Jos Verhulst e Arjen Nijeboer
Democrazia diretta
Fatti ed argomenti
a proposito dell’intro­
duzione dell’iniziativa
e del referendum
Jos Verhulst e Arjen Nijeboer
Democrazia diretta
Fatti ed argomenti a proposito dell’introduzione dell’iniziativa e del referendum
Democracy International
Bruxelles 2009
www.democracy-international.org
© Una pubblicazione di Democracy International colla cooperazione di Democratie.nu (Belgio) e Referendum Platform (Olanda)
Brussels: Democracy International 2009
Tradotto dall’inglese da Daniel Kmiécik
[traduzione dedicata alla memoria della giornalista della RAI-Uno, Clara Romanò (1952-2003)].
Design: Stephan Arnold, Arnold Design
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ISBN ...
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Ringraziamenti
Vorremmo esprimere la nostra gratitudine alle persone ed istituzioni seguenti per il loro contributo alla realizzazione di questo libro. Heiko Dittmer
(Anversa) e Bert Penninckx (Pellenberg), per il loro sostegno per questo
disegno. Michael Efler (Berlino) e Frank Rehmet (Amburgo), per l’assistenza
bibliografica. Gerald Häfner (Monaco di Baviera), Paul Carline (Edimburgo), e Michael Bauwens (Anversa), per i loro rispettivi articoli nelle edizioni
tedesca, inglese e neerlandese. Stephan Arnold (Halle) per l’aiuto illustrativo.
Bruno Kaufmann (Falun) per l’opportunità offerta di presentare questo libro
in una serie di conferenze organizzate da Initiative & Referendum Institute
Europe, di cui è direttore, dovunque in Europa.
Particolare ringraziamento ad Aimee Lind Adamiak (Ås), Blaz Babic (Ljubljana), Thomas Benedikter (Bolzano), David Calderhead (Amsterdam), Nicola
E. Fischer (Copenaghen), Luose C. Larsen (Copenaghen), Mira Hettesova
(Londra), Daniel Kmiécik (Lilla), Andreas Linke (Berlino), Juan Carlos
Madronal (Madrid), Magdalena Musial-Karg (Poznan) e Lillia Zaharieva
(Aquisgrana) per il loro notevole lavoro di traduzione, ed a Paul Carline
(Edimburg), Maria Jesus Garcia (Madrid), Ronald Pabst (Colonia) e Bartek
Wisnewski (Varsavia) per il rileggere e correggere del testo.
Grazie mille a tutte le altre persone ed istituzioni in Europa che aiutano nel
diffondere questa pubblicazione.
Infine, esprimiamo ugualmente la nostra riconoscenza cordiale a tutti i
donatori che hanno reso possibile questa pubblicazione.
Anversa ed Amsterdam, febbraio 2009
Jos Verhulst e Arjen Nijeboer
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Contenidos
Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1. Il potere celato della democrazia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
2. Ché cosa è la democrazia ?. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
3. Federalismo, sussidiarità e capitale sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
4. L’essere umano democratico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
5. Le lezioni della democrazia diretta in pratica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
6. Possibili obiezioni sollevate contro la Democrazia Diretta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
Bibliografia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
A proposito degli autori. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94
A proposito degli editori di quest’opera. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
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1. Il potere celato della democrazia
Non passerà alla posterità il Novecento quale secolo delle
notizie e della tecnologia e del viaggio nello spazio o della
potenza nucleare. Non si ricorderà come il secolo del fascismo, del comunismo o del capitalismo. Non sarà nemmeno
il secolo delle due Guerre mondiali.
In secondo luogo, una democrazia è più produttiva. In un regime prepotente, idee provenienti dalla maggiore parte dei cittadini non hanno l’agio d’influenzare la presa di decisione. C’è
quindi una base d’idee molto più ampia nella democrazia.
In oltre, la scelta stessa delle idee si rivela più efficiente nella
democrazia. Questa è niente più che l’elaborazione sociale
delle idee individuali. Idee nuove provengono sempre dalle persone, dato che sole persone umane possono pensare.
Ma le idee individuali vanno considerate, valutate tra esse,
e adattate alle condizioni della società. Bisogna che la gente
corregga reciprocamente le imperfezioni delle proprie idee
mutue. In vero, questo processo del plasmare sociale delle
percezioni è il cuore stesso della democrazia, in cui l’idea
o la proposta singolare, spesso già accettata da un gruppo
più piccolo (partito, gruppo di azione o di pressione), va esaminata dall’insieme della società, contrappesante il pro ed il
contro. Tale plasmare della percezione conduce a una scelta.
Ma questa scelta va sempre esaminata nel contesto storico; la
minoranza odierna può divenire la maggioranza di domani.
Le decisioni attuali, in rapporto alla corrente dell’immaginario sociale, sono come battiti di timpani nell’intera sinfonia.
Il Novecento rimarrà il secolo della democrazia.
Nel Novecento, per la prima volta nella storia, la democrazia
divenne uno standard universale. Ma non ci si lasci ingannare,
lo standard non viene compiuto in nessun luogo e la democrazia viene repressa di continuo nel mondo. Nonostante alcune
eccezioni notevoli, quali l’Arabia Saudita e la Bhutan, ogni regime possibile pretende di aver una legittimità democratica.
E lo fà perché sa che la democrazia è diventata lo standard per
la popolazione mondiale. É un fatto rivoluzionario.
Per dire il vero, nell’Ottocento, il suffragio universale era
proprio solo all’inizio. Apparve dapprima negli Stati Uniti,
ma fino alla metà dell’Ottocento, esso era in genere limitato
agli uomini bianchi e proprietari, nella maggiore parte dei
singoli Stati. Donne e gente di colore non erano considerati
competenti per partecipare alla consultazione popolare. Soltanto nel 1870, dopo la Guerra civile, venne consentito il diritto di voto alla gente di colore. Donne statunitensi dovettero
aspettare fino al 1920. Sia detto en passant, il diritto di voto
per le donne venne adottato negli Stati Uniti per la prima
volta mediante referendum in parecchi Stati. In parte quale
risultato da questo, si rafforzò tanto la pressione esercita sulla politica federale che gli Stati Uniti vennero anche costretti
al mutamento introducendo nel 1920 il diritto di voto per le
donne (si veda il capitolo 6°). Nel Regno Unito, gli operai dimostrarono e lottarono aspramente per decenni finché non
ottenessero il diritto di votare verso la fine dell’Ottocento. Il
movimento dei Suffragisti dimostrò valentemente dal 1904
al 1918, prima che si concedesse il diritto di voto alle donne
di più di trent’anni ed agli uomini di più di ventuno anni. E
bisognò aspettare il 1928 perché questo diritto venisse riveduto di modo che tutte le donne di più di ventuno anni avessero infine il pieno diritto di voto, sebbene si facesse beffa di
questo parlando del voto delle « garçonnes » (Flapper vote).
Anche in Sud-Africa, si predisse il disastro all’annunciare
dell’attuazione del diritto di voto universale! Col distacco di
oggi, queste obiezioni a consentire il diritto di voto agli operai, alle donne e alla gente di colore, sembrano derisorie e
spregevoli.
A lunga scadenza, le decisioni democratiche saranno dunque socialmente superiori a decisioni dittatoriali. Scopi moralmente equivoci, che non servono l’interesse comune, dalla loro natura stessa, vogliono proseguire attraverso canali
nascosti, immersi nell’ombra della luce del decidere aperto
e democratico. In condizioni democratiche, le migliori idee
verranno fissate per la ragione ché, per così dire, si conscono meglio le debolezze degli altri che le proprie. Il processo
di selezione, avente luogo lungo il camminare democratico,
può nutrire la società, essendo benefico per essa. Questo non
vuole dire che la presenza degli strumenti democratici garantisca necessariamente la qualità delle iniziative morali e
dei membri individuali della società in questione. Possiamo
solamente aver fiducia nell’emergere di tali iniziative. Ma
questo vuol ben dire che le aspirazioni moralmente degne
non possono essere realizzate senza democrazia. Politica
non può mai ordinare moralità. Però la politica può creare gli
strumenti democratici consentendo di sciogliere il potenziale morale sonnecchiante negli individui e di metterlo in atto
nel vantaggio alla società.
Democrazia in evolversi
Non è mai esauriente la democrazia. Lo slancio di democrazia può essere veduto come un processo organico. Essa
non può smettere di evolversi ed approfondirsi, così come
un uomo non può cessare di respirare. Un sistema democratico rimanente statico ed immutato degenera e diventa
non-democratico. L’odierno malessere della società viene
appunto cagionato da un processo di sclerosi di questo tipo.
Dobbiamo fronteggiare il fatto che la democrazia si trovi in
una situazione disastrosa nelle nostre società odierne.
C’è in effetti un potere minacciante nella democrazia. Nella
storia recente, molti regimi democratici hanno resistito a sistemi dittatoriali apparentemente incontenibili. Ultimamente, società più democratiche si sono rivelate più vitali a molte
riprese.
Due fonti del potere
La democrazia ricava la sua superiorità da due fonti.
La nostra democrazia corrente, meramente rappresentativa,
è infatti risposta agli aneliti di un secolo fa. Tal sistema si
addiceva all’epoca, dato che la maggioranza del popolo poteva incontrare le sue vedute riflesse da un piccolo numero
di credenze umane e sociali chiaramente determinate, che
incarnavano e rappresentavano gruppi cristiani, socialisti o
In primo luogo, un regime democratico viene legittimato. In
una reale democrazia, la forma del regime viene propriamente ambita dal popolo. Che tale regime possa fare affidamento
su più sostegno interno che nel caso di un dittatore, questo
pare dunque logico.
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liberali, per dare qualche esempio. Tal sistema è scaduto da
lungo tempo. Idee e giudizi nella gente si sono nel frattempo
individualizzati.
In oltre, non dovrebbe essere sottovalutato l’impatto tonificante che risulterebbe immediatamente da una scelta radicale per la restaurazione e l’intensificazione della democrazia diretta. La decisione per più democrazia rimane sempre
una decisione a pro del diritto dell’altro di aver un voto. É
anzi una dichiarazione di fiducia nelle forze morali e nelle
capacità latenti nei propri concittadini. Nelle nostre società
avvelenate dalla diffidenza mutua, non c’è quasi niente immaginabile che possa avere un effetto tanto salutare. L’impegno a favore di più democrazia diretta è proprio un impegno
per gli altri, per la loro libertà di espressione e la loro dignità
intrinseca. La gente soltanto interessata nella realizzazione
dei propri scopi personali non ha niente da guadagnare dalla
democrazia diretta. Farebbe meglio a consacrare tutta l’energia sua nel pubblicare e nel propagare i propri punti di vista.
Veri democratici sono interessati ai punti di vista individuali
degli altri, perché sanno che ci vogliano gli uni e gli altri per
affinare e chiarire idee ed intuizioni, per migliorale ed elaborarle. Questo processo sociale, nel formare e nel plasmare
delle opinioni, costituisce il nucleo reale della vita democratica. La gente più vicina viene posta a contatto reciproco in una
specie di federalismo ; i più accessibili ed efficienti possono
condividere percezioni che ne risultano (La connessione tra
nozione di federalismo e democrazia diretta verrà dettagliata
nel capitolo 3°). Quindi democrazia diretta e federalismo si
rinforzano l’un l’altro. Insieme formano una « forte democrazia » (Barber, 1884) ovvero : « democrazia integrata ».
La forma democratica adeguata è un sistema parlamentare
integrato dal Referendum obbligatorio d’iniziativa cittadina
(democrazia diretta), poiché solo tal sistema può provvedere
un legame diretto fra individui e mezzi legislativi ed esecutivi. Tanto più elevato è il grado verso cui tendono i cittadini
nei loro giudizi individuali, quanto più i partiti politici perdono il monopolio in quanto luoghi d’adesione ideologica,
quanto più elevata sarà la richiesta degli strumenti di democrazia diretta nel prender decisione.
Fatto sta che una maggioranza della gente in Occidente vuole
che il referendum venga introdotto (si veda 1-1). Questo fatto
solo dovrebbe dunque fornire un motivo decisivo per metterlo in atto. Democrazia vuole letteralmente dire : « Forma di
governo in cui la sovranità risiede nel popolo… » [Lo zingarelli
minore, p.294]. Il primo passo verso un governo autenticamente democratico, risiedente nel popolo, implica necessariamente che il popolo stesso possa determinare in che modo
questo governo – in cui la sovranità risiede nel popolo – sarà
concepito e verrà messo in pratica.
Nondimeno vediamo oggi uomini politici prominenti che
stanno insorgendo contro il referendum (si veda 1-2). É sorprendente constatare che più dispongono di un potere effettivo
ed elevato, più essi argomentano veramente e vigorosamente
contro il referendum (si veda 1-3). Così facendo, tendono ad
adottare gli stessi motivi di quelli che erano utilizzati un tempo per opporsi ai diritti di voto degli operai e delle donne. Si
può anche dimostrare che tali motivi hanno valore assai fiacco.
Nel capitolo sesto, dettaglieremo i principali motivi a sfavore.
« La democrazia nostra è un « nonsenso » »
Siamo, noi oggi, lungi da tale democrazia integrata. La presa
democratica di decisione si svolge veramente sopra l’influenza, e persino oltre la conoscenza dei cittadini. Questo vale per
il più dei Paesi europei.
Tuttavia, un’occhiata data alla democrazia diretta in pratica
basta effettivamente per vedere che queste obiezioni mancano di fondamento. In Svizzera, in modo particolare, è esistito
durante più di un secolo un esempio interessante di democrazia diretta – sebbene in nessun modo perfetto – (si veda
il capitolo quinto). Gli Svizzeri possono avviare iniziative di
legislazione cittadina in tutti i gradi amministrativi. In certune istanze ne è risultato che i cittadini si sono direttamente
opposti alle predilezioni del fior fiore politico ed economico.
Per esempio quando in referendum vertenti su emendamenti
alla Costituzione e trasferimento di sovranità verso organizzazioni internazionali – referendum obbligatori in Svizzera –
gli elettori rifiutano il quarto delle proposte del Parlamento ;
quando un gruppo di cittadini raccolgono firme per esigere
un referendum a proposito di leggi ordinarie, la metà delle
proposte legislative vengono così rigettate. Ma la gente non
si è approfittata dei suoi diritti democratici per trasformare
per questo la Svizzera in uno Stato inumano e autoritario !
Non c’è la pena capitale in Svizzera e i Diritti dell’Uomo non
vengono minacciati in questo paese. In oltre, per i cittadini
svizzeri non si prospetta nemmeno una rinunzia al loro sistema democratico superiore. (L’antipatia del popolo svizzero
all’incontro dell’Unione Europea viene anche associata precisamente al carattere antidemocratico dell’Unione.)
Hans Herbert von Arnim è professore di diritto pubblico e
teoria costituzionale all’Università di Spira in Germania. Ha
redatto vari libri a proposito di democrazia e politica ed è
famoso per esporre la realtà, spesso sordida, che si nasconde
dietro « il carino faccino della democrazia ». Sul suo libro
pubblicato nel 2001, « Il sistema » (sottotitolato « La macchinazione del potere» ), egli « solleva il coperchio» del sistema
politico tedesco: « Se la democrazia rappresentativa vuole
caratterizzare un governo dal popolo per il popolo (Abraham
Lincoln), diviene rapidamente palese che tutto questo non va
bene con tutti i principi fondamenti di ciò che ci si suppone
essere il sistema di democrazia sociale il più liberale che non
sia mai esistito in Germania. Lo Stato e gli uomini politici
sono, nell’insieme, in una condizione che solo ottimisti professionali e ipocriti possano presumere di risultare dalla volontà del popolo. Ogni tedesco ha la libertà di obbedire a leggi
per cui non ha mai dato il proprio consenso ; può ammirare
la maestà della Costituzione a cui non ha mai dato legittimità ; è anche libero onorare politici per cui nessun cittadino
non ha mai votato e provvedergli generosamente – mediante
imposte, sull’utilizzo dei quali non é stato mai consultato. »
Partiti politici che prendono decisioni in questo sistema sono
diventati istituzioni monolitici, a detta di von Arnim. L’identificare politico ed il soddisfare alle necessità, che dovrebbero
procedere, in democrazia, dal basso verso l’alto – cioè dal popolo verso il Parlamento – vengono completamente paralizzati dai leaders di partiti. Von Arnim biasima anche il sistema
di finanziamento dei partiti, mediante cui politici possono
personalmente determinare la parte delle tasse che spetta al
partito proprio – associazione privata come ogni associazione privata. Secondo Arnim, non è sorprendente che politici
Però non va idealizzata la democrazia diretta. Essa non fornisce nessuna soluzione da se stessa. Tuttavia, la democrazia
diretta rende davvero disponibile il meccanismo essenziale
producente soluzioni utili e servibili per risolvere problemi
moderni. Quindi l’introduzione della democrazia diretta non
dovrebbe accadere in seguito ad uno stato di euforia subita, ma
in uno spirito di « buona volontà ed attesa attiva e conscia. »
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continuino ad ignorare il rivendicare rumoroso a riformare il
sistema politico, dato che nel caso contrario, ne scalzerebbero le loro proprie e molto buone posizioni di potere.
tà della democrazia neerlandese è una forma su vasta scala
d’autodelusione e di broglio. » Il Pr. Tops a Tilburg: «L’animale politico nei Paesi Bassi è per così dire ammansito e
assoggettato”. Il Direttore Voerman del Centro informativo
per i partiti politici neerlandesi: «Il Parlamento è divenuto
niente più che una macchina per incollare francobolli. » Infine, secondo lo specialista in scienza politica Baakman di
Maastricht : « Illudiamo noi stessi nel credere che ciò che
chiamiamo democrazia funzioni effettivamente quale democrazia. » (Van Westerloo, 2002).
In Gran Bretagna, la Power Inquiry [Commissione inquirente
sul potere, ndt], sistemata da organizzazioni sociali e composta al tempo stesso da politici e cittadini, ha condotto un
ampia inchiesta sullo Stato e la democrazia britannica e, in
particolar modo, sui motivi per cui tanti cittadini voltano le
spalle alla politica. Essa organizzò consultazioni nell’insieme
del Paese, in cui cittadini vennero invitati a esprimere le opinioni loro, e pubblicò un resoconto : « Power to the People »
[«Il potere al popolo », ndt] che concludeva : « L’unico fattore provato come cagionante il disimpegno è il sentimento
molto diffuso che cittadini scorgano di non venir abbastanza
presi in conto, quanto i loro scopi ed interessi, nel processo
politico della presa decisionale. Non si insisterà mai sufficientemente sulla profondità e l’ampiezza di questa percezione fra il pubblico britannico. Molte, se non addirittura tutte
le altre spiegazioni ammesse, le quali sono presentate qui,
possono anche venire comprese quali variazioni sullo stesso
tema dell’influenza debole del cittadino. (…) Questa visione
prevale fortemente nelle conclusioni riconosciute dall’inchiesta. » (Power Inquiry, 2006, p.72).
Perdita di fiducia
La popolazione di più degli Stati europei si rende conto che
la presa decisionale venga esercitata con poca democrazia ;
dunque essa ha considerevolmente perso la fiducia nella natura democratica delle sue istituzioni.
In Germania, un’indagine menata da TNS Emnid e ordinata
dalla rivista Reader’s Digest ha dimostrato che la fiducia dei
cittadini nei partiti politici è venuta meno dal 41 al 17% in
dieci anni (1995-2005). Nello stesso periodo, la fiducia è venuta meno dal 58 al 34%, e quella nel governo dal 53 al 26%.
« C’è una tempesta enorme che sta covando sotto la superficie », commentò Karl-Rudolf Korle, specialista in scienza politica. « C’è molto più che una semplice deficienza consueta
d’interesse nella politica e nei partiti politici. D’ora in poi, la
gente disprezzerà i rappresentanti ufficiali. » (Reader’s Digest
Online, 10 agosto 2005). A seconda dell’indagine Gallup, il
76% degli Tedeschi considera che gli uomini politici siano
disonesti (Die Zeit, 4 agosto 2005).
Nel 1992, il professore De Wachter stabilì accuratamente le linee fondamentali della presa decisionale in Belgio. Concluse
l’analisi sua con queste parole : « In Belgio, lo sviluppo delle
istituzioni democratiche ufficiali non è all’altezza dei tempi.
Disegni più attualizzati, i cui si sarebbe permesso ai cittadini
di conservarsi impatto durevole sulla presa decisionale, vengono respinti o conducono, al massimo, al fallimento quanto
alla presa delle decisioni. » (p.71). « Cittadini o votanti sono
attori deboli nella trama complessa e totalmente fitta della
presa decisionale politica nel loro paese. Gli mancano mezzi decisivi d’accesso al grado più elevato della gerarchia del
potere e presa decisionale. Tutto viene deciso per loro di un
modo estremamente « élitiste ». Per chi è aperto alle nozioni
di legittimità democratica, questa valutazione è contemporaneamente delusione ed abdicazione » (p.371).
In Francia, un sondaggio della SOFRES rivelò che il 90% dei
Francesi crede di non esercitare nessuna influenza sulla presa
decisionale politica ; il 76% lo pensa anche per quanto concerne il livello politico locale (Lire la politique, 12 marzo 2003).
Nel 1999, il sociologo belga Elchardus studiò opinioni belghe a proposito della democrazia. Riassunse : « Una stragrande maggioranza degli elettori hanno l’impressione che
la loro opinione e la loro voce non riaffiorino mai attraverso
i politici nelle politiche seguite (…) Il 58% delle persone consultate ha l’impressione che politici, un volta eletti, « Credano di essere troppo bravi per gente come loro ». Tutto questo
mena al fatto che più del quarto dell’elettorato esprime la sua
diffidenza assoluta : « In fatti, non c’è un solo politico di cui
mi fiderei ». Solo dal 15 al 23% della gente interrogata è d’accordo nel riconoscere formulazioni positive sulla politica e i
suoi rappresentanti. Non sarebbe esagerato affermare che la
metà od i trequarti dell’elettorato si senta impotente (Elchardus, 1999, p.36).
Nel 2002, il giornalista neerlandese Gerard van Westerloo
intervistò il Professore Daudt, famoso specialista in scienza
politica. É il Nestor della scienza politica neerlandese ; viene
formata da lui una generazione intera di ricercatori politici del dopoguerra. Pr. Daubt ridusse in pezzi l’affermazione
che i Paesi Bassi fossero una democrazia, rigettandola così :
« Certamente ! », dice lui, « diritti fondamentali sono rispettati, ma non usiamo parole magniloquenti per mascherarla
attraverso qualcosa che non c’è : ossia una democrazia con
rappresentanti del popolo ; (…) La nostra democrazia è un
nonsenso. » In quanto van Westerlo volle conoscere ciò che
pensavano i colleghi di Daubt a proposito delle sue idee, se
ne andò a fare un giro nei Paesi Bassi, facendo visita a dozzine di specialisti dell’amministrazione sociale e di scienza
politica. Le vedute di Daugt gli vennero confermate dappertutto. A Tilburg, il Professore Frissen gli dichiarò: « Nei Paesi
Bassi siamo governati da una élite arrogante, che ha niente a
che vedere colla democrazia nello stretto senso democratico
del termine ». A Groninga, il Pr. Ankersmit confermò: « La
politica nei Paesi Basi viene condotta ai margini. Da molto
tempo non vi ci riconosciamo più nella democrazia in quanto tale. » Il Pr. Tromp ad Amsterdam ribadì: « La poltica nei
Paesi Bassi sta imboccandosi in un vicolo cieco. Una crisi sta
minacciando che non può più venir schivata. Partiti politici
non sono più che reti di gente che si conosce e si sostiene
reciprocamente. » Il Pr. Beus ad Amsterdam : « La legittimi-
Sondaggi, realizzati nel 2004 da Maurizio de Hond nei Paesi
Bassi, rivelano che la maggioranza degli Olandesi abbiano
poco fede nel contenuto democratico dello stato loro. Il 70%
è in disaccordo con l’affermazione : « Gli uomini politici
ascoltano meglio da cinque anni fa ». Il 51 % è in disaccordo
con l’altra affermazione : « Nei Paesi Bassi, gli elettori hanno
una parte importante nel funzionamento del governo nazionale » ; invece, il 47% è d’accordo con questa. Però il 55% è
in disaccordo con l’affermazione: « Paesi Bassi sono una vera
democrazia ». Un altro studio di Hond, dell’agosto 2005, riguardava la corruzione. Il 12% della popolazione neerlandese crede che i membri del Parlamento siano corrotti ed
il 18% che politici dei municipi e province siano parimenti
corrotti. Riguardo ai funzionari statali, il 17% degli Olandesi
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crede che vengano corrotti, a paragone col 18% concernente
i funzionari municipali e provinciali. In oltre, il quarto delle
persone interpellate hanno ammesso una vicenda personale
legata alla corruzione tra politici o a conoscenze, essendo se
stesse informate su casi specifici (www.peil.nl).
elevato di fiducia (De Witte Werf, primavera 2003, p.11). Nel
2004, il « cane da guardia » della corruzione internationale,
Transparency International, organizzò uno studio similare in
62 paesi, mediante cui non meno di 50 000 persone vennero
consultate riguardo a quali organismi sociali gli sembrassero
sani e quali fossero i più corrotti : partiti politici furono capilista in 36 dei 62 paesi ; i Parlamenti occuparono il secondo
posto (Rotterdam Dagblad, 10 décembre 2004).
Nel 2002, Gallup lanciò un’indagine colossale sul grado di
fiducia delle persone interrogate rispetto a 17 « istituzioni » –
tra altre, esercito e sindacati e Parlamento e società multinazionali – 35 000 persone in 47 paesi compilarono il questionario. Tra tutte le Instituzioni, Parlamenti vi si mostrarono
godere della minore fiducia : il 51% della gente aveva poca o
nessuna fiducia ; solo il 38% palesava un grado moderato od
Non si dovrebbe pensare però che tale processo invadente
di perdita della fiducia potesse semplicemente protrarsi per
sempre. Un governo che ha perso la fiducia della maggioranza dei suoi cittadini ha de facto già smarrito la sua legittimità.
1-1 : La gente vuole la democrazia diretta ?
buristi), il 83% del VVD (Liberali di destra), l’86% di quelli
del D66 (Democratici liberali di sinistra) (Kaufmann & Waters, 2004, p.131). Un’indagine del NIPO, nell’ aprile 1993,
rivelò che il 73% degli elettori desiderava un referendum a
proposito dell’ Euro ed un sondaggio del settembre 2003
signalò che essi desiderassero anche un referendum sulla
Costituzione europea (che venne effettivamente tenuto nel
2005, Nijeboer, 2005). In oltre, il popolo olandese aspetta
molto dalla democrazia. Il Nationaal Vrijheidsonderzoek [Studio sulla libertà nazionale] del 2004 indicò che « il promuovere della democrazia » era scelto il più sovente (il 68%) quale
risposta alla domanda: « Che cosa, secondo voi, sarebbe particolarmente necessaria alla pace nel mondo ? »
Sì, certo ! Non c’è uno solo dei paesi occidentali in cui non
ci sia una maggioranza (ampia in genere) in favore della
democrazia diretta.
Nel 1995, l’indagine sullo « stato della Nazione » mostrò
che il 77% del popolo britannico pensava che un sistema
andasse introdotto… « mediante cui certune decisioni verrebbero sottomesse al decidere popolare col refrendum »
(Prospect Magazine, ottobre 1998). Un sondaggio pubblicato dal Sun (15 marzo 2003) ; l’ 84% dei Britannici volle un
referendum sulla Costituzione europea. Nello stesso momento, il risultato di un altro sondaggio venne pubblicato
sul Daily Telegraph, secondo cui l’ 83% dei Britannici desiderò risolvere problemi di sovranità mediante referendum
nazionali ; solo il 13% fra loro pensava che quello fosse il
lavoro del governo. Il Guardian, (29 febbraio 2000) pubblicò il risultato d’indagine secondo cui il 69% dei Britannici
voleva un referendum sul nuovo sistema elettorale proposto dal Primo ministro Blair. Ciò rivela chiaramente che il
popolo britannico vuole aver l’ultima parola rispetto al proprio sistema politico.
Un sondaggio Gallup consultò gli Europei, nel mezzo 2003,
sulla desiderabilità del referendum sulla Costituzione europea. Risultato: l’83% di loro considerava tal referendum
quale « indispensabile », ovvero « utile, però non indispensabile » ; solo il 12% pensava il referendum « senza utilità ».
La percentuale in favore fu perfino più elevato tra i giovani
e quelli che possedevano una educazione superiore. (Witte
Werf, autuno 2003, p.15).
La maggioranza della gente negli Stati Uniti vogliono anche loro la democrazia diretta. Tra il 1999 ed il 2000, ebbe
luogo negli USA l’indagine più ampia che venne mai intrapresa. Nei cinquanta stati, si scoprì che c’era almeno il 30%
di sostenitori in più rispetto agli opponenti ; la media per
l’insieme degli Statunitensi ammontò al 67,8% pro rispetto al 13,2% contro la democrazia diretta. Era sorprendente
vedere che tanto elevato fosse il numero di referendum,
tenuti durante i quattro anni precedenti, quanto alto fosse
il numero dei seguaci della democrazia diretta. Negli Stati con poco o nessun referendum si osservava una media
del 61% di sostenitori ; negli stati con un numero medio
di referendum questa percentuale giungeva al 68% ; per
culminare al 75% negli stati dove ci erano stati più di 15
referendum. « Lo studio del 1999-2000 indicava in modo
probante che l’esperienza dell’elezione nel quadro delle iniziative e referendum accrescesse effettivamente l’appoggio
incontrato per tale procedura. », commentò Waters (2003,
p.447). Ci fu anche un sondaggio sulla desiderabilità del
referendum d’iniziativa cittadina, sul piano federale questa
volta (Bisogna precisare qui che gli stati Uniti siano, paradossalmente, uno dei pochi paesi dove non ci fu mai referendum nazionale, sebbene la democrazia diretta vi fosse
piuttosto diffusa al livello di ogni Stato e sul piano locale). Il
risultato : il 57,7% fu in favore ed il 20,9 contro.
In Germania, più di quattro quinti dei cittadini vogliono introdurre il referendum d’iniziativa popolare sul piano nazionale. Da un sondaggio Emnid, fatto nel 2005, divenne
évidente che l’ 85% dei Tedeschi ne era convinto (Reader(s
Digest, 10 août 2005) e percentuali paragonabili provenienti
da un dozzina d’altre indagini sono venuti a confermare questo fatto. Nel 2004, Emnid, aveva già consultato i Tedeschi
per saper se volessero un referendum sulla Costituzione europea : il 79% rispose affermativamente. Sondaggi anteriori
avevano dimostrato che stava affermandosi l’inclinazione
dei partiti politici tedeschi per la democrazia diretta : tra gli
elettori della SPD, il 77% era favorevole, tra quei della CDU,
il 68%, tra quei della FDP, il 75%, trai Verdi, il 69% e tra gli
elettori della PDS, il 75% (Zeitschrift für Direkte Demokartie 51
[Periodico pella Democazia Diretta n°51], 2001, p.7).
A seconda della SOFRES, l’82% dei Francesi è a favore del
referendum d’iniziativa cittadina ; il 15% è contro (lire la
politique, 12 marzo 2003).
Nei Paesi Bassi, secondo un sondaggio SCP, realizzato nel
2002, l’81% degli elettori è sostenitore del referendum. Nel
1997 uno studio menato dallo stesso SCP rivelava una ampia maggioranza in favore della democrazia diretta in seno
ai quattro partiti politici maggiori: il 70% degli elettori del
CDA (Cristani Democratici), l’86% di quelli del PvdA (La10
1-2 : L’élite politica vuole la democrazia
diretta ?
il popolo, su questo punto e nemmeno i propri elettori, ma
pare che si sottomettano alla volontà dell’élite finanziaria.
Certo che no ! Dai sondaggi di opinione realizzati tra gli
uomini politici, pare generalmente evidente che una maggioranza di loro siano opponenti alla democrazia diretta.
1- 3: Potere politico e democrazia diretta
Ciò che molti politici pensano in merito a sapere se referendum vengano ambiti ed in quale ampiezza, dipende
enormemente dalla loro avarizia politica. Tanto più hanno
acquisito molto potere in seno al sistema rappresentativo,
quanto più sembrano opporsi alla democrazia diretta. Ecco
alcuni esempi.
In Danimarca, si domandò ai membri del Parlamento nazionale quale era la loro opinione sulla proposta : « Ci dovrebbero essere più referendum in Danimarca ». Un’ampia
maggioranza tra loro si espresse contro. Per tre patiti – Socio-democratici, Liberali di sinistra e Democratici-centristi
– ci fu perfino il 100% contro ; in oltre, il 96% dei membri
della Destra liberale era ugualmente contro. Sola una (ampia) maggioranza dei Socialisti e del Partito popolare danesi
erano in favore della proposta (giornale Jyllands Posten, 30
dicembre 1998).
In Svezia, solo cinque referendum vennero tenuti nel corso del Novecento. La posizione dei partiti svedesi maggiori
– il Partito Socialista e quello Conservatore –è cambiata a
seconda che tali partiti fossero al potere o non nel periodo considerato. Prima della Seconda Guerra mondiale, ad
esempio, il Partito Conservatore era rigorosamente contro
il referendum ; dopo la guerra, mentre si ritrovava nell’opposizione per decenni, divenne subito un propugnatore
instancabile del referendum. Col Partito Socialista, le cose
evolsero in un’orientazione esattamente contraria : questo
partito cominciò a respingere il referendum dal momento
che vinse la maggioranza assoluta nel « Rikstag » svedese. Ruin (1996, p.173) riassume quindi il fenomeno così :
« Partiti che appartengono all’opposizione o stanno in posizione subalterna, manifestano una propensione per il referendum. Invece, partiti che assumono il governo o tengono
in mano l’esecutivo, sono inclini a fare prova di un atteggiamento sdegnoso. »
Nel 1993, lo scienziato in scienza politica Tops, organizzò
un sondaggio d’opinione nei Paesi Bassi trai membri di consigli comunali. Meno di un quarto di loro erano in favore
dell’introduzione del referendum obbligatorio (NG Magazine, del 31 dicembre 1993). Un altro sondaggio, condotto
dall’Università di Leiden stabilì che il 36% dell’insieme dei
consiglieri comunali si pronunciava in favore del referendum opzionale e il 52% si esprimeva contro. Consiglieri del
VVD (Liberali di destra) e del CDA (Democarici cristiani)
erano perfino contro con una percentuale di 70. Soli, i Verdi
di sinistra ed il D66 (Liberali di sinistra), votavano una maggioranza in favore del referendum opzionale (Binnenlands,
Bestruur [periodico del governo locale], 18 febbraoi 1994).
Nel Bade Vurtemberg, Democratici Cristiani (CDU) si ritrovarono nell’opposizione dopo la Seconda Guerra mondiale.
Mentre la Costituzione Federale tedesca stava in piena elaborazione (1952-53), la CDU era favorevole all’introduzione
del referendum. La maggioranza al potere in quel tempo,
in cui il SPD socialista era il compagno più importante,
era opposta a tale introduzione. Nel 1972, la situazione era
cambiata : il Bade-Vurtemberg non era più governato da
una coalizione di Democratici cristiani liberali. Allorché
si presentò la prospettiva di modificazione costituzionale,
il SPD prese l’iniziativa d’introdurre anche il referendum.
Ciò fece nascere un’opposizione feroce da parte della CDU.
Sorse una situazione particolare in cui SPD e CDU adottarono rispettivamente la stessa posizione del loro opponente
venti anni fa. Ci fu infine un compromesso : il referendum
venne introdotto, ma con gigantesca soglia di ricettività !
Per costringere al referendum, ci vuole un sesto dei votanti
del Bade Vurtemberg che registrino la propria firma presso palazzi comunali od uffici pubblici entro due settimane.
Come era prevedibile, non ci fu affatto nessuno referendum nel decennio seguente. Nel 1994, scrisse cortesemente un gruppo di cittadini : « Purtroppo, in vista di questa
posizione mutevole, non si può fare a meno di pensare che
un partito fosse stato pro o contro i referendum nel passato
essenzialmente a seconda che stesse considerando la questione in una prospettiva governativa od in una prospettiva
d’opposizione ». (Memorandum di Stoccarda, 1994, p.23)
In Belgio, l’Institut voor Plaatselijke Socialistische Actie [Istituto per l’azione socialista locale], fece un sondaggio d’opinione
tra gli uomini politici socialisti locali a proposito del referendum municipale. Solo il 16,7% tra loro fu sostenitore
incondizionato del referendum obbligatorio. (giornale De
Morgen, 31 gennaio 1998).
Investigazioni condotte da Kaina (nel 2002) fornirono
un’idea interessante sulla dinamica del cosiddetto sostegno
d’élite. Questa scienziata esaminò lo zelo di varie élites tedesche per introdurre la democrazia diretta. Vennero suddivise in élites politiche, élites sindacali ed élites imprenditoriali,
tra altre. Nell’insieme, il 50% espresse un grado « elevato »
ovvero « molto elevato » di sostegno della democrazia diretta (bisogna ricordare come tal sostegno nel pubblico in genere sia considerevolmente più elevato al punto da giungere all’84%). Ci sono però grandi discordanze. Ad esempio,
nell’élite sindacale, l’86% espresse ad un tempo un grado
« elevato » o « molto elevato » di supporto, mentre nell’élite imprenditoriale questo grado fu solo del 36%. Tra l’élite
politica, incontriamo l’immagine degli estremi. Nei postComunisti, PDS e Verdi, il sostegno « molto levato » e « elevato » non fu meno del 100% ; Nei Democratici socialisti
SPD, raggiunse il 95% e nei Liberali della FDP, il 78%, ma
per la CDU/CSU fu solamente del 34% (Fatto sta che una
maggioranza del Parlamento tedesco approvò già un emendamento costituzionale introducendo un sistema piuttosto
leale di democrazia diretta ; purtroppo, andando richiesta
una maggioranza dei due terzi, sono particolarmente membri del CDU/CSU che hanno bloccato tal emendamento).
Se noi consideriamo gli elettori di quei partiti, si nota
un’ampia maggioranza in favore della democrazia diretta.
Per concludere : politici della CDU non rappresentano più
Non è solamente la divisione in partiti d’opposizione e governativi a giocare un ruolo. Nel sondaggio belga condotto nel 1998 dall’Institut voor Plaatselijke Socialistische Actie,
menzionato sopra, parve che politici locali dotati del mandato esecutivo (sindacati ed assessori) considerassero perfi11
no meno favorevolmente i referendum paragonati a quelli
che erano dotati del mandato rappresentativo (Consiglieri
municipali), senza prendere in conto il fatto che quegli ultimi appartenessero o non all’opposizione od alla coalizione
al potere (giornale De Morgen, 31 gennaio 1998).
Sia detto incidentalmente, l’introduzione della democrazia
diretta non è il solo argomento a proposito di cui i partiti
politici cambiano regolarmente la loro posizione in funzione del condividere potere. Lo stesso fenomeno concerne
anche il problema della limitazione del numero di mandati
rinnovabili, a cui possa pretendere un deputato. Tra gli elettori statunitensi, il 75% è sostenitore di un numero limitato
dei mandati. Invece, soltanto il 18% dei membri dei parlamenti degli Stati singolari era favorevole al rinnovamento
del mandato, tra cui il 76% si pronunciava contro ogni forma restrittiva. Tra i professionisti di gruppi di pressione,
non meno del 86% era in favore di un numero illimitato di mandati rinnovabili. Non è sorprendente, giacché il
rinnovamento restrittivo del mandato pone a repentaglio
la rete dei « mandatari ben noti », tanto necessaria ad un
bravo « lobbyist ». Uno tra loro affermò perfino assai esplicitamente : I « lobbyists » sono d’accordo nel contestare i
sostenitori del rinnovamento restrittivo dei mandati : tale
provvedimento romperebbe in effetti i legami stabiliti ed
interferirebbe col lavoro proseguito dai gruppi d’interessi »
(O’Keefe, 1999). Nella Fiandra, il provvedimento di rinnovamento restrittivo del mandato faceva originariamente
parte della dottrina centrale del partito verde AGALEV. Il
partito pensava che i titolari del mandato andassero autorizzati a rinnovarlo una volta sola. Al momento critico in
cui qualche « pesone » elettorale vide la sua posizione compromessa da tale provvedimento, quella del partito venne
prontamente e di seguito modificata.
12
2. Ché cosa è la democrazia ?
La democrazia varia da paese a paese e d’epoca ad epoca.
Cento anni fa, era contestato il solo diritto di voto concesso agli uomini allorché sembrava impensabile il voto per le
donne. Oggi, ci pare inspiegabile che ci fosse stata un’epoca
in cui non era consentito votare alle donne e in cui un uomo
ricco avesse disposto più voti di un uomo povero. Succederà
la stessa cosa col referendum. Un tempo verrà in cui nessuno si ricorderà più che, in un tempo passato, alla gente non
veniva permesso di decidere direttamente la propria sorte.
Gli uomini politici fanno sovente riferimento al « contratto sociale » come ad un accordo tra il popolo ed essi stessi.
Esso viene rinnovato dopo ad ogni elezione. Però il filosofo
Tommaso Paine aveva già rifiutato (nel 1791) questa visione
nei Diritti dell’Uomo : « Si è pensato di aver realizzato una
considerevole avanzata verso lo stabilire principi di libertà dichiarando che il governo sia un contratto tra quelli che governano e quelli che vengono governati; questo non può esser
vero, però, perché questo equivalga a mettere l’effetto prima
della causa; nello stesso modo in cui sono dovuti esistere uomini prima che esistesse un governo, ci fu necessariamente
un tempo in cui i governi non esistevano e perciò non poteva
esistere allora un governatore originario con cui stabilire tale
contratto. Pertanto il fatto deve essere che gli individui stessi,
ciascuno di loro essendo personalmente nel proprio diritto di
sovranità, stabiliscano un contratto mutuo per produrre un
governo ; e così è il solo modo in cui governi abbiano diritto
a nascere, e il solo principio da cui ricavino diritto all’esistere. » (Paine, 1791, 1894, Parte 2a, p.309). Un “contratto sociale” è quindi un contratto tra cittadini e il sistema politico ne
sorge solo a titolo di risultato.
La democrazia si evolve. In seguito alla diversità delle forme democratiche nei vari paesi, qual è adesso la caratteristica essenziale della democrazia? Che cosa consente di fare una distinzione tra democrazia e non-democrazia? Un dittatore dicendosi
“democratico” rimane un dittatore. Ci deve dunque essere un
criterio obiettivo rendente tale distinzione possibile. L’insieme
di tale criterio lo chiamiamo “archetipo” della democrazia.
In cerca dell’archetipo
Democrazia significa “governo dal popolo”. Certo, ci sono altre forme di “governo” o di potere dello Stato. Nell’oligarchia,
ad esempio, una piccola élite governa. Nella “timocrazia” padroneggia la gente ricca. In “teocrazia” è Dio a venir presunto esercitante il potere (attraverso un’élite sacerdotale, ndt).
In quale maniera i cittadini possono entrare in un contratto
sociale tra loro? Palesemente, debbono riunirsi, discutere sul
contratto e mettersi d’accordo fra loro. Ció crea l’istanza prima propria della riunione democratica: l’assemblea pubblica.
Il termine “democrazia” ha ricevuto un’accoglienza più positiva dal Novecento. Quasi tutti gli Stati si riferiscono in qualche modo all’ideale democratico, quand’anche il loro regime
sia totalitario. La democrazia ha prevalso, per lo meno a livello ideale. Stavano diversamente le cose nel Settecento. Democrazia era sovente una parola ingiuriosa in quel tempo.
Queste assemblee pubbliche sono anche realtà storiche. In
qualche piccole comunità, ad esempio negli Stati Uniti e in
Svizzera, l’assemblea pubblica continua a giocare un ruolo
oggi [si vede 2-1]. É ovvio che l’assemblea pubblica, in quanto
tale, non possa più funzionare in uno Stato costituzionale
moderno con milioni di cittadini. Nello stesso tempo, peró,
essa esemplifica ancora primamente e praticamente l’ideale
democratico. Quindi esaminiamo dapprima le caratteristiche essenziali dell’assemblea pubblica democratica.
Perché il potere statale viene espresso dalla legislazione, “democrazia” vuole pure dire che il popolo fa le leggi. In democrazia, le leggi ricavano l’autorità loro dall’approvazione del
popolo in qualche modo. Il potere legislativo nell’oligarchia,
invece, fa assegnamento sull’approvazione di una minoranza
e conta sulla benedizione divina nel caso della teocrazia. In
democrazia non c’è quindi altra autorità più elevata di quella
del popolo stesso.
I principi dell’assemblea pubblica
Certi principi esistono per ogni assemblea pubblica democratica.
Leggi impongono obbligazioni, non tanto sul popolo quale
tutto, ma certamente sui cittadini singolari. Si presume che
i membri individuali della società debbano riconoscere l’autorità della legge, dato che essi hanno anche, in linea di massima, l’opportunità di contribuire all’elaborazione di questa. Ecco quindi come si giunge al concetto di Jean-Jacques
Rousseau del “contratto sociale”: una legislazione risulta, in
effetti, da un contratto sociale tra cittadini uguali e responsabili. Nella visione democratica, una legge è solo legittima quando
quelli che sono presunti osservanti di tale legge sono anche capaci
di contribuire alla sua formazione.
Il principio dell’uguaglianza
Il principio dell’uguaglianza sta in base all’assemblea pubblica: tutti i membri maturi (nel senso di responsabili) della
comunità possono partecipare all’assemblea pubblica e si
concedono un peso uguale nel prender la decisione.
Non è facile fondare tale principio di uguaglianza su un cardine positivo. Peró, è molto facile stabilirlo in modo negativo.
Finalmente, l’ideale democratico si basa sul principio fondamentale che non c’è autorità superiore di quella del popolo.
Per definizione, questo principio implica che tutti si presentino uguali. Se alcuni hanno più peso che altri nel prender
la decisione, meramente sulla base della loro posizione, ci
ritroviamo di nuovo nel caso dell’oligarchia.
Questo concetto di “contratto sociale” viene accostato per il
meglio ad un modo “negativo” – per dirla cosí – tramite un
processo di eliminazione. Se l’autorità della legislazione non
risulta dall’autorità divina o dalla nobiltà o dai proprietari di
terre, dal denaro o dalla conoscenza, allora il contratto sociale rimane il solo possibile. Leggi ricavano l’autorità loro dal
fatto che esse siano degli accordi stabiliti volutamente tra i
membri della comunità legale.
Quindi ogni voto di persona matura ha lo stesso peso. La
storia della democrazia nel Novecento fu ampiamente una
lotta per questo principio, una lotta che venne principalmente portata su tre fronti: il sistema del suffragio universale (in
13
cui, ogni persona, senza nessuna considerazione dei suoi
possessi, dell’età propria o delle competenze proprie, riceve
un diritto di voto uguale); il diritto di voto per le donne; e il
diritto di voto senza distinzione di criteri biologici (ad esempio, diritto di voto per la gente di colore in Sudafrica).
In una forma attenuata, ma sempre cosí reale, il principio
“élitiste” vive pure tra i sostenitori di ciò che si chiama democrazia rappresentativa. Dewachter (nel 1992) l’esprime nel
modo seguente : « A seconda del concetto in base alla « democrazia rappresentativa », decisioni vengono prese da una
selezione di « principi filosofici ». Sparso sull’insieme del
territorio, un campionamento di rappresentanti del popolo
viene eletto. Quindi i membri eletti non sono più se stessi
rappresentativi ; non sono una media, però sono i migliori. Il
Parlamento eletto è dunque il migliore della Nazione. » (Citato da Dewachter, 2003. p.30).
Il diritto d’iniziativa
Questo diritto significa che ogni membro dell’assemblea
pubblica abbia un diritto uguale di avanzare una proposta.
Perciò l’ordine del giorno nell’assemblea pubblica non viene
stabilito da un’élite.
l’ex-ministro della giustizia della Repubblica Federale Tedesca, Thomas Dehler, ha espresso questo nel modo seguente:
“A mio parere, è un equivoco sulla natura della democrazia
di credere che un Parlamento sia l’esecutore della convinzione popolare. Penso io che la natura della democrazia rappresentativa sia altra: è per dire il vero quella dell’aristocrazia
parlamentare. I membri del Parlamento hanno il dovere e
la possibilità di operare da un discernimento più ampio e
da una conoscenza migliore che il cittadino individuale può
esercitare.” [In tedesco : « Ich glaube, man verkennt das Wesen der Demokratie, wenn man glaubt, das Parlament sei das
Exekutor der Volksüberzeugung. Ich meine, das Wesen der repräsentativen Demokratie ist ein anderes, es ist das der parlamentarischen Aristokratie. Die Parlamentarier haben die Pflicht und
die Möglichkeit, aus einer grösser Einsicht, aus einem besseren
Wissen zu handeln, als es der einzelne kann . »] (Dewachter,
2003, p.30). Per tale chiarissima espressione dell’idea “élitiste”, in retroscena della democrazia meramente rappresentativa, Dehler venne applaudito, non soltanto dai Democratici
Cristiani, ma anche dai partiti Liberale e Socialista. In questo
contesto, la differenza nei confronti dei sistemi totalitari è
che nel sistema meramente parlamentare, l’élite deve ottenere una maggioranza formale da parte del popolo. Ciò che
i due sistemi hanno in comune, tuttavia, è che permettono
ambedue l’esecuzione di leggi contro la volontà della maggioranza del popolo.
Il diritto d’iniziativa non è nient’altro che l’applicazione particolare del principio d’uguaglianza. Esso non implica che il
sottomettere proposte non possa venir costretto da regole.
Ad esempio, tali regole potrebbero specificare che una proposta venga sottomessa entro quattordici giorni prima della
riunione o che ogni proposta venga sottoscritta almeno da
cento membri della riunione. Il punto essenziale rimane che
le regole siano le stesse per tutti.
La regola maggioritaria
Nella situazione ideale, c’è unanimità: ciascuno approva la
proposta. Peró, l’unanimità non sarà ottenuta solitamente.
Perciò viene utilizzata la regola maggioritaria. É una conseguenza del principio d’uguaglianza ed essa proviene dalla
volontà di minimizzare il disordine: nel fare valere la regola
maggioritaria si ottiene il minimo numero di gente insoddisfatta. Si potrebbe anche segnalare che ogni soluzione diversa dalla regola maggioritaria sarebbe accompagnata dal
denegare del principio d’uguaglianza. Finalmente, se noi
funzioniamo con maggioranza qualificata (ad esempio dei
due terzi) la minoranza può rifiutare alla maggioranza i propri auguri – per esempio nel caso in cui il 60% vuole l’opzione A e il 40% l’opzione B.
La regola maggioritaria possiede una dimensione esistenziale. Nell’accettare tale regola, riconosciamo mancanze umane.
L’esistenza stessa della minoranza dimostra che il processo
di discussione e di formazione della percezione sia stato incompleto. Nello stesso tempo, la regola maggioritaria ci ricorda anche il fatto che la democrazia va percepita sempre
come un processo storico. Minoranza d’oggi può diventare
maggioranza di domani. Il più delle idee incontrano dapprima resistenza e rigetto, ma possono in seguito venir generalmente accettate. La regola di governo maggioritario può
operare da sola, per dire il vero, purché essa venga compresa
abbastanza in termini storici nella società e nella comunità.
Quando una decisione, presa da una maggioranza contro
una minoranza, viene percepita dalla prima come un “trionfo” assoluto sulla seconda, oltre ogni prospettiva storica, la
qualità della democrazia ne patisce.
Il principio del mandato
L’unanimità perenne non è dunque attuabile in democrazia.
Perciò la regola maggioritaria costituisce una parte “dell’archetipo” democratico. Ma c’è ancora un’altra difficoltà. Una
partecipazione universale nel processo decisionale democratico rimane comunque non attuabile. Ci saranno sempre
membri della comunità che non vorranno mai partecipare
alla decisione su certi argomenti: sia perché non hanno il
tempo, sia perché credono di averne una conoscenza insoddisfacente, sia perché hanno forse altre ragioni per non fare
così. Oltre alla regola maggioritaria viene introdotta quindi
la delega di poteri. Quelli che non prendono parte all’assemblea pubblica vengono considerati come aventi concesso un
mandato a quelli che vi partecipano.
La regola del mandato non può essere scansata imponendo
un voto obbligatorio od una presenza obbligatoria (in oltre,
tale diligenza forzata è sgradita; si veda inserto 6-2). Qualora
la legge ordinasse che tutti i membri della comunità dovrebbero partecipare all’assemblea pubblica, un arrangiamento
andrebbe previsto per quelli che non onorerebbero tal obbligazione. Quindi le decisioni dell’assemblea pubblica saranno sempre obbligatorie, nonché per gli assenti.
La regola maggioritaria si colloca male con tutte le tendenze
“élitistes”. Fatto sta che i movimenti autoritari non riconoscono mai la regola maggioritaria. Favoriscono sempre l’una o
l’altra immagine di “ un’avanguardia” ovvero “èlite” potente
imponendo la sua volontà alla maggioranza. Leninisti parlarono sempre del ruolo di « punta avanzata » del partito comunista e della dittatura del proletariato. Nazionalsocialisti
si erano indirizzati alle élites fondate su caratteristiche razziali. Fondamentalisti religiosi hanno sempre rigettato diritti
uguali per donne e dissidenti, sebbene questi formassero la
maggioranza.
Pertanto, il principio del mandato non ha niente a che fare
con la differenza tra presa decisionale rappresentativa e presa decisionale diretta. Il principio della delega mandataria
14
è una conseguenza diretta del fatto che, per definizione, le
leggi si applicano a tutti nella comunità. Con altre parole:
non posso rifiutare che una legge si applichi a me, personalmente, ricorrendo al motivo che io non abbia partecipato alla
creazione della legge di cui si tratta. Dalla rinuncia suddetta
nel prender la decisione sulla legge in questione, io sono automaticamente considerato quale avente affidato un mandato a quelli che di fatto hanno preso la decisione. Senza questo
principio, ogni individuo potrebbe sottrarsi all’applicabilità
delle leggi a suo piacimento.
verso il referendum sia successa effettivamente mediante
l’iniziativa pubblica. “In parecchi Cantoni, gli strumenti di
referendum ed iniziativa vennero contemplati come sostituzione accettabile delle assemblee comunali e cantonali dirette (“Landesgemeinden”). L’incremento demografico aveva reso
impraticabile questo tipo d’assemblea. In qualche Cantone,
quali Schwyz e Zug nel 1848, tale sostituzione fu immediata
e diretta coll’introduzione del referendum, mentre venne annullata la Landesgemeinde” (Kobach, 1994, p.100-101).
Quindi nel processo di presa decisionale in democrazia diretta per via dell’assemblea pubblica – da una prospettiva formale –, ci sono due decisioni da prendere:
Democrazia rappresentativa
Il referendum conosce comunque dei limiti. Non possiamo
in effetti fare un referendum su qualunque questione: i costi
della presa decisionale diretta sarebbero semplicemente assai elevati per la società. Un referendum costa davvero caro,
ma non c’è solo questo motivo. É soprattutto che ogni referendum esige assai tempo e sforzo da parte dei cittadini:
essi devono impiegare le migliori energie e capacità loro per
formare un’opinione sull’argomento dibattuto e poi votare.
•prima, una decisione di mandato: ogni cittadino(a) decide
sia se prendere parte in prima persona al “Parlamento ad
hoc”, che sta per prendere le decisioni, sia se mandare concittadini per farlo.
•poi, l’assemblea pubblica elabora la decisione sulla questione da dibattere.
Dall’assemblea pubblica al referendum
Di certo, cittadini sovraffaticati possono astenersi dal voto
per referendum e, ciò facendo, fornire un mandato a quelli
che votano realmente. Se c’è troppo poca gente interessata
nel votare, però, tale procedura è parimenti inservibile. Diviene assurdo organizzare un referendum nazionale su una
questione a proposito di cui solo un pugno di elettori si manifestino alla fine. Non solo l’assemblea pubblica risulta irrealizzabile, ma persino il ricorso sistematico al referendum
diventa impraticabile.
Fino a questo punto, abbiamo messo insieme gli elementi
seguenti, componenti inevitabili nel funzionare dell’assemblea pubblica, che possiamo considerare come costitutivi
“dell’archetipo” della democrazia:
•il principio di uguaglianza;
•il principio di sovranità popolare (non c’è quella più elevata
che l’autorità del popolo);
•la regola maggioritaria;
•il principio del mandato.
Si deve trovare pertanto un’altra soluzione. In questo contesto, il punto essenziale è : se il referendum sarà un metodo
inadeguato per prendere decisioni, queste verranno prese
allora effettivamente da chi ? Col referendum, il problema
del mandato risolve normalmente se stesso : quegli elettori
abilitati, che votano di fatto, ricevono un mandato dalla società. Essendo ciascuno libero di accettare o no questo mandato,
non viene violato il principio d’uguaglianza. D’accordo!, ma a
chi si dà il mandato, se il referendum non ha luogo ?
L’assemblea pubblica non è praticabile in uno Stato democratico moderno, salvo al livello locale. Ma ciò non costituisce un
problema. In effetti, l’assemblea pubblica, in quanto tipo di democrazia, può felicemente venire consegnata. La cosa essenziale è che gli elementi fondamentali dell’archetipo di democrazia vengano conservati. L’assemblea pubblica è solamente
una delle manifestazioni possibili dell’archetipo sottostante.
La democrazia rappresentativa costituisce essenzialmente
una tecnica per risolvere tale problema di mandato. Essa va
messa in opera fin dal momento che i cittadini hanno troppo
poco tempo od interesse per cooperare per una decisione che
va ancora presa. Da un certo momento per la società, – a seconda dell’opinione dei cittadini stessi – i costi di referendum su
ogni questione particolare sono troppo elevati, paragonati al
beneficio democratico (accesso diretto alla presa decisionale
per ogni cittadino). Per questa ragione, i cittadini affidano
quindi un mandato ad un Parlamento fissato per qualche
anno ; questo riceve il mandato di prendere decisioni su tutti
gli argomenti a proposito dei quali i cittadini non vogliono
decidersi direttamente. L’elezione parlamentare è quindi un
tipo speciale di democrazia diretta : i cittadini scelgono chi
deciderà ed in quali condizioni, sugli argomenti per i quali il
popolo desidera delegare il mandato.
In oltre, il modello dell’assemblea pubblica conosce limitazioni. Superando un certo numero di persone, la piazza della
città diventa troppo piccola. Perciò il dibattito deve aver luogo
in qualsiasi altro posto: attraverso i mass media, mediante
riunioni di quartiere, ecc. La discussione durerà più a lungo
e sarà di qualità meno diretta. Ma questo è più un vantaggio che un ostacolo. Vi sarà più tempo per consultarsi, più
occasioni per svelare falsi dibattiti. In oltre, non dobbiamo
più votare alzando la mano, ma nel “segreto” della cabina
elettorale. Questo tipo di scrutinio segreto è innegabilmente
un gran vantaggio: ciascuno(a) può esprimere l’opinione sua
libero(a) da ogni pressione sociale.
Mediante queste due modificazioni, l’assemblea pubblica viene così trasmutata in referendum. In effetti, un referendum è
principalmente un’assemblea pubblica nella quale i partecipanti
non si radunano più fisicamente. Ma contemporaneamente, il
referendum d’iniziativa cittadina preserva ancora le caratteristiche essenziali dell’assemblea pubblica, ossia: principio
d’uguaglianza e diritto d’iniziativa e regola maggioritaria e
principio di mandato.
Il mandato ricevuto dal Parlamento è quindi una manifestazione particolare del mandato affidato ai votanti effettivi nella presa
decisionale in democrazia diretta dalla comunità intera. In democrazia diretta (referendum), gli elettori effettivi operano
come se formassero un enorme Parlamento ad hoc che viene
mandato per decidere sulla questione sottomessa al voto. La
sola differenza colla decisione rappresentativa (votazione in
seno al Parlamento) è che il Parlamento riceve il suo manda-
In termini storici – particolarmente in Svizzera –il fatto è notevole da notare che tale transizione dall’assemblea pubblica
15
to qualche tempo prima del voto e questo gli viene affidato
per un periodo ben determinato. É chiaro che la separazione
dell’atto mandatario da quello decisionale non è fondamentale. Ma essa è essenziale per intendere che il Parlamento e la
comunità dei votanti in un referendum hanno la stessa base
al tempo stesso logicamente ed ufficialmente.
rappresentativo, è un mandato fittizio, proprio perché viene
imposto. Scrisse Federico Nietzsche in questo contesto : « Il
parlamentarismo, cioè il permesso ufficiale di venir autorizzati a scegliere tra cinque punti di vista politici, sta insinuandosi tra molti di coloro che vogliono sembrare indipendenti
ed individualistici, mentre lottano perché prevalgano le loro
vedute. In fin dei conti, però, ciò non fa nessuna differenza
che il gregge abbia un’opinione essendogli imposta oppure
che queste cinque opinioni gli vengano permesse. » [Il brano
tedesco originale : « Der Parlamentarismus, daß heißt die öffentliche Erlaubnis, zwischen fünf politischen Grundmeinungen
wählen zu dürfen, schmeichelt sich bei jeden Vielen ein, welche
gerne selbständig und individuell scheinen und für ihre Meinungen kämpfen möchten. Zuletzt aber ist es gleichgültig, ob der Herde eine Meinung befohlen oder fünf Meinungen gestattet sind. »]
(Nietzsche, 1882, 1999, p.500).
Il rapporto tra referendum e presa decisionale parlamentare
L’introduzione del Parlamento rappresentativo fa nascere
un altro problema. Come determinare adesso le questioni a
proposito delle quali i cittadino vogliono ancora direttamente
decidere?
I propugnatori del sistema meramente rappresentativo hanno la loro risposta già pronta. Asseriscono che il Parlamento
sia onnipotente e rifiutano il referendum. Questo danneggia seriamente il principio di sovranità popolare incluso
nell’archetipo di democrazia. Così, nel sistema puramente
rappresentativo è una volta di più possibile fare approvare
leggi volute da una « élite », ma ricusate da una maggioranza.
Fin dal momento che viene insediato il Parlamento, questo
può operare liberamente contro la volontà della maggioranza
popolare. Il diritto d’iniziativa, risultante come conseguenza
dal principio d’uguaglianza, viene anche così abrogato.
La nozione di « democrazia meramente rappresentativa »
racchiude una contraddizione interna (paragonabile alla
« quadratura del cerchio »), soprattutto se la maggioranza
del popolo vuole una presa decisionale diretta. In effetti, ove
la maggioranza del popolo volesse una presa decisionale diretta, un sistema meramente rappresentativo sarebbe antidemocratico per definizione, perché dalla sua natura intima,
tale sistema è contrario alla volontà della maggioranza (un
quadrato, per definizione, implica la presenza di angoli, un
cerchio non è un quadrato, perché il cerchio – dalla sua natura intima – non ha angoli).
I difensori del « sistema puramente rappresentativo » lo giustificano mediante due ragioni principali :
Lanciare un partito (?)
I sostenitori della presa decisionale rappresentativa avanzano ancora un secondo argomento. Dicono che uno sia libero
di creare il proprio partito e di brigare un mandato parlamentare.
Un mandato imposto non è affatto un mandato
Prima di tutto, i difensori del « sistema meramente rappresentativo » dichiarano che i cittadini diano un mandato a
quelli che vengono eletti e questi ultimi possiedano pertanto
il diritto di decidere.
Questo motivo ignora però il principio della sovranità popolare. Questo ultimo prende le mosse dall’opportunità del
popolo di essere capace di determinare il modo in cui una
decisione verrà presa. É assai possibile che la stragrande
maggioranza del popolo voglia esprimere l’opinione sua a
proposito di una questione specifica, mentre un piccolissimo numero della gente anela ad un mandato parlamentare.
Tale desiderio andrebbe rispettato in democrazia. Se adesso
qualcuno decreta, in contrasto al desiderio della maggioranza, che la presa decisionale diretta non sia permessa e che
si deva ottenere con cambiamenti brigandosi un mandato
parlamentare, egli colloca se stesso al di sopra del popolo ed
in opposizione con esso, violando così la sovranità sua. Se
il popolo vuole decidere su una questione specifica e che la
cosa viene resa impossibile, allora non vige più nessuna sovranità popolare. Quando una élite ricusa alla maggioranza
dei cittadini l’opportunità desiderata di prendere direttamente decisioni e avanza quale « alternativa », la creazione di un
partito personale, va da sé che quest’élite sta trattando con
degnazione la maggioranza dei cittadini e non si tratta più
affatto di democrazia.
Così facendo, essi ignorano il fatto che questo tipo di mandato suscita una contraddizione interna. Un mandato legittimo, così come un regalo legittimo, può solo essere dato dal
proprio volere. Tale buona volontà significa parimenti che i
cittadini debbano rimanere liberi di non affidare il mandato,
ma di scegliere una via di presa diretta della decisione, tramite un referendum. Un mandato imposto è un mandato fittizio.
Questo può venire chiarito tramite un’analogia. Si immagini
che Lei venga sbattuta a terra da cinque aggressori che Le
domandano il Suo portafoglio. Essi Le lasciano veramente
la scelta nel decidere al quale tra loro Lei rimetterà il Suo
denaro. Per pura necessità, Lei dà il Suo denaro all’uomo
meno sgradevole che, qualche tempo dopo, viene arrestato
dalla polizia. Poi, durante il confronto, lo strano tipo Le dice :
« Io, non ho preso affatto il Suo portafoglio, al contrario, Lei
me l’ha donato a Suo piacimento. In fin dei conti, Lei era
interamente libera di non darmelo. » Ovvia è la perversità di
tal argomentazione. Lei era infatti libera di donare o non il
Suo denaro in questo triste particolare. Nonostante, Lei era
costretta (dallo scellerato di cui si tratta tra altri) a rimettere
il Suo portafoglio in ogni modo – contro la volontà Sua. Le
era rifiutata a Se stessa la libertà di conservarlo. Sostituisca
adesso ai ladri di quest’analogia i partiti politici, e, al portafoglio, il diritto Suo di partecipare direttamente al processo
di presa decisionale democratica, e Lei ottiene l’argomento
a favore della presa decisionale meramente rappresentativa.
Nello stesso modo in cui la Sua libertà di rimettere il Suo portafoglio era fittizia, così il mandato, nel sistema puramente
Un’indagine sui motivi del comportamento elettorale indica
senza ambagi che la maggioranza degli elettori non votano
solo perché vogliono affidare un mandato [si vede 2-2]. La
maggioranza dell’elettorato vota strategicamente, cioè, stante
il sistema esistente, si pone la domanda: quali sono i leaders
meno nocivi ? Ove si votasse, per precisare, nello spirito di
concedere mandati democratici, la diffidenza odierna della
genta all’incontro del Parlamento proprio – fatto che mettono
in rilievo di modo incessante i risultati delle elezioni attraver16
so l’insieme dell’Europa – sarebbe del tutto inspiegabile. Non
ci sono più, nel reale senso della parola, rappresentanti sedenti nel Parlamento ; ci sono solo leaders però, che vengono
scelti dagli elettori, preferibilmente ad altri, semplicemente
perché l’elettorato viene presentemente costretto a eleggere
qualcuno e si limita dunque a votare per la persona (od il
partito) meno suscettibile di fare torto.
sionale diretta tra la gente. In pratica, tale prova viene fornita raccogliendo firme per petizione (sottoscrizioni) per il
referendum. In Svizzera ad esempio, un referendum viene
tenuto a livello federale quando il 2% della gente lo richiede
tramite una petizione.
Gerarchia delle leggi
Pertanto, c’è una differenza basilare tra partiti politici che
sostengono il referendum obbligatorio d’iniziativa cittadina
e quelli che si oppongono all’introduzione del referendum.
Questi ultimi vanno realmente considerati come direttamente interessati dal potere. Soli partiti che stanno appoggiando
incondizionatamente l’introduzione del referendum obbligatorio d’iniziativa popolare possono essere considerati autenticamente democratici, nel senso letterale che si affannano a
favore di una verace forma del « potere popolare ».
Una legge approvata mediante referendum deve collocarsi al
di sopra nella gerarchia legislativa di quelle approvate dal Parlamento. C’è in oltre una clausola aggiuntiva, ossia una legge
direttamente approvata dal popolo non può ulteriormente essere lasciata dal Parlamento. In effetti, se un referendum sarà
tenuto, questo significa che il popolo avrà voglia di esprimere
le opinioni proprie su questioni afferenti. Col referendum, il
mandato democratico verrà rimesso nelle mani degli elettori
e non in quelle dei membri del Parlamento.
Parlamento e referendum
In Svizzera, tale superiorità della legge del popolo è regolata
al livello federale includendo la legge popolare quale parte
della Costituzione. Dato che la Costituzione svizzera viene
modificata solo dal referendum, ciò implica che una decisione del popolo può solo essere annullata da un’altra decisione
del popolo. Lo svantaggio però è che la Costituzione svizzera
si è evoluta in una strana mescolanza di provvedimenti generali (tali quali che appariscono di solito in ogni Costituzione)
e di stipulazioni molto specifiche (di solito normalmente regolate da leggi ordinarie).
Perciò, il sistema meramente rappresentativo non può essere valutato come veramente democratico. Tale sistema necessita, a priori, il designare di un’élite di presa decisionale e
da possibilità d’introdurre provvedimenti legali contrari alla
volontà popolare.
Nondimeno, il sistema rappresentativo può operare in modo
ragionevolmente buono in un caso particolare. Ossia quando
la stragrande maggioranza degli elettori l’approvano e per di
più quando la maggioranza dei cittadini s’identifica con uno
dei partiti politici esistenti, il sistema puramente rappresentativo diviene così legittimo (perché viene desiderato dai cittadini). Tale situazione si verificò in una misura più o meno
importante nei paesi occidentali fino agli anni sessanta.
Che un problema serio possa sorgere a tale proposito, lo rivela l’esempio dell’Oregon. Il referendum obbligatorio d’iniziativa popolare esiste negli Stati Uniti, ma con una maggioranza semplice, cioè il Parlamento dello Stato può abrogare
le leggi votate tramite il referendum. Ciò è davvero successo.
Ad esempio nel 1988, un’iniziativa popolare venne sostenuta
che prevedeva una pena di prigione più lunga per delinquenti violenti. Questa legge venne ricusata ulteriormente dalle
Camere legislative.
Ma i tempi sono cambianti. La maggioranza dei cittadini
vogliono assolutamente dei referendum e la maggiore parte
non si identifica più chiaramente con un partito politico od
un altro (si vede, l’inserzione 1). Il sistema di presa decisionale politica rimane immutato, ma il disavanzo democratico
continua a aumentare in modo drastico, perché in tale sistema, l’attitudine della gente ad esprimere le sue convinzioni
sociali continua a venire meno.
Un’iniziativa popolare venne lanciata in seguito (Measure 33),
per tentare d’impedire questo tipo d’evento. Essa proponeva
i provvedimenti seguenti :
•Leggi create in base alla democrazia partecipativa (referendum) possono venire modificate nei cinque anni consecutivi soltanto da un’altra iniziativa popolare;
•Dopo cinque anni, una modificazione può esser soltanto
compiuta se essa ottiene al meno il 60% dei voti nelle due
Camere legislative (Senato e Camera dei Rappresentanti).
Ciò può solo essere risolto dall’introduzione del referendum
obbligatorio d’iniziativa cittadina. Assieme al sistema rappresentativo, il referendum obbligatorio d’iniziativa cittadina
può fornire un sistema che, da una parte, racchiude caratteristiche essenziali dell’assemblea pubblica (ossia, uguaglianza,
diritto d’iniziativa, regola maggioritaria, principio del mandato) e, dall’altra, rimane ancora utilizzabile nella società
moderna. Però dobbiamo poi introdurre qualche nuovo principio che determina come interagiscono le prese decisionali
rappresentativa e diretta l’una coll’altra in seno alla democrazia. In particolare, se vogliamo conservare il vantaggio essenziale della democrazia rappresentativa (cioè nessun voto
popolare su ogni questione), si deve esigere dai cittadini un
interesse attivo nella presa decisionale diretta. Il Parlamento
od il Corpo rappresentativo verrebbe considerato possedente
un mandato per tutte le questioni a proposito delle quali i
cittadini non fanno attivamente conoscere il loro desiderio di
presa diretta della decisione.
Però la proposta venne rigettata, solo di uno stretto margine,
nel novembre del 1996.
Quorum partecipativi
Dato il principio del mandato, è assurdo introdurre quorum
partecipativi per la presa decisionale diretta. I cittadini che
non partecipano al voto, vengono considerati come aventi
rimesso un mandato a quelli che vi prendono parte. Se si
introducono quorum partecipativi, si apre così la porta al boicottaggio dalle minoranze. Supponiamo, ad esempio, che ci
sia un quorum elettorale del 40% e che il 60% dell’elettorato
voglia votare. In seno al gruppo entusiasta per votare, il 55%
sostiene la proposta sommessa al voto e il 45% vi si oppone.
Gli opponenti non possono vincere il voto se prendono parte
Se un gruppo di cittadini vuole ottenere un referendum su
un certo argomento, per questa ragione, essi devono provare
che ci sia effettivamente un desiderio palese di presa deci17
a questo. Invece, se essi restano a casa possono « vincere »
perché la soglia del 40% non può più essere raggiunta poi e
la proposta verrà rigettata, all’incontro della volontà maggioritaria [si vede 2-3].
In fine alcuni difensori del quorum partecipativo si riferiscono al pericolo designato col termine di « compartimentazione ». Vogliono significare di là che cittadini votino solo per
questioni concernenti i propri gruppi d’interessi. Ad esempio, nel referendum su un progetto d’azione trattante il letame, voterebbe solo una piccola parte della popolazione, come
quella dei fattori allevatori di bestiame.
Abbiamo visto che il mandato parlamentare non è che una
forma derivata dal mandato ricevuto dagli elettori effettivi
nella presa decisionale in democrazia diretta. Un Parlamento
raduna in media solo il 0,003% della popolazione e nonostante questo, esso può ancora prendere decisioni. Quindi
è un nonsenso introdurre quorum elettorali del 20% o del
40% per il Parlamento ad hoc formatosi dal referendum. Lo
sbaglio fatto con i quorum partecipativi, consiste nel fatto
che la gente rimanente a casa viene contata sia tra sostenitori sia tra opponenti (ciò dipende dal referendum stesso).
In realtà, tale gente ha scelto di non esprimere l’opinione sua
attraverso un voto. Questo deve essere del tutto rispettato.
Tale obiezione rimane sulla falsa premessa che la gente voti
solo per difendere propri interessi di gruppo. La realtà è altra
(si vede capitolo 6°). Nei paesi o stati senza quorum partecipativo, quali la Svizzera e la California, non c’è « compartimentazione » in modo quanto mai evidente. Il progresso
pratico dei voti di democrazia diretta rende però improbabile
a priori ogni effetto di « compartimentazione ». Ad esempio,
nel giorno delle elezioni attraverso il referendum in Svizzera,
ci sono quasi sempre parecchie questioni sottomesse al voto
referendario simultaneo. Si trattano di argomenti e temi diversi in questi referendum che non toccano soltanto i livelli
federale e cantonale, ma anche il livello municipale. Pertanto, la gente non è generalmente invitata a recarsi alle urne
per riguardo di una questione specializzata unica.
Finalmente possiamo anche notare che il tasso di partecipazione ad un referendum non va paragonato con quello delle
elezioni. In effetti, nelle elezioni tutti i generi di argomenti
sono all’ordine del giorno o palesi nei partiti : quelli che sono
attuali e tutti i nuovi temi che si presenteranno essi stessi
nei quattro o cinque anni in futuro. Invece, un referendum
tratta di una questione sola all’ordine del giorno, è dunque
logico che il tasso partecipativo sia più basso di quello delle
elezioni.
Al contrario, è il sistema parlamentare ad essere altamente
esposto alla tentazione della compartimentazione. Interessanti esempi ne sono, propriamente, il disegno sul trattare
del letame od il divieto della pubblicità a favore del tabacco in
Belgio. Gruppi d’interessi economici, tramite i loro contatti
con un gruppo ristretto di Membri « specializzati » in seno al
Parlamento, esercitano una pressione senza precedenti sulla
presa decisionale. Una presa decisionale in democrazia diretta renderebbe più difficile, invece, questo gioco di « mani
vincenti » per tali gruppi d’interessi.
Argomenti vengono avanzati a volta per fissare un quorum
basso, precisamente allo scopo di impedire ogni boicottaggio
eventuale. Tuttavia tale punto di vista è illogico. Potrebbero
esserci due possibilità, sia che la soglia sia troppo bassa e
dunque sarà raggiunta : allora saremo sicuri che il boicottaggio sarà escluso – ma contemporaneamente la soglia diventa
inutile ; sia che la soglia sia tanto elevata che è improbabile
che venga mai raggiunta : il boicottaggio diviene allora possibile. Non c’è terza possibilità.
Il quorum nel Parlamento
Talvolta, il quorum partecipativo ai referendum viene sostenuto paragonandolo a quello vigente in molti Parlamenti.
Voti nel Parlamento sono spesso validi soltanto quando raccolgono al meno il 50% dei suffragi dei Membri. Per analogia, un voto popolare non potrebbe essere valido ove il 50%
della gente non votasse.
Bisogna pure ricordare che i quorum partecipativi siano in
fondo impossibili per le elezioni parlamentari e municipali.
In fin dei conti, se non si fossero mai raggiunti tali quorum,
il sistema legislativo ed amministrativo si insabbierebbe
completamente. Non ci sono quindi buone ragioni di non
avere un quorum per questo tipo di elezioni, pur insistendo
ad averne uno per i referendum. Se viene richiesto al gruppo, che prende la decisione tramite il referendum, di essere
« sufficientemente rappresentativo », allora la stessa esigenza va richiesta a fortiori (sia pure perfino più rigorosamente
ancora) per le elezioni parlamentari. Supponiamo che un
quorum partecipativo del 25% sia stabilito per un referendum e, nello stesso tempo, non ci sia nessuno quorum per
le elezioni parlamentari. Un referendum, nel quale partecipa
il 20% dell’elettorato verrebbe dichiarato non valido. Ma un
Parlamento, che verrebbe eletto solo dal 5% dell’elettorato
potrebbe ancora prendere decisioni « legittime » – decisioni fondate sulla partecipazione media di cittadinanza del 5%
– allorché il risultato annullato del referendum può menar
vanto di una partecipazione cittadina diretta del 20%. Questo è illogico. In oltre, il mandato affidato al Parlamento è di
una portata molto più grande di quella del mandato donato
ai votanti effettivi, in seno al referendum, da quelli che sono
rimasti a casa. In fin dei conti, non si può dire niente quanto
alla portata delle decisioni che verranno prese dai membri
del Parlamento. Nel corso di una sessione parlamentare,
nuovi temi e provvedimenti legislativi, che non potevano
essere previsti, vengono continuamente messi all’ordine del
giorno.
Tuttavia, l’analogia è falsa. Abbiamo visto in effetti che il Parlamento, nell’insieme suo, equivale logicamente a quelli che
votano in seno al referendum, e non equivale alla totalità degli elettori abilitati. Un Membro del Parlamento ha un contratto vigente con i cittadini : egli od ella, viene impegnato(a)
in questo contratto per un periodo determinato, affinché egli
od ella avvii alla presa decisionale nella misura in cui i cittadini non vogliano decidere per se stessi. Il Membro del Parlamento deve quindi teoricamente essere sempre presente
pertanto alle votazioni parlamentari. Se, egli od ella, non vi
assiste per ragione intenzionale, c’è rottura del contratto con
gli elettori. Il quorum del 50% in Parlamento è un pallido
riflesso di tale obbligazione. Esso non è un provvedimento
felice, perché opera in favore ad una polarizzazione tra maggioranza e minoranza in seno al Parlamento stesso. Nelle
sua piega, tale polarizzazione è inconciliabile col contratto
esistente tra i Membri della minoranza parlamentare e gli
elettori loro. Se questi Membri usciti dalla minoranza sono
effettivamente nella minoranza, essi possono rivendicare con
giusto titolo che la loro presenza nel Palamento sia divenuta
inutile : non possono più influenzare in effetti le decisioni.
Pertanto diventano anche incapaci di onorare i loro contratti
con gli elettori, ciò che non è per colpa propria, ma il risul18
tato del bloccaggio dai colleghi della maggioranza. Sarebbe
meglio sostituire al quorum del 50% una regola secondo cui
l’assenza di un Membro del Parlamento sarebbe sanzionata
da destituzione e supplenza con un candidato non eletto da
un altro partito.
zione delle tasse che sopporta, allorché nello stesso tempo
la gente esige che il governo fornisca gli stessi servizi statali, o ancora migliori. » In accordo con questo i professori
difendono quindi l’esclusione delle questioni concernenti
essenzialmente o principalmente l’imposta fiscale o provvedimenti sul bilancio dello Stato. Il loro argomento non è
solamente antidemocratico ; è ugualmente falso in quanto
essi non menzionano l’esempio palesemente contraddittorio
della Svizzera. Laggiù, non c’è nessuna restrizione sui referendum relativi a questioni fiscali, senza che per questo ciò
danneggi seriamente il bilancio dello Stato federale (si vede
anche i capitoli 5° e 6°).
La sfera d’autorità del referendum
Deve essere possibile tenere un referendum su tutte le questioni per le quali una decisione rappresentativa è pure possibile. Negare ai cittadini il diritto di presa decisionale diretta
a proposito di certe questioni, equivale ad entrare in conflitto col diritto d’iniziativa. Però la presa decisionale diretta va
sottomessa alle limitazioni che si applicano ugualmente alla
presa decisionale rappresentativa.
Diritto di petizione
Un piccolo gruppo di cittadini (ossia, ad esempio, 0,1%
dell’elettorato, con approssimativamente 45 000 sottoscrizioni in Gran Bretagna) deve essere in grado di sottomettere
una petizione all’ordine del giorno del Parlamento (diritto
di petizione), anche se un numero insufficiente di firme
fossero raccolte per ottenere un referendum. É un risultato
diretto della natura stessa del Parlamento: è l’istituzione in
cui vengono prese decisioni pertinenti in quanto i cittadini
non vogliono decidere. Il fatto che parecchie migliaia tra loro
sottomettono una petizione fa ipso facto di questo tema una
questione socialmente pertinente.
Ci sono tre punti particolarmente importanti in questo contesto :
•La presa decisionale deve aver luogo al livello che le spetta.
Ad esempio, non si può riformare l’ente assicurativo statale
(con cassa previdenza e cassa malattie) a livello provinciale,
od abolire la generazione di potenza nucleare a livello municipale.
•Le proposte sottomesse al voto devono essere in accordo
con i diritti fondamentali e le libertà tali quali vengono stabiliti dalla Costituzione e nei Trattati internazionali concernenti i Diritti dell’Uomo.
•Tuttavia, la gente deve aver il diritto di modificare la Costituzione mediante il referendum e si deve anche concederle
un diritto di controllo democratico sull’adesione ai Trattati.
Questi ultimi devono sempre stipulare una scadenza di validità e di compimento. In tutti gli altri casi, la sovranità del
popolo verrebbe ristretta di un modo inaccettabile.
Diritto di petizione e referendum d’iniziativa cittadina vengono collegati in una procedura di democrazia diretta a molte
tappe. Un’iniziativa cittadina si avvia in quanto gruppo di petizione. Se, ad esempio, 43 800 sottoscrizioni vengono raccolte, la proposta dei cittadini viene presa in considerazione dal
Parlamento. Se questo l’attua, l’iniziativa si ultima. Nell’altro
caso, l’iniziativa dei cittadini può costringere al referendum
se essa ottiene un numero molto più elevato di sottoscrizioni
(per esempio, il 2% dell’elettorato, sia pressappoco 900 000
persone in Gran Bretagna). Gli elettori vanno informati allora sulle raccomandazioni od osservazioni del Parlamento,
ciò che verrà a nutrire significantemente il dibattito sociale
avviato. Il Parlamento può utilizzare il diritto suo di suggerire una proposta alternativa in più di quella del popolo. In
seguito, durante il referendum, gli elettori hanno la scelta tra
tre alternative: lo status quo o la proposta del popolo o l’alternativa parlamentare (questo tipo di provvedimento esiste in
Baviera). Incidentalmente, tale forma di regola può garantire
l’esistenza di un legame stretto tra il Parlamento ed il popolo
(si vede anche il capitolo 6°).
L’élite politica ha una forte inclinazione, suscitata dalla diffidenza, ad escludere la presa decisionale mediante democrazia diretta. Tale atteggiamento non s’incontra solo tra leaders
politici, ma anche tra universitari e professori. Un esempio ci viene fornito dalle « Raccomandazioni del Comitato
scientifico per la Commissione del rinnovamento politico »
(2000) all’intenzione del Comitato parlamentare belga, i cui
Membri si preoccupano di tale rinnovamento politico. Vi si
legge : « Le questioni d’imposte fiscali vengono escluse dal
voto popolare nella più parte dei paesi : la ragione è fondata sul timore giustificato che, tramite il referendum od il
consenso popolare, la gente sceglierà sempre una diminu-
2-1: L’assemblea pubblica
Assemblee pubbliche similari sorgono in molti luoghi in
Europa alla fine del Medioevo. Lecomte (1995, 2003), ad
esempio, descrive le consuetudini nella piccola città belga
di Fosses-la-Ville, che apparteneva alla diocesi del principato di Liègi. Conosciamo così l’organizzazione esatta
dell’amministrazione locale di Fosses-la-Ville mediante un
carta dell’11 dicembre 1447. Il gestire quotidiano della città
veniva assicurato da una Consulta eletta una volta all’anno.
L’assemblea pubblica è la più antica e la più semplice
manifestazione di democrazia.
Nell’Atene di Pericle, (dal 450 al 430 a.C), l’assemblea pubblica (ekklesia) era l’autorità suprema, la quale approvava leggi
e prendeva decisioni di guerra e pace. L’assemblea pubblica ateniese non permetteva nessuna rappresentazione che
avesse ripreso il suo ruolo o la sua autorità. Il principio di
uguaglianza non era apparso ancora. Solo i « cittadini » (nel
senso della parola di quest’epoca) erano ammessi nell’assemblea pubblica. Gli schiavi ne erano esclusi. Nell’epoca
di Pericle, c’erano pressappoco 30 000 cittadini a confronto
di 100 000 - 250 000 schiavi. I cittadini non avevano voti
uguali: possedimenti giocavano un ruolo maggiore.
I capifamiglia della città si riunivano a questo scopo nella
torre bassa all’ingresso della cittadina di Fosses e designavano i membri del Consiglio comunale tramite un voto a
maggioranza semplice. Dopo il Quattrocento, queste assemblee pubbliche vennero tenute in ogni quartiere, ma
il sistema rimase lo stesso. Non solo i cittadini della città
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stessa partecipavano alla votazione, ma anche i « borghesiambulanti », che venivano dalla campagna circostante (non
residenti, essi non godevano per nulla dei diritti di cittadinanza).
presenta pressappoco 3 000 persone. Se ci sono questioni
controverse all’ordine del giorno, questo numero aumenta
di solito. Si vota colla mano alzata, voti per i quali, « l’Abmehren » (la verifica di chi ottiene la maggioranza) incontra
talvolta difficoltà.
Le riunioni delle assemblee pubbliche vennero chiamate
« Généralités » (nel senso italiano di « Generalità », ndt).
Queste « Généralités » non designavano soltanto il Consiglio comunale stesso, dato che avevano pure il potere di
trattare ogni questione importante. Il Consiglio comunale
stesso non poteva prendere decisioni, ma era incaricato di
convocare l’assemblea pubblica. Lecomte riassume i poteri
seguenti che dipendevano così dalle prerogative inerenti
alla « Généralité »:
In più dell’elezione della Standeskommission (Consiglio dello stato civile), del Landamann (una specie di Presidiente
del Consiglio) e del Kantongericht (Tribunale cantonale), le
questioni obbligatorie nell’ordine del giorno della Landesgemeinde sono le seguenti:
•Una modifica eventuale della Costituzione cantonale;
•Tutte le leggi ed emendamenti agli statuti che sono stati
preparati dal Großer Rat (Gran Consiglio);
•Tutte le proposte di spesa pubblica oltre 500 000 franchi
svizzeri o di spese almeno di 100 000 franchi svizzeri,
rinnovate su un periodo almeno di cinque anni (Finanzreferendum, dal 1976);
•Leggi ed emendamenti alla Costituzione cantonale proposti dai cittadini e per i quali basta una sola sottoscrizione;
•Ove un solo cittadino lo richiedesse: ogni decisione di
spendere al meno 250 000 franchi svizzeri od al meno
50 000 franchi svizzeri all’anno, per un periodo di cinque
anni al meno.
•Pubblicare nuovi regolamenti e statuti;
•vendere od ipotecare proprietà e beni comunali;
•decidere lavori pubblici importanti;
•approvare il bilancio annuale;
•decidere la riscossione delle imposte e tasse.
La funzione maggiore consisteva nel convocare la « Généralité » ogni volta che una decisione fosse necessaria in uno
di questi campi. La funzione del Consiglio comunale era
principalmente di tipo esecutivo: era responsabile dell’ordinaria amministrazione e dell’esame degli affari correnti, però per quanto concerneva nuovi principi e decisioni
importanti, questi necessitavano sempre di venir approvati
direttamente dai cittadini stessi. Lecomte sottolinea a buon
diritto la differenza qualitativa tra il regime di democrazia
diretta di Fosses di tal epoca ed il sistema corrente attuale,
in cui non sono più i cittadini stessi a prendere oggi decisioni importanti, ma solo i membri del Consiglio comunale: « ...tra il Consiglio comunale di Fosses nel Medioevo
e il medesimo odierno, esiste una differenza essenziale.
Nei nostri giorni, il Consiglio decreta i regolamenti urbani e vota le imposte comunali. Niente di simile c’era nel
Trecento. Il potere legislativo comunale apparteneva essenzialmente alla « Généralité », cioè all’assemblea generale
dei borghesi invitati a decidersi su tutti gli affari che, oltre
l’amministrazione corrente, riguardavano la causa degli
interessi della comunità urbana. » [Il testo originale: « …
entre le conseil communal de Fosses au moyen âge et le même
conseil d’aujourd’hui, il existe une différence essentielle. De nos
jours, le conseil édicte des règlements urbains et vote des impôts
communaux. Rien de tel n’existait au XIVe siècle. Le pouvoir
législatif communal appartenait essentiellement à la « Généralité », c’est-à-dire à l’assemblée générale des bourgeois invités à se
prononcer sur toutes les affaires qui, en dehors de l’administration courante, mettaient en cause les intérêts de la communauté
urbaine. »(Lecomte 2003, p.154).
Pertanto, nessuna legge può imporsi per forza in Appenzell
Innerhoden senza che prima venga approvata dall’assemblea pubblica. Ogni cittadino ha il diritto di parola durante
l’assemblea pubblica. Non ci sono provvedimenti restrittivi del numero degli oratori o della durata del discorso. In
pratica questo non cagiona difficoltà dato che gli interventi
sono concisi e vengono rapidamente al fatto, senza ripetersi. (Hutter, 2001; Carlen, 1996).
In diversi Stati del Nord-Est degli Stati Uniti, una tradizione amministrativa esiste pure fondata su ciò che si chiama
laggiù « Open Town Meetings’ » (OTMs) [Assemblee Aperte della città, ndt], la quale può farsi risalire direttamente ai
Pilgrim Fathers [(Padri) Pellegrini, ndt] (Zimermann, 1999).
L’ente amministrativo più elevato, nella comunità non è un
Consiglio comunale eletto, ma un’assemblea pubblica aperta (OTM). L’OTM si riunisce una volta all’anno. Tutti gli elettori registrati della comunità possono prendere la parola e
votare nell’assemblea. Questa viene convocata dal « Board of
Selectmen », un comitato, i cui membri sono stati designati
dalla riunione precedente dell’OTM, che opera nel frattempo come una specie di consiglio esecutivo dell’OTM.
Un cittadino può fare iscrivere questioni all’ordine del giorno. Ciò esige: sia un centinaio di sottoscrizioni in appoggio
da parte degli elettori registrati, sia (nei piccoli municipi) le
firme della decima parte degli elettori registrati. I Selectmen
stessi possono iscrivere questioni all’ordine del giorno ed
includere temi che vengono sottomessi da parte dell’amministrazione della città e da altri comitati e consigli.
Nei nostri giorni ancora, almeno il 85% dei municipi svizzeri vengono amministrati dall’assemblea pubblica (Kriesi
1992, p.113). Al livello cantonale, l’assemblea pubblica (Landesgemeinde) esiste solo nell’Appenzell e nel Glarus. Queste
assemblee risalgono al tardo Medioevo (il più antico documento racchiudente decisioni adottate dalla Landesgemeinde
risale al 1294) e sono collegate possibilmente colla tradizione del « Thing » degli antichi Germani o Scandinavi.
Partecipanti alle OTM vengono provveduti da parecchie raccomandazioni. In alcuni municipi, l’OTM plenaria è preceduta da una riunione preparatoria d’informazione, durante
la quale i cittadini possono informarsi sulle diverse raccomandazioni provenienti dai diversi comitati concernenti i
più degli argomenti sottomessi al voto. Il « town counsel »,
un avvocato specializzato sulla legislazione comunale, gioca un ruolo importante nell’OTM stessa.
La Landesgemeinde del Cantone di Appenzell Innerhoden si
riunisce una volta all’anno, nella piazza del mercato, centro
della città di Appenzell, l’ultima domenica di aprile. In genere, il 25 a 30% dei cittadini vi si recano a votare, ciò rap20
2-2: Biocottaggio con soglie participative
Si vota a mano alzata, ovvero alzandosi, ma per quanto concerne certe questioni ardue c’é ricorso allo scrutinio segreto. In questo caso il problema è il consumare tempo (solitamente tre quarti d’ora per votare e far lo spoglio). Tuttavia
il ricorso allo scrutinio segreto è essenziale per evitare la
pressione sociale nel caso di questioni controverse.
I referendum comunali in Germania illustrano in abbondanza l’opera distruttrice dei quorum partecipativi imposti.
Nel Bade -Vurtemberg, il referendum comunale venne introdotto nel 1956 (non lo fu mai negli altri Stati tedeschi prima degli anni 1990). Però, la legislazione del Bade è molto
restrittiva. Una delle limitazione più serie, è la regola del
quorum: almeno il 30% dell’elettorato deve votare a favore
di una proposta cittadina, altrimenti essa viene annullata.
Decisioni dell’OTM possono sempre essere abrogate per
via referendaria. Nel Massachusetts, sottoscrizioni di 300
elettori registrati vengono richieste, e la decisione dell’OTM
sarà annullata solo se almeno una maggioranza del 20%
degli elettori registrati scelgano di farlo. In certe circostanze
particolari, possono riunirsi OTMs supplementari.
Questa regola dà più peso ai voti degli opponenti all’iniziativa cittadina che ai voti di quelli che la sostengono, dato che
i « voti No » risultanti dalle astensioni, vengono aggiunti ai
« voti No » di quelli che sono effettivamente opposti all’iniziativa.
Quanti cittadini prendono parte a questo town meeting? Negli USA, ci si deve iscrivere sulle liste elettorali. Le percentuali indicate concernono quattro Stati con OTMs integrali: Maine : 28,17% ; Vermont : 26,03% ; New Hampshire :
22,60% ; Massachusetts : 11,89%. In realtà tali percentuali
dovrebbero essere accresciute del 10% all’incirca, dato che
un decimo dei nomi sulle liste elettorali sono quelli di elettori che si sono trasferiti nel frattempo. A seconda dello studio dello Zimmermann (1999), il tasso di presenza sembra
dipendere fortemente dall’ampiezza della comunità. Nelle
comunità di meno di 500 abitanti, più del terzo sono presenti di solito. Nelle città del Connecticut, con più di 20
000 residenti, il tasso partecipativo è dell’1% (Zimmerman,
p.165; numeri dal 1996). Tassi di presenza molto bassi sono
stati osservati nelle comunità in cui i poteri dell’OTM sono
limitati.
Il referendum di Reutlingen (nel 1986), a proposito della
costruzione di un ricovero antiaereo, illustra assai bene
quest’effetto. Il 20 marzo del 1986, il Consiglio comunale
(maggioranza CDU) decise di costruire un riparo blindato per la protezione civile. Si erse subito e rapidamente ci
fu un’iniziativa cittadina contro il bunker con i sostenitori includenti i Verdi ed il SPD, ed il 18 aprile seguente, le
sottoscrizioni necessarie vennero sottomesse in vista della
tenuta di un referendum sulla questione.
Il Consiglio comunale e la CDU inscenarono allora un boicottaggio deliberato contro tal iniziativa. Ogni partecipazione alle discussioni di sera ed altre, venne sistematicamente
rifiutata. Nell’ultima settimana precedente il voto, la CDU
ruppe brutalmente il suo silenzio mediante un’informazione ed un libello, propagato in forma di un supplemento editoriale del giornale, firmato dal sindacato, tra altri. Questo
era un incoraggiamento svergognato al boicottaggio delle
elezioni che diceva: « I professionisti e le teste fredde devono agire a presente di un modo giudizioso – non affatto
emozionale, ma mediante un atteggiamento elettorale astuto. Potrete stare così giustamente a casa la domenica che
viene; dopo tutto, vi si domanda solamente di votare contro
la costruzione del bunker. Anche se non votate, esprimerete
in qualunque modo la vostra approvazione alla decisione
presa dal Consiglio comunale. Avete ampiamente fatto affidamento sulla CDU per molti anni. Potete ugualmente
farci affidamento su questa questione. »
Lo Zimmerman (pp.173-174) interrogò i funzionari comunali a proposito della qualità del dibattito in seno all’OTM.
Nel Massachusetts , il 82% considerano questa qualità quale « eccellente » o « buona », il 16% quale « ragionevole »
ed il 2% quale « dubbiosa ». Lo Zimmerman gli domandò
pure di stimare il valore decisionale. Nel Massachusetts, il
85% dei funzionari pensano che le decisioni siano « eccellenti » o « buone », il 14% che esse siano « ragionevoli » e
il 1% « dubbiose ». Le percentuali sono simili a quelli degli
altri stati.
Nella citta di Porto Alegre, nel Sud del Brasile, un nuovo
sistema, in vista della preparazione del bilancio comunale
tramite democrazia diretta, è stato stabilito dal 1989 (Abers,
2000), per mezzo delle assemblee pubbliche. Questo sistema venne introdotto dal partito di sinistra Partido dos trabalhadores, che riportò una vittoria elettorale importante nel
1988. Nelle assemblee pubbliche, i residenti della vicinanza
decidono le loro priorità per l’investimento nel servizio pubblico e eleggono dopo rappresentanti che, a un livello più
elevato – quartiere e città – organizzano e seguono le decisioni prese dai servizi comunali. Oltre le assemblee pubbliche locali, ci sono anche riunioni tematiche , ad esempio,
« sull’insegnamento » o « l’economia e le imposte ».
Il risultato fu che solo 16 784 elettori sui 69 932 registrati
parteciparono al voto; 2 126 soltanto votarono a favore del
bunker. Ma l’iniziativa cittadina fece fiasco sulla soglia partecipativa del 30%, malgrado il fatto che solo il 3,4% degli
elettori approvassero il bunker. La regola del quorum partecipativo aveva permesso in fin dei conti ad una piccola
maggioranza della gente di saper in che modo cavarsela
contro un’ampia maggioranza. Diversi altri municipi nel
Bade-Vurtemberg tennero referendum comunali su disegni
simili di riparo. Dappertutto ci fu un’ampia maggioranza
contro la costruzione di tali infrastrutture che la gente considerava del tutto inutili. (Un sondaggio d’opinione segnalò
che il 70% degli abitanti del Bade-Vurtemberg si opponeva al riparo blindato). In Nürtingen, un municipio vicino
a Reutlingen, ci fu anche un’iniziativa cittadina contro un
simile bunker. Ma la CDU locale non chiamò al boicottaggio. Il risultato fu che il 57% dell’elettorato prese parte alla
Le assemblee pubbliche generano una forma molto viva di
democrazia diretta, e sono certamente assai praticabili a livello locale. Tuttavia, l’assemblea pubblica presenta ugualmente qualche svantaggio nei confronti del referendum.
L’assenza dello scrutinio segreto è l’obiezione fondamentale
più importante. In oltre, l’assemblea pubblica richiede uno
sforzo da compiere in un momento molto preciso e questo
esclude più facilmente alcuni elettori dalla partecipazione.
21
votazione referendaria e dunque il 90% degli elettori ricusarono la costruzione del bunker. In questo caso, l’iniziativa
cittadina incontrò successo. In un altro municipio, Schramberg, l’iniziativa cittadina contro il disegno di riparo blindato fu anche riuscita, malgrado l’appello al boicottaggio della
CDU. Il testo dell’appello al boicottaggio della CDU venne
divulgato prematuramente sicché gli opponenti al bunker
ebbero ancora il tempo di rispondere e bloccare la manovra.
I giornali locali pubblicarono parimenti le critiche all’appello al boicottaggio della CDU. In fin dei conti, il 49,25%
dell’elettorato di Schramberg prese parte nel referendum:
l’88,25% votò contro il ricovero blindato, cosicché il quorum partecipativo minimo del 30% fu conseguito.
to gli auspici della nuova legge fu quindi immediatamente
vittima di un appello al boicottaggio perfettamente riuscito.
A Gand, il 14 dicembre del 1997, venne tenuto un referendum d’iniziativa cittadina a proposito di un disegno
sostenuto dal Consiglio comunale. Questo contemplava la
costruzione di una rimessa per automobili al centro della
città designato come il « parcheggio Beaufort ». Il Consiglio
aveva deciso in anticipo che avrebbe considerato il risultato come obbligatorio, ma il SP ed il VLD, che formano la
coalizione maggioritaria a Gand, chiamarono gli elettori a
boicottare lo scrutinio. In quest’occasione, il boicottaggio
non riuscì ma con uno stretto margine, poiché il 41,12%
dell’elettorato venne presento e votò col 95% contro il disegno di parcheggio.
Un boicottaggio può anche venir condotto a seconda di direttive organizzative. Un esempio ben noto ci viene dalla
città di Neuss, in cui il primo referendum comunale nella
Vestfalia del Nord, venne tenuto il 3 settembre del 1995.
L’argomento era la costruzione di un albergo vicino alla
città che avrebbe distrutto in qualche modo la cintura di
verzura della città. La maggioranza CDU giunse a rovinare
il voto pubblico per la soglia partecipativa imposta al 25%.
Si sa generalmente che quando referendum in grandi città concernano disegni di costruzione in un solo quartiere
specifico, relativamente poca gente voterà, perché non si
sente toccare dalla questione o ha l’impressione che una
mancanza d’informazione sulla situazione locale le impedisca di decidere lealmente. (Un referendum ad Anversa, sul
disegno di un giardinetto pubblico comunale ad Ekeren,
ad esempio, attirerà pochissimi elettori dagli altri quartieri,
quali il Sud e Hoboken, la cui maggioranza dei residenti
non si sono recati mai in persona a Ekeren.) Il Consiglio comunale di Neuss mise in opera una serie di provvedimenti
per scoraggiare gli elettori.
In Sint-Niklaas, il 28 giugnio del 1998, venne organizzato un
referendum a proposito di un altro parcheggio sotterraneo
questa volta. Come in Gand, il quorum fu giusto compiuto:
il 40,28% di partecipazione dell’elettorato. Il 92% votarono contro il plano di parcheggio. Il voto fu a un pelo da far
fiasco, perché il maggiore partito di Sint-Niklaas, i Cristiani
Democratici CVP ed il partito locale NCMV (organizzazione
di negozianti), avevano chiamato gli elettori a non votare.
« Il referendum è una formula cattiva. Chiunque voti « Sì »
non fa che assicurare che quelli che votano « No » raggiungano il 40% del quorum richiesto. Il votante « Sì » farebbe
meglio a restare a casa », a seconda del capo locale del CVP,
Julien Vergeylen (giornale Gazet van Antwerpen, il 17 giugnio del 1998). Il Leader socialista, Freddy Willockx dichiarò: « Il problema è che, a cagione dell’appello al boicottaggio
del CPV, non abbiamo un’immagine obiettiva di quello che
la gente voglia veramente. C’è probabilmente il 70 -80% degli elettori di Sint-Niklaas ad essere effettivamente opposti
al parcheggio, ma non sapremo mai questo con certezza. » (Gazet van Antwerpen, il 29 giugnio 1998).
Votazione mediante la posta non fu autorizzata (sebbene
per l’elezione del Consiglio comunale stesso, il 15% dei voti
raggiungessero le urne attraverso la posta). Al posto del
cento di uffici elettorali messi a disposizione per l’elezione del Consiglio comunale, solo il 30% vennero aperti per
il referendum. Risultato: solo il 18,5% dell’elettorato prese
parte alla votazione. Tra quello, è vero che il 80% era contro
il piano d’albergo del Consiglio comunale, ma per la soglia
non raggiunta, l’iniziativa cittadina non riuscì.
Sebbene venisse abbassato il quorum ulteriormente (ed invece, la soglia del numero delle sottoscrizioni elevata); dopo
queste esperienze dubbiose ed altre, ci sono state assai poche alternative da quel periodo.
L’Italia ha appena fornito gli esempi perversi più recenti.
Il 18 aprile del 1999, vi si tenne un referendum nazionale
per riformare il sistema elettorale. La riforma era sostenuta
dalla maggior parte dei partiti politici; il 49,6% dell’elettorato vi partecipò ed il 97% tra loro approvò la riforma. Ma
gli elettori si sono dati da fare per niente, poiché il quorum
del 50% non fu raggiunto per pochissimo, e la riforma arrestata. Un fatto interessante: nel Sud dell’Italia, la mafia chiamò attivamente al boicottaggio ed il 40% di partecipazione
a Napoli era ben inferiore alla media nazionale. La mafia,
decise che i suoi candidati venissero più facilmente eletti
preservando il sistema elettorale attuale e, dunque essa manipolò il quorum partecipativo di modo che vincesse contro
la maggioranza pubblica del 90%.
In Belgio, il 10 aprile del 1995, una legge fu applicata che
provvedeva a referendum non obbligatori e non-imposti a
livello comunale. Un quorum partecipativo venne fissato
al 40% dell’elettorato; qualora meno del 40% degli elettori
avessero partecipato al referendum, i voti dovevano essere
distrutti senza spoglio.
Nonostante che i referendum non fossero né imposti né obbligatori e che in oltre, un’alta soglia di sottoscrizioni venisse
imposta al 10%, questo condusse ad iniziative in numerose
città. Nel 1996, nei municipi di Gand ed As, nel Limburgo,
i cittadini esigerono un referendum sulla costruzione di un
complesso commerciale sul sito di una mina in disuso. Nel
municipio di As, il Consiglio comunale decise di rifiutare il
referendum ma una votazione ebbe luogo in Gand il 13 ottobre del 1996. Solo il 37,47% degli elettori partecipò alla votazione e, in nome della democrazia belga, i voti non furono
contati ma distrutti. Le organizzazioni delle classi medie ed
un partito della sinistra estrema avevano in effeti chiamato
la gente a non votare. Il primo referendum che si teneva sot-
Purtroppo, tali campagne di boicottaggio succedono regolarmente in Italia. L’ultimo esempio è il referendum
del 12 e 13 giugno del 2005, nel quale quattro proposte
per una liberalizzazione della legge altamente restrittiva sulla procreazione assistita, vennero sottomesse al
voto referendario. Con l’appoggio del Papa Benedetto
XVI°, il Presidente della Conferenza episcopale, il Cardinale Ruini – felicemente chiamato in questo caso –
22
chiamò attivamente al boicottaggio. « Il Cardinale Ruini pensò che non votare fosse il migliore mezzo per
ricusare le proposte. Dopo tutto, un referendum è solo
valido se almeno la metà degli elettori votano. Dato il
fatto che era già provato che se quelli che avrebbero
votato « Sì » sarebbero stati chiaramente nella maggioranza, votando « No », i Cattolici non avrebbero altro che contribuire a raggiungere il quorum e quindi
avrebbero rafforzato involontariamente il campo del
« Sì »; tale fu il suo ragionamento », come lo riferisce
il nuovo sito Internet: : KatholiekNederland.nl (http://
www.katholieknederland.nl/actualiteit/2005/5/nieuws_568842.html).
E la strategia di Ruini fu pienamente ricompensata:
la partecipazione venne meno del quorum richiesto e
dunque il referendum fallì.
per il cui Van den Enden usò il termine di « libertà equa ».
Egli formulò il principio di sovranità popolare nel senso più
forte della parola. Mise in guardia – a giusto titolo come
possiamo vederlo oggi – contro il creare di una classe politica che avrebbe servito interessi propri. Van den Enden
argomentò sul fatto che il popolo fosse il meglio per prendere esso stesso decisioni politiche e pensava che assemblee
pubbliche fossero state i migliori sistemi per raggiungerlo.
Van den Enden notò che tale risultato della deliberazione e
presa decisionale comune, in seno a queste assemblee, avesse aumentato considerevolmente la conoscenza e le abilità
politiche del popolo. Aveva veramente un concetto ristretto
del « popolo » in questo contesto : soli uomini che si assicuravano il proprio sostentamento erano abilitati a votare.
Gli uomini che non vi riuscivano e le donne, non andavano
autorizzati a partecipare all’assemblea pubblica (in questa
misura, la sua teoria d’uguaglianza diventava inconsistente). Egli proponeva che nella prima assemblea pubblica i
cittadini dovessero fare una dimostrazione bruciando tutti i
regolamenti e leggi esistenti che garantivano poteri speciali
o privilegi alla nobiltà ed al clero. Egli credeva che tali comunità di democrazia diretta autentica (ed anche città) potessero stabilire legami federativi reciproci. Tutto quanto fece di
lui il primissimo teorico della democrazia diretta. Van den
Enden argomentò anche in favore del libero porto d’armi dai
cittadini, sicché altri sovrani non fossero stati più in condizione di spogliarli dei diritti democratici loro.
Questi generi d’esempi portano ad una conclusione semplice: i quorum partecipativi sono intrinsecamente cattivi.
Conferiscono un peso ineguale tra la votazione dei sostenitori e quella degli opponenti ad un’iniziativa, essi cagionano quindi l’appello al boicottaggio e negano il ruolo del
mandato nella presa decisionale diretta.
2-3: Frans van den Helden
Per lungo tempo, il filosofo olandese Spinoza venne considerato quale il primo ad avere dato le basi filosofiche della
democrazia – sovranità popolare e libertà di parola relativa.
Ciò fece di lui il rappresentante tipico di ciò che lo storico
Jonathan Israel (2002) chiamò « le Lumi radicali ». Alcune
persone famose, considerate quali rappresentanti dell’Epoca
della Ragione – Newton, Locke e Montesquieu, ad esempio
– sono infatti rappresentative dell’epoca moderata della Ragione. Credenze di Locke sono rappresentative di tal epoca.
Egli argomentò a favore della tolleranza e della libertà nella
credenza religiosa per ogni sorta di convinzione cristiana,
però non per gli atei – in quanto questo implicava il rigetto
del fondamento morale – neanche per i cattolici, in quanto
essi riconoscevano un’autorità estrinseca, il Papa. I propugnatori dell’epoca moderata della Ragione lottarono contro
quelli dei « Lumi radicali » e questi ultimi ebbero sovente
da operare in segreto.
Van den Enden considereva che la democrazia fosse inestricabilmente legata ad una libera vita culturale. « La cosa più
pietosa nello Stato è che nessuna libertà venga lasciata al
popolo per consentirgli di proclamare ogni cosa che consideri al meglio dell’interesse pubblico…» Nessun ostacolo va
posto sul cammino di chiunque, nemmeno degli stranieri,
là dove si trattano opinioni personali e religiose. Van den
Enden sostenne il principio di solidarietà mutua in rapporto con i bisogni fisici del popolo. Centrale, era nelle sue idee
il diritto di lavorare. Lo Stato impone de facto l’appartenere
allo Stato a tutti quelli che sono nati all’interno dei suoi confini : viene giustificato questo solo se lo Stato fornisce simili
livelli uguali di beneficio tra tutti i suoi membri. Egli sviluppò anche argomenti in favore dell’introdurre impianti
medici e sociali e rigettò categoricamente il dare umiliante
dell’elemosina da parte dei ricchi e della Chiesa.
Nel 1990, però Wim Klever, uno specialista di Spinoza, scoperse che questi avesse preso le sue idee dal suo precettore,
Franco van den Enden (1902-1974). Van den Enden nacque
da Anversa, ma si rifugiò ad Amsterdam, dove fondò una
scuola privata in cui Spinoza venne istruito. Klever scorse
che van den Enden era l’autore di due opere rivoluzionarie
pubblicate di modo anonimo: « Kort Verhael Van Nieuw Nederlants » (Breve conto della Nuova Olanda) nel 1662 e « Vrije Politijke stellingen » (Libere proposte politiche), nel 1665 ;
ambedue ripubblicate dal Klever nel 1992.
Pressappoco 125 anni prima della Rivoluzione francese,
Franco Van den Enden aveva già sposato il triplice ideal
suo: libertà, uguaglianza e fratellanza. Mentre rivoluzionari francesi lanciavano questa parola d’ordine in una forma
totalmente indifferenziata, Van den Enden vi portava molto
più discernimento: metteva in effetti in relazione la libertà
colla vita culturale (libertà di parola e religiosa), l’uguaglianza con i sistemi politico e giuridico e la solidarietà colle necessità materiali del popolo (si vede anche il capitolo 3°).
Van den Enden fu il primo ad argomentare in favore
dell’uguaglianza politica (tra gente più o meno intelligente,
più o meno agiata, il genere femminile e maschile, sovrani
e soggetti, ecc.) ; Van den Enden dichiarò esplicitamente che
l’uguaglianza politica non volesse dire « tener conto di ».
Fece valere che ogni esser umano fosse un individuo unico
con talenti e caratteristiche specifici e che l’uguaglianza politica non dovesse per niente alterarli. L’uguaglianza nutre
la pace. Leggi devono provvedere a ciascuno uno spazio di
sviluppo, d’espressione e di pensiero, di un modo equo –
Van den Enden si trasferì in seguito a Parigi dove venne
arrestato per aver partecipato a un complotto contro Ludovico quindicesimo. Il 27 novembre 1674, venne condannato
all’impiccagione sulla piazza della Bastiglia. Se vengono paragonati i contenuti delle sue « Libere proposte politiche »
colla situazione odierna, è chiarissimo che i più degli obiettivi formulati da lui, ecco pressappoco trecentocinquanta
anni fa, rimangono ancora in attesa d’attuazione.
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3. Federalismo, sussidiarità e capitale sociale
Chiesa e democrazia – il principio
di sussidiarità
incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle necessità. Si persuadano dunque fermamente gli uomini di governo, che quanto più perfettamente sarà mantenuto l’ordine
gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio
della funzione suppletiva dell’attività sociale, tanto più forte
riuscirà l’autorità e la potenza sociale, e perciò anche più felice e più prospera la condizione dello Stato stesso. » La Chiesa cattolica non provó affetto per la democrazia. Fino
a una gran parte del Novecento, il Capo della Chiesa cattolica
difese la concezione che la Chiesa, in virtù dello statuto divino
suo, dovesse codeterminare l’azione politica. Ci si aspettava
prima di tutto dagli uomini politici cristiano-democratici che
seguissero le direttive di Roma. Cosí papa Pio X scrisse (nella
sua Fin dalla prima nostra enciclica) : « [XIV]. In compiere
le sue parti, la Democrazia Cristiana ha obbligo strettissimo
di dipendere dall’Autorità Ecclesiastica, prestando ai Vescovi
ed a chi li rappresenta piena soggezione e obbedienza. Non
è zelo meritorio, né pietà sincera intraprendere anche cose
belle e buone in sé, quando non siano approvate dal proprio
Pastore (Encycl. Graves de communi). »
(Per l’intera enciclica si vede : http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/pioxi1.htm)
La « sussidiarità », nell’ideologia democratico-cristiana, è
un concetto chiave. L’idea fondamentale consiste in ciò che
i livelli superiori deleghino il più dei compiti possibili ai livelli inferiori, in modo che vengano sollevati da lavori meno
importanti, i quali, per soprammercato, possono venir sbrigati di un modo più efficace propriamente da questi livelli
inferiori. Si prendano in oltre le mosse dal principio che nei
livelli inferiori ci sia – fino al livello della persona individuale
stessa – una rinuncia incontro all’ingiustizia della delega. Per
dire il vero l’iniziativa del delegare i compiti succede dall’alto verso
il basso. Il vertice determina quanto spazio di libertà conservino i livelli inferiori e se bisogni, e quando bisogni, annullare
od abrogare tale spazio di libertà. Ciò si esprime anche dallo
stesso concetto « subsidiarus », ossia quello che caratterizza
ogni persona appartenente alla « truppa di riserva » – i livelli
inferiori sono così veramente le truppe di riserva dei livelli
superiori.
Ma la Chiesa esigeva anche l’obbedienza della società in
complesso. Nell’enciclica « Immortale Dei » (1855), il Papa
Leone XIII poneva l’accento sul fatto che non era permesso
di collocare giuridicamente allo stesso livello diversi servizi divini. La Chiesa si è sempre attenuta a tale posizione in
seguito. Quale custode auto-illuminata della verità assoluta,
niente altro era possibile a fin dei conti per essa. Le esperienze in Polonia, Irlanda ed Italia, dimostrano che la Chiesa
tentò parimenti di trascrivere le sue posizioni sulla potenza
sovrana alla totalità della società, quando si vide in situazione
di farlo. Solo a partire dall’enciclica « Già per la sesta volta »
del Papa Pio XII, nel 1944, la Chiesa adotta in principio una
posizione a favore della democrazia (Woldring, 1966). La ripugnanza della Chiesa nei confronti degli ideali democratici
rende comprensibile la ragione per la quale gli uomini politici cattolici sono rimasti così fermi contro l’introduzione
del suffragio universale (in occasione del quale, d’altronde,
avanzarono argomenti che vengono oggi riutilizzati contro
la democrazia diretta).
Sussidiarità e federalismo
Il « federalismo » è l’opposto dalla « sussidiarità ». Nella società federalistica, il delegare deriva dall’individuo singolare.
Il federalista afferma anche che c’è un’ingiustizia quando
compiti non vengono delegati. Perché l’uomo è davvero un
esser sociale che può esistere solo nella comunità. Pero la
sussidiarità si distingue fondamentalmente dal federalismo.
Il federalismo prende le mosse dall’individuo, poiché tanto
la coscienza quanto la forza del giudizio morale, nonché le
esperienze d’amor e di dolore, s’incontrano nell’individuo.
Invece, gruppi non provano nessuna sofferenza e non hanno
tanto meno coscienza morale. Al contrario di questo, la sussidiarità prende le mosse da una potenza che sta al di sopra
degli uomini individuali e dal proprio volere il bene, crea uno
spazio di moto per le azioni dei livelli inferiori, nonché per
gli individui.
Dovremmo tuttavia rimanere prudenti quando udiamo dire
che la Chiesa cattolica abbia concepito una scienza politica,
nella quale il concetto di sussidiarità assuma un ruolo centrale. Nell’enciclica « Quadragesimo anno » (1931) questo viene
formulato di modo seguente : “[80] È vero certamente e ben
dimostrato dalla storia, che, per la mutazione delle circostanze, molte cose non si possono più compiere se non da grandi
associazioni, laddove prima si eseguivano anche dalle piccole. Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofa sociale [che verrà chiamato poi principio di
sussidiarità]: che siccome è illecito togliere agli individui ciò
che essi possono compiere con le forze e l’industria propria
per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una
maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori
comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno
e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché
l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del
corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle. [81]. Perciò è
necessario che l’autorità suprema dello stato, rimetta ad associazioni minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure
di minor momento, dalle quali essa del resto sarebbe più che
mai distratta ; e allora essa potrà eseguire con più libertà, con
più forza ed efficacia le parti che a lei solo spettano, perché
essa sola può compierle; di direzione cioè, di vigilanza, di
Lo slancio federalistico si lascia senz’altro unire all’ideale
democratico. Più ancora : democrazia diretta e federalismo
sono i due rovesci inseparabili della stessa medaglia democratica che li ingloba. Il concetto di sussidiarità, invece, non
si lascia unire alla democrazia globale, dato che prende le
mosse da una potenza esistente di primo acchito. Con la teoria della sussidiarità, il modello gerarchicamente edificato
della Chiesa venne trasposto nello Stato laico. Col concetto
federalistico, l’esser umano forma il livello superiore, poiché
sono finalmente gli individui a determinare quello che va delegato e a quale livello. Per i sostenitori del principio di sussidiarità, il diritto decisionale sta nello Stato (il quale viene
subordinato, per dire il vero, in una prospettiva ecclesiastica,
alla potenza « divina »), mentre gli individui singolari stanno
al livello più basso.
24
La Chiesa non ha forse scoperto il concetto di « sussidiarità »
– ma facendosene carico, l’ha diffuso con molto successo ;
Negli ambienti dell’UE, ad esempio, si è fortemente radicata l’ideologia della sussidiarità. In quegli ambienti si suole
parlare nel doppio senso degli indirizzi determinati (dal singolare verso la comunità e dalla comunità verso il singolare) nei quali si attuano le deleghe dei compiti, sicché ne è
risultata una compenetrazione gravida di conseguenze per
ambedue i concetti di « federalismo » e « sussidiarità ». Il termine « sussidiarità » viene adoperato attualmente da molta
gente che sogna dell’ideale federalistico. Ma anche per i federalisti illuminati, la confusione dei concetti genera spesso
conseguenze importanti. Sovente, essi dimenticano che una
struttura federalistica inizi di un modo logico nell’individuo.
Per loro, l’argomentazione a favore del principio federalistico
comincia a livelli sensibilmente più elevati, come quei delle
comunità o della società nell’insieme suo. Per quanto concerne livelli che stanno al di sotto, o per quello singolare,
riprendono senza nemmeno pensarci il vecchio concetto di
sussidiarità del Papa e della Chiesa. In questo modo, l’argomentazione a favore del federalismo perde molto l’attrattiva
e la consistenza interna propria, anzi il collegamento logico
del federalismo colla democrazia diretta viene smarrito.
la decisione di un trasferimento verso il livello più globale ;
tale delegare potendo essere ritrattato in principio ad ogni momento???. In quanto il livello più piccolo è il sommo livello. In
questo modo l’individuo è al tempo stesso il piccolissimo ed
il più elevato. In ciò non dovrebbero esser intesi riferimenti a
« alto » ed a « basso » nel senso di un gerarchia amministrativa. Quando le comunità trasferiscono una competenza al livello della provincia, questa si trova « al di sopra » delle comunità
viste dalle loro competenze nel senso tecnico amministrativo.
Nondimeno, rimangono eventualmente ancora le comunità al
livello sommo dei cittadini che hanno trasferito la loro competenza alla provincia, i quali, in linea di massima, possono
riprendere tale competenza ad ogni momento.
Federalismo e democrazia diretta
Se si pensa a fondo al concetto federalistico con tutte le conseguenze proprie, si viene all’individuo autonomo in quanto
comunità al tempo stesso più ristretta e fondamentale. L’uomo individuale è dunque in fin dei conti l’istanza delegante.
Questo è concepibile nella misura in cui una decisione positiva si distingue sempre da un’altra negativa con l’unione
dinamica di dolore ed antipatia – come l’abbiamo visto – così
come queste decisioni potendo venir vissute puramente e
semplicemente a livello individuale dell’uomo esse non lo
possono mai come comunità intere. Il fatto che l’individuo è
l’istanza superiore, deve riflettersi logicamente ad ogni livello della presa decisionale in democrazia diretta.
Per il federalista coerente, l’individuo sta al livello sommo.
Abbiamo menzionato due ragioni per tal interpretazione.
Federalismo decentrato
Democrazia significa che gli esseri umani possono organizzare se stessi nella loro comunità per mezzo di un accordo
mutuo. Gli uomini devono mantenere la possibilità di trovare in modo autonomo le forme ottimali del lavoro insieme.
Solo un federalismo conseguente può fornirgli tale spazio.
Ragione per cui democrazia e federalismo s’appartengono
inseparabilmente. Sono i due aspetti dello stesso ideale :
quello della democrazia forte o approfondita (Barber, 1984).
Da un lato, lo scopo della politica consiste nel cancellare in
un grado massimo il dolore e l’antipatia che vanno attribuiti
alle circostanze sociali. Dato che la sofferenza quale esperienza concerne solo gli individui singolari, e non gruppi o
popoli interi, ne risulta logicamente che l’individuo si presenti quale somma autorità politica.
Dall’altro, le decisioni politiche, nell’intimo loro, sono sempre decisioni morali o se è caso, giudizi morali. Gli individui
soli provano coscienza morale e hanno facoltà morali di giudizio. Gruppi e la totalità del popolo, invece, non conoscono
nessuna coscienza morale. Anche in questo punto di vista,
è logico il rivendicare che l’individuo deva essere la somma
autorità nell’esprimersi.
Quanto importa la formazione libera di comunità è ciò che
stiamo per vedere con l’esempio della Svizzera. Questa non è
solamente un paese dotato dal sistema democratico più approfondito nel mondo. La Svizzera è anche un paese equipaggiato
di una struttura federale veramente e fortemente sviluppata.
Nei livelli amministrativi, quali cantoni e comunità (Gemeinde), ci sono spesso poteri consistenti in Svizzera (ad esempio a
livello fiscale, si vede il capitolo 4°-3° e il capitolo 5°).
Nondimeno, il federalista non è un egocentrico. É conscio
che l’individuo può esistere solamente in seno ai reti sociali,
realmente umano, e perciò essere un individuo vero. L’esser
umano si collega a gli altri esseri umani proprio perché è un
essere sociale.
Nel 1847, ebbe luogo in Svizzera una sorta di « guerra di
secessione » che viene chiamata « guerra separatista », nel
corso di cui l’alleanza dei cantoni cattolici separatisti, che volevano staccarsi dallo Stato federale, venne vinta. [Nel 1847 i
cantoni conservatori-cattolici costituiscono una propria lega
(Sonderbund). La Guerra del Sonderbund venne rapidamente
vinta dai cantoni liberali. Nel 1848 entrò in vigore una nuova
costituzione. La Svizzera, da confederazione di stati, diventò
così uno stato federale sul modello degli Stati Uniti. ndt]. Nei
giorni nostri, tali conflitti si lasciano sistemare pacificamente
dall’unione tra democrazia diretta e strutture federalistiche.
Così nel 1978, la zona del Giura (svizzero) decise la formazione del proprio cantone. Questo si attuò facendo ricorso al
referendum a livello nazionale, mediante cui venne decisa la
nuova struttura federale (dunque includente un cantone di
più). Nel 1993, certe comunità del Laufental decisero di passare dal cantone di Berna a quello di Basilea. Tale correzione
di confine venne parimenti tranquillamente condotta – mediante un referendum.
Uomini singolari non formano nessuna comunità di diritto
in seno alle quali diversi affari possono venire regolati democraticamente. Questioni determinate non si lasciano chiarire,
è vero, al livello del paese, della città, della valle o della zona.
Piccole comunità possono allora unirsi per formarne un nuova più grande che si trovi quindi competente e qualificata per
approdare a chiarire queste questioni. Questo processo d’associazione (del federarsi) può eventualmente ripetersi finché gli
affari completi vengano infine regolati al livello appropriato.
Si definisce quale federalismo la struttura che ne risulta, quando comunità più piccole s’associano mutuamente per certi
affari precisi in modo da formare una comunità più grande,
alla quale venga delegata la competenza determinata. Siccome
il trasferimento dei compiti si attua dal livello più piccolo al
livello più ampio, il primo rimane sempre libero nel prender
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Frey e Eichenberger (1996 e 1999) parlano a favore di un
federalismo radicale, attraverso cui unità politiche inferiori
possono federarsi a loro piacimento. I cittadini devono aver
il diritto di decidere, a sostegno del referendum, quali alleanze federali essi vogliono attuare. Una comunità dovrebbe,
ad esempio, potere decidere di passare da una determinata
provincia ad un’altra, nella quale ci sia, a seconda del parere
degli abitanti, una amministrazione migliore.
senso proprio del termine) fa leggi valenti per tutti e conformemente a questo, tutti dovrebbero collaborare alla legislazione. Nella sfera economica lo stesso non si può dire. I
bisogni si differenziano e non c’è nessuna ragione di preoccuparsi dei processi particolari di produzione e consumazione, coi quali non si ha direttamente niente a che fare. I regolamenti economici risultano dunque in base a concertazioni
tra partecipanti – consumatori e produttori (ci sono anche
i distributori da considerare, ndt). Leggi vanno richieste, è
vero, ad esempio per segnare i diritti degli impiegati (si vede
il capitolo 7°) o garantire la protezione dell’ambiente. Quanto a sapere quali processi economici giochino però un ruolo
dentro quest’ambito giuridico, non bisogna regolarli per via
democratica. Al contrario, in una sfera come quella dell’insegnamento, diventa particolarmente importante che gli
uomini si conoscano bene tra loro. Tizio comincia la scuola
elementare. I suoi genitori sono divisi e lui presenta difficoltà nella lettura. Tizio s’intende bene con Caio, ma viene incessantemente stuzzicato dagli altri alunni. Fondandosi sui
regolamenti centrali, non sarebbe principalmente possibile
di prendere misure appropriate per Tizio ed eventualmente per la classe intera. La legislazione, per quanto concerne
le sfere economica ed educativa, può solo giocare un ruolo
esterno – per l’attività économica, un ruolo fissato dentro limiti ecologici e per Tizio, un ruolo che gli garantisca un’aula
scolastica in ordine ed una rivendicazione minima di contenuti pedagogici determinati. In queste sfere lo Stato di diritto
non deve intervenire sul piano della gestione. Un giudizio su
ciò che deve accadere in queste sfere non dipende dai politici
ne dall’opinione pubblica, ma esclusivamente dalle persone
che hanno a che fare con queste sfere. Perciò è meglio decentrare lo stato di diritto propriamente detto da sfere come
quelle dell’economia e dell’educazione-formazione – di un
modo proprio e rispettivo – se non addirittura staccarlo parzialmente da esse.
Le alleanze federali non sono strette per sempre. Un quadro
fissato per sempre o, a seconda del caso, alleanze che possono solamente terminare con l’accordo di ogni partner, e
sono tutte da valutare come negative. L’alleanza federale si
lascia paragonare ad un matrimonio e può solo venir stretta
e mantenuta alla condizione che ambedue i partners siano
d’accordo. Se uno tra loro vorrà separarsi, anche se l’altro rimarrà interessato nel mantenere la relazione, il matrimonio
dovrà venir sciolto. Se l’accordo di ambedue i partners venisse
richiesto per terminare un’alleanza, uno potrebbe costringere l’altro contro la sua volontà.
In questo contesto, ogni generazione deve in oltre aver l’opportunità di mettere alla prova queste piccole e grandi alleanze nonché interdipendenze decisive per la vita. Abbiamo
imparato ad accettare nei decenni passati, che gli uomini
che vivono oggi hanno obbligazioni ecologiche nei confronti
delle generazioni future. Nello stesso modo, s’impone sempre di più il fatto che una generazione non deva lasciare ai
successori propri una montagna di debiti pubblici. Quello
che impone condizioni che imbavaglieranno o soffocheranno le generazioni a venire, si abbandona allo sfruttamento
sforzato del futuro. Risolve così problemi attuali a prezzo
della libertà delle generazioni ulteriori. Le alleanze federali
si lasciano descrivere al massimo come trattati rinnovabili a
scadenza determinata.
In questa sua attitudine nel decentralizzare, il federalismo si
distingue basicamente dalla sussidiarità. Questa parte da un
alta autorità, data di primo acchito, delegante i suoi compiti verso il basso. Ne risulta inevitabilmente lo Stato unitario
monolitico. Se adesso cittadini possono radunarsi a piacimento loro in modo federalistico, possibilità ne risultano nei
diversi campi di vita di formare, volendo, più associazioni o
gruppi differenziati allo stesso tempo. Le sfere di vita particolari verranno così « decentrate ». Tal decentramento può
risultare da motivi diversi :
Una decentralizzazione mediante strutture federali non può
riuscire sicuramente partendo dall’alto, già per la ragione
stessa del principio federale basico. Questo compito, gli uomini devono compierlo personalmente e la democrazia diretta è un mezzo indispensabile per questo. Da un altro canto,
tale democrazia funzionerà tanto meglio quando i campi di
vita, nei quali la democrazia « sta in casa », verranno divisi
chiaramente da quelli in cui una presa decisionale non è né
richiesta né auspicabile. Il federalismo decentrato e la democrazia diretta possono così rafforzarsi vicendevolmente. Una
democrazia che funziona efficacemente è una sociétà in cui
questo processo di rivalutazione reciproca della democrazia e
delle associazioni federali vi si è stabilito con successo.
La collaborazione territoriale può differenziarsi in molti campi. L’organizzazione giuridica, ad esempio, ha sempre a che
fare con l’aspetto del linguaggio, poiché in seno ad una comunità giuridica le leggi vigenti vengono formulate in una lingua determinata presunta conosciuta, intesa e usata da tutti.
Associazioni federali nella sfera esclusivamente giuridica si
ritrovano dunque più o meno collegate alla medesima regione linguistica. Al contrario, le diverse associazioni economiche possono presentare un altro modello. La città olandese di
Maastricht e la città tedesca di Aquisgrana, che stanno vicine,
da un lato e dell’altro del confine, possono senz’altro appartenere alla stessa regione economica e contemporaneamente a
due regioni giuridiche diverse. Una comunità nel campo della sicurezza civile e della lotta contro l’incendio, collocata in
Alsazia, può associarsi a comunità tedesche della riva destra
del Reno e sul tema dell’insegnamento, cooperare anche con
altre amministrazioni francesi (Frey e Bohnet, 1995).
Capitale sociale, democrazia e federalismo
Nella prima metà dell’Ottocento, lo storico ed uomo politico francese Alexis de Tocqueville intraprese un viaggio negli
Stati Uniti. Il suo racconto di viaggio uscì in due parti negli
anni 1835 e 1840. Tocqueville viene sempre menzionato dagli
uomini politici americani prominenti quando essi vogliono
esprimere la natura del « sogno americano ».
Tocqueville formulò nei suoi libri due aspetti della società
americana, che sembrano contraddittori a prima vista. In primo luogo, è l’autonomia evidente dei cittadini americani che
lo colpì : « Questi non sono debitori di nessuno, non aspettano niente da nessuno per dirla così ; s’abituano a rimanere sempre distinti dagli altri, si formano volentieri da soli,
tutto il destino loro riposa nelle loro mani. » (p.114 e seg.).
Diverse sfere di vita esigono altre forme del gestire a seconda
delle circostanze. Il campo giuridico (lo Stato giuridico nel
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Al tempo stesso, però, viene colpito dalla vita associativa, in
questi giovani Stati Uniti, che sta organizzandosi di modo
intenso : « Nelle città non si può affatto impedire agli uomini di riunirsi e di addentrarsi in discussioni focose. Queste
città somigliano a grandi raduni popolari, i cui membri sono
gli abitanti stessi. La popolazione esercita attraverso quegli
assembramenti un’influenza decisiva sulle amministrazioni
civili e queste traducono direttamente le volontà della popolazione. (…) Americani di ogni età, di ogni inclinazione, e di
ogni dono, non smettono di creare nuove associazioni. (…)
Palesemente l’arte di riunirsi è qui il padre di tutte le arti
altre – ogni progresso ulteriore ne dipende. »
•Partecipazione alle elezioni mediante suffragi che non vanno al candidato numero uno del voto contemplato; in una
società in cui domina il centralismo amorale, c’è una gran
partecipazione di tali voti (voti del clientelare).
•Partecipazione ai referendum; dato che un referendum
non permette nessuna struttura del tipo del clientelare diretto, pertanto la partecipazione alla presa decisionale in
democrazia diretta si verifica un buon indicatore del senso
civico.
•Partecipazione alla lettura dei giornali; la lettura della stampa addita in effetti l’interesse portato alla società nell’insieme.
•Partecipazione alla vita associativa; il prender parte alla vita
associativa amplia l’orizzonte al di là della stretta cerchia
della famigliare.
Putnam caratterizzò il contrasto, distinto da lui in Italia, tra
le due società del Nord e del Sud, nella maniera seguente:
« In una regione impregnatasi col senso civico dei suoi abitanti, quando s’incontrano due cittadini per la strada, ambedue hanno verosimilmente letto il giornale, mentre in una
regione i cui abitanti hanno un minore senso civico, nessuno
tra loro ha sfogliato un giornale. Più della metà dei cittadini
di una regione permeata dal senso civico hanno sempre votato per i candidati capolista – e dunque per i partiti – e per
nessuno altro candidato della lista. Soci di associazione sportive, politiche o di ricreazione, a seconda del caso, in seno ad
organizzazioni a scopi sociali, sono due volte più numerosi
nelle regioni imbevute dal senso civico approfondito degli
abitanti loro.
Alexis de Tocqueville descrive così niente altro che la democrazia diretta viva, facendo causa comune col federalismo
spontaneo. Questa situazione, nella quale s’associano liberamente esseri umani autonomi per prendere risoluzioni
comuni, produce un’eccedenza sociale, per la quale si viene
poi a coniare la parola « capitale sociale ».
La creazione del « capitale sociale » – il « padre di tutte le
altre arte » – é stato oggetto di molta attenzione quegli ultimi
anni. In questo senso il libro di Putnam « Making Democracy » (1993) rappresenta una pietra miliare. In quest’opera
si riassumono vent’anni di lavoro sociologico in Italia. Lo
scopo originario del gruppo attorno a Putnam consisteva
nello studiare delle conseguenze del regionalismo italiano.
Perché, all’inizio degli anni settanta, si iniziò un processo di
decentramento, da cui vennero trasferite alle regioni competenze importanti. Col susseguirsi degli anni, gli scienziati
ammucchiarono un’impressionante quantità di dati. Studiarono a fondo situazioni descrivendole di modo approfondito,
condussero centinaia d’interviste ed analizzarono una massa
enorme di dati statistici.
Esiste palesemente una relazione diretta tra il senso civico, la
produttività economica e la gestione amministrativa efficace.
Nelle regioni dove regna un senso civico maggiore, l’economia prospera e le amministrazioni lavorano più efficacemente. Putman ha cercato quindi alternative diverse per spiegare
questo, ma finì con l’eliminarle sistematicamente tutte ed è
così giunto alla conclusione che il senso civico (Civicness) gioca il ruolo primordiale.
Putnam vi scoperse un contrasto manifesto e consistente
tra le regioni del Nord e quelle del Sud dell’Italia. Nella prospettiva economica, regioni del Nord sono essenzialmente
più agiate e dispongono di un’amministrazione molto più
efficace. Il gruppo di Putnam provó anche un esperimento.
Vennero interrogate le amministrazioni superiori di regioni
diverse facendogli domande per ottenere risposte con spiegazioni dettagliate. Le più veloci a reagire furono le amministrazioni dell’Emilia Romana e del Valle d’Aosta, che fornirono ai ricercatori risposte complete in un termine di due
settimane. Amministrazioni di Calabria e Sardegna, invece,
non hanno affatto riposto in modo esauriente – malgrado
pressioni rinnovate da parte del gruppo di scienziati.
Putnam mostrò ugualmente che l’opposizione delle culture cittadine nel Nord e nel Sud dell’Italia sia molto vecchia
e si faccia persino risalire fino all’undicesimo secolo. In
quest’epoca, una monarchia feudale si era instaurata nel
Sud che risaliva ai Normanni. Mentre nel Quattrocento, esistevano già città-stato repubblicane nel Nord dell’Italia, che
offrivano spazio ad iniziative personali e di partecipazione
politica a relativamente molti cittadini, il feudalismo perdurava invece nel Sud con strutture gerarchiche corrispettive
per offrire in seguito un terreno nutritivo accogliente per la
criminalità organizzata.
Putman verificò l’ipotesi che tale contrasto tra Nord e Sud si
fondasse su un « senso civico » diverso. Il senso civico di cui
si tratta qui si lascia definire, con Tocqueville, quale « valutazione dell’interresse portato al contesto sociale ». Non viene
lasciato da parte o respinto, l’interesse egoistico, ma questo
deve convergere a lungo andare con l’interesse generale. Il
contrario del senso civico è il « famigliarismo amorale », ovvero il centralismo famigliare amorale. Persone in tale stato
d’animo rivolgono l’attenzione esclusivamente sugli interessi
a breve scadenza della cerchia famigliare stretta. Una società
in cui domina il centralismo famigliare viene atomizzata a
breve scadenza. L’interesse sociale viene abbandonato ai potentati e vi si stabiliscano rapporti prima di tutto opportunistici (strutture del clientelare).
Certo, non si può affermare che il senso civico rimanga assolutamente costante nel corso della storia. Il senso civico
può fortemente venir meno in certe circostanze, ad esempio,
sotto l’influenza di fattori economici. L’antropologo Turnbull
ne fornì un esempio drastico nell’opera sua a proposito degli
Ik (1972, 1994), un piccolo popolo nell’Est dell’Uganda. Nel
giro di un trasferimento in una riserva naturale, gli Ik vennero scacciati dal loro paese originario. Le forme tradizionali
d’esistenza loro e le strutture organizzative sociali ne furono
distrutte. Ad esempio, la caccia collettiva, che essi solevano
praticare, non fu più possibile. S’offrì solo per loro una possibilità di girovagare e cacciare di frodo per persone solitarie.
Gli Ik costituiscono un esempio estremo della sconfitta e
della dispersione del sociale, con diffidenza mutua tra membri dello medesimo popolo, nonché negativissima perdita di
ogni forma di capitale sociale.
Per misurare il senso civico, Putnam utilizzò un indice appoggiandosi sugli indicatori seguenti:
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Helliwell e Putnam (1995) hanno analizzato in uno studio
ulteriore il modo in cui funziona tale concatenazione causale: senso civico (capitale sociale) > amministrazione efficace > soddisfazione sociale. Nell’Italia degli anni ottanta,
le regioni ottennero attribuzioni importanti nel campo économico. Misure economiche furono prese, non più dall’amministrazione centrale governativa, ma da quelle regionali.
Negli anni sessanta e settanta, lo scemare del benessere tra
Nord e Sud si era ridotto, poiché, da una parte, lo Stato centrale impegnava trasferimenti di pagamento importanti dal
Nord verso il Sud e, dall’altra, regioni del Nord non erano
in condizioni di avere un’economia ed un’amministrazione
efficaci (dato che la politica economica procedeva ancora dal
governo centrale). Dal momento in cui le regioni potettero
operare di modo autonomo, il soprappiù di capitale sociale
si lascia convertire in benessere crescente. Nelle regioni del
Nord, i mezzi vengono utilizzati più efficacemente, sicché
lo scemarsi del benessere tra Nord e Sud è tornato a crescere
dal 1983, malgrado i trasferimenti di produttività continui
verso il Sud.
posto malevole che gli esseri umani seguano attivamente e
recisamente gli interessi propri. (...) Ma dati empirici rivelano sempre di più un’altra realtà. Sappiamo, per esempio,
che gli uomini stimino la conformità delle loro pratiche, che
valgono per loro in situazioni determinate, più importante
dei risultati ottenuti mediante queste. Si preoccupano piuttosto frequentemente degli interessi collettivi del gruppo che
degli interessi personali – e i loro punti di vista sono più saldamente impregnati dai loro giudizi di valore o convinzioni
che dalle conseguenze immediate, in una prospettiva determinata, per la loro vita personale.
Gli uomini sono dunque assai meno preoccupati degli interessi propri di quanto affermino le teorie. Ma contemporaneamente, queste teorie, dal canto loro, sono divenute forza sociale. Pertanto la maggiore parte della gente giudica se stessa
più altruista dei suoi simili. Nell’esperimento di Miller e Ratner, si trattava della disponibilità alla donazione del sangue,
ed in più con o senza indennizzo finanziario (si vede 3-2). Il
63% delle persone analizzate era pronto a donare il sangue,
senza ottenere per questo un indennizzo. Se veniva proposta
un compenso di 15 dollari, ad esempio, la percentuale si elevava al 73%. Gli effetti degli incitamenti pecuniari non sono
evidentemente significativi, ma piuttosto tenui. Vennero anche interrogate le persone sottomesse all’analisi per sapere
quale fosse la misura della volontà loro di donatore di sangue
con o senza allettamento pecuniario. Le persone interrogate
pensavano che con un guadagno, il 62% diventasse donatore
di sangue, mentre senza guadagno, solo il 32% lo rimanesse.
Gli interrogati sopravvalutano quindi nettamente il ruolo del
denaro in quanto motivazione peri loro simili.
La connessione causale di Helliwell e Putnam si lascia ancora approfondire. Prendendo le mosse degli studi comparativi
in molti paesi, evidenziarono il fatto che non era la cultura
cittadina a determinare la sostanza democratica, ma la relazione causale che si esercitava nell’indirizzo opposto: « La
fiducia tra gli esseri umani palesemente risulta essere piuttosto la conseguenza della democrazia anziché la causa di
questa. » (Muller e Seligson, 1994). La democrazia genera la
fiducia tra gli uomini, e per soprammercato, tra cittadini ed
istituti pubblici.
In un altro studio, Putnam (1996, a, b) investigò il regresso
del « capitale sociale » negli Stati Uniti. La pratica religiosa
(frequentazione delle chiese), l’impegno a favore di un partito politico, nonché l’adesione alle associazioni e confederazioni più diverse, tutto ciò è venuto drasticamente meno
in quegli ultimi decenni. Al tempo stesso, la fiducia nei riguardi dei propri simili e degli stabilimenti ufficiali (« social
trust ») calava fortemente. Dopo aver escluso tutta una serie
di spiegazioni possibili, Putnam sembra aver scoperto nella
televisione l’elemento principalmente responsabile di tale
situazione. Nella società americana del Nord, la televisione
conobbe negli anni cinquanta una penetrazione schiantante – mentre nel 1950 solo il 50% delle aziende domestiche
aveva la televisione, queste formarono già il 90% nel 1960.
É precisamente in questa data che iniziò il crollo del capitale
sociale negli Stati Uniti. Un cittadino statunitense rimane
quattro ore al giorno davanti alla televisione. Investigazioni
dimostrano che la gente impegnantasi menomamente nella vita sociale in tutti gli aspetti suoi, sviluppa un’immagine
negativa dei suoi prossimi (Consumatori di televisione di
lunga durata sopravvalutano potentemente, ad esempio, le
conseguenze della criminalità per la società). La televisione
in quanto mass-media verifica un eccesso da questo punto di
vista; lettori della stampa hanno una propensione al di sopra
della media nel prender parte alla vita sociale.
Durante un’altra investigazione, si trattava dell’introduzione
di misure contro il fumare. Il non-fumatore è incline a un
atteggiamento più severo di quello del fumatore. Il 100% dei
non-fumatori ed l’85% dei fumatori si esprimono contro il
divieto di fumare negli aerei. Al tempo stesso, gli interrogati
ammettono che il 93% dei non-fumatori ed il 35% dei fumatori raccomandassero tale misura. Il ruolo dell’interesse egoistico dei fumatori, durante la determinazione del loro punto
di vista, viene dunque chiaramente sopravvalutato. A seconda di Miller et Ratner, almeno l’80% dei fumatori assume
un atteggiamento positivo nei riguardi della restrizione di
fumare nei luoghi rischiosi per i fumatori passivi (ristoranti,
luogo di lavoro, autobus, treno ed aereo). Al contrario, l’opinione pubblica era del parere che solo il 25-35% dei fumatori
assentisse a questo tipo di misure.
Questa mancanza generale di fiducia reciproca della gente,
culminante nella diffidenza nei riguardi delle istanze politiche, dipende naturalmente e direttamente del problema
dell’atomizzazione di capitale sociale. Fiducia tra gli uomini
costituisce capitale sociale. L’atomizzare della società impedisce perciò agli uomini di percepire le loro motivazioni morali
mutue. In una misura crescente, gli uomini si avvertono automi ossessionati dall’interesse proprio ed immediato, ciò che
non lo sono affatto. Con la diffusione dell’ideologia dell’essere
umano quale Homo aeconomicus (l’esser umano qual egoista
intrinseco), gli uomini interpretano il proprio comportamento rinforzato dalla loro nozione d’interesse egoistico. Uomini impegnandosi socialmente mediante una partecipazione
schietta, la spiegano in effetti preferibilmente in base a interpretazioni egoistiche (« Con questo, ho un’occupazione »;
« Ho incontrato dapprima altre persone impegnate prima di
me », « Con questo, vivo almeno tra gli altri uomini »). – (Si
vede Withnow, 1991). L’affermazione secondo cui la gente
fosse « determinata dal borsellino » non si lascia affatto con-
La diffidenza reciproca tra la gente si è messa a crescere allo
stesso tempo. Nel 1960, il 58% degli Americani pensava ancora che si potesse fare affidamento alla maggior parte della
gente. Nel 1993, tale percentuale era calata al 37%. Miller e
Ratner (1998) destarono l’attenzione sul fatto che ci fosse una
salda base ideologica per questa forma di diffidenza mutua:
« la biologia evolutiva, le teorie scientifiche neoclassiche, le
teorie del comportamento (behaviorismo) così come le teorie
psicanalitiche, prendono tutte assieme le mosse dal presup28
validare dai comportamenti di voto, bensì attraverso un’investigazione della giustificazione della gente per il suo comportamento elettorale. (Feldman, 1984; Stein, 1990).
Le scuole formano solamente una delle sfere che deve assumere una forma democratica salda. Dapprima, bisogna stabilire l’ambito di democrazia diretta nel quale sarà possibile
la vita sociale del luogo. Una tale cornice democratica non
deve, in ogni modo, restringersi al livello locale, ma il suo
edificare deve proseguire fino al livello europeo. Poiché decisioni con ampie conseguenze sul piano locale vengono prese
sovente a livelli politici superiori.
Negli Americani dell’inizio del Ottocento, De Tocqueville
incontrò tanto una forte inclinazione all’autonomia quanto
una vita associativa intensa. Putnam si vede confrontato colla polarità del senso civico (Civicness) e « centralismo famigliare amorale ». Questo indica che ci sono due tipi diversi
« d’individualismo ». Ci occorre incontrare una differenza
netta tra l’individualismo solidario del cittadino autonomo,
che precisamente tramite l’autonomia sua, può partecipare
al creare del capitale sociale – ed egli partecipa volentieri
alle consultazioni popolari – e lo pseudoindividualismo degli uomini sottomessi che hanno solo in vista, puramente
e semplicemente, gli interessi del proprio nucleo famigliare
e conseguentemente abbandonano le parti rimanenti della
società alle istanze del potere. Si tratta qui di un differenziare
fondamentale, giacché le istanze del potere stanno esaltando
oggi le strutture del clientelare in quanto « federazione sociale », mentre presentano se stesse come « centro » rendendosi
un mezzo tra clientela impotente e potenza governativa.
Tra l’incudine e il martello: la distruzione
del capitale sociale
Per quale ragione si arriva allo sbriciolare del capitale sociale? Nel suo libro recente, assai discusso, « Jihad versus
McWorld », Benjamin Barber descrive la lotta di queste due
forze opposte, lo Stato di diritto e la democrazia, le quali si
minacciano a vicenda e a modo proprio. Barber caratterizza
queste due forze coi concetti di Jihad e di McWorld. Esse formano il martello e l’incudine sotto i quali il capitale sociale
viene calpestato.
Jihad
Questo genere di centro non ha niente a che fare con la vita
associativa iniziata dal popolo stesso, che venne descritta da
De Tocqueville. Un capitale sociale veridico sorge laddove uomini associati tra loro si capiscono prescindendo da ogni livello, quali artigiani primordiali e co-organizzatori delle loro
associazioni – e ciò certamente dal club di miniskat fino allo
Stato federale ampio. Ne nasce una struttura decentrata da
federazioni d’individui autonomi, in seno alle quali gli uomini danno saggio da impulso ed impegno e possono rafforzarsi reciprocamente. Il contrario di questo sono i pilastri del
centro, nel quale s’impigliano a mucchi i campi più diversi
della vita, permettendo un accesso al potere solo conforme
all’élite, mentre i membri vengono essenzialmente ridotti al
ruolo della clientela. Un centro benevolo al potere di questo
tipo non possiede nessuna struttura federale, ma si assoggetta piuttosto al principio di sussidiarietà.
Per l’una forza, si tratta del particolarismo locale, tanto più
che anela alla potenza statale, particolare e monolitica. Gruppi etnici e religiosi, stirpi, a seconda del caso, combattono per
la dominazione in seno a uno stato particolare. Barber amplia
quindi il senso originario del concetto « Jihad » (la « guerra
santa » dei Musulmani) alla caratterizzazione di un fenomeno
sorgente in tutte le regioni della Terra. In Occidente, la Jihad
può collegarsi alle aspirazioni d’identità regionale (Irlanda,
Paese Basco, Corsica). Non si tratta di una lotta culturale o
di concezioni del mondo o d’identità religiosa, quest’ultima
caratteristica propria della Jihad. Nella misura in cui tale lotta
si volgesse contro lo stato unitario, monolitico ed egemonico, essa andrebbe giudicata positiva. Ma la Jihad si presenta
precisamente in favore dell’introduzione di uno stato unitario monolitico. Esso anela alla supremazia di una concezione
culturale del mondo sullo Stato e combatte quindi gli Stati
nazionali cittadini esistenti, nei quali tal augurata supremazia
non si esprime. La Jihad anela a fare mandare in frantumi
quegli Stati a pro di blocchi culturalmente (e religiosamente,
ndt) omogenei, organizzati secondo il principio di sussidiarietà. La Jihad vive anche della lotta contro la Jihad.
In una società federale ampiamente democratica, sorge parimenti un « centro ». Ma esso possiede qualità del tutto diverse. Non fa pressione sull’uomo individuale per precipitarlo
nella situazione di minoranza politica persistente, la quale
viene solo autorizzata, tutt’al più ogni due anni, a dare il suo
voto senza significato per un mandato. Il centro federale, che
va edificandosi nel ventunesimo secolo, è un’espressione
dello sforzo degli uomini per costruire la vita sociale partendo da individui autonomi. Le scuole, in un centro federale di
questo tipo, non dipenderanno più da un’istanza dirigente
centrata dal potere, che si pone come il ragno al centro della ragnatela, o della « rete educativa ». La scola futura verrà
forgiata dalla comunità concreta dei bambini, degli insegnati
e dei genitori. Tale scuola verrà finanziata da un buono scolastico, sul quale ogni allievo scolarizzabile avrà un diritto
legittimo e che i genitori daranno alla scuola scelta. In una
società federale, il diritto scolastico sarà puramente e semplicemente iscritto – non ci sarà nulla di politico del contenuto
educativo che verrà oltre questo. Tale scuola non viene cartellizzata da fabbrica, azienda, ente ospedaliero, istituto finanziario o bancario, o federazione agricola, avvinghiandosi su
un pilastro centrale. Essa sarà il risultato delle aspirazioni degli insegnanti e dei genitori, che fanno il loro meglio a tempo
e luogo per i loro bambini. Essa verrà anche collegata ad altre
scuole e non affatto tramite una struttura centralizzata o gerarchica, ma da una rete orizzontale di scambi fortissimi di
consigli, interviste e collaborazioni pedagogiche.
Il Quebec francofono illustra in modo esemplare l’assenza
di limitazione ad una disintegrazione sociale cagionata dalla
Jihad: la logica della Jihad non si arresta necessariamente alle
prime tappe della frammentazione. Se il Quebec si staccasse
dal Canada, cittadini francofoni stanti all’esterno di questa
provincia, ad esempio nel New Brunswick, potrebbero perdere la sicurezza del loro diritto. E se il Quebec lasciasse il Canada – perché gli Indiani Cree da parte loro non si separebbero dal Quebec? E perché i villaggi anglofoni del Quebec o
della nazione Cree, che se ne sono separati, non si farebbero
da parte? E che dovrebbe succedere, allora, per le minoranze
francofone in seno ai paesi anglofoni che si trovano al di fuori della regione Cree? » (Originale Barber, 1995, p.179).
In Bosnia, Sri Lanka, Ossezia e Ruanda, la Jihad è giunta alla
sua logica ultima. Siccome il frammentare può venir proseguito senza fine, si finisce col prender le armi per la « purificazione etnica » od il genocidio. La Jihad non riconosce l’individuo
libero nell’uomo, ma quello che appartiene al gruppo religioso
od all’etnia. Giacché l’individuo si vede ridotto a quello che
appartiene a una stirpe, si tratta quindi di tribalismo. Per la
29
Jihad, il popolo non è affatto una forma viva che si conferisce
a una comunità di uomini liberi. Per la Jihad il popolo è una
costruzione mitica, alla quale si assoggettano gli individui. Di
conseguenza, è logico che la Jihad non s’interessi alla democrazia, dato che pone la stirpe, il popolo, a seconda del caso, e
la religione, al di sopra dell’individuo. Non anela dunque a una
liberazione, ma invece, alla momificazione del popolo. Per di
più, non porta nessun interesse per i Diritti dell’Uomo.
Un altro sintomo di questo peso crescente del commercio
di prodotti virtuali, caratteristico del McWorld, consiste nel
fatto che il nome della marca sta assumendo più importanza
del vero e proprio prodotto. Barber ci descrive in modo relativamente dettagliato l’offensiva di Coca-Cola. Ciò che viene
comprato non è più una bevanda, nel senso di un prodotto
materiale, ma piuttosto un’immagine, un parco virtuale di attrazioni Coca Cola, inglobante il mondo intero, che si estende
continuamente mediante nuovi aspetti. Coca Cola fu unito ai
giochi olimpici, alla caduta del Muro di Berlino, anche alla
fama dell’Università Rutgers (Coca Cola possiede, non solo il
monopolio della vendita di bevande sull’insieme dei terreni
universitari, di cui il concorrente Pepsi si vede bandito, ma
Coca Cola ha anche il diritto di fare pubblicità con Rutgers
– Barber sta lavorando nell’Università Rutgers). Coca Cola
conduce campagne aggressive sui nuovi mercati per respingervene la cultura locale. Barber menziona il rapporto d’attività annuale dell’impresa nel 1992, in cui fu annunciato che
l’Indonesia fosse « culturalmente pronta » [« culturally ripe »]
per l’introduzione massiva di Coca Cola. Fa anche parte di
questa preparazione culturale, tra altre, la consumazione di
tè, che debitamente andava respinta.
McWorld
Coll’altra forza si tratta del mercato mondiale. Essa si exercita
uniformando. Riduce l’individuo al consumatore. Barber la
definisce quale McWorld.
Il McWorld si oppone al particolarismo della Jihad, ma come
questo, insorge anche contro lo Stato nazionale. L’ondata di
globalizzazione per cui si sforza il McWorld non è per la Società civile, ma per il guadagno. McWorld è una forza economica.
Per dire il vero, non affatto una forza economica tradizionale.
Barber abbozzò a larghi tratti la maniera in cui le merci tendono ad assumere un carattere sempre di più internazionale.
Che cosa caratterizza una macchina « americana » da una
macchina « giapponese », quando si è consci che, ad esempio,
una Toyota Camry fu disegnata da un disegnatore americano
e montata nella fabbrica Toyota collocata a Gorgetown, nello
stato federale americano di Kentucky, da pezzi o componenti
provenienti soprattutto dagli USA ? Di fatto, McWorld non si
lascia soltanto definire dal capitale, ma solo dalla relazione
ottimale tra capitale, lavoro e materie prime. « McWorld è
una sorta di realtà virtuale, creata da fascicoli d’informazioni
di alta tecnologia, invisibili ma potenti, e mercati economici
sovranazionali moventi. Col concetto di « azienda virtuale »,
si tratta dunque molto più che di una semplice indicazione
provocante. » (Originale : Barber, 1995, p.26).
McWorld non è dunque solo una potenza puramente economica, sorgente di fianco alla cultura esistente. McWorld s’incarica anche di questa cultura esistente per mutarla di modo
che essa corrisponda ai propri interessi economici. « Anche
se imprese multinazionali affermano che il loro interesse
sia puramente e semplicemente fondato sulle caratteristiche
della produzione e della consumazione, esse possono stimolare lo sviluppo di queste solamente immischiandosi attivamente nelle sfere sociali, culturali e politiche, delle quali non
si preoccupano affatto. Il loro impegno politico, in ogni caso,
non viene motivato politicamente e il loro impegno culturale
non nasce da un entusiasmo per la cultura. Questo non fa
che rendere il loro impegno in queste sfere tanto irresponsabile quanto culturalmente sovversivo » (Originale, Barber,
1995, p.71).
Una dichiarazione fondamentale di Barber asserisce che
il punto essenziale dell’impegno McWorld, si transferisca a
poco a poco verso rami immateriali – da merci verso servizi,
da hardware verso software. Al vertice, vi s’incontra il mondo
delle immagini elettroniche. McWorld va diventando sempre
di più virtuale, e gli Stati Uniti rimangono gli stessi registi di
quest’evoluzione. Nel momento in cui gli USA furono raggiunti dal Giappone e dall’Europa per la produzione di merci
tradizionali, essi acquistarono nei nuovi rami una supremazia
enorme, per esempio nel fabbricare transistori. Nel momento
in cui si arrivò, all’esterno degli Stati Uniti, ad un’evoluzione
simile della produzione per l’hardware, iniziò subito la produzione del software. In capo, c’è la pubblicità, la produzione
delle immagini, un cosmo perfettamente virtuale che non
può venir intrapreso soltanto dagli Stati Uniti soli, perché
è già tanto profondamente americano quanto anglofono. Il
peso crescente del commercio delle produzioni virtuali si lascia valutare dall’evoluzione delle spese pubblicitarie che, dal
1950 al 1990, si sono elevate tre volte più rapidamente in confronto alla produzione mondiale. La supremazia americana
in materia d’infospettacolo si palesa anche nel bilancio commerciale degli Stati Uniti : nel 1992, questo bilancio esibiva
un disavanzo di 40 miliardi di dollari, che era composto di un
esubero commerciale di 56 miliardi di dollari nel campo dei
servizi ma di un deficit in merci di 96 miliardi di dollari. Gli
USA controllano l’ 80% del mercato cinematografico europeo
– invece, l’Europa controlla solo il 2% del mercato cinematografico americano. I prodotti dell’audiovisivo (3,7 miliardi di
dollari esportati verso la sola Europa) stavano al secondo posto sull’elenco dei prodotti esportati dagli USA, subito dietro
le esportazioni dell’aeronautica e dell’industria spaziale.
Jihad e McWorl contro la democrazia
Malgrado la loro natura contraria, ostile, Jihad e McWorld
condividono un carattere comune importante. Ambedue
mancano di « ogni controllo umano conscio e collettivo esercitandosi dentro il quadro giuridico della democrazia (…)
Jihad e McWorld hanno in comune il combattere tutti e due
lo Stato nazionale sovrano, e di scalzare così le sue istituzioni
democratiche. Essi lo privano quindi della comunità cittadina e disprezzano la Società civile democratica. Non anelano
a forme alternative di democrazia. L’indifferenza loro nei
riguardi delle libertà cittadine li caratterizza insieme. » (Originale : Barber, 1995, pp.5-6)). E più in là, « Per quanto siano antagonisti dalla loro natura particolare rispettiva, Jihad
e McWorld s’uniscono tuttavia per scalzare le nostre libertà
cittadine acquisite – sebbene esse non lo siano ancora che
parzialmente – ed escludere così ogni possibilità di un futuro
democratico mondiale » (Ibid, p.19).
Secondo Barber, pretendere che la democrazia e il marcato
libero s’appartengano e siano persino inseparabili, è un mito
in realtà. Si ode sovente tal affermazione, in particolare dalla
caduta del comunismo. Di fatto, il mercato libero rivela una
capacità adattativa e fiorisce quale sistema anche in Stati dispotici come il Cile, la Corea del Sud, il Panama o Singapore. La Cina è oggi uno dei paesi meno democratici, e da un
altro canto, quello che conosce l’accrescimento economico
più rapido. Per dire il vero, McWorld ricerca la stabilità per
30
lo sviluppo proprio e non la democrazia. McWorld non ha
nessun interesse per questioni relative, ad esempio, all’occupazione e l’ambiente naturale. Al contrario, esso viene solo
spinto dal principio del profitto (« McWorld non è nulla se
non un mercato », p.29) e esporta i suoi problemi direttamente sulla comunità. Nel 2005, sotto un uragano di applausi degli analisti, General Motor licenziò 20 000 impiegati. I
Guadagni privati rimasero intatti e l’impresa ritrovò – come
si addice – una struttura « snella ». I costi dei licenziamenti
vennero al contrario trasferiti sulla comunità e le amministrazioni pubbliche del luogo. McWorld vuole consumatori
che abbiano accesso al mercato e, per questo, la stabilità economica è indispensabile. Nel mondo di McWorld, la pulsione
a consumare, il relativismo e la corruzione, sono alternative
al tradizionalismo della Jihad.
per la vita democratica, invece, la produzione di idee senza
impaccio e il loro confronto è di necessità prima. Ci vorrà
dunque un ambito indipendente in cui si potrà arrivare ad
un libero confronto politico delle idee. Se si vuole agir contro
le tendenze antidemocratiche del McWorld, si deve creare un
spazio di libertà in cui il confrontare delle idee ed il formare
delle rappresentazioni – distaccate dalle potenze economiche
– possano verificarsi con successo. In questo spazio di libertà, un ente audiovisivo di radio o di televisione, veramente
aperto, ad esempio, può giocarvi un ruolo importante. La cui
esistenza sarebbe sempre di più necessaria per la sopravvivenza, ed in un grado maggiore, d’altronde, per la configurazione ulteriore della democrazia (si vede il capitolo 5°).
Secondo Barber, un nuovo tipo di capitalismo è nato con
McWorld. Questo nuovo capitalismo richiede gli stessi principi del « lasciare-fare », pur operando contro gli sforzi dello Stato – e certo allo stesso modo dell’antico capitalismo.
L’aspetto nuovo suo consiste nel fatto che McWorld agisce al
livello globale e non nazionale ; ma non per questo s’oppone quindi a nessuno Stato, che potrebbe preservare il diritto
rispetto alle conseguenze ed effetti del mercato, e lo fa in
un’ampiezza che non si è mai verificata in un’economia solamente nazionale. Cosicché McWorld mantiene rispetto agli
Stati nazionali una supremazia immensa. L’ideologia del
mercato libero è precisamente un mezzo con cui McWorld
demolisce i bastioni degli Stati di diritti nazionali organizzati. « L’ingiustizia (..) tal è palesemente la caratteristica essenziale del McWorld » (Original, Barber, 1995, p.42). In questo
contesto, esemplare è il fatto che il commercio internazionale delle materie prime conduca a sempre più potenti ineguaglianze. Questo fa del mondo, per un gruppo, un parco di
divertimenti e per gli altri, un cimitero.
Barber contraddice i sostenitori di Milton Friedman, nella
loro concezione che il mercato rappresenti una sorta di democrazia, in quanto permetta il « voto » mediante il denaro
(consumatori comprano ciò che gli piace) : « Decisioni economiche sono cose private e esprimono bisogni e desideri
individuali. Con le decisioni politiche, diventano invece questioni pubbliche. Assumono dunque un carattere pubblico.
Posso comprare senz’altro una macchina che corra a 250
chilometri all’ora, quale consumatore, e tuttavia, quale cittadino, prendere posizione a favore del limitare la velocità
perché riconosco valore agli aspetti di sicurezza e di rispetto
dell’ambiente naturale. Non c’è contraddizione. » (Originale : Barber, 1995, pp.296-297).
Barber sfiora qui il problema del cattivo gusto. Si tratta con
ciò di un fenomeno ben noto : giornali, televisioni, ecc., che
vogliono colpire molti lettori e spettatori, a seconda del caso,
vengono costretti in genere al cattivo gusto o al servilismo.
Per una ragione molto semplice : il buon gusto è una qualità
individuale, al contrario, il cattivo è collettivo. Il cattivo gusto
viene caratterizzato da mancanza di una qualità individuale,
o a seconda del caso, mancanza d’energia di strutturazione.
Il buon gusto contiene a priori elementi creatori, collegati
al particolarismo dell’individuo esprimente il buon gusto.
Questo non è mai un prodotto di massa e pertanto è privo
d’interesse in una prospettiva economica.
Che McWorld, da un lato, acceleri la globalizzazione, ma che
questa, dall’altro lato, riesca, senza legittimazione nessuna
ed a livello internazionale, a generare una violazione grossolana del principio d’uguaglianza, fa sì che McWorld apra cosí
la porta alla Jihad. La produzione del petrolio rappresenta a
questo proposito un buon esempio. I tre paesi più ricchi del
mondo – gli Stati Uniti, il Giappone, e la Germania – rappresentano la metà della produzione mondiale, ma importano
anche insieme più della metà dell’energia mondiale. Il petrolio proviene per la maggiore parte dai paesi del Medio Oriente, che sono assai fragili alla Jihad. In questi paesi conflitti
possono nascere senz’altro per motivi etnici o religiosi. « Più
dei tre quinti della produzione odierna di petrolio (e quasi il
93% delle riserve totali) si collocano in paesi, la cui integrazione al McWorld rimane molto inverosimile, ma in cui c’è
un rischio grosso di venire a instabilità politiche, sociali, e
pertanto economiche. » (Originale : Barber, 1995, p.48).
Non importa qui di dichiarare la guerra al cattivo gusto. Anche quando c’è una domanda di cattivo gusto, l’economia
può rispondervi assolutamente e perfettamente. Ma quando
l’economia comincia a dominare certamente l’insieme della
società, non esiste più spazio di sviluppo per la sfera del buon
gusto, nella quale si esprime l’elemento individuale : « Il problema con Disney o McDonald’s non sta a livello estetico, al
cui livello gente, come Horkheimer, Adorno (ed anch’io), non
vuole intervenire in nessun caso nella sfera privata del gusto, ma essa rimane assai attenta a impedire la formazione di
un monopolio dell’informazione, tanto che la cooperazione
in accordo con le televisioni, con la pubblicità e con il divertimento, non conduca alla limitazione della libertà di scegliere » (Originale : Baber , 1995, p.297). Sfere come quella
della democrazia – ma ce ne sono anche altre, la scienza per
esempio – cadono allora nelle ristrettezze, poiché esse non
formulano direttamente qualità comuni a tutti gli uomini in
quanto membri della stessa specie biologica, al contrario, esse
manifestano piuttosto le loro idee particolari, individuali o le
loro produzioni artistiche, a seconda del caso.
L’autonomia del centro democratico
McWorld minaccia il mondo di una dominazione economica e perfettamente non democratica. Mira a un mondo in
cui prevale l’ideologia Hollywood e che non conosce nessuno
principio di Stato di diritto. L’alternativa di Barber non è una
società padroneggiata dallo Stato monolitico, ma un mondo
decentrato con diverse sfere autonome di vita : « Otteniamo
il migliore governo e la migliore amministrazione mediante
una vita in campi diversi, ognuno dei quali dotato di regole e
vantaggi propri, senza che nessuno tra essi sia dominato da
un altro. Da una parte, la politica dovrebbe essere interamente sovrana, e ciò vuole dire che essa sola regolamenti i diversi
campi della società libera e pluralistica di modo che ne ga-
La democrazia inizia sempre dal far valere idee e concetti individuali, che vengono confrontati poi tra essi a livello ideale.
Visto dall’economia, è questo un processo non interessante;
31
rantisca l’autonomia di ciascuno. La dominazione crescente
del McWorld ha trasposto la sovranità nel campo delle imprese e del mercato mondiali e mincaccia cosí l’autonomia della
società cittadina – e ciò tanto nel campo culturale quanto in
quelli spirituale e politico. L’alternativa (…) non è una società
dominata dallo Stato. Essa consiste in una società decentrata,
nella quale l’autonomia delle sfere particolari – tra essi anche
il mercato e l’economia – viene garantita dallo Stato democratico. Sola una politica democratica risente di un interesse
nel mantener l’autonomia delle diverse sfere particolari e detiene la possibilità di farlo. Sarà appena lo Stato dominerà le
sfere religiosa ed economica che ne risulterà una struttura
totalitaria – di dominio teocratico come nel Medioevo o di
dominio economico, come oggi, in quest’epoca nostra del
McWorld. » (Originale : Barber , 1995, p.296).
deralmente configurata : « Il governo aveva solo un’influenza
debole – in particolare al livello degli Stati federali – (si potrebbe perfino dire che, visti i suoi compiti, tal influenza fosse forse troppo debole), dato che la costituzione delle autonomie intere, che non si richiamavano specialmente al governo
federale, lasciavano liberi gli Stati federali ed il popolo ; »
(Originale : Barber, 1995, p.282). La forma federale dello
Stato è proprio essenziale nel formare e nel conservare del
capitale sociale, siccome, da un lato, l’individuo vi viene considerato quale unità fondamentale (l’atto del delegare verso i
livelli più elevati della comunità parte in effetti dall’individuo
stesso) e, dall’altro, l’intuizione morale e l’impegno possono
venire suscitati al primo colpo soltanto da quegli individui.
La seconda ragione consiste nella ristrettezza del mercato
all’epoca, il quale agiva meno fortemente sulla società : « I
mercati avevano ugualmente un influsso debole. Erano prima di tutto regionali e permeati da relazioni mutue ed accordi sigillati tra gli individui stessi. » (Originale : Barber, 1995,
p.282).
Secondo Barber dovremmo sforzarci di creare questa società
decentrata, verso la quale il primo passo consiste nel costruire una sfera di autonomia politica e democratica, perché solo
un ambito di questo tipo potrà, dalla propria natura, aver in
vista l’organizzazione dell’insieme.
In base a questo, difatti, i cittadini del tempo di De Tocqueville
organizzavano essi stessi la loro società. Decidevano essi stessi in comune sull’aspetto della comunità. Quello stato delle
cose generava un’attrazione essenziale per intese ed armonie
efficienti. La rete della fiducia reciproca, così come il senso di
responsabilità sociale per la « res Publica » (la « cosa pubblica »,
ndt), che nasceva di tale maniera, creava capitale sociale.
La questione è di sapere poi quale passo fare nell’indirizzo di
una tale sfera politicamente e democraticamente autonoma.
Si tratta di un’esigenza enorme, perché di fronte al carattere
globale di McWorld, non c’è nessuno Stato globale e tanto
meno uno Stato democratico. In questo contesto, Barber
prende le mosse dal fatto che la democrazia non è un’istituzione, ma un modo di vivere basato su responsabilità individuale e senso civico : « Un popolo corrotto dal tribalismo
e disincantato da McWorld non può intraprendere nessuna
costituzione democratica prestabilita. Parimenti, un popolo
che ha dietro di lui una lunga storia di dispotismo e tirannia,
non è nemmeno in situazione per farlo. Non si può regalare
la democrazia a qualcuno che non possiede nessun potere.
I senza-poteri devono dunque afferrarsi alla democrazia,
perché si rifiutano di vivere senza esser liberi e vogliono il
diritto per tutti. Perché si apra la via verso la democrazia – ad
esempio nei paesi in stato di transizione o perfino al livello
globale – ci devono essere cittadini che esigono la democrazia. Dentro la società cittadina e dentro la sua cultura sociale,
deve esistere un fondamento. Perché la democrazia non è
una prescrizione universale per una forma determinata di
governo. La democrazia è une stimolazione per vivere in un
modo determinato : essendo responsabili, autonomi, pur vivendo in un campo comunitario, in seno a comunità autonome, certo, ma anche aperte, tolleranti, esercitando il rispetto mutuo, e anche permeate dalla coscienza autonoma del
proprio valore. John Dewey ha caratterizzato la democrazia
come una forma di vita. Secondo lui essa non è una forma
governativa, ma essa è l’idea stessa della comunità. La democrazia è l’arte e il modo del vivere in una società fatta per i
cittadini. Una democrazia globale, che sia capace d’arrestare
le tendenze antidemocratiche della Jihad e del McWorld, non
si può stabilire a partire della copia astratta di disegni costituzionali nazionali determinati. La società civile – locale o
globale – sta all’inizio. » (Originale : Barber, 1995, p.279).
Poi, venne minacciato da due lati questo capitale sociale –
veramente democratico e strutturato a livello locale per l’essenziale.
Da un lato, il mercato esercitò la sua pressione. Cittadini si
videro diventare sempre di più semplici consumatori ; il libero impegno venne sempre di più represso dal mercato. Negli
Stati Uniti, la libertà di dare il proprio sangue, repressa da
servizi commerciali (attraverso i quali i donatori sono pagati)
è un esempio classico di questo sviluppo delle cose [si vede
3-2]. Da un altro lato, il governo andò immischiandosi assai
nella vita sociale. In base al ruolo crescente del mercato, forti
interventi vennero richiesti da parte dello Stato. La comunità
locale non fu più in grado di controllare il mercato e lo Stato
dovette intervenire nel senso della protezione degli interessi
pubblici. Allo stesso tempo, esso s’incaricò dei campi essenziali della responsabilità sociale dei cittadini.
« Solo dal momento in cui gli individui, che si consideravano
essi stessi cittadini, cominciarono a sentirsi consumatori, e
gruppi che lavoravano a titolo onorifico, vennero repressi dalle
imprese, quali « persone giuridiche » ne ricevettero legittimazione, solo da questo preciso momento, le forze del mercato
compenetrarono la società civile e la rovinarono operando dal
campo privato loro. A quest’invasione radicale del mercato, il
governo rispose mediante misure energiche in modo da proteggere il bene comune contro questi nuovi monopoli, ma così
facendo, il governo rovinò anche la società civile in un modo
non intenzionale procedendo dal potere dello Stato stesso.
Strozzata dai campi d’influenza crescente, in piena espansione, da ambedue le parti che si combattevano vicendevolmente,
la società civile perse la sua situazione prominente in seno alla
società americana. All’epoca dei due Roosvelt, essa era praticamente scomparsa e i suoi membri dovettero sommettersi alla
tutela dello Stato forte, o, a seconda del caso, dell’economia
privata, in cui scuole, Chiese, officine, fondazioni e altre associazioni, non potevano che prendere puramente e meramente forma d’imprese presentandosi come rappresentanti degli
La questione decisiva è naturalmente sapere in che modo tale
società civile potrebbe rinascere. Come mai si dava il caso che
negli Stati Uniti visitati da De Tocqueville, vi fosse un intreccio
sociale così ricco ed intenso, che il capitale sociale di quell’epoca ne fosse permeato? C’erano due ragioni per questo.
La prima ragione è che la Stato nazionale, al quale i cittadini
potevano appena richiamarsi all’epoca, aveva allora soltanto
un’importanza limitata. Basicamente, la vita politica era fe32
interessi privati dei loro soci. Non si trattava più di sapere se
quegli interessi si riferissero al guadagno o alla protezione
dell’ambiente, giacché queste associazioni private avevano solo
scopi privati. Scuole spettarono piuttosto a gruppi d’interessi
per le persone con figli (genitori), e non furono adibiti più a
luoghi dove si formasse duramente una società libera. Chiese
vennero consegnate a gruppi d’interessi confessionali e non
furono fonti di forza morale tanto vantaggiosa per la società
(come lo intuí De Tocqueville nel suo tempo). Quanto alle associazioni « a titolo onorifico », esse diventarono piuttosto una
sorta di lobbies privati e non ci furono più spazi di libertà, in cui
donne e uomini seguivano la scuola della libertà. » (Originale :
Barber, 1995, pp.282-283).
Con questa conclusione, Barber non conduce fino a capo in
modo conseguente la sua analisi delle conseguenze antidemocratiche della Jihad e del McWorld. In effetti, per quale ragione
il capitale sociale degli Stati Uniti venne stritolato tra mercato
e Stato? Perché McWorld, proveniente dal mercato, cominciò
a estendere i suoi tentacoli sullo Stato di diritto e si mise a
operare in modo distruttivo sulla cultura. Però, e questo punto
è di certo sottilissimo, perché la Jihad anela ad assoggettare lo
Stato a una cultura particolare od a una confessione? Il nucleo
della Jihad, è la tutela ideologica, la soppressione dell’autonomia cittadina e la riduzione dei cittadini allo stato di soggetti
di uno Stato badante al loro benessere interiore. La Jihad rifiuta la divisione dello Stato dalle ideologie. L’amalgamare della
religione con lo Stato, come in Iran, ad esempio, od in Arabia
Saudita, non è che la forma più esterna di tale alleanza tra
Jihad e Stato. La « dittatura del proletariato », alla quale anelavano i regimi comunisti, ne fu un altro esempio estremo.
Da ciò ne risulta la seconda tesi : i cittadini devono riprendere
il proprio destino nelle mani proprie. Barber sostiene in effetti (in suo libro più recente : « Forte democrazia ») una serie
di misure, tra cui, ad esempio, l’introduzione del referendum
nazionale negli Stati Uniti, uno strumento di democrazia diretta perfettamente disconosciuto laggiù. Si potrebbe dire che
un federalismo radicale formi il biotopo naturale in cui può
nascere il capitale sociale. Le osservazioni di De Tocqueville,
così come gli altri numerosi studi antropologici e psicologici,
evidenziano il potere umano di creazione del capitale sociale.
Ma bisogna soddisfare due condizioni per questo.
Assai sorprendente in compenso e tanto più pienamente
operante, è l’amalgamazione dello Stato con l’ideologia del
mercato libero, in collegamento con la sistemazione sotto
tutela della popolazione sotto la bandiera della « democrazia rappresentativa », come questo sorge nelle democrazie
occidentali. McWorld non ha nessun interesse per lo Stato
nazionale, ma la Jihad, essa, ne ha molto. Jihad e McWorld
operano quindi insieme in questo campo, dove sono d’accordo per una cosa: la ripressione della democrazia. La Jihad
occupa lo Stato e condivide ideologicamente la supremazia
di McWorld in collegamento con le forme più varie del tribalismo. Il nazionalismo e la difesa del McWorld – tal è il modo
più perfettamente efficace della Jihad, con l’aiuto dello Stato di diritto, per agire sulla popolazione. Questo conduce a
queste circostanze estremamente particolari, come in Arabia
Saudita, dove la cooperazione economica intensa con l’Occidente, sta accompagnandosi all’interno del Paese al terrore
più reazionario contro donne e non-musulmani. In questo
paese, McWorld et Jihad procedono di pari passo.
Primariamente, il federalismo deve adeguatamente iniziare
dall’individuo – vanno create le condizioni preliminari perché
l’uomo possa effettivamente prendere la sua sorte nelle proprie mani. Una democrazia puramente rappresentativa (Barber la designa quale « thin democracy » [eventualmente, si può
volgere in italiano con « democrazia zoppicante », ndt]), costringente gli uomini a delegare i loro compiti, quindi a rimettere il
loro destino a chiunque, non è appropriata per questo.
Secondariamente, dentro tale struttura democratica e federale, bisogna ancora approntarsi ad essere in grado di respingere McWorld e Jihad. Ne risulterà allora una cultura democratica, a cui varrà data tale denominazione. E questo non
va da sé. L’antico capitale sociale, nei riguardi del quale De
Tocqueville espresse la sua ammirazione, era nato in questo
periodo – quindi in condizioni favorevoli – spontaneamente
e inconsapevolmente. In base a questa mancanza di coscienza, non fu però in grado di resistere dopo, in circostanze divenute nel frattempo sfavorevoli, e dovette rovinarsi. Condizioni preliminari per il restauro di un nuovo capitale sociale
devono venir specialmente create nel futuro.
Barber ha ragione per quanto concerne l’esigenza per la società civile di riconquistare lo spazio nel cuore della società.
Ma lui, non precisa dove si troverebbe tale cuore. In una società democratica, il governo non può costituire un potere
autonomo contro i cittadini, perché esso non è niente altro
che l’espressione democratica stessa della volontà popolare.
Effettivamente, la sistemazione di una vera società civile cancellerebbe la Jihad dal governo e la ricaccerebbe nella fera in
cui tiene la sua giustificazione. Questa sfera è la cultura in
tutti i suoi aspetti, la formazione democratica delle rappresentazioni, così come il libero confronto delle idee, attraverso
il quale si possono e si devono ricondurre « le guerre sante ». E McWorld deve, anche lui, venir respinto nella sua sfera
originaria, la sfera economica. Come lo nota Barber stesso,
nella sua postfazione del suo libro, Jihad e McWorld non
sono cattivi per se stessi. Non sono essi che ci occorrerebbe
combattere in quanto tali, ma la loro tendenza ad invadere
la società civile come la malerba. Si deve venir quindi a una
decartellizzazione fondamentale della Jihad (il mondo della
cultura e la caratteristica culturale), del McWorld (il mondo
dell’economia) e dello Stato democratico (si vede anche Steiner 1919, 1976). E questo è solo possibile mediante il federalismo democratico radicale.
Gli ambiti della Jihad e di McWorld
Barber non compie quest’ultimo passo nel suo argomentare, per lo meno non totalmente. E qui si rivela la debolezza
del suo libro, per il resto ottimo. Barber conclude dal quadro
tracciato qua che si deva abbandonare il pensiero bipolare
nei concetti di « Stato contro economia privata » e sostituirgli
una struttura triplicemente articolata, in cui la società civile
possa ritrovare il suo posto tra lo Stato e l’economia privata.
33
3-1: Il principio di San Floriano
o la Società civile e democrazia.
resa dipendente da fattori esterni, ad esempio quando loro
sono pagati, ciò influisce sulla loro motivazione intrinseca.
La volontà intima di fare qualcosa s’indebolisce e il capitale
sociale viene perduto [si vede anche 3-1].
Problemi derivanti dal principio di San Floriano vengono
di continuo all’ordine del giorno. La maggiore parte della
gente considera assolutamente positivamente la necessità
di costruire aeroporti, centri di raccolta di profughi o di richiedenti l’asilo politico e luoghi di stoccaggio di residui radioattivi. Ma nessuno vuole avere tali impianti davanti alla
propria porta. Una infrastruttura che tutti vogliono, ma che
non viene tollerata da nessuno vicino a casa propria, è quella che sta alla base del principio di San Floriano.
Il ricercatore neerlandese in scienze economiche, Arjo Klamer (1995) descrisse la situazione nel modo seguente : «
Mentre, qualche anno fa, mi venne affidata la custodia dei
miei due bambini (5 e 7 anni), decisi di applicare i miei
corsi di scienze economiche e di ricompensare o punire,
rispettivamente buone e cattive azioni, con un certo prezzo.
Cinquanta centesimi per aiutare a sparecchiare la tavola, 25
centesimi per portare a passeggio il cane senza recriminare,
1 Euro in caso di sotterfugi in vista di battersi, 30 centesimi
per il disordine inutile, ecc. Tutto si svolse dopo un’intervista coi bambini. Al contrario di mia moglie, ero convinto
della mia valutazione. Con questo sistema economico, non
avrei dovuto più, al meno non di continuo, giocare il ruolo
del brontolone e la responsabilità veniva trasferita ai bambini stessi. Esattamente come ciò deve essere. »
Per regola generale, il luogo d’impianto di tal infrastruttura viene imposto per forza dalle autorità a una comunità
locale – nelle circostanze di compensazioni finanziarie od
altre. In Svizzera c’è la situazione interessante che le comunità locali dispongono di un diritto di veto nel fissare un
luogo d’impianto per un’infrastruttura (tramite decisione
cittadina al livello della comunità concernente, o mediante
un referendum in seno alla comunità). Nel 1993, vennero
consultati gli abitanti di quattro villaggi sull’impianto di un
luogo di stoccaggio di residui radioattivi. La regione di questi villaggi era stata giudicata dai servizi geologici svizzeri la
più appropriata all’operazione progettata, perché situata su
terreni geologicamente favorevoli. La risposta non fu facoltativa, dato che la decisione rimaneva aperta e il risultato del
sondaggio andò conosciuto prima della presa decisionale.
All’inizio, il metodo funzionò bene. Tafferugli vennero
meno e i bambini diventarono compiacenti. Ma Klamer
venne rapidamente confrontato con un’altra perdita, non
attesa questa. I suoi bambini risposero in un grado minore
al prender in considerazione l’ordine morale. « Mentre al
cadetto riportai la lagnanza del suo professore, secondo cui
urlava sovente in classe, lui reagì perfettamente in accordo
col mio sistema di valutazione economica proponendomi...
un contratto. Cioè due Euro per aver il diritto di gridare
in classe ! Del tutto l’opposto dei miei principi dichiarati,
mi udii comunicargli la mia stessa reazione : « In nessun
caso ! Voglio semplicemente che tu smetta di farlo. Guai a
te, se tu lo farai una volta di più, avrai a che fare con me ».
La valutazione economica era fallita.
Ne risultò che il 50,8% degli interrogati si dichiarò d’accordo
per l’impianto, mentre il 44,9% si pronunziò contrario. In un
modo piuttosto singolare, tale maggioranza crollò nell’istante
in cui venne proposto un risarcimento finanziario. Con una
compensazione finanziaria annuale da 1500 a 4500 Euro,
l’accettazione dell’impianto di stoccaggio dei residui radioattivi crollò dal 50,8 al 24,6%. Questa quota non cambiò più,
persino in seguito a proposta di un risarcimento maggiore.
Nel 1970, Venne pubblicato il libro « La relazione avvelenata », nel quale Titmuss descrisse le conseguenze di una
remunerazione della donazione di sangue. Negli anni sessanta, un sistema commerciale di donazione di sangue si
era sviluppato negli Stati Uniti (tra il 1965 ed il 1967, il
80% del sangue proveniva da donatori pagati), mentre in
Gran Bretagna, si era conservato il sistema della donazione
benevola. Titmuss constatò che il sistema volontario era sostanzialmente più favorevole in termini di costi ed apportava in oltre un minore rischio di contaminazione.
Dopo indagine, si rivelò che la legittimità della procedura
giocasse effettivamente un ruolo decisivo nell’accettazione dell’impianto. Chiunque, per cui la presa decisionale
sembrasse accettabile, poteva preferibilmente accettare di
condividerne il risultato con gli altri. Con un risarcimento
finanziario, venne anche modificato in maniera decisiva il
modo di prendere la decisione. Nella procedura decisionale
in democrazia diretta, includente un diritto locale di veto,
gli elettori vengono rinviati direttamente al loro senso della
comunità e al loro giudizio oggettivo. Se questo viene adesso congiunto a compensazioni finanziarie, s’impone allora
negli elettori il sospetto che essi vadano subornati. Non si rivolge più al proprio senso civico, se gli si invia il messaggio
implicito che essi vengono presi come « persone piuttosto
centrate sulle cerchie familiari amorali », che vadano convinte dal ricorso a mezzi esterni (finanziari in questa circostanza). Questo trasferimento dalla motivazione intrinseca verso
stimolazioni esterne conduce a uno smarrimento notevole e
grave del capitale sociale (Oberholzer-Gee e.a., 1995).
Interrogò quindi donatori benevoli a proposito delle loro
motivazioni e venne alla conclusione che la maggiore parte
dei donatori non fossero in grado di esprimere le loro motivazioni, senza fare riferimento in un modo o nell’altro a
concetti morali. Effettivamente, il dono gratuito del sangue
si lascia spiegare solamente dal proprio senso civico cittadino, o secondo il caso, dal senso civico della comunità di
quelli che vi partecipano. Fenomeni come la donazione di
sangue rivelano che i « cittadini », all’opposto di molte affermazioni, ci sono assolutamente!
L’indagine di Titmuss forní una serie di risultati più strani.
Dapprima, sembra che l’introduzione della « donazione »
commerciale abbia influenzato negativamente la donazione gratuita e libera in una misura pronunciata. Un pregiudizio venne palesemente recato alla motivazione dei
donatori liberi, perché si pagava in seno alla società una
prestazione che loro offrivano liberamente e gratuitamente.
3-2: Donazione del sangue –
pagato non pagato.
Dunque c’è capitale sociale quando gli uomini, partendo da
motivazioni intime, o, a seconda del caso, intrinseche, s’impegnano in qualcosa. Invece, quando la loro azione viene
34
Questo fenomeno è anche caratterizzato come « effetto di
straripamento » [« Spillover effect »]. Quando si capisce che
un altra persona è pagata per il suo impegno, viene a meno
la propria stimolazione a regalare « gratuitamente » il medesimo impegno.
diventò mobile, la classe media svanì a Jorwed, pubblicità
e prezzi bassi dei supermercati della città vicina – che era
diventata oramai accessibile con la macchina – cambiarono
completamente i comportamenti di acquisto.
Cio accadde dal lato della consumazione. Ma dal lato della
produzione, il controllo se ne spostò anche verso l’esterno.
Poiché il progresso tecnico fece la sua entrata nella fattoria.
Dapprima sorsero le macchine per mungere le vacche e il
trattore sostituì il cavallo da tiro. Quegli investimenti non
erano ancora grossi ostacoli per il fattore. Ma negli anni
settanta, ci fu ancora un cambiamento: il serbatoio di latte refrigerato divenne ad esempio uno standard: « I fattori
dovettero acquistare grossi serbatoi refrigeranti per il latte.
Prima di questo, si lavorava mediante bidoni da latte in alluminio, che venivano posti la sera sul ciglio della strada,
affinché il camion potesse facilmente raccoglierli – una
operazione accompagnata dal rumore e dallo schiocco caratteristico dei coperchi – per portarli nelle numerose piccole latterie » (p.94).
Nel sistema commerciale, la qualità del sangue donato venne in oltre messa in pericolo, perché persone dai più diversi gruppi a rischi vi parteciparono contro pagamento. In
seguito, questo sistema commerciale negli Stati uniti fece
marcia indietro. Negli anni 1971-1980, la quantità del sangue pagato si ridusse del 76%. Nello stesso tempo, la quantità del sangue gratuito si elevò del 36%. La disponibilità a
dare qualcosa da motivazione intrinseca si lasciò dunque
ristabilire nei fini dei conti. Però tale ristabilimento necessita sempre un certo tempo.
Crediamo di aver capito nel frattempo ciò che andava male
nella pedagogia del tentativo di Arjo Klamer. E comprendiamo forse anche per quale ragione la donazione del sangue,
al meglio, non dovrebbe mai venir remunerata. In effetti,
non potrebbe darsi che noi ci trovassimo in questo caso in
una situazione che somiglia, a molti riguardi, furiosamente a quella in cui i bambini di Klamer sono caduti, se lui
avesse menato a fondo il suo progetto pedagogico malsano?
Perché non si può concepire in nessun caso che ciò che vale
per la donazione del sangue non valga nemmeno per la disponibilità a fornire un lavoro e un impegno per l’insieme
della comunità.
Il controllo dei circuiti economici si spostò lontano dalla
comunità locale stessa. Fattori esterni, in particolare provenienti da scoperte tecniche, giocavano oramai un ruolo
decisivo. In oltre, il contadino cadeva nella dipendenza nei
riguardi degli istituti di credito o banche. Tra i contadini di
Jorwed, l’accettazione del credito cagionò un cambiamento
di mentalità: « Per molti, il recarsi alla banca iniziò già col
primo trattore, verso la fine degli anni cinquanta. I più non
potevano pagare del tutto in contanti quest’apparecchio.
Ma poi ci volle sempre più denaro: per macchine, stalle,
impianti sempre nuovi. E incirca dal 1975, il denaro della
latteria non arrivò mai direttamente sulla tavola della cucina, tramite il trasportatore di latte, le banche presero allora
grande importanza nella vita dei contadini. » (p.95)
3-3: A proposito del villaggio
neerlandese di Jorwed.
Numerose opere sono state scritte sulla mutazione della
vita paesana. Ma il modo in cui le « forze del mercato cominciarono a compenetrare la società civile ed a annientare
la sfera privata » (Barber) non è forse mai stato descritto in
una manera più commovente che nel libro di Geert Mak,
« Hoe God verdween uit Jorwerd [Come Dio svaní da Jorwed] »,
un libro nel frattempo divenuto un’opera classica.
Gli abitanti di Jorwerd si affidarono sempre meno gli uni
agli altri, ma sempre di più a gente esterna al villaggio. Fu
il caso del fabbro ferraio. Il fabbro di Jorwerd era un fabbro
ferraio generico autentico, come molti fabbri di villaggio.
Ferrava i cavalli, riparava le grondaie, sistemava i fornelli,
anzi le riparazioni generali del trattore non gli ponevano
difficoltà particolari. Su molti binari della Frisia, circolavano ancora vecchie Renault 4 riformate, che lui aveva astutamente trasformato in binari spazzatrici. Anche la sua
Harley Davidson modificata in motospazzatrice, ebbe un
successo esemplare. Amava la tecnica di iniziativa propria,
però la tecnica si distaccò alla fine da lui » (p.161 e seg.).
« Ogni fabbro ferraio del villaggio poteva restaurare senza difficoltà l’attrezzatura agraria maggiore di un’azienda
agricola: trattori, mietitrici, attrezzamenti di mungitura
meccanica, spandiletami, e molti altri. Ma per i trattori e
le mungitrici che apparvero sul mercato dopo il 1970, questo non valse più. Erano talmente imbottiti di elettronica e
tecnologia che solo i giovani potevano cavarsela con essi.
Un fabbro ordinario, della tempra antica, non poteva più
cavarsi d’impiccio. Anche qua, i contadini si ritrovarono in
una dipendenza sempre più forte dalle forze economiche
del mondo esterno » (p.163). « Cosí scomparve a Jorwerd,
qualcosa che durante centinaia d’anni aveva dato consistenza alla vita dei contadini: la propria economia all’interno
dell’economia più ampia. I limiti tra ambedue svanirono,
l’argine di fedeltà e tradizioni si ruppe sempre di più, e subitamente il villaggio venne trascinato e spezzato via, come
se non fosse mai esistito.
Jorwed è un piccolo paese agrario della provincia di Frisia, nel
Nord dei Paesi Bassi. Fin a quaranta, cinquanta anni fa, i contadini controllavano la sfera centrale dell’economia, anche se
questa mostrava una produttività debole. Ciò principiava già
al livello familiare: « Le famiglie contadine numerose tradizionali non avevano la vita facile, ma avevano un gran vantaggio, rispetto alle famiglie delle città: disponevano di solito
dei propri ortaggi prodotti sul posto, della propria carne, del
proprio latte, burro, formaggio, uova, patate, e potevano così
provvedere da sé ai propri bisogni vitali. » (p.23).
Ciò che andava comprato in più (per esempio, caffè, tè, zucchero, sapone), non rappresentava grossa spesa. Ma soprattutto, l’acquisto si decideva rispettando un bisogno ben determinato. Eppure questo mutò: « Fino agli anni sessanta,
molti contadini non entravano mai in un negozio. Lo stato
di classe media finì con l’invadere la casa paesana. Da interviste con contadine anziane, queste dichiararono: « Noi
scrivevamo su un libretto di conti ciò di cui avevamo bisogno, ma niente di più. Caffè, tè, sapone, che ci occorrevano.
Per tutta la famiglia, io, ne compravo tutt’al più per un paio
di decine di fiorini alla settimana. » (p.24). Questo sistema
scomparve irremissibilmente negli anni settanta. La gente
35
Per mezzo di un controllo moderatore sull’economia, tanto
sul mercato quanto sulla produzione, lo Stato intervenne regolando – esattamente come lo descrive Barber. Per i fattori
di Jorwerd ed altrove, l’introduzione del contingentamento del latte fu straordinariamente « efficace ». Nel 1984, i
ministri dell’agricoltura europei decisero di limitare la produzione di latte. Ogni contadino fu autorizzato a produrne
solo una quantità determinata. Ogni litro di latte eccedente
doveva venir punito da una multa considerevole. Ne risultarono affari speculativi sulle quote di latte. Un fattore, a
chi era permessa una produzione di 250 000 litri di latte,
otteneva de facto un ammontare di 450 000 Euro che lui
poteva rivendere. In seguito, ci furono quote per il letame di
stalle. Gli allevatori non vennero più autorizzati a superare
una certa quantità di letame. Il mercato speculativo si ampliò. Gli allevatori di porci furono pronti a pagare per avere
il diritto di spandere gli eccedenti loro di letame sul terreno
di una altra azienda. (p.105). Per l’insieme delle relazioni
sociali, è molto importante, in questo contesto, che si tratti
di interventi che non abbiano il minore influsso sul contadino individuale, ma che agiscano in un modo decisivo
sulla vita sua, facendone una realtà virtuale. Un contadino
riassunse gli effetti di queste manovre nel modo seguente:
« Non siamo più contadini, siamo produttori. »
cratica che il commissario europeo responsabile dell’allargamento, Günther Verheugen, notò un giorno: «Se l’Unione stessa domandasse di aderire al Trattato, noi avremmo
a obiettarle una « carenza democratica. » (Oldag & Tillack,
2003, pp.17-19 ; si vece anche Booker & North, 2005).
Per un osservatore superficiale, l’UE sembra di aver risolto
parecchi problemi moderni. A seconda dei suoi sostenitori, dopo due guerre mondiali, si può riconoscerle di averne
evitata una terza. Ma fare questo è ignorare in che modo
si sono verificate la prima e la seconda guerra mondiale.
Vennero provocate da élites che governavano in un modo
antidemocratico, sviluppavano i disegni loro in segreto e di
solito iniziavano guerre contro la volontà della maggioranza
popolare, come lo dimostrano gli studi storici attuati al giorno d’oggi. Quello che l’Unione ha fatto è semplicemente lo
stabilire un’élite disponente di un potere ancora più elevato
al di sopra delle antiche élites, le quali essa deve provare a
tener sotto controllo.
L’esempio svizzero rivela un approccio del tutto diverso;
dal momento in cui divenne una federazione, nella metà
dell’Ottocento, avendo incorporato elementi di democrazia diretta dall’inizio, la Svizzera è stata quasi il solo stato
nell’Europa a non entrare in guerre ( solo la Svezia è vissuta
in pace per un tempo più lungo). La ragione è semplice: la
gente brava ed ordinaria vuole raramente la guerra. Democrazie dispongono quindi per migliori metodi della violenza per risolvere conflitti. In altre parole : quando gli stati si
democratizzano internamente, divengono più pacifici.
Questo smarrimento nel controllo della vita propria, non
venne compensato da più democrazia. La volontà della popolazione a configurare la propria comunità di vita non fu
né riconosciuta né onorata. Lo « Stato » rivendica sempre tutela, quand’anche sia veramente più dispendiosa. « Allorché
i giornali e la politica stavano sconfinando in storie « d’autonomia » e di « aiuto scambievole », la comunità utilizzava
in un modo particolarmente scarso le possibilità che offriva
ancora nella pratica il senso sociale contadino. La maggior
parte dei grandi cambiamenti in Jorwerd – la colmatura del
porto, la ricostruzione, – risalivano quasi tutti a suggerimenti della popolazione stessa. In seguito, tali iniziative si manifestarono appena. Così la strada verso il campo « Kaat »
era solo un grosso pantano quando Willem Osinga propose
di rimetterla in ordine con qualche volontario ed una paio
di sabati pomeriggio – c’erano ancora lastricati disponibili
e la comunità aveva solo da fornire alcune carrettate di sabbia –, ma ciò non si doveva fare in questa maniera. Poi la
comunità lo fece lo stesso. Costo: trenta mila fiorini. « Con
questo denaro, avremmo potuto fare un sacco di cose nel
villaggio », brontolò Osinga. » (p.225 et seg.)
C’è stato un consenso da lungo tempo tra gli intellettuali
per riconoscere che le democrazie (nel senso di stati provveduti d’elezioni libere e del rispetto dei Diritti dell’Uomo)
non entrano in guerra fra esse. Da un altra canto, però gli
intellettuali hanno osservato che democrazie sono tanto
bellicose quanto altri stati autoritari. Rummel (1995) prova,
tuttavia che quest’affermazione venga basata su statistiche
che non fanno distinzioni tra conflitti relativamente limitati, con mille morti, ad esempio, e guerre che fanno milioni
di morti. Se il numero dei morti viene preso in conto, c’è un
legame assai evidente : più uno stato è democratico, meno
esso cagiona morti nei conflitti.
In breve, se volete la pace, potete fare tutti il possibile per
tenere problemi di forza sotto controllo stabilendo un potere superiore al di sopra essi (come lo fa l’ideologia politica vigente nell’UE) ; ma una pace permanente viene assai
meglio assicurata smantellando queste forze dall’interno.
Sarebbe dunque una tappa molto più logica introdurre la
democrazia diretta negli stati attuali piuttosto che mettere
al loro posto super-stati sovranazionali in cui stati nazionali vadano assorbiti. Non c’è nessuna garanzia che tali stati
sovranazionali non tornino verso lotte d’influenza regionali
che gli forniscano una ragione per attaccarsi mutuamente.
Se questa logica viene proseguita, ci vuole dunque uno stato
più forte che deve tenere tutti gli altri stati fuori da ogni minaccia reciproca. Si finirebbe così con l’avere un solo Stato
mondiale autoritario – una prospettiva non assai attraente.
3-4:L’Unione Europea
In questi ultimi decenni, l’Europa si è allargata in ogni
indirizzo. Ne ha ricavato più poteri per se stessa con ogni
emendamento nel Trattato e quasi ogni governo in Europa
si è pronunciato in favore dell’adesione, fossero d’accordo o
no i cittadini. Nella maggiore parte dei casi, la decisione del
raggiungimento europeo venne presa senza referendum.
Oggi, il 50% della legislazione viene da Bruxelles. Essa è
stata condensata attualmente in circa 100 000 pagine. Il
bilancio europeo, che ammonta a più di 100 miliardi di €
all’anno, è molto più importante di quello di parecchi stati membri. « Le istituzioni europee esercitano oggigiorno
affettivamente più potere di ogni stato membro per conto
proprio », tal è l’opinione del giudice costituzionale tedesco
Udo di Fabrio. Nello stesso tempo, l’UE è così poco demo-
Il mestamente celebre « deficit democratico » dell’UE, c’è
perché i governi nazionali (senza l’accordo dei propri cittadini) hanno ceduto il potere alle istituzioni europee per
fare leggi che prevalgono oramai sulle leggi nazionali e costituzionali. I parlamenti nazionali non hanno più nessuno
36
controllo su questo. Capi di governi nazionali e ministri
(attraverso la loro partecipazione nel Consiglio europeo)
controllano qualche chiave della legislazione europea, ma
in quanto questi s’incontrano a porte chiuse, Parlamenti
nazionali non sanno mai in che modo i loro capi governativi hanno votato a Bruxelles. Se i ministri pretendono di
aver fatto esattamente ciò che i Parlamenti loro aspettavano
da essi, i Parlamenti non dispongono di nessuno mezzo
per opporsi. Il Parlamento europeo non può colmare questo vuoto, dato che ha appena appena qualche potere. Non
ha nessuno diritto decisionale sulle questioni più importanti ed è incapace di destituire membri individuali della
Commissione Europea (pressappoco il governo dell’UE).
L’ex-presidente della Commissione Europea, Jacques Delors, chiamò un giorno l’UE un « tiranno discreto » (Oldag
& Tillack), 2003, p.35). Fatto sta che ciò implica una doppia
crisi : nel momento in cui la gente non è più soddisfatta del
suo sistema rappresentativo (si vede 1-1), perfino la « parola da dire », assai ristretta , di cui i cittadini dispongono
ancora col sistema rappresentativo, viene una volta di più
scalzata da ogni lato.
La sedicente Costituzione Europea che venne preparata a
Bruxeles, ma venne rifiuta in maggio e giugno 2005 dagli
elettori dei referendum di Francia ed Olanda avrebbe fatto
poca cosa per risolvere tali problemi. Il Parlamento Europeo
avrebbe certo ottenuto più potere nella presa decisionale,
ma avrebbe continuato a non avere diritto d’iniziativa o nel
destituire i membri della Commissione. Invero la Costituzione avrebbe fornito più proposte in seno al consiglio dei
Ministri, ma tali proposte sarebbero rimaste limitate e non
si sarebbero applicate ai capi di governi in seno al Consigli
Europeo. É precisamente lì che vengono prese decisioni più
importanti, quali trattati europei (con accordi più seri), il bilancio dell’UE e lo spiegamento delle forze militari europee
all’esterno dell’UE.
Un altro problema chiave concerne il centralismo rinforzato
oltre al disegno di Costituzione europea. Leggi dell’UE valgono già pienamente in tutti gli Stati membri, o non valgono
da nessuna parte. In pratica questo genera molte discussioni
agitate, ma a mezza voce perché le circostanze in ogni Stato
membro sono diverse ed ogni governo ha esigenze varie.
Sovente, nessuno è soddisfatto dei compromessi, dato che
tutti gli Stati membri (25 oggi) devono esserlo. Una semplice
soluzione – in favore della quale, tra altre, argomenta Frey –
sarebbe che gli Stati membri stipulassero sempre per ogni
tema con quali Stati vogliono introdurre una legislazione
congiunte, ciò che trascinerebbe la creazione di « giurisdizioni di sovrapposizione » (« Overlapping jurisdictions »,
ndt). In ogni caso, gli altri Stati potrebbero sempre decidere dopo quale giurisdizione vogliono raggiungere. In oltre,
Frey suggerisce che i cittadini possano decidere mediante
democrazia diretta in seno alle giurisdizioni, quello che si
realizza in Svizzera, come descritto sopra. Questa proposta
di Frey contiene esattamente un mischio di federalismo e
démocrazia diretta, il quale, come abbiamo visto in questo
capitolo, risulta cruciale per una coscienza autenticamente
pacifica e produttiva nel ventunesimo secolo.
37
4. L’essere umano democratico
Democrazia e motivazione
Dato che decisioni presuppongono in ogni caso consapevolezza, la fisica non fornisce nessuna base per distinguere
eventualmente tra ciò che è “moralmente corretto” e “moralmente scorretto”. La politica, da parte sua, può solo agire
facendo invece continuamente appello al bene ed al male, in
quanto essa deve decidere tra diverse misure. Se una misura
non potesse venire giudicata, in un modo fondamentale o
altro, quale “moralmente migliore”, la politica non avrebbe
nessuno senso.
Un sistema meramente parlamentare, con presa decisionale
maggioritaria, non è un sistema democratico. Con tale sistema la popolazione non può impedire l’introduzione di legge
non voluta. In una democrazia autentica, il popolo ha sempre l’ultima parola in caso di dubbio.
Tuttavía gli oppositori alla democrazia diretta non si lasciano convincere da un principio fondamentale cosí semplice.
L’opposizione loro alla democrazia diretta non si basa in effetti soltanto su motivi razionali. Il riserbo loro nei confonti
della sovranità globale del popolo viene anche dalle viscere e
radica in una sfiducia deliberata verso l’essere umano. L’introduzione del suffragio universale, se del caso, il diritto di
voto per le donne, vennero contro a tale opposizione tradizionale a quell’epoca.
ノ proprio l’esistenza di questa distinzione che deve servire da
punto di partenza dell’impegno politico. Siccome gli aspetti
morali – che non esistono del tutto negli ambiti delle scienze
naturali – formano la base della politica, questa è dunque
fondamentalmente autonoma nei confronti delle scienze
naturali. Questo non è un punto di vista non scientifico o
antiscientifico. Si tratta del fatto che le scienze naturali – a
cagione della limitazione loro alla materia – non possono descrivere completamente la realtà umana.
Gli avversi alla democrazia diretta pensano che gli esseri
umani si lascino determinare nel comportamento elettorale
loro, in sostanza da motivi egocentrici o d’ordine privato. A
seconda di questa concezione, le minoranze verrebbero spietatamente respinte dalle maggioranze. In democrazia diretta, dunque secondo loro, non si anelerebbe in nessun caso a
scopi elevati o eventualmente agli interessi umani di tutti. La
democrazia rappresentativa creerebbe, invece la condizione
preliminare perché una élite morale abbia la parola. Si aspetta dopo da quest’élite che essa riconosca gli interessi generali
e li favorisca.
La fonte originaria della morale viene spesso giustificata dalla
selezione naturale darviniana (De Waal, 1996, Ridley, 1996).
Ci si afferma, ad esempio, che tribù dotate di un “istinto”
morale spiccato dimostrino una coesione interna più forte
e siano pertanto superiori a tribù coll’istinto morale meno
sviluppato. Una tribù i cui membri si combattono sempre
in base a istinto morale ridotto, indebolisce se stessa e non
se la cava nei confronti di un’altra, i cui membri si aiutano
reciprocamente. Darwin chiarì di questo modo la fonte originale de “l’istinto morale” nell’essere umano. Nel frattempo,
questo punto di vista si è ampiamente diffuso. Tal abbozzo
di chiarimento suscita tuttavía problemi fondamentali. La
selezione darviniana non può chiarire il fenomeno della coscienza. Che senta un’antilope la presenza del leone e sfugga
subito, ciò si lascia perfettamente spiegare, nel modo meccanicistico e causale di veder le cose, da una serie de mecanismi
meramente fisici. La luce tocca la retina dell’antilope, il nervo
ottico trasmette un segnale al cervello dove viene trasformato in reazione motrice, per effetto di processi determinati.
Il comportameno di darsi alla fugga precipitosa e il vantaggio evolutivo che gli viene associato, risultano pienamente e
esclusivamente dell’organismo materiale dell’antilope stessa.
Il contenuto della coscienza dell’animale, lo spavento suo e
l’aggressione sua, non giocano primariamente nessuno ruolo e perciò non forniscono nessuno vantaggio evolutivo.
Gli opponenti alla democrazia diretta hanno dunque un
concetto bene determinato degli esseri umani e della società. Considerano la società nell’essenza sua una giungla, un
nido di serpi, in cui si affrontano interessi particolari. Utilizzano quindi una teoria precisa della motivazione, secondo
cui l’interesse egoistico costituisca il motivo principale del
decidere. Non si lasciano convincere semplicemente dagli
argomenti logici a favore della democrazia diretta nemmeno
dalle pratiche messe in opera nei paesi dove esistono strutture di democrazia diretta da molto tempo. Poiché, nell’intimo,
essi reputano l’essere umano medio del tutto politicamente
maldestro e incapace.
Nell’esposizione seguente vogliamo perciò esaminare in
modo precisio il fenomeno della motivazione umana. Lettori
frettolosi possono senz’altro saltare questo capitolo e passare
subito al capitolo quinto.
Nell’antilope, la maniera meccanicistica e causale non riconosce con precisione la realtà per due aspetti. Da un lato,
le leggi della fisica non forniscono primariamente nessuna
indicazione nei riguardi del fenomeno “coscienza”. Dall’altro, questa manera di osservare non offre nessun punto di
riferimento secondo cui “coscienza” voglia dire vantaggio
evolutivo.
Bene e male quali concetti politici fondamentali
Nel mondo della materia, si cerca invano l’elemento morale.
Le leggi della fisica non danno nessuna indicazione sull’esistere della coscienza (Searle, 1992; Penrose, 1994). La coscienza non gioca nessuno ruolo nella fisica, in quanto questa non descrive assolutamente nessuna relazione causale in
cui emerga il fenomeno “coscienza”. Si deve piuttosto prendere le mosse dal fatto che la coscienza è una condizione per
la descrizione dei rapporti e leggi fisiche. Quindi la coscienza
non è racchiusa nella fisica, sebbene costituisca una condizione preliminare per le conoscenze fisiche.
Il senso di paura dell’antilope non è dunque spiegabile fisicamente e porta all’antilope nessuno vantaggio nella lotta
par la vita.
Ciò che vale per il senso di paura dell’antilope si avvalora
anche in modo simile per il giudizio morale dell’essere umano. Per questo giudizio, si tratta parimenti di contenuto di
coscienza che non si lascia chiarire in modo fisico e non offre
nessun vantaggio evolutivo. Se – come lo pensa lo scrittore
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neerlandese W.F. Hermans – l’essere umano è solo “un processo chimico come tutti gli altri” –, il vantaggio evolutivo
risultante della cooperazione tra gli individui nasce senza
che consapevolezza o giudizio morale giochino un ruolo. Se
conscienza e giudizio morale non giocano nessun ruolo nel
formare il vantaggio evolutivo, non si lasciano dunque chiarire da une processo di selezione darviniana.
Non possiamo dunque fare a meno di considerare il contenuto del pensare realtà autonome, che non sono riconducibili
a processi materiali. Chi auspica a dimostrare la giustezza di
una dimostrazione matematica non ha bisogno di osservare
col microscopio i processi cerebrali del matematico che sta
facendola. Deve piuttosto – coll’aiuto della sua facoltà di giudicare quale facoltà percettiva – entrare nell’argomentazione
matematica stessa.
La visione meccanistica proiettata sulla realtà cagiona in oltre
una sorte di cortocircuito logico. Se il nostro pensare fosse
determinato interamente, per quanto concerne il contenuto
suo, da processi fisicochimici del cervello, l’anelare nostro alla
verità sarebbe un’illusione. Non potremmo mai scoprire poi
se una conoscenza, che ci sembra logica e giusta, sia verace
nella fattispecie. Non potremmo escludere la sua fondatezza,
ma potrebbe anche succedere che la parvenza dell’esattezza
logica fosse falsa e solamente il gioco di processi chimici e
fisici del nostro cervello stesso.
Se dunque vogliamo sviluppare concetti d’azione politica e
sociale in base razionale, dobbiamo prendere le mosse dalla distinzione fra il bene e il male, nello stesso modo che
da un’ipotesi fondamentale non riconducibile ad altra cosa.
Questioni politiche e sociali sono veramente d’ordine etico e
risposte politiche sono sempre risposte etiche. E per quanto concerne l’etica, si tratta sempre – per quanto si volti e
rivolti il problema come si vuole – di una distinzione fra il
bene e il male. Il concetto di “bene morale” sta dunque continuamente al centro del dibattito politico. Dato che giudizi
morali – come i contenuti di coscienza in genere – non si riducono a processi fisicochimici e costituiscono il fondamento dell’azione politica generale, l’azione politica stessa non è
riconducibile, in linea di massima ai processi fisicochimici.
E la scienza politica stessa, in fin dei conti, non si lascia tanto
meno ridurre alla fisica o alla chimica.
Se noi accettassimo che il nostro pensare fosse interamente
determinato da tali processi fisicochimici, dovremmo allora
inferirne che ogni impressione d’esattezza possa solo essere
un’illusione, in realtà prodotta in un modo incantevole da
processi materiali nel cervello nostro. Quest’incertezza vale
anche per l’insieme delle nostre idee, compresa la nostra
convinzione che il pensare sia interamente riconducibile a
fenomeni fisicochimici. Questo modo di vedere, meccanicistico, la fonte originaria del pensare, come lo nota a buon
diritto Popper (1982), risulta dunque autodistruttiva.
Benjamin Barber (1984) attribuisce una grande importanza
a questo carattere di non-riducibilità della scienza politica e
dell’azione politica. Politica è più che ricerca prammatica di
soluzione ottimale a situazione di partenza determinata. C’è
un momento creatore nella politica, un momento di libera
scelta morale. La decisione, per sapere se si tratta di una
buona soluzione, non risulta semplicemente da circostanze
precise. La soluzione adeguata risulta dal fatto che gli esseri
umani aggiungono qualcosa di perfettamente nuovo a circostanze determinate. Le scienze politiche sono quindi autonome nei confronti delle scienze naturali, poiché esse trattano questioni etiche (queste ultime non incontrano invece
nessun’attenzione da parte delle scienze naturali) e una soluzione etica racchiude sempre un elemento creatore. L’azione politica si distingue dall’azione dell’ingegnere che sta, ad
esempio, ricercando la soluzione di un problema tecnico.
L’ingegnere ricorre soltanto a leggi naturali per risolvere situazioni corrispettive. Da un punto di vista tecnico, i migliori
ponti risultano senza equivoco dalle condizioni materiali. ???
una differenza di principio.
La percezione ci insegna che il funzionamento incontestabile del cervello è in ogni modo una condizione necessaria perché idee e giudizi morali possano accadere nella vita e nelle
azioni umane. Ma questo non significa affatto che il pensiero
sia, quanto al suo contenuto, riconducibile a processi interamente materiali del cervello. Par sentire un programma alla
radio, mi occorre un apparecchio radio ricevente e ben funzionante. Ma questo non implica che il programma, quanto
al suo contenuto, sia riconducibile al funzionamento dell’apparecchio radio.
Bene al contrario: se seguiamo ad esempio una dimostrazione matematica mediante il pensiero, sono esclusivamente i
puri contenuti delle riflessioni matematiche che ci permettono di progredire, da una tappa a quella successiva della dimostrazione. Questi contenuti di riflessione, in quanto tali
non si lasciano mai ricondurre a un sistema meramente materiale. Per esempio, il senso di un pannello signaletico non
si lascia dedurre dalle sue caratteristiche materiali. E il senso
di una parola scritta sulla lavagna non si lascia mai ricondurre alle forma e configurazione d’insieme dei tratti di gesso.
Dato che pannello signaletico e tratti di gesso possono venir
subito collegati a un numero sterminato di significati, considerati quali sono, non conducono l’osservatore verso un’interpretazione determinata o un contenuto di pensiero definito. Un abitante del pianeta Marte non potrebbe mai inferire il
senso di un pannello segnaletico partendo dall’analisi fisica e
chimica di questo (una lastra metallica, dipinta in bianco con
un bordo rosso). Nello stesso modo, l’aspetto di contenuto
in una riflessione o idea, non può mai essere ricondotto a
un sistema materiale interamente analizzato in seno al cervello. Il nostro Marziano non potrebbe nemmeno ricostruire
dall’analisi fisica e chimica di un sistema cerebrale, i contenuti del pensare che il portatore di questo cervello sta avendo
davanti agli occhi in quellll’istante, contenuto della propria
coscienza. In questo contesto, non c’è nessuna differenza di
principio tra il pannello signaletico e il cervello.
Tre maniere di vedere l’essere umano
e la democrazia
La questione basilare – la questione di fondo della politica – è
di sapere che cosa sia il “bene morale”. E tale domanda conduce a un paradosso straordinariamente interessante.
Il concetto di “bene morale” diviene solo significativo se accettiamo che il bene oltrepassi il diletto dell’individuo. Non
possiamo decidere arbitrariamente e semplicemente di ciò
che noi caratterizziamo come rientrante o non nel campo del
bene. Nel concetto “morale” si nasconde quindi un elemento
sorpassante l’arbitrario individuale.
Per dir il vero, la libertà individuale rimane un aspetto assai
essenziale del concetto di “bene morale”. La libertà coinvolge
nella possibilità di scegliere. Pertanto un’azione o una decisione può solo venire caratterizzata quale “moralmente
buona” se essa radichi in fin dei conti nella libera possibi39
lità di scelta da parte dell’individuo. Che un’azione risalga,
nell’istanza ultima, a una costrizione – quantunque sottile
fosse anche la piega di questa – allora non si può più utilizzare le categorie del “bene” e del “male”.
carlo, o ancora reprimere un eccesso di furore che sta per
scoppiare in noi). Quale soggetti, invece, non possiamo mai
opporci alla nostra solidarietà (per esempio col dolore dell’altro). Se vogliamo oggettivare la nostra solidarietà, la conserviamo nondimeno quale soggetto inviolabile. Non possiamo
invero spaziare impassibilmente lo sguardo sulla nostra inclinazione rispetto agli altri. Quand’anche però tentiamo di
farlo, dobbiamo allora generare uno spettro della nostra propensione verso essa, prescindendo dal fatto essenziale che
si tratti della propria inclinazione. Se vogliamo raffigurarci
realmente tale propensione o solidarietà, tenendo presente
la circostanza che si tratta dell’inclinazione nostra, ne siamo
allora ineluttabilmente colmati. Ciò non avviene quando, per
esempio, vagliamo attentamente una delle nostre abitudini
(compreso il fatto che si tratta di una nostra abitudine). La
solidarietà è l’elemento da cui non possiamo prendere le distanze, ma con cui ci identifichiamo nell’intimo di noi stessi.
Abbiamo un corpo, abitudini, un carattere; siamo la nostra
solidarietà.
Dunque l’elemento morale ha due aspetti. Sorpassa essenzialmente l’arbitrario individuale. ノ l’aspetto sopraindividuale dell’elemento morale. E questo può solo risultare dalla
libertà stessa dell’individuo agente e da niente altro. ノ dunque l’aspetto individuale dell’elemento morale. Ambedue gli
aspetti hanno un comportamento paradossale tra loro. In
effetti, in che modo l’elemento morale può essere al tempo
stesso individuale e sopraindividuale?
A questo punto, giungiamo essenzialmente alla distinzione
tra libertà e buon piacere. La libertà si differenzia dall’arbitrario mediante la solidarietà.
Rinviamo alla propria individualità mediante la parola “Io”.
Senza Io, non c’è libertà morale, nessuna distinzione tra bene
e male e anche nessuna politica. Ma che cosa è veramente
quest’individualità, a cui rinviamo ordinariamente tramite la
parola “Io”? In ogni occasione, l’Io va distinto dal possesso
suo. Ho un corpo, un sesso, una madrelingua. Sento piacere e dolore. Possiedo ricordi ed ambizione. Invece, la parola
“Io” esprime propriamente che io non sono niente di tutto
ciò, e che mi posso porre di fronte a tutti questi “possessi”,
quale soggetto esterno ad essi. In primo luogo, la parola “Io”
rinvia dunque ad un vuoto. Tale vacuità è identica per tutti gli
uomini, e certo nella misura in cui due spazi vuoti possono
essere identici. Qui, troviamo il fondamento obiettivo per il
principio dell’uguaglianza di diritti, per l’uguaglianza davanti alla legge, che dovrebbe regnare tra gli uomini, nonostante
la loro diversità. Gli esseri umani sono diversi, eppure gli esseri
umani sono uguali.
Intendiamo questo più chiaramente quando esaminiamo la
forma più elementare d’apparire della solidarietà, cioè l’attenzione affettuosa. Di sua natura l’attenzione è una facoltà dello
spirito umano che consiste nell’offrire all’altro uno spazio
nella propria forza di rappresentazione. L’attenzione mira
alla verità. Costituisce il primo grado dell’attività del pensare.
L’attenzione amichevole offre non soltanto uno spazio per
le impressioni dei sensi, ma anche per le idee e camminamenti ideali. Ci mettiamo in rapporto con l’altro, offrendogli dapprima l’attenzione affettuosa nostra. Non possiamo
distaccarci dall’attenzione propria, data la natura stessa di
questa. Di certo, possiamo dirigerla verso ogni sorta d’oggetti possibili – a anche verso qualità e natura della nostra
stessa attenzione. Ma propriamente mediante l’azione nostra
non siamo contemporaneamente separati dall’attenzione.
L’attenzione nostra possiede assolutamente l’attitudine alla
riflessione (essa può riportarsi a se stessa), ma non siamo in
grado di oggettivarla, nello stesso modo in cui oggettiviamo i
nostri tratti di carattere. Possiamo portare attenzione alla pigrizia propria, senza essere nell’istante stesso pigri. Ma non
possiamo prestare attenzione all’attenzione nostra senza
simultaneamente venir abbandonati a quest’attenzione. La
nostra pigrizia, è qualcosa che possediamo; ma in un senso
profondo e fondamentale, l’attenzione portata è una forma di
manifestazione della nostra natura stessa. Quando portiamo
attenzione ad una cosa, siamo allo stesso tempo questa stessa
attenzione. E l’attenzione è solidarietà.
A dire il vero, non si tratta di un nulla assoluto per l’Io. L’Io
umano è in effetti una vacuità piena d’attesa, dottata di potenza creativa – è la vacuità della volontà morale, prima che questa volontà abbia fatto nascere una decisione morale. Sonnechia nella vacuità dell’Io una facoltà non ancora differenziata
verso la solidarietà. L’Io umano non è niente altro che forma
del sorgere della solidarietà nel mondo. E precisamente tale
solidarietà fa la differenza tra libertà e arbitrario.
Senza solidarietà, io sono tanto libero quanto un astronauta
che, essendo isolato e fragile nello spazio, sta girando attorno
al proprio centro gravitazionale. Può assolutamente effettuare moti arbitrari, ma non può mai influire sulla posizione
del proprio centro di gravità rispetto ad altri oggetti, poiché
ha smarrito ogni nesso col mondo esterno. Se non stabilirò
legami con gli altri, il sublimissimo atto non mi toccherà mai
intimamente e mi lascerà indifferente. Senza solidarietà non
posseggo libertà di cambiamenti. Solo mediante l’insieme
dei legami contrattati con gli altri mi trasformo attraverso la
mia condotta.
Il carattere paradossale dell’elemento morale viene sciolto nella solidarietà. Da un lato, io sono la mia solidarietà.
Questa è sovraindividuale e può esclusivamente derivare da
un individuo. Dall’altro tuttavía, la mia solidarietà è sempre
quella che esiste con un altro. Senza l’altro non può esistere
la mia solidarietà. In questo senso le sono debitore dell’esistenza mia e, certamente, ad ogni momento in un modo rinnovato. Solidarietà e calore morale possono durare soltanto
tra esseri umani. La società propriamente detta non è lo Stato
o l’insieme delle strutture e unità sociali. La vera società è la
rete di solidarietà e indifferenza, di calore e freddo morali, tra
gli esseri umani. Non è facile, rispetto alla solidarietà, sviluppare un concetto preciso, poiché non incontriamo nessuna
realtà nel mondo materiale (da cui traiamo la maggiore parte
dei concetti), che possegga al tempo stesso un carattere d’oggetto e un carattere di relazione.
L’uomo è libero da ogni legame solo quale essere. Si potrebbe
dire che è la solidarietà, o il calore morale sviluppato tra gli
uomini singolari, a seconda del caso, a fare sí che nasca l’elemento morale nel mondo. Perché fuori dall’essere umano
solidario, non c’è morale in nessuno luogo nel mondo. L’uomo viene rinviato in comune con tale solidarietà all’intimo
della propria essenza. Possiamo, quali soggetti, non soltanto
opporci al mondo esterno, ma anche al proprio corpo, alle
nostre abitudini, e perfino al nostro carattere (possiamo, ad
esempio, tentare di sminuire un tratto di questo o modifi-
Da questo esame del carattere doppio di morale e solidarietà
si succedono tre modi d’esaminare la democrazia:
40
•Quello che pone prima di tutto l’aspetto sopraindividuale
al centro e trascura l’aspetto individuale, inclina cosí verso
una forma ristretta di democrazia. Benjamin Barber (1997)
abbozza questi “comunitaristi” incarnandola del modo seguente: “Dato che partono dal fatto che gli esseri umani
stanno incatenati insieme in una rete di comunità e relazioni che prendono la precedenza sulla loro individualità e
condizionandola, i comunitaristi non considerano la società civile come un campo sportivo per gli individui, i loro legami arbitrari e le loro strutture organizzative contrattuali,
ma la considerano come un miscuglio complesso di rapporti sociali inevitabili, ricolleganti gli uomini in famiglie,
stirpi, vicinanze, comunità e gerarchie.” In questa visione
comunitarista, l’elemento morale viene considerato come
imposto dall’alto. Si sceglie una forma statale sussidiaria,
con tutt’al più forme rappresentative di democrazia e un
vastissimo margine di manovra per l’élite dirigente. Tale élite deve poi “educare” il popolo. Organizzazioni e associazzioni vi vengono prima pensate come strumenti attaverso e
mediante cui l’élite può controllare, pilotare ed “educare” il
popolo con circospezione.
•Quello che si concentra solamente sull’aspetto individuale
dell’elemento morale e per cui gli sfugge la relazione reciproca tra gli esseri umani, ovvero la rissente qual appena
segnata. Barber (1997) caratterizza tal modello “libertario”
nella maniera seguente: “... in materia di relazioni sociali,
sia nella sfera privata stessa, sia tra la sfera privata e le autorità, si tratta di legami contrattuali conclusi da individui
liberi per proteggere i loro interessi e beni, nonché la difesa
delle loro libertà. (...) Dato che questo modello si volge al
consumatore autonomo, individuale e egoistico, che si barrica dietro ai suoi diritti e si arrischia ad uscire poi fuori soltanto quando può aver pretensioni sui risultati dello Stato, il
quale assomiglia per lui a un’impresa di servizi, questo tipo
può raffigurare il modello liberale di una società civile solo
in forma rudimentale di relazioni sociali superficialmente
strumentali. La concezione della libertà, conformemente a
tale modello è di tipo iperindividualistico: negativo e d’opposizione. Essa non può corrispondere al desiderio di formazione comunitaria e solidaria che sta impadronendosi
dei popoli moderni di società postindustriali mobili.” Da
questo punto di vista, cosidetto “libertario”, si arriva senz’altro a rappresentazioni di democrazia diretta del tipo “telecomandato”, con votazione televisiva e altre cose del genere.
L’opinione personale dell’individuo atomizzato fluisce poi
direttamente nella risoluzione, senza che possano elaborarsi in seno alla società stessa rappresentazioni comuni.
•Barber (1997) parla in favore di una “forte democrazia”:
“Nella prospettiva di forte democrazia, i cittadini vengono
considerati quali partecipanti della società civile in quanto
membri di comunità e gruppi attivi, responsabili e impegnati. (...) I cittadini (...) concepiscono che la democrazia
sia precisamente la forma statale in cui, non politici o burocrati, ma il popolo stesso provvisto dalla potenza sovrana
sua, frutti le sue disposizioni legali per vivificare lo spazio
delle sue libertà. Qui, la libertà porta con essa tanto dovere
e responsabilità sociale quant’impegno civile e diritto delle
persone morali. In questa forma statale, diritti e responsabilità sono entrambi gli aspetti di un’identità cittadina, che
non appartiene né ai burocrati, né ai consumatori privati,
ma unicamente e solamente ai cittadini stessi.”
tuamente e in un modo organico democrazia diretta radicale
e federalismo radicale. L’aspetto sovraindividuale vive naturalmente e pienamente la sua vita tra gli esseri umani. Non
può venir introdotto dall’alto in una società democratica –
né da un re, né da un presidente o da un gruppo di capi di
partiti. Sorge dalla discussione come dalle frequentazioni
coltivate dagli esseri umani tra loro, che non si oppongono
gli uni agli altri, in termine d’individui atomizzati, ma che
si sono raggiunti in un modo federale in seno a una rete sociale. In forte democrazia, gli esseri umani si ascoltano, dibattiti sociali hanno luogo e vi si corregono mutuamente. La
decisione propriamente detta, però, l’istante del voto stesso,
rimane faccenda individuale. Poiché in fin dei conti, il voto
deve risultare dalla migliore conoscenza e dalla migliore consapevolezza morale, giacché solo indidui possiedono prima
di tutto comprensione e coscienza morale per questo. Qui
poggia il polo individuale della dimensione morale e della
solidarietà. Perché solo la democrazia diretta permette un
giudizio individuale. Siccome in una società federale, questo
precede lo sviluppo comune delle rappresentazioni, esso può
anche andare al di là dei limiti e parzialità inerenti gli individui singolari.
Maslow – una teoria fenomenologica della
motivazione
Dobbiamo ancora esaminare se l’essere umano, durante il
processo decisionale democratico, prende effettivamente in
conto gli interessi della comunità. Quali motivazioni stanno,
in effetti, dietro gli atti dell’essere umano e, con questo, anche dietro le decisione politiche? Per farcene un idea, noi riporteremo all’influente teoria della motivazione di Abraham
Maslow (Maslow, 1943a).
Secondo Maslow, nell’essere umano cozziamo contro una piramide di esigenze e bisogni. Finché un bisogno fondamentale non venga soddisfatto, la motivazione verrà determinata
da questo bisogno e altri bisogni non conteranno o appena.
Maslow distingue due sorte di bisogni: le necessità fondamentali, che vengono soddisfatte dall’esterno, nonché i bisogni d’autorealizzazione (ovvero “metabisogni”) che vengono
soddisfatti in base all’attività interna. Necessità fondamentali
s’impongono dapprima. Solo quando esse sono largamente
soddifatte, il bisogno di realizzazione di sé (autorealizzazione) diviene una motivazione principale.
Maslow prende in conto i bisogni fondamentali seguenti:
I bisogni corporei
Il bisogno di cibo, d’aria, etc.. “Un uomo affamato all’estremo
s’interessa unicamente al vitto. Sogna il cibo, se lo raffigura
senza tregua davanti a lui, ne ha la mente abitata, s’irrita a
proposito di esso, vede e anela esclusivamente al nutrimento.” (Originale: Maslow 1943a, p.374). Finché questi bisogni
non vengano soddisfatti, essi domineranno sempre la motivazione umana. Nel momento in cui vengono sodisfatti,
fosse una volta sola, sorgono altri bisogni: “Che succede ai
desideri di un essere umano, quando lui ha abbastanza pane
e lo stomaco suo si è riempito? Subito spuntano altri bisogni
(più elevati) e si mettono a dominare ora l’organismo al posto della fame corporea. E quando questi si sono compiti a
loro volta, altri ancora sorgono (encora più elevati). ノ questo
che vogliamo dire quando affermiamo che i bisogni umani
vengano gerarchizzati di un certo modo.” (Originale: Baslow
1943a, p.375).
Chi integra i due poli dell’elemento morale (individuale e
sovraindividuale), avendoli aquilibrati e giustificati in diritto, giunge finalmente a un processo di formazione collettiva
di rappresentazioni, seguito da decisione individuale. Una
volta in più, possiamo veder qui quanto si completano mu41
Il bisogno di sicurezza
cante se non viene acquisto nell’atmosfera di una vita sociale
degnamente umana. La necessità di conoscenza e comprensione deve però essere considerata quale fondamentale, poiché l’essere umano deve indirizzarsi verso l’esterno per poter
soddifarla (mentre il bisogno di attuazione di sé, verrà invece
soddifatto da una produttività interna – si vede qui sotto). Si
potrebbe affermare ugualmente che conoscenza e comprensione andrebbero raggiunte in una certa estensione, prima
di poter arrivare all’autorealizzazione. In questo senso, il bisogno di sapere e capire precede in ogni modo quello della
realizzazione di sé.
Le necessità corporee si referiscono a bisogni immediati.
L’essere tormentato dalla fame e dalla sete, non si fà nessuna idea sul proprio futuro. Vuole puramente mangiare e
bere. Appena questa necessità pressante del cibo è appagata,
spunta la preoccupazione delle provviste per l’avenire. Nasce dunque un bisogno d’approvvigionamento garantito in
cibo, di un tetto permanente sulla testa, di una protezione
dal freddo e da altri pericoli o minacce. Siamo interessati
alla nostra vita e ci occore per questo una certa garanzia di
sicurezza. Necessità corporee sono encora collegate ad una
situazione concreta. Il bisogno di sicurezza invece concerne
il nostro futuro ulteriore. Questo bisogno racchiude la necessità di regolarità e del ritmo preciso nonché l’assenza di
pericoli minaccianti la nostra vita. Secondo Maslow (1943a), i
bambini hanno particolarmente bisogno di un modello d’esistenza sviluppandosi con regolatezza, in cui possono sentirsi
in sicurezza e protetti.
Il metabisogno – o bisogno del attuarsi
Una tesi centrale di Maslow avanza: ogni talento è anche un
bisogno e certo un bisogno di realizzazione di questo talento.
L’uomo normalmente sviluppato non rimane invischiato negli ultimi bisogni fondamentali, quali quelli d’appartenanza
e d’acquisire conoscenze. Quando questi sono stati abbastanza soddisfatti, un nuovo bisogno sorge: il desiderio di
precisare i propri talenti e doni. Questa nuova necessità si
distingue fondamentalmente dalle precedenti, poiché non
può venir soddisfatta dall’esterno, ma soltanto dall’attività
interiore propria. Per questo, Maslow parla qui di metabisogno. La linea di demarcazione tra questo metabisogno e i bisogni fondamentali andanti soddisfatti dal mondo esterno,
coincide con la linea separativa tra motivazione intrinseca e
motivazione estrinseca. [si vede finestre 3-1 e 3-2]. Nell’istante
in cui il metabisogno diventa un bisogno principale, l’essere
umano si manifesta pienamente e perfettamente quale essere relazionale. Il rapporto col mondo esterno viene per cosí
dire “rimboccato”. Finché i bisogni fondamentali appaiono
cause di motivazione, il mondo esterno rappresenta un mezzo per soddisfare i propri bisogni. Ma appena il metabisogno
si evolve in bisogno principale, diventa esso stesso un mezzo
per andare incontro ai bisogni del mondo esterno. Mentre
l’Io fa nascere gli elementi propri dai bisogni fondamentali
(corporeità, sentimenti), i metabisogni crescono dalla solidarietà che si fa viva nell’Io.
Il bisogno di relazioni sociali
Quando necessità corporee e bisogno di sicurrezza sono
soddisfatti, sorge il complesso di necessità seguente, cioè il
bisogno d’amore e di simpatia cosí come di solidarietà (...)
L’essere umano risente, ora più chiaramente che mai, l’assenza eventuale d’amici, di un partner amoroso, di sposo o
sposa o di figli. Si augurebbe di stabilire relazioni d’amore
con altri, vorrebbe aver il suo posto in seno a un gruppo e
vi anela con tutte le sue energie.” (Originale: Maslow 1943a,
p.381). Un aspetto importante, secondo Maslow, è che si tratta tanto di provare simpatia quanto di ricevere testimonianze
di simpatia. Sul piano della coscienza immediata, dove sta il
mondo dei nostri sentimenti, l’esperienza dell’indifferenza
gioca lo stesso ruolo che la fame gioca sul piano corporeo.
Bisogna notare a questo proposito che Maslow non consideri
il bisogno sessuale quale elementare. Qui bisogni fisiologici
e affettivi possono apparire a seconda delle circostanze diverse quali motivi.
Il bisogno d’appartenanza sociale e di considerazione
Il bisogno d’attuazione di sé non deve essere compreso nel
senso edonistico. Non si tratta di una disposizione egoistica assola, ma di un bisogno di senso, che può solo essere
trovato nel servizio ad altri. Il metabisogno è la necessità di
dare un senso. Non si può rispondere in modo affermativo
o negativo alla questione di sapere se l’esistenza abbia un
senso sul semplice piano intellettuale. Il senso nasce dal servizio esistenziale reso ad altri, all’occasione di cui questo servizio viene vissuto come affare e produzione-realizzazione
altamente personali. Un uomo politico, un artista , un carpentiere o un cassiere, che sono stati motivati dal bisogno di
attuarsi, scoprono nel cuore di tal impulso ogni volta il concetto di servizio reso ad altri. Questa stimolazione interna,
del fare servizio, è una parte essenziale dell’essere umano, e
nella misura in cui tale stimolazione viene trasposta in atto,
l’essere umano si procura il senso dell’esistere proprio.
Questo dipende naturalmente assai strettamente dal precedente, ma si distingue dall’esigenza di continuità. L’essere
umano desidera pranzare, ma vuole anche una garanzia
d’approvvigionamento in cibo (bisogno di sicurezza). Gli occorrono anche contatti affettivi diretti (bisogno di relazioni
sociali) e parimenti d’appartenanza sociale, che gli garantiscano di poter vivere nella solidarietà con altri nel futuro.
Il bisogno di conoscenza e comprensione
Afferma Maslow: “l’esigenza del sapere e del capire (..) costituisce parimenti un bisogno della personalità cosí come
bisogni fondamentali già repertoriati.” (Originale: Maslow
1943a, p.385). Si può sovente osservare che l’aspirazione a
soddisfare questi bisogni viene proseguita nonostante costi
e rischi immensi. Maslow non dice chiaramente, per dire il
vero, quale posto concreto questo bisogno assuma nella gerarchia citata. Nel suo articolo dell’anno 1943, commentò in
dettaglio il bisogno di conoscenza e comprensione e sottolineò che si trattasse di un bisogno fondamentale. Quanto
all’ordine preso da un tale bisogno nella gerarchia, lui rimase
vago. Secondo noi, bisogna naturalmente concepirlo come il
quinto bisogno fondamentale. Questo appare nell’intensità
sua solo dal momento in cui i bisogni di relazioni sociali e
d’appartenanza sociale vengono per lo meno parzialmente
soddisfatti. Ogni sapere viene vissuto come vuoto e insignifi-
Compimento
Negli esseri umani che si sono potuti evolvere in un modo
ampio ed equilibrato, una sorta di compimento è apparso nei
confronti dei bisogni basilari. “Ciò vuol dire che un essere
umano, le quali necessità fondamentali sono state appagate,
non ha più bisogno d’allogio, di sicurezza, di relazione sociale, ecc. (...) Se ci interessiamo adesso a quello che ci motiva
davvero, e non a ciò che ci ha motivato, e che ci motiverà o
che potrebbe magari motivarci, un bisogno soddisfatto non
42
può più valere come causa di motivazione. Poiché da un punto di vista pratico, tale bisogno cessa in vero di esistere – è
scomparso. Si deve sottolineare quest’aspetto poiché in tutte
le teorie della motivazione che io conosco, esso viene ignorato e contestato. L’essere umano perfettamente sano, normale
e felice, non ha pulsioni sessuali o alimentari, se del caso,
di sicurezza, relazioni sociali, di prestigio o d’amor proprio,
tranne in brevi momenti che rapidamente svaniscono. (...)
Un uomo sano, se posso formularlo cosí, viene motivato in
primo luogo dal fatto che vuole esaurire e realizzare il più
liberamente le sue capacità e doni. Se un essere umano continua ad avere attivamente altri bisogni, è del tutto perché
non è sano.” (Originale: Maslow 1943a, pp.393-394).
Un elemento importante della teoria della motivazione di
Maslow, è l’accertamento che i bisogni basilari possono del
tutto venire colmati. Questi bisogni non sono inesauribili.
Se si spinge il ragionamento oltre, ciò vuol dire che una riflessione sui bisogni fondamentali deve risultare negativa.
Perché si tratta invero di una cancellazione di mancanze e disaccordi e non del compimento d’esigenze illimitate dell’homo aeconomicus. Se queste esigenze sono cancellate, succede
un capovolgimento e i metabisogni divengono dunque i veri
mobili dell’azione.
Il compimento di un bisogno basilare dovrebbe venire chiaramente distinto dalla presa in conto di un bisogno occasionale. Ogni uomo, ad esempio, deve mangiare ogni giorno.
Ma appena è garantito l’approvvigiamento in cibo, la fame
non è più motivazione decisiva. Se il bisogno in cibo e bevanda viene durevolmente soddisfatto, viene anche compiuta
la motivazione fondamentale del mangiare e del bere. Non
sorge più questo bisogno quale motivazione basilare, nemmeno quando va colmato ogni tanto. Si potrebbe anche dire
che i bisogni fondamentali giochino soltanto un ruolo di
motivazione derivata. L’essere umano anela assolutamente
alla sicurezza e all’acquisire del sapere. Ma, in fondo, questo
avviene nel contesto di un bisogno sentito più intimamente
e essenzialmente quale realizzazione delle disposizioni proprie ad un essere di relazioni.
A seconda di Maslow si scopra il fondo della personalità autoritaria in una concezione precisa dell’essere umano e del
mondo. “... Come numerose persone psichicamente esitanti,
l’uomo autoritario vive in un cosmo che si raffigura in una
sorta di giungla, dove gli uomini si combattono. Perciò il
mondo intero diventa per lui un luogo pericolo, minacciante,
per lo meno problematico. In questa concezione del mondo,
gli uomini sono in primo luogo egoistici e malvagi o ignoranti. L’analogia ci lascia pensare più in là. Tale giungla viene
anche popolata da animali che divorano o vengono divorati,
che temono o vengono disprezzati. La padronanza dipende
dalla forza e la forza consiste soprattutto nella capacità a dominare. Quando qualcuno non è abbastanza forte gli rimane
l’alternativa di cercare un protettore potente. Se quest’ultimo
è abbastanza forte, può pertanto affidarsi a lui, e un sorta di
pace diventa possibile per l’individuo. (...) Con l’accettazione
di questo concepimento, l’azione dell’uomo autoritario s’avvera logica e comprensibile. (...) Se, per l’individuo, il mondo è davvero un tipo di giungla, ostilità e angosce da parte
dell’essere autoritario diventano perfettamente giustificate.
E dunque, per dirla puramente così, se il mondo non è una
giungla, e gli uomini non sono infinamente malvagi ed egoisti o egocentrici, si può affermare che la personalità autoritaria ha torto.” (Originale: Maslow, 1943b, 1973, p.141). Invero
Maslow è dell’avviso che pochi uomini (sopratutto psicopatici
segnati) corrispondono veramente al concepimento dell’esere umano dotato da una personalità autoritaria.
Il carattere autoritario secondo Maslow
Secondo Maslow, una serie di bisogni vengono già compiuti
dagli anni primi della vita. Un fatto determinante, per lui, fu
di contastare che certi uomini, una volta adulti, sembravano
motivati essenzialmente dal desiderio di autoattuarsi, anche
se questo venisse accompagnato da mancanze gravi nel campo dei loro bisogni fondamentali. Si tratta qui palesemente
di un’eccezione nel succeder gerarchico a seconda di cui necessità sorgono quali cause motivanti: “La più importante eccezione sorge poi forse quando ideali, norme o valori sociali
superiori ad altri, entrano in gioco. Indirizzati da tali valori,
gli uomini possono diventare martiri. In alcune circostanze,
rinunciano a tutto per un ideale o un valore. Esseri umani
i cui bisogni fondamentali sono stati soddisfatti nella loro
vita – in particolare nei primi anni di vita –, sviluppano palesemente una capacità singolare di resistere alle privazioni
basilari, semplicemente perché in base a tale soddisfazione,
hanno svolto una struttura di carattere forte e sana. Si tratta
allora di esseri umani “forti”, che possono facilmente sopportare divergenze di opinioni ed opposizioni, difendendo
sempre la verità, nonostante le ampie conseguenze personali che questo cagioni per loro. Donne e uomini che hanno
potuto amare, e sono stati amati, o hanno coltivato amicizie
profonde, sono resistere meglio in situazioni d’odio, di rigetto e di persecuzione. (...) ノ verosimile che la realizzazione dei
bisogni nei primi anni due della vita sia la più importante.
Esseri umani che hanno potuto acquisire padronanza e forze di sé, nei primi due anni, rivelano in seguito la tendenza
a far fronte alle minacce con sicurezza e forza.” (Originale:
Maslow 1943a, p.388).
Maslow caratterizza la diversità tra la “personalità autoritaria” e la “personalità democratica”, nel modo seguente:
•La personalità autoritaria preferisce la gerarchia. “Gli uomini vengono ordinati secondo una scala verticale. Vengono spartiti in due gruppi: quelli che si trovano più in alto
sulla scala rispetto al soggetto, e quelli che si trovano più
in basso. La personalità democratica inclina al contrario a
non considerare gli uomini come migliori o peggiori, ma
come diversi. Quindi è pronta a concedergli più spazio per
preferenze e desideri propri, per loro scopi cosí come per la
loro autonomia personale (finché essa non nuoce ad altri).
Inoltre, la personalità democratica ha più simpatia che antipatia verso l’essere umano in genere. Parte dal principio
che essi – quando ne hanno l’opportunità – si mostrano
piuttosto buoni che malvagi.” (Originale: Maslow, 1943b,
1973 p.142).
•La personalità autoritaria inclina a generalizzare in termini
di “valorizzazione superiore” e “valorizzazione inferiore”.
Il più forte viene considerato il superiore in tutti i campi.
Nella forma assurdissima, incontriamo tale atteggiamento nel culto attorno a dittatori come Mao, o se del caso,
Kim Il Sung. Tramite la propaganda tali persone diventano
sempre più competenti, capipopoli, scrittori, artisti, scienziati prominenti. Questo genere di culto della personalità si
Da sé, l’essere umano in via di realizzazione viene a un rovesciamento della piramide dei bisogni: ciò che si manifesta
per ultimo nella successione dei bisogni, prende il primo
posto. Ciò che stava dapprima in alto della piramide forma
ora la sua base nuova. In questo punto di vista, ci si viene
dunque a un “capovolgimento” di bisogni fondamentali in
metabisogni [Si vede 4-1].
43
accompagna della tendenza degli uomini autoritariamente
predisposti a generalizzare le cose. L’individuo democraticamente impegnato non dispone di tale inclinazione a
generalizzare, ma considera solo i termini di superiorità e
inferiorità nei campi funzionali, cosí come in relazione alla
capacità di padroneggiare i compiti di modo efficace.
•La personalità autoritaria rivela una forte brama di potere
(dato che il potere è assolutamente essenziale per sopravvivere nella giungla). Invece, la personalità democratica cerca
piuttosto le forze che il potere.
•La personalità autoritaria fa prova di una forte tendenza a
vedere gli altri “quali strumenti e mezzi, per raggiungere
scopi propri, cioè pedine sulla scacchiera od oggetti utili”
(Originale: Maslow, 1943b, 1973, p.145). A questo punto
incontriamo un’altra ragione per comprendere il perché
personalità autoritarie si esprimono spesso contro la democrazia diretta.
cosa. (...) Quegli individui costituscono veramente una élite e
si ricercano amici in seno ai membri di quest’élite. Ma non si
tratta di un’élite nella sfera del carattere, quella delle capacità
e talenti, nemmeno in base alla nascita, la razza, il nome,
la famiglia, l’età, la gioventù, la fama, o il potere. Ciò che,
al tempo stesso, risulta assai profondamente qualora meno
concepibile, è questo atteggiamento fondamentale molto
difficile realizzare, cioè, l’atteggiamento di rispetto naturale
verso ogni essere umano solo perché è un essere umano...”
(Originale: Maslow 1950, 1973, p.193 e seg.).
Maslow considera dunque “l’essere umano autoattuantesi”
come essenzialmente un essere democratico. Nella presa
decisionale autoritaria, si tratta invece di un atteggiamento
proveniente dall’incompiutezza dei bisogni fondamentali.
La caraterizzazione di Maslow tra personalità democratica
e quella autoritaria coincide colla distinzione di Putnam tra
senso civico (“civicness”) e “centrismo familiare amorale”.
Un elemento importante, di cui parla sempre Maslow, è l’inclinazione delle persone autoritarie a reinterpretare in un
modo autoritario punti di vista diametralmente opposti alla
filosofia della giungla. Maslow cita un esempio: “l’ideale cristiano che venne corrotto e pervertito, da Chiese varie e organizzazioni, nel suo contrario.” (Originale: Maslow, 1943b,
1973, p.147).
???
notevole constare che tanti gli uomini quante le
società delle due tipi rispettivi si mantengono palesemente
se stessi, perfino si rinforzano. Senso civico e democrazia
producono più senso civico e più democrazia. Al contrario,
secondo Maslow, la personalità autoritaria influisce la società nel senso non-democratico. Configura dunque la società
all’imagine sua che difende, cioè raffigurazione alla stregua di “giungla”, secondo cui il più forte sfrutta i più deboli
senz’impaccio.
Motivazione intima ed atteggiamento democratico
Maslow ha anche investigato ciò che lui stesso chiama: “l’essere umano che si realizza”. Si tratta di uomini e donne, la
cui azione quotidiana e la cui vita dei sentimenti non vengono più dominate da bisogni fondamentali insoddisfatti.
Personalità autoattuantesi operano da motivazioni assai profonde e forti: “Cosí come un albero ha bisogno di luce solare,
d’acqua e di nutrimenti, la stragrande parte degli esseri umano hanno bisogno d’amore, di sicurezza e delle altre necessità puramente soddisfatte dall’esterno. Ma appena queste
sono colmate a sufficienza, la mancanza interna cancellata
dall’esterno, allora inizia solo la questione vera e propria dello sviluppo dell’essere umano, ossia quella dell’autoattuazione.” (Originale: Maslow 1950, 1973, p.188).
Aristotele sulla felicità
Né la democrazia, né l’attività economica non sono fine per
sé. Esse lo sono soltanto nella misura in cui esse giovano a
felicità e benessere umani. Una buona politica non può di
certo rendere felici gli uomini, ma per dir il vero, essa ha
il dovere di cancellare gli ostacoli sociali che impediscono
la felicità di nascere. Ma la domanda si pone: che cosa è la
felicità?
Aristotele fornì una delle risposte più antiche a tale domanda
nella sua Etica Nicomachea. Si tratta di una opera sua di una
minuziosa compiutezza nel campo dell’etica. Il primo libro
si preoccupa già della questione della felicità. Aristotele commincia al constatare che gli uomini agiscono nei modi più
disparati i quali proseguono scopi assai svariati. Una cura
mira la guarigione, ad esempio, il lavoro di un sellaio mira a
fare una sella, e cosí via. Mire immediate sono da parte loro
assai diverse, ovvero subordinate ad altri scopi superiori. Il
sellaio crea la sella dalla stessa ragione superiore di quella
dell’allevatore di cavalli sta lavorando: ambedue essi vogliono
permettere di cavalcare. Ma perché gli uomini si sforzano
di cavalcare? Aristotele si domanda se non ci sia una meta
superiore, ultima, dietro quegli scopi intermediari. C’è qualcosa verso cui ci sforziamo, in quanto è bene per sé? Tale ultima motivazione, Aristotele la caratterizza quale felicità. Non
si sforza mai di procurarsi denaro e ricchezza per amore di
essi, ma perché partiamo dal principio ch’essi rendono felici.
La felicità per sé, invece, è una mèta per cui ci vuole nessuna
giustificazione.
Una delle caratteristiche più sorprendenti che Maslow mette
in rilievo in questo tipo umano, è la sua “struttura di natura
democratica”: “L’insieme dei soggetti possono essere caratterizzati nel senso lato come esseri umani democratici. (...)
Essi dimostrano tutte le caratteristiche esterne naturalmente
democratiche. Praticano naturalmente l’amicizia e l’esercitano rispetto a tutte le persone che non palesano caratteri patologici, e certo indipendentemente dalle nozioni di classe, mestieri, convinzioni politiche, razze o colore della pelle. Queste
diversità, a cui altri accordano tanta importanza, loro non le
notano affatto. Ma non si accontentano di questa qualità che
colpisce, sulle prime. Il senso democratico di queste persone
si estese in profondità. Possono apprendere da ognuno capace portargli qualcosa, ad esempio, non vi ricercano gli onori
esterni, lo statuto di rispetto fondato sulla considerazione
relativa all’età o altra. Sono caratterizzati da un certo tipo di
riserbo ed umilità. Sono certamente consci dal loro valore,
ma non fanno prova di nessuna modestia servile o calcolata.
Tuttavia sono perfettamente in chiaro per quanto concerne
la debolezza del loro sapere nei confronti della totalità delle
conoscenze, ovvero rispetto a quella degli altri. Per questo,
possono senza tregua fare prova di rispetto e attenzione per
chi gli comunichi conoscenze nuove o altra destrezza in ogni
In che cosa consiste tale felicità? Per scoprirlo, Aristotele
andò in cerca dell’essenza dell’essere umano, di ciò che lo
distingue dall’animale e dalla pianta. La felicità consiste in
quest’atto, che sta in accordo coll’essenza propria dell’uomo
e quindi, non bisogna perciò domandarne qualche altra ra44
gione. E giacché l’essere umano è veramente un essere sociale e morale, Aristotele giunge a questa definizione della
felicità che è “un atto determinato dall’anima in accordo con
la virtù”. In un senso più profondo, atti virtuosi, svolgentisi
di un qualsiasi modo in disponibilità ad essere servizievoli
rispetto agli altri, sono gradevoli di per sé. La nostra solidarietà efficiente è la felicità nostra. Questo concepimento di
Aristotele concorda con la teoria di Maslow sui metabisogni:
la felicità dell’essere umano compiuto consiste nella disposizione a essere servizievole, o se del caso, la “virtù”.
il non-compimento dei bisogni fondamentali conduce à un
fissare sulla soddisfazione loro, mentre allo stesso tempo, il
“rimboccato” verso la soddisfazione dei metabisogni non è
presente. Dall’altro, c’è il fatto che il male esiste. Maslow parla in questo contesto di “complesso di Giona”: il persistere
volontario nei bisogni fondamentali e la rinuncia cosciente
ai metabisogni quali motivi dell’azione nostra. Per lui, questo
rappresenta in fondo, il male. Aristotele, anche lui, conosce
il male: “Sembra esserci (nell’essere umano) ancora un altro elemento che per essenza sua stia oltre alla ragione, e si
oppone a questa. Poiché coll’anima, ci va dello stesso modo
delle membra paralizzate che si vuole spostare verso destra
e che tuttavia si spostano verso sinistra: la pulsione dell’essere umano che non sa padroneggiarsi, s’indirizza verso la
direzione opposta. Mentre vediamo al livello corporale ciò
che si sposta falsamente, non possiamo scorgerlo al livello
dell’anima. Senza nessun dubbio, dobbiamo prendere le
mosse dall’accertamento che anche nell’anima c’è ancora un
altra cosa che esiste fuori dalla ragione e sta combattendola
e resistendole.
Ma Aristotele sa anche che molti difendano un altro concetto, ossia lo stesso uomo in situazioni diverse può difendere
concetti diversi. Aristotele conobbe bene l’importanza di ciò
che Maslow caratterizza precisamente come “bisogno fondamentale”: Eppure la felicità ha bisogno (...) palesemente delle
cose esterne. Poiché è impossibile, o se del caso complicato,
fare atti buoni senza il mezzo richiesto. Molti atti sono realizzati col sostegno di altri, l’appoggio della ricchezza o del
potere politico. E ci sono certe cose che nocciono alla felicità,
quando esse ci mancano, ad esempio, la buona nascita, bambini eccellenti, e la bellezza (...) La felicità ha dunque palesemente bisogno in oltre – come abbiamo detto – di un tale
benessere. Perciò gli uni collocano la felicità allo stesso piano
dell’agiatezza, mentre gli altri l’identificano con la virtù. サ
La realtà del male esige il coraggio politico. In genere, quando
si accosta alla questione del “coraggio politico”, si pensa di
solito a una situazione in cui “misure impopolari” vanno prese all’incontro della volontà popolare. Non si tratta lí, per dire
così, di corraggio, ma in vero di un cattivo uso non-democratico del potere. Che non è fare prova di coraggio, ma di viltà,
nello schivare la confrontazione con una idea che si presenta
per sé quale falsa o negativa. Tali idee si lasciano combattere
solo in seno al dibattito democratico aperto, o se del caso, in
una confrontazione d’idee. Chi vuole uscire da questo confronto con successo, col ricorso al putsch, rinforza a medio
termine puramente e semplicemente le forze malvagie nella
società. Perché una cultura politica in cui il golpe de l’uno
sull’altro viene accettato, costituisce il biotopo naturale del
male. Il coraggio politico propriamente detto non consiste
nel combattere idee false o negative mediante il golpo violento, ma mediante la confrontazione delle idee. Chi possiede il
coraggio politico apprende a conoscere il male, ma non se ne
lascia spaventare. Il coraggio politico anela – contrariando il
male – a una società in cui l’esigenza umana per forte democrazia e solidarietà di fatto, viene soddisfatta.
Nella terminologia di Maslow, si potrebbe formulare il concepimento di Aristotele del modo seguente: Finché i bisogni
basilari rimangono incompiuti, la gioia che nasce dalla soddisfazione di questi può solo venire provata senz’altro quale
ersatz della felicità propriamente detta, che trae l’origine sua
dai metabisogni, cioè dal desiderio di solidarietà.
Secondo Aristotele però la felicità non risulta dal compimento dei bisogni fondamentali. Un ampia soddisfazione
di questi è certa una condizione necessaria, ma non sufficiente. L’essere umano ha anche un metabisogno verso un
comportamento morale e anela al bene. Al livello generale
della società, ciò vuole dire che gli occorre democrazia. Che
in questo campo deve anche essere in grado di sforzarsi alla
“bellezza per se stessa” [si vede 4-2]. Franck (1997) nota, a
buon diritto, che la maggiore parte degli uomini preferirebbero meglio essere un Socrate insoddisfatto piuttosto che un
maiale perfettamente sazio e contento. Il porco non conosce
la felicità, perché non può anelare サ al bene. Di contro, conosce senz’altro il godimento dello stato di sazietà perfetta.
Nel 1954, Olds e Milner scoprirono che la stimolazione di
certe regioni della corteccia nel topo produce palesemente
un senso di godimento intenso. Topi, a cui viene concesso
la possibilità di creare tale stimolo, perdono ogni interesse
all’ambiente circostante. Ng (1997) sostiene che noi dovremo fare un balzo sostanziale in avanti nella questione della
“felicità per tutti”, se offriremo agli uomini la possibilità tecnica di un tale stimolo continuo della corteccia. Tale creazione massiva della “felicità” fosse stata a buon mercato e del
tutto non inquinante. C’è solo un intoppo: in un grado assai
meno ampio di quello che la pubblicità vuole spesso lasciarci
credere, la felicità umana non ha soltanto a che fare con tale
forma di godimento garantito. La felicità non è la stessa cosa
del godimento. Essere felici, questo vuole dire essere creativi
e potere servire. La questione di Franck e Ng indica chiaramente che Aristotele ha perfettamente ragione con la concezione sua della felicità, tanta idealistica e utopistica quanta
possa sembrare di prima vista.
Democrazia e felicità
La felicità viene anche indagata di modo quantitivo. Frey e
Stutzer (2002) danno una buona vista d’insieme sulle conoscenze più importanti che se ne possono ricavare.
La felicità si lascia naturalemente misurare, interrogando ad
esempio la gente a proposito della maniera in cui si sente felice. Sondaggi, in cui le persone interrogate descrivono il loro
sentimento generale della felicità su una scala che si estende
da veramente infelice サ a perfettamente felice サ, forniscono
risultati consistenti e assai utilizzabili. Quelle che si valutano quali sorpassanti la media in guisa di felicità, vengono
spesso giudicate palesemente più felici delle altre. Ridono
più spesso, sono in migliore salute, si allontanano raramente
dal lavoro, stabiliscono più facilmente contatti sociali e così
via. (Frey e Stutzer, 2002), p.33). In questo, la felicità viene
quindi influita dai fattori più svariati.
La ricchezza assoluta non ha nessuna influenza sulla felicità, purché ci giunga ad un livello minimo per soddisfare
i bisogni primari. In giappone, il reddito reale per abitante
venne moltiplicato da sei, nella seconda metà del Novecento.
Per dire il vero, ci sono due ragioni perché la concezione
d’Aristotele non raggiunga il consenso generale. Da un lato,
45
Però questo non ha condotto a un senso medio della felicità
più elevato tra i Giapponesi. Chi è più povero del suo vicino,
non si sente più felice. Le donne sono in media più felici
degli uomini, gli sposi più degli scapoli, i credenti più dei miscredenti; i telespettatori accaniti sono in media pù infelici di
quegli occasionali ed infine, gli abitanti dei paesi ricchi sono
di solito più felici di quelli dei paesi poveri.
con più democrazia diretta, una maggiore autonomia comunale si era apertamente sviluppata. Questo sta in accordo con
l’osservazione generale, cioè che la classe politica, in genere,
non augura del tutto l’autonomia locale, ma preferisce una
struttura centralizzata, mente i cittadini augurano tendenzialmente più l’autonomia locale.
L’accrescimento del sentimento di felicità ha un carattere generale: gli effetti positivi della democrazia diretta sul senstimento di felicità non si rivelano solamente in uno gruppo di
reddito, ma anche nell’insieme dei gruppi. (...) Il beneficio è
in qualche modo distribuito in proporzione agli strati sociali. (Frey e Stutzer, p.145-146).
La disoccupazione porta a una perdita netta e importante
della felicità. Su una scala da 1 ( per nulla contento サ) a 4
( molto felice サ), la disoccupazione produce una diminuzione media di qualche 0.33 unità. Tale smarrimento del senso
della felicità è stato corretto da altri fattori importanti, quale
la perdita del reddito (Trey e Stutzer, 2002, p.97). Alla luce
delle teorie di Maslow e di Aristotele, questa perdita è comprensibile. Per molti esseri umani, il lavoro è in effetti una
possibilità importante della realizzazione di sé. Gli permette – nel senso aristotelico –un comportamento virtuoso. Ciò
venne anche confermato da altre investigazioni in cui fu dimostrato che uomini e donne autonomi nel loro lavoro si
sentono più felici di quelli che lavorano quali impiegati in un
contesto d’attività e dispongono perciò di meno libertà nello
svolgere concreto del lavoro. Però è non solo il disoccupato
da venire toccato nel proprio sentimento di felicità, anche
le altre persone: un accrescimento della disoccupazione del
9% al 10% (media europea) sminuisce la felicità rissentita da
0.028 unità sulla scala di 4 unità utilizzata in precedenza. サ
(Frey e Stutzer, 2002, p.101).
La possibilità di un referendum in base a un’iniziativa popolare può menare a più felicità secondo due modi. Da una
parte, la risoluzione diretta può fare adottare provvedimenti
e leggi riflettenti meglio gli auguri e attese dei cittadini (outcome utility). Dall’altra, l’opportunità di partecipare in quanto
tale può anche scatenare la felicità. In questo caso si parla di
procedural utility [utilità procedurale, ndt], ossia il beneficio,
il vantaggio, risultante dalla procedura risolutiva. Gli effetti
delle due componenti si lasciano misurare separatamente, valutando il sentimento di felicità degli immigranti abitanti nei
diversi cantoni. Questi Non-svizzeri non vengono autorizzati
a partecipare ai referendum e non profittano quindi da questo
vantaggio di procedura (procedural utility), ma devono assolutamente accettare le conseguenze di una gestione migliore o
peggiore. Dalle risultanze dello studio anche qui nei cantoni democratici, i Non-svizzeri dimostrano un accrescimento
della felicità, ma in grado più limitato, per dire il vero, degli
Svizzeri stessi. Il confronto degli effetti nei Non-svizzeri e negli Svizzeri da a concludere che la maggiore parte dell’accrescimento di felicità provenga dal semplice fatto che partecipano alla decisione. Un profitto collegato a questa circostanza,
cioè che le decisioni prese corrispondono meglio agli auguri
e attese dei cittadini, c’è certamente, ma in grado minore del
profitto ricavato dall’utilità procedurale stessa: ...I due terzi
degli effetti positivi di un diritto partecipante alla democrazia
diretta risalgono al vantaggio della procedura. (...) Gli effetti
positivi dei diritti partecipativi sono tre volte più elevati per
i cittadini nei confronti degli stranieri. Ciò vuole dire che la
stragrande parte del beneficio riviene alla procedura stessa. サ
(Frey e Stutzer, 2002, pp.161-162, 167).
Si sentono in media più felici i cittadini, quando hanno l’opportunità di decidere direttamente mediante referendum?
Appoggiandosi su un confronto menato tra i 26 Cantoni
svizzeri, in cui i cittadini possono partecipare alla legislazione in grado del tutto svariato, si può rispondere a tale domanda. Frey e Stutzer ridussero l’ampiezza della partecipazione
alla risoluzione diretta a un parametro potendo valutare da 1
(pocco democratico) a 6 (molto democratico). Il cantone della zona di Basilea raggiunge il valore massimo, 5,69, mentre
il cantone di Genf, col valore 1,75, si posta sull’elenco quale
fanalino di coda. Con altri fattori riflettenti diversità demografica e economica tra i cantoni individualizzati, Frey e Stutzer accrescerono la scala da 1 a 10 e potettero cosí raffigurare
le differenze esistenti nell’autonomia comunale dei cantoni
singolari.
Il risultato fu che i cittadini dei cantoni democratici sono in
media più felici. Ad un accrescimento da 1 a 6 sulla scala
corrisponde un aumento all’incirca di 0,11 unità, e questo
ha dunque lo stesso effetto della transizione dalla categoria
minore di reddito (fin a 2000 franchi svizzeri al mese) alla
categoria immediatamente sopra (da 2000 a 3000 franchi
svizzeri al mese).
Non è sorprendente che già la democrazia in sé sembri un
elemento scatenante di felicità. Ci si poteva attendere tale risultato già sotto la luce della teoria di Maslow. Ché l’essere
umano non vive solo da pane. Possiede anche il metabisogno
di prendere in mani il proprio destino sociale con i suoi coetanei e di poter partecipare alla configurazione della società
quale entità individuale e morale. Nei concetti di Aristotele:
l’uomo ha bisogno di democrazia, per sforzarsi al livello sociale a un comportamento virtuoso e potere così trovarvi la
propria felicità.
Cosí una più grande autonomia comunale conduce quindi
all’accrescimento del senso della felicità delle persone interrogate. Seppure Frey e Stutzer scoprissero che questi due parametri non erano independenti l’uno dall’altro: nei cantoni
46
4-1:Non solo di pane
esplicito, sanciscono la necessità di un sostegno in grande
stile agli altri, senza che si ponga seriamente la questione di
sapere quali cose ce ne riulterebbero in scambio. I genitori
stessi testimoniano di questo comportamento esemplare,
non soltanto rispetto ai loro figli ma anche nei confronti
dei membri della famiglia e dei vicini. I figli percepiscono
e risentono questo senza che ci si preoccupi di essi o che si
attenda da essi lo stesso impegno per gli altri. Vengono così
incoraggiati a preoccuparsi di altri. L’affidabilità, il senso di
responsabilità e l’autonomia guadagnano il favore, perché
alleviano la preoccupazione tanto per se stesso quanto per
gli altri. I falliti colpi di fortuna vengono considerati come
mezzi d’apprendimento a proprie spese in vista dell’acquisire padronanza, e non come prove di mancanza incorreggibile di carattere o d’intelligenza o di capacità. Appoggiandosi su queste esperienze positive, i bambini imparano ad
affidarsi al mondo circostante. Mediante un fermo ancoraggio nella loro famiglia, osano quindi stabilire relazioni con
altri esseri umani fuori dall’ambiente loro. (pp.249-250).
Il modo in cui il metabisogno d’autoattuazione di Maslow
può determinare il comportamento verrà illustrato dal
quest’anedoto (pubblicato sul Süddeutsche Zeitung del 22
gennaio 1997; si vede Schuster et al., 1997, p.581): Manuel
Lubian, tassista messicano, ha restituito una somma d’incirca 86 000 marchi a uno dei suoi clienti che l’aveva smarrita
nel suo tassí. Durante due giorni, Lubian se n’è andato a
bussare alle porte degli alberghi di Messico per ritrovare il
possessore di una valigetta riempita di lingotti d’oro, gioielli
e documenti importanti. Rifiutò il compenso che il proprietario, un senatore boliviano, volle dargli, dicendo: Io credo
che se accettassi questo compenso, perderei ciò che è bello
in me.
Kohn (1990, cita due esempi d’interventi di salvatori disinteressati. Un uomo, che saltò le rotaie del metro di New
York per salvare un bambino, mentre sorse il convoglio,
chiarì ad un riporter: Se non avessi agito subito in questo
modo, sarei internamente morto. Io non avrei più nessun
valore agli occhi propri. In un altro caso, un uomo che si
era precipitato per salvare il conducente di una macchina,
la quale stava calando nel fiume, dichiarò: ‘Credo che sia
saltato nell’acqua per reazione d’autodifesa. Non avrei continuato a vivere con me stesso, se si fosse annegato, senza
che io non avessi fatto qualcosa.’ (p.243).
Lo sfondo del tipo contrario (cioè la personalità restrittiva)
secondo Oliner e Oliner, viene caratterizzato in genere da
legami familiari deboli, di numerose punizioni corporali
(spesso arbitrarie), di valori famigliari in base a convenzioni, e rapporti deboli con la gente esteriore alla famiglia, sovente giudicata mediante stereotipi.
Sebbene non ci fosse nessuno contesto deterministico, si
poteva precisare con l’aiuto dell’indagine sulla personalità
estensiva e quella restrittiva, con una certezza del 70%, se la
persona avesse operato quale Giusto nel contesto della persecuzione degli Ebrei. Nella terminologia di Maslow, questo
si lascia esprimere del mondo seguente: una mancanza nel
compimento dei bisogni fondamentali nell’infanzia genera
caratteristiche autoritarie della personalità e un comportamento che richiamerà lo stesso genere di carattere nelle generazioni successive. Incontriamo qui daccapo il contrasto
descritto da Putnam del senso civico e del centrismo famigliare amorale. Non ché il senso civico e il centrismo famigliare amorale hanno una tendenza a mantenersi attraverso
le generazioni. Sapere se il bello in me (Manuel Lubian)
s’imponga, dipende per una parte maggiore, dal capitale sociale nella società in cui si è cresciuti.
I motivi citati rinviano a l’esigenza a volta intensa di seguire
un richiamo interiore e di render servizio a un altro. Insomma, questo straordinario valore del metabisogno di Maslow
è già stato riportato nella Bibbia stessa quando vi si dice:
L’uomo non vive solo di pane, ma di ogni parola che esce
dalla boca di Dio. サ (Matteo 4, 4). L’uomo vive effettivamente
del fatto che segue questo appello, e muore internamente サ
se non gli risponde.
Oliner e Oliner (1988) hanno interrogato 406 persone (i cosidetti Giusti della nazione), i quali, durante l’occupazione
dai nazisti nella seconda Guerra Mondiale, avevano contribuito a nascondere Ebrei, nonché un altro gruppo di 126
persone che non avevano partecipato a tali azioni. Oliner e
Oliner vennero alla conclusione che i Giusti presentavano
una qualità significativa: Erano senz’altro in situazione di
stabilire legami umani anche con persone che non vivevano nel proprio ambiente loro (si trattavano di relazioni
estensivi). I giusti non si distinsero da un minore attenzione portata alla persona propria, dall’impresa propria o
partecipazione esterna. Dimostrarono piuttosto una facoltà
particolare per lo stabilire relazioni estensivi; si sentirono
più fortemente collegati agli altri e si portarono responsabili per il benessere degli altri, perfino fuori della loro cerchia
famigliare o della loro comunità paesana. (p.243).
4-2:Democrazia diretta, benesser e
capitale sociale
L’uno dei rari paesi del mondo, in cui le conseguenze della
democrazia diretta sul capitale sociale hanno fatto l’oggetto
d’indagini immediate, è la Svizzera. La configurazione di
democrazia diretta muta da cantone a cantone. Alcuni dei
26 cantoni hanno un sistema permeato dalla democrazia
diretta, negli altri le pratiche amministrative e di cogestione
vigenti sono per il più vicine dal mero sistema di democrazia rappresentativa.
L’investigazione condusse Oliner e Oliner alla conclusione
che questa personalità estensiva サ permeava una cerchia
famigliare specifica, che loro caratterizzarono del modo
seguente: L’autorità parentale viene ritenuta o appena percettibile ai bambini. Ci si spiega perché un comportamento
determinato sia contrario agli usi e quali saranno le conseguenze che esso possa avere per gli altri. La punizione
corporale è raro; se accade, è una volta sola e non di modo
solito. Non ce ne viene mai in pratica a punizioni arbitrarie.
Allo stesso tempo, i genitori hanno alte esigenze rispetto
alla preoccupazione per gli altri. Di un modo implicito o
Frey (1997) investigò in diversi cantoni per sapere se ci fosse
un rapporto tra il sistema democratica vigente e l’atteggiamento dei cittadini nei confronti delle questioni fiscali. Nei
cantoni dove i cittadini beneficiano ampiamente della parola, attraverso democrazia diretta, il reddito fiscale annuale
di quelli che pagano le tasse (che rimane segreto) ammonta
1600 franchi svizzeri (sia 1000 Euro) sotto la media globale
dei 26 cantoni, mentre il reddito fiscale segreto dei canto47
ni aventi meno democrazia diretta, ammonta 1500 franchi
svizzeri (sia incirca 900 Euro), sopra questa media. La differenza tra questi cantoni raggiunge dunque alcuni 1900 Euro
all’anno e per contribuente. Con un tasso fiscale limitato del
30 al 35%, questo conduce a una differenza d’incasso fiscale
annuale pagato di 625 Euro. Nei confronti della Germania
(all’incirca 30 milioni di contribuenti), per darne un’idea, ciò
ammonta all’anno una differenza di 18,8 miliardi d’Euro.
spostino responsabilità delle cose negative il più possibile
sugli altri.
In vero, l’investigazione rivela che la gente non ha un percepire chiaro della contribuzione sua quanto al recare attuazioni positive e negative. Si dispone già dell’indagine classica di Ross e Sicoly (1979) a proposito dell’attribuire della
responsabilità tra gli sposi in seno alla coppia. Potreste, ad
esempio, interrogare ambedue i partner sul condividere del
compito di portare a passeggio il cane. Marito e moglie risponderebbero rispettivamente, magari, il 70 e il 50%. Ora,
tali risposte sono incompatibili, in quanto la somma delle
percentuali non può sorpassare il 100%. Pressappoco sempre, questa somma ammonta a più del 100%.
Frey si è anche posto la questione di sapere se altri fattori,
ad esempio, la durata della punizione per frode fiscale, o le
situazioni del benessere tra i cantoni, potessero cagionare
questo. Questo non era palesemente il caso. Queste differenze nella probità fiscale vanno ricondotte al fatto che i
contribuenti, nei cantoni a forte tradizione di democrazia
diretta, potevano sviluppare una solidarietà più forte e più
di responsabilità nei confronti dello Stato.
Si può immaginare che entrambi i partner tendano a esagerare i loro meriti, ma questo non risulta affatto corretto. La
somma del contribuire estimato nel caso d’attuazioni negative sorpassa anche abitualmente il 100%. Una spiegazione
più probabile risiede nel fatto che la gente si ricorda meglio
delle prestazioni proprie delle altre. Il proprio contribuire
– positivo o negativo – sembra relativamente più grande in
proporzione a quanto fu realizzato in totale.
Tali osservazioni in Svizzera furono anche confermate da
Abers (2000) che studiò la città brasiliana di Pôrto Alègre. Vi
venne introdotto un sistema di democrazia diretta attraverso
cui la gestione della città viene effettuata dagli abitanti stessi
(si vede la finestra 2-1). L’introduzione del processo partecipativo provò subito la sua efficienza: mentre negli anni precedenti, veniva posato tutt’al più 17 km di condutture all’anno,
questa lunghezza ammontò ai 46 km tra il 1989 e il 1996.
Negli anni tre precedenti l’introduzione della democrazia diretta, vennero rimesse a nuovo 4 km di strade. Poi si passò ai
20 km all’anno ed, in oltre, il rifacimento delle strade fu qualitativamente migliore. Secondo Abers, il processo di partecipazione condusse a una cultura della rimessa in questione. I
partecipanti alle riunioni lavorative sulla gestione comunale
hanno discusso dati e chiarificazioni e risoluzioni amministrative. La gestione comunale ha dovuto reagire e nonché
l’ha fatto più delle volte. L’eventualità permanente dell’interrogare fece prendere misure da parte dell’amministrazione
comunale per le quali essa assunse piena responsabilità
effettiva. Trasparenza e chiarezza dell’ambito pubblici sono
cresciute. Il denaro non svanì più, i contratti non furono più
troppo elevati, promesse non vennero più dimenticate. Prima dell’introdurre la Orçamento participativo, c’era una rete
relazionale piuttosto oscura tra le imprese di costruzione e i
politici locali. Contratti redditizi erano perdonati – in scambio del sostegno elettorale. Quando il Partito dei Lavoratori (
Partido dos Trabalhadores – PT) ebbe preso il potere, le imprese boicottarono le amministrazioni pubbliche, formando
un cartello e rifiutando di rispondere ai bandi di gara pubblici. In seguito il cartello si ruppe e le imprese constatarono
che d’ora in poi non avevano più da proporre bustarelle per
venir prese in conto. Un fenomeno assai interessante fu la
crescita degli incassi municipali che la città registrò dal 1992,
in seguito alla riduzione dell’evasione fiscale. I contributi fiscali vennero d’ora in poi pagati. Abers vi vede due ragioni:
da una parte, i contribuenti constatarono che il denaro loro
fosse efficiente e utilizzato nei fatti per gli scopi necessari;
dall’altra, la speranza svanì, tra i frodatori del fisco incalliti, a
causa della popolarità crescente del PT, di ottenere una amnistia fiscale da parte di un’altra amministrazione.
Un altra domanda è sapere in che modo la gente interpreti
tale fenomeno? Ciò che incombe qui è il rischio dell’uno(a)
interpretante l’inclinazione dell’altro(a), per sopravvalutare
la propria contribuzione positiva, quale tendenza attribuirsi
disonestamente il merito di ambedue. Tale interpretazione
viene propriamente chiamata cinismo ingenuo.
Lo studio di questo fenomeno è molto importante per la
democrazia diretta, dato che gli oppositori a questo tipo
radicale di democrazia si riferiscono di solito all’atteggiamento centrato su di sé della maggiore parte della gente
per giustificare il rifiuto del diritto all’autodeterminazione.
Una serie di studi recenti (discusse da Kruger e Gilovich,
1999) individua il fenomeno del cinismo ingenuo di modo
più chiaro.
Uno studio precedente considerava l’attribuzione d’attività
positive e negative negli sposi. Ambedue i partner venivano
autorizzati a guidicare il proprio contribuire e quello dell’altro nei confronti di dieci attività diverse – cinque positive
e cinque negative. Positive erano, ad esempio, quelle del
“risparmio di energie a casa, spegnendo le luci inutili” o “
risoluzione dei dissensi tra voi”. Da un’altro canto, “rompere l’equipaggiamento della coppia” o “suscitare una lite in
famiglia” erano attività considerate tipicamente negative.
Ambedue i partner venivano dopo autorizzati a predire
quello che l’altro(a) avesse da dichiarare a proposito della
propria collaborazione rispettiva. Il risultato – in accordo
con l’investigazione precedente – si diede che la propria
contribuzione di ciascuno(a) fosse sistematicamente sopravvalutata. Per le attività positive il sopravvaluto raggiungeva il 5,2% e per le attività négative, il 3,8%.
Più importante ancora fu il modo in cui ciascuno partner
predisse i giudizi dell’altro. Partner anticiparono che avrebbero esagererato il proprio giudizio sulla contribuzione positiva e avrebbero minimizzato quello sulla contribuzione
negativa. In media, il livello di sopravvalutazione fu del
9,7% sopra quello esatto per le contribuzioni positive e del
16,1% sotto quello esatto.
4-3:Cinismo ingenuo
Il cinismo ingenuo è un’espressione molto importante per
la democrazia diretta. Il cinico ingenuo crede che gli altri
si attribuiscano il massimo vanto possibile per se stessi e
48
Pertanto, la gente non si comporta se stessa qual egoista,
ma si fa davvero un’immagine ideologica dell’altro quale
essere egocentrico (Si vede anche l’indagine di Miller et
Ratner discussa nel capitolo 3ー). Un punto interessante da
notare: nelle coppie più felici, partner tendono a giudicarsi
se stessi meno egocentrici in media.
Dati ricavati da questo tipo d’investigazione sono importanti per il tema della democrazia diretta per due ragioni:
Primariamente, illustrano una volta di più che la maggior
parte della gente è incline a attribuire standard morali più
bassi ad altri che essa se ne attribuisce a sé. C’è dunque una
sfiducia mutua immeritata su cui s’appoggiano gli opponenti alla democrazia diretta per difendere il loro sistema
attuale.
Kruger e Gilovich non condussero soltanto l’investigazione
loro sulle coppie, ma anche in una serie d’altre situazioni.
Il risultato ne fu sempre lo stesso ma sorse allora una differenza importante: in situazioni dove persone cooperavano
attivamente per lo stesso scopo, non solo non esibirono sopravvalutazione dei propri meriti ma non aspettarono nemmeno sopravvalutazione di quelli di altri. Invece, nel caso
di situazioni competitive si palesò una forte inclinazione
a sospettare altri di sopravvalutazione di sé. Ambedue le
situazioni potettero verificarsi associate. Ad esempio, fra i
giocatori del “vogelpik” – una sorta di gioco delle freccette
– apparve che quelli della stessa squadra non manifestassero inclini a sopravvalutare o sottovalutare propri meriti e
mancanze rispettivamente, tuttavia predissero anche assai
precisamente valutazioni dei loro compagni di squadra e
dunque, non li sospettavano di pretesa egocentrica. Giocatori avversari, in contrasto, venissero sospettati di sopravvalutare propri meriti in media del 24,8%.
Secondariamente, questa ricerca mostra che la sfiducia mutua venga superata nel condividere attività insieme. Su questo punto, quindi, un ponte logico collega le investigazioni
di Kruger e Glovich con quelle di Frey, a proposito dell’impatto della democrazia diretta sulla frode fiscale, menzionato nella finestra 4-2a. Democrazia diretta si riduce a un’attività condivisa fra cittadini che stanno modellando una
società. Tale attività consente ai cittadini osservarsi da più
vicino e meglio valutarsi mutuamente, così facendo la sfiducia viene meno. Una società piuttosto non-democratica e
volta alla competizione, quale conosciamo adesso, invece,
risulta un terreno propizio alla diffidenza reciproca.
49
5. Le lezioni della democrazia diretta in pratica
Svizzera
L’ideale di democrazia diretta fu anche popolare nei movimenti socialisti di parecchi paesi d’Europa. Ad esempio, una
« Volksgesetzgebung » (legislazione popolare) era già apparsa
nel programma fondatore del partito socialista tedesco degli operai nel 1891. Nei programmi di Gotha (1875) e Erfurt
(1891), la democrazia occupò parimenti un posto chiave.
Karl Marx, d’altro canto, si espresse di modo assai critico su
quest’ideale di democrazia diretta.
La Svizzera è il solo paese, se si eccettua il piccolo principato
del Liechentenstein, a disporre di un sistema di democrazia
diretta altamente strutturato al livello nazionale. Un simile
sistema di presa decisionale diretta dai cittadini esiste solo
in alcuni Stati americani, la California essendone l’esempio
tipico. Però non c’è democrazia diretta al livello federale negli Stati Uniti, il che vuole dire che tutta una serie di poteri
rimangono fuori portata del referendum.
Gli strumenti
Al livello federale svizzero, con all’incirca 4,8 milioni d’elettori, sono più importanti i tre strumenti di democrazia diretta che seguono. Tutti i referendum svizzeri sono obbligatori
ad ogni livello (per precisare, decisioni approvate mediante la
votazione referendaria sono d’attuazione e d’obbligo, ndt).
« La Svizzera è la sola nazione nel mondo dove la vita politica
gira veramente attorno al referendum. Questo paese, con 6,5
milioni di leaders politici sfuggenti alla notorietà, la cui spartizione del potere esecutivo tra i sette membri del Consiglio
Federale, scoraggia in più gli uomini politici dal mettere la
propria personalità al primo posto. Quando succede che un
uomo politico sorga veramente al di sopra della mischia, è
quasi sempre grazie all’appoggio di una campagna referendaria. La legislazione, in seno all’Assemblea Federale, assomiglia ad una danza con figure assai elaborate per schivare
o guadagnare il suffragio popolare. Grandi momenti politici
della Svizzera moderna non si verificano seguendo le orme
degli audaci uomini di Stato, ma in seno ai dibattiti nazionali
che hanno condotto le masse alle elezioni per decidere del
futuro del loro paese. » (Kobach, 1994, p.98).
Il referendum obbligatorio venne introdotto nel 1848. Per ogni
emendamento alla Costituzione, il governo viene costretto al
referendum, nonché per l’adesione della Svizzera alle organizzazioni internazionali e leggi d’emergenza per le quali, il
referendum facoltativo non vale neanche.
Il referendum facoltativo risale al 1874. Se 50 000 cittadini vi
sottoscrivono nel termine di cento giorni dopo la pubblicazione ufficiale di una legge parlamentare, essi possono costringere a un referendum su questa legge. All’inizio, questo
non si applicava a leggi che il Parlamento aveva dichiarato
quali misure « d’emergenza ». Ma quando il Parlamento si
mise a utilizzare abusivamente tale possibilità e cominciò col
dichiarare urgenti tutti i tipi di leggi, un referendum stipulò che leggi d’emergenza potessero essere immediatamente
vigenti, ma andassero sempre sottomesse in seguito a un referendum d’obbligo.
La democrazia diretta svizzera origina da fonti diverse. Primariamente, ci fu la tradizione delle assemblee pubbliche locali
o cantonali in una parte della Svizzera attuale, in cui cittadini
maschi s’incontravano sulla piazza del mercato per prendere
le decisioni più importanti (si veda 2-1). Ciò risale almeno al
Duecento. Secondariamente, ci fu l’effetto di rivoluzioni straniere. In un modo similare ad altre regioni d’Europa, il primo
referendum nazionale svizzero ebbe luogo nel 1802, per decidere a proposito di una nuova Costituzione, sotto il protettorato dell’invasore francese. Un terzo fattore furono i nuovi
movimenti politici. Nella prima metà dell’Ottocento furono
principalmente i Liberali « radicali » – distinguendosi dai
Liberali « ordinari », in quanto quegli ultimi non credevano
per l’appunto sufficiente la democrazia rappresentativa – da
diffondere l’uso dei referendum in Svizzera. Dopo, Socialisti e
Cattolici si accorsero tuttavia che i Liberali non rappresentassero certamente la maggioranza dei cittadini nei confronti di tutti
i temi e divennero dunque la forza conduttrice più importante
per l’espansione successiva della democrazia diretta (Kobach,
1993). Il tedesco Moritz Rittinghausen fu un personaggio importante del movimento socialista. Fu il primo ad elaborare un
concetto d’iniziativa cittadina referendaria tramite il giornale
Neue Rheinische Zeitung, allorché Karl Marx stava pubblicandolo. Quando questo giornale venne proibito, Rittinghausen
si rifugiò in Francia dove, dal 1850, redasse una serie d’articoli
promuoventi la presa decisionale attraverso la democrazia diretta. Le sue vedute incontrarono grande approvazione da parte
dei sostenitori di Fourrier, in particolare. Tramite questo détour
francese, le idee di Rittinghausen raggiunsero il movimento
operaio svizzero (Weihrauch, 1989, pp.15-16). I Socialisti giocarono un ruolo importante nel « Movimento democratico »,
il quale fece campagna dal 1860 in favore dell’espansione dei
diritti di democrazia diretta nelle grandi regioni della Svizzera.
Nel 1869, nel cantone di Zurigo, ebbe luogo per la prima volta
un’iniziativa cittadina in cui cittadini potettero iniziare un referendum su proposte redatte da loro stessi.
L’iniziativa popolare costituzionale (in breve iniziativa popolare), introdotta nel 1891, dà ai cittadini la possibilità d’ottenere
un referendum sulle proprie proposte redatte, se essi riescano nel radunare 100 000 firme, in forma di petizione, nel
termine di 18 mesi. Tale proposta può essere sia formulata di
modo generale, per venir dopo convertita in legislazione da
una commissione parlamentare, sia redatta in paragrafi legislativi precisi, a cui il Parlamento non può più apportare nessun emendamento. Se viene adottata, tale proposta diviene
parte della Costituzione. In pratica, però, i cittadini possono
anche utilizzare questo strumento per temi che vengono di
solito regolati dalla legislazione ordinaria. Perciò la Costituzione svizzera risulta un notevole miscuglio di principi nazionali e di politica generale “ordinaria”. Gli Svizzeri stanno
sormontando il problema con l’introduzione dell’iniziativa
popolare generale. Questa fu approvata nel referendum del
febbraio 2003, ma fu resa vigente solo dal 2006. Essa autorizza i cittadini, dopo la raccolta di 100 000 firme in favore, a
presentare una proposta generale al Parlamento, il quale ha
in seguito la libertà di decidere se farne un disegno di legge
od un emendamento costituzionale. Questo viene in seguito
sottoposto all’approvazione referendaria.
L’iniziativa popolare consente agli Svizzeri di esigere un referendum su virtualmente qualsiasi tema. Sole eccezioni importanti sono alcune clausole obbligatorie di diritto internazionale, quali la proibizione del genocidio e della schiavitù.
Inoltre, l’iniziativa popolare deve soddisfare esigenze d’unità
50
di forma e di contenuto (ad esempio, un’iniziativa popolare
non può racchiudere due temi). In fine dei conti, la legge
consuetudinaria fa sì che disegni inattuabili in pratica possano venir rifiutati; così un’iniziativa popolare fu un giorno
dichiarata non legittima, perché proponeva di ridurre le spese durante anni, ma vi si pose un termine prima che il referendum fosse indetto. Il Parlamento rivede tutti questi temi.
Tuttavia iniziative popolari su, per esempio, le tasse, le spese
statali, le questioni militari, e perfino la forma governativa
stessa, sono cose banali in Svizzera.
nisse progressivamente esteso ai dieci nuovi Stati membri.
Contemporaneamente, misure erano proposte per impedire
salari bassi e dumping sociale in Svizzera. Questo era contestato da quattro commissioni che temevano l’immigrazione
incontrollata e cattive condizioni di lavoro. I cittadini approvarono, nonostante l’estensione del trattato, col 56% dei voti.
Il 27 novembre, ci furono insieme un’iniziativa popolare e
un referendum facoltativo. L’iniziativa popolare domandava un’interdizione di 5 anni dalla coltivazione delle piante
e dall’allevamento animale per gli organismi geneticamente
modificati (OGM). Governo e Parlamento raccomandavano il
« No » in base al fatto che tali questioni erano coperte a sufficienza dalla legislazione esistente. Però l’iniziativa popolare
fu ciononostante adottata dal 55,7% della popolazione.
L’iniziativa popolare è dunque la pietra angolare della democrazia diretta. Dopotutto, nel referendum facoltativo, i cittadini non fanno che rispondere alle azioni del Parlamento
che sono ancora in discussione. Però essi determinano attivamente l’agenda politica mediante l’iniziativa popolare.
Il referendum facoltativo intendeva bloccare una legge parlamentare che mirava ad aumentare la possibilità di vendita
domenicale di beni di consumo nelle stazioni e negli aeroporti. I sindacati iniziarono un’iniziativa referendaria sulla
questione. Temevano che la domenica diventasse un giorno
come gli altri. La legge del Parlamento venne nondimeno approvata con la maggioranza assai debole del 50,6%.
La Svizzera non indice referendum che siano stati formulati
dal Parlamento o dal governo – i referendum sono conosciuti
più propriamente quali plebisciti. Quindi in Svizzera, i referendum vengono sia prescritti dalla Costituzione, sia indetti
dai cittadini, utilizzando il metodo della raccolta di firme.
Tra i parecchi referendum, in numero sempre crescente, che
vengono indetti in Europa, la forma internazionalmente più
comune rimane purtroppo ancora quella del plebiscito. I plebisciti sono in genere « referendum » facoltativi, decisi da
uomini politici al potere, di modo da conferire alla loro politica una legittimità straordinaria, ovvero perché coalizioni o
partiti sono in disaccordo interno. Le regole del gioco vengono frequentemente adattate ad ogni caso, nel modo che sembra migliore ai politici del momento. Questo ha veramente
poco a che fare con la democrazia diretta.
Le leggi che furono approvate dal Parlamento svizzero e ulteriormente contestate dal referendum facoltativo, ebbero il
50% di probabilità di sopravvivere al voto popolare entro il
periodo dal 1874 al 2004. In altre parole, questo vuole dire
che una volta su due, la legislazione del Parlamento si rivelò
contro la maggioranza popolare. Non c’è nessuna ragione di
ipotizzare che il Parlamento svizzero diverga più fortemente
dalla volontà popolare degli altri corpi rappresentativi negli
altri paesi. É anzi il contrario ad essere vero : precisamente
perché i membri svizzeri del Parlamento, sapendo bene che
i referendum facoltativi sono sempre possibili, agiscono con
molta cautela nel proprio lavoro legislativo. Così proposte
promananti dal Parlamento, sugli emendamenti costituzionali o partecipazioni alle organizzazioni internazionali, vennero approvate nel 73% dei casi. Le iniziative popolari, d’altro
canto, ebbero solo il 10% di probabilità di venir approvate
nello stesso periodo. In un numero più piccolo d’occasioni,
quando il Parlamento utilizzò il suo diritto di fare controproposte, queste vennero accettate nella proporzione di sei
su dieci. Gli Svizzeri sono molto prudenti e non accettano
mai proposte che si rivelerebbero chiaramente essere delle
debolezze. Al livello cantonale un percentuale più elevato
d’iniziativa popolari viene approvato.
La democrazia diretta in pratica
A partire del 1848, fino al tardo 2004, 531 referendum vennero indetti al livello federale : 187 obbligatori, 152 facoltativi e 192 iniziative popolari. La partecipazione media supera
il 50% (con eccezioni partecipative che ammontano fin all’
80%), inoltre, esse hanno superato di 10 punti la percentuale
partecipativa alle elezioni parlamentari. Si trova un ampio archivio di queste sul sito Internet del governo (www.admin.
ch). Ad ogni livello – municipale, cantonale e federale – oltre
200 referendum sono indetti ogni anno in Svizzera.
A titolo illustrativo, stiamo per esaminare i referendum
dell’anno 2005. In Svizzera tutti i referendum e elezioni vengono raggruppati in due o tre giornate elettorali nell’anno. I
cittadini non vi si recano soltanto per votazioni municipali e
federali, ma anche per i referendum. Ci furono tre giornate
elettorali nel 2005.
Tuttavia, in base a queste cifre, sarebbe sbagliato affermare che l’iniziativa popolare sia solo una vicenda meramente
esteriore. In particolare, le iniziative popolari hanno sovente
un effetto, anche quando pure non vincessero la maggioranza dei voti. Una delle funzioni dell’iniziativa popolare è, ad
esempio, offrire l’opportunità ad una minoranza di portare
una questione all’attenzione nazionale. Ciò si chiude con
questioni molto discusse in Svizzera, le quali in qualsiasi
altro Paese non costituirebbero l’oggetto di nessuna discussione seria nei debattiti dominati dai partiti politici. In Svizzera, invece, ciò porta sovente a risposte indirette da parte
dei politici. Quand’anche una questione non abbia vinto,
Parlamento e governo vanno sempre incontro agli iniziatori,
soddisfacendo alcune delle loro domande. Kaufmann et al
(2005, p.49) parla in questo contesto del « paese dei perdenti soddisfatti ». Questo è molto più incoraggiato perché gli
iniziatori hanno il diritto di ritirare ogni iniziativa lanciata
prima della votazione. Dopo la presentazione delle sottoscrizioni, c’è regolarmente un processo di negoziato tra il Parla-
Il 5 giugno 2005, ci furono due referendum facoltativi sulla
scheda elettorale. Il primo contestava l’approvazione degli
Accordi di Schengen/Dublino. Gli Accordi di Schengen aboliscono controlli sistematici del passaporto. Quelli di Dublino
cercano di impedire ogni speranza d’asilo, dato che i richiedenti l’asilo politico sono oramai autorizzati a domandarlo
a un solo paese partecipante. La decisione parlamentare fu
approvata col 54,6% dei votanti. Il secondo referendum contestava una legge del Parlamento che rendeva possibile una
partnership ufficiale per coppie omosessuali e lesbiche. La
legge viene approvata col 58% dei votanti.
Il 25 settembre 2005, un solo referendum facoltativo venne
indetto. Il Parlamento voleva che un trattato con l’Unione
Europea, che prevedeva la libera circolazione della gente, ve51
mento e i richiedenti, che ha l’esito di fare sì che le iniziative
popolari vengano ritirate in un terzo dei casi. « Chi interroga
gli iniziatori, studia le fonti e analizza il terreno del gioco
politico, perviene alla conclusione che approssimativamente
la metà dei richiedenti d’iniziative popolari credono di aver
ottenuto qualcosa che rendesse il loro sforzo meritevole e
che non sarebbe stato altrimenti possibile senza il ricorso
all’iniziativa stessa.» (Gros, 1999, p.93).
d’interesse, argomentarono a favore dell’adesione. Nonostante questo, solo il 24,3% degli elettori svizzeri votò in favore. In
quei tempi, la Guerra fredda era ancora in corso e gli Svizzeri,
che difendevano assai orgogliosamente la propria indipendenza e neutralità, nei riguardi dei blocchi militari e conflitti,
vennero spaventati dal fatto che l’adesione all’ONU li portasse
a prendere parte ai conflitti. Anni dopo, i sostenitori avviarono un’iniziativa popolare e quando si venne alla votazione,
nel marzo 2002, il numero dei sostenitori era cresciuto per
raggiungere il 54,6% e la Svizzera divenne così il 190° Stato
membro dell’ONU. Ciò che fu decisivo nel dibattito pubblico
non fu soltanto la fine della Guerra fredda stessa, bensì il fatto
che gli Svizzeri avevano capito che la globalizzazione implicasse che essi non potevano più starsene in disparte e che,
d’altro canto, l’adesione all’ONU non significasse una rinuncia a tutti i diritti democratici importanti per un’organizzazione internazionale non-democratica. Quest’ultima ragione,
invece, rimane ancora vigente per quanto concerne l’atteggiamento svizzero nei confronti dell’Unione Europea stessa ed è
pertanto la ragione per cui c’è ancora un’ampia maggioranza
in Svizzera contro l’adesione all’UE.
Un esempio di ciò che abbiamo appena affermato è l’iniziativa a proposito dell’abolizione totale dell’esercito svizzero,
la quale iniziò negli anni ‘80 e ebbe il suo esito nella votazione ultima del 1989. Finora, l’esercito, onnipresente,
era stato l’equivalente di una « mucca sacra » in Svizzera.
Quasi tutti gli uomini erano costretti al servizio militare, non
esisteva servizio civile alternativo e le esercitazioni militari
erano organizzate fino a chw gli uomini non raggiungevano i cinquan’anni. L’iniziativa popolare ebbe inizio da alcuni
democratici sociali, non tanto perché credevano di poter ottenere una maggioranza, ma perché credevano che ci fosse
stato molto più di resistenza all’esercito che se ne potesse
allora discutere solo nei dibattiti ufficiali, ed essi ne volevano fare la dimostrazione. All’inizio tutti pensavano che solo
un pugno di Svizzeri avesse approvato tal proposta. Quando
i dibattiti divennero sempre di più accaniti con l’approssimarsi del referendum, il governo dichiarò che sarebbe stato
un disastro per la nazione se più del 10% dei cittadini votasse l’abolizione. Tutti i partiti importanti, eccettuati i Socialdemocratici che si astennero dal dare consegna di voto,
si pronunciarono contro l’iniziativa ; solo l’estrema sinistra,
un gruppo molto marginale in Svizzera, approvò la proposta.
Il più importante degli interlocutori socio-economici (tranne
l’astensionista « Schweizerische Gewerkschaftsbund » – confederazione sindacale), governo e Parlamento, ovviamente, si
opponevano all’iniziativa. Quando il referendum ebbe luogo,
il 26 novembre 1989, il 35,6% dei « SÌ » in favore dell’abolizione, combinato al tasso elevato della partecipazione (70%)
causa uno choc nel paese intero. I Pacifisti celebrarono la vittoria di modo esuberante in quanto avevano raggiunto il loro
obiettivo. Diverse misure vennero prontamente introdotte
per attenuare l’opposizione oramai pubblica e palese all’esercito, quale l’introduzione di servizi civili alternativi che venne approvata mediante il referendum con una maggioranza
eccezionale dell’ 82,5% nel dicembre 1991. L’esercito venne
dunque considerevolmente ridotto negli anni successivi.
Queste azioni contribuirono probabilmente a fare diminuire l’opposizione all’esercito e quando, nel dicembre 2001,
ci fu un’altra votazione sull’iniziativa popolare di abolizione
dell’esercito, il numero dei sostenitori era caduto al 21,9%.
Il tema dell’abolizione totale dell’esercito non era mai stato
all’ordine del giorno del sistema rappresentativo classico.
Le iniziative popolari hanno giocato un ruolo nella storia svizzera, migliorando e approfondendo la democrazia. Quella
assai importante del « Für die Proporzwahl der Nationalrates »
[« Per una rappresentanza proporzionale nel Parlamento»]
venne adottata col 68,8% dei cittadini nel novembre 1918 (Il
Nationalrat è la più grande delle due Camere del Parlamento).
Questa sostituì il sistema elettorale maggioritario (in cui, in
seno ad ogni distretto elettorale, il candidato avente ottenuto il più dei voti rappresentava l’intero distretto, come accade
adesso in Gran Bretagna o negli Stati Uniti) da un sistema
elettorale proporzionale (in cui ogni regione intera viene considerata quale un solo distretto elettorale). Un sistema elettorale maggioritario conduce a grandi squilibri, dato che le
minoranze vi si trovano assai meno rappresentanza. Comunque dal fatto che le minoranze si trovino sparse nella regione,
perdono sempre al livello del distretto elettorale e non hanno
nessun rappresentante nel Parlamento. L’introduzione del
voto proporzionale ha portato, con la democrazia diretta, un
gran contributo al sistema svizzero di « Konkordanz » (consenso). In questo, tutti i partiti politici, qualunque sia la loro
levatura, dispongono di una sede permanente tra le sette persone del governo forte. Questo governo non ha nessun Primo
Ministro permanente ; la presidenza del governo si attua annualmente a turno tra le sette membri. I piccoli partiti possono nondimeno partecipare al governo per merito dell’iniziativa popolare. Anche se rappresentano solo un piccolo gruppo
per l’insieme del loro manifesto, possono nondimeno avere
qualche tema palese e singolare, per cui ricevono veramente un appoggio maggioritario. Con la minaccia dell’iniziativa
popolare, possono attirare l’attenzione su queste questioni.
Fino alla fine della seconda Guerra mondiale, le leggi federali
d’emergenza non erano sottoposte al referendum rettificatore. Spesso, per fare accettare in fretta regolamenti che erano
contrari alla volontà popolare, governo e Parlamento decretarono troppo sovente che leggi fossero “urgenti”, anche se nei
fatti non lo erano del tutto. Fu dunque lanciata un’iniziativa
popolare contro di questo modo di fare : d’allora in poi, le leggi « urgenti » andrebbero sottoposte al referendum d’obbligo
a scadenza dell’anno. Governo e Parlamento argomentarono
assai fortemente contro quest’iniziativa popolare che limitava
in modo significativo il loro potere. Ma la proposta incontrò
nondimeno il favore popolare nel 1946. Un referendum nel
2003 approvò l’introduzione dell’« iniziativa popolare generale », mediante cui i cittadini presentano soltanto una proposta generale e lasciano al Parlamento la cura di decidere se
Un referendum non va visto isolamente quale cosa assoluta.
I referendum sono piuttosto suoni di timpani nella sinfonia.
Se la votazione va incontro alla proposta, in un momento specifico, ciò può tuttavia iniziare un processo di discussione e di
riflessione, contribuendo così a fare sì che la proposta finisca,
qualche anno dopo, con l’ottenere un’approvazione maggioritaria. Così un processo d’apprendimento si è dunque messo
in moto e il potere persuasivo ha trasformato una minoranza
in maggioranza. La politica riceve così un ampio sostegno. Le
circostanze possono ugualmente esser cambiate, sìcché una
proposta, che fu inizialmente inaccettabile, apparisse adesso
offrire buone prospettive. Un esempio ci viene fornito con
l’adesione all’Organizzazione delle Nazioni Unite. Nel marzo
1986, un referendum venne indetto sull’adesione all’ONU.
Il governo, il Parlamento, e tutti i partiti importanti e gruppi
52
bisogni convertirla in legislazione od emendamento costituzionale. Nello stesso tempo, il referendum facoltativo venne
reso applicabile ai trattati internazionali che racchiudono disposizioni importanti, cui per essere operanti al piano nazionale, richiedono nuovi provvedimenti od emendamenti.
Le iniziative popolari al livello federale, così come gli emendamenti costituzionali vengono solo accettati se ci sia una
maggioranza doppia in favore : ci deve essere una maggioranza in favore della proposta, contemporaneamente degli
singoli elettori e dei Cantoni. La ragione viene dal fatto che
la Svizzera è una regione di minoranze : ci sono ad esempio
Cantoni d’espressione tedesca, italiana, francese e reto-romanza. Il sistema a maggioranza doppia significa che alcuni
grandi Cantoni non possano facilmente mettere i più piccoli
in minoranza.
Dato che tutti i diritti referendari, comprese le soglie di firme,
l’assenza di quorum partecipativo e l’esclusione di certi temi
specifici, sono indicati nella Costituzione, e perché quest’ultima può solo venir modificata dal referendum, i cittadini
svizzeri si sono incaricati della propria democrazia. Secondo
le indagini, nove Svizzeri su dieci sono contrari a ogni violazione dei loro diritti di democrazia diretta (Kaufmann et al.,
2005, p.51). La tendenza in Svizzera si evolve dunque verso
un’espansione della democrazia diretta e l’abbassamento delle soglie di validità. Il numero dei referendum sta crescendo
sempre. Fra il 1980 e il 1989, c’erano in media 6,2 referendum federali all’anno ; una media di dieci all’anno dal 1990
al 1999; e una media di 11,4 referendum annualmente dal
2000 al 2004.
La Svizzera non fornisce sovvenzione pubblica ai gruppi di
cittadini che lanciano un’iniziativa. Dunque questi non hanno da renderne conto all’ispettorato delle finanze.
Però tutti gli elettori Svizzeri ricevono effettivamente un opuscolo informativo nella loro buca delle lettere, molti giorni
prima della votazione. Include, tra l’altro, il testo completo
della legge su cui dovranno votare, col riassunto fattuale su
una pagina A4, e gli argomenti sviluppati contemporaneamente dal governo e dal comitato degli cittadini propugnanti
il referendum. Il comitato ha il diritto d’aggiungervi il proprio testo. Quei testi argomentativi sono anche accessibili via
Internet sul sito del governo : www.admin.ch.
I cittadini votano sempre in favore dell’espansione della democrazia diretta ? No ! Nel 1995, la popolazione del Cantone
di Berna, che include anche la capitale svizzera, approvò una
riforma di democrazia diretta che implicava una riduzione
considerevole del numero dei referendum d’obbligo (tra altri
quello sull’emendamento costituzionale). C’erano tante proposte importanti che i cittadini ne approvarono la riduzione
di numero. Preferivano dunque concentrarli sui temi più rilevanti.
Le iniziative popolari cittadine dispongono dell’aiuto di funzionari per formulare precisamente la loro proposta.
Dall’introduzione generale della votazione per corrispondenza, una stragrande maggioranza degli Svizzeri adopera tal
sistema. Tutti gli elettori svizzeri ricevono il loro certificato
elettorale tramite la posta e potranno decidere se voteranno
se stessi recandosi al seggio elettorale il giorno dello scrutinio
(sempre la domenica), ovvero voteranno in anticipo tramite
la posta. C’è una procedura speciale in quest’ultimo caso
provvedente due buste per preservare il segreto del voto.
Alcune particolarità della democrazia diretta svizzera :
Si può aspettare un lungo tempo prima di votare effettivamente sull’iniziativa popolare. Una volta raccolte le firme necessarie, il « Bundesrat » (governo svizzero) ha in effetti due anni per
preparare il referendum. Se la « Bundesversammlung » (l’Assemblea delle due Camere) fa una controproposta, sei mesi vi
si aggiungono. Inoltre, contando dal momento in cui l’iniziativa popolare è presentata, il Parlamento dispone di non meno
di quattro anni per decidere se accettare o no quest’iniziativa.
Naturalmente esso può approvare meramente la proposta legislativa per cui un’iniziativa popolare è stata presentata. In
questo caso, gli iniziatori hanno raggiunto il loro obiettivo e
possono ritirarla. Se il Parlamento stende una controproposta,
gli elettori possono votare a favore sia dell’iniziativa popolare
originaria, sia della controproposta parlamentare. Tali termini
lunghi vengono considerati vantaggiosi da parecchi seguaci
della democrazia diretta. Lasciano in effetti un tempo sufficiente per il dibattito sociale sui pro e contro la proposta.
Procedura di “Abberufung” (richiamo)
Oltre l’iniziativa popolare, c’è anche il richiamo ovvero « Abberufung », una procedura di democrazia diretta interessante.
Il che significa che un ufficiale o funzionario nominato dallo
Stato (ad esempio un giudice) può essere rimosso dalle sue
funzioni mediante l’iniziativa popolare. Tale sistema esiste e
funge realmente in alcuni Cantoni svizzeri ma non al livello
federale. A Berna, Lucerna, Schaffhausen, Thurgau e Ticino,
cittadini possono richiamare il Parlamento cantonale. Dopo
una procedura di richiamo riuscita, hanno luogo nuove elezioni. In pratica, però, ciò non è mai accaduto fino ad oggi.
Democrazia locale
Non c’è controllo sulla natura costituzionale delle iniziative
popolari, né dal Parlamento, né dal Tribunale di giustizia. É
vero che il Parlamento controlla de facto l’iniziativa popolare a
proposito di un piccolo numero di provvedimenti obbligatori prescritti dalla legislazione internazionale (si veda sopra),
ma questo rimane assai limitato. Nella storia svizzera, una
sola iniziativa popolare venne dichiarata non valida a causa di tale conflitto (come ciò succede sovente per causa del
conflitto col « principio di non-rifiuto » – il non-rimando dei
profughi in un paese dove sarebbero in pericolo). É del tutto
teoricamente possibile introdurre la pena di morte mediante
il referendum in Svizzera, ma questo non viene mai provato. La democrazia diretta non vi ha portato più di violazioni
dei Diritti dell’Uomo che negli altri paesi d’Europa. C’è un
elenco considerevole di diritti per le minoranze che vennero
invece approvati tramite il referendum.
Oltre il livello federale, i livelli cantonale e municipale sono
prevalentemente importanti in Svizzera.
I Cantoni prelevano più o meno lo stesso ammontare fiscale
di quello del governo centrale. I loro poteri sono assai estesi.
Il paragrafo 3° della Costituzione Federale Svizzera dichiara che i Cantoni sono sovrani: tutti i poteri che non sono
esplicitamente delegati al livello federale dalla Costituzione,
appartengono per forza di cose ai Cantoni. Tra altre cose, ciò
include: la polizia, il più dell’insegnamento, la legislazione
sulla politica economica e un’ampia proporzione dell’assicurazione sociale.
Le istituzioni di democrazia diretta variano piuttosto considerevolmente da Cantone a Cantone (si vede 4-2).
53
Effetti della democrazia diretta
Nel Cantone di Zurigo, il più ampio, diecimila firme bastano
per lanciare un’iniziativa popolare. Il referendum facoltativo ne richiama soltanto cinquemila. Inoltre, tutti gli emendamenti costituzionali, nonché tutte le spese finanziarie
superiori a due milioni di franchi svizzeri, vanno approvati
mediante il referendum. Nell’ultimo decennio, ci fu una media annuale di più di nove referendum cantonali (oltre quei
federali e municipali, indetti lo stesso giorno). L’anno con il
massimo numero di referendum cantonali, 19, fu il 1999.
Talvolta ci sono importanti interessi economici in gioco, ad
esempio nel 1996, sull’estensione dell’aeroporto di Zurigo
per un costo di 875 milioni di franchi svizzeri.
Parecchi referendum che sono stati tenuti in Svizzera per
150 anni constituiscono una miniera inesauribile di dati su
quello che succede quando la gente diventa atta a prendere in mano il proprio destino. Un gruppo di economisti e
ricercatori di scienze politiche delle Università di Zurigo e
San Gallo, – Bruno S. Frey, Reiner Eichenberg, Aloïs Stutzer, Lars P. Feld, Gebhard Kirchgässner, Marcel R. Savioz ed
altri – hanno studiato sistematicamente e a lungo, l’effetto
della democrazia diretta sulla politica e la società. A tale fine
utilizzarono il fatto che ci sono grandi differenze nei gradi
di democrazia diretta nei Cantoni svizzeri. Poiché i Cantoni
detengono anche poteri maggiori – la Svizzera è in effetti
una cooperazione confederale di Cantoni sovrani – è possibile confrontare gli effetti specifici della democrazia diretta in parecchie sfere. Ciò implica, naturalmente, che nelle
misure statistiche non si tenga mai conto degli altri fattori
che potessero influire sulla relazione esaminata (il famoso
principio ceteris paribus [ fermo restando ogni altra cosa, ndt]).
Nel 1999, Kirchgässner, Feld e Savioz riassunsero un gran
numero di analisi sul libro « La democrazia diretta: moderna e
fruttuosa e progredibile e esportabile ». Ma un gran numero di
ricerche recenti sono state pubblicate da allora.
Un’istituzione insolita del Cantone di Zurigo è quella che
si chiama iniziativa individuale (Einzelinitiative). Una sola
persona ha dunque il diritto di presentare una proposta al
Consiglio cantonale. Quando questa viene sostenuta da più
di 60 membri del Consiglio stesso, si può organizzare un
referendum. Nel 1995, ad esempio, il cittadino Albert Jörger
fu capace di utilizzare questo provvedimento per iniziare un
cambiamento nel modo in cui gli insegnati erano nominati
nelle scuole del Cantone.
I municipi riscuotono le imposte proprie sul reddito e sulla proprietà. In Svizzera, i municipi spendono un po’ meno
per residente che non il governo centrale. Beedham (1996)
dà l’esempio del municipio di Kilchberg (7000 abitanti) in
riva al lago di Zurigo. Il villaggio organizza l’insegnamento
proprio, dispone della propria squadra di vigili del fuoco, di
una casa di riposo per gli anziani e di poliziotti propri, equipaggiati con due motoscafi per pattugliare il lago. Il municipio dà ai suoi rari poveri 3000 franchi svizzeri per persona
al mese e aiuta anche un pugno di rifugiati, il più dallo Sri
Lanka. Il Consiglio municipale comprende sette membri
eletti che seguono da vicino il lavoro di un piccolo numero
di funzionari municipali. Tuttavia, il potere decisionale reale
tocca all’assemblea pubblica, che si riunisce due volte all’anno. Le Assemblee pubbliche vengono di solito frequentate
dall’incirca 400 residenti ; talvolta parecchie centinaia di più
allorché c’è qualcosa di straordinario all’ordine del giorno.
Tali riunioni fissano le imposte, approvano nuove ordinanze municipali, dibattono i conti della comunità, esaminano
progetti edilizi nuovi, ecc.. Quelle quattro assemblee pubbliche annuali costituiscono il livello più elevato dell’autorità
municipale ; i sette membri del Consiglio presentano le loro
raccomandazioni davanti all’assemblea. Le decisioni vengono prese par alzata di mano. Uno scrutinio segreto può essere richiesto da un terzo delle persone presenti, ma al giorno
d’oggi tal opzione non è stata mai utilizzata. I cittadini che
assistono a queste assemblee dispongono di grandi poteri.
Quindici firme bastano per ottenere l’indizione di un referendum municipale mediante l’assemblea pubblica, ma ciò
si verifica raramente.
Molti risultati i più significativi sono elencati qui sotto :
•Feld e Savioz (1997) adoperarono un indice preciso per
tradurre il grado di democrazia diretta in tutti i Cantoni
svizzeri e lo correlarono con le produttività economiche nei
vari momenti tra il 1982 e il 1992. Dopo aver realizzato
un’analisi approfondita e escluse spiegazioni alterne, essi
conclusero che, a seconda del momento, la produttività economica nei Cantoni con la democrazia diretta era superiore
dal 5,4 al 15% di quella rappresentativa degli altri Cantoni.
« Il coesistere delle democrazie rappresentativa e diretta,
in Svizzera, solleva una domanda immediata : se la democrazia diretta risulta più efficace di quella rappresentativa,
perché mai i Cantoni dotati di quest’ultima non adottano le
strategie più efficienti dei loro vicini. » Così si domandarono Feld e Savioz (1997, p.529).
•Pommerehne studiò la connessione tra democrazia diretta
ed efficacia di gestione delle 103 più grandi città delle Svizzera, scegliendo quale esempio il trattamento dei rifiuti.
Nelle città gestite mediante la democrazia diretta, il trattamento dei rifiuti – fermo restando ogni altra cosa – era del
10% meno caro di quelle senza democrazia diretta. Inoltre,
Pommerehne scoprì un’economia considerevole nel caso
in cui il trattamento dei rifiuti venisse affidato in subappalto ad una compagnia privata. Città e megalopoli gestite
in democrazia diretta, ed il trattamento privato dei rifiuti,
presentano costi del 30% più bassi – fermo restando ogni
altra cosa – di quei delle città gestite col sistema rappresentativo e trattamento pubblico dei rifiuti (Kirschgässner, Feld
e Savioz, 1999, pp.98-100).
L’assemblea pubblica di Kilchberg illustra una volta di più
l’assurdità dei quorum partecipativi (capitolo 2°). Un sostenitore di questi direbbe probabilmente che un’assemblea pubblica che riunisse solo 400 dei 7000 residenti non sarebbe
più « rappresentativa ». In realtà, tal assemblea pubblica costituisce un superconsiglio municipale rappresentativo. Questo Consiglio municipale allargato dispone di un mandato
proprio così come un consiglio tradizionalmente eletto. Ogni
persona recandosi all’assemblea è mandataria ; ogni persona
restando a casa dà de facto il suo mandato all’assemblea. E
finalmente il municipio di Kilchberg viene ben gestito ! L’affermazione a seconda di cui una gestione popolare conduca
ai fallimenti, vi viene confutata categoricamente in pratica.
•Quegli ultimi esaminarono 131 dei 137 più grandi municipi svizzeri in vista di determinare il nesso tra democrazia
diretta e debito pubblico, utilizzando i dati dal 1990. Nei
municipi dove i referendum sulla spesa pubblica venivano
praticati (un esempio di democrazia diretta), fermo restando ogni altra cosa, il debito pubblico era del 15% inferiore di
quello altri municipi.
•Feld e Matsusaka (2003), indagarono il collagamento tra
spesa pubblica e democrazia diretta. Qualche Cantone svizzero ha un referendum sulle finanze (Finanzreferendum),
54
in cui i cittadini devono approvare o meno tutte le decisioni
del Consiglio cantonale su spese oltre di una certa somma
(la media sta di 2,5 milioni di franchi svizzeri). In questo
tipo di Cantone, la spesa pubblica fu in media del 19% inferiore di quella d’altri Cantoni dove democrazia diretta non
c’era.
dison, accettò il principio che la gente eletta rappresentasse
la nazione intera e non soltanto i suoi simpatizzanti. Non fu
quindi prevista la democrazia diretta.
Dall’ultimo decennio dell’Ottocento, però, movimenti progressisti e popolari stavano conducendo campagne regolari
per ottenere il referendum d’iniziativa popolare. Vengono
prevalentemente ispirati dall’esempio svizzero. Il primo
Stato a realizzare un cambiamento in quest’indirizzo fu
il Dakota del Sud nel 1898, seguito dallo Utah nel 1900 e
dall’Oregon nel 1902. L’interesse per la democrazia diretta
sorse nell’Oregon poco dopo la sua creazione, spronato dagli emigranti svizzeri che vi si erano stabiliti nella Contea di
Clackasmas. Sedici Stati supplementari andrebbero a seguire tal esempio fino al 1918.
•Benz e Stutzer (2004) studiarono il nesso tra democrazia
diretta e conoscenza politica dei cittadini, contemporaneamente in Svizzera e nell’Unione Europea. Per la Svizzera
raccolsero i dati su 7500 abitanti e li correlarono all’indice
da 1 a 6 del livello di democrazia diretta per i 26 Cantoni. Il
livello maggiore venne trovato nel Cantone di Basilea, con
l’indice 5,69; il minore, quello di Ginevra, essendo di 1,75.
Altre variabili importanti vennero controllate, includendo
sesso, età, educazione, reddito e adesione eventuale a un
partito politico. Fermo restando ogni altra cosa, conclusero
che la differenza in conoscenza politica fra un abitante di
Ginevra e uno di Basilea fosse considerevole ed equivalesse
a quella osservata per l’adesione o meno ad un partito politico, ovvero tra gruppi di redditi mensili fra 5000 e 9000
franchi svizzeri. Quanto all’UE, in cui 15 paesi vennero analizzati, tra cui sei avevano indetto un referendum nazionale
fra i quattro anni in precedenza, il risultato fu simile.
Attualmente 27 dei 51 Stati dispongono di una forma di democrazia diretta al livello statale. I regolamenti differiscono
tra essi, siccome ogni Stato rimane sovrano su questo punto. L’iniziativa, paragonabile a quella cittadina in Svizzera,
è disponibile nei 24 Stati; il referendum popolare – quello
opzionale mediante cui leggi parlamentari possono essere
bloccate – è ugualmente disponibile nei 24 Stati, maggiormente gli stessi autorizzanti l’iniziativa. La democrazia è ancora più diffusa al livello locale. Quasi la metà delle città americane, dispongono del referendum d’iniziativa cittadina. Più
o meno il 70% degli Americani vive in uno Stato, una città,
o una megaplooli, disponenti del referendum d’iniziativa cittadina. In oltre, eccetto il Delaware , tutti gli Stati hanno il
referendum obbligatorio per gli emendamenti costituzionali, il che significa che ogni cambiamento alla Costituzione va
sempre sottoposto all’approvazione del popolo. Ci sono assai
pochi temi esclusi, e per dire il vero, nessuno in parecchi
Stati (Waters, 2003; Matsusaka, 2004).
•Frey, Kucher e Stutzer (2001), indagarono per sapere se il
« benessere soggettivo » dei cittadini fosse modificato dalla
democrazia diretta. Il benessere soggettivo può esser misurato schiettamente; nel senso che voi potete domandare
semplicemente alla gente quanto questa si consideri felice.
Usando lo stesso indice cantonale di Benz e Stutzer, Frey lo
correlò alle 6000 risposte date dagli Svizzeri alla domanda:
« Quale soddisfazione Lei prova nei riguardi della Sua vita
complessivamente? » Frey analizzò quattro variabili suppletive e adoperò una scala per tradurre il livello di soddisfazione su una scala da 1 a 10. Gli abitanti di Basilea (Il Cantone
più progressista in democrazia diretta), marcarono il 12,5%
di punti di più degli abitanti di Ginevra sulla scala del benessere (il Cantone con le massime forme rappresentative
in democrazia). Frey esaminò il benessere soggettivo che
risulta dal fatto che la politica sia più in accordo con i desideri dei cittadini (outcome), rispetto al benessere soggettivo
risultante della partecipazione alla votazione (process). Lo
fece prendendo in considerazione un gruppo di stranieri:
questi non possono votare al livello cantonale ma beneficiano anch’essi degli esiti referendari. Gli stranieri, che non
votavano al livello cantonale, erano tanto felici nei Cantoni
dotati della democrazia diretta quanti gli Svizzeri, ma lo erano meno di quegli ultimi nei Cantoni in cui i soli Svizzeri
votavano. Frey ne concluse che il partecipare alla votazione
contribuisse ai due terzi dell’accrescimento osservato nel
benessere soggettivo, l’ultimo terzo rappresentante il massimo accordo con la politica seguita a seconda dei desideri
del popolo.
Ciò ha portato a un numero impressionante di referendum.
Quasi 2000 iniziative cittadine sono state indette al livello
Statale dal 1904 al 2000. Il massimo è stato raggiunto nel
1996, l’anno in cui, nei 24 Stati aventi questo diritto, 96
referendum d’iniziativa popolare furono sottoposti alla votazione. Per confrontare, i rappresentanti di quegli Stati promulgarono 14 000 leggi e risoluzioni, nello stesso anno. I
referendum opzionali sono meno numerosi delle iniziative
cittadine negli Stati Uniti. D’altro canto, un gran numero di
referendum obbligatori sono stati attuati. Cosìcché il cumulo
dei referendum statali ammontò a 19 000 fin al 1999. Oltre
a questi, circa 10 000 referendum locali hanno luogo ogni
anno (Efler, 1999).
Quantunque i regolamenti si somiglino in genere, differenze
considerevoli esistono nel numero dei referendum popolari
indetti nei diversi Stati. Più della metà di essi ebbero luogo
in solo cinque Stati: Oregon, California, Colorado, Dakota
del Nord e Arizona. Quand’anche l’Oregon, con 318 fino al
2000, ne tenne più della California, per cui solo 275 nello
stesso periodo, prendiamo quest’ultima quale esempio. Fatto
sta che la California è lo Stato americano non solo più importante – essendo più fortemente popolato e riuscendo molto
bene sui piani economico e culturale – ma perché la democrazia diretta californiana è anche controversa.
•Nel capitolo 4°, finestra 4-2a, abbiamo già commentato
della minore evasione fiscale constatata nei Cantoni gestiti
mediante la democrazia diretta.
Obiezioni frequentemente udite nei confronti della democrazia diretta verranno discusse nel capitolo 6°.
In California, l’introduzione della democrazia diretta è strettamente legata al nome del Dottor Randolf Haynes, che fondò la California Direct Legislation League nel 1895. Mediante i
suoi sforzi, la prospettiva di una presa decisionale in democrazia diretta venne introdotta nella città di Los Angeles già
nel 1902. Al livello statale questa fu essenzialmente una ri-
Gli Stati Uniti: la California
Gli Stati Uniti d’America non hanno referendum federali.
L’Assemblea Costituente del 1787, convinta da Adams e Ma55
sposta al quasi monopolio esercitato da parte di una compagnia particolare, la Central Pacific Railroad, sulla vita politica
californiana alla fine dell’Ottocento. Nel 1901, venne pubblicato il libro « Octopus » in cui Frank Norris descrisse in che
modo questa compagnia aveva un’alta influenza sulla politica
californiana. Questa non era soltanto implicata nelle attività
di trasporto, interveniva anche nella speculazione fondiaria,
ad esempio. Quasi tutti i regolamenti legali di quest’epoca
s’instauravano a suo vantaggio. Norris scrisse: « S’impossessano dell’urna (...) s’impossessano di noi ». Allorché venne
conosciuta la presa di controllo « dell’Octopus », questa resisté. Hiram Johnson, procuratore pubblico, sostenitore di
Haynes e leader de l’ala progressista dei Repubblicani, diventò governatore nel 1910. Egli condusse la sua campagna (
con lo slogan: « La Pacific deve tirare indietro le sue zampe
sporche dalla politica ! ») in autobus, rifiutando di prendere
il treno. Nel 1911, Haynes, Johnson e i loro seguaci, riuscirono ad introdurre il referendum d’iniziativa popolare. Nello
stesso momento venne introdotta la procedura del « richiamo » – cioè la destituzione di rappresentanti e membri eletti
dalle alte istanze sotto il chiedere degli elettori. La Californian Direct Legislation League dovette ancora eludere diverse
offensive contro la democrazia diretta. Nel 1920, oppositori
all’iniziativa cittadina tentarono di utilizzarla nuovamente
quale strumento per spegnere bermela sua virulenza. Una
proposta che conteneva una soglia di numero di firme estremamente elevata, a proposito di questioni d’imposte, non fu
mai rigettata dagli elettori. (Waters 2000).
•Le iniziative cittadine californiane sono dirette. Al contrario
di quelle indirette, non vengono promulgate dal Parlamento. Ne risulta che il Parlamento non può lanciare una controproposta per opporsi all’iniziativa cittadina. Per le iniziative
cittadine, la votazione avviene rapidamente: ad esempio,
se la soglia formale sarà raggiunta per l’estate, l’iniziativa
verrà già sottoposta alla votazione in novembre dello stesso
anno. In linea di massima, c’è solo un solo giorno d’elezioni ogni due anni, al quale talvolta se ne può aggiungerne
un altro solo. Questi punti, che differiscono da quelli del sistema svizzero, vengono criticati da alcuni sostenitori della
democrazia diretta. A seconda di questi ultimi, periodi più
lunghi e la ripartizione delle iniziative in base a più giorni d’elezione, sono buoni criteri per garantire un dibattito
pubblico migliore. La mancanza del processo parlamentare
e quella di una controproposta eventuale, forniscono meno
informazione al pubblico lasciandogli meno opzioni.
•Una proposta approvata mediante il referendum può, nonostante questo, venire annullata dalla Corte di giustizia, il
rischio essendo assai considerevole dopo l’approvazione referendaria: tra il 1964 e il 1990, ciò accadde in 14 occasioni
per un totale di 35 iniziative cittadine aventi tutte ottenuto la
maggioranza dei voti. Un’iniziativa felice può quindi essere
rovinata dal tribunale. É chiaro che questo controllo legislativo, che venne proposto dopo l’elezione, fosse stato considerato quale uno svantaggio sensibile del sistema californiano.
Tale problema può esser risolto agevolmente con l’introduzione di una petizione intermediaria: ogni iniziativa cittadina avente raccolto un numero relativamente basso di firme,
p. es. 10 000, acquisisce il diritto di diventare in seno al
Parlamento l’oggetto di discussioni sulla proposta ed anche
di essere controllata dalla Corte costituzionale. Ciò lascia
alle persone che l’hanno presentata la possibilità e il diritto
di modificare la loro proposta alla luce del dibattito parlamentare. Inoltre, un controllo costituzionale per tempo ovvia alla sconfitta legale scoraggiante della proposta, dopo che
l’intera procedura referendaria è ultimata. L’annullamento
di una proposta approvata dal popolo è cosa cattiva per la
democrazia: il popolo deve non solo aver l’ultima parola,
ma anche vedere che questa sua parola è l’ultima. L’annullamento, spesso in base a ragioni formali, genera frustrazione
e di frequente, l’impressione giustificata che un’élite potente
tutto stia attribuendosi l’ultima parola.
Alcune caratteristiche della democrazia diretta
californiana
Il referendum d’iniziativa cittadina (« Initiative ») differisce
da quello svizzero su qualche aspetto. Le regole non sono
cambiate, per dire il vero, dal 1912.
•La gente che lancia l’iniziativa può essere aiutata da certuni
servizi governativi, al principio delle operazioni. Possono
anche venir assistite dal Consiglio legislativo che redige
la proposta in forma legale appropriata. L’argomento, così
preparato, viene presentato a un gran giudice, l’attorney generale che compone il titolo ufficiale ed il riassunto della
proposizione. Questi elementi due sono importanti, dato
che vanno pubblicati sull’opuscolo informativo ufficiale per
la votazione. Inoltre, in cooperazione col Ministero delle finanze, tra le altre amministrazioni, un’analisi viene realizzata sulle conseguenze fiscali della nuova proposta. Il tutto
si compie in un mese e mezzo. La proposta può circolare in
vista della raccolta delle firme.
•Il fascicolo elettorale informativo: tre o quattro settimane prima della votazione – come accade in Svizzera – gli elettori
ricevono un opuscolo contenente il materiale informativo
essenziale sul referendum. Tale opuscolo contiene, oltre il
titolo ufficiale, riassunti e analisi menzionati in precedenza:
•Ogni questione dal relativa al potere statale può fare un
tema d’iniziativa cittadina, e dunque quelle includenti il
bilancio, le imposte, l’immigrazione, ecc.. C’è solo un’esigenza formale: l’unità tematica – non si possono avere due
temi senza relazione in un’iniziativa sola.
– il testo integrale dell’iniziativa;
– gli argomenti ai pro e i contro da parte dei sostenitori e
opponenti, i quali vanno formulati quattro mesi prima
della votazione. Sostenitori e oppositori hanno il diritto
d’usare 500 parole; due settimane dopo, ambedue le parti possono proporre un testo aggiuntivo di 250 parole in
risposta al testo avverso;
– un riassunto conciso degli argomenti avanzati da entrambe le parti.
•L’iniziativa costituzionale ed il provvedimento legislativo
sono anche possibili. La soglia delle firme per la prima è fissata al 8% dei partecipanti all’ultima votazione per eleggere
il governatore dello Stato; per il secondo, basta il 5% della
stessa votazione. La raccolta delle firme si deve effettuare
entro 150 giorni al massimo. L’iniziativa cittadina approvata non può venir modificata successivamente dalla Camera
dei Rappresentanti; essa può tuttavia esserlo esclusivamente adoperando il referendum. Le iniziative approvate concernenti disegni di legge, però, possono esser emendate
dalla Camera dei Rappresentanti.
Le sorti dei referendum californiani sono diverse. Tra l’anno
1912 e gli anni ‘30, gli elettori dovettero esprimersi in media
su più di quattro referendum all’anno. Negli anni ‘50, ‘60 e
‘70, si ricorse raramente all’iniziativa cittadina. La gente aveva allora gran fiducia nel suo sistema rappresentativo. Negli
anni ‘60, 9 iniziative furono lanciate. Tuttavia, in seguito,
56
l’iniziativa cittadina guadagnò popolarità, quando iniziative
tanto progressiste quanto conservatrici abbero entrambe
contemporaneamente probabilità notevoli di successo. Quelle « conservatrici » includevano l’introduzione della pena di
morte, mediante il referendum nel 1974. Lo stesso anno, il
movimento ecologista segnò un successo enorme con una
legge sulla protezione costiera approvata dal referendum.
Anche la minaccia dell’iniziativa cittadina bastava in sé per
costringere a certi cambiamenti importanti, quale la moratoria sulle centrali nucleari che venne approvata nel 1976.
Il varco aperto dalla Proposta 13 ebbe due conseguenze. Altre
ribellioni fiscali si levarono anche in altri Stati dove esistevano simili forme d’iniziativa cittadina. Una volta di più, il
successo della Proposta 13 rese l’opinione pubblica conscia
delle possibilità offerte dal referendum. « Verso gli anni ‘80,
l’iniziativa cittadina cominciò a sostituire la rappresentazione quale grado principale di risoluzione dei dibattiti politici.
Fuori del sistema rappresentativo, gli attivisti di destra così
come di sinistra vennero ispirati dall’esempio della Proposta
13. Per buone e cattive ragioni, molti sognavano perfino di diventare il prossimo Howard Jarvis. Le organizzazioni cominciarono a acquisire risorse e competenze necessarie per presentare i loro obiettivi agli elettori. Durante gli anni ‘80, gli
sforzi per ottenere iniziative cittadine raddoppiarono e alla
fine di questo decennio, 48 misure erano già decise mediante la votazione. In più, aumentò anche la fortuna di veder il
successo dell’iniziativa. Prima del 1980, gli elettori californiani approvavano solo un terzo delle proposte a loro presentate. Dal 1980 al 1990, essi ne accettavano circa la metà
(Schultz, 1996, p.3). Negli anni ‘90, l’interesse continuò a
crescere. Nel novembre 1996, gli elettori dovettero decidere
più misure che durante l’intero periodo dal 1960 al 1969.
Nel 1977-78 la famosa iniziativa « Proposta 13 » venne redatta; essa richiedeva una pausa nell’incremento delle imposte
sugli immobili. Gli anni precendenti, si era assistito a una
forte inflazione mente i prezzi degli immobili sorpassavano
la svalutazione del dollaro. Le famiglie delle classi medie ne
risultarono confrontate con un doppio boom fiscale. Le tasse locali, che erano legate al valore delle loro case, salirono
alle stelle. In oltre, l’inflazione causò un aumento dei redditi facendoli passare nelle fasce d’imposta superiori, senza
compenso reale sul loro potere d’acquisto. Quest’andamento concesse allo Stato californiano di dotarsi con un reddito
supplementare ammontante a 2,5 milioni di dollari nel 1976.
L’anno dopo, un consenso si stabilì in seno al Parlamento californiano per utilizzare tale reddito eccezionale per sollevare
il fardello dei piccoli proprietari. Però i politici non riuscivano a trovarsi d’accordo su un piano preciso d’applicazione. I
Democratici Liberali argomentavano a favore di uno schema
agevolante i bassi redditi, mentre i Repubblicani, come Reagan, proponevano misure vantaggiose per gli alti redditi.
La proposta 13 viene sovente citata dagli oppositori del referendum per illustrare l’atteggiamento irresponsabile della votazione popolare. Infatti, fu piuttosto la passività irresponsabile del Parlamento a causare la rivolta fiscale degli elettori.
Si formulò anche un altra critica contro della procedura di
richiamo, la quale comportò la sostituzione del governatore
Gray Davis con l’attore Arnold Schwarzenegger. I mass media crearono l’immagine falsa di un richiamo troppo facile da
ottenere per il fatto che l’uomo politico in carica non avesse
allora la minima probabilità di poter sbrogliarsela. Ci sarebbero altre critiche basate sul fatto che il governatore in carica potesse agevolmente essere rigettato alla maggioranza semplice
dei votanti, mentre il proprio successore potesse esser eletto
con meno voti. Inoltre, si pretendeva che la campagna del richiamo fosse una « campagna popolare » solo in apparenza :
nei fatti, il « big business » stava veramente dietro di essa. Inoltre, la circostanza che un « politico serio » venisse sostituto da
« soltanto un attore » rivelava precisamente e per l’appunto
questo tipo d’abuso al cui conduceva la democrazia diretta.
Niente accadde durante tutta la primavera, ma in luglio, due
attivisti conservatori e contrari alle imposte, Howard Jarvis e
Paul Gann, annunciarono il lancio di un’iniziativa cittadina.
La loro proposta rifiutava gli aumenti d’imposte incontrollati che facevano disperare i piccoli proprietari. Ma la Proposta
13 aveva un’altra caratteristica: non faceva nessuna distinzione tra case e imprese, riunendo nella stessa categoria tutti
i beni immobili. Ciò implicava che la proposta fornisse alla
comunità degli affari un beneficio colossale che quest’ultima non avrebbe mai osato chiedere.. Questa particolarità
non colpì l’attenzione nell’autunno 1977, allorché ferveva la
campagna di raccolta delle firme per la Proposta 13 e che nel
mondo politico, non c’era verso di trovare una soluzione:
nessuno non sapeva dove sbattere la testa. In dicembre, Jarvis e Gann presentarono le firme raccolte in vista dell’iniziativa: due volte più del numero richiesto. Nell’inverno, dopo
due anni di discussione, il Parlamento non aveva raggiunto
un consenso sul che da fare. Nel gennaio 1978, i membri
del Parlamento si ritrovarono sotto la terribile pressione di
doverne venire a capo. Nel frattempo, la Proposta 13 aveva
radunato un sostegno tremendo. Finalmente, soltanto nel
marzo 1978, il Parlamento presentò l’alternativa sua alla crisi, che andava presentata agli elettori in forma di « Proposta
8 » nel mese di giugno seguente, in opposizione alla « Proposta 13 » di Jarvis e Gann. Malgrado – ovvero forse a causa
del sostegno massiccio che tutti i politici diedero alla proposta 8 – i cittadini, stimolati da questa campagna, scelsero la
Proposta 13 con una maggioranza soverchiante. A proposito
di questo, Shultz scrisse nel 1977: « Venti anni dopo questo
fatto, è importante rendersi conto a quale punto la ribellione
contro le imposte era cresciuta in California. Si trattava di
gente che viveva in piccole case, comprate negli anni cinquanta per circa 15 000 dollari ; fu subito confrontata con
imposte fondate su quattro volte tale valore. Si aggrappò alla
Proposta 13 per proteggere se stessa, e, per venti anni, se la
trattenne irremovibilmente.
Ora, questo era principalmente falso. Prima di tutto non è
affatto agevole avviare una procedura di richiamo : al meno
900 000 firme sono necessarie per une elettorato di 15 milioni di persone nel 2003. Inoltre non è cosa tanto frequente;
infatti, una sola volta prima questa aveva costretto un governatore a rassegnare le dimissioni : era nel 1920 negli USA ;
al livello locale, il ricorso al richiamo è più raro ancora (36
Stati dispongono però di tale procedura), ma nella stragrande maggioranza dei casi, politici sopravvivono bene al richiamo : I Councillors [consiglieri, ndt] sopravvivono nel 70,8%
dei casi, e Mayors [sindaci, ndt] nell’ 82,4% dei casi.
La ragione, per la quale un gruppo di cittadini si misero a
raccogliere dunque 900 000 firme, è che Davis – che era
stato eletto governatore in precedenza con un margine assai
ristretto – aveva già smarrito un’autorità considerevole per
le sue insoddisfacenti risposte alla seria crisi energetica che
durava da lungo tempo ; apparse inoltre che lui avesse in seguito lasciato un enorme debito nel bilancio. Per la sua campagna di rielezione, Davis dipinse una situazione finanziaria
idilliaca dello Stato, aggredì ogni persona che menzionasse
il disavanzo di bilancio, ed escluse categoricamente ogni aumento delle imposte. Poco prima della sua elezione, Davis
57
•La spesa pubblica globale dello Stato e delle Assemblee decresce ;
•Le spese vengono trasferite al livello più locale ;
•C’è uno spostamento delle imposte generali verso il pagamento di equipaggiamenti pubblici specifici.
dovette eppure ammettere un disavanzo di bilancio record di
32 miliardi di dollari (più della somma cumulata dei disavanzi di tutti gli altri Stati americani, mentre due anni fa, c’era
un’eccedenza di bilancio); lui decise inoltre un incremento
delle imposte di 8 miliardi di dollari. Inoltre, divenne palese
che Davis fosse stato appoggiato dal « Big Business »: per la
procedura di richiamo, i due più importanti portavoce degli
affari californiani – la Californian Business Roundtable e la Los
Angeles Chamber of Commerce – sostennero Davis.
Ciò significa che la gente, se ha l’opportunità di farlo così,
esibisce una tendenza a « sgrassare » lo Stato, in particolare
all’occorrenza, lo Stato centrale – è anche incline a lasciare il
popolo pagare per il proprio consumo. Negli Stati Uniti, il governo spende circa il 36% del PIL ; pressappoco la metà viene
spesa dai Parlamenti locali e gli Stati. Se il referendum d’iniziativa cittadina è disponibile in uno Stato singolo, ciò porta
a una diminuzione media delle imposte, per una famiglia di
quattro persone, di 534 dollari e una riduzione di 589 dollari
nella spesa pubblica dello Stato considerato. Una differenza
significativa, in condizioni assolute, ma non drammatica.
Il fatto che un attore sostituisse Davis non aveva a che fare
con la democrazia diretta. Al livello federale, gli USA non
hanno nessuna forma di democrazia diretta – al giorno d’oggi gli Stati Uniti sono uno dei rari paesi del mondo a non
avere mai indetto un referendum – e l’attore Ronald Reagan
stesso fu in grado di divenirne il Presidente.
Non è certo cosa buona tuttavia che, mediante la procedura
di richiamo, fosse possibile costringere alle dimissioni un governatore in carica, che avrebbe raccolto il 40% dei voti, mentre il suo successore potrebbe essere eletto soltanto col 30%
dei voti. Ma bisogna vedere che gli elettori devono scegliere
il successore attraverso un solo scrutinio da un elenco con
almeno due candidati. Succede dunque raramente che il candidato che ha più dei voti ottenga ugualmente la maggioranza
assoluta. Ma ciò non è del tutto un elemento inerente alla procedura stessa del richiamo. Questo problema sarebbe potuto
essere facilmente modificato con più scrutini, nei quali, in
ultimo ricorso, i due candidati che dispongono del maggior
numero di voti si ritrovassero in competizione ultima – esattamente il caso delle elezioni presidenziali francesi. La gente
che ha votato in precedenza per candidati in terza o quarta
posizione, deve finalmente scegliere tra i due candidati più
popolari in un ultimo scrutinio. Ci sarà dunque sempre una
maggioranza assoluta per uno di ambedue (Nijeboer, 2003).
Matsusaka scoprì una altro fatto notevole. Le disposizioni
nel referendum d’iniziativa cittadina non sono le stesse in
Stati diversi. La variabile principale è la soglia delle firme da
raggiungere e questa può variare dal 2 al 10% degli elettori
iscritti. L’impatto del referendum d’iniziativa cittadina aumenta sistematicamente con la diminuzione delle soglie imposte. Negli Stati con soglie più basse, l’impatto referendario
sui redditi e spese pubblici si colloca dentro una scala che
raggiunge il 7%, mentre rimane irrilevante negli Stati che
impongono una soglia elevata (pp. 33-35). Tanto più è facile lanciare un referendum d’iniziativa cittadina, quanto più
l’aliquota d’imposta è bassa.
La tendenza a ridurre le imposte non prende effetto nello
stesso modo a tutti i livelli dell’amministrazione pubblica. La
riduzione del complesso delle imposte è il risultato di una forte inclinazione a diminuire la spesa al livello dello Stato, all’incirca del 12%, combinatasi con una tendenza, meno marcata
questa, di aumentare la spesa al livello locale, ossia quello dei
consigli e delle città. Tale tendenza decentratrice pare statisticamente stabile. Ma ciò non vuole dire che le imposte aumentino al livello locale. La più ampia spesa delle città (nella
misura in cui c’è correlazione con le disposizioni referendarie
esistenti) viene realizzata per le cariche del servizio pubblico :
« Al livello dello Stato, l’iniziativa apporta una riduzione d’imposte dell’incirca 5% e nessuno cambiamento per le cariche.
Al livello della città, l’iniziativa porta al 14% di cariche in più e
nessuno cambiamento per le imposte.» (p.52).
La presa decisionale democratica e diretta ha già beneficiato
di più fiducia tra gli elettori di quella indiretta da parecchi
decenni. Elezioni più recenti confermano tale tendenza. La
metà delle persone consultate ha fiducia nel popolo quale
legislatore diretto. Invece, il 78,8% della gente interrogata
considera che il Parlamento sia manipolato da un pugno di
rappresentanti di « interessoni », mentre il 15% crede che il
Parlamento tenga a mente, in genere, il bene pubblico.
L’effetto della democrazia diretta e dell’iniziativa
cittadina sulle tasse e spese pubbliche
Per finire, c’è ancora una caratteristica notevole. I dati citati
sopra concernono il periodo dal 1970 al 2000. Il più degli
Stati introdussero il referendum all’inizio del Novecento e
le condizioni in cui questi sono stati attuati dopo, sono state
assai poco modificate. All’inizio del Novecento la spesa pubblica si ammontò al 6% del PIL (Prodotto Interno Lordo),
mentre cento anni dopo questo tasso sta avvicinando il 40%.
Matsusaka esaminò anche l’effetto del referendum durante
il periodo del 1902-1942, da cui risultò che il referendum inducesse a un aumento della spesa pubblica. Matsusaka si accorse anche che la spesa pubblica in questo periodo aumentò
meno rapidamente via via che diminuiva la soglia delle firme
per indire un referendum.
Con riferimento alla California, si lamenta sovente che la
democrazia diretta vi abbia condotto a problemi di bilancio,
dato che la gente riduce sistematicamente le imposte mediante la democrazia diretta fin al punto che lo Stato non
possa più agire come dovrebbe. La Proposta 13 viene spesso menzionata a titolo esemplare (si vede l’opera di Daniel
Smith : « Tax Crusaders »).
Seguendo questa critica, lo in studioso di scienze politiche
americane, Matsusaka, nel suo studio « For many or the few »
(2004) indaga di un modo sistematico sull’effetto dei referendum sulle imposte e spese pubbliche negli Stati Uniti.
Raccolse una quantità enorme di dati da tutti gli Stati americani e di circa 4 700 città americane per i cento ultimi anni
– « per l’essenziale, tutti i dati correntemente accessibili »
(paginaXIa). Scoprì tre effetti :
Pertanto, non si può affermare senza riserve che il referendum conduca sempre a riduzione delle imposte. La sola cosa
che si può dire è che il referendum d’iniziativa cittadina
garantisca una messa in opera migliore della volontà maggioritaria. Come pare, il 6% della spesa pubblica nel 1900,
era troppo debole agli occhi della maggiore parte della gente
58
(Matsusaka mise questo in rapporto con la rapida crescita
urbana di quest’epoca che trascinò domande per tutti i tipi
d’infrastrutture collettive), mentre quella del 40% attuale
viene chiaramente considerata quale spesa troppo elevata e
centralizzata.
milioni di dollari spesi. Dalla fine degli anni ‘80, più denaro
venne investito in California nelle iniziative cittadine di quello investito dal lobbying in seno al Parlamento. La comunità
degli affari fornì all’incirca il 66% del denaro nel 1990 (individui : 12% ; partiti politici : 7% ; sindacati : 1%) (Schultz,
1996, p.81).
Matsusaka dedicò un intero capitolo alla questione di sapere
se gli spostamenti tre che ebbero luogo sotto l’influenza del
referendum d’iniziativa cittadina riflettessero anche la volontà popolare. A questo fine, consultò i risultati di un gran numero di sondaggi d’opinione che vennero realizzati durante
quei tre decenni ultimi. Non ci vogliono milioni di dollari
per i sondaggi d’opinione – un paio di migliaia bastano per
realizzare un sondaggio d’opinione rappresentativo negli
USA – e nessuna campagna che costi milioni di dollari viene
mai condotta. Quindi, non c’è distorsione che provenga dal
finanziamento unilaterale. Dai sondaggi d’opinione, diviene
palese che il più degli Americani sono in realtà sostenitori del minimo governo (quello che corrisponde alla tendenza
di riduzione dell’insieme delle imposte) ; essi appoggiano il
decentramento (spostamento dell’autorità di spesa verso il
governo locale); essi considerano in genere le imposte quale
fonte pubblica di redditi meno attraente. E perfino per battere sullo stesso chiodo : « Per ogni politica, io sono capace
d’esaminare, l’iniziativa spinge la politica nell’orientamento
che la maggioranza della gente augura prendere. Sono io incapace trovare una prova che la maggioranza provi antipatia
per i cambiamenti politici causati dall’iniziativa ». (Matsusaka, 2004, pagine XI-XII ; sottolineato da lui).
Dalla prima fase della loro storia le iniziative cittadine vennero professionalizzate. Al tempo della prima Guerra mondiale, Joseph Robinson aveva già creato una società d’affari
cha raccoglieva le firme contro la retribuzione. Attualmente
tali società propongono all’incirca di un milione di dollari per
assicurare la colletta di firme per l’iniziativa cittadina californiana. Nel 1930, venne fondata la prima società che concepì
veramente le campagne stesse (Whitaker & Baxter’s Campaigns Inc.). Nel frattempo, parecchie dozzine di « consulenti »
professionisti sono attivi nello Stato e soprintendono ad entrambe le campagne dei politici e delle iniziative popolari.
Tali consulenti si focalizzano di solito su segmento unico del
« mercato politico ».
Insomma, ciò conduce a un argomento spesso invocato : le
potenze finanziarie e gruppi d’interessi abuserebbero del referendum d’obbligo o d’iniziativa cittadina per fare prevalere
la propria agenda, col pregiudizio che « l’interesse generale »
venga sempre considerato come servito dal sistema rappresentativo popolare. Tale argomento non è di solito pensato a
fondo di un modo coerente. Abbiamo già menzionato sopra
la prova fondamentale di Matsusaka, secondo cui la proposta referendaria, che viene sottomessa in alternativa alle intenzioni del « sistema rappresentativo », aumenta anche le
opzioni per gli elettori e offre loro dunque più spazio per
prendere decisioni più appropriate alle loro preferenze. Matsusaka ha paragonato questo a una famiglia in cui il padre (=
« il sistema rappresentativo») propone « unilateralmente »
quale sorta di pizza si debba mangiare. Quando la madre (=
« interessi particolari ») può anche suggerire un’altra pizza,
dopodiché ciascuno (dunque i bambini (= « gli elettori »))
può votare la proposta, il tutto per non rendere peggiore la
situazione dei bambini. L’opzione del padre rimane sempre disponibile, ma se quella della madre è migliore, si può
darle la preferenza nella votazione. « Così possiamo vedere
che permettendo a ciascuno nella famiglia di fare proposte,
questo funziona in genere a vantaggio della maggioranza.
La conclusione vale perfino anche se il diritto di fare proposte venga riservato ad alcuni membri della famiglia. (…)
A patto che le proposte sopravvivano al filtro dell’elezione
maggioritaria, il solo mezzo di cui dispone un’iniziativa per
rendere peggiore la situazione per la maggioranza, è di poter
convincere gli elettori ad approvare politiche contrarie ai loro
interessi. » (Matsusaka, 2004, p.12).
La conclusione di Matsusaka è chiara : « Alcuni osservatori
premurosi (…) hanno argomentato che l’iniziativa permetta
a gruppi singoli di generare politiche contrarie all’interesse
pubblico. La loro argomentazione si fonda sull’osservazione
che l’iniziativa costi molto nel suo impiego e sembri essere retta da individui e gruppi ricchi. L’evidenza mostra qui,
però, quand’anche gli interessi fortunati siano giocatori prominenti nell’iniziativa politica, i loro sforzi, in fine dei conti, ricadono sempre a beneficio della maggioranza. Non c’è
mistero sul modo in cui ciò si verifica. Senza l’iniziativa, gli
elettori vengono costretti ad accettare le scelte politiche della legislatura. Con l’iniziativa, gli elettori hanno possibilità
di scelta. Nel caso che l’alternativa dell’iniziativa sia meno
buona della politica della legislatura, la prima può sempre
venir rigettata e non c’è nulla di male ! Nel caso contrario, gli
elettori possono accettare l’iniziativa e se ne sentono meglio.
In breve, anche se c’è un accesso impari, quando si viene al
proporre iniziative, la capacità degli elettori di respingerne le
cattive e conservarne le buone, consente al processo di funzionare a vantaggio della maggioranza (…) Voglio insistere
sul fatto che la prova sia di valore neutro : non ci dice se il
processo dell’iniziativa sia la forma buona o cattiva di governo. La prova insegna semplicemente che l’iniziativa favorisce
la volontà della maggioranza » (p. 74).
Nello studio suo « Il paradosso populista » (1999), la studiosa
di scienze politiche, Elizabeth Gerber, esaminò sistematicamente fin a quale punto gli « interessi speciali » potessero
fare prevalere il programma loro giovandosi di molto denaro.
Ha analizzato il margine lordo d’autofinanziamento di 168
iniziative cittadine negli 8 Stati americani. In opposizione
agli argomenti della critica, potenti interessi commerciali
sembrano aver poco successo nell’ottenere l’approvazione di
una legge che vogliono imporre mediante il referendum popolare. Le iniziative aventi ricevuto appoggi finanziari principalmente da parte di cittadini individuali, furono quasi due
volte più sovente adottate di quelle aventi ricevuto il sostegno
principale di gruppi d’interessi (Per dire il vero, il numero di
iniziative interamente appoggiate da gruppi d’interessi economici particolari o da cittadini individuali è assai scarso). La
Il ruolo degli interessi particolari
Ciò che abbiamo appena detto sopra si connette al tema degli
« interessi speciali ». Molto denaro venne impegnato dall’inizio nella democrazia diretta in California. Già nelle elezioni
del 1922, la quantità totale investita sorpassava il milione
di dollari. Durante gli anni ‘70, ‘80 e ‘90, l’ammontare del
denaro speso nelle campagne elettorali sorpassava spesso di
parecchie volte questa cifra. Nel 1992, si valuta che i comitati di campagna in 21 Stati spesero 117 milioni di dollari e
nel 1998, tale cifra culminò già a 400 in 44 Stati. Su questi
400 milioni, la California assume la parte del leone con 256
59
stragrande maggioranza delle elezioni popolari si riferiscono
a iniziative cittadine (pp. 111-112). Gerber conclude : « La prova empirica fornisce una base supplementare per rigettare
l’affermazione che i gruppi d’interessi economici comprino
risultati politici attraverso il processo legislativo (in democrazia diretta, intendiamoci bene !, ndt) »(p.138).
Non è per colpa degli elettori. Ci furono diversi tentativi per
mettere in difficoltà l’effetto del denaro sull’andamento del
dibattito. Nel 1974, i Californiani approvarono un’iniziativa
cittadina (Proposta 9) che restringeva la spesa delle campagne referendarie. Due anni dopo, tale decisione venne però
annullata dalla Corte suprema mediante l’argomentare che
investire denaro in campagne elettorali rientrasse nel campo
della libertà di parola, garantita dal primo articolo della Costituzione degli Stati Uniti. Attualmente, è quindi impossibile
imporre un limitazione del costo di campagna per la presa
decisionale in democrazia diretta negli Satti Uniti, a meno di
emendare la Costituzione o d’interpretarla diversamente.
Gerber dimostra al contrario i che gruppi d’interessi economici riescono meglio però puntando al fallimento delle iniziative cittadine e incoraggiando il lancio di contro-iniziative.
Quando un’iniziativa pare assai popolare, questo non sembra
di bastare per rovesciare l’andamento degli eventi. Oppositori fortunati tentano di seminare confusione lanciando proposte alternative che assomigliano molto quella originaria, se
esse vengono prese in conto superficialmente. Ciò successe
par la prima volta nel 1978, con la proposta 13 anti-imposte
di cui abbiamo già parlato. Parecchi politici lanciarono una
contro-iniziativa « moderata » all’ultimo momento, la quale
tuttavia fallì.
La Corte suprema ammetteva la limitazione finanziaria per
candidati alla rappresentanza, siccome vengono esposti al rischio di corruzione, ma questo rischio non può intervenire
nel voto popolare su una questione pubblica, dato che sono
gli elettori stessi a decidere. Il 18 dicembre 1996, gli oppositori del « big money » riportarono una vittoria sorprendente con l’approvazione della proposta 208 : il 60,8% votò in
favore dell’introdurre un massimo di spesa per le elezioni
di rappresentanti. Fino a questa data, non ci era massimo
legale di spesa in California. Quanti presero tal iniziativa citarono l’esempio di un candidato alle elezioni parlamentari
californiane che, avendo ricevuto 125 000 dollari di più, da
una compagnia di tabacchi nella settimana precedente la votazione, vinse finalmente con un margine stretto di 597 voti.
L’opuscolo elettorale informativo della proposta 208 stipulò :
« Quando vincono gli interessi particolari « Big money », perde il popolo ! ». Ciononostante, la proposta 208 venne ugualmente contestata dinanzi alla Corte. Durante la procedura
un altro gruppo lanciò la proposta 34, che voleva annullare
la proposta 208 e imporre limitazioni meno rigorose alle donazioni per la campagna. Questa venne approvata da più del
60% degli elettori nel novembre 2000.
Un anno chiave fu il 1990, allorché parecchie iniziative progressiste « giovani lupe » vennero lanciate. Ci era la « Nickel
per drink » iniziativa proponente un tassa più elevata sugli
alcolici (proposta 134) ; ci era la « Big Green » iniziativa ambientale maggiore redatta da gruppi ecologisti in cooperazione con Democratici ; e ci fu la proposta « Forest Forever » (proposta 130) che mirava principalmente alla protezione delle
foreste californiane.
Un’indiscrezione sfuggita da un memorandum confidenziale
rivelò alla consapevolezza dell’industria chimica e petrolchimica, di un modo particolare, che l’iniziativa « Big Green »
non potesse venir ostacolata par causa della popolarità sua.
Pertanto, venne lanciata un contro-iniziativa : la « Big Brown »
(proposta 135). L’industria della legna, da parte sua, neutralizzò « Forest forever » dalla « Big Stump » (proposta 138). Per
neutralizzare la « Nickel per drink », l’industria degli alcolici
lanciò quanto ad essa due iniziative proprie: “Penny a drink”
(proposta 126), che proponeva una tassa inferiore sugli alcolici
e un’altra che non voleva più che ci fossero tasse sugli alcolici,
compresi gli aumenti di tasse, ma esigette in cambio la maggioranza dei due terzi invece della maggioranza semplice.
Tutte queste contro-iniziative erano destinate a gettare lo
scompiglio. Gli elettori vennero finalmente messi a confronto con un elenco-zibaldone di 27 iniziative e contro-iniziative
complesse, i quali gli fecero convergere nel « Big NO » : 23
delle 27 proposte vennero quindi rifiutate, comprese proposte originariamente progressiste, che avrebbero potuto effettivamente contare su molta simpatia da parte del pubblico.
Questo è l’esempio tipico di un fenomeno ordinario : gli elettori sono sempre prudenti e, in caso di dubbio, rigettano la
proposta. « Gli elettori, essendo desolati, alzano meramente
le braccia al cielo e votano « NO » contro tutto. » (Shultz,
1996, p.84).
La pubblicazione ufficiale delle origini dei fondi era anche
nel mirino. Nel 1988, gli elettori californiani accettarono la
proposta 105 cje stabilisce che i finanziamenti più importanti
andavano svelati pubblicamente in una campagna elettorale.
Questa disposizione rimase vigente mentre per parecchi anni
e fu estremamente efficace. Par darne un esempio : nella pubblicità contro l’iniziativa « Nickel per drink » dicevano sempre :
« … finanziata dal « Beer Institute, Wine Institute and Distilled
Spirits Council ». L’industria non riuscì mai a paralizzare la
proposta 105. Sembra che finanziamenti industriali si nascondano dietro nomi senza senso o ingannevoli ; ad esempio,
l’industria dei tabacchi condusse una campagna che le costò
18 milioni di dollari nel 1994, col titolo : « Californians for the
Statwide Smoking Restriction’s (CASSR) [Californiani in favore
della,limitazione del fumo da un capo all’altro dello Stato] » (si
veda sotto). Nel 1997, però, il Senato californiano faceva approvare una legge (SB 49) obbligante alla pubblicazione sul
sito Internet delle autorità californiane di ogni spesa di superiore ai 100 000 dollari per un’iniziativa cittadina.
Queste vicissitudini ci insegnano un fatto importante : se
l’economia può invadere la vita democratica, la democrazia
traballa. Mentre sta avanzando la presa decisionale democratica, i cittadini devono decidere dei limiti legali entro cui può
operare l’economia. Questi devono essere tanto inflessibili
quanto lo sono confini geografici o geologici, ad esempio :
devono proteggere la dignità del popolo e prevenire ogni
tentativo di corromperlo. Il dibattito, ovvero il processo della
formazione dell’immagine, è il vero dramma centrale della
democrazia e dovrebbe quindi recitarsi in foro aperto e non
andrebbe comprato.
Un esempio dell’efficacia della pubblicità obiettiva si diede
nel 1988, allorché l’industria dei tabacchi propose un’iniziativa che mirava a togliere delle restrizioni al fumo, molto
estese in California. Tuttavia, i baroni del tabacco presentarono la propria iniziativa quale proposta CASSR (si veda sopra)
sedicente per limitare il tabagismo e proveniente da un’organizzazione fittizia. Quando fu chiaro per tutti che essi prendevano in giro il pubblico, la Californian Wellness Foundation
e il Public Media Center diffusero un’informazione schietta
comprendente solo riferimenti dell’informazione elettorale e
lista degli sponsors più importanti ai pro e contro la proposta.
60
L’opuscolo elettorale dichiarava : « Le misure proposte condurrebbero a meno restrizioni per i fumatori di quelle esistenti nella legislazione odierna. » Importanti finanzieri che
vennero così individuati includevano : Philippe Morris USA,
Reynolds Tobacco Co ; e alcuni altri fabbricanti di tabacco. I
finanzieri più importanti della resistenza contro la proposta
188, individuati dall’informazione pubblica furono : l’American Cancer Society, l’American Lung Association, l’American
Heart Association, e l’American Medical Association. La pubblicazione di questi fatti, in un manifesto di una pagina, assai
bene presentato al piano grafico, permise agli elettori californiani di rendersi conto immediatamente di ciò che stava
accadendo e la proposta 188 venne rifiutata attraverso una
disfatta umiliante del 70% e del 30%. Tal esempio dimostra
che il pericolo serio di fallimento possa venire specificamente
dagli interessi commerciali. Pubblicare i nomi dei finanzieri
nell’opuscolo elettorale, e diffondere il documento stesso in
un formato chiaro e leggibile mediante annunci od inserti
pubblicitari sui giornali fu quindi un rimedio efficace.
mangono redatti in tre lingue, spagnolo e cinese e inglese.
Nel 1987, il partito democratico tentò di combattere giuridicamente tale iniziativa approvata, ma gli oppositori avendo
suonato l’allarme sul suo esito, questo partito si tirò indietro
temendo di perdere voti. La proposta 227 in questione fu anche battezzata « solo inglese » e venne approvata dal 60%
degli elettori nel 1998. Fondamentalmente queste proposte
stipularono che la « bilingual education » in numerose scuole
andava determinata : gli scolari che non parlavano l’inglese (ma parlavano di solito lo spagnolo), andavano sottoposti
nella scuola a una « english immersion ». Nei distretti scolastici dove questa misura poteva contare su un ampio appoggio, essa viene applicata. Invece, in altri luoghi tal iniziativa
ebbe nessuno influsso. In San Francisco, ad esempio, solo
il 38,5% degli elettori votò per la proposta e il responsabile
della rete locale delle public schools dichiarò freddamente che
la proposta non venne mai applicata. Questo malgrado il fatto che l’iniziativa fosse stata approvata al livello dello Stato e
che il principio dell’uguaglianza richiedeva che la proposta
venisse regolarmente messa in opera nello Stato intero. Di
fatto, la sorte della proposta 227 rivela che il legislatore non
dovrebbe immischiarsi nelle faccende educative interne. Se
lo Stato lascia la scelta alle scuole, queste possono scegliere
ciò che sembra loro più vantaggioso e lo Stato non deve più
imporre un sistema uniforme.
Fin al 1992, le iniziative cittadine potevano ancora contare
sulla « dottrina d’equità », che era stata adottata nel 1949,
dalla Federal Communications Commission (FCC). Secondo
questa dottrina, radio e televisioni dovevano fornire a tutti i rappresentanti dei diversi punti di vista, l’opportunità di
esprimerli pubblicamente. Tale dottrina fu contestata durante
lunghi anni dai proprietari delle stazioni di radio e televisioni
e nel 1992, la FCC si lasciò convincere : la dottrina d’equità non fu più legalmente applicata alle iniziative cittadine. Il
« documento elettorale » che riceve ciascuno elettore prima
della votazione, rimane adesso la sola fonte affidabile d’informazione schietta. Si pone la domanda di sapere se ciò basti.
Nel 1990, gli elettori approvarono la proposta 140. Questa introduceva da una parte, limitazioni del mandato parlamentare e, dall’altra, una riduzione all’ 80% del livello previsto di
redditi finanziari per i membri del Parlamento. L’obiettivo
dell’iniziativa era quello di combattere la creazione di una
classe di politici professionisti a vita. La limitazione del mandato riduceva tanto la durata della rappresentanza legislativa
stessa quanto quella del posto esecutivo ufficiale. Poi la proposta 140 imponeva un mandato massimo da sei a otto anni.
Naturalmente, non si doveva aspettarsi di veder tale proposta
approvata dai membri stessi del Parlamento. In effetti, fu
però impossibile fare fallire le limitazioni di mandato una
volta che erano state approvate. I politici californiani avevano esaurito tutti i rimedi possibili senza riuscirvi. L’ultimo
giudizio venne pronunciato infine nel 1997. Nel frattempo,
in virtù della proposta approvata, membri del Parlamento e
quelli che occupavano i posti più elevati del potere, erano
già interamente stati sostituiti. Il potere stabilito ebbe più
successo con i tentativi di rovesciare le restrizioni finanziarie
introdotte dalla proposta 140. Tramite la Corte, riuscirono a
cancellare la riduzione di retribuzione eccessiva per i politici in vista, come essa era stata approvata dal popolo. Altre
limitazioni della proposta 140 rimasero non toccate dalla
Corte, ma la classe politica giunse ad aggirare di soppiatto
la legge,operando cambiamenti d’attribuzione nel bilancio:
« Riqualificando agenzie e spostando linee di bilancio fuori
dalla spesa legislativa formale, la legislatura mandò all’aria
l’intenzione che stava dietro la proposta 140 per la limitazione di spesa. Ciò facendo, non solo si fece sì che conservassero
i loro dipendenti politici, ma impegnarono anche servizi da
agenzie il cui finanziamento venne ridotto loro » (pp.54-55).
Il promulgare delle iniziative approvate
In California (così come in Svizzera) il più delle proposte cittadine vengono rigettate dagli elettori. Solo il 34% di queste
incontra un esito favorevole.
La cosa estremamente sorprendente è che questo non implica che il 34% delle proposte accettate sia promulgato ugualmente nei fatti. Una proposta approvata da una maggioranza
di cittadini può ciononostante venire mandata a fondo parzialmente o interamente. Per riuscirvi i politici dispongono
di mezzi diversi. In primo luogo, una proposta accettata dal
referendum può venir ulteriormente contestata dalla Corte.
Ciò succede frequentemente in California e a più riprese tal
azione termina con la messa in disparte totale o parziale della sfortunata proposta approvata. In altri casi, le autorità non
promulgano puramente e semplicemente la proposta approvata. Elizabeth Gerber ed altri, nel libro « Stealing the initiative [Rubare iniziative] », studiarono il fenomeno attraverso
cui quelli che sono al potere castrano o aggirano nonostante decisioni politiche sgradite, mediante manovre diverse.
Dieci proposte, approvate dalla consultazione referendaria
californiana, vennero esaminate nella loro promulgazione e
gli autori conclusero : « É chiaro che gli attori governativi
dimostrano enorme discrezionalità sulle sorti delle iniziative
dopo che sono approvate » (p.110). Di fatto, molte decisioni
popolari sono parzialmente trasformate e in qualche caso, la
loro esecuzione è completamente diversa.
Un esempio recente (non trattato in questo libro) dell’arroganza cui politici possono dimostrare contro delle decisioni
democraticamente prese ci venne fornito in seguito dal Parlamento californiano. Esso approvò una legge che mirava a
riconoscere l’unione omosessuale in questo Stato. Un referendum ebbe luogo a proposito di questo tema (proposta 22)
nel marzo 2000 e il 61,4% degli elettori decise che ci fosse
solo matrimonio tra un uomo ed una donna. Susseguentemente, il Parlamento californiano ha appena fatto approvare
Un esempio che colpisce ci è dato dall’iniziativa « Inglese solo » (proposta 62), che intendeva proclamare l’inglese
quale sola lingua ufficiale in California e fu approvata dal
73,2% degli elettori nel 1986. Tuttavia la proposta non fu mai
applicata. I documenti elettorali ufficiali a San Francisco ri61
una legge autorizzante il matrimonio omosessuale. Però il
governatore Schwarzenegger usò il suo diritto di veto contro
questo atto parlamentare, dicendo che la volontà popolare
andasse rispettata. Lui viene subito ed ovviamente catalogato
uomo « d’estrema destra ». Tuttavia Schwarzenegger lasciò
ancora aperta la possibilità di rovinare decisioni popolari mediante il ricorso alla Corte suprema.
elettori dovevano accorrere negli uffici amministrativi locali,
per l’orario di apertura, per apporre la loro firma in sostegno
alla domanda d’iniziativa cittadina. Quest’elevata soglia venne agevolmente sorpassata: il 13,7% dei Bavaresi iscritti nelle
liste elettorali (ossia 1,2 milioni all’incirca) fecero tale sforzo!
Il risultato diventava assai notevole se si prendeva in conto la
resistenza ufficiale che regnò in molti luoghi. Ad esempio,
parecchi cittadini non furono in grado di fare registrare il loro
appoggio meramente perché gli uffici amministrativi stettero
chiusi durante l’orario legale d’apertura annunziato.
Germania: Baviera ed altro
Il primo ottobre 1975 fu un giorno importante per la democrazia europea. Questo giorno, cittadini di Baviera stavano
votando per concedersi assai più diritti di presa decisionale
diretta al livello delle città, municipi e distretti amministrativi
(Landkreisen) (Seipel et Mayer, 1997).
La reazione della stampa fu principalmente positiva, eccetto quella dei giornali che appoggiano tradizionalmente la
CSU. Il « Münchner Merkur » del 21 febbraio scrisse con
sdegno: « Rallegrarsi del fatto che l’iniziativa popolare di
« Mehr Demokratie » soddisfaccia la soglia richiesta, sarebbe
una reazione inappropriata. In linea di massima, la Baviera
ha sempre amato da lungo tempo i suoi diritti democratici.
Ogni cittadina può ritirare l’appoggio suo a un consigliere
od a un gruppo di consiglieri municipali nelle prossime elezioni, se non è d’accordo con la decisione proveniente da tal
amministrazione... ». Lo stesso giorno, il Main-Post prediceva: « Dopo il successo di « Mehr Demokratie in Bayern », la
CSU metterà in opera le sue tattiche ben note: accetteranno
le proposte dell’iniziativa cittadina, facendone perfino motti
propri, ma se la caveranno mediante una controproposta, la
quale, in pratica, non nuocerà mai al partito al potere ».
Esisteva già forma limitata di democrazia diretta nello Stato bavarese prima del 1995. I Cittadini potevano lanciare
iniziative legislative e costringere al referendum su di esse.
Però la soglia richiesta per utilizzare questo strumento era
eccezionalmente elevata. In fase iniziale, 25 000 firme dovevano essere raccolte. E solo dopo, si poteva presentare
una domanda di referendum. Se il Ministro degli Interni
(Innenministerium) formulava obiezioni contro l’iniziativa, la
Corte costituzionale doveva esprimere il suo parere. Se non
c‘erano obiezioni, un’altra tappa andava superata, che consisteva nel raccogliere le firme del 10% degli elettori iscritti
(ossia circa 900 000!); inoltre, occorreva recarsi negli uffici
dell’amministrazione par fare registrare la loro firma in favore dell’iniziativa, e per coronare l’opera tutta..., nel termine
di due settimane ! Questa seconda soglia era virtualmente
inattuabile, sicché quasi nessun referendum ebbe luogo in
Baviera al livello statale. Quello del 1995 era solo il quarto
da venir indetto dalla fine della seconda Guerra mondiale. In
oltre, la politica bavarese era inoltre, e lo è sempre odierno,
dominata da un solo ed unico partito politico, la Democrazia
Cristiana, la CSU.
Giudizio attraverso il timore
Nel 1991, la precedente iniziativa cittadina, « Das bessere Müllkonzept », che proponeva una riforma del metodo di raccolta
delle immondizie, riuscì effettivamente a varcare la soglia
del 10%, ma perse per un pelo la battaglia contro la CSU
nel susseguente referendum. Però, allorché la soglia era stata raggiunta, « Mehr Demokartie » cominciò con l’esaminare
minutamente il modo in cui questa precedente iniziativa era
stata sabotata dalla CSU.
Una delle conclusioni fu che la CSU riportò finalmente questo risultato in forza dell’appoggio del suo impianto rurale.
Nelle grandi città e quelle medie, dove la campagna dell’iniziativa era stata attiva, questa ottenne spesso la maggioranza;
ma nelle regioni rurali, non c’era stato nessun contrappeso
alla propaganda della CSU. Ma la conclusione maggiore fu
che la CSU giocasse sul timore. I discorsi preparati in questo
senso, tra i documenti d’informazione referendaria, erano
stati diffusi dalla CSU in seno ai consigli municipali (2000
in totale), in cui essa deteneva il potere. Ci si potevano trovare dichiarazioni come questa: « ... se la vostra cucina non
ha abbastanza spazio per sei bidoni, potete cominciare con
l’abbattere subito la metà delle vostre pareti... », mentre la
raccolta selettiva era dipinta, al più quale obbligo verso i municipi di sistemare aree di stoccaggio che erano descritte :
« immondezzai puzzolentissimi con fuochi covanti, effluvi
velenosi e migliaia di ratti... ».
La storia di « Mehr Democratie » (Più Democrazia) – il movimento che praticò uno sfondamento in favore della democrazia diretta in Baviera, includente il referendum del 1995
che ne aprì la via – è la storia di un doppio successo. « Mehr
Democratie » riuscì a rimuovere i grandissimi ostacoli grandissimi per ottenere un referendum in Baviera. Ma successe
anche contro l’opposizione della CSU che stava resistendo
ostinatamente all’introduzione della democrazia diretta al
livello municipale. Fu la prima sconfitta della CSU dopo 40
anni di regno sulla Baviera.
Si può raffigurare l’introduzione della democrazia diretta in
Baviera quale una sorta di marea nera traboccante dalla vicina Svizzera. Il fatto che furono possibili referendum in Baviera, quand’anche essi avessero soglie assai troppo elevate,
è molto probabilmente dovuto al Primo ministro bavarese,
Wilhelm Högner, che visse in esilio in Svizzera durante la
seconda Guerra mondiale dove apprese dunque ad apprezzare il sistema democratico vigente. Dopo tutto fu l’attore che
inscrisse il referendum nella Costituzione bavarese. Högner
stesso dichiarò nel 1950: « Il referendum è la pietra angolare
della legislazione municipale democratica e moderna » (Meyer e Seipel, 1997, p.12).
Una volta varcata la soglia del 10% dall’iniziativa, la legislazione bavarese prevedeva che il Parlamento potesse presentare
una controproposta che andasse votata assieme all’iniziativa
stessa. Bisogna dire che la CSU aveva e ha sempre la maggioranza nel Parlamento bavarese e dunque essa può perfettamente presentare una controproposta addolcente l’iniziativa
e attorno a cui la propaganda del partito verrà organizzata.
In questo modo, la CSU poté così silurare l’iniziativa sulla
raccolta selettiva delle immondizie. I Democratici Cristiani
lanciarono una controproposta seriamente addolcita, la gui-
La campagna in favore del 10% di firme
Tral 6 e il 19 febbraio, « Mehr Demokratie » aveva da sormontare una soglia colossale. Nell’arco di due settimane, il 10% degli
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darono in seno al Parlamento e, dopo una campagna furba,
ottennero una maggioranza del 51% nel referendum (contro
il 44% dell’iniziativa originaria « Das bessere Müllkonzept »).
dine, le accuse della CSU non durarono a lungo. La stampa
incitò inoltre la CSU a suggerire argomenti più degni di un
professionista prima del giorno della votazione.
Dopo tale successo, la CSU utilizzò la stessa strategia contro
« Mehr Demokratie ». Un volta di più, ci fu una controproposta da lei lanciata. Questa escludeva molti temi dal decidere
cittadino (ad esempio, nessun progetto edilizio era possibile
mediante iniziativa cittadina); la proposta della CDU richiedeva un quorum partecipativo del 25% per il referendum,
cioè con meno del 25% di votanti, il risultato sarebbe stato
nullo (si veda il capitolo 2° a proposito degli effetti negativi dei quorum partecipativi); la raccolta delle firme non era
libera, ossia i cittadini dovevano recarsi negli uffici amministrativi locali per firmare; etc. L’intenzione era chiarissima:
introducendo tanti ostacoli e limitazioni che fossero concepibili, si voleva render tanto difficile quanto possibile l’esito
favorevole di una presa decisionale cittadina diretta.
Questa ebbe luogo il primo ottobre 1995. La proposta di
« Mehrd Demokratie » riportò il 57,8% dei voti, contro il 38,7%
alla controproposta della CSU. Questa vittoria rendeva possibile l’organizzazione di referendum d’iniziativa cittadina al
livello locale.
Democrazia fiorente
Durante i dieci anni che seguirono, un sistema di democrazia
diretta si mise a fiorire in Baviera (Rehmet et Venisch, 2005).
Nei municipi, 1371 iniziative cittadini vennero registrate fino
a settembre 2005, le quali, in 835 casi (il 60,9%) condussero
al referendum. Per i casi restanti, l’iniziativa non fu approvata per ragioni diverse (14,2%), ovvero venne adottata dal
consiglio municipale (12,5%), ovvero ancora ritirata dai cittadini stessi o non presentata (10,1%). Il massimo numero
d’iniziative cittadine venne ottenuto nella capitale bavarese,
Monaco di Baviera (15) seguita da Augusta (12). Il numero
annuale d’iniziative culminò nel 1996, poi decrebbe gradatamente per stabilirsi a una media di 100 all’anno tra il 1995 e
il 2000. C’era certamente qualche ritardo nella gestione amministrativa richiesta che provocò un’onda enorme d’iniziative cittadine subito dopo l’introduzione nuovo sistema. (In
Germania si distingue tra l’iniziativa « cittadina » al livello
municipale e quella « popolare » ai livelli statale e federale.
Nello stesso tempo, la CSU avviò a soffiare sulle braci della
paura. Lo slogan suo era: « Non lasciate che una minoranza
blocchi tutto! ». Secondo la CSU, la proposta di « Mehr Demokartie » avrebbe aperto la strada al regno dei demagoghi
e dei gruppi minoritari rumoreggianti. Essa suggerì addirittura che la proposta di « Mehr Demokratie » facesse incombere una minaccia sui rintocchi delle campane ovvero sulla
famosa e popolare « Oktoberfest ». Quindi la CSU prediceva
un conflitto elettorale permanente e un’incertezza continua
paralizzando progetti a lunga scadenza (con la disoccupazione quale risultato principale) e l’introduzione di misure
« impopolari », ecc.; tutto quanto sarebbe stato il risultato
dell’appoggio dato alla proposta di « Mehr Demokartie ». Al
livello locale, il potere dell’apparato di partito entrò in gioco (tra altre cose rifiutando di mettere a disposizione i locali
municipali per le riunioni...).
Per quanto concerne i temi referendari, tre emergono largamente al disopra degli altri:
•Infrastrutture pubbliche e società d’utilità pubblica (23%);
•Progetti di sviluppo (20%);
•Progetti di costruzione e circolazione stradale (20%).
« Mehr Demokratie » fu principalmente capace di neutralizzare la campagna della CSU in quanto sapeva ciò che stava
ordendo la CSU. Il fattore più significativo nella sua controffensiva era d’incontrare ogni sorta d’organizzazioni (partiti
politici, organizzazioni sociali, gruppi di giovani e perfino
membri della CSU...) che erano in favore di « Mehr Demokratie » aventi anche la fiducia dei cittadini e essendo pronte
a esprimersi in pubblico a favore dell’iniziativa e contro la
proposta della CSU.
Nel periodo dal 1995 al 2005, una disposizione presa dal
consiglio municipale venne più spesso approvata (49%) dai
cittadini che rigettata (45%); i casi rimanenti non potevano
venir catalogati tra un caso o l’altro. Inoltre, una proposta
municipale aveva pressappoco una possibilità su due di non
sopravvivere alla votazione cittadina. La partecipazione elettorale media per questo periodo ammontò all’incirca al 50%;
essa si evolse in un modo inversamente proporzionale al numero degli abitanti del municipio.
Una lezione importante ricavata dalla sconfitta di « Das bessere Müllkonzept » era che non si dovesse più lasciare la CSU
prendere l’iniziativa nel dibattito. Una delle strategie ovvie
della CSU consisteva nel tempestare l’opposizione di accuse
che bisognava rintuzzare passo passo, sicché quest’ultima
non potesse mai parlare della ragione reale del referendum.
Ad esempio, la CSU tentò di accusare « Mehr Demokratie »
di frode finanziaria. Ciò successe in un momento strategicamente scelto: giusto due settimane prima delle elezioni. Se,
durante queste ultime due settimane, la CSU fosse riuscita a focalizzare il dibattito pubblico sulle finanze di « Mehr
Demokratie », ciò avrebbe potuto essere fatale per l’iniziativa
cittadina. Le donazioni dei cittadini a « Mehr Demokratie »
erano versate su un conto bancario in Monaco di Baviera, da
cui, tramite l’organizzazione interna della banca operante, il
denaro veniva trasferita a Colonia. « Mehr Demokratie » non
aveva niente a che fare con questi, ma la CSU suggerì, nella stampa, che questi fondi fossero « siringati » fuori dalla
Baviera e venissero dunque utilizzati per altri scopi. L’iniziativa cittadina avversò l’attacco aprendo i suoi conti al vaglio
dell’ispezione pubblica. Dato che erano parfettamente in or-
Come detto in precedenza, in qualche caso, la minaccia di un
referendum divenne sufficiente perché una decisione indesiderabile del consiglio municipale venisse ritirata. Rehmet
e Venisch (2005, p.5) danno l’esempio di Augusta, dove una
coalizione di professori, insegnanti e librai raccolsero firme
per fare aprire una nuova biblioteca municipale. Allorché
presentarono le firme raccolte in numero più elevato del minimo richiesto, il consiglio municipale adottò rapidamente
il loro progetto.
Resistenza da parte dei tribunali
Tuttavia la classe dirigente non lasciò tale situazione perdurare senza opporsele. Oltre l’opposizione dei politici della CSU,
« Mehr Demokratie » dovette fare fronte ad una resistenza,
perfino più forte, quella della Corte costituzionale di Baveria.
In Baviera, i giudici (prevalentemente CSU) vengono nominati dal Parlomento dello Stato (Landtag), sicché il 80% dei
giudici parteggia o è simpatizzante della CSU. Inoltre i giudizi resi dalla Corte costituzionale sono definitivi, visto che
non c’è procedura d’appello.
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Nello stesso tempo in cui venne lanciata l’iniziativa popolare
per migliorare il sistema referendario al livello municipale,
« Mehr Demokratie » lanciò anche una seconda iniziativa popolare per la stessa ragione, però questa volta al livello del
Land. Entrambe vennero presentate nel 1994 con un breve
intervallo tra di esse. La seconda venne contestata dal Senato
bavarese per ragioni legali stiracchiate e di conseguenza essa
andò presentata alla Corte costituzionale. Tutti s’attendono
che gli obiezioni dal Senato sarebbero state rifiutate, in ogni
modo la maggiore parte dei contenuti dell’iniziativa rimase
immutata. Ma in un verdetto inaudito, i giuduci della Corte
dichiararono che l’interezza dell’iniziativa non fosse valida.
« Totalmente incomprensibile » intitolò il giornale della Germania del Sud, Süddeutsche Zeitung, nel suo editoriale del 15
novembre 1994, e il sospetto venne formulato: « che la Corte costituzionale, con la maggioranza dei giudici nominati e
stipendiati dalla CSU, renda un giudizio che, come ci si potrebbe attendere, raggiunga l’approvazione del governo dello
Stato controllato dalla CSU ».
è anche più deprimente se si consideri che questo principio
d’autonomia municipale era stato originariamente introdotto per dare ai cittadini locali più vigilanza possibile sulla propria comunità. Lo stesso principio veniva adesso utilizzato
con disinvoltura da politici e giudici per ridurre per l’appunto
questo controllo cittadino.
Tra le cinque iniziative popolari lanciate da « Mehr Demokartie », dal 1995 al 2000, tre furono bloccate dalla Corte costituzionale, e una – senza l’appoggio di una legislazione applicabile – fu vittima di ostruzionismo di portata considerevole,
venendo scissa in due iniziative popolari per cui si domanda
ulteriormente ai cittadini di recarsi in municipio per dare la
loro firma. « Mehr Demokratie » aveva solo capacità di sostenere una sola iniziativa e questo impedì la realizzazione della
soglia esorbitante della seconda.
Germania : Amburgo
Amburgo è il secondo luogo in Germania dove « Mehr Demokratie » ebbe successo permettendo ai cittadini di decidere
loro stessi sulla democrazia diretta (Efler, 2001). Amburgo,
con i suoi 1,7 milioni di abitanti, è la seconda città tedesca ;
questa città dispone dello statuto di uno vero Stato.
Nel 1999, una volta di più, « Mehr Demokratie » presentò
un’iniziativa per rinnovare il referendum al livello statale. Viene formulata questa volta di un modo tale che non sarebbe stata esposta allo stesso veto. Per l’appunto, la corte costituzionale
brandì la sezione 75a della Costituzione bavarese che sancisce :
« Le Proposte d’emendamenti costituzionali sono contrarie ai
principi democratici fondamentali e non sono autorizzate. »
Ora questo articolo era stato inizialmente introdotto per proteggere la popolazione dall’avvento di una dittatura. In questo
caso preciso, però, lo vedeva utilizzato per proteggere politici
dai diritti democratici sovrani della popolazione. Nel marzo
2000, la Corte costituzionale dichiarò che la « democrazia »
fosse identica al sistema rappresentativo e ci potesse essere
pregiudizio dato che l’iniziativa popolare domandava l’abolizione di alcune eccezioni, nonché una riduzione della soglia
delle firme, etc.. In precedenza, nel settembre 1999, la corte
era stata colpita da una querela cittadina a proposito dell’aumento del quorum partecipativo referendario al 25% al livello
statale (subito introdotto dal Landtag), riferendosi di nuovo ai
« principi democratici fondamentali » della sezione 75a.
Nel 1996, il Parlamento amburghese, ispirato dall’emergere
di referendum dappertutto in Germania, aveva introdotto il
referendum d’obbligo per l’iniziativa cittadina al livello della
città. Tuttavia soglie e eccezioni erano considerevoli al punto
che il sistema era appena utilizzabile. Più o meno, ogni questione finanziaria ne era esclusa, così come progetti urbani
e disegni di sviluppo « dente di sega ». Tra questi ultimi, ad
esempio, un progetto d’ingrandimento del porto o la costruzione di una galleria stradale supplementare sotto l’Elba. Per
ottenere un referendum ci voleva non meno del 10% degli
elettori iscritti, recandosi al Municipio per fare registrare la
loro firme in un termine di due settimane ( !). C‘era dunque
un quorum d’approvazione inaccessibile al livello della città :
le iniziative cittadine racchiudenti provvedimento legislativo
ordinario, ad esempio, dovevano, oltre a riportare la maggioranza semplice dei voti, venir ugualmente approvate dal 25%
degli elettori iscritti. Quanto a quelle che desideravano modificare la Costituzione, non solo dovevano assicurarsi i due
terzi di maggioranza dei voti, ma in più, venir approvate dal
50% di tutti gli elettori iscritti nella lista elettorale.
Ma la Corte costituzionale proseguì anche gli attacchi suoi al
livello locale. Nel 1999, seguendo una querela cittadina, la
corte aveva già dichiarato che « i principi democratici fondamentali » richiedevano anche al livello municipale l’introduzione del quorum partecipativo, il quale era stato abolito dal
referendum vinto da « Mehr Demokratie ». Quindi il quorum
era stato reintrodotto. Quando « Mehr Demokratie » lanciò
l’iniziativa « Protezione del referendum municipale », per
cancellare il quorum reiintrodotto, la Corte costituzionale
non poteva più riutilizzare decentemente l’argomento dei
« principi democratici fondamentali ». Dopotutto, i giudici
avevano già dovuto ricorrere a tale ragione per rigettare il
primo referendum d’iniziativa popolare di « Mehr Demokratie » nel 1994. Questa volta, di conseguenza, la Corte, che
ne sa molto più del diavolo, brandì il principio d’autonomia
municipale : un’abolizione del quorum partecipativo municipale ricorrendo a una legge statale. La perversione di tale
argomento era evidente. In Germania, gli Stati federali hanno il proprio potere per organizzare la democrazia locale. Le
disposizioni democratiche, incluse quelle delle iniziative cittadine e referendum, vanno sempre regolate dalla legislazione statale propria. La Corte costituzionale – istituzione dello
Stato federale – era dunque intervenuta negli affari municipali stessi con la sua decisione sui quorum approvativi /
partecipativi. Che voglia fare la stessa cosa un’iniziativa, si
parla allora di una violazione di Costituzione. La situazione
« Mehr Demokratie » decise dunque una volta di più a mettere a profitto lo strumento referendario cattivo esistente per
ottenerne un migliore. Con parecchi partner locali, essa mise
in essere due iniziative cittadine : l’una per introdurre la democrazia diretta al livello del distretto, l’altra per migliorare
il sistema esistente al livello della città. Siccome la seconda
richiedeva un emendamento costituzionale – e quindi doveva varcare un quorum d’ammissibilità estremamente elevato
– gli attivisti mirarono a combinare il loro referendum con
le elezioni parlamentari nazionali del 1998. Gli inizi furono
laboriosi ; c’erano solo duemila marchi quale capitale disponibile e alcune organizzazioni coinvolte volevano rimandare
la campagna intera ulteriormente. La raccolta delle prime 20
000 firme richieste cominciò solo nel maggio 1997, e gli attivisti dovevano affrettarsi per accordare iniziativa e elezioni
parlamentari. Per dire il vero, la pressione del tempo sembrò giocare in loro favore. Il più delle firme furono raccolte
nella seconda metà della campagna. Nell’autunno del 1997,
non meno di 30 000 firme erano state radunate per venire
presentate. Durante la discussione nel Parlamento, parecchi
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membri dichiarraono che considerassero tal iniziativa contraria alla Costituzione. Ma si lasciò scadere il termine prescritto, prima della scadenza di cui l’iniziativa andasse presentata alla Corte costituzionale perché questa la giudicasse.
gere il 40% minimo dell’elettorato ! L’iniziativa cittadina voleva abolire in parte il tabù sulle questioni finanziarie, mentre
la controproposta parlamentare voleva escludere tutti i temi
aventi un effetto sul bilancio. « Quale questione, oggi, non
ha nessun effetto sul bilancio ? » si interrogò Efler (2001). In
quanto il soggetto e le divergenze tra le due proposte erano
d’ordine tecnico e che ci era poco tempo par garantire una
piena campagna a causa della tattica dilatoria del Parlamento,
« Mehr Demokratie » si focalizzò e pose l’accento sulle differenze, paragonando le due proposte punto a punto e ponendo
la domanda : Per quale ragione i politici restituirebbero volontariamente il loro potere ? « Mehr Demokratie » condusse
anche la sua campagna di un modo visuale, cioè ricorrendo a
immagini di schede elettorali redatte all’appoggio dell’iniziativa sul suo giornale, negli annunci nei cinema e manifesti
attaccati il giorno stesso della votazione dinanzi a tutti i seggi
elettorali. Il 27 settembre 1998, giorno delle elezioni, il 74%
degli elettori votò in favore delle proposte di « Mehr Demokratie » per quanto concerneva la città, e il 60% per quelle riguardanti il distretto. La partecipazione fu del 66,7%. Questo
significò che il quorum d’approvazione molto elevato, da una
parte, fosse stato raggiunto dal referendum al livello del distretto, perché questo sarebbe stato introdotto mediante una
legge ordinaria, se invece non lo fosse stato per il referendum
al livello della città, dato che in questo caso, la Costituzione
andava modificata. La tattica dilatoria del Parlamento implicava che gli elettori ricevessero la documentazione referendaria
– che poteva anche venir utilizzata per una votazione per corrispondenza – assai tardivamente rispetto a quella delle elezioni parlamentari simultanee. « Mehr Demokratie » calcolò,
in seguito, che se la documentazione referendaria fosse stata
indirizzata allo stesso momento di quella per le elezioni parlamentari, il quorum approvativo sarebbe stato ugualmente
raggiunto per la proposta referendaria al livello della città.
Quindi, l’iniziativa entrò nella sua seconda tappa, in cui il
10% degli elettori iscritti doveva presentarsi al Municipio per
fare registrare la loro firma di sostegno, il tutto per due settimane soltanto, dal 9 al 23 marzo 1998. « Mehr Demokratie »
venne aiutata, dato che le autorità municipali informarono
gli elettori sulle iniziative, mediante una cartolina postale,
precisando dove e quando le firme d’appoggio potessero essere date. A tergo della cartolina stavano un esempio illustrativo che permettesse di capire il modo di esprimere sostegno
mediante la posta. Questa disposizione era stata adottata opportunamente nella legge del 1996 ed era una cosa perfettamente unica in Germania. L’atmosfera era piuttosto pesante
in quanto le autorità volevano fare una sola pubblicazione
del risultato intermedio dell’operazione alla fine della prima
settimana. Però la seconda tappa fu un successo strepitoso :
in effetti, alla fine della prima settimana, 85 000 firme erano
state raccolte e vicino alla fine della campagna di raccolta, il
23 marzo, questo numero ammontò a 218 000 (il 18,1% degli
elettori iscritti), per la prima iniziativa (referendum al livello
del distretto) e più di 220 000 (18,4) per la seconda (democrazia diretta al livello della città).
Dapprima, il consiglio municipale volle indire i referendum
subito dopo le elezioni parlamentari. La gente di « Mehr Demokratie » fu colta di sorpresa, ma si riprese e fece pressione
sui Parlemantari per combinare elezioni e referendum argomentando sullo spreco di tempo e denaro supplementare per
i cittadini (a causa di costi elevati). La pressione ebbe effetto
e i referendum vennero indetti contemporaneamente alle
elezioni nel Parlamento, il 27 settembre 1998.
In parte in virtà del suo successo in Baviera e ad Amburgo,
il movimento « Mehr Demokratie » si è diffuso attraverso la
Germania. Dispone attualmente di ramificazioni in 13 dei 16
Stati tedeschi.
Nel frattempo, come in Baviera, « Mehr Demokratie » aveva
radunato un’ampia coalizione d’organizzazioni sociali di tutte
le sorte – piccole, per il più. Ciononostante, esse dovevano
battersi contro i due partiti maggioritari ad Amburgo – SPD e
CDU – nonché la Camera di commercio e il potente giornale
Bild-Zeitung appartenente al gruppo Springer. L’opposizione
combinata batté la grancassa con motti del genere : « le minoranze verrano brutalizzate », « i referendum con partecipazioni deboli conducono all’impostura democratica », « il porto e
l’aeroporto verrano paralizzati dalle normative sul rumore » e
« l’inizio di uno sviluppo fatale ». Le notizie di stampa mettevano in guardia contro una « dittatura degli attivisti » che stava per stabilirsi se le proposte di « Mehr Demokratie » fossero
state adottate. « Nessun argomento era in effetti troppo rozzo
per non venire usato », scrisse Efler (2001).
Germania : Schönau
Dopo il disastro ambientale della centrale nucleare di Tchernobyl, in aprile del 1986, un’iniziativa cittadina chiamata
« iniziativa dei « genitori » per un futuro senza nucleare » fu
lanciata a Schöngau, un paese di 2 500 abitanti nella Foresta
Nera. Lo scopo era di promuovere un consumo più moderato d’energia senza utilizzare quella dell’atomo. Era stato un
piccolo successo, ma gli abitanti si accorsero presto che essi
potessero solo ottenere assai poche cose senza controllare gli
approvvigionamenti stessi di energia. Dopotutto, il fornitore
locale d’energia, la KWR determinava le capacità energetiche
e l’economia su queste, da una parte, però, d’all’altra, una
produzione decentrata dell’energia poteva risultare non-profittevole per la KWR.
Ad Amburgo, il Parlamento aveva il diritto di fare una controproposta e di presentarla alla votazione allo stesso tempo
dell’iniziativa popolare. Lo fece in effetti, ma solo quattro settimane prima della votazione. Per quanto concerneva l’iniziativa cittadina, essa voleva che i referendum su leggi ordinarie venissero decisi alla maggioranza semplice e quei sugli
emendamenti costituzionali con una maggioranza dei due
terzi, non c’erano altre esigenze partecipative. Invece, nella
controproposta parlamentare, le soglie participative elevate
rimanevano invariate: le leggi ordinarie andavano adottate da
una maggioranza costituita da meno del 20% dell’elettorato ;
gli emendamenti costituzionali da una maggioranza di due
terzi, raggruppando almeno il 40% degli elettori. Così nel
caso ove il 70% votasse in favore dell’emendamento, la partecipazione dovrebbe esser pressappoco del 60%, par raggiun-
Quando venne il momento di rinnovare il contratto tra il
municipio e la compagnia elettrica, iniziò la lotta energetica.
L’iniziativa cittadina aveva sviluppato disegni propri per la
produzione e la distribuzione d’energia nel rispetto dell’ambiente, pertanto voleva togliere il monopolio della rete elettrico locale affidata alla KWR. Per farlo, i cittadini fondarono il « Netzkauf Schönau » (una rete compratrice d’energia,
ndt) un’organizzazione compratrice che era a capo delle altre.
Però il consiglio municipale decise nonostante di rinnovare
il suo contratto con la KWR.
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Per acquisire il diritto di comprare la rete elettrica locale,
« Netzlauf Schönau » lanciò un referendum nel 1991, riportato col 55,7% dei voti. L’acquisizione del diritto di gestione della rete così come l’avviamento di una politica energetica ecologica sembrò di essere possibili. cittadini cittadini, non solo
di Schönau ma della Germania intera, radunarono i 4 milioni
di marchi necessari all’acquisto della rete locale. Nel 1994, la
compagnia locale « Elektrizitäts Werke Schönau GmbH (EWSSchönau: centrale elettrica di Schönau) vide la luce, la quale in
seguito ricevette la concessione da parte del municipio.
« Ich bin un Störfall » (« Io sono une pericolo di disturbo »). Allo
stesso tempo continuarono la loro battaglia legale per fare decrescere il prezzo di vendita irragionevole. Il primo luglio del
1997, la compagnia elettrica sostenuta dai cittadini riprese ufficialmente la rete di distribuzione per 5,8 milioni di marchi.
Da questa data, la EWS-Schönau ha dimostrato di essere un
fornitore d’energia professionista ed affidabile, anche agli
occhi dei suoi antichi concorrenti. La direttrice-gestrice ne
è Ursula Sladek, membro del gruppo d’iniziativa originaria.
La quantità d’energia solare prodotta per abitante è la più elevata in Germania e l’energia nucleare è stata completamente
bandita. Tra gli altri edifici, i tetti del Municipio e della chiesa
luterana, sono interamente ricoperti di pannelli solari. Per
la liberalizzazione del mercato dell’energia, la EWS può oramai fornire energia ai consumatori di tutta la Germania. Dal
1998, i ribelli hanno anche fornito un sostegno ad altre iniziative nel resto della Germania, le quali volevano passare a
fonti energetiche rinnovabili. Hanno cooperato alla creazione
di una rete di 697 produttori tedeschi d’energia rinnovabile.
La EWS ha potuto dare 900 000 euro negli ultimi tre anni.
Nel luglio del 2005, un giudizio della Corte ha perfino ridotto
il prezzo di acquisto da 5,8 milioni di marchi a 3.5 milioni e
quindi la EWR ha dovuto rimborsare la differenza.
Un ampio fronte di resistenza si stabilì contro questi cambiamenti. Includeva, come ovvio, la compagnia elettrica KWR
stessa, ma anche i Democratici Cristiani della CDU e una
gran parte dei Socialisti del SPD. Vi si aggiunse anche il maggiore datore di lavoro del distretto, che mise in guardia contro interruzioni di corrente e prezzi più elevati dell’elettricità
nel caso in cui « ribelli dell’energia » venissero autorizzati
a promuovere il loro disegno. Quegli oppositori lanciarono
dunque una seconda iniziativa e per questo sistemarono un
« ufficio informazioni ». Però i ribelli vinsero una seconda
volta, anche se con uno stretto margine : nel marzo del 1996,
il 52,4% dei votanti fu d’accordo per arrestare la collaborazione tra il municipio di Schönau e la KWR.
La compagnia energetica giocò infine la sua ultima carta :
domandò 8,7 milioni di marchi per la vendita dell’infrastruttura locale al posto dei 4,5 milioni previsti e valutati dagli
esperti dell’iniziativa cittadina. Nel novembre 1996, dopo
due anni di rifiuto, la KWR ammise che Schönau disponesse
solo di 22 kilometri di cavi, piuttosto che i 33 citati, ed il prezzo decrebbe da 8,7 a 6,5 milioni di marchi.
L’esempio di Schönau dimostra che cittadini possiedono un
capitale sociale latente e sono pronti a fare degli sforzi. Nello
stesso tempo, dimostra anche l’indispensabilità della presa
decisionale in democrazia diretta in modo da trarre profitto da questo capitale. Se non fosse stata possibile l’iniziativa
cittadina di Schönau, la compagnia KWR, assieme al consiglio municipale, avrebbe potuto continuare ad imporre la
sua volontà (per maggiori informazioni, consulti: www.ewsschoenau.de).
I ribelli dell’energia condussero una campagna nella Germania
intera per raccogliere il resto del denaro necessario col motto :
5-1: I tipi dell’iniziativa cittadina
•La polarizzazione non può venire evitata. Gli elettori devono chiarissimamente vedere chi è pro e cgi è contro e per
quali ragioni.
•Essere capaci di mettere in mostra che alcuni oppositori abbiano un interesse finanziario nell’esito è un mezzo
estremamente efficace per guadagnare appoggio.
Qui sotto viene elencata un lista di regole fondamentali che
vanno prese in conto quando si tratta di lanciare un’iniziativa cittadina. La fonte maggiore è: Jim Shultz, « The Initiative Cookbook » (Il libro di cucina delle iniziative) et Michael
Seipel & Thoma Maier, « Triumph der Bürger ! » (il trionfo
dei cittadini !).
Domande dall’inizio
•C’è un sostegno sufficiente da parte del pubblico ? I sondaggi d’opinione possono essere utilizzati, ma bisogna ricordare che l’opinione pubblica sia volubile e possa cambiare.
•C’è un messaggio semplice e vincente ? Paragonare il
messaggio eventuale degli avversari o uno slogan chiave
con il suo.
•Qual è la forza del sostegno di base ? Ci sono abbastanza
organizzazioni che possano passare sotto le luci della ribalta ? Queste organizzazioni, da cui il pubblico può naturalmente aspettarsi di vederle appoggiare la proposta,
sono effettivamente in favore di essa ?
•C’è denaro ? La raccolta dei fondi deve cominciare presto.
Il finanziamento deve esser chiarissimo e comprensibile.
Deve anche essere realistico e i conti vanno sempre tenuti aggiornati e presentabili, leggibili e disponibili (a titolo
illustrativo accessibili ai mass media).
•C’è un’expertise leggibile disponibile ? Assicurarsi che ci sia
abbastanza gente per sbrogliarsi tecnicamente in caso di
problemi o scompigli politici durante dibattiti e discorsi.
•É possibile approfittaredi ogni elezione generale o locale ?
Regole generali
•Di solito, il campo che convince gli indecisi o gli elettori
indecisi, riporta la vittoria.
•La forza più potente dietro la politica dei referendum è il
malcontento. Si dovrebbe dunque dimostrare con circospezione che il pubblico non sia contento e possa venir
mobilitato.
•I referendum d’iniziative hanno in genere la maggiorità
del pubblico in sostegno… per cominciare. ciò tende a diminuire per la campagna sotto la pressione degli avversari. Uno slittamento dal 70 al 51% delle posizioni in favore
può assai facilmente succedere; ma uno spostamento in
senso opposto invece è molto più arduo.
•I referendum vanno persi sul punto debole della proposta.
Se questa mostra un punto debole da qualche parte, gli
oppositori ci si focalizzano su e ne esagerano la debolezza.
Gli elettori hanno una tendenza assai debole a votare in
favore di una proposta che mostri palesemente un punto
debole, anche se il nucleo della proposta rimane fermo.
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Indire un referendum contemporaneamente alle elezioni
può aiutare a fare crescere la partecipazione – è importante in caso di quorum partecipativi.
•In particolare, le parti stabilite con potere giocano quasi
sempre sull’incertezza regnante nel pubblico, le sue paure
e riesumano questioni senza nesso. Voi dovrete anticipare
questo coscientemente. Referenze a precedenti stranieri
in connessione con la proposta possono esser efficaci per
disinnescare lo scenario della paura.
•I partiti al potere si rivolgeranno al pubblico quale individuo
(l’assicurazione sociale « Vostra » a posto di « Nostra »…) e
ricollegano questo a un’invocazione di fiducia nei « valori
solidi », designando così partiti al potere e i loro leaders.
Rimedio : rivolgersi al pubblico quale un gruppo di persone
responsabili ricercando il fondo comune con ciascuna.
•Fornire del materiale informativo : annuncio dell’iniziativa, presentazione delle firme ed altre cose di questo genere costituiscono momenti opportuni. Mantenere buoni
contatti con agenzie di stampa interessate.
Formulazione della domanda
•La proposta d’iniziativa/referendum deve essere chiara e
precisa. Il testo non deve esser ambiguo e la proposta va
pubblicata il più presto possibile.
•La proposta va redatta tenendo a mente tutti gli alleati potenziali. Non includervi aspetti non pertinenti che possano
spaventare alleati eventuali. Il contrario è anche possibile :
« fence sitters » (organizzazioni che mirano a adottare una
posizione neutrale), potranno anche prendere parte alla
coalizione se alcuni aspetti importanti per esse vi saranno
inclusi.
•La proposta va redatta tenendo a mente il pubblico. Riceve un ampio appello da parte di esso ? Ha un tendine
d’Achille ?
•Le autorità accetteranno il risultato referendario quale obbligatorio ? Se no, tentare di ricollegarle partiti politici
può essere un’opzione : fargli promettere d’accettare l’esito molto tempo prima del referendum.
•Se c’è vittoria nel referendum, essa può ancora esser contestata dal tribunale ? (ottenere consigli giuridici).
Opuscolo di votazione
•Lo spazio di un opuscolo ufficiale è limitato. Conservare
argomenti semplici e reiterare frasi chiavi riflettenti l’essenziale.
•Citare dichiarazioni chiare provenienti da autorità scientifiche o d’altre genti in cui il pubblico ha fiducia, ad esempio, può essere assai efficace.
Coalizione
5-2:Referendum e plebisciti in parecchi
paesi d’Europa
•Una coalizione che includa alleati insoliti rinforza la credibilità dell’iniziativa (ad esempio, partiti politici « conservatori » e « progressisti », datori di lavoro e impiegati, ecc.).
•Partner formanti il nocciolo duro della coalizione devono
essere disponibili dall’inizio.
•Sono essenziali buoni accordi tra partner di coalizione
sul finanziamento, sulla posizione ufficiale comune, sulla
ripartizione dei compiti e la designazione degli oratori e
oratrici.
Si troverà qui sotto un breve riassunto dei regolamenti a
proposito di referendum e plebisciti nazionali in parecchi
paesi europei. Le fonti più importanti sono : B. Kaufmann
et al. (Editori), « Guida di democrazia diretta in Svizzera ed
oltre » (2005), e B. Kaufmann & M.D ? Waters (Editori),
« Democrazia diretta in Europa » (2004).
Raccolta delle firme
Germania
•Shultz scrive : « Lo Zen della raccolta di firme è di non
litigare ». La raccolta di firme e la campagna sono tanto
migliori quanto più vengano fatte disgiuntamente. Venire
tentato da una discussione di un quarto d’ora con un passante o più non è utilizzare efficacemente il tempo per il
raccogliere delle firme.
•Fare il nesso con la tappa seguente della campagna. Raccogliere le firme consente ai volontari di sviluppare qualche
sforzo e impegno. Vengono trascurate tali riserve quando
la soglia delle firme è raggiunta, è assai difficile rimobilitare una campagna efficace alcuni mesi dopo.
•Provare la validità delle firme. Firme possono essere ottenute da gente che sbagliano residenza, nazionalità o nomi
ed indirizzi possono essere indecifrabili o falsi. Dovrete
integrare un tasso d’invalidità del 20% nel calcolo.
•Fare in modo di aver un evento mediatico al momento di
presentare le firme.
Al livello nazionale, non c’è forma di presa decisionale in
democrazia diretta. Sebbene la sezione 20^ della Costituzione tedesca preveda: « Tutto il potere dello Stato promana
dal popolo ; viene esercitato dal popolo attraverso elezioni
e referendum… », la legislazione d’attuazione manca. Nessun plebiscito è stato indetto dal 1945. Come si è detto nel
capitolo 5°, tutti gli stati e municipi hanno introdotto il referendum d’iniziativa popolare, principalmente nel corso
degli anni ‘90, e questi vengono utilizzati di modo intenso
in parecchi luoghi. Tali referendum sono obbligatori. C’è
una maggioranza parlamentare a favore della democrazia
diretta al livello nazionale, invece, la maggioranza necessaria dei due terzi per adottare l’emendamento costituzionale
attinente ancora non è stata ottenuta.
Austria
L’Austria dispone del referendum obbligatorio necessario
in vista di una revisione in complesso della Costituzione.
Quelle parziali vengono sottoposte al referendum a patto
che ci sia un terzo dei membri del « Nazionalrat » (Parlamento proprio) o di quei del « Bundesrat » (Camera dei
rappresentanti degli Stati federali) per richiederlo. Il « Nazionalrat » può anche indire un plebiscito d’obbligo su una
legge ordinaria. Dal 1945 due plebisciti nazionali sono stati
realizzati. Non c’è referendum d’iniziativa popolare al livello
nazionale. Mediante la raccolta di 100 000 firme in favore,
i cittadini possono presentare una petizione al Parlamento
La campagna
•« Rimanere semplici e ripetere il messaggio centrale senza sosta. »
•Fare appello all’emozione del pubblico. Qualcuno che
pare impegnato contemporaneamente in modo esperto
ed emozionale fa buona impressione.
•Restare fortemente centrato sull’iniziativa stessa durante
il dibattito. Ognuno che si lasci incastrare dagli oppositori
su un binario morto ha perso. Attenzione agli attacchi furtivi, specialmente sull’integrità della campagna.
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(« Volksbegehren »). L’opzione è regolarmente adoperata ma
non conduce affatto al referendum. In due dei nove Stati
(Alta Austria e Stiria), esiste però un referendum d’iniziativa popolare, nonché iniziative popolari in tutti I municipi.
aspetto interessante è che gli iniziatori della petizione possono ottenere il rimborso di una parte delle spese. Questo
viene condizionato a un quorum partecipativo del 50% dei
votanti. Ci sono stati 6 plebisciti nazionali dal 1945. Al livello regionale, non c’è nessuna forma di referendum ; al livello municipale il Consiglio può indire un plebiscito locale.
Esempi
Nel 1978 ci fu un plebiscito indetto per l’accomandita della
centrale nucleare di Zwentendorf. L’avvio dell’impianto venne rigettato con stretto margine del 50,5% dei votanti. Nel
1994 la gente approvò l’adesione alla Comunità Europea
con la maggioranza del 66,6%.
Esempi
Nel 1978, un emendamento costituzionale venne approvato
da non meno del 91,3% dei votanti. Nel 1986 gli Spagnoli
votarono per decidere se restare nella NATO o meno : il
56,9 decise di sì. Nel 2005, il disegno di trattato costituzionale perl’Europa venne approvato dal 76,7% dei votanti.
Belgio
I referendum obbligatori sono esclusi dalla Costituzione
belga. Dal 1945, un solo plebiscito (all’iniziativa del governo
dunque) è stato indetto. Disegni di referendum mediante
l’iniziativa cittadina esistono solo al livello comunale ; ma
bisogna precisare che fuori del fatto che questi referendum
non siano obbligatori, il Consiglio municipale stesso possa
rompere tale domanda. Da qualche anno, c’è un dibattito
sulla realizzazione di più referendum e l’appoggio dei partiti politici è cresciuto – in particolare nelle Fiandre.
Francia
La sezione 3^ della Costituzione francese – adottata nel 1958
dal referendum – dice : « La sovranità nazionale appartiene
al popolo che l’esercita mediante i suoi rappresentanti e il
referendum. Nonostante questo, non c’è referendum d’iniziativa popolare in Francia. Gli emendamenti costituzionali,
così come gli emendamenti locali, vanno in principio sottomessi al plebiscito. Tuttavia l’iniziativa per questo può solo
esser presa dal Presidente, ovvero in ampiezza minima, dal
Parlamento (il potere del Parlamento francese è debole). Il
Presidente della Repubblica può decidere il plebiscito su
un « concetto legislativo », abbisognante l’approvazione
parlementare. La votazione non si fa su un disegno legislativo perfettamente redatto ma solo su una idea generale.
I referendum nazionali sono obbligatori. I politici francesi
hanno sempre promesso più democrazia diretta ; a titolo illustrativo, durante la sua campagna di ri-elezione del 2002,
il Presidente Chirac propose d’introdurre iniziative popolari o cittadine ai livelli nazionale e municipale quale una
possibilità da considerare nel futuro…
Esempio
Nel 1950, i Belgi votarono sul ritorno del reLéopold III. Con
una partecipazione del 92,9%, il 57,7% l’approvò e il 42,3%
fu contro.
Danimarca
La costituzione danese stipula il referendum in un certo
numero di situazioni, compresi gli emendamenti costituzionali ed il trasferimento di sovranita verso enti internazionali quali l’Unione Europea. Se un terzo dei membri del
Parlamento lo domanda, un referendum può anche venir
indietto. Di questo diritto non ci si è mai giovati, però. Tutti
i referendum nazionali sono obbligatori. Tuttavia, il paese
non dispone del referendum d’iniziativa cittadina a qualunque livello ci sia. Al livello locale più di 160 plebisciti non
obbligatori sono stati tenuti dal 1970.
Esempi
L’elezione diretta del Presidente venne approvata da una
maggioranza del 62,3% nel 1962. Lo stesso anno, gli elettori approvarono l’indipendenza dell’Algeria col 90,8%. L’allargamento della Comunità Europea venne approvata con
una maggioranza del 68,3% nel 1972. Il Trattato di Maastricht ottenne appena una maggioranza del 51% nel 1992.
Nel 2000, la riduzione del mandato presidenziale da 7 a 5
anni venne approvata col 73,2% dei votanti.
Esempi
Nel 1972, i Danesi approvarono l’adesione del paese alla
Comunità Europea al 63,3%. Nel 1992 rigettarono invece
il trattato di Maastricht (il 49,3 % a favore) : l’anno dopo,
mediante l’accordo d’Edimburgo, la Danimarca ottenne
una clausola di non partecipazione all’UE in quattro punti : unione monetaria, unione cittadina, difesa comune,
giustizia e affari interni), cosicché viene accettato il trattato di Maastricht questa volta col 56,7% di maggioranza nel
1993. Nel 1998, il 55,1% dei Danesi approvò ugualmente il
trattato di Amsterdam. Però, nel 2000, il 53,1% votò contro
l’adozione dell’euro.
Ungheria
La Costituzione ungherese ricorre al referendum facoltativo e al l’iniziativa popolare. Però l’elenco delle eccezioni
è lungo: bilancio, tasse locali e nazionali decise al livello
nazionale, imposte locali, trattati internazionali, scioglimento del Parlamento e autorità locali, accordo di coalizione, dichiarazione di guerra e stato d’emergenza, interventi militari all’esterno ed all’interno ( !) del paese, accordo
d’amnistia. Inoltre l’iniziativa polare non va utilizzata per
modificare gli strumenti di democrazia diretta (un mezzo
sottile per l’élite di avere l’ultima parola sul sistema democratico). I referendum sono talvolta obbligatori, talvolta « di
consultazione » (cioè facoltativi). Nel 1997, il quorum partecipativo fu ridotto dal 50 al 25% degli elettori. Senza questo
cambiamento, referendum come quello per l’adesione alla
NATO (nel 1997) e l’accesso all’Unione Europea (nel 2003)
sarebbero falliti per mancanza partecipativa. Dal 1989, 9
referendum nazionali sono stati indetti. Al livello locale,
Spagna
La costituzione spagnola precisa che governo e Parlamento
possano indire plebiscito su questioni d’importanza nazionale. Però ci sono molte eccezioni : emendamenti costituzionali, tasse, bilancio e questioni su cui il Parlamento
dispone dell’autorità assoluta. Inoltre, 75 000 cittadini possono presentare un tipo di petizione. Questa può condurre
al referendum, ma ci vuole l’accordo del Presidente, quindi
non è pienamente un referendum d’iniziativa popolare. Un
68
il referendum è obbligatorio in un certo numero di casi,
in altri, cittadini possono domandare un referendum con
firme d’elettori (ma ci vuole tra il 10 e il 25%, un primato
mondiale !). Anche qui, numerosi soggetti importanti sono
esclusi. I referendum locali sono obbligatori.
sposizioni d’eccezione assai vagamente formulate. Ciò ebbe
per conseguenza di bloccare un numero elevato d’iniziative
referendarie. É primariamente la ragione più importante
del fallimento delle iniziative; su temi meno importanti o
tecnici, la Corte è assai incline a consentire la votazione popolare. La mancanza di una reale iniziativa popolare segna
una limitazione severa alla sovranità popolare. Una particolarità italiana si evidenzia nel comportamento di voto che
si diversifica tra il Nord e il Sud. Nel Sud, la partecipazione è il 20% più bassa di quella del Nord. Nel referendum
sull’abolizione della monarchia nel 1946, la votazione del
Nord era essenzialmente repubblicana, quella del Sud essenzialmente monarchica.
Esempi
Nel 2004, il 55,6% degli elettori approvò l’introduzione della doppia nazionalità per alcuni gruppi popolari. Lo stesso
giorno, un secondo referendum fu indetto per cui il 65%
votò a favore dell’annullamento della privatizzazione ospedaliera e dei servizi sanitari che era già in corso. Nel 2003,
l’83,8% approvò l’accesso all’UE.
Esempi
Le leggi approvate dal Parlamento, le quali rendevano il
divorzio impossibile e accrescevano la difficoltà d’abortire,
vennero rigettate dagli elettori italiani. Il referendum del
1974 sul divorzio (il 40,7% volevano proibire il divorzio) e
quello del 1981 sull’aborto (il 32% degli elettori sostenevano un rinforzo della legislazione sull’aborto) sono esempi
di referendum correttivi su questioni etiche. Nel 1995, fallì
un’iniziativa mirante a indebolire il ruolo di Berlusconi nei
mass media. Solo il 43% degli elettori sostenne la proposta
di limitare la proprietà di mezzi di comunicazione privati a
una sola catena televisiva.
Irlanda
Assieme alla Danimarca, l’Irlanda fornisce un esempio tipico di referendum obbligatorio in Europa. Dal 1937, ogni
emendamento costituzionale è stato obbligatoriamente sottoposto all’approvazione popolare. Una votazione a semplice maggioranza decide, senza quorum partecipativo. Tra il
1937 ed il 2002, 28 referendum furono organizzati al livello
nazionale. Inoltre, il Presidente può indire un plebiscito se
rifiuta una legge votata dal Parlamento. Tuttavia, la procedura è complessa e non è stata utilizzata. Come nella maggioranza dei paesi europei, gli elettori irlandesi non possono iniziare un referendum.
Lituania
Esempi
L’accesso alla Comunità Europea fu approvato con l’ 81,1%
nel 1972. Venti anni dopo fu anche il caso del Trattato di
Maastricht mediante il referendum con una maggioranza
del 69%. Tre referendum ebbero luogo nel 1992 sulla legislazione sull’aborto. Il diritto di recarsi all’estero allo scopo
di abortire venne autorizzato nonché quello di diffondere
informazioni sulle possibilità d’aborto. La legislazione sul
divorzio fu approvata tramite referendum con stretto margine, il 50,3% nel 1995. Nel 2001, il Trattato di Nizza fu rigettato con solo il 46,1% dei votanti in favore. Quando altri
paesi dell’Unione fecero pressioni sull’Irlanda, quella ottenne qualche opzione di non-partecipazione e lo stesso trattato
venne allora accettato dal 62,9% degli elettori nel 2002.
Questa repubblica baltica possiede buone disposizioni: ci
sono il referendum costituzionale obbligatorio, quello facoltativo e l’iniziativa popolare. Dal 1991 ad oggi (marzo
2006), 18 referendum sono stati realizzati. Nonostante
questo, a causa del quorum partecipativo elevato – il 50%
degli elettori – parecchi referendum sono stati invalidati.
Nel 2002 e 2003, la legge referendaria venne emendata : il
quorum partecipativo venne ridotto per referendum vertenti sull’adesione agli organismi internazionali verso i quali
c’è un trasferimento di sovranità. La ragione opportuna fu :
l’élite politica voleva che riuscisse ad ogni costo il referendum del maggio 2003 sull’accesso all’UE. Per tutti gli altri
soggetti, non cambia il quorum. Non c’è nessuna forma di
democrazia diretta ai livelli regionale e locale.
Italia
Esempi
Nel 1996, c’erano non meno di 5 referendum nazionali (tra
cui 4 lo stesso giorno). La vendita di terre arabili fu approvata dal 52% degli elettori ; il 79,6% votò in favore di un
compenso finanziario cittadini che avevano perso proprietà
sotto il comunismo; il 78,7% votò per ridurre il numero dei
seggi nel Parlamento da 140 a 111 ; il 77,3% votò per indire
elezioni parlamentari ogni quattro anni, la seconda domenica di marzo ; e il 76,9% approvò una misura mediante
cui almeno la metà del bilancio annuale fosse dedicata alla
politica sociale. Nel 2003, il 92,0% dei votanti accettarono
l’adesione all’UE.
Dal 1970, l’Italia ha avuto un referendum correttivo obbligatorio e questo viene utilizzato in abbondanza. Dopo la
Svizzera ed il Liechtenstein, l’Italia accumula l’esperienza
più considerevole di democrazia diretta in Europa. Il referendum correttivo permette ai cittadini di sottoporre una
legge approvata dal Parlamento, o una parte di questa, alla
votazione popolare. La soglia di firme da raccogliere è relativamente basso 500 000 (ossia il 1% degli elettori iscritti) e
firme possono essere raccolte per le strade. Inoltre, cinque
governi regionali possono costringere insieme alla votazione popolare. Il problema maggiore del referendum italiano
rimane il quorum partecipativo richiesto che è assai elevato:
una legge è solo rigettata se ci sia una maggioranza contro
essa, allo stesso tempo, tal maggioranza deve rappresentare il 50% di tutti gli elettori iscritti. Per questa regola, non
meno di 20 tra i 42 referendum nazionali italiani tenutisi
dal 1990 alla fine del 2003, furono dichiarati invalidi. Inoltre, un certo numero di argomenti ne sono esclusi, quali
imposte, bilancio, Trattati internazionali. La Corte costituzionale dispone di una libertà cospicua per interpretare di-
Norvegia
La Costituzione norvegese data al 1814 e non provvede a
nessuna forma di democrazia diretta. Però il Parlamento (lo
« Storting ») può indire un plebiscito facoltativo. Dal 1905,
sei pleblisciti nazionali sono stati così realizzati. C’è anche
una tradizione importante del plebiscito al livello municipale, dove 500 di essi hanno avuto luogo dal 1972. Nel
69
2003, il Parlamento introdusse il referendum d’iniziativa
popolare al livello municipale. Ciò permise a 300 cittadini
di proporre un tema specifico alla votazione popolare.
Il Parlamento scozzese ha introdotto un sistema di petizione pubblica nel 1999. All’incirca 1000 petizioni vennero
presentate a questa data (marzo 2006). Nel febbraio 2004,
un sistema rivoluzionario di petizione-on line, comprendente la raccolta-on line di firme, fu lanciato. Nel suo primo
anno ricevé 90 petizioni.
Esempi
Nel 1972, l’adesione alla Comunità Europea fu rigettata dal
53,3% dei votanti ; nel 1994, ci fu una nuova votazione sullo
stesso soggetto con un risultato simile : il 52,2% di nuovo.
Esempi
Nel 1973, ci fu il plebiscito sull’Irlanda del Nord : il 98,9%
degli elettori votò a favore del mantenimento nel Regno
Unito (plebiscito boicottato dai Cattolici romani dell’Irlanda del Nord). Nel1975, l’adesione alla Comunità Europea
fu approvata con una maggioranza del 67,2%. Negli anni
1979 e 1997, plebisciti vennero indetti a proposito delle
devoluzioni scozzese e gallese. Nel 1997, il plebiscito fece
approvare un Parlamento separato per la Scozia ed un’Assemblea per il Galles. Si concesse Assemblea propria nel
1998 all’Irlanda del Nord come parte del plebiscito sull’accordo del « Good Friday ». Ci furono 33 referendum locali
per eleggere direttamente i sindaci e nel 2005, un plebiscito
locale ad Edimburgo sull’introduzione di un’accusa di sovrappopolazione (il 74% di « NO »). Il Primo Ministro Tony
Blair promise che il Trattato sulla Costituzione europea e
l’Euro sarebbero stati adottati solo se venissero approvati
mediante referendum (plebiscito).
Paesi Bassi
In seno all’Europa, i Paesi Bassi hanno probabilmente la
minore esperienza del referendum. La Costituzione – assai difficilmente emendabile – non consente delle votazioni popolari obbligatorie. Al livello municipale, però, alcuni
125 referendum facoltativi sono stati indetti dal 1972 – la
maggioranza di essi essendo plebisciti. Per gli anni ‘90,
un certo numero di municipi introdussero il referendum
correttivo d’iniziativa popolare. Nella capitale, Amsterdam,
sette referendum hanno già avuto luogo dal 1992. Sotto la
pressione dell’opinione pubblica, sempre più partiti politici sono oramai in favore all’introduzione del referendum
correttivo in base al modello italiano. Ma questo esige una
modifica della Costituzione, la quale fallì per un pelo nel
1999. In seguito al referendum sul Trattato costituzionale
europeo questa verrà tentata di nuovo.
Slovacchia
Esempio
Nel 2005 ebbe luogo il primo plebiscito nazionale dal 1815.
Con una partecipazione del 63,3%, il disegno di Trattato
costituzionale per l’Europa venne rigettato dal 61,5% dei
votanti.
Questo paese dispone di sette strumenti di democrazia diretta. Con 350 000 firme, i cittadini possono lanciare sia un
referendum facoltativo, sia un’iniziativa popolare. I diritti
fondamentali del cittadino, tasse, bilancio e le imposte ne
sono esclusi. L’accesso a un’associazione internazionale di
Stati è assoggettato al risultato di un referendum obbligatorio. Governo e Parlamento possono anche indire un plebiscito sul tema a loro scelta. Ce ne furono nove di questo
tipô dal 1994. Il quorum partecipativo elevato del 50% dei
votanti provoca spesso il fallimento dei referendum. Quello
d’accesso all’UE, nel 2003, fu altamente criticato per essere
stato scorretto.
Polonia
La Costituzione polacca, adottata mediante un plebiscito
nel 1997, non include il referendum d’iniziativa popolare.
Ma il paese adopera effettivamente il procedimento plebiscitario e questo viene regolarmente utilizzato. I plebisciti
sono convalidati a patto che il 50% degli elettori vi partecipi.
Dal 1996, sette sono stati indetti, i cui ultimi due furono
obbligatori.
Esempio
Nel 1998, il 84,3% votò contro la privatizzazione « d’industrie strategiche », in particolare compagnie d’elettricità. Nel
2000, il 95,1% approvò l’accesso all’UE. Nel 200, il 84,6%
votò ancora in favore di elezioni « telecomandate ».
Esempi
Nel 1996, la stesso giorno, non meno di 5 plebisciti ebbero
luogo. Le votazioni concernevano tre disegni sulla privatizzazione (tutti rifiutati : i 92,2%, 91,3%, e 76,8% dei votanti)
e due proposte sulla pensione (entrambi rigettati dal 95,1%
e il 96,6% dei votanti). Nel 2003, l’adesione all’UE fu approvata col 77,5% dei voti.
Svezia
Come in Francia, il governo svedese utilizza il plebiscito.
Mentre in Francia è il Presidente a governare (soprattutto
adesso, novembre 2007, ndt), in Svezia à il Partito Social
Democratico che domina il paese da molti anni. Dal 1945,
furono indetti cinque di quei plebisciti. I plebisciti divengono obbligatori solo in certune circostanze. Al livello locale
c’è solo il diritto di presentare un argomento all’ordine del
giorno.
Regno Unito
IlL Regno Unito non ha nessuna Costituzione redatta – le « regole del gioco politico » sono contenute nei tre convenzioni e « understandings ». Storicamente, si ebbe il timore che
una Costituzione formale potesse sfidare il Parlamento nel
suo rivendicare la sovranità e quindi limitare i suoi poteri.
Negli ultimi anni, il ruolo del parlamento andò indebolendosi significativamente nei confronti del governo. Non c’è
referendum d’iniziativa popolare, ma il governo in verità ha
talvolta indetto plebisciti. Al livello municipale, c’è n’è uno,
che permette ai cittadini di scegliere d’eleggere direttamente
il sindaco e fu introdotto mediante il Local Government Act
(2000).
Esempi
Nel 1980, un plebiscito con tre scelte venne indetto sulla politica nucleare. L’opzione mediana – costruzione di 12 centrali nucleari che sarebbero state sostituite dopo 25 anni da
fonti energetiche alternative – ricevette la maggioranza dei
voti (il 40,5%). Nel 1994, il 52,9% si votò l’accesso nell’UE.
Nel 2003 il 55,9% si votò contro l’introduzione dell’euro.
70
6. Possibili obiezioni sollevate contro la Democrazia Diretta
Le seguenti obiezioni vengono spesso sollevate contro la democrazia diretta:
l) Finalmente in certuno Stato, quale il Belgio, si viene a
pretendere che il referendum minacci perfino l’unità
stessa del paese.
a) L’incompetenza: in una società moderna, i problemi
sono assai troppo complessi per consentire ponderatamente una presa decisionale e venir abbandonati all’uomo della strada.
Questo capitolo tratta quelle questioni una dopo l’altra. C’è
una nota che si impone in anticipo, però: pur valutando talune obiezioni, la democrazia diretta va sempre paragonata al
sistema puramente rappresentativo e non a un ideale astratto
impossibile. Sicché molte obiezioni sollevate contro la democrazia diretta lo sono anche, per dire il vero, contro la democrazia in quanto tale. Inoltre, le obiezioni vanno esaminate
nei confronti delle pratiche vigenti, in cui le forme di democrazia diretta sono sempre state messe in opera da un secolo
e più (specialmente in Svizzera e in alcuni Stati americani),
in quanto quegli ultimi anni, molte ricerche empiriche sono
state condotte in questo campo, le quali sono coincidenti con
tutti gli aspetti della democrazia diretta.
b) La mancanza di senso di responsabilità: tutti considerano solo l’interesse proprio. Ad esempio, si verrebbe ad
abolire ogni imposta senza realizzare le conseguenze
di tale misura, ovvero si richiederebbero più spese da
parte dal governo, il che farebbe fallire il bilancio. Si può
sempre domandare agli uomini politici di assumere
le responsabilità delle loro decisioni, ma nessuno può
assumere quella della decisione referendaria.
c) Il pericolo che incombe sulle minoranze: la democrazia diretta sarebbe un modo di approvare decisioni che
violassero i Diritti dell’Uomo e libertà fondamentali. Tale
minaccia peserebbe particolarmente sulle minoranze.
a) L’incompetenza
Quest’argomento rigetta la democrazia diretta in quanto gli
elettori non vengono considerati competenti per formare
un’opinione ponderata. Tal argomento possiede una storia
poco simpatica: venne in effetti utilizzato contro il suffragio
universale, contro il diritto di voto per le donne, e contro il
diritto di voto dei Neri nell’Africa del Sud.
d) In connessione col punto precedente: nella democrazia
diretta, demagoghi hanno intera libertà per lanciare
proposte rozzamente populistiche.
e) Il potere del denaro: gli « interessi particolari », ben dotati finanziariamente, dominano il dibattito e utilizzano i
referendum ai propri scopi.
Nel 1893, il politico cattolico belga De Neef, s’oppose al diritto di voto universale invocando l’argomento d’incompetenza:
« Coloro che domandano il diritto di voto devono, naturalmente, provare ugualmente che siano competenti per esercitare la funzione che richiedono. Gente sfortunata – che è
stata incapace acquisire un’educazione elementare, che sono
state incapaci di elevarsi al di sopra delle loro condizioni di
vita più primitive – hanno ciononostante il diritto di decidere
qualcosa per altra gente, e di votare sui questioni più serie
del paese? In realtà, il suffragio universale conduce alla regola del più intrallazzatore, in quanto quelli che sono incapaci
discriminare diventeranno totalmente dipendenti dai maneggioni operanti. » (Coenen e Lewin, 1997, p.84). Nel 1919,
il con lega suo nel Parlamento, il socialista Hubin, usò anche
l’argomento « d’incompetenza » per opporsi questa volta al
diritto di voto per le donne. É interessante constatare che in
questo momento, gli uomini della classe media operaia, avessero acquisito la competenza necessaria. « Il diritto di votare
è un’arma pericolosa. Niente è di più gran valore che tal arma
per le classi organizzate e educate, anche consce dei diritti e
delle loro responsabilità. Però, ve lo domando, accordereste
tale diritto ad una persona che non sarebbe preparata per
utilizzarlo? » (Coenen e Lewis, 1997, p.95).
f) L’assenza di ogni possibilità d’affinare e di qualificare le
domande poste: gli elettori possono spesso dire soltanto
« SÌ » o « NO » ad una proposta referendaria: non c’è opportunità di avere una differenziazione più fine e sottile.
Inoltre con i referendum, c’è il problema del nesso, o del
collegamento: ogni sorta di temi che concernono non
direttamente il soggetto reale del referendum, giocano
un ruolo nelle decisioni degli elettori.
g) Il conflitto con la democrazia rappresentativa: il Parlamento viene screditato dai referendum e il primato della
sfera politica « ufficiale » viene minato.
h) La saturazione degli elettori: questi non vogliono affatto
referendum; vogliono che li si lasci in pace e che non li si
obblighi ad andare a votare.
i) La manipolazione sul modo in cui la proposta viene
presentata: questa può venire testualmente indirizzata in
modo da fuorviare gli elettori verso una votazione contraria alle proprie convinzioni reali.
j) Il conservatorismo: il referendum garantisce il blocco
dei rinnovamenti essenziali, in quanto la gente tende
a votare per mantenere lo status quo. Altri pretendono
esattamente il contrario, cioè che gli attivisti entusiasti
possano impossessarsi della democrazia per il proprio
conto tramite il referendum, in quanto la maggioranza
silenziosa non prende mai parte ai referendum.
In pratica, ogni volta il gruppo mirato finì col aver il diritto di
voto, l’argomento si è dunque verificato completamente falso.
La stessa cosa s’applica anche adesso per la presa decisionale
in democrazia diretta: la pratica svizzera dimostra che l’argomento non sia valido neanche in questo contesto. La Svizzera
è chiaramente uno tra i paesi meglio governati d’Europa, con
un esecutivo molto ridotto, servizi pubblici efficienti e un’economia al di sopra della media che funziona benissimo.
k) I referendum non sono necessari, in quanto ci sono
modi migliori perché il popolo discuta e dibatta questioni politiche.
L’argomento fallisce per parecchie ragioni: la moralità è
sempre la chiave delle decisioni politiche, ora una decisio71
ne morale è sempre personale. Nessuno può prendere una
decisione morale per altri ed ogni persona responsabile è,
per definizione, capace prendere una decisione morale. « Gli
elettori non hanno bisogno di avere una conoscenza dettagliata delle questioni, ma di sapere quali sono le principali
questioni che sono in gioco. Quelle, tuttavia, non sono di
natura tecnica, ma implicano decisioni basilari (ad esempio
giudizi di valore), per cui ogni elettore è del tutto tanto qualificato quanto un politico. » (Frey e Bohnet, 1994, p.156).
Include l’argomento d’incompetenza, dunque, la doppia supposizione nascosta che i rappresentanti eletti siano in realtà
competenti, e che abbiano a cuore l’interesse pubblico. « Le
critiche alla legislazione diretta hanno spesso in mente uno
stato del legislatore che sfiora il mito: ossia, allo stesso tempo,
altamente intelligente con la competenza di capi d’impresa e
di professori d’Università. Le stesse critiche tendono a vedere
invece il popolo quale plebaglia, poco degna di fiducia. Contuttociò, le persone, o quella sedicente plebaglia, sono le stesse che eleggono i legislatori. Come mai va bene che possano
scegliere tra buoni e cattivi candidati, ma non possano farlo
tra buone e cattive leggi? » (Cronin, 1989, p.87).
In questo contesto non si deve dimenticare ciò che la vita
esige dalla gente d’oggi. Si assume (a buon diritto!) che nelle
circostanze normali, la gente sia autonoma e viva in una società che si evolve rapidamente ed è competitiva. A scuola, al
lavoro e negli altri aspetti della vita quotidiana, s’incontrano
di continuo delle difficoltà, a una scala relativamente ridotta,
che sono anch’esse all’ordine del giorno nella sfera politica
più ampia. É solo logico, dato che la politica, idealmente, sta
trattando realmente di problemi incontrati dalla gente nella
sua vita di ogni giorno.
Insomma, sta di fatto che la « conoscenza sociale » del cittadino sta accrescendosi in funzione del partecipare ai referendum. Benz e Stutzer (2004) hanno analizzato ciò paragonando la Svizzera con l’Unione Europea, in cui certuni paesi
hanno avuto un referendum sull’integrazione europea ed altri no. Durante il periodo investigato, sette tra gli stati dell’UE
avevano indetto un referendum sull’integrazione europea:
Danimarca, Irlanda, Francia, Austria, Svezia, Finlandia e
Norvegia. Nello stesso periodo non ci fu referendum negli
altri otto (allora c’erano solo 15 paesi nell’UE). Gli abitanti
dei paesi dove c’erano stati referendum apparvero rispondere meglio alle dieci domande generali sull’UE di quelli provenienti da paesi dove non c’era stato nessuno referendum:
l’effetto fu proporzionale a quello della differenza segnata tra
gente con redditi medi e gente con redditi bassi. In Svizzera,
Benz e Stutzer presero un indice del grado di democrazia diretta al livello cantonale (il quale, come stabilito precedentemente, differisce considerevolmente da un cantone all’altro),
e lo paragonarono con le risposte dei cittadini svizzeri a tre
domande poste sulla politica generale svizzera. Anche qui,
gli Svizzeri che vivevano in cantoni dotati di democrazia diretta si verificarono avere assai più conoscenze degli Svizzeri
che vivevano in cantoni che dispongono piuttosto del sistema rappresentativo. L’impatto era esattamente grande come
la differenza tra membri dei partiti politici e i non-membri, o
quella esistente tra classe di reddito 5000 e classe di reddito
9000 franchi svizzeri.
Facendo la scelta loro, cittadini utilizzano normalmente
« compendi d’informazione », come opinioni del loro prossimo e delle « autorità genuine » in cui hanno fiducia: ad
esempio, raccomandazioni di voto da parte dei partiti politici ed organizzazioni politiche, informazioni date dai mass
media e dagli esperti, ecc.. In Svizzera, le raccomandazioni di voto provenienti da numerose organizzazioni (partiti
politici, associazioni professioniste e gruppi di pressione,
ecc.) sono incluse nei documenti informativi referendari.
A questo proposito, i membri del Parlamento fanno alcuni compendi: devono in effetti prendere decisioni a proposito di tante leggi e di tanti regolamenti che non è frequentemente possibile per loro studiare essi stessi tutte le
fonti informative relative (ciò divenne anche palese quandoun’investigazione rivelò che i membri del Parlamento
neerlandese leggessero solo un quarto di tutti i memorandum che avrebbero dovuto leggere: secondo il giornale
neerlandese NRC Handelsblad, il 28 febbraio 1997), sicché
hanno regolarmente ricorso ai « compendi ». Lupia (1994)
ha dimostrato che l’utilizzazione di « compendi » informativi dai cittadini nei referendum non ha troppo effetto sulla
decisione ultima. Nella sua analisi delle iniziative cittadine
californiane del 1990, sorse che vi era solo una differenza
del 3% nel comportamento di voto tra il gruppo d’elettori
bene informati e quello che basavano il loro voto su compendi d’informazione.
b) La mancanza del senso di responsabilità
Secondo quest’argomento, la gente approverebbe ciò che
giova ai propri interessi, dando così prova di una mancanza
di responsabilità per l’intera comunità o la società, con conseguenze distruttrici. Ad esempio, questa gente voterà per
cancellare le imposte mentre vorrà aumentare nello stesso
tempo le spese pubbliche.
Inoltre, l’argomento non può selettivamente venir invocato
contro la democrazia diretta: per dire il vero, è un argomento contro la democrazia stessa. Se i cittadini non saranno
competenti per decidere su temi specifici, a fortiori non lo saranno certamente neanche per eleggere gente che prenderà
buone decisioni. Per essere in grado d’eleggere qualcuno che
prenda buone decisioni, dopotutto, non si deve solo essere
competenti per fare la differenza tra decisioni buone e quelle
cattive, ma lo si deve essere anche per giudicare del merito di
fiducia e dell’integrità morale ed intellettuale dei candidati,
ovvero esserlo inoltre per discernere l’ordine del giorno nascosto dei partiti politici. « Non si sa molto bene perché si da
fiducia ai cittadini, dato che sono capaci scegliere tra partiti e
politici nelle elezioni, ma per quale ragione non si gliela dia
nelle elezioni referendarie. Sarebbe tuttavia la prima scelta
a risultare più difficile, siccome gli elettori devono formarsi
aspettative sulle azioni future degli uomini politici. » (Frey e
Bohnet, 1994, p.157).
In realtà, in una prospettiva finanziaria, cittadini sono più
responsabili dei politici. I vasti debiti pubblici che esistono
adesso nel più dei paesi occidentali, ad esempio, sono stati
contratti contro la volontà popolare. Indagini, condotte su parecchie generazioni in Germania e negli Stati Uniti, provano
che una maggioranza stabile dei due terzi della popolazione è
favorevole a un bilancio governativo che rimanga equilibrato
perfino a breve termine (« Bilancio equilibrato », von Weizäcker, 1992). Pertanto, l’accumulo di una montagna di debiti è
il risultato di una politica contraria al desiderio della maggioranza della gente. Questa è reticente sul venir oberata di misure che sarebbero necessarie per ridurre questa montagna di
debiti (Blinder e Bagwell, 1988 ; Tabellini e Alesina, 1990).
72
L’investigazione mostrò che l’accumulo di un deficit governativo è strettamente collegato all’allineamento del partito politico in un paese. Ci sono qui alcune osservazioni empiriche :
•quanto più la polarizzazione è importante in seno a una
coalizione di parecchi partiti, tanto più c’è una tendenza à
peggiorare il debito ;
•tanto più è probabile che un governo perda le prossime elezioni, quanto più forte è la tendenza a peggiorare il passivo ;
•tanto più breve la media del mandato governativo, quanto
più aumenta il debito ;
•più ci sono partner nel governo di coalizione, più è forte la
tendenza a aumentare il deficit.
campo del bilancio, anche se quello dei secondi sia già considerevole. Scoprirono che la disponibilità di ricorso ai referendum obbligatori sul bilancio comportava una forte riduzione
del deficit di bilancio. Kiewitz e Szakali (1996) avevano concluso in modo similare in precedenza per gli Stati Uniti.
Inoltre, non è certamente vero affermare che quando si trattano di questioni d’imposta, i cittadini, per definizione, scelgano imposte più basse ! Piper (2001) ha anche compilato un
inventario di tutte le iniziative cittadine riguardanti imposte
negli Stati Uniti dal 1978 al 1999 ; negli USA i referendum
facoltativi non hanno nessun ruolo significativo. Ci furono
130 iniziative cittadine sulle imposte, tra cui 88 domandavano una riduzione d’imposta, 27 un aumento d’imposta,
mentre 17 rimasero neutrali su questo punto. Tra le iniziative cittadine in favore a una riduzione delle imposte, il 48%
venne approvato, ossia meno della metà. Tra quelle che domandavano, invece, un aumento delle imposte, per il 39%
venne approvato. La differenza tra entrambe queste ultime
è dunque debole, e le percentuali si trovano all’incirca della media d’esito positivo delle iniziative cittadine negli Stati
Uniti, la quale è del 41% in Svizzera. D’altronde, in Svizzera
gli elettori approvano regolarmente gli aumenti d’imposte
necessari. Nel 1993, una tassa supplementare sulla benzina
di 0,2 franco svizzero al litro (all’incirca 0,14 euro) venne
approvata dopo un altro aumento precedente, nel 1983, che
fu ugualmente approvato mediante il referendum. Nel 1984,
nuove tasse vennero anche approvate nello stesso modo per
le autostrade e l’utilizzazione dei camion.
(Cfr. Roubini e Sachs, la cui ricerca concerneva paesi dell’OCSE (Organizzazione di Cooperazione e di Sviluppo Economico) durante il periodo estendentesi dal 1960 al 1985 ; altri
riferimenti da Weizäcker, 1992).
Tali osservazioni dimostrano che il pensare a breve scadenza
dell’élite politica gioca un ruolo centrale nell’accrescimento
del deficit nazionale : contrarre un debito per comprare voti,
per dire così. Von Weizäcker (1992) argomenta inoltre a favore della messa in opera del referendum d’obbligo prima che
il debito nazionale sia contratto.
Come abbiamo già dimostrato nel capitolo quinto, Feld e
Matsusaka (2003) hanno studiato in che modo gli elettori
decidono nei referendum sulla spesa pubblica in Svizzera.
In molti cantoni, la spesa pubblica viene sottoposta a un « referendum d’obbligo sulle finanze ». Ogni spesa singolare del
settore pubblico, al di là di una certa somma (la media sta
all’incirca dei 2,5 milioni di franchi svizzeri), va isolatamente
approvata mediante il referendum. Feld e Matsusaka hanno
scoperto che i Cantoni dotati di questo tipo di referendum
hanno speso il 19% meno di quelli che sono sprovvisti di
questo strumento referendario (le cifre si riferiscono al periodo dal 1980 al 1998).
La California viene assai spesso citata come riferimento essendo tipicamente il luogo in cui cittadini abbiano preso decisioni irresponsabili tramite il referendum. Si è preteso, ad
esempio, che le iniziative cittadine avessero determinato in
tanta parte il bilancio californiano ed avessero bloccato allo
stesso tempo ogni possibilità di introdurre nuove tasse, al
punto che gli uomini politici avrebbero finito per non disporre di un margine di manovra sufficiente. Matsusaka (2005)
ha studiato tale affermazione e ha concluso che dopo quasi
un secolo di democrazia diretta, il 68% del bilancio californiano era stato quasi interamente determinato dal sistema
rappresentativo e che la possibilità d’introdurre nuove imposte non era stata mai del tutto ristretta.
Matsusaka ritrovò lo stesso effetto per gli Stati americani,
analizzando sistematicamente tutti i dati accessibili per la totalità del Novecento. Gli stati muniti dell’iniziativa cittadina
appaiono spendere il 4% meno al livello statale di quelli che
non lo sono. Inoltre, sembra che più è facile lanciare un’iniziativa cittadina, più l’impatto è importante : negli stati dove
la soglia delle firme è più bassa, la spesa pubblica era del 7%
minore di quelli senza l’iniziativa, allorché l’impatto negli
stati a soglie elevate rasenta lo zero. Al livello locale, l’iniziativa cittadina conduce ad una spesa più importante, ma in
genere, l’effetto netto rimane un calare della spesa pubblica
(Matsusaka, 2004, pp.33-35).
Malgrado la pesante responsabilità dei politici nella cattiva
situazione finanziaria della maggioranza degli Stati occidentali (ciò che risulta dalla discussione qui sopra), i politici riuscirono ancora ad invertire i ruoli. Il senatore belga, Hugo
Vandenberghe difese la sua posizione contro il referendum
in quei termini : « Il popolo non deve prendersi la responsabilità delle sue decisioni. Può perfettamente decidere di
buttare via l’imposizione e, due settimane dopo, aumentare i
versamenti degli assegni mutualistici. » (il giornale belga De
Standaard, del 19 dicembre 1992). La verità è esattamente
l’opposto : in fin dei conti, è sempre il popolo da pagare il
conto per lo sviamento di bilancio, in forma d’accrescimento
delle imposte e del peggioramento dei servizi pubblici, ecc..
I singoli politici, nei sistemi rappresentativi, che sono i soli
a decidere del livello fiscale e del deficit nazionale, non assumono mai personalmente, naturalmente, le conseguenze
delle loro decisioni. Non hanno mai restituito un solo centesimo della spesa che i cittadini non avevano mai domandato e che conduce al passivo del bilancio nazionale. Dopo lo
scadere del mandato – essendo all’occorrenza ricompensati
da un premio grosso o da un assegno generoso – riprendono
agevolmente il loro job, nel loro partito politico (In Francia,
talvolta si presentano alle elezioni senatoriali per « andare in
La democrazia diretta porta anche a imposte più basse. Se
il referendum d’iniziativa cittadina fosse disponibile in un
dato Stato, questo porterebbe ad una riduzione d’imposta di
534 $ per una famiglia di quattro persone, ciò che corrisponde pressappoco al 4% dell’introito pubblico. La differenza è
significativa, ma non drammatica in valore assoluto e non
si può dire, in base a questo solo dato, che lo Stato diventi
ingestibile (Matsusaka, 2004, pp.33-35).
Di conseguenza, sebbene decrescano contemporaneamente
spesa pubblica e imposta, l’effetto netto rimane il calo dei
deficit di bilancio. Feld e Kirschgässener (1999) hanno esaminato l’effetto del referendum obbligatorio sui bilanci nelle
131 delle più grandi città e municipi svizzeri. Scelsero di paragonare piuttosto municipi che cantoni, in quanto i primi
dispongono perfino di più grande margine di manovra nel
73
pensione » tranquillamente, ndt). In seguito, possono addurre argomenti che sembrano di essere plausibili per spiegare
le loro decisioni, ma il male è stato già fatto, senza nessuna
garanzia che i loro successori facciano meglio di essi.
gli abitanti della California evidenziò una ampia maggioranza
per la creazione di democrazia diretta in tutti i gruppi etnici.
Nel 1997, il 76,9% dei Asiatici, il 56,9% dei Neri, il 72% degli
Ispanici e il 72,6 % dei Bianchi, consideravano la democrazia
diretta californiana una buona « cosa », mentre la proporzione di quelli che pensavano che fosse una « cattiva cosa » era
più elevata tra i Bianchi (il 11,5%) e più debole tra gli Asiatici
(solamente il 1,9%) (Matsusaka, 2004, p.118).
Infatti, il senatore Vandenberghe attira l’attenzione su un argomento chiave in favore della democrazia diretta, in quanto
il popolo deve sempre assumere le conseguenze delle decisioni di bilancio e d’imposta, è del tutto logico che il popola
abbia, esso stesso, l’ultima parola su queste decisioni !
La ricerca empirica rivela che se i referendum vengono indetti sui diritti delle minoranze, - risultano principalmente
in favore a questi diritti. Frey e Goette (1998) scelsero, quale
criteri di partenza, i diritti civili dalla dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e la Convenzione Internazionale sui Diritti
Economici, per esaminare tutti i referendum svizzeri sui diritti delle minoranze nel periodo che si estese dal 1970 al
1996 al livello federale, poi nel Cantone di Zurigo e infine
nel municipio di Zurigo. In più di due terzi dei casi (il 70%),
il risultato fu in favore dei diritti delle minoranze. Al livello
federale tale sostegno era perfino più alto fino a raggiungere
il 80%. Apparve così il fatto che referendum che minacciano
i diritti delle minoranze, hanno assai meno chances di venir
accettati di quelli su altri temi. Delle iniziative cittadine, al
livello federale, ne è approvato il 10% in media ; sulle 11 iniziative (dal 1891 al 1996), che tentarono ridurre i diritti delle minoranze, nessuna poté vincere. In compenso, i gruppi
minoritari riportano frequentemente il loro referendum. in
media, il 50% di quelli obbligatori è adottato. Sugli 11 referendum obbligatori che sostennero i diritti della minoranze
(1866 al 1996), non meno del 73% venne adottato. Una volta
di più, in media, il 63% dei referendum facoltativi (dal 1866
al 1996) venne accettato. Entrambi i referendum facoltativi
(dal 1866 al 1996) che sostennero i diritti delle minoranze
furono tutti e due accettati.
c) Minacce sulle minoranze
Secondo quest’argomento, la democrazia diretta diverrebbe
un’arma nelle mani delle maggioranze per opprimere le minoranze ed instaurare una dittatura.
É di nuovo un argomento contro la democrazia stessa – ovvero, per dirla tutta, contro ogni sistema politico che autorizzi
una libertà di scelta – e non specificatamente contro la democrazia diretta. Un regime parlamentare può allo stesso modo
mancare ai suoi doveri nei riguardi delle minoranze, o stabilire perfino una dittatura. La presa del potere dai nazisti, nel
1933, è un buon esempio dell’instaurazione di una dittatura
mediante la via parlamentare. Il Parlamento tedesco, non
solo ha eletto Hitler al posto di cancelliere nel 1933, ma gli ha
anche concesso i pieni poteri tramite la « Ermächtigungsgesetz », proprio mentre i nazisti rappresentavano meno della
metà dell’elettorato durante tutte le elezioni tenuto fino ad
oggi. Una forma di democrazia diretta limitata esisteva anche in Germania a quell’epoca, ma è il sistema parlamentare
da aver introdotto la dittatura (si vede 6-1).
In linea di massima, una democrazia diretta offre, per dire
il vero, più opportunità per le minoranze di avere un effetto
di quanto non possa offrire il sistema rappresentativo. « In
una democrazia diretta, ci sono questioni diverse all’ordine
del giorno e ogni volta la coalizione che forma la maggioranza viene costituita di un modo differente. Una volta, voi
fate parte della maggioranza, un’altra, della minoranza. E in
una democrazia diretta, minoranze hanno più opportunità
di porre questioni all’ordine del giorno. Se [in Svizzera] esse
raccolgono 100 000 firme, una votazione viene indetta sulla
questione. Poi, i loro oppositori devono spiegare precisamente per quali ragioni essi sono contro la proposta. Attraverso
questo processo, nuove idee possono essere acquisite e opinioni possono cambiare. La democrazia diretta è più che una
semplice vista d’insieme. Fornisce mezzi dinamici mediante cui le minoranze hanno la possibilità di diventare maggioranze. In un sistema puramente rappresentativo, d’altra
parte, i singoli partiti si oppongono vicendevolmente. Se voi
state nei ranghi e raggiungete un partito dell’opposizione,
infatti non avete più nessuna voce effettiva, in quanto i partiti
della coalizione governativa dispongono della maggioranza
permanente nel Parlamento e, in linea di massima, possono
ottenere tutto quanto vogliono », secondo il membro del Parlamento sivizzero Andi Gross (2000).
Il 24 settembre 2000, il Volkskrant, probabilmente il giornale
più influente nei Paesi Bassi, pubblicò un articolo critico e
tendenzioso sul referendum d’iniziativa cittadina che avrebbe
avuto aver luogo il giorno dopo in Svizzera. Questo mirava a
limitare il numero degli stranieri che si recano in Svizzera, il
quale fu sempre molto elevato (all’incirca del 20%), dovuto
alla viva tradizione umanitaria svizzera e all’economia prospera del paese. Il giornale suggeriva che questo tipo di proposta
fosse socialmente inaccettabile in seno alla democrazia diretta svizzera ne concludeva quindi che tale referendum rappresentasse una violazione dei Diritti dell’Uomo. Dimenticava di
precisare che la Svizzera avesse già votato precedentemente
a sei riprese sulle stesse proposte in democrazia diretta e che
queste fossero state tutte rigettate, con una gran maggioranza, in genere. Quando, il giorno dopo l’uscita dell’articolo sul
Volkskrant, questa ultima proposta venne ugualmente rigettata patendo perfino la stessa sorte delle altre, il giornale olandese rimase silenzioso su questo argomento.
Per gli Stati Uniti, la studiosa di scienze politiche Gamble
(1997) tentò di provare che i referendum sui diritti delle minoranze produssero sovente risultati negativi per questi diritti. Le sue conclusioni vennero però assai criticate dai suoi colleghi (tra cui Donovan e Bowler, 1998 ; e Matsusaka, 2004).
Primariamente, Gamble non aveva sistematicamente esaminato una serie di referendum lungo un periodo determinato,
ma lei basava le sue conclusioni sui racconti dai mass media
e d’altre fonti soggettive. Pertanto, la sua serie di dati non
era stata randomizzata. Ne risultarono ovviamente distorte,
in quanto i mass media sono piuttosto inclini a riferire casi
sensazionali. Secondariamente, Gamble non aveva fatto nessuna distinzione tra referendum nei piccoli municipi e quelli
Non per nulla, quando vengono interrogate direttamente,
le minoranze s’includono sempre nella maggioranza che si
pronuncia in favore alla democrazia diretta. Uno studio dettagliato di Rasmunssen, nel 1999 tra i Texani, provò che il 72%
dei Neri e il 86% degli Ispanofoni erano in favore della democrazia diretta, cifre da paragonare al 69% dei Bianchi (www.
initiativefortexas.org/whowants.htm). Indagini realizzate
da Field, in tre momenti differenti (1979, 1982 e 1997), tra
74
dello Stato federale. Quando Donovan e Wowler analizzarono
a volta loro questi dati, apparve che il grado della sedicente
violazione dei diritti delle minoranze fosse molto più dipendente dalle dimensioni dell’unità politica considerata (piccoli
municipi in opposizione alle grande città) che dall’iniziativa
cittadina stessa. Non c’era nessuna differenza con i risultati
in un sistema rappresentativo. Insomma, Gamble aveva arbitrariamente caratterizzato diverse iniziative cittadine come
se esse fossero esempi illustranti la « tirannia dalla maggioranza » – come quella proposta d’imporre l’inglese quale
lingua ufficiale della California, o quella di forzare la gente
riconosciuta colpevole di reati sessuali gravi a sottoporsi a un
test AIDS obbligatorio. Questo si risulterebbe piuttosto da
un punto di vista personale. Sarebbe veramente tanto strano
avere l’inglese quale lingua ufficiale in uno Stato americano ?
E Dobbiamo considerare questo un diritto per qualcuno di
venir autorizzato a violentare una persona senza dover subire
dopo un test di diagnosi dell’AIDS ?
stata piuttosto diversa di quella degli anni ‘90, divenne ovvio
in merito alla legge matrimoniale, ad esempio. Fin al 1976,
le donne belghe dovevano giurare obbedienza al loro marito
quando si sposavano. Solo quest’anno il sistema puramente
rappresentativo belga fornì disposizioni legali uguali per entrambi gli sposi nel senso stesso del cambiamento sociale.
Negli Stati Uniti, la democrazia diretta precedé quella rappresentativa in merito al diritto di voto per le donne. Le iniziative cittadine dell’inizio del Novecento concessero alle donne
il diritto di votare per la prima volta nel Colorado e nell’Oregon. L’Arizona seguì un po’ più tardi, poi il Wyoming, dove
il referendum di rinnovamento costituzionale provvedeva il
diritto di votare per le donne. Tutti questi tentativi fruttuosi erano stati preceduti da una serie di fallimenti, non solo
nell’Oregon o nel Colorado, ma anche nel Missouri, Nebraska ed Ohio. Negli Stati Uniti, le iniziative cittadine erano
utilizzate al livello dello Stato, per forzare la questione del
diritto di voto per le donne e soltanto in seguito la Costituzione Federale venne emendata in questo senso, solo nel
1920 (Cronin, 1989, p.97). Fatto sta che gli oppositori alla
democrazia diretta menzionano di solito il diritto di voto tardivamente concesso alle donne in Svizzera, e, per dirla tutta,
rimangono zitti sugli esempi contrari in America, quello che
illustra quanto le loro scelte degli esempi siano selettive.
I bianchi sono ancora il più grande gruppo etnico della California, quasi il 50%. Altri gruppi importanti sono i Neri, gli
Asiatici e gli Ispanici. Hajnal, Gerber e Louch (2002) studiarono in che modo le diverse popolazioni etniche della California votavano nei referendum. Osservarono non meno di
51 votazioni popolari. Apparve che la differenza nel comportamento di voto tra diversi gruppi etnici era assai scarsa : solo
in media 1% di chance in meno per i minoritari di ritrovarsi
dal lato vincitore degli elettori bianchi.
La pena di morte viene anche spesso citata in riferimento.
Si pretende che la democrazia diretta conduca all’introduzione od alla reintroduzione della pena di morte, e perciò
vada rigettata. Il carattere inaccettabile della pena di morte
viene posto così come una premessa inviolabile e, dopo, si
suppone che la democrazia diretta porti alla pena di morte :
« pertanto », la democrazia diretta va rigettata. Ma questo
carattere inaccettabile assunto non è certamente un dato, ma
deve emergere quale un valore fondamentale da un dibattito
aperto tra cittadini liberi e uguali. Chiunque argomentando
che su questo punto (o su qualsiasi punto) si vada contro la
maggioranza sta perorando una politica del ricorso alla forza
e alla dittatura. Bisogna notare che si tratti anche di un argomento contro la democrazia in quanto tale. L’introduzione
della pena di morte è pure assai possibile in un sistema puramente elettorale – pertanto stiamoper abolire le elezioni ?
Nel frattempo, qual è l’atteggiamento dei rappresentanti eletti
in merito allo Stato costituzionale ? Cronin (1989, pp.91-92)
cita lo storico Commager, il quale esaminò la lealtà da parte
delle autorità rappresentative nei riguardi delle libertà civili
e diritti delle minoranze : « Una lista di queste leggi deluderebbe certamente il più ottimistico Jeffersoniano. Leggi di
censura, leggi anti-evoluzione, leggi di saluto alla bandiera,
leggi anti-sindacali, leggi anti-socialiste, leggi anti-comuniste, leggi di sedizione e anarchia criminale, leggi d’informazione anti-contraccettiva, queste e molte altre vengono solo
troppo volentieri alla mente. La legislatura di New York si è
purgata dai socialisti; la legislatura del Massachusetts imponeva giuramenti di lealtà nei confronti degli insegnanti ; la
legislatura dell’Oregon proscriveva scuole private mentre la
legislatura del Nebraska, invece, vietava l’insegnamento della
lingua tedesca nella scuola pubblica; la legislatura del Tennessee proibiva l’insegnamento dell’evoluzione animale; la
legislatura della Pensylvania autorizzava l’obbligo di saluto
alla bandiera per gli scolari; la legislatura della Louisiana imponeva un’imposta discriminatoria sui giornali. Quest’elenco potrebbe allungarsi indefinitamente.”
Inoltre, i fatti raccontano altra storia. Ci sono due paesi in
Europa dove la popolazione potrebbe introdurre la pena di
morte mediante l’iniziativa cittadina: la Svizzera e il Liechtenstein. Eppure, non esiste la pena di morte in questi due paesi
neanche il minimo tentativo d’introdurla mediante la democrazia diretta. É addirittura il contrario assoluto : in Svizzera
l’abolizione della pena di morte venne approvata mediante il
referendum, dapprima nel 1935, in merito al tempo di pace e
poi nel 1992, per il tempo di guerra (tale abolizione fu sempre
una parte di un complesso di misure legali)). Un’altra proibizione esplicita della pena di morte nella Costituzione svizzera
venne approvata dal referendum nel 1999 (Heussner, 1999).
Un esempio molto citato, a proposito dell’effetto discriminatorio del referendum, è l’introdurre tardivo del diritto di
voto per le donne in Svizzera. Le Svizzere acquisirono in effetti questo diritto solo nel 1971 – tramite une referendum in
cui soli gli uomini presero parte, naturalmente. In Belgio, il
diritto di voto per le donne venne introdotto nel 1948. Tale
differenza di 23 anni , però, non ha molto a che fare col fatto
che la democrazia diretta esisteva in Svizzera, bensì col fatto
che la Svizzera rimase ben fuori dello sconvolgimento della
seconda Guerra mondiale (sebbene totalmente circondata
dalle potenze dell’Asse). Il trauma della guerra e dell’occupazione tedesca sembra avere facilitato l’introduzione di un
cambiamento politico. In Belgio, ad esempio, il diritto di voto
per le donne venne introdotto dopo la seconda Guerra mondiale e il suffragio universale era stato introdotto dopo la prima Guerra mondiale. Che la mentalità degli anni ‘60 fosse
Negli Stati Uniti, quasi la metà degli Stati conservano la pena
di morte (gli Stati dispongono della giurisdizione afferente).
Ma un trattamento esauriente di questo tema dal giurista
Heussner (1999) fornì un’immagine più equilibrata. Gli
Stati americani con o senza la democrazia diretta appaiono
di avere la pena di morte in un’ampiezza quasi simile : tra
gli Stati 24 con la democrazia diretta, 19 dispongono della
pena di morte (il 79%). Però, risulta che tra gli Stati 27 senza
democrazia diretta, 20 abbiano la pena di morte (il 74%).
Ma tutti gli Stati senza la pena di morte sono principalmente
collocati nel Nord e all’Est del continente (eccettuate le Ha75
waii) e tutti gli Stati aventi la pena di morte sono nel Sud e
all’Ovest del continente. É quindi una differenza nella cultura politica ; all’Ovest e nel Sud, il sostegno al mantenimento
della pena di morte – così come per gli altri temi politici connessi – viene più largamente condiviso dal pubblico e dagli
uomini politici, invece, nel Nord ed all’Est, c’è assai meno
sostegno da parte del pubblico e dagli uomini politici. Osserviamo disparità similari tra il Nord e il Sud dell’Europa.
1997, sono esempi in cui le soglie partecipative sono state
modificate a convenienza dei governi organizzatori. Il plebiscito del governo austriaco nall’autunno 2000 (consecutivo
alle sanzioni imposte all’Austria dai paesi europei, dopo l’entrata della destra FPÖ nel governo) è un esempio della compressione di numerosi temi in un solo problema predefinito.
Sei questioni furono quindi poste, a cui gli elettori potevano
dare una sola ed unica risposta. La prima domandava se si
dovesse porre fin alle sanzioni, le seconda e terza domandavano in modo retorico se gli altri paesi non facessero meglio
ad astenersi dall’intervenire negli affari del governo austriaco
e le altre tre questioni concernevano regolamenti specifici in
una Costituzione europea a venire. Una sola e unica risposta
a sei questioni isolate, non è possibile. Il governo e il Parlamento possono interpretare il risultato nel modo che vogliono e in ogni caso, questo risultato non li vincola in niente.
Dato che il referendum d’iniziativa cittadina non esiste in
Austria, i cittadini stessi sono senza potere.
É vero che la pena di morte venne introdotta o reintrodotta
in un certo numero di Stati mediante iniziative cittadine, ma
in parecchi casi, ciò fu una risposta del popolo all’abolizione
della pena di morte dai tribunali (par causa d’incompatibilità con la Costituzione o con altri principi legali), e allo steso
tempo una maggioranza di rappresentanti eletti era anche in
favore della pena di morte. Pertanto, non ci fu disparità tra
il sistema rappresentativo e la democrazia diretta. Negli altri
Stati, non c’è ancora la democrazia diretta, ma vi esiste la pena
di morte (adesso) per causa dell’appoggio continuo che essa
sta ricevendo da parte degli uomini politici eletti. Nello Stato
dell’Oregon, la pena di morte venne abolita mediante un’iniziativa cittadina nel 1914, dopodiché venne reintrodotta nel
1920, dall’iniziativa del Parlamento stesso (Heussner, 1999)
Tuttavia i plebisciti non hanno a che fare con la democrazia
diretta. In una genuina democrazia diretta, il pubblico in genere
può sempre utilizzare la raccolta delle firme per obbligare la
maggioranza al potere ad indire un referendum e le condizioni
vengono regolate dalla legge e sono le stesse per tutti – politici
o nomeno . Inoltre, la democrazia implica sempre la libertà
di parola, la liberta d’associazione, la libertà di dimostrazione,
ecc., sicché ciascuno(a) può condurre una campagna pubblica, il che non è mai il caso sotto le dittature menzionate. Una
solida maggioranza al potere non ha bisogno d’indire elezioni
popolari : dispone già del mandato per le sue azioni. La Costituzione svizzera non autorizza nessun plebiscito.
d) Influenza dei demagoghi e populisti
Tale estensione della pretesa discussa qui sopra – ossia la
democrazia diretta potrebbe violare diritti della minoranze
– si avanza così spesso che la democrazia diretta offrirebbe
una larga piattaforma ai populisti e demagoghi (si vede anche l’inserto 6-2).
e) Il potere del denaro
In realtà, i demagoghi hanno molte più opportunità nel sistema meramente rappresentativo, in cui un piccolo gruppo
di politici di alto bordo dettano ciò che accade e in cui cittadini vengono messi in panchina. Ciò conduce quasi sempre
al malcontento tra la popolazione. La sola maniera in cui la
gente possa esprimere il suo malcontento è la votazione in
favore di politici populistici che promettono di rimediare veramente allo « scompiglio » nel paese, se ricevono abbastanza
sostegno nelle elezioni. Nella democrazia diretta, i cittadini
non hanno un gran bisogno di questi forti « sobillatori », in
quanto possono essi stessi proporre le loro soluzioni e farle
adottare mediante iniziative cittadine e referendum. In Svizzera, le personalità politiche non giocano quasi nessun ruolo significativo (si veda la citazione all’inizio del capitolo 5°).
Una democrazia diretta è assai orientata su temi, questioni e
argomenti, mentre un sistema semplicemente rappresentativo è più orientato sulle persone stesse.
Secondo quest’argomento, può darsi che, chiunque disponga
di molto denaro, possa mettere in opera una campagna mediatica massiccia per controllare il dibattito pubblico e vincere
la lotta mediante mezzi tecnici sofisticati del marketing. L’exsindaco d’Amsterdam, Schelto Patjin, lo disse del modo seguente : « Un referendum contro la politica in merito alle droghe…? La malavita è certamente pronta per investire parecchi
milioni di fiorini in una politica che lo favorisca. Comprare 7
000 ore di televisione: è questo il modo di comprare un referendum. » (Giornale De Telegraafdel 13 gennaio 1997).
Non è contestabile che, in certuni luoghi molto denaro venga speso per la democrazia diretta. Nel 1998, una somma
record di 400 milioni di dollari venne spesa per campagne
referendarie negli Stati Uniti. Da questa somma, 250 milioni
lo furono da un solo Stato : la California (Smith, 2001 ; per
più dettagli, si vede il capitolo 5°). Negli USA, ci sono allo
stesso tempo campagne condotte molto professionalmente
con ricorso intenso alle televisioni locali e raccolta remunerata di firme.
É certamente vero che ogni sorta di dittatori – Hitler, Franco,
Saddam Hussein, Pinochet, ecc. (così come parecchi governi
in Europa che si compiacciono di designarsi come democratici) – hanno utilizzato dei plebisciti. Questi sono elezioni popolari aggiustate dalla maggioranza al potere o dal Capo dello
Stato, di norma nell’intenzione d’attribuirsi una legittimità
speciale ai loro progetti. In genere, i risultati di un plebiscito
non sono obbligatori, le condizioni di validità vengono combinate secondo il caso da quelli che sono al potere (in ogni
modo vogliono un risultato valido) e sovente tutte le sorte
d’argomenti isolati vengono « zippati » in una sola domanda
definita, alla quale gli elettori possono soltanto rispondere
con « SÌ » o con « NO » d’insieme. Il plebiscito in Lituania
del maggio 2003 sull’accesso all’UE (per il quale il quorum
partecipativo fu peraltro abbandonato) e il plebiscito d’ingresso nella NATO che fu tenuto in Ungheria nel novembre
Primariamente, anche in questo caso, la democrazia diretta
non va paragonata con una situazione ideale, che non esiste
o non è attuabile, ma col sistema puramente rappresentativo che esiste attualmente. I gruppi di forte statura finanziaria spendono ugualmente somme enormi nelle campagne
elettorali di partiti politici e in quelle dei candidati alla presidenza, inoltre per il lobbying esercitato sui legislatori e altri
funzionari. Il parlamentare svizzero Gross (2000), afferma
a ragione che « il potere del denaro in una democrazia diretta è essenzialmente minore di quello investito nel sistema
meramente rappresentativo. In quest’ultimo, gruppi che di76
spongono di denaro hanno bisogno solo di influire un piccolo numero di politici. In democrazia diretta devono farlo
influendo sulla popolazione intera e inoltre, lo devono fare
pubblicamente ».
che permettendo a ciascuno nella famiglia di fare proposte,
questo funziona in genere a vantaggio della maggioranza. La
conclusione vale perfino anche se il diritto di fare proposte
venga riservato ad alcuni membri della famiglia. (…) A patto
che le proposte sopravvivano al filtro dell’elezione maggioritaria, il solo mezzo di cui dispone un’iniziativa per rendere
peggiore la situazione per la maggioranza, è di poter convincere gli elettori ad approvare politiche contrarie ai loro
interessi. » (Matsusaka, 2004, p.12).
Secondariamente, una semplice spesa di grandi somme di
denaro non garantisce mai un risultato favorevole. I critici,
quale il giornalista David Broder (2000), menzionano di
modo aneddotico esempi di campagne in cui gruppi d’interesse economici – talvolta una compagnia, od un gruppo
economico particolare – vi abbiano puntato molto denaro.
Nonostante questo, bisognerebbe condurre uno studio sistematico e rigoroso su una serie completa d’iniziative cittadine
e durante un lungo periodo, per saperne di più.
Matsusaka pone qui l’accento su una questione chiave : molte critiche indirizzate alla democrazia diretta mantengono la
congettura tacita che cittadini vengano facilmente convinti
a votare contro le proprie convinzioni e propri interessi. Infatti, questo non è differente del ragionamento implicito che
sta dietro il sistema puramente rappresentativo : cioè, che i
politici conoscano meglio ciò che è buono per il popolo stesso. Ecco un’ipotesi pericolosa, in quanto essa apre la porta
alla dittatura politica.
L’ha fatto Elizabeth Gerber (1999), nelle studiosa di scienze
politiche. Lei ha analizzato i cash flows (margine lordo d’autofinanziamento, ndt) di 168 iniziative cittadine in 8 Stati
americani. Al contrario di quello che pretendono i critici, gli
interessi commerciali potenti appaiono incontrare poco successo nell’ottenere l’approvazione di una legge che vorrebbero imporre mediante il referendum popolare. Tra le iniziative
che vennero finanziariamente sostenute principlamente dai
cittadini individuali, il 50% fu adottato; tra quelle che, invece, vennero sostenute da gruppi d’interesse socio-economici,
ne fu adottato solo il 31%. Gerber individuò parecchi tipi di
« gruppi d’interesse particolari », e la speranza di vedere l’adozione d’iniziative cittadine crolla brutalmente appena cresce
la percentuale dei fondi apportati dall’industria. Gerber scoprì che i temi promossi da gruppi d’interesse socio-economici
erano semplicemente meno popolari e pertanto potevano assai più difficilmente reclutare volontari. I gruppi di cittadini,
dispongono di meno denaro, possono però trovare assai facilmente volontari e compensare così il loro handicap.
C’è ancora un altro modo d’avvicinarsi al problema dell’effetto delle grosse somme di denaro. Matsusaka paragonò sistematicamente i risultati delle campagne referendarie negli
Stati Uniti con quei dei sondaggi d’opinione. Mentre il lancio
di una campagna referendaria può necessitare una spesa di
milioni di dollari, un sondaggio d’opinione può essere attuato con un paio di migliaia di dollari. In questo caso, non c’è
distorsione risultante della messa in opera di « molto denaro ». Matsusaka analizzò un’enorme quantità di dati coprenti
la totalità del Novecento. La sua conclusione : « Per ogni politica che sono capace d’esaminare, l’iniziativa la spinge sempre nell’indirizzo verso cui una maggioranza del popolo dice
che voglia andare. Inoltre, sono io incapace di scoprire una
prova che la maggioranza senta antipatia per i cambiamenti
politici provocati dall’iniziativa » (Matsusaka, 2004, pp.XIaXIIa ; la parola in corsivo è sua).
Gli studiosi di scienze politiche, Donovan, Bowler, McCuan e
Fernandez (1998), scoprirono che tra il 40% delle iniziative
cittadine californiane che fu adottato nel periodo dal 1986 al
1996, solo il 14% promanava da « gruppi d’interesse» finanziaramente potenti. « I nostri dati rivelano che queste sono
invero iniziative più difficili da commercializzare in California e dunque il denaro investito in esse dai loro promotori in
quest’area risulta largamente sprecato ». Un altro studio di
Anna Campbell sulle iniziative cittadine nel Colorado prova
che durante il periodo che si estese dal 1966 al 1994 (quasi
tre decenni) una solo iniziativa cittadina promanata da un
« interesse particolare » ebbe un esito favorevole nella cabina
elettorale (IRI, 2005). Come abbiamo sottolineato nel capitolo 5°, per dire il vero, i gruppi d’interesse commerciale furono più fortunati nell’indebolimento stesso delle iniziative
cittadine lanciate dagli altri che nei loro tentativi di lanciare
se stessi contro-iniziative proprie.
Tutta l’informazione qui sopra si riferisce agli Stati Uniti. In
Europa, appena un’investigazione sia stata condotta sul ruolo del denaro nella democrazia diretta, in quanto il denaro
stesso vi gioca un ruolo più debole. In Svizzera, ci sono stati
numerosi referendum che hanno richiesto molto denaro, ma
il livello raggiunto non vi fu mai quello degli Stati Uniti.
L’esperienza mostra sempre di più che due elementi sono
importanti : vanno aperte all’ispezione pubblica le fonti dei
fondi utilizzati da coloro che conducono la campagna, e tutte
le parti vincolate nella questione devono aver l’opportunità
sufficiente di dire la loro. L’importanza dell’accessibilità dei
conti nei riguardi delle finanze viene illustrata da innumerevoli esempi. E’ tipico quello di un’iniziativa cittadina antinucleare nel Montana (1978), che disponeva solo di 10 000 $
par fare la sua campagna. I suoi oppositori spesero 260 000
$. Malgrado questo, radunando il 65% dei voti favorevoli,
l’iniziativa riportò un successo sensazionale. Nel corso della
campagna, l’attenzione del pubblico venne continuamente
attratta dal fatto che il denaro degli oppositori veniva quasi
interamente dall’esterno del Montana e, inoltre, quasi esclusivamente dall’industria nucleare stessa. Un’iniziativa simile
contro il monopolio della potenza nucleare ebbe luogo qualche tempo dopo nell’Oregon (1980). Anche qui, il gruppo dei
cittadini vinse contro la potenza finanziaria dell’industria, in
quanto ci fu un’opportunità sufficiente per farsi ascoltare. Il
« principio d’imparzialità » venne correttamente applicato e
così, malgrado risorse finanziarie scarse, il gruppo fu capace
di attingere abbastanza elettori attraverso radio e televisioni
(si veda Cronin, 1989). É sorprendente constatare che orga-
Ma quand’anche gli interessi speciali sono i soli gruppi nella
posizione di lanciare un’iniziativa cittadina, gli elettori si trovano maggiormente a loro agio che in una situazione senza
nessun referendum d’iniziativa cittadina. Matsusaka paragonò, nel 2004, tale situazione a quella di una famiglia in cui
il padre (= « il sistema rappresentativo») propone « unilateralmente » quale sorta di pizza si deve mangiare. La madre
(= « interessi particolari ») può anche suggerire un’altra pizza, dopodiché ciascuno (dunque i bambini = « gli elettori »)
può votare la proposta, tutto per non rendere peggiore la situazione dei bambini, anche se gli stessi non possono fare
una scelta personale. L’opzione del padre rimane sempre
disponibile, ma se quella della madre risulta migliore, si può
darle la preferenza nella votazione. « Così possiamo vedere
77
nizzazioni che dispongono di molto denaro siano raramente
entusiaste nei riguardi della democrazia diretta : « I Gruppi
finanziari potenti hanno opposto resistenza accanita contro
l’introdurre del referendum nel Minnesota, New Jersey e
Rhode Island. L’AFL-CIO, gruppi d’affari, Camere di commercio, hanno ostinatamente e ripetutamente lottato contro
l’iniziativa cittadina, facendo valere frequentemente, con
sufficiente ironia, che un’iniziativa cittadina costasse molto
denaro e che solo le organizzazioni ricchissime potessero
pertanto farne ricorso.
può inoltre essere meglio condotta da personalità di radio e
televisioni commerciali. Lo Stato costituzionale non ha più
ragione di produrre pubblicità di quante ne abbia, per esempio, per produrre occhiali da sole o cibo per cani.
I compito dello Stato costituzionale derivano dallo scopo di
realizzare l’uguaglianza davanti alla legge e la protezione
delle libertà e dei diritti fondamentali. Da questo punto di
vista, è dovere di un servizio pubblico di radio e televisioni
di garantire un accesso libero all’informazione e ai prodotti
culturali di cui hanno bisogno i cittadini per partecipare pienamente alla vita pubblica.
E’ chiaro che il denaro ha sempre un impatto sulla democrazia diretta. Ma questo è per lo meno tanto grande così come
nella democrazia rappresentativa, e può venir compensato
rendendo equi i fondi delle campagne. Perciò, « progressisti » californiani, come Shultz, argomentano in favore a
un non-ritorno al sistema rapprensentativo tradizionale, pur
esigendo veramente misure specifiche per restringere il ruolo delle « grosse somme di denaro ». Frey e Bohnet (1994,
p.158) scrivono : « Non si può negare che i potenti partiti
finanziari e gruppi d’interesse particolari siano meglio capaci
avviare un’iniziativa e di farne la propaganda nei confronti di quelli solo male organizzati. Però non ha senso volere
mirare a una democrazia totalmente ugualitaria ; ci saranno
sempre differenze nelle capacità degli individui e dei gruppi per influire sull’indirizzo di una politica. Rimane sempre
vero che gruppi ricchi e ben organizzati sono più potenti.
Però la questione che importa non è di sapere se esistono
tali differenze, ma di conoscere sotto quali regole e in quali
proporzioni vantaggi pesano in favore del più organizzato al
piano organizzativo e finanziario. Ciononostante, il lobbying
diviene tanto più efficace quanto meno democratico diviene
il sistema. Anche senza elezioni, ad esempio in una dittatura, i gruppi d’interesse particolari esercitano un’influenza.
Nell’UE tali gruppi sono capaci di esercitare più influenza
di quanto fanno sui paesi membri isolati, precisamente perché l’UE è meno democratica (Andersen e Eliassen, 1961).
In Svizzera, anche nel caso di una coalizione tra i gruppi
d’interesse e l’élite politica, appare che questo fronte unito
non riesca sempre ai fini propri, e certamente non quando si
trattano di temi importanti. »
Questo dovere va indubbiamente considerato nel senso lato
della parola: cioè comprende la raccolta completa delle notizie, l’accesso agli eventi culturali importanti, che non vengono offerti alle catene commerciali, e programmi d’analisi. Le
missione chiave, però essendo quella di sostenere il processo democratico della formazione d’opinione. Organizzando
dibattiti, accuratamente preparati e equilibrati, in cui sostenitori ed oppositori di un’iniziativa ricevono la stessa opportunità d’intervenire, l’impatto dello squilibrio economico sul
processo di formazione dell’opinione può esser così radicalmente ridotto.
Lo Stato dovrebbe attuare misure per assicurare una cultura
ponderata nel formare d’opinione. Il servizio pubblico di radio e televisione può avere una funzione chiave in questo, a
patto che rimanga interamente indipendente dalle forze politiche ed economiche. Tal indipendenza deve anche essere
visibile. Perciò è assolutamente necessario che la pubblicità
sia mantenuta fuori da radio e televisioni pubbliche.
2. Non ci dovrebbe essere intervento diretto negli organi di
stampa. Mayer (1989, p.118) menziona la proposta di « Aktion
Volksentscheid » (in Achberg, Germania del Sud) di obbligare i
mass media (radio televisioni, pubblicazioni d’editori di oltre
100 000 esemplari) a informare sulle iniziative cittadine e
fornire opportunità uguali per esprimersi ai sostenitori e oppositori. Questa proposta fece urlare contro la libertà di stampa. I mezzi d’informazione di massa devono anche avere una
possibilità non ristretta d’esprimersi nei riguardi delle iniziative. Lo Stato può però utilizzare forti mezzi finanziari per
sovvenzionare mezzi pubblici e la propaganda governativa,
per finanziare spazi di pubblicità informative nei momenti di
referendum ed elezioni. In tale « spazio pubblico d’espressione democratica » sui giornali, il principio d’uguaglianza di diritto nella presa di parola andrebbe legalmente garantito allo
stesso tempo per i sostenitori e gli oppositori. Il disegno deve
chiaramente mostrare che questo « spazio pubblico d’espressione » è del tipo di unannuncio pubblicitario. Ogni confusione con gli spazi editoriali deve dunque esser evitata.
Il problema della manipolazione attraverso campagne mediatiche e monopoli di distribuzione dell’informazione non
è un problema della democrazia diretta ; è un problema della
democrazia in sé. In questo contesto due realtà scontrano.
Da un lato, i mass media sono principalmente privatizzati
e, dall’altro, la diffusione d’opinioni attraverso mass media
cade sotto il principio della libertà di stampa. Questo restringe la libertà di parola in due sensi. I mass media tendono a
difendere i punti di vista dei loro proprietari ; gente ricca o
gruppi ricchi possono rivolgersi al pubblico comprando pubblicità e messaggi pubblicitari di televisione. D’altro canto,
iniziative cittadine non aventi fondi hanno poca opportunità
di fare udire la loro voce.
3. Qualche settimana prima del referendum, ogni elettore
dovrebbe ricevere un documento informativo in cui : viene
esposta la natura della proposta ; brevemente elencati i rispettivi argomenti dei sostenitori e degli oppositori, brevemente elencate le raccomandazioni di voto dei partiti politici,
sindacati, enti professionali, gruppi d’interesse particolari,
ecc.. Questo tipo di opuscolo è stato normalizzato da lungo
tempo in Svizzera e diversi Stati americani.
Attaccare la libertà di stampa non può risolvere tale problema. Pertanto, lo Stato costituzionale dovrebbe dapprima organizzare il proprio forum, la cui funzione principale sarebbe di servire d’arena di discussioni e di creare coscienza. Tale
forum potrebbe venir creato attorno a tre considerazioni di
base, tra altre :
Oltre queste misure positive, misure negative sono ugualmente necessarie. La spesa elettorale va « limitata », non
solamente per le elezioni dei rappresentanti ma anche per i
referendum. I bilanci dei simpatizzanti e degli avversari vanno resi pubblici. (Nel capitolo quinto, nella sezione dedicata
1. Non c’è assolutamente nessuna ragione per cui la radio
pubblica e la televisione pubblica, principalmente finanziate
dalle imposte, vengano occupate dalla produzione di « pubblicità ». Questa è essenzialmente un’attività commerciale e
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alla California, abbiamo mostrato perché i giudici americani
dichiarano che la spesa illimitata per un referendum possa
cadere sotto il principio della libertà di parola, mentre, al contrario, i giudici accettano realmente d’imporre limitazioni di
spese per l’elezione dei rappresentanti a causa del pericolo di
corruzione. Si può dire che in Europa questo problema viene
considerato da un punto di vista diverso.) I nomi dei finanziatori principali della campagna e l’ammontare dei fondi vanno
pubblicati, cosa che si fa già in parecchi Stati americani, tra
cui la California. É anche possibile garantire un livello di finanziamento. In effetti, un’iniziativa cittadina che ha raccolto il numero necessario di firme d’appoggio per ottenere un
referendum ha comunque provato che abbia toccato il tasto
giusto a proposito di un tema socialmente importante. Ciò
può esser riconosciuto fornendo un livello di finanziamento
di base al comitato organizzatore, di modo che le iniziative
dotate di fondi deboli abbiano ugualmente l’opportunità di
farsi capire. Questo stesso principio viene già messo in applicazione in molti paesi europei per i partiti politici, cui ricevono un finanziamento governativo fondato sia sul numero
degli aderenti loro o quello delle sedi parlamentari. Non c’è
nessuna ragione di accordare, da una parte, finanziamenti governativi ai partiti politici, e, d’altra parte, di non accordarne
ai comitati di cittadini che hanno raggiunto una soglia di firme obbligatoria imposta per un referendum. Insomma, i due
casi mostrano di giovarsi dell’assenso popolare esistente.
riflette affatto un programma di un unico partito. Ad esempio, gli Americani sostengono un salario minimo più elevato (il 82%), la registrazione obbligatoria delle armi da fuoco
(il 72%) e la restaurazione delle relazioni diplomatiche con
Cuba (il 56%). Tali sono le questioni « progressiste ». Ma il
trattamento razziale a scuola e negli affari (la sedicente « discriminazione positiva ») viene rigettato dal 85% delle persone interrogate, il 78% vuole una riduzione delle imposte, e il
69% vuole che la preghiera sia legalizzata nelle scuole. Tali
sono le opinioni tipicamente conservatrici o liberali. Ci sono
anche proposte che possono contare su una maggioranza nel
grande pubblico e pochissima simpatia nella classe politica.
Gallup scoprì così che il 56% degli Americani era in favore
dell’introduzione degli « School vouchers » (buono scolastico,
ndt). Questo vuole dire che le famiglie ricevono denaro per
finanziare la loro libera scelta scolastica anziché lasciare che
governo finanzi direttamente l’istruzione. Una tale libertà,
di una portata considerevole in materia d’istruzione, non è
davvero molto popolare nell’ambiente dei politici cui considerano l’istruzione quale uno dei loro mezzi più importanti
per esercitare un’influenza sociale.
Supponiamo che una cittadina o un cittadino appoggi un
saggio dei punti di vista della maggioranza americana suddetta. Non c’è nessuna speranza che lei (o lui) trovi un partito
che esprima tale assortimento di punti di vista. E anche se
tale partito esistesse davvero, rimarrebbe lei (o lui) piuttosto
incerta(o) sulla sorte che sarebbe riservata a questo assortimento di punti di vista. Insomma, il partito potrebbe girare
nell’opposizione, ovvero – se fa parte realmente del governo – potrebbe ancora abbandonare il suo punto di vista in
cambio di un sostegno dato ai partiti dell’altra coalizione, in
favore di altre proposte, anche se nel frattempo, una maggioranza di votanti rimarrebbe in favore del punto di vista di cui
si tratta. Nella maggioranza delle « democrazie » europee,
le voci del popolo somigliano a « ondulazioni alla superficie
delle acque ». Possono solo proferire una sola espressione
rozza di sostegno a favore di un partito o di un altro – « socialista » o « liberale » o « conservatore ». Non gli viene permesso tuttavia, in quanto esseri razionali e discriminanti, di
decidere su ogni questione secondo il proprio valore. In questo contesto è dunque assai assurdo riunire rappresentanti
eletti per lamentarsi a proposito dell’assenza di sottigliezza e
d’affinamento della democrazia diretta.
Questo pacchetto di misure creerebbe uno spazio per l’equa
formazione dell’opinione. Il successo od il fallimento della
democrazia dipende largamente della qualità della libertà
di dibattere. Non è in genere compito dello Stato di fornire
attivamente ai cittadini mezzi d’espressione e fori di dibattiti. Questi dovrebbero aver un’intera libertà di stabilire fori
particolari e formare le opinioni ; tali fori possono venir liberamente regolati dai fondatori loro. Inoltre, è la stessa cosa
che si verifica immediatamente prima della presa decisionale legislativa. In questo contesto, oltre ai fori privati, un foro
speciale può essere creato dallo stesso Stato Costituzionale,
che sia accessibile alla partecipazione equa dei cittadini, senza riguardo per le loro risorse finanziarie e antecedenti.
f ) Assenza di possibilità d’affinamento
e di qualificazione dei temi
Secondo quest’argomento, si dovrebbero rigettare i referendum in quanto sono troppo « rozzi » o semplicistici, proponendo solo l’opzione del « SÌ » o quella del « NO ». Era il parere, ad esempio, del l’ex-Primo Ministro belga Dehaene (« io,
conosco poco problema che potesse risolversi da un sì o da un
non ») sulla catena televisiva RTBF del 4 ottobre 1992.
Fatto sta che nella maggioranza dei referendum (non tutti
si vede qui sotto), c’è solo una scelta tra quella di esser pro
o quella di essere contro una proposta. Ma ogni decisione
parlamentare viene anche presa così, secondo che i membri
del Parlamento siano pro o contro la proposta. Però ciò che i
critici vogliono dire qui è che il processo di formazione d’opinione in democrazia diretta cessi molto più rapidamente che
nel caso della presa decisionale parlamentare. In linea di massima, è un obiezione realistica. Nei referendum tradizionali,
in effetti, gli iniziatori avanzano proposte elaborate, attorno a
cui una discussione pubblica viene garantita ; però gli elettori
non possono più cambiare la domanda, ma soltanto adottarla
o rigettarla. Nel Parlamento, i rappresentanti possono proporre emendamenti e in parecchi casi fino all’ultimo momento della votazione. (Incidentalmente, non in tutti i casi : ad
esempio, per i trattati internazionali, compresi quei dell’UE, i
Parlamentari non possono più fare nessuno emendamento.)
Però dalla prospettiva del popolo, un democrazia fornisce
possibilità più vaste di sottigliezza e differenziazioni di quelle del sistema puramente rappresentativo. In quest’ultimo
gli elettori possono solo scegliere tra un numero limitato di
« pacchetti » completi d’opinioni politiche (di norma non più
di dieci) : i programmi dei partiti politici. In pratica, questi
non sono in armonia con le scelte che gli elettori farebbero
essi stessi se dovessero decidere sulle stesse questioni.
Un sondaggio recente di Gallup illustra quanto grave sia
questo problema. Questo sondaggio interrogò mille elettori
americani su pressappoco una trentina di questioni politiche. Apparve che le preferenze maggioritarie della gente rivelassero un miscuglio di punti di vista « conservatori » e
« progressisti », se si può chiamarli così. Tale miscuglio non
Per affinare quest’immagine, dobbiamo notare che la fase di
formazione d’opinione per un’iniziativa cittadina si verifica
sovente prima del lancio pubblico di questa. In parecchi campi, un’iniziativa cittadina ha speranza di riuscire soltanto se
79
viene appoggiata da una larga coalizione di organizzazioni.
Ne risulta che la proposta deve sopportare tutti i controlli della
discussione e della consultazione tra i partner in seno a tale
coalizione. Proposte estreme, che non dispongono dell’appoggio di un largo pubblico, non hanno virtualmente nessuna chance di riuscire. Da un altro canto, la fase formatrice
dell’opinione, nella pratica parlamentare corrente, viene spesso seriamente corrotta dalla disciplina di partito rinforzata
(ciò che è chiamato in Grand Bretagna con « Whips » [ovvero
« fruste », designanti parlamentari incaricati della disciplina in
seno al partito, ndt], ad esempio, o dal maneggio politico. In
genere, sono i leaders dei partiti politici che dettano il modo in
cui il partito o la fazione deve votare e questo è spesso basato
su un maneggio rozzo tra i partiti politici. Se i MPs [Membres
of the Parliament] volessero votare lealmente, seguendo la loro
coscienza, la linea di separazione tra sostenitori e oppositori
seguirebbe appena quella che separa i partiti, mentre è precisamente il caso nella maggioranza delle votazioni.
effetto democratico. La sua produttività democratica ne sarà
considerevolmente migliorata da un lavoro di gruppo con le
iniziative cittadine legislative. Il diritto di petizione – talvolta chiamato (in modo falso) iniziativa cittadina –esistente in
alcuni paesi europei, è senza senso in quanto tale. I Membri
del Parlamento non sono affatto costretti a dare qualsiasi corso alla proposta popolare ; e l’iniziativa cittadina, per quanto
la concerne, non ha nessun mezzo per rispondere laddove
il Parlamento la rigetti o l’ignori. Ma quale preludio all’iniziativa cittadina, il diritto di petizione ha indubbiamente
una grande importanza. Fornisce all’iniziativa una possibilità d’arricchire la sua proposta alla luce del contributo parlamentare e crea dunque un nesso particolare tra iniziativa
popolare e Parlamento, di cui ne rinforza la legittimità.
Un possibilità aggiuntiva, che fu ugualmente proposta dalla « League of Women Voters » di California, è di prevedere
udienze per l’iniziativa cittadina. Nella prima tappa di questa, mentre solo un piccolo numero di firme sono state raccolte, le udienze possono avere luogo, in seno a un quadro
statutario specifico, esse possono condurre al miglioramento
della proposta.
Inoltre è perfettamente possibile immaginare sistemi referendari in cui ci sarebbero invero spazi per adeguamenti interinali e opzioni a scelte molteplici. Le possibilità utilizzate
in certuni Stati tedeschi sono lo stabilire uno stretto nesso tra
petizione e referendum. Se un gruppo di cittadini vuole lanciare una proposta legislativa, può dapprima presentarla in
forma di petizione al Parlamento, mediante un numero di firme relativamente debole, ossia lo 0,2% dell’elettorato. Il corpo rappresentativo deve poi decidere se accettare la proposta
dell’iniziativa o rigettarla, dando le proprie ragioni. Se il corpo
rappresentativo accetta la proposta, l’iniziativa ha raggiunto
il suo scopo. Nel caso contrario essa può ancora prolungarsi
con, sia la proposta non modificata, sia una proposta emendata alla luce dei commenti del Parlamento. Si può in seguito
procedere al referendum purché essa raggiunga una soglia di
firme più elevata, cioè il 2% dell’elettorato. Tale combinazione
del diritto di petizione e del referendum assieme viene difesa
in California dall’associazione : « American League of Women
Voters » e in Germania da « Mehr Demokratie ».
In Svizzera, inoltre, ci sono diverse esperienze interessanti
che s’inseriscono al livello cantonale, introducendovi votazione a scelte molteplici. Il Cantone di Berna sta giocando un
ruolo di pioniere in questo campo : a titolo illustrativo, gli
elettori divennero capaci di scegliere tra cinque proposte diverse in vista di riorganizzare il sistema ospedaliero cantonale (Beedham, 1996). Così a Berna, si sperimentano sistemi
in cui gli elettori non vengono limitati al « SÌ » o al « NO » su
una proposta legislativa, ma possono ugualmente presentare emendamenti. É troppo presto per trarne conclusioni. Ci
sono ancore altre possibilità che non sono state provate da
nessuna parte. Ad esempio Benjamin Barber (1984) suggerì
di permettere una votazione graduale mediante un scala di
valori che vanno dal « NO categorico » al « SÌ » categorico.
Talvolta, gli oppositori alla democrazia diretta formulano le
loro obiezioni in un altro modo. Avanzano l’argomento che
venga permesso nei referendum cittadini ad ogni sorta di
questioni di giocare un ruolo che abbia nulla a che fare con
la proposta referendaria, un fenomeno noto quale « linking »
(collegamento o legame, ndt). « Il referendum stesso si presta
a diventare uno strumento d’insoddisfazione generale. L’allargamento fallirà, in seguito, per ragioni hanno nulla a che fare
con l’allargamento » spiegò l’ex-membro della commissione
dell’UE, Frits Bolkenstein, ad esempio, a proposito dell’eventuale referendum olandese sull’allargamento dell’Unione
Europea (NRC Handelsblad del 9 settembre 2000). Eppure,
il fenomeno di « collegamento » è principalmente all’ordine
del giorno in seno al sistema rappresentativo stesso. Nelle
elezioni, dopotutto, ogni sorta di temi sono mischiati tra essi,
la confusione si risolve solo quando l’elettore appone la sua
marca sulla scheda elettorale o preme il pulsante. Ciò a cui
Bolkenstein stava mirando non erano referendum iniziati da
cittadini, che per adesso non sono del tutto possibili in Olanda, ma il plebiscito eccezionale indicibile dal solo governo (il
solo « referendum autorizzato dalla Costituzione olandese).
In tale situazione, è assai più probabile che altri temi vengano trascinati nel dibattito pubblico. Dato che i cittadini stessi
non possono iniziare referendum, devono solo aspettare la
prossima opportunità di decidere direttamente sul soggetto.
Quindi l’insoddisfazione avrà il tempo d’accrescersi e dovrà
solo afferrare la prossima occasione per escogitare qualcosa.
Tuttavia non stiamo argomentando in favore dei plebisciti,
ma a una democrazia diretta qualificata in cui cittadini posso-
Inoltre, due opzioni aggiuntive possono essere possibili :
•Se non approva la proposta cittadina, il Parlamento può formulare un’altra alternativa. Il sistema esiste già al livello
nazionale in Svizzera e nel Land della Baviera. Gli elettori
hanno poi tre opzioni: sia scegliere l’iniziativa cittadina; sia
scegliere la controproposta parlamentare; sia rigettare entrambe, e dunque scegliere lo status quo.
•L’iniziativa cittadina può perfino ritirare la propria proposta
in favore alla controproposta parlamentare. Un approccio
eventualmente utile per l’iniziativa nel caso dove la proposta parlamentare comprenda molti elementi generata da
essa, mentre sussistono rischi seri, contemporaneamente
per ambedue le proposte, di vedersi entrambe rigettate,
lasciando una maggioranza a favore dello status quo. Ciò
si verificò, ad esempio, con l’iniziativa popolare svizzera
« Fattori e consumatori in favore dell’agricoltura preoccupata dall’ecologia ». Tale iniziativa mirava a fornire sovvenzioni agricole alle fattorie strettamente aderenti agli standard ecologici. Il Parlamento formulò un controproposta,
che preservava nonostante i punti essenziali della proposta
popolare. Gli iniziatori ritirarono allora la loro proposta e,
il 9 giugno 1996, venne approvata la controproposta parlamentare con più del 77% degli elettori.
L’integrazione del dritto di petizione e di quello dell’iniziativa
cittadina legislativa, eventualmente completata dalle due misure segnalate qui sopra, rende il Parlamento atto a produrre
proposte che verranno ben considerate e avranno il migliore
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no se stessi lanciare iniziative refrendarie ad ogni momento.
Il fenomeno di collegamento è sconosciuto nella democrazia
diretta svizzera, per il semplice fatto che cittadini possono
decidere ad ogni momento a proposito di ogni questione e
lanciare ogni iniziativa che vogliono.
diritti democratici seri al livello nazionale. Nel 2002, Gallup
condusse un enorme sondaggio in cui 36 000 persone da
47 paesi furono interrogate sul loro grado di fiducia nei riguardi di 17 « istituzioni ». Questo piccolo elenco includeva
esercito, governo, sistema educativo, mass media, sindacati,
FMI, multinazionali, ecc.. Nella classifica, i Parlamenti occupavano il fondo della lista. Il 51% degli interrogati aveva poca
o nessuna fiducia nel loro Parlamento e solo il 36% aveva un
fiducia moderata o elevata. Parlamenti registrano quindi uno
score particolarmente basso nei paesi europei. I due terzi della gente consultata concordava nel dire che il loro paese non
fosse governato dalla volontà della maggioranza. Quando gli
viene domandato : « Le cose che stanno andando meglio nel
mondo ? », nel più dei paesi solo una minoranza dava una
risposta affermativa. : solo il 13% dei Tedeschi, il 14% degli
Italiani, il 23% degli Olandesi, e il 25% dei Britannici. In altre
parole, quanti sono felici di conservare i Parlamenti tali quali
sono, si sforzano solo di salvare le apparenze. In realtà, la
maggioranza ha perso da lungo tempo ogni fiducia nei Parlamenti sotto il sistema principalmente rappresentativo.
In breve, se i politici sono veramente preoccupati dal fenomeno di « linking » (collegamento, legame, ndt) devono solamente permettere più di democrazia diretta.
g)Conflitto con la democrazia rappresen­
tativa
Unargomento spesso sostenuto da quanti affermano che
l’autorità del Parlamento venga minata dai referendum, e da
altri per cui il primato della politica ne venga minacciato.
Dapprima notate, per favore, il sofismo : la democrazia viene
collocata allo stesso livello della « democrazia rappresentativa », come se la rappresentazione fosse l’essenza, la qualità
stessa della democrazia. Il referendum minaccerebbe dunque la democrazia. In realtà, non è affatto la rappresentazione, ma piuttosto la sovranità del popolo da essere l’essenza
stessa della democrazia. Non sono solo i dittatori, quali Hitler e Stalin, ad esserci dipinti come rappresentanti del proprio popolo, ma anche diversi re e despoti assoluti attraverso
tutta la storia. Abbiamo provato nel capitolo secondo che un
sistema puramente rappresentativo incarna solo un’interpretazione corretta della democrazia in una unica circostanza
specifica – quanto cittadini sono d’accordo con esso. Però le
indagini indicano uniformemente che questo non è stato più
il caso dagli anni ‘70 : la maggioranza degli studi sostengono
invariabilmente l’introduzione della presa decisionale mediante la democrazia diretta.
Alcuni oppositori ai referendum formulano questo in un altro modo : ossia il primato della politica si trova scalzato dai
referendum. La loro ipotesi tacita è apparentemente che la
« politica » sia la stessa cosa del « Parlamento e Governo ».
Però, anche nel caso ideale, la politica è un foro in cui tutti i
cittadini partecipano. Considerata in questa luce, la democrazia diretta non attenterà mai all’importanza della politica, ma
le darà invero un impulso potente. La democrazia diretta può
in effetti condurre a un foro fiorente e creativo.
Incidentalmente, l’impatto diretto del referendum d’iniziativa
cittadina non va sopravvalutato. Nel 1996, l’anno dell’apice
della democrazia diretta negli USA, un totale di 102 referendum iniziati dai cittadini vennero votati attraverso gli Stati
americani, mentre lo stesso anno, i legislatori adottarono,
per quanto concerne loro, un totale di 17 000 leggi in tutti
gli Stati (Waters, 2002, p.6). La metà degli Stati americani se
ne rallegrano piuttosto, ed essi hanno frequentemente fatto
ricorso ai diritti di democrazia diretta, possiamo dunque ammettere che in uno di quegli Stati, anche se esso sia dotato
di un livello relativamente alto di democrazia diretta, c’è ancora il 99,9% delle leggi adottate da politici eletti. In questo
contesto è molto assurdo parlare di « perturbazione » nel sistema legislativo portata dalla democrazia diretta. Ciò a cui i
critici stanno riferendosi è l’effetto indiretto dei referendum:
cioè i politici non possono più imporre una legislazione per
cui nessuno appoggio esiste tra i cittadini. Devono prendere
in conto le opinioni attuali tra diversi gruppi della popolazione e avviare in anticipo un sostegno costruttivo per le loro
proposte. Ma chi potrebbe obiettare qualcosa su questo?
In altre parole, l’argomento per cui l’autorità parlamentare
venga minata dai referendum non è affatto significativo. Un
Parlamento non è un obiettivo di per sé – c’è un Parlamento
per la democrazia ; ma non c’è una democrazia per il Parlamento. Pertanto non si può domandare che la democrazia
sia limitata rispetto al Parlamento.
In un certo senso, però, se la democrazia diretta fosse introdotta, essa restaurerebbe in realtà il valore del Parlamento, in
quanto i cittadini sarebbero implicitamente invitati a provare
la loro fiducia in ogni decisione parlamentare. Se essi non
lanciano iniziative dopo che il Parlamento ha passato una
legge, ciò può sempre esser interpretato quale mozione di
fiducia implicita. In un sistema puramente rappresentativo,
il popolo non può parlare contro il Parlamento : di conseguenza non può nemmeno esprimere la sua fiducia nel Parlamento, neppure implicitamente. Può tutt’al più stare a casa
il giorno delle elezioni ; ma tale non-partecipare può esser
interpretato in modo assai diverso.
h)Sovraccarico e stanchezza per votare
Secondo quest’argomento i referendum esigono troppo
dell’elettore. Gli si domanda troppo e diventano meno inclini a andare a votare. Ne risulta che smarriscono rappresentatività, in quanto di solito è la gente più debole economicamente a ritirarsi prima.
Se esisterà al giorno d’oggi la possibilità per un’iniziativa cittadina per essere lanciata, il Parlamento sarà sotto pressione per
legiferare in accordo con la volontà del popolo. L’opportunità
offerta al Parlamento di contribuire all’affinamento delle proposte referendarie, compreso il diritto parlamentare di presentare una proposta alternativa, è già stata menzionata sopra.
In Svizzera, la partecipazione alle elezioni parlamentari si
mantiene all’incirca del 40% (quella ai referendum all’incirca del 50%) ; è molto più basso della partecipazione tedesca
alle elezioni parlamentari (il 80%), ovvero di quella francese
alle elezioni presidenziali (il 70 al 80%) o negli USA (dal 50
al 60%).
Quanti pretendono che i referendum nuocciano alla credibilità pubblica del Parlamento, devono comprendere che già
da tempo il pubblico ha perso ogni fiducia nel Parlamento – e
questo molto prima che il più dei paesi abbiano introdotto
81
Un debole livello di partecipazione viene spesso attribuito alla stanchezza referendaria. Se esistesse veramente tale
connessione, potrebbe esser risoluta aumentando la soglia
delle firme, cui in Svizzera è molto bassa (100 000 sia il 2%
dell’elettorato). Questo dovrebbe rendere più difficile il lancio d’iniziative cittadine da parte dai piccoli gruppi che non
richiedono più la collaborazione del popolo.
livello d’istruzione, l’appartenenza ad una classe di reddito o ad una classe sociale, hanno rivelato di avere solo un
effetto minore sulla partecipazione ai referendum (nel caso
della partecipazione referendaria svizzera l’effetto si dimostra
nullo). Le donne appaiono votare meno degli uomini (questo
vale piuttosto per le donne anziane e non per le giovani). La
partecipazione sembra di aumentare con l’età, fino a un certo punto, dopodiché tende a diminuire, però non in modo
uniforme. Quelli che confessavano di essere « perfettamente
avvisati » della questione referendaria, partecipavano quattro
volte più quanto la gente che non « era informata » sulla questione. La disparità era solo leggermente più debole quando
il livello d’interesse nella politica era la variabile principale.
Quando entrambe le variabili erano combinate, ad esempio
nel caso della gente « perfettamente conscia » del soggetto nel
referendum ed riconoscente di essere « molto interessata »
dalla politica, il livello partecipativo era allora otto volte più
alto che per la gente che non « era al corrente » del soggetto e
dichiarava neanche di « non essere interessata » alla politica
(Kriesi, 2005, pp.118-121). In sintesi, la ragione più importante per non partecipare è infatti che i cittadini credono di non
avere una conoscenza sufficiente della questione posta.
Si deve essere molto prudenti in questo genere di conclusioni, però. In una democrazia puramente rappresentativa,
i cittadini non hanno virtualmente nessuna opportunità
d’influire nella politica in un modo qualunque. Hanno solo
l’occasione di votare un volta ogni quattro o cinque anni,
un’occasione che molti afferrano poi con zelo. In un sistema
puramente rappresentativo, insomma, c’è un’assenza frustrante d’opportunità per usare la sua parola. In un sistema
di democrazia diretta correttamente sviluppato, l’offerta e la
domanda delle possibilità nell’esprimere opinioni sono assai
più equilibrate e la gente sente che dispone di più libertà per
scegliere e partecipare alla presa decisionale democratica o
per delegare altre persone per farlo.
Non conosciamo nessuno studio in cui una larga proporzione della gente consultata risponda in favore a meno di
referendum. Al contrario, la stragrande maggioranza dei cittadini che non votano mai, rimangono ancora piuttosto dei
sostenitori della democrazia diretta (Möckli, 1994, p.184).
i) La redazione della questione può essere
manipolata
Secondo tal obiezione, la questione posta nel referendum
può venir formulata in un modo ingannevole. Ne risulta che
gli elettori possano votare contro le loro vere convinzioni. Il
Professore Jan Gijsels (giornale belga, De Standaard, del 15
novembre 1992) la formulò così: « Non c’è referendum che
non sia oggetto al litigio a causa del modo in cui la questione
viene posta ».
Livelli di partecipazione elevati alle elezioni e ai referendum
dovrebbero dunque essere incoraggiati, naturalmente, ma
una partecipazione referendaria del 10% o del 20% non è
per forza un problema. Il principio del mandato gioca allora
lo stesso ruolo essenziale nella presa decisionale in democrazia diretta di quello nelle elezioni parlamentari (si vede
il capitolo 2°). Anche se solo il 10% degli elettori vota infatti
in un plebiscito, la decisione che ne risulta è molto più sostenuta che nel caso di una votazione parlamentare, in cui,
c’è appena 0,005% dell’elettorato a prendere la decisione! Il
10% dei votanti, in una votazione popolare diretta, dispone
di un mandato tanto buono quanto quello dei parlamentari, e
col vantaggio che la gente è molto più numerosa. Da un altro
canto, il mandato concesso dai non-votanti ai votanti nel referendum è molto più ristretto che nel caso di un’elezione, in
quanto c’è solo una decisione specifica all’ordine del giorno
e non una serie di decisioni potenzialmente infinite da prendere su tutti i tipi di questioni possibili. Che il concetto del
mandato non sia teoria pura e che venga riconosciuto intuitivamente dalla gente in genere, questo risulta chiaramente
dal fatto appena menzionato, cioè un’ampia maggioranza di
quelli che non votano mai, rimangono ciononostante sostenitori della democrazia diretta. In una democrazia genuina,
ogni cittadina(o) deve avere la libertà per ogni elezione, di
determinare se lei o lui voglia, sia affidare un mandato ai
suoi connazionali, sia andare a votare egli (ella) stessa(o). É
perfettamente concepibile che una(o) cittadina(o) consideri
che lei o lui abbia una troppo debole competenza nella presa
decisionale sociale e dunque, lei o lui affidi pertanto un mandato a un altra(o) od agli altri per questo. É essenziale che
lei o lui, e nessun altro, giudichi della propria competenza.
L’assenza d’elezioni (dittatura aperta) e un sistema d’elezioni
obbligatorie, ambedue sottraggono agli individui la libertà di
giudicare pienamente per se stessi.
Per dire il vero la redazione della questione è più spesso
un problema nei plebisciti e non lo è in democrazia diretta.
Questi sono votazioni popolari non obbligatorie indette e formulate da politici al potere e ciò facendo, includono spesso
parecchie questioni in una sola, e manipolano anche altre
condizioni (si veda il punto « D » per altre informazioni ed
esempi).
In una democrazia diretta genuina, i politici non possono
modificare senza discernimento la redazione della domanda
o regole a loro piacere. La legge stipula le condizioni della
democrazia diretta e queste sono le stesse per tutti i cittadini, che siano politici o non. Inoltre, è difficile conciliare la
democrazia diretta con i plebisciti indetti dalla maggioranza
al potere; da una parte, tali plebisciti conducono sempre agli
abusi politici e, dall’altra, sono ugualmente inutili in quanto
Parlamento e governo dispongono già di un solido mandato
per agire. Nella democrazia svizzera, i plebisciti indetti dalla
maggioranza al potere non vengono autorizzati. La legge definisce le circostanze sotto cui un referendum viene indetto
e fissa le regole obbligatorie per questo. Ogni modificazione
della Costituzione è sottoposta al referendum obbligatorio.
C’è inoltre il referendum opzionale o facoltativo, mediante
cui cittadini possono contestare una legge già promulgata
e l’iniziativa cittadina può portare al referendum, tutte le
condizioni venendo riunite. La questione referendaria va
sempre formulata di un modo chiaro e obiettivo – tanto la
proposta adottata dal Parlamento accompagnata dalla semplice domanda a proposito di cui si esprimerà pro o contro
(in questo contesto, una scelta standardizzata e neutrale delle
parole viene sempre utilizzata in Svizzera a in California),
quanto l’iniziativa cittadina (sostenuta dal numero richie-
Lo studioso di scienze politiche, Kriesi evidenziò la conoscenza della questione su cui si vota, assieme e interesse generale
per la politica, sono di gran lunga i fattori più importanti e
determinanti la partecipazione referendaria in Svizzera. Il
82
j) conservatorismo o attivisti entusiasti
sto di firme). Con l’iniziativa cittadina, è semplice stipulare
legalmente (come si fa in Svizzera) che l’iniziativa porti su
una sola questione. Dato che in Svizzera il titolo dell’iniziativa cittadina è già una parte della questione referendaria,
la « Bundeskanzlei » (Cancelleria federale, ndt) può rigettare
ogni iniziativa cittadina laddove essa comprenda un titolo palesemente ingannevole.
Secondo certuni, il sistema referendario è la garanzia che ogni
innovazione essenziale rimarrà bloccata, perché la gente, di
norma, preferisce preservare lo status quo. Altri pretendono
esattamente il contrario, ossia che degli attivisti convinti possano utilizzare il referendum per impossessarsi della democrazia, siccome la « maggioranza silenziosa » resta a casa.
Esempi di conflitto a proposito di quegli aspetti sono rarissimi. Non è solamente una questione di regolamenti, ma anche di cultura e maturità democratiche. Siccome referendum
e iniziative fanno parte integrante dell’ordine del giorno negli Stati come la Svizzera, la California, l’Oregon, la Baviera,
ecc., rappresentano una faccenda tanto consueta per politici e servizi amministrativi – che hanno preso l’abitudine di
trattarli in modo trasparente, leale e schietto per il cittadino – quanto elezioni ordinarie sono di solito faccende senza
macchie nei paesi europei che ne hanno lunga esperienza.
É più sovente inimmaginabile che un partito al potere, ad
esempio nei Paesi Bassi, utilizzi la sua posizione per manipolare le elezioni distorcendo le regole. In modo simile, sarà
impensabile un giorno che partiti politici olandesi abusino
del processo di presa decisionale in democrazia diretta per
ottenere quello che vogliono.
Però ciò che si vorrebbe definire esattamente col termine
« innovazione » e quali punti di vista possano essere precisamente « etichettati » « di sinistra » o « di destra », tutto
ciò sarebbe per l’appunto un giudizio politico che andrebbe lasciato ai tecnocrati. I Verdi, ad esempio in Germania e
in Olanda, sono a favore dell’integrazione europea d’ampia
portata, basata su ciò che essi stessi considerano quali « argomenti progressisti », mentre i partiti amici in Scandinavia
e in Gran Bretagna, per esattamente le stesse ragioni « progressiste », sono, a dire il vero molto « euro-scettici ». Se i
partiti progressisti tentano di bloccare la riduzione dell’assicurazione sociale, che viene considerata da loro quale « modernizzazione necessaria » dai conservatori al potere – questa è una risposta « progressista » o « conservatrice »?
Se ciononostante esaminiamo il comportamento dei politici,
è anche vero, naturalmente, che in qualche caso, resistono
ostinatamente alla modernizzazione. La democrazia diretta
stessa ne fornisce l’esempio come lo è anche l’introduzione
dei buoni scolastici che libera il sistema educativo dagli artigli
dello Stato. É facile argomentare che siano delle modernizzazioni senza cui una società possa solo funzionare con difficoltà nel ventunesimo secolo. Una stragrande maggioranza della
popolazione è stata conquistata da queste due misure, ma i
politici le bloccano perché, nella fattispecie, sono loro stessi da avere un interesse per mantenere lo status quo. In altri
confronti, i politici sono, a dire il vero « più progressisti », ma
questo può avere ovviamente risultati negativi. Ad esempio,
abbiamo visto nel punto « B », qui sopra, che gli uomini politici vogliono un settore pubblico più ampio (e dunque fuori
del loro interesse personale, perché questo accresce il loro potere ) di quanto vogliano i cittadini. Ne risulta che sistemi puramente rappresentativi portano a più grandi deficit pubblici
di quanto non facciano i sistemi di democrazia diretta.
Delle difficoltà possono sorgere a causa della formulazione
della domanda, quando la gente deve votare « SÌ », ad esempio, per esprimere che essa sia contro un tema od il contrario. Ciò successe nel primo referendum italiano: nel 1974, gli
oppositori al divorzio dovevano votare « SÌ » (Budge, 1996).
Il referendum Belfort in Gand (Belgio, ndt) (nel 1997) ne è un
altro esempio: il consiglio municipale aveva redatto un quesito in modo tale che gli oppositori al progetto per parcheggio
nel centro urbano dovessero votare « SÌ ». Gli iniziatori del
referendum protestarono contro questo modo di fare. In fin
dei conti, essi temerono di avere una partecipazione non giustificata: gli elettori non seppero veramente più in che modo
votare. Sembra non esserci alcun esempio convincente in cui
l’opinione della maggioranza non avesse prevalso in quanto
gli elettori non avrebbero capito la questione.
Insomma – a rischio forse di rendere il nostro racconto monotono – dovremmo qui reiterare la constatazione nostra
una volta di più, ossia che gli oppositori della democrazia
diretta utilizzino criteri interamente differenti per la presa
di decisione rappresentativa e quella diretta. Nella presa decisionale rappresentativa, gli elettori vengono di norma totalmente abbandonati nel buio in modo frustrante, per quanto
concerne invero i coinvolgimenti della loro votazione. Non
conoscono l’ordine del giorno nascosto dei partiti; non sanno
quale coalizione governativa o quale programma governativo finiranno con l’emergere. I manifesti politici dei partiti
non ne dicono granché. Ad esempio, non fissano quali punti
saranno rapidamente lasciati durante i negoziati in vista di
formare la coalizione governativa. I trattati internazionali, le
imposte, come l’imposta sui carburanti, l’abolizione della coscrizione, del servizio militare, ecc.. Esempi (olandesi) sono
semplicemente imposti ai cittadini dopo le elezioni: dettagliati, spesso complessi, rimangono del tutto invisibili nella
« formulazione rappresentativa della domanda » – il manifesto elettorale. Nel caso della presa decisionale in democrazia
diretta, l’immagine d’insieme è più chiara: la gente sa quasi
sempre assai precisamente ciò per cui vota pro o contro.
Malgrado questo, gli oppositori al referendum popolare continuano a pretendere disonestamente che abbiano a che fare
con la « formulazione ambigua della questione » nella presa
decisionale in democrazia diretta.
Una democrazia integrata dispone degli strumenti due per
frenare e rallentare i politici che « viaggiano troppo velocemente » avanti al pubblico (referendum opzionale e referendum obbligatorio), e degli strumenti che il pubblico stesso
può usare per premere l’acceleratore nel caso in cui politici
eletti non vogliano cambiare marcia abbastanza rapidamente
(l’iniziativa cittadina). All’occasione, sono gli oppositori al referendum – quando, ad esempio, vengono costretti ad entrare in un governo di coalizione – che permettono d’introdurre
un po’ di democrazia diretta mediante una forma minima di
referendum (più volentieri quello dell’innocente opzionale),
con cui il cittadino possa dire « NO » a leggi già adottate dagli
uomini politici.
Un’occhiata data sulla pratica referendaria in Svizzera e negli
Stati americani rivela che i gruppi conservatori e progressisti
incontrano successi diversi nei referendum. Durante parecchi anni, in Svizzera, l’iniziativa cittadina fu principalmente
utilizzata da gruppi progressisti, mentre il referendum opzionale rimase lo strumento di predilezione dei conservatori.
Però tale distinzione andò attenuandosi negli ultimi anni. I
gruppi progressisti hanno conquistato maggioranze negli ultimi anni in iniziative che includevano la fornitura d’eroina
83
ai tossicomani, la protezione degli impegnati dall’economia
per ventiquattr’ore, l’adesione all’ONU, il sostegno all’agricoltura ecologicamente pulita, il provvedimento legislativo
del 1994 prevedente il trasporto transalpino di merci per treno, con la sua attuazione nel 2004, l’inclusione di un articolo
anti-razzista nella Costituzione svizzera, un aumento della
tassa petrolifera, la qualificazione del rapimento in seno al
matrimonio quale crimine punibile, restrizioni sulle modifiche genetiche degli organismi, la creazione di un servizio
civile quale alternativa al servizio militare obbligatorio, una
moratoria sulla costruzione di centrali nucleari, parecchie
tasse sull’uso delle macchine e camion, e l’abolizione della
pena di morte, compresa in tempo di guerra. Dal lato dei
conservatori, questi ottennero l’approvazione delle misure
seguenti: condanna all’ergastolo per i criminali sessuali considerati dagli esperti quali pericolosi e incurabili, parecchi
regolamenti per ridurre deficit di bilancio, l’arresto di parecchi finanziamenti governativi così come il rigetto di alcune
proposte progressiste venienti dal governo o dalle iniziative
cittadine (Butler e Ranny, 1994; Kaufmann et al., 2005).
diretta. La sola ragione per cui la Costituzione europea fu
provvisoriamente lasciata dormire, fu il risultato dei referendum indetti in Francia e Olanda.
k)Ci fossero migliori strumenti del
referendum...
La prima risposta dei politici quando vengono messi a confronto con la rivendicazione di democrazia diretta, è semplicemente d’ignorarla. Se la rivendicazione prosegue e si gonfia, arriva un momento in cui continuare a ignorarla non è più
efficace. politici, assieme a quelli che s’identificano con essi,
vengono spesso a proporre misure alternative miranti, da una
parte, a provare che non siano sordi alla domanda pubblica per
più democrazia, da un’altra parte, invece, ad essere non tanto minacciosi per quelli che sono al potere. Tali misure sono
poi presentate quali tentativo per trovare strumenti operanti
« meglio » dei referendum. Fu il caso in Belgio, ad esempio,
dove la democrazia diretta fu subito spostata a capo dell’agenda politica sotto la pressione delle dimostrazioni massicce (le
« marches blanches », ossia « marce bianche ») nella seconda
metà degli anni 90, ma dove anche i politici rivennero continuamente a loro antiche posizioni e rigettarono l’appoggio
anteriore loro ai referendum d’iniziativa cittadina.
Durante gli ultimi decenni, dei gruppi « progressisti » hanno
adoperato con successo il ricorso referendario per proposte
che includevano una migliore legislazione ambientale, l’uso
legale della marijuana a fini medici, un aumento delle tasse
sulle sigarette, la proibizione di diverse sostanze tossiche, parecchie misure in favore della protezione animale, un quadro
minimo per bilanci scolastici, e condizioni necessarie alla libertà d’informazione a beneficio di consumatori ed elettori.
I « conservatori », per quanto li concerne, ottennero maggioranze per ridurre le imposte sul reddito e le tasse immobiliari, condanne più severe per i recidivi, la fine dell’istruzione
bilingue, quella della « discriminazione positiva », la chiusura di alcuni servizi governativi per gli immigrati illegali, il
lavoro remunerato concesso ai detenuti e l’introduzione del
referendum obbligatorio in caso d’aumento delle imposte e
tariffe proposte al livello locale (Allsawang, 2000). Hajnal e
Louch (2001, p.VII) conclusero che negli anni ‘80, i sostenitori dei Democratici e Repubblicani ebbero ambedue esattamente la stessa probabilità (il 62%) di ritrovarsi del lato
vincente della votazione popolare; negli anni ‘90, i sostenitori dei Repubblicani si ritrovarono del lato vincente solo il
2% più frequentemente dei quelli dei Democratici. Così si
mantengono gli uni e gli altri in equilibrio.
In questo contesto, il giornalista Filippe Rogiers cita gli argomenti del politico belga Dirck Holemans per la democrazia
« dialogica » al posto di « diretta »: « La democrazia dialogica », dice Holemans, « differisce fondamentalmente dalla democrazia diretta. Con quest’ultima è il modello del mercato
che entra nella politica. Tale modello parte dall’idea che se voi
conducete un’indagine, ottenete ugualmente una prima idea
dello stato dei problemi presenti attualmente nella società –
mentre la democrazia significa veramente che voi forniate
al popolo un’opportunità d’interrogare la propria visione ed,
eventualmente, di modificarla. É solo in questo modo che creerete effettivamente un appoggio sociale per i cambiamenti
necessari. » La « democrazia dialogica » non è la democrazia
diretta, non consiste nell’annotare e addizionare opinioni in
termine di « SÌ » e di « NO ». Non è neanche una maniera
vergognosa di dare legittimità alla democrazia rappresentativa. É soltanto un termine molto prosaico per la democrazia.
Un esempio classico è la formula delle giurie cittadine. In
una città od un municipio, un gruppo rappresentativo di cittadini viene radunato attorno a un tema specifico. Vengono
date loro tutte le opportunità e risorse possibili per formulare
un giudizio pertinente del più considerato. Possono concedere un’audizione a testimoni ed esperti diversi. Alla fine della
loro sessione, rilasciano un giudizio e propongono una soluzione. Non si deve avere consenso ; non ci vuole unanimità.
Anche i cittadini che hanno dovuto riconoscere i propri torti,
capiscono per lo meno la ragione della decisione finale. Ci
sono stati un dialogo e un confronto, le opinioni se ne sono
cambiate. » (Knack, il 19 febbraio 2000).
La pretesa opposta, cioè che gli attivisti convinti potessero
recuperare la democrazia diretta per fare passare le loro posizioni estremiste, ha nello stesso modo pochissima sostanza.
Le pratiche svizzera e americana evidenziano chiaramente
che gli elettori sono estremamente prudenti. Se gli attivisti
volessero fare adottare una proposta, dovrebbero adoperare
l’iniziativa cittadina. Vedemmo già nel capitolo quinto che in
Svizzera, solo il 10% delle iniziative cittadine viene approvato
dagli elettori; in California la cifra ammonta al 40%, ma poiché molte iniziative vengono annullate dopo dai Tribunali, il
valore finale si approssima al 10%. Quando non sono sicuri,
gli elettori votano contro l’iniziativa cittadina.
La tattica di tale linea di ragionamento contro la democrazia
diretta è chiarissima. Dapprima viene presentata la democrazia diretta mediante il referendum d’iniziativa cittadina quale ricerca di mercato, libera da ogni discussione sociale e da
formazione d’opinione. Palesemente, nessuno può trovare
ciò veramente attraente. Poi l’alternativa di una democrazia
« dialogica » viene presentata, in cui cittadini ottengono effettivamente e veramente le informazioni, discutono le cose
tra essi e cambiano eventualmente d’opinione. La confusione dei concetti prodotta qui è quella che esiste tra due paia
di posizioni opposte : « reale formazione d’opinione » contro
In certuni confronti, i piccoli gruppi appassionati, per dire
il vero, hanno più grande fortune nei sistemi strettamente
rappresentativi. Insomma, in questi sistemi occorrerebbe
loro solo persuadere un piccolo numero di politici. I sovranazionalisti europei sono un esempio tipico di piccolo gruppo d’attivisti che hanno avuto la più grande influenza nello
sviluppo non-democratico dell’UE, mediante il sistema rappresentativo (ciò che viene provato dal disegno di Costituzione europea), il ché non l’avessero mai avuta in democrazia
84
« nessuna formazione d’opinione », da una parte e, dall’altra
« sovranità popolare » contro « nessuna sovranità popolare ».
Holemans e Rogiers rigettano dunque il referendum d’iniziativa cittadina in base al primo paio, facendo valere che la
formazione d’opinione sia essenziale, nonché incompatibile
col referendum, e poi promuovono se stessi un’iniziativa che
garantisca molto più una sedicente formazione d’opinione,
ma, purtroppo, loro rinunciano alla sovranità popolare.
Vale la pena d’osservare incidentalmente – e specificamente
in rapporto alla proposizione di Rogiers e Holemans – che
Van Praag, cui condusse investigazioni sul livello e la qualità
del dibattito pubblico per parecchi referendum municipali
nei Paesi Bassi, fa correttamente rimarcare che il processo
formativo d’opinione, per i cittadini che hanno fatto ricorso
all’indagine cittadina, vada assai meno in profondità che non
nel caso dei referendum. « Inoltre è molto interessante che
si domandi ai cittadini la loro opinione su questioni per cui,
di solito, non vengono raramente presi in considerazione, se
addirittura affatto. Esiste pertanto un pericolo che la registrazione delle viste cittadine unicamente mediante un’indagine
rappresenti piuttosto un istantanea, che può agevolmente
cambiare di nuovo sotto l’influsso di argomenti nuovi. Ciò
vale anche, sebbene in una misura meno estesa, per i questionari a scelta multipla, in cui cittadini vengono incoraggiati a pensare su idee politiche alternative. Tale obiezione è
assai meno valida per un risultato referendario. Il beneficio
del dibattito pubblico, causato dal referendum, sta nel fatto
che i cittadini vengono messi a confronto con parecchi argomenti sul lungo periodo. La formazione d’opinione tra i
cittadini si è meglio cristallizzata in genere dopo parecchie
settimane, e essa cambierebbe quindi meno sotto l’influsso
d’informazioni nuove ».
Eppure è assurdo (e gratuito, ndt) pretendere che un referendum d’iniziativa cittadina non possa venir accoppiato a un
processo intenso di formazione sociale d’opinione. Ma più
violentemente ancora, c’è un caso a priori dove il dibattito sociale sarà assai più intenso con i referendum obbligatori, in
quanto nel primo caso molto più cittadini partecipano nella
discussione, ne sono più motivati perché sanno che prenderanno finalmente la decisione da se stessi. Né Holemans,
né Rogiers fanno un qualsiasi sforzo per rinforzare la loro
premessa. Affermano semplicemente l’incompatibilità del
referendum popolare con la formazione d’opinione come
qualcosa di ovvio e sperano che il lettore ne verrà ciecamente
convinto. Poi le « alternative » (quali le giurie cittadine) vengono presentate come metodi funzionali che garantiscano
« realmente » la formazione d’opinione, sebbene l’indebolimento della sovranità, collegato a « quest’alternativa », riceva
tanta poca attenzione quanto sia possibile e venga furtivamente presentato come accettabile. Rogiers lascia perfino intendere che cittadini non si radunino d’iniziativa propria, ma
che venga « riunito un gruppo rappresentativo ». Ma da chi ?
Rogiers non lo precisa, dato che la risposta è, naturalmente:
dai politici eletti. I cittadini non si costituiscono dunque in
un corpo sovrano, non : « … vengono date loro tutte le opportunità e le risorse possibili per formare un’opinione, un giudizio pertinente del più considerato ». Vengono date loro?
Chi gliele dà ? Di nuovo, la risposta esplicita si fa sempre
aspettare. E alla fine dei conti, i cittadini non prendono una
decisione sovrana, no, essi « … propongono una soluzione ».
A chi ? E chi adotta o rigetta tale soluzione ? La risposta implicita è una volta di più : i politici !
Il referendum risulta dunque l’innovazione amministrativa
la più popolare tra la gente. Nel 1998, il Dutch Social and Cultural Planing Board (1999, p.37) [Ufficio di pianificazione sociale e culturale olandese, ndt] fece un sondaggio sul sostegno
popolare incontrato in Olanda in favore a cinque innovazioni
proposte. Il referendum, con un sostegno del 80% vinse, seguito di poco dall’elezione del sindaco (il 71%), poi il sistema
di coscrizione elettorale per le elezioni parlamentari (il 55%),
quella del Primo Ministro (il 54%) e di fare una repubblica
in Olanda (il 10%). L’investigazione dette quasi gli medesimi
risultati di quei dati ottenuti da un’investigazione precedente
nel 1972 con le stesse domande, in cui, a quest’epoca, il referendum arrivava anche in testa col 62% di sostegno.
l) Pericolo per il paese
Lo studioso di scienze politiche Van Praag (2000) paragonò
sistematicamente il referendum opzionale con gli altri due
strumenti di « democrazia partecipativa » popolari tra i politici olandesi : l’indagine cittadina (anche chiamata « foro dei
cittadini » o « controllo dai cittadini » e la presa decisionale
interattiva (anche chiamata « processo scompartito ». Nell’indagine cittadina – sotto le istruzioni di funzionari statali o
politici – un gruppo fisso e rappresentativo di cittadini è regolarmente interrogato a proposito di tutte le sorte di temi.
Nella presa decisionale interattiva, si domanda alla gente di
assistere a riunioni in cui cittadini, nella compagnia di funzionari statali e/o politici, tracciano disegni in vista di risolvere un problema specifico individuato dall’amministrazione.
L’argomento viene spesso menzionato in Belgio, tra altri luoghi.
Anche qui bisogna dapprima osservare che lo Stato esiste per
il popolo e il popolo non esiste per lo Stato. Se uno Stato può
continuare a vivere solo cancellando lo sviluppo della democrazia, allora questo Stato non ha più nessun diritto d’esistere (nella sua forma presente) in quanto non è più ciò che il
popolo vuole essere.
La « controversia reale » belga – il dibattito attorno al ritorno d’esilio del Re Leopoldo dopo la seconda Guerra mondiale
– non può in nessuna circostanza venire menzionata quale
argomento contro la democrazia diretta. Si deve fare rigorosa
distinzione tra referendum obbligatori d’iniziativa cittadina e
quelli che si chiamano « plebisciti » o « referendum popolari ».
Quegli ultimi vengono indetti da coloro che stanno al potere
per creare una legittimità particolare a imporre disegni propri
(si vede il punto « C » per altri esempi ed informazioni).
Van Praag fa osservare che l’indagine cittadina e il processo
della presa decisionale interattiva sono indette all’iniziativa
delle autorità, mentre il referendum lo è dai cittadini: che
c’è un dibattito pubblico assai meno intenso con l’indagine
cittadina e la presa decisionale interattiva, e che assai meno
cittadini vi sono coinvolti che nel referendum ; peraltro, la
posizione dei funzionari statali e politici è molto più dominante con l’indagine cittadina e la presa decisionale interattiva che nel caso del referendum. Van Praag concluse poi che
per queste ragioni, il referendum fosse uno strumento che
serve i cittadini mentre l’indagine cittadina e la presa decisionale, invece, sono strumenti al servizio di quelli che fanno la
politica ufficiale.
Nel caso preciso della controversia belga, il plebiscito fu infatti l’ultimo ricorso dell’élite politica per schivare il vicolo cieco
risultante in seno al sistema rappresentativo belga. Dopo che
tale sistema si fu impantanato completamente, se ne invocò
effettivamente al deus ex machina del plebiscito.
85
Sotto ogni aspetto, il plebiscito del 1950 in Belgio fu una caricatura diabolica della presa decisionale democratica. In primo
luogo, il risultato della votazione non era obbligatorio (e in
fin dei conti fu una minoranza che trovò l’esito suo sulla questione). Secondariamente, tale plebiscito non originò dall’iniziativa popolare, anzi da quella delle classe politica, dopo che
questa ebbe permesso alla situazione di divenire del tutto inestricabile. In terzo luogo, tutti i partiti politici e il Re stesso,
adoperarono diversi criteri per interpretarne l’esito. « Durante
la formazione del primo governo Eyskens, nell’estate 1949,
Socialisti esigerono il 66% di « SÌ », ma Liberali fecero una
distinzione : il 70% o più, questo implicherebbe per loro un ritorno immediato del re, meno del 55%, questo avrebbe richiesto l’abdicazione e tra questi due valori il percentuale avrebbe
servito d’indicazione per il Parlamento. (…) Per Paul-Henri
Spaak, il 66% era sufficiente al piano nazionale, ma il capo
del partito socialista belga, Buset, domandò una maggioranza
per lo meno del 60% nelle province di Vallonia, a Bruxelles, e
le Fiandre. Poi la discussione sul plebiscito diventò intensa e
nuove soglie furono formulate. » (Dewatcher, 1992). Il Re stesso stabilì tale soglia al 55%, ma per finire nessun accordo generalmente accettato sull’interpretazione consensuale dell’esito emerse dalla classe politica. Non è sorprendente dunque
che la totalità dell’affare sbocchi nel caos. Nell’intero Belgio, il
58% dei votanti fu in favore del ritorno, però mentre una maggioranza votava per il ritorno nelle Fiandre, ci fu, invece, una
maggioranza contro questo nelle provincie di Vallonia. L’esito
fu dunque rigettato da numerosi gruppi sociali e partiti e questi tentarono d’impedire il ritorno del Re. Questi era d’accordo
in ogni modo ad abdicare quando suo figlio avrebbe raggiunto
il ventunesimo anno d’età, e Baldovino venne proclamato re il
giorno dopo l’abdicazione di Leopoldo.
La controversia serve d’esempio per dimostrare che comunità di lingue diverse possono votare diversamente e che l’esito
possa dilaniare il paese. Si devono fare a questo punto due
osservazioni fondamentali. Primariamente, non è vero che
diversi risultati di votazione in seno a gruppi etnici diversi minaccino per forza di cose l’unità federale. In Svizzera,
ci sono molti esempi di tali risultati di votazioni divergenti.
Ad esempio, la maggioranza degli Svizzeri francofoni votarono in favore all’accesso del paese allo Spazio Economico
Europeo nel 1992, mentre la stragrande maggioranza germanofona votò contro (finalmente ci fu una maggioranza al
piano nazionale). Nel settembre 1997, il più degli Svizzeri
germanofoni approvò la riduzione dei sussidi di disoccupazione, mentre quelli francofoni la rigettarono con un’ampia
maggioranza (ciò che finalmente diede una stretta maggioranza al piano nazionale). Tali risultati non condussero a
« tendenze comunitarie ». Secondariamente, Tali problemi
accadrebbero assai meno se esistesse una struttura federale
consistente con cui si potrebbe lavorare. Sole tali questioni,
che devono essere decise a un livello più ampio, per la loro
stessa natura, vanno dunque sottoposte alla votazione a tale
livello. In seno al contesto federale, l’esito logico della controversia reale sarebbe stato che le Fiandre conservassero la monarchia mentre le province di Vallonia non la conservassero,
dato che in questa controversia, non c’era assolutamente nessuna ragione pratica per cui una comunita dovesse cedere
questo punto alla maggioranza dell’altra comunità. Il problema sorse pertanto, perché la presa decisionale s’instaurò nel
contesto di un’autorità e di uno Stato unitario.
6-1:In che modo la democrazia diretta fu
silenziosamente ritirata in Germania
dopo la seconda Guerra mondiale
queste circostanze, solo i sostenitori dell’iniziativa andarono a votare, questo voleva dire de facto che il segreto dello
scrutinio ne veniva compromesso. Nelle regioni rurali, in
particolare, molti operai agricoli stettero a casa sotto la minaccia dei proprietari terrieri e delle aziende agricole. Finalmente il 39% soltanto dell’elettorato votò, di cui il 95,6%
in favore all’iniziativa. La soglia del 50% non fu raggiunta,
l’aristocrazia agraria riportò la battaglia a causa del quorum
partecipativo troppo elevato. Nel 1929, un secondo referendum venne organizzato dai partiti de l’ala destra sulla
questione del pagamento dei compensi. Al fine del giorno
di votazione, solo il 14,6% degli elettori vi aveva partecipato, e dunque il risultato fu parimenti invalidato. Nel 1932, i
Socialisti lanciarono un’altra iniziativa che domandava un
aumento dei salari. In questo momento, il Parlamento era
già stato paralizzato e il governo stava operando col ricorso a leggi d’emergenza. Il governo rispose all’iniziativa con
l’aumentare dei salari, dopodiché l’iniziativa cittadina fu
prematuramente abbandonata.
Dopo la prima Guerra mondiale, l’Impero germanico diventò una Repubblica e Weimar ne fu la capitale. Nel 1919,
la costituzione della Repubblica di Weimar entrò in vigore ;
questa comprenddeva il principio del referendum copiato
dall’esempio svizzero. In pratica, però il referendum non
poteva funzionare, essenzialmente per la soglia del quorum
partecipativo del 50%. Rigorosamente parlando, secondo la
Costituzione, tale quorum s’applicava solo al referendum
correttore della Costituzione stessa e non a quello dell’iniziativa cittadina. Ciononostante, in pratica, esso fu ugualmente richiesto per quest’ultima.
In definitiva due referendum ebbero luogo ; ambedue fallirono in quanto il quorum non fu mai raggiunto. Ci fu
un’iniziativa nel 1926, a proposito dell’esproprio di terre
possedute dalla nobiltà. I più grandi proprietari aristocratici
avevano domandato livelli di compenso estremamente elevati per le loro proprietà di cui erano stati espropriati dopo
la Guerra mondiale. In pieno momento di boom inflazionistico, , lo Stato poteva procurarsi denaro soltanto gravando
pesantemente sui cittadini. L’iniziativa popolare per opporsi a tale misura venne iniziata dal partito comunista ; socialisti e molti altri gruppi cittadini l’appoggiarono. Contro
questa venne lanciata la « madre di tutte le campagne di
boicottaggio » : sostenitori potenti della nobiltà, appoggiati
dalla stampa, fecero appello apertamente al boicottaggio. In
Perciò le iniziative cittadine non furono mai ricompensate
da un successo formale sotto la Repubblica di Weimar. Tutto il potere legislativo rimase nelle mani del Parlamento.
Questo trasferì tutto il potere suo nelle mani di Hitler nel
marzo 1933, mediante la fin troppo famosa « Ermächtigungsgesetzt » (legge dei peini poteri, ndt), anche se i nazisti non
avevano mai ottenuto l’appoggio di una qualunque maggioranza di cittadini tedeschi in nessuna elezione.
I fatti storici rovinano dunque da se stessi l’affermazione
secondo cui i nazisti fossero pervenuti al potere mediante
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la democrazia. In verità, i nazisti raggiunsero il potere mediante il sistema rappresentativo. La maggioranza dei cittadini non aveva mai votato a favore dei nazisti al momento in
cui questi si erano taciuti o avevano parlato vagamente dei
progetti segreti loro. Se avessero presentato i veri progetti
– compreso il genocidio organizzato e la dichiarazione di
guerre d’aggressione – alla popolazione in un referendum,
sarebbe quasi impensabile che avessero potuto acquisire
una maggioranza di voti. Ciò che Hitler stesso pensava sulla democrazia (diretta) doveva essere ovvio dall’argomentazione sua esposta contro la « democrazia parlamentare » in
« Mein Kampf » : « Opposta a questa, è la vera democrazia
germanica, con la libera scelta del suo « Führer » cui s’impegna se stesso ad accettare la responsabilità totale per quanto lui decide di fare o di non fare. In questa democrazia
(germanica) non ci sono più elezioni popolari per il più dei
temi particolari ma solo determinazioni (Hitler sceglie qui
anzi un termine avente il significato di « sorta ») prese da
un solo individuo che deve dopo averpreso le sue decisioni
con tutti i poteri e tutta l’integrità del suo essere » (Hitler,
1943/1925, p.99). In un discorso sul « Führerstaat », di
fronte a 800 membri del partito nazista, nel 29 aprile 1937,
Hitler espresse perfino più chiaramente ancora quello che
aveva in mente: la Stato « ha il diritto d’assumere il potere
dittatoriale, e il dovere di costringere gli altri a obbedirgli.
Perciò il nostro Stato non è stato edificato – su questo voglio, io, insistere – sul referendum, bensì il nostro scopo è
di persuadere la gente della necessità di ciò che sta accadendo. (…) Adesso, uno mi dirà forse : « bene, ma anche voi
avete tenuto un referendum ». Sì !, ma dapprima io, ho agito ! Ho agito prima e solo dopo, ho fatto questo referendum,
perché volevo veramente dimostrare al resto del mondo che
il popolo tedesco mi sostenesse. Perciò l’ho fatto. Fossi io,
stato convinto che il popolo tedesco non fosse forse stato
capace seguirci sulla questione, avrei perfino agito, ma
dopo non avrei tenuto referendum. » (Discorso pubblicato
in Frei, 1987, pp.190-195). Nazisti flirtano brevemente quindi con l’idea dell’assemblea pubblica. In numerosi luoghi,
in Germania dal 1933, formarono quelle che furono chiamate « Thingplätze » (“Thing Squates”, o “Thing”, o “Ting”)
essendo l’antica denominazione dell’Assemblea pubblica in
Scandinavia e qualche altro luogo d’Inghilterra, che non ebbero mai a che fare con la presa decisionale in democrazia
diretta, ma erano luoghi dove la gente era tenuta ad assistere passivamente a raduni dimostrativi della propaganda
nazista. Ma dal 1935, i nazisti decisero di mettervi fine e
proibirono questo tipo d’assemblea dei « Thing Squares »
[http://de.wikipedia.org/wiki/Thing].
sentscheid »), quella che la Repubblica di Weimar copiò dalla
tradizione svizzera, è anche stata ritirata dal repertorio degli
strumenti legislativi tedeschi. Questo condurrebbe per un
tempo al facile rimprovero che il Consiglio parlamentare
avesse privato il popolo tedesco di un elemento democratico fondamentale. Ma, alla luce degli avvenimenti scorsi, era
essenzialmente dover suo proteggere lo Stato ancora incerto dalle prevaricazioni di demagoghi vaghi e di fondare una
responsabilità impegnata in seno al sistema rappresentativo » (Weirauch, 1989, p.40).
Nel 1948, un « Consiglio parlamentare » (non eletto dal popolo, dunque) venne nominato a Bonn che ebbe a « proiettare » una nuova Costituzione par la Germania dell’Ovest.
Il fatto colpisce che il Consiglio usasse « l’esperienza di
Weimar » quale ragione per non introdurre la democrazia
diretta in Germania dell’Ovest. Il primo Presidente della
Repubblica Federale di Germania dopo la seconda Guerra mondiale, Teodoro Heuss, incoraggiò in particolare
tale interpretazione assurda della storia tedesca dell’anteguerra. Heuss era stato precisamente lui un membro del
Parlamento del 1933, e, sebbene fosse non-simpatizzante
nazista, non aveva mai approvato la « Ermächtigungsgesetz ». A guisa d’introduzione alla nuova Costituzione della
Germania dell’Ovest del dopoguerra, Heuss scrisse : « La
forma plebiscitaria della democrazia, con la sua iniziativa
popolare e il suo referendum (« Volksbegehren » e « Volk-
6-2:A proposito della votazione obbligatoria
In altre parole : il risultato del fallimento della democrazia
parlamentare venne utilizzato per ritirare la democrazia
diretta. Le conseguenze per la storia europea furono immense. In effetti, se, dopo la seconda Guerra mondiale, una
pratica politica di democrazia diretta si fosse sviluppata in
Germania, seguendo più o meno l’esempio svizzero, la carta democratica del mondo alla fine del Novecento avrebbe
preso un aspetto molto diverso.
Ciò che è particolarmente notevole è il fatto che le Costituzioni dell’ex-DDR (Germania dell’Est comunistica) e di
Berlino prevedevano effettivamente il referendum d’iniziativa cittadina. Poco dopo la guerra, il SED – partito d’unione
che emerse della fusione forzata dei partiti comunista e socialista nella zona sovietica – faceva perfino una campagna
attiva per l’ideale della democrazia diretta. Difatti questo
partito cercava semplicemente di raggiungere lo scopo che
era stato anteriormente iscritto nei programmi socialisti
dell’Ottocento. Alcuni referendum popolari vennero effettivamente indetti, ad esempio sullo spossessamento dei
criminali di guerra. Dopo di che la Germania fu scissa, il
SED arrivò al potere in Germania dell’Est, e il suo interesse
per la democrazia diretta svanì senza lasciare nessuna traccia. Nonostante questo, la democrazia diretta rimase prevista nella Costituzione della DDR fin al 1968, l’anno della
Primavera di Praga, in cui la disposizione venne cancellata
senza nessun dibattito pubblico.
La presa decisionale mediante la democrazia diretta era parimenti prevista costituzionalmente per Berlino-Ovest dopo
la seconda Guerra mondiale. Tutti i poteri politici di Berlino
tacquero su tale opzione costituzionale e questa venne finalmente tolta nel 1974, fuori dal dibattito pubblico.
Gli oppositori alla democrazia diretta sopravvissero dunque
chiaramente da entrambi i lati della Cortina di ferro.
Belgio e Grecia sono gli ultimi Stati europei due a conservare l’elezione obbligatoria. Entrambi paesi hanno anche
deficit pubblico estremamente elevato con un’economia
sotterranea sviluppata e l’assenza di ogni forma di referendum (situazione dell’estate 2006).
Democratici Cristiani e Socialisti difendono il voto obbligatorio. Il primo argomento è che senza questo, siano principalmente la gente socialmente debole che non partecipi alla
votazione, ciò che indebolirebbe seriamente la rappresentatività all’esito della votazione. Mediante l’obbligo di votazione, tutte le classi sociali hanno una rappresentanza uguale
nel processo di presa decisionale (indiretta).
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Tal argomento è contestabile par parecchie ragioni. Una votazione obbligatoria non crea la competenza per realizzare
un voto responsabile, ma incoraggia la votazione di protesta e le schede bianche. Si può provare che l’abolizione del
voto obbligatorio focalizzi infatti l’attenzione su gruppi che
tendono a partecipare meno alle elezioni. Precisamente
perché gruppi passivi possono in parecchie occasioni fare
la differenza tra maggioranza e minoranza, attraggono
tutta l’attenzione dei partiti politici, dato che la loro votazione può essere guadagnata (tale argomento fu usato dal
gruppo Agalev dei Verdi del politico Boutmans, nel giornale
Gazet van Antwerp, maggio 1997). In Svizzera, all’incirca
30% dell’elettorato vota sempre, il 45% di modo selettivo,
e il 25% è raramente persuaso a andare a votare (Möckli,
1994, p.206). C’è dunque un ampio gruppo d’elettori che
possono venire potenzialmente mobilitati e su cui politici
possono focalizzare i loro poteri di persuasione. É lungi da
essere chiaro che l’effetto predetto da Boutmans giocherebbe effettivamente un ruolo in paesi senza l’elezione d’obbligo. Tuttavia, c’è solo una piccola prova che la votazione
obbligatoria porti ad una migliore rappresentazione dei
gruppi che tendono a partecipare meno alle elezioni. I partiti dell’estrema destra, ad esempio, ottengono una larga
proporzione dei loro voti dagli elettori che si trovano per
l’appunto in gruppi socialmente deboli, anche se, in pratica,
quei partiti sono meno efficaci nella difesa degli interessi
sociali e economici di questi gruppi.
Tale argomento deve essere preso sul serio. Ci sono alcune
forme d’aiuto reciproco che i cittadini non possono ragionevolmente rifiutarsi tra loro e si può arguire che le esigenze
collettive in una società richiedano tempo ed attenzione di
ciascuno. In pratica, si noti però che i partiti che stanno
pronunciandosi in favore della votazione obbligatoria, resistano contemporaneamente all’introduzione della democrazia diretta. Questo mina totalmente l’argomento in
favore dell’obbligo di votare. Tale combinazione della votazione obbligatoria e del sistema puramente rappresentativo
è perversa. La gente viene forzata ad esprimere un’opinione
in quanto questo sia il suo dovere civico. Ma restrizioni assurde vengono messe sulle opportunità che la gente ha per
farlo – secondo i sostenitori dell’obbligo di votare, cittadini
vengono solo autorizzati a votare per scegliere un partito ;
e peggio ancora, viene anche domandato loro di rinunciare
ai loro diritti, anche se preferissero esercitare questi diritti
direttamente. Se la formazione di un giudizio sociale viene
considerata quale un dovere civico, deve anche essere un
dovere civico di esprimere direttamente giudizi che sono
stati fatti. Ciò non è possibile nel sistema puramente rappresentativo : si può solo scegliere programmi completi di
partito che non corrispondono quasi mai ai propri punti
di vista. Causa così ogni sorta di distorsioni il sistema rappresentativo, come l’effetto di « pressione incrociata » : gli
elettori, che non possono trovare un partito conveniente per
rappresentarli, pensano più facilmente d’astenersi nella votazione. In Olanda, ad esempio, quest’impatto si vede tra
gli Operai Cristiani : se votano per i Democratici Cristiani (CDA), non stanno votando per un partito che sostenga
i lavoratori, e se votano ora per il Partito Laburista (PvdA)
non lo fanno neanche per valori cristiani. In conseguenze,
Lavoritari Cristiani danno prova di una tendenza più forte
di non andare a votare (Smeenk, 1996, p.236). Non si risolverà tale problema di gruppo obbligandoli a andare a votare
per forza. Il loro vero problema è da non potere dire ciò che
vogliono davvero dire mediante elezioni soltanto rappresentative. Sola la democrazia diretta può correttamente risolvere questo problema di gruppo di votanti e di un modo
o l’altro, facciamo noi stessi parte di tali gruppi.
Un argomento contro l’obbligo di votare è che essa tolga
la motivazione intrinseca di prendere parte alla votazione.
Qualcuno che viene forzato a votare non lo fa più di volontà propria e di discernimento proprio. La partecipazione
volontaria alle elezioni non si basa su calcoli egoistici. Per
il cittadino individuale il beneficio della votazione non è
niente, dopotutto, paragonato alla spesa per prendere parte
alla votazione – o quella del tempo investito. Dunque votare
non è un atto razionale per un cittadino calcolatore. Malgrado questo, la gente esce per andare a votare e lo fa per
motivazioni non egoistiche. Forse sbaglia sul beneficio che
ne ricava, ma assai probabilmente vota per solidarietà nei
riguardi di un gruppo, mediante un senso di cittadinanza o
per principio. Una partecipazione volontaria nella votazione è già una forma di capitale sociale e tale capitale viene
distrutto quando la votazione diviene obbligatoria.
Chi si fa avvocato dell’obbligo di votare, ma rigetta simultaneamente la democrazia diretta, costui non è credibile. Il
voto obbligatorio che vada di pari passo con la democrazia
diretta, questo è difendibile. Ma si deve anche accettare poi
che i cittadini stessi siano infine autorizzati a decidere –
per via di democrazia diretta – sul mantenimento eventuale
della votazione obbligatoria. Finché ciò non succeda, l’obbligazione del voto può essere considerata solo come uno
strumento di certuni partiti politici per ammantarsi in un
ambiente a buon mercato di « rappresentatività », in cui in
fin dei conti, sono i soli a credere ancora.
I difensori dell’obbligo di votare considerano anche la partecipazione un dovere civico. La nostra società dispone di
diversi doveri di questo tipo. Così ogni cittadino è tenuto ad
offrire aiuto a chiunque si trovi nel bisogno o – se lei o lui
viene chiamata(o) a farlo – d’accettare di esser in una giuria
o force d’aiutare nel seggio elettorale al momento delle elezioni. Da questo punto di vista, l’obbligo del votare riflette il
nostro compito morale di preoccuparci se stessi dei minimi
particolari della società, di formarci opinioni al meglio della
propria capacità sulle soluzioni possibili ai problemi della
società e di esprimere tal opinione con cautela.
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Bibliografia
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politics in Brazil”, Boulder: Lynne Rienner Publishers
D. Butler / A. Ranney (1994), „Referendums around the
world. The growing use of direct democracy“, Washington
D.C.: AEI Press
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A proposito degli autori
Jos Verhulst (nato nel 1949) è Dottore in chimica quantistica dell’Università de Leuven,
Belgio, così come diplomato in filosofia e scienze economiche. É cofondatore del Democratie.nu, il Movimento Belga per la democrazia diretta.
Le opere precedenti di Jos verhulst comprendono : Der Glanz von Kopenhagen : Geistige
Perspectiven der modernen Physik [Il fulgore di Copenhagen : Prospettive spirituali della fisica moderna] (Spiritual perspectives on modern physics, 1994), un’interpretazione
aristotelica della meccanica quantistica, e Der Erstgeborene : Mensch und höhere Tiere
in der Evolution [Il primo-nato : l’uomo e gli animali superiori nell’evoluzione] (1998),
una vista non-darviniana sull’evoluzione umana (pubblicato nel 2003 negli Stati-Uniti
col titolo : Developmental Dynamics in Humans and Other Primates)
Ha ugualmente pubblicato articoli in Psychological Report, Acta Biotheoritica, il British
Medical Journal ed Annals of Human Biology.
Pubblica anche commenti politici sui giornali e reviste in diversi paesi europei.
Redasse la prima edizione della presente opera nel 1998.
Arjen Nijeboer (nato nel 1974) studiò giornalismo e comunicazione nel Windesheim College, Zwolle, Paesi Bassi, e le relazioni internazionali all’Università di Amsterdam. E’ cofondatore del IRI-Europe e della Referendum Piattaforma. Ha condotto varie campagne
nei Paesi Bassi per introdurre la democrazia diretta, compresa quella per il referendum
a proposito della Costituzione Europea ; consiglia politici e amministrazioni e organizzazioni per quanto concerne questioni referendarie e campagne. Pubblica articoli a proposito di temi democratici sui giornali nazionali e riviste specializzate e universitarie in
vari paesi.
E’ anche coautore di questa seconda edizione estesa e riveduta.
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A proposito degli editori di quest’opera
Democracy International
Democrazia internazionale è una rete di movimenti di democrazia diretta che venne fondata a Bruxelles all’inizio del 2005. Mira a promuovere la democrazia diretta contemporaneamente nei paesi d’Europa e al livello dell’UE. Ingloba quelli che criticano e sostengono
l’UE, cui, malgrado le loro differenze, sono uniti dall’anelare ad una democrazia più diretta in Europa. Democracy International ha condotto campagne per ottenere referendum
sulla Costituzione europea nel maggior numero di paesi possibili: circa 10 Stati hanno
annunciato questo referendum. La sua campagna a favore dell’introduzione dei diritti di
democrazia diretta nel disegno di Costituzione europea riuscì parzialmente : l’iniziativa cittadina europea vi fu inclusa. Dopo il rigetto del disegno, Democracy International
fu una delle numerose organizzazioni che fanno campagna per l’introduzione separata
dell’Iniziativa Cittadina europea, così come per una nuova Convenzione europea, direttamente eletta dai cittadini stessi, per ricercare nuove vie per la cooperazione europea.
www.democracy-international.org
Democratie.nu
Il movimento fiammingo per la democrazia diretta venne fondato nel 1995 quale WIT
(« Bianco », ndt). Cambia il suo nome nel 2005, per adottare il termine Democratie.
nu, riflettendo così meglio il suo discernimento secondo cui un sistema politico senza
nessuna possibilità di referendum d’obbligo su ogni questione politica non possa più
venir chiamato democrazia propriamente detta. In Belgio, il movimento ha contribuito
significativamente a includere la democrazia diretta nei manifesti della maggiore parte
dei partiti politici e nel dibattito pubblico in genere. Dal 1995 al 2003, WIT pubblicò la
rivista la più interessante sulla democrazia diretta, De Wit Werf.
www.democratie.nu
Referendum Piattaforma (Tribuna referendaria)
La « Referendum Piattaforma » venne fondata nel 2000 per promuovere l’introduzione
della democrazia diretta in Olanda. Ha iniziato con successo una campagna referendaria
sulla Costituzione europea e sull’introdurre dell’iniziativa cittadina nella città di Amsterdam. Consiglia gruppi di cittadini che lanciano referendum locali, realizza investigazioni
e pubblica libri, repertori, articoli, a proposito della democrazia diretta in Olanda così
come all’estero.
www.referendumplatform.nl
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¿Cuán
Hace …
ISBN 9789078820086
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Fatti ed argomenti a proposito dell`intro duzione dell`iniziativa e del