epoca dei fatti quest'ultimo regolamento disponeva, in particolare, che un
calciatore professionista non poteva lasciare la federazione nazionale presso la quale era
tesserato fintantoché fosse vincolato dal suo contratto e dai regolamenti della sua società
e della federazione nazionale, per quanto rigidi questi potessero essere. Il trasferimento
internazionale era subordinato al rilascio, da parte della federazione nazionale di
provenienza, di un certificato di trasferimento con il quale essa riconosceva che tutti gli
obblighi di carattere finanziario, compresa un'eventuale somma per il trasferimento, erano
stati adempiuti.
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17 Successivamente all'epoca suddetta l'UEFA ha intavolato trattative con la
Commissione delle Comunità europee. In particolare, nell'aprile 1991 essa si è impegnata
a far inserire nei contratti dei calciatori professionisti una clausola che consentisse a
costoro, alla scadenza del contratto, di stipulare un nuovo contratto con la società di loro
scelta e di giocare immediatamente per essa. Disposizioni in tal senso sono state inserite
nei «principi di collaborazione tra le federazioni aderenti all'UEFA e le loro società»,
adottati nel dicembre 1991 e in vigore dal 1_ luglio 1992.
18 Nell'aprile 1991 la FIFA ha anch'essa adottato un nuovo regolamento relativo allo
statuto e ai trasferimenti dei calciatori. Tale documento, come modificato nel dicembre
1991 e nel dicembre 1993, dispone che il calciatore può stipulare un contratto con una
nuova società se il contratto che lo vincola alla propria società è giunto a scadenza, è stato
risolto o scadrà entro sei mesi.
19 Norme particolari vigono poi per i calciatori «non dilettanti», definiti come i calciatori
che, per l'attività calcistica o per una qualsiasi attività inerente al calcio, hanno percepito
un'indennità superiore all'importo delle spese sostenute nell'esercizio di tale attività, a
meno che non abbiano riacquistato lo status di dilettante.
20 In caso di trasferimento di un calciatore non dilettante, o che diviene non dilettante
entro tre anni dal trasferimento, la società di provenienza ha diritto ad un'indennità di
promozione o di formazione, il cui ammontare dev'essere convenuto fra le due società
interessate. Nell'ipotesi di disaccordo la controversia dev'essere sottoposta alla FIFA o
alla confederazione competente.
21 Tali norme sono state integrate dal regolamento UEFA «relativo alla fissazione
dell'indennità di trasferimento», adottato nel giugno 1993 e in vigore dal 1_ agosto 1993,
il quale ha sostituito i «principi di collaborazione tra le federazioni aderenti all'UEFA e le
loro società» del 1991. Questo nuovo regolamento ribadisce il principio secondo cui i
rapporti economici fra le due società interessate non influiscono sull'attività sportiva del
calciatore, il quale è libero di giocare per la società con cui ha stipulato un nuovo
contratto. Esso dispone inoltre che, in caso di disaccordo fra le società interessate, spetta
alla competente commissione dell'UEFA determinare l'importo dell'indennità di
formazione o di promozione. Per i calciatori non dilettanti, il detto importo è calcolato in
base al reddito lordo ottenuto dall'interessato nei dodici mesi precedenti, o al reddito fisso
annuo garantito nel nuovo contratto, aumentato del 20% per i calciatori che hanno
giocato almeno due volte nella prima squadra nazionale rappresentativa del loro paese, e
moltiplicato per un coefficiente compreso fra 12 e 0 a seconda dell'età.
22 Dai documenti presentati alla Corte dall'UEFA risulta che taluni regolamenti in vigore
in altri Stati membri contengono anch'essi disposizioni che, in caso di trasferimento di un
calciatore fra due società della stessa federazione nazionale, obbligano la nuova società a
pagare alla società di provenienza, alle condizioni fra di esse convenute, un'indennità di
trasferimento, di formazione o di promozione.
23 In Francia l'indennità può essere richiesta solo se la società di provenienza è quella
con cui l'interessato ha stipulato il primo contratto da professionista; in Spagna solo se il
calciatore trasferito è di età inferiore a 25 anni; in Grecia, anche se la nuova società non è
espressamente tenuta a pagare un'indennità, il contratto fra la società e il calciatore può
subordinare il trasferimento di quest'ultimo al versamento di un determinato importo che,
secondo quanto dichiarato dall'UEFA, è in realtà per lo più posto a carico della nuova
società.
24 Le norme che si applicano in materia sono dettate, a seconda dei casi, dalle leggi
nazionali, dai regolamenti delle federazioni calcistiche nazionali oppure da contratti
collettivi.
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Le norme sulla cittadinanza
25 A partire dagli anni sessanta numerose federazioni calcistiche nazionali hanno adottato
norme che limitavano la possibilità di ingaggiare o di far partecipare alle competizioni
calciatori aventi cittadinanza straniera (in prosieguo: le «norme sulla cittadinanza»). Per
l'applicazione di tali norme la cittadinanza è definita con riferimento alla possibilità, per il
calciatore, di essere qualificato per giocare nella squadra nazionale o nella squadra
rappresentativa di un paese.
26 Nel 1978 l'UEFA si è impegnata nei confronti del signor Davignon, membro della
Commissione delle Comunità europee, da un lato, ad abolire le limitazioni del numero dei
contratti stipulati da ciascuna società con calciatori di altri Stati membri e, dall'altro, a
fissare a due il numero di tali giocatori che possono partecipare a ciascuna partita.
Quest'ultima limitazione non è applicabile ai calciatori stabiliti da oltre cinque anni nello
Stato membro interessato.
27 Nel 1991, a seguito di nuovi incontri con il signor Bangemann, vicepresidente della
Commissione, l'UEFA ha adottato la cosiddetta regola del «3+2», che prevede la
possibilità, per le federazioni nazionali, di limitare a tre il numero di calciatori stranieri
che una società può schierare in una partita di serie A del campionato nazionale, più due
calciatori che abbiano giocato nel paese in cui opera la federazione nazionale interessata
per un periodo ininterrotto di cinque anni, tre dei quali in squadre giovanili. Tale
limitazione vale anche per le partite giocate nell'ambito di tornei per squadre di club
organizzati dall'UEFA.
I fatti all'origine delle cause a quibus
28 Il signor Bosman, calciatore professionista di cittadinanza belga, è stato occupato, dal
1988, dal RCL, società belga di serie A, in base ad un contratto valido fino al 30 giugno
1990, che prevedeva una retribuzione mensile media di 120 000 BFR, premi compresi.
29 Il 21 aprile 1990 il RCL ha proposto al signor Bosman un nuovo contratto per la
durata di una stagione, in base al quale la sua retribuzione mensile era ridotta a 30 000
BFR, vale a dire al minimo previsto dal regolamento federale dell'URBSFA. Essendosi
rifiutato di firmare tale contratto, il signor Bosman è stato iscritto nell'elenco dei
calciatori cedibili. L'ammontare dell'indennità di formazione è stato fissato nel suo caso,
ai sensi del detto regolamento, a 11 743 000 BFR.
30 Poiché nessuna società aveva manifestato il proprio interesse ad un trasferimento
imposto, il signor Bosman si è messo in contatto con la società calcistica francese di
Dunkerque, di serie B, che lo ha poi assunto con una retribuzione mensile di circa 100
000 BFR ed un premio d'ingaggio pari a circa 900 000 BFR.
31 Il 27 luglio 1990 è stato del pari stipulato, fra il RCL e la società di Dunkerque, un
contratto che prevedeva il trasferimento temporaneo del signor Bosman per un anno,
contro il versamento, da parte della detta società al RCL, di un'indennità di 1 200 000
BFR, esigibile al momento in cui la Fédération française de football (in prosieguo: la
«FFF») avesse ricevuto il certificato di trasferimento rilasciato dall'URBSFA. Il contratto
accordava inoltre alla società di Dunkerque un'opzione irrevocabile per il trasferimento
definitivo del calciatore in cambio della somma di 4 800 000 BFR.
32 Entrambi i contratti, quello fra la società di Dunkerque e il RCL e quello fra la detta
società e il signor Bosman, erano tuttavia sottoposti ad una condizione sospensiva
secondo cui il certificato di trasferimento doveva essere inviato dall'URBSFA alla FFF
anteriormente alla prima partita della stagione, che doveva aver luogo il 2 agosto 1990.
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33 Dubitando della solvibilità della società di Dunkerque, il RCL non ha chiesto
all'URBSFA di trasmettere il detto certificato alla FFF. Di conseguenza, i due contratti
sono rimasti inefficaci. Il 31 luglio 1990 il RCL ha inoltre sospeso il signor Bosman,
impedendogli così di giocare per l'intera stagione.
34 L'8 agosto 1990 il signor Bosman ha intentato dinanzi al Tribunal de première
instance di Liegi un'azione contro il RCL. Contestualmente egli ha proposto una
domanda di provvedimenti urgenti diretta, in primo luogo, a far ingiungere al RCL e
all'URBSFA di versargli una provvisionale di 100 000 BFR al mese fintantoché egli non
avesse trovato un nuovo ingaggio, in secondo luogo, a far inibire ai convenuti di
ostacolare le sue possibilità di ingaggio, segnatamente mediante la riscossione di una
somma di denaro, e, in terzo luogo, a far sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte
di giustizia.
35 Con ordinanza 9 novembre 1990, il giudice dell'urgenza ha ordinato al RCL e
all'URBSFA di versare al signor Bosman una provvisionale mensile di 30 000 BFR ed ha
ingiunto loro di non ostacolare un suo eventuale ingaggio. Esso ha inoltre sottoposto alla
Corte di giustizia una questione pregiudiziale (causa C-340/90) vertente
sull'interpretazione dell'art. 48 del Trattato con riguardo alla normativa che disciplina i
trasferimenti dei calciatori professionisti (in prosieguo: le «norme sui trasferimenti»).
36 Nel frattempo, il signor Bosman era stato ingaggiato nell'ottobre 1990 dalla società
francese di serie B di Saint-Quentin, subordinatamente alla condizione sospensiva del
successo della sua domanda di provvedimenti urgenti. Tale contratto è stato però risolto
alla fine della prima stagione. Nel febbraio 1992 il signor Bosman ha stipulato con la
società francese di Saint-Denis de la Réunion un nuovo contratto, che è stato anch'esso
risolto. Dopo altre ricerche in Belgio e in Francia, egli è stato infine ingaggiato
dall'Olympic di Charleroi, militante nella serie C belga.
37 Secondo il giudice a quo, una serie di presunzioni gravi e concordanti autorizzano a
ritenere che, malgrado lo status di «libertà» attribuitogli dai provvedimenti del giudice
dell'urgenza, il signor Bosman sia stato vittima di un boicottaggio da parte di tutte le
società europee che avrebbero potuto ingaggiarlo.
38 Il 28 maggio 1991 la Cour d'appel di Liegi ha riformato l'ordinanza recante
provvedimenti provvisori del Tribunal de première instance di Liegi nella parte in cui
sottoponeva una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia. Essa ha confermato però
la condanna del RCL a pagare una provvisionale mensile al signor Bosman ed ha
ingiungo al RCL e all'URBSFA di mettere il signor Bosman a disposizione di qualsiasi
società che intendesse avvalersi delle sue prestazioni, senza esigere da questa
un'indennità. Con ordinanza 19 giugno 1991, la causa C-340/90 è stata cancellata dal
ruolo della Corte di giustizia.
39 Nell'ambito del giudizio di merito instaurato dinanzi al Tribunal de première instance
di Liegi, l'URBSFA, che, contrariamente a quanto era avvenuto in sede di procedimento
sommario, non era stata convenuta, è intervenuta volontariamente il 3 giugno 1991. Il 20
agosto 1991 il signor Bosman ha citato l'UEFA per farla intervenire nella causa da lui
intentata contro il RCL e l'URBSFA e per esperire direttamente nei suoi confronti
un'azione basata sulla sua responsabilità nella redazione dei regolamenti che gli
arrecavano pregiudizio. Il 5 dicembre 1991 il RCL ha chiamato in causa la società di
Dunkerque per essere garantito contro un'eventuale condanna nei suoi confronti. Il 15
ottobre 1991 e, rispettivamente, il 27 dicembre 1991, il sindacato francese di categoria
Union nationale des footballeurs professionnels (in prosieguo: l'«UNFP») e l'associazione
di diritto olandese Vereniging van contractspelers (in prosieguo: la «VVCS») sono
intervenuti volontariamente nella causa.
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40 Con nuove conclusioni depositate il 9 aprile 1992, il signor Bosman ha modificato la
sua domanda originaria contro il RCL, ha esperito una separata azione preventiva nei
confronti dell'URBSFA ed ha sviluppato la domanda proposta contro l'UEFA.
Nell'ambito di tali procedimenti egli ha chiesto che le norme sui trasferimenti e le norme
sulla cittadinanza fossero dichiarate inapplicabili nei suoi confronti e che, a causa del loro
comportamento illecito in relazione al suo mancato trasferimento alla società di
Dunkerque, il RCL, l'URBSFA e l'UEFA fossero condannati a versargli, da un lato, la
somma di 11 368 350 BFR, come risarcimento del danno da lui subito dal 1_ agosto 1990
sino alla fine della sua carriera, e, dall'altro, la somma di 11 743 000 BFR, corrispondente
al lucro cessante subito dall'inizio della sua carriera a causa dell'applicazione delle norme
sui trasferimenti. Il signor Bosman ha chiesto inoltre che fosse sottoposta alla Corte di
giustizia una questione pregiudiziale.
41 Con sentenza 11 giugno 1992, il Tribunal de première instance di Liegi si è dichiarato
competente a conoscere del merito delle cause. Esso, inoltre, ha ritenuto ricevibili le
domande proposte dal signor Bosman contro il RCL, l'URBSFA e l'UEFA e dirette
segnatamente a far dichiarare inapplicabili le norme sui trasferimenti e le norme sulla
cittadinanza nonché a far sanzionare il comportamento delle tre organizzazioni. Per
contro, il detto Tribunale ha respinto la domanda proposta dal RCL nei confronti della
società di Dunkerque e volta a far ordinare l'intervento in garanzia della società, ritenendo
che non fosse stato provato che quest'ultima non avesse adempiuto correttamente le sue
obbligazioni. Infine, rilevando che l'esame delle pretese avanzate dal signor Bosman nei
confronti dell'UEFA e dell'URBSFA implicava un giudizio sulla compatibilità delle
norme sui trasferimenti con il Trattato, esso ha chiesto alla Corte di giustizia di
pronunciarsi sull'interpretazione degli artt. 48, 85 e 86 del Trattato (causa C-269/92).
42 A seguito dell'appello interposto contro tale provvedimento dall'URBSFA, dal RCL e
dall'UEFA, il procedimento dinanzi alla Corte di giustizia è stato sospeso. Con ordinanza
8 dicembre 1993, la causa C-269/92 è stata infine cancellata dal ruolo in conseguenza
della nuova sentenza della Cour d'appel di Liegi che ha dato origine al presente
procedimento.
43 L'UNFP e la VVCS non sono stati citati in appello e si sono astenuti dall'intervenire in
tale sede.
44 Nella sentenza di rinvio la Cour d'appel di Liegi ha confermato la sentenza impugnata
nella parte in cui dichiarava il Tribunal de première instance di Liegi competente e le
azioni ricevibili e in quanto rilevava che l'esame delle pretese avanzate dal signor
Bosman nei confronti dell'UEFA e dell'URBSFA implicava quello della legittimità delle
norme sui trasferimenti. La Cour d'appel ha considerato inoltre che l'esame della
legittimità delle norme sulla cittadinanza era necessario, poiché la domanda al riguardo
proposta dal signor Bosman era basata sull'art. 18 del Code judiciaire belga, il quale
consente le azioni esperite «allo scopo di prevenire la lesione di un diritto gravemente
minacciato». Ora, il signor Bosman avrebbe prodotto vari elementi obiettivi i quali
farebbero presumere che il danno da lui temuto, ossia che le norme sulla cittadinanza
ostacolino la sua carriera, si produrrà effettivamente.
45 Il giudice di rinvio ha considerato segnatamente che l'art. 48 del Trattato, al pari
dell'art. 30, può vietare non soltanto le discriminazioni, ma anche gli ostacoli non
discriminatori per la libera circolazione dei lavoratori, se non possono essere giustificati
da esigenze imperiose.
46 A proposito dell'art. 85 del Trattato, esso ha osservato che i regolamenti della FIFA,
dell'UEFA e dell'URBSFA potrebbero costituire decisioni di associazioni di imprese
mediante le quali le società calcistiche limitano la concorrenza che si fanno per acquisire
i calciatori. Anzitutto, le indennità di trasferimento avrebbero una funzione dissuasiva e
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determinerebbero la riduzione delle retribuzioni dei calciatori professionisti. Inoltre, le
norme sulla cittadinanza vieterebbero di ottenere i servizi offerti da calciatori stranieri
oltre una determinata quota. Infine, il commercio fra Stati membri sarebbe pregiudicato,
in particolare dalla limitazione della mobilità dei calciatori.
47 La Cour d'appel prospetta poi l'esistenza di una posizione dominante detenuta
dall'URBSFA o di una posizione dominante collettiva a vantaggio delle società
calcistiche, ai sensi dell'art. 86 del Trattato, mentre le limitazioni della concorrenza
rilevate nell'ambito dell'art. 85 possono costituire abusi vietati dal detto art. 86.
48 La Cour d'appel ha respinto l'istanza dell'UEFA diretta a far chiedere alla Corte di
giustizia se la soluzione della questione sollevata a proposito dei trasferimenti sarebbe
diversa nel caso in cui un regolamento consentisse al calciatore di giocare liberamente per
la sua nuova società, anche se questa non ha versato l'indennità di trasferimento alla
società di provenienza. Essa ha in particolare osservato al riguardo che, a causa della
minaccia di rigorose sanzioni a carico delle società che non paghino la detta indennità, la
facoltà del calciatore di giocare per la nuova società resta subordinata ai rapporti
economici fra le società calcistiche.
49 In base a tali considerazioni, la Cour d'appel di Liegi ha deciso di sospendere il
procedimento e di chiedere alla Corte di giustizia di pronunciarsi, in via pregiudiziale,
sulle seguenti questioni:
«Se gli artt. 48, 85 e 86 del Trattato di Roma del 25 marzo 1957 vadano interpretati nel
senso che vietano:
- che una società calcistica possa pretendere di percepire il pagamento di una somma di
denaro allorché un giocatore già tesserato per la stessa società, dopo la scadenza del
contratto con essa stipulato, viene ingaggiato da una nuova società calcistica;
- che le associazioni o federazioni sportive, nazionali ed internazionali, possano includere
nei rispettivi regolamenti norme che limitano la partecipazione di giocatori stranieri,
cittadini dei paesi aderenti alla Comunità europea, alle competizioni che organizzano».
50 Il 3 giugno 1994 l'URBSFA ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza
della Cour d'appel, chiedendo che gli effetti della pronuncia fossero estesi al RCL,
all'UEFA e alla società di Dunkerque. Con lettera 6 ottobre 1994, il Procuratore generale
presso la Cour de cassation del Belgio ha comunicato alla Corte che nel caso di specie il
ricorso non ha effetto sospensivo.
51 Con sentenza 30 marzo 1995, la Cour de cassation ha respinto il ricorso dichiarando
che il rigetto privava di oggetto le domande relative all'estensione degli effetti della
sentenza. La Cour de cassation ha trasmesso copia della sua sentenza alla Corte di
giustizia.
Sulle domande di provvedimenti istruttori
52 Con lettera pervenuta alla cancelleria della Corte il 16 novembre 1995, l'UEFA ha
proposto un'istanza diretta a far disporre un mezzo istruttorio ai sensi dell'art. 60 del
regolamento di procedura allo scopo di acquisire informazioni integrative sul ruolo svolto
dalle indennità di trasferimento nel finanziamento delle società calcistiche di piccole o
medie dimensioni, sui sistemi di ripartizione degli introiti nell'ambito delle strutture
organizzative del gioco del calcio e sull'esistenza o sulla mancanza di sistemi alternativi
per l'ipotesi in cui il sistema delle indennità di trasferimento fosse abolito.
53 Dopo aver nuovamente sentito l'avvocato generale, la Corte ha ritenuto di dover
respingere tale istanza, proposta in un momento in cui, ai sensi dell'art. 59, n. 2, del
regolamento di procedura, la fase orale del procedimento era chiusa. In effetti, dalla
giurisprudenza della Corte (v. sentenza 16 giugno 1971, causa 77/70,
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Prelle/Commissione, Racc. pag. 561, punto 7) risulta che un'istanza del genere può essere
accolta soltanto se riguarda fatti che possono esercitare un'influenza decisiva e che
l'interessato non ha potuto far valere prima della chiusura della fase orale.
54 Nel caso presente basta rilevare che l'UEFA avrebbe potuto proporre la detta istanza
prima che la fase orale fosse dichiarata chiusa. Inoltre, la questione se lo scopo di
conservare l'equilibrio finanziario e sportivo, e specificamente di garantire il
finanziamento delle società di piccole dimensioni, possa essere conseguito con altri
mezzi, come la ridistribuzione di una parte degli introiti del gioco del calcio è stata
trattata, in particolare, dal signor Bosman nelle sue osservazioni scritte.
Sulla competenza della Corte a pronunciarsi sulle questioni pregiudiziali
55 L'URBSFA, l'UEFA, taluni dei governi che hanno presentato osservazioni e, nel corso
della fase scritta, la Commissione, hanno contestato, per motivi diversi, la competenza
della Corte a pronunciarsi su tutte o su parti delle questioni sollevate dal giudice a quo.
56 In primo luogo, l'UEFA e l'URBSFA hanno sostenuto che le cause a quibus
costituiscono un artificio procedurale diretto ad ottenere che la Corte si pronunci in via
pregiudiziale su questioni obiettivamente irrilevanti per la decisione delle controversie. A
loro dire, infatti, il regolamento dell'UEFA non è stato applicato in occasione del mancato
trasferimento del signor Bosman a Dunkerque e peraltro, se fosse stato applicato, il detto
trasferimento non sarebbe stato subordinato al versamento di un'indennità di
trasferimento e quindi avrebbe potuto aver luogo. Di conseguenza, l'interpretazione del
diritto comunitario chiesta dal giudice nazionale non avrebbe alcun rapporto con gli
aspetti concreti o con l'oggetto delle cause a quibus e, secondo una costante
giurisprudenza, la Corte non sarebbe competente a risolvere le questioni sottopostele.
57 In secondo luogo, l'URBSFA, l'UEFA, i governi danese, francese e italiano, così come
la Commissione nelle sue osservazioni scritte, hanno sostenuto che le questioni relative
alle norme sulla cittadinanza non sono pertinenti alle controversie, che riguardano
unicamente l'applicazione delle norme sui trasferimenti. Infatti, gli ostacoli che il signor
Bosman ritiene provocati, nello sviluppo della sua carriera, dalle norme sulla cittadinanza
sarebbero puramente ipotetici e non costituirebbero un valido motivo perché la Corte si
pronunci sull'interpretazione del Trattato sotto tale profilo.
58 In terzo luogo, l'URBSFA e l'UEFA hanno rilevato all'udienza che, secondo la
sentenza 30 maggio 1995 della Cour de cassation belga, la Cour d'appel di Liegi non ha
ritenuto ricevibili le domande con cui il signor Bosman ha chiesto la declaratoria
dell'inapplicabilità, nei suoi confronti, delle norme sulla cittadinanza contenute nel
regolamento dell'URBSFA. Le cause a quibus non verterebbero quindi sull'applicazione
delle dette norme e la Corte non dovrebbe risolvere le questioni sottopostele a tale
proposito. Il governo francese ha aderito a questa conclusione con riserva, però,
dell'accertamento della portata della sentenza della Cour de cassation.
59 Si deve rilevare a questo proposito che, nell'ambito della collaborazione tra la Corte e i
giudici nazionali istituita dall'art. 177 del Trattato, spetta esclusivamente al giudice
nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità
dell'emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di
ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di
pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte.
Di conseguenza, se le questioni sollevate dal giudice nazionale vertono
sull'interpretazione del diritto comunitario la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire
(v., in particolare, sentenza 5 ottobre 1995, causa C-125/94, Aprile, Racc. pag. I-0000,
punti 16 e 17).
60 Nondimeno la Corte ha considerato che, per verificare la propria competenza, le
spettava esaminare le condizioni in cui era adita dal giudice nazionale. Infatti, lo spirito di
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collaborazione che deve presiedere al funzionamento del rinvio pregiudiziale implica che,
dal canto suo, il giudice nazionale tenga conto della funzione attribuita alla Corte, che è
quella di contribuire all'amministrazione della giustizia negli Stati membri e non di
esprimere pareri consultivi su questioni generali o ipotetiche (v., in particolare, sentenza
16 luglio 1992, causa C-83/91, Meilicke, Racc. pag. I-4871, punto 25).
61 Proprio in considerazione di tale funzione la Corte ha ritenuto di non poter statuire su
una questione sollevata da un giudice nazionale qualora appaia in modo manifesto che
l'interpretazione o il giudizio sulla validità di una norma comunitaria chiesti da tale
giudice non hanno alcuna relazione con l'effettività o con l'oggetto della causa a qua (v.,
in particolare, sentenza 26 ottobre 1995, causa C-143/94, Furlanis costruzioni generali,
Racc. pag. I-0000, punto 12), oppure qualora il problema sia di natura ipotetica e la Corte
non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile
alle questioni che le vengono sottoposte (v., in particolare, sentenza Meilicke, citata,
punto 32).
62 Nella fattispecie si deve osservare anzitutto che le cause a quibus, considerate nel loro
insieme, non hanno natura ipotetica e che il giudice nazionale ha esposto con precisione
alla Corte il loro ambito fattuale e normativo e le ragioni che l'hanno indotto a ritenere
necessaria, per poter emettere la propria sentenza, una pronuncia sulle questioni da esso
sollevate.
63 Inoltre, anche ammesso che, come sostengono l'URBSFA e l'UEFA, il regolamento di
quest'ultima non sia stato applicato in occasione del mancato trasferimento del signor
Bosman alla società di Dunkerque, resta sempre il fatto che ad esso si fa riferimento nelle
azioni preventive del signor Bosman contro l'URBSFA e l'UEFA (v. sopra, punto 40) e
che un'interpretazione della Corte circa la compatibilità con il diritto comunitario del
sistema di trasferimento istituito dal regolamento dell'UEFA potrebbe essere utile al
giudice a quo.
64 Per quanto riguarda in particolare le questioni relative alle norme sulla cittadinanza,
risulta che le domande al riguardo proposte nell'ambito delle cause a quibus sono state
giudicate ricevibili in base ad una norma processuale nazionale che consente di esperire
un'azione, anche a fini declaratori, per prevenire la lesione di un diritto gravemente
minacciato. Come emerge dalla sua sentenza, il giudice a quo ha ritenuto che
l'applicazione delle norme sulla cittadinanza potesse effettivamente ostacolare la carriera
del signor Bosman, riducendone le possibilità di essere ingaggiato da una società di un
altro Stato membro o di giocare per essa. Il detto giudice è giunto quindi alla conclusione
che le domande del signor Bosman dirette a far dichiarare inapplicabili nei suoi confronti
le norme sulla cittadinanza soddisfacevano i presupposti prescritti dalla norma
summenzionata.
65 Non compete alla Corte, nell'ambito del presente procedimento, sindacare tale
giudizio. Anche se le azioni esperite nel caso di specie hanno carattere declaratorio e,
mirando a prevenire la lesione di un diritto minacciato, devono necessariamente basarsi
su previsioni per loro natura incerte, esse sono nondimeno consentite dal diritto nazionale
come interpretato dal giudice a quo. Alla luce di tali considerazioni, le questioni sollevate
dal giudice nazionale risultano obiettivamente necessarie per la soluzione delle
controversie con cui esso è ritualmente adito.
66 Infine, dalla sentenza 30 marzo 1995 della Cour de cassation non risulta che le norme
sulla cittadinanza siano estranee alle cause a quibus. La Cour de cassation ha
semplicemente dichiarato che il ricorso proposto dall'URBSFA contro la sentenza del
giudice a quo si basava su un'errata interpretazione di quest'ultima. Nel ricorso per
cassazione l'URBSFA aveva in effetti sostenuto che il giudice suddetto aveva ritenuto
ricevibile una domanda del signor Bosman diretta a far dichiarare le norme sulla
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cittadinanza contenute nei regolamenti della detta federazione inapplicabili nei suoi
confronti. Orbene, emerge dalla sentenza della Cour de cassation che, secondo la Cour
d'appel, la domanda del signor Bosman era diretta a prevenire ostacoli che sarebbero
potuti derivare per la sua carriera dall'applicazione non già delle norme sulla cittadinanza
contenute nel regolamento dell'URBSFA, che riguardavano calciatori di cittadinanza
diversa dalla belga, ma delle analoghe norme contenute nei regolamenti dell'UEFA e
delle altre federazioni nazionali aderenti a tale confederazione, che potevano riguardarlo
in quanto calciatore di cittadinanza belga.
67 Da quanto precede risulta che la Corte è competente a pronunciarsi sulle questioni
sottopostele dalla Cour d'appel di Liegi.
Sull'interpretazione dell'art. 48 del Trattato con riguardo alle norme sui trasferimenti
68 Con la prima delle sue questioni il giudice a quo chiede in sostanza se l'art. 48 del
Trattato osti all'applicazione delle norme, emanate da associazioni sportive, secondo le
quali un calciatore professionista cittadino di uno Stato membro, alla scadenza del
contratto che lo vincola a una società, può essere ingaggiato da una società calcistica di
un altro Stato membro solo se questa ha versato alla società di provenienza un'indennità
di trasferimento, di formazione o di promozione.
Sull'applicazione dell'art. 48 alle norme emanate da associazioni sportive
69 Su questo punto, occorre esaminare in limine taluni argomenti presentati relativamente
all'applicazione dell'art. 48 alle norme emanate da associazioni sportive.
70 L'URBSFA ha sostenuto che soltanto le maggiori società calcistiche europee possono
essere considerate imprese, mentre società come il RCL esercitano un'attività economica
trascurabile. Inoltre, la questione del giudice nazionale relativa alle norme sui
trasferimenti non riguarda i rapporti di lavoro fra i calciatori e le società, ma i rapporti
economici fra le società e le conseguenze della libertà di tesseramento presso una
federazione sportiva. Pertanto, l'art. 48 del Trattato non si applicherebbe in un caso come
quello di specie.
71 Dal canto suo, l'UEFA ha fatto valere in particolare che le autorità comunitarie hanno
sempre rispettato l'autonomia dell'attività sportiva, che è difficilissimo distinguere gli
aspetti economici del calcio da quelli sportivi e che una pronuncia della Corte sulla
situazione degli sportivi professionisti potrebbe rimettere in discussione l'intera
organizzazione del gioco del calcio. Di conseguenza, anche se l'art. 48 del Trattato
dovesse applicarsi ai calciatori professionisti, sarebbe necessario attenersi a criteri di
elasticità in considerazione della specificità di tale attività sportiva.
72 Il governo tedesco ha sottolineato anzitutto che nella maggior parte dei casi uno sport
come il calcio non ha indole di attività economica. Ha poi rilevato che lo sport in generale
presenta analogie con la cultura, ricordando che, ai sensi dell'art. 128, n. 1, del Trattato
CE, la Comunità deve rispettare la diversità nazionale e regionale delle culture degli Stati
membri. Infine, ha menzionato la libertà di associazione e l'autonomia di cui godono, in
base al diritto nazionale, le federazioni sportive per concludere che, secondo il principio
di sussidiarietà, considerato come principio generale, l'intervento delle autorità pubbliche
e, in particolare, della Comunità nella materia considerata dev'essere limitato allo stretto
necessario.
73 A proposito di tali argomenti si deve ricordare che, considerati gli obiettivi della
Comunità, l'attività sportiva è disciplinata dal diritto comunitario in quanto sia
configurabile come attività economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato (v. sentenza 12
dicembre 1974, causa 36/74, Walrave, Racc. pag. 1405, punto 4). E'questo il caso
dell'attività dei calciatori professionisti o semiprofessionisti che svolgono un lavoro
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subordinato o effettuano prestazioni di servizi retribuite (v. sentenza 14 luglio 1976,
causa 13/76, Donà, Racc. pag. 1333, punto 12).
74 Si deve del pari osservare che, ai fini dell'applicazione delle norme comunitarie
relative alla libera circolazione dei lavoratori, non è comunque necessario che il datore di
lavoro abbia la qualità di imprenditore, giacché il solo elemento richiesto è l'esistenza di
un rapporto di lavoro o la volontà di instaurare tale rapporto.
75 L'applicazione dell'art. 48 del Trattato non è neppure esclusa dal fatto che le norme sui
trasferimenti disciplinino i rapporti economici fra società calcistiche, anziché i rapporti di
lavoro fra società e calciatori. Invero, la circostanza che le società datrici di lavoro siano
tenute a versare indennità quando ingaggiano calciatori provenienti da altre società
influisce sulla possibilità degli interessati di trovare un ingaggio, nonché sulle condizioni
alle quali l'ingaggio è offerto.
76 Per quanto riguarda la difficoltà di separare gli aspetti economici del calcio da quelli
sportivi, la Corte ha riconosciuto, nella citata sentenza Donà, punti 14 e 15, che le norme
comunitarie sulla libera circolazione delle persone e dei servizi non ostano a normative o
a prassi giustificate da motivi non economici, inerenti alla natura e al contesto specifici di
talune competizioni sportive. La Corte, però, ha sottolineato che tale restrizione delle
sfera d'applicazione delle dette norme deve restare entro i limiti del suo oggetto specifico.
Pertanto, essa non può essere invocata per escludere un'intera attività sportiva dalla sfera
d'applicazione del Trattato.
77 Quanto alle eventuali conseguenze di questa sentenza per l'organizzazione del gioco
del calcio nel suo complesso, va rilevato che, secondo una costante giurisprudenza,
benché le conseguenze pratiche di ogni pronuncia giurisdizionale debbano essere vagliate
accuratamente, ciò non può indurre a scalfire l'obiettività del diritto ed a compromettere
la sua applicazione a motivo delle ripercussioni che tale pronuncia può provocare. Tutt'al
più le dette ripercussioni potrebbero essere prese in considerazione per decidere
eventualmente, se necessario, di limitare l'efficacia di una sentenza nel tempo (v., in
particolare, sentenza 16 luglio 1992, causa C-163/90, Legros e a., Racc. pag. I-4625,
punto 30).
78 Nemmeno può essere accolto l'argomento relativo alle pretese analogie fra sport e
cultura, giacché la questione sollevata dal giudice nazionale verte non già sulle condizioni
dell'esercizio di competenze comunitarie di rilievo limitato, come quelle basate sull'art.
128, n. 1, ma sulla portata della libera circolazione dei lavoratori, garantita dall'art. 48,
che costituisce una libertà fondamentale nel sistema della Comunità (v., in particolare,
sentenza 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, Racc. pag. I-1663, punto 16).
79 Per quanto concerne gli argomenti relativi alla libertà di associazione, occorre
riconoscere che tale principio, sancito dall'art. 11 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e scaturente dalle tradizioni
costituzionali comuni agli Stati membri, fa parte dei diritti fondamentali che, secondo la
costante giurisprudenza della Corte, peraltro riaffermata dal preambolo dell'Atto unico
europeo e dall'art. F, n. 2, del Trattato sull'Unione europea, sono oggetto di tutela
nell'ordinamento giuridico comunitario.
80 Tuttavia, non si può ritenere che le norme emanate da associazioni sportive e
menzionate dal giudice nazionale siano necessarie per garantire alle dette associazioni,
alle società calcistiche o ai calciatori l'esercizio di tale libertà o ne costituiscano una
necessaria conseguenza.
81 Infine, il principio di sussidiarietà, come interpretato dal governo tedesco, ossia nel
senso che l'intervento delle autorità pubbliche, e segnatamente delle autorità comunitarie,
nella materia considerata dev'essere limitato allo stretto necessario, non può avere
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l'effetto che l'autonomia di cui godono le associazioni private per adottare normative
sportive limiti l'esercizio dei diritti conferiti ai privati dal Trattato.
82 Respinte le obiezioni relative all'applicazione dell'art. 48 del Trattato ad attività
sportive come quelle dei calciatori professionisti, occorre ricordare che, come la Corte ha
dichiarato nella citata sentenza Walrave, punto 17, il detto articolo non disciplina soltanto
gli atti delle autorità pubbliche, ma si applica anche alle normative di altra natura dirette a
disciplinare collettivamente il lavoro subordinato.
83 La Corte, infatti, ha considerato che l'abolizione fra gli Stati membri degli ostacoli alla
libera circolazione delle persone sarebbe compromessa se l'eliminazione delle limitazioni
stabilite da norme statali potesse essere neutralizzata da ostacoli derivanti dall'esercizio
dell'autonomia giuridica di associazioni ed enti di natura non pubblicistica (v. la citata
sentenza Walrave, punto 18).
84 Inoltre, la Corte ha rilevato che nei vari Stati membri le condizioni di lavoro sono
disciplinate talvolta da norme di natura legislativa o regolamentare, talvolta da
convenzioni e altri atti di natura privatistica. Pertanto, se l'oggetto dell'art. 48 del Trattato
fosse limitato agli atti della pubblica autorità, potrebbero verificarsi disparità nella sua
applicazione (v. la citata sentenza Walrave, punto 19). Tale rischio è particolarmente
evidente in un caso come quello di specie poiché, come si è sottolineato nel punto 24 di
questa sentenza, le norme sui trasferimenti sono state emanate da enti diversi o secondo
tecniche differenti nei vari Stati membri.
85 L'UEFA obietta che questa interpretazione si risolve nel conferire all'art. 48 del
Trattato un valore più vincolante per i privati che per gli Stati membri, dato che solo
questi ultimi possono avvalersi di limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, di
pubblica sicurezza e di sanità pubblica.
86 Tale argomento poggia su una premessa errata. Nulla osta, infatti, a che le
giustificazioni attinenti all'ordine pubblico, alla pubblica sicurezza e alla sanità pubblica
siano invocate da privati. La natura pubblicistica o privatistica della normativa di cui
trattasi non incide affatto sulla portata o sul contenuto delle dette giustificazioni.
87 Si deve pertanto concludere che l'art. 48 del Trattato si applica a norme emanate da
associazioni sportive come l'URBSFA, la FIFA, o l'UEFA per stabilire le condizioni alle
quali gli sportivi professionisti esercitano un'attività retribuita.
Quanto al carattere puramente interno della situazione cui si riferisce il giudice nazionale
88 L'UEFA rileva che le cause pendenti dinanzi al giudice a quo si riferiscono ad una
situazione puramente interna allo Stato belga, che esula dalla sfera d'applicazione dell'art.
48 del Trattato. Esse riguarderebbero infatti un calciatore belga il cui trasferimento non
ha potuto aver luogo a causa del comportamento di una società belga e di un'associazione
belga.
89 Certo, risulta da una giurisprudenza costante (v., in particolare, sentenze 28 marzo
1979, causa 175/78, Saunders, Racc. pag. 1129, punto 11; 28 giugno 1984, causa 180/83,
Moser, Racc. pag. 2539, punto 15: 28 gennaio 1992, causa C-332/90, Steen, Racc. pag. I341, punto 9; e Kraus, citata, punto 15) che le disposizioni del Trattato in materia di
libera circolazione dei lavoratori, e segnatamente l'art. 48, non possono essere applicate a
situazioni puramente interne di uno Stato membro, ossia in mancanza di qualsiasi criterio
di collegamento ad una qualunque delle situazioni previste dal diritto comunitario.
90 Tuttavia, dagli accertamenti di fatto compiuti dal giudice a quo risulta che il signor
Bosman aveva stipulato un contratto di lavoro con una società di un altro Stato membro
per esercitare un'attività retribuita nel territorio di tale Stato. Come ha giustamente
osservato l'interessato, egli ha, ciò facendo, risposto ad un'offerta di lavoro effettiva ai
sensi dell'art. 48, n. 3, lett. a).
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91 Poiché la situazione di cui alle cause a quibus non può qualificarsi puramente interna,
l'argomento prospettato dall'UEFA dev'essere respinto.
Sull'esistenza di un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori
92 Occorre quindi accertare se le norme sui trasferimenti costituiscano un ostacolo alla
libera circolazione dei lavoratori, vietato dall'art. 48 del Trattato.
93 Come la Corte ha affermato più volte, la libera circolazione dei lavoratori costituisce
uno dei principi fondamentali della Comunità e le norme del Trattato che garantiscono
tale libertà hanno effetto diretto sin dalla fine del periodo transitorio.
94 La Corte ha inoltre considerato che l'insieme delle norme del Trattato relative alla
libera circolazione delle persone mira a facilitare ai cittadini comunitari l'esercizio di
attività lavorative di qualsivoglia natura nel territorio della Comunità ed osta ai
provvedimenti che potrebbero sfavorirli qualora intendano svolgere un'attività economica
nel territorio di un altro Stato membro (v. sentenze 7 luglio 1988, causa 143/87, Stanton,
Racc. pag. 3877, punto 13, e 7 luglio 1992, causa C-370/90, Singh, Racc. pag. I-4265,
punto 16).
95 In tale contesto i cittadini degli Stati membri dispongono, in particolare, del diritto,
conferito loro direttamente dal Trattato, di lasciare il paese d'origine per entrare nel
territorio di un altro Stato membro ed ivi soggiornare al fine di esercitare un'attività
economica (v., in particolare, sentenze 5 febbraio 1991, causa C-363/89, Roux, Racc.
pag. I-273, punto 9, e Singh, citata, punto 17).
96 Le disposizioni che impediscano ad un cittadino di uno Stato membro di lasciare il
paese d'origine per esercitare il suo diritto di libera circolazione, o che lo dissuadano dal
farlo, costituiscono quindi ostacoli frapposti a tale libertà anche se si applicano
indipendentemente dalla cittadinanza dei lavoratori interessati (v., anche sentenza 7
marzo 1991, causa C-10/90, Masgio, Racc. pag. I-1119, punti 18 e 19).
97 D'altro canto, la Corte ha rilevato, nella sentenza 27 settembre 1988, causa 81/87,
Daily Mail and General Trust (Racc. pag. 5483, punto 16), che, sebbene le norme del
Trattato relative alla libertà di stabilimento mirino in particolare a garantire il beneficio
del trattamento nazionale nello Stato membro ospitante, esse ostano parimenti a che lo
Stato d'origine ostacoli lo stabilimento in un altro Stato membro di un suo cittadino o di
una società costituita secondo la sua normativa e corrispondente, peraltro, alla definizione
dettata dall'art. 58. I diritti garantiti dall'art. 52 e seguenti del Trattato sarebbero vanificati
se lo Stato d'origine potesse vietare alle imprese di lasciare il suo territorio per stabilirsi
in un altro Stato membro. Le stesse considerazioni valgono, sotto il profilo dell'art. 48 del
Trattato, per le norme che ostacolano la libera circolazione dei cittadini di uno Stato
membro che intendano svolgere un'attività lavorativa subordinata in un altro Stato
membro
98 Ora, è vero che le norme sui trasferimenti contestate nelle cause a quibus si applicano
anche ai trasferimenti di calciatori fra società appartenenti a federazioni nazionali diverse
nell'ambito dello stesso Stato membro e che norme analoghe disciplinano i trasferimenti
fra società appartenenti alla stessa federazione nazionale.
99 Tuttavia, come hanno fatto notare il signor Bosman, il governo danese e l'avvocato
generale nei paragrafi 209 e 210 delle sue conclusioni, tali norme sono idonee a limitare
la libera circolazione dei calciatori che vogliono svolgere la loro attività in un altro Stato
membro poiché impediscono loro di lasciare le società cui appartengono, o li dissuadono
dal farlo, anche dopo la scadenza dei contratti di lavoro che li legano ad esse.
100 In effetti, prevedendo, come fanno, che un calciatore professionista può esercitare la
sua attività in una nuova società stabilita in un altro Stato membro solo se quest'ultima ha
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versato alla società di provenienza l'indennità di trasferimento il cui importo è stato
convenuto fra di esse o determinato ai sensi dei regolamenti delle federazioni sportive, le
dette norme costituiscono un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori.
101 Come ha rilevato correttamente il giudice nazionale, tale conclusione non è inficiata
dal fatto che norme sui trasferimenti emanate dall'UEFA nel 1990 hanno disposto che i
rapporti economici fra le due società non influiscono sull'attività del calciatore, il quale
può giocare liberamente per la sua nuova società. Quest'ultima, infatti, resta tenuta a
versare l'indennità di cui trattasi, a pena di sanzioni che possono giungere fino alla sua
radiazione per debiti; e ciò le impedisce con altrettanta efficacia di ingaggiare un
calciatore proveniente da una società di un altro Stato membro senza prima pagare la
detta indennità.
102 La conclusione dianzi esposta non è infirmata nemmeno dalla giurisprudenza della
Corte, invocata dall'URBSFA e dall'UEFA, la quale esclude che l'art. 30 del Trattato si
applichi a provvedimenti che limitano o vietano talune modalità di vendita, purché essi
valgano per tutti gli operatori interessati che esercitano la loro attività nel territorio
nazionale e incidano in uguale misura, in diritto come in fatto, sullo smercio dei prodotti
nazionali e dei prodotti provenienti da altri Stati membri (v. sentenza 24 novembre 1993,
cause riunite C-267/91 e C-268/91, Keck e Mithouard, Racc. pag. I-6097, punto 16).
103 Basta rilevare, invero, che, sebbene le norme di cui si discute nelle cause a quibus si
applichino anche ai trasferimenti fra società facenti parte di federazioni nazionali diverse
nell'ambito dello stesso Stato membro e siano analoghe a quelle che disciplinano i
trasferimenti fra società aderenti alla stessa federazione nazionale, resta pur sempre il
fatto che esse condizionano direttamente l'accesso dei calciatori al mercato del lavoro
negli altri Stati membri e in tal modo sono idonee ad ostacolare la libera circolazione dei
lavoratori. Esse non possono quindi venire assimilate alle normative riguardanti le
modalità di vendita delle merci che la sentenza Keck e Mithouard ha ritenuto esulare
dalla sfera d'applicazione dell'art. 30 del Trattato (v. anche, in materia di libera
prestazione di servizi, sentenza 10 maggio 1995, causa C-384/93, Alpine Investments,
Racc. pag. I-1141, punti 36-38).
104 Di conseguenza, le norme sui trasferimenti costituiscono ostacoli alla libera
circolazione dei lavoratori vietati, in linea di principio, dall'art. 48 del Trattato. Ad una
diversa conclusione si potrebbe giungere solo se le dette norme perseguissero uno scopo
legittimo compatibile con il Trattato e fossero giustificate da imperiosi motivi d'interesse
pubblico. Anche in tale ipotesi, però, la loro applicazione dovrebbe essere idonea a
garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non dovrebbe eccedere quanto
necessario per farlo (v., in particolare, sentenza Kraus, citata, punto 32, e sentenza 30
novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-0000, punto 37).
Sull'esistenza di giustificazioni
105 L'URBSFA, l'UEFA e i governi francese e italiano hanno anzitutto sostenuto che le
norme sui trasferimenti sono giustificate dall'intento di conservare l'equilibrio finanziario
e sportivo fra le società e di sostenere la ricerca di calciatori di talento e la formazione dei
giovani calciatori.
106 Considerata la notevole importanza sociale dell'attività sportiva e, specialmente, del
gioco del calcio nella Comunità, si deve riconoscere la legittimità degli scopi consistenti
nel garantire la conservazione di un equilibrio fra le società, preservando una certa parità
di possibilità e l'incertezza dei risultati, e nell'incentivare l'ingaggio e la formazione dei
giovani calciatori.
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107 Per quanto riguarda il primo di questi scopi, il signor Bosman ha giustamente rilevato
che l'applicazione delle norme sui trasferimenti non costituisce un mezzo adeguato per
garantire la conservazione dell'equilibrio finanziario e sportivo nel mondo del calcio. Tali
norme non impediscono alle società economicamente più forti di procurarsi i servigi dei
migliori calciatori né impediscono che i mezzi finanziari disponibili costituiscano un
elemento decisivo nella competizione sportiva e che l'equilibrio fra le società ne risulti
notevolmente alterato.
108 Quanto al secondo scopo, si deve ammettere che la prospettiva di percepire indennità
di trasferimento, di promozione o di formazione è effettivamente idonea ad incoraggiare
le società a cercare calciatori di talento e ad assicurare la formazione dei giovani
calciatori.
109 Tuttavia, essendo impossibile prevedere con certezza l'avvenire sportivo dei giovani
calciatori e poiché solo pochi di essi si dedicano all'attività professionistica, le dette
indennità si caratterizzano per incertezza e aleatorietà e, comunque, non hanno alcun
rapporto con le spese effettivamente sostenute dalle società per formare sia i futuri
calciatori professionisti sia i giovani che non diventeranno mai tali. Ciò considerato, la
prospettiva di ricevere indennità del genere non può svolgere un ruolo determinante
nell'incentivare l'ingaggio e la formazione dei giovani calciatori né costituire un mezzo
idoneo per finanziare tali attività, soprattutto nel caso delle società calcistiche di piccole
dimensioni.
110 Peraltro, come ha rilevato l'avvocato generale nei paragrafi 226 e seguenti delle sue
conclusioni, gli stessi scopi possono essere conseguiti in modo almeno altrettanto efficace
con altri mezzi che non intralcino la libera circolazione dei lavoratori.
111 Inoltre è stato sostenuto che le norme sui trasferimenti sono necessarie a
salvaguardare l'organizzazione mondiale del gioco del calcio.
112 A questo proposito si deve rilevare che il presente procedimento verte
sull'applicazione delle norme in esame all'interno della Comunità e non riguarda i
rapporti tra le federazioni nazionali degli Stati membri e quelle dei paesi terzi. D'altra
parte, l'applicazione di norme diverse ai trasferimenti fra società facenti parte delle
federazioni nazionali della Comunità e ai trasferimenti fra tali società e quelle aderenti
alle federazioni nazionali dei paesi terzi non può creare difficoltà particolari. Infatti, come
emerge dai precedenti punti 22 e 23, le norme che a tutt'oggi disciplinano i trasferimenti
nell'ambito delle federazioni nazionali di alcuni Stati membri differiscono da quelle che si
applicano a livello internazionale.
113 Infine, l'argomento secondo cui le dette norme sono necessarie per compensare le
spese che le società hanno dovuto sostenere per pagare indennità al momento
dell'ingaggio dei loro calciatori non può essere accolto, giacché tende a giustificare la
conservazione di ostacoli alla libera circolazione dei lavoratori con il semplice fatto che
tali ostacoli possono essere esistiti in passato.
114 Di conseguenza, la prima questione dev'essere risolta nel senso che l'art. 48 del
Trattato osta all'applicazione di norme emanate da associazioni sportive secondo le quali
un calciatore professionista cittadino di uno Stato membro, alla scadenza del contratto
che lo vincola ad una società, può essere ingaggiato da una società di un altro Stato
membro solo se questa ha versato alla società di provenienza un'indennità di
trasferimento, di formazione o di promozione.
Sull'interpretazione dell'art. 48 del Trattato con riguardo alle norme sulla cittadinanza
115 Con la seconda questione il giudice nazionale chiede in sostanza se l'art. 48 del
Trattato osti all'applicazione di norme emanate da associazioni sportive secondo le quali,
nelle partite delle competizioni che esse organizzano, le società calcistiche possono
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schierare solo un numero limitato di calciatori professionisti cittadini di altri Stati
membri.
Sull'esistenza di un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori
116 Come la Corte ha rilevato sopra, nel punto 87, l'art. 48 del Trattato si applica a norme
emanate da associazioni sportive che determinano le condizioni alle quali gli sportivi
professionisti esercitano un'attività retribuita. Pertanto, occorre accertare se le norme sulla
cittadinanza costituiscano un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, vietata
dall'art. 48.
117 L'art. 48, n. 2, dispone espressamente che la libera circolazione dei lavoratori implica
l'abolizione di qualsiasi discriminazione basata sulla cittadinanza fra i lavoratori degli
Stati membri per quanto riguarda l'occupazione, la retribuzione e le condizioni di lavoro.
118 La citata disposizione è stata attuata, in particolare, dall'art. 4 del regolamento del
Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori
all'interno della Comunità (GU L 257, pag. 2), ai sensi del quale le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che limitano, per impresa,
per ramo di attività, per regioni o su scala nazionale, il numero o la percentuale degli
stranieri occupati non sono applicabili ai cittadini degli altri Stati membri.
119 Lo stesso principio osta a che le norme dei regolamenti delle associazioni sportive
limitino il diritto dei cittadini di altri Stati membri di partecipare, come professionisti, ad
incontri di calcio (v. sentenza Donà, citata, punto 19).
120 A questo proposito, il fatto che tali norme non riguardino l'ingaggio dei detti
calciatori, che non è limitato, ma la possibilità, per le società cui appartengono, di farli
scendere in campo nelle partite ufficiali è irrilevante. Poiché la partecipazione a tali
incontri costituisce l'oggetto essenziale dell'attività di un calciatore professionista, è
evidente che una norma che limiti detta partecipazione incide anche sulle possibilità
d'ingaggio del calciatore interessato.
Sull'esistenza di giustificazioni
121 Essendo stata accertata l'esistenza di un ostacolo, occorre verificare se esso possa
essere giustificato con riguardo all'art. 48 del Trattato.
122 L'URBSFA, l'UEFA e i governi tedesco, francese e italiano osservano che le norme
sulla cittadinanza sono giustificate da motivi non economici, attinenti unicamente allo
sport in sé e per sé.
123 Infatti, esse servirebbero, in primo luogo, a preservare il legame tradizionale fra ogni
società calcistica e il proprio paese, che è molto importante per consentire al pubblico di
identificarsi con la squadra preferita e per far sì che le società che partecipano a gare
internazionali rappresentino effettivamente il proprio paese.
124 In secondo luogo, le dette norme sarebbero necessarie per costituire un'adeguata
riserva di calciatori nazionali che consenta alle squadre nazionali di mettere in campo
calciatori di alto livello in tutti i ruoli.
125 In terzo luogo esse contribuirebbero a conservare l'equilibrio sportivo fra le società
impedendo a quelle economicamente più forti di ingaggiare i migliori calciatori.
126 Infine, l'UEFA sottolinea che la regola del «3+2» è stata elaborata di concerto con la
Commissione e dev'essere riesaminata regolarmente in funzione dell'evoluzione della
politica comunitaria.
127 Va sottolineato al riguardo che nella citata sentenza Donà, punti 14 e 15, la Corte ha
riconosciuto che le norme del Trattato in materia di libera circolazione delle persone non
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ostano a normative o prassi che escludano i calciatori stranieri da determinati incontri per
motivi non economici, attinenti al carattere e all'ambito specifici di tali partite e che
quindi hanno natura prettamente sportiva, come, ad esempio, nel caso di incontri fra le
rappresentative di paesi diversi. La Corte ha sottolineato, però, che tale restrizione della
sfera d'applicazione delle norme di cui trattasi deve restare entro i limiti del suo oggetto
specifico.
128 Nella fattispecie le norme sulla cittadinanza non riguardano incontri specifici fra
rappresentative nazionali, ma si applicano a tutti gli incontri ufficiali tra società
calcistiche e, quindi, alla parte essenziale dell'attività esercitata dai calciatori
professionisti.
129 Alla luce di quanto precede le norme sulla cittadinanza non possono essere
considerate conformi all'art. 48 del Trattato. Questa norma sarebbe altrimenti privata del
suo effetto utile e il diritto fondamentale di accedere liberamente a un'occupazione, che
essa conferisce individualmente ad ogni lavoratore della Comunità (v., sentenza 15
ottobre 1987, causa 222/86, Heylens, Racc. pag. 4097, punto 14), sarebbe vanificato.
130 Nessuno degli argomenti fatti valere dalle associazioni sportive e dai governi che
hanno presentato osservazioni può inficiare tale conclusione.
131 In primo luogo si deve rilevare che il legame fra una società calcistica e lo Stato
membro nel quale essa è stabilita non può considerarsi inerente all'attività sportiva, in
ogni caso non più del legame che unisce tale società al suo quartiere, alla sua città o alla
sua regione, oppure, come nel caso del Regno Unito, al territorio di competenza di
ciascuna delle quattro federazioni. Nei campionati nazionali, infatti, si affrontano società
di regioni, di città o di quartieri diversi, ma nessuna norma limita, relativamente a tali
partite, il diritto delle società di schierare in campo calciatori provenienti da altre regioni,
da altre città o da altri quartieri.
132 Inoltre, la partecipazione alle gare internazionali è riservata alle società che hanno
ottenuto determinati risultati sportivi nel loro rispettivo paese, senza che la cittadinanza
dei loro calciatori rivesta un ruolo particolare.
133 In secondo luogo, va osservato che, anche se le squadre nazionali devono essere
composte di calciatori cittadini del paese interessato, questi non devono essere
necessariamente qualificati per le società di tale paese. Peraltro, ai sensi dei regolamenti
delle associazioni sportive, le società che hanno alle loro dipendenze calciatori stranieri
sono tenute a permettere loro di partecipare a determinati incontri nelle file della
nazionale del loro paese.
134 Inoltre, se è vero che la libera circolazione dei lavoratori, rendendo accessibile il
mercato del lavoro di uno Stato membro ai cittadini degli altri Stati membri, ha l'effetto di
ridurre le possibilità dei lavoratori nazionali di trovare un'occupazione nel territorio dello
Stato cui appartengono, è anche vero che essa offre loro in cambio nuove prospettive di
occupazione negli altri Stati membri. Manifestamente, tali considerazioni valgono anche
per i calciatori professionisti.
135 In terzo luogo, per quanto riguarda l'equilibrio sportivo, occorre rilevare che le norme
sulla cittadinanza, che impedirebbero alle squadre più facoltose di ingaggiare i migliori
calciatori stranieri, non sono idonee a conseguire questo scopo giacché nessuna norma
limita la loro facoltà di ingaggiare i migliori calciatori nazionali, che compromette in
misura non diversa il detto equilibrio.
136 Infine, per quanto riguarda l'argomento relativo al fatto che la Commissione ha
partecipato all'elaborazione della regola del «3+2», si deve ricordare che, al di fuori dei
casi in cui tali competenze le sono espressamente attribuite, la Commissione non ha il
potere di dare garanzie quanto alla compatibilità di un determinato comportamento con il
Trattato (v., anche, sentenza 27 maggio 1981, cause riunite 142/80 e 143/80, Essevi e
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Salengo, Racc. pag. 1413, punto 16). Essa, in ogni caso, non dispone del potere di
autorizzare comportamenti contrari al Trattato.
137 Da quanto precede risulta che l'art. 48 del Trattato osta all'applicazione di norme
emanate da associazioni sportive, secondo le quali, nelle partite delle competizioni che
esse organizzano, le società calcistiche possono schierare solo un numero limitato di
calciatori professionisti cittadini di altri Stati membri.
Sull'interpretazione degli artt. 85 e 86 del Trattato
138 Poiché i due tipi di norme menzionate nelle questioni pregiudiziali sono in contrasto
con l'art. 48, non occorre pronunciarsi sull'interpretazione degli artt. 85 e 86 del Trattato.
Sugli effetti di questa sentenza nel tempo
139 Nelle loro osservazioni scritte e orali l'UEFA e l'URBSFA hanno attirato l'attenzione
della Corte sulle gravi conseguenze che dalla sua sentenza potrebbero risultare per
l'organizzazione del gioco del calcio nel suo complesso, qualora essa giudicasse
incompatibili con il Trattato le norme sui trasferimenti e le norme sulla cittadinanza.
140 Dal canto suo, il signor Bosman, pur osservando che una soluzione in tal senso non è
ineluttabile, ha rilevato che la Corte potrebbe limitare nel tempo gli effetti della sua
sentenza per quanto riguarda le norme sui trasferimenti.
141 Secondo una giurisprudenza costante, l'interpretazione che la Corte dà di una norma
di diritto comunitario nell'esercizio della competenza attribuitale dall'art. 177 del Trattato
chiarisce e precisa, se necessario, il significato e la portata della norma stessa, come deve
o avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore. Ne
deriva che la norma così interpretata può e deve essere applicata dal giudice anche a
rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza che statuisce sulla domanda
d'interpretazione, purché sussistano i presupposti per sottoporre al giudice competente
una lite relativa all'applicazione della detta norma (v., in particolare, sentenza 2 febbraio
1988, causa 24/86, Blaizot, Racc. pag. 379, punto 27).
142 Solo in via eccezionale la Corte, applicando il principio generale della certezza del
diritto inerente all'ordinamento giuridico comunitario, può essere indotta a limitare la
possibilità di qualunque interessato di far valere una norma, da essa interpretata, allo
scopo di rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede. Tale
limitazione può essere ammessa soltanto dalla Corte nella stessa sentenza che statuisce
sull'interpretazione richiesta (v., in particolare, sentenze Blaizot, citata, punto 28, e
Legros e a., citata, punto 30).
143 Nel caso di specie i peculiari aspetti delle norme emanate dalle associazioni sportive
per quanto riguarda i trasferimenti di calciatori fra società di Stati membri diversi, come
pure il fatto che le stesse norme, o norme analoghe, si applicavano sia ai trasferimenti fra
società aderenti alla stessa federazione nazionale sia ai trasferimenti fra società facenti
parte di federazioni nazionali diverse nell'ambito dello stesso Stato membro, possono
aver creato uno stato d'incertezza quanto alla compatibilità delle dette norme con il diritto
comunitario.
144 Pertanto, considerazioni imperative di certezza del diritto ostano a che situazioni
giuridiche che hanno esaurito i loro effetti nel passato siano rimesse in discussione.
Occorre prevedere, tuttavia, un'eccezione a favore delle persone che abbiano preso
tempestivamente iniziative per salvaguardare i loro diritti. Infine, si deve precisare che la
limitazione degli effetti della detta interpretazione può essere ammessa solo per le
indennità di trasferimento, di formazione o di promozione che, alla data di questa
sentenza, siano state già pagate o siano ancora dovute in adempimento di un'obbligazione
sorta prima di tale data.
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145 Di conseguenza, si deve statuire nel senso che l'effetto diretto dell'art. 48 del Trattato
non può essere fatto valere a sostegno di rivendicazioni relative a indennità di
trasferimento, di formazione o di promozione che, alla data di questa sentenza, siano state
già pagate o siano ancora dovute in adempimento di un'obbligazione sorta prima di tale
data, fatta eccezione per coloro che, prima della stessa data, abbiano intentato azioni
giudiziarie o esperito rimedi equivalenti ai sensi del diritto nazionale vigente in materia.
146 Per quanto riguarda invece le norme sulla cittadinanza, la limitazione temporale degli
effetti di questa sentenza non può essere ammessa. Infatti, alla luce delle citate sentenze
Walrave e Donà, nessuno poteva ragionevolmente ritenere che le discriminazioni
derivanti da tali norme fossero compatibili con l'art. 48 del Trattato.
Per questi motivi,
LA CORTE,
pronunciandosi sulle questioni sottopostele dalla Cour d'appel di Liegi con sentenza
1. Ottobre 1993, dichiara:
1) L'art. 48 del Trattato CEE osta all'applicazione di norme emanate da associazioni
sportive secondo le quali un calciatore professionista cittadino di uno Stato membro, alla
scadenza del contratto che lo vincola ad una società, può essere ingaggiato da una società
di un altro Stato membro solo se questa ha versato alla società di provenienza
un'indennità di trasferimento, di formazione o di promozione.
2) L'art. 48 del Trattato CEE osta all'applicazione di norme emanate da associazioni
sportive secondo le quali, nelle partite delle competizioni che esse organizzano, le società
calcistiche possono schierare solo un numero limitato di calciatori professionisti cittadini
di altri Stati membri.
3) L'effetto diretto dell'art. 48 del Trattato CEE non può essere fatto valere a sostegno di
rivendicazioni relative a indennità di trasferimento, di formazione o di promozione che,
alla data di questa sentenza, siano state già pagate o siano ancora dovute in adempimento
di un'obbligazione sorta prima di tale data, fatta eccezione per coloro che, prima della
stessa data, abbiano intentato azioni giudiziarie o esperito rimedi equivalenti ai sensi del
diritto nazionale vigente in materia.
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3. Procedimento C-124/96,
Commissione delle Comunità europee,
ricorrente,
contro
Regno di Spagna, convenuto,
sostenuto da
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord,
interveniente,
avente ad oggetto un ricorso diretto a far dichiarare che, stabilendo che l'esenzione
dall'IVA a favore delle prestazioni strettamente connesse con la pratica dello sport o
dell'educazione fisica si applica solo agli stabilimenti privati le cui quote d'ingresso o i
cui canoni periodici non superino un certo importo, il Regno di Spagna ha violato l'art.
13, sub A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE
in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte
sulla cifra di affari — Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile
uniforme (GU L 145, pag. 1),
LA CORTE (Sesta Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con atto introduttivo depositato in cancelleria il 17 aprile 1996 la Commissione delle
Comunità europee ha proposto, ai sensi dell'art. 169 del Trattato CE, un ricorso diretto a
far dichiarare che, stabilendo che l'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto (in
prosieguo: l'«IVA») a favore delle prestazioni strettamente connesse con la pratica dello
sport o dell'educazione fisica si applica solo agli stabilimenti privati le cui quote
d'ingresso o i cui canoni periodici non superino un certo importo, il Regno di Spagna ha
violato l'art. 13, sub A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977,
77/388/CEE in materia di
armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di
affari — Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU
L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»).
La sesta direttiva
2. L'art. 13, sub A, della sesta direttiva dispone che talune attività di interesse pubblico
sono esenti da IVA. Più precisamente, nella parte A, intitolata «Esenzioni a favore di
alcune attività di interesse pubblico», l'art. 13 della sesta direttiva prevede che:
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«1. Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle
condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle
esenzioni previste in appresso e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:
(...)
m) talune prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o
dell'educazione fisica, fornite da organizzazioni senza scopo lucrativo alle persone che
esercitano lo sport o l ' educazione fisica;
(...)
2. a) Gli Stati membri possono subordinare, caso per caso, la concessione, ad enti diversi
da quelli di diritto pubblico, di ciascuna delle esenzioni previste al paragrafo 1, lettere b),
g), h), i), l), m) e n) all'osservanza di una o più delle seguenti condizioni:
— gli enti di cui trattasi non devono avere per fine la ricerca sistematica del profitto: gli
eventuali profitti non dovranno mai essere distribuiti ma dovranno essere destinati al
mantenimento o al miglioramento delle prestazioni fornite;
— essi devono essere gestiti ed amministrati a titolo essenzialmente gratuito da persone
che non hanno di per sé o per interposta persona alcun interesse diretto o indiretto ai
risultati della gestione;
— essi devono praticare prezzi approvati dalle autorità pubbliche o che non superino detti
prezzi approvati, ovvero, per le operazioni i cui prezzi non sono sottoposti ad
approvazione, praticare prezzi inferiori a quelli richiesti per servizi analoghi da imprese
commerciali soggette all'imposta sul valore aggiunto;
— le esenzioni non devono essere tali da provocare distorsioni di concorrenza a danno
delle imprese commerciali soggette all'imposta sul valore aggiunto».
La normativa nazionale
3. La normativa spagnola in materia è costituita dall'art. 20 della legge 28 dicembre 1992,
n. 37, relativa all'imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: la «legge n. 37/92») come
modificato dall'art. 13 della legge 30 dicembre 1994, n. 42 (in prosieguo: la «legge n.
42/94»). La disposizione pertinente della suddetta normativa è l'art. 20, n. 1, punto 13, il
quale prevede un'esenzione per
«I servizi forniti a persone fisiche che praticano lo sport o l'educazione fisica, quale che
sia la persona o l'organismo a carico del quale la prestazione è fornita, a condizione che i
suddetti servizi siano direttamente legati alla pratica dello sport e dell'educazione fisica e
siano forniti dalle persone o dagli organismi seguenti:
(...)
d) organismi o stabilimenti privati a carattere sociale le cui quote d'ingresso o i cui canoni
periodici non superino gli importi indicati qui di seguito:
Quote d'ingresso o di ammissione: 265 000 PTA;
Quote periodiche: 4 000 PTA al mese».
Il procedimento precontenzioso
4. Con lettera 22 dicembre 1992 la Commissione ha informato il Regno di Spagna che
essa considerava l'art. 8, punto 13, della legge spagnola relativa all'imposta sul valore
aggiunto (legge 2 agosto 1985, n. 30, modificata con legge 15 ottobre 1990, n. 10)
incompatibili con l'art. 13, sub A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva.
5. Con lettera 28 maggio 1993 le autorità spagnole hanno risposto asserendo che la
normativa spagnola applicabile era l'art. 20, n. 1, punto 13 della legge n. 37/92 e che
quest'ultima non era in contrasto con la sesta direttiva.
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6. Tenuto conto di tale reazione e degli argomenti esposti dal Regno di Spagna, la
Commissione ha inviato a quest'ultimo il 10 ottobre 1994, un parere motivato nel quale
ribadiva che le disposizioni spagnole erano incompatibili con la sesta direttiva.
7. Con lettera 10 aprile 1995, il Regno di Spagna ha sostanzialmente riportato gli
argomenti già addotti nella sua risposta alla lettera del 22 dicembre 1992.
8. Successivamente, il Regno di Spagna, con la legge n. 42/94, ha in parte modificato
l'art. 20, n. 1, punto 13, della legge n. 37/92. La Commissione ha ritenuto che tale
modifica eliminasse solo parzialmente l'inadempimento e lasciasse inalterate le
limitazioni quantitative imposte agli organismi o stabilimenti privati sportivi.
Nel merito
9. A sostegno del suo ricorso, la Commissione afferma che la limitazione, prevista all'art.
20, n. 1, punto 13, della legge n. 37/92, dell'esenzione dall'IVA ai soli stabilimenti
sportivi privati che percepiscano quote di ingresso pari o inferiori agli importi menzionati
nel detto articolo è in contrasto con l'art. 13, sub A, della sesta direttiva. La condizione
supplementare imposta dalla normativa spagnola non sarebbe autorizzata né dalla frase
introduttiva dell'art. 13, sub A, n. 1, né dal disposto dell'art. 13, sub A, n. 1, lett. m), né
dall'art. 13, sub A, n. 2, lett. a), terzo trattino, della sesta direttiva.
10. Il governo spagnolo, sostenuto dal governo del Regno Unito, fa valere in primo luogo
che dalla frase introduttiva dell'art. 13, sub A, n. 1, della sesta direttiva emerge che gli
Stati membri dispongono di un ampio potere discrezionale per dare attuazione alle
esenzioni ivi previste.
11. Si deve a questo proposito rilevare che le condizioni che possono essere fissate ai
sensi dell'art. 13, sub A, n. 1, della sesta direttiva non riguardano in alcun modo la
definizione del contenuto delle esenzioni previste da detta disposizione (v. sentenza 19
gennaio 1982, causa 8/81, Becker, Racc. pag. 53, punto 32).
12. Infatti, queste condizioni sono intese a garantire la corretta e semplice applicazione
delle esenzioni previste e riguardano i provvedimenti destinati a prevenire le frodi,
l'evasione fiscale e gli eventuali abusi (v. sentenza Becker, già citata, punti 33 e 34).
13. Si deve quindi disattendere l'argomento basato sulla frase introduttiva dell'art. 13, sub
A, n. 1.
14. Il governo spagnolo inoltre, per quanto riguarda l'esenzione delle prestazioni di
servizi contemplate all'art. 13, sub A, n. 1, lett. m) sostiene che, contrariamente alle altre
esenzioni previste dalla detta disposizione, la lett. m) prevede l'esenzione di «talune»
prestazioni di servizi. Questo consentirebbe agli Stati membri di limitare il campo di
applicazione dell'art. 13, sub A, n. 1, lett. m), non soltanto escludendo espressamente
dalle esenzioni taluni servizi forniti dagli stabilimenti sportivi, ma anche applicando «altri
criteri», come l'ammontare della contropartita dei servizi di cui trattasi.
15. Si deve a questo proposito rilevare che dall'art. 13, sub A, n. 1, lett. m), della sesta
direttiva emerge che l'esenzione di cui trattasi verte su prestazioni di servizi strettamente
connessi con la pratica dello sport o dell'educazione fisica fornite da organismi senza fini
di lucro.
16. E' pacifico che, sulla base della normativa spagnola, l'esenzione prevista dall'art. 13,
sub A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva è concessa solo ad organismi o stabilimenti
sportivi a carattere sociale che percepiscano quote d'ingresso o canoni periodici inferiori
o pari a un determinato importo.
17. Ora, l'applicazione del criterio dell'importo delle quote d'ingresso o dei canoni
periodici può portare a risultati in contrasto con l'art. 13, sub A, n. 1, lett. m). Infatti,
come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 5 delle sue conclusioni, l'applicazione
di un siffatto criterio può avere la conseguenza che, da un lato, un organismo senza fini di
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lucro resti escluso dal beneficio dell'esenzione di cui alla detta disposizione e, dall'altro,
che di tale esenzione potrebbe beneficiare un organismo avente fini di lucro.
18. Inoltre, da tale disposizione non risulta che uno Stato membro, dal momento che
concede un'esenzione per una determinata prestazione di servizi strettamente connessi
con la pratica dello sport o dell'educazione fisica fornita da organismi senza fini di lucro
possa assoggettarla a condizioni diverse da quelle previste all'art. 13, sub A, n. 2.
19. Ne consegue che la limitazione dell'esenzione delle prestazioni di servizi strettamente
connessi con la pratica dello sport o dell'educazione fisica agli organismi o stabilimenti
privati a carattere sociale che percepiscono quote d'ingresso o canoni periodici inferiori o
pari a un determinato importo è in contrasto con l'art. 13, sub A, n. 1, lett. m), della sesta
direttiva.
20. Infine, il governo spagnolo osserva che la fissazione di un massimale all'importo delle
quote per l'esenzione delle prestazioni di servizi prevista dall'art. 13, sub A, n. 1, lett. m),
rientra nella nozione di prezzo approvato dalle autorità pubbliche ai sensi dell'art. 13, sub
A, n. 2, lett. a), terzo trattino, ed è, pertanto, giustificata in forza di quest'ultima
disposizione.
21. Al riguardo, basta constatare che da tale disposizione non risulta che uno Stato
membro, subordinando l'esenzione di cui all'art. 13, sub A, n. 1, lett. m), ad una o più
condizioni previste nel n. 2, lett. a), della medesima disposizione, possa modificarne il
campo d'applicazione.
22. Inoltre, come giustamente rilevato dalla Commissione, l'art. 13, sub A, n. 2, lett. a),
della sesta direttiva prevede che gli Stati membri possono subordinare la concessione
delle esenzioni contemplate all'osservanza di una o più condizioni menzionate nella detta
disposizione. Quest'ultima pertanto esclude una limitazione dell'esenzione di prestazioni
di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell'educazione fisica agli
organismi o stabilimenti sportivi privati a carattere sociale che percepiscano quote di
ingresso o canoni periodici pari o inferiori ad un determinato importo, senza tener conto
delle caratteristiche e delle circostanze specifiche di ciascuna attività sportiva.
23. Si deve pertanto constatare che, stabilendo che l'esenzione dall'IVA a favore delle
prestazioni strettamente connesse con la pratica dello sport o dell'educazione fisica si
applica solo agli stabilimenti privati le cui quote d'ingresso o i cui canoni non superino un
certo importo, il Regno di Spagna è venuto meno agli obblighi che ad esso incombono in
forza dell'art. 13, sub A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva.
Per questi motivi,
LA CORTE (Sesta Sezione)
dichiara e statuisce:
Stabilendo che l'esenzione dall'IVA a favore delle prestazioni strettamente connesse con
la pratica dello sport o dell'educazione fisica si applica solo agli stabilimenti privati le cui
quote d'ingresso o i cui canoni periodici non superino un certo importo, il Regno di
Spagna è venuto meno agli obblighi che ad esso incombenti in forza dell'art. 13, sub A, n.
1, lett. m), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di
armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di
affari — Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme.
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4. Procedimento C-9/98,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 177 del Trattato CEE, dal tribunal de première instance de Namur (Belgio), nella
causa dinanzi ad essa pendente tra
Ermanno Agostini,
Emanuele Agostini
e
Ligue francophone de judo et disciplines associées ASBL,
Ligue belge de judo ASBL,
domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 6, 48 e 59 del Trattato CE, del
regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera
circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (GU L 257, pag. 2), e della direttiva
del Consiglio 21 maggio 1973, 73/148/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni e
al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all'interno della Comunità
in materia di stabilimento e di prestazioni di servizi (GU L 172, pag. 14),
LA CORTE,
ha emesso la seguente
Ordinanza
1. Con ordinanza 5 gennaio 1998, pervenuta alla Corte il 15 gennaio seguente, il tribunal
de première instance di Namur ha sottoposto, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE,
diverse questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt. 6, 48 e 59 dello stesso
Trattato, del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla
libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (GU L 257, pag. 2), e della
direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, 73/148/CEE, relativa alla soppressione delle
restrizioni e al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all'interno
della Comunità in materia di stabilimento e di prestazioni di servizi (GU L 172, pag. 14).
2. Questa ordinanza è stata pronunciata nell'ambito di una controversia che oppone i
signori Ermanno ed Emanuele Agostini alla Ligue francophone de judo et disciplines
associées ASBL, nonché alla Ligue belge de judo ASBL.
3. Ritenendo che la controversia ad esso sottoposta sollevasse questioni d'interpretazione
di talune disposizioni comunitarie, il giudice nazionale ha proposto alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:
«Se sia conforme o meno al Trattato di Roma e segnatamente agli artt. 6, 48, 59 e
seguenti, nonché al regolamento n. 1612/68 e alla direttiva 73/148 del Consiglio dei
ministri, il divieto al cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea di partecipare a
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una competizione sportiva, in qualità di sportivo sia professionista o semiprofessionista,
sia dilettante, per il motivo che l'interessato non è cittadino dello Stato membro sul cui
territorio è organizzata la competizione, tenendo conto del fatto che l'interessato è figlio
di lavoratori stabiliti in tale Stato membro e che egli stesso ha acquisito lo status di
lavoratore sul territorio del medesimo Stato membro.
Se la soluzione di tale questione debba essere diversa quando trattasi della partecipazione
a una competizione destinata a designare il campione nazionale dello Stato membro
interessato.
Inoltre, se l'interessato possa rivendicare il diritto di essere trattato al pari dei cittadini
nazionali quanto alle selezioni effettuate dalla Federazione sportiva nazionale dello Stato
membro interessato ai fini della partecipazione a grandi tornei internazionali ed a
competizioni quali i Campionati europei o mondiali e i Giochi olimpici, o se le
federazioni nazionali possano riservare selezioni siffatte esclusivamente ai loro cittadini».
4. Si deve ricordare innanzi tutto che l'esigenza di giungere ad una interpretazione del
diritto comunitario che sia utile per il giudice nazionale impone che quest'ultimo
definisca l'ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso
spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate (v., in particolare,
sentenza 26 gennaio 1993, cause riunite da C-320/90 a C-322/90, Telemarsicabruzzo e a.,
Racc. pag. I-393, punto 6; ordinanze 19 marzo 1993, causa C-157/92, Banchero, Racc.
pag. I-1085, punto 4; 30 giugno 1997, causa C-66/97, Banco de Fomento e Exterior,
Racc. pag. I-3757, punto 7, e 30 aprile 1998, cause riunite C-128/97 e C-137/97, Testa e
Modesti, Racc. pag. I-2181, punto 5).
5. A tal riguardo occorre sottolineare che le informazioni fornite nelle decisioni di rinvio
servono non solo a consentire alla Corte di risolvere in modo utile le questioni, ma anche
a dare ai governi degli Stati membri e alle altre parti interessate la possibilità di
presentare osservazioni ai sensi dell'art. 20 dello Statuto della Corte (ordinanza Banco de
Fomento e Exterior, sopra menzionata, punto 8).
6. Ora, nella fattispecie, l'ordinanza di rinvio non contiene indicazioni sufficienti per
soddisfare tali requisiti. Il giudice nazionale si limita a porre le questioni pregiudiziali
senza fornire una qualunque indicazione sul loro fondamento. Esso non descrive né il
contesto di fatto della controversia, o le ipotesi di fatto sullequali esso si basa, né il
contesto normativo nazionale, né i motivi precisi che lo inducono a chiedere
delucidazioni sull'interpretazione del diritto comunitario e a ritenere necessario sottoporre
questioni pregiudiziali alla Corte.
7. Per contro esso indica esplicitamente che «il Tribunale non si sofferma sui fatti né del
resto sul diritto».
8. In tale situazione la Corte non è in grado di pronunciarsi, in mancanza di una qualsiasi
indicazione sulla condizione di professionista, di semiprofessionista o di dilettante dei
ricorrenti, sulla natura delle competizioni che costituiscono l'oggetto del procedimento
dinanzi al giudice nazionale, sulle modalità di selezione e di partecipazione a queste
competizioni, né sulla normativa nazionale vigente in materia.
9. Pertanto le indicazioni che figurano nell'ordinanza di rinvio, a causa del loro
riferimento troppo impreciso alle situazioni di diritto e di fatto considerate dal giudice
nazionale, non consentono alla Corte di fornire una interpretazione utile del diritto
comunitario.
10. Alla luce di queste considerazioni occorre constatare, ai sensi degli artt. 92 e 103, n.
1, del regolamento di procedura, che le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte sono
manifestamente irricevibili.
Per questi motivi,
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LA CORTE
così provvede:
La domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta dal tribunal de première instance di
Namur, con ordinanza 5 gennaio 1998, è irricevibile
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5. Procedimento
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C-67/98,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dal Consiglio di Stato nella causa
dinanzi ad esso pendente tra
Questore di Verona
e
Diego Zenatti,
domanda vertente sull'interpretazione delle disposizioni del Trattato CE relative alla
libera prestazione dei servizi,
LA CORTE,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 20 gennaio 1998, pervenuta alla Corte il 13 marzo seguente, il
Consiglio di Stato ha sollevato, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234
CE), una questione pregiudiziale sull'interpretazione delle disposizioni del Trattato CE
relative alla libera prestazione dei servizi, al fine di valutare la compatibilità con tali
disposizioni di una normativa nazionale che proibisce, salvo eccezioni, l'esercizio di
scommesse e riserva a taluni enti il diritto di organizzare le scommesse autorizzate.
2. Tale questione è stata sollevata nell'ambito di una controversia tra il Questore di
Verona e il signor Zenatti, in ordine al divieto imposto a quest'ultimo di proseguire la sua
attività d'intermediario in Italia per una società, avente sede nel Regno Unito,
specializzata nell'accettazione di scommesse su eventi sportivi.
Il contesto normativo
3. In Italia, ai sensi dell'art. 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante
approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (GURI n. 146 del 26
giugno 1931, in prosieguo: il «regio decreto»), «non può essere conceduta licenza per
l'esercizio di scommesse, fatta eccezione per le scommesse nelle corse, nelle regate, nei
giuochi di palla o pallone e in altre simili gare, quando l'esercizio delle scommesse
costituisce una condizione necessaria per l'utile svolgimento della gara».
4. Dalla risposta del governo italiano al quesito posto dalla Corte riguardo alle modalità
di applicazione dell'eccezione prevista da tale disposizione risulta che le scommesse
possono essere effettuate vuoi sull'esito di eventi sportivi posti sotto il controllo del
Comitato olimpico nazionale italiano (in prosieguo: il «CONI»), vuoi sull'esito delle
corse dei cavalli organizzate tramite l'Unione nazionale incremento razze equine (in
prosieguo: l'«UNIRE»). L'utilizzazione dei proventi derivanti dalle scommesse e attribuiti
a tali due enti è disciplinata e deve consentire, in particolare, di favorire lo sviluppo delle
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attività sportive attraverso investimenti nelle infrastrutture sportive, in particolare nelle
regioni più carenti e nelle periferie delle grandi città, e di sostenere gli sport ippici e
l'allevamento di cavalli. In forza di varie disposizioni legislative emanate tra il 1995 e il
1997, l'organizzazione e l'accettazione delle scommesse riservate al CONI e all'UNIRE
possono essere concesse a persone o enti che offrano adeguate garanzie, in esito a
procedure di gara e dietro pagamento dei canoni applicabili.
5. L'art. 718 del codice penale italiano punisce l'esercizio o l'organizzazione di giochi
d'azzardo e l'art. 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (GURI n. 401 del 18 dicembre
1989), sanziona penalmente l'esercizio abusivo dell'organizzazione di giochi o di
scommesse riservata allo Stato o ad enti concessionari. Inoltre, i giochi e le scommesse
non autorizzati ricadono nella previsione dell'art. 1933 del codice civile, ai sensi del quale
non compete azione per il pagamento di un debito di gioco o di scommessa. Per contro,
non è consentito ripetere quanto è stato spontaneamente pagato, salvo il caso di frode.
La controversia nella causa principale
6. Dal 29 marzo 1997 il signor Zenatti svolge attività di intermediario in Italia per la
società SSP Overseas Betting Ltd (in prosieguo: la «Overseas»), allibratore autorizzato
avente sede in Londra, specializzata nell'accettazione di scommesse. Il ruolo del signor
Zenatti consiste nel gestire, per i clienti italiani della Overseas, un centro di trasmissione
dati aventi ad oggetto scommesse su avvenimenti sportivi stranieri. Egli invia a Londra a
mezzo telecopia o per Internet dei moduli compilati dai clienti, unitamente alla fotocopia
di bonifici bancari, e riceve dalla Overseas altre telecopie da trasmettere ai medesimi
clienti.
7. Con provvedimento del 16 aprile 1997 il Questore di Verona ha disposto la cessazione
dell'attività del signor Zenatti, considerato che tale attività non era autorizzabile ai sensi
dell'art. 88 del regio decreto, che consente la concessione di una licenza per l'esercizio di
scommesse solo quando l'esercizio stesso costituisce una condizione necessaria per l'utile
svolgimento della gara.
8. Il signor Zenatti ha proposto un ricorso per l'annullamento di tale decisione dinanzi al
Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, chiedendo, in via cautelare, la
sospensione dell'esecuzione della stessa. Con ordinanza 9 luglio 1997 il Tribunale
amministrativo regionale ha sospeso in via cautelare l'efficacia del provvedimento
controverso.
9. Il Questore di Verona ha proposto appello contro tale ordinanza dinanzi al Consiglio di
Stato.
10. Quest'ultimo ritiene che la soluzione della controversia richieda l'interpretazione delle
disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione dei servizi. A suo parere, i
principi affermati nella sentenza della Corte 24 marzo 1994, causa C-275/92, Schindler
(Racc. pag. I-1039; in prosieguo: la «sentenza Schindler»), secondo la quale tali
disposizioni non ostano a una disciplina come quella britannica sulle lotterie, tenuto conto
delle preoccupazioni di politica sociale e di prevenzione delle frodi che la giustificano,
sembrano applicabili per analogia alla normativa italiana sulle scommesse.
11. Tuttavia, in assenza di una sentenza pronunciata dal giudice comunitario su una
disciplina di tale natura, il Consiglio di Stato, le cui decisioni non sono impugnabili,
ritiene che l'art. 177 del Trattato gli imponga di adire la Corte di giustizia. Pertanto esso
ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione
pregiudiziale:
«Se le disposizioni del Trattato relative alla prestazione dei servizi ostino ad una
disciplina come la normativa italiana sulle scommesse tenuto conto delle preoccupazioni
di politica sociale e di prevenzione delle frodi che la giustificano».
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Sulla questione pregiudiziale
12. Il governo italiano e tutti gli altri governi che hanno presentato osservazioni nonché la
Commissione ritengono che la sentenza Schindler fornisca gli elementi essenziali che
consentono di dare alla questione proposta una soluzione negativa.
13. Per contro, il signor Zenatti sostiene che le raccolte di scommesse sugli eventi
sportivi non sono equiparabili alle attività delle lotterie, oggetto della sentenza Schindler,
soprattutto perché le scommesse non costituiscono giochi di puro azzardo, bensì giochi
nei quali lo scommettitore deve determinare il risultato con la sua abilità. Egli ritiene
inoltre che il semplice riferimento operato dal giudice a quo a preoccupazioni di politica
sociale e di prevenzione delle frodi non sia sufficiente per giustificare la normativa
controversa nella causa a qua.
14. A questo proposito occorre ricordare che, al punto 60 della sentenza Schindler, la
Corte ha messo in rilievo le considerazioni di ordine morale, religioso o culturale che
sono collegate alle lotterie come agli altri giochi d'azzardo in tutti gli Stati membri. Le
normative nazionali sono generalmente volte a limitare, se non a vietare, la pratica dei
giochi d'azzardo e ad evitare che siano una fonte di profitto individuale. La Corte ha
ugualmente rilevato che le lotterie comportano elevati rischi di criminalità e di frode,
tenuto conto della rilevanza delle somme che consentono di raccogliere e dei premi che
possono offrire ai giocatori, soprattutto quando sono organizzate su grande scala. Esse
costituiscono inoltre un'incitazionealla spesa che può avere conseguenze individuali e
sociali dannose. Infine, secondo la Corte, anche se non può essere considerato di per sé
una giustificazione obiettiva non è indifferente il rilievo che le lotterie possono essere un
mezzo consistente di finanziamento per attività di beneficienza o di interesse generale
come le opere sociali, le opere caritative, lo sport e la cultura.
15. Come risulta dal punto 61 della stessa sentenza, la Corte ha considerato che queste
caratteristiche giustificano che le autorità nazionali dispongano di un potere discrezionale
sufficiente a determinare le esigenze di tutela dei giocatori e più in generale, tenendo
conto delle caratteristiche socioculturali di ogni Stato membro, di tutela dell'ordine
sociale, sia per quanto riguarda le modalità di organizzazione delle lotterie e il volume
delle puntate, sia per quanto riguarda la destinazione degli utili da esse ricavati. Spetta
pertanto ad esse valutare non solo la necessità di limitare le attività delle lotterie ma
anche di vietarle, purché dette limitazioni non siano discriminatorie.
16. Anche se la sentenza Schindler riguarda l'organizzazione delle lotterie, queste
considerazioni sono ugualmente valide, come emerge del resto dagli stessi termini del
punto 60 di tale sentenza, per gli altri giochi di azzardo che presentano caratteristiche
analoghe.
17. Certo, nella sentenza 26 giugno 1997, causa C-368/95, Familiapress (Racc. pag. I3689), la Corte ha rifiutato di equiparare taluni giochi alle lotterie che presentano le
caratteristiche esaminate nella sentenza Schindler. Si trattava però di giochi-concorsi
proposti su riviste sotto forma di cruciverba o di indovinelli, che consentivano ad alcuni
lettori, estratti a sorte fra coloro che avevano fornito le risposte esatte, di vincere dei
premi. Come la Corte ha osservato, in particolare, al punto 23 di tale sentenza, giochi
siffatti, organizzati unicamente su piccola scala e le cui poste sono poco rilevanti, non
costituiscono un'attività economica autonoma, ma soltanto un elemento fra gli altri del
contenuto redazionale di una rivista.
18. Al contrario, nella presente causa, le scommesse sulle competizioni sportive, pur non
potendo essere considerate giochi di puro azzardo, al pari di questi ultimi offrono, contro
una posta avente valore di pagamento, una prospettiva di profitto pecuniario. Tenuto
conto della rilevanza delle somme che esse consentono di raccogliere e dei profitti che
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possono offrire agli scommettitori, esse comportano gli stessi rischi di criminalità e di
frode e possono avere le stesse conseguenze individuali e sociali dannose.
19. Di conseguenza, le scommesse controverse nella causa a qua devono essere
considerate come giochi d'azzardo analoghi alle lotterie di cui alla sentenza Schindler.
20. Tuttavia, la presente causa si differenzia dalla causa Schindler almeno sotto due
profili.
21. Da un lato, sebbene le normative controverse nelle due cause sanciscano entrambe un
divieto, salvo eccezioni, delle operazioni considerate, la loro portata non è la stessa.
Come ha rilevato l'avvocato generale al paragrafo 24 delle sue conclusioni, mentre la
normativa nazionale esaminata nella sentenza Schindler implicava un divieto assoluto dei
giochi in esame, vale a dire le grandi lotterie, la normativa controversa nella causa a qua
non vieta totalmente l'esercizio di scommesse, ma riserva a taluni enti il diritto di
organizzarle a determinate condizioni.
22. D'altro lato, come è stato rilevato in alcune delle osservazioni presentate alla Corte,
tenuto conto della natura dei rapporti esistenti tra il signor Zenatti e la Overseas per la
quale egli opera, in una fattispecie come quella oggetto della causa a qua potrebbero
trovare applicazione le disposizioni del Trattato relative al diritto di stabilimento.
23. Su quest'ultimo punto, tuttavia, poiché la questione proposta dal giudice a quo è
limitata alle sole disposizioni relative alla libera prestazione dei servizi, non vi è motivo
di valutare l'eventuale applicabilità di altre disposizioni del Trattato.
24. Per quanto riguarda le disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione dei
servizi, esse si applicano, come ha affermato la Corte nella sentenza Schindler a proposito
dell'organizzazione delle lotterie, ad un'attività che consiste nel permettere agli
utilizzatori di partecipare, dietro corrispettivo, a un gioco d'azzardo. Pertanto, un'attività
siffatta rientra nel campo d'applicazione dell'art. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito
a modifica, art. 49 CE) qualora almeno uno dei prestatori sia stabilito in uno Stato
membro diverso da quello in cui viene offerto il servizio.
25. Ora, nella causa a qua, le prestazioni controverse sono quelle fornite
dall'organizzatore delle scommesse e dai suoi agenti nel far partecipare gli scommettitori
a un gioco d'azzardo offrendo loro una prospettiva di profitto. Tali prestazioni sono
normalmente fornite contro un corrispettivo costituito dal versamento della somma
scommessa e presentano un carattere transfrontaliero.
26. Né le parti nella causa a qua, né i vari governi che hanno presentato osservazioni né la
Commissione contestano che la normativa italiana, in quanto vieta l'esercizio delle
scommesse a tutte le persone o a tutti gli enti diversi da quelli che possono essere a tal
fine autorizzati, si applichi indistintamente agli operatori che potrebbero essere interessati
da una attività di tal genere, siano essi stabiliti in Italia o in un altro Stato membro.
27. Tuttavia, una tale normativa, impedendo agli operatori degli altri Stati membri,
direttamente o indirettamente, di procedere essi stessi all'esercizio di scommesse nel
territorio italiano, costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi.
28. Occorre quindi esaminare se tale pregiudizio alla libera prestazione dei servizi possa
essere ammesso in base alle misure derogatorie espressamente previste dal Trattato o
possa essere giustificato, in conformità della giurisprudenza della Corte, da esigenze
imperative connesse all'interesse generale.
29. A tale proposito, gli artt. 55 del Trattato CE (divenuto art. 45 CE) e 56 del Trattato
CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 46 CE), applicabili alla materia in forza dell'art.
66 del Trattato CE (divenuto art. 55 CE), ammettono le restrizioni giustificate dalla
partecipazione, sia pure occasionale, all'esercizio dei pubblici poteri o da motivi d'ordine
pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica. Inoltre, risulta dalla giurisprudenza
della Corte (v., in questo senso, sentenza 25 luglio 1991, causa C-288/89, Collectieve
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Antennevoorziening Gouda, Racc. pag. I-4007, punti 13-15), che gli ostacoli alla libera
prestazione dei servizi derivanti da misure nazionali indistintamente applicabili possono
essere ammessi solo se tali misure sono giustificate da esigenze imperative connesse
all'interesse generale, se sono atte a garantire il conseguimento dello scopo con esse
perseguito e se non eccedono quanto necessario a tal fine.
30. Secondo le indicazioni contenute nell'ordinanza di rinvio e nelle osservazioni del
governo italiano, la normativa controversa nella causa a qua persegue obiettivi analoghi a
quelli cui mira la normativa britannica sulle lotterie, quali rilevati dalla Corte nella
sentenza Schindler. La normativa italiana tende, infatti, a impedire che tali giochi
costituiscano una fonte di profitto individuale, a evitare i rischi di criminalità e di frode e
le conseguenze individuali e sociali dannose derivanti dall'incitazione alla spesa che essi
costituiscono ed a consentirli unicamente nei limiti in cui possono presentare un carattere
di utilità sociale per l'utile svolgimento di una gara sportiva.
31. Come ammesso dalla Corte al punto 58 della sentenza Schindler, questi motivi
devono essere considerati nel loro complesso. Essi si ricollegano alla tutela dei destinatari
del servizio e più in generale dei consumatori nonché alla tutela dell'ordine sociale, scopi
che già sono stati riconosciuti rientrare nel novero di quelli che possono essere
considerati come esigenze imperative connesse all'interesse generale (v. sentenze 18
gennaio 1979, cause riunite 110/78 e 111/78, Van Wesemael e a., Racc. pag. 35, punto
28; 4 dicembre 1986, causa 220/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 3663, punto 20, e
24 ottobre 1978, causa 15/78, Société générale alsacienne de banque, Racc. pag. 1971,
punto 5). E' però necessario che, come affermato al punto 29 della presente sentenza, le
misure fondate su siffatti motivi siano atte a garantire il conseguimento degli scopi
perseguiti e non eccedano quanto necessario a tal fine.
32. Come già osservato al punto 21 della presente sentenza, la normativa italiana sulle
scommesse si distingue dalla normativa controversa nella sentenza Schindler soprattutto
in quanto non vieta totalmente le operazioni considerate, ma le riserva a taluni enti a
determinate condizioni.
33. Tuttavia, la determinazione dell'ampiezza di tutela che uno Stato membro intende
garantire nel proprio territorio in tema di lotterie e di altri giochi d'azzardo rientra nel
potere discrezionale riconosciuto dalla Corte alle autorità nazionali al punto 61 della
sentenza Schindler. Spetta a queste ultime infatti valutare se, nel contesto dell'obiettivo
perseguito, sia necessario vietare totalmente o parzialmente attività di questa natura o
soltanto limitarle e prevedere a tale scopo modalità di controllo più o meno rigide.
34. Pertanto, la sola circostanza che uno Stato membro abbia scelto un sistema di tutela
diverso da quello adottato da un altro Stato membro non può incidere sulla valutazione
della necessità e della proporzionalità delle disposizioni adottate in materia. Tali
disposizioni devono essere valutate unicamente alla luce degli obiettivi perseguiti dalle
autorità nazionali dello Stato membro interessato e del livello di tutela che esse mirano a
garantire.
35. Così come rilevato dalla Corte al punto 37 della sentenza 21 settembre 1999, causa C124/97, Läärä e a. (non ancora pubblicata in Raccolta), a proposito della gestione degli
apparecchi automatici per giochi d'azzardo, il fatto che le scommesse in questione non
siano del tutto vietate non è sufficiente a dimostrare che la normativa nazionale non sia
effettivamente volta a conseguire gli obiettivi d'interesse generale che essa dichiara di
perseguire e che devono essere considerati nel loro insieme. Infatti, un'autorizzazione
limitata dei giochi d'azzardo nell'ambito di diritti speciali o esclusivi riconosciuti o
concessi a determinati enti, che presenta il vantaggio di incanalare il desiderio di giocare
e la gestione dei giochi in un circuito controllato, di prevenire il rischio che tale gestione
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sia diretta a scopi fraudolenti e criminosi e di impiegare gli utili che ne derivano per fini
di pubblica utilità, serve anch'essa al perseguimento di detti obiettivi.
36. Tuttavia, come è stato evidenziato dall'avvocato generale al paragrafo 32 delle sue
conclusioni, una limitazione siffatta è ammissibile solamente se essa anzitutto persegue
effettivamente l'obiettivo di un'autentica riduzione delle opportunità di gioco e se il
finanziamento di attività sociali attraverso un prelievo sugli introiti derivanti dai giochi
autorizzati costituisce solo una conseguenza vantaggiosa accessoria, e non la reale
giustificazione, della politica restrittiva attuata. Infatti, come rilevato dalla Corte al punto
60 della sentenza Schindler, anche se non è priva d'interesse la circostanza che le lotterie
e gli altri giochi d'azzardo possono essere un mezzo di finanziamento rilevante per attività
di beneficienza o di interesse generale, un siffatto rilievo non può essere considerato di
per sé una giustificazione oggettiva di restrizioni alla libera prestazione dei servizi.
37. Spetta al giudice a quo verificare se la normativa nazionale, alla luce delle sue
concrete modalità d'applicazione, soddisfi effettivamente gli obiettivi che possono
giustificarla e se le restrizioni da essa imposte non risultino sproporzionate rispetto a tali
obiettivi.
38. Alla luce del complesso di tali considerazioni, si deve risolvere la questione
pregiudiziale nel senso che le disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione dei
servizi non ostano a una normativa nazionale, come quella italiana, che riserva a
determinati enti il diritto di esercitare scommesse sugli eventi sportivi, ove tale normativa
sia effettivamente giustificata da obiettivi di politica sociale tendenti a limitare gli effetti
nocivi di tali attività e ove le restrizioni da essa imposte non siano sproporzionate rispetto
a tali obiettivi.
Per questi motivi,
LA CORTE,
dichiara:
Le disposizioni del Trattato CE relative alla libera prestazione dei servizi non ostano a
una normativa nazionale, come quella italiana, che riserva a determinati enti il diritto di
esercitare scommesse sugli eventi sportivi, ove tale normativa sia effettivamente
giustificata da obiettivi di politica sociale tendenti a limitare gli effetti nocivi di tali
attività e ove le restrizioni da essa imposte non siano sproporzionate rispetto a tali
obiettivi.
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6. Pprocedimenti riuniti C-51/96 e C-191/97,
aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, a norma
dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dal Tribunal de première instance di
Namur (Belgio), nelle cause dinanzi ad esso pendenti tra
Christelle Deliège
e
Ligue francophone de judo et disciplines associées ASBL,
Ligue belge de judo ASBL,
Union européenne de judo (C-51/96),
e tra
Christelle Deliège
e
Ligue francophone de judo et disciplines associées ASBL,
Ligue belge de judo ASBL,
François Pacquée (C-191/97),
domande vertenti sull'interpretazione degli artt. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a
modifica, art. 49 CE), 60, 66, 85 e 86 del Trattato CE (divenuti artt. 50 CE, 55 CE, 81 CE
e 82 CE),
LA CORTE,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 16 febbraio 1996 (C-51/96), pervenuta alla Corte il 21 febbraio 1996, e
con sentenza 14 maggio 1997 (C-191/97), pervenuta alla Corte il 20 maggio 1997, il
Tribunal de première instance di Namur, statuendo rispettivamente in sede di
procedimento sommario e nel merito, ha proposto, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE
(divenuto art. 234 CE), due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt.
59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 49 CE), 60, 66, 85 e 86 del
Trattato CE (divenuti artt. 50 CE, 55 CE, 81 CE e 82 CE).
2. Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di controversie tra la signora Deliège, da
un lato, e la Ligue francophone de judo et disciplines associées ASBL (in prosieguo: la
«LFJ»), la Ligue belge de judo ASBL (in prosieguo: la «LBJ») e il presidente di
quest'ultima, il signor François Pacquée, dall'altro, in ordine al rifiuto di selezionarla per
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partecipare al torneo internazionale di judo di Parigi, nella categoria dei pesi inferiori a 52
kg.
Le regole di organizzazione e di selezione del judo
3. Il judo, sport di lotta individuale, è organizzato su scala mondiale dalla Federazione
internazionale di judo (in prosieguo: la «FIJ»). Sul piano europeo, esiste una federazione
denominata Unione europea di judo (in prosieguo: l'«UEJ»), che raggruppa le diverse
federazioni nazionali. La federazione belga è la LBJ, che si occupa essenzialmente delle
competizioni internazionali e procede alla selezione degli atleti ai fini della loro
partecipazione ai tornei internazionali. La LBJ è composta da due leghe regionali, la
Vlaamse Judofederatie (in prosieguo: la «VJF») e la LFJ. I membri della LBJ sono le due
leghe regionali, nonché le società che fanno parte di queste ultime. I judoka sono tesserati
presso un club che è a sua volta membro della lega regionale, la quale rilascia agli affiliati
una licenza necessaria per partecipare ai corsi o alle competizioni. Il titolare di una
licenza è tenuto a sottoporsi a tutti gli obblighi imposti dalla lega regionale in base al suo
statuto e ai suoi regolamenti.
4. Tradizionalmente, gli atleti sono suddivisi in relazione al loro sesso e a sette categorie
di peso, per un totale di quattordici categorie differenti. In occasione della sua assemblea
tecnica e sportiva di Amsterdam del 5 febbraio 1994 e del suo congresso ordinario di
Nicosia del 9 aprile 1994, il comitato direttivo dell'UEJ ha adottato norme relative alla
partecipazione ai tornei europei detti di categoria A. I detti tornei, così come i campionati
d'Europa del maggio 1996, permettevano di ottenere punti per la classifica nelle liste
europee che poteva determinare le qualificazioni per i giochi olimpici di Atlanta del
1996. Era previsto che solo le federazioni nazionali potessero iscrivere i loro atleti e che,
per ciascuna federazione europea, sette judoka di ciascun sesso potessero essere iscritti
sulle dette liste, ossia, in linea di massima, un judoka per categoria. Tuttavia, se nessun
atleta fosse stato designato in una categoria, era possibile iscrivere due judoka in un'altra
categoria, senza mai eccedere il limite di sette uomini e di sette donne. Come è stato
illustrato dalla LFJ all'udienza dinanzi alla Corte, la cittadinanza del judoka era irrilevante
in tale contesto, dato che solo la sua affiliazione alla federazione nazionale era presa in
considerazione.
5. Conformemente ai criteri di selezione per i giochi olimpici di Atlanta, adottati dalla FIJ
il 19 ottobre 1993 a Madrid, erano in particolare qualificati per tali giochi, in ciascuna
categoria, i primi otto degli ultimi campionati del mondo, nonché un certo numero di
judoka per ciascun continente (per l'Europa, nove uomini e cinque donne in ciascuna
categoria), da determinare sulla base dei risultati ottenuti da ciascun judoka nel corso di
un certo numero di tornei durante il periodo preolimpico. A tal fine, l'UEJ ha precisato, in
occasione della sua assemblea di Amsterdam e del suo congresso di Nicosia in
precedenza menzionati, che sarebbero stati presi in considerazione i tre migliori risultati
ottenuti nei tornei di categoria A e ai campionati d'Europa seniores, nel corso del periodo
compreso tra i campionati del mondo del 1995 ed i campionati d'Europa del 1996. Essa
ha altresìprevisto che sarebbero state qualificate le federazioni e non i judoka
personalmente.
Le controversie nelle cause a quibus e le questioni pregiudiziali
6. La signora Deliège pratica il judo dal 1983 e, a partire dal 1987, ha ottenuto, nella
categoria dei pesi inferiori a 52 kg, eccellenti risultati fra cui diversi titoli di campionessa
del Belgio, un titolo di campionessa d'Europa ed un titolo di campionessa del mondo
nella classe atlete al di sotto dei 19 anni, nonché vittorie e piazzamenti prestigiosi in
tornei internazionali. Le parti nelle cause a quibus sono in disaccordo quanto allo status
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della signora Deliège, dato che quest'ultima sostiene di esercitare il judo a titolo
professionistico o semiprofessionistico, mentre la LBJ e la LFJ fanno valere che il judo è
uno sport che, in Europa ed in particolare in Belgio, è praticato da dilettanti.
7. La signora Deliège sostiene che, dal 1992, i responsabili della LFJ e della LBJ hanno
illegittimamente ostacolato lo svolgimento della sua carriera. Ella lamenta in particolare
il fatto che le sia stato impedito di partecipare ai giochi olimpici di Barcellona nel 1992,
di non essere stata selezionata per i campionati del mondo nel 1993 né per i campionati
d'Europa nel 1994. Nel marzo 1995, la signora Deliège sarebbe stata informata di non
essere preselezionata per i giochi olimpici di Atlanta. Nell'aprile 1995, mentre si
preparava a partecipare ai campionati d'Europa che dovevano tenersi in maggio, ella
sarebbe stata esclusa dalla squadra belga a vantaggio di un'atleta affiliata alla VJF. Nel
dicembre 1995, le sarebbe stato impedito di partecipare al torneo internazionale di
categoria A di Basilea.
8. La LFJ asserisce che la signora Deliège è più volte entrata in conflitto con gli
allenatori, i selezionatori o i responsabili della LFJ e della LBJ e che ella è poco
disciplinata, essendo stata sottoposta in particolare ad una sanzione di sospensione
temporanea da ogni attività federale. Inoltre, ella si sarebbe trovata di fronte a difficoltà
di ordine sportivo, dato che il Belgio disponeva di almeno quattro judoka di alto livello
nella categoria dei pesi inferiori a 52 kg. La LBJ precisa che le decisioni relative alla
selezione degli atleti ai fini della partecipazione ai vari tornei e campionati sono prese dal
suo comitato sportivo nazionale, organo costituito pariteticamente da membri della VJF e
membri della LFJ.
9. I fatti che si trovano direttamente all'origine delle cause a quibus riguardano la
partecipazione al torneo internazionale di categoria A di Parigi del 10 e dell'11 febbraio
1996. Poiché la LBJ aveva selezionato altre due atlete che, secondo la signora Deliège,
avevano ottenuto risultati sportivi meno brillanti dei suoi, il 26 gennaio 1996 quest'ultima
ha adito il giudice dell'urgenza del Tribunal de première instance di Namur.
La causa C-51/96
10. La signora Deliège ha chiesto al Tribunal de première instance di Namur, in sede di
procedimento sommario, che fosse ingiunto alla LFJ e alla LBJ di adempiere a tutte le
formalità necessarie alla sua partecipazione al torneo di Parigi e che fosse sottoposta alla
Corte di giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale relativa al carattere illecito
delle norme emanate dalla UEJ circa il numero limitato di atleti per federazione nazionale
e le autorizzazioni federali per la partecipazione ai tornei individuali di categoria A alla
luce degli artt. 59, 60, 66, 85 e 86 del Trattato. Con citazione a comparire come terzo a
cui la causa è comune e come garante in data 9 febbraio 1996, la signora Deliège ha
chiamato in causa l'UEJ e ha chiesto al giudice dell'urgenza investito della controversia di
ingiungere a tutti gli organizzatori di tornei di categoria A di accettare in via provvisoria
ogni iscrizione da parte sua, sia stata ella selezionata o no dalla sua federazione
nazionale.
11. Con ordinanza 6 febbraio 1996, il giudice dell'urgenza del Tribunal de première
instance di Namur ha respinto la domanda proposta dalla signora Deliège per quanto
riguarda la sua partecipazione al torneo di Parigi, ma ha vietato alla LBJ e alla LFJ di
prendere qualsiasi decisione che implicasse la non selezione della ricorrente per ogni
futura competizione, sino a che le parti fossero nuovamente sentite sugli altri capi della
domanda.
12. Con ordinanza 16 febbraio 1996, lo stesso giudice ha innanzi tutto dichiarato
irricevibile la domanda di intervento coatto proposta nei confronti dell'UEJ.
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13. Il giudice a quo ha poi precisato che, conformemente alla giurisprudenza della Corte,
l'esercizio di uno sport rientra nel diritto comunitario nei limiti in cui può costituire
un'attività economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica,
art. 2 CE). A seguito della recente evoluzione della pratica sportiva, la distinzione tra un
dilettante e un atleta professionista si sarebbe attenuata. Gli sportivi ad alto livello
potrebbero percepire, oltre a sussidi o altri aiuti, redditi più consistenti in ragione della
notorietà di cui godono, di modo che essi fornirebbero prestazioni a carattere economico.
14. Secondo il giudice a quo, la signora Deliège sostiene, con un sufficiente fumus boni
juris, di dover essere considerata come prestatrice di servizi ai sensi degli artt. 59, 60 e 66
del Trattato. L'imposizione sistematica di un contingente e di una selezione a livello
nazionale sembrerebbe costituire un ostacolo al libero esercizio di una prestazione a
carattere economico. D'altro canto, non si può ragionevolmente sostenere che l'accesso
alle competizioni rivendicato dalla signora Deliège porterebbe a consentire a chiunque di
partecipare a qualsiasi torneo, dato che la competizione può essere accessibile a qualsiasi
sportivo che risponda ad obiettivi criteri di attitudine, come dimostrerebbe l'esperienza di
altri sport analoghi.
15. Tenuto conto in particolare dell'imminenza dei giochi olimpici di Atlanta e della
relativa brevità di una carriera di atleta ad alto livello, il giudice nazionale ha pertanto
considerato che la domanda della signora Deliège diretta a veder proporreuna domanda di
pronuncia pregiudiziale alla Corte aveva una «manifesta fondatezza». Il fatto che non
fosse stata intentata un'azione di merito non avrebbe ostato a che tale domanda di
pronuncia pregiudiziale venisse sollevata. Quest'ultima avrebbe potuto essere concepita
come un elemento della soluzione della controversia nel procedimento sommario o come
un mezzo istruttorio idoneo ad accelerare un procedimento di merito il cui avvio
sembrava entrare nelle intenzioni della ricorrente.
16. Di conseguenza, il giudice dell'urgenza del Tribunal de première instance di Namur
ha proposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se un regolamento che impone ad uno sportivo professionista, semi-professionista o
candidato a divenir tale, di essere in possesso di un'autorizzazione o di un provvedimento
di selezione della propria federazione nazionale per poter concorrere in una competizione
internazionale e che prevede contingenti nazionali di partecipazione o competizioni
analoghe, sia contrario o meno al Trattato di Roma ed in particolare agli artt. 59 -66,
nonché agli artt. 85 e 86».
17. Infine, quanto alla predisposizione di una situazione di attesa, il giudice a quo ha
constatato che le domande formulate dalla signora Deliège contro la LBJ e la LFJ non
potevano essere accolte. Tuttavia, esso ha considerato che occorreva garantire alla
ricorrente una tutela contro un danno grave, predisponendo una situazione di attesa che
non fosse di nocumento agli interessi degli altri sportivi.
18. Nell'attesa dell'esito di un procedimento nel merito, esso ha pertanto vietato alla LBJ
e alla LFJ di porre in essere qualsiasi atto rivolto a limitare o ad impedire il libero
esercizio da parte della ricorrente della sua attività di judoka, in particolare in occasione
di competizioni nazionali o internazionali, e che non fosse obiettivamente giustificato
vuoi dalla considerazione della sua attitudine fisica o del suo comportamento, vuoi dalla
valutazione comparativa delle sue qualità rispetto a quelle di altre atlete concorrenti. Tale
provvedimento doveva cessare di produrre i suoi effetti un mese dopo la pronuncia
dell'ordinanza in mancanza di proposizione di un'azione di merito da parte della signora
Deliège.
La causa C-191/97
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19. Con citazioni in data 27 febbraio e 1° marzo 1996, la signora Deliège ha intentato
un'azione di merito nei confronti della LFJ, della LBJ e del signor Pacquée dinanzi al
Tribunal de première instance di Namur. Tale azione era diretta, in primo luogo, ad
ottenere da quest'ultimo l'accertamento dell'illegittimità del sistema di selezione dei
judoka per i tornei internazionali, quale istituito dai regolamenti delle due citate
federazioni, in quanto esso conferisce a queste ultime un potere idoneo ad ostacolare il
diritto dei judoka alla libera prestazione dei servizi e la libertà professionale di tali
sportivi, in secondo luogo, ad ottenere la proposizione alla Corte di giustizia di una
questione pregiudiziale, in terzo luogo, ad ottenere che fosse predisposta una situazione
d'attesa nell'ipotesi in cui una siffatta questionevenisse sollevata, e, in ultimo luogo, ad
ottenere la condanna della LFJ e della LBJ a pagarle la somma di BEF 30 milioni a titolo
di risarcimento danni.
20. Nella sua sentenza, il giudice a quo ha considerato che esisteva un rischio evidente di
vedere la Corte dichiarare irricevibile la questione proposta nella causa C-51/96 in quanto
il giudice dell'urgenza aveva interamente esaurito la propria cognizione della
controversia. Il giudice a quo ha pertanto dichiarato che non occorreva attendere la
sentenza della Corte in questa prima causa e che, essendo incerta la soluzione della
questione sollevata nella causa di cui era investito, era sua compito adire la Corte in via
pregiudiziale.
21. In ordine alla domanda della signora Deliège diretta ad ottenere la predisposizione di
una situazione d'attesa, gli è sembrato molto difficile, se non impossibile, congegnare
praticamente una siffatta situazione rispettando l'interesse di ciascuna delle parti, dato che
l'interessata non ha proposto alcun provvedimento concreto al riguardo.
22. Di conseguenza, il Tribunal de première instance di Namur ha sospeso il giudizio e ha
sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se il fatto di imporre ad uno sportivo professionista, semi-professionista o candidato a
divenir tale, di essere in possesso di un'autorizzazione della propria federazione nazionale
per poter partecipare ad una competizione internazionale in cui non sono in gara squadre
nazionali, sia contrario o meno al Trattato di Roma ed in particolare agli artt. 59, 85 e 86
di tale Trattato».
Sulla competenza della Corte a risolvere le questioni pregiudiziali e sulla ricevibilità
di queste ultime
23. La LFJ, la LBJ, il signor Pacquée, i governi belga, ellenico e italiano, nonché la
Commissione, hanno contestato, a diverso titolo, la competenza della Corte a risolvere la
questione posta nella causa C-51/96 e la ricevibilità, totale o parziale, di tale questione.
24. Innanzi tutto, il giudice a quo si sarebbe pronunciato su tutti i capi della domanda
della ricorrente e si sarebbe così spogliato della controversia. Essendo concluso il
giudizio nella causa principale alla data in cui la Corte è stata adita, la soluzione della
questione stessa non presenterebbe più alcun interesse per il giudice a quo. Di
conseguenza, dalle sentenze 21 aprile 1988, causa 338/85, Fratelli Pardini (Rac. pag.
2041) e 4 ottobre 1991, causa C-159/90, Society for the Protection of Unbord Children
Ireland (Racc. pag. I-4685), risulterebbe che la Corte non sarebbe competente a darvi
soluzione.
25. La questione avrebbe poi un carattere ipotetico e riguarderebbe una materia - lo sport
dilettantistico - che non rientrerebbe nell'ambito di applicazione del diritto comunitario.
26. Infine, il giudice nazionale avrebbe omesso di definire in maniera sufficiente l'ambito
di fatto e di diritto in cui si inserisce la questione, esigenza che varrebbe in modo del tutto
particolare nel settore della concorrenza, che sarebbe caratterizzato da situazioni di fatto e
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di diritto complesse (sentenza 26 gennaio 1993, cause riunite da C-320/90 a C-322/90,
Telemarsicabruzzo e a., Racc. pag. I-393).
27. Anche la competenza della Corte a risolvere in tutto o in parte la questione
pregiudiziale sollevata nella causa C-191/97 e la ricevibilità di tale questione sono
contestate dalla LFJ, dalla LBJ e dal signor Pacquée, nonché dal governo ellenico e dalla
Commissione. Questi ultimi hanno in particolare fatto valere che il giudice a quo non ha
fornito indicazioni sufficienti circa il contesto di fatto e di diritto, che la questione
riguarda una materia estranea al diritto comunitario, che i diritti della difesa dell'UEJ e
della FIJ sono stati violati, e che la questione proposta ha carattere ipotetico in quanto si
riferisce a incontri diversi da quelli che si svolgono tra squadre nazionali.
28. In primo luogo, occorre rilevare che il problema se le questioni sollevate dal giudice
nazionale riguardino una materia estranea al diritto comunitario, vuoi perché lo sport
dilettantistico esulerebbe dall'ambito di applicazione del Trattato, vuoi perché gli incontri
considerati dal detto giudice vedrebbero in gara squadre nazionali, rientra nell'ambito del
merito delle questioni proposte e non in quello della ricevibilità di queste ultime.
29. In secondo luogo, per quanto riguarda la pretesa violazione dei diritti della difesa
della FIJ e dell'UEJ, non spetta alla Corte verificare se la decisione di rinvio sia stata
adottata in modo conforme alle norme nazionali di organizzazione giudiziaria e di
procedura (v., in particolare, sentenze 11 luglio 1996, causa C-39/94, SFEI e a., Racc.
pag. I-3547, punto 24, e 5 giugno 1997, causa C-105/94, Celestini, Racc. pag. I-2971,
punto 20). Ne consegue che la Corte non deve pronunciarsi sulla questione se la FIJ e
l'UEJ avrebbero dovuto essere chiamate in causa nei procedimenti a quibus.
30. In terzo luogo, si deve ricordare che, conformemente ad una giurisprudenza costante,
l'esigenza di giungere ad un'interpretazione del diritto comunitario che sia utile per il
giudice nazionale impone che quest'ultimo definisca l'ambito di fatto e di diritto in cui si
inseriscono le questioni sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali
questioni sono fondate. Dette esigenze valgono in particolare in determinati settori, quale
quello della concorrenza, caratterizzati da complesse situazioni di fatto e di diritto (v., in
particolare, sentenze Telemarsicabruzzo e a., citata, punti 6 e 7; 21 settembre 1999, causa
C-67/96,Albany, Racc. pag. I-0000, punto 39, e cause riunite da C-115/97 a C-117/97,
Brentjens', Racc. pag. I-0000, punto 38).
31. Le informazioni fornite nelle decisioni di rinvio pregiudiziale devono non solo
consentire alla Corte di fornire risposte utili, ma altresì dare ai governi degli Stati membri
nonché alle altre parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell'art.
20 dello Statuto CE della Corte di giustizia. E' compito della Corte vigilare affinché tale
possibilità sia salvaguardata, tenuto conto del fatto che, a norma della suddetta
disposizione, alle parti interessate vengono notificate solo le decisioni di rinvio (v., in
particolare, ordinanza 23 marzo 1995, causa C-458/93, Saddik, Racc. pag. I-511, punto
13; citate sentenze Albany, punto 40, e Brentjens', punto 39).
32. Per quanto riguarda la causa C-191/97, che occorre esaminare in primo luogo, da un
lato, risulta dalle osservazioni presentate dalle parti nella causa principale, dai governi
degli Stati membri, dal governo norvegese e dalla Commissione, conformemente alla
detta disposizione dello Statuto CE della Corte di giustizia, che le informazioni contenute
nella sentenza di rinvio hanno permesso loro di prendere utilmente posizione sulla
questione sottoposta alla Corte nei limiti in cui essa riguarda le norme del Trattato
relative alla libera prestazione dei servizi.
33. Inoltre, pur se i governi ellenico, spagnolo e italiano hanno potuto ritenere che le
informazioni fornite dal giudice a quo non consentissero loro di prendere posizione sul
problema se l'attrice nella causa principale eserciti un'attività economica ai sensi del
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Trattato, è importante sottolineare che tali governi e le altre parti interessate sono stati in
grado di presentare osservazioni sulla base delle indicazioni di fatto del detto giudice.
34. Peraltro, le informazioni contenute nella sentenza di rinvio sono state completate
dagli elementi risultanti dal fascicolo trasmesso dal giudice nazionale e dalle osservazioni
scritte depositate dinanzi alla Corte. L'insieme di tali elementi, riportati nella relazione
d'udienza, è stato reso noto ai governi degli Stati membri e alle altre parti interessate ai
fini dell'udienza nel corso della quale essi hanno potuto, all'occorrenza, integrare le loro
osservazioni (v., altresì, in questo senso, citate sentenze Albany, punto 43, e Brentjens',
punto 42).
35. D'altra parte, le informazioni provenienti dal giudice nazionale, completate, per
quanto necessario, dagli elementi sopra citati, forniscono alla Corte una conoscenza
sufficiente dell'ambito di fatto e di diritto della controversia nella causa principale per
consentire alla Corte stessa di interpretare le norme del Trattato relative alla libera
prestazione dei servizi con riguardo alla situazione che forma oggetto della suddetta
controversia.
36. Invece, nei limiti in cui la questione proposta verte sulle regole di concorrenza
applicabili alle imprese, la Corte non si considera sufficientemente edotta perfornire
indicazioni circa la definizione del mercato o dei mercati di cui trattasi nella causa
principale. Dalla sentenza di rinvio non risulta neppure con chiarezza quali siano la
natura e il numero delle imprese che esercitano la loro attività su tale mercato o su tali
mercati. Inoltre, le informazioni fornite dal giudice a quo non consentono alla Corte di
pronunciarsi utilmente in ordine all'esistenza ed all'importanza degli scambi tra Stati
membri o in ordine alla possibilità che tali scambi siano pregiudicati dalle norme di
selezione dei judoka.
37. E' quindi giocoforza constatare che la sentenza di rinvio non contiene indicazioni
sufficienti per soddisfare le esigenze ricordate ai punti 30 e 31 della presente sentenza per
quanto riguarda le regole di concorrenza.
38. Neppure per quanto riguarda la questione sollevata nella causa C-51/96 l'ordinanza di
rinvio contiene indicazioni sufficienti per consentire alla Corte di pronunciarsi utilmente
sull'interpretazione delle regole di concorrenza applicabili alle imprese. Per contro, le
informazioni fornite dalla detta ordinanza, integrate se del caso dagli elementi contenuti
nelle osservazioni scritte depositate ai sensi dell'art. 20 dello Statuto CE della Corte di
giustizia e riportate nella relazione d'udienza, nonché le indicazioni risultanti dalla
sentenza di rinvio nella causa C-191/97, hanno consentito alle parti interessate di
prendere posizione sull'interpretazione delle norme relative alla libera prestazione dei
servizi e alla Corte di avere una conoscenza sufficiente del contesto di fatto e di diritto
per poter utilmente statuire al riguardo.
39. Nonostante la loro formulazione leggermente diversa, le questioni poste nelle due
cause principali sono, in sostanza, identiche e, di conseguenza, non occorre esaminare
ulteriormente gli argomenti con cui viene messa specificamente in discussione la
ricevibilità della questione sollevata nella causa C-51/96.
40. Risulta da quanto precede che la Corte deve risolvere le questioni proposte in quanto
esse vertono sull'interpretazione delle norme del Trattato relative alla libera prestazione
dei servizi. Invece, le dette questioni sono irricevibili nei limiti in cui riguardano
l'interpretazione delle regole di concorrenza applicabili alle imprese.
Sull'interpretazione dell'art. 59 del Trattato
41. In via preliminare, occorre ricordare che, considerati gli obiettivi della Comunità,
l'attività sportiva è disciplinata dal diritto comunitario in quanto sia configurabile come
attività economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato (v. sentenze 12 dicembre 1974, causa
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36/74, Walrave e Koch, Racc. pag. 1405, punto 4, e 15 dicembre 1995, causa C-415/93,
Bosman, Racc. pag. I-4921, punto 73). La Corte ha d'altro canto riconosciuto che l'attività
sportiva presenta una notevole importanza sociale nella Comunità (v. citata sentenza
Bosman, punto 106).
42. Tale giurisprudenza è del resto confortata dalla dichiarazione n. 29 sullo sport,
figurante in allegato all'atto finale della conferenza che ha adottato il testo del Trattato di
Amsterdam, la quale sottolinea la rilevanza sociale dello sport ed invitasegnatamente gli
organi dell'Unione europea a riservare un'attenzione particolare alle caratteristiche
specifiche dello sport dilettantistico. In particolare, tale dichiarazione è coerente con la
detta giurisprudenza in quanto essa riguarda le situazioni in cui l'esercizio dello sport
costituisce un'attività economica.
43. Occorre ricordare che le norme del Trattato in materia di libera circolazione delle
persone non ostano a normative o prassi che escludano i calciatori stranieri da determinati
incontri per motivi non economici, attinenti al carattere e all'ambito specifici di tali partite
e che quindi hanno natura prettamente sportiva, come, ad esempio, nel caso di incontri fra
le rappresentative di paesi diversi. La Corte ha sottolineato, però, che tale restrizione
della sfera d'applicazione del Trattato deve restare entro i limiti del suo oggetto specifico
e non può essere fatta valere per escludere da tale sfera un'intera attività sportiva
(sentenze 14 luglio 1976, causa 13/76, Donà, Racc. pag. 1333, punti 14 e 15, e Bosman,
citata, punti 76 e 127).
44. Ora, le norme di selezione controverse nelle cause a quibus non vertono su incontri
tra squadre o selezioni nazionali di paesi diversi, comprendenti solo persone in possesso
della cittadinanza dello Stato di cui fa parte la federazione che le ha selezionate, come i
giochi olimpici o taluni campionati del mondo o d'Europa, ma riservano la
partecipazione, per federazione nazionale, a taluni altri incontri internazionali ad alto
livello agli atleti che sono affiliati alla federazione di cui trattasi, indipendentemente dalla
loro cittadinanza. La sola circostanza che i piazzamenti ottenuti dagli atleti in tali
competizioni siano presi in considerazione per determinare i paesi che potranno iscrivere
loro rappresentanti ai giochi olimpici non può giustificare l'equiparazione di queste
ultime ad incontri tra squadre nazionali che possono esulare dall'ambito di applicazione
del diritto comunitario.
45. La LFJ ha in particolare sostenuto che le associazioni e federazioni sportive hanno il
diritto di determinare liberamente le condizioni di accesso a competizioni che riguardano
solo sportivi dilettanti.
46. Al riguardo, occorre rilevare che la semplice circostanza che un'associazione o
federazione sportiva qualifichi unilateralmente come dilettanti gli atleti che ne fanno
parte non è di per sé tale da escludere che questi ultimi esercitino attività economiche ai
sensi dell'art. 2 del Trattato.
47. Quanto alla natura delle norme controverse, risulta dalle citate sentenze Walrave e
Koch (punti 17 e 18) e Bosman (punti 82 e 83) che le disposizioni comunitarie in materia
di libera circolazione delle persone e dei servizi non disciplinano soltanto gli atti delle
autorità pubbliche, ma si applicano anche alle normative di altra natura dirette a
disciplinare collettivamente il lavoro subordinato e le prestazioni di servizi. Infatti,
l'abolizione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone e alla
libera prestazione dei servizi sarebbe compromessa se l'eliminazione delle limitazioni
stabilite da norme statali potesse essereneutralizzata da ostacoli derivanti dall'esercizio
dell'autonomia giuridica di associazioni ed enti di natura non pubblicistica.
48. Ne consegue che il Trattato, ed in particolare i suoi artt. 59, 60 e 66, può applicarsi
alle attività sportive e alle norme adottate dalle associazioni sportive, come quelle di cui
trattasi nelle cause principali.
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49. Alla luce di quanto precede e della trattazione svoltasi dinanzi alla Corte, è
importante verificare se un'attività come quella esercitata dalla signora Deliège possa
costituire un'attività economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato e, più in particolare, una
prestazione di servizi ai sensi dell'art. 59 dello stesso Trattato.
50. Nell'ambito della collaborazione giudiziaria instauratasi attraverso il procedimento
pregiudiziale tra il giudice nazionale e la Corte, spetta al primo accertare e valutare i fatti
di causa (v., in particolare, sentenza 3 giugno 1986, causa 139/85, Kempf, Racc. pag.
1741, punto 12) e alla Corte fornire al giudice nazionale gli elementi interpretativi
necessari per consentirgli di statuire sulla lite (sentenza 22 maggio 1990, causa C-332/88,
Alimenta, Racc. pag. I-2077, punto 9).
51. A questo proposito, è importante constatare innanzi tutto che la sentenza di rinvio
nella causa C-191/97 menziona in particolare sussidi attribuiti in relazione a precedenti
risultati sportivi e contratti di sponsorizzazione direttamente connessi ai risultati
conseguiti dall'atleta. D'altro canto, la signora Deliège ha sostenuto dinanzi alla Corte,
producendo taluni documenti a sostegno delle sue affermazioni, che ella aveva percepito,
in ragione delle sue prestazioni sportive, sussidi della Comunità francese del Belgio e del
comitato olimpico e interfederale belga e che ella era stata sponsorizzata da un istituto
bancario e da un costruttore di automobili.
52. In ordine poi alla nozione di attività economica e di prestazione di servizi ai sensi,
rispettivamente, degli artt. 2 e 59 del Trattato, si deve rilevare che esse definiscono la
sfera d'applicazione di una delle libertà fondamentali garantite dal Trattato e, come tali,
non possono venir interpretate restrittivamente (v, in questo senso, sentenza 23 marzo
1982, causa 53/81, Levin, Racc. pag. 1035, punto 13).
53. Per quanto riguarda più in particolare la prima di queste nozioni, risulta da una
giurisprudenza costante (sentenze Donà, citata, punto 12, e 5 ottobre 1988, causa 196/87,
Steymann, Racc. pag. 6159, punto 10) che una prestazione di lavoro subordinato o una
prestazione di servizi retribuita dev'essere considerata come attività economica ai sensi
dell'art. 2 del Trattato.
54. Tuttavia, come la Corte ha in particolare dichiarato nelle citate sentenze Levin (punto
17) e Steymann (punto 13), le attività esercitate devono essere reali ed effettive e non
talmente ridotte da potersi definire puramente marginali ed accessorie.
55. Quanto alla prestazione di servizi, risulta dall'art. 60, primo comma, del Trattato che
ai sensi di questa disposizione sono considerate quali servizi le prestazioni fornite
normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative
alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone.
56. A questo proposito, occorre constatare che le attività sportive e, in particolare, la
partecipazione di un atleta ad alto livello ad una competizione internazionale possono
comportare la prestazione di diversi servizi distinti, ma strettamente connessi, che
possono rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 59 del Trattato anche se taluni di
questi servizi non sono pagati da coloro che ne fruiscono (v. sentenza 26 aprile 1988,
causa 352/85, Bond van Adverteerders e a., Racc. pag. 2085, punto 16).
57. A mo' d'esempio, l'organizzatore di una siffatta competizione offre all'atleta la
possibilità di esercitare la sua attività sportiva misurandosi con altri concorrenti e,
correlativamente, gli atleti, con la loro partecipazione alla competizione, permettono
all'organizzatore di produrre uno spettacolo sportivo al quale il pubblico può assistere,
che emittenti di programmi televisivi possono ritrasmettere e che può interessare quanti
intendono inviare messaggi pubblicitari nonché sponsor. Inoltre, l'atleta fornisce ai propri
sponsor una prestazione pubblicitaria che trova il suo supporto nell'attività sportiva in se
stessa.
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58. Infine, per quanto riguarda le obiezioni espresse nelle osservazioni presentate dinanzi
alla Corte secondo le quali, da un lato, le cause principali riguarderebbero una situazione
puramente interna e, dall'altro, talune manifestazioni internazionali esulerebbero
dall'ambito di applicazione territoriale del Trattato, occorre ricordare che le disposizioni
del Trattato relative alla libera prestazione dei servizi non sono applicabili ad attività che
in tutti i loro elementi si collocano all'interno di un solo Stato membro (v., da ultimo,
sentenze 9 settembre 1999, causa C-108/98, RI.SAN., Racc. pag. I-0000, punto 23, e 21
ottobre 1999, causa C-97/98, Jägerskiöld, Racc. pag. I-0000, punto 42). Tuttavia, un
elemento di estraneità può in particolare derivare dalla circostanza che un atleta partecipi
ad una competizione in uno Stato membro diverso da quello in cui è stabilito.
59. Spetta al giudice nazionale valutare, sulla base di questi elementi interpretativi, se le
attività sportive della signora Deliège, ed in particolare la sua partecipazione ai tornei
internazionali, costituiscano un'attività economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato, e, più in
particolare, una prestazione di servizi ai sensi dell'art. 59 dello stesso Trattato.
60. Supponendo che l'attività della signora Deliège possa essere qualificata come
prestazione di servizi, occorre esaminare se le norme di selezione di cui trattasi nelle
cause principali costituiscano una restrizione alla libera prestazione dei servizi, ai sensi
dell'art. 59 del Trattato.
61. A questo proposito, si deve rilevare che, a differenza delle norme applicabili nella
causa Bosman, le norme di selezione controverse nelle cause principali non determinano
le condizioni di accesso degli sportivi professionisti al mercato del lavoro e non
contengono clausole di cittadinanza che limitino il numero di cittadini di altri Stati
membri che possono partecipare ad una competizione.
62. La signora Deliège, cittadina belga, non sostiene del resto che la scelta effettuata dalla
LBJ, che non la ha selezionata per partecipare ad un torneo, sia stata operata in relazione
alla sua cittadinanza.
63. Inoltre, come è stato rilevato al punto 44 della presente sentenza, siffatte norme di
selezione non riguardano un torneo il cui scopo sia quello di mettere a confronto squadre
nazionali, ma un torneo in cui, un volta selezionati, gli atleti concorrono per conto
proprio.
64. in tale quadro, basta constatare che, se norme di selezione come quelle controverse
nelle cause principali hanno inevitabilmente l'effetto di limitare il numero di partecipanti
ad un torneo, tale limitazione è inerente allo svolgimento di una competizione sportiva
internazionale ad alto livello, che implica necessariamente l'adozione di talune norme o di
taluni criteri di selezione. Norme del genere non possono quindi essere di per se stesse
considerate come configuranti una restrizione alla libera prestazione dei servizi vietata
dall'art. 59 del Trattato.
65. Del resto, l'adozione, ai fini di un torneo sportivo internazionale, di un sistema di
scelta dei partecipanti rispetto ad un altro dev'essere fondata su un gran numero di
considerazioni estranee alla situazione personale di un atleta qualsiasi, come la natura,
l'organizzazione ed il finanziamento dello sport interessato.
66. Se un sistema di scelta può rivelarsi più favorevole nei confronti di una categoria di
atleti rispetto ad un altro, non si può dedurre da questo solo fatto che l'adozione di un
siffatto sistema costituisca una restrizione alla libera prestazione di servizi.
67. Pertanto, spetta naturalmente ai soggetti interessati, come gli organizzatori dei tornei,
le federazioni sportive o ancora le associazioni di atleti professionisti, emanare le norme
appropriate ed effettuare la selezione in forza di esse.
68. A questo proposito, occorre ammettere che l'affidamento di un siffatto compito alle
federazioni nazionali, in seno alle quali si trovano normalmente riunite le conoscenze e
l'esperienza necessarie, costituisce il riflesso dell'organizzazione adottata nella maggior
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parte delle discipline sportive, organizzazione che si basa in linea di principio
sull'esistenza di una federazione in ciascun paese. Inoltre, dev'essere rilevato che le
norme di selezione controverse nelle cause principali si applicano tanto alle competizioni
organizzate all'interno della Comunità quanto ai tornei che si svolgono all'esterno di essa
e riguardano nel contempo cittadini degli Stati membri e cittadini di paesi terzi.
69. Si devono pertanto risolvere le questioni sollevate nel senso che una norma che
imponga ad un atleta professionista o semiprofessionista, o candidato a divenir tale, di
essere in possesso di un'autorizzazione o di un provvedimento di selezione della propria
federazione per poter partecipare ad una competizione sportiva internazionale ad alto
livello in cui non sono in gara squadre nazionali, qualora essa discenda da una necessità
inerente all'organizzazione di una siffatta competizione, non costituisce di per se stessa
una restrizione alla libera prestazione di servizi vietata dall'art. 59 del Trattato.
Per questi motivi,
LA CORTE,
dichiara:
Una norma che imponga ad un atleta professionista o semiprofessionista, o candidato a
divenir tale, di essere in possesso di un'autorizzazione o di un provvedimento di selezione
della propria federazione per poter partecipare ad una competizione sportiva
internazionale ad alto livello in cui non sono in gara squadre nazionali, qualora essa
discenda da una necessità inerente all'organizzazione di una siffatta competizione, non
costituisce di per se stessa una restrizione alla libera prestazione di servizi vietata dall'art.
59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 49 CE).
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7. Procedimento C-176/96,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dal Tribunal de première instance de
Bruxelles (Belgio), nella causa dinanzi ad esso pendente tra
Jyri Lehtonen,
Castors Canada Dry Namur-Braine ASBL
e
Fédération royale belge des sociétés de basket-ball ASBL (FRBSB),
con l'intervento di
Ligue belge - Belgische Liga ASBL,
domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 6, 48 del Trattato CE (divenuti, in
seguito a modifica, artt. 12 CE e 39 CE), 85 e 86 del Trattato CE (divenuti artt. 81 CE e
82 CE),
LA CORTE (Sesta Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 23 aprile 1996, pervenuta in cancelleria il 22 maggio 1996, il Tribunal
de première instance di Bruxelles, statuendo in sede di procedimento sommario, ha
sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE),
una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione degli artt. 6, 48 del Trattato CE
(divenuti, in seguito a modifica, artt. 12 CE e 39 CE), 85 e 86 del Trattato CE (divenuti
artt. 81 e 82 CE).
2. Tale questione è stata sollevata nell'ambito di una controversia tra il signor Lehtonen e
la Castors Canada Dry Namur-Braine ASBL (in prosieguo: la «Castors Braine») da una
lato, e la Fédération royale belge des sociétés de basket-ball ASBL (in prosieguo:la
«FRBSB»), nonché la Ligue belge - Belgische Liga ASBL (in prosieguo: la «BLB»)
dall'altro, in ordine al diritto della Castors Braine di far giocare il signor Lehtonen in
occasione di partite della serie maggiore del campionato nazionale belga di pallacanestro.
Le norme organizzative della pallacanestro e le norme relative ai termini per il
trasferimento
3. La pallacanestro è organizzata a livello mondiale dalla Federazione internazionale di
basket (in prosieguo: la «Fiba»). La federazione belga è la FRBSB, che gestisce la
pallacanestro sia a livello dilettantistico che a livello professionistico. La BLB, che al 1°
gennaio 1996 raggruppava undici delle dodici società di pallacanestro partecipanti al
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campionato nazionale belga di prima divisione, ha lo scopo di promuovere al più alto
livello la pallacanestro e di rappresentare la pallacanestro belga di alto livello sul piano
nazionale, in particolare presso la FRBSB.
4. In Belgio, il campionato nazionale maschile di pallacanestro di prima divisione è
diviso in due fasi: la prima, alla quale partecipano tutte le società, e la seconda, alla quale
partecipano solo le società che hanno ottenuto i migliori piazzamenti (partite dirette
all'assegnazione del titolo nazionale, in prosieguo: le «partite di play-off») e le società
che si sono classificate nelle ultime posizioni (partite dirette a determinare le società che
conservano il diritto di partecipare al campionato di prima divisione, in prosieguo: le
«partite di play-out»).
5. Il regolamento della Fiba che disciplina il trasferimento internazionale di giocatori si
applica integralmente a tutte le federazioni nazionali [art. 1, lett. b)]. Per i trasferimenti
nazionali, le federazioni nazionali sono invitate ad ispirarsi a tale regolamento
internazionale ed a redigere propri regolamenti sul trasferimento dei giocatori nello
spirito del regolamento della Fiba [art. 1, lett. c)]. Detto regolamento definisce il
giocatore straniero come colui che non ha la cittadinanza dello Stato a cui appartiene la
federazione nazionale che gli ha rilasciato la licenza [art. 2, lett. a)]. La licenza è
l'autorizzazione necessaria data da una federazione nazionale ad un giocatore per
permettergli di giocare a pallacanestro per una società aderente a tale federazione.
6.
L'art. 3, lett. c), del detto regolamento prevede, in via generale, che, scaduto il termine
fissato per la zona interessata, come definita dalla Fiba, non è consentito alle società, per i
campionati nazionali, includere nella loro squadra giocatori che abbiano già giocato in un
altro Paese della stessa zona durante la stessa stagione. Per la zona europea, il termine
ultimo per la registrazione dei giocatori stranieri è fissato al 28 febbraio. Dopo tale data, è
ancora possibile il trasferimento di giocatori provenienti da altre zone.
7. Ai sensi dell'art. 4, lett. a), dello stesso regolamento, ogni volta che ad una federazione
nazionale è presentata una domanda di licenza relativa ad un giocatore precedentemente
titolare di licenza presso una federazione di un altro Paese, prima dirilasciargli la licenza,
essa deve ottenere una lettera di uscita da quest'ultima federazione.
8. Secondo il regolamento della FRBSB, occorre distinguere anzitutto l'affiliazione, che
lega il giocatore alla federazione nazionale, poi il tesseramento, che riflette il legame del
giocatore con una società determinata, ed infine la qualificazione, che è il necessario
presupposto per la partecipazione di un giocatore alle competizioni ufficiali. Il
trasferimento è definito come l'operazione mediante la quale un giocatore affiliato ottiene
un cambio di tessera.
9. Gli artt. 140 e segg. del detto regolamento riguardano i trasferimenti, tra società
belghe, di giocatori affiliati presso la FRBSB, che possono aver luogo ogni anno durante
un periodo determinato, che andava, nel 1995, dal 15 aprile al 15 maggio, e, nel 1996, dal
1° al 31 maggio dell'anno precedente il campionato al quale partecipa la società
interessata. Nessun giocatore può essere tesserato per più di una società belga nel corso
della stessa stagione.
10. Nella sua versione applicabile all'epoca dei fatti della causa a qua, l'art. 244 dello
stesso regolamento prevedeva:
«E' vietato schierare in campo giocatori non tesserati presso la società o sospesi. Il
presente divieto vale altresì per le partite amichevoli e per i tornei.
(...)
Ogni infrazione sarà sanzionata con [un']ammenda (...)
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I giocatori (o le giocatrici) stranieri/e o professionisti/e (legge 24 febbraio 1978) affiliati/e
dopo il 31 marzo della stagione in corso non saranno più qualificati/e per giocare le
partite agonistiche, di coppa e di play-off della stagione in corso».
11. L'art. 254, punto 4), disponeva:
«I giocatori o le giocatrici aventi cittadinanza straniera, compresi i cittadini dell'UE, sono
qualificati solo se hanno adempiuto le formalità relative all'affiliazione, al tesseramento
ed alla qualificazione. Inoltre, essi devono soddisfare i presupposti del regolamento della
FIBA per ottenere una licenza (...)».
La controversia nella causa a qua
12. Il signor Lehtonen è un giocatore di pallacanestro avente cittadinanza finlandese.
Durante la stagione 1995/1996, egli ha giocato in una squadra che ha partecipato al
campionato finlandese e, alla fine di quest'ultimo, è stato ingaggiato dalla Castors Braine,
società aderente alla FRBSB, per partecipare alla fase finale del campionato del Belgio
1995/1996. A tal fine, le parti hanno stipulato, il 3 aprile 1996, un contrattodi lavoro di
«sportivo retribuito», in forza del quale il signor Lehtonen doveva percepire 50 000 BEF
netti al mese come retribuzione fissa e 15 000 BEF supplementari per ogni vittoria della
società. Tale ingaggio era stato registrato il 30 marzo 1996 presso la FRBSB, poiché la
lettera di uscita del giocatore era stata rilasciata il 29 marzo 1996 dalla federazione di
provenienza. Il 5 aprile 1996, la FRBSB ha informato la Castors Braine che, se la Fiba
non avesse rilasciato la licenza, la società sarebbe stata passibile di sanzioni e che, nel
caso in cui essa avesse schierato in campo il signor Lehtonen, lo avrebbe fatto a suo
rischio e pericolo.
13. Nonostante tale avvertimento, la Castors Braine ha fatto giocare il signor Lehtonen
nel corso della partita del 6 aprile 1996, giocata contro la squadra della società Belgacom
Quaregnon. Questa partita è stata vinta dalla Castors Braine. L'11 aprile 1996, a seguito
di una denuncia presentata dalla società Belgacom Quaregnon, la sezione «competizione»
della FRBSB ha sanzionato la Castors Braine infliggendole una sconfitta «a tavolino»
con il punteggio di 0-20 per la partita alla quale il signor Lehtonen aveva partecipato, in
violazione delle disposizioni del regolamento della Fiba attinenti ai trasferimenti dei
giocatori all'interno della zona europea. Nella partita seguente, contro la squadra della
società Pepinster, la Castors Braine ha iscritto il signor Lehtonen sul foglio di gara, ma
alla fine non l'ha fatto giocare. Essa è stata nuovamente assoggettata alla sanzione della
sconfitta «a tavolino». Correndo il rischio di subire nuove sanzioni di squalifica ad ogni
iscrizione del signor Lehtonen sul foglio di gara, o addirittura di vedersi relegare nella
divisione inferiore in caso di terza squalifica, la Castors Braine ha rinunciato alle
prestazioni del signor Lehtonen per le partite di play-off.
14. Il 16 aprile 1996, il signor Lehtonen e la Castors Braine hanno citato la FRBSB
dinanzi al Tribunal de première instance di Bruxelles, in sede di procedimento sommario.
Essi hanno chiesto, in sostanza, che venisse ingiunto alla FRBSB di revocare la sanzione
di squalifica inflitta alla Castors Braine per la partita del 6 aprile 1996 contro la società
Belgacom Quaregnon e che le fosse vietato di irrogare nei suoi confronti qualsiasi
sanzione tesa ad impedirle di far partecipare il signor Lehtonen al campionato del Belgio
1995/1996, comminandosi una penale di 100 000 BEF per ogni giorno di ritardo
nell'esecuzione dell'ordinanza.
15. Con accordo del 17 aprile 1996, le parti della causa a qua hanno convenuto di
presentare «conclusioni concordi» con le quali esse avrebbero sollecitato un rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia, congelando la situazione controversa nell'attesa della
futura sentenza di quest'ultima. Pertanto, le sanzioni di squalifica sarebbero state
mantenute, sarebbe stato sospeso il giudizio circa le sanzioni pecuniarie inflitte alla
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Castors Braine e quest'ultima si sarebbe astenuta dallo schierare in campo il signor
Lehtonen nel corso delle partite di play-off, restando per il resto salvi i diritti delle parti.
16. Durante l'udienza del 19 aprile 1996, la BLB ha presentato una domanda di intervento
volontario a sostegno della FRBSB e le parti hanno presentato le loro conclusioni
concordi.
La questione pregiudiziale
17. Nella sua ordinanza 23 aprile 1996, il giudice dell'urgenza del Tribunal de première
instance di Bruxelles ha innanzi tutto rilevato che nulla ostava a che esso sottoponesse
una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia. Esso ha poi considerato
che, al momento della proposizione dell'azione, il presupposto dell'urgenza era
sicuramente soddisfatto, in quanto la Castors Braine intendeva schierare in campo il
signor Lehtonen per le successive partite di campionato. Infine, esso ha preso atto
dell'accordo intervenuto tra le parti al fine di consentire il rinvio pregiudiziale alla Corte,
accordo ai sensi del quale la Castors Braine si sarebbe astenuta dallo schierare in campo il
signor Lehtonen per tutta la durata del campionato in corso, mentre la FRBSB si
impegnava, dal canto suo, a sospendere ogni sanzione.
18. Pertanto, il Tribunal de première instance di Bruxelles, dopo aver preso atto
dell'intervento volontario della BLB, ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre
alla Corte la questione pregiudiziale seguente:
«Se siano compatibili con il Trattato di Roma (e specialmente con gli artt. 6, 48, 85 e 86)
le disposizioni regolamentari di una federazione sportiva che vietano ad una società di
schierare in campo per la prima volta un giocatore in una competizione se esso è stato
ingaggiato dopo una certa data, qualora si tratti di un giocatore professionista cittadino di
uno Stato membro dell'Unione europea, nonostante le ragioni di carattere sportivo
invocate dalle federazioni per giustificare le dette disposizioni, vale a dire la necessità di
non falsare le competizioni».
Sulla competenza della Corte a risolvere la questione pregiudiziale e sulla
ricevibilità di quest'ultima
19. In via preliminare, occorre ricordare che, come la Corte ha dichiarato nelle sentenze
21 aprile 1988, causa 338/85, Fratelli Pardini (Racc. pag. 2041, punto 11), e 4 ottobre
1991, causa C-159/90, Society for the Protection of Unborn Children Ireland (Racc. pag.
I-4685, punto 12), gli organi giurisdizionali nazionali hanno la facoltà di adire la Corte in
via pregiudiziale ai sensi dell'art. 177 del Trattato solo se è pendente dinanzi ad essi una
controversia nell'ambito della quale ad essi è richiesta una pronunzia che possa tener
conto della sentenza pregiudiziale. Invece, la Corte non è competente a conoscere del
rinvio pregiudiziale qualora, al momento in cui esso viene effettuato, il giudizio dinanzi
al giudice a quo sia ormai concluso.
20. Per quanto riguarda il presente procedimento, occorre rilevare che il giudice a quo,
dopo aver preso atto dell'accordo intervenuto tra le parti, ha deciso di proporre alla Corte
una questione pregiudiziale, riservandosi di statuire quanto al resto. Ne consegue che il
giudice nazionale dovrà ancora pronunciarsi sulla legittimità, alla luce del diritto
comunitario, delle sanzioni inflitte alla Castors Braine e sulle eventuali conseguenze di
esse. In tale occasione, esso sarà chiamato ad emettere una decisione in cui la sentenza
della Corte dovrà necessariamente essere presa in considerazione. Diconseguenza, non si
può sostenere che il detto giudice, operante nell'ambito del procedimento sommario, non
ha titolo per sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte e che questa non è
competente a risolverla.
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21. Il governo italiano e la Commissione hanno contestato la ricevibilità della questione
sollevata in quanto l'ordinanza di rinvio non conterrebbe un'esposizione sufficiente
dell'ambito di fatto e di diritto della controversia nella causa principale.
22. Secondo costante giurisprudenza, l'esigenza di giungere ad un'interpretazione del
diritto comunitario che sia utile per il giudice nazionale impone che quest'ultimo
definisca l'ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso
spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. Dette esigenze
valgono in particolare in determinati settori, quale quello della concorrenza, caratterizzati
da complesse situazioni di fatto e di diritto (v., segnatamente, sentenze 26 gennaio 1993,
cause riunite da C-320/90 a C-322/90, Telemarsicabruzzo e a., Racc. pag. I-393, punti 6 e
7; 21 settembre 1999, causa C-67/96, Albany, Racc. pag. I-0000, punto 39, e cause riunite
da C-115/97 a C-117/97, Brentjens', Racc. pag. I-0000, punto 38).
23. Le informazioni fornite nei provvedimenti di rinvio non servono solo a consentire alla
Corte di fornire utili soluzioni, ma anche ad offrire ai governi degli Stati membri nonché
alle altre parti interessate la possibilità di presentare osservazioni conformemente all'art.
20 dello Statuto CE della Corte. Spetta alla Corte vegliare a che detta possibilità sia
salvaguardata, tenuto conto del fatto che, in virtù della disposizione summenzionata, alle
parti interessate vengono trasmessi solo i provvedimenti di rinvio (v., segnatamente,
ordinanza 23 marzo 1995, causa C-458/93, Saddik, Racc. pag. I-511, punto 13; sentenze
citate Albany, punto 40, e Brentjens', punto 39).
24. Nella causa a qua, da un lato risulta dalle osservazioni presentate dalle parti, dai
governi degli Stati membri e dalla Commissione, conformemente alla detta norma dello
Statuto CE della Corte di giustizia, che le informazioni contenute nella decisione di rinvio
hanno permesso loro di prendere utilmente posizione sulla questione sottoposta alla Corte
nei limiti in cui essa riguarda le norme del Trattato relative alla libera circolazione dei
lavoratori.
25. Inoltre, pur se il governo italiano ha potuto ritenere che le informazioni fornite dal
giudice a quo non gli consentissero di prendere posizione sul problema se, nella causa a
qua, il signor Lehtonen debba essere considerato come un lavoratore ai sensi dell'art. 48
del Trattato, è importante sottolineare che tale governo e le altre parti interessate sono
stati in grado di presentare osservazioni sulla base delle indicazioni di fatto del detto
giudice.
26. Peraltro, le informazioni contenute nella decisione di rinvio sono state completate
dagli elementi risultanti dal fascicolo trasmesso dal giudice nazionale e dalle osservazioni
scritte depositate dinanzi alla Corte. L'insieme di tali elementi, riportati nella relazione
d'udienza, è stato reso noto agli Stati membri e alle altre parti interessate ai
finidell'udienza nel corso della quale essi hanno potuto, all'occorrenza, integrare le loro
osservazioni (v. altresì, in tal senso, le sentenze citate Albany, punto 43, e Brentjens',
punto 42).
27. D'altra parte, le informazioni provenienti dal giudice nazionale, completate, per
quanto necessario, dagli elementi sopra citati, forniscono alla Corte una conoscenza
sufficiente dell'ambito di fatto e di diritto della controversia nella causa principale per
consentire alla Corte stessa di interpretare le norme del Trattato relative al principio di
non discriminazione in base alla cittadinanza ed alla libera circolazione dei lavoratori alla
luce della situazione oggetto della suddetta controversia.
28. Invece, nei limiti in cui la questione proposta verte sulle regole di concorrenza
applicabili alle imprese, la Corte non si considera sufficientemente edotta per fornire
indicazioni circa la definizione del mercato o dei mercati di cui trattasi nella causa
principale. Dalla decisione di rinvio non risulta neppure con chiarezza quali siano la
natura ed il numero delle imprese che esercitano la loro attività su tale o su tali mercati.
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Inoltre, le informazioni fornite dal giudice a quo non consentono alla Corte di
pronunciarsi utilmente in ordine all'esistenza e all'importanza degli scambi tra Stati
membri o in ordine alla possibilità che tali scambi siano pregiudicati dalle norme relative
al trasferimento dei giocatori.
29. E' quindi giocoforza constatare che la decisione di rinvio non contiene indicazioni
sufficienti per soddisfare le esigenze ricordate ai punti 22 e 23 della presente sentenza per
quanto riguarda le regole di concorrenza.
30. Da quanto precede risulta che la Corte deve risolvere la questione sollevata in quanto
essa verte sull'interpretazione delle norme del Trattato relative al principio di non
discriminazione in base alla cittadinanza ed alla libera circolazione dei lavoratori. Per
contro, tale questione è irricevibile nella misura in cui essa riguarda l'interpretazione delle
regole di concorrenza applicabili alle imprese.
Nel merito
31. Alla luce di quanto precede, la questione sollevata dev'essere intesa come diretta
sostanzialmente a stabilire se gli artt. 6 e 48 del Trattato ostino all'applicazione di norme
emanate in uno Stato membro da associazioni sportive che vietino ad una società di
pallacanestro di schierare in campo, in occasione di partite del campionato nazionale,
giocatori provenienti da altri Stati membri qualora il trasferimento sia avvenuto dopo una
certa data.
Sulla sfera di applicazione del Trattato
32. In via preliminare, si deve ricordare che, considerati gli obiettivi della Comunità,
l'attività sportiva è disciplinata dal diritto comunitario in quanto sia configurabile come
attività economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato (divenuto, in seguito al a modifica,art. 2
CE)(v. sentenze 12 dicembre 1974, causa 36/74, Walrave e Koch, Racc. pag. 1405, punto
4, e 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman, Racc. pag. I-4921, punto 73). La Corte
ha d'altra parte riconosciuto che l'attività sportiva presenta una notevole importanza
sociale nella Comunità (v. sentenza Bosman, citata, punto 106).
33. Tale giurisprudenza è peraltro confortata dalla dichiarazione n. 29 sullo sport,
figurante in allegato all'atto finale della conferenza che ha adottato il testo del Trattato di
Amsterdam, la quale sottolinea la rilevanza sociale dello sport ed invita segnatamente gli
organi dell'Unione europea a riservare un'attenzione particolare alle caratteristiche
specifiche dello sport dilettantistico. In particolare, tale dichiarazione è coerente con la
detta giurisprudenza in quanto essa riguarda le situazioni in cui l'esercizio dello sport
costituisce un'attività economica.
34. Occorre ricordare che le norme del Trattato in materia di libera circolazione delle
persone non ostano a normative o prassi che escludano i calciatori stranieri da determinati
incontri per motivi non economici, attinenti al carattere e all'ambito specifici di tali partite
e che quindi hanno natura prettamente sportiva, come, ad esempio, nel caso di incontri fra
le rappresentative di paesi diversi. La Corte ha sottolineato, però, che tale restrizione
della sfera d'applicazione del Trattato deve restare entro i limiti del suo oggetto specifico
e non può essere fatta valere per escludere da tale sfera un'intera attività sportiva
(sentenze 14 luglio 1976, causa 13/76, Donà, Racc. pag. 1333, punti 14 e 15, e Bosman,
citata, punti 76 e 127).
35. Per quanto riguarda la natura delle norme controverse nella causa principale, risulta
dalle citate sentenze Walrave e Koch, punti 17 e 18, e Bosman, punti 82 e 83, che le
disposizioni comunitarie in materia di libera circolazione delle persone e di libera
prestazione dei servizi non disciplinano soltanto gli atti delle autorità pubbliche, ma si
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estendono anche alle normative di altra natura dirette a disciplinare collettivamente il
lavoro subordinato e le prestazioni di servizi. Infatti, l'abolizione fra gli Stati membri
degli ostacoli alla libera circolazione delle persone ed alla libera prestazione dei servizi
sarebbe compromessa se l'eliminazione delle limitazioni stabilite da norme statali potesse
essere neutralizzata da ostacoli derivanti dall'esercizio dell'autonomia giuridica di
associazioni ed enti di natura non pubblicistica.
36. Pertanto, si deve constatare che il Trattato, ed in particolare i suoi artt. 6 e 48,
possono essere applicati ad attività sportive ed a regole emanate dalle associazioni
sportive come quelle di cui trattasi nella causa a qua.
Sul principio di non discriminazione in base alla cittadinanza
37. Occorre ricordare che, conformemente ad una giurisprudenza costante, l'art. 6 del
Trattato, che sancisce il principio generale del divieto di discriminazioni fondate sulla
nazionalità, tende ad applicarsi autonomamente solo nelle situazioni disciplinate dal
diritto comunitario per le quali il Trattato non stabilisce norme specifiche di non
discriminazione (v., segnatamente, sentenze 10 dicembre 1991, causa C-179/90,
Merciconvenzionali porto di Genova, Racc. pag. I-5889, punto 11, e 14 luglio 1994,
causa C-379/92, Peralta, Racc. pag. I-3453, punto 18).
38. Ora, per quel che riguarda i lavoratori subordinati, questo principio è stato attuato in
concreto dall'art. 48 del Trattato.
Sull'esistenza di un'attività economica e sulla qualità di lavoratore del signor Lehtonen
39. Alla luce di quanto precede e della trattazione svoltasi dinanzi alla Corte, occorre
verificare se un giocatore di pallacanestro come il signor Lehtonen possa esercitare
un'attività economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato e, più in particolare, se egli possa
essere considerato come un lavoratore ai sensi dell'art. 48 dello stesso Trattato.
40. Nell'ambito della collaborazione giudiziaria instauratasi attraverso il procedimento
pregiudiziale fra il giudice nazionale e la Corte, spetta al primo accertare e valutare i fatti
di causa (v., in particolare, sentenza 3 giugno 1986, causa 139/85, Kempf, Racc. pag.
1741, punto 12) ed alla Corte fornire al giudice nazionale gli elementi interpretativi
necessari per consentirgli di statuire sulla lite (sentenza 22 maggio 1990, causa C-332/88,
Alimenta, Racc. pag. I-2077, punto 9).
41. A questo proposito, è importante ricordare innanzi tutto che l'ordinanza di rinvio
definisce il signor Lehtonen come un giocatore professionista di pallacanestro.
Quest'ultimo e la Castors Braine hanno prodotto dinanzi alla Corte il contratto di lavoro
«sportivo retribuito» di cui al punto 12 della presente sentenza, contratto che prevedeva il
pagamento di una retribuzione mensile fissa e di premi.
42. Per quanto riguarda poi le nozioni di attività economica e di lavoratore ai sensi
rispettivamente degli artt. 2 e 48 del Trattato, occorre rilevare che esse definiscono la
sfera dapplicazione di una delle libertà fondamentali garantite dal Trattato e come tali non
possono venir interpretate restrittivamente (v., in tal senso, sentenza 23 marzo 1982,
causa 53/81, Levin, Racc. pag. 1035, punto 13).
43. Per quanto riguarda più in particolare la prima di tali nozioni, risulta da una
giurisprudenza costante (sentenze Donà, citata, punto 12, e 5 ottobre 1988, causa 196/87,
Steymann, Racc. pag. 6159, punto 10) che una prestazione di lavoro subordinato o una
prestazione di servizi retribuita dev'essere considerata come attività economica ai sensi
dell'art. 2 Trattato.
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44. Tuttavia, come la Corte ha in particolare dichiarato nelle citate sentenze Levin, punto
17, e Steymann, punto 13, le attività esercitate devono essere reali ed effettive e non
talmente ridotte da potersi definire puramente marginali ed accessorie.
45. Per quanto riguarda la nozione di lavoratore, occorre ricordare che, in forza di una
giurisprudenza costante, essa non può essere interpretata in vario modo, con riferimento
agli ordinamenti nazionali, ma ha portata comunitaria. Tale nozionedevessere definita in
base a criteri obiettivi che caratterizzino il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e
degli obblighi delle persone interessate. Ora, la caratteristica essenziale del rapporto di
lavoro è la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore
di unaltra e sotto la direzione di questultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva
una retribuzione (v., segnatamente, sentenza 3 luglio 1986, causa 66/85, Lawrie-Blum,
Racc. pag. 2121, punti 16 e 17).
46. Ora, dagli accertamenti di fatto compiuti dal giudice a quo, nonché dai documenti
prodotti dinanzi alla Corte, risulta che il signor Lehtonen aveva stipulato un contratto di
lavoro con una società di un altro Stato membro per esercitare un'attività retribuita nel
territorio di tale Stato. Come ha giustamente osservato il ricorrente nella causa a qua, egli
ha, ciò facendo, risposto ad un'offerta di lavoro effettiva ai sensi dell'art. 48, n. 3, lett. a),
del Trattato.
Sull'esistenza di un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori
47. Poiché un giocatore di pallacanestro come il signor Lehtonen deve essere qualificato
come lavoratore ai sensi dell'art. 48 del Trattato, occorre accertare se le norme relative ai
termini di trasferimento di cui ai punti 6 e 9-11 della presente sentenza costituiscano un
ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, vietato dalla stessa norma.
48. Vero è, al riguardo, che ai giocatori provenienti da un'altra società di pallacanestro
belga si applicano termini di trasferimento più rigorosi.
49. Non è meno vero che tali norme sono idonee a limitare la libera circolazione dei
giocatori che vogliono svolgere la loro attività in un altro Stato membro poiché
impediscono alle società belghe di schierare in campo, nelle partite di campionato,
giocatori di pallacanestro provenienti da altri Stati membri qualora essi siano stati
ingaggiati dopo una certa data. Di conseguenza, le dette norme costituiscono un ostacolo
alla libera circolazione dei lavoratori (v., in tal senso, sentenza Bosman, citata, punti 99 e
100).
50. Il fatto che le norme di cui trattasi non riguardino l'ingaggio dei detti giocatori, che
non è limitato, ma la possibilità, per le società cui appartengono, di farli scendere in
campo nelle partite ufficiali è irrilevante. Poiché la partecipazione a tali incontri
costituisce l'oggetto essenziale dell'attività di un calciatore professionista, è evidente che
una norma che limiti detta partecipazione incide anche sulle possibilità d'ingaggio del
giocatore interessato (v. sentenza Bosman, citata, punto 120).
Sull'esistenza di giustificazioni
51. Essendo stata così accertata l'esistenza di un ostacolo alla libera circolazione dei
lavoratori, occorre verificare se quest'ultimo possa essere obiettivamente giustificato.
52. La FRBSB e la BLB, così come tutti i governi che hanno presentato osservazioni
dinanzi alla Corte, sostengono che le norme relative ai termini di trasferimento sono
giustificate da motivi non economici, attinenti unicamente allo sport in sé e per sé.
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53. Al riguardo, si deve riconoscere che la fissazione di termini per i trasferimenti di
giocatori può rispondere all'obiettivo di assicurare la regolarità delle competizioni
sportive.
54. Infatti, trasferimenti tardivi potrebbero modificare sensibilmente il valore sportivo
dell'una o dell'altra squadra nel corso del campionato, rimettendo così in discussione la
comparabilità dei risultati tra le diverse squadre impegnate in tale campionato e, di
conseguenza, il regolare svolgimento del campionato nel suo insieme.
55. Il rischio di una simile rimessa in discussione è particolarmente evidente nel caso di
una competizione sportiva che si svolga secondo le regole del campionato nazionale
belga di pallacanestro di prima divisione. Infatti, le squadre ammesse a partecipare alle
partite di play-off o chiamate a disputare le partite di play-out potrebbero approfittare di
trasferimenti tardivi per rafforzare i propri effettivi in vista della fase finale del
campionato, o persino in occasione di un unico incontro decisivo.
56. Tuttavia, le misure adottate dalle federazioni sportive per garantire il regolare
svolgimento delle competizioni non devono eccedere quanto necessario per conseguire lo
scopo perseguito (v. sentenza Bosman, citata, punto 104).
57. Nella causa a qua, risulta dalle norme relative ai termini di trasferimento che i
giocatori provenienti da una federazione non appartenente alla zona europea sono
assoggettati al termine del 31 marzo e non a quello del 28 febbraio, che si applica ai soli
giocatori provenienti da una federazione della zona europea, la quale comprende le
federazioni degli Stati membri.
58. A prima vista, una siffatta disciplina dev'essere considerata eccedente quanto
necessario per conseguire lo scopo perseguito. Infatti, dai documenti prodotti agli atti non
risulta che il trasferimento, tra il 28 febbraio e il 31 marzo, di un giocatore proveniente da
una federazione della zona europea presenti rischi maggiori per la regolarità del
campionato rispetto al trasferimento, durante lo stesso periodo, di un giocatore
proveniente da una federazione non appartenente a detta zona.
59. Tuttavia, spetta al giudice nazionale verificare in che misura ragioni obiettive,
attinenti unicamente allo sport in sé e per sé o relative a differenze esistenti tra la
situazione dei giocatori provenienti da una federazione appartenente alla zona europea e
quella dei giocatori provenienti da una federazione non appartenente a detta zona,
giustifichino una simile disparità di trattamento.
60. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre risolvere la questione
sollevata, come riformulata, nel senso che l'art. 48 del Trattato osta all'applicazionedi
norme emanate in uno Stato membro da associazioni sportive che vietino ad una società
di pallacanestro di schierare in campo, in occasione delle partite del campionato
nazionale, giocatori provenienti da altri Stati membri che siano stati trasferiti dopo una
certa data qualora tale data sia precedente a quella che si applica ai trasferimenti di
giocatori provenienti da taluni Paesi terzi, a meno che ragioni obiettive, attinenti
unicamente allo sport in sé e per sé o relative a differenze esistenti tra la situazione dei
giocatori provenienti da una federazione appartenente alla zona europea e quella dei
giocatori provenienti da una federazione non appartenente alla detta zona, non
giustifichino una simile disparità di trattamento.
Per questi motivi,
LA CORTE (Sesta Sezione)
dichiara:
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L'art. 48 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 39 CE) osta all'applicazione
di norme emanate in uno Stato membro da associazioni sportive che vietino ad una
società di pallacanestro di schierare in campo, in occasione delle partite del campionato
nazionale, giocatori provenienti da altri Stati membri che siano stati trasferiti dopo una
certa data qualora tale data sia precedente a quella che si applica ai trasferimenti di
giocatori provenienti da taluni Paesi terzi, a meno che ragioni obiettive, attinenti
unicamente allo sport in sé e per sé o relative a differenze esistenti tra la situazione dei
giocatori provenienti da una federazione appartenente alla zona europea e quella dei
giocatori provenienti da una federazione non appartenente alla detta zona, non
giustifichino una simile disparità di trattamento.
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8. Procedimento C-150/99,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dallo Svea hovrätt (Svezia), nella
causa dinanzi ad esso pendente tra
Svenska staten
e
Stockholm Lindöpark AB
e tra
Stockholm Lindöpark AB
e
Svenska staten,
domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 13, parte A, n. 1, lett. m), e 13, parte B,
lett. b), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di
armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di
affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L
145, pag. 1),
LA CORTE (Quinta Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 26 marzo 1999, pervenuta alla Corte il 23 aprile successivo, lo Svea
hovrätt ha proposto, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), tre
questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt. 13, parte A, n. 1, lett. m), e
13, parte B, lett. b), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in
materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla
cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme
(GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»).
2. Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia tra lo Svenska staten
(Stato svedese) e la Stockholm Lindöpark AB (in prosieguo: la «Lindöpark») in merito al
risarcimento dei danni che quest'ultima reclama dallo Stato svedese per non aver
trasposto correttamente, in occasione dell'adesione del Regno di Svezia all'Unione
europea, la sesta direttiva, in particolare l'art. 13 della stessa.
La normativa comunitaria
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3. Ai sensi dell'art. 2 della sesta direttiva:
«Sono soggette all'imposta sul valore aggiunto:
1. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all'interno del
paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;
2. le importazioni di beni».
4. L'art. 6, n. 1, della sesta direttiva, dispone:
«1. Si considera prestazione di servizi ogni operazione che non costituisce cessione di un
bene ai sensi dell'articolo 5.
Tale operazione può consistere tra l'altro:
- in una cessione di beni immateriali, siano o no rappresentati da un titolo;
- in un obbligo di non fare o di tollerare un atto od una situazione;
- nell'esecuzione di un servizio in base ad una espropriazione fatta dalla pubblica
amministrazione o in suo nome o a norma di legge».
5. L'art. 13, parte A, n. 1, della sesta direttiva recita:
«1. Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle
condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle
esenzioni previste in appresso e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:
(...)
m) talune prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o
dell'educazione fisica, fornite da organizzazioni senza scopo lucrativo alle persone che
esercitano lo sport o l'educazione fisica;
(...)».
6. Ai sensi dell'art. 13, parte B, della sesta direttiva:
«Fatte salve altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle condizioni da
essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni
sottoelencate e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:
(...)
b) l'affitto e la locazione di beni immobili, ad eccezione:
1. delle prestazioni di alloggio, quali sono definite dalla legislazione degli Stati membri,
effettuate nel settore alberghiero o in settori aventi funzioni analoghe, comprese le
locazioni di campi di vacanza o di terreni attrezzati per il campeggio;
2. delle locazioni di aree destinate al parcheggio dei veicoli;
3. delle locazioni di utensili e macchine fissati stabilmente;
4. delle locazioni di casseforti.
Gli Stati membri possono stabilire ulteriori esclusioni al campo di applicazione di tale
esenzione;
(...)».
7. L'art. 17 della sesta direttiva, nella versione che risulta dalla direttiva del Consiglio 16
dicembre 1991, 91/680/CEE (GU L 376, pag. 1), stabilisce:
«1. Il diritto a deduzione nasce quando l'imposta deducibile diventa esigibile.
2. Nella misura in cui i beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad
imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall'imposta di cui è debitore:
a) l'imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per i beni che gli sono o gli saranno
forniti e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo
debitore dell'imposta all'interno del paese;
b) l'imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per i beni importati all'interno del paese;
(...)».
La normativa nazionale
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8. Ai sensi dell'art. 1, capitolo 1, della mervärdesskattlagen (1994/200) (legge n.
200/1994 in materia di imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: la «legge IVA»), l'IVA
dev'essere versata allo Stato in particolare per le cessioni di beni o servizi soggette ad
imposta ed operate a titolo commerciale. Ai sensi dell'art. 1, capitolo 3, della legge IVA
sono soggette ad imposta le cessioni e le importazioni di beni e servizi, salvo quanto
diversamente stabilito nel capitolo medesimo. All'obbligo di versamento dell'imposta è
correlato, ai sensi dell'art. 3, capitolo 8, della legge IVA, il diritto del soggetto passivo di
detrarre l'imposta versata a monte sugli acquisti a titolo oneroso o sulle importazioni
effettuate nell'ambito della propria attività.
9. Gli artt. 2 e 3, capitolo 3, della legge IVA prevedono una serie di esenzioni
dall'imposta nel settore immobiliare. In base alla decisione di rinvio, dall'art. 2, secondo
comma deriva che «sono esenti le transazioni relative a beni immobili, nonché la cessione
in uso e il godimento di affitti di fondi rustici, le locazioni, i diritti di abitazione e di
superficie, le servitù e altri diritti su beni immobili». Sino al 1° gennaio 1997 la legge
prevedeva anche un secondo comma del seguente tenore:
«Sono inoltre esenti dall'IVA le cessioni in uso di locali o di altri impianti o parti di
impianti, ai fini dell'effettuazione dell'attività sportiva o dell'educazione fisica, nonché la
messa a disposizione, ai fini dell'effettuazione di tale attività, di strumenti accessori o
altre apparecchiature».
10. A seguito di una modifica legislativa, entrata in vigore il 1° gennaio 1997, tale
disposizione veniva abrogata.
La controversia nella causa principale e le questioni pregiudiziali
11. La Lindöpark è una società che gestisce un campo da golf riservato alle imprese. I
suoi clienti sono unicamente imprese che, in tal modo, possono permettere al proprio
personale o ai propri clienti di praticare il golf sul terreno così attrezzato.
12. Ai sensi dell'art. 2, secondo comma, capitolo 3, della legge IVA, in vigore
anteriormente al 1° gennaio 1997, l'attività di golf per le imprese gestita dalla Lindöpark
era esente da imposta. La Lindöpark non aveva pertanto il diritto di dedurre l'IVA pagata
a monte sui beni e i servizi utilizzati nell'ambito di tale attività. A partire dalla modifica
di questa disposizione, entrata in vigore il 1° gennaio 1997, le attività della Lindöpark
sono soggette ad IVA e, pertanto, la società ha il diritto di dedurre l'imposta a monte.
13. La Lindöpark sostiene che la normativa vigente anteriormente al 1° gennaio 1997
violava i suoi diritti, in ogni caso a partire dall'adesione del Regno di Svezia all'Unione
europea, ossia il 1° gennaio 1995. Essa ha pertanto presentato un ricorso al Solna tingsrätt
chiedendo la condanna dello Stato svedese al pagamento della somma di SEK 500 000,
da essa ritenuta corrispondente all'IVA pagata a monte, tra il 1° gennaio 1995 e il 31
dicembre 1996, periodo durante il quale non aveva potuto operare alcuna deduzione. Tale
somma era maggiorata degli interessi calcolati dal momento in cui le deduzioni avrebbero
potuto in teoria essere operate, pari a SEK 41 632. Secondo la Lindöpark, lo Stato
svedese non aveva trasposto correttamente la sesta direttiva e, in particolare, l'art. 13 della
stessa.
14. Con sentenza 29 settembre 1997 il Solna tingsrätt ha accolto il ricorso della
Lindöpark, condannando lo Stato svedese a pagarle la somma di SEK 500 000, a titolo di
risarcimento danni, oltre agli interessi calcolati dal giorno in cui il ricorso era stato
proposto.
15. Lo Stato è ricorso in appello contro tale sentenza dinanzi allo Svea hovrätt, e
altrettanto ha fatto la Lindöpark, chiedendo l'accoglimento integrale del suo ricorso.
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16. Nutrendo dubbi sull'interpretazione da attribuire, nel caso di specie, alla sesta
direttiva, e in particolare all'art. 13 della stessa, lo Svea hovrätt ha deciso di sospendere il
giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), e l'art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva IVA
ostino a norme nazionali che prevedano un'esenzione generale dall'imposta per le cessioni
in uso di impianti sportivi, alle condizioni previste dall'art. 2, secondo comma, capitolo 3,
della legge IVA n. 200/1994, nel testo vigente sino al 1° gennaio 1997.
2. Se l'art. 13 della sesta direttiva IVA, nel combinato disposto con gli artt. 2, 6 e 17,
attribuisca ai singoli diritti che possono essere fatti valere dinanzi ai giudici nazionali
degli Stati membri.
In caso di soluzione affermativa delle prime due questioni:
3. Se la previsione di un'esenzione dell'imposta, ai sensi dell'art. 2, secondo comma,
capitolo 3, della legge IVA n. 200/1994, costituisca una violazione del diritto comunitario
sufficientemente grave e manifesta da far sorgere la responsabilità dello Stato membro
per il relativo risarcimento del danno».
Sulla prima questione
17. Con la prima questione il giudice a quo chiede, in sostanza, se l'art. 13, parte A, n. 1,
lett. m), e l'art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva IVA ostino a norme nazionali che
prevedano un'esenzione generale dall'imposta per le cessioni in uso di locali ed altri
impianti nonché per la messa a disposizione di strumenti accessori o altre apparecchiature
ai fini dell'effettuazione dell'attività sportiva e dell'educazione fisica, compresi i servizi
forniti da organismi aventi fini di lucro.
18. A tal proposito occorre rilevare che la cessione in uso di locali o di altri impianti,
nonché la messa a disposizione di strumenti accessori o altre apparecchiature ai fini
dell'effettuazione dell'attività sportiva o dell'educazione fisica, costituiscono prestazioni
di servizi ai sensi dell'art. 6 della sesta direttiva. Tali attività, in linea di principio, sono
pertanto soggette all'IVA, in forza dell'art. 2, n. 1, della sesta direttiva.
19. In deroga al principio sancito dall'art. 2, appena menzionato, l'art. 13, parte A, n. 1,
lett. m), della sesta direttiva prevede un'esenzione dall'imposta per le prestazioni di
servizi legate alla pratica dello sport e dell'educazione fisica. Tale esenzione è però
espressamente limitata alle prestazioni fornite da organismi senza scopo di lucro. Di
conseguenza, prestazioni di questo tipo che siano fornite da soggetti aventi fini di lucro
non rientrano nella sfera di applicazione dell'esenzione. Il capitolo 3 della legge IVA, nei
limiti in cui prevede, all'art. 2, secondo comma, un'esenzione generale per tali prestazioni,
senza limitarla ai prestatari non aventi fini di lucro, risulta quindi in contrasto con il
dettato delle corrispondenti disposizioni della sesta direttiva.
20. Per giustificare la normativa nazionale lo Stato svedese sostiene che nella causa
principale è applicabile un'altra disposizione, ossia l'art. 13, parte B, lett. b), della sesta
direttiva, che esenta le operazioni di affitto e di locazione di beni immobili. In effetti,
l'attività della Lindöpark consiste nella locazione ai propri clienti di un campo da golf,
che è un bene immobile. Pertanto, l'esenzione delle attività della Lindöpark sarebbe
giustificata.
21. In merito va rilevato che, nell'ambito delle questioni sollevate dal giudice nazionale,
la Corte è chiamata a fornire al giudice di rinvio dei criteri che gli consentano di
verificare la conformità, con la sesta direttiva, di una normativa nazionale come quella di
cui trattasi. La soluzione della controversia nella causa principale, considerate le
peculiarità del caso di specie, spetta però al giudice nazionale, che è il solo competente al
riguardo.
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22. Per quanto concerne la normativa nazionale discussa nella causa principale, non
certamente escluso che, in circostanze particolari, la cessione in uso di locali ai fini della
pratica dello sport o dell'educazione fisica possa costituire locazione di un bene immobile
e rientrare pertanto nella sfera di applicazione dell'esenzione di cui all'art. 13, parte B,
lett. b), della sesta direttiva. Tuttavia, la suddetta normativa non riguarda un simile caso
particolare, ma esenta in via generale l'insieme delle prestazioni connesse alla pratica
dello sport e dell'educazione fisica, senza distinguere, all'interno di tali prestazioni, fra
quelle che costituiscono locazione di un bene immobile e le altre. In tal modo, essa
introduce una nuova categoria di esenzioni non prevista dalla sesta direttiva.
23. Occorre pertanto rispondere alla prima questione nel senso che l'art. 13, parte A, n. 1,
lett. m), e l'art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva IVA ostano a norme nazionali che
prevedano un'esenzione generale dall'IVA per le cessioni in uso di locali ed altri impianti
nonché per la messa a disposizione di strumenti accessori o altre apparecchiature, ai fini
dell'effettuazione dell'attività sportiva e dell'educazione fisica, compresi i servizi forniti
da organismi aventi fini di lucro.
24. Per quanto riguarda l'applicazione dell'art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva
alla causa principale, la Corte non può che limitarsi a fornire al giudice nazionale, al
quale spetta la soluzione, sul punto, della controversia di cui è investito, talune
indicazioni derivanti dalla giurisprudenza consolidata.
25. In proposito occorre ricordare innanzitutto che per giurisprudenza costante i termini
con i quali sono state designate le esenzioni di cui all'art. 13 della sesta direttiva devono
essere interpretati restrittivamente, dato che tali esenzioni costituiscono deroghe al
principio generale secondo cui l'IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a
titolo oneroso da un soggetto passivo (v., in particolare, sentenza 15 giugno 1989, causa
348/87, Stichting Uitvoering Financiële Acties/Staatssecretaris van Financiën, Racc. pag.
1737, punto 13, nonché sentenze 12 settembre 2000, causa C-358/97,
Commissione/Irlanda, punto 52, e causa C-359/97, Commissione/Regno Unito, punto 64,
Racc. pag. I-0000).
26. Va inoltre rilevato che le prestazioni connesse alla pratica dello sport e
dell'educazione fisica debbono, per quanto possibile, essere considerate nel loro
complesso. Dalla giurisprudenza della Corte deriva che per accertare il carattere
imponibile di un'operazione occorre prendere in considerazione tutte le circostanze in cui
essa si svolge, così da rinvenirne gli elementi caratteristici (v. sentenza 2 maggio 1996,
causa C-231/94, Faaborg-Gelting Linien, Racc. pag. I-2395, punto 12). Infatti, come
giustamente sostiene la Commissione, l'attività di gestione di un campo da golf implica,
in linea generale, non soltanto la messa a disposizione passiva di un terreno, ma altresì un
gran numero di attività commerciali, come la supervisione, la gestione e l'assistenza
costante da parte del prestatario, la messa a disposizione di altri impianti, e così via. In
assenza di circostanze del tutto particolari, la locazione del campo da golf non costituisce,
pertanto, la prestazione principale.
27. Occorre infine considerare il fatto che la messa a disposizione di un campo da golf
può di solito essere limitata nell'oggetto e nella durata del periodo di utilizzazione. Al
riguardo, dalla giurisprudenza della Corte deriva che la durata del godimento di un bene
immobile, elemento essenziale del contratto di locazione (sentenze Commissione/Irlanda,
punto 56, e Commissione/Regno Unito, punto 68, entrambe citate in precedenza).
28. Spetta al giudice nazionale stabilire se, alla luce di tali elementi, l'attività di cui
trattasi nella causa principale si possa ritenere esonerata dall'IVA in forza dell'art. 13,
parte B, lett. b), della sesta direttiva.
Sulla seconda questione
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29. Con la seconda questione, il giudice nazionale chiede in sostanza se le disposizioni
dell'art. 17, nn. 1 e 2, della sesta direttiva, letti in combinato disposto con quelle degli artt.
2, 6 e 13 della stessa, siano sufficientemente chiare, precise ed incondizionate per essere
fatte valere dai singoli dinanzi al giudice nazionale nei confronti di uno Stato membro.
30. Per risolvere tale questione, basta rinviare alla costante giurisprudenza della Corte
relativa all'efficacia diretta delle direttive (v. sentenza 19 gennaio 1982, causa 8/81,
Becker, Racc. pag. 53, punti 17-25).
31. Da tale giurisprudenza emerge che, nonostante il margine di discrezionalità
relativamente ampio di cui gli Stati membri dispongono per l'attuazione di talune
disposizioni della sesta direttiva, i singoli possono far valere dinanzi al giudice nazionale
le disposizioni della direttiva che siano sufficientemente chiare, precise e incondizionate
(v. sentenze 20 ottobre 1993, causa C-10/92, Balocchi, Racc. pag. I-5105, punto 34, e
sentenza 6 luglio 1995, causa C-62/93, Bp Soupergaz, Racc. pag. I-1883, punto 34).
32. La Corte ha già riconosciuto espressamente tale carattere all'art. 17, nn. 1 e 2
(sentenza BP Soupergaz, citata, punto 36), e all'art. 13, parte B, lett. d), punto 1 (sentenza
Becker, citata, punto 49), della sesta direttiva. Anche gli artt. 2, 6, n. 1, che è l'unico
rilevante per la causa principale, e 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva rispondono ai
criteri sanciti dalla giurisprudenza citata al punto precedente, come rilevato dall'avvocato
generale ai paragrafi 45 e 46 delle sue conclusioni.
33. Occorre pertanto rispondere alla seconda questione nel senso che le disposizioni
dell'art. 17, nn. 1 e 2, della sesta direttiva, lette in combinato disposto con quelle degli
artt. 2, 6, n. 1, e 13, parte B, lett. b), della stessa, sono sufficientemente chiare, precise ed
incondizionate per poter essere fatte valere dai singoli dinanzi al giudice nazionale nei
confronti di uno Stato membro.
Sulla terza questione
34. Con la terza questione il giudice nazionale chiede, in sostanza, se l'applicazione di
un'esenzione generale dall'IVA per la cessione in uso di locali o di altri impianti, nonché
per la messa a disposizione di strumenti accessori o altre apparecchiature, ai fini
dell'effettuazione dell'attività sportiva e dell'educazione fisica, senza che tale esenzione
generale figuri nella sesta direttiva, costituisca una violazione del diritto comunitario
sufficientemente grave e manifesta da far sorgere la responsabilità dello Stato membro.
35. In primo luogo, occorre ricordare che, rispondendo alla seconda questione, la Corte
ha osservato che le disposizioni dell'art. 17, nn. 1 e 2, della sesta direttiva, lette in
combinato disposto con quelle degli artt. 2, 6, n. 1, e 13, parte B, lett. b), della stessa,
conferiscono ai singoli diritti che possono essere fatti valere contro lo Stato membro
interessato dinanzi a un giudice nazionale. Di conseguenza, la Lindöpark è legittimata a
far valere retroattivamente i crediti di cui sostiene di essere titolare nei confronti dello
Stato svedese basandosi direttamente sulle disposizioni della sesta direttiva ad essa
favorevoli. A prima vista, pertanto, un ricorso per risarcimento dei danni basato sulla
giurisprudenza della Corte in tema di responsabilità degli Stati membri per violazione del
diritto comunitario non sembra necessario.
36. In secondo luogo, per rispondere alla questione va ricordato che, secondo una
giurisprudenza anch'essa costante, il principio della responsabilità dello Stato per danni
causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al
sistema del Trattato (v., in particolare, sentenze 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame, Racc. pag. I-1029, punto 31; 8 ottobre 1996,
cause riunite C-178/94, C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94, Dillenkofer e a.,
Racc. pag. I-4845, punto 20; 17 ottobre 1996, cause riunite C-283/94, C-291/94 e C-
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292/94, Denkavit e a., Racc. pag. I-5063, punto 47; e sentenza 24 settembre 1998, causa
C-319/96, Brinkmann, Racc. pag. I-5255, punto 24).
37. Parimenti la Corte, in considerazione delle circostanze della fattispecie, ha dichiarato
che un diritto al risarcimento è riconosciuto dal diritto comunitario in quanto siano
soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a
conferire diritti ai singoli, che si tratti di violazione sufficientemente grave e manifesta e
che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell'obbligo incombente allo Stato e il
danno subìto dai soggetti lesi (citate sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, punto
51; Dillenkofer e a., punti 21 e 23, Denkavit e a., punto 48, e Brinkmann, punto 25; v.
altresì sentenze 15 giugno 1999, causa C.140/97, Rechberger e a., Racc. pag. I-3499,
punto 21, e 4 luglio 2000, causa C-424/97, Haim, Racc. pag. I-0000, punto 36).
38. Se, in line a di principio, spetta ai giudici nazionali valutare la sussistenza delle
condizioni che fanno sorgere la responsabilità dello Stato membro per violazioni del
diritto comunitario, la Corte può nondimeno precisare talune circostanze di cui i giudici
nazionali possono tener conto nella loro valutazione. Nella causa principale il
giudicenazionale interroga la Corte sulle condizioni di una violazione grave e manifesta
del diritto comunitario.
39. Per rispondere alla questione va ricordato come dalla giurisprudenza della Corte
risulti che una violazione è sufficientemente grave e manifesta quando uno Stato
membro, nell'esercitare il suo potere normativo, ha violato in modo manifesto e grave i
limiti posti ai suoi poteri. Al riguardo, fra gli elementi che il giudice competente può
eventualmente prendere in considerazione, figura in particolare il grado di chiarezza e di
precisione della norma violata (sentenza Rechberger e a., citata, punto 50).
40. Come osservato nell'ambito delle risposte alla prima e alla seconda questione, deriva
chiaramente dalle disposizioni della legge IVA di cui alla causa principale che l'esenzione
generale adottata dal legislatore svedese non trova fondamento nella sesta direttiva e
risulta pertanto incompatibile con questa, a partire dalla data di adesione del Regno di
Svezia all'Unione europea. Considerato il dettato chiaro delle disposizioni della suddetta
direttiva, lo Stato membro interessato non si trovava di fronte a scelte normative e
disponeva di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura
inesistente. Di conseguenza, può bastare la semplice trasgressione del diritto comunitario
per dimostrare l'esistenza di una violazione sufficientemente grave e manifesta (v.
sentenze 23 maggio 1996, causa C-5/94, Hedley Lomas, Racc. pag. I-2553, punto 28, e
Dillenkofer e a., citata, punto 25). Peraltro, il fatto che la normativa nazionale di cui
trattasi nella causa principale sia stata abrogata dal 1° gennaio 1997, ossia due anni dopo
la data della suddetta adesione, indica che il legislatore svedese era a conoscenza di
questa situazione di incompatibilità.
41. Occorre respingere l'argomento dello Stato svedese secondo il quale, anche a supporla
esistente, la violazione delle norme comunitarie era comunque giustificabile in quanto, da
un lato, la Corte non aveva ancora chiarito le disposizioni applicabili della sesta direttiva
e, dall'altro lato, la Commissione non aveva avviato alcun procedimento per
inadempimento, il che lo avrebbe lasciato senza alcun punto di riferimento certo quanto
alla portata del diritto comunitario in questione. Infatti, come chiarito ai punti 73 e 74
delle conclusioni dell'avvocato generale, non esisteva alcun ragionevole dubbio sulla
portata delle disposizioni in causa che potesse giustificare l'asserita violazione.
42. Alla terza questione occorre pertanto rispondere che l'applicazione di un'esenzione
generale dall'IVA per la cessione in uso di locali o di altri impianti, nonché per la messa a
disposizione di strumenti accessori o altre apparecchiature, ai fini dell'effettuazione
dell'attività sportiva e dell'educazione fisica, senza che tale esenzione generale sia
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prevista nella sesta direttiva, costituisce una violazione del diritto comunitario
sufficientemente grave e manifesta da far sorgere la responsabilità dello Stato membro.
Per questi motivi,
LA CORTE (Quinta Sezione)
dichiara:
1) Gli artt. 13, parte A, n. 1, lett. m), e 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva del
Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni
degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta
sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, ostano a norme nazionali le quali
prevedano un'esenzione generale dall'imposta sul valore aggiunto per le cessioni in uso di
locali ed altri impianti nonché per la messa a disposizione di strumenti accessori o altre
apparecchiature ai fini dell'effettuazione dell'attività sportiva e dell'educazione fisica,
compresi i servizi forniti da organismi aventi fini di lucro.
2) Le disposizioni dell'art. 17, nn. 1 e 2, della sesta direttiva 77/388, lette in combinato
disposto con quelle degli artt. 2, 6, n. 1, e 13, parte B, lett. b), della stessa sono
sufficientemente chiare, precise ed incondizionate per poter essere fatte valere dai singoli
dinanzi al giudice nazionale nei confronti di uno Stato membro.
3) L'applicazione di un'esenzione generale dall'imposta sul valore aggiunto per la
cessione in uso di locali o di altri impianti, nonché per la messa a disposizione di
strumenti accessori o altre apparecchiature, ai fini dell'effettuazione dell'attività sportiva e
dell'educazione fisica, senza che tale esenzione generale sia prevista dall'art. 13 della
sesta direttiva 77/388, costituisce una violazione del diritto comunitario sufficientemente
grave e manifesta da far sorgere la responsabilità dello Stato membro.
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9. Cause da T-38/99 a T-50/99,
Sociedade Agrícola dos Arinhos, Ld., con sede in Lisbona,
Sociedade Agrícola do Monte da Aldeia, Ld., con sede in Lisbona,
António José da Veiga Teixeira, residente in Coruche (Portogallo),
Sociedade Agrícola Monte da Senhora do Carmo SA, con sede in Almeirim
(Portogallo),
Sociedade Agrícola de Perescuma SA, con sede in Almeirim,
Sociedade Agrícola Couto de Fornilhos SA, con sede in Moura (Portogallo),
Casa Agrícola da Raposeira, Ld., con sede in Coruche,
José de Barahona Núncio, residente in Évora (Portogallo),
Prestase - Prestação de Serviços e Contabilidade, Ld., con sede in Lisbona,
Sociedade Agro-Pecuária da Herdade do Zambujal, Ld., con sede in Palmela
(Portogallo),
Francisco Luís Pinheiro Caldeira, residente in Campo Maior (Portogallo),
Sociedade Agrícola Cabral de Ascensão, Ld., con sede in Horta dos Arcos, Serpa
(Portogallo),
Joaquim Inácio Passanha Braancamp Sobral, residente in Lisbona,
ricorrenti,
sostenuti da
Repubblica portoghese,
interveniente,
contro
Commissione delle Comunità europee,
convenuta,
avente ad oggetto un ricorso diretto all'annullamento dell'art. 2, punto a), della decisione
della Commissione 18 novembre 1998, 98/653/CE, recante misure d'emergenza rese
necessarie dall'insorgere di casi d'encefalopatia spongiformebovina in Portogallo (GU L
311, pag. 23), in quanto esso vieta di spedire dal Portogallo in Spagna e in Francia tori da
combattimento destinati a manifestazioni culturali o sportive,
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quarta Sezione),
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ha pronunciato la seguente
Sentenza
Fatti e contesto giuridico
1. I tredici ricorrenti sono allevatori portoghesi di tori da combattimento. Tali tori sono
destinati a manifestazioni culturali o sportive che, nei paesi dell'Unione europea, sono
organizzate soltanto in Portogallo, in Spagna e in Francia. Questa razza di tori viene
allevata solo in questi tre Stati membri.
2. Il 10 novembre 1998, dopo aver appreso l'imminenza dell'adozione di una decisione
comunitaria relativa all'esportazione dei bovini portoghesi, l'associazione portoghese
degli allevatori di tori da combattimento inviava per fax al presidente della Commissione
un esposto destinato a richiamare l'attenzione sulla specificità della situazione dei tori da
combattimento portoghesi.
3. Il 18 novembre 1998 la Commissione emanava la decisione 98/653/CE, recante misure
di emergenza rese necessarie dall'insorgere di casi di d'encefalopatia spongiforme bovina
in Portogallo (GU L 311, pag. 23; in prosieguo: la «decisione impugnata»). Tale
decisione si basa sul Trattato CE, sulla direttiva del Consiglio 26 giugno 1990,
90/425/CEE, relativa ai controlli veterinari e zootecnici applicabili negli scambi
intracomunitari di taluni animali vivi e prodotti di origine animale, nella prospettiva della
realizzazione del mercato interno (GU L 224, pag. 29), modificata da ultimo dalla
direttiva 92/118/CEE (GU L 62, pag. 49), in particolare sull'art. 10, n. 4, della medesima,
nonché sulla direttiva del Consiglio 11 dicembre 1989, 89/662/CEE, relativa ai controlli
veterinari applicabili negli scambiintracomunitari nella prospettiva della realizzazione del
mercato interno (GU L 395, pag. 13), modificata da ultimo dalla direttiva 92/118/CEE, in
particolare sull'art. 9, n. 4, della stessa.
4. Al punto 3 dei 'considerando della decisione impugnata, la Commissione rileva che nel
1996 sono state effettuate in Portogallo varie missioni riguardanti questioni attinenti
all'encefalopatia spongiforme bovina (in prosieguo: l'«ESB»), dalle quali è risultato che
non tutti i fattori di rischio erano stati trattati in maniera adeguata. Inoltre,una nuova
missione, effettuata dall'ufficio alimentare e veterinario della Commissione dal 28
settembre al 2 ottobre 1998 ha confermato il persistere di talune carenze nell'attuazione
delle misure di lotta contro i fattori di rischio.
5. L'art. 2 della decisione impugnata dispone:
«Il Portogallo provvede affinché non siano spediti dal proprio territorio verso altri Stati
membri o paesi terzi
a) bovini vivi ed embrioni di bovini;
(...)».
6. Ai sensi dell'art. 4 di tale decisione, il Portogallo provvede affinché sino al 1° agosto
1999 non siano spediti dal proprio territorio verso altri Stati membri o paesi terzi carni,
prodotti o materiale ottenuti da animali macellati in Portogallo.
7. L'art. 16, n. 1, della decisione impugnata recita:
«La presente decisione viene riesaminata entro i diciotto mesi successivi alla sua
adozione, sulla base di un esame globale della situazione, in particolare tenendo conto
degli sviluppi dell'incidenza della malattia, dell'effettivo rispetto delle pertinenti misure e
delle nuove conoscenze in campo scientifico».
8. Secondo l'art. 18 della stessa decisione, gli Stati membri sono destinatari di questa.
9. Il divieto di spedizione fuori dal Portogallo stabilito nella decisione impugnata veniva
successivamente prorogato al 1° febbraio 2000 dalla decisione della Commissione 28
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luglio 1999, 99/517/CE (GU L 197, pag. 45), che inoltre apportava talune modifiche alla
decisione impugnata.
10. La decisione impugnata veniva altresì modificata dalla decisione della Commissione
21 ottobre 1999, 99/713/CE (GU L 281, pag. 90). Questa decisione, che istituisce talune
eccezioni al divieto di spedizione stabilito dalla decisione impugnata, ammette, in
particolare, la possibilità di spedire tori da combattimento dal territorio portoghese in altri
Stati membri a talune condizioni.
11. La decisione impugnata veniva inoltre modificata dalla decisione della Commissione
31 gennaio 2000, 2000/104/CE (GU L 29, pag. 36). Il limite temporale al divieto di
spedizione previsto dall'art. 4 della decisione impugnata veniva soppresso. Inoltre l'art. 16
veniva modificato al fine di prevedere il riesame della decisione impugnata, così come
modificata, «entro il 18 maggio 2000, sulla base di un esame globale della situazione».
12. Con le decisioni 6 giugno 2000, 2000/371/CE e 2000/372/CE (GU L 134, pagg. 34 e
35) la Commissione si avvaleva della facoltà prevista dall'art. 3, n. 7, della decisione
impugnata, come inserito dalla decisione 99/713 e fissava per il 7 giugno 2000 la data in
cui poteva iniziare la spedizione dei tori da corrida dal Portogallo in Francia e,
rispettivamente, in Spagna.
Procedimento e conclusioni delle parti
13. Con atti depositati nella cancelleria del Tribunale il 12 febbraio 1999 i ricorrenti
hanno proposto ricorsi per l'annullamento dell'art. 2, punto a), della decisione impugnata,
in quanto vieta la spedizione dal Portogallo di tori da combattimento, ricorsi che sono
stati riuniti all'atto della loro registrazione, costituendo quindi una sola causa.
14. Con atto separato depositato nella cancelleria del Tribunale il 19 aprile 1999 sette
ricorrenti nella causa principale hanno presentato, ai sensi degli artt. 185 e 186 del
Trattato CE (divenuti artt. 242 CE e 243 CE) e degli artt. 104 e seguenti del regolamento
di procedura, una domanda di provvedimenti provvisori. Essi hanno chiesto al giudice
dell'urgenza la sospensione dell'esecuzione dell'art. 2, punto a), della decisione
impugnata, in quanto vieta di spedire dal Portogallo tori da combattimento, e l'adozione
di qualsiasi altro provvedimento provvisorio che il giudice avesse ritenuto adeguato.
15. Con ordinanza 9 agosto 1999 il presidente del Tribunale ha respinto la domanda di
provvedimenti provvisori.
16. Con ordinanza 14 ottobre 1999 il presidente della Quarta Sezione del Tribunale ha
accolto l'istanza d'intervento del governo portoghese a sostegno delle conclusioni dei
ricorrenti.
17. Le parti nei presenti ricorsi sono state espressamente invitate dal Tribunale a
pronunciarsi sulla modifica della decisione impugnata apportata con la decisione 99/713 e
sull'incidenza di tale modifica sulla presente causa. I ricorrenti hanno tenuto fermi i loro
ricorsi senza apportarvi modifiche.
18. Su relazione del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di passare alla fase orale.
19. Le parti hanno presentato le loro difese orali ed hanno risposto ai quesiti rivolti dal
Tribunale all'udienza del 20 settembre 2000.
20. I ricorrenti concludono che il Tribunale voglia:
- annullare l'art. 2, punto a), della decisione impugnata, in quanto vieta di spedire dal
Portogallo in Spagna e in Francia tori da combattimento destinati a combattere nel corso
di manifestazioni culturali o sportive che avvengono in tali Stati membri;
- condannare la Commissione alle spese.
21. L'interveniente conclude che il Tribunale voglia:
- dichiarare i ricorsi fondati e, di conseguenza, annullare la decisione impugnata in
conformità a quanto chiesto dai ricorrenti;
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- condannare la Commissione alle spese.
22. La Commissione conclude che il Tribunale voglia:
- dichiarare i ricorsi irricevibili o, in subordine, respingerli;
- condannare i ricorrenti alle spese.
In diritto
23. I ricorrenti deducono in sostanza due motivi: il primo relativo a un errore sulle
premesse della decisione e ad un difetto di motivazione; il secondo relativo alla
violazione degli artt. 30, 34 e 36 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 28
CE, 29 CE e 30 CE) ed al principio di proporzionalità. La Commissione contesta i motivi
dei ricorrenti ed eccepisce l'irricevibilità dei ricorsi.
Sulla ricevibilità
Argomenti delle parti
24. La Commissione deduce che nessuno dei ricorrenti è individualmente riguardato dalla
decisione impugnata, giacché la loro situazione di fatto non presenterebbe caratteristiche
specifiche che li identifichi in maniera analoga al destinatario della decisione.
25. In proposito la Commissione sostiene che la situazione dei ricorrenti non va distinta
da quella degli allevatori portoghesi di altri bovini. Essa deduce, in particolare, che il
fatto che i tori da combattimento sono allevati solo per partecipare a manifestazioni
sportive o di tauromachia non impedirebbe che, dopo esser statoucciso nell'arena,
l'animale possa entrare nella catena alimentare, dato che la sua carne può, in particolare,
essere consumata in ristoranti specializzati.
26. All'udienza la convenuta ha inoltre rilevato che il fax spedito dai ricorrenti al
presidente della Commissione, e contenente un'esposizione della loro posizione, è stato
inviato soltanto dieci giorni prima della formale emanazione della decisione impugnata.
In quella data il progetto della decisione era stato già compilato in base a un parere del
comitato veterinario, adottato nell'ottobre 1998, in conformità alla normativa vigente.
27. I ricorrenti sostengono di soddisfare le condizioni relative alla legittimazione ad agire,
sancite dall'art. 173, quarto comma, del Trattato CE (divenuto art. 230, quarto comma,
CE), dato che la decisione impugnata li riguarda direttamente e individualmente.
28. Essi fanno valere l'esistenza di circostanze di fatto che li caratterizzano rispetto agli
altri allevatori e commercianti di bovini vivi, ai quali si applica astrattamente il
menzionato divieto.
29. In primo luogo, i ricorrenti allevano una razza unica di bovini destinati a combattere
nel corso di manifestazioni culturali o sportive che si svolgono solo in Portogallo, in
Spagna e in Francia. Tali tori da combattimento si distinguerebbero da tutti gli altri
bovini; sarebbe logico esportarli anche se, a causa della tutela della sanità pubblica, essi
devono essere distrutti dopo il combattimento.
30. In secondo luogo, essi sono registrati nel libro genealogico portoghese dei tori da
combattimento e nel libro genealogico spagnolo della razza dei tori da combattimento. La
registrazione in quest'ultimo è autonoma rispetto all'iscrizione nel primo, essendo
soggetta ai requisiti propri della normativa spagnola.
31. In terzo luogo, per la spedizione ed il trasporto dei loro tori in Spagna o in Francia i
ricorrenti sarebbero soggetti alle specifiche norme vigenti per i tori da combattimento
(che non vigono per gli altri bovini) e che garantiscono un rigoroso controllo di tutti gli
animali trasportati. Queste norme sarebbero un elemento fondamentale dell'insieme delle
garanzie relative alla rintracciabilità degli animali.
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32. In quarto luogo, ancor prima dell'emanazione della decisione impugnata e tramite
l'associazione di cui essi sono membri (l'associazione portoghese degli allevatori di tori
da combattimento) i ricorrenti avrebbero richiamato l'attenzione della Commissione sulle
specifiche caratteristiche dei tori da combattimento e della normativa loro applicabile e le
avrebbero chiesto di tener conto di tali caratteristiche. Detta associazione non ha una
propria attività economica e commerciale né un'attività autonoma rispetto a quella dei
suoi membri.
33. In proposito i ricorrenti ricordano di aver presentato, unitamente agli altri membri
dell'associazione portoghese degli allevatori di tori da combattimento, una denuncia alla
Commissione il 20 luglio 1998 chiedendole d'intervenire a proposito delle difficoltà
provocate dalle autorità spagnole quanto all'esportazione dei tori da combattimento
registrati nel libro genealogico portoghese. In tale denuncia essi avrebbero comunicato
alla Commissione dati atti a farle capire la specificità della normativa vigente per i tori da
combattimento rispetto a quella vigente per gli altri bovini.
34. Inoltre, il 10 novembre 1998, a seguito di informazioni riguardanti l'imminente
adozione di una decisione di divieto totale di esportazione dei bovini, i ricorrenti
avrebbero inviato per fax al presidente della Commissione un esposto destinato a
richiamare la sua attenzione sulla specifica situazione dei tori da combattimento
portoghesi. In tale esposto i ricorrenti insistevano sul fatto che sarebbe stato possibile
adottare altri provvedimenti (come l'obbligo d'incinerazione dei tori dopo lo spettacolo)
che, pur essendo altrettanto efficaci per la tutela della sanità pubblica, avrebbero avuto
ripercussioni meno restrittive sul commercio intracomunitario.
35. Infine, i ricorrenti aggiungono che la maggior parte di loro aveva concluso con
operatori spagnoli e francesi contratti aventi ad oggetto la vendita di tori da
combattimento destinati alle arene spagnole e/o francesi nel corso della stagione di
tauromachia 1999. L'esecuzione di tali contratti sarebbe stata resa impossibile dalla
decisione impugnata.
Giudizio del Tribunale
36. Ai sensi dell'art. 173, quarto comma, del Trattato, le persone fisiche o giuridiche
possono impugnare le decisioni adottate nei loro confronti o le decisioni che, pur
apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, le
riguardino direttamente e individualmente.
37. Occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, i soggetti diversi dai
destinatari di una decisione possono sostenere di essere individualmente riguardati, ai
sensi dell'art. 173, quarto comma, del Trattato, se tale decisione incida sulla loro
posizione giuridica a motivo di talune loro qualità specifiche o di una situazione di fatto
che li contraddistingua rispetto a chiunque altro e, quindi, li identifichi in modo analogo
al destinatario (sentenze della Corte 15 luglio 1963, causa 25/62,
Plaumann/Commissione, Racc. pagg. 195, 220, e 18 maggio 1994, causa C-309/89,
Codorniu/Consiglio, Racc. pag. I-1853, punto 20, e del Tribunale 27 aprile 1995, causa
T-435/93, ASPEC e a./Commissione, Racc. pag. II-1281, punto 62). Infatti, lo scopo
dell'art. 173, quarto comma, del Trattato è quello di garantire una tutela giuridica anche a
chi, pur non essendo il destinatario dell'atto controverso, è in pratica riguardato da
quest'ultimo in modo analogo a quello del destinatario (sentenza della Corte 11 luglio
1984, causa 222/83, Comune di Differdange e a./Commissione, Racc. pag. 2889, punto
9).
38. Quindi, alla luce di tale giurisprudenza, si deve accertare se i ricorrenti siano
riguardati dalla decisione impugnata in considerazione di talune loro qualità specifiche o
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se sussista una situazione di fatto che li contraddistingua, con riguardo a tale decisione,
rispetto a tutti gli altri operatori cui è applicabile.
39. Nel caso di specie la decisione impugnata istituisce misure di emergenza rese
necessarie dal verificarsi di casi di ESB in Portogallo. Essa stabilisce un divieto di
spedizione degli animali vivi della specie bovina, di carni e di altri prodotti ottenuti da
bovini macellati in Portogallo. Tale divieto è motivato da ragioni di tutela della sanità
pubblica. Già dall'inizio tale divieto doveva considerarsi temporaneo dato che la
decisione doveva essere riesaminata entro i 18 mesi successivi alla sua adozione, in attesa
di un esame globale della situazione.
40. I ricorrenti assumono, anzitutto, che i tori da essi allevati sono destinati a combattere
nel corso di manifestazioni culturali o sportive e che, quindi, sussiste un interesse ad
esportarli anche se, dopo il combattimento, essi devono essere distrutti. Inoltre, essi
assumono che i loro animali sono registrati nei libri genealogici portoghesi e spagnoli dei
tori da combattimento e che l'esportazione e il trasporto degli stessi verso la Spagna e la
Francia sono soggetti a norme specifiche che garantiscono un rigoroso controllo di tutti
gli animali esportati.
41. Si deve considerare che tali elementi non costituiscono una situazione peculiare che
contraddistingue i ricorrenti, con riguardo alla decisione impugnata, rispetto a qualsiasi
altro allevatore o esportatore di bovini riguardato dal divieto di spedizione stabilito da
detta decisione.
42. La circostanza che i tori esportati dai ricorrenti abbiano caratteristiche diverse e siano
soggetti a modalità di allevamento e ad un complesso di controlli specifici rispetto ad altri
bovini non riguarda il modo in cui la decisione di cui trattasi incide sui ricorrenti.
43. Infatti, questa decisione, in quanto vieta la spedizione di animali della specie bovina,
non tocca i ricorrenti a motivo di talune loro qualità specifiche o di una situazione di fatto
che li contraddistingua rispetto a qualsiasi altro operatore. Essa li riguarda solo a causa
della loro qualità oggettiva di esportatori di bovini, allo stesso titolo di qualsiasi altro
operatore che esercita la medesima attività di spedizione dal territorio portoghese. In tal
modo la decisione impugnata si rivolge, in termini astratti e generali, a categorie di
persone indeterminate e si applica a situazioni determinate oggettivamente.
44. Questi argomenti devono quindi essere respinti.
45. I ricorrenti sostengono altresì che, prima dell'adozione della decisione impugnata, in
particolare tramite l'associazione portoghese degli allevatori di tori da combattimento, di
cui sono membri, essi hanno richiamato l'attenzione dellaCommissione sulle
caratteristiche specifiche dei tori da combattimento e della normativa loro applicabile e
che le hanno chiesto di tener conto di tali caratteristiche.
46. Va ricordato che, anche ammettendo che tutte le lettere e tutti i contatti menzionati
dai ricorrenti possano aver avuto una relazione pertinente con l'oggetto della decisione
impugnata, dalla giurisprudenza risulta che il fatto che una persona intervenga, in un
modo o nell'altro, nell'iter che porta all'adozione di un atto comunitario, è, di per sé,
idoneo ad identificare detta persona con riguardo all'atto di cui trattasi solo quando la
vigente normativa comunitaria le conferisce talune garanzie procedurali (ordinanza del
Tribunale 9 agosto 1995, causa T-585/93, Greenpeace e a./Commissione, Racc. pag. II2205, punti 56 e 63, e sentenza del Tribunale 13 dicembre 1995, cause riunite T-481/93 e
T-484/93, Exporteurs in Levende Varkens e a./Commissione, Racc. pag. II-2941, punti
55 e 59).
47. Nel caso di specie l'argomento dei ricorrenti dev'essere esaminato nell'ambito della
normativa comunitaria che si applica nel presente caso, in particolare alla luce delle
direttive 89/662 e 90/425, in quanto esse riguardano l'istituzione di misure di emergenza
che si rendono necessarie per prevenire qualsiasi pericolo all'atto dell'accertamento di una
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malattia epizotica, di qualsiasi nuova malattia grave e contagiosa, o di qualsiasi altra
causa che possa costituire un pericolo per gli animali o per la salute dell'uomo.
48. Va osservato in proposito che nessuna delle disposizioni di detta normativa impone
alla Commissione, al fine di istituire siffatte misure di emergenza, di seguire un
procedimento nell'ambito del quale i ricorrenti abbiano il diritto, di per sé o tramite i loro
rappresentanti, di essere sentiti. Quindi, gli interventi menzionati dai ricorrenti non
possono legittimarli ad agire in base all'art. 173, quarto comma, del Trattato.
49. Infine, i ricorrenti sostengono di aver concluso contratti di vendita di tori da
combattimento destinati a combattere in Spagna e in Francia nel corso della stagione di
tauromachia 1999, contratti la cui esecuzione è stata resa impossibile dalla decisione.
50. E' vero che la Corte e il Tribunale hanno già dichiarato ricevibili ricorsi di
annullamento proposti contro atti di natura normativa poiché esisteva una disposizione di
rango superiore che imponeva all'autore degli atti di tener conto della situazione specifica
del ricorrente (v. sentenze del Tribunale 14 settembre 1995, cause riunite T-480/93 e T483/93, Antillean Rice Mills e a./Commissione, Racc. pag. II-2305, punti 67-78, e 17
giugno 1998, causa T-135/96, UEAPME/Consiglio, Racc. pag. II-2335, punto 90),
potendo in taluni cassi l'esistenza di contratti stipulati da un ricorrente e toccati dall'atto
controverso configurare una siffatta situazione specifica (sentenze della Corte 17 gennaio
1985, causa 11/82, Piraiki-Patraiki e a./Commissione, Racc. pag. 207, punti 28-31, e
26giugno 1990, causa C-152/88, Sofrimport/Commissione, Racc. pag. I-2477, punti 1113).
51. Tuttavia, la presente fattispecie si distingue da quelle che hanno dato luogo alle
menzionate sentenze, in quanto un siffatto obbligo non sussiste nel caso in esame. Quindi
questo argomento non può essere accolto.
52. Di conseguenza non sussiste nel caso di specie il presupposto della ricevibilità
consistente nel fatto che i ricorrenti siano individualmente riguardati dall'atto
controverso.
53. Quindi i loro ricorsi devono essere dichiarati irricevibili.
Per questi motivi,
IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)
dichiara e statuisce:
I ricorsi sono irricevibili.
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10. Procedimento C-174/00,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, in
applicazione dell'art. 234 CE, dallo Hoge Raad der Nederlanden (Paesi Bassi), nella
causa dinanzi ad esso pendente tra
Kennemer Golf & Country Club
e
Staatssecretaris van Financiën,
domanda vertente sull'interpretazione dell'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta
direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle
legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune
di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1),
LA CORTE (Quinta Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con sentenza 3 maggio 2000, pervenuta in cancelleria il 9 maggio seguente, lo Hoge
Raad der Nederlanden (Corte suprema dei Paesi Bassi), ha sottoposto a questa Corte, in
virtù dell'art. 234 CE, tre questioni pregiudiziali relative all'interpretazione dell'art. 13,
parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977,77/388/CEE, in
materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla
cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme
(GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»).
2. Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia tra la Kennemer Golf
& Country Club (in prosieguo: la «Kennemer Golf») e lo Staatssecretaris van Financiën
in merito all'imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l'«IVA») a cui la Kennemer Golf
è stata assoggettata a motivo di alcune prestazioni effettuate nel contesto della pratica del
golf.
Contesto normativo
Disciplina comunitaria
3. L'art. 2 della sesta direttiva dispone:
«Sono soggette all'imposta sul valore aggiunto:
1. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all'interno del
paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;
2. le importazioni di beni».
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4. L'art. 4, n. 1, della sesta direttiva prevede:
«Si considera soggetto passivo chiunque esercita in modo indipendente e in qualsiasi
luogo una delle attività economiche di cui al paragrafo 2, indipendentemente dallo scopo
o dai risultati di detta attività».
5. Ai sensi dell'art. 13, parte A, n. 1, della sesta direttiva:
«Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle condizioni
da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste
in appresso e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:
(...)
m) talune prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o
dell'educazione fisica, fornite da organizzazioni senza scopo lucrativo alle persone che
esercitano lo sport o l'educazione fisica;
(...)».
6. Il n. 2 della medesima disposizione è redatto come segue:
«a) Gli Stati membri possono subordinare, caso per caso, la concessione, ad enti diversi
da quelli di diritto pubblico, di ciascuna delle esenzioni previste al paragrafo 1, lettere b),
g), h), i), l), m) e n) all'osservanza di una o più delle seguenti condizioni:
- gli enti di cui trattasi non devono avere per fine la ricerca sistematica del profitto: gli
eventuali profitti non dovranno mai essere distribuiti ma dovranno essere destinati al
mantenimento o al miglioramento delle prestazioni fornite;
(...)».
Disciplina nazionale
7. Ai sensi dell'art. 11, n. 1, del Wet op de Omzetbelasting 1968 (legge del 1968 sull'Iva,
Staatsblad 1968, n. 329; in prosieguo: la «Legge 1968») del 28 giugno 1968:
«Alle condizioni da stabilirsi mediante provvedimento amministrativo sono esenti da
imposta (...):
(...)
e) i servizi forniti ai propri membri da organizzazioni il cui scopo è la pratica o la
promozione dello sport, ad eccezione (...)
f) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi a carattere sociale o culturale, da
determinare mediante regolamenti amministrativi, purché l'imprenditore non persegua
uno scopo di lucro e l'esenzione non sia atta a distorcere la concorrenza a danno delle
imprese aventi fini di lucro».
8. Il provvedimento amministrativo, menzionato al n. 1 della legge richiamata al punto
precedente, è l'Uitvoeringsbesluit Omzetbelasting 1968 (decreto di esecuzione dell'Iva
1968, Staatsblad 1968, n. 423; in prosieguo: il «decreto di esecuzione») del 12 agosto
1968. Esso prevede, al suo art. 7, n. 1, e al suo allegato B, che sono in particolare
considerate come cessioni di beni e prestazioni di servizi esenti:
«b) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi [a carattere sociale o culturale] effettuate
in quanto tali dalle organizzazioni di seguito elencate, purché esse non abbiano scopo di
lucro:
(...)
21. le organizzazioni che si occupano di fornire l'opportunità di praticare sport, solo per
tali prestazioni».
Causa principale e questioni pregiudiziali
9. La Kennemer Golf è un'associazione di diritto olandese che ha circa 800 soci. Essa ha
come scopo, ai sensi del suo statuto, la pratica e la promozione dello sport e di giochi, in
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particolare del golf. A tal fine, essa possiede nel territorio del comune di Zaandvoort
(Paesi Bassi) impianti comprendenti in particolare un campo per il golf e una sede del
club.
10. I soci della Kennemer Golf devono versare contributi annuali, nonché una quota di
ingresso e sono tenuti a partecipare ad un prestito obbligazionario senza interessi emesso
dalla Kennemer Golf.
11. Oltre all'uso degli impianti da parte dei soci della Kennemer Golf, le persone che non
sono soci della stessa possono fare uso del campo da golf e dei relativi impianti pagando
un contributo giornaliero. Dal fascicolo risulta che la Kennemr Golf percepisce in tale
maniera somme relativamente cospicue, che ammontano a circa un terzo degli importi
versati dai membri a titolo dei contributi annuali.
12. Nel corso degli anni che hanno preceduto l'esercizio fiscale 1994, la Kennemr Golf
chiudeva lo stato degli attivi e dei passivi con un saldo attivo, che è stato in seguito
contabilizzato in quanto fondo di riserva come accantonamento per le spese non annuali.
Ciò si è verificato anche per l'esercizio di cui trattasi nella causa principale, vale a dire
per l'esercizio 1994.
13. Ritenendo che le prestazioni fornite ai soggetti non soci della Kennemer Golf della
fossero esenti dall'IVA in virtù dell'art. 11, n. 1, lett. f) della Legge 1968 e dell'art. 7, n. 1,
nonché dell'allegato B, lett. b), punto 21, del decreto di esecuzione, la Kennemer Golf
non ha versato, per l'esercizio fiscale 1994, l'IVA relativa a queste prestazioni. Tuttavia, il
fisco ha considerato che la Kennemer Golf perseguiva in realtà uno scopo lucrativo e ha
proceduto ex post all'imposizione dell'IVA relativa a tali prestazioni.
14. La Kennemer Golf, avendo il fisco respinto il reclamo da essa presentato contro detta
decisione, ha proposto un ricorso davanti al Gerechtshof te Amsterdam (Corte di appello
di Amsterdam, Paesi Bassi). Tale giudice ha rigettato il ricorso con cui era stato adito per
il motivo che, qualora la Kennemer Golf realizzasse utili sistematicamente, si presumeva
che la stessa tentasse di produrre eccedenze di gestione e perseguisse uno scopo lucrativo.
15. La Kennemer Golf ha presentato un ricorso per cassazione avverso detta sentenza del
Gerechtshof te Amsterdam dinanzi allo Hoge Raad der Nederlanden. Questo, ritenendo
che la soluzione della controversia dipenda dall'interpretazione delle disposizioni
nazionali in materia di IVA alla luce delle corrispondenti disposizioni della sesta
direttiva, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:
«1. a) Se, per stabilire se un'organizzazione abbia scopo lucrativo, ai sensi dell'art. 13,
parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva, si debba tenere conto solo dei risultati delle
prestazioni di servizi menzionate in tale disposizione, oppure debbano essere presi in
considerazione anche i risultati delle altre prestazioni fornite in aggiunta
dall'organizzazione.
b) Nell'ipotesi in cui con riferimento allo scopo lucrativo si debba unicamente tener conto
delle prestazioni di servizi offerte dall'organizzazione ai sensi dell'art. 13, parte A, n. 1,
lett. m), della sesta direttiva e non del risultato globale dell'organizzazione, se debbano
essere presi in considerazione solo i costi direttamente occasionati dalla prestazione di
tali servizi, oppure anche una parte degli altri costi dell'organizzazione.
2. a) Se si sia in presenza di un nesso diretto, come inteso, tra le altre sentenze, nella
sentenza della Corte 8 marzo 1988, causa 102/86, Apple and Pear Development
Council/Commissioners of Customs and Excise, Racc. pag. 1443, riguardo ai contributi
di un'associazione che offre ai propri soci, conformemente al fine statutario, la possibilità
di praticare uno sport in un contesto associativo, e, in caso di soluzione negativa, se
l'associazione, nell'ipotesi in cui oltre a ciò offra altre prestazioni per le quali riceva
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invece un diretto corrispettivo, debba essere considerata in tal caso solo in tali limiti
soggetto passivo di imposta ai sensi dell'art. 4, n. 1, della sesta direttiva.
b) Se, anche nel caso in cui non esista un nesso diretto tre le diverse prestazioni
dell'associazione a favore dei propri soci e i contributi versati da questi ultimi, si debba
includere tra gli introiti di un'organizzazione costituita in forma di associazione, da
prendere in considerazione per determinare se esista lo scopo lucrativo di cui alla prima
questione, il totale dei contributi annuali dei soci ai quali l'associazione, conformemente
al fine statutario, offre l'opportunità di praticare uno sport.
3. Se la circostanza che un'organizzazione impieghi gli utili da essa sistematicamente
perseguiti a favore delle sue prestazioni consistenti nell'offrire la possibilità di praticare
un tipo di sport, ai sensi dell'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva, giustifichi
la conclusione che tale organizzazione non persegue fini di lucro ai sensi della detta
disposizione; oppure se tale conclusione sia ammissibile solo nel caso in cui la ricerca di
utili di gestione sia solo occasionale, e non sistematica, e tali utili vengano impiegati nel
senso menzionato. Se, per risolvere tali questioni si debba tener conto anche del disposto
dell'art. 13, parte A, n. 2, [lett. a),] primo trattino, della sesta direttiva, e in caso di
soluzione affermativa, in quale senso debba essere interpretata tale disposizione; in
particolare, se nella seconda parte di tale disposizione tra le espressioni eventuali e
profitti si debba leggere sistematici oppure e solo occasionali».
Sulla prima questione
16. Con la sua prima questione, sub a), il giudice del rinvio domanda in sostanza se l'art.
13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che la
qualificazione di un'organizzazione come «senza scopo lucrativo» debba essere effettuata
prendendo in considerazione le sole prestazioni considerate in tale disposizione oppure
tenendo conto dell'insieme delle attività di tale organizzazione.
17. Secondo il governo olandese occorre fare riferimento alla specifiche prestazioni
previste dalla detta disposizione della sesta direttiva. Se non fosse così, si potrebbero
avere risultati irragionevoli e potrebbero essere incoraggiati frodi od abusi. Tale
impostazione sarebbe conforme all'economia generale del sistema comune dell'IVA, che
ogni volta riguarderebbe un'operazione concreta e non colui che esegue la prestazione.
18. Al riguardo si deve costatare che, come hanno osservato sia il governo del Regno
Unito sia la Commissione, dalla lettera dell'art. 13, parte A, n. 1, lett. m) della sesta
direttiva risulta che esso riguarda in maniera esplicita talune «prestazioni [...] fornite da
organizzazioni senza scopo lucrativo» e che nessuna delle versioni linguistiche di questa
disposizione presenta una formulazione da cui possa risultare, in ragione dell'ambiguità
della stessa, che l'espressione «senza scopo lucrativo» si riferisca alle prestazioni e non
alle organizzazioni.
19. D'altronde, l'insieme delle esenzioni elencate dall'art. 13, parte A, n. 1, lett. h)-p),
della sesta direttiva riguarda organizzazioni che agiscono nel pubblico interesse in un
settore sociale, culturale, religioso e sportivo o in un settore simile. L'obiettivo di tali
esenzioni è dunque un trattamento più favorevole, in materia di IVA, di alcune
organizzazioni le cui attività sono orientate verso finalità non commerciali.
20. L'interpretazione suggerita dal governo olandese, secondo la quale occorre prendere
in considerazione le sole prestazioni effettuate ai fini sopra menzionati, avrebbe come
conseguenza, come al paragrafo 23 delle sue conclusioni ha osservato l'avvocato
generale, che imprese commerciali, che di regola operano con uno scopo lucrativo,
potrebbero in linea di principio del pari chiedere l'esenzione dall'IVA quando effettuano,
eccezionalmente, prestazioni qualificabili come «senza scopo lucrativo». Un risultato del
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genere non può tuttavia essere conforme alla lettera e allo spirito della disposizione
oggetto della causa principale.
21. Se la qualificazione di un'organizzazione come «senza scopo lucrativo» deve essere
effettuata prendendo in considerazione tale organizzazione e non le prestazioni che essa
effettua ai sensi dell'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva, ne consegue che,
per determinare se un'organizzazione del genere soddisfi i requisiti prescritti da tale
disposizione, occorre tenere conto dell'insieme delle sue attività, comprese quelle che
essa fornisce come complemento dei servizi considerati dalla disposizione stessa.
22. La prima questione sub a) va quindi risolta dichiarando che l'art. 13, parte A, n. 1, lett.
m), della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che la qualificazione di
un'organizzazione come «senza scopo lucrativo» deve essere effettuata prendendo in
considerazione l'insieme delle attività della stessa.
23. Alla luce di questa soluzione, non è necessario risolvere la prima questione, sub b).
Sulla terza questione
24. Con la terza questione, che occorre esaminare prima della seconda a motivo dello
stretto collegamento che essa presenta con la prima questione, il giudice del rinvio chiede
in sostanza se l'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva, in combinato disposto
con il n. 2, lett. a), primo trattino, di questa disposizione, debba essere interpretato nel
senso che un'organizzazione possa essere qualificata come «senza scopo lucrativo»,
anche se essa tende sistematicamente a produrre eccedenze, che vengono in seguito dalla
stessa destinate all'esecuzione delle sue prestazioni.
25. Mentre i governi finlandese e del Regno Unito, nonché la Commissione, sostengono
che occorre prendere in considerazione il fatto che l'organizzazione in oggetto tenda ad
un profitto e non la circostanza che lo realizzi, anche abitualmente, il governo olandese fa
valere che l'esenzione dall'IVA non deve essere concessa quando profitti vengono
realizzati sistematicamente. L'esenzione sarebbe applicabile solamente nel caso di
eccedenze realizzate in via occasionale o meramente incidentale.
26. Al tale riguardo, si deve rilevare, in via preliminare, come dall'art. 13, parte A, n. 1,
lett. m), della sesta direttiva risulti che la qualificazione di un'organizzazione «senza
scopo lucrativo», ai sensi di questa disposizione, deve essere effettuata in relazione allo
scopo perseguito da questa, vale a dire tale organizzazione non deve mirare a produrre
profitti per i suoi soci, contrariamente alla finalità di un'impresa commerciale [v., a
proposito dell'esenzione prevista dall'art. 13, parte A, n. 1, lett. n), della sesta direttiva,
l'odierna sentenza, causa C-267/00, Zoological Society of London, non ancora pubblicata
nella Raccolta, punto 17]. Il fatto che la finalità dell'organizzazione che possa beneficiare
dell'esenzione dall'IVA costituisca il criterio di valutazione per la concessione di questo
vantaggio è chiaramente confermato dalla maggior parte delle altre versioni linguistiche
del detto art. 13, parte A, n. 1, lett. m), nelle quali si menziona esplicitamente che tale
organizzazione deve essere priva di scopo lucrativo (v, oltre alla versione francese, anche
le versioni tedesca - «Gewinnstreben» -, olandese - «winst oogmerk» -, italiana - «senza
scopo lucrativo» -, e spagnola - «sin fin lucrativo» -).
27. Spetta agli organi nazionali competenti in materia determinare se, alla luce
dell'oggetto statutario dell'organizzazione in questione, nonché delle circostanza concrete
di un dato caso di specie, un'organizzazione soddisfi i requisiti atti a conferirle la
qualificazione di organizzazione «senza scopo lucrativo».
28. Una volta accertato che ciò si verifica, il fatto che un'organizzazione realizzi del pari
profitti, anche se da essa perseguiti o prodotti sistematicamente, non può porre in
discussione la qualificazione iniziale di tale organizzazione fintanto che tali profitti non
siano distribuiti come utili ai soci dell'organizzazione stessa. E' certo che l'art. 13, parte
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A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva non impedisce alle organizzazioni considerate da
questa disposizione di chiudere il loro esercizio con un saldo attivo. Altrimenti, come ha
rilevato in particolare il governo del Regno Unito, organizzazioni del genere sarebbero
impossibilitate a creare riserve destinate a pagare la manutenzione e i futuri
miglioramenti dei loro impianti.
29. Il giudice del rinvio formula inoltre dubbi quanto al punto se tale interpretazione
possa essere fatta salva in casi nei quali l'organizzazione cerchi sistematicamente di
realizzare eccedenze. Egli si riferisce al riguardo all'art. 13, parte A, n. 2, lett. a), primo
trattino, della sesta direttiva che sembrerebbe negare l'esenzione dall'IVA quando
un'organizzazione miri sistematicamente a realizzare profitti.
30. Circa tale ultima disposizione, si deve immediatamente rilevare che essa enuncia una
condizione facoltativa, che gli Stati membri sono liberi di imporre, come condizione
supplementare, per la concessione di talune esenzioni di cui all'art. 13, parte A, n. 1, della
sesta direttiva, tra cui figura l'esenzione prevista in questa stessa disposizione alla lett. m),
la quale riguarda la causa principale. Sembra che il legislatore olandese richieda il
rispetto di tale condizione facoltativa per accordare il beneficio della detta esenzione.
31. Per quanto riguarda l'interpretazione della detta condizione facoltativa, il governo
olandese fa valere che l'esenzione deve essere negata quando un'organizzazione mira
sistematicamente a realizzare eccedenze. Il governo finlandese e del Regno Unito, nonché
la Commissione, ritengono tuttavia che la ricerca sistematica del profitto non sia decisiva
se risulta sia dalle circostanze del caso di specie, sia dal tipo di attività effettivamente
esercitata da un'organizzazione che quest'ultima opera conformemente al suo oggetto
statutario e che questo è privo di scopo lucrativo.
32. Al riguardo, occorre osservare che la prima condizione prevista dall'art. 13, parte A,
n. 2, lett. a), primo trattino, della sesta direttiva, cioè il divieto, per una data
organizzazione, di avere per scopo la ricerca sistematica del profitto, si riferisce
chiaramente, nella versione francese di questa disposizione, al «profit», mentre le altre
due condizioni enunciate da questa, cioè il divieto di distribuire profitti e il requisito della
destinazione degli stessi al mantenimento o al miglioramento delle prestazioni fornite, si
riferiscono ai «bénéfices».
33. Benché tale distinzione non si ritrovi in tutte le altre versioni linguistiche della sesta
direttiva, essa è confermata dall'obiettivo delle disposizioni dell'art. 13, parte A, di questa.
Infatti, come ai paragrafi 57-61 delle sue conclusioni ha osservato l'avvocato generale, si
oppongono alla qualificazione di un'organizzazione come «senza scopo lucrativo» non i
profitti («bénéfices»), nel senso di eccedenze che si producono alla finedi un esercizio,
ma gli utili nel senso di vantaggi pecuniari per i soci dell'organizzazione stessa. Ne
risulta, come fa valere anche la Commissione, che la condizione espressa nell'art. 13,
parte A, n. 2, lett. a), primo trattino, della sesta direttiva coincide essenzialmente, con il
criterio di organizzazione senza scopo lucrativo quale figura nell'art. 13, parte A, n. 1,
lett. m), di questa.
34. Il governo olandese fa valere che un'interpretazione del genere non terrebbe conto del
fatto che l'art. 13, parte A, n. 2, lett. a), primo trattino, deve, in quanto condizione
supplementare, necessariamente avere un contenuto che vada oltre quello della
disposizione di base. Al riguardo è sufficiente osservare che tale condizione non si
riferisce solamente all'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva, ma anche a
numerose altre esenzioni obbligatorie che hanno un diverso contenuto.
35. Di conseguenza, la terza questione va risolta dichiarando che l'art. 13, parte A, n. 1,
lett. m), della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che un'organizzazione può
essere qualificata come «senza scopo lucrativo», anche se essa tende sistematicamente a
produrre eccedenze, che in seguito vengono dalla stessa destinate all'esecuzione delle sue
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prestazioni. La prima parte della condizione facoltativa che figura all'art. 13, parte A, n.
2, lett. a), primo trattino, della sesta direttiva deve essere interpretata allo stesso modo.
Sulla seconda questione
36. Con la prima parte della seconda questione, sub a), il giudice del rinvio chiede in
sostanza se l'art. 2, n. 1, della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che i
contributi annuali dei soci di un'associazione sportiva possono costituire il corrispettivo
delle prestazioni di servizi fornite dalla stessa, anche quando i soci che non utilizzano gli
impianti dell'associazione o non li utilizzano regolarmente sono comunque tenuti a
versare il loro contributo annuale.
37. Il giudice del rinvio si riferisce al riguardo alla giurisprudenza della Corte, in
particolare al punto 12 della citata sentenza Apple and Pear Development Council, nella
quale la Corte ha statuito che la nozione di prestazione di servizi effettuata a titolo
oneroso, ai sensi dell'art. 2, punto 1, della sesta direttiva, presuppone l'esistenza di un
nesso diretto fra il servizio reso e il corrispettivo ricevuto. Il giudice del rinvio nutre
dubbi sull'esistenza di tale nesso diretto in circostanze come quelle della causa principale.
38. Secondo il governo olandese, un nesso diretto tra il contributo dei soci
dell'associazione e le prestazioni fornite dalla stessa manca in circostanze come quelle
alla causa principale. L'art. 2, punto 1, della sesta direttiva, come interpretato dalla Corte,
richiederebbe che un servizio concreto sia direttamente retribuito, il che non avverrebbe
quando alcuni soci di un club sportivo non ricorrono alle prestazioni offerte da questo e
ciononostante pagano il loro contributo annuale.
39. Al riguardo, dalla giurisprudenza della Corte risulta che la base imponibile di una
prestazione di servizi è costituita da tutto ciò che è ricevuto quale corrispettivo del
servizio fornito e che una prestazione di servizi è imponibile solo quando esista un nesso
diretto fra il servizio prestato e il controvalore ricevuto (sentenze Apple and Pear
Development Council, già citata, punti 11 e 12, nonché 3 marzo 1994, causa C-16/93,
Tolsma, Racc. pag. I-743, punto 13). Una prestazione configura pertanto un'operazione
imponibile soltanto quando tra il prestatore e l'utente intercorra un rapporto giuridico
nell'ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, nel quale il
compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato
all'utente (precitata sentenza Tolsma, punto 14).
40. Nella causa pendente dinanzi al giudice del rinvio, come sostiene la Commissione, la
circostanza che il contributo annuale sia forfettario e non possa essere riferito ad ogni
utilizzazione personale del campo da golf non incide per nulla sul fatto che prestazioni
reciproche sono scambiate tra i soci di un'associazione sportiva, come quella in questione
nella causa principale, e l'associazione stessa. Infatti, le prestazioni dell'associazione
consistono nell'offerta ai suoi soci, in maniera permanente, degli impianti sportivi e dei
vantaggi ad essi relativi e non in prestazioni puntuali effettuate su richiesta dei soci stessi.
Vi è dunque un nesso diretto tra i contributi annuali dei soci di un'associazione sportiva
come quella considerata nella causa principale e le prestazioni dalla stessa fornite.
41. D'altronde, come giustamente fa valere il governo del Regno Unito, la tesi sostenuta
dal governo olandese comporterebbe che la quasi totalità dei prestatori di servizi potrebbe
sottrarsi al versamento dell'IVA ricorrendo a prezzi forfettari e disattendere così i principi
d'imposizione che costituiscono il fondamento del sistema comune dell'IVA istituito dalla
sesta direttiva.
42. La prima parte della seconda questione, sub a), va quindi risolta dichiarando che l'art.
2, punto 1, della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che i contributi annuali
dei soci di un'associazione sportiva, come quella considerata nella causa principale,
possono costituire il corrispettivo delle prestazioni di servizi fornite dalla stessa, anche
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quando i soci che non utilizzano gli impianti dell'associazione o non li utilizzano
regolarmente sono comunque tenuti a versare il loro contributo annuale.
43. Alla luce di questa soluzione, non è più necessario risolvere la seconda parte della
seconda questione, sub a), né la medesima questione, sub b).
Per questi motivi,
LA CORTE (Quinta Sezione)
dichiara:
1) L'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977,
77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative
alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base
imponibile uniforme, deve essere interpretato nel senso che la qualificazione di
un'organizzazione come organizzazione «senza scopo lucrativo» deve essere effettuata
prendendo in considerazione l'insieme delle attività della stessa.
2) L'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva 77/388 deve essere interpretato nel
senso che un'organizzazione può essere qualificata come organizzazione «senza scopo
lucrativo», anche se essa tende sistematicamente a produrre eccedenze, che in seguito
vengono dalla stessa destinate all'esecuzione delle sue prestazioni. La prima parte della
condizione facoltativa che figura all'art. 13, parte A, n. 2, lett. a), primo trattino, della
sesta direttiva 77/388 deve essere interpretata allo stesso modo.
3) L'art. 2, punto 1, della sesta direttiva 77/388 deve essere interpretato nel senso che i
contributi annuali dei soci di un'associazione sportiva, come quella considerata nella
causa principale, possono costituire il corrispettivo delle prestazioni di servizi fornite
dalla stessa, anche quando i soci che non utilizzano gli impianti dell'associazione o non li
utilizzano regolarmente sono comunque tenuti a versare il loro contributo annuale.
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11. Cause riunite T-185/00, T-216/00, T-299/00 e T-300/00,
Métropole télévision SA (M6),
ricorrente nella causa T-185/00,
Antena 3 de Televisión, SA, con sede in Madrid (Spagna)
ricorrente nella causa T-216/00,
Gestevisión Telecinco, SA, con sede in Madrid,
ricorrente nella causa T-299/00,
SIC - Sociedade Independente de Comunicação, SA, con sede in Linda-a-Velha
(Portogallo), ricorrente nella causa T-300/00,
sostenute da
Deutsches SportFernsehen GmbH (DSF), con sede in Ismaning (Germania),
interveniente nella causa T-299/00,
e da
Reti Televisive Italiane Spa (RTI), con sede in Roma,
interveniente nella causa T-300/00,
contro
Commissione delle Comunità europee,
convenuta,
sostenuta da
Union européenne de radio-télévision (UER), con sede in Grand-Saconnex (Svizzera),
interveniente nelle cause T-185/00, T-216/00, T-299/00 e T-300/00,
e da
Radiotelevisión Española (RTVE), con sede in Madrid,
interveniente nelle cause T-216/00 e T-299/00,
avente ad oggetto la domanda di annullamento della decisione della Commissione 10
maggio 2000, 2000/400/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell'articolo 81 del
Trattato CE (IV/32.150 - Eurovisione) (GU L 151, pag. 18),
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione ampliata),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
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L'Unione europea di radiotelevisione e il sistema dell'Eurovisione
1. L'Unione europea di radiotelevisione (in prosieguo: l'«UER») è un'associazione
professionale tra enti radiotelevisivi senza scopo di lucro, costituita nel 1950 e con sede
in Ginevra (Svizzera). Conformemente all'art. 2 del suo statuto, come modificato il 3
luglio 1992, l'UER persegue lo scopo di rappresentare gli interessi dei propri membri in
materia di programmazione, nelle questioni giuridiche e tecniche come anche in altri
settori; in particolare, essa non solo promuove in ogni modo - ad esempio con
l'Eurovisione e con l'Euroradio - gli scambi di programmi radiofonici e televisivi ed ogni
altra forma di cooperazione tra i suoi membri e con gli altri enti o consorzi di enti di
radiodiffusione, ma assiste anche i membri attivi in ogni genere di trattative e, su
richiesta, conduce negoziati per loro conto.
2. L'Eurovisione costituisce l'ambito principale degli scambi di programmi tra i membri
attivi dell'UER. Essa esiste dal 1954 ed attua una parte essenziale degli obiettivi
dell'UER. Ai sensi dell'art. 3, n. 6, dello statuto dell'UER, nella sua stesura del 3 luglio
1992: «L'Eurovisione è un sistema di scambi di programmi televisivi, organizzato e
coordinato dall'UER, basato sull'impegno dei membri di offrirsi mutualmente, a
condizione di reciprocità, (...) la trasmissione degli avvenimenti sportivi e culturali che si
svolgono nel territorio nazionale, in quanto possono interessare gli altri membri
dell'Eurovisione, consentendo così la fornitura reciproca di un servizio di alta qualità in
questi campi al rispettivo pubblico nazionale». Sono soci dell'Eurovisione i membri attivi
dell'UER, nonché i consorzi di membri attivi di questo. Tutti i membri attivi dell'UER
possono partecipare ad un sistema di acquisizione in comune e di ripartizione dei diritti
televisivi (e dei costi relativi) per le manifestazioni sportive internazionali, denominati
«diritti dell'Eurovisione».
3. Per divenire membro attivo un ente di radiodiffusione deve soddisfare le condizioni
concernenti, in particolare, il tasso di copertura nazionale, la natura e il finanziamento
della programmazione (in prosieguo: i «criteri di adesione»).
4. Fino al 1° marzo 1988 il beneficio dei servizi dell'UER e dell'Eurovisione era riservato
ai membri della medesima. La modifica dello statuto dell'UER nel 1988 ha nel frattempo
aggiunto all'art. 3 un nuovo numero (n. 7 nella versione attuale), che prevede un accesso
contrattuale all'Eurovisione di cui potrebbero beneficiare sia i membri associati, sia i non
aderenti all'UER.
I ricorrenti
5. La Métropole télévision (in prosieguo: la «M6») è una società di diritto francese che
gestisce un servizio televisivo a diffusione nazionale trasmesso in chiaro via etere con
frequenze terrestri, nonché via cavo e via satellite.
6. Dal 1987 la M6 ha presentato per sei volte un fascicolo di candidatura all'UER. In
ciascuna occasione la sua candidatura è stata respinta in quanto non soddisfaceva i criteri
di adesione previsti dallo statuto dell'UER. Il 5 dicembre 1997, a seguito dell'ultimo
diniego da parte dell'UER, la M6 presentava una denuncia alla Commissione in cui
rendeva nota la posizione dell'UER nei suoi confronti e, in particolare, il rifiuto opposto
alle sue domande di ammissione. Con decisione 29 giugno 1999 la Commissione
rigettava la denuncia. Il Tribunale, con sentenza 21 marzo 2001, causa T-206/99,
Métropole télévision/Commissione (Racc. pag. II-1057), annullava tale decisione di
rigetto per difetto di motivazione e violazione degli obblighi incombenti alla
Commissione in materia di esame delle denunce.
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7. Nel frattempo, il 6 marzo 2000, la M6 presentava una nuova denuncia dinanzi alla
Commissione, con la quale le chiedeva di dichiarare i criteri di adesione all'UER, come
modificati nel 1998, restrittivi della concorrenza e inidonei all'esenzione ai sensi dell'art.
81, n. 3, CE. Con lettera 12 settembre 2000, la Commissione rigettava tale denuncia. La
ricorrente presentava un ricorso volto all'annullamento di tale rigetto. Con ordinanza del
Tribunale 25 ottobre 2001, causa T-354/00, M6/Commissione (Racc. pag. II-3177), il
ricorso è stato dichiarato irricevibile.
8. L'Antena 3 de Televisión, SA (in prosieguo: l'«Antena 3»), è una società di diritto
spagnolo, costituita il 7 giugno 1988, che ha ottenuto dall'autorità spagnola competente
una concessione per la gestione indiretta del servizio pubblico televisivo.
9. Con atto 27 marzo 1990, l'Antena 3 depositava la propria candidatura all'UER. La
decisione di rifiuto adottata dal consiglio d'amministrazione dell'UER le veniva
comunicata con lettera 3 giugno 1991.
10. La Gestevisión Telecinco, SA (in prosieguo: la «Telecinco»), è una società di diritto
spagnolo che gestisce un canale televisivo terrestre a diffusione nazionale trasmesso in
chiaro. Conformemente all'ordinamento giuridico spagnolo, tale impresa è uno dei tre
operatori privati ai quali le autorità spagnole hanno accordato, nel 1989, una concessione
decennale per la gestione indiretta del servizio pubblico televisivo. Tale concessione è
stata rinnovata alla Telecinco per un periodo supplementare di dieci anni.
11. La SIC - Sociedade Independente de Communicação, SA (in prosieguo: la «SIC»), è
una società di diritto portoghese, avente come scopo l'esercizio di attività nel settore
televisivo, la quale gestisce, dal mese di ottobre 1992, una delle principali emittenti
televisive a diffusione nazionale trasmesse in chiaro in Portogallo.
Fatti all'origine della controversia
12. A seguito di denuncia 17 dicembre 1987 presentata dalla società Screensport, la
Commissione indagava sulla compatibilità con l'art. 81 CE delle norme sull'acquisizione
collettiva e sulla ripartizione di diritti televisivi relativi ad avvenimenti sportivi nel
sistema dell'Eurovisione. La denuncia verteva, in particolare, sul rifiuto dell'UER e dei
suoi membri di concedere delle sublicenze per talune manifestazioni sportive. Il 12
dicembre 1988 la Commissione inviava all'UER una comunicazione degli addebiti
riguardanti le norme che disciplinano l'acquisizione e l'uso nell'ambito del sistema
dell'Eurovisione dei diritti televisivi per manifestazioni sportive, i quali sono in genere di
natura esclusiva. La Commissione si dichiarava disposta a considerare un'esenzione a
favore di dette norme purché l'obbligo di concedere sublicenze ai non aderenti fosse
previsto per una parte sostanziale dei diritti in questione e a condizioni ragionevoli.
13. Il 3 aprile 1989 l'UER notificava alla Commissione le sue disposizioni statutarie e
altre norme sull'acquisizione dei diritti televisivi per manifestazioni sportive, sullo
scambio di programmi sportivi nell'ambito dell'Eurovisione e sull'accesso contrattuale dei
terzi a tali programmi, al fine di ottenere un'attestazione negativa o, in mancanza,
un'esenzione ex art. 81, n. 3, CE.
14. Dopo la modifica, da parte dell'UER, delle norme che permettevano di ottenere
sublicenze per i programmi di cui trattasi (il «regime d'accesso dei non aderenti all'UER
del 1993»; in prosieguo: il «regime delle sublicenze»), la Commissione adottava, in data
11 giugno 1993, la decisione 93/403/CEE, relativa ad un procedimento ai sensi
dell'articolo [81] del Trattato CEE (IV/32.150 - UER/Sistema Eurovisione) (GU L 179,
pag. 23), ai sensi della quale l'istituzione accordava un'esenzione in forza del n. 3 del
precitato articolo. Tale decisione veniva annullata con sentenza del Tribunale 11 luglio
1996, cause riunite T-528/93, T-542/93, T-543/93 e T-546/93, Métropole télévision e
a./Commissione (Racc. pag. II-649).
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15. Successivamente, il 26 marzo 1999, su richiesta della Commissione, l'UER adottava e
sottoponeva a quest'ultima alcune norme che avrebbero permesso l'accesso ai diritti
dell'Eurovisione sfruttati sui canali televisivi a pagamento (le «norme relative alla
concessione di sublicenze per lo sfruttamento dei diritti dell'Eurovisione sui canali
televisivi a pagamento del 26 marzo 1999»; in prosieguo: le «norme relative alla
concessione di sublicenze»).
16. Il 10 maggio 2000 la Commissione ha adottato la decisione 2000/400/CE, relativa ad
un procedimento ai sensi dell'articolo 81 del Trattato CE (Caso IV/32.150 - Eurovisione)
(GU L 151, pag. 18; in prosieguo: la «decisione impugnata»), con la quale la
Commissione ha accordato una nuova esenzione sulla base del n. 3 dell'articolo succitato.
17. All'art. 1 della decisione impugnata la Commissione dichiara che, ai sensi,
segnatamente, dell'art. 81, n. 3, CE, le disposizioni dell'art. 81, n. 1, CE non si applicano,
a decorrere dal 26 febbraio 1993 e fino al 31 dicembre 2005, ai seguenti accordi notificati
aventi ad oggetto:
a) l'acquisizione collettiva di diritti relativi alla trasmissione televisiva di avvenimenti
sportivi;
b) la ripartizione dei predetti diritti acquisiti collettivamente;
c) lo scambio del segnale per le manifestazioni sportive;
d) il regime delle sublicenze;
e) le norme relative alla concessione di sublicenze.
18. Il regime delle sublicenze e le norme relative alla concessione di queste ultime
costituiscono insieme il regime di accesso dei non aderenti al sistema dell'Eurovisione.
19. Nell'ambito del regime delle sublicenze, la decisione impugnata prevede quanto
segue:
«[L']UER e i suoi membri concedono agli enti di radiodiffusione non aderenti
all'organizzazione un accesso estensivo ai programmi sportivi dell'Eurovisione, i cui
diritti siano stati acquisiti a titolo esclusivo mediante negoziazione collettiva. [Tale
regime] accorda la possibilità a terzi di accedere a diritti di trasmissione in diretta ed in
differita in relazione a diritti sportivi dell'Eurovisione acquisiti collettivamente. Ai terzi è
accordato in particolare l'accesso in ampia misura ai diritti non utilizzati, ossia il diritto di
trasmettere manifestazioni sportive che gli aderenti all'UER non diffondono o
trasmettono solo in minima parte. I termini e le condizioni d'accesso sono negoziati
liberamente tra l'UER (per i canali transfrontalieri) o il membro/i membri del paese
interessato (per i canali nazionali) e l'ente non aderente al sistema (...)» (punto 28 della
decisione impugnata).
20. Nel quadro delle norme relative alla concessione di sublicenze, la decisione
impugnata precisa che un non aderente all'UER ha la possibilità di acquistare diritti
televisivi al fine di trasmettere sul proprio canale a pagamento manifestazioni identiche o
analoghe a quelle proposte dai membri dell'Eurovisione sulle proprie emittenti televisive
a pagamento. I canoni pagati dai non aderenti devono riflettere equamente le condizioni
di acquisizione di tali diritti da parte del membro dell'Eurovisione [allegato II, punto iii),
della decisione impugnata].
21. La dichiarazione di esenzione di cui all'art. 1 della decisione impugnata è subordinata
ad una condizione e ad un onere. La condizione impone all'UER e ai suoi aderenti di
acquisire collettivamente i diritti per la trasmissione televisiva di avvenimenti sportivi
solo nel quadro di accordi che consentano loro di concedere a terzi l'accesso ai predetti
diritti in conformità al regime delle sublicenze e alle norme relative alla concessione di
sublicenze, o a condizioni più favorevoli per i non aderenti, previa autorizzazione da
parte dell'UER. L'onere impone all'UER l'obbligo di comunicare alla Commissione
qualsiasi modifica od integrazione del regime delle sublicenze e delle norme relative alla
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concessione di sublicenze, nonché qualsiasi procedura di arbitrato in relazione a
controversie inerenti a tale regime o a tali norme (art. 2 della decisione impugnata).
Procedimento e conclusioni delle parti
22. La M6, l'Antena 3, la SIC e la Telecinco hanno proposto i propri ricorsi con atti
introduttivi depositati presso la cancelleria del Tribunale, rispettivamente, il 13 luglio, il
21 agosto, il 18 e il 19 settembre 2000.
23. Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale il 5, il 17 e il 26 gennaio 2001,
l'UER e la Radiotelevisión Española (in prosieguo: la «RTVE») hanno chiesto di poter
intervenire, rispettivamente, nelle cause T-185/00, T-216/00, T-299/00 e T-300/00, e
nelle cause T-216/00 e T-299/00, a sostegno delle conclusioni della convenuta. Tali
domande sono state accolte con ordinanze del presidente della Quarta Sezione del
Tribunale 7 febbraio, 29 marzo e 7 maggio 2001.
24. Con lettera 22 febbraio 2001, la SIC ha depositato presso la cancelleria del Tribunale
una domanda di trattamento riservato relativamente ad alcuni elementi del ricorso. Il
Tribunale, con ordinanza del presidente della Quarta Sezione 30 aprile 2001, ha accolto
tale richiesta.
25. Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale il 7 e il 13 marzo 2001, la DSF
Deutsches SportFernsehen GmbH (in prosieguo: la «DSF») e la Reti Televisive Italiane
Spa (in prosieguo: la «RTI») hanno chiesto di poter intervenire, rispettivamente, nelle
cause T-299/00 e T-300/00, a sostegno delle conclusioni della ricorrente. Tali domande
sono state accolte con ordinanze del presidente della Quarta Sezione del Tribunale 7
maggio e 7 giugno 2001.
26. A causa di una modifica nella composizione delle sezioni del Tribunale incorsa a
partire dal 20 settembre 2001, il giudice relatore è stato assegnato alla Seconda Sezione e
le presenti cause sono state, di conseguenza, attribuite a tale Sezione.
27. Con decisione del Tribunale 20 febbraio 2002, le cause sono state rinviate ad una
sezione composta da cinque giudici.
28. Con ordinanza 25 febbraio 2002, il presidente della Seconda Sezione ampliata ha
riunito le quattro cause ai fini della fase orale del procedimento e della sentenza in
attuazione dell'art. 50 del regolamento di procedura del Tribunale.
29. Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione ampliata) ha deciso
di passare alla fase orale. Nell'ambito delle misure di organizzazione del procedimento
esso ha invitato le parti a produrre taluni documenti e a rispondere per iscritto a taluni
quesiti.
30. Le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti del Tribunale
all'udienza del 13 e 14 marzo 2001.
31. Nella causa T-185/00, la M6 conclude che il Tribunale voglia:
- annullare la decisione impugnata;
- condannare la Commissione alle spese;
- condannare l'UER alle spese dell'intervento.
32. Nella causa T-216/00, l'Antena 3 conclude che il Tribunale voglia:
- ordinare alla Commissione di allegare diversi documenti al fascicolo;
- annullare la decisione impugnata;
- condannare la Commissione alle spese;
- condannare le intervenienti alle spese sostenute nell'ambito dei loro interventi.
33. Nella causa T-299/00, la Telecinco conclude che il Tribunale voglia:
- annullare la decisione impugnata;
- condannare la Commissione alle spese.
34. Nella causa T-300/00, la SIC conclude che il Tribunale voglia:
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- ordinare alla Commissione di produrre taluni documenti;
- annullare la decisione impugnata;
- condannare la Commissione alle spese;
- condannare l'UER alle spese dell'intervento.
35. Nelle quattro cause riunite, la Commissione conclude che il Tribunale voglia:
- respingere i ricorsi;
- condannare le ricorrenti alle spese.
36. La DSF, interveniente a sostegno delle conclusioni della Telecinco nella causa T299/00, conclude che il Tribunale voglia annullare la decisione impugnata.
37. La RTI, interveniente a sostegno delle conclusioni della SIC nella causa T-300/00,
conclude che il Tribunale voglia:
- annullare la decisione impugnata;
- condannare la Commissione alle spese, ivi comprese quelle sostenute dalla parte
interveniente.
38. L'UER, interveniente nelle quattro cause a sostegno delle conclusioni della
Commissione, conclude che il Tribunale voglia:
- respingere i ricorsi;
- condannare le ricorrenti alle spese sostenute nell'ambito del suo intervento.
39. La RTVE, interveniente a sostegno delle conclusioni della Commissione nelle cause
T-216/00 e T-299/00, conclude che il Tribunale voglia:
- respingere i ricorsi;
- condannare le ricorrenti alle spese sostenute nell'ambito del suo intervento.
In diritto
Osservazioni preliminari
40. Le ricorrenti deducono, in totale, sette motivi a sostegno dei loro ricorsi. Il primo
motivo, sollevato nelle quattro cause, concerne la violazione dell'obbligo di esecuzione
delle sentenze del Tribunale. Il secondo motivo, allegato nelle cause T-216/00 e T300/00, riguarda un errore di fatto e la violazione dell'obbligo di motivazione. Il terzo ed
il quarto motivo, sollevati in tutte le cause, hanno ad oggetto rispettivamente l'erronea
applicazione dell'art. 81, n. 1, CE, e la violazione dell'art. 81, n. 3, CE. Il quinto,
anch'esso invocato nelle quattro cause, si fonda su errori di diritto relativi all'ambito di
applicazione materiale e temporale della decisione impugnata. Il sesto motivo, fatto
valere nella causa T-216/00, riguarda la violazione del principio di buona
amministrazione. Infine, la settima censura, dedotta in tutte le cause, fa riferimento allo
sviamento di potere.
41. Occorre innanzi tutto analizzare il quarto motivo, sollevato nelle quattro cause, che
concerne la violazione dell'art. 81, n. 3, CE.
42. Con tale censura le ricorrenti sostengono che il sistema dell'Eurovisione non soddisfa
alcuno dei criteri di esenzione previsti all'art. 81, n. 3, CE, in particolare quello che
impone di evitare la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei
prodotti di cui trattasi. A tale proposito, si devono riqualificare gli argomenti avanzati
dalla M6 sul carattere discriminatorio del regime delle sublicenze e sul carattere
indispensabile di tale discriminazione in quanto, con tali argomenti, la M6 ritiene che il
regime delle sublicenze non presenti alcuna garanzia di accesso, per le emittenti non
aderenti, ai diritti acquisiti dall'UER e che, di conseguenza, vi sarebbe un frazionamento
del mercato dei diritti di trasmissione televisiva e quindi un'eliminazione della
concorrenza al suo interno.
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Sul quarto motivo, concernente la violazione dell'art. 81, n. 3, CE, relativamente al
criterio dell'impossibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei
prodotti di cui trattasi
Argomenti delle parti
43. Le ricorrenti contestano alla Commissione di aver applicato erroneamente l'art. 81, n.
3, lett. b), CE al caso di specie, essenzialmente per due ragioni.
44. In primo luogo, la Commissione non avrebbe definito esattamente né il mercato del
prodotto, né il mercato geografico di cui trattasi. In assenza di una definizione del
mercato rilevante, la conclusione della Commissione, secondo cui gli accordi notificati
non permettono alle imprese beneficiarie dell'esenzione di eliminare la concorrenza per
una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi, sarebbe priva di ogni fondamento. Infatti,
in assenza di una definizione preliminare, sarebbe impossibile determinare se le garanzie
offerte dal regime d'accesso dei terzi al sistema dell'Eurovisione soddisfino le condizioni
previste all'art. 81, n. 3, lett. b), CE.
45. Peraltro, là dove la decisione impugnata ammetterebbe che le grandi manifestazioni
sportive internazionali, quali i giochi olimpici o i campionati monidiali di calcio,
costituiscono mercati autonomi, la Commissione avrebbe dovuto concludere che, in tali
mercati, il sistema dell'Eurovisione elimina ogni concorrenza.
46. In secondo luogo, per quanto riguarda le garanzie fornite dal regime d'accesso di terzi
al sistema dell'Eurovisione che, secondo i termini della decisione impugnata,
permetterebbe di evitare l'eliminazione della concorrenza nel mercato, le ricorrenti
ritengono che, se avesse condotto un'analisi corretta del mercato del prodotto, la
Commissione avrebbe constatato che il regime d'accesso di terzi non poteva evitare
l'eliminazione della concorrenza per emittenti generaliste quali le ricorrenti. Infatti, da un
lato, tale regime autorizzerebbe in realtà solamente la trasmissione di programmi sportivi
in differita e, dall'altro, non funzionerebbe in realtà nei confronti di canali generalisti che,
come le ricorrenti, sarebbero in concorrenza con i membri dell'UER.
47. La Commissione, sostenuta dall'UER, fa valere che per prassi costante essa lascia
aperta la questione della definizione del mercato del prodotto o del mercato geografico
rilevante, allorché, sulla base dell'accezione più restrittiva possibile del mercato, non si
pone alcun problema di limitazione della concorrenza.
48. Orbene, nel caso di specie, per la Commissione è chiaro che gli accordi notificati
incidono sugli scambi tra gli Stati membri (punto 81 della decisione impugnata) e
limitano la concorrenza (punto 71 della decisione impugnata). Tuttavia, basandosi sulla
definizione più restrittiva del mercato del prodotto, ossia del mercato di acquisizione dei
diritti di trasmissione di manifestazioni sportive specifiche, quali i giochi olimpici estivi,
la Commissione sostiene che, tenuto conto della struttura del mercato e dell'insieme delle
norme in materia di sublicenze relative all'accesso di enti di radiodiffusione non aderenti
all'UER ai programmi sportivi dell'Eurovisione, gli accordi notificati non creano
problemi di limitazione della concorrenza.
49. La Commissione ritiene che, tenuto conto della definizione più restrittiva possibile
del mercato, gli effetti limitativi degli accordi notificati siano stati superati con la
modifica degli accordi e con le condizioni imposte dalla Commissione (relativamente al
regime d'accesso di terzi al sistema dell'Eurovisione). Non sarebbe stato dunque
necessario definire con maggiore precisione i mercati interessati.
50. Per quanto riguarda il regime d'accesso di terzi al sistema dell'Eurovisione, la
Commissione, sostenuta dall'UER e dalla RTVE, sottolinea che, a seguito delle modifiche
apportate a tale regime, i diritti di trasmissione in diretta non utilizzati dai membri
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dell'UER sono messi a disposizione dei loro concorrenti. L'accesso imposto dalla
Commissione ai diritti di trasmissione in differita sarebbe stato parimenti molto ampliato.
Tale regime funzionerebbe nella prassi e numerosi concorrenti dei membri dell'UER vi
ricorrerebbero per la trasmissione sia in diretta che in differita, come anche per la
trasmissione di stralci. Infine, in virtù di tale regime, non sarebbe possibile eliminare la
concorrenza per una parte sostanziale del mercato, anche basandosi su una definizione di
mercato tanto restrittiva quanto quella relativa ai diritti di trasmissione dei giochi olimpici
estivi.
Giudizio del Tribunale
51. In considerazione degli argomenti delle parti, occorre esporre i termini della decisione
impugnata, innanzi tutto per quanto riguarda la definizione del mercato interessato dagli
accordi notificati. A tale proposito, ai punti 38-49 della decisione impugnata si precisa
quanto segue:
«4.1. Mercato del prodotto
L'UER ritiene che il mercato rilevante per la valutazione del caso sia quello
dell'acquisizione dei diritti televisivi per manifestazioni sportive importanti di qualsiasi
disciplina sportiva, a prescindere dal carattere nazionale o internazionale
dell'avvenimento. L'UER è impegnata unicamente nell'acquisto di diritti televisivi per
manifestazioni sportive d'interesse paneuropeo.
La Commissione concorda con l'UER nel ritenere che i programmi sportivi abbiano
caratteristiche peculiari; i programmi sportivi registrano generalmente alti livelli d'ascolto
televisivo e raggiungono un pubblico definito, che costituisce l'obiettivo privilegiato di
taluni importanti inserzionisti pubblicitari.
Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dall'UER, il richiamo dei programmi
sportivi, e pertanto il livello di concorrenza nell'acquisizione dei diritti televisivi, varia a
seconda del tipo di sport e avvenimento. Gli sport di massa quali calcio, tennis o corse
automobilistiche attraggono in genere un grande pubblico, con preferenze diverse tra i
vari paesi. Gli sport minori, invece, hanno una quotazione molto bassa. Le manifestazioni
internazionali esercitano sul pubblico locale un richiamo di solito maggiore delle
equivalenti manifestazioni nazionali, purché vi partecipino la squadra o un campione
nazionali, mentre gli avvenimenti internazionali in cui non gareggiano campioni o
squadre nazionali suscitano sovente scarso interesse. Negli ultimi dieci anni, per effetto di
una maggiore concorrenza sui mercati della televisione, i prezzi dei diritti televisivi sono
notevolmente aumentati (...); ciò vale soprattutto per le manifestazioni sportive
internazionali di spicco, quali i campionati mondiali di calcio o i giochi olimpici.
Le preferenze dei telespettatori determinano il valore del programma per gli inserzionisti
pubblicitari e le emittenti a pagamento. (...) Il fatto tuttavia che determinate trasmissioni
sportive registrino un livello d'ascolto invariato o pressoché identico, indipendentemente
dal fatto che siano trasmesse in concomitanza ed in concorrenza con altri avvenimenti
sportivi, fa presumere che dette manifestazioni siano determinanti ai fini della scelta
dell'abbonato o dell'inserzionista a favore di una determinata emittente.
Dai dati relativi al comportamento degli spettatori in relazione a manifestazioni sportive
di spicco, emersi dall'analisi di alcuni avvenimenti sportivi - quali i giochi olimpici (estivi
ed invernali), le finali di Wimbledon e i campionati mondiali di calcio - risulta che
effettivamente il comportamento dei telespettatori non risente della coincidenza con altri
importanti avvenimenti sportivi, trasmessi contemporaneamente o quasi. In altri termini, i
dati d'ascolto televisivo relativi alle maggiori manifestazioni sportive sembrano in grande
misura indipendenti dal fatto che un altro importante avvenimento sportivo sia
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teletrasmesso quasi parallelamente. Ne deriva che l'offerta televisiva di tali avvenimenti
sportivi può influenzare gli abbonati o gli inserzionisti pubblicitari in misura tale da
indurre l'emittente a pagare prezzi molto più elevati (per l'acquisizione dei relativi diritti).
Concludendo, dall'indagine condotta dalla Commissione risulta che la definizione del
mercato proposta dall'UER è troppo vasta e che, molto verosimilmente, esistono mercati
distinti per l'acquisizione dei diritti relativi ad alcuni avvenimenti sportivi di spicco, la
maggioranza dei quali è di carattere internazionale.
Ai fini del procedimento in oggetto non occorre tuttavia definire esattamente i mercati
rilevanti sotto il profilo del prodotto. Tenendo conto dell'attuale struttura del mercato e
del regime per la concessione di sublicenze per l'accesso dei terzi ai programmi sportivi
dell'Eurovisione, gli accordi in discorso non sollevano preoccupazioni sotto il profilo
della concorrenza, anche considerando i mercati dei diritti relativi a particolari
manifestazioni sportive, quali i giochi olimpici estivi.
(...)
4.2. Mercato geografico
I diritti televisivi per alcune manifestazioni sportive sono acquistati in esclusiva per
l'intero territorio europeo - indipendentemente dalle modalità tecniche di emissione - per
essere successivamente rivenduti per paese; altri sono invece acquistati su base nazionale.
I diritti televisivi relativi alle manifestazioni sportive di spicco, quali i giochi olimpici,
per la cui aggiudicazione l'UER concorre, sono d'interesse paneuropeo in riferimento ai
telespettatori e rientrano generalmente nella prima categoria di licenze europee.
Nondimeno, indipendentemente dall'ambito di validità delle licenze, (...) le preferenze dei
telespettatori possono variare notevolmente da paese a paese, in funzione del tipo di sport
e del tipo di manifestazione, cosicché le condizioni di concorrenza per l'acquisto di diritti
televisivi sono variabili.
Riguardo ai mercati a valle interessati dalla notifica in esame, i mercati della televisione
in chiaro e della televisione a pagamento sono da considerare come aventi un'estensione
nazionale o corrispondente ad una determinata area linguistica, per motivi
prevalentemente linguistici, culturali, di licenze e di diritti di proprietà intellettuale.
Ai fini del presente procedimento non è tuttavia necessario definire esattamente il
mercato geografico di riferimento. Alla luce dell'attuale struttura del mercato e del regime
per la concessione di sublicenze ai fini dell'accesso di terzi ai programmi sportivi
dell'Eurovisione, gli accordi notificati non suscitano preoccupazioni, anche qualora si
assuma una base nazionale, sia per i mercati dell'acquisto dei diritti sportivi che per i
mercati a valle della televisione in chiaro e della televisione a pagamento».
52. Emerge dalla decisione impugnata, e in particolare dagli estratti citati al punto
precedente, che la posizione della Commissione nei confronti della definizione dei
mercati interessati può essere riassunta come segue: il sistema dell'Eurovisione produce
effetti su due mercati distinti, quello dell'acquisizione dei diritti televisivi, in cui l'UER è
in concorrenza con altri grandi gruppi europei operanti nel settore dei mezzi
d'informazione (il mercato a monte), e quello della trasmissione dei diritti sportivi
acquistati, nel quale i membri dell'UER sono in concorrenza, per ogni paese o zona
linguistica omogenea, con altre emittenti televisive, per la maggior parte nazionali.
53. Per quanto riguarda il mercato a monte, la Commissione ammette «che, molto
verosimilmente, esistono» (in inglese, unica lingua nella quale il testo della decisione fa
fede: «there is a strong likelihood») mercati separati per l'acquisizione dei diritti su
determinate manifestazioni sportive internazionali di spicco che sono normalmente
acquisiti per l'insieme del territorio europeo. Trattandosi del mercato a valle, anche se la
Commissione non lo precisa espressamente a proposito della definizione del mercato del
prodotto, nondimeno emerge dalla sua analisi che esiste, considerate le preferenze dei
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telespettatori e l'influenza di queste ultime sul valore dell'emissione per gli inserzionisti e
le società televisive a pagamento, un mercato specifico per la trasmissione delle grandi
manifestazioni sportive. Tale mercato che, secondo la Commissione, si suddivide in un
mercato della televisione ad accesso gratuito e in un mercato della televisione a
pagamento, sarebbe generalmente limitato al territorio nazionale o ad una zona
linguisticamente omogenea.
54. Tuttavia, la Commissione non ha ritenuto necessario definire esattamente né il
mercato del prodotto né il mercato geografico interessato dal sistema dell'Eurovisione
poiché, pur prendendo come punto di riferimento il mercato più ristretto possibile, ossia
quello dell'acquisizione di certe manifestazioni sportive quali i giochi olimpici, la
Commissione sostiene che il sistema dell'Eurovisione, tenuto conto delle strutture del
mercato e del regime di accesso di terzi a tale sistema, non solleva alcun problema per
quanto riguarda la concorrenza.
55. Inoltre, la Commissione afferma, ai punti 100-103 della decisione impugnata, in
merito all'eliminazione della concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui
trattasi con riferimento all'acquisizione collettiva dei diritti, che, malgrado l'UER sia
soggetta ad una crescente concorrenza da parte dei gruppi operanti nel settore dei mezzi
d'informazione e delle agenzie di acquisizione di diritti, «nondimeno, la Commissione si
è domandata se alcuni dei diritti acquisiti collettivamente potessero incidere su
avvenimenti sportivi di grande rilievo sotto il profilo economico o del pubblico, quali ad
esempio i giochi olimpici, che potrebbero costituire un mercato distinto e che sono
detenuti esclusivamente dagli aderenti all'Eurovisione». Essa prosegue:
«Al fine di dissipare eventuali timori in tal senso, l'UER ha modificato gli accordi
notificati, includendovi un regime per la concessione di sublicenze atto a garantire ai terzi
un ampio accesso ai diritti per le manifestazioni sportive, acquisiti nell'ambito
dell'Eurovisione. Questo forma un contrappeso all'effetto restrittivo dell'acquisizione
collettiva dei diritti sportivi. I regimi previsti offrono ai terzi un ampio accesso alla
trasmissione in diretta e in differita, sulla base di condizioni ragionevoli».
56. In aggiunta, a proposito delle restrizioni derivanti dalla ripartizione dei diritti acquisiti
nell'ambito dell'Eurovisione tra i membri dell'UER che sono in concorrenza per lo stesso
pubblico, la Commissione conclude, al punto 104 della decisione impugnata, che non vi
sarebbe eliminazione della concorrenza «vista l'attuale struttura del mercato
precedentemente tratteggiata e vista la capacità dei non aderenti all'UER di partecipare
alla trasmissione degli avvenimenti sportivi in questione in base al regime di concessione
di sublicenze [dell'UER]».
57. Emerge così dalla decisione impugnata che, anche se la Commissione non ha ritenuto
necessario definire esattamente il mercato del prodotto interessato, essa condivide
nondimeno l'ipotesi dell'esistenza di un mercato costituito unicamente per grandi
manifestazioni sportive internazionali, quali i giochi olimpici, al fine di verificare se il
sistema dell'Eurovisione soddisfi le condizioni per l'esenzione di cui all'art. 81, n. 3, CE.
Pertanto occorre constatare che l'assenza di una tale definizione esatta non infirma, nel
caso di specie, l'analisi della Commissione concernente la rispondenza del sistema
dell'Eurovisione alla condizione d'esenzione posta dall'art. 81, n. 3, lett. b), CE e, di
conseguenza, si deve considerare ininfluente tale parte dell'argomento delle ricorrenti.
58. Occorre quindi verificare se e, eventualmente, entro quali limiti la convenuta abbia
commesso un errore manifesto di valutazione nell'applicare la condizione d'esenzione
analizzata decidendo che, anche nel mercato costituito da manifestazioni sportive
internazionali particolari, il regime di accesso di terzi al sistema dell'Eurovisione
permetterebbe di compensare le restrizioni della concorrenza nei confronti dei terzi e
dunque di evitare che la concorrenza sia eliminata a detrimento di questi ultimi.
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59. Prima di analizzare tale regime, occorre esporre innanzi tutto la struttura dei mercati
interessati e le restrizioni della concorrenza che comporta il sistema dell'Eurovisione.
60. Per quanto riguarda la struttura dei mercati, emerge in particolare dalla decisione
impugnata che i diritti televisivi inerenti a manifestazioni sportive sono concessi per una
determinata area geografica, solitamente in esclusiva. Tale esclusiva è considerata
necessaria per garantire il valore di un determinato programma sportivo in termini di
quota d'ascolto televisivo e di proventi pubblicitari (punto 51 della decisione impugnata).
61. I diritti televisivi sono detenuti di solito dagli organizzatori della manifestazione
sportiva, che controllano l'accesso al luogo in cui essa si svolge. Per controllarne le
riprese televisive e garantire l'esclusiva, l'organizzatore ammette un solo ente di
radiodiffusione o un numero limitato di enti di radiodiffusione che producono il segnale
televisivo. Il contratto stipulato con l'organizzatore vieta di mettere il segnale prodotto a
disposizione di terzi che non abbiano acquisito i relativi diritti televisivi (punto 52 della
decisione impugnata).
62. Per quanto riguarda la posizione dell'UER nei mercati rilevanti, la Commissione
precisa che la quota di mercato di quest'ultima ha subìto una sensibile riduzione
nell'ultimo decennio. L'UER, in materia di acquisizione dei diritti televisivi per
determinate manifestazioni sportive, deve far fronte alla concorrenza di grandi gruppi
europei operanti nel settore dei mezzi d'informazione e di agenzie internazionali di
acquisizione di diritti televisivi. Nel corso degli ultimi anni l'UER avrebbe dovuto
rinunciare ad un gran numero di manifestazioni sportive importanti in quanto i
concorrenti avrebbero offerto importi più elevati (punti 54 e 55 della decisione
impugnata). L'UER continuerebbe tuttavia a detenere una solida posizione nel mercato
dell'acquisizione dei diritti di importanti manifestazioni sportive internazionali, che
costituiscono un forte richiamo per i telespettatori europei; tali diritti non dovrebbero,
secondo i loro detentori, essere diffusi dalla televisione a pagamento. Inoltre, l'UER
occupa tuttora una posizione senza uguali, in quanto referente unico di un'associazione di
radiotelevisione che assicura agli organizzatori il più ampio spettro di pubblico in Europa.
Il fatto che i diritti televisivi europei relativi ai giochi olimpici siano sempre stati venduti
all'UER è particolarmente significativo (punti 55-57 della decisione impugnata).
63. A proposito dei suoi effetti sulla concorrenza, il sistema dell'Eurovisione, come
emerge dalla decisione impugnata (punti 71-80), comporta due tipi di restrizioni. Da un
lato, l'acquisizione collettiva dei diritti televisivi per le manifestazioni sportive, la loro
ripartizione e lo scambio del segnale limitano o addirittura eliminano la concorrenza tra i
membri dell'UER, i quali competono sia nel mercato a monte, ossia quello
dell'acquisizione dei diritti, sia nel mercato a valle, quello della trasmissione televisiva
delle manifestazioni sportive. Dall'altro, tale sistema comporta determinate restrizioni
della concorrenza nei confronti dei terzi in quanto, come esposto al punto 75 della
decisione impugnata, detti diritti sono di norma venduti su base esclusiva e ciò fa sì che
essi siano praticamente inaccessibili ai non aderenti all'UER.
64. A tale proposito, se è vero che l'acquisto dei diritti di trasmissione televisiva di un
avvenimento non costituisce di per sé una restrizione della concorrenza sussumibile sotto
l'art. 81, n. 1, CE e può essere giustificato dalle peculiarità del prodotto e del mercato
rilevante, è pur vero che l'esercizio di tali diritti in un contesto giuridico ed economico
specifico può comportare una tale restrizione (v., per analogia, sentenza della Corte 6
ottobre 1982, causa 262/81, Coditel e a., Racc. pag. 3381, punti 15-17).
65. Infatti, seguendo tale orientamento, la Commissione afferma, al punto 45 della
decisione impugnata, che «l'acquisizione di diritti televisivi esclusivi per taluni
avvenimenti sportivi ha una notevole incidenza sui mercati a valle della televisione, [nei]
quali gli avvenimenti sportivi [sono] trasmessi».
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66. Peraltro, emerge dall'analisi del fascicolo e dall'argomentazione delle parti che
l'acquisizione dei diritti di trasmissione di una grande manifestazione sportiva
internazionale quale i giochi olimpici o il campionato mondiale di calcio ha
necessariamente un forte impatto sul mercato del patrocinio e della pubblicità, fonte
principale d'introiti per le emittenti televisive che trasmettono in chiaro, poiché tali
programmi attirano un gran numero di telespettatori.
67. Inoltre, occorre parimenti rilevare che, come sottolineato dalla SIC, gli effetti
restrittivi della concorrenza derivanti dal sistema dell'Eurovisione nei confronti dei terzi
sono intensificati, da un lato, dal livello di integrazione verticale dell'UER e dei suoi
membri, i quali non sono unicamente acquirenti di diritti, ma sono anche operatori
televisivi che diffondono i diritti acquistati, e, dall'altro, dall'estensione geografica
dell'UER, i cui membri trasmettono in tutti i paesi dell'Unione europea. Di conseguenza,
quando l'UER acquisisce i diritti di trasmissione per una manifestazione sportiva
internazionale, l'accesso a tale avvenimento è, in linea di principio, automaticamente
escluso per tutti gli operatori che non sono membri. La situazione sembra invece essere
diversa quando i diritti di trasmissione delle manifestazioni sportive sono acquistati da
un'agenzia al fine di rivenderli o da un gruppo operante nel settore dei mezzi
d'informazione che non ha operatori se non in taluni Stati membri, poiché tale gruppo
cercherà di avviare trattative con gli operatori degli altri Stati membri al fine di vendere
tali diritti. In tal caso, nonostante l'acquisto in esclusiva dei diritti, gli altri operatori
conservano la possibilità di negoziare l'acquisizione di questi ultimi per i propri mercati.
68. Alla luce di tutti questi dati, ossia la struttura del mercato, la posizione dell'UER nel
mercato di talune manifestazioni sportive internazionali e il livello d'integrazione
verticale dell'UER e dei suoi membri, si deve verificare se il regime d'accesso di terzi al
sistema dell'Eurovisione permetta di compensare le restrizioni della concorrenza nei
confronti di questi ultimi e dunque di evitare che la concorrenza sia eliminata nei loro
confronti.
69. Prima di procedere a tale analisi, occorre rilevare che emerge dalla decisione
impugnata (in particolare dai punti 106-108) che, quando la Commissione stabilisce, ai
punti 103 e 104 della decisione impugnata (v. supra, punti 55 e 56), che le restrizioni
della concorrenza causate dal sistema dell'Eurovisione sono compensate da una serie di
norme relative alla concessione di sublicenze, essa si riferisce all'intero regime di accesso
di terzi al sistema dell'Eurovisione, il quale comprende il regime delle sublicenze e le
norme relative alla concessione di queste ultime (v. supra, punto 18). Tuttavia, poiché le
ricorrenti sono emittenti televisive che trasmettono in chiaro, solo il regime delle
sublicenze potrebbe compensare le restrizioni della concorrenza che esse lamentano.
Pertanto, l'analisi del Tribunale verterà esclusivamente su tale regime.
70. Al punto 107 della decisione impugnata, la Commissione riferisce che, nell'ambito
del regime delle sublicenze, «l'UER e i suoi membri concedono agli enti radiotelevisivi
non aderenti all'organizzazione un accesso estensivo ai programmi sportivi di
Eurovisione i cui diritti siano stati acquisiti tramite negoziati collettivi». A parere della
Commissione, «[i]l regime del 1993 accorda ai terzi diritti di trasmissione in diretta e
differita per gli avvenimenti i cui diritti sono acquisiti collettivamente nell'ambito
dell'Eurovisione». Inoltre, al punto 28 della decisione impugnata, si sostiene a tale
proposito che «[a]i terzi è accordato in particolare l'accesso in ampia misura ai diritti non
utilizzati, ossia il diritto di trasmettere manifestazioni sportive che gli aderenti all'UER
non diffondono o trasmettono solo in minima parte».
71. Si deve rilevare che, come si evince dall'allegato I della decisione impugnata, il
regime delle sublicenze, applicabile alle emittenti televisive che trasmettono in chiaro,
prevede la possibilità di accordare sublicenze per la trasmissione in diretta e in differita.
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Per quanto riguarda le trasmissioni in diretta (paragrafo IV, punto 1, dell'allegato I), esse
sono previste unicamente per trasmissioni residuali, ossia per trasmissioni di avvenimenti
agonistici, o parti di essi, che non vengono diffusi in diretta dai membri dell'UER, dato
che «si ritiene che una manifestazione sia trasmessa in diretta, se la maggioranza dei
principali avvenimenti agonistici che la compongono sono trasmessi in diretta»
(paragrafo IV, punto 1.3, dell'allegato I). Conseguentemente, è sufficiente che un membro
dell'UER si riservi la diffusione in diretta della maggioranza degli avvenimenti agonistici
di una manifestazione perché vengano rifiutate ai terzi concorrenti per lo stesso mercato
le sublicenze per la trasmissione in diretta dell'intera manifestazione, e persino dei singoli
avvenimenti agonistici che non saranno trasmessi in diretta dal membro dell'UER.
72. Dalle risposte della SIC ai quesiti del Tribunale emerge che, attuando tale norma,
l'operatore pubblico portoghese (la RTP - Radiotelevisão Portuguesa, SA; in prosieguo: la
«RTP»), membro dell'UER, ha rifiutato alla SIC la vendita di sublicenze per la
trasmissione in diretta delle partite del campionato mondiale di calcio del 1994, e persino
di quelle partite che la RTP non avrebbe diffuso, dal momento che la RTP aveva
intenzione di trasmettere in diretta la maggioranza (ossia 47 su 52) delle partite di tale
manifestazione.
73. Orbene, anche se fosse necessario, per ragioni legate all'esclusività dei diritti di
trasmissione delle manifestazioni sportive e alla preservazione del loro valore economico
(v. supra, punto 60), che i membri dell'UER si riservino la trasmissione in diretta dei
programmi che l'UER ha acquisito, nessuna di tali motivazioni permette tuttavia di
giustificare il fatto che essi abbiano la possibilità di estendere tale diritto di riserva a tutti
i singoli avvenimenti agonistici della stessa manifestazione, anche qualora essi non siano
intenzionati a trasmettere tutte le singole competizioni in diretta.
74. Peraltro, dall'attuazione congiunta del regime delle sublicenze (applicabile alle
emittenti che trasmettono in chiaro) e delle norme relative alla concessione di sublicenze
(applicabili alle emittenti a pagamento) emerge che, anche se un membro dell'UER
trasmette meno della maggioranza degli avvenimenti agonistici di una manifestazione
sportiva ma diffonde comunque il resto delle competizioni di tale manifestazione sulla
sua emittente a pagamento, il non aderente all'UER ha accesso solamente alla
trasmissione in differita, a meno che non si tratti a sua volta di un'emittente a pagamento,
nel qual caso può acquistare sublicenze, secondo le norme relative alla concessione delle
medesime, per trasmettere in diretta competizioni identiche o analoghe a quelle trasmesse
dal membro dell'UER.
75. Conseguentemente, e come si evince dal fascicolo, in particolare dalla corrispondenza
tra la M6 e il Groupement de radiodiffuseurs français de l'union européenne de radiotélévision (in prosieguo: il «GRF») e tra la SIC e la RTP, la possibilità di trasmissione in
diretta delle principali manifestazioni sportive da parte dei non aderenti all'UER rimane
solo teorica, poiché i membri dell'UER possono sia trasmettere essi stessi le
manifestazioni in diretta, sia fare ricorso, ai sensi del regime delle sublicenze, a un diritto
di riserva concernente anche le manifestazioni che essi non hanno intenzione di
trasmettere in diretta.
76. Tali restrizioni sono tanto più vincolanti in quanto emerge dalla presente controversia
che, in generale, solamente la trasmissione in diretta si rivela concretamente interessante
per le ricorrenti, che sono canali nazionali generalisti che trasmettono in chiaro e
dispongono di una copertura nazionale, dato che la diffusione televisiva delle
competizioni sportive, o almeno delle più rilevanti, permette di attirare un ampio
pubblico e dunque di giustificare il suo costo economico fintantoché non è noto il
risultato di tali competizioni e, quindi, quando tale trasmissione è in diretta. Viceversa,
per i canali nazionali generalisti quali le ricorrenti, il cui finanziamento dipende
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esclusivamente dalla pubblicità e dal patrocinio dei programmi, la diffusione di
manifestazioni sportive in differita non riveste alcun interesse dal punto di vista
economico.
77. A tali restrizioni si aggiungono ancora - almeno nel caso della Francia, in cui diverse
emittenti televisive sono membri dell'UER - alcune questioni di ordine pratico che
rendono difficile l'accesso dei non aderenti all'UER sia all'acquisto di sublicenze «per la
diretta», sia all'acquisto all'asta dei diritti dell'UER non utilizzati dai suoi membri (come
accadde per i diritti della trasmissione televisiva dei giochi olimpici di Sidney da parte
della televisione francese). Tali difficoltà sono essenzialmente legate al fatto che le
emittenti televisive non aderenti all'UER non dispongono, entro un termine sufficiente,
delle informazioni necessarie, da un lato, per attivare i mezzi tecnici indispensabili alla
trasmissione televisiva delle manifestazioni sportive e, dall'altro, per adeguare sia la loro
programmazione, sia le loro comunicazioni al pubblico e per permettere loro pertanto di
conseguire livelli di ascolto tali da giustificare l'investimento.
78. Così, a seguito di una richiesta della M6, effettuata con lettera 18 gennaio 1996, volta
a sapere se essa avrebbe potuto trasmettere le competizioni dei giochi olimpici di Atlanta
(luglio 1996), la GRF rispondeva, solo durante un incontro tenutosi il 7 giugno 1996 ed in
termini molto vaghi, che i membri francesi dell'UER avrebbero dedicato a tale
manifestazione quindici ore di diretta al giorno e che, di conseguenza, l'accesso della M6
alle trasmissioni in diretta «avrebbe potuto eventualmente avere ad oggetto qualche
partita di calcio o talune competizioni di scarso interesse, quali il softball».
79. Alla luce di quanto precede, la prima conclusione che deve trarsi è che,
contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, il regime delle sublicenze non
garantisce che i diritti di trasmissione in diretta non utilizzati dai membri dell'UER siano
messi a disposizione dei loro concorrenti.
80. Relativamente alla possibilità di acquisire sublicenze per trasmettere manifestazioni
in differita o diffonderne la sintesi, tenendo presente il fatto che tali modalità di
trasmissione sono poco appetibili per i canali nazionali generalisti che trasmettono in
chiaro e dispongono di una copertura nazionale, si deve constatare che anche tale
possibilità è soggetta a diverse restrizioni. In primo luogo, la diffusione di competizioni i
cui diritti siano stati acquistati dall'UER può essere effettuata non prima che sia trascorsa
un'ora dalla fine della manifestazione (embargo di un'ora) o dell'ultima competizione del
giorno, ma mai prima delle 22,30, ora locale. In secondo luogo, dai documenti allegati al
fascicolo dalle ricorrenti emerge che, in realtà, i membri dell'UER, per lo meno nei paesi
in cui operano le ricorrenti, impongono condizioni ancora più restrittive, in particolare
relativamente all'embargo orario e al trattamento editoriale dei programmi.
81. Il regime analizzato prevede, infine, la possibilità per i non aderenti all'UER di
acquistare alcuni diritti per la trasmissione di servizi di attualità (due per manifestazione o
per giorno di competizione, della durata di 90 secondi ciascuno), denominata «News
Access». Tuttavia, come rilevato dalle ricorrenti, tale possibilità viene loro sempre
garantita nel paese in cui operano, indipendentemente dal regime delle sublicenze. Nel
caso di Spagna e Portogallo, la facoltà di trasmettere le sintesi delle manifestazioni
sportive al fine di informare il pubblico è garantita dal diritto costituzionale
all'informazione. Nel caso della Francia, tale possibilità sussiste in attuazione del codice
di buona condotta in vigore tra le emittenti televisive francesi.
82. In risposta ai quesiti del Tribunale volti a conoscere gli elementi di cui la
Commissione disponeva per poter affermare che il regime d'accesso di terzi ai diritti
dell'Eurovisione, in vigore per le emittenti che trasmettono in chiaro dal 1993, offre «ai
terzi un ampio accesso alla trasmissione in diretta e in differita, sulla base di condizioni
ragionevoli», la Commissione ha allegato al fascicolo una lista dell'UER che elenca le
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sublicenze accordate fino al 13 maggio 1997. Tuttavia, lungi dal confermare le
affermazioni della Commissione e dell'UER relative al regime d'accesso di terzi al
sistema dell'Eurovisione, i dati indicati in tale lista le infirmano. Infatti, si evince da tali
dati che, se in alcuni Stati, come i Paesi Bassi, la Svezia e la Norvegia, sembra che i
membri dell'UER accordino sublicenze alle emittenti televisive concorrenti, negli altri
Stati membri, invece, la concessione di sublicenze permane molto restrittiva e limitata, in
alcuni casi, ad emittenti televisive regionali che operano in mercati decisamente
circoscritti, come in Spagna (circostanza confermata, peraltro, dalla lista delle sublicenze
che la RTVE ha prodotto nell'ambito del suo intervento), o, in grande misura, alla
trasmissione di stralci di competizioni a fini d'informazione (la «News Access»), come in
Italia o in Germania. Per i paesi in cui operano due delle ricorrenti, la Francia e il
Portogallo, non è menzionata nessuna sublicenza.
83. Consegue dall'insieme degli elementi messi a disposizione del Tribunale che,
contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione nella decisione impugnata, il
regime delle sublicenze non garantisce ai concorrenti dei membri dell'UER un accesso
sufficiente ai diritti di trasmissione delle manifestazioni sportive di cui questi ultimi
dispongono in virtù della loro partecipazione a tale consorzio d'acquisto. Il detto regime,
tanto per le norme da esso previste quanto per la sua attuazione, non permette - esclusa
qualche eccezione - ai concorrenti dei membri dell'UER di ottenere sublicenze per la
diffusione in diretta dei diritti dell'Eurovisione non utilizzati. In realtà, consente
unicamente l'acquisizione di sublicenze per trasmettere le sintesi delle competizioni a
condizioni molto restrittive.
84. Tale conclusione non è confutata dall'argomento dell'UER volto a provare il buon
funzionamento del regime d'accesso di terzi al sistema dell'Eurovisione con il fatto che
non si ricorre alle procedure di arbitrato da esso previste. Innanzi tutto, tale argomento
non si rivela corretto, in quanto emerge dalla corrispondenza intercorsa tra la SIC e la
RTP che tali operatori hanno fatto ricorso all'arbitrato, almeno in relazione all'acquisto
delle sublicenze per il campionato mondiale di calcio del 1994. In aggiunta, il ricorso
all'arbitrato è previsto dal regime analizzato solo in caso di controversia avente ad oggetto
il prezzo delle sublicenze, il che implica che le parti vi ricorrano esclusivamente in caso
di accordo su tutte le altre condizioni di accesso [v. paragrafo IV, punto 5.1, dell'allegato
I alla decisione impugnata, e l'allegato II, punto iii), della medesima decisione]. Pertanto,
il fatto che non si usufruisca di tale procedura non può dimostrare che il regime delle
sublicenze permetta un reale accesso ai programmi acquisiti dall'UER.
85. Dall'insieme delle considerazioni suesposte emerge che la Commissione ha
commesso un errore manifesto di valutazione nell'applicazione dell'art. 81, n. 3, lett. b),
CE, nel sostenere che, anche ipotizzando l'esistenza di un mercato del prodotto limitato a
talune grandi manifestazioni sportive internazionali, il regime delle sublicenze garantisce
l'accesso di terzi, in concorrenza con i membri dell'UER, ai diritti dell'Eurovisione e
consente, di conseguenza, di evitare che la concorrenza in tale mercato venga eliminata.
86. Poiché la concessione da parte della Commissione di una decisione individuale di
esenzione presuppone che l'accordo, o la decisione di un'associazione d'imprese, soddisfi
cumulativamente le quattro condizioni enunciate dall'art. 81, n. 3, CE e che è sufficiente
che manchi una delle quattro condizioni perché l'esenzione debba essere negata (v., in
particolare, sentenze della Corte 13 luglio 1966, cause riunite 56/64 e 58/64, Consten e
Grundig/Commissione, Racc. pag. 457, in particolare pagg. 527 e 528, e sentenza del
Tribunale 15 luglio 1994, causa T-17/93, Matra Hachette/Commissione, Racc. pag. II595, punto 104), si deve annullare la decisione impugnata senza che occorra pronunciarsi
né sugli altri motivi dedotti, né sulle domande di produzione di documenti formulate dalle
ricorrenti nelle cause T-216/00 e T-300/00.
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Per questi motivi,
IL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)
dichiara e statuisce:
E' annullata la decisione della Commissione 10 maggio 2000, 2000/400/CE, relativa ad
un procedimento ai sensi dell'articolo 81 del Trattato CE (IV/32.150 - Eurovisione).
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12. Procedimento C-318/00,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell'art. 234 CE, dalla High Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division
(Regno Unito), nella causa dinanzi ad essa pendente tra
Bacardi-Martini SAS,
Cellier des Dauphins
e
Newcastle United Football Company Ltd,
domanda vertente sull'interpretazione dell'art. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a
modifica, art. 49 CE),
LA CORTE,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 28 luglio 2000, pervenuta alla Corte il 14 agosto seguente la High Court
of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division, ha sottoposto ai sensi dell'art. 234
CE due questioni pregiudiziali sull'interpretazione dell'art. 59 del Trattato CE (divenuto,
in seguito a modifica, art. 49 CE).
2. Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di un procedimento avviato dalla
Bacardi-Martini SAS e dalla Cellier des Dauphins (in prosieguo: le «attrici nella causa
principale») contro la Newcastle United Football Company Ltd (in prosieguo: la
«Newcastle») e intesa ad ottenere il risarcimento del danno che esse avrebbero subito a
causa dell'asserita ingerenza della Newcastle nell'esecuzione di contratti di diffusione di
messaggi pubblicitari che esse avevano concluso con la Dorna Marketing (UK) Ltd (in
prosieguo: la «Dorna»).
Ambito normativo
3. La legge francese 10 gennaio 1991 n. 91/32, relativa alla lotta contro il tabagismo e
l'alcolismo (JORF del 12 gennaio 1991, pag. 615; in prosieguo: la «legge Évin») ha
modificato l'art. 17 del code des débits de boissons (codice della vendita di bevande),
divenuto successivamente art. L.3323-2 del code de la santé publique (codice della sanità
pubblica).
4. Questa disposizione vieta con forti limitazioni talune forme di propaganda o di
pubblicità, diretta o indiretta, a favore delle bevande alcoliche.
5. Dalla legge Évin risulta che è vietata ogni forma di pubblicità di bevande alcoliche,
definite come quelle con contenuto alcolico superiore a 1,2° che non sia espressamente
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autorizzata. La pubblicità televisiva di bevande alcoliche, non essendo esplicitamente
autorizzata, è vietata.
6. Tale divieto è confermato dall'art. 8 del decreto 27 marzo 1992, n. 92/280, adottato per
dare attuazione all'art. 27, I, della legge 30 settembre 1986 relativa alla libertà di
comunicazione e che fissa i principi generali relativi al regime applicabile alla pubblicità
e alla sponsorizzazione in televisione (JORF del 28 marzo 1992, pag. 4313), il quale
stabilisce:
«E' vietata la pubblicità riguardante, da un lato, i prodotti la cui pubblicità televisiva sia
oggetto di un divieto legislativo e, dall'altro, i seguenti prodotti e settori economici:
- bevande aventi un contenuto alcolico superiore a 1,2°;
(...)».
7. Il Conseil supérieur de l'audiovisuel (in prosieguo: il «CSA») è un'autorità
amministrativa indipendente che ha il compito di garantire l'esercizio della libertà di
comunicazione. Esso esercita in particolare un controllo sulla pubblicità diffusa mediante
un servizio di comunicazione audiovisiva. Il CSA può infliggere sanzioni amministrative
nei confronti delle emittenti che non rispettino gli obblighi ad esse imposti in particolare
dalla legge Évin.
8. Nel 1995 il CSA ha elaborato un «codice di buona condotta», contenente principi
relativi alla telediffusione sulle reti francesi di eventi sportivi che si svolgono in Francia o
all'estero e nell'ambito dei quali sono esposti cartelli pubblicitari di bevande alcoliche. I
principi enunciati in questo codice, che è stato modificato più volte, non hanno portata
normativa, ma, in base al preambolo di tale codice, sono ammessi come
un'interpretazione volontariamente accettata secondo buona fede.
9. Secondo il codice di buona condotta adottato dal CSA, quale formulato al tempo dei
fatti della causa principale, i produttori e gli inserzionisti francesi non possono ricevere
un trattamento diverso da quello dei loro concorrenti esteri, nei soli limiti della legge
nazionale del luogo dell'evento.
10. Il detto codice parte dal principio che le emittenti devono astenersi dal mostrare
condiscendenza rispetto alla pubblicità di bevande alcoliche.
11. A tal fine esso opera una distinzione tra «eventi internazionali» e gli «altri eventi» che
si svolgono all'estero.
12. Per quanto riguarda gli «eventi internazionali», le cui immagini, essendo trasmesse in
un ampio numero di paesi, non possono essere considerate come dirette principalmente al
pubblico francese, le emittenti francesi, allorché trasmettono immagini di cui non
controllano le riprese, non possono essere sospettate di condiscendenza rispetto alla
pubblicità interessata, anche se tale pubblicità appare sugli schermi.
13. Per quanto riguarda gli «altri eventi», qualora la normativa del paese ospitante
autorizzi la pubblicità delle bevande alcoliche nel luogo della competizione ma la
trasmissione riguarda specificamente il pubblico francese, le parti che negoziano con i
titolari dei diritti televisivi sono tenute a fare tutto quanto in loro potere per evitare che
appaiano in trasmissione marche commerciali che riguardano le bevande alcoliche.
14. Il British Code of Advertising (codice britannico della pubblicità) non vieta la
pubblicità di bevande alcoliche né limita i modi in cui tali bevande possono essere
pubblicizzate. Tuttavia, esso limita il contenuto consentito di queste pubblicità sotto
diversi aspetti.
Causa principale e questioni pregiudiziali
15. Le attrici nella causa principale sono società di diritto francese che esercitano in
particolare l'attività di produzione e commercializzazione di bevande alcoliche. La
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Newcastle è una società di diritto inglese proprietaria e amministratrice di un club e di
uno stadio di calcio.
16. Nell'ambito di un accordo concluso nel 1994 tra, da un lato, un'associazione di calcio
e diversi club di calcio, compresa la Newcastle, e, dall'altro, la Dorna, quest'ultima è stata
incaricata di vendere e di affiggere messaggi pubblicitari lungo il perimetro dei campi da
gioco per ogni partita giocata in casa dalle prime squadre di questi club.
17. In base a due contratti conclusi nel novembre 1996 tra le attrici nella causa principale
e la Dorna, quest'ultima si è impegnata a fornire alle prime spazi pubblicitari sul suo
sistema di annunci elettronici rotanti durante un incontro tra Newcastle e Metz, club di
calcio francese, che doveva svolgersi il 3 dicembre 1996 a Newcastle nell'ambito del
terzo turno della coppa UEFA (Unione delle associazioni europee di calcio).
18. Questo incontro doveva costituire oggetto di una trasmissione televisiva nel Regno
Unito ed in Francia. La Newcastle, con un accordo sottoscritto con la CSI Ltd (in
prosieguo: la «CSI»), una società di diritto inglese la cui attività consiste in particolare
nella vendita di diritti di trasmissione televisiva di eventi sportivi, si era impegnata in
particolare ad autorizzare e/o ad adoperarsi per rendere possibile la trasmissione in diretta
dell'incontro alla televisione francese.
19. La pubblicità di bevande alcoliche che doveva essere diffusa durante l'incontro in
conformità ai contratti conclusi tra le attrici nella causa principale e la Dorna rispettava i
requisiti posti dal diritto inglese.
20. Poco prima dell'inizio dell'incontro, la Newcastle si è accorta che la Dorna aveva
venduto alle attrici nella causa principale spazi pubblicitari per reclamizzare le loro
bevande alcoliche durante l'incontro. Di conseguenza, la Newcastle ha comunicato alla
Dorna che, poiché l'incontro doveva essere trasmesso da una rete televisiva francese,
sarebbe stata applicabile la normativa francese che limita la pubblicità per le bevande
alcoliche e che la Dorna doveva quindi rimuovere dai suoi pannelli la pubblicità delle
attrici nella causa principale al fine di conformarsi a questa normativa.
21. Poiché la pubblicità di cui è causa non poteva essere più eliminata dai pannelli rotanti
poco tempo prima dell'inizio dell'incontro, il sistema elettronico di affissione è stato
programmato in modo che, durante l'incontro, apparisse in ciascuno dei suoi passaggi
solo per uno o due secondi, invece dei trenta secondi previsti nei contratti. L'incontro è
stato trasmesso in diretta sulla televisione francese, in quanto la CSI aveva venduto i
diritti di trasmissione alla rete televisiva francese Canal +.
22. Il 23 luglio 1998 le attrici nella causa principale hanno presentato dinanzi alla High
Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division, un ricorso contro la Dorna
e la Newcastle mirante in particolare ad ottenere un risarcimento danni, l'accertamento
del fatto e la tutela provvisoria (Damages declaration and injuctive relief). I ricorsi
presentati contro la Dorna hanno costituito successivamente oggetto di rinuncia agli atti.
23. A sostegno dei ricorsi presentati contro la Newcastle, le attrici nella causa principale
fanno valere che la violazione dei contratti conclusi tra esse e la Dorna è imputabile alla
Newcastle, che l'ingerenza della Newcastle in questi contratti non può essere giustificata
con le disposizioni di applicazione della legge Évin poiché queste ultime sono
incompatibili con l'art. 59 del Trattato e che la Newcastle è quindi responsabile per i
danni causati alle attrici nella causa principale dalla violazione di detti contratti da essa
provocata.
24. Le attrici nella causa principale ritengono che le disposizioni di applicazione della
legge Évin, in particolare come interpretate ed applicate dal CSA, sono incompatibili con
l'art. 59 del Trattato in quanto costituiscono una restrizione alla prestazione
transfrontaliera di servizi, poiché limitano la pubblicità di bevande alcoliche nel corso di
eventi sportivi che si svolgono in Stati membri diversi dalla Francia, allorché questi
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eventi sono teletrasmessi in Francia, e/o vietano o limitano la trasmissione televisiva in
Francia di eventi sportivi che si svolgono in altri Stati membri ed in occasione dei quali
viene trasmessa pubblicità di bevande alcoliche nei luoghi in cui essi si svolgono.
25. Secondo le attrici nella causa principale, l'interesse pubblico che le disposizioni di
applicazione della legge Évin cercano di salvaguardare è tutelato in maniera adeguata
dalla normativa sulla pubblicità di bevande alcoliche vigente nel Regno Unito.
26. Per il resto, le attrici nella causa principale sostengono che le restrizioni imposte in
conformità alle disposizioni di applicazione della legge Évin sono, per diversi motivi,
sproporzionate.
27. Nelle sue memorie difensive la Newcastle fa valere in particolare che il fatto di
incaricare la Dorna di rimuovere la pubblicità delle attrici nella causa principale sulla
base delle disposizioni di applicazione della legge Évin era giustificato data la
compatibilità di queste disposizioni con l'art. 59 del Trattato.
28. La High Court rileva, da una parte, che diversi giudici francesi si sono pronunciati in
maniera diversa sull'applicabilità della legge Évin alle trasmissioni transfrontaliere di
eventi sportivi. Dall'altro, essa fa valere una relazione di esperti relativa agli effetti pratici
delle disposizioni di applicazione della legge Évin che le è stata sottoposta. Ne deriva, in
particolare, che gli incontri precedenti ai quarti di finale della coppa UEFA sono
considerati come «altri eventi» ai sensi del codice di buona condotta adottato dal CSA.
29. Dopo essersi assicurata del fatto che le questioni sollevate dinanzi ad essa non
dovevano essere esaminate nell'ambito della direttiva del Consiglio 3 ottobre 1989,
89/552/CEE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative
regolamentari ed amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività
televisive (GU L 298, pag. 23), la High Court ha ritenuto che la disposizione di diritto
comunitario applicabile fosse l'art. 59 del Trattato.
30. Tuttavia, non le è sembrato opportuno, in qualità di giudice inglese, statuire
definitivamente sulla legittimità di una legge francese in relazione all'art. 59 del Trattato,
in particolare senza che il governo francese avesse potuto presentare le sue osservazioni
al riguardo.
31. In tale contesto, la High Court ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre
alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se gli artt. da L.17 a L. 21 del Code des débits de boissons (le cosiddette disposizioni
della legge Évin), l'art. 8 del decreto 27 marzo 1992, n. 92-280, e le disposizioni del code
de bonne conduite del 28 marzo 1995 siano incompatibili con l'art. 59 del Trattato CE
(divenuto, in seguito a modifica, articolo 49 CE) nella misura in cui impediscono o
limitano:
a) la pubblicità di bevande alcoliche durante eventi sportivi da trasmettere per via
televisiva in Francia, ma che hanno luogo in altri Stati membri, e
b) la trasmissione in Francia di eventi sportivi aventi luogo in altri Stati membri e in cui
sia presente pubblicità di bevande alcoliche.
2. In caso contrario, se il modo in cui tali disposizioni sono concretamente interpretate ed
applicate dal Conseil supérieur de l'audiovisuel sia incompatibile con l'articolo 59 del
Trattato CE (divenuto [in seguito a modifica] articolo 49 CE) nella misura in cui si
impedisce o si limita:
a) la pubblicità di bevande alcoliche durante eventi sportivi da trasmettere per via
televisiva in Francia, ma che hanno luogo in altri Stati membri, e
b) la trasmissione in Francia di eventi sportivi aventi luogo in altri Stati membri e in cui
sia presente pubblicità di bevande alcoliche».
32. La Corte, ritenendo poco chiari, sulla base dei documenti ad essa presentati, i motivi
per cui una soluzione delle questioni pregiudiziali fosse necessaria al giudice nazionale
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per emettere la sua sentenza nella causa principale, ha chiesto, ai sensi dell'art. 104, n. 5,
del suo regolamento di procedura, al giudice nazionale di chiarire più dettagliatamente su
quale base la Newcastle potesse far riferimento alla legge Évin - supponendo che sia
compatibile con l'art. 59 del Trattato - affinché fosse respinto il ricorso presentato contro
di essa.
33. Nel rispondere a tale domanda, la High Court of Justice ha precisato che il ricorso
presentato contro la Newcastle era basato sul «pregiudizio indotto tramite l'istigazione ad
una violazione contrattuale». Ora, sarebbe ben consolidato nel diritto inglese il principio
secondo cui una parte può far valere che una tale ingerenza in un contratto è giustificata.
La questione intesa ad accertare cosa costituisca una giustificazione in tale ambito
rientrerebbe nella competenza del giudice nazionale che dovrebbe statuire tenendo conto
di tutte le circostanze della causa.
34. Nella presente causa, la Newcastle avrebbe fatto valere di essere legittimata a dare
istruzioni per rimuovere i pannelli pubblicitari nello stadio, poiché, tra l'altro, «tali
istruzioni erano state date in quanto si poteva ragionevolmente pensare che il fatto di non
darle avrebbe comportato una violazione della normativa francese».
35. Per quanto riguarda le attrici nella causa principale, esse farebbero valere che questo
motivo di difesa è inaccettabile in diritto comunitario poiché la legge Évin è in ogni caso
incompatibile con l'art. 59 del Trattato.
36. La High Court ha quindi ritenuto che fosse opportuno chiedere alla Corte di
pronunciarsi in via pregiudiziale sulla questione di diritto comunitario che le ha
sottoposto.
Sulla ricevibilità
Osservazioni presentate alla Corte
37. Il governo francese e la Commissione sostengono che le questioni pregiudiziali sono
irricevibili. Infatti, secondo il governo francese, la normativa francese non ha
applicazione extraterritoriale. Soltanto l'emittente francese che aveva acquistato i diritti di
trasmissione televisiva avrebbe dovuto rispondere di un'eventuale violazione della legge
francese nel trasmettere in Francia l'incontro che si è svolto in Inghilterra. Facendo valere
la normativa francese, la Newcastle sarebbe stata motivata unicamente dal timore di
perdere il corrispettivo dei diritti televisivi.
38. La Commissione aggiunge che il giudice nazionale non ha precisato se ed in che
modo tali considerazioni finanziarie possano giustificare l'ingerenza in un contratto tra
terzi. Più in generale, il giudice nazionale non avrebbe fornito alla Corte alcuna
indicazione circa il modo in cui le soluzioni delle questioni poste potrebbero essergli di
ausilio nel risolvere la controversia ad esso sottoposta.
39. Secondo le attrici nella causa principale invece la ricevibilità del rinvio pregiudiziale
risulta dal fatto che il giudice nazionale deve esaminare tutte le giustificazioni che sono
state fatte valere dinanzi ad esso. E' pacifico che la decisione della Newcastle era
motivata dall'esistenza e dagli effetti della normativa francese. Le attrici nella causa
principale fanno valere che questo tentativo di giustificazione non è valido in quanto la
legge Évin è incompatibile con l'art. 59 del Trattato.
40. Il governo del Regno Unito condivide tale argomento e aggiunge che, se l'accordo
concluso tra la Newcastle e la CSI prevedeva, esplicitamente o implicitamente, il rispetto
del diritto francese nella trasmissione dell'incontro, la compatibilità del diritto francese
con l'art. 59 del Trattato sarebbe effettivamente pertinente per il procedimento principale.
In ogni caso, il requisito imposto all'emittente francese di negoziare il rispetto della legge
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Évin nella trasmissione di incontri aventi luogo all'estero conferirebbe a questa normativa
effetti extraterritoriali.
Valutazione della Corte
41. Occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, spetta esclusivamente al
giudice nazionale cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la
responsabilità dell'emananda decisione giurisdizionale valutare, alla luce delle particolari
circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale, sia la rilevanza
delle questioni che propone alla Corte. Di conseguenza, dal momento che le questioni
sollevate dal giudice nazionale vertono sull'interpretazione del diritto comunitario, la
Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (v., in particolare, sentenze 15 dicembre
1995, causa C-415/93, Bosman e a., Racc. pag. I-4921, punto 59; 13 marzo 2001, causa
C-379/98, PreussenElektra, Racc. pag. I-2099, punto 38, e 10 dicembre 2002, C-153/00,
Der Weduwe, Racc. pag. I-11319, punto 31).
42. Tuttavia, la Corte ha anche affermato che, in ipotesi eccezionali, le spetta esaminare
le condizioni in cui il giudice nazionale le sottopone questioni pregiudiziali (v., in tal
senso, sentenze PreussenElektra, cit., punto 39). Infatti, lo spirito di collaborazione che
deve presiedere al funzionamento del rinvio pregiudiziale implica che, dal canto suo, il
giudice nazionale tenga presente la funzione assegnata alla Corte, che è quella di
contribuire all'amministrazione della giustizia negli Stati membri e non di esprimere
pareri consultivi su questioni generali o ipotetiche (sentenze citate Bosman e a., punto 60,
e Der Weduwe, punto 32).
43. Pertanto, la Corte ha ritenuto di non poter statuire su una questione sollevata da un
giudice nazionale qualora appaia in modo manifesto che l'interpretazione o il giudizio
sulla validità di una norma comunitaria chiesti da tale giudice non hanno alcuna relazione
con l'effettività o con l'oggetto della causa principale, oppure qualora il problema sia di
natura ipotetica e la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per
fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (v. sentenze Bosman,
cit., punto 61; 9 marzo 2000, causa C-437/97, EKW e Wein & Co., Racc. pag. I-1157,
punto 52, e 13 luglio 2000, causa C-36/99, Idéal tourisme, Racc. pag. I-6049, punto 20).
44. Al fine di consentire alla Corte di espletare la sua funzione in conformità al Trattato, è
indispensabile che i giudici nazionali chiariscano, nel caso in cui non risultino
inequivocabilmente dal fascicolo, i motivi per i quali ritengono necessaria alla
definizione della controversia la soluzione delle questioni da loro proposte (sentenza 16
dicembre 1981, causa 244/80, Foglia, Racc. pag. 3045, punto 17). Infatti, la Corte ha
affermato che è indispensabile che il giudice nazionale fornisca un minimo di spiegazioni
sui motivi della scelta delle norme comunitarie di cui chiede l'interpretazione e sul nesso
che egli stabilisce tra le dette norme e la normativa nazionale applicabile alla controversia
(ordinanza 28 giugno 2000, causa C-116/00, Laguillaumie, Racc. pag. I-4979, punto 16).
45. Inoltre la Corte deve esercitare una particolare vigilanza quando le venga sottoposta,
nell'ambito di una controversia tra privati, una questione pregiudiziale intesa a consentire
al giudice nazionale di valutare la compatibilità della normativa di un altro Stato membro
col diritto comunitario (sentenza Foglia, cit., punto 30).
46.
Nella fattispecie, poiché le questioni sottoposte sono destinate a consentire al giudice del
rinvio di valutare la compatibilità con il diritto comunitario della normativa di un altro
Stato membro, la Corte deve essere informata dettagliatamente dei motivi che inducono
tale giudice a ritenere che la soluzione di tali questioni sia necessaria per consentirgli di
emettere la sua pronuncia.
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47. Ora, dalla descrizione dell'ambito normativo effettuata dal giudice nazionale risulta
che quest'ultimo deve applicare nella causa principale le disposizioni del diritto inglese.
Tuttavia, egli ritiene che «il punto centrale per la soluzione della controversia riguarda la
legittimità della legge Évin» senza tuttavia affermare che la soluzione di tale questione è
necessaria per consentirgli di emettere la sua pronuncia.
48. Essendo stato invitato dalla Corte a precisare più dettagliatamente su quale base la
Newcastle potesse far valere la legge Évin, il giudice nazionale in sostanza si è limitato
ad esporre l'argomento della convenuta nella causa principale secondo cui essa poteva
ragionevolmente ritenere che l'omissione di fornire istruzioni per rimuovere i pannelli
pubblicitari nello stadio avrebbe comportato una violazione del diritto francese.
49. Per contro, il giudice nazionale non ha indicato se esso stesso ritenesse che la
Newcastle potesse ragionevolmente supporre di essere tenuta a rispettare la normativa
francese, e la Corte non dispone di alcun elemento in tal senso.
50. Per il resto, il governo del Regno Unito ha sostenuto che la premessa che consente di
concludere per la pertinenza delle questioni pregiudiziali potrebbe consistere
nell'esistenza di un obbligo per la Newcastle di rispettare la normativa francese sulla base
della formulazione dell'accordo che essa aveva concluso con la CSI, accordo che
prevedeva la trasmissione dell'incontro Newcastle-Metz da parte di una rete televisiva
francese. A tale riguardo è sufficiente constatare che il giudice nazionale non ha fatto
valere l'esistenza di un tale obbligo contrattuale.
51. Inoltre, come sottolinea giustamente l'avvocato generale al paragrafo 34 delle sue
conclusioni, anche se il giudice nazionale dovesse ritenere che la Newcastle poteva
ragionevolmente supporre che il rispetto della normativa francese richiedeva la sua
ingerenza nei contratti di cui trattasi, non è affatto chiaro perché mai tale giustificazione
non dovrebbe più sussistere qualora la disposizione di cui Newcastle intendeva assicurare
il rispetto risultasse incompatibile con l'art. 59 del Trattato.
52. Ora, l'ordinanza di rinvio non contiene alcuna informazione nemmeno su tale punto.
53. Alla luce di queste considerazioni, si deve constatare che la Corte non dispone di
elementi da cui emerga la necessità di pronunciarsi sulla compatibilità con il Trattato di
una normativa di uno Stato membro diverso da quello del giudice del rinvio.
54. Pertanto, le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte sono irricevibili.
Per questi motivi,
LA CORTE,
dichiara:
La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice (England &
Wales), Queen's Bench Division, con ordinanza 28 luglio 2000, è irricevibile.
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13. Procedimento C-206/01,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 234 CE, dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division
(Regno Unito), nella causa dinanzi ad essa pendente tra
Arsenal Football Club plc
e
Matthew Reed,
domanda vertente sull'interpretazione dell'art. 5, n. 1, lett. a), della prima direttiva del
Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU 1989, L 40, pag. 1),
LA CORTE,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 4 maggio 2001, pervenuta in cancelleria il 18 maggio successivo, la
High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, ha sottoposto alla Corte, a
norma dell'art. 234 CE, due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione dell'art. 5,
n. 1, lett. a), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU
1989, L 40, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»).
2. Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia tra l'Arsenal Football
Club plc (in prosieguo: l'«Arsenal FC») e il sig. Reed in merito alla vendita e all'offerta in
vendita da parte di quest'ultimo di sciarpe sulle quali figurava a grandi lettere il termine
«Arsenal», segno registrato come marchio dall'Arsenal FC in particolare per prodotti del
genere.
Contesto normativo
Normativa comunitaria
3. Nel primo considerando della direttiva si afferma che le legislazioni nazionali sui
marchi d'impresa presentano disparità che possono ostacolare la libera circolazione dei
prodotti e la libera prestazione dei servizi, nonché falsare le condizioni di concorrenza nel
mercato comune. Ai sensi di tale considerando, ne deriva che, nella prospettiva
dell'instaurazione e del funzionamento del mercato interno, è necessario ravvicinare le
legislazioni degli Stati membri. Il terzo considerando della direttiva precisa che non è
attualmente necessario procedere ad un ravvicinamento completo delle legislazioni degli
Stati membri in tema di marchi d'impresa.
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4. Ai sensi del decimo considerando della direttiva:
«(...) la tutela che è accordata dal marchio di impresa registrato e che mira in particolare a
garantire la funzione d'origine del marchio di impresa, è assoluta in caso di identità tra il
marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi (...)».
5. L'art. 5, n. 1, della direttiva dispone:
«Il marchio d'impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il
diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare, nel commercio:
a) un segno identico al marchio d'impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui
esso è stato registrato;
b) un segno che, a motivo dell'identità o della somiglianza di detto segno col marchio
d'impresa e dell'identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio
d'impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico,
comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio d'impresa».
6. L'art. 5, n. 3, lett. a) e b), della direttiva prevede:
«Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono
soddisfatte:
a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;
b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini (...)».
7. Ai sensi dell'art. 5, n. 5, della direttiva:
«I paragrafi da 1 a 4 non pregiudicano le disposizioni applicabili in uno Stato membro per
la tutela contro l'uso di un segno fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i
prodotti o servizi, quando l'uso di tale segno senza giusto motivo consente di trarre
indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o della notorietà del marchio di impresa o
reca pregiudizio agli stessi».
8. L'art. 6, n. 1, della direttiva è così formulato:
«Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare
ai terzi l'uso nel commercio:
a) del loro nome e indirizzo;
b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore,
alla provenienza geografica, all'epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del
servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio;
c) del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di
un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio,
purché l'uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale».
Normativa nazionale
9. Nel Regno Unito il diritto dei marchi è disciplinato dal Trade Marks Act 1994 (legge
sui marchi del 1994) che, al fine di recepire la direttiva, ha sostituito il Trade Marks Act
1938 (legge sui marchi del 1938).
10. L'art. 10, n. 1, del Trade Marks Act 1994 recita:
«E' responsabile di contraffazione di un marchio d'impresa chi fa uso nel commercio di
un segno identico al marchio per beni o servizi identici a quelli per cui il marchio è
registrato».
11. Ai sensi dell'art. 10, n. 2, lett. b), del Trade Marks Act 1994:
«E' responsabile di contraffazione di un marchio d'impresa chi fa uso nel commercio di
un segno distintivo per il quale, a motivo
(...)
b) della sua somiglianza con il marchio e del suo impiego per designare beni o servizi
identici o simili a quelli per cui il marchio è registrato,
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esiste un rischio di confusione da parte del pubblico, comprendente la probabilità
dell'associazione con il marchio».
Controversia nella causa principale e questioni pregiudiziali
12. L'Arsenal FC è una nota società calcistica che gareggia nella prima divisione del
campionato inglese. Soprannominata anche «the Gunners», essa è stata associata per
lunghissimo tempo a due emblemi, ossia quello dello scudo («the crest device») e quello
del cannone («the canon device»).
13. Nel 1989 l'Arsenal FC ha ottenuto che fossero registrati come marchi, in particolare, i
termini «Arsenal» e «Arsenal Gunners» nonché gli emblemi del cannone e dello scudo,
per una categoria di prodotti che includeva indumenti, articoli di abbigliamento sportivo e
calzature. L'Arsenal FC crea e fornisce i propri prodotti o li fa fabbricare e fornire
attraverso l'intermediario della sua rete di rivenditori autorizzati.
14. Dato che le sue attività commerciali e promozionali nell'ambito della vendita, sotto i
detti marchi, di souvenir e di prodotti derivati hanno conosciuto in questi ultimi anni un
notevolissimo sviluppo e gli hanno procurato ingenti profitti, l'Arsenal FC ha cercato di
fare in modo che i prodotti «ufficiali» - ossia i prodotti fabbricati per l'Arsenal FC o con
la sua autorizzazione - potessero essere identificati in modo chiaro e ha cercato di
convincere i propri sostenitori ad acquistare solo tali prodotti. Inoltre, esso ha promosso
azioni giudiziarie, in sede sia civile sia penale, contro commercianti che vendevano
prodotti non ufficiali.
15. Dal 1970 il sig. Reed vende souvenir ed altri prodotti aventi origine dal calcio, quasi
tutti riportanti segni facenti riferimento all'Arsenal FC, in vari chioschi situati all'esterno
della cinta dello stadio dell'Arsenal FC. Egli è riuscito a ottenere dalla società KT Sports,
incaricata dalla società calcistica di cui trattasi di commercializzare i suoi prodotti ai
rivenditori situati intorno al suddetto stadio, solo quantità molto esigue di tali prodotti
ufficiali. Nel 1991 e nel 1995 l'Arsenal FC ha fatto confiscare articoli non ufficiali
detenuti dal sig. Reed.
16. Il giudice a quo osserva che nella fattispecie in esame nella causa principale non è
contestato il fatto che, in uno dei suoi chioschi, il sig. Reed abbia venduto e proposto in
vendita sciarpe riportanti segni che facevano riferimento all'Arsenal FC con iscrizioni a
grandi lettere e che si trattasse nella fattispecie di prodotti non ufficiali.
17. Detto giudice precisa inoltre che nel suddetto chiosco figurava un grande cartello
recante il seguente testo:
«Il termine o il (i) logotipo(i) contenuti negli articoli in vendita sono utilizzati unicamente
allo scopo di decorare il prodotto e non implicano né esprimono appartenenza o alcun
altro rapporto con il fabbricante o i distributori di qualsiasi altro prodotto. Sono prodotti
ufficiali dell'Arsenal soltanto quei prodotti provvisti dell'apposita etichetta che
contrassegna i prodotti ufficiali dell'Arsenal».
18. Per di più, il giudice a quo osserva che, quando ha potuto, eccezionalmente,
procurarsi articoli ufficiali, il sig. Reed, nei contatti con i propri clienti, ha distinto in
modo chiaro i prodotti ufficiali da quelli non ufficiali, in particolare con l'apposizione di
un'etichetta recante la dicitura «ufficiale». D'altro canto, i prodotti ufficiali venivano
venduti a prezzi superiori.
19. Considerando che, vendendo le sciarpe non ufficiali controverse, il sig. Reed, da un
lato, era incorso nella responsabilità extracontrattuale in base ad un «passing off» - vale a
dire, secondo il giudice del rinvio, il comportamento di un terzo atto a indurre in errore in
modo tale che un gran numero di persone creda o sia portato a credere che gli oggetti
venduti da questo terzo siano articoli dell'attore o siano venduti con la sua autorizzazione
o presentino un collegamento di tipo commerciale con lo stesso - e, dall'altro, si era reso
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colpevole di contraffazione di marchio, l'Arsenal FC ha intentato un'azione contro il
suddetto commerciante dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Chancery
Division.
20. Alla luce delle circostanze della fattispecie di cui alla causa principale, il giudice a
quo ha respinto la domanda dell'Arsenal FC nella sua azione per responsabilità
extracontrattuale (per «passing off») in quanto, in sostanza, la suddetta società calcistica
non era stata in grado di dimostrare l'esistenza di una reale confusione da parte del
pubblico interessato e, più in particolare, non aveva potuto provare che tutti i prodotti a
carattere non ufficiale smerciati dal sig. Reed venissero considerati dal pubblico come
provenienti dall'Arsenal FC o da quest'ultimo autorizzati. A tale proposito, il giudice del
rinvio ha segnatamente rilevato che a suo parere i segni che richiamavano l'Arsenal FC,
apposti sugli oggetti venduti dal sig. Reed, non comprendevano alcuna indicazione
relativa all'origine di questi ultimi.
21. Quanto alla doglianza dell'Arsenal FC relativa alla contraffazione dei suoi marchi e
fondata sull'art. 10, nn. 1 e 2, lett. b), del Trade Marks Act 1994, il giudice a quo ha
respinto l'argomento dell'Arsenal FC secondo cui l'uso fatto dal sig. Reed dei segni
registrati come marchi veniva percepito da coloro cui essi erano destinati come indicante
la provenienza dei prodotti («badge of origin») e quindi costituiva un uso di tali segni «in
quanto marchi d'impresa» («trademark use»).
22. Infatti, secondo tale giudice, i segni apposti sui prodotti del sig. Reed venivano
percepiti dal pubblico come dimostrazioni di sostegno, fedeltà o appartenenza («badge of
support, loyalty or affiliation»).
23. Alla luce di tali elementi, il giudice a quo ha ritenuto che l'azione per contraffazione
dell'Arsenal FC avrebbe potuto avere esito positivo solo se la tutela conferita al titolare
del marchio dall'art. 10 del Trade Marks Act 1994 e dalla direttiva attuata dalla detta
legge vietasse a un terzo un uso diverso dall'uso in quanto marchio d'impresa, il che
presupporrebbe un'interpretazione estensiva di tali norme.
24. A tale riguardo, il giudice del rinvio afferma che la tesi secondo cui è vietato a terzi
un uso diverso da un uso in quanto marchio d'impresa presenta talune incongruenze.
Tuttavia, la tesi inversa, ossia quella secondo cui è disciplinato solo l'uso in quanto
marchio d'impresa, si scontrerebbe con una difficoltà connessa alla formulazione letterale
della direttiva e del Trade Marks Act 1994, che definiscono la contraffazione come l'uso
di un «segno» e non come l'uso di un «marchio d'impresa».
25. Il giudice a quo osserva che è segnatamente alla luce di tale formulazione letterale
che la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Regno Unito) ha dichiarato,
nella sentenza Philips Electronics Ltd/Remington Consumer Products ([1999] RPC 809),
che l'uso di un segno - registrato come marchio d'impresa - diverso da un uso in quanto
marchio d'impresa poteva rappresentare una violazione del diritto di marchio. La High
Court osserva che lo stato del diritto in merito a tale questione permane tuttavia incerto.
26. Peraltro, il giudice del rinvio ha respinto l'argomento del sig. Reed relativo all'asserita
invalidità dei marchi dell'Arsenal FC.
27. Di conseguenza, la High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, ha
deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni
pregiudiziali:
«1) Qualora un marchio sia validamente registrato e
a) un terzo utilizzi nel commercio un segno identico al detto marchio per designare
prodotti identici a quelli per i quali il marchio è registrato, e
b) il terzo non possa far valere a sua difesa il disposto dell'art. 6, n. 1, della direttiva del
Consiglio (...), 89/104/CEE (...),
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se tale terzo possa far valere limitazioni agli effetti del marchio in quanto l'uso
contestatogli non comporta alcuna indicazione di origine (ossia non indica un
collegamento nel commercio tra i prodotti ed il titolare del marchio).
2) In caso di soluzione affermativa, se sia sufficiente a costituire tale collegamento la
circostanza che l'uso di cui trattasi venga percepito come una dimostrazione di sostegno,
fedeltà o appartenenza nei confronti del titolare del marchio».
Sulle questioni pregiudiziali
28. Occorre esaminare in modo congiunto le due questioni pregiudiziali.
Osservazioni sottoposte alla Corte
29. L'Arsenal FC osserva che l'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva consente al titolare del
marchio di vietare l'uso di un segno identico al marchio d'impresa e non assoggetta affatto
l'esercizio di tale diritto di veto alla condizione che il segno sia usato in quanto marchio
d'impresa. La tutela conferita da tale disposizione si estende pertanto all'uso del segno da
parte di terzi anche quando tale uso non accrediti l'esistenza di un collegamento tra il
prodotto e il titolare del marchio d'impresa. Tale interpretazione sarebbe avvalorata
dall'art. 6, n. 1, della direttiva poiché le particolari limitazioni all'esercizio dei diritti
derivanti dal marchio previste da tale articolo dimostrerebbero che un siffatto uso, in
linea di principio, ricade nell'ambito di applicazione dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva
e che esso è consentito solo nei casi tassativamente previsti dall'art. 6, n. 1, della direttiva.
30. In subordine, l'Arsenal FC osserva che, nel caso di specie, l'uso fatto dal sig. Reed del
segno identico al marchio Arsenal deve essere comunque qualificato come uso del
marchio in quanto marchio d'impresa poiché tale uso fornisce un'indicazione in merito
alla provenienza dei prodotti e non rileva che sia il titolare del marchio d'impresa ad
essere così designato.
31. Il sig. Reed sostiene che le attività commerciali controverse nella causa principale non
ricadono nell'ambito di applicazione dell'art. 5, n. 1, della direttiva, poiché l'Arsenal FC
non avrebbe provato che il segno fosse utilizzato in quanto marchio d'impresa, ossia per
indicare la provenienza dei prodotti, come sarebbe richiesto dalla direttiva e, più in
particolare, dall'art. 5 di quest'ultima. Se il pubblico non percepisse il segno come
un'indicazione di origine, l'uso non costituirebbe un uso del segno in quanto marchio
d'impresa. Per quanto riguarda l'art. 6 della direttiva, da tale disposizione non emergono
elementi da cui risulti che essa contiene un elenco tassativo delle attività che non
costituiscono contraffazione.
32. La Commissione sostiene che il diritto ricavato, da parte del titolare di un marchio,
dall'art. 5, n. 1, della direttiva è indipendente dal fatto che il terzo non utilizzi il segno in
quanto marchio d'impresa e, in particolare, dal fatto che detto terzo non lo utilizzi come
indicazione d'origine ma renda noto al pubblico mediante altri mezzi che i prodotti non
provengono dal titolare del marchio d'impresa, o addirittura che l'uso del segno non è
stato autorizzato da quest'ultimo. La finalità specifica del marchio d'impresa sarebbe
infatti quella di garantire che solo il titolare possa fornire al prodotto la sua identità di
origine grazie all'apposizione del marchio stesso. La Commissione sostiene inoltre che
dal decimo considerando della direttiva consegue che la tutela prevista all'art. 5, n. 1, lett.
a), di quest'ultima è assoluta.
33. All'udienza la Commissione ha aggiunto che la nozione di uso del marchio d'impresa
in quanto marchio d'impresa, se ritenuta rilevante, si riferisce ad un uso idoneo a
distinguere prodotti anziché ad indicare la loro origine. Tale nozione includerebbe anche
usi da parte dei terzi che pregiudichino gli interessi del titolare del marchio d'impresa,
come quello relativo alla reputazione dei prodotti. Comunque, la percezione da parte del
pubblico del termine «Arsenal», identico a un marchio denominativo, come una
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dimostrazione di sostegno, fedeltà o appartenenza nei confronti del titolare del marchio
non escluderebbe che i prodotti interessati siano percepiti anche per questa ragione come
provenienti dal titolare del marchio d'impresa. Al contrario, invece, una tale percezione
confermerebbe il carattere distintivo del marchio e aumenterebbe il rischio che i prodotti
siano percepiti come provenienti dal titolare del marchio stesso. Di conseguenza, anche
se l'uso del marchio d'impresa in quanto marchio d'impresa fosse un criterio rilevante, il
suddetto titolare dovrebbe poter legittimamente vietare l'attività commerciale controversa
nella causa principale.
34. L'Autorità di vigilanza AELS sostiene che, perché l'art. 5, n. 1, della direttiva possa
essere invocato dal titolare del marchio d'impresa, i terzi devono far uso del segno al fine
di distinguere - dato che si tratta della funzione principale e tradizionale del marchio prodotti o servizi, ossia utilizzare il marchio d'impresa in quanto marchio d'impresa. Se
tale condizione non ricorresse, il titolare potrebbe invocare solo le disposizioni del diritto
nazionale previste all'art. 5, n. 5, della direttiva.
35. Tuttavia, la condizione dell'uso del marchio d'impresa in quanto marchio d'impresa ai
sensi dell'art. 5, n. 1, della direttiva, che dovrebbe essere intesa come una condizione di
uso di un segno identico al marchio al fine di contraddistinguere prodotti o servizi,
sarebbe una nozione di diritto comunitario cui si dovrebbe attribuire un significato ampio,
tale da includere, in particolare, l'uso come una dimostrazione di sostegno, fedeltà o
appartenenza nei confronti del titolare del marchio.
36. Secondo l'Autorità di vigilanza AELS, il fatto che il terzo che appone il marchio
d'impresa su determinati prodotti indichi che questi ultimi non provengono dal titolare del
marchio non escluderebbe un rischio di confusione per una cerchia più ampia di
consumatori. Se il titolare non avesse il diritto di opporsi a che terzi agiscano in questo
modo, potrebbe derivarne un uso generalizzato del segno che, in fin dei conti, priverebbe
il marchio del suo carattere distintivo, ponendone così a repentaglio la principale e
tradizionale funzione.
Soluzione della Corte
37. Occorre rammentare, in limine, che l'art. 5 della direttiva definisce i «[d]iritti conferiti
dal marchio di impresa» e che l'art. 6 contiene norme relative alla «[l]imitazione degli
effetti del marchio di impresa».
38. Ai sensi dell'art. 5, n. 1, prima frase, della direttiva, il marchio d'impresa registrato
conferisce al titolare un diritto esclusivo. Ai sensi dello stesso paragrafo, lett. a), tale
diritto esclusivo legittima il titolare a vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare, nel
commercio, un segno identico al marchio d'impresa per prodotti o servizi identici a quelli
per cui esso è stato registrato. L'art. 5, n. 3, della direttiva elenca in modo non tassativo i
tipi di uso che il titolare può vietare ai sensi del n. 1 di tale articolo. Altre disposizioni
della direttiva, come l'art. 6, definiscono talune limitazioni degli effetti del marchio
d'impresa.
39. Per quanto riguarda la situazione controversa nella causa principale, occorre osservare
che, come emerge in particolare dal punto 19 e dall'allegato V dell'ordinanza di rinvio, il
termine «Arsenal» figura a grandi lettere sulle sciarpe messe in vendita dal sig. Reed ed è
accompagnato da altre menzioni notevolmente meno visibili, in particolare «the
Gunners», che si riferiscono tutte al titolare del marchio, vale a dire l'Arsenal FC. Tali
sciarpe sono destinate, tra l'altro, ai sostenitori dell'Arsenal FC, che le indossano in
particolare durante le gare cui partecipa la detta società.
40. Pertanto, come ha osservato il giudice a quo, l'uso del segno identico al marchio
avviene effettivamente nel commercio, dal momento che si colloca nel contesto di
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un'attività commerciale finalizzata a un vantaggio economico e non nell'ambito privato.
Si tratta inoltre dell'ipotesi di cui all'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva, vale a dire quella
di un segno identico al marchio d'impresa per prodotti identici a quelli per cui esso è stato
registrato.
41. A tale proposito, occorre constatare in particolare che l'uso controverso nella causa
principale è fatto «per prodotti» ai sensi dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva perché
riguarda l'apposizione del segno identico al marchio d'impresa su prodotti nonché
l'offerta, l'immissione in commercio o la detenzione a tali fini di prodotti, ai sensi dell'art.
5, n. 3, lett. a) e b), della direttiva.
42. Al fine di risolvere le questioni pregiudiziali, è necessario determinare se l'art. 5, n. 1,
lett. a), della direttiva autorizzi il titolare del marchio d'impresa a vietare qualsiasi uso nel
commercio, da parte di un terzo, di un segno identico al marchio d'impresa per prodotti
identici a quelli per cui quest'ultimo è stato registrato o se tale diritto di veto presupponga
la sussistenza di un interesse specifico del titolare in quanto titolare del marchio, nei
limiti in cui l'uso del segno di cui trattasi da parte di un terzo debba pregiudicare o poter
pregiudicare una delle funzioni del marchio.
43. A tal riguardo, occorre anzitutto rammentare che l'art. 5, n. 1, della direttiva realizza
un'armonizzazione completa e definisce il diritto esclusivo di cui godono i titolari di
marchi all'interno della Comunità (v., in tal senso, sentenza 20 novembre 2001, cause
riunite da C-414/99 a C-416/99, Zino Davidoff e Levi Strauss, Racc. pag. I-8691, punto
39, e giurisprudenza citata).
44. Nel nono considerando della direttiva si precisa che quest'ultima mira a garantire al
titolare del marchio d'impresa, «negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri, la
medesima tutela» e si qualifica tale finalità come «fondamentale».
45. Al fine di evitare che la tutela concessa al titolare del marchio vari da uno Stato
all'altro, spetta pertanto alla Corte dare un'interpretazione uniforme dell'art. 5, n. 1, della
direttiva, in particolare della nozione di «uso» ivi contenuta, nozione che forma oggetto
delle questioni pregiudiziali nella presente causa (v., in tal senso, citata sentenza Zino
Davidoff e Levi Strauss, punti 42 e 43).
46. In secondo luogo, si deve osservare che la direttiva è volta, come emerge dal suo
primo considerando, ad abolire le disparità tra le legislazioni degli Stati membri in
materia di marchi d'impresa che possono ostacolare la libera circolazione dei prodotti e la
libera prestazione dei servizi nonché falsare le condizioni di concorrenza nel mercato
comune.
47. Il diritto di marchio costituisce infatti un elemento essenziale del sistema di
concorrenza non falsato che il Trattato mira a stabilire e mantenere. In tale sistema le
imprese debbono essere in grado di attirare la clientela con la qualità delle loro merci o
dei loro servizi, il che è possibile solo grazie all'esistenza di contrassegni distintivi che
consentano di identificarli (v., segnatamente, sentenze 17 ottobre 1990, causa C-10/89,
Hag GF, Racc. pag. I-3711, punto 13, e 4 ottobre 2001, causa C-517/99, Merz & Krell,
Racc. pag. I-6959, punto 21).
48. In tale prospettiva, la funzione essenziale del marchio consiste nel garantire al
consumatore o all'utilizzatore finale l'identità di origine del prodotto o del servizio
contrassegnato dal marchio, consentendo loro di distinguere senza confusione possibile
questo prodotto o questo servizio da quelli di provenienza diversa. Infatti, per poter
svolgere la sua funzione di elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato
che il Trattato intende istituire e mantenere, il marchio deve costituire la garanzia che tutti
i prodotti o servizi che ne sono contrassegnati sono stati fabbricati o forniti sotto il
controllo di un'unica impresa alla quale possa attribuirsi la responsabilità della loro
qualità (v., in particolare, sentenze 23 maggio 1978, causa 102/77, Hoffmann-La Roche,
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Racc. pag. 1139, punto 7, e 18 giugno 2002, causa C-299/99, Philips, Racc. pag. I-5475,
punto 30).
49. Il legislatore comunitario ha consacrato tale funzione essenziale del marchio
disponendo, all'art. 2 della direttiva, che i segni che possono essere riprodotti
graficamente possono costituire un marchio alla sola condizione che essi siano adatti a
distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese (v., in particolare,
citata sentenza Merz & Krell, punto 23).
50. Perché tale garanzia di provenienza, che costituisce l'essenziale funzione del marchio,
possa essere garantita, il titolare del marchio deve essere tutelato nei confronti dei
concorrenti che volessero abusare della posizione e della reputazione del marchio
vendendo prodotti indebitamente contrassegnati con questo (v., segnatamente, citate
sentenze Hoffmann-La Roche, punto 7, e 11 novembre 1997, causa C-349/95,
Loendersloot, Racc. pag. I-6227, punto 22). A tale proposito, nel decimo considerando
della direttiva si sottolinea il carattere assoluto della tutela accordata al marchio d'impresa
in caso di identità tra il marchio d'impresa e il segno e tra i prodotti o servizi controversi e
quelli per i quali il marchio è stato registrato. Vi si specifica che tale tutela mira in
particolare a garantire la funzione d'origine del marchio d'impresa.
51. Da tali considerazioni discende che il diritto esclusivo previsto all'art. 5, n. 1, lett. a),
della direttiva è stato concesso al fine di consentire al titolare del marchio d'impresa di
tutelare i propri interessi specifici quale titolare di quest'ultimo, ossia garantire che il
marchio possa adempiere le sue proprie funzioni. L'esercizio di tale diritto deve essere
pertanto riservato ai casi in cui l'uso del segno da parte di un terzo pregiudichi o possa
pregiudicare le funzioni del marchio e, in particolare, la sua funzione essenziale di
garantire ai consumatori la provenienza del prodotto.
52. Infatti, la natura esclusiva del diritto conferito dal marchio registrato al titolare di
quest'ultimo in forza dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva può essere giustificata solo nei
limiti dell'ambito di applicazione di tale disposizione.
53. A tale riguardo occorre rammentare che, ai sensi dell'art. 5, n. 5, della direttiva, l'art.
5, nn. 1-4, di quest'ultima non pregiudica le disposizioni applicabili in uno Stato membro
per la tutela contro l'uso di un segno fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i
prodotti o servizi.
54. Infatti, il titolare non potrebbe vietare l'uso di un segno identico al marchio d'impresa
per prodotti identici a quelli per i quali il marchio è stato registrato se tale uso non potesse
pregiudicare i suoi interessi specifici in quanto titolare del marchio d'impresa, considerate
le funzioni di quest'ultimo. Pertanto, taluni usi a fini puramente descrittivi sono esclusi
dall'ambito di applicazione dell'art. 5, n. 1, della direttiva perché non ledono alcuno degli
interessi tutelati da tale disposizione e non rientrano quindi nella nozione di uso ai sensi
della disposizione stessa (v., per quanto riguarda un uso a fini puramente descrittivi
quanto alle caratteristiche del prodotto offerto, sentenza 14 maggio 2002, causa C-2/00,
Hölterhoff, Racc. I-4187, punto 16).
55. Al riguardo, è giocoforza constatare anzitutto che la situazione della fattispecie di cui
alla causa principale è fondamentalmente diversa da quella che ha originato la citata
sentenza Hölterhoff. Nel caso di specie, l'uso del segno si colloca infatti nell'ambito di
vendite a consumatori e non è manifestamente destinato a fini puramente descrittivi.
56. Alla luce della presentazione della parola «Arsenal» sui prodotti controversi nella
causa principale nonché delle altre diciture secondarie figuranti su questi ultimi (v. punto
39 della presente sentenza), l'uso di detto segno è tale da rendere credibile l'esistenza di
un collegamento materiale nel commercio tra i prodotti interessati e il titolare del
marchio.
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57. Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall'avvertenza, figurante nel
chiosco del sig. Reed, secondo cui i prodotti controversi nella causa principale non
costituiscono prodotti ufficiali dell'Arsenal FC (v. il punto 17 della presente sentenza).
Infatti, anche supponendo che una siffatta avvertenza possa essere fatta valere da un terzo
a sua difesa in un procedimento per contraffazione di marchio, è giocoforza constatare
che, nella fattispecie di cui alla causa principale, non può essere escluso che taluni
consumatori, in particolare se i prodotti sono presentati loro dopo essere stati venduti dal
sig. Reed e asportati al chiosco in cui appariva l'avvertenza, interpretino il segno come
indicante l'Arsenal FC quale impresa di provenienza dei prodotti.
58. Peraltro, si deve constatare che, nella fattispecie oggetto della causa principale, non è
nemmeno garantito, come esige tuttavia la giurisprudenza della Corte ricordata al punto
48 della presente sentenza, che tutti i prodotti contrassegnati dal marchio d'impresa siano
stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un'unica impresa alla quale possa attribuirsi la
responsabilità della loro qualità.
59. Infatti, i prodotti controversi nella causa principale vengono forniti al di fuori del
controllo dell'Arsenal FC quale titolare del marchio d'impresa, in quanto è pacifico che i
suddetti prodotti non provengono dall'Arsenal FC né dai suoi rivenditori autorizzati.
60. Pertanto, l'uso di un segno identico al marchio controverso nella causa principale può
mettere a repentaglio la garanzia di provenienza che costituisce la funzione essenziale del
marchio, come emerge dalla giurisprudenza della Corte menzionata al punto 48 di questa
sentenza. Pertanto si tratta di un uso al quale il titolare del marchio può opporsi in
conformità all'art. 5, n. 1, della direttiva.
61. Essendo accertato che, nella fattispecie di cui alla causa principale, l'uso da parte di
terzi del segno interessato può pregiudicare la garanzia di provenienza del prodotto e che
il titolare del marchio deve potervisi opporre, tale conclusione non può essere rimessa in
discussione dal fatto che il suddetto marchio venga percepito, nel contesto di tale uso,
come una dimostrazione di sostegno, fedeltà o appartenenza nei confronti del titolare del
marchio.
62. Alla luce di quanto precede, le questioni proposte dal giudice a quo devono essere
risolte nel senso che, in una situazione non rientrante nell'ambito di applicazione dell'art.
6, n. 1, della direttiva in cui un terzo faccia uso, nel commercio, di un segno identico a un
marchio d'impresa validamente registrato su prodotti identici a quelli per i quali è stato
registrato, il titolare del marchio, in una fattispecie come quella controversa nella causa
principale, può opporsi a tale uso conformemente all'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva.
Tale conclusione non può essere rimessa in discussione per il fatto che il detto segno, nel
contesto di tale uso, venga percepito come una dimostrazione di sostegno, fedeltà o
appartenenza nei confronti del titolare del marchio.
Per questi motivi,
LA CORTE,
dichiara:
In una situazione non rientrante nell'ambito di applicazione dell'art. 6, n. 1, della prima
direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, in cui un terzo faccia uso,
nel commercio, di un segno identico a un marchio d'impresa validamente registrato su
prodotti identici a quelli per i quali è stato registrato, il titolare del marchio, in una
fattispecie come quella controversa nella causa principale, può opporsi a tale uso
conformemente all'art. 5, n. 1, lett. a), della suddetta direttiva. Tale conclusione non può
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essere rimessa in discussione per il fatto che il detto segno, nel contesto di tale uso, venga
percepito come una dimostrazione di sostegno, fedeltà o appartenenza nei confronti del
titolare del marchio.
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14. Procedimento C-243/01,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 234 CE, dal Tribunale di Ascoli Piceno nel procedimento penale dinanzi ad esso
pendente a carico di
Piergiorgio Gambelli e altri,
domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 43 CE e 49 CE,
LA CORTE,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 30 marzo 2001, pervenuta in cancelleria il 22 giugno successivo, il
Tribunale di Ascoli Piceno ha sottoposto alla Corte, a norma dell'art. 234 CE, una
questione pregiudiziale relativa all'interpretazione degli artt. 43 CE e 49 CE.
2. La detta questione è stata sollevata nell'ambito di un procedimento penale a carico del
sig. Gambelli e di altri 137 indagati (in prosieguo: i «sigg. Gambelli e altri») accusati di
aver organizzato abusivamente scommesse clandestine e di essere proprietari di centri che
effettuerebbero attività di raccolta e trasmissione di dati in materia di scommesse, il che
costituisce un reato di frode contro lo Stato.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3. L'art. 43 CE così recita:
«Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei
cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate.
Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o
filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di uno Stato
membro.
La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività non salariate e al loro esercizio,
nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi
dell'articolo 48, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di
stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo
ai capitali».
4. L'art. 48, primo comma, CE, prevede che «[l]e società costituite conformemente alla
legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l'amministrazione centrale o il
centro di attività principale all'interno della Comunità, sono equiparate (...) alle persone
fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri».
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5. L'art. 46, n. 1, CE, dispone che «[l]e prescrizioni del presente capo e le misure adottate
in virtù di queste ultime lasciano impregiudicata l'applicabilità delle disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative che prevedano un regime particolare per i
cittadini stranieri e che siano giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica
sicurezza e di sanità pubblica».
6. A norma dell'art. 49, primo comma, CE, «[n]el quadro delle disposizioni seguenti, le
restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunità sono vietate nei
confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia
quello del destinatario della prestazione».
La normativa nazionale
7. Ai sensi dell'art. 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, Testo Unico delle Leggi
di Pubblica Sicurezza (GURI del 26 giugno 1931, n. 146; in prosieguo: il «regio
decreto»), «non può essere conceduta licenza per l'esercizio di scommesse, fatta
eccezione per le scommesse nelle corse, nelle regate, nei giuochi di palla o pallone e in
altre simili gare, quando l'esercizio delle scommesse costituisce una condizione
necessaria per l'utile svolgimento della gara».
8. Ai sensi dell'art. 37 della Legge Finanziaria 23 dicembre 2000, n. 388 (Supplemento
ordinario della GURI del 29 dicembre 2000; in prosieguo: la «legge n. 388/00»), la
licenza di esercizio delle scommesse è accordata solo ai concessionari o autorizzati da un
ministero o altro ente al quale la legge riserva la facoltà di organizzare o accettare
scommesse. Le scommesse possono riguardare tanto il risultato di eventi sportivi posti
sotto il controllo del Comitato olimpico nazionale italiano (in prosieguo: il «CONI») o
delle organizzazioni da esso dipendenti, quanto il risultato delle corse di cavalli
organizzate tramite l'Unione nazionale per l'incremento delle razze equine (in prosieguo:
l'«UNIRE»).
9. Gli artt. 4, 4 bis e 4 ter della legge 13 dicembre 1989, n. 401, recante «Interventi nel
settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello
svolgimento di competizioni agonistiche» (GURI del 18 dicembre 1989, n. 294; in
prosieguo: la «legge n. 401/89»), come modificata dall'art. 37, n. 5, della legge n. 388/00,
che ha introdotto gli artt. 4 bis e 4 ter nella legge n. 401/89, dispongono quanto segue:
«Esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa
Articolo 4
1. Chiunque esercita abusivamente l'organizzazione del giuoco del lotto o di scommesse
o di concorsi pronostici che la legge riserva allo Stato o ad altro ente concessionario, è
punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Alla stessa pena soggiace chi comunque
organizza scommesse o concorsi pronostici su attività sportive gestite dal Comitato
olimpico nazionale italiano (CONI), dalle organizzazioni da esso dipendenti o
dall'Unione italiana per l'incremento delle razze equine (UNIRE). Chiunque
abusivamente esercita l'organizzazione di pubbliche scommesse su altre competizioni di
persone o animali e giuochi di abilità è punito con l'arresto da tre mesi ad un anno e con
l'ammenda non inferiore a lire un milione.
2. Quando si tratta di concorsi, giuochi o scommesse gestiti con le modalità di cui al
primo comma, e fuori dei casi di concorso in uno dei reati previsti dal medesimo,
chiunque in qualsiasi modo dà pubblicità al loro esercizio è punito con l'arresto fino a tre
mesi e con l'ammenda da lire centomila a lire un milione.
3. Chiunque partecipa a concorsi, giuochi, scommesse gestiti con le modalità di cui al
primo comma, fuori dei casi di concorso in uno dei reati previsti dal medesimo, è punito
con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da lire centomila a lire un milione.
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(...)
Articolo 4 bis
Le sanzioni di cui al presente articolo sono applicate a chiunque, privo di concessione,
autorizzazione o licenza ai sensi dell'articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive
modificazioni, svolga in Italia qualsiasi attività organizzata al fine di accertare o
raccogliere o comunque favorire l'accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per
via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in
Italia o all'estero.
Articolo 4 ter
(...) le sanzioni di cui al presente articolo si applicano a chiunque effettui la raccolta o la
prenotazione di giocate del lotto, di concorsi pronostici o di scommesse per via telefonica
o telematica, ove sprovvisto di apposita autorizzazione all'uso di tali mezzi per la predetta
raccolta o prenotazione».
La causa principale e la questione pregiudiziale
10. Dall'ordinanza di rinvio emerge che il Pubblico ministero e il giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Fermo hanno rilevato l'esistenza di un'organizzazione
diffusa e capillare di agenzie italiane, collegate via Internet con il bookmaker Stanley
International Betting Ltd (in prosieguo: la «Stanley»), con sede in Liverpool (Regno
Unito), della quale fanno parte il sig. Gambelli e altri, che sono gli indagati nella causa
principale. Viene loro contestato di aver collaborato, sul territorio italiano, con un
bookmaker straniero all'attività di raccolta di scommesse di regola riservata per legge allo
Stato, in violazione della legge n. 401/89.
11. Tale attività, considerata in contrasto con il regime di monopolio sulle scommesse
sportive attribuito al CONI e integrante la fattispecie di reato prevista dall'art. 4 della
legge n. 401/89, si svolgeva con le seguenti modalità: comunicazione da parte del
giocatore al responsabile dell'Agenzia italiana delle partite sulle quali intende
scommettere e indicazioni della somma giocata; invio, da parte della predetta agenzia, via
Internet, della richiesta di accettazione al bookmaker con indicazione degli incontri di
calcio nazionali in questione e delle puntate effettuate; invio, da parte del bookmaker, via
Internet e in tempo reale, della conferma dell'accettazione della scommessa; trasmissione
di tale conferma, da parte dell'agenzia italiana, al giocatore e pagamento di quest'ultimo
del corrispettivo dovuto all'agenzia, inoltrato poi al bookmaker su apposito conto estero.
12. La Stanley è una società di capitali di diritto britannico, registrata nel Regno Unito e
che svolge attività di bookmaker sulla base di una licenza rilasciata dalla Città di
Liverpool ai sensi del Betting Gaming and Lotteries Act, con facoltà di svolgere tale
attività nel Regno Unito e all'estero. La detta società organizza e gestisce scommesse in
base ad una licenza britannica selezionando gli eventi e le quote, nonché assumendone il
rischio economico. La Stanley versa le vincite e paga le varie imposte previste nel Regno
Unito, oltre alle tasse sulle retribuzioni e ad altri tributi. Essa è soggetta a controlli
rigorosi quanto alla regolarità delle attività svolte, controlli che vengono effettuati da una
società privata di revisione nonché dall'Inland Revenue e dal Customs & Excise.
13. La Stanley propone al pubblico europeo un ampio ventaglio di scommesse a quota
fissa su eventi sportivi nazionali, europei o mondiali. I singoli possono partecipare dalla
propria abitazione, mediante vari sistemi come Internet, via fax o telefonicamente, alle
scommese organizzate e gestite dalla Stanley.
14. La presenza della Stanley in Italia come impresa si concretizza in accordi
commerciali con operatori ovvero intermediari italiani, accordi relativi alla creazione di
centri di trasmissione dati. Tali centri mettono a disposizione degli utenti alcuni mezzi
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telematici, raccolgono e registrano le intenzioni degli scommettitori e le trasmettono alla
Stanley.
15. Gli indagati nella causa principale sono iscritti alla Camera di Commercio quali
proprietari di imprese per l'avvio di un centro trasmissione dati e sono stati autorizzati dal
Ministero delle Poste e delle Comunicazioni alla trasmissione di dati.
16. Il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Fermo emanava un decreto di
sequestro preventivo e gli indagati venivano sottoposti a perquisizioni personali e
controlli nelle agenzie, nelle abitazioni e nelle autovetture. Veniva ordinato l'arresto
dell'indagato Garrisi, membro del Consiglio di amministrazione della Stanley.
17. Contro i decreti di sequestro dei centri trasmissione dati di loro proprietà gli indagati
della causa principale hanno proposto istanza di riesame dinanzi al Tribunale di Ascoli
Piceno.
18. Il Tribunale di Ascoli Piceno si richiama alla giurisprudenza della Corte, in
particolare alla sentenza 21 ottobre 1999, causa C-67/98, Zenatti (Racc. pag. I-7289).
Osserva tuttavia che le questioni sorte nella causa dinanzi ad esso pendente non sono
pienamente riconducibili alle fattispecie già esaminate dalla Corte nella menzionata
sentenza Zenatti. Le recenti modifiche della legge n. 401/89 richiederebbero un nuovo
esame della questione da parte della Corte.
19. A tale riguardo il Tribunale di Ascoli Piceno si riferisce ai lavori parlamentari relativi
alla legge n. 388/00, dai quali emergerebbe che le restrizioni introdotte da quest'ultima
nella legge n. 401/89 sarebbero state dettate prioritariamente dall'esigenza di
salvaguardare la categoria dei «Totoricevitori» sportivi, categoria imprenditoriale privata.
Detto giudice afferma di non ravvisare, in tali restrizioni, alcuna preoccupazione di
ordine pubblico che possa giustificare la limitazione dei diritti garantiti dalla normativa
comunitaria o costituzionale.
20. Detto giudice sottolinea che la liceità dell'attività di raccolta e di trasmissione delle
scommesse su eventi sportivi esteri, ricavabile dall'originaria formulazione dell'art. 4
della legge n. 401/89, aveva provocato la nascita e lo sviluppo di una rete di operatori che
avevano investito capitali e creato infrastrutture nel settore del giuoco e delle scommesse.
Tali operatori avrebbero visto improvvisamente messa in discussione la regolarità della
loro posizione in seguito alle modifiche normative introdotte con la legge n. 388/00
contenente divieti - penalmente sanzionati - di svolgere attività, da chiunque e ovunque
effettuate, di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di
scommessa, in particolare su eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione
dello Stato.
21. Il giudice del rinvio si pone la questione del rispetto del principio di proporzionalità
con riguardo, da un canto, al rigore del divieto previsto, accompagnato da sanzioni penali
tali da rendere praticamente impossibile per le imprese o per gli operatori comunitari
legalmente costituiti lo svolgimento in Italia di attività economiche nel settore del giuoco
e delle scommesse, e, d'altro canto, con riguardo all'importanza dell'interesse pubblico
interno protetto cui vengono sacrificate le libertà sancite dal diritto comunitario.
22. Il Tribunale di Ascoli Piceno ritiene peraltro di doversi interrogare sulla rilevanza
dell'apparente discrasia esistente tra la normativa interna di rigoroso contenimento delle
attività di accettazione delle scommesse sportive da parte delle imprese comunitarie
estere, da un lato, e la forte espansione del giuoco e delle scommesse che lo Stato italiano
persegue sul piano nazionale con finalità di raccolta di risorse per l'Erario, dall'altro.
23. Il detto giudice osserva che il procedimento dinanzi ad esso pendente solleva, da un
lato, questioni di diritto interno relative alla compatibilità delle modifiche legislative
apportate all'art. 4 della legge n. 401/89 con la Costituzione italiana, che tutela l'iniziativa
economica privata per le attività non assoggettate ad imposizione fiscale da parte dello
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Stato e, dall'altro, questioni relative all'incompatibilità della norma contenuta nella detta
disposizione con la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi transfontalieri.
Con riguardo alle questioni di diritto interno così formulate, il Tribunale di Ascoli Piceno
ha adito la Corte costituzionale.
24. Ciò premesso, il Tribunale di Ascoli Piceno ha deciso di sospendere il procedimento e
di sottoporre alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:
«Se vi sia incompatibilità, con conseguenti effetti nell'ordinamento giuridico interno, tra
gli artt. 43 e segg. e 49 e segg. del Trattato CE in materia di libertà di stabilimento e di
libertà di prestazione dei servizi transfontalieri, da un canto, e, d'altro canto, una
normativa nazionale quale quella italiana di cui agli artt. 4, primo comma e segg., 4 bis e
4 ter della legge n. 401/89 (come da ultimo modificata con l'art. 37, quinto comma, della
legge 23 dicembre 2000, n. 388) contenente divieti - penalmente sanzionati - di
svolgimento delle attività, da chiunque e ovunque effettuate, di raccolta, accettazione,
prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, in particolare, su eventi sportivi,
in assenza di presupposti concessori e autorizzatori prescritti dal diritto interno».
Sulla questione pregiudiziale
Osservazioni presentate alla Corte
25. Il sig. Gambelli e altri osservano che, vietando ai cittadini italiani di collaborare con
società straniere al fine di effettuare scommesse e di ricevere in tal modo i servizi offerti
da tali società via Internet, proibendo agli intermediari italiani di offrire le scommesse
gestite dalla Stanley, impedendo a quest'ultima di stabilirsi in Italia mediante i detti
intermediari e di offrire così in tale Stato i propri servizi provenienti da un altro Stato
membro e, dunque, creando e mantenendo un monopolio nel settore del giuoco e delle
scommesse, la normativa oggetto della causa principale costituisce una restrizione sia alla
libertà di stabilimento sia alla libera prestazione di servizi. Tale restrizione non potrebbe
essere giustificata alla luce della giurisprudenza della Corte risultante dalle sentenze 24
marzo 1994, causa C-275/92, Schindler (Racc. pag. I-1039), 21 settembre 1999, causa C124/97, Läärä e a. (Racc. pag. I-6067), e Zenatti, citata supra, poiché la Corte non
avrebbe avuto modo di esaminare le modifiche introdotte nella detta normativa dalla
legge n. 388/00 e non avrebbe esaminato la problematica sotto il profilo della libertà di
stabilimento.
26. A tale riguardo gli indagati nella causa principale sottolineano che lo Stato italiano
non persegue alcuna politica coerente finalizzata a limitare ovvero a sopprimere le attività
di giuoco, ai sensi delle menzionate sentenze Läärä e a., punto 37, e Zenatti, punto 36. Le
preoccupazioni dedotte dalle autorità nazionali con riguardo alla tutela degli
scommettitori contro i pericoli di frode, alla salvaguardia dell'ordine pubblico o alla
riduzione delle occasioni di giuoco per evitare le conseguenze dannose delle scommesse,
sia sul piano individuale che sociale, e con riguardo all'incitamento alla spesa che queste
ultime costituiscono, sarebbero destituite di fondamento dal momento che lo Stato
incrementa l'offerta di giuochi e di scommesse e incita anche i singoli a ricorrere a tali
giuochi facilitando il sistema di raccolta per aumentare gli introiti fiscali. La circostanza
che l'organizzazione delle scommesse sia disciplinata da leggi finanziarie indicherebbe la
reale motivazione, di natura economica, delle autorità nazionali.
27. La finalità della normativa italiana consisterebbe parimenti nel proteggere i
concessionari del monopolio nazionale rendendo quest'ultimo impenetrabile per gli
operatori degli altri Stati membri, atteso che i bandi di gara prevedono criteri riguardanti
la struttura proprietaria che non possono essere soddisfatti da una società di capitali
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quotata in borsa, ma solo da persone fisiche, e che essi impongono il requisito di disporre
di locali e di essere concessionari di lunga data.
28. Gli indagati della causa principale sostengono che è difficile ammettere che una
società quale la Stanley, operante in modo assolutamente legittimo e debitamente
controllata nel Regno Unito, venga trattata dal legislatore italiano al pari di un operatore
che pratichi l'organizzazione di giuochi clandestini, quando tutti gli elementi connessi con
l'interesse pubblico sono tutelati dalla normativa britannica e gli operatori intermediari
italiani, contrattualmente legati alla detta società quali sedi secondarie o filiali, sono
iscritti all'ordine dei fornitori di servizi e registrati presso il Ministero delle Poste e delle
Comunicazioni, con il quale operano e dal quale sono periodicamente sottoposti a
controlli e verifiche.
29. Tale situazione, rilevante sotto il profilo della libertà di stabilimento, si porrebbe in
contrasto con il principio del reciproco riconoscimento nei settori non ancora
armonizzati. Essa violerebbe, del pari, il principio di proporzionalità, tanto più che la
sanzione penale dovrebbe costituire l'extrema ratio alla quale uno Stato membro può
ricorrere quando altre misure o strumenti non siano in grado di fornire una tutela
adeguata dei beni da proteggere. Orbene, per effetto della normativa italiana, il giocatore
che si trovi sul territorio italiano non solo sarebbe privato della possibilità di rivolgersi ai
bookmakers stabiliti in un altro Stato membro, ancorché mediante l'intermediazione di
operatori stabiliti in Italia, ma sarebbe anche passibile di sanzione penale.
30. I governi italiano, belga, ellenico, spagnolo, francese, lussemburghese, portoghese,
finlandese e svedese, nonché la Commissione si richiamano alla giurisprudenza della
Corte, in particolare alle menzionate sentenze Schindler, Läärä e a. e Zenatti.
31. Il governo italiano richiama la sentenza Zenatti, citata supra, al fine di giustificare la
compatibilità della legge n. 401/89 con la normativa comunitaria in materia di libera
prestazione dei servizi, nonché di libertà di stabilimento. Sia l'aspetto preso in
considerazione dalla Corte nella detta sentenza, vale a dire l'autorizzazione
amministrativa a svolgere l'attività di raccolta e di gestione delle scommesse sul territorio
italiano, sia la questione sorta nella causa principale, vale a dire la previsione di una
sanzione penale che vieta tale attività allorché è prestata da operatori che non facciano
parte del sistema di monopolio statale in materia di scommesse, perseguirebbero la
medesima finalità, costituita dal divieto dell'attività e dalla riduzione delle opportunità
concrete di giuoco al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.
32. Secondo il governo belga, un mercato unico dei giuochi d'azzardo potrebbe soltanto
indurre i consumatori a sperperare somme maggiori e comporterebbe rilevanti
conseguenze dannose per la società. Il livello di tutela introdotto dalla legge n. 401/89 ed
il sistema restrittivo di autorizzazione sarebbero idonei ad assicurare la realizzazione di
obiettivi di interesse generale, quali la limitazione e il controllo rigoroso dell'offerta dei
giuochi nonché delle scommesse, e sarebbe proporzionale ai detti obiettivi, senza
comportare alcuna discriminazione in base alla nazionalità.
33. Il governo ellenico ritiene che l'organizzazione dei giuochi d'azzardo e delle
scommesse su eventi sportivi debba rimanere sotto il controllo dello Stato ed essere
esercitata sotto forma di monopolio. Il suo esercizio da parte di enti privati produrrebbe
conseguenze dirette, quali il turbamento dell'ordine pubblico, l'incitamento alla
commissione di reati nonché lo sfruttamento degli scommettitori e, più in generale, dei
consumatori.
34. Il governo spagnolo fa valere che sia l'attribuzione di diritti speciali o esclusivi,
mediante un rigoroso regime di autorizzazioni o di concessioni, sia il divieto di apertura
di succursali di agenzie straniere ai fini della raccolta di scommesse effettuate in altri
Stati membri sono compatibili con la politica di limitazione dell'offerta, sempreché tali
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misure vengano introdotte con la finalità di ridurre le occasioni di giuoco e lo stimolo
della domanda.
35. Il governo francese sostiene che la circostanza che, nella causa principale, la raccolta
delle scommesse si effettui con mezzi telematici e gli eventi sportivi che ne costituiscono
l'oggetto si svolgano esclusivamente sul territorio italiano - il che non si verificava nella
causa sfociata nella menzionata sentenza Zenatti - non rimetterebbe in questione la
giurisprudenza della Corte ai sensi della quale una normativa nazionale che limiti
l'esercizio di attività legate a giuochi d'azzardo, alle lotterie ed alle slot machines è
compatibile con il principio della libera prestazione dei servizi ove tale normativa sia
finalizzata ad obiettivi di interesse generale quali la prevenzione della frode o la
protezione dei giocatori dal loro stesso comportamento. Gli Stati membri sarebbero
pertanto legittimati a disciplinare l'attività degli operatori in materia di scommesse a
condizioni non discriminatorie, l'intensità e la portata delle restrizioni rientrando nei
margini di discrezionalità riconosciuti alle autorità nazionali. Spetterebbe pertanto ai
giudici degli Stati membri valutare se le autorità nazionali abbiano rispettato la corretta
proporzione nella scelta dei mezzi utilizzati, con riguardo al principio della libera
prestazione dei servizi.
36. Quanto alla libertà di stabilimento, il governo francese ritiene che le restrizioni alle
attività delle società italiane indipendenti contrattualmente legate alla Stanley non
pregiudichino il diritto del detto bookmaker di stabilirsi liberamente in Italia.
37. Secondo il governo lussemburghese, la normativa italiana costituisce un ostacolo
all'esercizio di un'attività di organizzazione di scommesse in Italia, poiché impedisce alla
Stanley l'esercizio delle proprie attività sul territorio italiano, vuoi direttamente mediante
la libera prestazione di servizi transfontalieri, vuoi indirettamente con l'intermediazione di
agenzie italiane connesse via Internet. La detta normativa costituirebbe, al contempo, un
ostacolo alla libertà di stabilimento. Tuttavia, tali restrizioni sarebbero giustificate in
quanto perseguono obiettivi di interesse generale, quali la preoccupazione di incanalare e
controllare il desiderio di giocare, e sono idonee e proporzionate rispetto ai detti obiettivi,
in quanto non comportano discriminazioni riguardanti la nazionalità, dal momento che sia
gli organismi italiani sia quelli con sede all'estero devono ottenere la stessa licenza
rilasciata dal Ministro delle Finanze per poter esercitare sul territorio italiano le attività di
organizzazione, accettazione e raccolta di scommesse.
38. Il governo portoghese sottolinea la rilevanza della questione oggetto della causa
principale ai fini del mantenimento, in Italia come in tutti gli Stati membri, della gestione
delle lotterie in regime di monopolio pubblico, nonché ai fini di assicurare un'importante
fonte di entrate per gli Stati, che sostituisca la riscossione coercitiva di imposte e che
serva a finanziare le politiche sociali, culturali e sportive. Per quanto riguarda il giuoco
d'azzardo, l'economia di mercato e la libera concorrenza implicherebbero una
ridistribuzione antisociale dei fondi raccolti tramite il giuoco, dal momento che tali fondi
tenderebbero a spostarsi da paesi in cui il complesso degli importi delle scommesse è
modesto a paesi in cui tale importo è più considerevole e l'ammontare dei premi più
interessante. Gli scommettitori dei piccoli Stati membri finanzierebbero pertanto il
bilancio sociale, culturale e sportivo degli Stati membri più grandi e, negli Stati membri
più piccoli, la diminuzione delle entrate dei giuochi costringerebbe i rispettivi governi a
finanziare altrimenti l'azione sociale pubblica e le altre attività sociali, sportive e culturali
dello Stato, il che comporterebbe, nei piccoli Stati, un aumento delle imposte e, negli
Stati grandi, una diminuzione delle imposte. La spartizione del mercato del lotto e delle
lotterie statali fra tre o quattro grandi gestori nell'Unione europea produrrebbe peraltro
cambiamenti strutturali nelle reti di distribuzione di giuochi legittimamente gestite dagli
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Stati, provocando la soppressione di numerosi posti di lavoro e un divario tra i livelli di
disoccupazione dei diversi Stati membri.
39. Il governo finlandese si richiama, in particolare, alla menzionata sentenza Läärä e a.,
nella quale la Corte avrebbe riconosciuto che la necessità e la proporzionalità delle
disposizioni emanate da uno Stato membro devono essere valutate soltanto alla stregua
degli obiettivi perseguiti dalle autorità nazionali di tale Stato e del livello di tutela che
intendono assicurare, cosicché spetterebbe al giudice del rinvio verificare se, in
considerazione delle sue concrete modalità di applicazione, la normativa nazionale
consenta di conseguire gli obiettivi che ne giustificano l'esistenza e se le restrizioni siano
proporzionate rispetto agli obiettivi medesimi, fermo restando che tale normativa deve
trovare applicazione indistintamente nei confronti di tutti gli operatori, siano essi italiani
o provenienti da un altro Stato membro.
40. Secondo il governo svedese, la circostanza che l'introduzione di restrizioni alla libera
prestazione di servizi sia finalizzata ad interessi di natura fiscale non consente di
concludere che tali restrizioni siano in contrasto con il diritto comunitario, sempreché
siano proporzionate e non discriminatorie tra gli operatori, il che spetta al giudice del
rinvio accertare. Le modifiche apportate alla normativa italiana dalla legge n. 388/00
consentono di vietare a un ente al quale sia stata negata l'autorizzazione alla raccolta di
scommesse in Italia di eludere la legge esercitando la propria attività da un altro Stato
membro e vietano ad enti stranieri che organizzano scommesse nel proprio paese di
esercitare in Italia la loro attività. Come la Corte ha già avuto modo di affermare ai punti,
rispettivamente, 36 e 34 delle menzionate sentenze Läärä e a. e Zenatti, la sola
circostanza che uno Stato membro abbia scelto un sistema di tutela diverso da quello
adottato da un altro Stato membro non può incidere sulla valutazione della necessità e
della proporzionalità delle disposizioni adottate in materia.
41. La Commissione delle Comunità europee ritiene che le modifiche legislative di cui
alla legge n. 388/00 si limitano ad esplicitare quanto già previsto dalla legge n. 401/89,
senza creare una fattispecie di reati completamente nuova. Le ragioni di ordine sociale
che inducono a limitare gli effetti nocivi delle attività di scommessa sugli incontri di
calcio e che giustificano una normativa nazionale che riservi a determinati enti il diritto di
raccogliere tali scommesse restano identiche, indipendentemente dallo Stato membro in
cui tali manifestazioni abbiano luogo. La circostanza che, nella menzionata sentenza
Zenatti, le manifestazioni sportive oggetto delle scommesse si svolgessero all'estero,
mentre nella causa principale gli incontri di calcio hanno luogo in Italia, sarebbe del tutto
irrilevante. La Commissione aggiunge che la direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della
società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno
(«direttiva sul commercio elettronico») (GU L 178, pag. 1), non si applica alle
scommesse, sicché la questione non dovrebbe essere risolta in modo diverso rispetto alla
detta sentenza.
42. La Commissione osserva che la causa non deve essere esaminata sotto il profilo della
libertà di stabilimento, dal momento che le agenzie gestite dagli indagati nella causa
principale sono indipendenti ed agiscono quali centri di raccolta delle scommesse e come
intermediarie nelle relazioni tra i loro clienti italiani e la Stanley, al di fuori di ogni
rapporto di subordinazione nei confronti di quest'ultima. Tuttavia, anche se si dovesse
ipotizzare l'applicabilità delle disposizioni sul diritto di stabilimento, le restrizioni
introdotte dalla normativa italiana sarebbero giustificate dalle stesse ragioni di politica
sociale riconosciute dalla Corte nelle menzionate sentenze Schindler, Läärä e a. e Zenatti
con riguardo alla restrizione della libera prestazione dei servizi.
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43. All'udienza, la Commissione ha comunicato alla Corte di aver avviato un
procedimento per inadempimento nei confronti della Repubblica italiana relativo alla
liberalizzazione del settore delle scommesse ippiche gestite dall'UNIRE. Quanto al
settore del lotto, che è liberalizzato, la Commissione ha ricordato la sentenza 26 aprile
1994, causa C-272/91, Commissione/Italia (Racc. pag. I-1409), nella quale la Corte ha
affermato che la Repubblica italiana, avendo riservato la partecipazione a un bando di
gara relativo ad un appalto-concorso per la concessione del sistema di automazione del
giuoco del lotto soltanto ad enti, società, consorzi o raggruppamenti il cui capitale
sociale, considerato singolarmente o complessivamente, fosse a prevalente partecipazione
pubblica, è venuta meno agli obblighi che le incombono, in particolare, ai sensi del
Trattato CE.
Pronuncia della Corte
44. Occorre esaminare, in primo luogo, se una normativa quale la legge n. 401/89 di cui
alla causa principale costituisca una restrizione alla libertà di stabilimento.
45. Si deve ricordare che le restrizioni alla libertà di stabilimento da parte dei cittadini di
uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, ivi comprese le restrizioni
all'apertura di agenzie, di succursali o di filiali, sono vietate dall'art. 43 CE.
46. Laddove una società, quale la Stanley, con sede in uno Stato membro, effettui
un'attività di raccolta di scommesse con l'intermediazione di una organizzazione di
agenzie situate in un altro Stato membro, quali le agenzie degli indagati di cui alla causa
principale, le restrizioni imposte alle attività di tali agenzie costituiscono ostacoli alla
libertà di stabilimento.
47. Inoltre, in risposta ai quesiti posti dalla Corte all'udienza, il governo italiano ha
riconosciuto che la normativa italiana relativa ai bandi di gara per le attività di
scommessa in Italia contiene restrizioni. Secondo il detto governo, la circostanza che
nessun ente abbia ottenuto l'omologazione per tali attività, salvo quello detentore del
monopolio nel settore, troverebbe spiegazione nel fatto che la normativa italiana è
concepita in modo tale che solo alcuni soggetti possano ottenere la concessione.
48. Orbene, nella misura in cui l'assenza di operatori stranieri tra i concessionari del
settore delle scommesse relative ad eventi sportivi in Italia è dovuta alla circostanza che
la normativa italiana in materia di bandi di gara esclude, in pratica, che le società di
capitali quotate sui mercati regolamentati degli altri Stati membri possano ottenere
concessioni, la detta normativa costituisce, prima facie, una restrizione alla libertà di
stabilimento, anche se tale restrizione si impone indistintamente a tutte le società di
capitali potenzialmente interessate da tali concessioni, indipendentemente dal fatto che
abbiano sede in Italia o in un altro Stato membro.
49. Non si può pertanto escludere che i requisiti dettati dalla normativa italiana per
partecipare ai bandi di gara, ai fini dell'attribuzione delle dette concessioni, costituiscano
parimenti un ostacolo alla libertà di stabilimento.
50. In secondo luogo, si deve esaminare se la detta normativa costituisca una restrizione
alla libera prestazione dei servizi.
51. L'art. 49 CE vieta le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della
Comunità nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della
Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione. L'art. 50 qualifica
«servizi» le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano
regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle
persone.
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52. La Corte ha già affermato che l'importazione di documenti pubblicitari e di biglietti di
lotteria in uno Stato membro per far partecipare gli abitanti di detto Stato membro ad una
lotteria organizzata in un altro Stato membro si ricollega ad un'attività di «servizi»
(sentenza Schindler, citata supra, punto 37). Analogicamente, l'attività consistente nel far
partecipare i cittadini di uno Stato membro a giuochi di scommesse organizzati in un altro
Stato membro, ancorché aventi ad oggetto eventi sportivi organizzati nel primo Stato
membro, si ricollega ad un'attività di «servizi» ai sensi dell'art. 50 CE.
53. La Corte ha affermato, del pari, che l'art. 49 CE dev'essere interpretato nel senso che
esso concerne i servizi che un prestatore offre telefonicamente a potenziali destinatari
stabiliti in altri Stati membri e che questi fornisce senza spostarsi dallo Stato membro nel
quale è stabilito (sentenza 10 maggio 1995, causa C-384/93, Alpine Investments, Racc.
pag. I-1141, punto 22).
54. Applicando tale interpretazione alla problematica della causa principale, ne consegue
che l'art. 49 CE riguarda i servizi che un prestatore quale la Stanley, con sede in uno Stato
membro, nella specie il Regno Unito, offre via Internet - e dunque senza spostarsi - a
destinatari che si trovino in un altro Stato membro, nella specie la Repubblica italiana,
sicché ogni restrizione a tali attività costituisce una restrizione alla libera prestazione dei
servizi da parte di un tale prestatore.
55. Inoltre, la libera prestazione dei servizi comprende non solo la libertà del prestatore di
offrire ed effettuare servizi per destinatari stabiliti in uno Stato membro diverso da quello
sul cui territorio si trovi il detto prestatore, ma anche la libertà di ricevere o beneficiare,
in quanto destinatario, dei servizi offerti da un prestatore stabilito in un altro Stato
membro, senza essere impedito da restrizioni (v., in tal senso, sentenze 31 gennaio 1984,
cause riunite 286/82 e 26/83, Luisi e Carbone, Racc. pag. 377, punto 16, e 26 ottobre
1999, causa C-294/97, Eurowings Luftverkehr, Racc. pag. I-7447, punti 33 e 34).
56. Orbene, rispondendo ai quesiti posti dalla Corte all'udienza, il governo italiano ha
confermato che l'attività di un privato che si connette in Italia dal proprio domicilio, via
Internet, con un bookmaker stabilito in un altro Stato membro, facendo uso della propria
carta di credito quale mezzo di pagamento, costituisce un reato ai sensi dell'art. 4 della
legge n. 401/89.
57. Tale divieto, penalmente sanzionato, di partecipare a scommesse organizzate in Stati
membri diversi da quello sul cui territorio risiede il giocatore, costituisce una restrizione
alla libera prestazione dei servizi.
58. Lo stesso vale per il divieto, del pari penalmente sanzionato, nei confronti degli
intermediari, quali gli indagati nella causa principale, di agevolare la prestazione di
servizi di scommesse su eventi sportivi organizzati da un prestatore, quale la Stanley, con
sede in uno Stato membro diverso da quello in cui i detti intermediari svolgono la propria
attività, poiché un tale divieto costituisce una restrizione al diritto del bookmaker alla
libera prestazione dei servizi, anche se gli intermediari si trovano nello stesso Stato
membro dei destinatari dei servizi medesimi.
59. Si deve pertanto rilevare che una normativa nazionale quale la legislazione italiana
sulle scommesse, in particolare l'art. 4 della legge n. 401/89, costituisce una restrizione
alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi.
60. Ciò premesso, occorre esaminare se tali restrizioni possano essere ammesse a titolo di
misure derogatorie espressamente previste agli artt. 45 CE e 46 CE, ovvero se possano
essere giustificate, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi
di interesse generale.
61. Quanto agli argomenti fatti valere, in particolare, dai governi ellenico e portoghese al
fine di giustificare le restrizioni ai giuochi di azzardo e alle scommesse, è sufficiente
ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la riduzione o la diminuzione delle
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entrate fiscali non rientra fra i motivi enunciati all'art. 46 CE e non può essere considerata
come un motivo imperativo di interesse generale che possa essere fatto valere per
giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento o alla libera prestazione dei servizi
(v., in tal senso, sentenze 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto
28, e 3 ottobre 2002, causa C-136/00, Danner, Racc. pag. I-8147, punto 56).
62. Come si evince dal punto 36 della menzionata sentenza Zenatti, le restrizioni devono
perseguire in ogni caso l'obiettivo di un'autentica riduzione delle opportunità di giuoco e
il finanziamento di attività sociali attraverso un prelievo sugli introiti derivanti dai
giuochi autorizzati costituisce solo una conseguenza vantaggiosa accessoria, e non la
reale giustificazione, della politica restrittiva attuata.
63. Per contro, come ricordato sia dai governi che hanno presentato osservazioni sia dalla
Commissione, nelle menzionate sentenze Schindler, Läärä e a. e Zenatti, la Corte ha
affermato che le considerazioni di ordine morale, religioso o culturale, nonché le
conseguenze moralmente e finanziariamente dannose per l'individuo e la società che sono
collegate ai giuochi d'azzardo e alle scommesse possono giustificare che le autorità
nazionali dispongano di un potere discrezionale sufficiente a determinare le esigenze di
tutela del consumatore e dell'ordine sociale.
64. In ogni caso, per risultare giustificate, le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla
libera prestazione dei servizi devono presentare i requisiti previsti dalla giurisprudenza
della Corte (v., in particolare, sentenze 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, Racc. pag.
I-1663, punto 32, e 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto
37).
65. Ai sensi di tale giurisprudenza, infatti, le dette restrizioni devono, in primo luogo,
essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale; in secondo luogo, devono
essere idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e, in terzo luogo, non
andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo. In ogni caso, devono
essere applicate in modo non discriminatorio.
66. Spetta al giudice del rinvio stabilire se, nella causa principale, le restrizioni alla libertà
di stabilimento e alla libera prestazione di servizi previste dalla legge n. 401/89 rispettino
tali requisiti. A tal fine, il detto giudice dovrà tener conto degli elementi precisati nei
punti seguenti.
67. Anzitutto, anche se, nelle menzionate sentenze Schindler, Läärä e a. e Zenatti, la
Corte ha ammesso che le restrizioni alle attività di giuoco possono essere giustificate da
motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela del consumatore e la prevenzione
della frode e dell'incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al giuoco,
occorre tuttavia che le restrizioni fondate su tali motivi e sulla necessità di prevenire
turbative all'ordine sociale siano idonee a garantire la realizzazione dei detti obiettivi, nel
senso che tali restrizioni devono contribuire a limitare le attività di scommessa in modo
coerente e sistematico.
68. A tale riguardo, riferendosi ai lavori preparatori della legge n. 388/00, il giudice del
rinvio ha sottolineato che lo Stato italiano persegue, a livello nazionale, una politica di
forte espansione del giuoco e delle scommesse allo scopo di raccogliere fondi, tutelando i
concessionari del CONI.
69. Orbene, laddove le autorità di uno Stato membro inducano ed incoraggino i
consumatori a partecipare alle lotterie, ai giuochi d'azzardo o alle scommesse affinché il
pubblico erario ne benefici sul piano finanziario, le autorità di tale Stato non possono
invocare l'ordine pubblico sociale con riguardo alla necessità di ridurre le occasioni di
giuoco per giustificare provvedimenti come quelli oggetto della causa principale.
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70. Inoltre, le restrizioni imposte dalla normativa italiana in materia di bandi di gara
devono essere indistintamente applicabili, vale a dire con le stesse modalità e con gli
stessi criteri agli operatori stabiliti in Italia ed a quelli provenienti da altri Stati membri.
71. Spetterà al giudice del rinvio esaminare se i requisiti di partecipazione ai bandi di
gara per le concessioni relative alla gestione di scommesse su eventi sportivi siano fissati
in termini tali da poter essere soddisfatti, in pratica, più facilmente dagli operatori italiani
che non da quelli stranieri. In tale ipotesi, i detti requisiti non rispetterebbero il criterio di
non discriminazione.
72. Infine, le restrizioni imposte dalla normativa italiana non devono eccedere quanto
necessario per conseguire l'obiettivo perseguito. A tal riguardo, il giudice del rinvio dovrà
esaminare se la sanzione penale irrogata a chiunque effettui scommesse dal proprio
domicilio in Italia via Internet con un bookmaker situato in un altro Stato membro non sia
sproporzionata alla luce della giurisprudenza della Corte (v. sentenze 29 febbraio 1996,
causa C-193/94, Skanavi e Chryssanthakopoulos, Racc. pag. I-929, punti 34-39, e 25
luglio 2002, causa C-459/99, MRAX, Racc. pag. I-6591, punti 89-91), soprattutto dal
momento che la partecipazione alle scommesse viene incoraggiata allorché si svolge nel
contesto di giuochi organizzati da enti nazionali autorizzati.
73. Il giudice del rinvio dovrà inoltre chiedersi se la circostanza di imporre restrizioni
penalmente sanzionate sino a un anno di arresto per gli intermediari che facilitino la
prestazione di servizi da parte di un bookmaker stabilito in uno Stato membro diverso da
quello in cui i detti servizi sono offerti, mettendo a disposizione degli scommettitori nei
propri locali la connessione via Internet con il bookmaker, costituisca una restrizione che
ecceda quanto necessario per la lotta alla frode, soprattutto in considerazione del fatto che
il prestatore di servizi è sottoposto, nello Stato membro in cui è stabilito, ad un sistema
normativo di controlli e sanzioni, gli intermediari sono legittimamente costituiti e, prima
delle modifiche normative di cui alla legge n. 388/00, tali intermediari si ritenevano
autorizzati a trasmettere scommesse su eventi sportivi esteri.
74. Quanto alla proporzionalità della normativa italiana con riguardo alla libertà di
stabilimento, anche se l'obiettivo perseguito dalle autorità di uno Stato membro è quello
di evitare il rischio che i concessionari dei giuochi siano implicati in attività criminali o
fraudolente, escludere la possibilità per le società di capitali quotate sui mercati
regolamentati degli altri Stati membri di ottenere concessioni per la gestione di
scommesse sportive, soprattutto quando esistano altri strumenti di controllo dei bilanci e
delle attività delle dette società, può risultare una misura eccessiva rispetto a quanto
necessario per impedire la frode.
75. Spetta al giudice del rinvio verificare se la normativa nazionale, alla luce delle sue
concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se
le restrizioni che essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi.
76. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, la questione pregiudiziale deve essere
risolta nel senso che una normativa nazionale contenente divieti - penalmente sanzionati di svolgere attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di
scommessa, relative, in particolare, a eventi sportivi, in assenza di concessione o
autorizzazione rilasciata dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla
libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi previste, rispettivamente, agli
artt. 43 CE e 49 CE. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce
delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da
giustificarla e se le restrizioni che essa impone non risultino sproporzionate rispetto a tali
obiettivi.
Per questi motivi,
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LA CORTE,
dichiara:
Una normativa nazionale contenente divieti - penalmente sanzionati - di svolgere attività
di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, relative,
in particolare, a eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dallo
Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla
libera prestazione dei servizi previste, rispettivamente, agli artt. 43 CE e 49 CE. Spetta al
giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di
applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che
essa impone non risultino sproporzionate rispetto a tali obiettivi.
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15. Procedimento C-438/00,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 234 CE, dall'Oberlandesgericht Hamm (Germania) nella causa dinanzi ad esso
pendente tra
Deutscher Handballbund eV
e
Maros Kolpak,
domanda vertente sull'interpretazione dell'art. 38, n. 1, dell'Accordo europeo che
istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la
Repubblica slovacca, dall'altra, approvato a nome delle Comunità con la decisione del
Consiglio e della Commissione 19 dicembre 1994, 94/909/CECA, CE, Euratom (GU L
359, pag. 1),
LA CORTE (Quinta Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 15 novembre 2000, pervenuta in cancelleria il 28 novembre successivo,
l'Oberlandesgericht Hamm ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, una
questione pregiudiziale relativa all'interpretazione dell'art. 38, n. 1, dell'Accordo europeo
che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte,
e la Repubblica slovacca, dall'altra, firmato a Lussemburgo il 4 ottobre 1993 e approvato
a nome delle Comunità con la decisione del Consiglio e della Commissione 19 dicembre
1994, 94/909/CECA, CE, Euratom (GU L 359, pag. 1; in prosieguo: l'«Accordo di
associazione Comunità-Slovacchia»).
2. Tale questione è stata sollevata nell'ambito di una controversia tra il Deutscher
Handballbund eV (federazione tedesca di handball, in prosieguo: il «DHB») e il signor
Kolpak con riguardo al rilascio di un cartellino di giocatore professionista.
L'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia
3. Secondo l'art. 1, n. 2, l'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia ha segnatamente
per obiettivo di costituire un ambito adeguato per il dialogo politico tra le parti che
consenta lo sviluppo di strette relazioni politiche, di promuovere l'espansione degli
scambi nonché relazioni economiche armoniose tra le parti, incentivando così uno
sviluppo economico dinamico e la prosperità della Repubblica slovacca, nonché di
gettare le basi per l'assistenza finanziaria e tecnica della Comunità alla Repubblica
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slovacca, mentre l'obiettivo finale di tale paese è, secondo l'ultimo considerando del
suddetto accordo, quello di divenire membro delle Comunità.
4. Con riguardo alla causa principale, le disposizioni rilevanti dell'Accordo di
associazione Comunità-Slovacchia si trovano nel titolo IV di quest'ultimo, intitolato
«Circolazione dei lavoratori, stabilimento e fornitura di servizi».
5. L'art. 38 dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia, che figura nel capitolo I,
intitolato «Circolazione dei lavoratori», del titolo IV, dispone al n. 1:
«Nel rispetto delle condizioni e modalità applicabili in ciascuno Stato membro:
- il trattamento accordato ai lavoratori di nazionalità della Repubblica slovacca
legalmente occupati nel territorio di uno Stato membro è esente da qualsiasi
discriminazione basata sulla nazionalità, per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di
retribuzione o di licenziamento, rispetto ai cittadini di quello Stato membro;
- il coniuge e i figli legalmente residenti di un lavoratore legalmente occupato nel
territorio di uno Stato membro, fatta eccezione per i lavoratori stagionali e per i lavoratori
oggetto di accordi bilaterali nell'accezione dell'articolo 42, salvo diverse disposizioni di
tali accordi, hanno accesso al mercato del lavoro di quello Stato membro nel periodo di
soggiorno di lavoro autorizzato di quel lavoratore».
6. L'art. 42 dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia, figurante nel medesimo
capitolo, precisa:
«1. Tenendo conto della situazione del mercato del lavoro nello Stato membro, nel
rispetto della sua legislazione e delle regole in vigore in quello Stato membro in materia
di mobilità dei lavoratori:
- si dovrebbero mantenere e, se possibile, ampliare le agevolazioni esistenti per l'accesso
all'occupazione dei lavoratori della Repubblica slovacca accordate dagli Stati membri ai
sensi di accordi bilaterali;
- gli altri Stati membri considerano favorevolmente l'opportunità di concludere accordi
analoghi.
2. Il Consiglio di associazione valuta l'opportunità di concedere ulteriori facilitazioni, ivi
comprese le possibilità di accesso alla formazione professionale, in conformità con le
norme e procedure in vigore negli Stati membri e tenendo conto della situazione del
mercato del lavoro degli Stati membri e della Comunità».
7. L'art. 59 dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia, che figura nel capitolo IV,
intitolato «Disposizioni generali», del titolo IV, dispone al n. 1:
«Ai fini del titolo IV del presente accordo, l'accordo non impedisce in alcun modo alle
Parti di applicare le rispettive leggi e disposizioni in materia di ingresso e soggiorno,
condizioni di lavoro e stabilimento delle persone fisiche, nonché di prestazione dei
servizi, a condizione che, così facendo, esse non le applichino in modo da vanificare o
compromettere i benefici spettanti all'una o all'altra ai sensi di una specifica disposizione
dell'accordo stesso (...)».
Normativa nazionale
8. Il DHB ha adottato la Spielordnung (regolamento federale in materia di gare, in
prosieguo: la «SpO»), il cui art. 15 disponeva, nella versione vigente alla data
dell'ordinanza del giudice a quo:
«1. Vanno muniti della lettera A dopo il numero di matricola i cartellini dei giocatori
a) non aventi la cittadinanza di uno Stato membro,
b) non aventi la cittadinanza di uno Stato terzo associato ai cui cittadini sia stata
riconosciuta la parità di trattamento ai sensi dell'art. 48, n. 1, del Trattato CE,
c) (...)
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2. Nelle squadre appartenenti alla Bundesliga (lega nazionale) e alle Regionalligen (leghe
regionali) possono essere schierati, negli incontri di campionato e in quelli di coppa, al
massimo due giocatori il cui cartellino sia contrassegnato con la lettera A.
(...)
5. Il contrassegno con la lettera A apposto sul numero di matricola del cartellino va tolto
ogni anno al 1° luglio se il paese d'origine del giocatore ha acquisito a tale data la qualità
di paese associato ai sensi del n. 1, lett. b). Il DHB pubblica ed aggiorna costantemente
l'elenco degli Stati associati di cui alle presenti disposizioni».
Causa principale e questione pregiudiziale
9. Il signor Kolpak, cittadino slovacco, ha stipulato, nel marzo 1997, un contratto di
lavoro di durata determinata con scadenza al 30 giugno 2000, poi, nel febbraio 2000, un
nuovo contratto di durata determinata con scadenza al 30 giugno 2003, per occupare il
posto di portiere nella squadra tedesca di handball del TSV Östringen eV Handball,
società tedesca di seconda divisione. Egli percepisce uno stipendio mensile. Egli risiede
in Germania ed è in possesso di un titolo di soggiorno regolare.
10. Il DHB, che organizza partite di campionato e di coppa a livello federale, gli ha
rilasciato un cartellino di giocatore contrassegnato dalla lettera «A» a causa della sua
cittadinanza slovacca.
11. Il signor Kolpak, il quale aveva sollecitato il rilascio di un cartellino di giocatore
senza aggiunta della menzione riferentesi ai cittadini di paesi terzi, ha presentato dinanzi
al Landgericht Dortmund (Tribunale di prima istanza) (Germania) un ricorso con cui ha
contestato tale decisione del DHB. Egli sostiene che la Repubblica slovacca fa parte dei
paesi terzi i cui cittadini hanno il diritto di partecipare senza alcuna limitazione alle
competizioni, alle stesse condizioni dei giocatori tedeschi e dei giocatori comunitari, in
base al divieto di discriminazione risultante dal combinato disposto del Trattato CE e
dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia.
12. Il Landgericht ha ingiunto al DHB di rilasciare al signor Kolpak un cartellino di
giocatore senza la menzione «A» per il motivo che, a tenore dell'art. 15 della SpO,
quest'ultimo non doveva essere trattato alla stessa stregua di un giocatore avente la
cittadinanza di un paese terzo. Il DHB ha interposto appello avverso tale sentenza dinanzi
all'Oberlandesgericht Hamm.
13. Secondo il giudice a quo, il rinvio all'art. 48 del Trattato CE (divenuto, in seguito a
modifica, art. 39 CE) operato dall'art. 15, n. 1, lett. b), della SpO va inteso nel senso che
quest'ultima disposizione è applicabile solo ai giocatori che sotto il profilo della libera
circolazione dei lavoratori fruiscono di una perfetta equiparazione ai cittadini comunitari.
Secondo tale interpretazione il signor Kolpak non avrebbe diritto al rilascio di un
cartellino senza le limitazioni derivanti dall'aggiunta della lettera «A», poiché una siffatta
parità di trattamento generalizzata non è contenuta negli accordi di associazione conclusi
con i paesi dell'Europa dell'Est e del bacino mediterraneo e, segnatamente, nell'Accordo
di associazione Comunità-Slovacchia.
14. Il giudice nazionale chiede quindi se il disposto dell'art. 15, n. 1, lett. b), della SpO sia
in contrasto con l'art. 38 dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia. Se così fosse
e se quest'ultima disposizione avesse effetto diretto nei confronti dei singoli, il signor
Kolpak potrebbe rivendicare il rilascio di un cartellino non limitativo.
15. Il giudice nazionale considera infatti che il DHB, negando al signor Kolpak, a causa
della sua cittadinanza, un cartellino non limitativo, viola il divieto contenuto nell'art. 38
dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia.
16. Al riguardo detto giudice constata, da un lato, che il contratto del signor Kolpak, che
è disciplinato dall'art. 15 della SpO, è un contratto di lavoro, in quanto l'attore è
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vincolato, contro il corrispettivo di una retribuzione mensile fissa, a fornire in forma
subordinata prestazioni nell'ambito dell'attività di allenamento e degli incontri organizzati
dalla sua società e che si tratta in proposito della sua principale attività professionale.
17. Esso ritiene, d'altro canto, che il disposto combinato dell'art. 15, nn. 1, lett. b), e 2
della SpO crea una disparità di trattamento sotto il profilo delle condizioni di lavoro.
Infatti il signor Kolpak è già legalmente occupato nel territorio della Repubblica federale
di Germania, ove risiede, è in possesso di un titolo di soggiorno valido, non è soggetto,
conformemente alla legislazione tedesca, all'obbligo di ottenere un permesso di lavoro e
non è più personalmente interessato da un ostacolo, anche indiretto, all'assunzione e
ciononostante non fruisce, per effetto delle suddette disposizioni, della stessa possibilità
di altre persone di partecipare a partite ufficiali nell'ambito della sua attività
professionale.
18. Pertanto, secondo il giudice a quo, il divieto di discriminazione dettato dall'art. 38
dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia è applicabile ove non vi osti la riserva
contenuta nella medesima disposizione, concernente le condizioni e modalità applicabili
nei vari Stati membri. Detto giudice considera in proposito che rientrino in siffatte
condizioni e modalità solo norme giuridiche di carattere generale e non norme implicanti
l'applicazione di condizioni di lavoro diverse a seconda della cittadinanza del lavoratore.
Esso è quindi incline a pensare che la normativa emanata dal DHB, nell'ambito
dell'autonomia riconosciuta alle associazioni, non fa parte delle suddette condizioni e
modalità. In caso contrario il divieto di discriminazione contenuto nell'Accordo di
associazione verrebbe vanificato.
19. A parere del giudice a quo, inoltre, l'art. 38 dell'Accordo di associazione ComunitàSlovacchia, alla stregua dell'art. 48 del Trattato, è una disposizione direttamente
applicabile in quanto, tenuto conto del suo tenore letterale nonché della natura e
dell'oggetto, essa contiene un obbligo chiaro e preciso la cui esecuzione o i cui effetti non
sono subordinati all'adozione di alcun atto ulteriore. Secondo il giudice a quo l'art. 38
dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia produce effetti anche nei confronti dei
terzi, poiché non è applicabile unicamente a provvedimenti adottati dalle autorità, ma si
estende anche alle normative di natura collettiva applicabili al lavoratore subordinato.
20. Detto giudice ne deduce che si configura una violazione del divieto di
discriminazione di cui all'art. 38 dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia che
dovrebbe implicare l'inapplicabilità al signor Kolpak dell'art. 15, n. 1, lett. b), della SpO.
21. Alla luce di quanto precede l'Oberlandesgericht Hamm ha deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se sia in contrasto con l'art. 38, n. 1, dell'Accordo europeo che istituisce un'associazione
tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica slovacca,
dall'altra - atto finale - il fatto che una federazione sportiva applichi ad uno sportivo
professionista in possesso della cittadinanza slovacca una normativa da essa emanata in
base alla quale le società sono autorizzate a far scendere in campo, nelle partite di
campionato o di coppa, solo un limitato numero di giocatori originari di Stati terzi non
facenti parte delle Comunità europee».
Sulla questione pregiudiziale
22. Con la questione pregiudiziale il giudice a quo chiede in sostanza se l'art. 38, n. 1,
primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia vada interpretato nel
senso che osta all'applicazione ad uno sportivo professionista di cittadinanza slovacca,
regolarmente occupato da una società stabilita in uno Stato membro, di una normativa
emanata da una federazione sportiva del medesimo Stato secondo cui le società sono
autorizzate a schierare, in occasione delle partite di campionato o di coppa, solo un
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numero limitato di giocatori originari di paesi terzi che non sono parti dell'accordo sullo
Spazio economico europeo (in prosieguo: il «SEE»).
23. Allo scopo di risolvere la questione così riformulata, va anzitutto esaminato se l'art.
38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia possa essere
invocato da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale ed in secondo luogo, in caso di
soluzione positiva, se la suddetta disposizione possa essere invocata in rapporto alla
normativa emanata da una federazione sportiva nazionale come il DHB. Occorre infine
determinare la portata del principio di non discriminazione enunciato dalla medesima.
Sull'effetto diretto dell'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione
Comunità-Slovacchia
24. Va preliminarmente segnalato che, al punto 30 della sentenza 29 gennaio 2002, causa
C-162/00, Pokrzeptowicz-Meyer (Racc. pag. I-1049), la Corte ha già riconosciuto un
effetto diretto all'art. 37, n. 1, primo trattino, dell'Accordo europeo che istituisce
un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la
Repubblica di Polonia, dall'altra, firmato a Bruxelles il 16 dicembre 1991 ed approvato a
nome delle Comunità dalla decisione del Consiglio e della Commissione 13 dicembre
1993, 93/743/Euratom, CECA, CE (GU L 348, pag. 1; in prosieguo: l'«Accordo di
associazione Comunità-Polonia»).
25. Orbene, in primo luogo, il tenore letterale dell'art. 38, n. 1, primo trattino,
dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia e quello dell'art. 37, n. 1, primo
trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Polonia sono identici.
26. In secondo luogo, l'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia e l'Accordo di
associazione Comunità-Polonia non sono distinguibili quanto ai loro obiettivi e al
contesto in cui sono stati adottati. Infatti perseguono entrambi segnatamente, a tenore
dell'ultimo considerando e dell'art. 1, n. 2, l'obiettivo di istituire un'associazione destinata
a promuovere l'espansione degli scambi nonché relazioni economiche armoniose tra le
parti contraenti, incentivando così uno sviluppo economico dinamico e la prosperità, in
un caso della Repubblica di Polonia, nell'altro della Repubblica slovacca, allo scopo di
facilitare l'adesione di tali paesi alle Comunità.
27. Alla luce di tali elementi, così come l'art. 58, n. 1, dell'Accordo di associazione
Comunità-Polonia non osta all'effetto diretto dell'art. 37, n. 1, primo trattino, di detto
accordo (v. citata sentenza Pokrzeptowicz-Meyer, punto 28), analogamente l'art. 59, n. 1,
dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia non può ostare all'effetto diretto
dell'art. 38, n. 1, primo trattino, del medesimo accordo, tenuto conto della somiglianza
delle disposizioni di cui trattasi.
28. Peraltro, come già occorre per l'art. 37, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di
associazione Comunità-Polonia, l'attuazione dell'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo
di associazione Comunità-Slovacchia non è subordinata all'adozione, da parte del
consiglio di associazione istituito da tale medesimo accordo, di misure complementari
dirette a definirne le modalità di applicazione (v. citata sentenza Pokrzeptowicz-Meyer,
punto 29).
29. Infine, così come per l'art. 37, n. 1, dell'Accordo di associazione Comunità-Polonia, i
termini «[n]el rispetto delle condizioni e modalità applicabili in ciascuno Stato membro»,
di cui all'art. 38, n. 1, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia, non possono
essere interpretati nel senso di consentire agli Stati membri di sottoporre a condizioni o di
limitare discrezionalmente l'applicazione del principio di non discriminazione enunciato
da tale disposizione. Giacché un'interpretazione del genere avrebbe l'effetto di svuotare di
contenuto tale disposizione privandola così di ogni effetto utile (v. citata sentenza
Pokrzeptowicz-Meyer, punti 20-24).
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30. Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre riconoscere all'art. 38, n. 1,
primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia un effetto diretto: ciò
implica che i cittadini slovacchi che se ne avvalgono hanno diritto di farlo valere dinanzi
ai giudici nazionali dello Stato membro ospitante.
Sull'applicabilità dell'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione ComunitàSlovacchia alla normativa emanata da una federazione sportiva
31. Va preliminarmente ricordato che, quanto all'art. 48, n. 2, del Trattato, risulta dal
punto 87 della sentenza 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman (Racc. pag. I-4921),
che il divieto di discriminazione enunciato da tale disposizione si applica a norme
emanate da associazioni sportive per stabilire le condizioni alle quali gli sportivi
professionisti esercitano un'attività retribuita.
32. In proposito, al punto 84 della citata sentenza Bosman, la Corte ha rilevato che nei
vari Stati membri le condizioni di lavoro sono disciplinate talvolta da norme di natura
legislativa o regolamentare, talvolta da convenzioni e altri atti di natura privatistica.
Pertanto, se l'oggetto dell'art. 48 del Trattato fosse limitato agli atti della pubblica
autorità, potrebbero verificarsi disparità nella sua applicazione.
33. Trattandosi dell'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione ComunitàSlovacchia, per stabilire se tale disposizione sia applicabile ad una normativa dettata da
una federazione sportiva come il DHB, va esaminato se l'interpretazione accolta dalla
Corte in merito all'art. 48, n. 2, del Trattato possa essere trasposta, nel caso di specie, alla
suddetta disposizione dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia.
34. A tale riguardo la Corte ha affermato, ai punti 39 e 40 della citata sentenza
Pokrzeptowicz-Meyer, che, per quanto concerne l'art. 37, n. 1, primo trattino,
dell'Accordo di associazione Comunità-Polonia, se è vero che tale disposizione non
enuncia un principio di libera circolazione dei lavoratori polacchi all'interno della
Comunità, mentre l'art. 48 del Trattato sancisce il principio della libera circolazione dei
lavoratori a beneficio dei cittadini comunitari, dal confronto tra gli obiettivi e il contesto
dell'Accordo di associazione Comunità-Polonia, da una parte, e quelli del Trattato CE,
dall'altra, risulta che non esiste alcun motivo di attribuire all'art. 37, n. 1, primo trattino,
di tale accordo una portata diversa da quella accolta dalla Corte per quanto concerne l'art.
48, n. 2, del Trattato.
35. In tale contesto la Corte ha affermato, al punto 41 della citata sentenza
Pokrzeptowicz-Meyer, che l'art. 37, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione
Comunità-Polonia istituisce a favore dei lavoratori di cittadinanza polacca, dal momento
in cui sono legalmente occupati sul territorio di uno Stato membro, un diritto alla parità di
trattamento nelle condizioni di lavoro della stessa portata di quello riconosciuto in termini
analoghi ai cittadini comunitari dall'art. 48, n. 2, del Trattato.
36. Risulta da quanto precede, nonché dalle considerazioni formulate ai punti 25-30 della
presente sentenza, che l'interpretazione dell'art. 48, n. 2, del Trattato elaborata dalla Corte
nella citata sentenza Bosman e richiamata ai punti 31 e 32 della presente sentenza può
essere trasposta all'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione ComunitàSlovacchia.
37. Date le considerazione precedenti occorre concludere nel senso che l'art. 38, n. 1,
primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia è applicabile alla
normativa emanata da una federazione sportiva come il DHB che stabilisce le condizioni
alle quali sportivi professionisti esercitano un'attività subordinata.
Sulla portata del principio di non discriminazione enunciato all'art. 38, n. 1, primo
trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia
38. Secondo il DHB nonché i governi ellenico, spagnolo e italiano, la portata della
clausola di non discriminazione prevista all'art. 38 dell'Accordo di associazione
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Comunità-Slovacchia non avrebbe per scopo la perfetta equiparazione tra i lavoratori
cittadini della Repubblica slovacca ed i lavoratori cittadini degli altri Stati membri
dell'Unione europea. Della libera circolazione dei lavoratori di cui all'art. 48 del Trattato,
quale applicata nel settore dello sport dalla citata sentenza Bosman, potrebbero fruire
soltanto i cittadini comunitari o quelli di uno Stato membro del SEE.
39. Inoltre tutte le parti che hanno presentato osservazioni dinanzi alla Corte concordano
sul fatto che il divieto di discriminazione basato sulla nazionalità di cui all'art. 38, n. 1,
primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia è applicabile solo ai
lavoratori di cittadinanza slovacca già legalmente occupati nel territorio di uno Stato
membro e soltanto per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di
licenziamento.
40. Su tale aspetto il DHB nonché i governi ellenico, spagnolo e italiano sostengono che
la normativa prevista all'art. 15, nn. 1, lett. b), e 2 della SpO concerne l'accesso dei
cittadini slovacchi all'occupazione. L'art. 38, n. 1, dell'Accordo di associazione
Comunità-Slovacchia non può conseguentemente ostare all'applicazione di una siffatta
normativa.
41. Il signor Kolpak, il governo tedesco e la Commissione fanno valere, al contrario, che i
fatti di cui alla causa principale rientrano nell'ambito dell'art. 38, n. 1, primo trattino,
dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia, poiché il signor Kolpak non
cercherebbe di accedere al mercato del lavoro tedesco, ma eserciterebbe già legalmente
un'attività in Germania in base al diritto nazionale e subirebbe, in tale contesto, una
discriminazione concernente le condizioni di lavoro a causa della SpO.
42. Occorre preliminarmente constatare al riguardo come risulti dal tenore letterale
dell'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia che il
divieto di discriminazione basata sulla nazionalità, previsto in tale disposizione, da un
lato, è applicabile solo ai lavoratori di cittadinanza slovacca già legalmente occupati nel
territorio di uno Stato membro e, dall'altro, si applica soltanto per quanto riguarda le
condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento. Pertanto tale disposizione,
diversamente dall'art. 48 del Trattato, non si estende alle normative nazionali in materia
di accesso al mercato del lavoro.
43. Orbene, dall'ordinanza del giudice a quo emerge che il signor Kolpak svolge
regolarmente un'attività subordinata come portiere a norma di un contratto di lavoro
stipulato con una società tedesca di seconda divisione, ch'egli è in possesso di un titolo di
soggiorno valido e che, secondo la legislazione nazionale, non necessita di alcun
permesso di lavoro per esercitare la sua professione. Risulta dunque che egli ha già
regolarmente accesso al mercato del lavoro in Germania.
44. In tale contesto, trattandosi più particolarmente della questione se una normativa
come quella di cui agli artt. 15, n. 1, lett. b), e 2 della SpO costituisca una condizione di
lavoro, va rilevato che nella citata sentenza Bosman la causa principale riguardava, tra
l'altro, regole o norme sulla cittadinanza simili, emanate dall'Union des associations
européennes de football (UEFA).
45. Ciò posto, risulta dal punto 120 della citata sentenza Bosman che, da un lato, tali
norme non riguardano l'ingaggio dei giocatori professionisti, che non è limitato, ma la
possibilità, per le società cui appartengono, di farli scendere in campo nelle partite
ufficiali e, dall'altro, che la partecipazione a tali incontri costituisce l'oggetto essenziale
della loro attività.
46. Deriva da quanto precede che una normativa sportiva come quella in parola nella
causa principale è relativa alle condizioni di lavoro ai sensi dell'art. 38, n. 1, primo
trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia in quanto essa abbia un
impatto diretto sulla partecipazione agli incontri di campionato e di coppa di un giocatore
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professionista slovacco, già regolarmente occupato secondo le disposizioni nazionali
dello Stato membro ospitante.
47. In presenza di tali elementi, per determinare se l'art. 38, n. 1, primo trattino,
dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia osti all'applicazione di una normativa
come quella di cui agli artt. 15, n. 1, lett. b), e 2 della SpO, rimane da stabilire se
quest'ultima implichi una discriminazione vietata dalla suddetta disposizione di tale
accordo.
48. Al riguardo va preliminarmente constatato che, quanto all'art. 48, n. 2, del Trattato,
risulta dal punto 137 della citata sentenza Bosman che tale disposizione osta
all'applicazione di norme emanate da associazioni sportive, secondo le quali, nelle partite
delle competizioni che esse organizzano, le società calcistiche possono schierare solo un
numero limitato di calciatori professionisti cittadini di altri Stati membri.
49. Per quanto riguarda l'interpretazione dell'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di
associazione Comunità-Slovacchia, risulta dai punti da 25 a 30, 34, 35 e 44 della presente
sentenza che, da un lato, tale disposizione istituisce a favore dei lavoratori di cittadinanza
slovacca, dal momento in cui siano legalmente occupati sul territorio di uno Stato
membro, un diritto alla parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro
della stessa portata di quello riconosciuto in termini simili ai cittadini di altri Stati
membri dall'art. 48, n. 2, del Trattato e, dall'altro, che la normativa in parola nella causa
principale è simile alle norme sulla cittadinanza considerate nella citata sentenza Bosman.
50. Sulla base delle considerazioni precedenti occorre dichiarare che l'interpretazione
dell'art. 48, n. 2, del Trattato elaborata dalla Corte nella citata sentenza Bosman e
richiamata al punto 48 della presente sentenza può essere trasposta all'art. 38, n. 1, primo
trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia.
51. Così l'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia
osta all'applicazione al signor Kolpak di una normativa come quella prevista all'art. 15,
nn. 1, lett. b), e 2 della SpO per la parte in cui quest'ultima ha per conseguenza che il
signor Kolpak, in quanto cittadino slovacco, benché regolarmente occupato in uno Stato
membro, dispone, in linea di principio, soltanto di una possibilità limitata, rispetto ai
giocatori cittadini di Stati membri o cittadini di Stati membri del SEE, di partecipare a
taluni incontri, cioè gli incontri di campionato e di coppa della Bundesliga e delle
Regionalligen, che costituiscono peraltro l'oggetto essenziale della sua attività in qualità
di giocatore professionista.
52. Un'interpretazione siffatta non può essere messa in questione con l'argomento del
DHB secondo cui la normativa di cui all'art. 15, nn. 1, lett. b), e 2 della SpO si
giustificherebbe grazie a considerazioni esclusivamente sportive, poiché la sua finalità
sarebbe quella di preservare la formazione organizzata a favore dei giovani giocatori di
cittadinanza tedesca e di promuovere la squadra nazionale tedesca.
53. Certo, al punto 127 della citata sentenza Bosman, la Corte ha ricordato che, nella
sentenza 14 luglio 1976, causa C-13/76, Donà (Racc. pag. 1333, punti 14 e 15), essa ha
riconosciuto che le norme del Trattato in materia di libera circolazione delle persone non
ostano a normative o prassi che escludano i calciatori stranieri da determinati incontri per
motivi non economici, attinenti al carattere e all'ambito specifici di tali partite e che
quindi hanno natura prettamente sportiva, come, ad esempio, nel caso di incontri fra le
rappresentative di paesi diversi.
54. Tuttavia, al punto 128 della citata sentenza Bosman, la Corte ha dichiarato che le
norme sulla cittadinanza non riguardavano incontri specifici fra rappresentative nazionali,
ma si applicavano a tutti gli incontri ufficiali tra società calcistiche e, quindi, alla parte
essenziale dell'attività esercitata dai calciatori professionisti.
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55. In tale contesto la Corte ha rilevato che il legame fra una società calcistica e lo Stato
membro nel quale essa è stabilita non può considerarsi inerente all'attività sportiva, in
ogni caso non più del legame che unisce tale società al suo quartiere, alla sua città o alla
sua regione. Nei campionati nazionali, infatti, si affrontano società di regioni, di città o di
quartieri diversi, ma nessuna norma limita, relativamente a tali partite, il diritto delle
società di schierare in campo calciatori provenienti da altre regioni, da altre città o da altri
quartieri. Inoltre la partecipazione alle gare internazionali è riservata alle società che
hanno ottenuto determinati risultati sportivi nel loro rispettivo paese, senza che la
cittadinanza dei loro calciatori rivesta un ruolo particolare (citata sentenza Bosman, punti
131 e 132).
56. Tenuto conto di tale giurisprudenza, va dichiarato che la discriminazione generata,
nella presente causa, dall'art. 15, nn. 1, lett. b), e 2 della SpO non può ritenersi giustificata
da considerazioni esclusivamente sportive, dato che discende da una normativa siffatta
che, in occasione di partite organizzate dal DHB, le società sono libere di schierare un
numero illimitato di cittadini degli Stati membri del SEE.
57. Peraltro, nelle osservazioni presentate dinanzi alla Corte, non si è fatto valere nessun
altro argomento idoneo a giustificare obiettivamente la disparità di trattamento tra
giocatori professionisti cittadini di uno Stato membro o di uno Stato membro del SEE e
giocatori professionisti di cittadinanza slovacca, risultante dall'art. 15, nn. 1, lett. b), e 2
della SpO e relativa alle condizioni di lavoro di quest'ultimi.
58. Risulta dalle considerazioni precedenti come la questione pregiudiziale vada risolta
dichiarando che l'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione ComunitàSlovacchia debba interpretarsi nel senso che esso osta all'applicazione ad uno sportivo
professionista di cittadinanza slovacca, regolarmente occupato da una società stabilita in
uno Stato membro, di una normativa emanata da una federazione sportiva del medesimo
Stato secondo cui le società sono autorizzate a far scendere in campo, in occasione delle
partite di campionato o di coppa, solo un limitato numero di giocatori originari di paesi
terzi che non sono parti dell'accordo sul SEE.
Per questi motivi,
LA CORTE (Quinta Sezione),
dichiara:
L'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo europeo che istituisce un'associazione tra le
Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica slovacca, dall'altra,
firmato a Lussemburgo il 4 ottobre 1993 ed approvato a nome delle Comunità dalla
decisione del Consiglio e della Commissione 19 dicembre 1994, 94/909/CECA, CE,
Euratom, va interpretato nel senso che esso osta all'applicazione ad uno sportivo
professionista di cittadinanza slovacca, regolarmente occupato da una società stabilita in
uno Stato membro, di una normativa emanata da una federazione sportiva del medesimo
Stato secondo cui le società sono autorizzate a far scendere in campo, in occasione delle
partite di campionato o di coppa, solo un limitato numero di giocatori originari di paesi
terzi che non sono parti dell'Accordo sulla Spazio economico europeo.
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16. Cause riunite T-346/02 e T-347/02,
Cableuropa SA, con sede in Madrid,
Región de Murcia de Cable SA, con sede in Murcia (Spagna),
Valencia de Cable SA, con sede in Madrid,
Mediterránea Sur Sistemas de Cable SA, con sede in Alicante (Spagna),
Mediterránea Norte Sistemas de Cable SA, con sede in Castellón (Spagna),
ricorrenti nella causa T-346/02,
Aunacable SA, con sede in Madrid,
Sociedad Operadora de Telecomunicaciones de Castilla y León (Retecal) SA, con
sede in Boecilli (Spagna),
Euskaltel SA, con sede in Zamudio-Bizkaia (Spagna),
Telecable de Avilés SA, con sede in Avilés (Spagna),
Telecable de Oviedo SA, con sede in Oviedo (Spagna),
Telecable de Gijón SA, con sede in Gijón (Spagna),
R Cable y Telecomunicaciones Galicia SA, con sede in La Coruña (Spagna),
Tenaria SA, con sede in Cordovilla (Spagna),
ricorrenti nella causa T-347/02,
contro
Commissione delle Comunità europee,
convenuta,
sostenuta da
Regno di Spagna,
da
Sogecable SA, con sede in Madrid
da
DTS Distribuidora de Televisión Digital SA (Vía Digital), con sede in Madrid,
e da
Telefónica de Contenidos SAU, con sede in Madrid,
intervenienti,
avente ad oggetto un ricorso diretto all'annullamento della decisione della Commissione
14 agosto 2002, che rinvia l'esame dell'operazione di concentrazione per la fusione delle
società DTS Distribuidora de Televisión Digital SA (Vía Digital) e Sogecable SA alle
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autorità garanti della concorrenza spagnole, ai sensi dell'art. 9 del regolamento (CEE) del
Consiglio 21 dicembre 1989, n. 4064, relativo al controllo delle operazioni di
concentrazione tra imprese (caso COMP/M.2845 - Sogecable/Canalsatélite Digital/Vía
Digital).
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Terza Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Contesto normativo
1. Il regolamento (CEE) del Consiglio 21 dicembre 1989, n. 4064, relativo al controllo
delle operazioni di concentrazione tra imprese (GU L 395, pag. 1), come rettificato (GU
1990, L 257, pag. 13), e come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 30 giugno
1997, n. 1310 (GU L 180, pag. 1) (in prosieguo: il «regolamento n. 4064/89»), prevede
un sistema di controllo da parte della Commissione delle operazioni di concentrazione
che hanno una «dimensione comunitaria» ai sensi dell'art. 1, nn. 2 e 3, del regolamento n.
4064/89.
2. L'art. 9 del regolamento n. 4064/89 consente alla Commissione di rinviare agli Stati
membri l'esame di una operazione di concentrazione. Tale disposizione prevede in
particolare quanto segue:
«1. La Commissione può, mediante decisione, che essa notifica senza indugio alle
imprese interessate e che porta a conoscenza delle autorità competenti degli altri Stati
membri, rinviare alle autorità competenti dello Stato membro interessato un caso di
concentrazione notificata alle seguenti condizioni.
2. Entro tre settimane a decorrere dalla data di ricezione della copia della notifica, uno
Stato membro può comunicare alla Commissione, che a sua volta ne informa le imprese
interessate, che un'operazione di concentrazione:
a) minaccia di creare o di rafforzare una posizione dominante tale da ostacolare in modo
significativo una concorrenza effettiva in un mercato all'interno del suddetto Stato
membro che presenta tutte le caratteristiche di un mercato distinto, o
b) incide sulla concorrenza in un mercato all'interno del suddetto Stato membro che
presenta tutte le caratteristiche di un mercato distinto e non costituisce una parte
sostanziale del mercato comune.
3. Se la Commissione ritiene che, tenuto conto del mercato dei prodotti o servizi in
questione e del mercato geografico di riferimento ai sensi del paragrafo 7, tale mercato
distinto e tale minaccia esistano:
a) provvede essa stessa ad affrontare il caso per preservare o ripristinare una concorrenza
effettiva sul mercato in questione, o
b) rinvia il caso, interamente o in parte, alle autorità competenti dello Stato membro
interessato, per l'applicazione della legislazione nazionale sulla concorrenza del suddetto
Stato.
Se, al contrario, la Commissione ritiene che tale mercato distinto o tale minaccia non
esistano, essa prende una decisione al riguardo indirizzandola allo Stato membro
interessato.
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Se uno Stato membro informa la Commissione che una operazione di concentrazione
incide sulla concorrenza in un mercato distinto all'interno del suo territorio, che non
costituisce una parte sostanziale del mercato comune, la Commissione rinvia tutto il caso
o la parte di esso riguardante detto mercato distinto, se essa ritiene che un tale mercato
distinto è interessato.
(...)
7. Il mercato geografico di riferimento è costituito da un territorio in cui le imprese
interessate intervengono nell'offerta e nella domanda di beni e di servizi, nel quale le
condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee e che può essere distinto dai
territori vicini, in particolare a motivo delle condizioni di concorrenza notevolmente
diverse da quelle che prevalgono in quei territori. In questa valutazione occorre tener
conto segnatamente della natura e delle caratteristiche dei prodotti o servizi in questione,
dell'esistenza di ostacoli all'entrata, di preferenze dei consumatori, nonché dell'esistenza,
tra il territorio in oggetto e quelli vicini, di differenze notevoli di parti di mercato delle
imprese o di sostanziali differenze di prezzi.
8. Per l'applicazione del presente articolo, lo Stato membro interessato può prendere
soltanto le misure strettamente necessarie per preservare o ripristinare una concorrenza
effettiva sul mercato interessato.
(...)».
Le imprese interessate
3. La Cableuropa SA (in prosieguo: la «Cableuropa»), prima ricorrente nella causa T346/02, è un'impresa che opera nel settore delle telecomunicazioni via cavo (in prosieguo:
«operatore via cavo»), attiva in particolare nel mercato della televisione a pagamento in
Spagna, e che detiene la maggioranza delle azioni delle altre ricorrenti nella presente
causa, ossia la Región de Murcia de Cable SA, la Valencia de Cable SA, la Mediterránea
Sur Sistemas de Cable SA e la Mediterránea Norte Sistemas de Cable SA, che sono
parimenti operatori via cavo attivi in Spagna.
4. La Aunacable SA (in prosieguo: la «Aunacable»), prima ricorrente nella causa T347/02, è una società che raggruppa cinque operatori via cavo attivi in Spagna, ossia la
Able en Aragon, la Canarias Telecom nelle isole Canarie, la Madritel a Madrid, la Menta
in Catalogna e la Supercable nella gran parte dell'Andalusia. Le altre ricorrenti nella
presente causa sono operatori via cavo regionali (in prosieguo: «operatori via cavo
regionali»), anch'essi attivi in Spagna.
5. La Sogecable SA (in prosieguo: la «Sogecable») è una società per azioni le cui attività
consistono essenzialmente nella gestione e nello sfruttamento di un canale televisivo
analogico a pagamento (Canal+) nel mercato spagnolo. La Sogecable gestisce parimenti
una piattaforma televisiva digitale via satellite, la Canalsatélite Digital, di cui essa
controlla l'83,25%. Le sue attività comprendono inoltre la fornitura di servizi tecnici e la
gestione del servizio di abbonamento, la produzione e la vendita di canali televisivi
tematici, la produzione, la distribuzione e la proiezione di film, l'acquisizione e la vendita
di diritti sportivi. La Sogecable, tramite Canal+ e Canalsatélite Digital, è il maggiore
operatore nel settore della televisione a pagamento in Spagna.
6. A seguito dell'accordo siglato il 28 giugno 1999 tra gli azionisti della Promotora de
Informaciones SA (in prosieguo: la «Prisa») e del gruppo Canal+ SA (in prosieguo: il
«gruppo Canal+»), e aggiornato nel 2002, la Sogecable è controllata congiuntamente da
queste due società, ciascuna delle quali detiene il 21,27% delle azioni, mentre le
rimanenti azioni sono possedute da diversi azionisti di minoranza e distribuite in borsa.
La Prisa è un gruppo spagnolo, attivo nell'ambito dei mezzi di comunicazione, che ha
interessi nei settori della stampa, dell'editoria, della radio e della televisione a pagamento.
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Il gruppo Canal+ dirige la divisione europea del cinema e della televisione del gruppo
Vivendi Universal (in prosieguo: il «Vivendi»). Quest'ultimo esercita la propria attività
nei settori della musica, della televisione e del cinema, delle telecomunicazioni,
dell'internet, dell'editoria e dell'ambiente.
7. La DTS Distribuidora de Televisión Digital SA (in prosieguo: la «Vía Digital»)
gestisce e sfrutta una piattaforma televisiva digitale nel mercato spagnolo. Essa è
parimenti attiva nella produzione, acquisto, vendita, riproduzione, distribuzione e
proiezione di ogni tipo di opera audiovisiva. E' inoltre il secondo operatore nel settore
della televisione multicanale a pagamento in Spagna.
8. La Vía Digital è controllata dalla Telefónica de Contenidos SAU (in prosieguo: la
«Telefónica de Contenidos»), società la cui ragione sociale era, fino al 23 ottobre 2002,
Grupo Admira Media SA (in prosieguo: la «Admira»). La Telefónica de Contenidos,
controllata interamente dalla Telefónica SA (in prosieguo: la «Telefónica»), il maggiore
operatore nelle telecomunicazioni nel mondo ispanofono, raggruppa e gestisce le
partecipazioni di quest'ultima sul mercato dei servizi audiovisivi spagnoli e latinoamericani.
Antefatti
9. Il 3 luglio 2002 la Commissione riceveva la notifica, ai sensi del regolamento n.
4064/89, di un accordo, concluso l'8 maggio 2002 tra la Sogecable e la Admira, volto alla
fusione della Vía Digital e della Sogecable attraverso uno scambio di azioni. L'accordo
prevedeva parimenti l'acquisizione da parte della Sogecable della partecipazione indiretta
della Admira alla Audiovisual Sport SL (in prosieguo: l'«AVS»), impresa mediante la
quale la Sogecable e la Telefónica controllano i diritti di ritrasmissione delle partite della
prima e della seconda divisione del Campionato spagnolo di calcio, di altre competizioni,
quali la UEFA Champions League e il Campionato mondiale della FIFA, nonché di altri
eventi sportivi.
10. Secondo l'accordo notificato alla Commissione la Sogecable sarebbe rimasta
controllata congiuntamente dalla Prisa e dal gruppo Canal+.
11. Il 12 luglio 2002 la Commissione pubblicava nella Gazzetta ufficiale delle Comunità
europee, in conformità all'art. 4, n. 3, del regolamento n. 4064/89, l'avviso di notifica per
il caso COMP/M.2845 (Sogecable/Canalsatélite Digital/Vía Digital), con il quale invitava
i terzi interessati a trasmetterle loro eventuali osservazioni sul progetto di concentrazione.
12. Lo stesso giorno il governo spagnolo domandava alla Commissione, ai sensi dell'art.
9, n. 2, lett. a), del regolamento n. 4064/89, di rinviare il caso alle autorità garanti della
concorrenza, in quanto l'operazione minacciava di creare una posizione dominante atta ad
incidere sulla concorrenza in diversi mercati spagnoli.
13. Il 18 luglio 2002 la Commissione inviava, conformemente all'art. 11 del regolamento
n. 4064/89, una richiesta di informazioni all'ONO (vedi sotto, punto 72), alla Aunacable e
agli operatori via cavo regionali. Le imprese interessate hanno risposto a tale richiesta
con lettere 23 luglio 2002 (per quanto riguarda l'ONO), 26 luglio 2002 (per quanto
riguarda gli operatori via cavo regionali) e 31 luglio 2002 (per quanto riguarda la
Aunacable).
14. Il 23 luglio 2002 il governo spagnolo integrava la domanda di rinvio trasmettendo alla
Commissione un documento modificato.
Decisione impugnata
15. Con decisione 14 agosto 2002 la Commissione rinviava il caso COMP/M.2845
(Sogecable/Canalsatélite Digital/Vía Digital) alle autorità competenti del Regno di
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Spagna, in applicazione dell'art. 9 del regolamento n. 4064/89 (in prosieguo: la
«decisione impugnata»).
16. La decisione impugnata distingue diversi mercati di prodotti e servizi interessati dalla
concentrazione. Si tratta del mercato della televisione a pagamento e dei mercati a monte,
quali quello dei diritti di ritrasmissione di film, dei diritti sportivi e relativi ad altri
contenuti, nonché dei mercati delle telecomunicazioni.
17. Secondo la decisione impugnata ogni mercato di prodotti pertinente ha una
dimensione nazionale.
18. In relazione al mercato della televisione a pagamento la decisione impugnata prevede
quanto segue (considerando 17):
«[L]a Commissione ha sempre sostenuto che il mercato della televisione a pagamento è
delimitato da frontiere linguistiche o nazionali. Anche se taluni segmenti di mercato,
quali il canale sportivo Eurosport, trasmettono a livello europeo, lo sfruttamento
televisivo avviene essenzialmente su mercati nazionali, fondamentalmente in ragione del
fatto che esistono disposizioni nazionali divergenti, barriere linguistiche, fattori culturali
e situazioni di concorrenza diversi per ogni Stato (la struttura del mercato della
televisione via cavo ne è un esempio). Così nel caso particolare della Spagna, la
dimensione geografica risulta nazionale per ragioni di tipo linguistico e regolamentare. Il
mercato spagnolo è pertanto il mercato geografico di riferimento; esso presenta tutte le
caratteristiche di un mercato distinto ai sensi dell'art. 9, nn. 2, lett. a), e 7, del
regolamento sulle concentrazioni».
19. Relativamente ai mercati a monte del mercato della televisione a pagamento la
decisione impugnata illustra anzitutto che «i contenuti principali che inducono gli
spettatori ad optare per i servizi di una televisione a pagamento in Spagna sono i film in
prima visione che hanno totalizzato maggiori ingressi in sala (ossia, di solito, i film
prodotti dagli studi di Hollywood, o Majors americani) e gli incontri di calcio ai quali
partecipano squadre spagnole, in particolare il Campionato» (considerando 21).
20. La dimensione nazionale dei mercati dei diritti di ritrasmissione di film è spiegata
come segue:
«I diritti di ritrasmissione codificata dei film sono generalmente ceduti in esclusiva per
periodi variabili, su una base linguistica e per una zona di diffusione determinata. Nel
caso della Spagna i diritti di diffusione si limitano al territorio spagnolo; i mercati
geografici corrispondenti ai diritti sulle pellicole cinematografiche sono nazionali. Il
mercato spagnolo è dunque il mercato geografico di riferimento e presenta tutte le
caratteristiche di un mercato distinto, ai sensi dell'art. 9, nn. 2, lett. a), e 7 del
regolamento sulle concentrazioni» (decisione impugnata, considerando 26).
21. Per quanto riguarda i diritti di ritrasmissione degli eventi sportivi, la decisione
impugnata (considerando 40-42) distingue, anzitutto, il mercato dei diritti di
ritrasmissione degli eventi calcistici ai quali partecipano le squadre spagnole, e rileva:
«40. A proposito della vendita sia dei diritti di ritrasmissione delle partite del Campionato
e della Coppa, sia dei diritti sugli incontri della Champions League e della Coppa Uefa,
tali diritti sono stati concessi ad operatori televisivi spagnoli. Per il Campionato e la
Coppa di Spagna le società spagnole di calcio hanno venduto singolarmente i loro diritti
alla Telefónica, alla Sogecable, alla TV3 e all'AVS fino all'anno [...], ad eccezione della
finale della Coppa del Re. Per la Champions League e la Coppa Uefa in ciascun paese
sono state accordate alcune licenze agli operatori, dato che, per ragioni culturali, la
domanda relativa alle partite varia a seconda dello Stato. L'UEFA ha venduto i diritti
della Champions League alla Televisión Española (TVE) fino all'anno [...].
41. Anche riguardo all'acquisto i mercati all'ingrosso e al dettaglio sono nazionali, dato
che i diritti sono sfruttati essenzialmente in Spagna. Per il Campionato e la Coppa
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spagnoli gli operatori hanno ceduto i diritti sulle partite all'AVS, la quale ha a sua volta
accordato licenze per la ritrasmissione di queste ultime a diverse televisioni a pagamento
e ad operatori di televisioni a libero accesso. La TVE che, come già detto, ha acquistato i
diritti di ritrasmissione delle partite della Champions League dall'UEFA fino al [...], ha
concesso licenze alla Vía Digital per lo sfruttamento dei diritti mediante televisione a
pagamento fino al [...]. Successivamente, la Vía Digital ha accordato una licenza non
esclusiva alla Sogecable per lo sfruttamento di tali diritti.
42. Il mercato spagnolo è dunque il mercato geografico di riferimento e presenta tutte le
caratteristiche di un mercato distinto ai sensi dell'art. 9, nn. 2, lett. a), e 7, del
regolamento sulle concentrazioni».
22. Riguardo ai diritti di ritrasmissione di altri eventi sportivi e di altri spettacoli oggetto
di diritti esclusivi, la Commissione sottolinea il carattere nazionale del mercato per
ragioni di natura linguistica e culturale (decisione impugnata, considerando 57).
23. Per quanto riguarda l'ultimo mercato a monte del mercato della televisione a
pagamento, ossia il mercato dei diritti di ritrasmissione di altri contenuti, la decisione
impugnata chiarisce (considerando 63):
«Nelle precedenti decisioni la Commissione ha precisato che i canali tematici sono un
mercato distinto di prodotti, avente dimensione nazionale. In generale, i canali tematici
sono oggetto di commercializzazione. La dimensione geografica nazionale dei canali
tematici è confermata nel caso della Spagna, in quanto la diffusione si effettua a livello
del territorio spagnolo. Il mercato spagnolo è dunque il mercato geografico di riferimento
e presenta tutte le caratteristiche di un mercato distinto ai sensi dell'art. 9, nn. 2, lett. a), e
7, del regolamento sulle concentrazioni».
24. In merito alla dimensione geografica dei mercati delle telecomunicazioni, si spiega
nella decisione impugnata (considerando 80 e 82):
«a) Mercati di accesso a internet
80. [...] la Commissione ha considerato, nelle sue precedenti decisioni, [...] che la
fornitura al dettaglio ai consumatori finali di servizi di accesso ad internet, a banda larga
o stretta, corrisponde ad un mercato di dimensione essenzialmente nazionale, per ragioni
di natura sia tecnologica (ad esempio, la necessità di collegamento alla rete locale e di
numeri di telefono locali/gratuiti verso il punto di presenza, o POP, più vicino) che
regolamentare (per l'esistenza di diverse normative nazionali). Il mercato spagnolo è
dunque il mercato geografico di riferimento e presenta tutte le caratteristiche di un
mercato distinto ai sensi dell'art. 9, nn. 2, lett. a), e 7, del regolamento sulle
concentrazioni.
b) Mercati della telefonia fissa e altri mercati delle telecomunicazioni.
[...].
82. La prassi corrente della Commissione nelle precedenti decisioni conferma che i
mercati delle telecomunicazioni suindicati sono essenzialmente nazionali (carattere
nazionale delle infrastrutture, offerta di servizi esclusivamente nazionale, condizioni di
autorizzazione degli operatori, disponibilità di frequenze di telefonia mobile, tariffe
itineranti ecc.). Il mercato spagnolo è dunque il mercato geografico di riferimento e
presenta tutte le caratteristiche di un mercato distinto ai sensi dell'art. 9, nn. 2, lett. a), e 7,
del regolamento sulle concentrazioni».
25. La Commissione constata che in ciascun mercato l'operazione minaccia di creare o di
rafforzare una posizione dominante tale da ostacolare in modo significativo una
concorrenza effettiva nel mercato spagnolo (decisione impugnata, considerando 20, 29,
51, 55, 61, 68 e 109).
26. La Commissione formula poi nella decisione impugnata le seguenti conclusioni
generali (considerando 118-121):
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«Conclusioni
118. Dato che il Regno di Spagna è una parte sostanziale del mercato comune la
Commissione dispone, conformemente all'art. 9, n. 3, del regolamento sulle
concentrazioni, di un ampio potere discrezionale nel decidere se rinviare il caso di
concentrazione alle autorità nazionali spagnole per l'applicazione della normativa
nazionale.
119. L'operazione minaccia di creare o di rafforzare una posizione dominante unicamente
in mercati di dimensione nazionale all'interno del Regno di Spagna.
120. Le autorità nazionali spagnole dispongono di mezzi sufficienti e sono nelle
condizioni di procedere ad un'inchiesta approfondita sull'operazione, tenuto conto, in
particolare, del carattere nazionale dei mercati nei quali l'operazione minaccia di creare o
di rafforzare una posizione dominante.
121. La Commissione ha verificato che nel caso di specie le condizioni per il rinvio alle
autorità nazionali, stabilite all'art. 9 del regolamento sulle concentrazioni, sono
soddisfatte e, pertanto, esercitando il potere discrezionale accordatole dal regolamento,
considera appropriato accogliere la domanda delle autorità spagnole e rinviare loro il caso
ai fini dell'applicazione della normativa spagnola in materia di concorrenza».
27. Il 18 settembre 2002 la Commissione ha comunicato la decisione impugnata alle
ricorrenti nella causa T-347/02. Il giorno seguente la decisione impugnata è stata
comunicata all'ONO.
28. Con due decisioni del Consejo de Ministros (Consiglio dei Ministri) del 29 novembre
2002 il governo spagnolo ha autorizzato la concentrazione di cui trattasi, subordinandola
a diverse condizioni.
Procedimento
29. Con atti introduttivi depositati alla cancelleria del Tribunale il 22 novembre 2002, le
ricorrenti hanno proposto i ricorsi in esame, registrati con i numeri T-346/02 e T-347/02.
30. Nelle due cause le ricorrenti hanno presentato, con atti depositati lo stesso giorno, una
domanda di procedura accelerata, conformemente all'art. 76 bis del regolamento di
procedura del Tribunale. Il 16 dicembre 2002 la Terza Sezione del Tribunale, alla quale
sono stati assegnate le due cause, ha deciso di accogliere tale domanda.
31. La Commissione ha depositato il suo controricorso, per le due cause, il 22 gennaio
2003.
32. Con atti introduttivi depositati alla cancelleria del Tribunale, rispettivamente, il 19
febbraio e il 4 marzo 2003, il Regno di Spagna, da un lato, e la Sogecable, la Vía Digital
e la Telefónica de Contenidos, dall'altra, hanno domandato, nelle due cause, di intervenire
a sostegno delle conclusioni della Commissione. Con ordinanze del presidente della
Terza Sezione del Tribunale 19 marzo 2003 e 10 aprile 2003 tali domande sono state
accolte. Le intervenienti sono state invitate ad esporre i propri argomenti in udienza.
33. Su relazione del giudice relatore il Tribunale (Terza Sezione) ha deciso di avviare la
fase orale del procedimento e, nell'ambito delle misure di organizzazione del
procedimento contemplate all'art. 64 del regolamento di procedura, ha invitato le parti a
rispondere ad alcuni quesiti scritti e a produrre determinati documenti. Le parti hanno
risposto a tali quesiti entro il termine impartito.
34. Le parti hanno svolto le loro difese e hanno risposto ai quesiti orali posti dal
Tribunale all'udienza dell'11 giugno 2003. All'udienza è stato aggiunto un documento al
fascicolo della causa T-346/02 su domanda delle ricorrenti.
35. Sentite in udienza le parti su tale punto, il Tribunale (Terza Sezione) ha deciso di
riunire i due procedimenti ai fini della sentenza.
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Conclusioni delle parti
36. Nella causa T-346/02 le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:
- annullare la decisione impugnata;
- condannare ciascuna parte a sostenere le proprie spese.
37. Nella causa T-347/02 le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:
- dichiarare il ricorso ricevibile e fondato;
- annullare la decisione impugnata;
- condannare la Commissione alle spese.
38. Nelle due cause la Commissione, sostenuta dalle intervenienti, chiede che il Tribunale
voglia:
- dichiarare i ricorsi irricevibili;
- in subordine, respingerli in quanto infondati;
- condannare le ricorrenti alle spese.
Sulla ricevibilità
Argomenti delle parti
39. La Commissione, sostenuta dalle intervenienti, sottolinea che la decisione impugnata
è rivolta esclusivamente al Regno di Spagna e quindi, dato che le ricorrenti non sono
destinatarie di tale decisione, spetta loro dimostrare di essere direttamente ed
individualmente interessate ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE. Orbene, le ricorrenti
non sarebbero né direttamente né individualmente interessate dalla decisione impugnata.
40. In primo luogo, una decisione quale la decisione impugnata non pregiudicherebbe in
alcun modo la decisione finale che le autorità nazionali adotterebbero sulla
concentrazione. L'esistenza di una decisione autonoma ulteriore dello Stato escluderebbe
dunque che le ricorrenti possano essere ritenute direttamente interessate dalla decisione
impugnata. La Commissione fa riferimento a tal proposito alle sentenze del Tribunale 24
marzo 1994, causa T-3/93, Air France/Commissione (Racc. pag. II-121) e 27 aprile 1995,
causa T-96/92, CCE de la Société générale des grandes sources e a./Commissione (Racc.
pag. II-1213, punto 40), nonché alla giurisprudenza relativa alla facoltà dei privati di
contestare le decisioni in materia di aiuti di Stato (sentenza del Tribunale 5 dicembre
2002, causa T-114/00, Aktionsgemeinschaft Recht und EIgentum/Commissione, Racc.
pag. II-5121, punto 73) e alle direttive (sentenza del Tribunale 27 giugno 2000, cause
riunite T-172/98, T-175/98 - T-177/98, Salamander e a./Parlamento e Consiglio, Racc.
pag. II-2487, punto 70).
41. Ciò premesso, la Commissione sottolinea che nella causa oggetto della sentenza Air
France/Commissione (citata sopra al punto 40) la decisione impugnata non garantiva
l'esistenza di una decisione nel merito dell'operazione di concentrazione in applicazione
del diritto nazionale della concorrenza. Al contrario, in tale causa la decisione impugnata
avrebbe autorizzato la realizzazione immediata dell'operazione proposta e avrebbe privato
i terzi dei loro diritti processuali. Nel caso di specie la decisione impugnata non
autorizzerebbe in alcun modo l'operazione di concentrazione. La decisione opererebbe
unicamente un trasferimento di competenze senza pregiudicare le garanzie processuali
dei terzi interessati. Riferendosi alle sentenze della Corte 19 maggio 1993, causa C198/91, Cook/Commissione (Racc. pag. I-2487), 15 giugno 1993, causa C-225/91,
Matra/Commissione (Racc. pag. I-3203) e 17 novembre 1998, causa C-70/97 P,
Kruidvat/Commissione (Racc. pag. I-7183), la Commissione aggiunge che, ai fini della
ricevibilità del ricorso, rileva il rispetto del diritto ad essere sentito e non il rispetto di
specifiche modalità procedurali. A meno che non si presuma che gli Stati membri, e in
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particolare il Regno di Spagna, non rispettino tale garanzia fondamentale, si dovrebbe
constatare che le ricorrenti non sono direttamente interessate dalla decisione impugnata.
In ogni caso non esisterebbe una legittimazione ad agire «a geometria variabile» in
funzione delle garanzie processuali dello Stato al quale è trasferita la competenza per
l'esame di una concentrazione (v., in tal senso, sentenza della Corte 25 luglio 2002, causa
C-50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, Racc. pag. I-6677, punto 43). Se
le ricorrenti dovessero ritenere che il loro diritto ad essere sentite non sia sufficientemente
garantito dinanzi alle autorità garanti della concorrenza spagnole, esse potrebbero far
valere i loro argomenti mediante un ricorso contro la decisione finale adottata da tali
autorità. Riguardo all'argomento delle ricorrenti secondo il quale i terzi interessati non
avrebbero diritto ad un dibattimento orale dinanzi alle autorità spagnole, la Commissione
rileva che, conformemente all'art. 16 del regolamento (CE) della Commissione 1° marzo
1998, n. 447, relativo alle notificazioni, ai termini e alle audizioni di cui al regolamento n.
4064/89 (GU L 61, pag. 1), un terzo non gode di tale diritto nemmeno nel procedimento
amministrativo dinanzi alla Commissione. Infatti, un terzo può esprimere verbalmente il
suo punto di vista solo se la Commissione lo ritiene opportuno.
42. Le presenti cause sarebbero inoltre molto diverse da quella oggetto della sentenza del
Tribunale 4 marzo 1999, causa T-87/96, Assicurazioni Generali e
Unicredito/Commissione (Racc. pag. II-203). In quest'ultima la Commissione avrebbe
considerato, nella decisione impugnata, che la creazione di un'impresa comune non
costituiva una concentrazione ai sensi del regolamento n. 4064/89. Le ricorrenti nella
citata causa Assicurazioni Generali e Unicredito/Commissione avrebbero preso parte
all'operazione e, di conseguenza, sarebbero state le destinatarie della decisione contestata.
La Commissione aggiunge che, pur se le parti vantano un diritto soggettivo a che
un'operazione di costituzione di un'impresa comune sia valutata sulla base del
regolamento n. 4064/89, qualora siano soddisfatte le condizioni di applicazione del
regolamento, non esiste, tuttavia, se sono soddisfatte le condizioni per il rinvio allo Stato
membro, alcun diritto soggettivo a che l'operazione sia esaminata da un'autorità invece
che da un'altra.
43. Nella causa T-347/02 la Commissione rammenta ancora che, in conformità all'art. 9,
n. 8, del regolamento n. 4064/89, lo Stato membro del rinvio può adottare unicamente le
misure strettamente necessarie a preservare o ristabilire una concorrenza effettiva nel
mercato interessato. Essa aggiunge che, qualora la decisione finale delle autorità
nazionali non rispetti detta disposizione, le ricorrenti possono farne valere la violazione
mediante un ricorso contro tale decisione.
44. In secondo luogo la Commissione sostiene che le ricorrenti non sono nemmeno
individualmente interessate dalla decisione impugnata. La semplice circostanza che una
persona partecipi, in qualunque modo, alla procedura preliminare ad una decisione
sarebbe sufficiente a contraddistinguerla ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE,
solamente qualora ciò avvenga nell'ambito dell'esercizio delle garanzie procedurali
previste dallo stesso diritto comunitario (ordinanze del Tribunale 3 giugno 1997, causa T60/96, Merck e a./Commissione, Racc. pag. II-849, punto 73, e 15 settembre 1998, causa
T-109/97, Molkerei Großbraunshain e Bene Nahrungsmittel/Commissione, Racc. pag. II3533, punto 68). Orbene, i singoli non rivestono formalmente alcun ruolo nel
procedimento di cui all'art. 9 del regolamento n. 4064/89, dato che quest'ultimo è
interamente bilaterale, tra la Commissione e lo Stato membro richiedente. Il fatto che le
ricorrenti abbiano presentato osservazioni sulla domanda di rinvio nel corso del
procedimento amministrativo non è atto ad individuarli ai sensi dell'art. 230, quarto
comma, CE.
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45. Nella causa T-346/02 la Commissione aggiunge ancora che i documenti trasmessi
dall'ONO non consentono di determinare la natura del legame esistente tra le ricorrenti e
quest'ultimo. Non si potrebbe neanche valutare entro quali limiti le osservazioni
presentate dall'ONO, relative all'impatto dell'operazione sullo stesso, rifletterebbero
l'impatto di tale operazione sulle ricorrenti.
46. Le ricorrenti nelle due cause sostengono di essere direttamente ed individualmente
interessate dalla decisione impugnata.
Giudizio del Tribunale
47. Occorre ricordare che, ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE, «[q]ualsiasi persona
fisica o giuridica può proporre un ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e
contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei
confronti di altre persone, la riguardano direttamente ed individualmente».
48. Le ricorrenti non sono destinatarie della decisione impugnata, dal momento che
quest'ultima era indirizzata dalla Commissione allo Stato membro che aveva presentato la
domanda di rinvio in applicazione dell'art. 9, n. 2, del regolamento n. 4064/89, ossia il
Regno di Spagna. Alla luce di ciò si deve esaminare se le ricorrenti siano direttamente ed
individualmente interessate dalla decisione impugnata.
Sulla questione se le ricorrenti siano direttamente interessate dalla decisione impugnata
49. Secondo una costante giurisprudenza il provvedimento comunitario contestato, perché
incida direttamente su una persona fisica o giuridica, deve produrre direttamente effetti
sulla situazione giuridica dell'interessato e la sua applicazione deve avere carattere
meramente automatico e derivare dalla sola normativa comunitaria, senza intervento di
altre norme intermedie (sentenza della Corte 5 maggio 1998, causa C-386/96 P,
Dreyfus/Commissione, Racc. pag. I-2309, punto 43, e sentenza del Tribunale 22
novembre 2001, causa T-9/98, Mitteldeutsche Erdöl-Raffinerie/Commissione, Racc. pag.
II-3367, punto 47).
50. Lo stesso vale, in particolare, qualora la possibilità per i destinatari di non dare
seguito all'atto comunitario sia puramente teorica, in quanto la loro volontà di trarre
conseguenze conformi a quest'ultimo sia fuori dubbio (sentenze della Corte 17 gennaio
1985, causa 11/82, Piraiki-Patraiki e a./Commissione, Racc. pag. 207, punti 8-10;
Dreyfus/Commissione, citata sopra al punto 49, punto 44, e Aktionsgemeinschaft Recht
und Eigentum/Commissione, citata sopra al punto 40, punto 73).
51. Nel caso di specie si deve pertanto verificare se la decisione impugnata è atta a
produrre effetti giuridici diretti e automatici per le ricorrenti o se, invece, detti effetti
risulterebbero dalla decisione adottata su rinvio dalle autorità garanti della concorrenza
spagnole.
52. Nella decisione impugnata la Commissione non ha deciso sulla compatibilità della
concentrazione con il mercato comune, ma ha rinviato l'esame della concentrazione alle
autorità garanti della concorrenza spagnole, che avevano a tal fine presentato domanda il
12 luglio 2002. Ai sensi dell'art. 9, n. 3, primo comma, lett. b), del regolamento n.
4064/89, queste ultime sono incaricate di esaminare gli effetti della concentrazione
rispetto al proprio diritto nazionale della concorrenza. Gli unici obblighi imposti a tale
proposito dal regolamento n. 4064/89 alle autorità garanti della concorrenza spagnole
sono, da un lato, in forza dell'art. 9, n. 6, di decidere entro un termine massimo di quattro
mesi dal rinvio effettuato dalla Commissione e, dall'altro, ai sensi dell'art. 9, n. 8, di
«prendere soltanto le misure strettamente necessarie per preservare o ripristinare una
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concorrenza effettiva sul mercato interessato». Poiché tali obblighi non erano tuttavia tali
da determinare in modo preciso e certo il risultato dell'esame effettuato nel merito dalle
autorità garanti della concorrenza spagnole, si deve ammettere che la decisione
impugnata non può incidere direttamente sulla posizione concorrenziale delle ricorrenti,
dato che solo la decisione finale adottata dalle autorità garanti della concorrenza spagnole
può produrre un tale effetto.
53. Tuttavia, ciò non dimostra che la decisione impugnata non concerne direttamente le
ricorrenti. Infatti, la questione se un terzo sia direttamente interessato da un atto
comunitario di cui non è destinatario deve essere esaminata in relazione allo scopo di tale
atto. Orbene, la decisione impugnata non ha ad oggetto la determinazione degli effetti
della concentrazione nei mercati interessati di cui trattasi nel rinvio, bensì il trasferimento
della responsabilità di tale esame alle autorità nazionali che ne hanno fatto domanda,
affinché queste ultime decidano in applicazione del proprio diritto nazionale della
concorrenza. In considerazione di tale scopo, non è rilevante, nel caso di specie, che la
decisione impugnata non incida direttamente sulla posizione concorrenziale delle
ricorrenti nei mercati spagnoli interessati (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 3 aprile
2003, causa T-119/02, Royal Philips Electronics/Commissione, non ancora pubblicata in
Raccolta, punto 276).
54. Per determinare se le ricorrenti siano direttamente interessate dalla decisione
impugnata occorre unicamente verificare se quest'ultima produca effetti giuridici diretti e
automatici per le ricorrenti.
55. A tale proposito si deve rammentare che, ai sensi degli artt. 1, n. 1, e 22, n. 1, del
regolamento n. 4064/89, quest'ultimo è normalmente applicabile solo alle concentrazioni
di dimensione comunitaria come definite all'art. 1, nn. 2 e 3 dello stesso. Così, in forza
dell'art. 21, n. 2, primo comma, del regolamento n. 4064/89, le concentrazioni di
dimensione comunitaria si sottraggono, in linea di principio, all'applicazione della
legislazione degli Stati membri sulla concorrenza.
56. Orbene, nel caso di specie, rinviando l'esame della concentrazione di cui trattasi alle
autorità garanti della concorrenza spagnole, la Commissione ha posto fine al
procedimento di applicazione del regolamento n. 4064/89, avviato con la notifica
dell'accordo che prevedeva la fusione di Vía Digital e della Sogecable. Infatti, in forza
dell'art. 9, n. 3, primo comma, lett. b), del regolamento n. 4064/89, le autorità competenti
dello Stato membro interessato applicano, a seguito del rinvio, la propria legislazione
nazionale sulla concorrenza.
57. Ne consegue che la decisione impugnata oggetto del presente ricorso produce l'effetto
di assoggettare tale concentrazione al controllo esclusivo delle autorità garanti della
concorrenza spagnole, le quali decidono in base alla propria legislazione nazionale sulla
concorrenza.
58. Si deve constatare che, in tal modo, la decisione impugnata incide sulla situazione
giuridica delle ricorrenti (v., in tal senso, sentenza Royal Philips
Electronics/Commissione, citata sopra al punto 53, punti 281-287).
59. Infatti la decisione impugnata, determinando mediante il rinvio al diritto nazionale
della concorrenza i criteri di valutazione della regolarità dell'operazione in esame nonché
la procedura e le eventuali sanzioni ad essa applicabili, modifica la situazione giuridica
delle ricorrenti privandole della possibilità di far esaminare dalla commissione la
regolarità dell'operazione di cui trattasi in base al regolamento n. 4064/89 (v., per
analogia, sentenza Assicurazioni Generali e Unicredito/Commissione, citata sopra al
punto 42, punti 37-44).
60. Orbene, il controllo di un'operazione di concentrazione, operato in base alla
legislazione nazionale, non può essere assimilato per quanto riguarda la sua portata e i
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suoi effetti a quello esercitato dalla Commissione in forza del regolamento n. 4064/89
(sentenza Air France/Commissione, citata sopra al punto 40, punto 69).
61. Contrariamente a quanto affermato dalla Commissione, ogni decisione che comporta
una modifica del regime giuridico applicabile all'esame di un'operazione di
concentrazione è atto ad incidere non solo sulla situazione giuridica dei partecipanti
all'operazione di cui trattasi, come nella causa oggetto della sentenza Assicurazioni
Generali e Unicredito/Commissione, citata sopra al punto 42, ma anche su quella dei terzi
partecipanti all'operazione.
62. Infatti si deve rilevare che, indipendentemente dalla questione se il diritto spagnolo
della concorrenza conferisca ai terzi diritti processuali analoghi a quelli garantiti dal
regolamento n. 4064/89, la decisione impugnata, ponendo fine al procedimento previsto
dal regolamento n. 4064/89, ha come effetto di privare i terzi dei diritti processuali di cui
godono in forza dell'art. 18, n. 4 di detto regolamento.
63. Infine, con la decisione impugnata la Commissione impedisce ai terzi di beneficiare
della tutela giurisdizionale conferita loro dal Trattato. Infatti, rinviando l'esame della
concentrazione alle autorità garanti della concorrenza spagnole, che decidono sulla base
del proprio diritto nazionale della concorrenza, la Commissione priva i terzi della
possibilità di contestare anche dinanzi al Tribunale, ai sensi dell'art. 230 CE, le
valutazioni che saranno operate dalle autorità nazionali su tale punto, mentre, se non si
fosse proceduto al rinvio, le valutazioni effettuate dalla Commissione sarebbero state
oggetto di una tale contestazione.
64. Di conseguenza, poiché la decisione impugnata produce l'effetto di privare le
ricorrenti sia dell'applicazione del regolamento n. 4064/89, sia dei diritti processuali
previsti da tale regolamento in favore dei terzi, nonché della tutela giurisdizionale
prevista dal Trattato, si deve considerare tale decisione atta ad incidere sulla situazione
giuridica delle ricorrenti.
65. Orbene, occorre rilevare che tale atto incide in modo diretto in quanto la decisione
impugnata non necessita alcuna misura di esecuzione supplementare perché il rinvio sia
effettivo. Infatti non appena la decisione impugnata viene adottata dalla Commissione, il
rinvio è immediato per lo Stato membro interessato che diviene, pertanto, competente ad
esaminare la concentrazione oggetto del rinvio in base al proprio diritto nazionale della
concorrenza.
66. In aggiunta si deve ricordare che, conformemente all'art. 9, n. 2, del regolamento n.
4064/89, le autorità spagnole hanno domandato alla Commissione di rinviare loro l'esame
degli effetti della concentrazione nei mercati interessati in Spagna. Alla luce di ciò, era
escluso che le autorità spagnole non dessero seguito alla decisione impugnata, il che trova
conferma, per il caso di specie, nel fatto che le autorità garanti della concorrenza
spagnole hanno adottato, il 29 novembre 2002, la loro decisione sulla concentrazione.
67. Di conseguenza, si deve affermare che la decisione impugnata interessa direttamente
le ricorrenti.
68. Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dal fatto, evidenziato dalla
Commissione, che le ricorrenti avrebbero potuto impugnare la decisione dell'autorità
nazionale ricorrendo ai rimedi giurisdizionali interni e, se del caso, proporre, in tale
ambito, una domanda di rinvio pregiudiziale in conformità con l'art. 234 CE. Infatti,
l'esistenza di rimedi giurisdizionali interni eventualmente esperibili dinanzi al giudice
nazionale non esclude la possibilità di contestare direttamente dinanzi al giudice
comunitario la legittimità di una decisione adottata da un'istituzione comunitaria sulla
base dell'art. 230 CE (sentenze Air France/Commissione, citata sopra al punto 40, punto
69, e Royal Philips Electronics/Commissione, citata sopra al punto 53, punto 290).
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Sulla questione se le ricorrenti siano individualmente interessate dalla decisione
impugnata
69. Si deve ricordare che le persone diverse dai destinatari di una decisione possono
affermare di essere individualmente interessate unicamente qualora tale decisione le
riguarda in ragione di determinate loro peculiari qualità, o di una circostanza di fatto che
le distingue da chiunque altro e perciò le identifica in modo analogo al destinatario
(sentenze della Corte 15 luglio 1963, causa 25/62, Plaumann/Commissione, Racc. pag.
197, 223, e Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, citata sopra al punto 41, punto
36).
70. Nel caso di specie la Commissione non contesta che la posizione concorrenziale delle
ricorrenti sia interessata dall'operazione di concentrazione il cui esame è stato rinviato
alle autorità spagnole. E' pacifico, infatti, che le ricorrenti sono le principali concorrenti
attuali delle partecipanti alla concentrazione nella maggior parte dei mercati in esame. Al
considerando 84 la decisione impugnata segnala anche che «[g]li effetti
anticoncorrenziali che potrebbero derivare dall'operazione notificata (...) minacciano in
particolare di interessare gli operatori via cavo in Spagna, i quali rappresentano la
principale (e quasi unica, tenuto conto della situazione della televisione digitale terrestre
in Spagna) fonte concorrenziale contro la piattaforma satellitare televisiva derivante dalla
fusione» e che «[t]ali operatori via cavo (...) costituiscono parimenti la principale
alternativa concorrenziale (effettiva in determinati casi, potenziale in altri) alla Telefónica
nei diversi mercati delle telecomunicazioni nei quali l'operatore storico spagnolo è già
dominante».
71. Inoltre, si deve constatare che le ricorrenti sono intervenute nel procedimento
amministrativo che ha condotto all'adozione della decisione impugnata.
72. Infatti, per quanto riguarda le ricorrenti nella causa T-346/02, occorre rilevare che il
27 giugno 2002 l'ONO ha contattato la Commissione, che gli ha trasmesso il 18 luglio
2002 una richiesta di informazioni ai sensi dell'art. 11 del regolamento n. 4064/89, alla
quale l'ONO ha risposto con lettera del 23 luglio 2002. L'intervento dell'ONO nel corso
del procedimento amministrativo può essere considerato equivalente all'intervento delle
ricorrenti nella causa T-346/02. Queste ultime hanno infatti spiegato, a seguito di un
quesito posto dal Tribunale, che, proprio come indicato nella succitata corrispondenza del
23 luglio 2002, «ONO» è la ragione sociale sotto la quale esse operano nel mercato
spagnolo. In tale corrispondenza e nelle loro risposte al Tribunale le ricorrenti, senza
essere contraddette dalla Commissione, hanno illustrato che «ONO» era la ragione
sociale sotto la quale opera il gruppo di operatori via cavo costituito dalla società «Grupo
ONO», che detiene il 100% delle azioni sociali della Cableuropa, la quale a sua volta
detiene la maggioranza delle azioni degli altri operatori via cavo agenti in qualità di
ricorrenti nella causa T-346/02.
73. Analogamente, l'Aunacable, da un lato, e le altre ricorrenti nella causa T-347/02,
dall'altra, hanno indirizzato alla Commissione alcune lettere datate rispettivamente 9 e 22
luglio 2002, nelle quali esse hanno fatto presente che le condizioni dell'art. 9 del
regolamento n. 4064/89 non erano soddisfatte. Il 18 luglio 2002 la Commissione ha
inviato alle ricorrenti una richiesta di informazioni ai sensi dell'art. 11 del regolamento n.
4064/89, alla quale queste ultime hanno risposto il 26 luglio 2002 (ricorrenti tranne
l'Aunacable) e il 31 luglio 2002 (l'Aunacable).
74. Alla luce di quanto esposto si deve affermare, in primo luogo, che le ricorrenti
avrebbero disposto del diritto ad essere sentite dalla Commissione se quest'ultima avesse
deciso di non rinviare la causa alle autorità spagnole e avesse, invece, avviato il
procedimento, detto «fase II», di cui all'art. 6, n. 1, lett. c), del regolamento n. 4064/89.
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75. Infatti, conformemente all'art. 18, n. 4, del regolamento n. 4064/89, i terzi hanno il
diritto di essere sentiti dalla Commissione, in particolare prima dell'adozione di una
decisione secondo la fase II, se ne hanno fatto domanda e dopo aver dimostrato, a tal fine,
un sufficiente interesse (sentenza del Tribunale 27 novembre 1997, causa T-290/94,
Kaysersberg/Commissione, Racc. pag. II-2137, punto 105). Considerando che
l'operazione di concentrazione il cui esame è stato rinviato alle autorità spagnole incide
sulla posizione concorrenziale delle ricorrenti, queste ultime avrebbero dunque avuto un
interesse sufficiente ad essere sentite (v. citata sentenza Kaysersberg/Commissione, punto
109).
76. Orbene, le ricorrenti, che godono di garanzie processuali in forza dell'art. 18, n. 4, del
regolamento n. 4064/89, possono ottenerne il rispetto solo se hanno la possibilità di
contestare dinanzi al giudice comunitario la decisione impugnata (v., in tal senso,
sentenza Cook/Commissione, citata sopra al punto 41, punto 23).
77. In secondo luogo, occorre rilevare che, in mancanza del rinvio, le ricorrenti, quali
imprese concorrenti, sarebbero state anche individualmente interessate da una decisione
di approvazione finale adottata dalla Commissione sulla base dell'art. 6, n. 1, lett. b), del
regolamento n. 4064/89.
78. Si deve dunque affermare che, in assenza di rinvio, le ricorrenti sarebbero state
legittimate a contestare, nell'ambito di un ricorso d'annullamento sulla base dell'art. 230,
quarto comma, CE, le valutazioni effettuate dalla Commissione in merito agli effetti della
concentrazione nei mercati interessati in Spagna (v., in tal senso, sentenza Royal Philips
Electronics/Commissione, citata sopra al punto 53, punto 295).
79. Atteso che la decisione impugnata ha come effetto quello di privare le ricorrenti della
possibilità di contestare dinanzi al Tribunale determinate valutazioni che esse avrebbero
potuto legittimamente contestare in mancanza del rinvio, si deve riconoscere che la
decisione impugnata riguarda individualmente le ricorrenti allo stesso modo in cui le
avrebbe riguardate la decisione di approvazione in mancanza del rinvio (v., in tal senso,
sentenza Royal Philips Electronics/Commissione, citata sopra al punto 53, punto 297).
80. Di conseguenza si deve affermare che la decisione impugnata riguarda
individualmente le ricorrenti.
Conclusione
81. Emerge da quanto esposto che la decisione impugnata riguarda direttamente e
individualmente le ricorrenti.
82. Pertanto i ricorsi sono ricevibili.
Nel merito
83. Le ricorrenti invocano tre motivi comuni a sostegno dei loro ricorsi. Il primo motivo
verte sulla violazione dell'art. 9 del regolamento n. 4064/89 in quanto l'operazione di
concentrazione produrrebbe effetti al di fuori del territorio spagnolo. Il secondo motivo
concerne segnatamente la violazione dell'art. 9 del regolamento n. 4064/89 e la violazione
del principio di buona amministrazione, in quanto la Commissione, qualora i mercati
interessati dalla concentrazione costituiscano una parte sostanziale del mercato comune,
sarebbe legittimata a rinviare un'operazione di concentrazione alle autorità nazionali solo
in casi eccezionali. Il terzo motivo riguarda la violazione dell'art. 253 CE. Le ricorrenti
nella causa T-346/02 sollevano ancora un quarto motivo, relativo alla violazione dell'art.
9 del regolamento n. 4064/89, in quanto la decisione impugnata conterrebbe un rinvio «in
bianco» alle autorità spagnole. Occorre esaminare il primo, il secondo e il quarto motivo
prima di trattare il terzo.
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Sul primo motivo, relativo alla violazione dell'art. 9 del regolamento n. 4064/89, in
quanto l'operazione di concentrazione produrrebbe effetti al di fuori del territorio
spagnolo
Argomenti delle parti
84. Le ricorrenti nelle due cause fanno valere che, nel caso di specie, l'art. 9 del
regolamento n. 4064/89 non consentirebbe alla Commissione di rinviare alle autorità
nazionali l'esame dell'operazione di concentrazione di cui trattasi.
85. Nella causa T-346/02 le ricorrenti sostengono che emerge dall'art. 9, n. 2, di detto
regolamento, che la Commissione non è legittimata a rinviare l'esame di un'operazione di
concentrazione alle autorità nazionali qualora i mercati interessati si estendano oltre i
confini di uno Stato membro. Dato che la concentrazione avrebbe una dimensione
manifestamente internazionale o, in ogni caso, che una tale dimensione internazionale
non poteva essere esclusa d'ufficio dalla Commissione, quest'ultima avrebbe violato l'art.
9, n. 2, del regolamento.
86. Per dimostrare le dimensione internazionale dell'operazione di concentrazione in
esame, le ricorrenti nella causa T-346/02 illustrano, in primo luogo, che i gruppi
Telefónica, Canal+, Vivendi e Prisa sono radicati a livello europeo per quanto riguarda
sia le attività relative alle telecomunicazioni sia la televisione a pagamento. In secondo
luogo, i mercati delle telecomunicazioni oltrepasserebbero i confini nazionali, le reti
internet non sarebbero nazionali e un gran numero di servizi, come ad esempio la
trasmissione di segnali via satellite, attraverserebbero le frontiere. In terzo luogo, anche il
mercato dei diritti audiovisivi avrebbe una dimensione transfrontaliera. La Commissione
stessa avrebbe riconosciuto, nella decisione 21 marzo 2002, COMP/JV.37, B Sky
B/Kirch Pay TV, che nel mercato dei diritti audiovisivi l'acquisizione dei diritti ed il loro
sfruttamento sono europei, se non mondiali.
87. Le ricorrenti stesse hanno rilevato, in udienza, che le partecipanti all'operazione di
concentrazione avrebbero ammesso, nella notifica della loro operazione, che alcuni
mercati interessati si estendevano oltre le frontiere spagnole, in particolare il mercato dei
servizi via satellite, quello dei servizi tecnici, i mercati dell'audiovisivo (tra cui la
produzione di film, mercato mondiale), nonché il mercato dei diritti di ritrasmissione
degli eventi sportivi, mercato nel quale gli operatori televisivi sarebbero in concorrenza
con canali operanti a livello europeo. Le ricorrenti fanno osservare che le barriere
linguistiche spariscono gradualmente e che la trasmissione di film e programmi sportivi
via internet rende tali contenuti accessibili da altri paesi diversi dalla Spagna e permette
agli utenti di scegliere la lingua preferita. Nella decisione impugnata la Commissione si
sarebbe limitata ad affermare che alcuni mercati menzionati dalle autorità nazionali nella
loro domanda di rinvio non dovevano essere esaminati in quanto non ponevano problemi
sul piano della concorrenza, senza tuttavia verificare se tali mercati fossero mercati
nazionali.
88. A sostegno dei loro argomenti le ricorrenti interessate hanno prodotto in udienza
copia della versione non confidenziale della notifica relativa all'operazione di
concentrazione in esame.
89. In udienza le stesse ricorrenti hanno inoltre fatto notare che la Commissione avrebbe
potuto rinviare il caso alle autorità nazionali solo se queste ultime avessero, nella loro
domanda di rinvio, qualificato i mercati in esame come mercati nazionali. Orbene, la
versione rivista di tale domanda di rinvio non sarebbe stata comunicata alle ricorrenti nel
corso del procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione, né, peraltro, nel corso
dei procedimenti dinanzi alle autorità spagnole. Atteso che, a seguito di una richiesta del
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Tribunale, il documento in questione è stato allegato agli atti, spetterebbe al Tribunale
verificare se la domanda di rinvio soddisfi le condizioni previste dall'art. 9 del
regolamento n. 4064/89.
90. Nella causa T-347/02 le ricorrenti fanno valere che la Commissione ha commesso un
errore manifesto di valutazione nell'affermare, al considerando 119 della decisione
impugnata, che «l'operazione minacc[erebbe] di creare o di rafforzare una posizione
dominante unicamente su mercati di dimensione nazionale all'interno del Regno di
Spagna», senza analizzare gli eventuali effetti oltre confine dell'operazione notificata.
Orbene, se si producessero effetti di tal genere, il rinvio del caso dinanzi alle autorità
spagnole sarebbe escluso a causa del mancato rispetto delle condizioni di cui all'art. 9 del
regolamento n. 4064/89.
91. Le ricorrenti in tale causa affermano che l'operazione poteva produrre effetti oltre
confine. Esse sottolineano, anzitutto, che le imprese potenzialmente interessate
dall'operazione di concentrazione non sono solo le concorrenti presenti nel mercato della
televisione multicanale a pagamento in Spagna, ma anche altri operatori nei mercati
connessi (essenzialmente quello dei contenuti), non necessariamente insediati nel mercato
spagnolo. Così, tenuto conto del fatto che Canal+ costituisce una delle società che
partecipa al controllo congiunto della piattaforma derivante dall'operazione di
concentrazione, e che tale società è un operatore con interessi nel mercato della
televisione a livello europeo, sarebbe possibile che l'operazione abbia come effetto di
rafforzare la posizione di tale operatore nei mercati internazionali dei contenuti, situati a
monte del mercato della televisione a pagamento. Proprio come le altre, le ricorrenti nella
causa T-347/02 sottolineano che la Commissione stessa ha riconosciuto, nella citata
decisione B Sky B/Kirch Pay TV, che nel mercato dei diritti audiovisivi l'acquisizione di
diritti e il loro sfruttamento sono attività che interessano più di uno Stato membro. Infine
le ricorrenti sostengono che, nell'ambito del fascicolo relativo all'operazione di
concentrazione notificata, la Commissione avrebbe dovuto anche esaminare gli accordi
definiti «output deals» [contratti con emittenti per un volume di programmi determinato],
conclusi da società operanti nel mercato della televisione a pagamento con i grandi studi
americani.
92. In udienza le ricorrenti nella causa T-347/02 hanno fatto osservare che non era
sufficiente, al fine di stabilire l'esistenza di uno o più «mercati distinti» ai sensi dell'art. 9,
n. 2, lett. a), del regolamento n. 4064/89, che i mercati geografici pertinenti siano
nazionali. Infatti, si può ritenere che uno Stato membro costituisca un «mercato distinto»
unicamente qualora la struttura della concorrenza in tale Stato sia diversa da quella
esistente in altri Stati membri.
93. Alla luce di ciò le ricorrenti rilevano, in primo luogo, che il criterio linguistico non è
sufficiente a qualificare come «distinto» un mercato, tanto meno dal momento che il
medesimo contenuto può essere offerto in più lingue, come è il caso, per esempio, dei
film su disco video digitale (DVD). In secondo luogo, la regolamentazione nazionale del
settore audiovisivo non creerebbe un ostacolo specifico all'entrata per la Spagna, visto il
livello di armonizzazione comunitaria delle norme pertinenti, confermato in particolare
dalla sentenza della Corte 22 gennaio 2002, causa C-390/99, Canal Satélite Digital (Racc.
pag. I-607). In terzo luogo, il fatto che i diritti sui contenuti siano distribuiti su base
territoriale non renderebbe il mercato spagnolo un «mercato distinto», dato che lo stesso
contenuto sarebbe distribuito altrove con le medesime forme di sfruttamento e sulla base
del medesimo sistema di canoni di abbonamento.
94. Secondo le ricorrenti, diversi elementi deporrebbero contro la qualificazione del
mercato spagnolo come «mercato distinto». Anzitutto l'appartenenza della Sogecable al
gruppo Canal+ rifletterebbe un processo di consolidamento in corso in tutti i mercati
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europei, viste le difficoltà finanziarie nel settore audiovisivo. Inoltre, si dovrebbe
ammettere che, in tutti i mercati europei, il carattere dei prodotti e dei servizi offerti è
identico. Infine, le barriere all'accesso sarebbero identiche e riguarderebbero, in
particolare, l'accesso al contenuto e alla piattaforma di distribuzione dominante.
95. Le ricorrenti negano di aver invocato nuovi motivi in udienza. Esse spiegano di aver
adattato la loro argomentazione a seguito della pronuncia della sentenza Royal Philips
Electronics/Commissione (citata sopra al punto 53), intervenuta dopo il deposito dei loro
ricorsi. Esse si sarebbero limitate a sviluppare gli argomenti già addotti nei loro ricorsi.
Le ricorrenti nella causa T-347/02 aggiungono che l'argomento secondo cui la
dimensione nazionale di un mercato non è sufficiente a renderlo «distinto» ai sensi
dell'art. 9 del regolamento n. 4064/89, era già stato sollevato nella loro lettera alla
Commissione 22 luglio 2002.
96. La Commissione, sostenuta dalle intervenienti, ribatte che il critero decisivo per
determinare i casi in cui essa può esercitare la facoltà di rinviare un caso dinanzi alle
autorità nazionali è quello dell'esistenza di un rischio relativo ad effetti anticoncorrenziali
nei mercati all'interno di uno Stato membro che presentano le caratteristiche di un
mercato distinto. Orbene, conformemente all'art. 9, n. 2, lett. a), del citato regolamento, la
decisione impugnata avrebbe identificato i mercati geografici di riferimento e avrebbe
analizzato gli effetti dell'operazione sulla concorrenza in tali mercati per stabilire che
l'operazione minacciava di creare o rafforzare una posizione dominante unicamente nei
mercati di dimensione nazionale all'interno del Regno di Spagna.
97. L'insediamento europeo dei gruppi Telefónica, Canal+ e Vivendi, nonchè l'attività
internazionale dei gruppi interessati non potrebbe, di per sé, determinare la dimensione
geografica dei diversi mercati di prodotti nei quali sono attivi tali operatori. Parimenti, gli
effetti oltre confine di una concentrazione non possono essere determinanti per decidere
se si debba rinviare o meno un progetto di concentrazione alle autorità nazionali.
98. La Commissione fa inoltre notare che le ricorrenti hanno sollevato per la prima volta
in udienza motivi che non figuravano nel ricorso. Sarebbe così nuovo l'argomento
relativo all'esistenza di determinati «altri mercati» che sarebbero stati menzionati sia dalle
partecipanti alla concentrazione nella loro notifica, sia dalle autorità spagnole nella loro
domanda di rinvio, e che la Commissione non avrebbe esaminato nella decisione
impugnata. Inoltre, il ricorso non conterrebbe l'argomento vertente sulla distinzione da
operare tra la nozione di «mercato distinto» ai sensi dell'art. 9, n. 2, lett. a), del
regolamento n. 4064/89, e la nozione di mercato geografico pertinente. Il Tribunale
dovrebbe dunque dichiarare tali motivi irricevibili, in conformità con l'art. 48, n. 2, del
regolamento di procedura. Le ricorrenti non potrebbero avvalersi, tra il deposito
dell'istanza e l'udienza, della sentenza Royal Philips Electronics/Commissione (citata
sopra al punto 53), in quanto è costante in giurisprudenza che una sentenza pronunciata
dopo il deposito dell'atto introduttivo non costituisce un nuovo elemento ai sensi dell'art.
48, n. 1, del regolamento di procedura. Dato che le ricorrenti affermano che alcuni
argomenti figuravano già nei documenti allegati alla loro istanza, la Commissione ricorda
che non spetta al Tribunale trovare tra gli allegati i motivi che non sono stati sollevati
come tali nel ricorso.
99. In ogni caso l'argomento delle ricorrenti sarebbe infondato.
Giudizio del Tribunale
100. Si deve rammentare che le autorità spagnole hanno domandato il rinvio della
concentrazione sulla base dell'art. 9, n. 2, lett. a), del regolamento n. 4064/89. Secondo la
decisione impugnata, la Commissione ha constatato che: «[l]'operazione di
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concentrazione minaccia[va] di creare o di rafforzare una posizione dominante
unicamente in mercati di dimensione nazionale all'interno del Regno di Spagna»
(considerando 119). In applicazione dell'art. 9, n. 3, primo comma, del regolamento n.
4064/89, essa ha deciso di rinviare il caso alle autorità garanti della concorrenza
spagnole, tenute a decidere in base al diritto nazionale della concorrenza.
101. Emerge dall'art. 9, n. 2, lett. a), del regolamento n. 4064/89 che, affinché una
concentrazione possa essere oggetto di rinvio in base all'art. 9 del citato regolamento, due
condizioni devono essere soddisfatte cumulativamente. In primo luogo, la concentrazione
deve minacciare di creare o di rafforzare una posizione dominante tale da ostacolare in
modo significativo una concorrenza effettiva in un mercato all'interno dello Stato
membro interessato. In secondo luogo, tale mercato deve presentare tutte le caratteristiche
di un mercato distinto.
102. Per quanto riguarda il rispetto delle condizioni di rinvio previste dall'art. 9, n. 2, lett.
a), del regolamento n. 4064/89, si deve rilevare che esse hanno carattere normativo e
devono essere interpretate sulla base di elementi oggettivi. Per tale ragione il giudice
comunitario deve esercitare, tenuto conto sia degli elementi concreti della causa
sottopostagli che del carattere tecnico o complesso delle valutazioni effettuate dalla
Commissione, un controllo completo per determinare se una concentrazione rientri
nell'ambito di applicazione dell'art. 9, n. 2, lett. a), del citato regolamento (sentenza Royal
Philips Electronics/Commissione, citata sopra al punto 53, punto 326).
103. Relativamente alla prima condizione, si deve constatare che le ricorrenti non
contestano il fatto che la concentrazione minacci di creare o di rafforzare una posizione
dominante in Spagna nei diversi mercati dei prodotti identificati nella decisione
impugnata.
104. Le ricorrenti asseriscono tuttavia che, nel caso di specie, la seconda condizione non
è stata soddisfatta. Secondo le ricorrenti, i mercati dei prodotti individuati nella decisione
impugnata non costituiscono mercati all'interno di uno Stato membro che presentano le
caratteristiche di un mercato distinto.
105. Si deve anzitutto rilevare che, ai sensi dell'art. 9, n. 3, primo comma, del
regolamento n. 4064/89, la Commissione determina l'esistenza di un mercato distinto
«tenuto conto del mercato dei prodotti o servizi in questione e del mercato geografico di
riferimento ai sensi del paragrafo 7».
106. Emerge così dal combinato disposto dell'art. 9, n. 3, primo comma, e dell'art. 9, n. 7,
del regolamento n. 4064/89, che, per determinare se uno Stato membro costituisce un
mercato distinto ai sensi dell'art. 9, n. 2, di detto regolamento, la Commissione deve tener
conto dei criteri indicati all'art. 9, n. 7, dello stesso, i quali riguardano, in particolare, la
natura e le caratteristiche dei prodotti o servizi in questione, l'esistenza di ostacoli
all'entrata, di preferenze dei consumatori, nonché l'esistenza di differenze notevoli di
mercato o di prezzi tra i territori (sentenza Royal Philips Electronics/Commissione, citata
sopra al punto 53, punto 333).
107. In udienza, le ricorrenti nella causa T-347/02 hanno sostenuto che, affinché un
mercato nazionale possa essere considerato «mercato distinto» ai sensi dell'art. 9, n. 2, del
regolamento n. 4064/89, è necessario che il mercato in esame si distingua da altri mercati
non solo perché costituisce un mercato geografico separato, ma anche perché è
caratterizzato da una struttura della concorrenza diversa da quella di altri Stati membri.
108. Si deve anzitutto esaminare la ricevibilità di tale argomento sollevato per la prima
volta in udienza.
109. Il Tribunale ricorda, a tale proposito, che, anche se l'art. 76 bis, n. 3, del regolamento
di procedura prevede che, nell'ambito di un procedimento accelerato, le parti possono
integrare i loro argomenti e fare offerte di prova nel corso della fase orale, motivando
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comunque il ritardo nella presentazione di queste ultime, emerge dal testo stesso di tale
disposizione che essa si applica facendo salvo l'art. 48 del regolamento di procedura, il
cui n. 2 vieta la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su
elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento.
110. La sentenza Royal Philips Electronics/Commissione (citata sopra al punto 53),
pronunciata dopo la presentazione dei ricorsi, alla quale le ricorrenti fanno riferimento
per giustificare lo sviluppo dell'argomento riportato sopra al punto 107, non può essere
considerata un elemento tale da consentire la deduzione di un nuvo motivo. Infatti, tale
sentenza conferma unicamente una situazione giuridica di cui le ricorrenti erano a
conoscenza nel momento in cui hanno proposto il ricorso (sentenza della Corte 1° aprile
1982, causa 11/81, Dürbeck/Commissione, Racc. pag. 1251, punto 17; sentenza del
Tribunale 11 dicembre 1996, causa T-521/93, Atlanta e a./Consiglio e Commissione,
Racc. pag. II-1707, punto 39).
111. Cionondimeno, un motivo che costituisca un'estensione di un motivo
precedentemente dedotto, direttamente o implicitamente, nell'atto introduttivo del
giudizio, e che sia strettamente connesso con questo, va considerato ricevibile (sentenza
del Tribunale 19 settembre 2000, causa T-252/97, Dürbeck/Commissione, Racc. pag. II3031, punto 39).
112. Orbene, nel caso di specie si deve constatare che l'argomento riportato sopra, al
punto 107, non esula dall'ambito della controversia definito nel ricorso.
113. A tale proposito, occorre ricordare che le ricorrenti nella causa T-347/02 asseriscono
nella loro istanza che la Commissione ha commesso un errore di valutazione nel rinviare
alle autorità nazionali un'operazione di concentrazione nonostante non fossero rispettate
le condizioni indicate all'art. 9 del regolamento n. 4064/89. Senza dover verificare se, al
momento del ricorso, le ricorrenti abbiano invocato l'esistenza di una differenziazione tra
la nozione di mercato distinto, da un lato, e quella di mercato geografico di riferimento,
dall'altro, emerge dall'istanza che le ricorrenti hanno contestato la legittimità della
decisione impugnata basandosi sull'applicazione erronea da parte della Commissione
delle condizioni previste all'art. 9 del citato regolamento, in particolare della condizione
relativa all'esistenza di mercati distinti. Ciò premesso, si deve constatare che gli
argomenti relativi alla differenziazione da operare tra le nozioni di mercato distinto e di
mercato geografico di riferimento sono unicamente uno sviluppo dell'argomento delle
ricorrenti contenute nell'istanza, secondo il quale la Commissione avrebbe violato le
disposizioni dell'art. 9 del regolamento n. 4064/89 nel ritenere che i mercati dei prodotti
pertinenti costituissero mercati all'interno di uno Stato membro che presentano tutte le
caratteristiche di un mercato distinto. L'argomento riportato sopra, al punto 107, è
strettamente collegato con il primo motivo invocato nel ricorso e deve, di conseguenza,
essere considerato ricevibile.
114. Relativamente alla fondatezza di tale argomento si deve constatare che l'art. 9 del
regolamento n. 4064/89 non si presta all'interpretazione suggerita dalle ricorrenti. Infatti
emerge tal tenore stesso di tale regolamento (art. 9, n. 3) che la Commissione è tenuta a
determinare il carattere distinto di un mercato sulla base della definizione del mercato dei
prodotti o servizi in questione, in un primo momento, e della definizione del mercato
geografico di riferimento ai sensi del suo n. 7, in un secondo momento.
115. ome emerge sia dall'art. 9, n. 7, del regolamento n. 4064/89, che dal punto 8 della
comunicazione della Commissione sulla definizione di mercato interessato ai fini del
diritto comunitario della concorrenza (GU 1997, C 372, pag. 5), il mercato geografico da
prendere in considerazione comprende il territorio in cui le imprese interessate
intervengono nell'offerta e nella domanda di beni e servizi, nel quale le condizioni di
concorrenza sono sufficientemente omogenee e che può essere distinto dai territori vicini,
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in particolare a motivo delle condizioni di concorrenza notevolmente diverse da quelle
che prevalgono in quei territori. Come menzionato sopra, al punto 106, ai fini di tale
valutazione si deve in particolare tener conto della natura e delle caratteristiche dei
prodotti o servizi interessati, dell'esistenza di ostacoli all'entrata, di preferenze dei
consumatori, nonché dell'esistenza, tra il territorio in esame e quelli vicini, di differenze
notevoli di parti di mercato delle imprese o di sostanziali differenze di prezzi.
116. Poiché la valutazione di tutti questi elementi conduce alla conclusione che le
condizioni di concorrenza nei mercati di prodotti o servizi interessati in uno Stato
membro sono «notevolmente diverse» e costituiscono dunque mercati geografici diversi,
tali mercati si devono considerare mercati distinti ai sensi dell'art. 9, n. 2, del regolamento
n. 4064/89 (v., in tal senso, sentenza Royal Philips Electronics/Commissione, citata sopra
al punto 53, punti 335-337).
117. Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, non è rilevante sapere, a tale
proposito, se taluni elementi strutturali dei mercati interessati siano anche presenti in altri
mercati geografici. Nei limiti in cui è dimostrato che le condizioni di concorrenza non
sono sufficientemente omogenee e che, in particolare, le preferenze dei consumatori
nonché alcuni ostacoli all'entrata limitano un determinato mercato al territorio nazionale
di uno Stato membro, non basta, per contestare il carattere distinto di detto mercato, che
vi siano, in altri territori, prodotti o servizi equiparabili o metodi di vendita analoghi. Per
quanto riguarda la presenza di ostacoli all'entrata simili, essa non è tale infirmare il
carattere distinto dei mercati geografici in esame. Al contrario, è tale da confermarlo.
118. Si devono a questo punto esaminare gli argomenti delle ricorrenti secondo cui la
Commissione non era legittimata a stabilire l'esistenza di mercati geografici distinti ai
sensi dell'art. 9, n. 2, del regolamento n. 4064/89.
119. A tale proposito occorre rammentare che il sindacato giurisdizionale delle
valutazioni della Commissione in materia di definizione dei mercati di riferimento ha ad
oggetto l'errore manifesto (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 6 giugno 2002, causa
T-342/99, Airtours/Commissione, Racc. pag. II-2585, punti 26 e 32).
120. Emerge dalla decisione impugnata che la Commissione si basa sui seguenti elementi
per stabilire che, per ciascun mercato dei prodotti, il mercato spagnolo è il mercato
geografico di riferimento.
121. Per quanto riguarda il mercato della televisione a pagamento, la decisione impugnata
spiega che «[a]nche se determinati segmenti di mercato, quali il canale sportivo
Eurosport, emettono a livello europeo, la trasmissione televisiva avviene essenzialmente
su mercati nazionali, in particolare a causa dell'esistenza di disposizioni nazionali
divergenti, di barriere linguistiche, di fattori culturali e di condizioni di concorrenza
differenti a seconda dello Stato (per esempio, la struttura del mercato della televisione via
cavo)» e che «nel caso particolare della Spagna, la dimensione geografica risulta
nazionale per ragioni linguistiche e regolamentari» (considerando 17).
122. Per quanto riguarda i mercati a monte del mercato della televisione a pagamento, la
Commissione illustra, anzitutto, relativamente ai diritti di ritrasmissione dei film, che tali
«diritti (...) sono generalmente ceduti in esclusiva per periodi variabili, su una base
linguistica e per una zona di diffusione determinate» e che «[n]el caso della Spagna i
diritti di diffusione si limitano al territorio spagnolo; i mercati geografici corrispondenti
ai diritti sulle pellicole cinematografiche sono nazionali» (decisione impugnata,
considerando 26). Anche il mercato dei diritti di ritrasmissione degli eventi calcistici ai
quali partecipano squadre spagnole sarebbe spagnolo. Secondo la Commissione i diritti di
ritrasmissione delle partite di calcio sono stati concessi ad operatori televisivi spagnoli
(decisione impugnata, considerando 40) e tali «diritti sono sfruttati essenzialmente in
Spagna» (decisione impugnata, considerando 41). In relazione ai diritti di ritrasmissione
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di altri eventi sportivi e di altri spettacoli oggetto di diritti esclusivi, la Commissione
sottolinea che le preferenze degli spettatori variano da paese a paese e che, pertanto,
variano le condizioni della concorrenza per l'acquisto di tali diritti (considerando 57). Il
mercato dei diritti di ritrasmissione di tali eventi avrebbe, per quanto riguarda la Spagna,
una dimensione nazionale per ragioni linguistiche e culturali (considerando 57). Infine,
relativamente ai canali tematici, la dimensione geografica nazionale del mercato sarebbe
confermata «nel caso della Spagna in quanto la diffusione si effettua a livello del
territorio spagnolo» (decisione impugnata, considerando 63).
123. In merito alla dimensione geografica dei mercati delle telecomunicazioni, nella
decisione impugnata si afferma che la fornitura al dettaglio ai consumatori finali di
servizi di accesso ad internet, a banda larga o stretta, corrisponde ad un mercato di
dimensione essenzialmente nazionale, per ragioni di natura sia tecnologica (ad esempio,
la necessità di collegamento alla rete locale e di numeri di telefono locali/gratuiti verso il
punto di presenza, o «POP», più vicino) che regolamentare (per l'esistenza di diverse
normative nazionali) (considerando 80). I mercati della telefonia fissa e gli altri mercati
delle telecomunicazioni sarebbero nazionali per le seguenti ragioni:«carattere nazionale
delle infrastrutture, offerta di servizi esclusivamente nazionale, condizioni di
autorizzazione degli operatori, disponibilità di frequenze di telefonia mobile, tariffe
itineranti ecc.» (considerando 82).
124. A sostegno della sua tesi, secondo la quale i mercati interessati sono di dimensione
spagnola, la Commissione fa riferimento parimenti alla sua prassi decisionale anteriore
alla decisione impugnata (considerando 17, 63, 80 e 82).
125. Si deve constatare che gli elementi addotti dalle ricorrenti nelle due cause non
consentono di dimostrare che la Commissione ha commesso un manifesto errore di
valutazione nella sua definizione dei mercati geografici in esame.
126. In primo luogo, per quanto le ricorrenti si riferiscano all'insediamento europeo sia
delle partecipanti all'operazione di concentrazione che delle loro società madri, è
sufficiente rilevare che il fatto che un'impresa svolga attività nei diversi Stati membri non
implica automaticamente che i mercati nei quali tale impresa è attiva abbiano una
dimensione che vada al di là del territorio degli Stati membri interessati. Un'impresa può,
infatti, essere attiva su diversi mercati distinti di dimensione nazionale.
127. Inoltre occorre notare che le imprese partecipanti alle operazioni di concentrazione
previste dal regolamento n. 4064/89 hanno generalmente una dimensione internazionale,
dato che il sistema delle soglie di cui all'art. 1 del regolamento n. 4064/89 richiede che
tali imprese realizzino un certo fatturato minimo nei diversi Stati membri, assicurando
così che le operazioni interessate dal citato regolamento, ossia ugualmente le operazioni
che possono essere oggetto di un rinvio alle autorità nazionali in forza del suo art. 9,
abbiano tutte una «dimensione comunitaria».
128. In secondo luogo, per quanto riguarda la dimensione geografica dei mercati dei
diritti audiovisivi, come definita nella decisione della Commissione 21 marzo 2002, B
Sky B/Kirch Pay TV, (citata sopra al punto 86), si deve constatare che non esiste alcuna
contraddizione tra la definizione di mercato geografico presa in considerazione in
quest'ultima decisione e quella oggetto della decisione impugnata.
129. Infatti, nella decisione B Sky B/Kirch Pay TV, la Commissione espone quanto segue
(considerando 45): «Per quanto riguarda il mercato geografico dell'acquisizione dei diritti
di diffusione, benché tale acquisizione possa avvenire su scala mondiale e taluni operatori
acquisiscano i diritti per più territori alla volta, si deve parimenti constatare che
l'acquisizione dei diritti avviene ancora essenzialmente su base nazionale, o, tutt'al più,
linguistica. Così la Commissione ha rilevato che i diritti di diffusione per i film sono
generalmente concessi per una versione linguistica e per una zona di diffusione
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determinate». La Commissione si è dunque basata, in quest'ultima decisione, proprio
come nella decisione impugnata, sul fatto che l'acquisizione dei diritti televisivi avviene
generalmente su una base linguistica e per un territorio determinato, segnatamente
nazionale.
130. Se è vero che la Commissione riconosce, al considerando 46 della decisione B Sky
B/Kirch Pay TV, che per determinati eventi sportivi, quali i Giochi olimpici, esiste un
interesse europeo da parte del consumatore, essa non ha tuttavia determinato, in tale
decisione, se si trattava di un mercato geografico distinto. D'altro canto, essa ha
sottolineato che i diritti televisivi su tali eventi sportivi, pur acquisiti in via esclusiva per
la totalità del territorio europeo, venivano nondimeno ulteriormente rivenduti paese per
paese.
131. Pertanto, le considerazioni espresse dalla Commissione nella decisione B Sky
B/Kirch Pay TV non sono tali da dimostrare che la Commissione avrebbe commesso un
manifesto errore di valutazione nel considerare nella decisione impugnata che, per quanto
riguarda i diritti di ritrasmissione di diversi contenuti, il mercato spagnolo costituisce un
mercato distinto.
132. In terzo luogo, in merito all'affermazione della ricorrente nella causa T-347/02,
secondo la quale Canal+, società partecipante al controllo congiunto della piattaforma
derivante dall'operazione di concentrazione, ha interessi sul mercato della televisione a
livello europeo per cui l' operazione di concentrazione è atta a rafforzare la sua posizione
sui mercati internazionali dei contenuti, si deve rilevare che né il carattere internazionale
delle attività di tale società né il suo potere nei mercati dei contenuti sono tali da
contraddire la constatazione della Commissione, confermata in udienza dalla Sogecable,
secondo la quale i diritti di ritrasmissione vengono acquisiti su base nazionale oppure
linguistica.
133. La conclusione della Commissione relativa alla dimensione nazionale dei mercati
interessati non è nemmeno contraddetta dall'affermazione delle ricorrenti secondo cui gli
operatori televisivi sono, per determinati eventi sportivi, in concorrenza con i canali
operanti a livello europeo. Infatti, la presenza, in taluni mercati, di operatori le cui attività
sono internazionali non significa tuttavia che la dimensione geografica di detto mercato
vada oltre l'ambito nazionale. Peraltro, la Commissione ha rilevato, al considerando 17
della decisione impugnata, che il fatto che taluni operatori, come il canale sportivo
Eurosport, trasmettano a livello europeo non impedisce che lo sfruttamento televisivo
avvenga essenzialmente su mercati nazionali in ragione della divergenza delle
disposizioni nazionali, delle barriere linguistiche, dei fattori culturali e delle condizioni di
concorrenza diversi per ogni Stato. Le ricorrenti non possono dunque sostenere che la
Commissione non avrebbe debitamente tenuto conto della presenza, nei mercati spagnoli
degli eventi sportivi, di un canale operante a livello europeo.
134. Per quanto riguarda, in quarto luogo, gli argomenti relativi all'importanza limitata
delle barriere linguistiche e al fatto che determinati contenuti sono offerti in diverse
lingue, occorre osservare che le ricorrenti hanno fatto presente la crescente possibilità per
i consumatori di scegliere la loro versione linguistica preferita di un DVD e di musica,
film o programmi sportivi distribuiti in internet. Tuttavia, è giocoforza constatare che le
ricorrenti non hanno prodotto il minimo elemento di prova atto a confutare le
osservazioni della Commissione, secondo le quali la lingua costituisce un fattore rilevante
nella valutazione dell'estensione geografica dei mercati della televisione a pagamento,
della ritrasmissione dei diritti audiovisivi e delle telecomunicazioni. Inoltre, l'operazione
di concentrazione in esame non concerne né i mercati dei film su supporto DVD né i
mercati della ritrasmissione di opere musicali. Quanto alla distribuzione in internet di
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film e programmi sportivi, le stesse ricorrenti nella causa T-346/02 hanno affermato in
udienza che si trattava di mercati emergenti.
135. Analogamente, riguardo alla possibilità, menzionata dalle ricorrenti, che determinati
contenuti siano accessibili mediante internet o mediante il sistema di telefonia mobile di
terza generazione (UMTS) da paesi diversi dalla Spagna, occorre rilevare che le ricorrenti
non dimostrano in che modo tale possibilità potrebbe infirmare la definizione dei mercati
di acquisizione di contenuti e della televisione a pagamento nella decisione impugnata.
Infatti, la possibilità di un accesso dall'esterno ai prodotti e servizi offerti nel mercato
spagnolo non sottrae tuttavia a tale mercato il suo carattere distinto, come identificato
dalla Commissione nella decisione impugnata.
136. In quinto luogo, le ricorrenti nella causa T-347/02 sostengono che, nell'ambito del
fascicolo relativo all'operazione di concentrazione notificata, la Commissione avrebbe
dovuto anche analizzare gli «output deals» conclusi dalle società operanti nel mercato
della televisione a pagamento con i grandi studi americani.
137. A tale proposito occorre rilevare che emerge dai considerando da 27 a 29 della
decisione impugnata che la Commissione ha effettivamente tenuto conto di detti contratti
ai fini della valutazione della concorrenza nel mercato spagnolo dell'acquisizione dei
diritti sui film che totalizzano maggiori ingressi in sala in prima e seconda visione.
138. Orbene, le ricorrenti non chiariscono come un esame più approfondito dei detti
«output deals» avrebbe potuto rimettere in discussione la definizione geografica dei
mercati rilevanti. L'esistenza di contratti analoghi in altri Stati membri non conduce
automaticamente alla constatazione che esiste un mercato europeo, poiché una tale
constatazione dipende da un'analisi di tutte le condizioni di concorrenza presenti sui
territori interessati. Anche su tale punto l'argomento delle ricorrenti non dimostra dunque
che la Commissione avrebbe commesso nella decisione impugnata un manifesto errore di
valutazione nello stabilire che i mercati dei diritti audiovisivi interessati dalla
concentrazione costituiscono mercati distinti di dimensione spagnola.
139. In sesto luogo, le ricorrenti nella causa T-346/02 fanno valere che i mercati delle
telecomunicazioni oltrepassano i confini nazionali, le reti internet non sono nazionali e un
gran numero di servizi, come ad esempio la trasmissione di segnali via satellite,
attraversano le frontiere.
140. Relativamente ai mercati delle telecomunicazioni, ivi compreso il mercato di
accesso a internet, si deve tuttavia osservare che le ricorrenti non sollevano alcun
argomento che rimetta in discussione le constatazioni fatte ai considerando 80 e 82 della
decisione impugnata (v. sopra, punto 123), concernenti la delimitazione geografica dei
mercati delle telecomunicazioni.
141. Riguardo alla trasmissione dei segnali via satellite occorre rilevare che tale mercato,
come i mercati dei servizi tecnici e della produzione di film, menzionati in udienza dalle
ricorrenti nella causa T-346/02, non figurano tra i mercati identificati dalla Commissione
come mercati nei quali l'operazione di concentrazione minaccia di creare o di rafforzare
una posizione dominante.
142. A tale proposito, le ricorrenti hanno precisato, in udienza, che la Commissione non
era legittimata a rinviare l'operazione di concentrazione di cui trattasi alle autorità
nazionali senza aver esaminato tutti i mercati menzionati, come mercati interessati dalla
concentrazione, sia dai partecipanti a quest'ultima nella loro notifica, sia dalle autorità
spagnole nella loro domanda di rinvio.
143. Sulla ricevibilità di tale argomento si deve osservare che le ricorrenti sostengono
essenzialmente che non è escluso che determinati altri mercati, identificati sia dai
partecipanti alla concentrazione sia dalle autorità spagnole, abbiano una dimensione che
oltrepassa l'ambito nazionale spagnolo. Orbene, tale argomentazione deve essere
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considerata lo sviluppo del primo motivo sollevato dalle ricorrenti nell'atto introduttivo,
secondo il quale la Commissione non era legittimata a rinviare alle autorità nazionali
un'operazione di concentrazione in quanto i mercati in esame riguardano il commercio
intracomunitario e più di uno Stato membro. Poiché tale argomento è strettamente
collegato al primo motivo invocato nel ricorso, esso deve essere dichiarato ricevibile.
144. E' giocoforza constatare, tuttavia, che le ricorrenti non possono basare un argomento
sul fatto che la Commissione non avrebbe esaminato alcuni mercati menzionati nella
notifica o nella domanda di rinvio.
145. Anzitutto, si deve sottolineare che la Commissione, nell'esame di una operazione di
concentrazione che le è stata notificata, identifica i mercati interessati da tale
concentrazione sulla base di un'analisi da essa condotta e non può essere vincolata dalla
valutazione di detti mercati operata dai partecipanti all'operazione di concentrazione o
dallo Stato che domanda il rinvio. Pertanto, non si può assolutamente contestare alla
Commissione di non aver seguito le conclusioni delle partecipanti alla concentrazione
relativamente all'identificazione dei mercati interessati e alla loro dimensione geografica.
146. Relativamente alla delimitazione geografica data dalle partecipanti alla
concentrazione ai mercati identificati nella notifica si deve notare, inoltre, che, mentre
l'art. 9, n. 3, primo comma, del regolamento n. 4064/89, in combinato disposto con il n. 2,
lett. a), dello stesso articolo, impone alla Commissione di esaminare i mercati nei quali
l'operazione di concentrazione minaccia di creare o rafforzare una posizione dominante
tale da ostacolare in modo significativo una concorrenza effettiva in un mercato
all'interno del suddetto Stato membro che presenta tutte le caratteristiche di un mercato
distinto, emerge invece dalle disposizioni adottate dalla Commissione sulla notifica di
un'operazione di concentrazione oggetto di tale regolamento, e in particolare del capitolo
6 del formulario CO concernente la notifica di una concentrazione conformemente al
regolamento n. 4064/89 e allegato al regolamento n. 447/98, che i partecipanti ad
un'operazione di concentrazione devono indicare nella loro notifica non soltanto i
«mercati interessati» da una tale operazione, ivi compresi tutti i mercati di prodotti in cui
si verifica una sovrapposizione delle attività dei partecipanti, sia nel mercato stesso di
prodotti, sia in mercati a monte o a valle rispetto al mercato dei prodotti nel quale un altro
partecipante esercita un'attività, ma anche i «mercati connessi ai mercati interessati», nei
quali uno o più partecipanti esercitano attività e che non sono essi stessi mercati
interessati, nonché, in assenza di mercati interessati, i «mercati non interessati» sui quali
inciderebbe l'operazione notificata.
147. Come sottolineato dalle intervenienti, il solo fatto che alcuni mercati siano stati
identificati dai partecipanti alla concentrazione nella loro notifica non implica tuttavia che
si tratti di mercati interessati dall'operazione di concentrazione. Così la Sogecable ha
rilevato in udienza, senza essere contraddetta dalle ricorrenti, che le partecipanti alla
concentrazione non sono presenti né sul mercato dei servizi via satellite, né sul mercato
dei servizi di emissione di segnali, mentre la Telefónica, presente su questo secondo
mercato e detentrice di una partecipazione minoritaria in una società presente sul primo
mercato, non partecipa all'operazione di concentrazione.
148. Relativamente alla delimitazione geografica che le autorità nazionali hanno dato ai
mercati identificati nella loro domanda di rinvio, si deve constatare che spetta alla
Commissione verificare, prima di rinviare il caso alle autorità nazionali, se le condizioni
dell'art. 9, n. 2, lett. a), del regolamento n. 4064/89, in particolare la condizione legata
all'esistenza di mercati distinti, siano soddisfatte. Orbene, il Tribunale deve unicamente
esaminare la legittimità della decisione di rinvio. Di conseguenza non è rilevante,
nell'ambito dell'esame della legittimità della decisione impugnata, sapere se le autorità
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spagnole, nella loro domanda di rinvio, abbiano qualificato alcuni mercati come mercati
che oltrepassano i confini nazionali spagnoli.
149. In ogni caso, occorre rilevare che le ricorrenti, le quali durante il procedimento
dinanzi al Tribunale disponevano di una versione non confidenziale e rivista della
domanda di rinvio del 23 luglio 2002, non hanno evinto da tale documento alcun
argomento concreto atto a rimettere in discussione le valutazioni della Commissione
relative ai mercati interessati dalla concentrazione.
150. Si deve ancora osservare che la Commissione afferma, al considerando 14 della
decisione impugnata, di aver constatato, a seguito della sua analisi del mercato, quanto
segue: «In relazione ad alcuni mercati identificati dalle autorità nazionali come mercati
per i quali è necessario esaminare entro quali limiti la concentrazione potrebbe ostacolare
la concorrenza effettiva creando o rafforzando una posizione dominante, tale minaccia
poteva essere esclusa. Inoltre, sono menzionati i mercati per i quali la concentrazione
comporta una minaccia che si crei o si rafforzi una posizione dominante». Emerge da tale
estratto della decisione impugnata che la Commissione non ha esaminato alcuni dei
mercati identificati nella domanda di rinvio delle autorità nazionali perché essa riteneva
che, in tali mercati, la concentrazione di cui trattasi non minacciava di creare o rafforzare
una posizione dominante.
151. Orbene, occorre rilevare che le ricorrenti non hanno addotto alcun argomento atto ad
infirmare la conclusione della Commissione secondo la quale non vi era minaccia che si
creasse o si rafforzasse una posizione dominante in mercati diversi da quelli esaminati
nella decisione impugnata. Le ricorrenti si limitano unicamente a sottolineare il carattere
internazionale di altri mercati non esaminati nella decisione impugnata.
152. Ne consegue che le ricorrenti non hanno dimostrato che la Commissione avrebbe
dovuto esaminare alcuni altri mercati identificati dalle partecipanti alla concentrazione
nella loro notifica, o dalle autorità spagnole nella loro domanda di rinvio.
153. Quindi, le ricorrenti non hanno dimostrato che la Commissione ha commesso un
manifesto errore di valutazione nello stabilire che i mercati interessati dalla
concentrazione costituiscono mercati distinti di dimensione spagnola.
154. Si deve rilevare, infine, che nella loro argomentazione, formulata nell'ambito del
loro primo motivo, le ricorrenti si limitano a contestare la definizione geografica dei
mercati rilevanti, senza precisare la dimensione geografica che, secondo loro, la
Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione nella decisione impugnata.
155. La Commissione ha pertanto anche giustamente ritenuto che i mercati dei prodotti
rilevanti costituivano mercati distinti di dimensione spagnola.
156. Emerge da quanto esposto che la Commissione ha correttamente concluso che la
seconda condizione posta dall'art. 9, n. 2, lett. a), del regolamento n. 4064/89 per poter
procedere ad un rinvio alle autorità spagnole era soddisfatta.
157. Pertanto, il primo motivo deve essere respinto.
Sul secondo motivo, relativo alla violazione dell'art. 9 del regolamento n. 4064/89 e del
principio di buona amministrazione, in quanto la Commissione, qualora i mercati
interessati dalla concentrazione costituiscano una parte sostanziale del mercato comune,
sarebbe legittimata a rinviare l'esame di un'operazione di concentrazione alle autorità
nazionali solo in casi eccezionali.
Argomenti delle parti
158. Le ricorrenti nelle due cause fanno valere che, anche a voler supporre che
l'operazione notificata interessi unicamente i mercati nazionali, la Commissione, qualora i
mercati interessati dalla concentrazione costituiscano una parte sostanziale del mercato
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comune, è legittimata a rinviare il caso alle autorità nazionali solo in casi eccezionali.
Infatti, ipotizzando che i mercati distinti interessati dall'operazione di concentrazione
costituiscano una parte sostanziale del mercato comune, l'applicazione dell'art. 9 del
regolamento n. 4064/89 sarebbe limitata ai casi in cui gli interessi dello Stato membro in
questione, in termini di concorrenza, non possono essere protetti efficacemente in nessun
altro modo.
159. Le ricorrenti nella causa T-346/02 si riferiscono a tale proposito alle note esplicative
relative al regolamento n. 4064/89 (Bollettino delle Comunità europee, Supplemento n.
2/90), nonché alla prassi decisionale della Commissione. Esse sostengono che, in passato,
la Commissione ha trattato 180 casi di concentrazione nel settore delle telecomunicazioni
e delle attività radiofoniche e televisive. Le ricorrenti citano in particolare i casi MSG
Media Service (caso IV/M.469), B Sky B/Kirch Pay TV (citata sopra al punto 86),
Bertelsmann/Kirch/Premiere
(caso
IV/M.993)
e
Newscorp/Telepiù
(caso
COMP/M.2876), che non sono stati rinviati alle autorità nazionali.
160. Le ricorrenti nella causa T-347/02 fanno riferimento al considerando 27 del
regolamento n. 4064/89, alle note esplicative relative a tale regolamento, ai considerando
10 e 11 del regolamento n. 1310/97, nonché alla prassi della Commissione consistente
nell'effettuare tale rinvio, per quanto riguarda le concentrazioni che interessano l'intero
territorio nazionale di uno Stato membro, unicamente in casi eccezionali [decisione della
Commissione 12 dicembre 1992 (caso IV/M.180 - Steetley/Tarmac IP/92/104), 29
ottobre 1993 (caso IV/M.330 - McCormik/CPC/Rabobank/Ostmann), 22 marzo 1996
(caso IV/M.716 - GEHE/Lloyds Chemist IP/96/254), 24 aprile 1997 (caso IV/M.894 Rheinmetall/British Aerospace/STN Atlas), 10 novembre 1997 (caso IV/M.1001 Preussag/Hapag-Lloyd e IV/M.1019 - Preussag/TUI), 19 giugno 1998 (caso IV/M.1153 Krauss-Maffei/Wegmann) e 22 agosto 2000 (caso IV/M.2044 - Interbrew/Bass)]. Esse
sottolineano che, per il mercato della televisione a pagamento, la Commissione ha
rifiutato, in passato, di accogliere le domande di rinvio formulate dalle autorità garanti
della concorrenza nazionali. Esse si riferiscono, a tale proposito, in particolare, alla
decisione
della
Commissione
27
maggio
1998
(caso
IV/M.993)
Bertelsmann/Kirch/Premiere.
161. Le ricorrenti stesse affermano che, poiché, nel caso di specie, l'operazione di
concentrazione interessa l'intero mercato nazionale e che il territorio di uno Stato membro
considerato nel suo insieme costituisce una parte sostanziale del mercato comune, la
Commissione, nell'adottare la decisione impugnata, ha violato lo spirito dell'art. 9 del
regolamento n. 4064/89 nonché la propria prassi decisionale. Infatti sarebbe stata prassi
consolidata della Commissione esaminare le operazioni concernenti la concentrazione dei
fornitori di contenuti in posizione dominante, da un lato, e di imprese dominanti nel
settore delle infrastrutture e/o della diffusione, dall'altro. Orbene, la Commissione
avrebbe sistematicamente vietato tali concentrazioni di dimensione comunitaria qualora
esse avessero come effetto di escludere i concorrenti dal mercato, situazione che potrebbe
verificarsi nel caso di specie. Le ricorrenti fanno riferimento, a tale proposito, ai casi
MSG Media Service (IV/M.469, GU 1994, L 364, pag. 1), Nordic Satellite Distribution
(caso IV/M.490, GU 1996, L 53, pag. 20), RTL/Verónica/Endemol (caso IV/M.553, GU
1996, L134, pag. 32) e Telefónica/Sogecable/Cablevisión (caso IV/M.709). In
quest'ultimo caso non sarebbe stata adottata alcuna decisione di divieto. Le partecipanti
interessate avrebbero deciso di rinunciare all'operazione e di ritirare la notifica dopo
essere venute a conoscenza dell'intenzione della Commissione di adottare una decisione
di divieto.
162. Come nei casi menzionati al punto precedente, l'esame da parte della Commissione
della presente operazione di concentrazione sarebbe stato necessario al fine di garantire
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che il mercato della televisione a pagamento in Spagna resti accessibile alle concorrenti.
La Commissione avrebbe così potuto garantire che concentrazioni simili fossero trattate
allo stesso modo in tutti gli Stati membri. Inoltre, le ricorrenti ricordano che la
Commissione intende liberalizzare il settore delle telecomunicazioni. La Commissione
sarebbe nella posizione migliore per poter assicurare che le operazioni di concentrazione
non mettano in pericolo la realizzazione degli scopi definiti dalla politica comunitaria
delle telecomunicazioni in una parte sostanziale del mercato comune come la Spagna.
163. Le ricorrenti fanno inoltre riferimento alla fusione delle piattaforme digitali della
televisione a pagamento in Italia, notificata alla Commissione il 16 ottobre 2002 (caso
COMP/M.2876 - Newscorp/Telepiù), ma di cui la Commissione era già stata investita, al
momento dell'adozione della decisione impugnata, allo stadio di «pre-notifica», come
emerge dalla cronologia della numerazione dei casi di concentrazione notificati alla
Commissione. Si tratterebbe di un nuovo tentativo di fusione delle piattaforme Telepiù e
Stream, successivo ad un primo progetto di fusione trattato dall'Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato con provvedimento del 13 maggio 2002 (C5109 - Gruppo
Canal+/Stream). Malgrado l'autorizzazione condizionata di tali autorità italiane, le
partecipanti avrebbero finalmente rinunciato all'operazione. A scapito della loro
esperienza in tale settore, le dette autorità, a seguito della notifica alla Commissione
dell'operazione Newscorp/Telepiù, non avrebbero formulato alcuna domanda di rinvio.
Alla luce di ciò la Commissione avrebbe dovuto esaminare ugualmente le presente
operazione di concentrazione e profittare anzi della concomitanza di due casi simili per
definire la sua politica in materia.
164. In udienza le ricorrenti, presa conoscenza della versione pubblica della decisione
della Commissione 2 aprile 2003, con la quale essa approvava la concentrazione
Newscorp/Telepiù, hanno evidenziato le differenze esistenti tra le condizioni di accesso
degli operatori via cavo ai diritti di esclusività derivanti dalla decisione delle autorità
spagnole, la quale approvava la concentrazione loro rinviata dalla decisione impugnata,
da un lato, e, dall'altro, le condizioni di accesso più vantaggiose, come quelle imposte
dalla Commissione per il mercato italiano nella decisione Newscorp/Telepiù.
165. Le ricorrenti aggiungono che l'unico problema posto dalla presente operazione di
concentrazione, e che le autorità spagnole hanno invocato a sostegno della loro domanda
di rinvio, consisteva nel fatto che il consenso dato dalla Commissione all'operazione di
concentrazione avrebbe implicato un obbligo di modifica legislativa in Spagna. Tale
ragione sarebbe tuttavia insufficiente a giustificare il rinvio del caso.
166. Le ricorrenti nelle due cause ricordano inoltre che, tramite l'impresa AVS, la
Sogecable e la Telefónica controllano i diritti di ritrasmissione delle partite di calcio di
prima e seconda divisione del Campionato spagnolo, nonché i diritti di ritrasmissione di
altre competizioni, quali la Champions League dell'UEFA, il Campionato mondiale della
FIFA, come anche di altri eventi sportivi. Per accedere ai diritti di ritrasmissione di tali
incontri di calcio, gli operatori via cavo avrebbero dovuto concludere con la Canalsatélite
Digital e con la AVS, rispettivamente proprietaria e usufruttuaria, determinati accordi
aventi ad oggetto l'ottenimento di tali diritti. Una nuova versione di tali contratti (i
contratti «AVS II») sarebbe stata notificata alla Commissione il 30 settembre 1999 al fine
di ottenere un'esenzione ai sensi dell'art. 81, n. 3, CE. Poiché la Commissione esaminava
un caso strettamente collegato all'operazione di concentrazione e concernente gli stessi
partecipanti, le ricorrenti ritengono che essa era in una posizione migliore, rispetto alle
autorità spagnole, per poter valutare la compatibilità dell'operazione di concentrazione in
esame con il mercato comune.
167. In udienza le ricorrenti nella causa T-346/02 hanno anche fatto riferimento all'esame
in corso della Commissione relativo agli «output deals».
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168. Le ricorrenti nella causa T-347/02 sostengono che, alla luce di quanto esposto, la
Commissione, nell'adottare la decisione impugnata, ha violato parimenti il principio di
buona amministrazione. Esse adducono una serie di altri elementi volti a dimostrare che
la Commissione era nella migliore posizione per esaminare la concentrazione.
L'operazione comporterebbe rilevanti questioni d'interesse comunitario, tra cui le
relazioni tra i mezzi di comunicazione e l'industria delle telecomunicazioni nonché il loro
progressivo consolidamento. La Commissione avrebbe avuto precedenti contatti con le
partecipanti e i terzi interessati dall'operazione, il che l'avrebbe avvantaggiata
nell'inchiesta relativa all'operazione. Essa avrebbe ricevuto i reclami di altri operatori
presenti nel mercato spagnolo interessato e conoscerebbe perfettamente i problemi del
settore. Essa sarebbe stata già a conoscenza dell'operazione di concentrazione relativa alle
piattaforme di televisione italiane Telepiù e Stream.
169. Le autorità spagnole, invece, avrebbero un'esperienza limitata in materia di analisi
delle operazioni nei mercati della televisione a pagamento e delle telecomunicazioni.
Inoltre, la normativa spagnola [artt. 14-18 della Ley 16/89 de defensa de la competencia
(legge n. 16/89 sulla tutela della concorrenza)] consentirebbe alle autorità spagnole di
approvare determinate concentrazioni basandosi su criteri estranei all'art. 2 del
regolamento e, in particolare, su criteri legati alla politica industriale e sociale.
L'applicazione del diritto nazionale presenterebbe dunque un rischio per l'uniformità della
politica fino ad ora attuata dalla Commissione nei mercati interessati.
170. Nelle due cause le ricorrenti hanno affermato in udienza che il fatto che la
Commissione abbia ritenuto necessario indicare, nella decisione impugnata, che le
condizioni per l'applicazione della teoria detta «dell'impresa insolvente» non erano
soddisfatte, conferma che la Commissione stessa teme che l'applicazione da parte delle
autorità spagnole della propria normativa nazionale possa mettere in causa la politica
della concorrenza della Commissione.
171. La Commissione, sostenuta dalle intervenienti, chiede che il motivo sia respinto.
Giudizio del Tribunale
172. Con tale secondo motivo le ricorrenti sostengono che la Commissione ha violato
l'art. 9 del regolamento n. 4064/89, nonché il principio di buona amministrazione
nell'esercizio del potere discrezionale di cui dispone qualora le due condizioni dell'art. 9,
n. 2, lett. a), del regolamento n. 4064/89 siano soddisfatte.
173. Si deve rammentare, a tale proposito, che, come emerge dall'art. 9, n. 3, primo
comma, del regolamento n. 4064/89, se i mercati distinti interessati dell'operazione di
concentrazione costituiscono una parte sostanziale del mercato comune, la Commissione
non ha l'obbligo di rinviare l'esame della concentrazione alle autorità competenti dello
Stato membro interessato. Infatti, la Commissione può scegliere di trattare il caso o di
rinviare l'esame della concentrazione alle autorità nazionali.
174. Emerge certamente dal tenore dell'art. 9, n. 3, primo comma, del regolamento n.
4064/89, che la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale per l'esercizio di
tale scelta. Tuttavia, tale potere discrezionale non è illimitato. Infatti, occorre rilevare che
l'art. 9, n. 3, primo comma, lett. a), precisa che la Commissione può decidere di
provvedere essa stessa a trattare il caso «per preservare o ripristinare una concorrenza
effettiva sul mercato in questione». Peraltro, l'art. 9, n. 8, prevede che lo Stato membro
interessato «può prendere soltanto le misure strettamente necessarie per preservare o
ripristinare una concorrenza effettiva sul mercato interessato».
175. Emerge da tali disposizioni che, anche se l'art. 9, n. 3, primo comma, del
regolamento n. 4064/89, conferisce alla Commissione un ampio potere discrezionale
relativamente alla decisione di rinviare o meno una concentrazione, essa non può
decidere di effettuare il rinvio qualora, al momento dell'esame della domanda di rinvio
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comunicata dallo Stato membro interessato risulta, sulla base di un insieme di indizi
precisi e concordanti, che detto rinvio non è tale da consentire di preservare o ripristinare
una concorrenza effettiva sui mercati interessati (sentenza Royal Philips
Electronics/Commissione, citata sopra al punto 53, punti 342 e 343).
176. Pertanto il controllo effettuato dal giudice comunitario per accertare se la
Commissione abbia fatto corretto uso del suo potere discrezionale nel decidere di rinviare
o meno una concentrazione, è un controllo vincolato che, in considerazione dell'art. 9, nn.
3 e 8 del regolamento n. 4064/89, deve limitarsi a verificare se la Commissione abbia
potuto, senza commettere un manifesto errore di valutazione, stabilire che il rinvio alle
autorità garanti della concorrenza nazionali avrebbe consentito di preservare o ripristinare
una concorrenza effettiva sul mercato interessato, per cui non era necessario che essa
provvedesse a trattare il caso (sentenza Royal Philips Electronics/Commissione, citata
sopra al punto 53, punto 344).
177. Orbene, nel caso di specie si deve constatare che lo Stato membro interessato
dispone di una normativa specifica sul controllo delle concentrazioni, nonché di organi
specializzati volti ad assicurare la sua attuazione sotto il controllo dei giudici nazionali.
178. Come sostenuto dalla Commissione, si deve ammettere che normalmente le autorità
garanti della concorrenza nazionali sono in grado almeno quanto la Commissione di
esaminare le concentrazioni di dimensione esclusivamente nazionale, grazie alla loro
conoscenza diretta sia dei mercati interessati, degli operatori partecipanti alla
concentrazione e dei terzi, sia della normativa nazionale applicabile.
179. Dato che le autorità spagnole, nella loro domanda di rinvio, avevano identificato con
precisione i problemi di concorrenza sollevati dalla concentrazione nei mercati interessati
e che la Commissione si era assicurata che le condizioni dell'art. 9, n. 2, lett. a), del
regolamento n. 4064/89 erano soddisfatte, essa poteva dunque affermare giustamente
nella decisione di rinvio che «[l]e autorità nazionali spagnole dispo[rrebbero] di mezzi
sufficienti e [erano] nelle condizioni di procedere ad un'inchiesta approfondita
dell'operazione, tenuto conto, in particolare, del carattere nazionale dei mercati nei quali
l'operazione minaccia[va] di creare o di rafforzare una posizione dominante»
(considerando 120).
180. Alla luce di quanto esposto la Commissione ha potuto ragionevolmente ritenere che
le autorità garanti della concorrenza spagnole prendessero, nella loro decisione adottata
su rinvio, misure volte a preservare o ripristinare una concorrenza effettiva sui mercati in
questione.
181. A proposito dell'affermazione delle ricorrenti, contraddetta dal Regno di Spagna in
udienza, secondo cui le autorità spagnole avrebbero menzionato la necessità di una
modifica della normativa nazionale al fine di giustificare il rinvio, è sufficiente constatare
che la decisione impugnata non ha fatto riferimento ad una tale giustificazione.
182. Per quanto riguarda, poi, il carattere eccezionale dei rinvii alle autorità nazionali di
operazioni di concentrazione di dimensione comunitaria, è vero che, come sostenuto dalle
ricorrenti, il legislatore comunitario ha previsto, al momento dell'adozione del
regolamento n. 4064/89, che rinvii di tal tipo dovrebbero, in linea di principio, avere
carattere eccezionale qualora i mercati di riferimento coprano una parte sostanziale del
mercato comune. L'intento del legislatore emerge in particolare in una dichiarazione
comune del Consiglio e della Commissione a proposito dell'art. 9 del regolamento n.
4064/89 (Bollettino delle Comunità europee, Supplemento n. 2/90):
«Qualora un mercato distinto costituisca una parte sostanziale del mercato comune, la
procedura di rinvio prevista dall'art. 9 dovrebbe essere applicata solo in casi eccezionali.
Si deve, infatti, partire dal principio che una concentrazione che crea o rafforza una
posizione dominante in una parte sostanziale del mercato comune deve essere dichiarata
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incompatibile con quest'ultimo. Il Consiglio e la Commissione ritengono che una tale
applicazione dell'art. 9 dovrebbe essere limitata ai casi in cui gli interessi della
concorrenza dello Stato membro in questione non potrebbero essere sufficientemente
protetti in altro modo».
183. Come rilevato dal Tribunale ai punti 351-353 della sentenza Royal Philips
Electronics/Commissione, citata sopra al punto 53, tale dichiarazione rimane pertinente
dopo che il regolamento n. 1310/97 ha modificato il regolamento n. 4064/89. Infatti, le
modifiche apportate dal regolamento n. 1310/97 non riguardano, essenzialmente, le
condizioni di rinvio previste dall'art. 9, n. 2, lett. a), le quali sono in sostanza rimaste
invariate dall'adozione del regolamento n. 4064/89, bensì le condizioni di rinvio previste
dell'art. 9, n. 2, lett. b), il quale non è oggetto del caso di specie. Così, nel libro verde
precedente l'adozione del regolamento n. 1310/97 [libro verde della Commissione
concernente la revisione del regolamento sulle concentrazioni 31 gennaio 1996,
COM(96) 19 finale], la Commissione ha rammentato lo scopo perseguito dalla procedura
di rinvio nei seguenti termini (punto 94):
«[Essa] ritiene che, specialmente se non vi sarà alcun abbassamento delle soglie, qualsiasi
modifica apportata all'art. 9 dovrà avere portata limitata, al fine di non pregiudicare il
delicato equilibrio assicurato dalle attuali disposizioni di rinvio né annulare i vantaggi del
principio dello 'sportello unico'. Un ricorso troppo frequente all'art. 9 rischierebbe infatti
di ridurre la certezza del diritto garantita alle imprese e dovrebbe probabilmente
accompagnarsi all'armonizzazione delle principali caratteristiche dei sistemi nazionali di
controllo delle concentrazioni».
184. Parimenti, al considerando 10 del regolamento n. 1310/97, il Consiglio indica che
«[le regole che disciplinano il rinvio] tutelano opportunamente gli interessi degli Stati
membri in materia di concorrenza e tengono conto della necessità della certezza del
diritto e del principio dello 'sportello unico'».
185. Tuttavia, emerge dalle dichiarazioni suesposte che il carattere eccezionale del rinvio
è legato in gran parte al principio dello «sportello unico», sul quale è basato il
regolamento n. 4064/89 (v., in tal senso, sentenza Royal Philips
Electronics/Commissione, citata sopra al punto 350) e che assicura che gli operatori
economici possano fare affidamento sul fatto che un'operazione di concentrazione di
dimensioni comunitarie sia, in principio, esaminata da una unica autorità garante della
concorrenza.
186. Orbene, si deve constatare che tale principio non è inficiato in una situazione come
quella del caso di specie, in cui tutti i mercati interessati hanno dimensioni nazionali e in
cui, a seguito del rinvio del caso alle autorità di uno Stato membro, unicamente queste
ultime sono chiamate a controllare la concentrazione dal punto di vista del diritto
nazionale della concorrenza.
187. Le ricorrenti asseriscono inoltre che la Commissione, nel rinviare l'operazione di
concentrazione alle autorità spagnole, ha violato la sua prassi decisionale. Normalmente
la Commissione respingerebbe, infatti, le domande di rinvio formulate dalle autorità
nazionali, in particolare nel settore della televisione a pagamento. Le ricorrenti si
riferiscono, a tale proposito, alla decisione della Commissione 27 maggio 1998 (caso
IV/M.993 - Bertelsmann/Kirch/Premiere) e ad altre decisioni citate sopra al punto 161.
188. E' giocoforza constatare, tuttavia, che la circostanza che la Commissione, nella
decisione impugnata, non avrebbe seguito la sua prassi anteriore in materia non è
pertinente, poiché l'approccio seguito nella decisione impugnata rientra nel quadro
normativo definito dall'art. 9 del regolamento n. 4064/89, in particolare i suoi nn. 2, lett.
a) e b), e 3, primo comma (sentenza Royal Philips Electronics/Commissione, citata sopra
al punto 53, punto 357).
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189. Inoltre le ricorrenti non giungono a dimostrare in che modo la Commissione,
nell'adottare la decisione impugnata, avrebbe agito in contraddizione con le decisioni
menzionate dalle ricorrenti, le quali concernerebbero sia casi in cui la Commissione ha
rifiutato di rinviare il caso alle autorità nazionali, sia quelli in cui essa ha operato un
rinvio parziale o totale alle autorità nazionali. Infatti, la sola circostanza che la
Commissione avrebbe, in passato, rifiutato di rinviare l'uno o l'altro caso alle autorità
nazionali non potrebbe impedirle di procedere ad un tale rinvio se si tratta di un caso che
le è stato notificato anche in altre situazioni di mercato o di concorrenza.
190. In aggiunta, le ricorrenti sollevano una serie di elementi che dimostrano, a loro
parere, che la Commissione aveva l'obbligo di esaminare essa stessa l'operazione di
concentrazione di cui le autorità spagnole avevano domandato il rinvio. Esse fanno
riferimento, a tal fine, alla prassi decisionale della Commissione nel settore audiovisivo e
al pericolo di una minaccia all'uniformità della politica della Commissione in materia di
concentrazioni dovuta ad una decisione nazionale divergente, nonché a taluni elementi
precipui del caso di specie, quali l'esame concomitante, effettuato dalla Commissione, del
caso Newscorp/Telepiù, dei contratti AVS II e degli «output deals», come anche i contatti
della Commissione con diversi operatori nel mercato interessato.
191. A tale proposito si deve osservare, anzitutto, che il fatto che, in un determinato
settore, la Commissione abbia deciso di esaminare essa stessa l'operazione e abbia
vietato, in passato, alcune operazioni di concentrazione, non può in alcun modo
pregiudicare il rinvio e/o l'esame di un'altra operazione di concentrazione, dato che la
Commissione è tenuta a procedere ad un'analisi individualizzata di ogni operazione
notificata in funzione delle circostanze proprie a ciascun caso, senza essere vincolata da
decisioni anteriori che riguardano altri operatori economici, altri mercati di prodotti e di
servizi o altri mercati geografici in momenti diversi. Per le stesse ragioni precedenti
decisioni della Commissione relative ad operazioni di concentrazione in un settore
preciso non possono pregiudicare la decisione che la Commissione deve adottare su una
domanda di rinvio alle autorità nazionali di un'operazione di concentrazione concernente
lo stesso settore.
192. Per quanto riguarda il fatto che la Commissione, con la decisione impugnata, abbia
rinviato l'esame di una concentrazione alle autorità spagnole ed abbia invece deciso di
trattare essa stessa la concentrazione intervenuta nello stesso settore nel mercato italiano,
il che ha condotto all'adozione della decisione Newscorp/Telepiù del 2 aprile 2003, è
sufficiente constatare che, nel caso di specie, le autorità spagnole hanno domandato, ai
sensi dell'art. 9, n. 2, del regolamento, il rinvio dell'esame della concentrazione, mentre
nel caso Newscorp/Telepiù le autorità italiane non hanno presentato una tale domanda.
193. In relazione alla pretesa contraddizione esistente tra gli impegni accettati dalla
Commissione nella decisione Newscorp/Telepiù, da un lato, e le condizioni imposte, su
rinvio, dalle autorità spagnole nella loro decisione di approvazione della concentrazione
in esame nel caso di specie, dall'altro, si deve osservare che la questione se la decisione di
approvazione adottata a livello nazionale sia compatibile con il diritto comunitario, ivi
comprese le precedenti decisioni della Commissione, esula dall'ambito del presente
ricorso, volto a contestare la legittimità della decisione di rinvio della Commissione. Nei
limiti in cui le ricorrenti evincono da tale pretesa contraddizione argomenti volti a
dimostrare l'illegittimità della decisione impugnata, è sufficiente constatare che sia la
decisione Newscorp/Telepiù che la decisione delle autorità spagnole sono successive alla
decisione impugnata e non possono dunque inficiarne la validità (v., in tal senso, sentenza
della Corte 8 novembre 1983, cause riunite 96/82-102/82, 104/82, 105/82, 108/82 e
110/82, IAZ e a./Commissione, Racc. pag. 3369, punti 15 e 16; sentenza Royal Philips
Electronics/Commissione, citata sopra al punto 53, punto 346).
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194. Per quanto le ricorrenti sostengano che la Commissione non era più legittimata a
rinviare il caso alle autorità spagnole a partire dal momento in cui le era noto che le
sarebbe stata notificata una concentrazione nello stesso settore per l'Italia, si deve
constatare che la Commissione, al momento dell'adozione della decisione impugnata, il
14 agosto 2002, non aveva ancora ricevuto la notifica, ai sensi del regolamento n.
4064/89, relativa al caso italiano di cui trattasi, la quale veniva trasmessa solo il 16
ottobre 2002.
195. Se è vero che, come ammesso in udienza dalla Commissione, quest'ultima, al
momento dell'adozione della decisione impugnata, era a conoscenza del progetto di
concentrazione concernente le piattaforme di televisione a pagamento italiane, occorre
tuttavia osservare che la Commissione non poteva a quel punto prevedere che le sarebbe
stato deferito il caso Newscorp/Telepiù con una domanda di rinvio da parte delle autorità
italiane. In ogni caso, la sola possibilità che, in un prossimo futuro, un altro accordo di
concentrazione possa essere concluso in un settore, anche se simile, ma in un altro
mercato geografico, e che tale accordo venga notificato alla Commissione, non influisce
sul potere discrezionale di quest'ultima qualora le sia richiesto di pronunciarsi,
nell'ambito di un'operazione notificata, su una domanda di rinvio formulata da autorità
nazionali in conformità con l'art. 9 del regolamento n. 4064/89.
196. Le ricorrenti non possono nemmeno sostenere che la decisione impugnata è
illegittima in quanto la Commissione, nel rinviare il caso alle autorità spagnole, avrebbe
minacciato l'uniformità della sua politica della concorrenza nei mercati interessati, in
particolare per il fatto che la normativa spagnola consentirebbe di approvare una
concentrazione sulla base di criteri diversi da quelli del regolamento n. 4064/89.
197. Infatti, il rischio che le autorità nazionali adottino, su rinvio, una decisione relativa
ad una concentrazione in un dato settore, la quale non sia totalmente conforme alle
soluzioni che la Commissione stessa ha preso in considerazione nella sua prassi
decisionale, inerisce al meccanismo di rinvio istituito dall'art. 9 del regolamento n.
4064/89. Come emerge dagli artt. 9, n. 3, 21, n. 2, e 22, n. 1, del regolamento n. 4064/89,
le operazioni di concentrazione di dimensione comunitaria rinviate alle autorità nazionali
vanno valutate in un ambito normativo diverso dal regime giuridico che si applica ad altre
operazioni oggetto di detto regolamento, atteso che la Commissione è tenuta ad
esaminare le concentrazioni sulla sola base del regolamento n. 4064/89, mentre le
concentrazioni rinviate alle autorità nazionali sono esaminate dal punto di vista del diritto
nazionale della concorrenza.
198. Inoltre, se dovesse verificarsi una violazione da parte delle autorità nazionali degli
obblighi loro incombenti in forza dell'art. 10 CE, nonché dell'art. 9, nn. 6 e 8 del
regolamento n. 4064/89 (v. sopra, punto 52), la Commissione potrebbe, se del caso,
decidere di intentare il ricorso previsto dall'art. 226 CE contro lo Stato membro
interessato. Per quanto riguarda gli individui, essi disporrebbero della possibilità di
contestare la decisione presa su rinvio dalle autorità nazionali in conformità con i rimedi
giurisdizionali interni previsti dal diritto nazionale (v. sentenza Royal Philips
Electronics/Commissione, citata sopra al punto 53, punto 383).
199. Inoltre, l'esame del fascicolo AVS condotto dalla Commissione non dimostra che
quest'ultima abbia commesso un manifesto errore di valutazione nel decidere di rinviare
alle autorità spagnole l'esame della concentrazione relativa alla fusione di Vía Digital e
Sogecable. Infatti, è pacifico tra le parti che l'esame del fascicolo AVS concerne
l'applicabilità dell'art. 81 CE ai contratti AVS II, in particolare all'esercizio dei diritti di
ritrasmissione di cui dispone la società AVS. Anche se è vero che, a seguito
dell'operazione di concentrazione, la AVS sarà controllata dalla Sogecable, mentre prima
era controllata congiuntamente dalla Telefónica/Admira e dalla Sogecable, ciò non
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esclude che tale modifica strutturale sia esaminata da un'autorità diversa da quella che
verifica la legittimità, rispetto all'art. 81 CE, dello sfruttamento dei diritti di
ritrasmissione da parte della società AVS. Peraltro, il fatto che, per l'esame di
un'operazione di concentrazione, l'art. 9, n. 3, primo comma, lett. b), del regolamento n.
4064/89 preveda la possibilità di un rinvio parziale implica a fortiori che diverse autorità
devono poter trattare un fascicolo relativo all'applicazione dell'art. 81 CE e uno relativo
all'applicazione del regolamento n. 4064/89, anche se tali fascicoli riguardano in parte le
stesse imprese.
200. Per le medesime ragioni, il fatto che taluni «output deals» siano oggetto di
un'inchiesta della Commissione non impedisce a quest'ultima di rinviare alle autorità
spagnole un caso di concentrazione che interessa, tra gli altri, i mercati dei diritti di
ritrasmissione dei film.
201. Infine, la sola circostanza che la Commissione sia in contatto con alcuni operatori
attivi sui mercati interessati dall'operazione di concentrazione e che terzi abbiano
presentato denuncia dinanzi alla Commissione non può influire sulla competenza di
quest'ultima a rinviare un caso alle autorità nazionali.
202. Infatti, anche se la Commissione ha esperienza nel settore in esame, dopo aver
trattato essa stessa numerosi casi di concentrazione nonché altri affari in materia di
concorrenza relativi ai mercati interessati dall'operazione di concentrazione e aver
mantenuto alcuni contatti, a tal fine, con gli operatori interessati, si deve osservare che le
decisioni della Commissione in tali casi possono sempre servire da orientamento alle
autorità nazionali nell'esercizio delle proprie competenze. L'esistenza di una tale
esperienza in capo alla Commissione non dimostra dunque in alcun modo che essa
avrebbe commesso un manifesto errore di valutazione o avrebbe violato il principio di
buona amministrazione nel rinviare il caso alle autorità spagnole.
203. Da quanto precede risulta che la Commissione ha potuto ragionevolmente ritenere
che il rinvio del caso alle autorità garanti della concorrenza spagnole consentisse di
preservare o ripristinare una concorrenza effettiva sul mercato in questione, di modo che
non era necessario che essa stessa trattasse il caso.
204. Si deve dunque respingere il secondo motivo.
Sul quarto motivo, relativo alla violazione dell'art. 9 del regolamento n. 4064/89 in
quanto la decisione impugnata conterrebbe un rinvio «in bianco» alle autorità spagnole
Argomenti delle parti
205. Le ricorrenti nella causa T-346/02 ricordano che il dispositivo della decisione
impugnata è redatto in modo tale da sottendere un rinvio «in bianco» del caso alle
autorità spagnole, in violazione dell'art. 9 del regolamento n. 4064/89.
206. Secondo le ricorrenti, la Commissione avrebbe dovuto enumerare, all'art. 1 del
dispositivo della decisione impugnata, i mercati interessati dall'operazione di
concentrazione nei quali esisterebbe una minaccia che la concentrazione crei o rafforzi
una posizione dominante tale da ostacolare in modo significativo una concorrenza
effettiva in un mercato all'interno della Spagna. Inoltre, l'art. 1 della decisione impugnata
avrebbe dovuto parimenti, a parere delle ricorrenti, ordinare alle autorità spagnole di
adottare le misure necessarie a preservare la concorrenza in tali mercati.
207. Le ricorrenti aggiungono che, nel caso di specie, le autorità spagnole hanno
effettivamente agito come se disponessero di una delega di competenze «in bianco». Esse
si sarebbero, infatti, occupate del fascicolo come se si trattasse di una concentrazione da
esaminare ab initio, ignorando la decisione impugnata e l'acquis communautaire in
materia di concorrenza.
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208. La Commissione, sostenuta dalle intervenienti, chiede che tale motivo sia respinto.
Giudizio del Tribunale
209. Occorre osservare che la decisione impugnata prevede, all'art. 1 del suo dispositivo,
che, «[c]onformemente all'art. 9 del regolamento del Consiglio n. 4064/89 sulle
operazioni di concentrazione tra imprese, l'operazione notificata volta alla fusione della
DTS Distribudora de Televisión Digital SA (Vía Digital) e della Sogecable SA è rinviata
con la presente alle autorità spagnole competenti».
210. Ne consegue che la Commissione si è limitata a rinviare alle autorità spagnole
competenti l'operazione di concentrazione di cui aveva ricevuto notifica, senza indicare
nel dispositivo della decisione impugnata i mercati nei quali essa riteneva che
l'operazione di concentrazione minacciasse di creare o rafforzare una posizione
dominante tale da ostacolare in modo significativo una concorrenza effettiva in un
mercato all'interno della Spagna che presenta tutte le caratteristiche di un mercato
distinto.
211. Tuttavia occorre rammentare che il dispositivo di un atto è indissociabile dalla sua
motivazione e va pertanto interpretato, se necessario, tenendo conto dei motivi che hanno
portato alla sua adozione (sentenza della Corte 15 maggio 1997, causa C-355/95 P,
TWD/Commissione, Racc. pag. I-2549, punto 21; sentenza del Tribunale 13 giugno
2000, cause riunite T-204/97 e T-270/97, EPAC/Commissione, Racc. pag. II-2267, punto
39).
212. Orbene, la decisione impugnata procede, nei motivi precedenti il dispositivo, alla
definizione di ciascun mercato dei prodotti in esame (decisione impugnata, considerando
15, 16, 21-25, 30-38, 56, 62-64 e 71-79), all'identificazione dei mercati geografici di
riferimento (decisione impugnata, considerando 17, 26, 39-42, 57, 62-64 e 80-82) e
all'analisi degli effetti dell'operazione sulla concorrenza in tali mercati (decisione
impugnata, considerando 18-20, 27-29, 43-55, 58-61, 65-68 e 83-109). Essa conclude che
in ciascun mercato di prodotti identificato, ossia il mercato della televisione a pagamento
e i mercati a monte (i mercati dei diritti di ritrasmissione dei film, dei diritti sportivi e di
altri contenuti), nonché i mercati delle telecomunicazioni, l'operazione minaccia di creare
o rafforzare una posizione dominante tale da ostacolare in modo significativo una
concorrenza effettiva nel mercato spagnolo (decisione impugnata, considerando 20, 29,
51, 55, 61, 68 e 109).
213. Alla luce della giurisprudenza citata sopra, al punto 211, la Commissione non era
assolutamente tenuta a ripetere, nel dispositivo, quali fossero i mercati interessati
dall'operazione di concentrazione in cui quest'ultima minacciava di creare o rafforzare
una posizione dominante.
214. Peraltro, si deve sottolineare che il rinvio nel presente caso è un rinvio totale. Non si
tratta dunque di un rinvio parziale che avrebbe potuto necessitare, nel dispositivo, di una
specificazione dei mercati singoli la cui analisi sarebbe stata rinviata alle autorità
nazionali.
215. Per quanto riguarda la pretesa omessa imposizione alle autorità spagnole di adottare
le misure necessarie per preservare la concorrenza nei mercati interessati, occorre
evidenziare che il primo articolo del dispositivo fa riferimento all'art. 9 del regolamento
n. 4064/89, il quale prevede, al suo n. 8, che lo Stato membro interessato può prendere
soltanto le misure strettamente necessarie per preservare o ripristinare una concorrenza
effettiva sul mercato interessato. Era superfluo ripetere letteralmente nel dispositivo della
decisione un obbligo che deriva direttamente dall'ambito normativo al quale si fa
riferimento nel dispositivo stesso.
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216. A proposito dell'esame effettuato dalle autorità spagnole dopo l'adozione della
decisione impugnata, si deve ricordare che la legittimità di un atto deve essere valutata al
momento della sua adozione (v., per analogia, sentenza della Corte 3 ottobre 2002, causa
C-394/01, Francia/Commissione, Racc. pag. I- 8245, punto 34, e giurisprudenza ivi
citata). Il comportamento delle autorità spagnole non può dunque inficiare la legittimità
della decisione impugnata.
217. Infine si deve rammentare che, nell'ambito dell'esame delle condizioni per il rinvio
previste dall'art. 9, n. 2, lett. a), del regolamento n. 4064/89, la Commissione non può,
senza privare della sua sostanza l'art. 9, n. 3, primo comma, lett. b), di detto regolamento,
procedere ad un'analisi della compatibilità della concentrazione tale da vincolare nel
merito le autorità nazionali interessate, ma deve limitarsi a verificare, mediante un esame
prima facie, se, sulla base degli elementi di cui dispone al momento della valutazione
della fondatezza della domanda di rinvio, la concentrazione oggetto di quest'ultima
minacci di creare o rafforzare una posizione dominante nei mercati interessati (sentenza
Royal Philips Electronics/Commissione, citata sopra al punto 53, punto 377). Fintantoché
le autorità garanti della concorrenza nazionali rispettano gli obblighi loro incombenti ai
sensi sia dell'art. 9, nn. 6 e 8, del regolamento n. 4064/89, sia dall'art. 10 CE, esse sono
libere di decidere nel merito della concentrazione loro rinviata, sulla base di un esame
proprio effettuato in applicazione del diritto nazionale della concorrenza (v., in tal senso,
sentenza Royal Philips Electronics/Commissione, citata sopra al punto 53, punti 369371). Quindi, le autorità spagnole competenti non possono essere considerate vincolate
dalle valutazioni provvisorie della situazione della concorrenza effettuate dalla
Commissione a seguito di un esame prima facie, nella sua decisione di rinvio ed
unicamente ai fini di quest'ultima.
218. Ne consegue che anche il quarto motivo deve essere respinto.
Sul terzo motivo, relativo alla violazione dell'art. 253 CE
Argomenti delle parti
219. Le ricorrenti sostengono che la Commissione ha violato l'art. 253 CE poiché essa
non ha esposto le ragioni che l'hanno indotta ad accogliere la domanda di rinvio
formulata dalle autorità spagnole.
220. Le ricorrenti nella causa T-346/02 affermano che la Commissione avrebbe dovuto
illustrare nella sentenza impugnata non solo le ragioni per cui essa ha accolto, in via
eccezionale, il rinvio nel caso di specie, ma anche le ragioni che giustificano la rottura
con una prassi decisionale consolidata.
221. Secondo le stesse ricorrenti la Commissione avrebbe parimenti dovuto rispondere
agli argomenti, formulati dall'ONO durante il procedimento amministrativo, concernenti
la dimensione europea dell'operazione di concentrazione e l'impossibilità del rinvio
dell'esame di una tale operazione alle autorità nazionali.
222. Le ricorrenti nella causa T-347/02 fanno valere che la decisione impugnata è
paradossale. Infatti, la detta decisione descriverebbe in modo dettagliato i problemi di
concorrenza che l'operazione di concentrazione causerebbe nei mercati interessati, pur
dedicando solo due paragrafi all'esposizione dei motivi che hanno indotto la
Commissione ad accogliere la domanda di rinvio formulata dalle autorità spagnole.
223. I motivi sollevati nella decisione impugnata per giustificare il rinvio sarebbero i
seguenti: l'operazione di concentrazione minaccerebbe di creare o di rafforzare una
posizione dominante in alcuni mercati di dimensione nazionale; la Commissione
disporrebbe di un potere discrezionale per decidere il rinvio e le autorità nazionali
spagnole sarebbero in condizione di effettuare un'inchiesta approfondita sull'operazione
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di concentrazione. Tali motivi non sarebbero sufficienti in un caso eccezionale, come il
caso di specie, in cui l'operazione di concentrazione riguarderebbe una parte sostanziale
del mercato comune. La Commissione non avrebbe nemmeno analizzato, nella decisione
impugnata, le conseguenze trasfrontaliere che potevano derivare dall'operazione di
concentrazione. Infine, il fatto che la Commissione dispone di un certo potere
discrezionale non implicherebbe che essa è esente dall'obbligo di motivazione.
224. La Commissione, sostenuta dalle intervenienti, afferma che la decisione impugnata è
sufficientemente motivata in quanto essa esamina in modo approfondito se le condizioni
previste dall'art. 9 del regolamento n. 4064/89 per il rinvio alle autorità nazionali siano
soddisfatte.
Giudizio del Tribunale
225. Si deve osservare che l'obbligo, incombente alle istituzioni comunitarie in forza
dell'art. 253 CE, di motivare le loro decisioni mira a consentire al giudice comunitario di
esercitare il suo sindacato di legittimità e agli interessati di conoscere le giustificazioni
del provvedimento adottato per poter tutelare i propri diritti e verificare se la decisione sia
o meno fondata (sentenza del Tribunale 15 settembre 1998, cause riunite T-126/96 e T127/96, BFM e EFIM/Commissione, Racc. pag. II-3437, punto 57).
226. A tale proposito si deve ricordare che la decisione impugnata è stata adottata in base
all'art. 9, n. 3, primo comma, del regolamento n. 4064/89. E' stato già rilevato nell'ambito
dell'esame del primo motivo che, perché una concentrazione possa essere oggetto di
rinvio in forza di tale disposizione, le due condizioni di cui all'art. 9, n. 2, lett. a), devono
essere soddisfatte. In primo luogo, la concentrazione deve minacciare di creare o
rafforzare una posizione dominante tale da ostacolare in modo significativo una
concorrenza effettiva in un mercato all'interno dello Stato membro interessato. In secondo
luogo, tale mercato deve presentare tutte le caratteristiche di un mercato distinto.
227. Occorre pertanto considerare che, per rispettare l'obbligo di motivazione previsto
dall'art. 253 CE, una decisione di rinvio adottata sulla base dell'art. 9, n. 3, primo comma,
del regolamento n. 4064/89, deve contenere un'indicazione sufficiente e pertinente degli
elementi presi in considerazione per determinare l'esistenza, da un lato, della minaccia di
creare o rafforzare una posizione dominante tale da ostacolare in modo significativo una
concorrenza effettiva in un mercato all'interno dello Stato membro interessato e,
dall'altro, di un mercato distinto (sentenza Royal Philips Electronics/Commissione, citata
sopra al punto 53, punto 395).
228. Per quanto riguarda la prima condizione, si deve rilevare che la decisione impugnata
espone chiaramente i motivi per i quali la Commissione ritiene che l'operazione in
questione minaccia di creare una posizione dominante tale da ostacolare in modo
significativo una concorrenza effettiva nei mercati dei prodotti pertinenti in Spagna. In
particolare, tali motivi prendono in considerazione, tra l'altro, le parti di mercato
possedute dalle partecipanti nei mercati interessati in Spagna, le conseguenze che
comporta la concentrazione dell'operatore dominante e del secondo operatore sul mercato
della televisione a pagamento, caratterizzato da forti ostacoli all'entrata, e i diritti
esclusivi detenuti dalle partecipanti alla concentrazione (decisione impugnata,
considerando 18-21, 27-29, 43-55, 58-61, 65-68 e 83-109).
229. Per quanto riguarda la seconda condizione si deve parimenti constatare che la
decisione impugnata espone chiaramente i motivi per i quali la Commissione ritiene che i
mercati interessati in Spagna siano mercati nazionali distinti (decisione impugnata,
considerando 17, 26, 39-42, 57, 62-64 e 80-82).
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230. In relazione all'esercizio del potere discrezionale di cui essa dispone qualora i
mercati distinti costituiscano una parte sostanziale del mercato comune, la Commissione
spiega nella decisione impugnata che «[l]'operazione minaccia di creare o di rafforzare
una posizione dominante unicamente nei mercati di dimensione nazionale, all'interno del
Regno di Spagna» e che «[l]e autorità nazionali spagnole dispongono di mezzi sufficienti
e sono nelle condizioni di procedere ad un'inchiesta approfondita sull'operazione, tenuto
conto, in particolare, del carattere nazionale dei mercati nei quali l'operazione minaccia di
creare o di rafforzare una posizione dominante». Essa indica che, dopo aver verificato che
le condizioni previste dall'art. 9 del regolamento n. 4064/89 sono soddisfatte, essa,
esercitando il potere discrezionale accordatole dal regolamento n. 4064/89, considera
«appropriato accogliere la domanda delle autorità spagnole e rinviare loro il caso ai fini
dell'applicazione della normativa spagnola in materia di concorrenza» (considerando 119121 della decisione impugnata).
231. Tale chiarimento è sufficiente, poiché ne consegue che la Commissione riteneva che
le autorità spagnole fossero in condizione di preservare o ripristinare una concorrenza
effettiva sui mercati interessati (v. sopra, punti 176 e 177).
232. Relativamente agli argomenti sollevati dall'ONO durante il procedimento
amministrativo, si deve ricordare che, anche se la Commissione deve motivare le proprie
decisioni menzionando gli elementi di fatto e di diritto dai quali dipende la giustificazione
giuridica del provvedimento e le considerazioni che l'hanno indotta ad adottare la propria
decisione, non è prescritto che essa discuta tutti i punti di fatto e di diritto sollevati da
ciascun interessato durante il procedimento amministrativo (v. sentenza
Kaysersberg/Commissione, citata sopra al punto 75, punto 150). Orbene, qualificando i
mercati dei prodotti interessati come mercati distinti di dimensione nazionale e
esponendo i motivi sui quali si basa tale qualificazione, la Commissione ha preso
posizione sugli argomenti dell'ONO relativi alla pretesa dimensione europea
dell'operazione di concentrazione.
233. Alla luce di quanto esposto si deve concludere che la decisione impugnata è
sufficientemente motivata.
234. Consegue dall'insieme delle considerazioni suesposte che i ricorsi vanno
integralmente respinti.
Per questi motivi,
IL TRIBUNALE (Terza Sezione)
dichiara e statuisce:
1) Le cause T-346/02 e T-347/02 sono riunite ai fini della sentenza.
2) I ricorsi sono respinti.
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17. Procedimento C-42/02,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 234 CE, dall'Ålands förvaltningsdomstol (Finlandia) nel procedimento dinanzi ad
esso avviato da
Diana Elisabeth Lindman,
domanda vertente sull'interpretazione dell'art. 49 CE,
LA CORTE (Quinta Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 5 febbraio 2002, pervenuta alla Corte il 15 febbraio seguente, l'Ålands
förvaltningsdomstol ha sottoposto, ai sensi dell'art. 234 CE, una questione pregiudiziale
relativa all'interpretazione dell'art. 49 CE.
2. Tale questione è stata sollevata nell'ambito di una controversia tra la sig.ra Lindman e
lo skatterättelsenämnden (commissione di revisione in materia fiscale) a causa del rigetto
da parte di quest'ultimo del reclamo che essa aveva presentato al fine di ottenere
l'esenzione dall'imposta alla quale è stata assoggettata la somma che essa aveva vinto
partecipando ad una lotteria organizzata in Svezia.
Ambito normativo
A - La normativa comunitaria
3. Ai sensi dell'art. 49 CE:
«Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi
all'interno della Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri
stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione».
B - La normativa nazionale
4. Ai sensi dell'art. 1 della lotteriskattenlagen (552/1992) (legge relativa all'imposta sui
giochi d'azzardo), l'imposta sui giochi d'azzardo è dovuta allo Stato per quanto riguarda i
giochi organizzati in Finlandia. In base all'art. 2 di questa legge, le lotterie sono giochi
d'azzardo. L'art. 3 della stessa legge stabilisce che all'imposta è assoggettato
l'organizzatore della lotteria.
5. In forza dell'art. 85 dell'inkomstskattelagen (1535/1992) (legge relativa all'imposta sul
reddito), «non costituiscono reddito imponibile le vincite nelle lotterie previste dall'art. 2
della lotteriskattelagen (...)». Dal fascicolo risulta che il mancato assoggettamento ad
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imposta vale solo per i giochi d'azzardo di cui all'art. 2 della lotteriskattelagen, i quali
comprendono solo i giochi organizzati in Finlandia.
C - Il regime particolare delle Isole d'Åland
6. In forza della självstyrelselagen (1144/1991) för Åland (legge relativa all'autonomia
dell'Åland), la regolamentazione delle lotterie e degli altri giochi d'azzardo rientra nella
competenza legislativa della regione di Åland. L'organizzazione delle lotterie è soggetta
ad un'autorizzazione del governo regionale le cui modalità sono stabilite dalla
landskapslagen om lotterier (legge regionale sui giochi d'azzardo, Ålands
författningssamling 10/1996). L'organizzazione dei giochi d'azzardo è disciplinata da
quest'ultima legge. L'autorizzazione ad organizzare lotterie e giochi d'azzardo di cui
all'art. 3 della landskapslagen om lotterier può essere concessa ad un'associazione di
diritto pubblico istituita da un regolamento regionale. Gli introiti delle attività
dell'associazione devono essere iscritti nel bilancio della Regione di Åland e devono
servire a promuovere e a sostenere progetti di pubblica utilità o d'interesse generale,
nonché progetti che si possa ritenere favoriscano le attività e gli obiettivi
dell'associazione.
La causa principale e la questione pregiudiziale
7. La sig.ra Lindman, cittadina finlandese, risiede nel Comune di Saltvik, situato nelle
Isole d'Åland (Finlandia). Il 7 gennaio 1998 ha vinto SEK 1 milione in seguito ad
un'estrazione in una lotteria della società AB Svanska Spel, avvenuta a Stoccolma
(Svezia). Essa aveva acquistato il suo biglietto vincente nel corso di un soggiorno in
Svezia.
8. Questa vincita di lotteria è stata considerata come un reddito da lavoro imponibile a
titolo dell'imposta sul reddito per il 1998 e ha costituito oggetto dell'imposta nazionale a
favore dello Stato finlandese, dell'imposta comunale dovuta al Comune di Saltvik,
dell'imposta sul culto a favore della parrocchia, nonché di un contributo assicurativo di
malattia supplementare riscosso in forza della sjukförsäkringslagen (legge relativa
all'assicurazione malattia).
9. La sig.ra Lindman ha presentato un reclamo dinanzi allo skatterättelsenämnden
d'Åland, al fine di ottenere la rettifica dell'imposizione alla quale era stata assoggettata.
Questo reclamo è stato respinto in data 22 maggio 2000, in quanto l'art. 85
dell'inkomstskattelagen non vieta l'imposizione in Finlandia di vincite provenienti da
lotterie estere.
10. La sig.ra Lindman ha allora presentato un ricorso dinanzi all'Ålands
förvaltningsdomstol per ottenere la modifica della decisione di rigetto dello
skatterättelsenämnden sostenendo che l'assoggettamento ad imposta della somma vinta in
Svezia avrebbe dovuto essere annullata e, in subordine, che questa doveva essere
assoggettata ad imposta non come reddito da lavoro, ma come reddito da capitale, il che
comporta un'aliquota di imposizione meno elevata.
11. Secondo l'Ålands förvaltningsdomstol si può eventualmente ritenere che
l'imposizione, in quanto reddito da lavoro o reddito da capitale, delle vincite provenienti
da giochi organizzati all'estero costituisca una regola speciale basata sul luogo di origine
della prestazione di servizi.
12. Ritenendo che l'interpretazione del diritto comunitario fosse necessaria per la
soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente, l'Ålands förvaltningsdomstol ha
deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione
pregiudiziale:
«Se l'art. 49 CE osti ad una normativa di uno Stato membro che contiene disposizioni
secondo cui le vincite di lotterie organizzate in altri Stati membri vengono considerate, in
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sede di tassazione del reddito, reddito imponibile del vincitore, mentre le vincite di
lotterie organizzate nello Stato membro in questione sono esenti da tassazione».
Sul merito
Osservazioni presentate alla Corte
13. La sig.ra Lindman fa valere che la normativa finlandese è discriminatoria, poiché, se
essa fosse stata residente in Svezia o se la somma di cui trattasi nella causa principale
fosse stata vinta in una lotteria finlandese, la vincita non sarebbe stata assoggettata ad
imposta sul reddito.
14. I governi finlandese, belga, danese e norvegese ritengono che la normativa finlandese
sia compatibile con l'art. 49 CE. A tale riguardo essi si basano sulla giurisprudenza della
Corte (sentenze 24 marzo 1994, causa C-275/92, Schindler, Racc. pag. I-1039; 21
settembre 1999, causa C-124/97, Läärä e a., Racc. pag. I-6067, e 21 ottobre 1999, causa
C-67/98, Zenatti, Racc. pag. I-7289) per sostenere che l'assoggettamento ad imposta dei
giochi d'azzardo è solo un aspetto specifico del regime generale dei giochi d'azzardo,
settore nel quale gli Stati membri dispongono di un ampio potere discrezionale. Secondo
questi governi, le eventuali restrizioni sono giustificate da motivi imperativi di interesse
generale collegati alla lotta contro le conseguenze nefaste dei giochi d'azzardo, nel senso
che, se le vincite in lotterie estere fossero esentate, il pubblico sarebbe incentivato a
partecipare a tali lotterie.
15. Più in particolare, il governo finlandese fa valere che l'assoggettamento ad imposta
delle vincite di giochi d'azzardo organizzati al di fuori della Finlandia si spiega con
l'impossibilità di assoggettare ad imposta in questo Stato membro le imprese estere che
offrono giochi d'azzardo a partire dall'estero. In caso contrario, i contribuenti assoggettati
ad imposta in Finlandia e gli organizzatori di giochi d'azzardo si ripartirebbero un
beneficio fiscale, indipendentemente dal fatto se gli introiti siano destinati a soddisfare
obiettivi di pubblica utilità nello Stato di origine o se la normativa di questo Stato cerchi
di prendere in considerazione gli obiettivi di tutela dei consumatori e di prevenzione del
danno sociale.
16. La Commissione e l'Autorità di sorveglianza AELS ritengono che l'assoggettamento
ad imposta, in uno Stato membro, delle vincite di lotterie unicamente allorché si tratta di
lotterie organizzate in altri Stati membri sia incompatibile con l'art. 49 CE e non possa
essere giustificato da motivi d'interesse generale.
17. La Commissione si basa sulla sentenza 11 giugno 1998, causa C-283/95, Fischer
(Racc. pag. I-3369), per sostenere che, conformemente al principio di neutralità fiscale,
uno Stato membro non può applicare al vincitore di un gioco d'azzardo lecitamente
organizzato in un altro Stato membro un trattamento meno favorevole rispetto a quello di
cui beneficia un vincitore che ha partecipato ad un gioco organizzato nel primo Stato.
Giudizio della Corte
18. In via preliminare occorre ricordare che, se è pur vero che la materia delle imposte
dirette rientra nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia
esercitare tale competenza nel rispetto del diritto comunitario (sentenze 11 agosto 1995,
causa C-80/94, Wielockx, Racc. pag. I-2493, punto 16; 16 luglio 1998, causa C-264/96,
ICI, Racc. pag. I-4695, punto 19; 29 aprile 1999, causa C-311/97, Royal Bank of
Scotland, Racc. pag. I-2651, punto 19; 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkooijen, Racc.
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pag. I-4071, punto 32, e 3 ottobre 2002, causa C-136/00, Danner, Racc. pag. I-8147,
punto 28).
19. Per quanto riguarda le disposizioni del Trattato CE relative alla libera prestazione dei
servizi, esse si applicano, come la Corte ha già dichiarato relativamente
all'organizzazione di lotterie, ad un'attività che consiste nel consentire agli utenti di
partecipare, contro corrispettivo, ad un gioco d'azzardo (v. sentenza Schindler, cit., punto
19). Pertanto, tale attività rientra nel campo d'applicazione dell'art. 49 CE, qualora
almeno uno dei prestatori sia stabilito in uno Stato membro diverso da quello nel quale il
servizio è offerto. Occorre quindi esaminare la causa dal punto di vista della libera
prestazione dei servizi.
20. Secondo una giurisprudenza costante, l'art. 49 CE vieta non solo qualsiasi
discriminazione, basata sulla cittadinanza, di un prestatore di servizi stabilito in un altro
Stato membro, ma anche qualsiasi restrizione e qualsiasi ostacolo alla libera prestazione
dei servizi, anche qualora esse si applichino indistintamente ai prestatori nazionali e a
quelli stabiliti in altri Stati membri (v. sentenza 13 febbraio 2003, causa C-131/01,
Commissione/Italia, Racc. pag. I-1659, punto 26).
21. E' pacifico che, nella causa principale, le lotterie estere ricevono un trattamento
fiscale diverso da quello di cui beneficiano le lotterie finlandesi e si trovano in una
posizione di svantaggio rispetto a queste ultime. Infatti, in applicazione della
lotteriskattelagen, solo le vincite provenienti da giochi d'azzardo non autorizzati in
Finlandia sono considerate reddito imponibile, mentre le vincite provenienti da giochi
d'azzardo organizzati in questo Stato membro non costituiscono reddito imponibile. Il
governo finlandese ha del resto ammesso che l'esistenza di una tale normativa ha per
effetto che un contribuente finlandese preferisce partecipare ad una lotteria organizzata in
Finlandia piuttosto che ad una lotteria che ha luogo in un altro Stato membro.
22. Contrariamente a quanto sostiene il detto governo, il fatto che i prestatori di giochi
stabiliti in Finlandia sono assoggettati all'imposta in quanto organizzatori di giochi
d'azzardo non priva la normativa finlandese del suo carattere manifestamente
discriminatorio, in quanto la detta imposta non è analoga all'imposta sul reddito che
colpisce le vincite provenienti dalla partecipazione dei contribuenti alle lotterie
organizzate in altri Stati membri.
23. Secondo il governo finlandese, anche ammettendo che la normativa nazionale sia
discriminatoria, essa è giustificata da motivi imperativi di interesse generale come la
prevenzione degli abusi e delle frodi, la riduzione del danno sociale provocato dal gioco,
il finanziamento di attività di pubblica utilità o la salvaguardia della certezza del diritto.
24. Anche il governo norvegese fa valere, a titolo di giustificazione, la necessità di lottare
contro le conseguenze dannose della dipendenza dal gioco, le quali rientrerebbero nella
salute pubblica. Infatti, esisterebbero centri di riadattamento e altre infrastrutture di cura
dei giocatori e il gioco creerebbe problemi sociali, quali la sottrazione di risorse alla
famiglia della persona dipendente dal gioco, divorzi e suicidi.
25. A tale riguardo, è importante ricordare che le giustificazioni che possono essere fatte
valere da uno Stato membro devono essere corredate di un'analisi dell'opportunità e della
proporzionalità della misura restrittiva adottata da tale Stato (v., in tal senso, sentenze 30
novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, e 26 novembre 2002, causa
C-100/01, Oteiza Olazabal, Racc. pag. I-10981).
26. Nella causa principale, dal fascicolo trasmesso alla Corte dal giudice del rinvio non
risulta alcun elemento di natura statistica o di altro tipo che consenta di concludere per la
gravità dei rischi collegati alla pratica dei giochi d'azzardo né, a fortiori, per l'esistenza di
un collegamento particolare fra tali rischi e la partecipazione dei cittadini dello Stato
membro interessato a lotterie organizzate in altri Stati membri.
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27. Occorre quindi risolvere la questione posta nel senso che l'art. 49 CE si oppone alla
normativa di uno Stato membro secondo cui le vincite provenienti da giochi d'azzardo
organizzati in altri Stati membri sono considerate come un reddito del vincitore
assoggettabile all'imposta sul reddito, mentre le vincite provenienti da giochi d'azzardo
organizzati nello Stato membro di cui trattasi non sono imponibili.
Per questi motivi,
LA CORTE (Quinta Sezione),
dichiara:
L'art. 49 CE si oppone alla normativa di uno Stato membro secondo cui le vincite
provenienti da giochi d'azzardo organizzati in altri Stati membri sono considerate come
un reddito del vincitore assoggettabile all'imposta sul reddito, mentre le vincite
provenienti da giochi d'azzardo organizzati nello Stato membro di cui trattasi non sono
imponibili.
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18. Causa C-270/02,
Commissione delle Comunità europee,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana,
convenuta,
avente ad oggetto un ricorso diretto a far dichiarare che la Repubblica italiana,
mantenendo in vigore una legislazione che subordina la commercializzazione di prodotti
alimentari per sportivi, legalmente fabbricati e commercializzati in altri Stati membri,
all'obbligo di richiedere un'autorizzazione preventiva e allo svolgimento della relativa
procedura, senza aver dimostrato il carattere necessario e proporzionato di tale obbligo, è
venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli artt. 28 CE e 30 CE,
LA CORTE (Terza Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con atto introduttivo, depositato nella cancelleria della Corte il 24 luglio 2002, la
Commissione delle Comunità europee ha proposto, ai sensi dell’art. 226 CE, un ricorso
diretto a far constatare che la Repubblica italiana, mantenendo in vigore una legislazione
che subordina la commercializzazione di prodotti alimentati per sportivi, legalmente
fabbricati e commercializzati in altri Stati membri, all’obbligo di richiedere
un’autorizzazione preventiva e allo svolgimento della relativa procedura, senza aver
dimostrato il carattere necessario e proporzionato di tale obbligo, è venuta meno agli
obblighi che le incombono in forza degli artt. 28 CE e 30 CE.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
2 Ai sensi dell’art. 28 CE, sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative
all’importazione e le misure di effetto equivalente. Tuttavia, secondo l’art. 30 CE, le
restrizioni all’importazione giustificate, in particolare, da motivi di tutela della salute e
della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali sono autorizzate
purché non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria né una restrizione
dissimulata al commercio tra gli Stati membri.
3 Benché la direttiva del Consiglio 3 maggio 1989, 89/398/CEE, relativa al
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti i prodotti alimentari
destinati ad un’alimentazione particolare (GU L 186, pag. 27), come modificata dalla
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direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 giugno 1999, 1999/41/CE (GU L 172,
pag. 38), preveda all’art. 4, n. 1, nonché all’allegato I che le disposizioni specifiche
applicabili a gruppi di alimenti tra cui figurano gli alimenti adattati ad un intenso sforzo
muscolare, destinati soprattutto agli sportivi, sono stabilite mediante direttive specifiche,
a tutt’oggi non è stata ancora adottata alcuna di tali direttive per questo tipo di alimenti.
La normativa nazionale
4 In Italia l’art. 8 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 111, concernente la
produzione e l’importazione a scopo di vendita di taluni prodotti (Supplemento ordinario
alla GURI n. 39 del 7 febbraio 1992; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 111/92»), tra
cui figurano gli alimenti adattati ad un intenso sforzo muscolare e destinati soprattutto
agli sportivi, dispone che la produzione e l’importazione a scopo di vendita di prodotti
destinati ad un’alimentazione particolare, appartenenti ai gruppi di cui all’allegato I del
decreto legislativo in parola, sono soggette ad autorizzazione da parte del Ministero della
Sanità nonché al pagamento delle spese collegate al trattamento amministrativo della
domanda. Le modalità di tale procedura sono definite in un regolamento adottato
successivamente, il decreto del Presidente della Repubblica 19 gennaio 1998, n. 131.
Procedimento precontenzioso
5 L’attenzione della Commissione è stata attirata dal deposito di un reclamo da parte di
un fabbricante britannico di prodotti alimentari per sportivi, in particolare di barrette
energetiche e bevande reidratanti, in seguito alle asserite difficoltà incontrate dal suo
distributore italiano nella commercializzazione in Italia di tali prodotti. Questi ultimi
erano soggetti all’autorizzazione preventiva del Ministero della Sanità nonché al
pagamento delle spese amministrative collegate a tale domanda di autorizzazione, in
forza dell’art. 8 del decreto legislativo n. 111/92.
6 Lo stesso fabbricante ha inoltre informato la Commissione del fatto che le autorità
italiane gli avevano comunicato che, eliminando la dicitura «sport» dall’imballaggio dei
prodotti, la semplice notifica di un campione dell’etichetta gli avrebbe evitato di dover
richiedere un’autorizzazione.
7 L’11 giugno 1998 la Commissione ha inviato alla Repubblica italiana una lettera di
diffida, constatando che la procedura di autorizzazione preventiva rappresentava una
misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione contraria
all’art. 28 CE, che tale procedura non era giustificata da una delle ragioni elencate
all’art. 30 CE e che essa non era necessaria per il perseguimento di un obiettivo legittimo,
e nemmeno proporzionata al perseguimento del medesimo.
8 Poiché tale lettera è rimasta senza risposta, il 18 dicembre 1998 la Commissione ha
notificato un parere motivato alla Repubblica italiana, invitandola ad adottare i
provvedimenti necessari a conformarsi a tale parere entro un termine di due mesi a
decorrere dalla notifica dello stesso.
9 La Repubblica italiana ha risposto al parere motivato, in primo luogo con lettera 4
febbraio 1999, affermando che la normativa contestata aveva lo scopo di tutelare la salute
dei consumatori e che le linee guida relative al rilascio dell’autorizzazione erano state
elaborate a tale scopo e, successivamente con lettera 26 aprile 1999, allegandovi copia
delle citate linee guida.
10 La Commissione, non soddisfatta della risposta che le autorità italiane le avevano
indirizzato il 4 febbraio 1999 e neppure dei chiarimenti che le erano stati forniti nel corso
di una riunione «pacchetto» del 2 luglio 1999, ha inviato, il 25 luglio 2001, un parere
motivato complementare.
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11 In mancanza di risposta nel termine stabilito, la Commissione ha quindi proposto il
presente ricorso.
Sul ricorso
Argomenti delle parti
12 La Commissione ritiene che, alla luce della giurisprudenza della Corte relativa agli
artt. 28 CE e 30 CE, la sussistenza dell’inadempimento non possa essere contestata.
13 In primo luogo, essa sostiene che una normativa come quella del caso di specie
costituisce un ostacolo alla libera circolazione dei prodotti di cui si tratta. Orbene, la
Repubblica italiana non ha dimostrato né l’esistenza di un rischio per la salute pubblica e
di un nesso tra l’obiettivo di prevenzione di tale rischio e la normativa adottata né
l’inesistenza di una soluzione che avrebbe permesso il raggiungimento del medesimo
scopo arrecando minor pregiudizio al commercio intracomunitario.
14 Inoltre, la Commissione sostiene che le linee guida su cui il governo italiano si è
fondato nel corso del procedimento precontenziosa si limitano a sottolineare l’aspetto
nutrizionale e informativo del prodotto, senza menzionare i rischi per la salute insiti
nell’uso dello stesso e senza nemmeno distinguere secondo le modalità di tale uso; essa
non comprende quindi le ragioni di tutela della salute pubblica invocate dalle autorità
italiane per giustificare la procedura di autorizzazione preventiva.
15 Infine, a parere della Commissione, nell’ipotesi in cui l’obiettivo di tale procedura sia
di garantire un’informazione completa del consumatore, risulta che tale obiettivo
potrebbe essere conseguito in modo altrettanto efficace mediante la notifica del prodotto
all’autorità competente, accompagnata da una copia dell’etichetta.
16 Nel controricorso la Repubblica italiana si limita ad affermare che si sta apprestando a
modificare l’art. 8 del decreto legislativo n. 111/92, prevedendo che la
commercializzazione dei prodotti di cui trattasi non sia più subordinata a una procedura
di autorizzazione preventiva, ma esclusivamente sottoposta a una procedura di notifica.
Giudizio della Corte
17 La libera circolazione delle merci tra gli Stati membri è un principio fondamentale del
Trattato CE che trova espressione nel divieto, enunciato all’art. 28 CE, delle restrizioni
quantitative all’importazione fra gli Stati membri nonché di qualsiasi misura di effetto
equivalente.
18 Il divieto delle misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative, enunciato
all’art. 28 CE, riguarda ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa
ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari
(sentenza 11 luglio 1974, causa 8/74, Dassonville, Racc. pag. 837, punto 5; 12 marzo
1987, causa 178/84, Commissione/Germania, detta «Legge di purezza per la birra», Racc.
pag. 1227, punto 27, e 16 gennaio 2003, causa C-12/00, Commissione/Spagna, Racc.
pag. I-459, punto 71).
19 Per quanto riguarda la commercializzazione in uno Stato membro di prodotti
legalmente fabbricati e commercializzati in un altro Stato membro, e in mancanza di
armonizzazione comunitaria, un obbligo come quello imposto nella fattispecie dall’art. 8
del decreto legislativo n. 111/92, in forza del quale alimenti adattati ad un intenso sforzo
muscolare e destinati soprattutto agli sportivi siano soggetti ad una procedura di
autorizzazione preventiva nonché al pagamento delle spese amministrative ad essa
collegate, rende la commercializzazione di tali alimenti più difficile e costosa (v., in tal
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senso, sentenze 3 giugno 1999, causa C-33/97, Colim, Racc. pag. I-3175, punto 36, e 16
novembre 2000, causa C-217/99, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-10251, punto 17). Di
conseguenza, essa ostacola gli scambi tra gli Stati membri e costituisce una misura di
effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione ai sensi
dell’art. 28 CE.
20 È vero che, secondo la giurisprudenza della Corte, una normativa nazionale che
assoggetti ad autorizzazione preventiva l’uso di una sostanza nutritiva in un prodotto
alimentare legalmente fabbricato e/o commercializzato in altri Stati membri non è, in
linea di principio, contraria al diritto comunitario qualora siano soddisfatte talune
condizioni (v., in tal senso, sentenza 16 luglio 1992, causa C-344/90,
Commissione/Francia, Racc. pag. I-4719, punto 8, e sentenza in pari data, causa C-24/00,
Commissione/Francia, Racc. pag. I-0000, punti 25-27).
21 Tuttavia, un obbligo come quello di cui al caso di specie può essere giustificato solo
da una delle ragioni d’interesse generale elencate nell’art. 30 CE, come la tutela della
salute e della vita delle persone, o da una delle esigenze imperative dirette, segnatamente,
alla difesa dei consumatori (v., in particolare, sentenze 20 febbraio 1979, causa 120/78,
Rewe-Zentral, detta «Cassis de Dijon», Racc. pag. 649, punto 8, e 19 giugno 2003, causa
C-420/01, Commissione/Italia, Racc. pag. I-6445, punto 29).
22 Secondo costante giurisprudenza, spetta alle autorità nazionali competenti dimostrare,
da un lato, che la loro normativa è necessaria per conseguire uno o più obiettivi
menzionati all’art. 30 CE o per soddisfare esigenze imperative e, se del caso, che la
commercializzazione dei prodotti in questione presenta un serio rischio per la salute
umana e, dall’altro, che essa è conforme al principio di proporzionalità (v., in tal senso,
sentenze 30 novembre 1983, causa 227/82, Van Bennekom, Racc. pag. 3883, punto 40;
13 marzo 1997, causa C-358/95, Morellato, Racc. pag. I-1431, punto 14; 8 maggio 2003,
causa C-14/02, ATRAL, Racc. pag. I-4431, punto 67, e sentenza Commissione/Italia, cit.,
punto 30).
23 Nella fattispecie il governo italiano non ha dimostrato che la procedura di
autorizzazione preliminare alla commercializzazione degli alimenti per sportivi sia
giustificata da una delle ragioni di interesse generale elencate all’art. 30 CE,
segnatamente la tutela della salute pubblica, e proprozionata ad essa.
24 Malgrado le richieste della Commissione, il governo italiano non ha provato alcuno
degli asseriti rischi per la salute pubblica che i prodotti di cui trattasi potrebbero
presentare. Il detto governo si è astenuto dal precisare quali studi scientifici o rapporti
medici fossero alla base delle linee guida allegate e non ha fornito indicazioni di massima
sui rischi asseritamente identificati. Inoltre, non ha chiarito quale nesso vi sia tra la
procedura in questione e l’asserito rischio per la salute pubblica né spiegato per quale
motivo una tutela del genere sarebbe più efficace rispetto ad altre forme di controllo e
quindi proporzionata allo scopo perseguito.
25 Del resto, se, come ha sostenuto la Commissione, la procedura in questione riguarda,
in realtà, piuttosto la difesa dei consumatori, il governo italiano non ha neppure
dimostrato sotto quale profilo tale procedura sia necessaria e proporzionata al detto
scopo. Infatti, esistono misure meno restrittive per evitare tali rischi residuali di ingannare
i consumatori, tra cui figurano, in particolare, la notifica all’autorità competente da parte
del fabbricante o del distributore del prodotto di cui si tratta della commercializzazione
del detto prodotto, accompagnata da una copia dell’etichetta, e l’obbligo per il
fabbricante o il distributore del prodotto in parola di fornire, in caso di dubbio, la prova
della veridicità sostanziale dei dati di fatto menzionati nell’etichetta (v., in tal senso,
sentenze 28 gennaio 1999, causa C-77/97, Unilever, Racc. pag. I-431, punto 35, e 23
gennaio 2003, causa C-221/00, Commissione/Austria, Racc. pag. I-1007, punti 49 e 52).
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26 Alla luce dell’insieme delle circostanze sin qui esposte, occorre dichiarare che,
mantenendo in vigore una legislazione che subordina la commercializzazione di prodotti
alimentari per sportivi, legalmente fabbricati e commercializzati in altri Stati membri,
all’obbligo di richiedere un’autorizzazione preventiva e allo svolgimento della relativa
procedura, senza aver dimostrato il carattere necessario e proporzionato di tale obbligo, la
Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli artt.
28 CE e 30 CE.
Per questi motivi,
LA CORTE (Terza Sezione)
dichiara e statuisce:
Mantenendo in vigore una legislazione che subordina la commercializzazione di prodotti
alimentari per sportivi, legalmente fabbricati e commercializzati in altri Stati membri,
all’obbligo di richiedere un’autorizzazione preventiva e allo svolgimento della relativa
procedura, senza aver dimostrato il carattere necessario e proporzionato di tale obbligo, la
Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli
artt. 28 CE e 30 CE.
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19. Causa T-216/02,
Fieldturf Inc., con sede in Montreal (Canada),
ricorrente,
contro
Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno
(marchi, disegni e modelli) (UAMI),
convenuto,
avente ad oggetto il ricorso proposto avverso la decisione 15 maggio 2002 della prima
commissione di ricorso dell'UAMI (caso R 462/2001-1), riguardante la registrazione
come marchio comunitario del marchio denominativo LOOKS LIKE GRASS... FEELS
LIKE GRASS... PLAYS LIKE GRASS,
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quarta Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Fatti
1 Il 19 giugno 2000 la ricorrente ha presentato all’Ufficio per l’armonizzazione nel
mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) una domanda di marchio
comunitario ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul
marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), nella versione successivamente
modificata.
2 Il marchio denominativo di cui è stata chiesta la registrazione è LOOKS LIKE
GRASS… FEELS LIKE GRASS… PLAYS LIKE GRASS.
3 I prodotti e servizi per i quali è stata chiesta la registrazione del marchio rientrano nelle
classi 27 e 37 ai sensi dell’accordo di Nizza sulla classificazione internazionale dei
prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi del 15 giugno 1957, nella
versione successivamente rivista e modificata e corrispondono, per ciascuna delle dette
classi, alla seguente descrizione:
– classe 27: «Rivestimento sintetico consistente in nastri in fibre sintetiche disposti in
senso verticale su un supporto e parzialmente coperti con un riempitivo composto da un
miscuglio di sabbia e particelle elastiche per calcio, football, lacrosse, hockey su prato,
golf e altre attività atletiche»;
– classe 37: «Installazione di rivestimento sintetico consistente in nastri in fibre sintetiche
disposti in senso verticale su un supporto e parzialmente coperti con un riempitivo
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composto da un miscuglio di sabbia e particelle elastiche per calcio, football, lacrosse,
hockey su prato, golf e altre attività atletiche».
4 Con decisione 13 marzo 2001 l’esaminatore ha considerato che il marchio richiesto non
era idoneo ad essere registrato ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94
per i prodotti e i servizi contemplati nella domanda. L’esaminatore ha considerato che il
marchio richiesto è composto esclusivamente da uno slogan molto semplice privo di ogni
carattere distintivo rispetto ai prodotti e servizi considerati. A suo parere, la formulazione
del marchio richiesto può facilmente essere percepita dal pubblico interessato come
facente diretto ed immediato rinvio a un aspetto auspicabile delle superfici sintetiche. La
risonanza retorica, il tono enfatico e la forma simmetrica rivendicati non sarebbero
sufficienti a conferire al marchio richiesto un qualsiasi carattere distintivo. Il fatto che
tale marchio sia stato registrato negli Stati Uniti non costituirebbe una ragione sufficiente
per concludere che tale marchio è un marchio distintivo.
5 Il 3 maggio 2001 la ricorrente ha proposto presso l’UAMI, avverso la decisione
dell’esaminatore, un ricorso ai sensi dell’art. 59 del regolamento n. 40/94. La memoria
con i motivi del ricorso è stata depositata il 12 luglio 2001. L’esaminatore non accoglieva
il ricorso e questo veniva deferito alla prima commissione di ricorso in data 20 luglio
2001, in base all’art. 60, n. 2, del regolamento n. 40/94.
6 Con decisione 15 maggio 2002 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), notificata alla
ricorrente il 17 maggio 2002, la prima commissione di ricorso respingeva il ricorso.
7 La commissione di ricorso ha in sostanza considerato che il marchio richiesto emette un
messaggio chiaro e diretto che informa il consumatore interessato che le superfici
sintetiche della ricorrente hanno proprietà molto simili a quelle dell’erba e che la
ricorrente installa superfici sintetiche aventi siffatte proprietà. La commissione di ricorso
ha aggiunto che il consumatore interessato non sarebbe in grado di distinguere i prodotti e
i servizi della ricorrente da quelli dei concorrenti, pure essi desiderosi di comunicare, con
un linguaggio semplice, il fatto che le loro superfici sintetiche assomigliano all’erba. La
commissione di ricorso ha considerato che la mancanza di carattere distintivo inerente al
marchio richiesto era confermata dal risultato di una ricerca su Internet, da dove risulta
che altri diffusori di prodotti analoghi utilizzano comunemente termini come «looks like
grass», «feels like grass» e «plays like grass» sia soli, sia in combinazioni analoghe o
identiche a quelle del marchio richiesto. Infine, dopo aver considerato gli slogan che sono
stati registrati come marchi dall’UAMI, la commissione di ricorso rileva che non vi sono
orientamenti particolari da seguire nella valutazione degli slogan dal momento che
ciascun caso dev’essere valutato sulla base dei suoi meriti specifici rispetto ai prodotti e
ai servizi designati.
Procedimento e conclusioni delle parti
8 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 17 luglio 2002 la
ricorrente ha proposto il presente ricorso.
9 Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quarta Sezione) ha deciso di passare alla
fase orale.
10 Informato del fatto che la ricorrente non sarebbe comparsa all’udienza del 17
dicembre 2003, neppure l’UAMI si è presento. Il Tribunale ha preso atto dell’assenza
delle parti nel verbale d’udienza.
11 La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:
– annullare la decisione impugnata;
– ordinare all’UAMI di registrare il marchio richiesto per tutti i prodotti e servizi
designati nella richiesta di marchio;
– condannare l’UAMI alle spese.
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12 L’UAMI conclude che il Tribunale voglia:
– dichiarare il ricorso irricevibile nella parte in cui ha ad oggetto l’ordine di registrare il
marchio richiesto;
– dichiarare il ricorso per il resto infondato;
– condannare la ricorrente alle spese.
Sulla ricevibilità della domanda di ingiunzione
Argomenti delle parti
13 La ricorrente chiede che all’UAMI venga fatta ingiunzione di registrare il marchio
richiesto per tutti i prodotti e servizi designati nella domanda di marchio.
14 L’UAMI sostiene che rivolgere una siffatta ingiunzione non è di competenza del
Tribunale.
Giudizio di Tribunale
15 Secondo costante giurisprudenza, nell’ambito di un ricorso proposto dinanzi al giudice
comunitario avverso la decisione di una commissione di ricorso dell’UAMI, questi,
conformemente all’art. 63, n. 6, del regolamento n. 40/94, è tenuto ad adottare tutte le
misure che l’esecuzione della sentenza del detto giudice comporta. Pertanto, non è di
competenza del Tribunale emettere provvedimenti ingiuntivi a carico dell’UAMI
[sentenze del Tribunale 31 gennaio 2001, causa T-331/99, Mitsubishi HiTec Paper
Bielefeld/UAMI (Giroform), Racc. pag. II-433, punto 33, e 23 ottobre 2002, causa
T-388/00, Institut für Lernsysteme/UAMI – Educational Services (ELS), Racc. pag. II4301, punto 19].
16 Il secondo punto delle conclusioni, dove la ricorrente chiede che il Tribunale ingiunga
all’UAMi di registrare il marchio richiesto, dev’essere pertanto dichiarato irricevibile.
Nel merito
17 La ricorrente adduce, in sostanza, due motivi relativi, rispettivamente, alla violazione
dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 e alla violazione dell’art. 73 del
medesimo regolamento.
Sul primo motivo, che deduce la violazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento
n. 40/94
Argomenti delle parti
18 La ricorrente sostiene che il marchio richiesto presenta il minimo di carattere
distintivo richiesto per giustificare la sua registrazione e aggiunge che, quanto meno nei
confronti dei servizi considerati nella domanda di marchio, tale marchio non è descrittivo.
19 Infatti, il marchio richiesto presenterebbe una struttura grammaticale e ritmica poco
comune. L’uso multiplo delle parole «like grass» conferirebbe al marchio richiesto un
carattere poetico e una risonanza retorica e la sua simmetrica composizione in tre parti
creerebbe un tono enfatico, effetti che consentirebbero al consumatore di riconoscere e di
memorizzare il detto marchio come un’indicazione dell’origine dei prodotti e servizi della
ricorrente. Il marchio richiesto sarebbe immaginativo e avrebbe un carattere visivo in
ragione della regolare ripetizione in una medesima sequenza composta da un verbo
monosillabico, da «like», da «grass» e da «…». Il significato del marchio richiesto
sarebbe vago e multiplo, tenuto conto del fatto che le parole «look», «feel» e «play»
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potrebbero essere intese in un senso sia transitivo che intransitivo. «Plays like grass», in
particolare, non sarebbe una costruzione comune e suggerirebbe il seguente senso
inusuale: qualche cosa gioca nello stesso modo che l’erba gioca.
20 Inoltre, la decisione impugnata sarebbe in contrasto con la sentenza del Tribunale 11
dicembre 2001, causa T-138/00, Erpo Möbelwerk/UAMI (DAS PRINZIP DER
BEQUEMLICHKEIT) (Racc. pag. II-3739), dove il Tribunale avrebbe giudicato che un
rifiuto basato sull’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 è giustificato solo se viene
dimostrato che la combinazione delle parole di cui trattasi è usata comunemente nei
messaggi commerciali, in particolare pubblicitari, per i prodotti e i servizi designati. A
questo proposito, le pubblicità citate dalla commissione di ricorso in una nota a fondo
pagina al punto 12 della decisione impugnata sarebbero prive di pertinenza, dal momento
che riguarderebbero unicamente il marchio americano. Una di esse sarebbe peraltro il
risultato di un utilizzo autorizzato del marchio americano LOOKS LIKE GRASS…
FEELS LIKE GRASS… PLAYS LIKE GRASS di cui la ricorrente sarebbe titolare.
21 L’UAMI resta dell’avviso che la commissione di ricorso era legittimata a considerare
il marchio richiesto non distintivo nei confronti del pubblico destinatario per i prodotti e i
servizi designati.
Giudizio del Tribunale
22 A tenore dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, viene negata la
registrazione per i «marchi privi di carattere distintivo».
23 Sono privi di carattere distintivo, ai sensi della summenzionata disposizione, i segni
che sono inidonei a svolgere la funzione essenziale del marchio, cioè quella di
identificare l’origine del prodotto o del servizio al fine di consentire così al consumatore
che acquista il prodotto o il servizio designato dal marchio di operare, in occasione di un
ulteriore acquisto, la stessa scelta qualora l’esperienza si rivelasse positiva o di fare
un’altra scelta se la stessa si rivelasse negativa [sentenze del Tribunale 27 febbraio 2002,
causa T-79/00, Rewe-Zentral/UAMI (LITE), Racc. pag. II-705, punto 26; 20 novembre
2002, cause riunite T-79/01 e T-86/01, Bosch/UAMI (Kit Pro e Kit Super Pro), Racc.
pag. II-4881, punto 19; 5 dicembre 2002, causa T-130/01, Sykes Enterprises/UAMI
(REAL PEOPLE, REAL SOLUTIONS), Racc. pag. II-5179, punto 18, e 30 aprile 2003,
cause riunite T-324/01 e T-110/02, Axions e Belce/UAMI (Forma di sigaro dal colore
bruno e forma di lingotto dorato), Racc. pag. II-1897, punto 29].
24 I marchi considerati all’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 sono, in
particolare, quelli che, dal punto di vista del pubblico destinatario, sono comunemente
usati nel commercio per la presentazione dei prodotti o dei servizi interessati, o al
riguardo dei quali esistono quanto meno indizi concreti che permettono di concludere che
essi sono idonei ad essere usati in tal modo (sentenze Kit Pro e Kit Super Pro, cit., punto
19, e Forma di sigaro dal colore bruno e forma di lingotto dorato, cit., punti 44 e 45).
25 La registrazione di un marchio composto da segni o da indicazioni che siano peraltro
utilizzati come slogan commerciali, indicazioni di qualità o espressioni che invitano ad
acquistare i prodotti o i servizi cui il detto marchio si riferisce non è esclusa, di per sé, a
motivo di una siffatta utilizzazione. Tuttavia, un segno che, come uno slogan
commerciale, soddisfi funzioni diverse da quelle del marchio è distintivo, nel senso di cui
all’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, solo se può essere percepito prima facie
come uno strumento di identificazione dell’origine commerciale dei prodotti o dei servizi
considerati, affinché il pubblico destinatario distingua senza possibilità di confusione i
prodotti o i servizi del titolare del marchio da quelli aventi un’altra origine commerciale
(sentenza REAL PEOPLE, REAL SOLUTIONS, cit., punti 19 e 20).
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26 Infine, il carattere distintivo di un marchio può essere valutato solamente, da una
parte, rispetto ai prodotti o ai servizi per cui viene richiesta la registrazione e, dall’altra,
rispetto alla comprensione che ne ha il pubblico destinatario (sentenze LITE, cit., punto
27; Kit Pro e Kit Super Pro, cit., punto 20, e Forma di sigaro di colore bruno e forma di
lingotto dorato, cit., punto 30).
27 Per quanto riguarda i prodotti e i servizi designati, si tratta del prato sintetico e dei
servizi per la posa in opera di tale prodotto.
28 Per quanto riguarda il pubblico destinatario, si deve considerare che non è composto
soltanto da club e federazioni sportive e da organizzatori di avvenimenti sportivi, ma più
in generale dai consumatori finali normalmente accorti e avveduti, i quali possono infatti
essere indotti, per i loro bisogni personali, a fare ricorso ai prodotti e ai servizi della
ricorrente. Del resto, poiché il marchio richiesto è in lingua inglese, il pubblico
destinatario è un pubblico anglofono (v., in tal senso, sentenza Kit Pro e Kit Super Pro,
cit., punto 21).
29 Per quanto riguarda il marchio richiesto, con il suo principale argomento la ricorrente
sostiene che, tenuto conto della struttura grammaticale e ritmica assertivamente insolite, il
marchio LOOKS LIKE GRASS… FEELS LIKE GRASS… PLAYS LIKE GRASS
presenterebbe il minimo di capacità distintiva richiesto per giustificarne la registrazione.
La ricorrente si avvale della struttura simmetrica di tale marchio e ne rivendica il
carattere poetico, ritmico e una «risonanza» retorica.
30 Per quanto riguarda i prodotti designati nella domanda di marchio, non va rimessa in
discussione la valutazione operata dalla commissione di ricorso, secondo la quale il
marchio richiesto non presenta, di per sé, elementi idonei a conferirgli un carattere
distintivo. Infatti, come giustamente rilevato dall’UAMI, il marchio richiesto è solo la
concatenazione banale di tre affermazioni, inequivocabili, relative alle proprietà del
prodotto. Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, l’espressione «plays like
grass» non suggerisce assolutamente l’inusuale sensazione «qualche cosa gioca come
l’erba gioca». Il marchio LOOKS LIKE GRASS… FEELS LIKE GRASS… PLAYS
LIKE GRASS suggerisce al contrario il seguente senso chiaro e diretto: «Ha lo stesso
aspetto dell’erba… Procura la medesima sensazione dell’erba… E’ adatto tanto quanto
l’erba». Questo marchio informa pertanto direttamente il pubblico destinatario che i
prodotti contemplati dalla domanda di marchio (superficie di prato sintetico) presentano
qualità analoghe a quelle dell’erba naturale.
31 Il Tribunale considera inoltre, alla pari dell’UAMI, che il marchio richiesto non
presenta alcuna «risonanza» retorica, alcun carattere poetico né ritmo particolare idonei a
conferirgli carattere distintivo. Anche supponendo che tale marchio produca siffatti
effetti, questi sarebbero comunque molto diffusi e non indurrebbero il consumatore
destinatario a ravvisarvi alcunché di diverso da una formula commerciale applicabile ai
prati sintetici in generale e, quindi, inidonea a designare l’origine dei detti prodotti.
32 Per quanto riguarda i servizi designati nella domanda di marchio, la commissione di
ricorso e l’UAMI applicano ad essi il medesimo ragionamento applicato ai prodotti.
Pertanto, al punto 11 della decisione impugnata, la commissione di ricorso, dopo aver
constatato che il marchio richiesto è chiaramente inteso a informare i consumatori che i
prodotti designati nella domanda di marchio presentano qualità analoghe a quelle
dell’erba naturale, aggiunge che, «parimenti, [tale marchio] informa i consumatori che la
ricorrente installa (servizi della classe 37) prati sintetici che presentano tali
caratteristiche».
33 Non è dato da escludere che, nei confronti dei servizi di posa in opera di prati sintetici,
il marchio richiesto possa avere carattere distintivo. Tuttavia, è giocoforza constatare che
la ricorrente ha chiesto la registrazione di tale marchio sia per il prato sintetico sia per i
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servizi di posa in opera di tale prodotto, senza operare distinzioni e, in particolare, senza
chiedere la limitazione della sua domanda di marchio ai soli servizi nel caso in cui la
domanda fosse respinta rispetto ai prodotti. Tale situazione è assimilabile a quella
riscontrata nel caso in cui la domanda di marchio verte su tutta una classe ai sensi
dell’accordo di Nizza, senza limitazione da parte del richiedente del marchio [sentenze
del Tribunale 27 febbraio 2002, causa T-106/00, Streamserve/UAMI (STREAMSERVE),
Racc. pag. II-723, punto 46; 20 marzo 2002, causa T-355/00, DaimlerChrysler/UAMI
(TELE AID), Racc. pag. II-1939, punto 40, e 26 novembre 2003, causa T-222/02,
HERON Robotunits/UAMI (ROBOTUNITS), Racc. pag. II-4995, punto 46]. Tale
situazione rende conto, ugualmente e soprattutto, del fatto che i servizi e i prodotti
designati nella domanda di marchio della ricorrente sono indissociabilmente connessi,
poiché l’oggetto di tali servizi può essere soltanto l’installazione di tali prodotti (v., per
un esempio di presa in considerazione del nesso che lega prodotti a servizi, sentenza
TELE AID, cit., punto 35). In questo ambito, la commissione di ricorso ha correttamente
applicato una soluzione comune ai prodotti e ai servizi considerati nella domanda di
marchio, considerando che il marchio richiesto non era, sia nei confronti degli uni sia
degli altri, idoneo ad essere considerato prima facie come uno strumento di
identificazione dell’origine, bensì solo come uno slogan commerciale che informa il
consumatore del fatto che il prato artificiale commercializzato e posto in opera dalla
ricorrente presenta proprietà simili a quelle del prato naturale.
34 Per quanto riguarda l’affermazione della ricorrente, secondo la quale la decisione
impugnata, non fornendo la prova del fatto che il marchio richiesto sarebbe di uso
comune, sarebbe in contrasto con la citata sentenza DAS PRINZIP DER
BEQUEMLICHKEIT, basta indicare che, secondo la giurisprudenza successiva a tale
sentenza, i marchi considerati dall’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 sono non
soltanto quelli comunemente utilizzati in commercio per la presentazione dei prodotti o
dei servizi interessati, ma anche quelli che sono soltanto idonei ad esserlo (v., in tal senso,
sentenza Kit Pro e Kit Super Pro, cit., punto 19, e la giurisprudenza ivi citata). Orbene,
constatando in sostanza che il marchio richiesto informa i consumatori in termini comuni
della natura e dei vantaggi o della qualità dei prodotti e dei servizi interessati, la
commissione di ricorso, al punto 11 della decisione impugnata, ha sufficientemente
dimostrato dal punto di vista giuridico che tale marchio è idoneo ad essere comunemente
utilizzato nel commercio per la presentazione di tali prodotti e servizi.
35 Dall’insieme di tali circostanze consegue che il marchio richiesto non è idoneo ad
essere considerato, prima facie, come uno strumento di identificazione dell’origine
commerciale dei prodotti e dei servizi considerati, bensì come un semplice slogan
commerciale (v., in tal senso, sentenza REAL PEOPLE, REAL SOLUTIONS, cit., punti
20 e 28).
36 Ciò considerato, il motivo è infondato e va respinto.
Sul secondo motivo, che deduce la violazione dell’art. 73 del regolamento n. 40/94
Argomenti delle parti
37
La ricorrente rimprovera all’UAMI la violazione dell’art. 73 del regolamento n. 40/94 in
quanto non avrebbe avuto la possibilità di presentare osservazioni sul risultato di una
ricerca effettuata su Internet dalla commissione di ricorso e da questa citata in una nota a
fondo pagina al punto 12 della decisione impugnata.
38 L’UAMI nega che la commissione di ricorso abbia violato l’art. 73 del regolamento
n. 40/94.
Giudizio del Tribunale
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39 Secondo l’art. 73 del regolamento n. 40/94, le decisioni dell’UAMI possono essere
basate soltanto su motivi sui quali le parti hanno potuto prendere posizione.
40 Non è contestato che la ricerca su Internet evocata nella decisione impugnata non è
stata comunicata alla ricorrente.
41 Tuttavia, tale circostanza non è tale da comportare l’annullamento della decisione
impugnata. Infatti, la commissione di ricorso è pervenuta nella decisione impugnata alla
conclusione che il marchio richiesto è intrinsecamente privo di carattere distintivo a
seguito di un ragionamento autonomo rispetto al detto riferimento alla ricerca su Internet,
ragionamento che del resto era già noto alla ricorrente per essere stato quello seguito
dall’esaminatore. Il riferimento controverso alla ricerca su Internet è stato operato
unicamente al fine di confermare l’esattezza di tale conclusione.
42 Ciò considerato, il motivo che deduce la violazione dell’art. 73 del regolamento
n. 40/94 va respinto.
43 Tenuto conto di tutto quanto sopra precede, il ricorso è infondato e va respinto.
Per questi motivi,
IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)
dichiara e statuisce:
Il ricorso è respinto.
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20. Causa C-429/02,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell'art. 234 CE, dalla Cour de cassation (Francia) nella causa dinanzi ad essa pendente
tra
Bacardi France SAS, già Bacardi-Martini SAS,
e
Télévision française 1 SA (TF1),
Groupe Jean-Claude Darmon SA,
Girosport SARL,
domanda vertente sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 3 ottobre 1989,
89/552/CEE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività
televisive (GU L 298, pag. 23), nonché dell'art. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a
modifica, art. 49 CE),
LA CORTE (Grande Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con sentenza 19 novembre 2002, pervenuta nella cancelleria della Corte il 27
novembre successivo, la Cour de cassation ha posto, ai sensi dell’art. 234 CE, due
questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 3 ottobre
1989, 89/552/CEE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività
televisive (GU L 298, pag. 23), nonché dell’art. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a
modifica, art. 49 CE).
2 Tali questioni sono state sollevate nell’ambito di una controversia tra la Bacardi France
SAS, già Bacardi-Martini SAS (in prosieguo: la «Bacardi»), e la Télévision française 1
SA (in prosieguo: la «TF1»), il Groupe Jean-Claude Darmon SA (in prosieguo: la
«Darmon») nonché la Girosport SARL (in prosieguo: la «Girosport») e diretta a far
ingiungere a queste ultime tre società la cessazione dell’esercizio di pressioni su alcuni
clubs stranieri affinché gli stessi rifiutino la pubblicità di bevande alcoliche prodotte dalla
Bacardi su pannelli pubblicitari collocati nei luoghi di eventi sportivi cosiddetti
«binazionali» che si svolgono sul territorio di altri Stati membri.
Quadro giuridico
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La normativa comunitaria
3 La direttiva 89/552 è diretta ad eliminare le restrizioni alla libera prestazione dei servizi
di trasmissione di programmi televisivi. A tal fine, essa sancisce il principio della libertà
di ricezione e di diffusione delle trasmissioni transfrontaliere e coordina le leggi
applicabili a queste ultime nei vari Stati membri in settori quale la pubblicità televisiva.
Ai sensi del sistema posto in essere da tale direttiva, spetta allo Stato membro di origine
disciplinare e controllare le trasmissioni transfrontaliere nel rispetto delle disposizioni
minime che essa prescrive. Per contro, nei settori coordinati da tale direttiva, gli Stati
membri di destinazione, in via di principio, non sono più competenti.
Definizioni
4 La nozione di «pubblicità televisiva» è definita all’art. 1, lett. b), della direttiva 89/552
come «ogni forma di messaggio televisivo trasmesso dietro compenso o pagamento
analogo da un’impresa pubblica o privata nell’ambito di un’attività commerciale,
industriale, artigiana o di una libera professione, allo scopo di promuovere la fornitura,
dietro compenso, di beni o di servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le
obbligazioni».
Disposizioni di merito
5 L’art. 2, n. 2, primo comma, prima frase, della direttiva 89/552 prevede quanto segue:
«Gli Stati membri assicurano la libertà di ricezione e non ostacolano la ritrasmissione sul
proprio territorio di trasmissioni televisive provenienti da altri Stati membri per ragioni
attinenti ai settori coordinati dalla presente direttiva».
6 L’art. 10, n. 1, di tale direttiva precisa che:
«La pubblicità televisiva deve essere chiaramente riconoscibile come tale ed essere
nettamente distinta dal resto del programma con mezzi ottici e/o acustici».
7 L’art. 11, n. 1, prima frase, della stessa direttiva dispone che «[l]a pubblicità deve
essere inserita tra le trasmissioni».
8 L’art. 11, n. 2, della direttiva 89/552 così dispone:
«Nelle trasmissioni composte di parti autonome o in quelle sportive, nelle cronache e
negli spettacoli di analoga struttura comprendenti degli intervalli, la pubblicità può essere
inserita soltanto tra le parti autonome o negli intervalli».
La normativa nazionale
Disposizioni di merito
9 La legge n. 91-32, del 10 gennaio 1991, relativa alla lotta contro il tabagismo e
l’alcolismo, detta «legge “Evin”» (JORF del 12 gennaio 1991, pag. 615; in prosieguo: la
«legge Evin»), ha modificato in particolare gli artt. L.17-L.21 del codice delle rivendite di
bevande, che limitano la pubblicità di alcune bevande alcoliche, cioè bevande con
contenuto alcolico superiore a 1,2°.
10 Ai sensi di tali disposizioni, la pubblicità televisiva diretta o indiretta di bevande
alcoliche è vietata. Tale divieto, del resto, è confermato dall’art. 8 del decreto n. 92-280,
del 27 marzo 1992, adottato in applicazione dell’art. 27 della legge 30 settembre 1986,
relativa alla libertà di comunicazione, che fissa i principi generali relativi al regime
applicabile alla pubblicità e alla sponsorizzazione (JORF del 28 marzo 1992, pag. 4313).
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11 Altre forme di pubblicità, invece, sono autorizzate dalla normativa francese. Così, ad
esempio, è ammessa la pubblicità di bevande alcoliche sulla stampa scritta, alla radio
(tranne che in determinati orari) o sotto forma di cartelloni e insegne, compresi i pannelli
pubblicitari collocati negli impianti sportivi ecc.
12 La violazione della legge Evin costituisce un «délit» ai sensi del diritto penale
francese.
Norme processuali
13 Ai sensi dell’art. 42, primo comma, della legge n. 86-1067, del 30 settembre 1986,
relativa alla libertà di comunicazione, detta «legge “Léotard”» (JORF del 1° ottobre 1986,
pag. 11755), spetta al Conseil supérieur de l’audiovisuel (in prosieguo: il «CSA») vigilare
sull’applicazione della legge Evin. In tale ambito, il CSA può richiamare gli operatori
incaricati della distribuzione dei programmi televisivi al rispetto dei loro obblighi e, nel
caso in cui questi ultimi non si conformino a quanto loro richiesto, può infliggere
sanzioni amministrative nei loro confronti. Per di più, il CSA può investire il procuratore
della Repubblica di ogni violazione commessa da tali operatori.
Misure di attuazione
14 Nel 1995 le autorità francesi, vale a dire il CSA nonché il Ministero della Gioventù e
degli Sport, e le emittenti televisive francesi hanno elaborato un codice di buona
condotta, pubblicato sul Bulletin officiel du Ministère de la Jeunesse et des Sports, che
conteneva l’interpretazione delle disposizioni della legge Evin con riferimento alla loro
applicazione alla diffusione televisiva di eventi sportivi che si svolgono all’estero (vale a
dire trasmissioni dirette o ritrasmissioni) nell’ambito dei quali siano esposte pubblicità di
bevande alcoliche, ad esempio su pannelli pubblicitari o sulle maglie degli atleti, e che, di
conseguenza, sono idonei a costituire una pubblicità televisiva indiretta di bevande
alcoliche ai sensi della detta legge.
15 Pur non essendo giuridicamente vincolante, il detto codice di buona condotta indica
che, per quanto riguarda gli eventi binazionali che si svolgono all’estero, denominati in
tale codice «altri eventi», le emittenti francesi nonché tutte le altre parti soggette al diritto
francese (in prosieguo, congiuntamente, le «emittenti francesi»), che non controllano le
riprese, devono ricorrere ai mezzi disponibili per evitare che appaiano alla televisione
marchi commerciali relativi a bevande alcoliche. In tal modo, l’emittente francese,
quando acquista diritti di ritrasmissione, deve informare le sue controparti straniere sui
requisiti della normativa francese e sulle disposizioni previste dal detto codice. Tale
emittente deve inoltre informarsi presso il titolare dei diritti di ritrasmissione, secondo le
sue possibilità materiali e prima della diffusione dell’evento sportivo, sulle pubblicità che
saranno esposte nel luogo in cui lo stesso si svolgerà. Infine, la detta emittente deve
utilizzare gli strumenti tecnici disponibili per evitare una ripresa televisiva dei pannelli
pubblicitari che reclamizzano bevande alcoliche.
16 Nel caso di eventi internazionali che si svolgono all’estero, invece, le emittenti
francesi non possono essere accusate di condiscendenza riguardo alle pubblicità che
appaiono sugli schermi allorché trasmettano immagini di cui esse non controllano le
riprese.
17 Nella versione applicabile alla controversia nella causa principale, il codice di buona
condotta definiva gli eventi internazionali come quelli «le cui immagini sono trasmesse in
un ampio numero di paesi e non possono quindi essere considerate come dirette
principalmente al pubblico francese». Gli eventi binazionali, a loro volta, erano definiti
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come «gli eventi sportivi che si svolgono all’estero diversi da quelli menzionati nel caso
precedente, la cui ritrasmissione sia specificamente diretta al pubblico francese».
18 Oltre all’elaborazione del codice di buona condotta, il CSA ha intrapreso alcune
iniziative presso le emittenti francesi al fine di ottenere che queste ultime richiedano
l’eliminazione dei pannelli pubblicitari che reclamizzano bevande alcoliche oppure
rinuncino completamente a trasmettere l’evento in questione. In almeno un caso, il detto
ente è giunto sino a presentare una denuncia al procuratore della Repubblica affinché
quest’ultimo adotti provvedimenti nei confronti di un’emittente francese.
Controversia nella causa principale e questioni pregiudiziali
19 La Bacardi è una società francese appartenente al gruppo internazionale BacardiMartini, attiva nella produzione e nella commercializzazione nella maggior parte dei
paesi del mondo di molte bevande alcoliche, tra cui il rhum Bacardi, il vermouth Martini
ed il pastis Duval.
20 La Darmon e la Girosport sono società la cui attività consiste nella negoziazione dei
diritti di ritrasmissione televisiva delle partite di calcio per conto della TF1.
21 Ritenendo che la Darmon e la Girosport avessero effettuato pressioni su clubs stranieri
affinché questi ultimi si rifiutassero di apporre sui pannelli pubblicitari collocati intorno
agli stadi i marchi Bacardi, quest’ultima citava in giudizio la Darmon, la Girosport e la
TF1 per far loro ingiungere la cessazione di tale comportamento in quanto incompatibile
con l’art. 59 del Trattato.
22 Poiché tale domanda veniva rigettata sia in primo grado sia in grado d’appello, la
Bacardi presentava ricorso in cassazione.
23 Nutrendo dubbi sulla compatibilità con il diritto comunitario del regime francese che
vieta la pubblicità televisiva di bevande alcoliche commercializzate in Francia, nella parte
in cui esso riguarda la pubblicità televisiva indiretta derivante dall’apparizione sullo
schermo di pannelli visibili durante la ritrasmissione di eventi sportivi binazionali che si
svolgono sul territorio di altri Stati membri (in prosieguo: il «regime di pubblicità
televisiva di cui trattasi nella causa principale»), la Cour de cassation ha deciso di
sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) se la direttiva 3 ottobre 1989, 89/552/CEE, detta “Televisione senza frontiere”, nella
versione anteriore a quella risultante dalla direttiva 30 giugno 1997, 97/36/CE, si
opponga a che una normativa interna come gli artt. L. 17-L. 21 del Code français des
débits de boissons e l’art. 8 del decreto 27 marzo 1992, n. 92-280 proibisca, per ragioni
legate alla tutela della sanità pubblica e con la minaccia di sanzioni penali, la pubblicità
alla televisione di bevande alcoliche, siano esse di origine nazionale o provengano da altri
Stati membri dell’Unione, sia che si tratti di spot pubblicitari ai sensi dell’art. 10 della
direttiva [(pubblicità diretta)] sia di pubblicità indiretta risultante dall’apparizione in
televisione di pannelli che promuovono bevande alcoliche senza costituire tuttavia
pubblicità clandestina ai sensi dell’art. 1, lett. c), della direttiva;
2) se l’art. 49 del Trattato CE e il principio di libera circolazione delle emissioni
televisive all’interno dell’Unione debbano essere interpretati nel senso che essi si
oppongono a che una normativa nazionale, come quella di cui agli artt. L. 17-L. 21 del
Code français des débits de boissons e all’art. 8 del decreto 27 marzo 1992, n. 92-280,
che proibisca, per ragioni legate alla tutela della sanità pubblica e con la minaccia di
sanzioni penali, la pubblicità alla televisione di bevande alcoliche, siano esse di origine
nazionale o provengano da altri Stati membri dell’Unione, sia che si tratti di spot
pubblicitari ai sensi dell’art. 10 della direttiva [(pubblicità diretta)] sia di pubblicità
indiretta risultante dall’apparizione in televisione di pannelli che promuovono bevande
alcoliche senza costituire tuttavia pubblicità clandestina ai sensi dell’art. 1, lett. c), della
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direttiva, abbia come effetto che gli operatori incaricati della diffusione e della
distribuzione dei programmi televisivi:
a) si astengano dal procedere alla diffusione di programmi televisivi, quali, in particolare,
la ritrasmissione di incontri sportivi, che abbiano luogo in Francia o in altri paesi
dell’Unione, poiché figurano pubblicità proibite ai sensi del Code français des débits de
boissons,
b) o vi procedano alla condizione che non appaiano le pubblicità proibite ai sensi del
Code français des débits de boissons, impedendo così la conclusione di contratti
pubblicitari relativi alle bevande alcoliche, siano esse di origine nazionale o provengano
da altri Stati membri dell’Unione».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione: obbligo di assicurare la libertà di ricezione e di ritrasmissione
24 Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’art. 2, n. 2,
primo comma, della direttiva 89/552 osti a che uno Stato membro vieti la pubblicità
televisiva di bevande alcoliche commercializzate nel detto Stato, laddove ciò riguardi la
pubblicità televisiva indiretta derivante dall’apparizione sullo schermo di pannelli visibili
durante la trasmissione di eventi sportivi binazionali che si svolgono sul territorio di altri
Stati membri.
In tale contesto, il detto giudice chiede se una simile pubblicità televisiva indiretta debba
essere considerata «pubblicità televisiva» ai sensi degli artt. 1, lett. b), 10 e 11 di tale
direttiva.
25 A tale proposito, occorre ricordare che l’art. 2, n. 2, primo comma, prima frase, della
direttiva 89/552 prevede per gli Stati membri l’obbligo di assicurare la libertà di ricezione
e di non ostacolare la ritrasmissione sul proprio territorio di trasmissioni televisive
provenienti da altri Stati membri per ragioni attinenti ai settori coordinati da tale direttiva.
Agli artt. 10-21, quest’ultima armonizza le norme relative alla pubblicità televisiva.
26 Ai sensi della definizione fornita all’art. 1, lett. b), della direttiva 89/552, la
«pubblicità televisiva» comprende «ogni forma di messaggio televisivo trasmesso dietro
compenso o pagamento analogo da un’impresa pubblica o privata nell’ambito di
un’attività commerciale, industriale, artigiana o di una libera professione, allo scopo di
promuovere la fornitura, dietro compenso, di beni o di servizi, compresi i beni immobili, i
diritti e le obbligazioni». Ai sensi dell’art. 10, n. 1, della stessa direttiva «[l]a pubblicità
televisiva deve essere chiaramente riconoscibile come tale ed essere nettamente distinta
dal resto del programma con mezzi ottici e/o acustici». L’art. 11, n. 1, prima frase, di tale
direttiva prevede che «[l]a pubblicità deve essere inserita tra le trasmissioni» e, al n. 2, lo
stesso art. 11 dispone che «[n]elle trasmissioni composte di parti autonome o in quelle
sportive, nelle cronache e negli spettacoli di analoga struttura comprendenti degli
intervalli, la pubblicità può essere inserita soltanto tra le parti autonome o negli
intervalli».
27 Nella causa principale, va rilevato che, per i motivi esposti dall’avvocato generale ai
paragrafi 48-52 delle sue conclusioni, la pubblicità televisiva indiretta di bevande
alcoliche derivante da pannelli ripresi sullo schermo durante la ritrasmissione di eventi
sportivi non costituisce un messaggio televisivo individuabile finalizzato alla promozione
di beni o di servizi. Per ragioni evidenti, è impossibile mostrare la detta pubblicità solo
durante gli intervalli tra le varie parti del programma televisivo in questione. Infatti, le
immagini di pannelli pubblicitari che appaiono sullo sfondo delle immagini trasmesse e,
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in modo irregolare ed imprevisto, in funzione delle esigenze di tale ritrasmissione, non
hanno natura individuabile nell’ambito della stessa.
28 Pertanto, una simile pubblicità televisiva indiretta non dev’essere considerata
«pubblicità televisiva» ai sensi della direttiva 89/552 e, quindi, non ricade nell’ambito di
applicazione della stessa.
29 Di conseguenza, la prima questione dev’essere risolta nel senso che l’art. 2, n. 2,
primo comma, prima frase, della direttiva 89/552 non osta a che uno Stato membro vieti
la pubblicità televisiva di bevande alcoliche commercializzate nel detto Stato, laddove ciò
riguardi la pubblicità televisiva indiretta derivante dall’apparizione sullo schermo di
pannelli visibili durante la ritrasmissione di eventi sportivi binazionali che si svolgono sul
territorio di altri Stati membri.
Una simile pubblicità televisiva indiretta non dev’essere considerata «pubblicità
televisiva» ai sensi degli artt. 1, lett. b), 10 e 11 di tale direttiva.
Sulla seconda questione: diritto alla libera prestazione dei servizi
30 Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’art. 59 del
Trattato (divenuto, in seguito a modifica, art. 49 CE) osti a che uno Stato membro vieti la
pubblicità televisiva di bevande alcoliche commercializzate nel detto Stato, laddove ciò
riguardi la pubblicità televisiva indiretta derivante dall’apparizione sullo schermo di
pannelli visibili durante la ritrasmissione di eventi sportivi binazionali che si svolgono sul
territorio di altri Stati membri.
31 L’art. 59 del Trattato prescrive l’eliminazione di qualsiasi restrizione alla libera
prestazione dei servizi, anche qualora la detta restrizione si applichi indistintamente ai
prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, allorché essa sia tale da vietare o da
ostacolare altrimenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro ove
fornisce legittimamente servizi analoghi (v., in tal senso, sentenze 25 luglio 1991, causa
C-76/90, Säger, Racc. pag. I-4221, punto 12, e 3 ottobre 2000, causa C-58/98, Corsten,
Racc. pag. I-7919, punto 33). Per di più, la libera prestazione dei servizi spetta sia al
prestatore sia al destinatario dei servizi (v., in tal senso, sentenza 31 gennaio 1984, cause
riunite 286/82 e 26/83, Luisi e Carbone, Racc. pag. 377, punto 16).
32 Tuttavia, la libera prestazione dei servizi, in assenza di misure comunitarie di
armonizzazione, può essere ristretta da normative nazionali giustificate dai motivi
menzionati all’art. 56, n. 1, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 46, n. 1,
CE), letto in combinato disposto con l’art. 66 del Trattato CE (divenuto art. 55 CE), o da
motivi imperativi di interesse generale (v., in tal senso, sentenza 6 novembre 2003, causa
C-243/01, Gambelli e a., Racc. pag. I-13031, punto 60).
33 Nel detto contesto, spetta agli Stati membri decidere il livello al quale intendono
garantire la tutela della sanità pubblica ed il modo in cui questo livello deve essere
raggiunto. Essi non possono tuttavia farlo se non nei limiti indicati dal Trattato e, in
particolare, nel rispetto del principio di proporzionalità (v. sentenza 25 luglio 1991, cause
riunite C-1/90 e C-176/90, Aragonesa de Publicidad Exterior e Publivía, Racc. pag. I4151, punto 16), il quale impone che i provvedimenti adottati siano idonei a garantire il
conseguimento dello scopo perseguito e non vadano oltre quanto necessario per il suo
raggiungimento (v., in particolare, sentenze Säger, cit., punto 15; 23 novembre 1999,
cause riunite C-369/96 e C-376/96, Arblade e a., Racc. pag. I-8453, punto 35; Corsten,
cit., punto 39, e 22 gennaio 2002, causa C-390/99, Canal Satélite Digital, Racc. pag. I607, punto 33).
34 Nella causa principale, dato che non esistono provvedimenti comunitari di
armonizzazione in materia, occorre pertanto esaminare successivamente tre punti, vale a
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dire l’esistenza di una restrizione ai sensi dell’art. 59 del Trattato, la possibilità di una
giustificazione di un regime di pubblicità televisiva come quello di cui trattasi nella causa
principale ai sensi dell’art. 56, n. 1, del detto Trattato, letto in combinato disposto con
l’art. 66 dello stesso, e la proporzionalità di tale regime.
35 In primo luogo, va rilevato che un regime di pubblicità televisiva come quello di cui
trattasi nella causa principale costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi
ai sensi dell’art. 59 del Trattato. Infatti, un simile regime comporta, da un lato, una
restrizione alla libera prestazione dei servizi pubblicitari in quanto i proprietari di pannelli
pubblicitari devono rifiutare, in via preventiva, ogni pubblicità di bevande alcoliche
qualora l’evento sportivo possa essere trasmesso in Francia. Dall’altro lato, lo stesso
regime ostacola la prestazione dei servizi di diffusione di programmi televisivi. Infatti, le
emittenti francesi devono rifiutare ogni ritrasmissione di eventi sportivi durante la quale
siano visibili pannelli pubblicitari che reclamizzano bevande alcoliche commercializzate
in Francia. Inoltre, gli organizzatori di eventi sportivi che si svolgono al di fuori del
territorio francese non possono vendere i diritti di ritrasmissione alle emittenti francesi,
dato che la diffusione dei programmi televisivi dedicati ai detti eventi può costituire una
pubblicità televisiva indiretta di tali bevande alcoliche.
36 Nel detto contesto, come risulta dai punti 28 e 29 della sentenza in data odierna, causa
C-262/02, Commissione/Francia (Racc. pag. I-6569), l’argomento del governo francese
vertente, da un lato, sugli strumenti tecnici che consentono di mascherare le immagini al
fine di oscurare in modo mirato i pannelli che reclamizzano bevande alcoliche e,
dall’altro, sull’applicazione non discriminatoria di tale regime di pubblicità televisiva a
tutte le bevande alcoliche, a prescindere dal fatto che esse siano state prodotte in Francia
o all’estero, non può essere accolto. Infatti, se è vero che esistono strumenti tecnici di
questo tipo, l’utilizzazione degli stessi implicherebbe per le emittenti francesi, tuttavia,
costi supplementari onerosi. Del resto, nell’ambito della libera prestazione dei servizi,
solo l’origine del servizio in questione può essere pertinente nel caso di specie.
37 In secondo luogo, va rilevato che un regime di pubblicità televisiva come quello di cui
trattasi nella causa principale persegue uno scopo di tutela della sanità pubblica ai sensi
dell’art. 56, n. 1, del Trattato, come ha affermato l’avvocato generale al paragrafo 69
delle sue conclusioni. Infatti, misure che limitano le possibilità di pubblicità per le
bevande alcoliche e cercano così di combattere l’alcolismo rispondono a preoccupazioni
di sanità pubblica (v. sentenze 10 luglio 1980, causa 152/78, Commissione/Francia, Racc.
pag. 2299, punto 17; Aragonesa de Publicidad Exterior e Publivía, cit., punto 15, e 8
marzo 2001, causa C-405/98, Gourmet International Products, Racc. pag. I-1795, punto
27).
38 In terzo luogo, va rilevato inoltre che un regime di pubblicità televisiva come quello di
cui trattasi nella causa principale è idoneo a conseguire lo scopo di tutela della sanità
pubblica da esso perseguito. Per di più, esso non va oltre quanto necessario per
conseguire tale obiettivo. Il detto regime riduce infatti i casi in cui possono essere visti
alla televisione i pannelli pubblicitari per le bevande alcoliche e, con ciò, è idoneo a
limitare la diffusione di tali messaggi, riducendo così le occasioni in cui i telespettatori
potrebbero essere indotti a consumare bevande alcoliche.
39 A tale proposito, come risulta dai punti 33-39 della citata sentenza in data odierna,
Commissione/Francia, gli argomenti svolti dalla Commissione e dal governo del Regno
Unito per dimostrare la natura sproporzionata di tale regime devono essere respinti.
40 Per quanto riguarda l’unico argomento sollevato dalla Bacardi che non è stato
esaminato nella citata sentenza in data odierna, Commissione/Francia, vale a dire
l’argomento secondo cui il regime di pubblicità televisiva di cui trattasi nella causa
principale sarebbe incongruente in quanto non riguarda la pubblicità di bevande alcoliche
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visibile in secondo piano sullo sfondo delle riprese, è sufficiente rispondere che tale
opzione rientra nella libera valutazione degli Stati membri, cui spetta decidere il livello al
quale intendono garantire la tutela della sanità pubblica e il modo in cui questo livello
deve essere raggiunto (v. sentenza Aragonesa de Publicidad Exterior e Publivía. cit.,
punto 16).
41 Di conseguenza, occorre risolvere la seconda questione nel senso che l’art. 59 del
Trattato non osta a che uno Stato membro vieti la pubblicità televisiva di bevande
alcoliche commercializzate nel detto Stato, laddove ciò riguardi la pubblicità televisiva
indiretta derivante dall’apparizione sullo schermo di pannelli visibili durante la
ritrasmissione di eventi sportivi binazionali che si svolgono sul territorio di altri Stati
membri.
Per questi motivi,
LA CORTE (Grande Sezione),
dichiara:
1) L’art. 2, n. 2, primo comma, prima frase, della direttiva del Consiglio 3 ottobre 1989,
89/552/CEE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività
televisive, non osta a che uno Stato membro vieti la pubblicità televisiva di bevande
alcoliche commercializzate nel detto Stato, laddove ciò riguardi la pubblicità televisiva
indiretta derivante dall’apparizione sullo schermo di pannelli visibili durante la
ritrasmissione di eventi sportivi binazionali che si svolgono sul territorio di altri Stati
membri. Una simile pubblicità televisiva indiretta non dev’essere considerata «pubblicità
televisiva» ai sensi degli artt. 1, lett. b), 10 e 11 di tale direttiva.
2) L’art. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 49 CE) non osta a che
uno Stato membro vieti la pubblicità televisiva di bevande alcoliche commercializzate nel
detto Stato, laddove ciò riguardi la pubblicità televisiva indiretta derivante
dall’apparizione sullo schermo di pannelli visibili durante la ritrasmissione di eventi
sportivi binazionali che si svolgono sul territorio di altri Stati membri.
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21. Procedimento C-338/02,
avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta alla Corte, ai sensi
dell'art. 234 CE, dallo Högsta domstolen (Svezia) con decisione 10 settembre 2002,
pervenuta in cancelleria il 23 settembre 2002, nella causa tra
Fixtures Marketing Ltd
e
Svenska Spel AB,
LA CORTE (Grande Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione dell’art. 7 della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 marzo 1996, 96/9/CEE, relativa alla
tutela giuridica delle banche di dati (GU L 77, pag. 20; in prosieguo: la «direttiva»).
2 Questa domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la società
Fixtures Marketing Ltd (in prosieguo: la «Fixtures») e la società Svenska Spel AB (in
prosieguo: la «Svenka Spel»). Tale controversia è sorta dall’uso da parte della Svenska
Spel, ai fini dell’organizzazione di scommesse, di dati relativi agli incontri di calcio dei
campionati inglese e scozzese.
Ambito normativo
La normativa comunitaria
3 La direttiva ha per oggetto, in base al suo art. 1, n. 1, la tutela giuridica delle banche di
dati, qualunque ne sia la forma. La banca di dati è definita, all’art. 1, n. 2, della direttiva,
come «una raccolta di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o
metodicamente disposti ed individualmente accessibili grazie a mezzi elettronici o in altro
modo».
4 L’art. 3 della direttiva istituisce una tutela a norma del diritto di autore a favore delle
«banche di dati che per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una
creazione dell’ingegno propria del loro autore».
5 L’art. 7 della direttiva istituisce un diritto sui generis nei termini seguenti:
«Oggetto della tutela
1.
Gli Stati membri attribuiscono al costitutore di una banca di dati il diritto di
vietare operazioni di estrazione e/o reimpiego della totalità o di una parte sostanziale del
contenuto della stessa, valutata in termini qualitativi o quantitativi, qualora il
conseguimento, la verifica e la presentazione di tale contenuto attestino un investimento
rilevante sotto il profilo qualitativo o quantitativo.
2. Ai fini del presente capitolo:
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a) per “estrazione”: si intende il trasferimento permanente o temporaneo della totalità o di
una parte sostanziale del contenuto di una banca di dati su un altro supporto con qualsiasi
mezzo o in qualsivoglia forma;
b) per “reimpiego”: si intende qualsiasi forma di messa a disposizione del pubblico della
totalità o di una parte sostanziale del contenuto della banca di dati mediante distribuzione
di copie, noleggio, trasmissione in linea o in altre forme. La prima vendita di una copia di
una banca dati nella Comunità da parte del titolare del diritto, o con il suo consenso,
esaurisce il diritto di controllare la rivendita della copia nella Comunità.
Il prestito pubblico non costituisce atto di estrazione o di reimpiego.
3.
Il diritto di cui al paragrafo 1 può essere trasferito, ceduto o essere oggetto di
licenza contrattuale.
4.
Il diritto di cui al paragrafo 1 si applica a prescindere dalla tutelabilità della banca
di dati a norma del diritto d’autore o di altri diritti. Esso si applica inoltre a prescindere
della tutelabilità del contenuto della banca di dati in questione a norma del diritto
d’autore o di altri diritti. La tutela delle banche di dati in base al diritto di cui al paragrafo
1 lascia impregiudicati i diritti esistenti sul loro contenuto.
5.
Non sono consentiti l’estrazione e/o il reimpiego ripetuti e sistematici di parti non
sostanziali del contenuto della banca di dati che presuppongano operazioni contrarie alla
normale gestione della banca dati o che arrechino un pregiudizio ingiustificato ai legittimi
interessi del costitutore della banca di dati».
La normativa nazionale
6 La tutela della banche di dati è disciplinata, nel diritto svedese, dal lagen (1960:729) om
upphovsrätt till litterära och konstnärliga verk (legge relativa al diritto della proprietà
letteraria e artistica, in prosieguo: la «legge del 1960»).
7 In forza dell’art. 49, n. 1, della legge del 1960, come modificata dalla legge n. 790 del
1997, relativa al recepimento della direttiva nel diritto svedese (in prosieguo: la «legge
del 1997»), colui che ha costituito una raccolta, una tabella o qualsiasi altra opera dello
stesso tipo in cui sia riunito un gran numero di dati, o che è il risultato di un investimento
rilevante, gode del diritto esclusivo di riprodurre questo lavoro e di renderlo pubblico.
8 La legge del 1960 non contiene alcuna disposizione analoga a quella dell’art. 7, n. 5,
della direttiva. Risulta tuttavia dai lavori preparatori della legge del 1997 che la tutela
derivante dall’art. 49 della legge del 1960 riguarda l’opera stessa o una parte sostanziale
di essa e che, di conseguenza, il diritto esclusivo non si estende alla copiatura di dati
particolari che figurano nell’opera, né a parti non sostanziali di questa. Tuttavia, in base a
questi lavori preparatori, un impiego ripetuto di parti non sostanziali dell’opera può
essere equiparato all’impiego di una parte sostanziale di essa.
La causa principale e le questioni pregiudiziali
9 L’organizzazione dei campionati di calcio professionistici spetta, in Inghilterra, alla
Football Association Premier League Ltd nonché alla Football League Ltd, e, in Scozia,
alla Scottish Football League. Essa comporta l’elaborazione di calendari degli incontri
che si devono svolgere nel corso della stagione di cui trattasi, ossia circa 2000 incontri
per stagione in Inghilterra e 700 incontri per stagione in Scozia. Queste informazioni
sono memorizzate sotto forma elettronica e vengono pubblicate, in particolare in
opuscoli, per ordine cronologico, da un lato, e per squadra interessata, dall’altro.
10 I lavori relativi all’elaborazione dei calendari degli incontri cominciano un anno prima
dell’inizio della stagione di cui trattasi.
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11 Gli organizzatori dei campionati di calcio inglese e scozzese hanno affidato alla
società Football Fixtures Ltd la gestione, mediante contratti di licenza, dell’uso fatto dei
calendari degli incontri di questi campionati. Alla Fixtures dal canto suo è stato concesso
il diritto di rappresentare i titolari dei diritti intellettuali collegati a questi calendari.
12 La Svenska Spel organizza in Svezia scommesse relative in particolare agli incontri
dei campionati di calcio inglese e scozzese. A tal fine, essa riproduce su schedine dati
relativi a questi incontri.
13 Nel febbraio 1999, la Fixtures, dopo aver proposto senza successo alla Svenska Spel
una licenza di sfruttamento contro pagamento di un canone, ha convenuto dinanzi al
Gotlands tingsrätt (Svezia) la Svenska Spel al fine di ottenere il risarcimento del danno
collegato all’uso da parte di quest’ultima, tra il 1° gennaio 1998 e il 16 maggio 1999, di
dati relativi ai calendari dei campionati di calcio inglese e scozzese. A sostegno della sua
azione in giudizio, essa ha fatto valere che le banche di dati che contengono le
informazioni relative ai detti calendari sono tutelate dall’art. 49 della legge del 1960 e che
l’uso da parte della Svenska Spel di informazioni tratte da questi calendari costituisce una
violazione dei diritti di proprietà intellettuale delle leghe di calcio.
14 Con sentenza 11 aprile 2000, il tingsrätt ha respinto la domanda della Fixtures
ritenendo che i calendari dei campionati di calcio beneficiassero, certo, della tutela
dovuta alle raccolte in quanto esse costituiscono il risultato di investimenti rilevanti, ma
che l’uso da parte della Svenska Spel di dati estratti da questi calendari non costituisse
una violazione dei diritti della Fixtures.
15 In appello, la Svea hovrätt (Svezia) ha confermato, con sentenza 3 maggio 2001, la
sentenza pronunciata in primo grado. Senza pronunciarsi esplicitamente sulla questione
se i calendari dei campionati di calcio siano tutelati in forza dell’art. 49 della legge del
1960, tale giudice ha ritenuto che non fosse dimostrato che le informazioni che figurano
sulle schedine della Svenska Spel fossero state estratte dalle banche di dati delle leghe di
calcio.
16 Dinanzi allo Högsta domstolen, la Fixtures chiede l’annullamento della sentenza di
appello.
17 Facendo presente che l’art. 49 della legge del 1960, come modificata dalla legge del
1997, deve, in quanto provvedimento di recepimento, essere interpretato alla luce della
direttiva, lo Högsta domstolen rileva che quest’ultima non precisa se, e, eventualmente, in
quale misura, occorra attribuire rilevanza all’obiettivo della banca di dati per valutare la
sua tutelabilità da parte del diritto sui generis. Esso nutre poi dubbi sulla natura degli
investimenti umani e finanziari che devono essere presi in considerazione per valutare
l’esistenza di un investimento rilevante. Si chiede anche cosa si debba intendere per
estrazione e/o reimpiego della totalità o di una parte sostanziale del contenuto della banca
di dati, nonché per gestione normale e pregiudizio ingiustificato nell’ambito di estrazioni
e/o reimpieghi di parti non sostanziali di una banca di dati.
18 In tale contesto, lo Högsta domstolen ha deciso di sospendere il procedimento e di
sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se per valutare se una banca di dati sia il risultato di un “investimento rilevante” ai
sensi dell’art. 7, n. 1, della direttiva […] debba essere preso in considerazione un
investimento, compiuto dal costitutore di una banca di dati, che mira principalmente alla
costituzione di qualcosa che è autonomo rispetto alla banca di dati e che di conseguenza
non riguarda esclusivamente “il conseguimento, la verifica e la presentazione” del
sostenuto di una banca di dati. Se, in tal caso, abbia una qualche importanza il fatto che
l’investimento o parti di esso costituiscano ciò nondimeno un presupposto della banca di
dati».
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2) Se una banca di dati goda della tutela della direttiva sulle banche di dati
esclusivamente per attività che rientrano nello scopo che il costitutore della banca di dati
voleva conseguire con la costituzione della stessa.
3) Che cosa si intenda con l’espressione “di una parte sostanziale del contenuto della
[banca di dati], valutata in termini qualitativi o quantitativi”, di cui all’art. 7, n. 1.
4) Se la tutela della direttiva ai sensi dell’art. 7, n. 1, e dell’art. 7, n. 5, contro
l’“estrazione e/o il reimpiego” del contenuto di una banca dati sia limitata a quegli
impieghi che implicano uno sfruttamento diretto della banca di dati oppure se la tutela
riguardi anche l’impiego del contenuto, quando il medesimo si trova in un’altra fonte
(fonte secondaria) oppure è generalmente accessibile al pubblico.
5) Come debbano essere interpretate le nozioni di “normale gestione” e “pregiudizio
ingiustificato” di cui all’art. 7, n. 5 della direttiva».
Sulle questioni pregiudiziali
19 In via preliminare, occorre ricordare che il regime di tutela istituito dall’art. 49, n. 1,
della legge del 1960, come modificata dalla legge del 1997, presuppone l’esistenza di una
raccolta, di una tabella o di un’opera dello stesso tipo «in cui sia riunito un gran numero
di dati, o che è il risultato di un investimento rilevante».
20 Dall’ordinanza di rinvio risulta che lo Högsta domstolen non ritiene che i calendari dei
campionati di calcio di cui trattasi costituiscano una raccolta di un «gran numero di dati»
ai sensi della disposizione menzionata al punto precedente, il che spiega il fatto che esso
con la prima questione chieda chiarimenti sulla nozione di investimento sostanziale così
come essa deve essere intesa nel contesto dell’art. 7, n. 1, della direttiva.
21 Nell’ambito di tale questione, il giudice del rinvio chiede in particolare se gli
investimenti destinati dal costitutore di una banca di dati alla creazione stessa dei dati
debbano essere presi in considerazione al fine di valutare l’esistenza di un investimento
rilevante relativo al conseguimento, alla verifica o alla presentazione del contenuto della
banca di dati. Esso si chiede poi se la direttiva miri a tutelare la banca di dati che deriva
dall’esercizio di un’attività principale che comporta necessariamente la creazione di dati.
22 L’art. 7, n. 1, della direttiva riserva il beneficio della tutela, conferita dal diritto sui
generis, alle banche di dati che rispondono ad un criterio preciso, ossia che il
conseguimento, la verifica o la presentazione del loro contenuto attestino un investimento
rilevante sotto il profilo qualitativo o quantitativo.
23 In base al nono, decimo e dodicesimo ‘considerando’ della direttiva, la finalità di
quest’ultima è di incentivare e tutelare gli investimenti nei sistemi di «memorizzazione» e
«gestione» dei dati che contribuiscono allo sviluppo del mercato delle informazioni in un
contesto caratterizzato da una crescita esponenziale della massa di informazioni prodotte
ed elaborate annualmente in tutti i settori di attività. Ne deriva che la nozione di
investimento collegata al conseguimento, alla verifica o alla presentazione del contenuto
di una banca di dati dev’essere intesa, in generale, nel senso che riguarda l’investimento
destinato alla costituzione della detta banca di dati in quanto tale.
24 In tale contesto, la nozione di investimento collegata al conseguimento del contenuto
di una banca di dati, come sottolineano la Svenska Spel nonché il governo tedesco, il
governo dei Paesi Bassi e il governo portoghese, deve essere intesa nel senso che indica i
mezzi destinati alla ricerca di elementi indipendenti esistenti e alla loro riunione nella
detta banca di dati, ad esclusione dei mezzi impiegati per la creazione stessa di elementi
indipendenti. Come rilevano la Svenska Spel ed il governo tedesco, il fine della tutela
conferita dal diritto sui generis introdotta dalla direttiva è infatti di incentivare la
creazione di sistemi di memorizzazione e di gestione di informazioni esistenti, e non la
creazione di elementi che possano essere successivamente raccolti in una banca di dati.
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25 Questa interpretazione è corroborata dal trentanovesimo ‘considerando’ della direttiva,
secondo il quale l’obiettivo del diritto sui generis è di garantire una tutela contro
l’appropriazione dei risultati ottenuti dall’investimento finanziario e professionale
effettuato dal soggetto che ha «ottenuto e raccolto il contenuto» di una banca di dati.
Come rileva l’avvocato generale ai paragrafi 51-56 delle sue conclusioni, nonostante
leggere differenze terminologiche, tutte le versioni linguistiche di questo trentanovesimo
‘considerando’ si pongono a favore di un’interpretazione che esclude dalla nozione di
conseguimento la creazione degli elementi contenuti nella banca di dati.
26 Il diciannovesimo ‘considerando’ della direttiva, in base al quale la compilazione di
varie registrazioni di esecuzioni musicali su CD non rappresenta un investimento
sufficientemente rilevante per beneficiare del diritto sui generis, fornisce un argomento
aggiuntivo a sostegno di questa interpretazione. Ne deriva infatti che i mezzi impiegati
per la creazione stessa delle opere o degli elementi che figurano nella banca di dati,
all’occorrenza su un CD, non sono equiparabili ad un investimento collegato al
conseguimento del contenuto della detta banca di dati e non possono quindi essere presi
in considerazione per valutare il carattere rilevante dell’investimento collegato alla
costituzione di tale banca di dati.
27 La nozione d’investimento collegato alla verifica del contenuto della banca di dati
deve essere intesa nel senso che riguarda i mezzi destinati, al fine di assicurare
l’affidabilità dell’informazione contenuta nella detta banca di dati, al controllo
dell’esattezza degli elementi ricercati, all’atto della costituzione di questa banca di dati
così come durante il periodo di funzionamento della stessa. La nozione di investimento
collegato alla presentazione del contenuto della banca di dati riguarda, dal canto suo, i
mezzi intesi a conferire alla detta banca di dati la sua funzione di gestione
dell’informazione, ossia quelli destinati alla disposizione sistematica o metodica degli
elementi contenuti in questa banca di dati nonché all’organizzazione della loro
accessibilità individuale.
28 L’investimento collegato alla costituzione della banca di dati può consistere
nell’impiego di risorse o di mezzi umani, finanziari o tecnici, ma deve essere rilevante
sotto il profilo quantitativo o qualitativo. La valutazione quantitativa fa riferimento a
mezzi quantificabili numericamente e la valutazione qualitativa a sforzi non
quantificabili, quali uno sforzo intellettuale o un dispendio di energie, come risulta dal
settimo, trentanovesimo e quarantesimo ‘considerando’ della direttiva.
29 In tale contesto, il fatto che la costituzione di una banca di dati sia collegata
all’esercizio di un’attività principale nell’ambito della quale il costitutore della banca di
dati è anche colui che ha creato gli elementi contenuti in tale banca di dati non esclude, in
quanto tale, che costui possa rivendicare il beneficio della tutela conferita dal diritto sui
generis, a condizione che dimostri che il conseguimento dei detti elementi, la loro verifica
o la loro presentazione, nel senso precisato ai punti 24-27 della presente sentenza, hanno
dato luogo ad un investimento rilevante sotto il profilo qualitativo o quantitativo,
autonomo rispetto ai mezzi impiegati per la creazione di questi elementi.
30 A tal riguardo, anche se la ricerca di dati e la verifica della loro esattezza al momento
della costituzione della banca di dati non richiedono, in via di principio, dal soggetto che
costituisce questa banca di dati l’impiego di mezzi particolari poiché si tratta di dati che
esso ha creato e che sono a sua disposizione, ciò non toglie che la raccolta di questi dati,
la loro disposizione sistematica o metodica nell’ambito della banca di dati,
l’organizzazione della loro accessibilità individuale e la verifica della loro esattezza per
tutto il periodo di funzionamento della banca di dati possano richiedere un investimento
rilevante sotto il profilo qualitativo o quantitativo, ai sensi dell’art. 7, n. 1, della direttiva.
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31 Nella causa principale, i mezzi destinati alla determinazione, nell’ambito
dell’organizzazione di campionati di calcio, delle date, degli orari e delle squadre, quella
ospitante e quella ospite, relativi agli incontri delle varie giornate di questi campionati
corrispondono, come sostengono la Svenska Spel nonché i governi belga, tedesco e
portoghese, ad un investimento collegato all’elaborazione del calendario di questi
incontri. Un tale investimento, che si ricollega all’organizzazione stessa dei campionati, è
connesso alla creazione dei dati contenuti nella banca di dati di cui trattasi, ossia quelli
relativi a ciascun incontro dei vari campionati. Non può quindi essere preso in
considerazione nell’ambito dell’art. 7, n. 1, della direttiva.
32 Stando così le cose, occorre verificare, prescindendo dall’investimento di cui al punto
precedente, se il conseguimento, la verifica o la presentazione del contenuto di un
calendario di incontri di calcio attestino un investimento rilevante sotto il profilo
qualitativo o quantitativo.
33 La ricerca e la raccolta dei dati costitutivi del calendario degli incontri di calcio non
richiedono uno sforzo particolare da parte delle leghe professionistiche. Come la Fixtures
stessa sostiene nelle sue osservazioni, esse sono infatti indissociabilmente collegate alla
creazione di questi dati, alla quale partecipano direttamente le dette leghe in quanto ad
esse spetta l’organizzazione dei campionati di calcio. Per ottenere il contenuto di un
calendario degli incontri di calcio non occorre quindi alcun investimento autonomo
rispetto a quello che richiede la creazione dei dati contenuti in questo calendario.
34 Le leghe professionistiche non devono dedicare alcuno sforzo particolare al controllo
dell’esattezza dei dati relativi agli incontri dei campionati all’atto dell’elaborazione del
calendario, poiché le dette leghe partecipano direttamente alla creazione di questi dati.
Per quanto riguarda la verifica dell’esattezza del contenuto dei calendari degli incontri nel
corso della stagione, essa consiste, come risulta dalle osservazioni della Fixtures,
nell’adattare taluni dati di questi calendari in funzione dell’eventuale rinvio di un
incontro o di una giornata di campionato deciso dalle leghe o d’accordo con esse. Non si
può ritenere che una tale verifica attesti un investimento rilevante.
35 La presentazione di un calendario di incontri di calcio è, anch’essa, strettamente
collegata alla creazione stessa dei dati costitutivi di questo calendario, come è confermato
dall’assenza di riferimento, nell’ordinanza di rinvio, a lavori o mezzi specificamente
destinati ad una tale presentazione. Non si può quindi ritenere che quest’ultima richieda
un investimento autonomo rispetto all’investimento collegato alla creazione dei dati
costitutivi.
36 Ne deriva che né il conseguimento, né la verifica né la presentazione del contenuto di
un calendario di incontri di calcio attestano un investimento rilevante tale da giustificare
il beneficio della tutela conferita dal diritto sui generis istituito dall’art. 7 della direttiva.
37 Tenuto conto di quanto precede, occorre risolvere la prima questione posta nel senso
che la nozione di investimento collegato al conseguimento del contenuto di una banca di
dati ai sensi dell’art. 7, n. 1, della direttiva va intesa nel senso che indica i mezzi destinati
alla ricerca di elementi esistenti e alla loro raccolta nella detta banca di dati. Essa non
comprende i mezzi impiegati per la creazione degli elementi costitutivi del contenuto di
una banca di dati. Nel contesto dell’elaborazione di un calendario di incontri al fine
dell’organizzazione di campionati di calcio, essa non riguarda quindi i mezzi destinati
alla fissazione delle date, degli orari e degli accoppiamenti di squadre relativi ai vari
incontri di questi campionati.
38 In considerazione di quanto precede, non occorre più risolvere le altre questioni poste.
Per questi motivi,
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la Corte (Grande Sezione)
dichiara:
La nozione di investimento collegato al conseguimento del contenuto di una banca di dati
ai sensi dell’art. 7, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 marzo
1996, 96/9/CE, relativa alla tutela giuridica delle banche di dati, va intesa nel senso che
indica i mezzi destinati alla ricerca di elementi esistenti e alla loro raccolta nella detta
banca di dati. Essa non comprende i mezzi impiegati per la creazione degli elementi
costitutivi del contenuto di una banca di dati. Nel contesto dell’elaborazione di un
calendario di incontri al fine dell’organizzazione di campionati di calcio, essa non
riguarda quindi i mezzi destinati alla fissazione delle date, degli orari e degli
accoppiamenti di squadre relativi ai vari incontri di questi campionati.
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22. Procedimento C-444/02,
avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta alla Corte, ai sensi
dell'art. 234 CE, dal Monomeles Protodikeio Athinon (Grecia) con decisione 11 luglio
2002, pervenuta in cancelleria il 9 dicembre 2002, nella causa tra
Fixtures Marketing Ltd
e
Organismos prognostikon agonon podosfairou AE (OPAP),
LA CORTE (Grande Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione di disposizioni della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 marzo 1996, 96/9/CE, relativa alla
tutela giuridica delle banche di dati (GU L 77, pag. 20; in prosieguo: la «direttiva»).
2 Questa domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la società
Fixtures Marketing Ltd (in prosieguo: la «Fixtures») e l’Organismos prognostikon
agonon podosfairou AE (in prosieguo l’«OPAP»). La controversia è sorta dall’uso da
parte dell’OPAP, ai fini dell’organizzazione di scommesse basate su pronostici, di
informazioni relative ai calendari dei campionati di calcio inglese e scozzese.
Ambito normativo
3 La direttiva ha per oggetto, in base al suo art. 1, n. 1, la tutela giuridica delle banche di
dati, qualunque ne sia la forma. La banca di dati è definita, all’art. 1, n. 2, della direttiva,
come «una raccolta di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o
metodicamente disposti ed individualmente accessibili grazie a mezzi elettronici o in altro
modo».
4 L’art. 3 della direttiva istituisce una tutela a norma del diritto di autore a favore delle
«banche di dati che per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una
creazione dell’ingegno propria del loro autore».
5 L’art. 7 della direttiva istituisce un diritto sui generis nei termini seguenti:
«Oggetto della tutela
1.
Gli Stati membri attribuiscono al costitutore di una banca di dati il diritto di
vietare operazioni di estrazione e/o reimpiego della totalità o di una parte sostanziale del
contenuto della stessa, valutata in termini qualitativi o quantitativi, qualora il
conseguimento, la verifica e la presentazione di tale contenuto attestino un investimento
rilevante sotto il profilo qualitativo o quantitativo.
2. Ai fini del presente capitolo:
a) per “estrazione”: si intende il trasferimento permanente o temporaneo della totalità o di
una parte sostanziale del contenuto di una banca di dati su un altro supporto con qualsiasi
mezzo o in qualsivoglia forma;
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b) per “reimpiego”: si intende qualsiasi forma di messa a disposizione del pubblico della
totalità o di una parte sostanziale del contenuto della banca di dati mediante distribuzione
di copie, noleggio, trasmissione in linea o in altre forme. La prima vendita di una copia di
una banca dati nella Comunità da parte del titolare del diritto, o con il suo consenso,
esaurisce il diritto di controllare la rivendita della copia nella Comunità.
Il prestito pubblico non costituisce atto di estrazione o di reimpiego.
3.
Il diritto di cui al paragrafo 1 può essere trasferito, ceduto o essere oggetto di
licenza contrattuale.
4.
Il diritto di cui al paragrafo 1 si applica a prescindere dalla tutelabilità della banca
di dati a norma del diritto d’autore o di altri diritti. Esso si applica inoltre a prescindere
dalla tutelabilità del contenuto della banca di dati in questione a norma del diritto
d’autore o di altri diritti. La tutela delle banche di dati in base al diritto di cui al paragrafo
1 lascia impregiudicati i diritti esistenti sul loro contenuto.
5.
Non sono consentiti l’estrazione e/o il reimpiego ripetuti e sistematici di parti non
sostanziali del contenuto della banca di dati che presuppongano operazioni contrarie alla
normale gestione della banca dati o che arrechino un pregiudizio ingiustificato ai legittimi
interessi del costitutore della banca di dati».
6
La direttiva è stata recepita nel diritto greco con la legge n. 2819/2000 (FEK A’
84/15.3.2000).
La causa principale e le questioni pregiudiziali
7 Dall’ordinanza di rinvio risulta che gli organizzatori dei campionati di calcio inglese e
scozzese hanno affidato alla società Football Fixtures Ltd la gestione, mediante contratti
di licenza, dell’uso fatto dei calendari degli incontri di questi campionati al di fuori del
Regno Unito. Alla Fixtures, dal canto suo, è stato concesso il diritto di rappresentare i
titolari dei diritti intellettuali collegati a questi calendari.
8 L’OPAP dispone in Grecia di un monopolio sull’organizzazione dei giochi d’azzardo.
Nell’ambito della sua attività, esso utilizza informazioni provenienti dai calendari dei
campionati di calcio inglese e scozzese.
9 La Fixtures ha convenuto l’OPAP dinanzi al Monomeles Protodikeio Athinon facendo
valere che le pratiche dell’OPAP sarebbero vietate dal diritto sui generis di cui essa gode
in forza dell’art. 7 della direttiva.
10
Dovendo far fronte a problemi di interpretazione della direttiva, il Monomeles
Protodikeio Athinon ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le
seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Che cosa si intende per banca di dati e qual è l’ambito di applicazione della direttiva
(…), in particolare del suo art. 7, che fa riferimento al diritto sui generis.
2) Alla luce della delimitazione dell’ambito di applicazione della direttiva, se i calendari
dei campionati di calcio meritino tutela in quanto banche di dati sulle quali vi è un diritto
sui generis del costitutore, e a quali condizioni.
3) In che modo esattamente viene leso il diritto sulla banca di dati e se tale diritto sia
tutelato in caso di modifica del contenuto della banca di dati».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità
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11 Il governo finlandese contesta la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale.
Esso sostiene che l’ordinanza di rinvio è viziata da imprecisioni per quanto riguarda il
contesto di diritto e di fatto della fattispecie di cui alla causa principale, cosa che
impedisce alla Corte di fornire soluzioni utili alle questioni poste e agli Stati membri di
presentare osservazioni pertinenti su tali questioni.
12 Occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, l’esigenza di giungere ad
un’interpretazione del diritto comunitario che sia utile per il giudice nazionale impone
che quest’ultimo definisca l’ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni
sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate
(sentenza 21 settembre 1999, causa C-67/96, Albany, Racc. pag. I-5751, punto 39).
13 Le informazioni fornite nelle decisioni di rinvio devono non solo consentire alla Corte
di fornire risposte utili, ma altresì dare ai governi degli Stati membri, nonché alle altre
parti interessate, la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’art. 20 dello Statuto
CE della Corte di giustizia. È compito della Corte vigilare affinché tale possibilità sia
salvaguardata, tenuto conto del fatto che, a norma della suddetta disposizione, alle parti
interessate vengono notificate solo le decisioni di rinvio (sentenza Albany,
soprammenzionata, punto 40).
14 Nella fattispecie, dalle osservazioni presentate dalle parti nella causa principale e dai
governi degli Stati membri ai sensi dell’art. 20 dello Statuto CE della Corte di giustizia,
risulta che le indicazioni contenute nell’ordinanza di rinvio hanno consentito loro di
comprendere che la controversia di cui alla causa principale è sorta dall’uso da parte
dell’OPAP, ai fini dell’organizzazione di scommesse sportive, di informazioni
provenienti dai calendari dei campionati predisposti da leghe professionistiche di calcio e
che, in tale contesto, il giudice del rinvio chiede chiarimenti sulla nozione di banche di
dati ai sensi dell’art. 1, n. 2, della direttiva e sul campo di applicazione e sulla portata del
diritto sui generis istituito dall’art. 7 della detta direttiva.
15 Per il resto, l’ordinanza di rinvio contiene precisazioni sui rapporti esistenti tra le
leghe di calcio interessate, la Football Fixtures Ltd e la Fixtures, che consentono di
comprendere a quale titolo quest’ultima rivendichi, nell’ambito della controversia di cui
alla causa principale, la tutela collegata al diritto sui generis.
16 Le informazioni fornite dal giudice del rinvio forniscono del resto alla Corte una
conoscenza sufficiente dell’ambito della controversia di cui alla causa principale per
poter interpretare le disposizioni comunitarie di cui trattasi in relazione alla situazione
che costituisce oggetto di tale controversia.
17 Ne deriva che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.
Sul merito
Sulla nozione di banca di dati ai sensi dell’art. 1, n. 2, della direttiva
18 Il giudice del rinvio chiede innanzi tutto, con le sue prime due questioni, cosa
comprenda la nozione di banca di dati ai sensi dell’art. 1, n. 2, della direttiva e se i
calendari dei campionati di calcio rientrino in tale nozione.
19 La banca di dati, ai sensi della direttiva, è definita all’art. 1, n. 2, della stessa, come
«una raccolta di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o
metodicamente disposti ed individualmente accessibili grazie a mezzi elettronici o in altro
modo».
20 Come sostengono la Fixtures e la Commissione, da diversi elementi risulta la volontà
del legislatore comunitario di conferire alla nozione di banca di dati, ai sensi della
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direttiva, una portata ampia, libera da considerazioni di ordine formale, tecnico o
materiale.
21 Così, nell’art. 1, n. 1, della direttiva si afferma che quest’ultima riguarda la tutela
giuridica delle banche di dati «qualunque ne sia la forma».
22 Mentre la proposta di direttiva del Consiglio relativa alla tutela giuridica delle banche
di dati (GU L 1992, C 156, pag. 4), presentata dalla Commissione il 15 aprile 1992,
riguardava esclusivamente le banche di dati elettroniche secondo la definizione della
banca di dati contenuta nell’art. 1, primo comma, punto 1, di questa proposta di direttiva,
si è convenuto, nel corso del processo legislativo, di «estendere la tutela concessa dalla
presente direttiva alle banche di dati non elettroniche», come risulta dal quattordicesimo
‘considerando’ della direttiva.
23 In base al diciassettesimo ‘considerando’ della stessa direttiva, la nozione di banca di
dati deve essere intesa nel senso che si applica a «una raccolta di opere, siano essere
letterarie, artistiche, musicali o di altro genere, oppure di materiale quali testi, suoni,
immagini, numeri, fatti e dati». Il fatto che i dati o gli elementi di cui trattasi si riferiscano
ad una disciplina sportiva non si oppone quindi a che ad essi sia riconosciuta la qualifica
di banca di dati ai sensi della detta direttiva.
24 Mentre il Parlamento europeo, nel suo parere 23 giugno 1994 sulla proposta di
direttiva del Consiglio relativa alla tutela giuridica delle banche di dati (GU C 194, pag.
144), aveva suggerito di subordinare la qualifica di banca di dati alla condizione che la
raccolta contenga «un numero rilevante» di dati, di opere o di altro materiale, questa
condizione non figura più nella definizione di cui all’art. 1, n. 2, della direttiva.
25 Al fine di valutare l’esistenza di una banca di dati ai sensi della direttiva, è irrilevante
il fatto che la raccolta sia costituita da elementi provenienti da una o più fonti diverse dal
soggetto che costituisce tale raccolta, da elementi creati da quest’ultimo o da elementi che
rientrano in entrambe queste categorie.
26 Contrariamente a quanto sostengono i governi greco e portoghese, nessun elemento
della direttiva autorizza a concludere che la qualifica di banca di dati dipende
dall’esistenza di una creazione intellettuale propria del suo autore. Come rileva la
Commissione, il criterio dell’originalità si rivela pertinente solo per valutare
l’ammissibilità della banca di dati alla tutela a norma del diritto di autore istituita dal
capitolo II della direttiva, come risulta dall’art. 3, n. 1, nonché dal quindicesimo e
sedicesimo ‘considerando’ di tale direttiva.
27 In tale contesto di interpretazione in senso ampio, da vari elementi della direttiva
emerge che la nozione di banca di dati ai sensi di quest’ultima deriva la sua specificità da
un criterio funzionale.
28 Dalla lettura dei ‘considerando’ della direttiva risulta infatti che, tenuto conto della
«crescita esponenziale, all’interno della Comunità e a livello mondiale, della massa di
informazioni prodotte ed elaborate annualmente in tutti i settori commerciali e
industriali», secondo la formulazione del decimo ‘considerando’, la tutela giuridica
istituita dalla detta direttiva mira ad incentivare lo sviluppo di sistemi che assumano una
funzione di «memorizzazione» e di «gestione delle informazioni», come risulta dal
decimo e dodicesimo ‘considerando’.
29 La qualifica di banca di dati è perciò subordinata, innanzi tutto, all’esistenza di una
raccolta di «elementi indipendenti», ossia di elementi separabili gli uni dagli altri senza
che il valore del loro contenuto informativo, letterario, artistico, musicale o di altro
genere venga ad essere per questo intaccato. A tale titolo, in base al diciassettesimo
‘considerando’ della direttiva, non rientra nel campo di applicazione della stessa la
definizione di un’opera audiovisiva, cinematografica, letteraria o musicale.
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30 La qualifica di una raccolta come banca di dati presuppone poi che gli elementi
indipendenti costitutivi di tale raccolta siano disposti in maniera sistematica o metodica e
siano individualmente accessibili in un modo o nell’altro. Senza richiedere che questa
disposizione sistematica o metodica sia fisicamente visibile, in base al ventunesimo
‘considerando’ della direttiva, questa condizione comporta che la raccolta figuri su un
supporto fisso, di qualsiasi natura, e contenga un mezzo tecnico quale un processo di tipo
elettronico, elettromagnetico o elettroottico, in base al tredicesimo ‘considerando’ della
stessa direttiva, o un altro mezzo, quale un sommario, un indice delle materie, un piano o
un metodo di classificazione particolare, che consente la localizzazione di ogni elemento
indipendente contenuto nel suo ambito.
31 Questa seconda condizione permette di distinguere la banca di dati ai sensi della
direttiva, caratterizzata da un mezzo che consente di ritrovare nel suo ambito ciascuno dei
suoi elementi costitutivi, da un insieme di elementi che fornisce informazioni ma che è
privo di qualsiasi mezzo di elaborazione dei singoli elementi che lo compongono.
32 Dall’analisi che precede risulta che la nozione di banca di dati ai sensi dell’art. 1, n. 2,
della direttiva riguarda qualsiasi raccolta che comprenda opere, dati o altri elementi,
separabili gli uni dagli altri senza che venga per questo intaccato il valore del loro
contenuto, e che comporti un metodo o un sistema, di qualunque natura esso sia, che
consenta di ritrovare ciascuno dei suoi elementi costitutivi.
33 Nella causa principale, la data, l’orario e l’identità delle due squadre, quella ospitante
e quella ospite, relativi ad un incontro di calcio rientrano nella nozione di elementi
indipendenti ai sensi dell’art. 1, n. 2, della direttiva, nel senso che sono dotati di un valore
informativo autonomo.
34 Infatti, anche se l’interesse di un campionato di calcio risiede certo nel prendere in
considerazione globalmente i diversi incontri di tale campionato, tuttavia i dati relativi
alla data, all’orario e all’identità delle squadre che si riferiscono ad un determinato
incontro hanno un valore autonomo in quanto forniscono ai terzi interessati le
informazioni pertinenti.
35 La compilazione dei dati, degli orari e dei nomi delle squadre relativi agli incontri
delle varie giornate di un campionato di calcio è, in tale contesto, una raccolta di elementi
indipendenti. La disposizione, sotto forma di calendario, delle date, degli orari e dei nomi
delle squadre relativi a questi vari incontri di calcio soddisfa le condizioni attinenti alla
disposizione sistematica o metodica e alla accessibilità individuale degli elementi
costituitivi di tale raccolta. La circostanza, fatta valere dai governi greco e austriaco,
secondo cui l’accoppiamento delle squadre deriva all’inizio da un’estrazione a sorte non è
tale da rimettere in discussione l’analisi sopra svolta.
36 Ne deriva che un calendario di un campionato di calcio quale quelli di cui trattasi nella
causa principale costituisce una banca di dati ai sensi dell’art. 1, n. 2, della direttiva.
Sull'ambito d’applicazione del diritto sui generis
37 Il giudice del rinvio poi, nell’ambito delle sue due prime questioni, chiede chiarimenti
alla Corte sull'ambito di applicazione della tutela conferita a norma del diritto sui generis
in un contesto quale quello della fattispecie di cui alla causa principale.
38 L’art. 7, n. 1, della direttiva riserva il beneficio della tutela, conferita dal diritto sui
generis, alle banche di dati che rispondono ad un criterio preciso, ossia che il
conseguimento, la verifica o la presentazione del loro contenuto attestino un investimento
rilevante sotto il profilo qualitativo o quantitativo.
39 In base al nono, decimo e dodicesimo ‘considerando’ della direttiva, la finalità di
quest’ultima, come rilevano l’OPAP e il governo greco, è di incentivare e tutelare gli
investimenti nei sistemi di «memorizzazione» e «gestione» dei dati che contribuiscono
allo sviluppo del mercato delle informazioni in un contesto caratterizzato da una crescita
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esponenziale della massa di informazioni prodotte ed elaborate annualmente in tutti i
settori di attività. Ne deriva che la nozione di investimento collegata al conseguimento,
alla verifica o alla presentazione del contenuto di una banca di dati deve essere intesa, in
generale, nel senso che riguarda l’investimento destinato alla costituzione della detta
banca di dati in quanto tale.
40 In tale contesto, la nozione di investimento collegata al conseguimento del contenuto
di una banca di dati, come sottolineano l’OPAP ed i governi belga, austriaco e
portoghese, deve essere intesa nel senso che indica i mezzi destinati alla ricerca di
elementi indipendenti esistenti e alla loro riunione nella detta banca di dati, ad esclusione
dei mezzi impiegati per la creazione stessa di elementi indipendenti. Il fine della tutela
conferita dal diritto sui generis introdotta dalla direttiva è infatti di incentivare la
creazione di sistemi di memorizzazione e di gestione di informazioni esistenti, e non la
creazione di elementi che possano essere successivamente raccolti in una banca di dati.
41 Questa interpretazione è corroborata dal trentanovesimo ‘considerando’ della direttiva,
secondo il quale l’obiettivo del diritto sui generis è di garantire una tutela contro
l’appropriazione dei risultati ottenuti dall’investimento finanziario e professionale
effettuato dal soggetto che ha «ottenuto e raccolto il contenuto» di una banca di dati.
Come rileva l’avvocato generale ai paragrafi 67-72 delle sue conclusioni, nonostante
leggere differenze terminologiche, tutte le versioni linguistiche di questo trentanovesimo
‘considerando’ si pongono a favore di un’interpretazione che esclude dalla nozione di
conseguimento la creazione degli elementi contenuti nella banca di dati.
42 Il diciannovesimo ‘considerando’ della direttiva, in base al quale la compilazione di
varie registrazioni di esecuzioni musicali su CD non rappresenta un investimento
sufficientemente rilevante per beneficiare del diritto sui generis, fornisce un argomento
aggiuntivo a sostegno di questa interpretazione. Ne deriva infatti che i mezzi impiegati
per la creazione stessa delle opere o degli elementi che figurano nella banca di dati,
all’occorrenza su un CD, non sono equiparabili ad un investimento collegato al
conseguimento del contenuto della detta banca di dati e non possono quindi essere presi
in considerazione per valutare il carattere rilevante dell’investimento collegato alla
costituzione di tale banca di dati.
43 La nozione d’investimento collegato alla verifica del contenuto della banca di dati
deve essere intesa nel senso che riguarda i mezzi destinati, al fine di assicurare
l’affidabilità dell’informazione contenuta nella detta banca di dati, al controllo
dell’esattezza degli elementi ricercati, all’atto della costituzione di questa banca di dati
così come durante il periodo di funzionamento della stessa. La nozione di investimento
collegato alla presentazione del contenuto della banca di dati riguarda, dal canto suo, i
mezzi intesi a conferire alla detta banca di dati la sua funzione di gestione
dell’informazione, ossia quelli destinati alla disposizione sistematica o metodica degli
elementi contenuti in questa banca di dati nonché all’organizzazione della loro
accessibilità individuale.
44 L’investimento collegato alla costituzione della banca di dati può consistere
nell’impiego di risorse o di mezzi umani, finanziari o tecnici, ma deve essere rilevante
sotto il profilo quantitativo o qualitativo. La valutazione quantitativa fa riferimento a
mezzi quantificabili numericamente e la valutazione qualitativa a sforzi non
quantificabili, quali uno sforzo intellettuale o un dispendio di energie, come risulta dal
settimo, trentanovesimo e quarantesimo ‘considerando’ della direttiva.
45 In tale contesto, il fatto che la costituzione di una banca di dati sia collegata
all’esercizio di un’attività principale nell’ambito della quale il costitutore della banca di
dati è anche colui che ha creato gli elementi contenuti in tale banca di dati non esclude, in
quanto tale, che costui possa rivendicare il beneficio della tutela conferita dal diritto sui
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generis, a condizione che dimostri che il conseguimento dei detti elementi, la loro verifica
o la loro presentazione, nel senso precisato ai punti 40-43 della presente sentenza,
abbiano dato luogo ad un investimento rilevante sotto il profilo qualitativo o quantitativo,
autonomo rispetto ai mezzi impiegati per la creazione di questi elementi.
46 A tal riguardo, anche se la ricerca di dati e la verifica della loro esattezza al momento
della costituzione della banca di dati non richiedono, in via di principio, dal soggetto che
costituisce questa banca di dati l’impiego di mezzi particolari poiché si tratta di dati che
esso ha creato e che sono a sua disposizione, ciò non toglie che la raccolta di questi dati,
la loro disposizione sistematica o metodica nell’ambito della banca di dati,
l’organizzazione della loro accessibilità individuale e la verifica della loro esattezza per
tutto il periodo di funzionamento della banca di dati possano richiedere un investimento
rilevante sotto il profilo qualitativo o quantitativo, ai sensi dell’art. 7, n. 1, della direttiva.
47 Nella causa principale, i mezzi destinati alla determinazione, nell’ambito
dell’organizzazione di campionati di calcio, delle date, degli orari e delle squadre, quella
ospitante e quella ospite, relativi agli incontri delle varie giornate di questi campionati
corrispondono, come sostengono l’OPAP ed i governi belga, austriaco e portoghese, ad
un investimento collegato all’elaborazione del calendario di questi incontri. Tale
investimento, che si ricollega all’organizzazione stessa dei campionati, è connesso alla
creazione dei dati contenuti nella banca di dati di cui trattasi, ossia quelli relativi a
ciascun incontro dei vari campionati. Non può quindi essere preso in considerazione
nell’ambito dell’art. 7, n. 1, della direttiva.
48 Stando così le cose, occorre verificare, prescindendo dall’investimento di cui al punto
precedente, se il conseguimento, la verifica o la presentazione del contenuto di un
calendario di incontri di calcio attestino un investimento rilevante sotto il profilo
qualitativo o quantitativo.
49 La ricerca e la raccolta dei dati costitutivi del calendario degli incontri di calcio non
richiedono uno sforzo particolare da parte delle leghe professionistiche. Essi sono infatti
indissociabilmente collegati alla creazione di questi dati, alla quale partecipano
direttamente le dette leghe in quanto ad esse spetta l’organizzazione dei campionati di
calcio. Per ottenere il contenuto di un calendario degli incontri di calcio non occorre
quindi alcun investimento autonomo rispetto a quello che richiede la creazione dei dati
contenuti in questo calendario.
50 Le leghe professionistiche di calcio non devono dedicare alcuno sforzo particolare al
controllo dell’esattezza dei dati relativi agli incontri dei campionati all’atto
dell’elaborazione del calendario, poiché le dette leghe partecipano direttamente alla
creazione di questi dati. Per quanto riguarda la verifica dell’esattezza del contenuto dei
calendari degli incontri nel corso della stagione, essa consiste, come risulta dalle
osservazioni della Fixtures, nell’adattare taluni dati di questi calendari in funzione
dell’eventuale rinvio di un incontro o di una giornata di campionato deciso dalle leghe o
d’accordo con esse. Non si può ritenere che una tale verifica attesti un investimento
rilevante.
51 La presentazione di un calendario di incontri di calcio è, anch’essa, strettamente
collegata alla creazione stessa dei dati costitutivi di questo calendario. Non si può quindi
ritenere che essa richieda un investimento autonomo rispetto all’investimento collegato
alla creazione dei dati costitutivi.
52 Ne deriva che né il conseguimento né la verifica né la presentazione del contenuto di
un calendario di incontri di calcio attestano un investimento rilevante tale da giustificare
il beneficio della tutela conferita dal diritto sui generis istituito dall’art. 7 della direttiva.
53 Tenuto conto di quanto precede, occorre risolvere le due questioni sottoposte nel
modo seguente:
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– La nozione di banca di dati ai sensi dell’art. 1, n. 2, della direttiva riguarda qualsiasi
raccolta che comprenda opere, dati o altri elementi, separabili gli uni dagli altri senza che
il valore del loro contenuto venga per questo intaccato, e che comportino un metodo o un
sistema, di qualunque natura esso sia, che consenta di ritrovare ciascuno dei suoi elementi
costitutivi.
– Un calendario di incontri di calcio quali quelli di cui trattasi nella causa principale
costituisce una banca di dati ai sensi dell’art. 1, n. 2, della direttiva.
– La nozione di investimento collegato al conseguimento del contenuto di una banca di
dati ai sensi dell’art. 7, n. 1, della direttiva va intesa nel senso che indica i mezzi destinati
alla ricerca di elementi esistenti e alla loro raccolta nella detta banca di dati. Essa non
comprende i mezzi impiegati per la creazione degli elementi costitutivi del contenuto di
un banca di dati. Nel contesto dell’elaborazione di un calendario di incontri al fine
dell’organizzazione di campionati di calcio, essa non riguarda quindi i mezzi destinati
alla fissazione delle date, degli orari e degli accoppiamenti di squadre relativi ai vari
incontri di questi campionati.
54 In considerazione di quanto precede, non occorre più risolvere la terza questione.
Per questi motivi,
la Corte (Grande Sezione)
dichiara:
La nozione di banca di dati ai sensi dell’art. 1, n. 2, della direttiva del Parlamento europeo
e del Consiglio 11 marzo 1996, 96/9/CE, relativa alla tutela giuridica delle banche di dati,
riguarda qualsiasi raccolta che comprenda opere, dati o altri elementi, separabili gli uni
dagli altri senza che il valore del loro contenuto venga per questo intaccato, e che
comportino un metodo o un sistema, di qualunque natura esso sia, che consenta di
ritrovare ciascuno dei suoi elementi costitutivi.
Un calendario di incontri di calcio quali quelli di cui trattasi nella causa principale
costituisce una banca di dati ai sensi dell’art. 1, n. 2, della direttiva 96/9.
La nozione di investimento collegato al conseguimento del contenuto di una banca di dati
ai sensi dell’art. 7, n. 1, della direttiva 96/9 va intesa nel senso che indica i mezzi destinati
alla ricerca di elementi esistenti e alla loro raccolta nella detta banca di dati. Essa non
comprende i mezzi impiegati per la creazione degli elementi costitutivi del contenuto di
un banca di dati. Nel contesto dell’elaborazione di un calendario di incontri al fine
dell’organizzazione di campionati di calcio, essa non riguarda quindi i mezzi destinati
alla fissazione delle date, degli orari e degli accoppiamenti di squadre relativi ai vari
incontri di questi campionati.
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23. Causa T-193/02,
Laurent Piau, con domicilio in Nantes (Francia,
ricorrente,
contro
Commissione delle Comunità europee,
convenuta,
sostenuta da
Fédération internationale de football association (FIFA), con sede in Zurigo
(Svizzera), interveniente,
avente ad oggetto l'annullamento della decisione della Commissione 15 aprile 2002, che
respinge la denuncia depositata dal ricorrente in ordine al regolamento della Fédération
internationale de football association (FIFA) che disciplina l'attività degli agenti di
giocatori,
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quarta Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Fatti all’origine della controversia
1 La Fédération internationale de football association (Federazione internazionale delle
Associazioni calcistiche; in prosieguo: la «FIFA») è un’associazione di diritto svizzera
creata il 21 maggio 1904. Ai termini dei suoi statuti, quali entrati in vigore il 7 ottobre
2001, essa è formata da federazioni nazionali (art. 1) che raggruppano società di calcio
riconosciute di dilettanti o di professionisti, i quali ultimi dispongono di associazioni
specifiche chiamate «leghe professionistiche». Le federazioni nazionali possono anche
costituirsi in confederazioni (art. 9). I giocatori delle federazioni nazionali affiliate alla
FIFA possono essere sia dilettanti sia non dilettanti (art. 61).
2 Sempre ai termini dei suoi statuti, la FIFA intende promuovere il calcio, incoraggiare le
relazioni amichevoli tra le associazioni nazionali, le confederazioni, le società ed i
giocatori, nonché istituire e controllare regolamenti e metodi concernenti le leggi del
gioco e la pratica del calcio (art. 2).
3 Statuti, regolamenti e decisioni della FIFA sono vincolanti per i suoi membri (art. 4).
La FIFA dispone di organi definiti legislativi, esecutivi e amministrativi, vale a dire –
rispettivamente – il Congresso, il Comitato Esecutivo e la Segreteria Generale, nonché di
commissioni permanenti e ad hoc (art. 10). La Commissione Disciplinare e la
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Commissione d’Appello (art. 43) sono gli organi c.d. giudiziari della FIFA. Il Tribunale
Arbitrale per il Football, inizialmente concepito come istanza unica obbligatoria per la
risoluzione delle controversie di valore superiore ad un importo fissato dal Congresso
(art. 63), non è stato più istituito. In base ad un accordo intercorso tra la FIFA e il
Consiglio internazionale per l’Arbitrato sportivo, le funzioni del Tribunale Arbitrale per il
Football sono esercitate dal Tribunale Arbitrale dello Sport, istanza istituita dal Comitato
internazionale olimpico e avente sede in Losanna (Svizzera), che applica i regolamenti
della FIFA, il codice di arbitrato sportivo e, in subordine, il diritto svizzero. Le sue
decisioni sono suscettibili di un ricorso di annullamento dinanzi al Tribunale federale
svizzero.
4 Il regolamento di applicazione degli statuti dispone che gli agenti di giocatori siano
muniti di una licenza di agente emessa dalla FIFA (art. 16) e autorizza il Comitato
esecutivo ad adottare una rigida regolamentazione di tale professione (art. 17).
5 Il 20 maggio 1994 la FIFA adottava un regolamento che disciplina l’attività degli agenti
di giocatori, che veniva modificato l’11 dicembre 1995 ed entrava in vigore il 1° gennaio
1996 (in prosieguo: il «regolamento iniziale»).
6 Il regolamento iniziale subordinava l’esercizio della detta professione al possesso di
una licenza rilasciata dalla federazione nazionale competente e riservava l’attività in
parola alle persone fisiche (artt. 1 e 2). Preliminare all’ottenimento della licenza era un
colloquio inteso a saggiare le conoscenze, segnatamente giuridiche e sportive, del
candidato (artt. 6, 7 e 8). Quest’ultimo doveva altresì soddisfare alcuni requisiti di
compatibilità e di moralità, come l’assenza nel casellario giudiziario di condanne penali
(artt. 2, 3 e 4). Doveva inoltre depositare una garanzia bancaria di 200 000 franchi
svizzeri (CHF) (art. 9). Il contratto, che regolamenta i rapporti tra l’agente e il giocatore,
poteva durare al massimo due anni, ma era rinnovabile (art. 12).
7 Gli agenti, i giocatori e le società che avessero infranto il regolamento sarebbero stati
variamente sanzionati. Gli agenti, con una cauzione, una censura o un avvertimento, con
un’ammenda d’importo non precisato e con il ritiro della licenza (art. 14). I giocatori e le
società, con ammende fino a, rispettivamente, CHF 50 000 e 100 000. Ai giocatori poteva
essere altresì inflitta la sanzione disciplinare della sospensione (fino a 12 mesi), alle
società la sospensione oppure il divieto di qualsiasi trasferimento (artt. 16 e 18). Una
«Commissione dello Status del calciatore» veniva designata come organo di sorveglianza
e di decisione della FIFA (art. 20).
8 Il 23 marzo 1998 il sig. Piau presentava una denuncia alla Commissione avente ad
oggetto il regolamento iniziale summenzionato. Egli lamentava, in primo luogo, che tale
regolamento fosse contrario agli «artt. [49] e seguenti del Trattato [CE] relativi alla libera
prestazione dei servizi» a causa, da un lato, delle restrizioni all’esercizio della professione
costituite dalle poco trasparenti modalità d’esame e dall’obbligo della garanzia bancaria
e, dall’altro, della previsione di un controllo e di sanzioni. In secondo luogo, riteneva che
il regolamento potesse generare una discriminazione tra i cittadini degli Stati membri. In
terzo luogo, lamentava che il regolamento non prevedesse mezzi di tutela giurisdizionale
o d’impugnazione delle decisioni e delle sanzioni applicabili.
9 Ancor prima, il 20 febbraio 1996, la Commissione aveva ricevuto una denuncia della
Multiplayers International Denmark che metteva in discussione la compatibilità del
medesimo regolamento con gli artt. 81 CE e 82 CE. Era stata inoltre informata di
petizioni introdotte dinanzi al Parlamento europeo da cittadini di nazionalità tedesca e
francese, dichiarate ricevibili dal Parlamento europeo rispettivamente il 29 ottobre 1996 e
il 9 marzo 1998, anch’esse relative alla regolamentazione in discorso.
10 La Commissione apriva un procedimento in conformità al regolamento del Consiglio
6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81] e [82] del
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trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204), e notificava alla FIFA una comunicazione degli
addebiti in data 19 ottobre 1999. La comunicazione degli addebiti definiva il regolamento
[iniziale] una decisione di associazione di imprese nel senso dell’art. 81 CE e metteva in
discussione la compatibilità con tale disposizione delle restrizioni contenute nel detto
regolamento, vale a dire il carattere obbligatorio della licenza, l’esclusione della sua
attribuzione a persone giuridiche, il divieto a carico delle società e dei giocatori di
ricorrere ad agenti non autorizzati, la richiesta di una garanzia bancaria e la previsione di
sanzioni.
11 Il 4 gennaio 2000, rispondendo alla comunicazione degli addebiti, la FIFA contestava
che il regolamento summenzionato potesse essere definito una decisione di associazione
di imprese. Adduceva, per giustificare le restrizioni che esso comportava, un’ansia di
moralizzazione e di qualificazione della professione e sosteneva che era possibile
derogarvi sul fondamento dell’art. 81, n. 3, CE.
12 Il 24 febbraio 2000 si teneva un’audizione negli uffici della Commissione, alla quale
partecipavano i rappresentanti del sig. Piau e della FIFA, nonché quelli del sindacato
internazionale dei calciatori professionisti, la FIFPro, che esprimeva l’interesse dei
giocatori alla regolamentazione dell’attività degli agenti.
13 A seguito del procedimento amministrativo avviato dalla Commissione, il 10
dicembre 2000 la FIFA adottava un nuovo regolamento per l’attività degli agenti di
giocatori, entrato in vigore il 1° marzo 2001 e di nuovo emendato il 3 aprile 2002.
14 Il nuovo regolamento della FIFA (in prosieguo: il «regolamento modificato»)
mantiene l’obbligo, per esercitare la professione di agente di giocatori, che continua ad
essere riservata alle persone fisiche, di possedere una licenza rilasciata dalla federazione
nazionale competente per un periodo illimitato (artt. 1, 2 e 10). Il candidato, oltre ad
avere una «reputazione impeccabile» (art. 2), deve sottoporsi ad un esame scritto (artt. 4 e
5), sotto forma di questionario a risposta multipla, finalizzato a verificare le sue
conoscenze giuridiche e sportive (allegato A). L’agente deve altresì stipulare
un’assicurazione di responsabilità professionale o, in subordine, depositare una garanzia
bancaria dell’importo di CHF 100 000 (artt. 6 e 7).
15 Il rapporto tra l’agente e il giocatore dev’essere sancito da un contratto scritto della
durata massima di due anni, rinnovabile. Il contratto deve prevedere la remunerazione
dell’agente, che è calcolata in funzione della remunerazione di base lorda del giocatore e
fissata, salvo diverso accordo delle parti, nella misura del 5% della stessa. Una copia del
contratto va trasmessa alla federazione nazionale, che tiene a disposizione della FIFA un
registro dei contratti ricevuti (art. 12). Gli agenti autorizzati devono, inter alia, osservare
gli statuti e i regolamenti della FIFA e non possono avvicinare un calciatore che è sotto
contratto con una società (art. 14).
16 È prevista una serie di sanzioni nei confronti delle società, dei giocatori e degli agenti.
Tutti sono passibili, nel caso in cui trasgrediscano le regole suddette, di una cauzione, una
censura o un avvertimento, nonché di ammende (artt. 15, 17 e 19). Agli agenti può essere
inflitta la sospensione o il ritiro della licenza (art. 15); ai giocatori, la sospensione fino a
12 mesi (art. 17); alle società possono essere inflitti anche la sospensione e il divieto di
qualsiasi trasferimento per almeno tre mesi (art. 19); ammende possono essere inflitte a
tutti, agenti giocatori e società. Quanto agli agenti, l’importo dell’ammenda non è
precisato, come non lo era nel regolamento iniziale, mentre per i giocatori e per le società
è ormai pari, rispettivamente, ad almeno 10 000 o 20 000 franchi svizzeri (artt. 15, 17 e
19). Le sanzioni possono essere imposte congiuntamente (artt. 15, 17 e 19). In caso di
controversie è competente la federazione nazionale interessata o la «Commissione dello
Status del Calciatore» (art. 22). Misure transitorie permettono la convalida delle licenze
accordate in conformità alla vecchia normativa (art. 23). Sono allegati al regolamento
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modificato anche un codice di condotta professionale e un modello standard di contratto
di rappresentanza (rispettivamente, allegati B e C).
17 Gli emendamenti apportati il 3 aprile 2002 precisano che i cittadini dell’Unione
europea o dello Spazio economico europeo (SEE) indirizzeranno la domanda di licenza
alla federazione nazionale del proprio paese o del paese in cui risiedono,
indipendentemente dalla durata della residenza, e potranno stipulare la polizza
assicurativa prescritta in qualunque paese dell’Unione europea o del SEE.
18 Il 9 e il 10 luglio 2001 il Parlamento europeo dichiarava chiusi i fascicoli aperti a
seguito delle petizioni citate al precedente punto 9.
19 La Commissione inviava al sig. Piau, il 3 agosto 2001, una lettera ex art. 6 del
regolamento (CE) della Commissione 22 dicembre 1998, n. 2842, relativo alle audizioni
in taluni procedimenti a norma dell’articolo [81] e dell’articolo [82] del Trattato CE (GU
L 354, pag. 18). La Commissione vi affermava che il suo intervento presso la FIFA aveva
portato all’eliminazione delle misure più restrittive contenute nel regolamento per
l’attività degli agenti di giocatori e che non sussisteva più un interesse da parte della
Comunità a dar seguito al procedimento.
20 Il 12 novembre 2001 la Commissione indirizzava una lettera simile alla Multiplayers
International Denmark, alla quale quest’ultima non rispondeva.
21 In risposta alla lettera 3 agosto 2001, menzionata al precedente punto 19, il 28
settembre 2001 il sig. Piau informava la Commissione di mantenere la denuncia. Faceva
valere che nel regolamento modificato permanevano le infrazioni all’art. 81, n. 1, CE
relativamente all’esame e all’assicurazione professionale e che ne erano state introdotte di
nuove sotto forma di regole deontologiche, di modello standard di contratto e di
[modalità di] calcolo della remunerazione. Da tali restrizioni, a suo avviso, non era
possibile esimersi con una deroga ex art. 81, n. 3, CE. Il ricorrente affermava, poi, che la
Commissione non aveva esaminato la regolamentazione controversa alla luce del dettato
dell’art. 82 CE.
22 Con decisione 15 aprile 2002 (in prosieguo: la
decisione impugnata») la
Commissione rigettava la denuncia del sig. Piau. Secondo l’istituzione, non sussisteva un
interesse comunitario sufficiente a dar seguito al procedimento giacché le disposizioni più
restrittive censurate erano state abrogate – quanto al carattere obbligatorio della licenza,
lo si poteva giustificare –, a quelle che permanevano avrebbe potuto derogarsi sul
fondamento dell’art. 81, n. 3, CE e l’art. 82 CE non trovava applicazione nella fattispecie.
Procedimento e conclusioni delle parti
23 Con atto introduttivo depositato il 14 giugno 2002 il sig. Piau ha proposto il presente
ricorso.
24 Il 5 novembre 2002 la FIFA ha chiesto di intervenire a sostegno della Commissione.
Con ordinanza del presidente della Prima Sezione del Tribunale 5 dicembre 2002 la
domanda è stata ammessa.
25 Con decisione del Tribunale 2 luglio 2003 il giudice relatore è stato destinato, con
effetto 1° ottobre 2003, alla Quarta Sezione, alla quale è stata perciò riattribuita la causa.
26 Con misura d’organizzazione del procedimento notificata l’11 marzo 2004, il
Tribunale ha posto quesiti, alla Commissione e alla FIFA, circa l’assicurazione
professionale, la remunerazione degli agenti di giocatori ed i rimedi giurisdizionali a
norma del regolamento modificato, e, al sig. Piau, circa gli atti intrapresi per esercitare
l’attività di agente di giocatori.
27 La FIFA, la Commissione e il sig. Piau hanno risposto ai quesiti del Tribunale con
lettere, rispettivamente, 1°, 2 e 5 aprile 2004.
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28 Le difese orali delle parti e le loro risposte ai quesiti del Tribunale sono state sentite
all’udienza del 22 aprile 2004.
29 Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:
– annullare la decisione impugnata;
– condannare la Commissione alle spese.
30 La Commissione chiede che il Tribunale voglia:
– respingere il ricorso;
– condannare il ricorrente alle spese.
31 La FIFA chiede che il Tribunale voglia:
– dichiarare il ricorso irricevibile e comunque infondato;
– condannare il ricorrente alle spese.
Sulla ricevibilità
Argomenti delle parti
32 La FIFA mette in dubbio la ricevibilità del ricorso. Sostiene che il ricorrente non ha
interesse ad agire dal momento che, da un lato, egli non avrebbe mai fatto ufficialmente
domanda di esercizio della professione di agente di giocatori e che, dall’altro, la legge
francese, applicabile nel suo caso, sarebbe più severa della regolamentazione FIFA.
33 La Commissione fa presente di non aver sollevato eccezioni d’irricevibilità del ricorso
ritenendo che il sig. Piau avesse contatti con il mondo del calcio e desiderasse esercitare
la professione di agente di giocatori.
34 Per il sig. Piau il ricorso, diretto contro la decisione con cui la Commissione rigettava
la sua denuncia, è ricevibile. Argomenta che desidera esercitare la professione di agente
di giocatori dal 1997 e che sussistono contraddizioni tra la regolamentazione della FIFA e
la legge francese.
Giudizio del Tribunale
35 La Commissione non ha sollevato eccezioni d’irricevibilità. Orbene, le conclusioni di
un’istanza di intervento possono avere come oggetto soltanto il sostegno alle conclusioni
di una delle parti in causa (art. 40, ultimo comma, dello Statuto della Corte di giustizia,
applicabile al Tribunale ai sensi dell’art. 53 del medesimo Statuto).
36 La FIFA non può perciò utilmente sollevare un’eccezione d’irricevibilità che non è
dedotta dalla parte a sostegno delle cui conclusioni essa è stata ammessa ad intervenire. Il
Tribunale non è dunque tenuto ad esaminare i motivi invocati a tale riguardo (v. sentenza
della Corte 24 marzo 1993, causa C-313/90, CIRFS e a./Commissione, Racc. pag. I-1125,
punto 22).
37 Tuttavia, in forza dell’art. 113 del regolamento di procedura del Tribunale,
quest’ultimo può, in qualsiasi momento, esaminare d’ufficio le eccezioni d’irricevibilità
di ordine pubblico, comprese quelle sollevate dagli intervenienti (v. sentenza del
Tribunale 24 ottobre 1997, causa T-239/94, EISA/Commissione, Racc. pag. I-1839,
punto 26).
38 È pacifico che il sig. Piau è destinatario di una decisione della Commissione che
chiude definitivamente un procedimento aperto a norma del regolamento n. 17 ed è
pacifico che egli ha proposto regolarmente un ricorso contro tale decisione. Il rifiuto di
dar seguito a tale procedimento e il rigetto di una denuncia arrecano un pregiudizio al suo
autore, secondo una giurisprudenza costante, il quale deve disporre di mezzi di tutela
giurisdizionale dei suoi legittimi interessi (v. sentenze della Corte 25 ottobre 1977, causa
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26/76, Metro/Commissione, Racc. pag. 1875, punto 13, e del Tribunale 18 maggio 1994,
causa T-37/92, BEUC e NCC/Commissione, Racc. pag. II-285, punto 36). La Corte ha
affermato anche che un’impresa terza, alla quale la Commissione ha riconosciuto un
interesse legittimo a presentare osservazioni nell’ambito di un procedimento di
applicazione del regolamento n. 17 è legittimata a proporre un ricorso (v. sentenza
Metro/Commissione, cit., punti 6, 7 e 11-13).
Sul merito
1. Riguardo alla trattazione della denuncia
Argomenti delle parti
39 Il sig. Piau sostiene, in primo luogo, che la Commissione ha disatteso gli obblighi ad
essa incombenti in sede di trattazione di una denuncia depositata a titolo dell’art. 3 del
regolamento n. 17. Non avendole la FIFA notificato il regolamento iniziale, la
Commissione si sarebbe, infatti, astenuta dal prendere posizione sull’infrazione contestata
e avrebbe presunto la possibilità di un’eccezione al detto regolamento. Il suo
comportamento sarebbe contrario alla buona fede che deve regnare nei rapporti tra i
cittadini e la Comunità, nonché al principio di certezza del diritto.
40 In secondo luogo, il ricorrente fa valere che la Commissione non ha né istruito né
motivato la decisione impugnata con riferimento all’art. 82 CE, laddove la sua denuncia
avrebbe riguardato anche tale articolo, come risulterebbe in particolare dalle lettere 31
gennaio e 30 marzo 2001 scambiate con la Commissione. L’art. 82 CE, che non veniva
menzionato nella comunicazione degli addebiti, sarebbe rimasto fuori dell’indagine. Non
esaminando tale profilo della sua denuncia, la Commissione avrebbe allora tradito il
legittimo affidamento del sig. Piau.
41 La Commissione sostiene, innanzi tutto, che una misura non notificata non diviene per
questo illegittima ai sensi del diritto comunitario.
42 La convenuta fa poi valere che non era tenuta ad istruire né a motivare la sua decisione
riguardo all’art. 82 CE, non menzionato nella denuncia bensì invocato tardivamente (il 28
settembre 2001) dal ricorrente, quando nulla lasciava supporre un’infrazione a tale
disposizione.
43 Secondo la FIFA, la decisione impugnata non doveva essere motivata riguardo
all’art. 82 CE, non menzionato nella denuncia ed invocato tardivamente dal ricorrente. In
ogni caso, la Commissione, che poteva rigettare la denuncia già per mancanza di interesse
comunitario, avrebbe motivato sufficientemente la decisione impugnata sotto il profilo di
tale articolo.
Giudizio del Tribunale
44 Per quanto attiene, in primo luogo, alla trattazione della denuncia nell’ambito del
regolamento n. 17, occorre ricordare che la Commissione dispone in merito di un ampio
potere discrezionale (v., in tal senso, sentenza della Corte 4 marzo 1999, causa C-119/97
P, Ufex e a./Commissione, Racc. pag. I-1341, punti 88 e 89).
45 Nella fattispecie, il sig. Piau ha depositato, il 23 marzo 1998, una denuncia avente ad
oggetto il regolamento FIFA che disciplina l’attività degli agenti di giocatori redatta in
maniera sommaria e con riferimento agli «artticoli [49] e seguenti [CE] relativi alla libera
prestazione dei servizi», senza alludere al regolamento n. 17. La Commissione, che aveva
ricevuto un’altra denuncia riguardante il medesimo regolamento (v. supra, punto 9), ha
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ritenuto che i fatti riferiti ponessero questioni di diritto della concorrenza e ha considerato
la denuncia del sig. Piau depositata in conformità all’art. 3 del regolamento n. 17.
46 La Commissione ha poi condotto il procedimento amministrativo d’infrazione previsto
in materia di concorrenza svolgendo un’indagine, indirizzando, il 19 ottobre 1999, una
comunicazione degli addebiti alla FIFA e procedendo, il 24 febbraio 2000, all’audizione
delle parti interessate. È pacifico che tale procedimento ha infine portato la FIFA ad
adottare, il 10 dicembre 2000, emendamenti al regolamento di disciplina dell’attività di
agente di giocatori. La Commissione, soddisfatta da tali modifiche, ha allora concluso che
non vi era più luogo a proseguire il procedimento, come comunicato al sig. Piau prima
con lettera 3 agosto 2001, in conformità dell’art. 6 del regolamento n. 2842/98, e poi
rigettando la sua denuncia il 15 aprile 2002.
47 Sembra che la Commissione si sia dunque adeguatamente avvalsa, dal punto di vista
procedurale, dei poteri conferitile dal regolamento n. 17, allora applicabile, per istruire
una denuncia in materia di concorrenza, ove si consideri il potere discrezionale di cui
dispone in tale ambito. Di conseguenza, essa non ha disatteso i propri obblighi al
riguardo. La circostanza che il regolamento iniziale non le fosse stato notificato non
pregiudica la regolarità del procedimento: l’unica conseguenza è che la Commissione non
poteva più prendere una decisione in merito, in particolare, ad un’eventuale deroga ex
art. 81, n. 3, CE al detto regolamento, dato che la FIFA non gliene aveva fatto domanda.
Infine, il ricorrente non ha apportato elementi atti a dimostrare che la Commissione, nella
trattazione della sua denuncia, non avrebbe agito in buona fede o avrebbe disatteso il
principio di certezza del diritto.
48 Per quanto attiene, in secondo luogo, all’istruzione della denuncia e alla motivazione
della decisione impugnata riguardo all’art. 82 CE, dal fascicolo risulta che la denuncia
depositata il 23 marzo 1998 non faceva menzione di tale articolo. Il sig. Piau, tuttavia,
nella sua lettera 28 settembre 2001, in cui rispondendo alla comunicazione della
Commissione a titolo dell’art. 6 del regolamento n. 2842/98, comunicare di mantenere la
denuncia (v. supra, punto 21), invocava la detta disposizione. Egli scriveva che, a suo
parere, la causa non era stata istruita in rapporto all’art. 82 CE, nonostante la FIFA
versasse in una situazione di abuso di posizione dominante e la Commissione, con lettera
30 marzo 2001, avesse precisato che la sua denuncia verteva essenzialmente sugli artt. 81
CE e 82 CE.
49 Il ricorrente non può utilmente invocare la tutela del legittimo affidamento con
riferimento a indicazioni contenute nelle richieste d’informazione rivolte dalla
Commissione alla FIFA, l’11 novembre 1998 e il 19 luglio 1999, le quali contemplavano
la possibilità di infrazioni agli artt. 81 CE e 82 CE. Indicazioni del genere non possono
essere considerate assicurazioni precise, tali da suscitare in lui aspettative fondate (v., ad
esempio, sentenza del Tribunale 8 novembre 2000, cause riunite T-485/93, T-491/93, T494/93 e T-61/98, Dreyfus e a./Commissione, Racc. pag. II-3659, punto 85). Inoltre, in
un secondo momento, nella comunicazione degli addebiti del 19 ottobre 1999, la
Commissione non ha individuato infrazioni all’art. 82 CE, ma solamente all’art. 81 CE.
50 La Commissione, a sua volta, non può asserire che la menzione tardiva da parte del
ricorrente dell’art. 82 CE nel corso del procedimento amministrativo la dispensava
dall’istruire e dal motivare la decisione impugnata sotto tale profilo. Infatti, finché il
procedimento amministrativo era aperto e non veniva presa una decisione in merito alla
denuncia del sig. Piau, essa poteva sempre effettuare nuove indagini se venivano mosse
nuove censure, di cui le spettava valutare la pertinenza.
51 Al contrario, laddove in seguito alla disamina degli elementi di fatto e di diritto
riguardanti l’applicazione dell’art. 82 CE la Commissione dichiarava ingiustificata o
superflua un’istruzione della denuncia sul punto, essa non era tenuta a proseguire (v.
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sentenza del Tribunale 24 gennaio 1995, causa T-74/92, Ladbroke/Commissione, Racc.
pag. II-115, punto 60).
52 A proposito della motivazione riguardo all’art. 82 CE, la decisione impugnata
definisce «vaghe» le osservazioni del sig. Piau in merito a tale disposizione «nella parte
relativa al mercato sul quale la FIFA avrebbe una posizione dominante e all’abuso
denunciato». Aggiunge che la FIFA non è attiva sul mercato della consulenza [ai
giocatori], sul quale operano gli agenti, e conclude che «l’art. 82 CE non trova
applicazione nella fattispecie come asserisce il denunciante». Indicazioni di questo tenore
sono sufficienti a ritenere onorato, nelle circostanze di specie, l’obbligo di motivazione
che incombeva alla Commissione (v. sentenza Ladbroke/Commissione, cit., punto 60).
53 Alla luce di ciò, il sig. Piau non può utilmente sostenere che la Commissione ha
disatteso gli obblighi che le incombevano in sede di trattazione della denuncia sportale. I
motivi da lui dedotti in tal senso vanno, di conseguenza, respinti.
2. Riguardo all’interesse comunitario
Argomenti delle parti
54 Il sig. Piau fa valere che la sua denuncia presentava un interesse comunitario: il
mercato sarebbe «di carattere transfrontaliero», le disposizioni più restrittive del
regolamento iniziale non sarebbero state abrogate e il regolamento modificato non
sarebbe passibile di una deroga ex art. 81, n. 3, CE. Gli effetti anticoncorrenziali
permarrebbero, perché gli agenti autorizzati a norma del regolamento iniziale
conserverebbero le quote di mercato ormai acquisite. Troverebbe inoltre applicazione
l’art. 82 CE. Infine, il sig. Piau non potrebbe ottenere una tutela adeguata dinanzi ai
giudici nazionali.
55 Il ricorrente sostiene, in primo luogo, che la Commissione è incorsa in un errore di
valutazione del regolamento FIFA per l’attività degli agenti di giocatori. L’obbligo,
corredato di sanzioni, di rispettare i regolamenti FIFA costituirebbe un ostacolo alla
«libera concorrenza nella prestazione di servizi» nonché alla libertà di stabilimento e
impedirebbe l’accesso al mercato agli agenti non autorizzati. La disposizione del
regolamento modificato relativa alla remunerazione dell’agente di giocatori si
risolverebbe nella fissazione di un prezzo imposto che restringerebbe la concorrenza.
L’imposizione di un modello di contratto standard violerebbe la libertà contrattuale e
l’obbligo a carico della federazione nazionale di inviarne copia alla FIFA non
garantirebbe la tutela dei dati personali. Il codice di condotta professionale allegato al
detto regolamento permetterebbe arbitrî. Il regolamento modificato non sarebbe
compatibile con la legislazione francese sulla professione di agente, ma la federazione
francese di calcio lo avrebbe nondimeno preferito ed avrebbe attribuito licenze in
difformità delle disposizioni nazionali. Il regolamento modificato vieterebbe altresì il
ricorso ai tribunali di diritto comune.
56 In secondo luogo, il sig. Piau fa valere che il regolamento modificato non è passibile
di una deroga sul fondamento dell’art. 81, n. 3, CE, giacché non sarebbe soddisfatta
nessuna delle condizioni ivi prescritte. Le restrizioni non sarebbero né indispensabili, né
adatte, né proporzionate. Al contrario, il detto regolamento sopprimerebbe ogni
concorrenza, visto che solo la FIFA è autorizzata ad accordare licenze. Dietro l’obiettivo
dichiarato di tutelare i giocatori e di moralizzare la professione di agente di giocatori,
l’intenzione reale della FIFA sarebbe di controllare completamente la professione di
agente di giocatori in spregio della libertà d’impresa e del divieto di discriminazione. Il
sig. Piau fa altresì valere che le «peculiarità del mondo dello sport», che permetterebbero
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di derogare al diritto comunitario della concorrenza, non potrebbero essere invocate nella
fattispecie, perché l’attività in causa non avrebbe attinenza diretta con lo sport.
57 In terzo luogo, secondo il ricorrente, la FIFA si trova in posizione dominante sul
«mercato del calcio» ed abusa di tale sua posizione sul mercato connesso dei servizi resi
dagli agenti di giocatori. Essa sarebbe un’associazione di imprese e il regolamento
modificato costituirebbe una decisione di associazione di imprese. Rappresentando gli
interessi di tutti gli acquirenti, la FIFA agirebbe da monopsonista, ossia da acquirente
unico che impone le sue condizioni alle controparti. Gli abusi di posizione dominante
risulterebbero dalle disposizioni obbligatorie del regolamento. Gli agenti di giocatori
muniti di licenza deterrebbero anch’essi, tutti insieme, una posizione dominante collettiva
della quale abuserebbero mercé la regolamentazione FIFA. Il mercato delle prestazioni di
servizi degli agenti di giocatori sarebbe riservato ai membri dell’associazione di imprese
e agli agenti sprovvisti di licenza ne sarebbe negato l’accesso.
58 In quarto luogo, il sig. Piau sostiene che il regolamento modificato, subordinando
l’accesso alla professione di agente di giocatori al possesso di una licenza, ostacola la
libera prestazione dei servizi nonché la libertà d’impresa. La FIFA non sarebbe
legittimata a regolamentare un’attività economica, sicché la Commissione le avrebbe
implicitamente delegato un potere di regolamentazione di un’attività di prestazione di
servizi che compete in realtà agli Stati membri.
59 La Commissione asserisce, in via principale, che non sussisteva un interesse
comunitario a proseguire il procedimento, che per questo la denuncia è stata giustamente
rigettata e che di conseguenza il ricorso del sig. Piau è infondato. Il «carattere
transfrontaliero» del mercato non implicherebbe necessariamente un interesse
comunitario. Nel regolamento modificato le disposizioni più restrittive sarebbero state
soppresse. Gli effetti eventualmente persistenti del regolamento iniziale si rivelerebbero
misure transitorie a tutela dei diritti acquisiti dagli agenti autorizzati all’epoca del vecchio
regolamento. La circostanza che una denuncia metta in causa asseriti abusi di posizione
dominante non lascerebbe di per sé concludere che sussiste un interesse comunitario.
Contrariamente a quanto egli afferma, nulla impedirebbe al ricorrente di adire i tribunali
di diritto comune.
60 In subordine, la Commissione fa valere, in primo luogo, che l’argomentazione del
ricorrente, fondata su disposizioni estranee al diritto della concorrenza, è irricevibile o
infondata, poiché né il regolamento n. 17 né altre norme di diritto legittimerebbero ad
agire contro un’associazione di imprese su basi diverse dal rispetto delle norme
comunitarie in materia di concorrenza. La Commissione fa, inoltre, valere che il diritto
comunitario ammette il riconoscimento dei diritti acquisiti e che le censure del ricorrente
vertenti sulla tutela dei dati personali sono infondate. Dal momento che l’organizzazione
della professione di agente di giocatori non è stata armonizzata a livello comunitario, il
regolamento FIFA, che ne stabilisce condizioni di accesso uniformi a livello mondiale,
non sarebbe in grado di restringere la libera circolazione degli agenti di giocatori.
61 In secondo luogo, la Commissione afferma di non aver compiuto un errore di
valutazione della regolamentazione in causa, la quale effettivamente mirerebbe a tutelare
i giocatori e a garantire la professionalità degli agenti. Il sistema delle licenze
imporrebbe, in mancanza di un’organizzazione interna alla professione, restrizioni
qualitative giustificate, indispensabili e proporzionate. Le disposizioni più restrittive,
concernenti segnatamente le condizioni d’accesso alla professione e le modalità d’esame,
sarebbero state, inoltre, soppresse. Il regolamento modificato sarebbe congruo agli
obiettivi perseguiti e terrebbe conto delle peculiarità del mondo dello sport. La
disposizione riguardante la remunerazione dell’agente avrebbe mero carattere sussidiario,
lasciando alle parti ampia libertà. Il modello di contratto standard non ostacolerebbe la
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libertà delle parti e la limitazione della sua durata a due anni sarebbe positiva per la
concorrenza. L’asserito divieto di ricorso ai giudici di diritto comune non risponderebbe
al vero. Le regole deontologiche, che troverebbero una possibile giustificazione
nell’interesse generale, sarebbero proporzionate e compatibili con il diritto comunitario
della concorrenza. Infine, il carattere obbligatorio del regolamento e le relative sanzioni
sarebbero coerenti con una regolamentazione.
62 In terzo luogo, la Commissione sostiene che il regolamento modificato soddisfa le
condizioni poste dall’art. 81, n. 3, CE per beneficiare di una deroga. Le restrizioni che
esso comporta, dovute a preoccupazioni di moralizzazione e di professionalità, sarebbero
congrue. La concorrenza non sarebbe eliminata. La stessa esistenza di un regolamento
favorirebbe un miglior funzionamento del mercato e costituirebbe, quindi, un progresso
economico.
63 In quarto luogo, sempre secondo la Commissione, l’art. 82 CE, che concerne
unicamente le attività economiche, non troverebbe applicazione nella fattispecie, che
verte su un’attività di pura regolamentazione. La FIFA non potrebbe essere definita né
una «potenza economica» né un monopsonista, né sarebbe dimostrato un qualsivoglia
abuso su mercati connessi a quello «del football». La FIFA non rappresenterebbe gli
interessi economici delle società e dei giocatori. Gli agenti di giocatori autorizzati
eserciterebbero, a loro volta, una professione poco concentrata e non strutturata, sicché
non abuserebbero di una posizione dominante collettiva. Al contrario, la Commissione
afferma che la FIFA è un’associazione di imprese e che il regolamento controverso è una
decisione di associazione di imprese.
64 La FIFA fa valere per prima cosa che la Commissione ha a buon diritto rigettato la
denuncia del sig. Piau per mancanza di interesse comunitario. Le disposizioni restrittive
mantenute in vigore nel regolamento modificato sarebbero di tipo qualitativo. Esse non
comporterebbero restrizioni vietate ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE e sarebbero giustificate
dall’art. 81, n. 3, CE. Gli effetti anticoncorrenziali asseritamente rimasti non sarebbero il
risultato della regolamentazione in causa, bensì dell’attività degli agenti. Il «carattere
transfrontaliero» del mercato non inciderebbe sul possibile interesse comunitario di una
controversia.
65 In secondo luogo, la FIFA sostiene che il regolamento modificato non può essere
definito una decisione di associazione di imprese, giacché le società di professionisti, che
possono essere considerate imprese, costituiscono solo una minoranza dei membri delle
federazioni nazionali, a loro volta membri dell’organizzazione internazionale. I
regolamenti adottati dalla FIFA non sarebbero, dunque, l’espressione della volontà di tali
società. Il regolamento modificato non conterrebbe restrizioni efficaci per la concorrenza.
Le modalità d’ottenimento della licenza sarebbero ormai soddisfacenti. L’assicurazione
professionale, di importo determinato secondo un criterio oggettivo, permetterebbe una
risoluzione congrua delle controversie. Le disposizioni relative alla remunerazione
dell’agente non sarebbero assimilabili ad un dispositivo di fissazione dei prezzi. Il
modello di contratto standard prevederebbe stipulazioni classiche e non pregiudicherebbe
la tutela della vita privata. Le regole deontologiche, il dispositivo sanzionatorio e il
sistema di risoluzione delle controversie non sarebbero contrari all’art. 81 CE.
66 In terzo luogo, sempre secondo la FIFA, il regolamento modificato avrebbe potuto
costituire oggetto di una deroga in conformità all’art. 81, n. 3, CE. Tale regolamento
sarebbe necessario in mancanza di un’organizzazione della professione e di leggi
nazionali e in considerazione della dimensione mondiale del calcio. Esso favorirebbe la
professionalità e la moralizzazione dell’attività degli agenti di giocatori, il cui numero
crescente dimostrerebbe che la disciplina controversa non è restrittiva.
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67 In quarto luogo, la FIFA afferma che l’art. 82 CE non trova applicazione e che essa
non ha commesso abusi di posizione dominante. Ricorda di non essere un’associazione di
imprese e fa valere di non svolgere, nell’esercizio del suo potere regolamentare qui
controverso, attività economiche. Il ricorrente non ha mai parlato di «mercato del calcio»
nel corso del procedimento amministrativo e la circostanza che essa eserciti un potere
regolamentare sui soggetti economici di un dato mercato non significa che essa sia attiva
su tale mercato né, a fortiori, che vi detenga una posizione dominante. Il mercato della
consulenza di cui trattasi non sarebbe peraltro connesso a nessun altro mercato su cui la
FIFA opererebbe. La FIFA non potrebbe neppure essere definita monopsonista, giacché
non rappresenterebbe né le società né i giocatori nei loro rapporti con gli agenti. Neppure
gli agenti autorizzati rivestirebbero una posizione dominante collettiva di cui
abuserebbero mercé la regolamentazione FIFA.
Giudizio del Tribunale
Riguardo alla natura del regolamento FIFA che disciplina l’attività degli agenti di
giocatori
68 La Commissione, pur non avendo qualificato rispetto al diritto comunitario né la
natura del regolamento che disciplina l’attività degli agenti di giocatori, né la FIFA in
quanto autrice del medesimo, ha, nella decisione impugnata, esaminato la denuncia del
sig. Piau sotto il profilo delle norme comunitarie in materia di concorrenza, in particolare
dell’art. 81 CE. Orbene, tale disposizione e i poteri conferiti alla Commissione per
assicurarne l’osservanza riguardano decisioni, accordi o pratiche di imprese o di
associazioni di imprese, fermo restando che il diritto comunitario trova applicazione solo
nella misura in cui agli atti ovvero ai comportamenti controversi e ai loro autori si
applichi tale disposizione. Nel presente giudizio la Commissione ha indicato che, a suo
parere, la FIFA costituiva un’associazione di imprese e il regolamento controverso una
decisione di associazione di imprese, confermando così l’analisi che aveva svolto nella
comunicazione degli addebiti, condivisa dal sig. Piau ma contestata dalla FIFA.
69 Quanto, in primo luogo, alla nozione di associazione di imprese, e senza necessità di
pronunciarsi sulla ricevibilità dell’argomentazione di un’interveniente che avversi la parte
sostenuta, è pacifico che la FIFA ha come membri associazioni nazionali costituite da
società che esercitano economicamente il gioco del calcio. Ne consegue che tali società
sono imprese nel senso dell’art. 81 CE e che le federazioni nazionali che le raggruppano
sono associazioni di imprese nel senso della medesima disposizione.
70 Il fatto che le federazioni nazionali raggruppino, oltre a società di professionisti, anche
società di dilettanti non infirma tale conclusione. Al riguardo, occorre rilevare che la
circostanza che un’associazione o una federazione sportiva qualifichi unilateralmente
come «dilettanti» atleti o società non è di per sé tale da escludere che questi ultimi
esercitino attività economiche ai sensi dell’art. 2 CE (v., in tal senso, sentenza della Corte
11 aprile 2000, cause riunite C-51/96 e C-191/97, Deliège, Racc. pag. I-2549, punto 46).
71 Inoltre, le federazioni nazionali, che ai termini dello statuto della FIFA sono tenute a
partecipare alle competizioni da questa organizzate, devono corrisponderle una
percentuale degli incassi lordi di ciascun incontro internazionale e sono riconosciute,
sempre dal detto statuto, comproprietarie insieme alla FIFA dei diritti esclusivi di
diffusione e di trasmissione delle manifestazioni sportive di cui trattasi, esercitano anche
a questo titolo un’attività economica (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 9 novembre
1994, causa T-46/92, Scottish Football/Commissione, Racc. pag. II-1039). Anch’esse
costituiscono, dunque, imprese nel senso dell’art. 81 CE.
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72 Siccome le federazioni nazionali sono associazioni di imprese nonché, date le attività
economiche che esse esercitano, imprese, la FIFA, in quanto associazione che raggruppa
le federazioni nazionali, è a propria volta un’associazione di imprese nel senso
dell’art. 81 CE. Infatti tale disposizione si applica alle associazioni solo nell’ipotesi in cui
la loro attività o quella delle imprese associate produca gli effetti che essa vieta (v.
sentenza della Corte 15 maggio 1975, causa 71/74, Frubo/Commissione, Racc. pag. 563,
punto 30). L’ambito giuridico entro il quale sono adottate decisioni di imprese come pure
la definizione giuridica di tale ambito data dai vari ordinamenti giuridici nazionali sono
irrilevanti ai fini dell’applicazione delle norme comunitarie sulla concorrenza (v. sentenza
della Corte 30 gennaio 1985, causa 123/83, BNIC, Racc. pag. 391, punto 17).
73 Quanto, in secondo luogo, alla nozione di decisione di associazione di imprese, dal
fascicolo risulta che l’attività degli agenti di giocatori consiste, ai termini dello stesso
regolamento modificato, nel presentare «dietro compenso e sulla base di regole fisse (…)
un calciatore ad una Società in vista di un impiego oppure (…) due società l’una all’altra
in vista di concludere un contratto di trasferimento». Trattasi, quindi, di un’attività
economica di prestazione di servizi e non di un’attività peculiare al mondo dello sport nel
senso definito dalla giurisprudenza (v. sentenze della Corte 14 luglio 1976, causa 13/76,
Donà, Racc. pag. 1333, punti 14 e 15; 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman, Racc.
pag. I-4921, punto 127; Deliège, cit., punti 64 e 69, e 13 aprile 2000, causa C-176/96,
Lehtonen e Castors Braine, Racc. pag. I-2681, punti 53-60).
74 Da un lato, il regolamento per l’attività degli agenti di giocatori è stato adottato dalla
FIFA motu proprio e non in virtù di poteri normativi che le sarebbero stati delegati dalle
autorità pubbliche per esercitare un compito riconosciuto di interesse generale
riguardante l’attività sportiva (v., per analogia, sentenza della Corte 19 febbraio 2002,
causa C-309/99, Wouters e a., Racc. pag. I-1577, punti 68 e 69). Tale regolamento non si
giustifica neppure con la libertà di organizzazione interna delle associazioni sportive (v.
sentenze Bosman, cit., punto 81, e Deliège, cit., punto 47).
75 D’altro lato, vincolante per le federazioni nazionali membri della FIFA, che sono
tenute a stabilire una regolamentazione analoga soggetta ad approvazione della FIFA,
nonché per le società, per i giocatori e per gli agenti di giocatori, il detto regolamento
esprime la volontà della FIFA di coordinare il comportamento dei suoi membri verso
l’attività degli agenti di giocatori. Esso costituisce, di conseguenza, una decisione di
associazione di imprese nel senso dell’art. 81, n. 1, CE (v. sentenze della Corte 27
gennaio 1987, causa 45/85, Verband der Sachversicherer/Commissione, Racc. pag. 405,
punti 29-32, e Wouters e a., cit., punto 71), la quale deve rispettare le norme comunitarie
in materia di concorrenza poiché essa produce effetti nella Comunità.
76 Per quanto concerne la legittimazione, contestata dal ricorrente, della FIFA ad adottare
una tale regolamentazione, che non ha un oggetto sportivo bensì disciplina un’attività
economica periferica all’attività sportiva in questione e tocca libertà fondamentali, c’è
effettivamente da interrogarsi sulla compatibilità del potere normativo che si
autoattribuisce un’organizzazione privata come la FIFA, il cui scopo statutario
preminente è la promozione del calcio (v. supra, punto 2), con i principi comuni agli Stati
membri sui quali si fonda l’Unione europea.
77 Invero, il principio medesimo della regolamentazione di un’attività economica non
concernente né le peculiarità del mondo dello sport, né la libertà di organizzazione
interna delle associazioni sportive, da parte di un organismo di diritto che non ha ricevuto
nessuna delega in tal senso dall’autorità pubblica, come appunto è la FIFA, non può
essere prima facie ritenuto compatibile con il diritto comunitario, visto che è questione
segnatamente di rispettare libertà civili ed economiche.
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78 Una regolamentazione siffatta, che disciplina un’attività economica toccando libertà
fondamentali, compete in linea di principio alle autorità pubbliche. Nondimeno,
nell’ambito del presente giudizio, la competenza normativa esercitata, nella quasi totale
assenza di regolamentazioni nazionali, dalla FIFA può essere verificata solo nei limiti in
cui collide con le regole di concorrenza, rispetto alle quali si deve valutare la legittimità
della decisione impugnata, senza che possano essere sindacate in questa sede le
considerazioni sul fondamento giuridico della FIFA ad esercitare un’attività
regolamentare, per quanto importanti.
79 Il presente giudizio verte, infatti, sulla legittimità di una decisione adottata dalla
Commissione al termine di un procedimento aperto per una denuncia depositata in
conformità del regolamento n. 17, per la cui trattazione la Commissione non poteva
mettere in atto altri poteri che quelli di cui dispone in tale ambito. Il sindacato
giurisdizionale è necessariamente circoscritto alle norme in materia di concorrenza e alla
valutazione effettuata dalla Commissione sulle violazioni che il regolamento della FIFA
vi avrebbe arrecato. Tale sindacato non può perciò estendersi ad altre disposizioni del
Trattato se non quando la loro eventuale violazione riveli contestualmente una violazione
del diritto della concorrenza, e non può neppure spingersi a verificare eventuali violazioni
di principi fondamentali se non qualora queste integrino un’infrazione al diritto della
concorrenza.
Riguardo alla valutazione dell’interesse comunitario della denuncia
80 La decisione impugnata rigetta la denuncia del sig. Piau per mancanza di interesse
comunitario a proseguire il procedimento. Occorre ricordare che, da un lato, la
valutazione dell’interesse comunitario rappresentato da una denuncia varia in rapporto
alle circostanze di fatto e di diritto di ciascun caso di specie, che possono differire
notevolmente da un caso all’altro, e non da criteri predeterminati di applicazione
obbligatoria (v., in tal senso, sentenza Ufex e a./Commissione, cit., punti 79 e 80).
Dall’altro, la Commissione, investita dall’art. 85, n. 1, CE del compito di vigilare
sull’applicazione degli artt. 81 CE e 82 CE, è responsabile e dell’orientamento e
dell’attuazione della politica comunitaria della concorrenza e dispone a tal fine di un
potere discrezionale nel trattare le denuncie. Tale potere non è però senza limiti e la
Commissione ha l’obbligo di valutare in ciascun caso la gravità, la durata delle violazioni
della concorrenza e la persistenza dei loro effetti (v., in tal senso, sentenza Ufex e
a./Commissione, cit., punti 88, 89, 93 e 95).
81 Il controllo, poi, del giudice comunitario sull’esercizio da parte della Commissione del
potere discrezionale riconosciutole in materia non deve condurre a sostituire la propria
valutazione dell’interesse comunitario a quella della Commissione, bensì a verificare se
la decisione controversa non si basi su fatti materialmente inesatti e non sia viziata da
errori di diritto, da manifesti errori di valutazione o da sviamento di potere (v. sentenza
del Tribunale 14 febbraio 2001, causa T-115/99, SEP/Commissione, Racc. pag. II-691,
punto 34).
82 Nella fattispecie, un triplice ordine di considerazioni fonda il giudizio della
Commissione di assenza di interesse comunitario: l’abrogazione delle disposizioni più
restrittive contenute nel regolamento iniziale, la possibilità di una deroga ex art. 81, n. 3,
CE alle disposizioni del regolamento modificato e l’inapplicabilità dell’art. 82 CE.
– Sull’abrogazione delle disposizioni più restrittive contenute nel regolamento iniziale
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83 La decisione impugnata espone innanzi tutto che le disposizioni più restrittive
contenute nel regolamento del 20 maggio 1994 sono state abrogate nel successivo
regolamento del 20 dicembre 2000. Essa esamina le disposizioni del regolamento FIFA in
cinque rubriche, relative, rispettivamente, all’esame, all’assicurazione, al codice di
condotta professionale, alla determinazione della remunerazione dell’agente di giocatori e
al modello di contratto standard.
84 Prima rubrica: sull’esame. La Commissione constata nella decisione impugnata che i
candidati sono ormai soggetti a un esame scritto consistente in un questionario a risposta
multipla le cui modalità e date, precisate nell’allegato al regolamento modificato, sono
uniformi a livello mondiale. Osserva che è ormai previsto un sistema d’appello di due
gradi e che il requisito della residenza da almeno due anni per i cittadini dell’Unione
europea è stato abrogato con emendamento al detto regolamento del 3 aprile 2002. La
decisione impugnata indica che il requisito della «reputazione impeccabile» per ottenere
la licenza, da interpretarsi conformemente alle leggi nazionali, si estenderebbe, in
Francia, dove risiede il sig. Piau, all’assenza di condanne penali. Secondo la
Commissione, le accuse di arbitrarietà formulate dal ricorrente non paiono, in definitiva,
fondate.
85 Seconda rubrica. La Commissione rileva nella decisione impugnata che
l’assicurazione professionale, richiesta a tutti e calcolata in conformità del criterio
oggettivo del fatturato dell’agente di giocatori, ha sostituito il deposito obbligatorio di
una cauzione e può essere stipulata in tutti i paesi dell’Unione presso varie compagnie di
assicurazione. Sul punto la FIFA ha prodotto, in risposta ai quesiti del Tribunale
menzionati al precedente punto 26, esempi di contratti di assicurazione professionale
proposti agli agenti di giocatori da 12 compagnie di assicurazione dell’Unione europea o
del SEE. La decisione impugnata indica anche che la garanzia richiesta, che deve coprire
tutti i possibili rischi dell’attività di mediazione, non pare sproporzionata in rapporto ai
rischi coperti, per esempio, dalle corrispondenti assicurazioni dei liberi professionisti.
86 Terza rubrica: sul codice di condotta professionale. La Commissione ritiene nella
decisione impugnata che i principi elementari di buona condotta professionale esposti nel
codice allegato al regolamento modificato, e relativi in particolare a regole di coscienza
professionale, di onestà, di lealtà, di oggettività, di trasparenza, di sincerità, di giustizia e
di equità, non gravino oltremisura gli agenti di giocatori.
87 Quarta rubrica: sulla fissazione della remunerazione dell’agente di giocatori. La
Commissione, nella decisione impugnata, ha proceduto all’esame dell’art. 12 del
regolamento, ai cui sensi la remunerazione dell’agente è calcolata in funzione del reddito
base lordo del giocatore e fissata nella misura del suo 5% salvo diverso accordo delle
parti. Tale disposizione rinvierebbe ad un criterio oggettivo e trasparente (il reddito base
del giocatore) e non costituirebbe che un meccanismo sussidiario di risoluzione di
conflitti.
88 Quinta rubrica. Ai termini della decisione impugnata, quello della violazione della
privacy in conseguenza dell’invio per la registrazione di una copia del contratto stipulato
tra giocatore e agente alla federazione nazionale interessata, censurato dal sig. Piau, non è
un problema di diritto comunitario della concorrenza.
89 Dalla decisione impugnata non emerge, dunque, che i principi derivanti dalla
giurisprudenza già ricordata ai punti 80 e 81 circa la portata dei suoi obblighi sono stati
trascurati dalla Commissione, la quale ha [anzi] esaminato con attenzione gli elementi
avanzati dal ricorrente.
90 La Commissione non ha dato delle disposizioni del regolamento modificato,
esaminate ai precedenti punti 84-88, una valutazione manifestamente errata allorché ha
ritenuto che l’esame presentasse sufficienti garanzie d’oggettività e di trasparenza e che
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l’obbligo di assicurarsi contro i rischi professionali non fosse sproporzionato, e ha
implicitamente escluso, per quanto riguarda le disposizioni del regolamento relative alla
remunerazione dell’agente di giocatori, di poter parlare di regime di prezzi imposti nel
senso del diritto della concorrenza (v. sentenza del Tribunale 22 ottobre 1997, cause
riunite T-213/95 e T-18/96, SCK e FNK/Commissione, Racc. pag. II-1739, punti 158,
159 e 161-164).
91 Gli argomenti sviluppati dal sig. Piau nell’ambito del presente giudizio in merito al
contenuto del regolamento modificato, riguardanti l’obbligo imposto da quest’ultimo di
osservare le regole stabilite dalla FIFA, il contenuto del contratto standard, il sistema
sanzionatorio e i mezzi di ricorso, non infirmano questa conclusione.
92 In primo luogo, l’obbligo fatto agli agenti di giocatori di rispettare la normativa FIFA
in materia, segnatamente, di trasferimenti di giocatori non sembra di per sé contrario alle
regole di concorrenza, fermo restando che la normativa FIFA sui trasferimenti dei
giocatori, che non costituiva oggetto delle denuncia del sig. Piau, è estranea al presente
giudizio e non può essere qui esaminata. Interrogato sul punto all’udienza, il ricorrente
non ha, neppure nei suoi scritti, precisato in cosa l’obbligo di osservare la normativa
FIFA pregiudicasse la concorrenza.
93 In secondo luogo, le disposizioni relative al contenuto del contratto tra l’agente e il
giocatore, secondo le quali il contratto, scritto, deve precisare i criteri e le modalità di
remunerazione dell’agente e non può durare più di due anni, potendo però essere
rinnovato, non pregiudicano la concorrenza. La limitazione della durata dei contratti a
due anni, che non osta al rinnovo dell’impegno, sembra tale da favorire la fluidità del
mercato e, di conseguenza, la concorrenza. Questo inquadramento relativamente limitato
dei rapporti contrattuali sembra invece contribuire ad assicurare le relazioni finanziarie e
giuridiche delle parti, senza tuttavia minacciare la concorrenza.
94 In terzo luogo, il regime di sanzioni, riassunto al precedente punto 16, per quanto
possa incidere sulle regole di concorrenza, non sembra criticabile. Dal regolamento
modificato risulta che le sanzioni applicabili agli agenti, ai giocatori e alle società sono: la
cauzione, la censura, l’avvertimento, la sospensione o il ritiro della licenza per gli agenti,
la sospensione fino a dodici mesi per i giocatori e la sospensione o il divieto [di
trasferimenti] di almeno tre mesi per le società, sanzioni che non si possono considerare
palesemente eccessive trattandosi di professionisti. Per giunta, gli importi delle ammende
previste per i giocatori e per le società sono stati ridotti rispetto a quelli indicati nel
regolamento iniziale. Né il sig. Piau ha fornito elementi attestanti che tale dispositivo è
stato applicato in maniera arbitraria e discriminatoria, pregiudicando già così la
concorrenza.
95 In quarto luogo, quanto ai mezzi di ricorso ai tribunali di diritto comune, e
supponendo che le disposizioni del regolamento modificato possano incidere sotto tale
profilo sulle regole di concorrenza, risulta dalle risposte apportate dalla FIFA e dalla
Commissione ai quesiti del Tribunale (menzionati supra, al punto 26) che,
indipendentemente dal sistema di ricorso contro le decisioni delle federazioni nazionali o
della Commissione dello Status del calciatore, competente per gli agenti di giocatori,
presso il Tribunale Arbitrale dello Sport, gli interessati possono sempre adire i tribunali di
diritto comune, segnatamente per far valere i diritti loro derivanti dall’ordinamento
nazionale o da quello comunitario; inoltre le decisioni del Tribunale Arbitrale dello Sport
sono suscettibili di ricorso per annullamento dinanzi al Tribunale federale svizzero.
Orbene, il ricorrente, che ha dato atto all’udienza di difficoltà e di lungaggini che
inficiano i procedimenti giurisdizionali nazionali, non ha tuttavia dimostrato di essere
stato privato d’ogni mezzo di ricorso ai tribunali di diritto comune, né a fortiori che il
gioco della concorrenza ne aveva risentito.
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96 Dall’esame sopra svolto discende che i motivi e gli argomenti del sig. Piau fondati sul
diritto della concorrenza non rimettono in causa la conclusione secondo cui la
Commissione ha ben potuto considerare abrogate le disposizioni più restrittive della
regolamentazione controversa. L’argomentazione del ricorrente al riguardo deve essere,
di conseguenza, respinta.
97 Occorre altresì respingere i motivi e gli argomenti del ricorrente non pertinenti al
diritto della concorrenza, perché non evidenziano violazioni in tal senso. Il sig. Piau non
ha dimostrato che i suoi motivi e argomenti, vertenti sulla violazione della libertà
contrattuale, sull’incompatibilità del regolamento FIFA con la legislazione francese e
sulla divulgazione di dati personali, integrerebbero una violazione del diritto di
concorrenza. Non essendo peraltro corroborati da nessun elemento, essi devono essere
perciò respinti come inconferenti in una controversia in materia di concorrenza.
98 Né può essere accolto l’argomento del sig. Piau secondo cui, avendo gli agenti
autorizzati al tempo del regolamento iniziale conservato la loro licenza, permarrebbero
effetti anticoncorrenziali. Da un lato, il ricorrente non dimostra che tale circostanza
comporterebbe di per sé effetti anticoncorrenziali. Dall’altro, il principio di certezza del
diritto osta a rimettere in causa situazioni giuridiche di cui non è provato che siano state
acquisite irregolarmente (v., per analogia, sentenza del Tribunale 30 novembre 1994,
causa T-498/93, Dornonville de la Cour/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-257 e II-813,
punti 46-49 e 58). Inoltre, come ha affermato la Corte a proposito delle misure transitorie
in materia di riconoscimento dei diplomi – questa giurisprudenza vale anche nella
fattispecie –, in casi simili è lecito preservare i diritti acquisiti (v. sentenze della Corte 9
agosto 1994, causa C-447/93, Dreessen, causa C-447/93, Racc. pag. I-4087, punto 10, e
16 ottobre 1997, cause riunite da C-69/96 a C-79/96, Garofalo e a., Racc. pag. I-5603,
punti 29-33).
99 Da tutto quanto precede risulta che la Commissione non ha commesso errori manifesti
di valutazione sulla portata delle disposizioni della normativa controversa e sulla
denunciata persistenza degli effetti anticoncorrenziali del regolamento iniziale, all’origine
della denuncia del sig. Piau. Il ricorrente non può perciò utilmente sostenere che le
disposizioni più restrittive del regolamento iniziale non sarebbero state abrogate e che a
causa del loro mantenimento nel regolamento modificato resterebbero effetti
anticoncorrenziali.
– Sulla possibilità di una deroga ex art. 81, n. 3, CE alle disposizioni del regolamento
modificato
100 La Commissione considera nella decisione impugnata che il carattere obbligatorio
della licenza potrebbe trovare una giustificazione e che il regolamento modificato
potrebbe fruire di una deroga ex art. 81, n. 3, CE. Il sistema della licenza, che impone
restrizioni più qualitative che quantitative, intenderebbe tutelare i giocatori e le società e
prenderebbe in considerazione, in particolare, i rischi corsi dai giocatori, le cui carriere
sono brevi, in caso di trasferimenti mal negoziati. In mancanza, al momento, di
un’organizzazione della professione di agente di giocatori e di normative nazionali
generalizzate, la restrizione inerente al sistema della licenza è proporzionata e
indispensabile.
101 Il principio stesso della licenza, che è imposta dalla FIFA e che condiziona
l’esercizio della professione di agente di giocatori, costituisce una barriera all’accesso a
tale attività economica e pregiudica, dunque, necessariamente il gioco della concorrenza.
La si può ammettere, perciò, nei limiti in cui siano soddisfatte le condizioni enunciate
all’art. 81, n. 3, CE, di modo che il regolamento modificato potrebbe fruire di
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un’esenzione in conformità a tale disposizione, ove si constati che contribuisce a
promuovere il progresso economico, riserva agli utilizzatori una congrua parte dell’utile
che ne deriva, non impone restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali
obiettivi e non elimina la concorrenza.
102 Circostanze di diritto e di fatto di vario ordine sono state invocate per giustificare
l’adozione del regolamento e il principio stesso della licenza obbligatoria che ne è alla
base. Sembra innanzi tutto che, in seno alla Comunità, soltanto la Francia abbia
regolamentato la professione di agente sportivo. Peraltro, è pacifico che, nel loro insieme,
gli agenti di giocatori non costituiscono attualmente una professione organizzata al
proprio interno. È pacifico anche che alcune pratiche di agenti di giocatori hanno potuto,
in passato, danneggiare finanziariamente o professionalmente giocatori e società. La
FIFA ha spiegato che, adottando la normativa in causa, essa perseguiva un duplice
obiettivo di professionalizzazione e di moralizzazione dell’attività di agente di giocatori
al fine di proteggere questi ultimi, la cui carriera è breve.
103 Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, la concorrenza non è eliminata dal
sistema della licenza. Esso sembra comportare una selezione qualitativa, adatta a
soddisfare l’obiettivo di professionalizzazione dell’attività di agente di giocatori,
piuttosto che una restrizione quantitativa al suo accesso. Al contrario, l’apertura dei
ranghi di questa professione è corroborata dai dati numerici comunicati all’udienza dalla
FIFA. Quest’ultima ha indicato, senza essere contraddetta, che, mentre contava 214
agenti di giocatori nel 1996, al momento dell’entrata in vigore del regolamento iniziale,
stimava il loro numero in 1 500 agli inizi del 2003, e che 300 candidati avevano superato
l’esame nelle sessioni di marzo e di settembre di quello stesso anno.
104 Tenuto conto delle circostanze già ricordate ai punti 102 e 103 e delle attuali
condizioni di esercizio dell’attività di agente di giocatori, caratterizzate da un’assenza
quasi generale di regolamentazioni nazionali e dalla mancanza di organizzazione
collettiva degli agenti di giocatori, la Commissione non ha commesso errori manifesti di
valutazione nel ritenere le restrizioni discendenti dal carattere obbligatorio della licenza
passibili di una deroga ex art. 81, n. 3, CE, riservandosi, d’altro canto, a giusto titolo, il
diritto di riesaminare la regolamentazione in causa. L’argomentazione del sig. Piau al
riguardo dev’essere, pertanto, respinta.
105 Del pari, si deve respingere come inconferente l’argomento del ricorrente secondo
cui non si potrebbero invocare le «peculiarità del mondo dello sport» per giustificare una
deroga alle regole di concorrenza. La decisione impugnata non si fonda su una tale
deroga, bensì intende l’esercizio dell’attività di agente di giocatori come un’attività
economica, senza pretendere che per essa valgano le peculiarità del mondo dello sport al
quale, per l’appunto, non appartiene.
106 Occorre anche respingere gli argomenti del sig. Piau vertenti sulla violazione della
libertà di impresa e della libera prestazione dei servizi, in quanto non gli sono valsi a
dimostrare una contestuale violazione delle regole di concorrenza, la quale osterebbe alla
possibilità di accordare una deroga al regolamento modificato ai sensi dell’art. 81, n. 3,
CE.
– Sull’inapplicabilità dell’art. 82 CE
107 La decisione impugnata indica che l’art. 82 CE non si applica nella fattispecie, come
afferma il ricorrente, giacché la FIFA non opera sul mercato della consulenza ai giocatori.
108 L’art. 82 CE vieta lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una
posizione dominante detenuta sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo.
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109 Tale disposizione riguarda il comportamento di uno o più operatori economici che
sfruttano in maniera abusiva una posizione di potenza economica e ostano così al
mantenimento di un’effettiva concorrenza sul mercato in questione, dando a tale/i
operatore/i la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei
propri concorrenti, dei propri clienti e, in ultima analisi, dei consumatori (v. sentenza
della Corte 16 marzo 2000, cause riunite C-395/96 P e C-396/96 P, Compagnie maritime
belge transports e a./Commissione, Racc. pag. I-1365, punto 34).
110 L’espressione «più imprese» di cui all’art. 82 CE implica che una posizione
dominante può essere detenuta da due o più entità economiche, giuridicamente
indipendenti l’una dall’altra, a condizione che, dal punto di vista economico, esse si
presentino o agiscano insieme, su un mercato specifico, come un’entità collettiva (v.
sentenza Compagnie maritime belge transports e a./Commissione, cit., punto 36).
111 Per l’esistenza di una posizione dominante collettiva è necessario che siano presenti
tre requisiti cumulativi: in primo luogo, ciascun membro dell’oligopolio dominante deve
poter conoscere il comportamento degli altri membri, al fine di verificare se essi adottino
o meno la stessa linea di azione; in secondo luogo, è necessario che la situazione di
coordinamento tacito possa conservarsi nel tempo, ossia deve esistere un incentivo a non
discostarsi dalla linea di condotta comune nel mercato; in terzo luogo, la reazione
prevedibile dei concorrenti effettivi e potenziali nonché dei consumatori non rimetterebbe
in discussione i risultati attesi dalla comune linea d’azione (v. sentenze del Tribunale 6
giugno 2002, causa T-342/99, Airtours/Commissione, Racc. pag. II-2585, punto 62, e 8
luglio 2003, causa T-374/00, Verband der freien Rohrwerke eV e a./Commissione, Racc.
pag. II-2275, punto 121).
112 Nella fattispecie, il mercato interessato dalla regolamentazione in causa è un mercato
di prestazioni di servizi dove gli acquirenti sono i giocatori e le società, e i venditori gli
agenti. Ora, su tale mercato, la FIFA può essere considerata attiva per conto delle società
di calcio, delle quali – si è visto sopra (punti 69-72) – è emanazione, in quanto federa
imprese che sono appunto le società.
113 Una decisione come il regolamento FIFA che disciplina l’attività degli agenti di
giocatori, in sede di applicazione, può sortire la conseguenza che imprese attive sul
mercato in questione, vale a dire le società, si trovino vincolate quanto al loro
comportamento su un mercato determinato in maniera tale che esse si presentano su tale
mercato come un’entità collettiva nei confronti dei loro concorrenti, delle loro controparti
commerciali e dei consumatori (v. sentenza Compagnie maritime belge transports e
a./Commissione, cit., punto 44).
114 Orbene, dato il carattere obbligatorio del regolamento per loro previsto, le
federazioni nazionali membri della FIFA e le società che esse raggruppano appaiono
durevolmente vincolate nei loro comportamenti da regole che accettano e che gli altri
soggetti (giocatori e agenti di giocatori) non possono trasgredire senza andare incontro a
sanzioni che, nel caso particolare degli agenti di giocatori, possono andare fino
all’espulsione dal mercato. Ciò caratterizza, nel senso della giurisprudenza citata ai
precedenti punti 110 e 111, una posizione dominante collettiva delle società sul mercato
delle prestazioni di servizi da parte degli agenti di giocatori, poiché sono le società,
tramite la regolamentazione cui aderiscono, che impongono le condizioni di prestazione
di tali servizi.
115 Pare artificioso sostenere che la FIFA, il cui potere di direzione sull’attività sportiva
del calcio e le attività economiche connesse, come, nella fattispecie, l’attività degli agenti
di giocatori, è accertato, non detiene una posizione dominante collettiva sul mercato delle
prestazioni di servizi da parte degli agenti di giocatori [solo] perché non agirebbe
direttamente su tale mercato.
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DI
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116 La circostanza che la FIFA non sia, di per sé, un operatore economico, che acquista
prestazioni di servizi degli agenti di giocatori sul mercato interessato, e che il suo
intervento derivi da un’attività normativa che essa si è attribuito il potere di esercitare
riguardo all’attività economica degli agenti di giocatori è irrilevante ai fini
dell’applicazione dell’art. 82 CE, poiché la FIFA è l’emanazione delle federazioni
nazionali e delle società, effettive acquirenti dei servizi degli agenti di giocatori, e agisce
conseguentemente sul detto mercato tramite i suoi membri.
117 Quanto, invece, all’asserito abuso di posizione dominante, dalle analisi prima svolte
sul regolamento modificato e sulla deroga di cui potrebbe essere oggetto ex art. 81, n. 3,
CE risulta che esso non è dimostrato. È stato, infatti, constatato che il detto regolamento
non imponeva restrizioni quantitative all’accesso all’attività di agente di giocatori
dannose per la concorrenza, bensì restrizioni qualitative giustificabili nelle circostanze di
specie. Gli abusi di posizione dominante che procederebbero, secondo il ricorrente, dalle
disposizioni del regolamento non sono dunque provati e la sua argomentazione deve, su
questo punto, essere respinta.
118 Infine, l’argomento del sig. Piau secondo cui gli agenti di giocatori autorizzati
abuserebbero della loro posizione dominante collettiva nel senso dell’art. 82 CE
dev’essere anch’esso respinto, non avendo egli dimostrato l’effettività di rapporti
strutturali fra tali agenti. La detenzione della medesima licenza, l’utilizzo del medesimo
modello di contratto e la circostanza che la remunerazione degli agenti è determinata in
funzione dei medesimi criteri non provano l’esistenza di una posizione dominante degli
agenti di giocatori autorizzati e il ricorrente non dimostra che gli interessati adotterebbero
un comportamento identico e neppure che si ripartirebbero implicitamente il mercato.
119 Di conseguenza, benché la Commissione abbia considerato, a torto, che la FIFA non
versava in una situazione di posizione dominante sul mercato delle prestazioni di servizi
degli agenti di giocatori, le altre conclusioni contenute nella decisione impugnata,
secondo le quali le disposizioni più restrittive della regolamentazione in causa erano state
abrogate e il sistema della licenza ammetterebbe una deroga ex art. 81, n. 3, CE,
portavano per forza di cose a concludere per l’assenza di infrazione a titolo dell’art. 82
CE e a respingere l’argomentazione del ricorrente al riguardo. Di conseguenza, l’art. 82
CE, nonostante l’errore di diritto commesso dalla Commissione nel ritenerlo
inapplicabile, non avrebbe comunque potuto far concludere nel senso di un abuso di
posizione dominante tenuto conto delle altre pertinenti conclusioni tratte dall’esame del
regolamento. Resta dunque salva la legittimità del rigetto della denuncia per mancanza di
interesse comunitario a proseguire il procedimento.
120 Risulta da quanto precede che la Commissione non ha commesso errori manifesti di
valutazione nel decidere di respingere la denuncia del sig. Piau per carenza di interesse
comunitario a proseguire il procedimento. Il «carattere transfrontaliero» del mercato, non
contestato, è sotto tale profilo irrilevante, in quanto di per sé solo non conferisce a una
denuncia un interesse comunitario. Infatti, dato che la valutazione dell’interesse
comunitario rappresentato da una denuncia varia in rapporto alle circostanze di ciascun
caso di specie, non occorre né limitare il numero dei criteri di valutazione cui la
Commissione può riferirsi né, all’inverso, imporle il ricorso esclusivo a determinati criteri
(v. sentenza Ufex e a./Commissione, cit., punti 79 e 80).
121 Il ricorso del sig. Piau dev’essere, di conseguenza, respinto.
Per questi motivi,
IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)
dichiara e statuisce:
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Il ricorso è respinto.
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24. Procedimento C-246/04,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell’art. 234 CE, dal Verwaltungsgerichtshof (Austria) con decisione 26 maggio 2004,
pervenuta in cancelleria il 10 giugno 2004, nella causa
Turn- und Sportunion Waldburg
contro
Finanzlandesdirektion für Oberösterreich,
LA CORTE (Terza Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione delle disposizioni
dell’art. 13, parte B, lett. b), e parte C, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977,
77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative
alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base
imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»).
2
Questa domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Turn- und
Sportunion Waldburg e la Finanzlandesdirektion für Oberösterreich, vertente sulla
possibilità per un’associazione sportiva senza scopo di lucro che dia in locazione un bene
immobile di esercitare il diritto di optare per l’imposizione accordato ai soggetti passivi
dal legislatore nazionale ai sensi dell’art. 13, parte C, lett. a), della sesta direttiva.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3
L’art. 13, parte A, n. 1, della sesta direttiva così recita:
«Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle condizioni
da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste
in appresso e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:
(...)
m)
talune prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o
dell’educazione fisica, fornite da organizzazioni senza scopo lucrativo alle persone che
esercitano lo sport o l’educazione fisica;
(...)».
4
Ai sensi dell’art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva, l’affitto e la locazione di
beni immobili, ad eccezione di talune operazioni irrilevanti per la fattispecie, sono esenti.
5
L’art. 13, parte C, della medesima direttiva dispone quanto segue:
«Gli Stati membri possono accordare ai loro soggetti passivi il diritto di optare per
l’imposizione nel caso di:
a) affitto e locazione di beni immobili;
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(…)
Gli Stati membri possono restringere la portata del diritto di opzione e ne stabiliscono le
modalità di esercizio».
La normativa nazionale
6
Ai sensi dell’art. 6, n. 1, punto 14, della legge del 1994 relativa all’imposta sulla
cifra d’affari (Umsatzsteuergesetz; in prosieguo: l’«UStG del 1994»), le operazioni
effettuate da associazioni senza scopo di lucro aventi come scopo statutario l’esercizio o
la promozione dell’educazione fisica sono esenti dall’imposta sul valore aggiunto (in
prosieguo: l’«IVA»), ed è esclusa la deduzione delle imposte versate a monte. Tale
esenzione non si applica alle prestazioni eseguite nell’ambito di un’impresa agricola e
forestale, o di un’impresa artigianale, industriale o commerciale, ai sensi dell’art. 45, n. 3,
del codice federale delle imposte (Bundesabgabenordnung).
7
L’art. 6, n. 1, punto 16, dell’UStG del 1994 esenta le operazioni di affitto e di
locazione relative ai beni immobili. La messa a disposizione di uffici e altri locali è
equiparata all’affitto o alla locazione di beni immobili.
8
Ai sensi dell’art. 6, n. 2, dell’UStG del 1994, un imprenditore può decidere se
assoggettare ad IVA un’operazione esente ai sensi del n. 1, punto 16, del medesimo
articolo.
9
L’art. 6, n. 1, punto 27, dell’UStG del 1994 esenta le operazioni effettuate dai
piccoli imprenditori. Ai sensi del n. 3 del medesimo articolo, l’imprenditore le cui
operazioni sono esenti ai sensi dell’art. 6, n. 1, punto 27, dell’UStG del 1994 può
rinunciare all’applicazione di questa disposizione inviando una dichiarazione scritta al
Finanzamt (Ufficio delle imposte).
Controversia principale e questioni pregiudiziali
10
La ricorrente nella causa principale è un’associazione sportiva classificata come
associazione senza scopo di lucro. Nel 1997 ha iniziato lavori di costruzione di un
edificio annesso alla sede dell’associazione, di cui una parte era riservata alle attività
sportive, mentre l’altra parte, di superficie pari a circa un quarto della superficie totale
dell’edificio annesso, doveva essere utilizzata come bar e doveva essere data in locazione
ad un gestore. Nella dichiarazione IVA del 1997 l’associazione ha effettuato deduzioni
per un importo totale pari a ATS 39 285, corrispondente all’IVA versata a monte
esclusivamente per la parte dell’edificio annesso destinato alla gestione del bar. Essa ha
rinunciato all’applicazione dell’art. 6, n. 1, punto 27, dell’UStG del 1994, relativo ai
piccoli imprenditori.
11
Con decisione 27 agosto 1999 il Finanzamt ha rifiutato tali deduzioni con la
motivazione che un’associazione sportiva esente ai sensi dell’art. 6, n. 1, punto 14,
dell’UStG del 1994 senza beneficiare di diritto a deduzione non poteva rinunciare,
avvalendosi del diritto di opzione, all’esenzione delle operazioni di locazione e di affitto
di beni immobili. L’esenzione personale prevista per le associazioni sportive senza scopo
di lucro all’art. 6, n. 1, punto 14, dell’UStG del 1994 prevarrebbe sull’esenzione delle
operazioni di locazione e di affitto di beni immobili di cui all’art. 6, n. 1, punto 16,
dell’UStG del 1994.
12
Il ricorso proposto contro tale decisione è stato respinto in quanto infondato poiché
l’art. 6, n. 1, punto 14, dell’UStG del 1994 prevarrebbe, in quanto legge speciale,
sull’art. 6, n. 1, punto 16, della medesima legge. Secondo il Finanzamt, il fatto che
l’associazione sportiva abbia rinunciato alle norme applicabili ai piccoli imprenditori non
ha affatto modificato la situazione giuridica in questione.
13 La ricorrente ha impugnato tale decisione dinanzi al Verwaltungsgerichtshof. Nella
sua ordinanza di rinvio, tale giudice ha affermato che l’esenzione dei servizi forniti a
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persone che non praticano lo sport o l’educazione fisica, come la locazione o la
concessione di un bar, non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 13, parte A, n. 1,
lett. m), della sesta direttiva, e non può quindi essere fondata su tale disposizione. Essa si
è chiesta tuttavia se l’esenzione delle operazioni di locazione o di affitto effettuate da
associazioni sportive senza scopo di lucro potesse essere fondata sull’art. 13, parte B,
lett. b), di questa direttiva.
14 Dopo aver accertato che l’UStG del 1994 non offriva alle associazioni sportive
alcuna possibilità di optare per l’assoggettamento ad imposta delle loro operazioni di
locazione e di affitto, il giudice del rinvio si è interrogato anche sull’interpretazione
dell’art. 13, parte C, della sesta direttiva e sulla possibilità di escludere taluni soggetti
passivi dalla possibilità offerta ad altri soggetti passivi di optare per l’imposizione.
15
Ciò premesso il Verwaltungsgerichtshof ha deciso di sospendere il procedimento e
di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)
Se uno Stato membro debba esercitare la sua facoltà, prevista dall’art. 13, parte C,
della sesta direttiva (…), di concedere al soggetto passivo il diritto di optare per
l’imposizione, nonostante l’esenzione stabilita dall’art. 13, parte B, lett. b), di [questa]
direttiva per la locazione di beni immobili solo in modo unitario, oppure possa effettuare
una distinzione basata sul tipo di operazioni o sulle categorie di soggetti passivi;
2)
Se il combinato disposto della parte B, lett. b), e della parte C, lett. a), dell’art. 13
della [sesta] direttiva autorizzi uno Stato membro ad adottare una disciplina come quella
prevista dal combinato disposto dell’art. 6, n. 1, punto 14, dell’UStG del 1994 e
dell’art. 6, n. 1, punto 16, [di questa stessa legge], secondo la quale la possibilità di optare
per l’imposizione di operazioni di locazione e affitto, viene limitata in modo tale da
escluderne le associazioni sportive senza scopo di lucro».
16
L’ordinanza di rinvio aveva ad oggetto anche una controversia tra la sig.ra Edith
Barris e la Finanzlandesdirektion für Tirol e, in tale contesto, il giudice aveva presentato
una terza questione pregiudiziale. Tuttavia, con ordinanza 16 marzo 2005, pervenuta alla
Corte il 21 marzo 2005, il Verwaltungsgerichtshof ha ritirato tale terza questione.
Sulle questioni pregiudiziali
Osservazioni preliminari
17
Il governo austriaco ritiene che la locazione del bene immobile in questione
costituisca un atto di gestione di beni ai sensi dell’art. 32 del codice federale delle
imposte, che rientra incontestabilmente nell’esenzione relativa alle associazioni sportive
prevista dall’art. 6, n. 1, punto 14, dell’UStG del 1994. Esso sostiene che le questioni,
nella presente causa, devono essere riformulate al fine di valutare se l’art. 6, n. 1, punto
14, dell’UStG del 1994 trasponga correttamente nel diritto austriaco l’art. 13, parte A,
n. 1, lett. m), della sesta direttiva.
18
Si porrebbe dunque la questione se gli atti di gestione di beni immobili, parimenti
esenti nel diritto austriaco, realizzati da un’associazione sportiva senza scopo di lucro,
siano inoltre strettamente connessi con i servizi forniti da tale associazione alle persone
che praticano lo sport o l’educazione fisica.
19
Secondo il governo austriaco, o tale nesso esiste, vale a dire nella locazione di un
immobile ai fini della gestione del bar della sede dell’associazione destinata all’attività
sportiva è possibile ravvisare un nesso con i servizi prestati da un’associazione sportiva, o
tali prestazioni sono in linea di principio accessorie e, quindi, trascurabili.
20
A tale riguardo basta ricordare che, nell’ambito di una domanda di pronuncia
pregiudiziale, non spetta alla Corte né valutare la pertinenza delle questioni sollevate da
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un giudice nazionale, né pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni nazionali e
stabilire se l’interpretazione datane dal giudice del rinvio sia corretta (v., in tal senso,
sentenze 30 novembre 1977, causa 52/77, Cayrol, Racc. pag. 2261, punto 32; 16 aprile
1991, causa C-347/89, Eurim-Pharm, Racc. pag. I-1747, punto 16, e 3 ottobre 2000,
causa C-58/98, Corsten, Racc. pag. I-7919, punto 24).
21
Infatti, spetta alla Corte prendere in considerazione, nell’ambito della ripartizione
delle competenze tra i giudici comunitari e i giudici nazionali, il contesto fattuale e
normativo in cui si inseriscono le questioni pregiudiziali, quale definito dalla decisione di
rinvio (v. sentenze 13 novembre 2003, causa C-153/02, Neri, Racc. pag. I-13555,
punti 34 e 35, e 29 aprile 2004, cause riunite C-482/01 e C-493/01, Orfanopoulos e
Oliveri, Racc. pag. I-5257, punto 42).
22
Occorre dunque esaminare le questioni pregiudiziali nel contesto normativo come
definito dal Verwaltungsgerichtshof nella sua ordinanza di rinvio.
Sulla prima questione
23
Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente alla Corte
se gli Stati membri, quando concedono ad un soggetto passivo il diritto di optare per
l’imposizione, previsto dall’art. 13, parte C, della sesta direttiva, possano effettuare una
distinzione in base al tipo di operazioni o alle categorie di soggetti passivi.
24
La Commissione fa valere che gli Stati membri dispongono di un ampio potere
discrezionale nell’ambito delle disposizioni dell’art. 13, parte B, lett. b), e parte C, della
sesta direttiva per quanto riguarda l’esenzione o l’imposizione dell’affitto o della
locazione. Essa si basa su una giurisprudenza secondo cui talune operazioni e categorie di
soggetti passivi possono essere escluse dal diritto di optare per l’imposizione
conformemente all’art. 13, parte C, di questa direttiva. Ciò avverrebbe segnatamente
quando lo Stato membro avesse accertato che tale diritto viene esercitato per aggirare
l’imposta. Tuttavia, nell’esercitare il loro potere discrezionale, gli Stati membri
dovrebbero rispettare gli obiettivi e i principi della sesta direttiva, in particolare il
principio della neutralità dell’IVA e quello di proporzionalità.
25
In via preliminare, va ricordato che le esenzioni previste dall’art. 13 della sesta
direttiva costituiscono nozioni autonome del diritto comunitario che mirano ad evitare
divergenze nell’applicazione da uno Stato membro all’altro del sistema dell’IVA (v., in
particolare, sentenze 25 febbraio 1999, causa C-349/96, CPP, Racc. pag. I-973, punto 15,
e 8 maggio 2003, causa C-269/00, Seeling, Racc. pag. I-4101, punto 46).
26
Secondo una costante giurisprudenza, l’imposizione delle operazioni di affitto e di
locazione è una facoltà che il legislatore comunitario ha concesso agli Stati membri in
deroga alla norma generale stabilita dall’art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva, ai
sensi della quale le operazioni di affitto e di locazione sono, in linea di principio, esenti
da IVA. Pertanto, in tale contesto, il diritto a deduzione afferente a tale imposizione non
si esercita automaticamente, ma solo se gli Stati membri si sono avvalsi della facoltà
prevista dall’art. 13, parte C, della sesta direttiva e a condizione che i soggetti passivi
esercitino il diritto di opzione loro concesso (v. sentenza 9 settembre 2004, causa
C-269/03, Vermietungsgesellschaft Objekt Kirchberg, Racc. pag. I-8067, punto 20).
27
Come la Corte ha già dichiarato, dalla lettera dell’art. 13, parte C., della sesta
direttiva emerge che gli Stati membri possono, in forza di questa facoltà, dare ai
beneficiari delle esenzioni previste da questa direttiva la possibilità di rinunciare
all’esenzione, o in tutti i casi o entro certi limiti, o ancora secondo determinate modalità
(v. sentenza 19 gennaio 1982, causa 8/81, Becker, Racc. pag. 53, punto 38).
28 L’art. 13, parte C, della sesta direttiva riconosce agli Stati membri la possibilità di
concedere ai loro soggetti passivi il diritto di optare per l’imposizione delle locazioni
d’immobili, ma anche quello di restringere la portata di tale diritto o di sopprimerlo (v.
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sentenza 29 aprile 2004, cause riunite C-487/01 e C-7/02, Gemeente Leusden e Holin
Groep, Racc. pag. I-5337, punto 66).
29
Ne deriva che gli Stati membri dispongono di un ampio potere discrezionale
nell’ambito delle disposizioni dell’art. 13, parte C, della sesta direttiva. Infatti, spetta loro
valutare se occorra introdurre o meno il diritto di opzione, in base a quanto essi ritengano
opportuno in funzione del contesto esistente nel loro paese in un dato momento (v.
sentenze 3 dicembre 1998, causa C-381/97, Belgocodex, Racc. pag. I-8153, punti 16 e
17; 3 febbraio 2000, C-12/98, Amengual Far, Racc. pag. I-527, punto 13, e 4 ottobre
2001, causa C-326/99, «Goed Wonen», Racc. pag. I-6831, punto 45).
30
Di conseguenza, esercitando il loro potere discrezionale relativo al diritto
d’opzione, gli Stati membri possono anche escludere talune operazioni o talune categorie
di soggetti passivi dall’ambito di applicazione di tale diritto.
31
Tuttavia, come ha rilevato correttamente la Commissione, quando gli Stati membri
fanno uso della facoltà di restringere la portata del diritto d’opzione e di determinare le
modalità del suo esercizio, essi devono rispettare gli obiettivi ed i principi generali della
sesta direttiva, in particolare il principio della neutralità fiscale e il requisito di
applicazione corretta, semplice ed uniforme delle esenzioni previste (v., in tal senso,
sentenze 11 giugno 1998, causa C-283/95, Fischer, Racc. pag. I-3369, punto 27, e «Goed
Wonen», cit., punto 56).
32
Il principio di neutralità, che ha trovato la sua espressione nell’art. 2 della prima
direttiva del Consiglio 11 aprile 1967, 67/227/CEE, in materia di armonizzazione delle
legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari (GU 1967, n. 71,
pag. 1301), e che è del resto inerente al sistema comune dell’IVA, come risulta anche dal
quarto e quinto ‘considerando’ della sesta direttiva, comporta che tutte le attività
economiche debbano essere trattate allo stesso modo (sentenze 20 giugno 1996, causa
C-155/94, Wellcome Trust, Racc. pag. I-3013, punto 38, e Belgocodex, cit., punto 18).
Lo stesso vale per gli operatori economici che effettuano le stesse operazioni (sentenza 7
settembre 1999, causa C-216/97, Gregg., Racc. pag. I-4947, punto 41).
33 A tale riguardo la Corte ha affermato che il principio della neutralità fiscale osta in
particolare a che prestazioni di servizi simili, che sono quindi in concorrenza tra di loro,
siano trattate in maniera diversa sotto il profilo dell’IVA (v., in particolare, sentenze 11
ottobre 2001, causa C-267/99, Adam, Racc. pag. I-7467, punto 36; 23 ottobre 2003, causa
C-109/02, Commissione/Germania, Racc. pag. I-12691, punto 20, e 26 maggio 2005,
causa C-498/03, Kingcrest Associates e Montecello, Racc. pag. I-4427, punto 41).
34
Orbene, da tale giurisprudenza risulta che, per valutare la somiglianza delle
prestazioni di servizi, l’identità del prestatore di servizi e la forma giuridica sotto la quale
esso esercita la sua attività sono, in linea di principio, prive di rilevanza (v. sentenza 17
febbraio 2005, cause riunite C-453/02 e C-462/02, Linneweber e Akritidis,
Racc. pag. I-1131, punti 24 e 25).
35
Occorre dunque risolvere la prima questione nel senso che gli Stati membri,
quando concedono ad un soggetto passivo il diritto di optare per l’imposizione, previsto
dall’art. 13, parte C, della sesta direttiva, possono effettuare una distinzione in base al
tipo di operazioni o alle categorie di soggetti passivi a condizione che rispettino gli
obiettivi e i principi generali della sesta direttiva, in particolare il principio di neutralità
fiscale e il criterio di un’applicazione corretta, semplice ed uniforme delle esenzioni
previste.
Sulla seconda questione
- 250 -
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36
Con la sua seconda questione, il giudice nazionale chiede sostanzialmente se le
disposizioni dell’art. 13, parte B, lett. b), e parte C, della sesta direttiva ostino ad una
norma nazionale che, esonerando in modo generale le operazioni effettuate dalle
associazioni sportive senza scopo di lucro, limiti il diritto delle medesime ad optare per
l’imposizione delle operazioni di locazione e di affitto.
37
La Commissione rileva, a tal riguardo, che l’art. 6, n. l, punto 14, dell’UStG del
1994 relativo alle associazioni sportive, contenente la deroga, è redatto in termini più
generali della disposizione corrispondente della sesta direttiva, vale a dire l’art. 13,
parte A, n. l, lett. m), della medesima. Di conseguenza, la regola introdotta dal diritto
austriaco sull’IVA sarebbe priva dei requisiti che costituiscono il presupposto per
qualsiasi esenzione in applicazione dell’art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva.
Ai termini di tale disposizione dovrebbe trattarsi di talune prestazioni di servizi
strettamente connessi con lo sport e che presentano un nesso tra il prestatore di servizi e il
beneficiario.
38
Sottolineando l’obbligo di interpretare coerentemente le parti A, B e C dell’art. 13
della sesta direttiva, la Commissione conclude che un’associazione sportiva che non
soddisfi le condizioni dell’art. 13, parte A, n. 1, lett. m), di tale direttiva può benissimo
avere la possibilità, alla luce dell’economia di questa, di optare per un’imposizione delle
operazioni di locazione o di affitto.
39
In via preliminare, va ricordato che la sesta direttiva non contiene regole che
esentino in modo generale tutte le prestazioni legate alla pratica dello sport e
dell’educazione fisica (v., in tal senso, sentenza 18 gennaio 2001, causa C-150/99,
Stockholm Lindöpark, Racc. pag. I-493, punto 22).
40
Infatti, le operazioni effettuate dalle associazioni sportive senza scopo di lucro sono
esenti, in quanto operazioni di interesse generale, ai sensi dell’art. 13, parte A, n. 1,
lett. m), della sesta direttiva, a condizione di essere strettamente connesse con la pratica
dello sport o dell’educazione fisica e di essere fornite alle persone che praticano lo sport o
l’educazione fisica (v., in tal senso, sentenze 7 maggio 1998, causa C-124/96,
Commissione/Spagna, Racc. pag. I-2501, punto 15; Stockholm Lindöpark, cit., punto 19,
e 21 marzo 2002, causa C-174/00, Kennemer Golf, Racc. pag. I-3293, punto 19).
41
Nell’ambito del presente procedimento di pronuncia pregiudiziale, il giudice
nazionale ritiene che la locazione di un bene immobile ai fini della gestione di un bar non
costituisca né una prestazione strettamente connessa con la pratica dello sport, né una
prestazione fornita alle persone che praticano lo sport o l’educazione fisica. In tal caso,
l’esenzione della locazione di un bar non può essere fondata sull’art. 13, parte A, n. 1,
lett. m), della sesta direttiva, ma può, in linea di principio, essere fondata sull’art. 13,
parte B, lett. b), di tale direttiva.
42
Quanto alla questione se gli Stati membri possano escludere dal diritto d’opzione le
associazioni sportive senza scopo di lucro mediante un’esenzione generale di tutte le
operazioni effettuate da questi ultimi, va constatato che l’art. 13, parte C, della sesta
direttiva non precisa a quali condizioni e secondo quali modalità possa essere ristretta la
portata di tale diritto d’opzione. Spetta dunque a ciascuno Stato membro precisare, nel
suo diritto nazionale, la portata del diritto d’opzione e adottare le norme in virtù delle
quali taluni soggetti passivi possano beneficiare del diritto di optare per l’imposizione
delle operazioni di locazione e di affitto di beni immobili.
43
Tuttavia, come la Corte ha già affermato, l’art. 13, parte C, della sesta direttiva non
conferisce agli Stati membri la facoltà di condizionare o di limitare, in un qualunque
modo, le esenzioni previste dalla parte B di questo articolo. Riserva semplicemente agli
Stati la facoltà di dare ai beneficiari delle dette esenzioni, in misura più o meno ampia, la
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possibilità di optare essi stessi per l’imposizione, se ritengono che ciò sia conforme al
loro interesse (v. sentenza Becker, cit., punto 39).
44
Conformemente all’art. 13, parte B, della sesta direttiva, gli Stati membri esentano
la locazione di beni immobili alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e
semplice applicazione delle esenzioni e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed
abuso. La decisione di uno Stato membro, in applicazione dell’art. 13, parte C, di tale
direttiva, di limitare la portata del diritto di optare per l’imposizione della locazione di
beni immobili può essere giustificata, in particolare, dagli stessi obiettivi.
45
Una decisione di tale tipo deve tuttavia rispettare il principio della neutralità,
ricordato ai punti 32-34 della presente sentenza.
46
Spetta al giudice nazionale determinare, alla luce delle circostanze specifiche della
fattispecie nella causa principale, nonché della giurisprudenza citata, se l’applicazione di
un’esenzione generale a tutte le operazioni, inclusa la locazione di beni immobili,
effettuate dalle associazioni sportive senza scopo di lucro comporti oppure no una
violazione del principio della neutralità fiscale.
47
In tal modo, vi può essere violazione del principio della neutralità fiscale qualora
un’associazione sportiva avente per scopo statutario l’esercizio o la promozione
dell’educazione fisica non abbia la possibilità di optare per l’imposizione, laddove una
tale possibilità esiste per altri soggetti passivi che esercitano attività simili e che sono
quindi in concorrenza con quelle della detta associazione.
48
Per determinare se i limiti di tale potere discrezionale siano stati oltrepassati nella
controversia principale, il giudice del rinvio deve verificare anche se vi sia stata una
violazione del requisito dell’applicazione corretta, semplice ed uniforme delle esenzioni
previste. A tale scopo esso deve tener conto, in particolare, del fatto che il sistema delle
esenzioni della sesta direttiva prevede un trattamento differenziato delle operazioni
effettuate dalle associazioni senza scopo di lucro solo qualora esse siano connesse con la
pratica dello sport e vengano fornite alle persone che praticano lo sport. In questo caso,
tali operazioni sono esentate dall’IVA per motivi di interesse generale.
49
Occorre dunque risolvere la seconda questione nel senso che spetta al giudice
nazionale determinare se una norma nazionale che, esentando in modo generale le
operazioni effettuate dalle associazioni sportive senza scopo di lucro, limita il diritto di
queste di optare per l’imposizione delle operazioni di locazione e di affitto ecceda il
potere discrezionale accordato agli Stati membri alla luce, in particolare, del principio di
neutralità fiscale e del criterio di un’applicazione corretta, semplice ed uniforme delle
esenzioni previste.
Per questi motivi,
la Corte (Terza Sezione)
dichiara:
1)
Gli Stati membri, quando concedono ad un soggetto passivo il diritto di optare per
l’imposizione, previsto dall’art. 13, parte C, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio
1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri
relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto:
base imponibile uniforme, possono effettuare una distinzione in base al tipo di operazioni
o alle categorie di soggetti passivi a condizione che rispettino gli obiettivi e i principi
generali della sesta direttiva, in particolare il principio di neutralità fiscale e il criterio di
un’applicazione corretta, semplice ed uniforme delle esenzioni previste.
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2)
Spetta al giudice nazionale determinare se una norma nazionale che, esentando in
maniera generale le operazioni effettuate dalle associazioni sportive senza scopo di lucro,
limita il diritto di queste ad optare per l’imposizione delle operazioni di locazione e di
affitto ecceda il potere discrezionale accordato agli Stati membri alla luce, in particolare,
del principio di neutralità fiscale e del criterio di un’applicazione corretta, semplice ed
uniforme delle esenzioni previste.
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25. Procedimento C-265/03,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell’art. 234 CE, dall’Audiencia Nacional (Spagna) con decisione 9 maggio 2003,
pervenuta in cancelleria il 17 giugno 2003, nel procedimento
Igor Simutenkov
contro
Ministerio de Educación y Cultura,
Real Federación Española de Fútbol,
LA CORTE (Grande Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 23, n. 1,
dell’accordo di partenariato e di cooperazione che istituisce un partenariato tra le
Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Federazione russa, dall’altra,
sottoscritto a Corfù il 24 giugno 1994 e approvato a nome delle Comunità con decisione
del Consiglio e della Commissione 30 ottobre 1997, 97/800/CECA, CE, Euratom
(GU L 327, pag. 1; in prosieguo: l’«accordo di partenariato Comunità-Russia»).
2
Tale domanda è stata presentata nel contesto di una controversia tra il
sig. Simutenkov, da un lato, e il Ministerio de Educación y Cultura (Ministero della
Pubblica Istruzione e della Cultura) e la Real Federación Española de Fútbol
(Federazione spagnola di calcio; in prosieguo: la «RFEF») in ordine ad un regolamento
sportivo che limita il numero di giocatori di Stati terzi che possono essere schierati in
competizioni nazionali.
Contesto normativo
3
L’accordo di partenariato Comunità-Russia è entrato in vigore il 1° dicembre 1997.
L’art. 23, n. 1, che figura nel titolo IV dell’accordo stesso, intitolato «Disposizioni
riguardanti le attività commerciali e gli investimenti», all’interno del capitolo I, a sua
volta intitolato «Condizioni di lavoro», così dispone:
«Conformemente alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato membro,
la Comunità e i suoi Stati membri evitano che i cittadini russi legalmente impiegati sul
territorio di uno Stato membro siano oggetto, rispetto ai loro cittadini, di discriminazioni
basate sulla nazionalità per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di
licenziamento».
4
L’art. 27 dell’accordo di partenariato Comunità-Russia recita quanto segue:
«Il consiglio di cooperazione formula raccomandazioni per l’applicazione degli
articoli 23 e 26».
5
L’art. 48 dell’accordo di partenariato Comunità-Russia, che figura all’interno dello
stesso titolo IV, così recita:
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«Ai fini del presente titolo, nessuno dei suoi elementi vieta alle parti di applicare le
rispettive leggi e normative in materia di ingresso e soggiorno, occupazione, condizioni
di lavoro e di stabilimento delle persone fisiche e fornitura di servizi, purché non le
applichino in modo da vanificare o compromettere i vantaggi risultanti per una delle parti
da una disposizione specifica dell’accordo (…)».
Controversia nella causa principale e questione pregiudiziale
6
Il sig. Simutenkov è un cittadino russo che, all’epoca dei fatti della controversia
nella causa principale, risiedeva in Spagna, ove era in possesso di un permesso di
soggiorno e di un permesso di lavoro. Essendo stato assunto come calciatore
professionista in forza di un contratto di lavoro concluso con il Club Deportivo Tenerife,
era in possesso di una licenza federale come giocatore non comunitario.
7
Nel mese di gennaio del 2001 il sig. Simutenkov ha presentato, con
l’intermediazione di tale club, una domanda alla RFEF, affinché questa sostituisse la
licenza federale di cui era titolare con una licenza identica a quella di cui dispongono i
giocatori comunitari. A sostegno di tale domanda invocava l’accordo di partenariato
Comunità-Russia.
8
Con decisione 19 gennaio 2001, la RFEF ha respinto tale domanda in applicazione
del suo regolamento generale e dell’accordo concluso il 28 maggio 1999 con la lega
nazionale di calcio professionistico (in prosieguo: l’«accordo del 28 maggio 1999»).
9
Ai sensi dell’art. 129 del regolamento generale della RFEF, la licenza di calciatore
professionista è un documento rilasciato da tale Federazione che consente la pratica di
tale sport come associato ad essa e di essere schierato in partite e competizioni ufficiali
come calciatore appartenente a una determinata squadra.
10 L’art. 173 dello stesso regolamento generale così dispone:
«Costituisce requisito generale che devono soddisfare i calciatori per iscriversi e ottenere
la licenza come professionisti, salvo le deroghe che prevede il presente regolamento,
possedere la cittadinanza spagnola o quella di uno degli altri paesi che costituiscono
l’Unione europea o lo Spazio economico europeo».
11 L’art. 176, n. 1, del citato regolamento generale prevede quanto segue:
«1. Le squadre iscritte a competizioni ufficiali di ambito nazionale e a carattere
professionistico possono iscrivere calciatori stranieri non comunitari nel numero che
viene stabilito negli accordi conclusi al riguardo tra la RFEF, la lega nazionale di calcio
professionistico e l’associazione dei calciatori spagnoli, nei quali viene disciplinato,
inoltre, il numero di calciatori di quella categoria che possono giocare
contemporaneamente.
(...)».
12
Ai sensi dell’accordo del 28 maggio 1999, il numero di giocatori non cittadini degli
Stati membri che possono essere contemporaneamente schierati in campo per la prima
divisione è limitato a tre per le stagioni 2000/2001 - 2004/2005 e, per quanto riguarda la
seconda divisione, a tre per le stagioni 2000/2001 - 2001/2002 e a due per le tre stagioni
successive.
13
Ritenendo che la distinzione tracciata da tale regolamentazione tra i cittadini di uno
Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo (in prosieguo:
«SEE») e i cittadini di Stati terzi fosse, in relazione ai giocatori russi, incompatibile con
l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia e che limitasse l’esercizio
della sua professione, il sig. Simutenkov ha presentato ricorso dinanzi al Juzgado Central
de lo Contencioso-Administrativo (Tribunale amministrativo) contro la decisione 19
gennaio 2001, che respingeva la sua domanda di nuova licenza.
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14
Poiché tale ricorso è stato respinto con decisione 22 ottobre 2002, il
sig. Simutenkov ha presentato appello contro di essa dinanzi all’Audiencia Nacional
(Tribunale competente per l’intero territorio in determinati ambiti penali, amministrativi e
della legislazione sociale), che ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla
Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’art. 23 dell’accordo di partenariato [Comunità-Russia] osti a che una federazione
sportiva applichi ad un atleta professionista cittadino russo come quello della causa
principale, regolarmente impiegato da una società calcistica spagnola, una normativa in
forza della quale le società possono utilizzare nelle competizioni in ambito nazionale solo
un numero limitato di calciatori provenienti da Stati terzi non appartenenti allo Spazio
economico europeo».
Sulla questione pregiudiziale
15 Mediante la sua questione, il giudice del rinvio chiede se l’art. 23, n. 1,
dell’accordo di partenariato Comunità-Russia debba essere interpretato nel senso che osta
all’applicazione ad un atleta professionista di cittadinanza russa, regolarmente impiegato
da una società con sede in uno Stato membro, di una norma dettata dalla federazione
sportiva dello stesso Stato ai sensi della quale le società sono autorizzate a schierare in
campo, nelle competizioni organizzate su scala nazionale, solo un numero limitato di
giocatori originari di Stati terzi che non sono parti all’accordo SEE.
16
Il sig. Simutenkov e la Commissione delle Comunità europee sostengono che
l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia osta ad una norma quale
quella contenuta nell’accordo del 28 maggio 1999.
17
La RFEF, al contrario, a sostegno della sua posizione invoca l’espressione
«[c]onformemente alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato
membro», che figura all’inizio del citato art. 23, n. 1. Da tale riserva deduce che la
competenza attribuitale dalla legge di rilasciare le licenze ai calciatori e la
regolamentazione sportiva da essa adottata devono applicarsi in via preferenziale rispetto
al principio di non discriminazione enunciato dalla stessa disposizione. Sostiene altresì
che il rilascio di una licenza e le regole ad esso afferenti rientrano nell’ambito
dell’organizzazione delle competizioni e non riguardano le condizioni di lavoro.
18
Il governo spagnolo, dal canto suo, fa proprie le osservazioni della RFEF,
sostenendo in particolare che, in virtù della regolamentazione nazionale e della
giurisprudenza che la interpreta, la licenza federale non rientra tra le condizioni di lavoro,
ma costituisce un’autorizzazione amministrativa che funge da abilitazione per la
partecipazione alle competizioni sportive.
19
Al fine di rispondere utilmente alla questione proposta, occorre verificare in primo
luogo se l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia possa essere
invocato da un privato dinanzi ai giudici di uno Stato membro e, in secondo luogo, in
caso di risposta affermativa, determinare la portata del principio di non discriminazione
enunciato da quella norma.
Sull’effetto diretto dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia
20
Si deve rilevare che, poiché la questione dell’effetto delle disposizioni dell’accordo
di partenariato Comunità-Russia nell’ordinamento giuridico delle parti a tale accordo (in
prosieguo: le «parti») non è stato da questo disciplinato, spetta alla Corte risolverla, al
pari di qualunque altra questione d’interpretazione relativa all’applicazione di accordi
nella Comunità (sentenza 23 novembre 1999, causa C-149/96, Portogallo/Consiglio,
Racc. pag. I-8395, punto 34).
21
A questo proposito occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, una
disposizione di un accordo concluso dalle Comunità con paesi terzi dev’essere
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considerata direttamente applicabile quando, avuto riguardo alla sua lettera, nonché
all’oggetto e alla natura dell’accordo, stabilisce un obbligo chiaro e preciso che non è
subordinato, nel suo adempimento o nei suoi effetti, all’intervento di alcun atto ulteriore
(sentenze 27 settembre 2001, causa C-63/99, Gloszczuk, Racc. pag. I-6369, punto 30, e 8
maggio 2003, causa C-171/01, Wählergruppe Gemeinsam, Racc. pag. I-4301, punto 54).
22
Dalla lettera dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia risulta
che tale disposizione sancisce, in termini chiari, precisi e incondizionati, il divieto per
ciascuno Stato membro di assoggettare a trattamento discriminatorio rispetto ai propri
cittadini, a causa della loro cittadinanza, i lavoratori russi, per quel che concerne le loro
condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento. I lavoratori che beneficiano della
detta disposizione sono quelli di cittadinanza russa legalmente impiegati nel territorio di
uno Stato membro.
23
Tale principio di parità di trattamento detta un obbligo di risultato preciso e, per sua
stessa natura, può esser fatto valere da un amministrato dinanzi all’autorità giudiziaria
nazionale, affinché questa disapplichi le disposizioni discriminatorie, senza che risulti
necessaria a tal fine l’adozione di misure di applicazione integrative (sentenze 29 gennaio
2002, causa C-162/00, Pokrzeptowicz-Meyer, Racc. pag. I-1049, punto 22, e
Wählergruppe Gemeinsam, cit., punto 58).
24
Quest’interpretazione non è rimessa in discussione dall’espressione
«[c]onformemente alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato
membro» che figura all’inizio del citato art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato
Comunità-Russia, né dall’art. 48 dello stesso. Infatti, tali disposizioni non possono essere
interpretate nel senso che consentono agli Stati membri di limitare discrezionalmente
l’applicazione del principio di non discriminazione enunciato al detto art. 23, n. 1, in
quanto un’interpretazione del genere condurrebbe ad uno svuotamento di contenuto di
tale disposizione, privandola così di ogni effetto utile (sentenze Pokrzeptowicz-Meyer,
cit., punti 23 e 24, e 8 maggio 2003, causa C-438/00, Deutscher Handballbund, Racc.
pag. I-4135, punto 29).
25
Né l’art. 27 dell’accordo di partenariato Comunità-Russia osta a un effetto diretto
dell’art. 23, n. 1, dello stesso. Infatti, il fatto che tale art. 27 preveda che l’applicazione
dell’art. 23 sia effettuata sulla base di raccomandazioni del consiglio di cooperazione non
subordina l’applicabilità di quest’ultima norma, nella sua esecuzione o nei suoi effetti,
all’intervento di un atto ulteriore. Il ruolo che il detto art. 27 attribuisce a quel consiglio
consiste nel facilitare il rispetto del divieto di discriminazione, ma non si può considerare
che ne limiti l’applicazione immediata (v., a questo proposito, sentenze 31 gennaio 1991,
causa C-18/90, Kziber, Racc. pag. I-199, punto 19, e 4 maggio 1999, causa C-262/96,
Sürül, Racc. pag. I-2685, punto 66).
26
La constatazione che il principio di non discriminazione enunciato all’art. 23, n. 1,
dell’accordo di partenariato Comunità-Russia ha un effetto diretto non è contraddetta, del
resto, dall’oggetto e dalla natura di quest’ultimo.
27
Secondo l’art. 1 del detto accordo, questo ha l’obiettivo di istituire un partenariato
tra le parti volto a promuovere, in particolare, lo sviluppo di strette relazioni politiche tra
le parti, di scambi e di armoniose relazioni economiche tra di loro, della libertà in materia
politica ed economica, nonché la realizzazione della progressiva integrazione tra la
Federazione russa e una più ampia zona di cooperazione in Europa.
28
Il fatto che l’accordo si limiti in questo modo all’istituzione di un partenariato tra le
parti, senza prevedere un’associazione o una futura adesione della Federazione russa alle
Comunità, non è tale da impedire l’effetto diretto di alcune delle sue disposizioni. Risulta
infatti dalla giurisprudenza della Corte che, quando un accordo istituisce una
cooperazione tra le parti, talune disposizioni in esso contenute possono disciplinare, alle
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condizioni ricordate al punto 21 della presente sentenza, direttamente la situazione
giuridica dei privati (v. sentenze Kziber, cit., punto 21; 15 gennaio 1998, causa C-113/97,
Babahenini, Racc. pag. I-183, punto 17, e 16 giugno 1998, causa C-162/96, Racke, Racc.
pag. I-3655, punti 34-36).
29
Stante quanto sopra, occorre dichiarare che l’art. 23, n. 1, dell’accordo di
partenariato Comunità-Russia ha un effetto diretto, cosicché i soggetti ai quali esso si
applica hanno il diritto di avvalersene dinanzi ai giudici degli Stati membri.
Sulla portata del principio di non discriminazione enunciato all’art. 23, n. 1, dell’accordo
di partenariato Comunità-Russia
30
La questione proposta dal giudice del rinvio è analoga a quella presentata alla Corte
nella causa conclusasi con la citata sentenza Deutscher Handballbund. In tale sentenza la
Corte ha dichiarato che l’art. 38, n. 1, primo trattino, dell’accordo europeo che istituisce
un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la
Repubblica slovacca, dall’altra, firmato a Lussemburgo il 4 ottobre 1993 ed approvato a
nome delle Comunità dalla decisione del Consiglio e della Commissione 19 dicembre
1994, 94/909/CECA, CE, Euratom (GU L 359, pag. 1; in prosieguo: l’«accordo di
associazione Comunità-Slovacchia»), doveva essere interpretato nel senso che esso osta
all’applicazione ad uno sportivo professionista di cittadinanza slovacca, regolarmente
occupato da una società stabilita in uno Stato membro, di una normativa emanata da una
federazione sportiva del medesimo Stato secondo cui le società sono autorizzate a far
scendere in campo, in occasione delle partite di campionato o di coppa, solo un limitato
numero di giocatori originari di paesi terzi che non sono parti dell’accordo SEE.
31
Tale art. 38, n. 1, primo trattino, era del seguente tenore:
«Nel rispetto delle condizioni e modalità applicabili in ciascuno Stato membro (…) il
trattamento accordato ai lavoratori di nazionalità della Repubblica slovacca legalmente
occupati nel territorio di uno Stato membro è esente da qualsiasi discriminazione basata
sulla nazionalità, per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di
licenziamento, rispetto ai cittadini di quello Stato membro».
32
La Corte ha dichiarato, in particolare, che una norma limitante il numero di
giocatori professionisti cittadini dello Stato terzo interessato che potevano essere schierati
nel campionato nazionale era relativa alle condizioni di lavoro ai sensi dell’art. 38, n. 1,
primo trattino, dell’accordo di associazione Comunità-Slovacchia, in quanto aveva un
impatto diretto sulla partecipazione agli incontri di campionato di un giocatore
professionista slovacco già regolarmente occupato nello Stato membro ospitante
(sentenza Deutscher Handballbund, cit., punti 44-46).
33
La Corte ha altresì dichiarato che l’interpretazione accolta a proposito dell’art. 48,
n. 2, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 39, n. 2, CE) nella sua sentenza
15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman (Racc. pag. I-4921), secondo cui il divieto di
discriminazione fondato sulla nazionalità si applica a norme emanate da associazioni
sportive per stabilire le condizioni alle quali gli sportivi professionisti esercitano
un’attività retribuita ed osta a una limitazione, fondata sulla nazionalità, del numero di
giocatori che possono essere schierati contemporaneamente in campo, poteva essere
trasposta all’art. 38, n. 1, primo trattino, dell’accordo di associazione ComunitàSlovacchia (sentenza Deutscher Handballbund, cit., punti 31-37 e 48-51).
34
Si deve constatare che l’enunciato dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato
Comunità-Russia è molto simile a quello dell’art. 38, n. 1, primo trattino, dell’accordo di
associazione Comunità-Slovacchia. Infatti, la sola differenza significativa nel testo di
queste due disposizioni risiede nell’utilizzo dell’espressione «la Comunità e i suoi Stati
membri evitano che i cittadini russi (…) siano oggetto (…) di discriminazioni basate sulla
nazionalità», da un lato, e «il trattamento accordato ai lavoratori di nazionalità della
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Repubblica slovacca (…) è esente da qualsiasi discriminazione basata sulla nazionalità»,
dall’altro. Ora, alla luce della constatazione di cui ai punti 22 e 23 della presente
sentenza, secondo cui la lettera dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato ComunitàRussia esprime, in termini chiari, precisi e incondizionati, il divieto di discriminazione
fondato sulla nazionalità, la differenza tra le due versioni poc’anzi descritta non osta alla
trasposizione dell’interpretazione accolta dalla Corte nella sentenza Deutscher
Handballbund, cit., all’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia.
35
Vero è che, contrariamente all’accordo di associazione Comunità-Slovacchia,
l’accordo di partenariato Comunità-Russia non ha l’obiettivo di creare un’associazione al
fine della progressiva integrazione dello Stato terzo in questione nelle Comunità europee,
ma è volto a realizzare la «progressiva integrazione tra la Russia e una più vasta zona di
cooperazione in Europa».
36
Tuttavia, non emerge affatto né dal contesto né dalla finalità del detto accordo di
partenariato che questo abbia inteso attribuire al divieto di «discriminazioni basate sulla
nazionalità[, rispetto ai loro cittadini,] per quanto riguarda le condizioni di lavoro» un
significato diverso da quello risultante dal senso comune di tali termini.
Conseguentemente, al pari dell’art. 38, n. 1, primo trattino, dell’accordo di associazione
Comunità-Slovacchia, l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia
istituisce, a favore dei lavoratori russi legalmente impiegati sul territorio di uno Stato
membro, un diritto alla parità di trattamento nelle condizioni di lavoro della stessa portata
di quello riconosciuto in termini analoghi ai cittadini degli Stati membri dal Trattato CE,
il quale osta a una limitazione fondata sulla nazionalità come quella controversa nella
causa principale, come dichiarato dalla Corte nelle analoghe circostanze delle citate
sentenze Bosman e Deutscher Handballbund.
37
Peraltro, nelle sentenze Bosman e Deutscher Handballbund la Corte ha dichiarato
che una norma come quella di cui alla causa principale è relativa alle condizioni di lavoro
(sentenza Deutscher Handballbund, cit., punti 44-46). Ne consegue che è irrilevante il
fatto che l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia si applichi
solamente per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento
e non si estenda, quindi, alle norme relative all’accesso al lavoro.
38
Occorre poi necessariamente constatare che la limitazione fondata sulla nazionalità
non riguarda incontri specifici fra rappresentative nazionali, ma si applica a tutti gli
incontri ufficiali tra società calcistiche e, quindi, alla parte essenziale dell’attività
esercitata dai calciatori professionisti. Come pure dichiarato dalla Corte, una simile
limitazione non può essere considerata giustificata da considerazioni sportive (citate
sentenze Bosman, punti 128-137, e Deutscher Handballbund, punti 54-56).
39
Inoltre, nelle osservazioni presentate dinanzi alla Corte non si è fatto valere nessun
altro argomento idoneo a giustificare obiettivamente la disparità di trattamento tra i
giocatori professionisti cittadini di uno Stato membro o di uno Stato parte dell’accordo
SEE, da un lato, e i giocatori professionisti di cittadinanza russa, dall’altro.
40
Infine, come dichiarato al punto 24 della presente sentenza, l’espressione
«[c]onformemente alle leggi, condizioni e procedure applicabili in ciascuno Stato
membro», che figura all’inizio dell’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato ComunitàRussia, e l’art. 48 dello stesso accordo non possono essere interpretati nel senso che
consentono agli Stati membri di limitare discrezionalmente l’applicazione del principio di
non discriminazione enunciato dalla prima di tali due disposizioni, in quanto
un’interpretazione del genere condurrebbe a svuotare di contenuto tale disposizione,
privandola così di ogni effetto utile.
41
Alla luce delle considerazioni che precedono, la questione proposta dev’essere
risolta dichiarando che l’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato Comunità-Russia
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dev’essere interpretato nel senso che osta all’applicazione ad un atleta professionista di
cittadinanza russa, regolarmente impiegato da una società con sede in uno Stato membro,
di una norma dettata da una federazione sportiva dello stesso Stato ai sensi della quale le
società sono autorizzate a schierare in campo, nelle competizioni organizzate su scala
nazionale, solo un numero limitato di giocatori originari di Stati terzi che non sono parti
all’accordo SEE.
Per questi motivi,
la Corte (Grande Sezione)
dichiara:
L’art. 23, n. 1, dell’accordo di partenariato e di cooperazione che istituisce un
partenariato tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Federazione
russa, dall’altra, sottoscritto a Corfù il 24 giugno 1994 e approvato a nome delle
Comunità con decisione del Consiglio e della Commissione 30 ottobre 1997,
97/800/CECA, CE, Euratom, dev’essere interpretato nel senso che osta all’applicazione
ad un atleta professionista di cittadinanza russa, regolarmente impiegato da una società
con sede in uno Stato membro, di una norma dettata da una federazione sportiva dello
stesso Stato ai sensi della quale le società sono autorizzate a schierare in campo, nelle
competizioni organizzate su scala nazionale, solo un numero limitato di giocatori
originari di Stati terzi che non sono parti all’accordo sullo Spazio economico europeo.
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26. Causa T-33/01,
Infront WM AG, già KirchMedia WM AG, con sede in Zug (Svizzera),
con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Commissione delle Comunità europee, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
sostenuta da
Repubblica francese, con domicilio eletto in Lussemburgo,
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord con domicilio eletto in
Lussemburgo,
Parlamento europeo, con domicilio eletto in Lussemburgo,
Consiglio dell’Unione europea,
intervenienti,
avente ad oggetto la domanda di annullamento dell’asserita decisione della Commissione
adottata ai sensi dell’art. 3 bis della direttiva del Consiglio 3 ottobre 1989, 89/552/CEE,
relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive (GU L
298, pag. 23), modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 30
giugno 1997, 97/36/CE (GU L 202, pag. 60),
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quarta Sezione ampliata),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Contesto normativo
1
La direttiva del Consiglio 3 ottobre 1989, 89/552/CEE, relativa al coordinamento di
determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri
concernenti l’esercizio delle attività televisive (GU L 298, pag. 23), è stata adottata sul
fondamento dell’art. 57, n. 2, del Trattato che istituisce la Comunità economica europea
(divenuto, in seguito a modifica, art. 47, n. 2, CE) e dell’art. 66 del Trattato che istituisce
la Comunità economica europea (divenuto art. 55 CE). Tale direttiva è stata modificata
dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 30 giugno 1997, 97/36/CE (GU L
202, pag. 60).
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2
La direttiva 89/552, modificata, costituisce il contesto giuridico nel quale sono
esercitate le attività televisive nel mercato comune. Il suo obiettivo primario consiste nel
garantire la libera diffusione dei programmi televisivi all’interno della Comunità europea
prevedendo le disposizioni minime che gli Stati membri devono far osservare alle
emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione.
3
I ‘considerando’ da 18 a 21 della direttiva 97/36 enunciano:
«(18) considerando che è essenziale che gli Stati membri siano in grado di adottare
misure volte a proteggere il diritto all’informazione e ad assicurare un ampio accesso del
pubblico alla copertura televisiva di eventi, nazionali e non, di particolare rilevanza per la
società, quali i giochi olimpici, il campionato del mondo di calcio e il campionato
europeo di calcio; che a tal fine gli Stati membri mantengono il diritto di prendere misure,
compatibili con il diritto comunitario, volte a regolare l’esercizio, da parte delle emittenti
televisive soggette alla loro giurisdizione, dei diritti esclusivi di trasmissione di tali
eventi;
(19)
considerando che occorre prendere le disposizioni necessarie, in ambito
comunitario, al fine di evitare un’eventuale incertezza giuridica e distorsioni del mercato
e di conciliare la libera circolazione dei servizi televisivi con la necessità di prevenire
possibili elusioni delle misure nazionali destinate a proteggere un legittimo interesse
generale;
(20)
considerando, in particolare, che è opportuno stabilire nella presente direttiva
disposizioni relative all’esercizio, da parte delle emittenti televisive, di diritti esclusivi
che esse possono aver acquistato per la trasmissione di eventi ritenuti di particolare
rilevanza per la società in uno Stato membro diverso da quello alla cui giurisdizione sono
soggette; che, al fine di evitare acquisti di diritti a fini speculativi per eludere le
disposizioni nazionali, è necessario applicare tali disposizioni ai contratti conclusi dopo la
pubblicazione della presente direttiva e relativi ad eventi successivi alla data di
attuazione; che quando contratti anteriori alla pubblicazione della presente direttiva sono
rinnovati, essi sono considerati contratti nuovi;
(21)
considerando che, ai fini della presente direttiva, gli eventi di “particolare
rilevanza per la società” devono rispondere a determinati criteri, ossia essere eventi di
straordinaria importanza che presentano interesse per il pubblico in generale nell’Unione
europea o in un determinato Stato membro o in una parte componente significativa di uno
Stato membro e sono organizzati in anticipo da un organizzatore legittimato a vendere i
diritti relativi a tali eventi».
4
Ai sensi dell’art. 1 della direttiva 89/552, modificata (in prosieguo: la «direttiva»):
«a)
per “trasmissione televisiva” si intende la trasmissione, via cavo o via etere,
nonché la trasmissione via satellite, in forma non codificata o codificata, di programmi
televisivi destinati al pubblico. Il termine suddetto comprende la comunicazione di
programmi effettuata tra le imprese ai fini della ritrasmissione al pubblico. La suddetta
nozione non comprende invece i servizi di comunicazione che forniscono informazioni
specifiche o altri messaggi su richiesta individuale, come la telecopiatura, le banche
elettroniche di dati e servizi analoghi;
«b)
per “emittente” si intende la persona fisica o giuridica che ha la responsabilità
editoriale nella composizione dei palinsesti dei programmi televisivi ai sensi della
precedente lettera a) e che li trasmette o li fa trasmettere da terzi».
5
L’art. 3 bis della direttiva dispone:
«1. Ciascuno Stato membro può prendere le misure compatibili con il diritto
comunitario volte ad assicurare che le emittenti televisive soggette alla sua giurisdizione
non trasmettano in esclusiva eventi che esso considera di particolare rilevanza per la
società, in modo da privare una parte importante del pubblico dello Stato membro della
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possibilità di seguire i suddetti eventi in diretta o in differita su canali liberamente
accessibili. In tale caso, lo Stato membro interessato redige un elenco di eventi, nazionali
e non, che considera di particolare rilevanza per la società. Esso redige tale elenco in
modo chiaro e trasparente e in tempo utile. Inoltre, lo Stato membro determina se tali
eventi debbano essere disponibili in diretta integrale o parziale o, laddove ciò risulti
necessario o opportuno per ragioni obiettive nel pubblico interesse, in differita integrale o
parziale.
2.
Gli Stati membri notificano immediatamente alla Commissione le misure che hanno
adottato o che intendono adottare ai sensi del paragrafo 1. Entro tre mesi dalla notifica la
Commissione verifica che tali misure siano compatibili con il diritto comunitario e le
comunica agli altri Stati membri. La Commissione consulta il comitato di cui all’articolo
23 bis. Essa pubblica immediatamente nella [Gazzetta ufficiale] le misure prese e, almeno
una volta all’anno, l’elenco consolidato di tutte le misure adottate dagli Stati membri.
3.
Gli Stati membri fanno sì, con mezzi adeguati, nel quadro della loro legislazione,
che le emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione non esercitino i diritti esclusivi
acquistati dopo la data di pubblicazione della presente direttiva in modo da privare una
parte importante del pubblico di un altro Stato membro della possibilità di seguire su di
un canale liberamente accessibile, […] in diretta integrale o parziale o, laddove ciò risulti
necessario o opportuno per ragioni obiettive nel pubblico interesse, in differita integrale o
parziale secondo quanto stabilito da tale ultimo Stato membro a norma del paragrafo 1,
gli eventi che quest’altro Stato membro ha designato conformemente ai paragrafi
precedenti».
6
Ai sensi dell’art. 23 bis, n. 1, della direttiva:
«È istituito un comitato di contatto sotto l’egida della Commissione. Esso è composto di
rappresentanti delle competenti autorità degli Stati membri. È presieduto da un
rappresentante della Commissione e si riunisce per iniziativa di quest’ultimo o a richiesta
della delegazione di uno Stato membro».
Fatti all’origine della controversia
7
La Kirch Media GmbH & Co. KGaA, già denominata TaurusFilm GmbH & Co., e
la KirchMedia WM AG, divenuta Infront WM AG, esercitano un’attività di acquisto, di
gestione e di commercializzazione di diritti di trasmissione televisiva di eventi sportivi ed
acquistano abitualmente tali diritti dall’organizzazione dell’evento sportivo in questione.
Esse rivendono i diritti così acquistati alle emittenti.
8
Il 10 settembre 1996 la TaurusFilm GmbH & Co. e la sua colicenziataria, la Sporis
Holding AG, hanno stipulato un contratto con la Fédération internationale de football
amateur (FIFA) concernente la cessione dei diritti esclusivi di ritrasmissione su scala
mondiale – esclusi gli Stati Uniti d’America – delle partite della fase finale della Coppa
del Mondo della FIFA per gli anni 2002 e 2006. Attraverso una convenzione conclusa il
26 maggio 1998 tra la FIFA e la TaurusFilm GmbH & Co., sostitutiva del precedente
contratto, a quest’ultima è stata attribuita, ad un prezzo minimo di franchi svizzeri (CHF)
1,4 miliardi, l’esclusività dei diritti di ritrasmissione di tali eventi per gli Stati del
continente europeo nonché per la Russia, le altre ex repubbliche socialiste sovietiche e la
Turchia.
9
Il 14 ottobre 1998 la Kirch Media GmbH & Co. KGaA ha ceduto i suoi diritti di
trasmissione della Coppa del Mondo della FIFA del 2002, esclusi i diritti per la
Germania, alla sua filiale di diritto svizzero FWC Medien AG, divenuta KirchMedia WM
AG. In seguito i diritti di trasmissione della Coppa del Mondo della FIFA sono stati
ceduti anche alla KirchMedia WM AG.
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10 Conformemente all’art. 3 bis, n. 2, della direttiva, il Regno Unito di Gran Bretagna
e Irlanda del Nord ha notificato alla Commissione, il 25 settembre 1998, le misure prese
in applicazione del n. 1 di tale articolo. Tali misure comprendevano l’elenco degli eventi
di particolare rilevanza per la società designati da tale Stato membro.
11 La Commissione ha comunicato tali misure, in conformità dell’art. 3 bis, n. 2, della
direttiva, agli altri Stati membri il 2 novembre 1998 ed ha ricevuto le osservazioni del
comitato di contatto di cui all’art. 23 bis, n. 1, della suddetta direttiva (in prosieguo: il
«comitato di contatto») in occasione di una riunione del 20 novembre 1998.
12 Con lettera 23 dicembre 1998 la Commissione ha portato a conoscenza del Regno
Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord che inesattezze sulla portata delle misure
notificate non le permettevano di valutare la compatibilità di queste ultime col diritto
comunitario.
13 Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ha notificato alla Commissione
una nuova versione di tali misure con lettera 5 maggio 2000.
14 Con lettera 14 luglio 2000, indirizzata alla Commissione, la ricorrente ha fatto
valere che l’elenco stabilito dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord non
può essere approvato in ragione della sua incompatibilità sia con l’art. 3 bis della
direttiva, sia con altre disposizioni del diritto comunitario. Essa asseriva segnatamente, in
tale lettera, che l’elenco in parola non era stato stabilito secondo un procedimento chiaro
e trasparente, che il suddetto elenco includeva eventi che non presentavano una
particolare rilevanza per la società del Regno Unito, che le consultazioni nazionali e
comunitarie erano inficiate da gravi lacune e denunciava il carattere retroattivo della
normativa di cui trattasi.
15 Il 28 luglio 2000 il direttore generale della direzione generale (DG) «Educazione e
cultura» della Commissione ha inviato una lettera al Regno Unito di Gran Bretagna e
Irlanda del Nord indicando quanto segue:
«Con lettera 5 maggio 2000, ricevuta dalla Commissione l’11 maggio 2000, la
rappresentaza permanente del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord presso
l’Unione europea ha notificato alla Commissione un insieme di misure nazionali
concernenti la copertura televisiva di eventi di interesse nazionale nel Regno Unito. Tali
misure comprendono: gli artt. 97, 98, 101, 103, 104 e 105 della sezione IV del
Broadcasting Act [1996]; gli artt. 1, 3 e 9 del Regolamento 3 allegato ai Television
Broadcasting Regulations 2000; le pertinenti disposizioni dell’[Independent Television
Commission] Code on Sports and other Listed Events, pubblicato a norma dell’art. 104
del Broadcasting Act 1996; i criteri che definiscono gli eventi sportivi ed altri eventi di
interesse nazionale annunciati dal Ministro della Cultura, dei Mezzi di comunicazione e
dello Sport il 25 novembre 1997 nonché l’annuncio fatto al Parlamento il 25 giugno 1998
dal Ministro della Cultura, dei Mezzi di comunicazione e dello Sport in esito alla
revisione dell’elenco degli eventi sportivi ed altri eventi di interesse nazionale effettuata a
norma dell’art. 97, n. 3, della legge sulle trasmissioni radiotelevisive del 1996.
Come l’esige l’art. 3 bis, n. 2 della direttiva [...], la Commissione ha comunicato la
misure [notificate] agli altri Stati membri e sollecitato il parere del [comitato di contatto].
Ho l’onore di informarvi che, in seguito all’esame della conformità delle misure adottate
con la direttiva e tenuto conto degli elementi di fatto disponibili quanto al paesaggio
audiovisivo del Regno Unito, la Commissione europea non intende contestare le misure
notificate dalle vostre autorità.
Conformemente a quanto prevede l’art. 3 bis, n. 2 della direttiva, la Commissione
procederà alla pubblicazione delle misure notificate nella [Gazzetta ufficiale]».
16 Con lettera 7 novembre 2000 la ricorrente ha segnalato alla Commissione che essa
ha avuto conoscenza della sua imminente approvazione dell’elenco degli eventi di
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particolare rilevanza per la società designati dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda
del Nord e ha segnatamente denunciato la lesione arrecata al suo diritto di proprietà
attraverso l’adozione di tali misure da parte di tale Stato ai sensi dell’art. 3 bis, n. 1, della
direttiva.
17 La Commissione ha pubblicato il 18 novembre 2000 (GU C 328, pag. 2),
conformemente all’art. 3 bis, n. 1, della direttiva, le misure prese dal Regno Unito di
Gran Bretagna e Irlanda del Nord, poi notificate alla Commissione, secondo il
procedimento di cui all’art. 3 bis, n. 2.
18 Tali misure comprendono estratti della sezione IV del Broadcasting Act 1996 (in
prosieguo: la «legge sulle trasmissioni televisive del 1996»), del Regolamento 3 allegato
ai Television Broadcasting Regulations 2000 (in prosieguo: il «regolamento 2000 sulle
trasmissioni televisive»), dell’Independent Television Commission (ITC) Code on Sports
and other Listed Events, come modificato nel gennaio 2000 (in prosieguo: il «codice
dell’ITC relativo agli eventi sportivi e ad altri eventi inseriti nell’elenco»), che includono,
nell’allegato, l’elenco degli eventi di particolare rilevanza per la società designati dal
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e l’elenco dei servizi in possesso delle
«condizioni richieste» enunciate nel regolamento 2000 sulle trasmissioni televisive
nonché le risposte scritte del Ministro della Cultura, dei Mezzi di comunicazione e dello
Sport a due interrogazioni parlamentari, rispettivamente del 25 novembre 1997 e del 25
giugno 1998, concernenti la revisione dell’elenco degli eventi sportivi iscritti di cui alla
sezione IV della legge sulle trasmissioni televisive del 1996. Tra tali eventi figura la fase
finale della Coppa del Mondo della FIFA.
19 Il 7 dicembre 2000 la ricorrente ha inviato alla Commissione una lettera che
afferma in particolare quanto segue:
«vi sarei grato di confermare che la Commissione ha senz’altro concluso il procedimento
di verifica a norma dell’art. 3 bis [della direttiva], quanto all’elenco stabilito dal Regno
Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e alla legge sulla radiodiffusione del 1996 e
[…] di informarci della conclusione di tale procedimento, incluse eventuali misure prese
dalla Commissione in tale contesto. Gradiremmo inoltre avere accesso a tutti i documenti
pertinenti».
20 La ricorrente ha reiterato la sua domanda alla Commissione con lettera 22 dicembre
2000.
21 Con lettera 22 gennaio 2001 la Commissione ha risposto alla ricorrente quanto
segue:
«Sul piano giuridico, ai sensi dell’art. 3 bis, n. 2, della direttiva, la pubblicazione delle
misure è la conseguenza di un procedimento di verifica (positiva) effettuata dalla
Commissione. Voi partite quindi con giusta ragione dal presupposto che il procedimento
di verifica da parte della Commissione è concluso e che l’elenco del Regno Unito di Gran
Bretagna e Irlanda del Nord è stato ritenuto compatibile con la direttiva».
22 La Commissione ha unito a tale lettera il parere emesso dal Comitato di contatto il 6
giugno 2000.
Procedimento
23 Il 12 febbraio 2001 la Kirch Media GmbH & Co. KGaA e la KirchMedia WM AG
hanno proposto il seguente ricorso.
24 Con lettera 5 aprile 2001 il Consiglio ha chiesto di intervenire a sostegno delle
conclusioni della Commissione.
25 Con atto separato, depositato nella cancelleria del Tribunale l’11 giugno 2001, la
Commissione ha sollevato un’eccezione di irricevibilità ai sensi dell’art. 114 del
regolamento di procedura del Tribunale. Le ricorrenti hanno presentato, il 26 luglio 2001,
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le loro osservazioni su tale eccezione di irricevibilità cui hanno unito, all’allegato 6,
versioni espurgate dei contratti conclusi con la FIFA concernenti la cessione dei diritti di
trasmissione delle partite della fase finale della Coppa del Mondo di calcio della FIFA
per gli anni 2002 e 2006 (v. punto 8 supra).
26 Con lettere 14 e 20 giugno 2001 il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord
ed il Regno di Danimarca hanno chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni della
Commissione. Con lettere 25 giugno 2001 la Repubblica francese, la Comunità francese
del Belgio ed il Parlamento hanno del pari chiesto di intervenire a sostegno delle
conclusioni della Commissione.
27 Con lettera 2 agosto 2001 le ricorrenti hanno presentato, nell’eventualità di
un’accettazione delle domande di intervento, una domanda di trattamento riservato, nei
confronti delle parti richiedenti l’intervento, di talune parti dell’allegato 6 delle loro
osservazioni sull’eccezione di irricevibilità.
28 Nelle loro osservazioni, depositate nella cancelleria del Tribunale il 31 agosto 2001,
le ricorrenti hanno chiesto al Tribunale di respingere la domanda di intervento della
Comunità francese del Belgio e di condannare quest’ultima alle spese relative alla sua
domanda. Le parti principali non hanno sollevato obiezioni circa le altre domande di
intervento.
29 Con lettera 7 novembre 2001 la Commissione ha chiesto di presentare osservazioni
sulla trasmissione ad opera delle ricorrenti, nell’allegato 6 delle loro osservazioni
sull’eccezione di irricevibilità, di versioni espurgate dei contratti conclusi con la FIFA e
ha sollecitato, con lettera 12 aprile 2002, la produzione della versione integrale di tali
contratti. Il Tribunale ha chiesto alle ricorrenti, con lettera 4 luglio 2002, di formulare
osservazioni concernenti la trasmissione alla Commissione delle versioni integrali dei
contratti di licenza conclusi con la FIFA.
30 Con ordinanza del Tribunale 11 marzo 2002 l’eccezione di irricevibilità sollevata
dalla Commissione è stata riunita al merito e le spese sono state riservate.
31 Il Tribunale ha ricevuto, il 13 maggio 2002, le versioni integrali dei contratti
conclusi con la FIFA il 10 settembre 1996 ed il 26 maggio 1998.
32 Con lettera 29 novembre 2002 le ricorrenti hanno chiesto, ai sensi dell’art. 64, n. 4,
del regolamento di procedura, che la Commissione sia invitata a produrre taluni
documenti. Con lettera 20 gennaio 2003 la Commissione ha chiesto che l’allegato 17
dell’atto introduttivo sia ritirato dal fascicolo. Con lettera 26 marzo 2003 le ricorrenti
hanno formulato osservazioni al riguardo.
33 Con lettera 11 febbraio 2003 il cancelliere del Tribunale ha informato la parti che si
sarebbe statuito ulteriormente sul ritiro del suddetto documento dal fascicolo.
34 Con lettera 26 marzo 2003 la Kirch Media GmbH & Co. KGaA ha rinunciato al
ricorso. Con ordinanza 24 giugno 2003 il presidente della Quinta Sezione del Tribunale
ha dato atto di tale rinuncia.
35 Con ordinanza 9 luglio 2003 il Tribunale ha ammesso il Regno di Danimarca, la
Repubblica francese, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, il Parlamento
ed il Consiglio ad intervenire a sostegno delle conclusioni della convenuta. Invece la
Comunità francese del Belgio non è stata ammessa ad intervenire. Le parti ammesse
all’intervento hanno presentato memorie, ad eccezione del Regno di Danimarca e del
Consiglio. La ricorrente ha presentato osservazioni su tali memorie d’intervento.
36 Con lettera 19 agosto 2003 il cancelliere del Tribunale ha invitato la ricorrente a
produrre versioni non confidenziali delle sue memorie.
37 Con lettera 19 settembre 2003 la ricorrente ha presentato una domanda di
trattamento riservato di taluni elementi del controricorso.
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38 Con ordinanza 4 dicembre 2003 il presidente della Quinta Sezione del Tribunale ha
deciso che venga trasmessa alle intervenienti una versione non confidenziale di tutti i
documenti del procedimento e che queste ultime siano invitate a presentare le loro
osservazioni in proposito. Le intervenienti non hanno presentato osservazioni nel termine
loro impartito a tal fine, ad eccezione del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del
Nord, che non ha formulato obiezioni su tale punto.
39 Con decisione 13 settembre 2004 relativa alla composizione delle sezioni del
Tribunale, il giudice relatore è stato assegnato alla Quarta Sezione cui la presente causa è
stata di conseguenza attribuita con decisione 21 ottobre 2004.
40 In forza dell’art. 14 del regolamento di procedura e su proposta della Quarta
Sezione, il Tribunale, sentite le parti in conformità dell’art. 51 di detto regolamento, ha
deciso di rinviare la causa dinanzi ad un collegio giudicante ampliato.
41 Con lettera depositata nella cancelleria del Tribunale il 1° luglio 2005, il Regno di
Danimarca ha informato il Tribunale che ritirava il suo intervento. Dato che la ricorrente,
la convenuta nonché il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord non hanno
sollevato obiezioni sulla domanda di ritiro depositata dal Regno di Danimarca e che le
altre intervenienti non hanno presentato osservazioni, il presidente della Quarta Sezione
ampliata ha dato atto al Regno di Danimarca, con ordinanza 31 agosto 2005, della sua
rinuncia ed ha ingiunto a ciascuna parte di sopportare le proprie spese relative a tale
intervento.
42 Su relazione del giudice relatore il Tribunale (Quarta Sezione ampliata) ha deciso di
passare alla fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento di
cui all’art. 64, n. 3, lett. c) e d), del regolamento di procedura, ha invitato le parti
principali ed il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord a depositare taluni
documenti ed ha posto per iscritto quesiti alla ricorrente ed alla Commissione invitandole
a darvi risposta prima dell’udienza. La ricorrente, la convenuta nonché il Regno Unito di
Gran Bretagna e Irlanda del Nord hanno dato seguito a tali domande nel temine loro
impartito.
43 Le parti, ad eccezione della Repubblica francese, sono state sentite nelle loro difese
e nelle loro risposte ai quesiti del Tribunale nel corso dell’udienza del 7 luglio 2005.
44 Con lettera 22 agosto 2005, depositata nella cancelleria del Tribunale il 23 agosto
2005, la ricorrente ha chiesto che sia versato agli atti un documento, allegato a tale
lettera, di cui essa avrebbe ottenuto solo dopo l’udienza la produzione da parte del Regno
Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.
Conclusioni delle parti
45 La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:
–
annullare parzialmente o integralmente la decisione della Commissione, adottata ai
sensi dell’art. 3 bis della direttiva che constata la compatibilità col diritto comunitario
delle misure notificate dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (in
prosieguo: l’«atto impugnato»);
–
dichiarare che l’art. 3 bis della direttiva è inapplicabile e non può servire di base
giuridica all’adozione dell’atto impugnato;
–
condannare la Commissione al pagamento delle spese;
–
condannare la Repubblica francese, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del
Nord ed il Parlamento a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dalla stessa
ricorrente per effetto dei loro interventi.
46 La Commissione chiede che il Tribunale voglia:
–
dichiarare il ricorso irricevibile;
–
in subordine, respingere il ricorso in quanto infondato;
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–
condannare la ricorrente alle spese.
47 Il Parlamento, a sostegno della Commissione, chiede che il Tribunale voglia:
–
dichiarare il ricorso irricevibile;
–
in subordine respingere il ricorso in quanto infondato.
48 Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, a sostegno della Commissione,
chiede che il Tribunale voglia respingere il ricorso.
49 La Repubblica francese, a sostegno della Commissione, chiede che il Tribunale
voglia:
–
respingere il ricorso;
–
condannare la ricorrente alle spese.
In diritto
A – Sulla domanda di misure di organizzazione del procedimento
50 Nelle sue memorie la ricorrente ha chiesto che la Commissione sia invitata a
produrre diversi documenti relativi al procedimento di verifica della compatibilità col
diritto comunitario delle misure adottate dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del
Nord.
51 Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, ai sensi dell’art. 64,
n. 3, lett. c) e d), del regolamento di procedura, il Tribunale ha chiesto alla Commissione
e al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord di produrre tali documenti.
All’udienza la ricorrente ha indicato, in seguito ad un quesito del Tribunale, che riteneva
di aver ottenuto soddisfazione sulla sua domanda di produzione di documenti.
52 Alla luce di tali elementi il Tribunale ritiene che non occorra più statuire al
riguardo.
B – Sulla domanda di ritiro di un documento
53 La Commissione ha chiesto al Tribunale, con lettera 20 gennaio 2003, di ritirare dal
dibattimento un documento prodotto dalla ricorrente nell’allegato 17 del suo atto
introduttivo per il motivo che si tratta di un documento redatto dai suoi servizi ai fini di
una discussione in seno al comitato di contatto e di natura confidenziale. La ricorrente si
è opposta a tale ritiro.
54 La domanda della Commissione ha per oggetto il ritiro dal dibattimento del
documento intitolato «Documento di lavoro per il comitato di contatto sull’art. 3 bis della
direttiva» e recante il riferimento DOC CC TVSF (2000) 6. Va però constatato come la
Commissione non abbia fatto esplicitamente valere che si tratta di un documento interno.
55 Inoltre, interrogata all’udienza dal Tribunale sulla natura confidenziale di tale
documento, la Commissione ha indicato che il comitato di contatto, destinatario di tale
documento, non lo considerava più come un documento di tale natura e che si poteva
presumere che quest’ultimo sarebbe stato di conseguenza oggetto di un’ampia diffusione.
56 Dato quanto precede, benché la Commissione abbia manifestato all’udienza la
volontà di confermare la sua domanda di ritiro dal fascicolo di tale documento, non si può
considerare che quest’ultimo sia stato o, quanto meno, continui ad essere un documento
interno all’istituzione e di natura confidenziale.
57 Va quindi respinta la domanda della Commissione diretta al ritiro del documento in
parola dal fascicolo.
C – Sulla ricevibilità
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1. Sulla ricevibilità del primo capo delle conclusioni della ricorrente
58 La Commissione eccepisce l’irricevibilità del ricorso per i motivi che, in primo
luogo, essa non ha adottato alcun atto impugnabile ai sensi dell’art. 3 bis, n. 2, della
direttiva, in secondo luogo, la ricorrente non è né direttamente né individualmente
interessata dall’atto impugnato e, in terzo luogo, la ricorrente, avendo omesso di
trasmettere, unitamente all’atto introduttivo, copia dei contratti conclusi con la FIFA il 10
settembre 1996 ed il 26 maggio 1998, non sarebbe stata in grado di preparare la sua
difesa.
59 Per quanto concerne il terzo motivo di irricevibilità, va ricordato che la ricorrente ha
prodotto, nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale, copie dei contratti di cui è
causa (v. supra, punti 25 e 31), che sono state trasmesse alla Commissione. Interrogata su
tale punto all’udienza, la Commissione ha rinunciato, in seguito ad una domanda del
Tribunale, ad avvalersi di un siffatto motivo di irricevibilità.
60 Peraltro, nell’ambito della sua difesa ed in seguito alla produzione da parte della
ricorrente dei contratti conclusi con la FIFA il 10 settembre 1996 ed il 26 maggio 1998, la
Commissione ha fatto valere che questi ultimi limitano considerevolmente la capacità
della ricorrente di esercitare i suoi diritti concedendo sublicenze, in via esclusiva, ad
emittenti televisive. Essa considera che, dato il contenuto di talune tra le clausole di tali
contratti, non è certo che il danno che la ricorrente sostiene aver subito risulti dall’atto
impugnato.
61 Occorre constatare che la Commissione non ha tratto alcuna conclusione dalle sue
affermazioni in merito alla ricevibilità del presente ricorso. In ogni caso, nei limiti in cui
la Commissione abbia avuto per obiettivo, attraverso le sue asserzioni, di contestare
l’interesse della ricorrente, va rilevato come essa non abbia sostenuto che il tenore dei
contratti in parola privasse la ricorrente di un interesse siffatto e che tale circostanza non
risulta nemmeno dal fascicolo, data peraltro la risposta della ricorrente ai quesiti per
iscritto del Tribunale, aventi segnatamente ad oggetto l’ampiezza delle restrizioni
contrattuali all’esercizio da parte della ricorrente dei suoi diritti di trasmissione televisiva
sulle partite della Coppa del Mondo della FIFA.
62 Alla luce delle considerazioni precedenti occorre esaminare unicamente il primo ed
il secondo dei motivi di irricevibilità opposti dalla Commissione.
a)
Sulla natura giuridica dell’atto impugnato
Argomenti delle parti
63 La Commissione sostiene che, contrariamente all’art. 2 bis, n. 2, della direttiva,
l’art. 3 bis, n. 2, della direttiva stessa non menziona una «decisione» che essa dovrebbe
adottare. La Repubblica francese invoca al riguardo che l’art. 3 bis non conferisce alcuna
competenza decisionale alla Commissione. Il suo ruolo consisterebbe nel procedere alla
verifica preliminare della compatibilità col diritto comunitario delle misure nazionali
notificate.
64 Cosí, qualora le misure nazionali notificate non sembrino violare il diritto
comunitario, la Commissione informerebbe lo Stato membro del fatto che non ha
l’intenzione di opporsi a tali misure e procederebbe alla loro pubblicazione nella Gazzetta
ufficiale affinché gli altri Stati membri si conformino agli obblighi loro incombenti a
norma dell’art. 3 bis, n. 3, della direttiva. La convenuta e la Repubblica francese indicano
che, nei limiti in cui le suddette misure violassero il diritto comunitario e partendo dal
presupposto che lo Stato membro non procedesse alle modifiche necessarie, la
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Commissione sarebbe costretta ad avviare il procedimento per inadempimento di cui
all’art. 226 CE.
65 La constatazione preliminare dell’assenza di violazione del diritto comunitario
sarebbe pertanto una decisione di non promuovere, nell’immediato, un ricorso per
inadempimento contro lo Stato membro interessato. Orbene, i singoli non sarebbero
abilitati a contestare il diniego della Commissione di promuovere un procedimento per
inadempimento a norma dell’art. 226 CE, in quanto l’adozione da parte della
Commissione di una posizione su tale questione non è un atto produttivo di effetti
giuridici definitivi (ordinanza del Tribunale 13 novembre 1995, causa T-126/95,
Dumez/Commissione,Racc. pag. II-2863, punto 37).
66 La Repubblica francese precisa al riguardo che, ai sensi dell’art. 226 CE, la
determinazione dei diritti e degli obblighi incombenti agli Stati membri e il giudizio sul
loro comportamento possono risultare unicamente da una sentenza della Corte (sentenza
della Corte 22 febbraio 2001, causa C-393/98, Gomes Valente, Racc. pag. I-1327). La
posizione adottata dalla Commissione concernente la compatibilità col diritto comunitario
di un elenco di eventi di particolare rilevanza per la società non modificherebbe quindi la
situazione giuridica dello Stato membro interessato. Per di più, il carattere giuridicamente
vincolante dell’elenco in parola, pubblicato nella Gazzetta ufficiale, non conseguirebbe
dalla lettera 28 luglio 2000 con cui la Commissione informava il Regno Unito di Gran
Bretagna e Irlanda del Nord che tali misure sono compatibili col diritto comunitario, ma
unicamente dal diritto nazionale. La Commissione precisa al riguardo che, pur
supponendo che esista una decisione nel caso di specie, si tratterebbe di tale lettera del 28
luglio 2000.
67 La posizione della Commissione, qualunque essa sia in rapporto alle misure
nazionali notificate, non influirebbe sulla loro attuazione nello Stato membro di notifica.
La Commissione non sarebbe in effetti autorizzata a dichiarare incompatibile col diritto
comunitario la legislazione di uno Stato membro.
68 La Commissione segnala peraltro che, nella lettera 28 luglio 2000 al Regno Unito di
Gran Bretagna e Irlanda del Nord, essa ha indicato di non essere intenzionata, «in
funzione degli elementi a sua disposizione», ad opporsi alle misure notificate e che tale
valutazione non costituisce una decisione. Essa rileva in proposito che, nell’ipotesi in cui
debba impegnarsi giuridicamente, la sua decisione dev’essere adottata dal collegio dei
membri della Commissione e dev’essere motivata. La sua lettera del 28 luglio 2000
sarebbe, pertanto, assimilabile ad una lettera di archiviazione (sentenza della Corte 10
luglio 1980, cause riunite 253/78 e da 1/79 a 3/79, Giry e Guerlain e a., Racc. pag. 2327,
e sentenza del Tribunale 24 marzo 1994, causa T-3/93, Air France/Commissione, Racc.
pag. II-121, punto 50).
69 Quanto all’obbligo ad essa incombente di pubblicare nella Gazzetta ufficiale le
misure nazionali approvate, la Commissione considera che esso non modifica affatto la
natura della sua lettera 28 luglio 2000. Tale pubblicazione avrebbe il solo scopo di
informare gli altri Stati membri affinché questi ultimi si conformino all’obbligo loro
incombente ai sensi dell’art. 3 bis, n. 3, della direttiva. Essa segnala tuttavia che l’obbligo
in capo agli Stati membri di conformarsi agli obblighi loro incombenti a norma di tale
articolo viene generato non dall’approvazione provvisoria delle misure notificate da parte
della stessa Commissione, bensì direttamente dal suddetto articolo, in cui si fa riferimento
agli «eventi che quest’altro Stato membro ha designato conformemente ai paragrafi
precedenti» e non agli eventi figuranti in un «elenco pubblicato dalla Commissione».
Così, sia la notifica delle misure in questione agli altri Stati membri sia la pubblicazione
di tali misure nella Gazzetta ufficiale sarebbero misure amministrative non implicanti
affatto l’esercizio, da parte della Commissione, di un qualsiasi potere decisionale.
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70 A tale riguardo, relativamente al richiamo nell’art. 3 bis, n. 3, dei «paragrafi
precedenti» e non del «paragrafo 1», parrebbe che l’approccio della ricorrente sia quello
di considerare che l’obbligo imposto agli Stati membri è subordinato alla designazione
delle misure di cui all’art. 3 bis, n. 1, della direttiva nonché alla loro notifica ed
approvazione da parte della Commissione ai sensi dell’art. 3 bis, n. 2, della suddetta
direttiva. Tuttavia l’unico requisito imposto sarebbe che lo Stato membro abbia
soddisfatto gli obblighi di designazione e di notifica delle misure incombentigli a norma
dell’art. 3 bis, nn. 1 e 2, della direttiva, il che sarebbe compatibile con l’intenzione
apparente del legislatore di porre in essere un sistema di riconoscimento reciproco delle
misure prese dagli Stati membri, pur conferendo alla Commissione un ruolo di mediatore.
L’interpretazione della ricorrente attribuirebbe quindi un’efficacia vincolante ad una mera
constatazione della Commissione che non sarebbe tale da produrre effetti giuridici in
capo agli altri Stati membri. L’obbligo di riconoscimento reciproco risultante
dall’art. 3 bis, n. 3, della direttiva non sarebbe subordinato alla verifica da parte della
Commissione della compatibilità col diritto comunitario delle misure notificate.
71 D’altro canto gli altri Stati membri non possono essere costretti, a norma del diritto
comunitario, ad applicare misure di un altro Stato membro incompatibili col diritto
comunitario, nonostante la posizione adottata dalla Commissione in rapporto a tali
misure. La Commissione si riferisce, in tale contesto, alla sua lettera al Regno Unito di
Gran Bretagna e Irlanda del Nord 23 dicembre 1998 a tenore nella quale essa esprimeva
dubbi circa la compatibilità delle misure inizialmente notificate col diritto comunitario.
Essa rileva anche che le misure nazionali in parola sono state pubblicate nella serie C
della Gazzetta ufficiale e non nella serie L.
72 La Commissione, sostenuta dal Parlamento, fa infine valere che la ricorrente non
contesta il fatto che le misure in questione avrebbero potuto essere impugnate dinanzi ai
giudici del Regno Unito. Il giudice nazionale, nella causa all’origine della sentenza della
House of Lords 25 luglio 2001, R v. ITC, ex parte TV Danmark 1 Ltd, [2001] UKHL 42,
invocata dalla ricorrente, si sarebbe limitato ad affermare che non avrebbe statuito sulla
questione dell’equilibrio tra gli interessi degli organizzatori di eventi sportivi e delle
emittenti televisive a mantenere un mercato libero, da un lato, e l’interesse del cittadino a
poter essere spettatore di importanti eventi sportivi, dall’altro. Esso non avrebbe tuttavia
affermato di non voler riesaminare la legittimità di misure adottate a norma dell’art. 3 bis
della direttiva. Se fosse stato proposto un ricorso dinanzi ai giudici del Regno Unito e si
fosse effettuato un rinvio pregiudiziale alla Corte ai sensi dell’art. 234 CE, la ricorrente
non avrebbe potuto stabilire alcun parallelo con la causa all’origine della sentenza della
Corte 9 marzo 1994, causa C-188/92, TWD Textilwerke Deggendorf (Racc. pag. I-833).
In effetti, nel caso di specie, alla ricorrente sarebbe precluso di proporre un ricorso
dinanzi ai giudici del Regno Unito. Orbene, dichiarando ricevibile il presente ricorso
proposto avverso un’asserita decisione della Commissione, il Tribunale darebbe il suo
avallo ad uno sviamento di potere come quello denunciato dalla Corte nella citata
sentenza TWD Textilwerke Deggendorf.
73 Secondo la Commissione, non spetta al Tribunale esaminare o interpretare la
legittimità delle misure adottate dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.
Sarebbe peraltro particolarmente difficile per un giudice, diverso da quelli del Regno
Unito, procedere all’interpretazione delle suddette misure, tra cui figurano segnatamente
disposizioni del codice dell’ITC relativo agli eventi sportivi e ad altri eventi inseriti
nell’elenco, data la loro mancanza di chiarezza.
74 In proposito, il Parlamento sottolinea che la ricorrente aveva la facoltà di difendere i
suoi diritti attraverso un rinvio pregiudiziale della High Court di Londra alla Corte
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[sentenza della Corte 10 dicembre 2002, causa C-491/01, British American Tobacco
(Investments) e Imperial Tobacco,Racc. pag. I-11453, punti 32-41].
75 Il Parlamento aggiunge peraltro che si può stabilire un parallelo anche tra la
presente causa e quella all’origine della sentenza del Tribunale 26 novembre 2002, cause
riunite T-74/00, T-76/00, da T-83/00 a T-85/00, T-132/00, T-137/00 e T-141/00,
Artegodan e a./Commissione (Racc. pag. II-4945, punto 142, confermata senza ricorso
avverso la pronuncia del Tribunale di primo grado), da cui emerge che, in assenza di un
esplicito trasferimento di competenza alla Commissione, la materia di cui trattasi rientra
nella competenza residua degli Stati membri. Esso si riferisce, in tale contesto,
all’art. 7 CE, a norma del quale ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che
le sono conferite dal Trattato. Non risulterebbe tuttavia né dalla direttiva 89/552 né dalla
direttiva 97/36 che gli Stati membri si sarebbero implicitamente spogliati della loro
competenza. In particolare l’art. 3 bis della direttiva non conferirebbe espressamente
alcuna competenza alla Commissione, il che sarebbe confermato dall’assenza di qualsiasi
procedimento di comitologia. In proposito la missione incombente al comitato di contatto
non si riferirebbe alle competenze di esecuzione dell’art. 202, terzo trattino, CE. Inoltre
né l’economia generale, l’obiettivo primario ed il tenore letterale dell’art. 3 bis della
direttiva, da un lato, né le intenzioni del legislatore, dall’altro, tenderebbero a conferire
alla Commissione una particolare competenza decisionale.
76 In conclusione la Commissione considera che, dato quanto precede, la sua
valutazione della compatibilità delle misure controverse non costituisce un atto
impugnabile. Sostenendo che la Commissione non avrebbe dovuto comunicare agli altri
Stati membri le misure notificate e pubblicarle nella Gazzetta ufficiale, la ricorrente
contesterebbe, in realtà, la validità dell’art. 3 bis, n. 2, della direttiva.
77 La ricorrente si oppone all’argomento della Commissione e considera in sostanza
che l’atto di approvazione da parte di quest’ultima delle misure notificate produce effetti
giuridici sia nel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sia negli altri Stati
membri.
78 L’atto impugnato sarebbe un atto produttivo di effetti giuridici vincolanti in quanto
risulta dall’esercizio di un potere legalmente conferito, al termine di un procedimento
amministrativo contemplato da norme giuridiche e inteso a produrre effetti giuridici atti a
ledere gli interessi della ricorrente modificandone la situazione giuridica (sentenza della
Corte 4 marzo 1982, causa 182/80, Gauff/Commissione, Racc. pag. 799, punto 18).
79 Essa si riferisce, in primo luogo, al tenore dell’art. 3 bis, n. 2, della direttiva, ai sensi
del quale si esige che la Commissione adotti, in esito alla verifica della compatibilità col
diritto comunitario delle misure notificate, un atto vincolante.
80 In secondo luogo, si dedurrebbe chiaramente dalla finalità e dall’obiettivo
dell’art. 3 bis, n. 2, della direttiva che tale disposizione è intesa a produrre effetti
giuridici. La ricorrente si riferisce, in tale contesto, ai considerando 18 e 19 della direttiva
97/36 e constata che la redazione degli elenchi nazionali in cui gli Stati membri
inclinerebbero a far inserire un gran numero di eventi darebbe a tali Stati la possibilità di
favorire emittenti televisive stabilite sul loro territorio.
81 In terzo luogo, dal procedimento di applicazione dell’art. 3 bis, n. 2, della direttiva
89/552 emergerebbe che quest’ultima conduce all’adozione di una decisione produttiva di
effetti vincolanti. La ricorrente si riferisce in proposito ai termini inquadranti tale
procedimento nonché al suo svolgersi.
82 La ricorrente fa valere peraltro che né il tenore letterale e la finalità dell’art. 3 bis
della direttiva, né i pertinenti ‘considerando’ della direttiva 97/36 permettono di sostenere
l’argomento della Commissione secondo cui l’atto adottato da quest’ultima è assimilabile
al rifiuto di promuovere un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE. Il
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presente procedimento imporrebbe in effetti alla Commissione di agire in qualità di
arbitro e di adottare una decisione definitiva sulla legittimità delle misure notificate. Una
decisione siffatta non può essere ritirata senza ledere la posizione giuridica del Regno
Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e quella di tutti i singoli che hanno tratto diritti
dall’approvazione da parte della Commissione delle suddette misure e dal loro
riconoscimento reciproco. La ricorrente aggiunge che la tesi della Commissione priva di
effetto utile il procedimento prescritto all’art. 3 bis della direttiva.
83 La ricorrente fa parimenti valere che l’atto impugnato produce effetti giuridici negli
altri Stati membri, poiché questi ultimi sono tenuti a far osservare dalle emittenti
televisive soggette alla loro giurisdizione, conformemente all’art. 3 bis, n. 3, della
direttiva, le misure adottate dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. In
effetti, in assenza di una decisione della Commissione che approvi le misure notificate,
queste ultime non produrrebbero alcun effetto giuridico negli altri Stati membri. Qualsiasi
altra interpretazione priverebbe di effetto utile il procedimento di cui all’art. 3 bis, n. 2, e
sarebbe contraria alla finalità dell’art. 3 bis della direttiva, consistente nel conciliare la
libera circolazione delle trasmissioni televisive e la necessità di impedire che siano
eventualmente eluse misure nazionali intese a tutelare un interesse generale legittimo.
84 La ricorrente fa infine valere come emerga dal fascicolo che il riconoscimento
reciproco è condizionato del controllo da parte della Commissione della compatibilità
delle misure notificate col diritto comunitario e non risulta automaticamente dalla loro
notifica.
Giudizio del Tribunale
85 Nell’atto introduttivo la ricorrente chiede l’annullamento della decisione della
Commissione la quale dispone, da una parte, che le misure notificate dal Regno Unito di
Gran Bretagna e Irlanda del Nord sono compatibili col mercato comune e prevede,
dall’altra, che tali misure devono essere comunicate agli altri Stati membri di modo che vi
si conformino le emittenti radiotelevisive soggette alla loro giurisdizione. Essa precisa, a
tale riguardo, che l’unico documento accessibile al pubblico è la pubblicazione effettuata
dalla Commissione, conformemente all’art. 3 bis, n. 2, della direttiva, nella Gazzetta
ufficiale del 18 novembre 2000, delle misure prese dal Regno Unito di Gran Bretagna e
Irlanda del Nord.
86 Unitamente alla sua eccezione di irricevibilità, la Commissione ha tuttavia prodotto
una lettera del direttore generale della DG «Educazione e cultura», datata 28 luglio 2000,
in cui quest’ultimo informa il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord che, in
seguito all’esame della conformità delle misure notificate il 5 maggio 2000 e tenuto conto
degli elementi di fatto disponibili quanto al paesaggio audiovisivo del Regno Unito di
Gran Bretagna e Irlanda del Nord, la Commissione non intende contestare le suddette
misure e procederà alla loro pubblicazione nella Gazzetta ufficiale (v. punto 15 supra). La
Commissione ha indicato in proposito che, quand’anche avesse adottato una decisione nel
presente contesto, quod non, si tratterebbe di tale lettera (v. punto 66 supra).
87 Data tale situazione, va considerato che la lettera del 28 luglio 2000 è, in sostanza,
l’atto impugnato nel caso di specie, considerato che trattasi del solo documento il quale
informi esplicitamente il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord della
posizione della Commissione quanto alla compatibilità col diritto comunitario delle
misure da esso notificate e dell’imminente pubblicazione delle suddette misure nella
Gazzetta ufficiale. All’udienza la ricorrente ha peraltro indicato, in risposta ad un quesito
del Tribunale, che il suo ricorso era in realtà diretto all’annullamento di codesta lettera
della Commissione al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.
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88 Occorre quindi porre la questione relativa alla natura di atto impugnabile della
lettera della Commissione al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord 18 luglio
2000 (in prosieguo: la «lettera impugnata»).
89 Secondo una costante giurisprudenza, costituiscono atti o decisioni che possono
essere oggetto di un’azione di annullamento ai sensi dell’art. 230 CE i provvedimenti
destinati a produrre effetti giuridici obbligatori idonei ad incidere sugli interessi di chi li
impugna, modificando in misura rilevante la situazione giuridica di questo. La forma in
cui gli atti o le decisioni sono adottate è, in linea di massima, irrilevante ai fini della
possibilità di impugnarli con un’azione di annullamento (sentenza della Corte
11 novembre 1981, causa 60/81, IBM/Commissione, Racc. pag. 239, punto 9, e sentenza
del Tribunale 17 febbraio 2000, causa T-241/97, Stork Amsterdam/Commissione, Racc.
pag. II-309, punto 49). Per stabilire se un atto impugnato produca simili effetti, in effetti
occorre tener conto della sua sostanza (sentenza della Corte 22 giugno 2000, causa
C-147/96, Paesi-Bassi/Commissione, Racc. pag. I-4723, punti 25-27).
90 Al fine di valutare, alla luce dei principi summenzionati, la natura giuridica della
lettera impugnata e stabilire se essa produca effetti giuridici, occorre esaminarla secondo
il metro della disciplina degli eventi di particolare rilevanza per la società istituito
dall’art. 3 bis della direttiva.
91 Occorre ricordare in proposito che la direttiva è diretta a facilitare la libera
circolazione delle trasmissioni televisive all’interno della Comunità europea, pur tenendo
conto delle particolarità, segnatamente culturali e sociologiche, dei programmi
audiovisivi.
92 Trattandosi della specifica disciplina dei diritti audiovisivi relativi ad eventi di
particolare rilevanza per la società, istituita dall’art. 3 bis della direttiva, risulta dal
considerando 18 della direttiva 97/36 che è essenziale che gli Stati membri siano in grado
di adottare misure volte a proteggere il diritto all’informazione e ad assicurare un ampio
accesso del pubblico alla copertura televisiva di eventi, nazionali e non, di particolare
rilevanza per la società. In tale contesto è previsto che gli Stati membri mantengono il
diritto di prendere misure, compatibili con il diritto comunitario, volte a regolare
l’esercizio, da parte delle emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione, dei diritti
esclusivi di ritrasmissione di tali eventi. Ai fini del riconoscimento reciproco da parte
degli altri Stati membri ai sensi dell’art. 3 bis, n. 3, della direttiva, le misure prese o
contemplate da uno Stato membro vanno notificate alla Commissione.
93 L’art. 3 bis, n. 2, della direttiva prevede al riguardo che la Commissione verifica,
entro tre mesi dalla notifica, che tali misure statali siano compatibili con il diritto
comunitario. In occasione di tale verifica essa consulta il comitato di contatto, il quale
emette un parere.
94 Nel caso di specie la lettera impugnata che in sostanza informa il Regno Unito di
Gran Bretagna e Irlanda del Nord dell’approvazione da parte della Commissione delle
misure notificatele e della loro successiva pubblicazione nella Gazzetta ufficiale chiude il
procedimento di verifica che la Commissione è tenuta ad osservare ai sensi dell’articolo
summenzionato. La pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle suddette misure
approvate dalla Commissione permette agli altri Stati membri, come constata la
Commissione stessa attraverso le sue memorie (v. punto 69 supra), di prenderne
conoscenza e, pertanto, di essere in grado di conformarsi agli obblighi loro incombenti ai
sensi dell’art. 3 bis, n. 3, della direttiva, nell’ambito del meccanismo di riconoscimento
reciproco di tali misure istituito dal medesimo articolo.
95 La lettera impugnata produce quindi effetti giuridici in capo agli Stati membri in
quanto prevede la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle misure statali in questione,
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dato che tale pubblicazione ha per effetto di avviare il meccanismo di riconoscimento
reciproco di tali misure, previsto all’art. 3 bis, n. 3, della direttiva.
96 In primo luogo, un esame siffatto risulta dalla lettera dell’art. 3 bis, n. 3, della
direttiva, che prevede il riconoscimento reciproco delle misure adottate dagli Stati
membri al fine di garantire il libero accesso del pubblico agli eventi indicati
«conformemente ai paragrafi precedenti», cioè, segnatamente, quelli per cui le misure
statali notificate sono state ritenute dalla Commissione compatibili col diritto comunitario
e pubblicate nella Gazzetta ufficiale, conformemente al n. 2 del medesimo articolo.
97 Inoltre lo svolgimento del procedimento di verifica quale descritto all’art. 3 bis,
n. 2, della direttiva nonché l’intensità della verifica stessa ostano a ch’essa venga
considerata come una verifica «preliminare» in esito alla quale sarebbe emesso un
«parere». In effetti, da un lato, la Commissione è tenuta a procedere a tale verifica entro
un termine rigido di tre mesi dalla notifica delle misure da parte dello Stato membro
interessato e deve, a tal fine, consultare il comitato di contatto che dal canto suo emette
un parere, conformemente al disposto dell’art 3 bis, n. 2, della direttiva. La Commissione
ha ammesso all’udienza che doveva procedere ad un esame approfondito della
compatibilità delle suddette misure col diritto comunitario, dato che la Commissione deve
in particolare garantire l’osservanza delle disposizioni della direttiva nonché delle regole
relative alla libera circolazione dei servizi e al diritto della concorrenza.
98 In secondo luogo, data l’economia della disciplina degli eventi di particolare
rilevanza per la società istituita dall’art. 3 bis della direttiva, non si può considerare, come
sostiene la Commissione, che né l’approvazione delle suddette misure né la loro
pubblicazione nella Gazzetta ufficiale facciano sorgere l’obbligo per gli altri Stati membri
di conformarsi agli obblighi loro incombenti a norma dell’art. 3 bis, n. 3, della direttiva.
99 In effetti, da una parte, il procedimento di controllo incombente alla Commissione a
norma dell’art. 3 bis, n. 2, della direttiva è inteso a garantire la compatibilità di tali misure
col diritto comunitario (‘considerando’ 18 della direttiva 97/36).
100 In proposito, trattandosi dello svolgimento del procedimento di verifica delle misure
notificate dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, la Commissione ha
segnatamente indicato nella lettera 23 dicembre 1998 (v. punto 12 supra) quanto segue:
«Vi prego di trovare in allegato il risultato provvisorio dell’esame da parte dei servizi
della Commissione delle misure notificate […] la Commissione conclude che, nell’attesa
di più ampie precisazioni da parte delle vostre autorità su molteplici questioni rilevanti,
essa non è in grado di avviare formalmente il procedimento di verifica della compatibilità
col diritto comunitario delle misure per cui il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del
Nord chiede il riconoscimento reciproco da parte degli altri Stati membri».
101 Dunque i termini stessi di tale lettera emanante dalla Commissione confermano
l’interpretazione dell’art. 3 bis, nn. 2 e 3, della direttiva esposta ai punti 98 e 99 supra,
secondo cui il riconoscimento reciproco delle misure nazionali notificate è subordinato
alla verifica della compatibilità di queste ultime col diritto comunitario.
102 Inoltre, la verifica della compatibilità col diritto comunitario delle misure notificate
cui è tenuta la Commissione sarebbe priva di effetto se l’approvazione delle suddette
misure non condizionasse il riconoscimento reciproco da parte degli altri Stati membri.
Infatti, partendo dal presupposto che il meccanismo di riconoscimento reciproco possa
riguardare misure nazionali considerate dalla Commissione incompatibili col diritto
comunitario, non sono evitabili l’esistenza di rischi di incertezza giuridica e di distorsione
del mercato, mentre rischi siffatti sono vietati dal ‘considerando’ 19 della direttiva 97/36.
Il riconoscimento reciproco di misure nazionali incompatibili col diritto comunitario non
permetterebbe neppure di garantire la conciliazione tra la libera circolazione delle
trasmissioni televisive e la necessità di impedire che siano eventualmente eluse le misure
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nazionali destinate a proteggere un legittimo interesse generale, come anche prevede il
‘considerando’ 19 della suddetta direttiva.
103 D’altra parte il fatto che la pubblicazione delle misure nazionali nella Gazzetta
ufficiale, la quale permette agli altri Stati membri di prenderne conoscenza onde
conformarsi agli obblighi risultanti dall’art. 3 bis, n. 3, può aver luogo solo dopo che la
Commissione, al termine della sua verifica, abbia constatato la loro compatibilità col
diritto comunitario, è peraltro corroborato da vari elementi del fascicolo.
104 In primo luogo, il modo in cui si è svolto il procedimento di verifica delle misure
notificate dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord conforta tale
interpretazione. In effetti il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ha
notificato per la prima volta misure alla Commissione il 25 settembre 1998 e, come già
detto, con lettera 23 dicembre 1998 la Commissione gli ha comunicato che taluni aspetti
delle misure in parola sollevavano problemi di compatibilità col diritto comunitario. Con
lettera 5 maggio 2000 il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ha notificato
una versione emendata di tali misure. Dunque, solo queste ultime misure, ritenute dalla
Commissione compatibili col diritto comunitario, sono state oggetto di una pubblicazione
nella Gazzetta ufficiale dopo che la Commissione ha informato il Regno Unito di Gran
Bretagna e Irlanda del Nord circa la loro compatibilità col diritto comunitario attraverso
la lettera impugnata.
105 Nella lettera 22 gennaio 2001 la Commissione ha peraltro risposto alla ricorrente
che «sul piano giuridico, ai sensi dell’art. 3 bis, n. 2, della direttiva, la pubblicazione delle
misure [era] la conseguenza di una verifica [positiva] effettuata dalla Commissione» (v.
punto 21 supra).
106 In secondo luogo, la posizione della Commissione al riguardo è attestata da
numerosi documenti allegati al fascicolo e di cui essa è l’autore. Così, sulla pagina del
sito Intranet consacrata all’art. 3 bis della direttiva, prodotta dalla ricorrente unitamente
alle sue osservazioni sull’eccezione di irricevibilità, la Commissione indica che, «in caso
di risultato positivo di tale valutazione [della loro compatibilità col diritto comunitario],
le misure sono pubblicate nella Gazzetta ufficiale». La posizione della Commissione
emerge anche dal suo documento di lavoro CCTVSF (97) 9/3, prodotto su domanda del
Tribunale, ove si afferma che «tale esigenza di certezza del diritto rende necessario che la
compatibilità col diritto comunitario delle misure in questione sia provata al termine di un
rapido procedimento di esame e che – in caso di risultato positivo – le suddette misure
siano pubblicate nella Gazzetta ufficiale» o che «deriva da quanto precede che soltanto
misure nazionali specifiche, rientranti nel campo di applicazione dell’art. 3 bis, n. 1, […]
sono idonee ad essere assoggettate al procedimento di notifica alla Commissione ai fini
del loro esame e della loro eventuale pubblicazione» o ancora che, «in caso di risultato
positivo del procedimento di esame, le misure in questione saranno pubblicate nella
[(Gazzetta ufficiale)]».
107 Risulta da quanto precede che la Commissione dispone, ai sensi dell’art. 3 bis, n. 2,
della direttiva, di un potere decisionale e che la lettera impugnata produce effetti giuridici
definitivi senza che una siffatta constatazione possa essere contraddetta dal fatto che
l’art. 3 bis della direttiva 89/552 non si riferisce espressamente all’adozione da parte della
Commissione di una «decisione».
108 Va quindi disatteso l’argomento della Commissione e della Repubblica francese
secondo cui la lettera impugnata sarebbe una decisione di non promuovere
nell’immediato un procedimento per inadempimento contro lo Stato membro interessato.
Comunque, pur muovendo dal presupposto che la Commissione constati l’incompatibilità
col diritto comunitario delle misure notificate e che lo Stato membro notificante non
rimedi a tale incompatibilità, è sufficiente che la Commissione non pubblichi le suddette
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misure nella Gazzetta ufficiale perché le stesse siano private di effetto nell’ambito del
meccanismo di riconoscimento reciproco stabilito dall’art. 3 bis, n. 3, della direttiva.
109 Quanto all’argomento secondo cui la ricorrente poteva contestare le misure in
questione dinanzi ai giudici del Regno Unito, esso non può avere successo dato che il
controllo che al Tribunale si richiede di effettuare nel caso di specie verte unicamente
sulla legittimità della constatazione da parte della Commissione della compatibilità col
diritto comunitario delle suddette misure ai fini dell’attuazione del meccanismo di
riconoscimento reciproco degli eventi di particolare rilevanza istituito dall’art. 3 bis, n. 3,
della direttiva. La menzione, in tale contesto, della citata sentenza della House of Lords,
R v. ITC, ex parte TV Danmark 1 Ltd [2001] UKHL 42 è irrilevante poiché il ricorso in
questione in codesta causa era stato proposto da un’emittente televisiva danese, soggetta
al diritto del Regno Unito, avverso la decisione delle autorità competenti di tale Stato
membro che rifiutava l’acquisto da parte della stessa emittente dei diritti esclusivi di
ritrasmissione di cinque incontri di qualifica della Coppa del Mondo della FIFA figuranti
nell’elenco degli eventi di maggiore rilevanza per la società designati dal Regno di
Danimarca. Tale causa verteva quindi sulla contestazione dell’applicazione, da parte del
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, in base al principio del riconoscimento
reciproco, delle misure danesi e non, come nel caso di specie, sulla decisione constatante
la loro compatibilità col diritto comunitario.
110 Infine va del pari disatteso l’argomento della convenuta secondo cui il fatto di non
essersi impegnata giuridicamente sarebbe confermato dalla natura della formulazione
utilizzata nella lettera impugnata, dalla mancata adozione di una decisione motivata da
parte del collegio dei membri della Commissione e dalla scelta di procedere alla
pubblicazione delle misure notificate ritenute compatibili col diritto comunitario nella
serie C «Comunicazioni ed informazioni» e non nella serie L «Legislazione» della
Gazzetta ufficiale. È infatti sufficiente ricordare che, secondo una costante
giurisprudenza, la forma in cui gli atti o le decisioni sono adottate è, in linea di massima,
irrilevante ai fini della possibilità di impugnarli con un’azione di annullamento e che
occorre tener conto della loro sostanza per stabilire se costituiscano atti impugnabili ai
sensi dell’art. 230 CE (v. punto 89 supra).
111 Risulta dal complesso delle precedenti considerazioni di diritto e di fatto che la
lettera impugnata produce effetti giuridici vincolanti e costituisce quindi una decisione ai
sensi dell’art. 249 CE. Pertanto, poiché la lettera contestata è un atto impugnabile ai sensi
dell’art. 230 CE, il presente motivo di irricevibilità va respinto.
b)
Sulla legittimazione ad agire della ricorrente
112 Ai sensi dell’art. 230, quarto comma, CE, qualsiasi persona fisica o giuridica può
proporre, alle stesse condizioni, un ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e
contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei
confronti di altre persone, la riguardano direttamente e individualmente.
113 Nel caso di specie, poiché la Commissione eccepisce l’irricevibilità del ricorso per
difetto di legittimazione ad agire della ricorrente, va stabilito se la decisione impugnata la
riguardi direttamente e individualmente.
Sul punto se la ricorrente sia direttamente interessata
– Argomenti delle parti
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114 La Commissione, sostenuta dalla Repubblica francese, si riferisce alla sentenza
della Corte 5 maggio 1998, causa C-386/96 P, Dreyfus/Commissione (Racc. pag. I-2309),
nonché alla sentenza del Tribunale 13 dicembre 2000, causa T-69/99,
DSTV/Commissione (Racc. pag. II-4039, punto 24).
115 Essa fa valere, nel caso di specie, che la situazione giuridica della ricorrente non è
modificata, posto che sia la direttiva sia la legislazione del Regno Unito riguardano
unicamente i diritti e gli obblighi delle emittenti televisive e che queste ultime possono
trasmettere in diretta un evento figurante nell’elenco solo a determinate condizioni. La
ricorrente subirebbe solo conseguenze economiche indirette di tali costrizioni, le quali
sarebbero connesse al rischio che le emittenti televisive rifiutino di pagare un prezzo
tanto elevato quanto quello che essa aveva messo in conto di ottenere cedendo sublicenze
dei suoi diritti di ritrasmissione delle partite della Coppa del Mondo della FIFA.
116 Inoltre, la Commissione rileva che solo talune disposizioni della legge sulle
trasmissioni radiotelevisive del 1996, lette in combinato disposto col codice dell’ITC
relativo agli eventi sportivi e ad altri eventi inseriti nell’elenco, hanno direttamente
interessato la ricorrente. La Repubblica francese sottolinea in proposito che gli effetti
subiti dalla ricorrente non derivano dalla lettera impugnata, ma dalla legislazione vigente
nel Regno Unito, sul cui fondamento è redatto l’elenco degli eventi di particolare
rilevanza per la società. Ora, la ricorrente, benché la sua situazione economica fosse stata
ben evidente sin dall’entrata in vigore della legge sulle trasmissioni radiotelevisive del
1996 in quanto l’elenco degli eventi era già redatto ed includeva la fase finale della
Coppa del Mondo della FIFA, non avrebbe mai contestato la legislazione del Regno
Unito o l’elenco degli eventi di particolare rilevanza per la società redatto dal Regno
Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.
117 A tale riguardo le autorità del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord,
nell’adottare le misure litigiose, avrebbero pienamente esercitato il loro potere
discrezionale di legislatore. L’art. 3 bis, n. 1, della direttiva conferirebbe, in effetti, agli
Stati membri la possibilità di adottare misure relative agli eventi di maggiore rilevanza
per la società. Circa la verifica della compatibilità col diritto comunitario delle misure
notificate, la Commissione e il Parlamento sostengono che essa è comparabile al
procedimento di cui all’art. 2 bis, n. 2, della direttiva con riguardo al quale il Tribunale ha
dichiarato che un ricorrente non può essere direttamente interessato dall’atto adottato
dalla Commissione su tale fondamento (citata sentenza DSTV/Commissione, punti 26 e
27).
118 La Commissione sottolinea che, nel caso di specie, essa ha proceduto alla sua
valutazione relativa alla compatibilità col diritto comunitario delle misure notificate dal
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord successivamente alla loro adozione e
che soltanto tali misure hanno avuto un’incidenza diretta sugli interessi economici della
ricorrente.
119 Essa si oppone all’asserzione della ricorrente secondo cui la pubblicazione delle
misure notificate dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord nella Gazzetta
ufficiale ha avuto per conseguenza di imporre obblighi agli altri Stati membri. In ogni
caso, tale circostanza non significherebbe che la ricorrente è direttamente interessata
dall’atto impugnato. In effetti, gli altri Stati membri sarebbero tenuti a garantire che le
emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione rispettino l’elenco degli eventi di
particolare rilevanza per la società designati dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda
del Nord, ma lo farebbero applicando le loro regole nazionali. Così la messa in opera
della valutazione effettuata dalla Commissione circa la compatibilità delle misure
notificate non sarebbe «puramente automatica» e non deriverebbe soltanto dalla
normativa comunitaria.
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120 Peraltro la Commissione rileva che, anche se la sua verifica preliminare delle
misure notificate inducesse gli altri Stati membri a garantire che le emittenti
radiotelevisive soggette alla loro giurisdizione osservino l’elenco degli eventi di
maggiore rilevanza per la società, ciò sarebbe senza effetto nel caso di specie. Non si può
infatti immaginare che la ricorrente conceda sublicenze dei suoi diritti televisivi
concernenti il Regno Unito ad un’emittente televisiva non stabilita nel Regno Unito,
poiché tali diritti sono concessi su una base nazionale. A livello nazionale le entrate delle
emittenti televisive proverrebbero dalla pubblicità diretta al pubblico nazionale, dai diritti
relativi a licenze nazionali o dagli abbonamenti nazionali alla televisione pagante. Poiché
l’interesse di tali emittenti è quindi quello di fornire emissioni ad un pubblico nazionale,
soltanto quelle che raggiungono un’ampia parte della popolazione nazionale
accetterebbero di acquistare, ad un prezzo molto elevato, i diritti di trasmissione
televisiva di cui è titolare la ricorrente. Pertanto, poiché i subtitolari potenziali di tali
diritti per il Regno Unito sono emittenti sottostanti alle autorità del Regno Unito, soltanto
le misure nazionali interesserebbero direttamente la ricorrente.
121 La Commissione segnala, in tale contesto, che, nel Regno Unito, il mercato della
trasmissione televisiva è uno dei più concorrenziali d’Europa e che il 25% delle emittenti
televisive operanti nel settore detengono una licenza nel Regno Unito.
122 Alla luce di tali elementi, pur supponendo che la pubblicazione delle misure
notificate nella Gazzetta ufficiale faccia sorgere in capo agli altri Stati membri l’obbligo
di rispettare quello che loro incombe sul fondamento dell’art. 3 bis, n. 3, della direttiva,
tale circostanza sarebbe nella fattispecie irrilevante.
123 La Commissione ne inferisce che la verifica e la pubblicazione nella Gazzetta
ufficiale delle misure notificate dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord non
riguardano direttamente la ricorrente.
124 La ricorrente contesta nel suo complesso l’argomentazione della Commissione.
125 Essa fa valere in sostanza che la sua situazione giuridica è direttamente toccata, in
quanto le misure del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord approvate dalla
lettera impugnata producono effetti sulle condizioni a cui essa può rivendere i suoi diritti
di trasmissione televisiva in diretta delle partite della fase finale della Coppa del Mondo
della FIFA per il Regno Unito. Essa si riferisce in proposito agli artt. 99 e 101 della legge
sulle trasmissioni televisive del 1996.
126 Quanto agli effetti sugli altri Stati membri, la ricorrente sostiene che la lettera
impugnata impone loro di far rispettare dalle proprie emittenti televisive le misure in
parola. A tale riguardo gli obblighi imposti alle emittenti televisive soggette alla
giurisdizione degli altri Stati membri sarebbero automatici e deriverebbero soltanto dalla
normativa comunitaria, senza applicazione di altre norme intermedie. Tali Stati non
sarebbero infatti tenuti a garantire che le emittenti televisive soggette alla loro
giurisdizione si conformino alle misure adottate dal Regno Unito di Gran Bretagna e
Irlanda del Nord fintantoché la Commissione non abbia adottato la decisione constatante
la compatibilità delle misure notificate col diritto comunitario. Cosí l’art. 3 bis, n. 3, della
direttiva sarebbe stato trasposto in diritto nazionale dalla maggioranza degli Stati membri
e si applicherebbe automaticamente a tutte le misure nazionali notificate che sono
approvate e pubblicate dalla Commissione.
127 Alla ricorrente, dal canto suo, si impedirebbe di cedere una licenza esclusiva di
esercizio dei suoi diritti ad un’emittente televisiva basata in un altro Stato membro e la
Commissione non potrebbe validamente sostenere, dati tali elementi, che la lettera
impugnata produca effetti giuridici soltanto nei confronti delle emittenti televisive.
128 La ricorrente fa anche valere che, contrariamente a quanto sostiene la Commissione,
la citata sentenza DSTV/Commissione (punto 27), relativa all’art. 2 bis, n. 2, della
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direttiva, non è applicabile nel caso di specie, poiché le misure sono state notificate alla
Commissione, conformemente all’art. 3 bis, n. 2, della direttiva, prima della loro entrata
in vigore. Sarebbe quindi impossibile considerare che le misure notificate dal Regno
Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord esistessero indipendentemente dalla decisione
della Commissione, dato che la loro esistenza dipendeva dall’esito della verifica cui
quest’ultima era tenuta a procedere.
129 La ricorrente si oppone infine all’argomento della Commissione secondo cui non è
plausibile che un’emittente televisiva non stabilita nel Regno Unito intenda acquistare
diritti di trasmissione televisiva in diretta e nel Regno Unito degli incontri della fase
finale della Coppa del Mondo della FIFA.
–
Giudizio del Tribunale
130 Secondo una costante giurisprudenza, perché incida direttamente su un singolo, ai
sensi dell’art. 230, quarto comma, CE, il provvedimento comunitario contestato deve
produrre direttamente effetti sulla situazione giuridica dell’interessato e la sua
applicazione deve avere carattere meramente automatico e derivare dalla sola normativa
comunitaria, senza intervento di altre norme intermedie (v. citata sentenza
Dreyfus/Commissione, punto 43 e giurisprudenza menzionata).
131 Nel caso di specie, al fine di determinare secondo il metro di tale giurisprudenza se
la ricorrente sia direttamente interessata dalla lettera impugnata, vanno esaminate le due
ipotesi prese in considerazione dalla ricorrente, cioè quella in cui i diritti di trasmissione
televisiva delle partite della fase finale della Coppa del Mondo della FIFA, di cui è
detentrice per gli anni 2002 e 2006, sono venduti, ai fini della loro ritrasmissione nel
Regno Unito, ad un’emittente televisiva soggetta alla giurisdizione del Regno Unito e
quella in cui tali diritti sono venduti ad un’emittente stabilita in un altro Stato membro.
132 Per quanto concerne la prima ipotesi, la ricorrente sostiene che le misure notificate
«minano le stesse fondamenta del mercato dei [suoi] prodotti presso i suoi clienti basati
nel Regno Unito». In effetti, al fine di conformarsi alla legislazione in vigore nel Regno
Unito, la ricorrente non potrebbe più concedere una licenza in via esclusiva ad una catena
televisiva stabilita nel Regno Unito.
133 Tuttavia, pur muovendo dal presupposto che l’emittente televisiva di cui trattasi sia
stabilita nel Regno Unito, occorre constatare che ad essere direttamente applicabili sono
le misure prese dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, propriamente dette,
dato che l’approvazione da parte della Commissione di tali misure ai fini del loro
riconoscimento reciproco è senza incidenza sulla loro applicabilità in tale Stato membro.
134 Peraltro, occorre ricordare che, a norma dell’art. 3 bis, n. 2, della direttiva, gli Stati
membri notificano alla Commissione qualsiasi misura presa o contemplata. Orbene, nel
caso di specie, le misure prese dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sono
entrate in vigore prima della loro notifica alla Commissione il 5 maggio 2000, come
quest’ultimo ha confermato all’udienza, ed erano quindi idonee ad essere già produttive
di effetti giuridici in tale Stato al momento della loro notifica.
135 Data tale situazione, la Commissione non ha potuto, attraverso la lettera impugnata,
accordare al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord un’autorizzazione
preliminare all’adozione di tali misure. La Commissione non ha neppure autorizzato il
mantenimento retroattivo di tali misure ai fini della loro applicazione nel Regno Unito
(v., in tal caso, sentenza della Corte 23 novembre 1971, causa 62/70, Bock/Commissione,
Racc. pag. 897), ma ha permesso a tale Stato di fruire del riconoscimento delle suddette
misure da parte degli altri Stati membri.
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136 A tale proposito, l’argomento della ricorrente tratto dalla circostanza che il Regno
Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ha notificato, una prima volta, misure alla
Commissione con lettera 25 settembre 1998 è irrilevante, poiché quest’ultima ha ritenuto,
con lettera 23 dicembre 1998, che le stesse ponevano problemi di compatibilità col diritto
comunitario e non ha proceduto alla loro pubblicazione nella Gazzetta ufficiale. Oltre al
fatto che talune delle misure inizialmente notificate erano entrate in vigore alla data della
loro notifica, fermo resta che l’insieme delle misure dichiarate compatibili col diritto
comunitario attraverso la lettera impugnata erano comunque in vigore nel Regno Unito al
momento di tale notifica.
137 Di conseguenza, dal momento che la ricorrente cede i suoi diritti di trasmissione
televisiva delle partite della fase finale della Coppa del Mondo della FIFA ad
un’emittente televisiva stabilita nel Regno Unito, ai fini della ritrasmissione di codeste
partite in tale Stato, le misure prese dalle autorità del Regno Unito godono di un’esistenza
giuridica autonoma rispetto alla lettera impugnata (v., in tal senso, citata sentenza
OSTV/Commissione, punto 25). Nei limiti in cui le misure notificate sono applicabili alle
emittenti televisive stabilite nel Regno Unito a norma della legge nazionale vigente in tale
Stato membro e non a norma della decisione della Commissione, la ricorrente non è
interessata direttamente, ai sensi dell’art. 230, quarto comma, CE, dalla lettera impugnata
e non è quindi legittimata a chiederne l’annullamento.
138 Per quanto concerne la seconda ipotesi, in cui la ricorrente cede i suoi diritti di
ritrasmissione delle partite della fase finale della Coppa del Mondo della FIFA ad
un’emittente televisiva stabilita in uno Stato membro diverso dal Regno Unito ai fini
della ritrasmissione di tali partite in quest’ultimo Stato, va constatato che quest’altro Stato
membro sarà tenuto, ai sensi dell’art. 3 bis, n. 3, della direttiva, a garantire che la suddetta
emittente non si sottragga alle misure approvate dalla Commissione e pubblicate nella
Gazzetta ufficiale.
139 Occorre ricordare in proposito che l’obbligo incombente agli altri Stati membri è far
sí, con mezzi adeguati, nel quadro della loro legislazione, che le emittenti televisive
soggette alla loro giurisdizione non esercitino i diritti esclusivi acquistati dopo la data di
pubblicazione della direttiva in modo da privare una parte importante del pubblico di un
altro Stato membro della possibilità di seguire, secondo quanto stabilito da tale Stato
membro, a norma dell’art. 3 bis, n. 1, gli eventi che tale Stato membro ha designato
conformemente all’art. 3 bis, nn. 1 e 2.
140 Gli Stati membri destinatari della direttiva sono quindi tenuti ad adottare,
nell’ambito del rispettivo ordinamento giuridico nazionale, tutte le misure necessarie a
garantire la piena efficacia della suddetta direttiva, conformemente all’obiettivo da essa
perseguito e, in tal contesto, a trasporre segnatamente l’art. 3 bis, n. 3.
141 Nell’ambito di tale controllo esercitato dalle loro autorità sul fondamento del
meccanismo di riconoscimento reciproco, gli altri Stati membri devono far si che le
misure notificate dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord non vengano eluse
dalle emittenti televisive che si prefiggono di ritrasmettere un evento designato da tale
Stato membro e sono soggette alla loro giurisdizione.
142 Tuttavia, come precedentemente constatato (v. punto 94 supra), soltanto la
decisione della Commissione che constata la compatibilità delle misure notificate dal
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord col diritto comunitario e prevede la
pubblicazione successiva di tali misure nella Gazzetta ufficiale permette di rendere
effettivo il meccanismo di riconoscimento reciproco facendo sorgere in capo agli altri
Stati membri l’obbligo di conformarsi agli obblighi loro incombenti al riguardo a norma
dell’art. 3 bis, n. 3, della direttiva.
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143 Ne consegue che, in tale ipotesi, la lettera impugnata convalida, ex nunc, le misure
prese dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ai soli fini del loro
riconoscimento reciproco da parte degli altri Stati membri.
144 Per quanto concerne, in tale contesto, il riferimento ad opera della Commissione
alla citata sentenza DSTV/Commissione, va rilevato che l’art. 2 bis, n. 2, secondo
comma, della direttiva, di cui trattasi nella causa all’origine di tale sentenza, prevede un
controllo, a posteriori, di compatibilità col diritto comunitario delle misure prese da uno
Stato membro al fine di vietare la diffusione sul suo territorio di emissioni provenienti da
altri Stati membri e non un controllo di compatibilità col diritto comunitario che permetta
il riconoscimento reciproco di misure nazionali.
145 Inoltre, diversamente dalla disposizione specifica in parola nella causa all’origine
della citata sentenza Artegodan e a./Commissione, invocata dal Parlamento, l’art. 3 bis,
n. 2, della direttiva conferisce alla Commissione una competenza decisionale che
garantisce l’effetto utile del meccanismo di riconoscimento reciproco e non mira
unicamente all’istituzione di un procedimento di natura consultiva.
146 Peraltro, poiché il riconoscimento reciproco delle misure adottate dal Regno Unito
di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è subordinato alla loro approvazione da parte della
Commissione e alla loro successiva pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, occorre
constatare che la lettera impugnata non lascia alle autorità nazionali, a partire da tale
pubblicazione, alcun margine di valutazione nell’ambito dell’adempimento dei loro
obblighi. Infatti, benché le modalità di controllo a cui le autorità nazionali sono tenute a
procedere nell’ambito del meccanismo di riconoscimento reciproco, siano stabilite da
ciascuno Stato membro, nel contesto della sua legislazione che traspone l’art. 3 bis, n. 3,
della direttiva, ciò non toglie che tali autorità devono garantire l’osservanza, da parte
delle emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione, delle condizioni di
ritrasmissione degli eventi di cui trattasi quali definiti dallo Stato membro nelle sue
misure approvate e pubblicate nella Gazzetta ufficiale dalla Commissione.
147 Infine, per quanto concerne l’argomento della Commissione secondo cui soltanto
emittenti televisive stabilite nel Regno Unito avrebbero un interesse ad acquistare alla
ricorrente i diritti di trasmissione televisiva delle fase finale della Coppa del Mondo della
FIFA al fine di ritrasmetterla nel Regno Unito, occorre rilevare che una supposizione
siffatta priva di qualsiasi effetto utile l’art. 3 bis, n. 3, della direttiva. Va infatti ricordato
che, secondo i considerando 18 e 19 della direttiva 97/36, l’obiettivo di tale articolo è
quello di garantire al pubblico il libero accesso alla diffusione di eventi considerati dagli
Stati membri di particolare rilevanza per la società e, sulla base del principio del
riconoscimento reciproco, di esigere dagli Stati membri di assicurarsi che le emittenti
televisive soggette alla loro giurisdizione rispettino gli elenchi di eventi redatti da un altro
Stato membro al fine di non privare una parte importante del pubblico di tale Stato della
possibilità di seguire gli eventi designati da quest’ultimo.
148 Il contesto fattuale della causa all’origine della citata sentenza della House of Lords,
R v. ITC, ex parte TV Danmark 1 Ltd [2001] UKHL 42, benché relativo agli eventi
designati dal Regno di Danimarca, conferma peraltro l’esistenza di situazioni di messa in
opera del meccanismo di riconoscimento reciproco istituito dall’art. 3 bis, n. 3, della
direttiva. Inoltre, la Commissione, nella sua terza relazione del 2001 al Consiglio, al
Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale concernente l’applicazione della
direttiva (COM/2001/009 def.) indica che emittenti televisive soggette alla giurisdizione
del Regno Unito hanno, a tre riprese, trasmesso eventi inseriti nell’elenco del Regno di
Danimarca in modo tale che una parte importante della popolazione danese è stata privata
della possibilità di seguire i suddetti eventi.
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149 Alla luce di quanto precede, nonostante le asserzioni relative alla specificità del
mercato della trasmissione televisiva nel Regno Unito (v. punto 121 supra), non può
considerarsi che i diritti di trasmissione televisiva in tale Stato membro della fase finale
della Coppa del Mondo della FIFA saranno necessariamente acquistati da emittenti
televisive stabilite in quello stesso Stato.
150 Ne consegue che la ricorrente è direttamente interessata dalla lettera impugnata in
quanto permette la messa in opera del meccanismo di riconoscimento reciproco, da parte
degli altri Stati membri, delle misure notificate dal Regno Unito di Gran Bretagna e
Irlanda del Nord e che il motivo di irricevibilità sollevato dalla Commissione va respinto.
Sul punto se la ricorrente sia individualmente interessata
–
Argomenti delle parti
151 La Commissione contesta l’argomento della ricorrente secondo cui quest’ultima è
direttamente interessata, facendo parte di una «cerchia ristretta» di imprese che, già prima
dell’entrata in vigore dell’art. 3 bis della direttiva, erano detentrici in esclusiva di diritti di
trasmissione di eventi di particolare rilevanza per la società designati dal Regno Unito di
Gran Bretagna e Irlanda del Nord.
152 Secondo la Commissione, tale criterio della detenzione di diritti esclusivi non è
pertinente poiché allora si dovrebbero prendere in considerazione tutte le altre
organizzazioni ed imprese detentrici di diritti di trasmissione televisiva degli eventi
figuranti nell’elenco del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. Orbene, il
suddetto elenco avrebbe forse più radicalmente pregiudicato codesti altri detentori di
diritti televisivi di quanto non lo abbia fatto con la ricorrente.
153 Inoltre, contrariamente ai detentori di diritti televisivi degli eventi di particolare
rilevanza per la società enumerati nell’elenco del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda
del Nord, le imprese o organizzazioni che possono aver concluso contratti di licenza con
uno di tali detentori sono potenzialmente numerose e la Commissione sarebbe
nell’impossibilità di individuarle. Pertanto, non si potrebbe ammettere che la ricorrente
faccia parte di una cerchia ristretta di imprese.
154 Per di più, né la ricorrente né i detentori di diritti televisivi relativi ad eventi di
particolare rilevanza per la società designati dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda
del Nord potrebbero essere individualmente interessati da una misura della Commissione
per il solo motivo che quest’ultima riguarda la loro attività economica (v., in tal senso,
ordinanza del Tribunale 15 dicembre 2000, causa T-113/99, Galileo e Galileo
International/Consiglio,Racc. pag. II-4141). Le misure notificate e, indirettamente,
l’accettazione di queste ultime da parte della Commissione avrebbero riguardato le
attività economiche della ricorrente. Non vi sarebbe però alcuna incidenza sulla sua
situazione giuridica.
155 La ricorrente farebbe valere anche che è individualmente interessata un’impresa la
quale ha scritto a più riprese alla Commissione al fine di comunicarle la sua
preoccupazione quanto all’attuazione, da parte del Regno Unito di Gran Bretagna e
Irlanda del Nord, dell’art. 3 bis, n. 1, della direttiva. Ora, secondo la Commissione,
soltanto la lettera 14 luglio 2000 della ricorrente può, in tale contesto, essere presa in
considerazione, poiché le altre lettere sono state scritte posteriormente all’adozione della
sua posizione circa la compatibilità col diritto comunitario delle misure notificate. In ogni
caso, nessuna di tali lettere può essere definita una denuncia, dato che il loro oggetto non
sarebbe quello di chiedere alla Commissione l’adozione di misure nei confronti dello
Stato membro interessato, ma soltanto di influenzarlo nel suo esame della compatibilità
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col diritto comunitario delle misure notificate. L’invio di tali lettere alla Commissione
non sarebbe quindi idoneo a contraddistinguere un’impresa.
156 La Repubblica francese si riferisce, segnatamente, alle sentenze della Corte
15 luglio 1963, causa 25/62, Plaumann/Commissione (Racc. pag. 197), e 25 luglio 2002,
causa C-50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, (Racc. pag. I-6677), e
ricorda che la portata generale e, di conseguenza, la natura normativa di un atto non sono
poste in discussione dalla possibilità di determinare con maggiore o minore precisione il
numero o persino l’identità dei soggetti di diritto cui esso si applica in un dato momento,
fintantoché è pacifico che tale applicazione si compie in forza di una situazione oggettiva
di diritto o di fatto, definita dall’atto in relazione con la finalità di quest’ultimo (ordinanza
del Tribunale 29 giugno 1995, causa T-183/94, Cantina cooperativa fra produttori
vitivinicoli di Torre di Mosto e a./Commissione,Racc. pag. II-1941, punto 48). Orbene,
benché la ricorrente sia detentrice dei diritti di diffusione della fase finale della Coppa del
Mondo della FIFA per gli anni 2002 e 2006, tale circostanza non sarebbe sufficiente per
contraddistinguerla, ai sensi dell’art. 230, quarto comma, CE, in rapporto a qualsiasi altro
operatore economico idoneo ad acquistare o a detenere diritti di diffusione televisiva
degli eventi figuranti in tale elenco.
157 La ricorrente ribatte in sostanza che essa è individualmente interessata, considerato,
da un lato, che essa appartiene ad una «cerchia ristretta» di imprese che hanno acquistato
diritti di trasmissione televisiva di un evento figurante nell’elenco del Regno Unito di
Gran Bretagna e Irlanda del Nord prima della proposta di adozione dell’art. 3 bis della
direttiva e prima dell’entrata in vigore delle misure notificate dal Regno Unito di Gran
Bretagna e Irlanda del Nord alla Commissione. In seno a tale cerchia essa sarebbe
individualmente interessata in maniera specifica e distinta dagli altri titolari di diritti di
trasmissione televisiva. D’altro lato, essa sarebbe individualmente interessata dal fatto
della sua partecipazione al procedimento di verifica, da parte della Commissione, della
compatibilità col diritto comunitario delle misure notificate. In tale contesto essa avrebbe
segnatamente fatto valere la violazione da parte del Regno Unito di Gran Bretagna e
Irlanda del Nord dell’obbligo incombentegli di redigere il suo elenco di eventi di
particolare rilevanza per la società secondo un procedimento chiaro e trasparente,
conformemente al disposto dell’art. 3 bis, n. 1, della direttiva.
–
Giudizio del Tribunale
158 Trattandosi, in primo luogo, delle qualità che le sarebbero peculiari, la ricorrente fa
valere che essa ha acquistato diritti di trasmissione televisiva di un evento figurante
nell’elenco redatto dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord prima
dell’entrata in vigore di quest’ultima e addirittura prima della proposta di adozione
dell’art. 3 bis della direttiva.
159 Secondo una giurisprudenza costante, i soggetti che non siano destinatari di una
decisione possono sostenere che questa li riguarda individualmente soltanto qualora la
decisione li tocchi a causa di determinate qualità personali o di particolari circostanze atte
a distinguerli dalla generalità e, per questo motivo, li identifichi alla stessa stregua dei
destinatari (sentenze della Corte Plaumann/Commissione, cit., Racc. pag. 197, in
particolare pag. 223, e 18 maggio 1994, causa C-309/89, Cordoníu/Consiglio, Racc.
pag. I-1853, punto 20; sentenza del Tribunale 27 aprile 1995, causa T-435/93, ASPEC
e a./Commissione, Racc. pag. II-1281, punto 62).
160 Nel caso di specie va dunque rilevato che la ricorrente detiene in via esclusiva, per
gli anni 2002 e 2006, i diritti di trasmissione televisiva della fase finale della Coppa del
Mondo della FIFA, che è uno degli eventi enumerati nell’elenco degli eventi di
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particolare rilevanza per la società adottato dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda
del Nord ed approvato dalla Commissione nella lettera impugnata.
161 Le emittenti televisive soggette alla giurisdizione degli Stati membri diversi dal
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord devono quindi necessariamente
negoziare con la ricorrente, nella sua qualità di mediatore dei diritti di trasmissione di tale
evento, per ottenere le licenze di trasmissione televisiva del medesimo.
162 È vero che le misure adottate dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord
a norma dell’art. 3 bis, n. 1, della direttiva e approvate dalla lettera impugnata,
conformemente al n. 2 di tale articolo, impongono limiti alle emittenti televisive circa la
trasmissione in un modo che escluda eventi di particolare rilevanza figuranti nell’elenco,
ad eccezione di quelli che hanno già acquistato diritti prima dell’entrata in vigore delle
misure considerate. Tali limiti sono tuttavia connessi alle condizioni in cui tali emittenti
televisive, considerate in maniera generale ed astratta, acquistano tali diritti esclusivi di
trasmissione dai loro detentori.
163 In effetti, a norma degli artt. 98 e 101 della sezione IV della legge sulle trasmissioni
radiotelevisive del 1996, modificata dal regolamento del 2000 sulle trasmissioni
televisive:
«98 – 1) Ai fini della presente sezione, i servizi di programmi televisivi e i servizi di
diffusione via satellite che rientrano nel SEE sono suddivisi in due categorie nel modo
seguente:
a)
i servizi dei programmi televisivi e i servizi di diffusione via satellite che rientrano
nel SEE i quali, sino a nuovo ordine, soddisfano le condizioni richieste e,
b)
tutti gli altri servizi di programmi televisivi e servizi di diffusione via satellite che
rientrano nel SEE.
2)
Nel quadro del presente articolo, le «condizioni richieste» che devono essere
soddisfatte da un servizio sono le seguenti:
a)
la ricezione del servizio non deve dar luogo ad alcuna remunerazione, e
b)
il servizio deve essere ricevuto da almeno il 95% della popolazione del Regno
Unito.
«101 – 1) Qualunque fornitore di programmi televisivi che garantisca un servizio che
rientri in una delle due categorie definite al paragrafo 1 dell’art. 98 (il “primo servizio”),
e destinato ad essere ricevuto sulla totalità o su una parte del territorio del Regno Unito
può trasmettere in diretta, nel quadro di tale servizio, la totalità o una parte di un evento
inserito nell’elenco, senza aver ottenuto il previo consenso della Commissione, a meno
che:
a)
un’altra persona che garantisca un servizio che rientri nell’altra categoria definita
da tale paragrafo (il “secondo servizio”) non abbia acquistato il diritto di inserire nel
secondo servizio la trasmissione in diretta dell’intero evento o di parte dell’evento, e
b)
la regione nella quale è diffuso il secondo servizio copra o comprenda la (quasi)
totalità della regione nella quale il primo servizio viene fornito.
[...]
101 – 4) L’art. 101, paragrafo 1, non è applicabile qualora il fornitore di programmi
televisivi che garantisca il primo servizio eserciti diritti acquisiti prima dell’entrata in
vigore del presente articolo».
164 In tale contesto, trattandosi del consenso che dev’essere ottenuto dall’ITC
menzionato all’art. 101 della legge sulle trasmissioni radiotelevisive del 1996, modificata,
ripreso supra, risulta dall’insieme delle misure approvate dalla Commissione, e più
particolarmente dal codice dell’ITC relativo agli eventi sportivi e ad altri eventi inseriti
nell’elenco, che i fattori condizionanti il consenso dell’ITC sono, in sostanza, che la
vendita dei diritti di trasmissione televisiva sia stata oggetto di un annuncio pubblico e
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che le emittenti televisive abbiano disposto della possibilità effettiva di acquistare tali
diritti a condizioni ragionevoli ed eque. A tale riguardo, l’ITC può segnatamente
verificare che l’offerta di vendita sia stata comunicata apertamente e simultaneamente
alle due categorie di emittenti definite all’art. 98 della legge sulle trasmissioni
radiotelevisive del 1996, che il prezzo richiesto sia equo e ragionevole e che non
comporti alcuna discriminazione tra le due categorie di emittenti nonché che si offra alle
stesse un termine ragionevole che dia loro una possibilità effettiva di acquistare tali
diritti.
165 Così, benché la ricorrente, in quanto mediatore di diritti di trasmissione televisiva
della fase finale della Coppa del Mondo della FIFA per gli anni 2002 e 2006, non venga
espressamente presa in considerazione da tali disposizioni, ciò non toglie che queste
ultime ostacolano la sua facoltà di disporre liberamente dei suoi diritti ponendo
condizioni alla loro cessione in via esclusiva ad un’emittente televisiva che è stabilita in
uno Stato membro diverso dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e
desidera trasmettere il suddetto evento in quest’ultimo Stato.
166 Inoltre, benché la validità giuridica dei contratti che la ricorrente ha concluso con la
FIFA non sia toccata dalla lettera impugnata dato che quest’ultima non ha potuto
impedire per nulla l’esecuzione di tali contratti nel senso indicato dalla giurisprudenza
elaborata su tale punto nelle sentenze della Corte 17 gennaio 1985, causa 11/82, PiraikiPatraiki e a./Commissione (Racc. pag. 207), e 26 giugno 1990, causa C-152/88,
Sofrimport/Commissione (Racc. pag. I-2477), resta il fatto che la ricorrente ha acquistato
in esclusiva i diritti di cui trattasi prima dell’entrata in vigore dell’art. 3 bis della direttiva
e, a fortori, prima dell’adozione della lettera impugnata.
167 Dati tali elementi, occorre ritenere che la lettera impugnata concerne la ricorrente in
ragione di una qualità che le è peculiare, cioè nella sua qualità di detentrice in esclusiva
dei diritti di trasmissione di uno degli eventi designati dal Regno Unito di Gran Bretagna
e Irlanda del Nord.
168 Ne consegue che la ricorrente, nella sua qualità di detentore dei diritti di
trasmissione televisiva di un evento figurante nell’elenco delle misure notificate dal
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ed avendo acquistato tali diritti prima
dell’adozione delle misure applicabili nel Regno Unito e, a fortiori, prima della loro
approvazione da parte della Commissione, va considerata, ai fini dell’esame della
ricevibilità del presente ricorso, come individualmente interessata dalla lettera impugnata.
169 Va quindi respinta l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione.
2. Sulla ricevibilità del secondo capo delle conclusioni della ricorrente
170 Nell’ambito delle sue conclusioni, la ricorrente chiede al Tribunale di dichiarare che
l’art. 3 bis della direttiva è inapplicabile e non può servire di base giuridica all’adozione
della lettera impugnata.
171 È sufficiente constatare al riguardo che il contenzioso comunitario non conosce
mezzi di ricorso che autorizzino il giudice a prendere posizione attraverso una
dichiarazione generale o di principio (v., in tal senso, sentenza del Tribunale
14 febbraio 2001, causa T-62/99, Sodima/Commissione,Racc. pag. II-655, punto 28, e
ordinanza del Tribunale 7 giugno 2004, causa T-338/02, Segi e a./Consiglio,Racc.
pag. II-0000, punto 48; v. anche, per analogia, sentenza del Tribunale 28 ottobre 2004,
causa T-76/03, Meister/UAMI,Racc. pag. II-0000, punto 38).
172 Tale capo delle conclusioni è quindi irricevibile.
D – Sul merito
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173 A sostegno del suo ricorso la ricorrente invoca quattro motivi fondati, in primo
luogo, sulla violazione di principi generali del diritto comunitario, in secondo luogo, sulla
violazione dell’art. 3 bis, n. 2, della direttiva, in terzo luogo, sull’inapplicabilità
dell’art. 3 bis, n. 3, della suddetta direttiva e, in quarto luogo, sulla violazione delle forme
sostanziali.
174 Occorre esaminare anzitutto il quarto motivo, fondato sulla violazione delle forme
sostanziali.
175 Nell’ambito di tale motivo la ricorrente trae, in particolare, argomento
dall’incompetenza dell’autore della lettera impugnata, cioè del direttore generale della
DG «Educazione e cultura». Essa sostiene in proposito che la lettera impugnata non è
stata adottata in conformità delle regole della Commissione in materia di procedura
collegiale, di delegazione e di esecuzione delle decisioni.
176 Per disattendere tale argomento la Commissione si è limitata, nelle sue memorie ed
in risposta ad un quesito del Tribunale, a far valere che la lettera impugnata non è una
decisione ai sensi dell’art. 249 CE e che essa non era quindi tenuta a conformarsi alle
pertinenti regole di procedura.
177 Così la Commissione ha ammesso, in risposta ad un quesito scritto del Tribunale e
all’udienza, che il collegio dei membri della Commissione non era stato consultato e che
il direttore generale firmatario della lettera impugnata non aveva ricevuto alcuna
abilitazione specifica di quest’ultimo.
178 Alla luce di quanto precede, la lettera impugnata, che, come accertato nell’ambito
dell’esame della ricevibilità, costituisce una decisione ai sensi dell’art. 249 CE, è inficiata
da incompetenza e va per questo annullata senza che occorra esaminare l’altro argomento
a sostegno di tale motivo e gli altri tre motivi a sostegno del ricorso.
179 In tale contesto, il Tribunale ritiene che non vada accolta la domanda formulata
dalla ricorrente nella lettera 22 agosto 2005 (v. punto 44 supra), in quanto tale domanda è
priva di interesse per la soluzione della controversia [v., in tal senso, sentenza del
Tribunale
25 giugno 2002,
causa
T-311/00,
British
American
Tobacco
(Investments)/Commissione,Racc. pag. II-2781, punto 50].
Per questi motivi,
IL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata)
dichiara e statuisce:
1)
La decisione della Commissione contenuta nella sua lettera al Regno Unito di Gran
Bretagna e Irlanda del Nord del 29 luglio 2000 è annullata.
2) Il ricorso è respinto per il resto.
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27. Procedimento C-89/05,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell’art. 234 CE, dalla House of Lords (Regno Unito), con ordinanza 3 novembre 2004,
pervenuta in cancelleria il 18 febbraio 2005, nella causa tra
United Utilities plc
e
Commissioners of Customs & Excise,
LA CORTE (Seconda Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 13, parte
B, lett. f), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di
armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di
affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme
(GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»).
2
Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia fra la società United
Utilities plc (in prosieguo: la «United Utilities») e i Commissioners of Customs & Excise
(in prosieguo: l’«Ufficio IVA»), competente nel Regno Unito in materia di riscossione
dell’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA»), in merito all’assoggettamento
all’IVA delle prestazioni fornite dalla società Vertex Data Science Ltd (in prosieguo: la
«Vertex») alla società Littlewoods Promotions Ltd (in prosieguo: la «Littlewoods»), che
gestisce un servizio di scommesse via telefono.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3
L’art. 2 della sesta direttiva, che ne costituisce il capo II, intitolato «Campo di
applicazione», dispone quanto segue:
«Sono soggette all’imposta sul valore aggiunto:
1.
le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno
del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;
(...)».
4
Ai sensi dell’art. 13, parte B, lett. f), della sesta direttiva, gli Stati membri
esonerano dall’IVA «le scommesse, le lotterie e altri giochi d’azzardo con poste di
denaro, salvo condizioni e limiti stabiliti da ciascuno Stato membro».
La normativa nazionale
5
Il gruppo 4 dell’allegato 9 alla legge 1994, in materia di IVA (Value Added Tax
Act 1994), che ha recepito in diritto interno l’art. 13, parte B, lett. f), della sesta direttiva,
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esonera dall’IVA la messa a disposizione di impianti e di attrezzature per l’effettuazione
di scommesse o l’esercizio di giochi d’azzardo di ogni genere.
Causa principale e questione pregiudiziale
6
La United Utilities è la rappresentante di un gruppo di società considerate come
unico soggetto passivo ai sensi dell’art. 4, n. 4, secondo comma, della sesta direttiva. Tale
gruppo di società ricomprende anche la Vertex.
7
La Littlewoods gestisce un servizio di scommesse telefoniche noto sotto la
denominazione «Bet Direct». I clienti possono scommettere sull’esito di eventi sportivi o
di altri eventi aleatori, quali fenomeni meteorologici. L’accettazione delle scommesse
avviene esclusivamente via telefono. Nel 1999 la Littlewoods ha deciso di dare in
subappalto parte della sua attività, concludendo a tale scopo un accordo di fornitura di
servizi di «call centre» con la Vertex. In base a tale accordo, la Vertex, che è altresì
autorizzata ad agire come agente della Littlewoods, s’impegna a fornire il personale, i
locali e le attrezzature, sia telefoniche sia informatiche, necessarie per la raccolta delle
scommesse di cui trattasi.
8
La Littlewoods seleziona gli eventi sportivi o di altro genere che possono essere
oggetto di scommesse, fissa le quotazioni, valuta le scommesse e gestisce i ricavi e le
spese a queste relativi.
9
La Vertex, dal canto suo, si limita a ricevere le chiamate telefoniche e a registrare
le scommesse in base alle condizioni indicate dalla Littlewoods, non disponendo in
merito di alcun potere discrezionale. Il personale della Vertex, peraltro, non rivela in
nessuna fase agli scommettitori che stanno interloquendo con la Vertex e non con la
Littlewoods. Inoltre, il nome della Vertex non compare su alcun documento destinato agli
scommettitori.
10 La remunerazione ricevuta dalla Vertex consiste in una parte fissa e in una
variabile. Quest’ultima è calcolata in base al numero di minuti di durata delle chiamate
telefoniche ricevute dalla Vertex. Sono previste diverse penalità a carico della Vertex nel
caso in cui questa commetta degli errori nello svolgimento dei suoi compiti. Ai fini del
compenso spettante alla Vertex non rilevano né il numero o l’importo delle scommesse
registrate, né la quotazione di tali scommesse. La Vertex non risulta esposta ad alcun
rischio finanziario in relazione alle scommesse proposte dalla Littlewoods.
11
La United Utilities sostiene che le prestazioni di servizi effettuate da parte della
Vertex rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 13, parte B, lett. f), della sesta
direttiva e, pertanto, possono beneficiare dell’esenzione dall’IVA prevista da tale
disposizione.
12
A sostegno della sua posizione, la United Utilities fa valere, innanzitutto, che
l’art. 13, parte B, lett. f), della sesta direttiva ha l’obiettivo di esentare la realizzazione del
contesto in cui si svolge un gioco d’azzardo. Godrebbero, pertanto, dell’esenzione le
attività funzionali all’allestimento del contesto, o magari della struttura, in cui o mediante
cui i giochi d’azzardo possono svolgersi.
13
Inoltre, dalle sentenze 5 giugno 1997, causa C-2/95, SDC (Racc. pag. I-3017), e 13
dicembre 2001, causa C-235/00, CSC Financial Services (Racc. pag. I-10237),
risulterebbe che l’esenzione in questione nella causa principale sarebbe da applicare alle
prestazioni di un agente purché quest’ultimo sia strumentale all’esercizio del gioco
d’azzardo stesso. Da ogni altra interpretazione discenderebbe che detta esenzione si
applicherebbe unicamente a determinati elementi fra quelli che compongono il contesto
in cui ha luogo l’esercizio dei giochi d’azzardo.
14
Oltre a ciò, la United Utilities afferma che dalla giurisprudenza della Corte in tema
di esenzione dall’IVA per i servizi a carattere finanziario (v. sentenze SDC, cit.; 25
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febbraio 1999, causa C-349/96, CPP, Racc. pag. I-973, e CSC Financial Services, cit.)
risulta che, qualora un agente effettui un’operazione per conto del preponente, le
prestazioni di tale agente a favore del preponente, ai fini dell’esenzione dall’IVA, devono
essere esaminate in relazione al loro ruolo specifico nell’operazione sottostante fra il
preponente e il cliente finale. Solo qualora l’agente realizzasse un «atto essenziale che
comporti una modificazione della situazione giuridica e finanziaria fra le parti» in
un’operazione ricompresa nell’ambito di applicazione di una delle categorie esenti, la
prestazione di tale agente sarebbe a sua volta esente. Risulterebbe in merito priva di
rilevanza la circostanza che l’agente in questione sia agente del preponente o del cliente.
15
Tale giurisprudenza si applicherebbe, mutatis mutandis, all’esenzione dall’IVA per
le scommesse ed i giochi d’azzardo. Così, in materia di scommesse e gioco d’azzardo, la
conclusione del contratto di scommessa rappresenterebbe la funzione specifica ed
essenziale della scommessa stessa, in quanto tale conclusione modificherebbe la
situazione giuridica e finanziaria tra le parti. Conseguentemente, dato che l’accettazione
verbale delle scommesse da parte della Vertex sarebbe sufficiente a creare il vincolo
giuridico fra gli scommettitori e la Littlewoods, la Vertex svolgerebbe la funzione
specifica ed essenziale di organizzatore di scommesse.
16
Da ultimo, la United Utilities asserisce che l’interpretazione da essa sostenuta non è
rimessa in discussione dalla circostanza che la Vertex non dispone di alcun potere
discrezionale in merito all’accettazione o al rifiuto di una scommessa per conto della
Littlewoods, poiché la conclusione del contratto non rappresenterebbe mai un atto di
natura amministrativa.
17
L’Ufficio IVA, dal canto suo, non condivide questa posizione, ritenendo invece che
l’esenzione di cui all’art. 13, parte B, lett. f), della sesta direttiva non è applicabile ai
servizi forniti dalla Vertex, in quanto questi rappresentano unicamente una semplice
prestazione materiale, tecnica o amministrativa a favore dell’organizzatore delle
scommesse.
18 Il VAT and Duties Tribunal (commissione tributaria britannica, competente in
materia di IVA), la High Court of Justice (giudice britannico di secondo grado nei
confronti delle decisioni del Tribunal), così come la Court of Appeal (giudice britannico
di appello per le decisioni della High Court) hanno respinto, uno dopo l’altro,
l’argomentazione della United Utilities.
19
Pertanto, la House of Lords (in qualità di giudice britannico supremo), investita
della controversia, ha deciso di sospendere la decisione e di sottoporre alla Corte la
seguente questione pregiudiziale:
«Se l’esenzione prevista per le scommesse all’art. 13, parte B, lett. f), della sesta direttiva
(…) si applichi qualora un soggetto (in prosieguo: l’“agente”) fornisca servizi per conto
di un altro soggetto (in prosieguo: il “preponente”) accettando le scommesse dei clienti e
comunicando loro l’accettazione delle scommesse in questione da parte del preponente
quando:
a)
l’operato dell’agente rappresenta una fase necessaria nella costituzione del rapporto
giuridico inerente alla scommessa fra il preponente ed il suo cliente, perfezionandosi in
tal modo il negozio della scommessa, ma che
b)
l’agente non prende decisione alcuna in merito alla fissazione delle quotazioni,
essendo queste stabilite dal preponente o, talora, da terzi, in base alle regole dello sport di
volta in volta considerato; e che
c)
l’agente decide se accettare o meno le scommesse per conto del preponente sulla
scorta dei criteri dettati da quest’ultimo, cosicché l’agente non ha alcun margine di
discrezionalità».
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Sulla questione pregiudiziale
20
Sottoponendo tale questione pregiudiziale, il giudice del rinvio domanda, in
sostanza, se l’art. 13, parte B, lett. f), della sesta direttiva debba essere interpretato nel
senso che la fornitura di servizi di «call centre» a favore di un organizzatore di
scommesse telefoniche, che comporta l’accettazione delle scommesse in nome
dell’organizzatore da parte del personale impiegato dal prestatore dei detti servizi,
rappresenta un’operazione di scommessa ai sensi di tale disposizione e può, pertanto,
beneficiare dell’esenzione dall’IVA prevista da tale disposizione.
21
Per rispondere a tale questione occorre innanzitutto ricordare che i termini con i
quali sono state designate le esenzioni di cui all’art. 13 della sesta direttiva devono essere
interpretati restrittivamente, dato che costituiscono deroghe al principio generale secondo
cui l’IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un
soggetto passivo (v., in particolare, sentenze SDC, cit., punto 20, e 3 marzo 2005, causa
C-472/03, Arthur Andersen, Racc. pag. I-1719, punto 24).
22
Inoltre, l’interpretazione dei termini di tale disposizione deve essere conforme agli
obiettivi perseguiti dalle dette esenzioni e rispettare le prescrizioni derivanti dal principio
di neutralità fiscale relativo al sistema comune di IVA (sentenza 6 novembre 2003, causa
C-45/01, Dornier, Racc. pag. I-12911, punto 42).
23 Trattandosi nello specifico di scommesse, lotterie ed altri giochi d’azzardo, occorre
rilevare che l’esenzione di cui godono è motivata da considerazioni di ordine pratico, in
quanto le operazioni di gioco d’azzardo mal si prestano all’applicazione dell’IVA
(sentenza 29 maggio 2001, causa C-86/99, Freemans, Racc. pag. I-4167, punto 30) e non,
come nel caso relativo a determinate prestazioni di servizi d’interesse generale in ambito
sociale, dalla volontà di garantire a tali attività un trattamento più favorevole in materia di
IVA.
24
Alla luce delle considerazioni precedenti occorre, dunque, valutare se l’attività di
cui alla causa principale rappresenti un’operazione di scommesssa ai sensi dell’art. 13,
parte B, lett. f), della sesta direttiva e, in quanto tale, sia esente da IVA.
25
Come emerge dalla decisione di rinvio, la prestazione di servizi effettuata dalla
Vertex consiste nel fornire il personale, i locali e le attrezzature, sia telefoniche, sia
informatiche, necessari per la raccolta delle scommesse, l’oggetto e le quotazioni delle
quali sono tuttavia stabiliti dal beneficiario di tale prestazione, e cioè dalla Littlewoods.
26
È quindi giocoforza constatare che quest’unica attività, a differenza delle
operazioni di scommessa di cui all’art. 13, parte B, lett. f), della sesta direttiva, non è
assolutamente caratterizzata dall’attribuzione di una possibilità di guadagno agli
scommettitori a fronte dell’assunzione del rischio di dover corrispondere le relative
vincite e, pertanto, non può essere qualificata come operazione di scommessa ai sensi
della disposizione in questione.
27
Per questo stesso motivo l’interpretazione suesposta non può essere rimessa in
discussione dalla circostanza che l’accettazione delle scommesse, effettuata nel caso in
esame dal personale della Vertex, rappresenta un elemento, quand’anche considerevole,
nell’esercizio delle scommesse, adducendo che il rapporto giuridico fra la Littlewoods ed
i suoi clienti nasce proprio attraverso l’accettazione in questione.
28
Si aggiunga che la giurisprudenza secondo cui la modifica del rapporto giuridico ed
economico esistente fra un fornitore di servizi ed il suo cliente costituisce una funzione
specifica delle operazioni di giroconto (sentenze SDC, cit., punto 66, e CSC Financial
Services, cit., punto 26) non può applicarsi, mutatis mutandis, alle attività di cui
all’art. 13, parte B, lett. f), della sesta direttiva, in quanto gli scopi sottesi alle esenzioni
previste in materia di operazioni di giroconto ai sensi dell’art. 13, parte B, lett. d), della
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direttiva in questione non coincidono con quelli alla base dell’esenzione di cui all’art. 13,
parte B, lett. f), della sesta direttiva.
29
Alla luce delle considerazioni che precedono, la questione posta va pertanto risolta
dichiarando che l’art. 13, parte B, lett. f), della sesta direttiva dev’essere interpretato nel
senso che la fornitura di servizi di «call centre» a favore di un organizzatore di
scommesse telefoniche, che comporta l’accettazione delle scommesse in nome
dell’organizzatore da parte del personale impiegato dal prestatore dei detti servizi, non
rappresenta un’operazione di scommessa ai sensi di tale disposizione e, pertanto, non può
beneficiare dell’esenzione dall’IVA prevista da tale disposizione.
Per questi motivi,
la Corte (Seconda Sezione)
dichiara:
L’art. 13, parte B, lett. f), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977,
77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative
alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base
imponibile uniforme, dev’essere interpretato nel senso che la fornitura di servizi di «call
centre» a favore di un organizzatore di scommesse telefoniche, che comporta
l’accettazione delle scommesse in nome dell’organizzatore da parte del personale
impiegato dal prestatore dei detti servizi, non rappresenta un’operazione di scommessa ai
sensi di tale disposizione e, pertanto, non può beneficiare dell’esenzione dall’IVA
prevista da tale disposizione
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28. Causa T-477/04,
Aktieselskabet af 21. november 2001, con sede in Brande (Danimarca),
ricorrente,
contro
Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno
(marchi, disegni e modelli) (UAMI),
convenuto,
controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI e
interveniente dinanzi al Tribunale:
TDK Kabushiki Kaisha (TDK Corp.), con sede in Tokyo (Giappone),
avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione della prima commissione di
ricorso dell’UAMI 7 ottobre 2004 (pratica R-364/2003-1), relativa ad un procedimento di
opposizione tra la TDK Kabushiki Kaisha (TDK Corp.) e la Aktieselskabet af 21.
november 2001,
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE
(Prima Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Fatti
1
Il 21 giugno 1999 la ricorrente ha presentato una domanda di registrazione di
marchio comunitario dinanzi all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno
(marchi, disegni e modelli) (UAMI), ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio
20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1).
2
Il marchio di cui è stata chiesta la registrazione è costituito dal segno denominativo
TDK. I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione appartengono alla classe 25 ai
sensi dell’Accordo di Nizza 15 giugno 1957, sulla classificazione internazionale dei
marchi, come riveduto e modificato. Essi corrispondono alla seguente descrizione:
«articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria». Il 24 gennaio 2000 la domanda di
registrazione è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 8/2000.
3
Il 25 aprile 2000 la TDK Kabushiki Kaisha (TDK Corp.) ha proposto
un’opposizione contro la registrazione del marchio richiesto.
4
L’opposizione si fondava su un marchio comunitario nonché su 35 marchi
nazionali anteriori, che erano stati oggetto di registrazione per prodotti rientranti nella
classe 9 (specificamente gli «apparecchi per la registrazione, la trasmissione, la
riproduzione del suono e delle immagini»).
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5
I marchi anteriori in questione erano costituiti sia dal marchio denominativo TDK,
sia dal marchio denominativo e figurativo qui di seguito riprodotto:
6
A sostegno dell’opposizione la ricorrente faceva valere l’art. 8, nn. 1, lett. b), e 5,
del regolamento n. 40/94. L’opposizione era proposta contro tutti i prodotti e servizi
oggetto del marchio richiesto. Per dimostrare la notorietà dei propri marchi anteriori,
l’interveniente produceva una serie di allegati, contrassegnati dalle lettere da A ad R.
7
Con decisione 28 marzo 2003 la divisione di opposizione constatava l’assenza di
rischio di confusione ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94. Essa
tuttavia accoglieva l’opposizione in applicazione dell’art. 8, n. 5, dello stesso
regolamento e respingeva la domanda di registrazione di marchio comunitario.
8
Il 27 maggio 2003 la ricorrente proponeva un ricorso avverso la summenzionata
decisione, a norma degli artt. 57-62 del regolamento n. 40/94.
9
Con decisione 7 ottobre 2004 (pratica R-364/2003-1) (in prosieguo: la «decisione
impugnata») la prima commissione di ricorso dell’UAMI respingeva il ricorso proposto
dalla ricorrente, confermando così la decisione della divisione di opposizione.
Conclusioni delle parti
10
La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:
–
annullare la decisione impugnata;
–
condannare l’UAMI alle spese.
11
L’UAMI e l’interveniente chiedono che il Tribunale voglia:
–
respingere il ricorso;
–
condannare la ricorrente alle spese.
In diritto
Argomenti delle parti
Argomenti della ricorrente
12
A sostegno del suo ricorso la ricorrente deduce un motivo unico, relativo alla
violazione dell’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94.
13
La ricorrente sostiene, in via principale, che l’interveniente non è riuscita a
dimostrare che i marchi anteriori possedessero un carattere distintivo o una notorietà tali
da consentirgli di beneficiare della protezione estesa conferita dall’art. 8, n. 5, del
regolamento n. 40/94.
14 A tale riguardo, la ricorrente sostiene che gli allegati prodotti dall’interveniente per
provare la notorietà dei propri marchi anteriori sono privi di carattere probatorio. Infatti,
lo studio di mercato prodotto dall’interveniente (allegato O) sarebbe stato realizzato
immediatamente dopo i campionati mondiali di atletica di Göteborg del 1995, vale a dire
diversi anni prima della domanda di registrazione del marchio in questione. Da allora
sarebbe possibile che la conoscenza del marchio anteriore si sia ridotta rapidamente
presso il pubblico. La ricorrente aggiunge che lo studio in questione, commissionato
dall’interveniente, non può essere considerato affidabile come uno studio indipendente.
All’udienza la ricorrente ha evidenziato che l’allegato O non indicava il campione delle
persone intervistate, né il numero di persone che avevano assistito ai campionati in
questione e non prendeva in considerazione certi tipi di risposte. Essa ha aggiunto che
l’interveniente aveva tratto dal detto allegato O conclusioni manifestamente erronee – in
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quanto non risultanti da tale documento – secondo le quali il tasso di conoscenza dei
marchi anteriori nelle popolazioni tedesca, svedese e britannica arrivava fino all’85%.
15
La ricorrente evidenzia anche che, secondo la prassi costante dell’UAMI, solo
campagne di marketing molto intense sono tali da conferire al marchio un carattere
distintivo o una notorietà. Orbene, benché gli allegati prodotti dall’interveniente provino
l’uso dei marchi anteriori in certi paesi dell’Unione per una data categoria di prodotti, essi
non soddisferebbero i criteri elaborati dalla Corte per stabilire la notorietà del marchio
presso il pubblico interessato (sentenza 14 settembre 1999, causa C-375/97, General
Motors, Racc. pag. I-5421, punti 26 e 27).
16 Inoltre, occorrerebbe tenere a mente che le spese di marketing dell’interveniente,
quali attestate da quest’ultima, sono state distribuite su una gran parte del territorio
comunitario. Infatti, se certo gli allegati A-R possono provare che i marchi anteriori sono
stati utilizzati in una gran parte del territorio comunitario durante un certo periodo e sono
stati l’oggetto di esposizione mediatica e di attività di sponsorizzazione (sponsorship),
essi non varrebbero però a dimostrare che i marchi anteriori in questione abbiano
acquisito carattere distintivo o notorietà intensi e duraturi.
17
Nel corso dell’udienza, rispondendo ad un quesito del Tribunale, la ricorrente ha
ammesso che gli allegati A-R dovevano essere esaminati nel loro insieme. Essa ha
tuttavia sostenuto che, anche in tal caso, tali allegati non erano idonei a provare la
notorietà dei marchi anteriori ai sensi dell’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94.
18
La ricorrente sostiene inoltre che, anche a supporre provati il carattere distintivo o
la notorietà dei marchi anteriori, le altre condizioni di applicazione dell’art. 8, n. 5, del
regolamento n. 40/94 non sarebbero in ogni caso soddisfatte.
19 A tale proposito, la ricorrente sostiene anzitutto che non è stata fornita la prova del
vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà dei marchi
anteriori ovvero del pregiudizio arrecato a tali marchi, la quale incombe all’interveniente.
20
Infatti, sulla base degli allegati forniti dall’interveniente, sembrerebbe che
numerosi prodotti commercializzati da quest’ultima siano venduti ad un pubblico
specializzato, vale a dire a professionisti del settore medico o dell’industria, settori nei
quali i prodotti della ricorrente non sono oggetto di alcun tipo di marketing o di vendita.
Benché taluni dei prodotti commercializzati dall’interveniente vengano venduti a
consumatori finali del grande pubblico, i prodotti della ricorrente verrebbero
commercializzati in altri tipi di negozi.
21
La circostanza che l’interveniente abbia già apposto su alcuni articoli di
abbigliamento i marchi anteriori in questione non sarebbe idonea a modificare la
valutazione menzionata sopra, poiché tale apposizione ha avuto luogo solo sui pettorali
degli atleti o su magliette di una determinata marca (Adidas, ad esempio). In tali
condizioni, i marchi anteriori non potrebbero essere collegati dal pubblico agli articoli di
abbigliamento, bensì verrebbero soltanto associati a campagne di pubblicità o di
sponsorizzazione.
22
Alla luce di ciò, la ricorrente ritiene che la concessione a suo favore del diritto
esclusivo di utilizzare il marchio TDK solo per i prodotti «articoli di abbigliamento,
scarpe e cappelleria» non sia idonea a conferirle la possibilità di trarre indebitamente
vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà dei marchi anteriori, né le consenta di
trarre beneficio dagli sforzi realizzati dell’interveniente in termini di marketing.
23
Riguardo all’argomento addotto dall’interveniente, secondo cui l’uso da parte della
ricorrente del marchio TDK avrà per essa un impatto negativo e secondo cui i
consumatori stabiliranno una connessione tra l’interveniente e la ricorrente, quest’ultima
risponde che l’interveniente utilizza i marchi in questione solo in relazione a prodotti
molto differenti, in termini di natura e di impiego, da quelli per i quali viene chiesta la
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registrazione del marchio. Allo stesso modo, i circuiti di distribuzione, i luoghi di vendita
e l’uso di tali prodotti differirebbero notevolmente, senza che esista tra loro alcuna
complementarità in termini di concorrenza. Di conseguenza, non esisterebbe alcun rischio
di trasferimento di immagine, di modo che sarebbe impossibile per la ricorrente trarre
indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà che si pretende acquisita
dai marchi anteriori.
24
Per ciò che concerne l’argomento dell’interveniente secondo cui la sua notorietà
potrebbe essere ridotta dalla diluizione dei marchi anteriori o dall’utilizzo del marchio
TDK in relazione a prodotti di cattiva qualità, senza che essa possa opporsi a ciò, la
ricorrente risponde che un tale argomento è privo di fondamento. A suo parere, i
consumatori potranno operare una netta distinzione tra i marchi in questione. Del resto, la
ricorrente sostiene che essa vende solo prodotti di gran lusso e che ricorre a pubblicità di
alto livello che mostrano top models. Più in generale, i prodotti costituenti l’oggetto del
marchio richiesto non veicolerebbero alcuna immagine negativa o dannosa.
25
Infine, la ricorrente procede a commenti riguardanti gli allegati A-R. Infatti, alcuni
degli allegati prodotti dall’interveniente non attesterebbero l’uso del segno TDK come
marchio. Inoltre, l’intensità dell’uso dei marchi anteriori sarebbe minore di quella
sostenuta dall’interveniente. All’udienza la ricorrente ha in particolare sostenuto che gli
allegati non quantificavano i volumi di vendite dell’interveniente relativi ai prodotti in
questione, né le spese sostenute per marketing e sponsorizzazioni. Orbene, tali
informazioni sarebbero fondamentali.
Argomenti dell’UAMI
26
L’UAMI ricorda, anzitutto, che la commissione di ricorso ha dichiarato applicabile
l’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94 e ha concluso, fondandosi sugli elementi di prova
prodotti dall’interveniente, che quest’ultima era riuscita a provare le circostanze di cui al
punto 29 della decisione impugnata (v. infra, punto 53). È su tale fondamento che la
commissione di ricorso avrebbe tratto le conclusioni di cui ai punti 31 e 32 della
decisione impugnata, secondo cui, come ritenuto dalla divisione di opposizione, i marchi
anteriori dell’interveniente potevano essere ammessi al beneficio della protezione estesa
conferita dall’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94 e avevano un carattere altamente
distintivo a motivo della loro notorietà.
27
L’UAMI sostiene che la valutazione della commissione di ricorso relativa alla
notorietà dei marchi anteriori non è viziata da alcun errore. Riguardo agli elementi di
prova prodotti dall’interveniente, la commissione di ricorso avrebbe giustamente
esaminato i 18 allegati nel loro insieme e non in modo separato. Questo esame scrupoloso
di tali allegati avrebbe incluso anche le osservazioni formulate in merito dalle parti.
28
Per ciò che riguarda il territorio nel quale deve risultare provata la notorietà,
l’UAMI ritiene che l’interveniente abbia positivamente dimostrato che i marchi anteriori
erano particolarmente conosciuti in Francia, in Germania, in Svezia e nel Regno Unito,
soddisfacendo così i presupposti per l’esistenza di una notorietà a livello nazionale e
comunitario.
29
Inoltre, l’UAMI aderisce pienamente alla valutazione della commissione di ricorso
secondo cui gli elementi di prova prodotti durante il procedimento di opposizione
dimostrano la nascita e il mantenimento di una notorietà risultante da una rilevante
attività di sponsorizzazione su un lungo periodo. Il detto ufficio esprime altresì il proprio
accordo con la valutazione della commissione di ricorso, secondo cui è stato creato e
mantenuto un rilevante valore commerciale (goodwill) che costituisce la base per
un’espansione ed investimenti continui.
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30
Per l’UAMI sarebbe dunque evidente che i marchi anteriori godono di una grande
notorietà in ragione del fatto che sono conosciuti da una gran parte del pubblico
pertinente nella Comunità, così come proverebbe in particolare lo studio oggetto
dell’allegato O, anche se, all’udienza, l’UAMI ha ammesso che – come adombrato dalla
ricorrente (v. supra, punto 14) – l’allegato O non soddisfaceva i criteri di elaborazione
abitualmente richiesti dal detto ufficio ai fini della presa in considerazione degli studi di
mercato.
31
L’UAMI considera poi non fondati gli argomenti della ricorrente secondo cui
l’interveniente non avrebbe dimostrato che l’uso del marchio richiesto consentirebbe di
trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà dei marchi
anteriori e secondo cui, in ogni caso, viste le grandi differenze tra i prodotti in questione,
l’apposizione da parte della ricorrente del marchio TDK sui capi di abbigliamento da essa
commercializzati non consentirebbe di trarre indebitamente vantaggio dal carattere
distintivo o dagli investimenti realizzati dall’interveniente.
32
L’UAMI ritiene che la commissione di ricorso abbia effettuato una corretta
applicazione delle nozioni di vantaggio indebito e di pregiudizio arrecato al carattere
distintivo del marchio anteriore. La commissione di ricorso avrebbe infatti giustamente
ritenuto che gli elementi di prova forniti dall’interveniente attestassero che la notorietà di
cui questa godeva era percepita da una gran parte del pubblico, con particolare riguardo
alla sua qualità di produttore di determinati prodotti e di operatore con attività di
sponsorizzazione nello sport e nella produzione di concerti di famosi cantanti della
musica pop.
33 Secondo l’UAMI, non è né pertinente, né fondato l’argomento della ricorrente
secondo cui essa ha l’intenzione di usare il marchio solo in relazione a capi di
abbigliamento (v. supra, punto 22), di modo che non potrebbe esservi né vantaggio
indebito né pregiudizio, posto che il pubblico opererà una distinzione tra i marchi e i
prodotti in questione.
34 Infatti, quand’anche l’interveniente non avesse dimostrato alcuna presenza nel
settore dell’abbigliamento, né una conoscenza da parte del pubblico dei marchi anteriori
in relazione a tale settore, la somiglianza tra i prodotti non costituirebbe una condizione
d’applicazione dell’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94. Il pregiudizio arrecato alla
reputazione di un marchio anteriore non costituirebbe una condizione necessaria. Sarebbe
sufficiente che venga arrecato un pregiudizio al carattere distintivo, il che non
implicherebbe necessariamente una degradazione o un annacquamento del marchio.
35 A tale riguardo, secondo l’UAMI, nulla permette di supporre che la ricorrente si
asterrà dal fabbricare capi di abbigliamento sportivi (o scarpe o articoli di cappelleria
usati nell’ambito di attività sportive) e dall’apporvi il segno TDK. Quindi, nei limiti in
cui il marchio richiesto è identico all’uno o all’altro dei marchi anteriori
dell’interveniente, tutto indurrebbe a ritenere che il pubblico pertinente potrà credere che
i prodotti venduti dalla ricorrente siano fabbricati dall’interveniente o su sua licenza,
nell’ambito delle sue molteplici attività di sponsorizzazione.
36
Riguardo, infine, all’ultima condizione di applicazione dell’art. 8, n. 5, del
regolamento n. 40/94, ovvero quella relativa al giusto motivo, l’UAMI sostiene che, in
mancanza di giustificazione della ricorrente atta a dimostrare che quest’ultima intende
utilizzare il marchio richiesto con un giusto motivo, esso condivide la conclusione della
commissione di ricorso secondo cui l’uso del marchio richiesto sarebbe privo di tale
causa giustificativa.
Argomenti dell’interveniente
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37
L’interveniente sostiene in sostanza gli argomenti dell’UAMI.
38
Riguardo alla notorietà dei marchi anteriori, essa pone l’accento su taluni aspetti
degli elementi forniti all’UAMI, ad esempio sul fatto che il suo fatturato generato in
Europa nel 1996 era pari a USD 628 milioni. Essa evidenzia anche che la totalità delle
cassette audio e video vendute in Europa sono altresì fabbricate in tale continente.
39
Riguardo al primo dei criteri desumibili dalla citata sentenza General Motors,
relativo alla quota di mercato, l’interveniente afferma di detenere una delle più grandi
quote di mercato in Europa. Per ciò che riguarda il secondo criterio, che si riferisce
all’intensità, all’estensione geografica e alla durata dell’uso dei marchi anteriori,
l’interveniente evidenzia, in sostanza, che l’intensità dell’uso dei marchi anteriori sta in
relazione con le elevate quote di mercato da essa detenute, che essa ha iniziato le proprie
attività in Europa fin dal 1973, che le ha sviluppate sin da allora e che i suoi prodotti sono
stati promossi con i marchi in questione in tutti i paesi dell’Unione europea. Essa
sottolinea inoltre che i marchi anteriori in questione sono stati esposti al pubblico non
solo in occasione delle vendite dei prodotti contrassegnati dai detti marchi, ma anche, in
modo più ampio, nell’ambito delle sue attività di sponsorizzazione, nel corso di eventi
sportivi e musicali.
40
Riguardo ai presupposti di applicazione dell’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94
diversi da quello relativo alla notorietà, l’interveniente sostiene che l’argomento della
ricorrente secondo cui i marchi anteriori non potrebbero in ogni caso subire pregiudizio,
per il fatto che il marchio di cui si richiede la registrazione è destinato ad essere apposto
su capi di abbigliamento di lusso, è privo di rilevanza e che il pregiudizio esiste
indipendentemente dal carattere di lusso o meno dei beni in questione. All’udienza
l’interveniente ha inoltre affermato che nulla permetteva di escludere che la ricorrente
potesse in futuro vendere magliette sulle quali fosse apposto i
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