Jos Verhulst e Arjen Nijeboer Democrazia diretta Fatti ed argomenti a proposito dell’intro duzione dell’iniziativa e del referendum Jos Verhulst e Arjen Nijeboer Democrazia diretta Fatti ed argomenti a proposito dell’introduzione dell’iniziativa e del referendum Democracy International Bruxelles 2009 www.democracy-international.org © Una pubblicazione di Democracy International colla cooperazione di Democratie.nu (Belgio) e Referendum Platform (Olanda) Brussels: Democracy International 2009 Tradotto dall’inglese da Daniel Kmiécik [traduzione dedicata alla memoria della giornalista della RAI-Uno, Clara Romanò (1952-2003)]. Design: Stephan Arnold, Arnold Design www.democracy-international.org www.democratie.nu ISBN ... Il duplicare (copyright) di questo documento viene retto dalla Creative Commons License « Attribution-Non-Commercial-No Derivs 2.5 ». Potete riprodurre e diffondere liberamente questo lavoro nei presupposti seguenti: 1 Attribution : dovete attribuire questo lavoro nel modo indicato dagli autori. 2 Non-commercial: Non dovete usare questo lavoro a scopo commerciale. 3 No derivative works : Non dovete alterare, né mutare questo lavoro, né tanto meno utilizzarlo per la creazione di altri lavori. 4 Per ogni riutilizzazione o diffusione dovete chiaramente precisare ad altri le premesse della licenza di questo lavoro. Ogni premessa può venire sospesa a richiesta degli interessati debitamente fatta all’avente diritto al copyright. 5 Per conoscenza : http://creativecommens.org/licenses/by-nc-nd/2.5/ 4 Ringraziamenti Vorremmo esprimere la nostra gratitudine alle persone ed istituzioni seguenti per il loro contributo alla realizzazione di questo libro. Heiko Dittmer (Anversa) e Bert Penninckx (Pellenberg), per il loro sostegno per questo disegno. Michael Efler (Berlino) e Frank Rehmet (Amburgo), per l’assistenza bibliografica. Gerald Häfner (Monaco di Baviera), Paul Carline (Edimburgo), e Michael Bauwens (Anversa), per i loro rispettivi articoli nelle edizioni tedesca, inglese e neerlandese. Stephan Arnold (Halle) per l’aiuto illustrativo. Bruno Kaufmann (Falun) per l’opportunità offerta di presentare questo libro in una serie di conferenze organizzate da Initiative & Referendum Institute Europe, di cui è direttore, dovunque in Europa. Particolare ringraziamento ad Aimee Lind Adamiak (Ås), Blaz Babic (Ljubljana), Thomas Benedikter (Bolzano), David Calderhead (Amsterdam), Nicola E. Fischer (Copenaghen), Luose C. Larsen (Copenaghen), Mira Hettesova (Londra), Daniel Kmiécik (Lilla), Andreas Linke (Berlino), Juan Carlos Madronal (Madrid), Magdalena Musial-Karg (Poznan) e Lillia Zaharieva (Aquisgrana) per il loro notevole lavoro di traduzione, ed a Paul Carline (Edimburg), Maria Jesus Garcia (Madrid), Ronald Pabst (Colonia) e Bartek Wisnewski (Varsavia) per il rileggere e correggere del testo. Grazie mille a tutte le altre persone ed istituzioni in Europa che aiutano nel diffondere questa pubblicazione. Infine, esprimiamo ugualmente la nostra riconoscenza cordiale a tutti i donatori che hanno reso possibile questa pubblicazione. Anversa ed Amsterdam, febbraio 2009 Jos Verhulst e Arjen Nijeboer 5 Contenidos Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 1. Il potere celato della democrazia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 2. Ché cosa è la democrazia ?. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 3. Federalismo, sussidiarità e capitale sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 4. L’essere umano democratico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 5. Le lezioni della democrazia diretta in pratica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 6. Possibili obiezioni sollevate contro la Democrazia Diretta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 Bibliografia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 A proposito degli autori. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94 A proposito degli editori di quest’opera. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 6 1. Il potere celato della democrazia Non passerà alla posterità il Novecento quale secolo delle notizie e della tecnologia e del viaggio nello spazio o della potenza nucleare. Non si ricorderà come il secolo del fascismo, del comunismo o del capitalismo. Non sarà nemmeno il secolo delle due Guerre mondiali. In secondo luogo, una democrazia è più produttiva. In un regime prepotente, idee provenienti dalla maggiore parte dei cittadini non hanno l’agio d’influenzare la presa di decisione. C’è quindi una base d’idee molto più ampia nella democrazia. In oltre, la scelta stessa delle idee si rivela più efficiente nella democrazia. Questa è niente più che l’elaborazione sociale delle idee individuali. Idee nuove provengono sempre dalle persone, dato che sole persone umane possono pensare. Ma le idee individuali vanno considerate, valutate tra esse, e adattate alle condizioni della società. Bisogna che la gente corregga reciprocamente le imperfezioni delle proprie idee mutue. In vero, questo processo del plasmare sociale delle percezioni è il cuore stesso della democrazia, in cui l’idea o la proposta singolare, spesso già accettata da un gruppo più piccolo (partito, gruppo di azione o di pressione), va esaminata dall’insieme della società, contrappesante il pro ed il contro. Tale plasmare della percezione conduce a una scelta. Ma questa scelta va sempre esaminata nel contesto storico; la minoranza odierna può divenire la maggioranza di domani. Le decisioni attuali, in rapporto alla corrente dell’immaginario sociale, sono come battiti di timpani nell’intera sinfonia. Il Novecento rimarrà il secolo della democrazia. Nel Novecento, per la prima volta nella storia, la democrazia divenne uno standard universale. Ma non ci si lasci ingannare, lo standard non viene compiuto in nessun luogo e la democrazia viene repressa di continuo nel mondo. Nonostante alcune eccezioni notevoli, quali l’Arabia Saudita e la Bhutan, ogni regime possibile pretende di aver una legittimità democratica. E lo fà perché sa che la democrazia è diventata lo standard per la popolazione mondiale. É un fatto rivoluzionario. Per dire il vero, nell’Ottocento, il suffragio universale era proprio solo all’inizio. Apparve dapprima negli Stati Uniti, ma fino alla metà dell’Ottocento, esso era in genere limitato agli uomini bianchi e proprietari, nella maggiore parte dei singoli Stati. Donne e gente di colore non erano considerati competenti per partecipare alla consultazione popolare. Soltanto nel 1870, dopo la Guerra civile, venne consentito il diritto di voto alla gente di colore. Donne statunitensi dovettero aspettare fino al 1920. Sia detto en passant, il diritto di voto per le donne venne adottato negli Stati Uniti per la prima volta mediante referendum in parecchi Stati. In parte quale risultato da questo, si rafforzò tanto la pressione esercita sulla politica federale che gli Stati Uniti vennero anche costretti al mutamento introducendo nel 1920 il diritto di voto per le donne (si veda il capitolo 6°). Nel Regno Unito, gli operai dimostrarono e lottarono aspramente per decenni finché non ottenessero il diritto di votare verso la fine dell’Ottocento. Il movimento dei Suffragisti dimostrò valentemente dal 1904 al 1918, prima che si concedesse il diritto di voto alle donne di più di trent’anni ed agli uomini di più di ventuno anni. E bisognò aspettare il 1928 perché questo diritto venisse riveduto di modo che tutte le donne di più di ventuno anni avessero infine il pieno diritto di voto, sebbene si facesse beffa di questo parlando del voto delle « garçonnes » (Flapper vote). Anche in Sud-Africa, si predisse il disastro all’annunciare dell’attuazione del diritto di voto universale! Col distacco di oggi, queste obiezioni a consentire il diritto di voto agli operai, alle donne e alla gente di colore, sembrano derisorie e spregevoli. A lunga scadenza, le decisioni democratiche saranno dunque socialmente superiori a decisioni dittatoriali. Scopi moralmente equivoci, che non servono l’interesse comune, dalla loro natura stessa, vogliono proseguire attraverso canali nascosti, immersi nell’ombra della luce del decidere aperto e democratico. In condizioni democratiche, le migliori idee verranno fissate per la ragione ché, per così dire, si conscono meglio le debolezze degli altri che le proprie. Il processo di selezione, avente luogo lungo il camminare democratico, può nutrire la società, essendo benefico per essa. Questo non vuole dire che la presenza degli strumenti democratici garantisca necessariamente la qualità delle iniziative morali e dei membri individuali della società in questione. Possiamo solamente aver fiducia nell’emergere di tali iniziative. Ma questo vuol ben dire che le aspirazioni moralmente degne non possono essere realizzate senza democrazia. Politica non può mai ordinare moralità. Però la politica può creare gli strumenti democratici consentendo di sciogliere il potenziale morale sonnecchiante negli individui e di metterlo in atto nel vantaggio alla società. Democrazia in evolversi Non è mai esauriente la democrazia. Lo slancio di democrazia può essere veduto come un processo organico. Essa non può smettere di evolversi ed approfondirsi, così come un uomo non può cessare di respirare. Un sistema democratico rimanente statico ed immutato degenera e diventa non-democratico. L’odierno malessere della società viene appunto cagionato da un processo di sclerosi di questo tipo. Dobbiamo fronteggiare il fatto che la democrazia si trovi in una situazione disastrosa nelle nostre società odierne. C’è in effetti un potere minacciante nella democrazia. Nella storia recente, molti regimi democratici hanno resistito a sistemi dittatoriali apparentemente incontenibili. Ultimamente, società più democratiche si sono rivelate più vitali a molte riprese. Due fonti del potere La democrazia ricava la sua superiorità da due fonti. La nostra democrazia corrente, meramente rappresentativa, è infatti risposta agli aneliti di un secolo fa. Tal sistema si addiceva all’epoca, dato che la maggioranza del popolo poteva incontrare le sue vedute riflesse da un piccolo numero di credenze umane e sociali chiaramente determinate, che incarnavano e rappresentavano gruppi cristiani, socialisti o In primo luogo, un regime democratico viene legittimato. In una reale democrazia, la forma del regime viene propriamente ambita dal popolo. Che tale regime possa fare affidamento su più sostegno interno che nel caso di un dittatore, questo pare dunque logico. 7 liberali, per dare qualche esempio. Tal sistema è scaduto da lungo tempo. Idee e giudizi nella gente si sono nel frattempo individualizzati. In oltre, non dovrebbe essere sottovalutato l’impatto tonificante che risulterebbe immediatamente da una scelta radicale per la restaurazione e l’intensificazione della democrazia diretta. La decisione per più democrazia rimane sempre una decisione a pro del diritto dell’altro di aver un voto. É anzi una dichiarazione di fiducia nelle forze morali e nelle capacità latenti nei propri concittadini. Nelle nostre società avvelenate dalla diffidenza mutua, non c’è quasi niente immaginabile che possa avere un effetto tanto salutare. L’impegno a favore di più democrazia diretta è proprio un impegno per gli altri, per la loro libertà di espressione e la loro dignità intrinseca. La gente soltanto interessata nella realizzazione dei propri scopi personali non ha niente da guadagnare dalla democrazia diretta. Farebbe meglio a consacrare tutta l’energia sua nel pubblicare e nel propagare i propri punti di vista. Veri democratici sono interessati ai punti di vista individuali degli altri, perché sanno che ci vogliano gli uni e gli altri per affinare e chiarire idee ed intuizioni, per migliorale ed elaborarle. Questo processo sociale, nel formare e nel plasmare delle opinioni, costituisce il nucleo reale della vita democratica. La gente più vicina viene posta a contatto reciproco in una specie di federalismo ; i più accessibili ed efficienti possono condividere percezioni che ne risultano (La connessione tra nozione di federalismo e democrazia diretta verrà dettagliata nel capitolo 3°). Quindi democrazia diretta e federalismo si rinforzano l’un l’altro. Insieme formano una « forte democrazia » (Barber, 1884) ovvero : « democrazia integrata ». La forma democratica adeguata è un sistema parlamentare integrato dal Referendum obbligatorio d’iniziativa cittadina (democrazia diretta), poiché solo tal sistema può provvedere un legame diretto fra individui e mezzi legislativi ed esecutivi. Tanto più elevato è il grado verso cui tendono i cittadini nei loro giudizi individuali, quanto più i partiti politici perdono il monopolio in quanto luoghi d’adesione ideologica, quanto più elevata sarà la richiesta degli strumenti di democrazia diretta nel prender decisione. Fatto sta che una maggioranza della gente in Occidente vuole che il referendum venga introdotto (si veda 1-1). Questo fatto solo dovrebbe dunque fornire un motivo decisivo per metterlo in atto. Democrazia vuole letteralmente dire : « Forma di governo in cui la sovranità risiede nel popolo… » [Lo zingarelli minore, p.294]. Il primo passo verso un governo autenticamente democratico, risiedente nel popolo, implica necessariamente che il popolo stesso possa determinare in che modo questo governo – in cui la sovranità risiede nel popolo – sarà concepito e verrà messo in pratica. Nondimeno vediamo oggi uomini politici prominenti che stanno insorgendo contro il referendum (si veda 1-2). É sorprendente constatare che più dispongono di un potere effettivo ed elevato, più essi argomentano veramente e vigorosamente contro il referendum (si veda 1-3). Così facendo, tendono ad adottare gli stessi motivi di quelli che erano utilizzati un tempo per opporsi ai diritti di voto degli operai e delle donne. Si può anche dimostrare che tali motivi hanno valore assai fiacco. Nel capitolo sesto, dettaglieremo i principali motivi a sfavore. « La democrazia nostra è un « nonsenso » » Siamo, noi oggi, lungi da tale democrazia integrata. La presa democratica di decisione si svolge veramente sopra l’influenza, e persino oltre la conoscenza dei cittadini. Questo vale per il più dei Paesi europei. Tuttavia, un’occhiata data alla democrazia diretta in pratica basta effettivamente per vedere che queste obiezioni mancano di fondamento. In Svizzera, in modo particolare, è esistito durante più di un secolo un esempio interessante di democrazia diretta – sebbene in nessun modo perfetto – (si veda il capitolo quinto). Gli Svizzeri possono avviare iniziative di legislazione cittadina in tutti i gradi amministrativi. In certune istanze ne è risultato che i cittadini si sono direttamente opposti alle predilezioni del fior fiore politico ed economico. Per esempio quando in referendum vertenti su emendamenti alla Costituzione e trasferimento di sovranità verso organizzazioni internazionali – referendum obbligatori in Svizzera – gli elettori rifiutano il quarto delle proposte del Parlamento ; quando un gruppo di cittadini raccolgono firme per esigere un referendum a proposito di leggi ordinarie, la metà delle proposte legislative vengono così rigettate. Ma la gente non si è approfittata dei suoi diritti democratici per trasformare per questo la Svizzera in uno Stato inumano e autoritario ! Non c’è la pena capitale in Svizzera e i Diritti dell’Uomo non vengono minacciati in questo paese. In oltre, per i cittadini svizzeri non si prospetta nemmeno una rinunzia al loro sistema democratico superiore. (L’antipatia del popolo svizzero all’incontro dell’Unione Europea viene anche associata precisamente al carattere antidemocratico dell’Unione.) Hans Herbert von Arnim è professore di diritto pubblico e teoria costituzionale all’Università di Spira in Germania. Ha redatto vari libri a proposito di democrazia e politica ed è famoso per esporre la realtà, spesso sordida, che si nasconde dietro « il carino faccino della democrazia ». Sul suo libro pubblicato nel 2001, « Il sistema » (sottotitolato « La macchinazione del potere» ), egli « solleva il coperchio» del sistema politico tedesco: « Se la democrazia rappresentativa vuole caratterizzare un governo dal popolo per il popolo (Abraham Lincoln), diviene rapidamente palese che tutto questo non va bene con tutti i principi fondamenti di ciò che ci si suppone essere il sistema di democrazia sociale il più liberale che non sia mai esistito in Germania. Lo Stato e gli uomini politici sono, nell’insieme, in una condizione che solo ottimisti professionali e ipocriti possano presumere di risultare dalla volontà del popolo. Ogni tedesco ha la libertà di obbedire a leggi per cui non ha mai dato il proprio consenso ; può ammirare la maestà della Costituzione a cui non ha mai dato legittimità ; è anche libero onorare politici per cui nessun cittadino non ha mai votato e provvedergli generosamente – mediante imposte, sull’utilizzo dei quali non é stato mai consultato. » Partiti politici che prendono decisioni in questo sistema sono diventati istituzioni monolitici, a detta di von Arnim. L’identificare politico ed il soddisfare alle necessità, che dovrebbero procedere, in democrazia, dal basso verso l’alto – cioè dal popolo verso il Parlamento – vengono completamente paralizzati dai leaders di partiti. Von Arnim biasima anche il sistema di finanziamento dei partiti, mediante cui politici possono personalmente determinare la parte delle tasse che spetta al partito proprio – associazione privata come ogni associazione privata. Secondo Arnim, non è sorprendente che politici Però non va idealizzata la democrazia diretta. Essa non fornisce nessuna soluzione da se stessa. Tuttavia, la democrazia diretta rende davvero disponibile il meccanismo essenziale producente soluzioni utili e servibili per risolvere problemi moderni. Quindi l’introduzione della democrazia diretta non dovrebbe accadere in seguito ad uno stato di euforia subita, ma in uno spirito di « buona volontà ed attesa attiva e conscia. » 8 continuino ad ignorare il rivendicare rumoroso a riformare il sistema politico, dato che nel caso contrario, ne scalzerebbero le loro proprie e molto buone posizioni di potere. tà della democrazia neerlandese è una forma su vasta scala d’autodelusione e di broglio. » Il Pr. Tops a Tilburg: «L’animale politico nei Paesi Bassi è per così dire ammansito e assoggettato”. Il Direttore Voerman del Centro informativo per i partiti politici neerlandesi: «Il Parlamento è divenuto niente più che una macchina per incollare francobolli. » Infine, secondo lo specialista in scienza politica Baakman di Maastricht : « Illudiamo noi stessi nel credere che ciò che chiamiamo democrazia funzioni effettivamente quale democrazia. » (Van Westerloo, 2002). In Gran Bretagna, la Power Inquiry [Commissione inquirente sul potere, ndt], sistemata da organizzazioni sociali e composta al tempo stesso da politici e cittadini, ha condotto un ampia inchiesta sullo Stato e la democrazia britannica e, in particolar modo, sui motivi per cui tanti cittadini voltano le spalle alla politica. Essa organizzò consultazioni nell’insieme del Paese, in cui cittadini vennero invitati a esprimere le opinioni loro, e pubblicò un resoconto : « Power to the People » [«Il potere al popolo », ndt] che concludeva : « L’unico fattore provato come cagionante il disimpegno è il sentimento molto diffuso che cittadini scorgano di non venir abbastanza presi in conto, quanto i loro scopi ed interessi, nel processo politico della presa decisionale. Non si insisterà mai sufficientemente sulla profondità e l’ampiezza di questa percezione fra il pubblico britannico. Molte, se non addirittura tutte le altre spiegazioni ammesse, le quali sono presentate qui, possono anche venire comprese quali variazioni sullo stesso tema dell’influenza debole del cittadino. (…) Questa visione prevale fortemente nelle conclusioni riconosciute dall’inchiesta. » (Power Inquiry, 2006, p.72). Perdita di fiducia La popolazione di più degli Stati europei si rende conto che la presa decisionale venga esercitata con poca democrazia ; dunque essa ha considerevolmente perso la fiducia nella natura democratica delle sue istituzioni. In Germania, un’indagine menata da TNS Emnid e ordinata dalla rivista Reader’s Digest ha dimostrato che la fiducia dei cittadini nei partiti politici è venuta meno dal 41 al 17% in dieci anni (1995-2005). Nello stesso periodo, la fiducia è venuta meno dal 58 al 34%, e quella nel governo dal 53 al 26%. « C’è una tempesta enorme che sta covando sotto la superficie », commentò Karl-Rudolf Korle, specialista in scienza politica. « C’è molto più che una semplice deficienza consueta d’interesse nella politica e nei partiti politici. D’ora in poi, la gente disprezzerà i rappresentanti ufficiali. » (Reader’s Digest Online, 10 agosto 2005). A seconda dell’indagine Gallup, il 76% degli Tedeschi considera che gli uomini politici siano disonesti (Die Zeit, 4 agosto 2005). Nel 1992, il professore De Wachter stabilì accuratamente le linee fondamentali della presa decisionale in Belgio. Concluse l’analisi sua con queste parole : « In Belgio, lo sviluppo delle istituzioni democratiche ufficiali non è all’altezza dei tempi. Disegni più attualizzati, i cui si sarebbe permesso ai cittadini di conservarsi impatto durevole sulla presa decisionale, vengono respinti o conducono, al massimo, al fallimento quanto alla presa delle decisioni. » (p.71). « Cittadini o votanti sono attori deboli nella trama complessa e totalmente fitta della presa decisionale politica nel loro paese. Gli mancano mezzi decisivi d’accesso al grado più elevato della gerarchia del potere e presa decisionale. Tutto viene deciso per loro di un modo estremamente « élitiste ». Per chi è aperto alle nozioni di legittimità democratica, questa valutazione è contemporaneamente delusione ed abdicazione » (p.371). In Francia, un sondaggio della SOFRES rivelò che il 90% dei Francesi crede di non esercitare nessuna influenza sulla presa decisionale politica ; il 76% lo pensa anche per quanto concerne il livello politico locale (Lire la politique, 12 marzo 2003). Nel 1999, il sociologo belga Elchardus studiò opinioni belghe a proposito della democrazia. Riassunse : « Una stragrande maggioranza degli elettori hanno l’impressione che la loro opinione e la loro voce non riaffiorino mai attraverso i politici nelle politiche seguite (…) Il 58% delle persone consultate ha l’impressione che politici, un volta eletti, « Credano di essere troppo bravi per gente come loro ». Tutto questo mena al fatto che più del quarto dell’elettorato esprime la sua diffidenza assoluta : « In fatti, non c’è un solo politico di cui mi fiderei ». Solo dal 15 al 23% della gente interrogata è d’accordo nel riconoscere formulazioni positive sulla politica e i suoi rappresentanti. Non sarebbe esagerato affermare che la metà od i trequarti dell’elettorato si senta impotente (Elchardus, 1999, p.36). Nel 2002, il giornalista neerlandese Gerard van Westerloo intervistò il Professore Daudt, famoso specialista in scienza politica. É il Nestor della scienza politica neerlandese ; viene formata da lui una generazione intera di ricercatori politici del dopoguerra. Pr. Daubt ridusse in pezzi l’affermazione che i Paesi Bassi fossero una democrazia, rigettandola così : « Certamente ! », dice lui, « diritti fondamentali sono rispettati, ma non usiamo parole magniloquenti per mascherarla attraverso qualcosa che non c’è : ossia una democrazia con rappresentanti del popolo ; (…) La nostra democrazia è un nonsenso. » In quanto van Westerlo volle conoscere ciò che pensavano i colleghi di Daubt a proposito delle sue idee, se ne andò a fare un giro nei Paesi Bassi, facendo visita a dozzine di specialisti dell’amministrazione sociale e di scienza politica. Le vedute di Daugt gli vennero confermate dappertutto. A Tilburg, il Professore Frissen gli dichiarò: « Nei Paesi Bassi siamo governati da una élite arrogante, che ha niente a che vedere colla democrazia nello stretto senso democratico del termine ». A Groninga, il Pr. Ankersmit confermò: « La politica nei Paesi Basi viene condotta ai margini. Da molto tempo non vi ci riconosciamo più nella democrazia in quanto tale. » Il Pr. Tromp ad Amsterdam ribadì: « La poltica nei Paesi Bassi sta imboccandosi in un vicolo cieco. Una crisi sta minacciando che non può più venir schivata. Partiti politici non sono più che reti di gente che si conosce e si sostiene reciprocamente. » Il Pr. Beus ad Amsterdam : « La legittimi- Sondaggi, realizzati nel 2004 da Maurizio de Hond nei Paesi Bassi, rivelano che la maggioranza degli Olandesi abbiano poco fede nel contenuto democratico dello stato loro. Il 70% è in disaccordo con l’affermazione : « Gli uomini politici ascoltano meglio da cinque anni fa ». Il 51 % è in disaccordo con l’altra affermazione : « Nei Paesi Bassi, gli elettori hanno una parte importante nel funzionamento del governo nazionale » ; invece, il 47% è d’accordo con questa. Però il 55% è in disaccordo con l’affermazione: « Paesi Bassi sono una vera democrazia ». Un altro studio di Hond, dell’agosto 2005, riguardava la corruzione. Il 12% della popolazione neerlandese crede che i membri del Parlamento siano corrotti ed il 18% che politici dei municipi e province siano parimenti corrotti. Riguardo ai funzionari statali, il 17% degli Olandesi 9 crede che vengano corrotti, a paragone col 18% concernente i funzionari municipali e provinciali. In oltre, il quarto delle persone interpellate hanno ammesso una vicenda personale legata alla corruzione tra politici o a conoscenze, essendo se stesse informate su casi specifici (www.peil.nl). elevato di fiducia (De Witte Werf, primavera 2003, p.11). Nel 2004, il « cane da guardia » della corruzione internationale, Transparency International, organizzò uno studio similare in 62 paesi, mediante cui non meno di 50 000 persone vennero consultate riguardo a quali organismi sociali gli sembrassero sani e quali fossero i più corrotti : partiti politici furono capilista in 36 dei 62 paesi ; i Parlamenti occuparono il secondo posto (Rotterdam Dagblad, 10 décembre 2004). Nel 2002, Gallup lanciò un’indagine colossale sul grado di fiducia delle persone interrogate rispetto a 17 « istituzioni » – tra altre, esercito e sindacati e Parlamento e società multinazionali – 35 000 persone in 47 paesi compilarono il questionario. Tra tutte le Instituzioni, Parlamenti vi si mostrarono godere della minore fiducia : il 51% della gente aveva poca o nessuna fiducia ; solo il 38% palesava un grado moderato od Non si dovrebbe pensare però che tale processo invadente di perdita della fiducia potesse semplicemente protrarsi per sempre. Un governo che ha perso la fiducia della maggioranza dei suoi cittadini ha de facto già smarrito la sua legittimità. 1-1 : La gente vuole la democrazia diretta ? buristi), il 83% del VVD (Liberali di destra), l’86% di quelli del D66 (Democratici liberali di sinistra) (Kaufmann & Waters, 2004, p.131). Un’indagine del NIPO, nell’ aprile 1993, rivelò che il 73% degli elettori desiderava un referendum a proposito dell’ Euro ed un sondaggio del settembre 2003 signalò che essi desiderassero anche un referendum sulla Costituzione europea (che venne effettivamente tenuto nel 2005, Nijeboer, 2005). In oltre, il popolo olandese aspetta molto dalla democrazia. Il Nationaal Vrijheidsonderzoek [Studio sulla libertà nazionale] del 2004 indicò che « il promuovere della democrazia » era scelto il più sovente (il 68%) quale risposta alla domanda: « Che cosa, secondo voi, sarebbe particolarmente necessaria alla pace nel mondo ? » Sì, certo ! Non c’è uno solo dei paesi occidentali in cui non ci sia una maggioranza (ampia in genere) in favore della democrazia diretta. Nel 1995, l’indagine sullo « stato della Nazione » mostrò che il 77% del popolo britannico pensava che un sistema andasse introdotto… « mediante cui certune decisioni verrebbero sottomesse al decidere popolare col refrendum » (Prospect Magazine, ottobre 1998). Un sondaggio pubblicato dal Sun (15 marzo 2003) ; l’ 84% dei Britannici volle un referendum sulla Costituzione europea. Nello stesso momento, il risultato di un altro sondaggio venne pubblicato sul Daily Telegraph, secondo cui l’ 83% dei Britannici desiderò risolvere problemi di sovranità mediante referendum nazionali ; solo il 13% fra loro pensava che quello fosse il lavoro del governo. Il Guardian, (29 febbraio 2000) pubblicò il risultato d’indagine secondo cui il 69% dei Britannici voleva un referendum sul nuovo sistema elettorale proposto dal Primo ministro Blair. Ciò rivela chiaramente che il popolo britannico vuole aver l’ultima parola rispetto al proprio sistema politico. Un sondaggio Gallup consultò gli Europei, nel mezzo 2003, sulla desiderabilità del referendum sulla Costituzione europea. Risultato: l’83% di loro considerava tal referendum quale « indispensabile », ovvero « utile, però non indispensabile » ; solo il 12% pensava il referendum « senza utilità ». La percentuale in favore fu perfino più elevato tra i giovani e quelli che possedevano una educazione superiore. (Witte Werf, autuno 2003, p.15). La maggioranza della gente negli Stati Uniti vogliono anche loro la democrazia diretta. Tra il 1999 ed il 2000, ebbe luogo negli USA l’indagine più ampia che venne mai intrapresa. Nei cinquanta stati, si scoprì che c’era almeno il 30% di sostenitori in più rispetto agli opponenti ; la media per l’insieme degli Statunitensi ammontò al 67,8% pro rispetto al 13,2% contro la democrazia diretta. Era sorprendente vedere che tanto elevato fosse il numero di referendum, tenuti durante i quattro anni precedenti, quanto alto fosse il numero dei seguaci della democrazia diretta. Negli Stati con poco o nessun referendum si osservava una media del 61% di sostenitori ; negli stati con un numero medio di referendum questa percentuale giungeva al 68% ; per culminare al 75% negli stati dove ci erano stati più di 15 referendum. « Lo studio del 1999-2000 indicava in modo probante che l’esperienza dell’elezione nel quadro delle iniziative e referendum accrescesse effettivamente l’appoggio incontrato per tale procedura. », commentò Waters (2003, p.447). Ci fu anche un sondaggio sulla desiderabilità del referendum d’iniziativa cittadina, sul piano federale questa volta (Bisogna precisare qui che gli stati Uniti siano, paradossalmente, uno dei pochi paesi dove non ci fu mai referendum nazionale, sebbene la democrazia diretta vi fosse piuttosto diffusa al livello di ogni Stato e sul piano locale). Il risultato : il 57,7% fu in favore ed il 20,9 contro. In Germania, più di quattro quinti dei cittadini vogliono introdurre il referendum d’iniziativa popolare sul piano nazionale. Da un sondaggio Emnid, fatto nel 2005, divenne évidente che l’ 85% dei Tedeschi ne era convinto (Reader(s Digest, 10 août 2005) e percentuali paragonabili provenienti da un dozzina d’altre indagini sono venuti a confermare questo fatto. Nel 2004, Emnid, aveva già consultato i Tedeschi per saper se volessero un referendum sulla Costituzione europea : il 79% rispose affermativamente. Sondaggi anteriori avevano dimostrato che stava affermandosi l’inclinazione dei partiti politici tedeschi per la democrazia diretta : tra gli elettori della SPD, il 77% era favorevole, tra quei della CDU, il 68%, tra quei della FDP, il 75%, trai Verdi, il 69% e tra gli elettori della PDS, il 75% (Zeitschrift für Direkte Demokartie 51 [Periodico pella Democazia Diretta n°51], 2001, p.7). A seconda della SOFRES, l’82% dei Francesi è a favore del referendum d’iniziativa cittadina ; il 15% è contro (lire la politique, 12 marzo 2003). Nei Paesi Bassi, secondo un sondaggio SCP, realizzato nel 2002, l’81% degli elettori è sostenitore del referendum. Nel 1997 uno studio menato dallo stesso SCP rivelava una ampia maggioranza in favore della democrazia diretta in seno ai quattro partiti politici maggiori: il 70% degli elettori del CDA (Cristani Democratici), l’86% di quelli del PvdA (La10 1-2 : L’élite politica vuole la democrazia diretta ? il popolo, su questo punto e nemmeno i propri elettori, ma pare che si sottomettano alla volontà dell’élite finanziaria. Certo che no ! Dai sondaggi di opinione realizzati tra gli uomini politici, pare generalmente evidente che una maggioranza di loro siano opponenti alla democrazia diretta. 1- 3: Potere politico e democrazia diretta Ciò che molti politici pensano in merito a sapere se referendum vengano ambiti ed in quale ampiezza, dipende enormemente dalla loro avarizia politica. Tanto più hanno acquisito molto potere in seno al sistema rappresentativo, quanto più sembrano opporsi alla democrazia diretta. Ecco alcuni esempi. In Danimarca, si domandò ai membri del Parlamento nazionale quale era la loro opinione sulla proposta : « Ci dovrebbero essere più referendum in Danimarca ». Un’ampia maggioranza tra loro si espresse contro. Per tre patiti – Socio-democratici, Liberali di sinistra e Democratici-centristi – ci fu perfino il 100% contro ; in oltre, il 96% dei membri della Destra liberale era ugualmente contro. Sola una (ampia) maggioranza dei Socialisti e del Partito popolare danesi erano in favore della proposta (giornale Jyllands Posten, 30 dicembre 1998). In Svezia, solo cinque referendum vennero tenuti nel corso del Novecento. La posizione dei partiti svedesi maggiori – il Partito Socialista e quello Conservatore –è cambiata a seconda che tali partiti fossero al potere o non nel periodo considerato. Prima della Seconda Guerra mondiale, ad esempio, il Partito Conservatore era rigorosamente contro il referendum ; dopo la guerra, mentre si ritrovava nell’opposizione per decenni, divenne subito un propugnatore instancabile del referendum. Col Partito Socialista, le cose evolsero in un’orientazione esattamente contraria : questo partito cominciò a respingere il referendum dal momento che vinse la maggioranza assoluta nel « Rikstag » svedese. Ruin (1996, p.173) riassume quindi il fenomeno così : « Partiti che appartengono all’opposizione o stanno in posizione subalterna, manifestano una propensione per il referendum. Invece, partiti che assumono il governo o tengono in mano l’esecutivo, sono inclini a fare prova di un atteggiamento sdegnoso. » Nel 1993, lo scienziato in scienza politica Tops, organizzò un sondaggio d’opinione nei Paesi Bassi trai membri di consigli comunali. Meno di un quarto di loro erano in favore dell’introduzione del referendum obbligatorio (NG Magazine, del 31 dicembre 1993). Un altro sondaggio, condotto dall’Università di Leiden stabilì che il 36% dell’insieme dei consiglieri comunali si pronunciava in favore del referendum opzionale e il 52% si esprimeva contro. Consiglieri del VVD (Liberali di destra) e del CDA (Democarici cristiani) erano perfino contro con una percentuale di 70. Soli, i Verdi di sinistra ed il D66 (Liberali di sinistra), votavano una maggioranza in favore del referendum opzionale (Binnenlands, Bestruur [periodico del governo locale], 18 febbraoi 1994). Nel Bade Vurtemberg, Democratici Cristiani (CDU) si ritrovarono nell’opposizione dopo la Seconda Guerra mondiale. Mentre la Costituzione Federale tedesca stava in piena elaborazione (1952-53), la CDU era favorevole all’introduzione del referendum. La maggioranza al potere in quel tempo, in cui il SPD socialista era il compagno più importante, era opposta a tale introduzione. Nel 1972, la situazione era cambiata : il Bade-Vurtemberg non era più governato da una coalizione di Democratici cristiani liberali. Allorché si presentò la prospettiva di modificazione costituzionale, il SPD prese l’iniziativa d’introdurre anche il referendum. Ciò fece nascere un’opposizione feroce da parte della CDU. Sorse una situazione particolare in cui SPD e CDU adottarono rispettivamente la stessa posizione del loro opponente venti anni fa. Ci fu infine un compromesso : il referendum venne introdotto, ma con gigantesca soglia di ricettività ! Per costringere al referendum, ci vuole un sesto dei votanti del Bade Vurtemberg che registrino la propria firma presso palazzi comunali od uffici pubblici entro due settimane. Come era prevedibile, non ci fu affatto nessuno referendum nel decennio seguente. Nel 1994, scrisse cortesemente un gruppo di cittadini : « Purtroppo, in vista di questa posizione mutevole, non si può fare a meno di pensare che un partito fosse stato pro o contro i referendum nel passato essenzialmente a seconda che stesse considerando la questione in una prospettiva governativa od in una prospettiva d’opposizione ». (Memorandum di Stoccarda, 1994, p.23) In Belgio, l’Institut voor Plaatselijke Socialistische Actie [Istituto per l’azione socialista locale], fece un sondaggio d’opinione tra gli uomini politici socialisti locali a proposito del referendum municipale. Solo il 16,7% tra loro fu sostenitore incondizionato del referendum obbligatorio. (giornale De Morgen, 31 gennaio 1998). Investigazioni condotte da Kaina (nel 2002) fornirono un’idea interessante sulla dinamica del cosiddetto sostegno d’élite. Questa scienziata esaminò lo zelo di varie élites tedesche per introdurre la democrazia diretta. Vennero suddivise in élites politiche, élites sindacali ed élites imprenditoriali, tra altre. Nell’insieme, il 50% espresse un grado « elevato » ovvero « molto elevato » di sostegno della democrazia diretta (bisogna ricordare come tal sostegno nel pubblico in genere sia considerevolmente più elevato al punto da giungere all’84%). Ci sono però grandi discordanze. Ad esempio, nell’élite sindacale, l’86% espresse ad un tempo un grado « elevato » o « molto elevato » di supporto, mentre nell’élite imprenditoriale questo grado fu solo del 36%. Tra l’élite politica, incontriamo l’immagine degli estremi. Nei postComunisti, PDS e Verdi, il sostegno « molto levato » e « elevato » non fu meno del 100% ; Nei Democratici socialisti SPD, raggiunse il 95% e nei Liberali della FDP, il 78%, ma per la CDU/CSU fu solamente del 34% (Fatto sta che una maggioranza del Parlamento tedesco approvò già un emendamento costituzionale introducendo un sistema piuttosto leale di democrazia diretta ; purtroppo, andando richiesta una maggioranza dei due terzi, sono particolarmente membri del CDU/CSU che hanno bloccato tal emendamento). Se noi consideriamo gli elettori di quei partiti, si nota un’ampia maggioranza in favore della democrazia diretta. Per concludere : politici della CDU non rappresentano più Non è solamente la divisione in partiti d’opposizione e governativi a giocare un ruolo. Nel sondaggio belga condotto nel 1998 dall’Institut voor Plaatselijke Socialistische Actie, menzionato sopra, parve che politici locali dotati del mandato esecutivo (sindacati ed assessori) considerassero perfi11 no meno favorevolmente i referendum paragonati a quelli che erano dotati del mandato rappresentativo (Consiglieri municipali), senza prendere in conto il fatto che quegli ultimi appartenessero o non all’opposizione od alla coalizione al potere (giornale De Morgen, 31 gennaio 1998). Sia detto incidentalmente, l’introduzione della democrazia diretta non è il solo argomento a proposito di cui i partiti politici cambiano regolarmente la loro posizione in funzione del condividere potere. Lo stesso fenomeno concerne anche il problema della limitazione del numero di mandati rinnovabili, a cui possa pretendere un deputato. Tra gli elettori statunitensi, il 75% è sostenitore di un numero limitato dei mandati. Invece, soltanto il 18% dei membri dei parlamenti degli Stati singolari era favorevole al rinnovamento del mandato, tra cui il 76% si pronunciava contro ogni forma restrittiva. Tra i professionisti di gruppi di pressione, non meno del 86% era in favore di un numero illimitato di mandati rinnovabili. Non è sorprendente, giacché il rinnovamento restrittivo del mandato pone a repentaglio la rete dei « mandatari ben noti », tanto necessaria ad un bravo « lobbyist ». Uno tra loro affermò perfino assai esplicitamente : I « lobbyists » sono d’accordo nel contestare i sostenitori del rinnovamento restrittivo dei mandati : tale provvedimento romperebbe in effetti i legami stabiliti ed interferirebbe col lavoro proseguito dai gruppi d’interessi » (O’Keefe, 1999). Nella Fiandra, il provvedimento di rinnovamento restrittivo del mandato faceva originariamente parte della dottrina centrale del partito verde AGALEV. Il partito pensava che i titolari del mandato andassero autorizzati a rinnovarlo una volta sola. Al momento critico in cui qualche « pesone » elettorale vide la sua posizione compromessa da tale provvedimento, quella del partito venne prontamente e di seguito modificata. 12 2. Ché cosa è la democrazia ? La democrazia varia da paese a paese e d’epoca ad epoca. Cento anni fa, era contestato il solo diritto di voto concesso agli uomini allorché sembrava impensabile il voto per le donne. Oggi, ci pare inspiegabile che ci fosse stata un’epoca in cui non era consentito votare alle donne e in cui un uomo ricco avesse disposto più voti di un uomo povero. Succederà la stessa cosa col referendum. Un tempo verrà in cui nessuno si ricorderà più che, in un tempo passato, alla gente non veniva permesso di decidere direttamente la propria sorte. Gli uomini politici fanno sovente riferimento al « contratto sociale » come ad un accordo tra il popolo ed essi stessi. Esso viene rinnovato dopo ad ogni elezione. Però il filosofo Tommaso Paine aveva già rifiutato (nel 1791) questa visione nei Diritti dell’Uomo : « Si è pensato di aver realizzato una considerevole avanzata verso lo stabilire principi di libertà dichiarando che il governo sia un contratto tra quelli che governano e quelli che vengono governati; questo non può esser vero, però, perché questo equivalga a mettere l’effetto prima della causa; nello stesso modo in cui sono dovuti esistere uomini prima che esistesse un governo, ci fu necessariamente un tempo in cui i governi non esistevano e perciò non poteva esistere allora un governatore originario con cui stabilire tale contratto. Pertanto il fatto deve essere che gli individui stessi, ciascuno di loro essendo personalmente nel proprio diritto di sovranità, stabiliscano un contratto mutuo per produrre un governo ; e così è il solo modo in cui governi abbiano diritto a nascere, e il solo principio da cui ricavino diritto all’esistere. » (Paine, 1791, 1894, Parte 2a, p.309). Un “contratto sociale” è quindi un contratto tra cittadini e il sistema politico ne sorge solo a titolo di risultato. La democrazia si evolve. In seguito alla diversità delle forme democratiche nei vari paesi, qual è adesso la caratteristica essenziale della democrazia? Che cosa consente di fare una distinzione tra democrazia e non-democrazia? Un dittatore dicendosi “democratico” rimane un dittatore. Ci deve dunque essere un criterio obiettivo rendente tale distinzione possibile. L’insieme di tale criterio lo chiamiamo “archetipo” della democrazia. In cerca dell’archetipo Democrazia significa “governo dal popolo”. Certo, ci sono altre forme di “governo” o di potere dello Stato. Nell’oligarchia, ad esempio, una piccola élite governa. Nella “timocrazia” padroneggia la gente ricca. In “teocrazia” è Dio a venir presunto esercitante il potere (attraverso un’élite sacerdotale, ndt). In quale maniera i cittadini possono entrare in un contratto sociale tra loro? Palesemente, debbono riunirsi, discutere sul contratto e mettersi d’accordo fra loro. Ció crea l’istanza prima propria della riunione democratica: l’assemblea pubblica. Il termine “democrazia” ha ricevuto un’accoglienza più positiva dal Novecento. Quasi tutti gli Stati si riferiscono in qualche modo all’ideale democratico, quand’anche il loro regime sia totalitario. La democrazia ha prevalso, per lo meno a livello ideale. Stavano diversamente le cose nel Settecento. Democrazia era sovente una parola ingiuriosa in quel tempo. Queste assemblee pubbliche sono anche realtà storiche. In qualche piccole comunità, ad esempio negli Stati Uniti e in Svizzera, l’assemblea pubblica continua a giocare un ruolo oggi [si vede 2-1]. É ovvio che l’assemblea pubblica, in quanto tale, non possa più funzionare in uno Stato costituzionale moderno con milioni di cittadini. Nello stesso tempo, peró, essa esemplifica ancora primamente e praticamente l’ideale democratico. Quindi esaminiamo dapprima le caratteristiche essenziali dell’assemblea pubblica democratica. Perché il potere statale viene espresso dalla legislazione, “democrazia” vuole pure dire che il popolo fa le leggi. In democrazia, le leggi ricavano l’autorità loro dall’approvazione del popolo in qualche modo. Il potere legislativo nell’oligarchia, invece, fa assegnamento sull’approvazione di una minoranza e conta sulla benedizione divina nel caso della teocrazia. In democrazia non c’è quindi altra autorità più elevata di quella del popolo stesso. I principi dell’assemblea pubblica Certi principi esistono per ogni assemblea pubblica democratica. Leggi impongono obbligazioni, non tanto sul popolo quale tutto, ma certamente sui cittadini singolari. Si presume che i membri individuali della società debbano riconoscere l’autorità della legge, dato che essi hanno anche, in linea di massima, l’opportunità di contribuire all’elaborazione di questa. Ecco quindi come si giunge al concetto di Jean-Jacques Rousseau del “contratto sociale”: una legislazione risulta, in effetti, da un contratto sociale tra cittadini uguali e responsabili. Nella visione democratica, una legge è solo legittima quando quelli che sono presunti osservanti di tale legge sono anche capaci di contribuire alla sua formazione. Il principio dell’uguaglianza Il principio dell’uguaglianza sta in base all’assemblea pubblica: tutti i membri maturi (nel senso di responsabili) della comunità possono partecipare all’assemblea pubblica e si concedono un peso uguale nel prender la decisione. Non è facile fondare tale principio di uguaglianza su un cardine positivo. Peró, è molto facile stabilirlo in modo negativo. Finalmente, l’ideale democratico si basa sul principio fondamentale che non c’è autorità superiore di quella del popolo. Per definizione, questo principio implica che tutti si presentino uguali. Se alcuni hanno più peso che altri nel prender la decisione, meramente sulla base della loro posizione, ci ritroviamo di nuovo nel caso dell’oligarchia. Questo concetto di “contratto sociale” viene accostato per il meglio ad un modo “negativo” – per dirla cosí – tramite un processo di eliminazione. Se l’autorità della legislazione non risulta dall’autorità divina o dalla nobiltà o dai proprietari di terre, dal denaro o dalla conoscenza, allora il contratto sociale rimane il solo possibile. Leggi ricavano l’autorità loro dal fatto che esse siano degli accordi stabiliti volutamente tra i membri della comunità legale. Quindi ogni voto di persona matura ha lo stesso peso. La storia della democrazia nel Novecento fu ampiamente una lotta per questo principio, una lotta che venne principalmente portata su tre fronti: il sistema del suffragio universale (in 13 cui, ogni persona, senza nessuna considerazione dei suoi possessi, dell’età propria o delle competenze proprie, riceve un diritto di voto uguale); il diritto di voto per le donne; e il diritto di voto senza distinzione di criteri biologici (ad esempio, diritto di voto per la gente di colore in Sudafrica). In una forma attenuata, ma sempre cosí reale, il principio “élitiste” vive pure tra i sostenitori di ciò che si chiama democrazia rappresentativa. Dewachter (nel 1992) l’esprime nel modo seguente : « A seconda del concetto in base alla « democrazia rappresentativa », decisioni vengono prese da una selezione di « principi filosofici ». Sparso sull’insieme del territorio, un campionamento di rappresentanti del popolo viene eletto. Quindi i membri eletti non sono più se stessi rappresentativi ; non sono una media, però sono i migliori. Il Parlamento eletto è dunque il migliore della Nazione. » (Citato da Dewachter, 2003. p.30). Il diritto d’iniziativa Questo diritto significa che ogni membro dell’assemblea pubblica abbia un diritto uguale di avanzare una proposta. Perciò l’ordine del giorno nell’assemblea pubblica non viene stabilito da un’élite. l’ex-ministro della giustizia della Repubblica Federale Tedesca, Thomas Dehler, ha espresso questo nel modo seguente: “A mio parere, è un equivoco sulla natura della democrazia di credere che un Parlamento sia l’esecutore della convinzione popolare. Penso io che la natura della democrazia rappresentativa sia altra: è per dire il vero quella dell’aristocrazia parlamentare. I membri del Parlamento hanno il dovere e la possibilità di operare da un discernimento più ampio e da una conoscenza migliore che il cittadino individuale può esercitare.” [In tedesco : « Ich glaube, man verkennt das Wesen der Demokratie, wenn man glaubt, das Parlament sei das Exekutor der Volksüberzeugung. Ich meine, das Wesen der repräsentativen Demokratie ist ein anderes, es ist das der parlamentarischen Aristokratie. Die Parlamentarier haben die Pflicht und die Möglichkeit, aus einer grösser Einsicht, aus einem besseren Wissen zu handeln, als es der einzelne kann . »] (Dewachter, 2003, p.30). Per tale chiarissima espressione dell’idea “élitiste”, in retroscena della democrazia meramente rappresentativa, Dehler venne applaudito, non soltanto dai Democratici Cristiani, ma anche dai partiti Liberale e Socialista. In questo contesto, la differenza nei confronti dei sistemi totalitari è che nel sistema meramente parlamentare, l’élite deve ottenere una maggioranza formale da parte del popolo. Ciò che i due sistemi hanno in comune, tuttavia, è che permettono ambedue l’esecuzione di leggi contro la volontà della maggioranza del popolo. Il diritto d’iniziativa non è nient’altro che l’applicazione particolare del principio d’uguaglianza. Esso non implica che il sottomettere proposte non possa venir costretto da regole. Ad esempio, tali regole potrebbero specificare che una proposta venga sottomessa entro quattordici giorni prima della riunione o che ogni proposta venga sottoscritta almeno da cento membri della riunione. Il punto essenziale rimane che le regole siano le stesse per tutti. La regola maggioritaria Nella situazione ideale, c’è unanimità: ciascuno approva la proposta. Peró, l’unanimità non sarà ottenuta solitamente. Perciò viene utilizzata la regola maggioritaria. É una conseguenza del principio d’uguaglianza ed essa proviene dalla volontà di minimizzare il disordine: nel fare valere la regola maggioritaria si ottiene il minimo numero di gente insoddisfatta. Si potrebbe anche segnalare che ogni soluzione diversa dalla regola maggioritaria sarebbe accompagnata dal denegare del principio d’uguaglianza. Finalmente, se noi funzioniamo con maggioranza qualificata (ad esempio dei due terzi) la minoranza può rifiutare alla maggioranza i propri auguri – per esempio nel caso in cui il 60% vuole l’opzione A e il 40% l’opzione B. La regola maggioritaria possiede una dimensione esistenziale. Nell’accettare tale regola, riconosciamo mancanze umane. L’esistenza stessa della minoranza dimostra che il processo di discussione e di formazione della percezione sia stato incompleto. Nello stesso tempo, la regola maggioritaria ci ricorda anche il fatto che la democrazia va percepita sempre come un processo storico. Minoranza d’oggi può diventare maggioranza di domani. Il più delle idee incontrano dapprima resistenza e rigetto, ma possono in seguito venir generalmente accettate. La regola di governo maggioritario può operare da sola, per dire il vero, purché essa venga compresa abbastanza in termini storici nella società e nella comunità. Quando una decisione, presa da una maggioranza contro una minoranza, viene percepita dalla prima come un “trionfo” assoluto sulla seconda, oltre ogni prospettiva storica, la qualità della democrazia ne patisce. Il principio del mandato L’unanimità perenne non è dunque attuabile in democrazia. Perciò la regola maggioritaria costituisce una parte “dell’archetipo” democratico. Ma c’è ancora un’altra difficoltà. Una partecipazione universale nel processo decisionale democratico rimane comunque non attuabile. Ci saranno sempre membri della comunità che non vorranno mai partecipare alla decisione su certi argomenti: sia perché non hanno il tempo, sia perché credono di averne una conoscenza insoddisfacente, sia perché hanno forse altre ragioni per non fare così. Oltre alla regola maggioritaria viene introdotta quindi la delega di poteri. Quelli che non prendono parte all’assemblea pubblica vengono considerati come aventi concesso un mandato a quelli che vi partecipano. La regola del mandato non può essere scansata imponendo un voto obbligatorio od una presenza obbligatoria (in oltre, tale diligenza forzata è sgradita; si veda inserto 6-2). Qualora la legge ordinasse che tutti i membri della comunità dovrebbero partecipare all’assemblea pubblica, un arrangiamento andrebbe previsto per quelli che non onorerebbero tal obbligazione. Quindi le decisioni dell’assemblea pubblica saranno sempre obbligatorie, nonché per gli assenti. La regola maggioritaria si colloca male con tutte le tendenze “élitistes”. Fatto sta che i movimenti autoritari non riconoscono mai la regola maggioritaria. Favoriscono sempre l’una o l’altra immagine di “ un’avanguardia” ovvero “èlite” potente imponendo la sua volontà alla maggioranza. Leninisti parlarono sempre del ruolo di « punta avanzata » del partito comunista e della dittatura del proletariato. Nazionalsocialisti si erano indirizzati alle élites fondate su caratteristiche razziali. Fondamentalisti religiosi hanno sempre rigettato diritti uguali per donne e dissidenti, sebbene questi formassero la maggioranza. Pertanto, il principio del mandato non ha niente a che fare con la differenza tra presa decisionale rappresentativa e presa decisionale diretta. Il principio della delega mandataria 14 è una conseguenza diretta del fatto che, per definizione, le leggi si applicano a tutti nella comunità. Con altre parole: non posso rifiutare che una legge si applichi a me, personalmente, ricorrendo al motivo che io non abbia partecipato alla creazione della legge di cui si tratta. Dalla rinuncia suddetta nel prender la decisione sulla legge in questione, io sono automaticamente considerato quale avente affidato un mandato a quelli che di fatto hanno preso la decisione. Senza questo principio, ogni individuo potrebbe sottrarsi all’applicabilità delle leggi a suo piacimento. verso il referendum sia successa effettivamente mediante l’iniziativa pubblica. “In parecchi Cantoni, gli strumenti di referendum ed iniziativa vennero contemplati come sostituzione accettabile delle assemblee comunali e cantonali dirette (“Landesgemeinden”). L’incremento demografico aveva reso impraticabile questo tipo d’assemblea. In qualche Cantone, quali Schwyz e Zug nel 1848, tale sostituzione fu immediata e diretta coll’introduzione del referendum, mentre venne annullata la Landesgemeinde” (Kobach, 1994, p.100-101). Quindi nel processo di presa decisionale in democrazia diretta per via dell’assemblea pubblica – da una prospettiva formale –, ci sono due decisioni da prendere: Democrazia rappresentativa Il referendum conosce comunque dei limiti. Non possiamo in effetti fare un referendum su qualunque questione: i costi della presa decisionale diretta sarebbero semplicemente assai elevati per la società. Un referendum costa davvero caro, ma non c’è solo questo motivo. É soprattutto che ogni referendum esige assai tempo e sforzo da parte dei cittadini: essi devono impiegare le migliori energie e capacità loro per formare un’opinione sull’argomento dibattuto e poi votare. •prima, una decisione di mandato: ogni cittadino(a) decide sia se prendere parte in prima persona al “Parlamento ad hoc”, che sta per prendere le decisioni, sia se mandare concittadini per farlo. •poi, l’assemblea pubblica elabora la decisione sulla questione da dibattere. Dall’assemblea pubblica al referendum Di certo, cittadini sovraffaticati possono astenersi dal voto per referendum e, ciò facendo, fornire un mandato a quelli che votano realmente. Se c’è troppo poca gente interessata nel votare, però, tale procedura è parimenti inservibile. Diviene assurdo organizzare un referendum nazionale su una questione a proposito di cui solo un pugno di elettori si manifestino alla fine. Non solo l’assemblea pubblica risulta irrealizzabile, ma persino il ricorso sistematico al referendum diventa impraticabile. Fino a questo punto, abbiamo messo insieme gli elementi seguenti, componenti inevitabili nel funzionare dell’assemblea pubblica, che possiamo considerare come costitutivi “dell’archetipo” della democrazia: •il principio di uguaglianza; •il principio di sovranità popolare (non c’è quella più elevata che l’autorità del popolo); •la regola maggioritaria; •il principio del mandato. Si deve trovare pertanto un’altra soluzione. In questo contesto, il punto essenziale è : se il referendum sarà un metodo inadeguato per prendere decisioni, queste verranno prese allora effettivamente da chi ? Col referendum, il problema del mandato risolve normalmente se stesso : quegli elettori abilitati, che votano di fatto, ricevono un mandato dalla società. Essendo ciascuno libero di accettare o no questo mandato, non viene violato il principio d’uguaglianza. D’accordo!, ma a chi si dà il mandato, se il referendum non ha luogo ? L’assemblea pubblica non è praticabile in uno Stato democratico moderno, salvo al livello locale. Ma ciò non costituisce un problema. In effetti, l’assemblea pubblica, in quanto tipo di democrazia, può felicemente venire consegnata. La cosa essenziale è che gli elementi fondamentali dell’archetipo di democrazia vengano conservati. L’assemblea pubblica è solamente una delle manifestazioni possibili dell’archetipo sottostante. La democrazia rappresentativa costituisce essenzialmente una tecnica per risolvere tale problema di mandato. Essa va messa in opera fin dal momento che i cittadini hanno troppo poco tempo od interesse per cooperare per una decisione che va ancora presa. Da un certo momento per la società, – a seconda dell’opinione dei cittadini stessi – i costi di referendum su ogni questione particolare sono troppo elevati, paragonati al beneficio democratico (accesso diretto alla presa decisionale per ogni cittadino). Per questa ragione, i cittadini affidano quindi un mandato ad un Parlamento fissato per qualche anno ; questo riceve il mandato di prendere decisioni su tutti gli argomenti a proposito dei quali i cittadini non vogliono decidersi direttamente. L’elezione parlamentare è quindi un tipo speciale di democrazia diretta : i cittadini scelgono chi deciderà ed in quali condizioni, sugli argomenti per i quali il popolo desidera delegare il mandato. In oltre, il modello dell’assemblea pubblica conosce limitazioni. Superando un certo numero di persone, la piazza della città diventa troppo piccola. Perciò il dibattito deve aver luogo in qualsiasi altro posto: attraverso i mass media, mediante riunioni di quartiere, ecc. La discussione durerà più a lungo e sarà di qualità meno diretta. Ma questo è più un vantaggio che un ostacolo. Vi sarà più tempo per consultarsi, più occasioni per svelare falsi dibattiti. In oltre, non dobbiamo più votare alzando la mano, ma nel “segreto” della cabina elettorale. Questo tipo di scrutinio segreto è innegabilmente un gran vantaggio: ciascuno(a) può esprimere l’opinione sua libero(a) da ogni pressione sociale. Mediante queste due modificazioni, l’assemblea pubblica viene così trasmutata in referendum. In effetti, un referendum è principalmente un’assemblea pubblica nella quale i partecipanti non si radunano più fisicamente. Ma contemporaneamente, il referendum d’iniziativa cittadina preserva ancora le caratteristiche essenziali dell’assemblea pubblica, ossia: principio d’uguaglianza e diritto d’iniziativa e regola maggioritaria e principio di mandato. Il mandato ricevuto dal Parlamento è quindi una manifestazione particolare del mandato affidato ai votanti effettivi nella presa decisionale in democrazia diretta dalla comunità intera. In democrazia diretta (referendum), gli elettori effettivi operano come se formassero un enorme Parlamento ad hoc che viene mandato per decidere sulla questione sottomessa al voto. La sola differenza colla decisione rappresentativa (votazione in seno al Parlamento) è che il Parlamento riceve il suo manda- In termini storici – particolarmente in Svizzera –il fatto è notevole da notare che tale transizione dall’assemblea pubblica 15 to qualche tempo prima del voto e questo gli viene affidato per un periodo ben determinato. É chiaro che la separazione dell’atto mandatario da quello decisionale non è fondamentale. Ma essa è essenziale per intendere che il Parlamento e la comunità dei votanti in un referendum hanno la stessa base al tempo stesso logicamente ed ufficialmente. rappresentativo, è un mandato fittizio, proprio perché viene imposto. Scrisse Federico Nietzsche in questo contesto : « Il parlamentarismo, cioè il permesso ufficiale di venir autorizzati a scegliere tra cinque punti di vista politici, sta insinuandosi tra molti di coloro che vogliono sembrare indipendenti ed individualistici, mentre lottano perché prevalgano le loro vedute. In fin dei conti, però, ciò non fa nessuna differenza che il gregge abbia un’opinione essendogli imposta oppure che queste cinque opinioni gli vengano permesse. » [Il brano tedesco originale : « Der Parlamentarismus, daß heißt die öffentliche Erlaubnis, zwischen fünf politischen Grundmeinungen wählen zu dürfen, schmeichelt sich bei jeden Vielen ein, welche gerne selbständig und individuell scheinen und für ihre Meinungen kämpfen möchten. Zuletzt aber ist es gleichgültig, ob der Herde eine Meinung befohlen oder fünf Meinungen gestattet sind. »] (Nietzsche, 1882, 1999, p.500). Il rapporto tra referendum e presa decisionale parlamentare L’introduzione del Parlamento rappresentativo fa nascere un altro problema. Come determinare adesso le questioni a proposito delle quali i cittadino vogliono ancora direttamente decidere? I propugnatori del sistema meramente rappresentativo hanno la loro risposta già pronta. Asseriscono che il Parlamento sia onnipotente e rifiutano il referendum. Questo danneggia seriamente il principio di sovranità popolare incluso nell’archetipo di democrazia. Così, nel sistema puramente rappresentativo è una volta di più possibile fare approvare leggi volute da una « élite », ma ricusate da una maggioranza. Fin dal momento che viene insediato il Parlamento, questo può operare liberamente contro la volontà della maggioranza popolare. Il diritto d’iniziativa, risultante come conseguenza dal principio d’uguaglianza, viene anche così abrogato. La nozione di « democrazia meramente rappresentativa » racchiude una contraddizione interna (paragonabile alla « quadratura del cerchio »), soprattutto se la maggioranza del popolo vuole una presa decisionale diretta. In effetti, ove la maggioranza del popolo volesse una presa decisionale diretta, un sistema meramente rappresentativo sarebbe antidemocratico per definizione, perché dalla sua natura intima, tale sistema è contrario alla volontà della maggioranza (un quadrato, per definizione, implica la presenza di angoli, un cerchio non è un quadrato, perché il cerchio – dalla sua natura intima – non ha angoli). I difensori del « sistema puramente rappresentativo » lo giustificano mediante due ragioni principali : Lanciare un partito (?) I sostenitori della presa decisionale rappresentativa avanzano ancora un secondo argomento. Dicono che uno sia libero di creare il proprio partito e di brigare un mandato parlamentare. Un mandato imposto non è affatto un mandato Prima di tutto, i difensori del « sistema meramente rappresentativo » dichiarano che i cittadini diano un mandato a quelli che vengono eletti e questi ultimi possiedano pertanto il diritto di decidere. Questo motivo ignora però il principio della sovranità popolare. Questo ultimo prende le mosse dall’opportunità del popolo di essere capace di determinare il modo in cui una decisione verrà presa. É assai possibile che la stragrande maggioranza del popolo voglia esprimere l’opinione sua a proposito di una questione specifica, mentre un piccolissimo numero della gente anela ad un mandato parlamentare. Tale desiderio andrebbe rispettato in democrazia. Se adesso qualcuno decreta, in contrasto al desiderio della maggioranza, che la presa decisionale diretta non sia permessa e che si deva ottenere con cambiamenti brigandosi un mandato parlamentare, egli colloca se stesso al di sopra del popolo ed in opposizione con esso, violando così la sovranità sua. Se il popolo vuole decidere su una questione specifica e che la cosa viene resa impossibile, allora non vige più nessuna sovranità popolare. Quando una élite ricusa alla maggioranza dei cittadini l’opportunità desiderata di prendere direttamente decisioni e avanza quale « alternativa », la creazione di un partito personale, va da sé che quest’élite sta trattando con degnazione la maggioranza dei cittadini e non si tratta più affatto di democrazia. Così facendo, essi ignorano il fatto che questo tipo di mandato suscita una contraddizione interna. Un mandato legittimo, così come un regalo legittimo, può solo essere dato dal proprio volere. Tale buona volontà significa parimenti che i cittadini debbano rimanere liberi di non affidare il mandato, ma di scegliere una via di presa diretta della decisione, tramite un referendum. Un mandato imposto è un mandato fittizio. Questo può venire chiarito tramite un’analogia. Si immagini che Lei venga sbattuta a terra da cinque aggressori che Le domandano il Suo portafoglio. Essi Le lasciano veramente la scelta nel decidere al quale tra loro Lei rimetterà il Suo denaro. Per pura necessità, Lei dà il Suo denaro all’uomo meno sgradevole che, qualche tempo dopo, viene arrestato dalla polizia. Poi, durante il confronto, lo strano tipo Le dice : « Io, non ho preso affatto il Suo portafoglio, al contrario, Lei me l’ha donato a Suo piacimento. In fin dei conti, Lei era interamente libera di non darmelo. » Ovvia è la perversità di tal argomentazione. Lei era infatti libera di donare o non il Suo denaro in questo triste particolare. Nonostante, Lei era costretta (dallo scellerato di cui si tratta tra altri) a rimettere il Suo portafoglio in ogni modo – contro la volontà Sua. Le era rifiutata a Se stessa la libertà di conservarlo. Sostituisca adesso ai ladri di quest’analogia i partiti politici, e, al portafoglio, il diritto Suo di partecipare direttamente al processo di presa decisionale democratica, e Lei ottiene l’argomento a favore della presa decisionale meramente rappresentativa. Nello stesso modo in cui la Sua libertà di rimettere il Suo portafoglio era fittizia, così il mandato, nel sistema puramente Un’indagine sui motivi del comportamento elettorale indica senza ambagi che la maggioranza degli elettori non votano solo perché vogliono affidare un mandato [si vede 2-2]. La maggioranza dell’elettorato vota strategicamente, cioè, stante il sistema esistente, si pone la domanda: quali sono i leaders meno nocivi ? Ove si votasse, per precisare, nello spirito di concedere mandati democratici, la diffidenza odierna della genta all’incontro del Parlamento proprio – fatto che mettono in rilievo di modo incessante i risultati delle elezioni attraver16 so l’insieme dell’Europa – sarebbe del tutto inspiegabile. Non ci sono più, nel reale senso della parola, rappresentanti sedenti nel Parlamento ; ci sono solo leaders però, che vengono scelti dagli elettori, preferibilmente ad altri, semplicemente perché l’elettorato viene presentemente costretto a eleggere qualcuno e si limita dunque a votare per la persona (od il partito) meno suscettibile di fare torto. sionale diretta tra la gente. In pratica, tale prova viene fornita raccogliendo firme per petizione (sottoscrizioni) per il referendum. In Svizzera ad esempio, un referendum viene tenuto a livello federale quando il 2% della gente lo richiede tramite una petizione. Gerarchia delle leggi Pertanto, c’è una differenza basilare tra partiti politici che sostengono il referendum obbligatorio d’iniziativa cittadina e quelli che si oppongono all’introduzione del referendum. Questi ultimi vanno realmente considerati come direttamente interessati dal potere. Soli partiti che stanno appoggiando incondizionatamente l’introduzione del referendum obbligatorio d’iniziativa popolare possono essere considerati autenticamente democratici, nel senso letterale che si affannano a favore di una verace forma del « potere popolare ». Una legge approvata mediante referendum deve collocarsi al di sopra nella gerarchia legislativa di quelle approvate dal Parlamento. C’è in oltre una clausola aggiuntiva, ossia una legge direttamente approvata dal popolo non può ulteriormente essere lasciata dal Parlamento. In effetti, se un referendum sarà tenuto, questo significa che il popolo avrà voglia di esprimere le opinioni proprie su questioni afferenti. Col referendum, il mandato democratico verrà rimesso nelle mani degli elettori e non in quelle dei membri del Parlamento. Parlamento e referendum In Svizzera, tale superiorità della legge del popolo è regolata al livello federale includendo la legge popolare quale parte della Costituzione. Dato che la Costituzione svizzera viene modificata solo dal referendum, ciò implica che una decisione del popolo può solo essere annullata da un’altra decisione del popolo. Lo svantaggio però è che la Costituzione svizzera si è evoluta in una strana mescolanza di provvedimenti generali (tali quali che appariscono di solito in ogni Costituzione) e di stipulazioni molto specifiche (di solito normalmente regolate da leggi ordinarie). Perciò, il sistema meramente rappresentativo non può essere valutato come veramente democratico. Tale sistema necessita, a priori, il designare di un’élite di presa decisionale e da possibilità d’introdurre provvedimenti legali contrari alla volontà popolare. Nondimeno, il sistema rappresentativo può operare in modo ragionevolmente buono in un caso particolare. Ossia quando la stragrande maggioranza degli elettori l’approvano e per di più quando la maggioranza dei cittadini s’identifica con uno dei partiti politici esistenti, il sistema puramente rappresentativo diviene così legittimo (perché viene desiderato dai cittadini). Tale situazione si verificò in una misura più o meno importante nei paesi occidentali fino agli anni sessanta. Che un problema serio possa sorgere a tale proposito, lo rivela l’esempio dell’Oregon. Il referendum obbligatorio d’iniziativa popolare esiste negli Stati Uniti, ma con una maggioranza semplice, cioè il Parlamento dello Stato può abrogare le leggi votate tramite il referendum. Ciò è davvero successo. Ad esempio nel 1988, un’iniziativa popolare venne sostenuta che prevedeva una pena di prigione più lunga per delinquenti violenti. Questa legge venne ricusata ulteriormente dalle Camere legislative. Ma i tempi sono cambianti. La maggioranza dei cittadini vogliono assolutamente dei referendum e la maggiore parte non si identifica più chiaramente con un partito politico od un altro (si vede, l’inserzione 1). Il sistema di presa decisionale politica rimane immutato, ma il disavanzo democratico continua a aumentare in modo drastico, perché in tale sistema, l’attitudine della gente ad esprimere le sue convinzioni sociali continua a venire meno. Un’iniziativa popolare venne lanciata in seguito (Measure 33), per tentare d’impedire questo tipo d’evento. Essa proponeva i provvedimenti seguenti : •Leggi create in base alla democrazia partecipativa (referendum) possono venire modificate nei cinque anni consecutivi soltanto da un’altra iniziativa popolare; •Dopo cinque anni, una modificazione può esser soltanto compiuta se essa ottiene al meno il 60% dei voti nelle due Camere legislative (Senato e Camera dei Rappresentanti). Ciò può solo essere risolto dall’introduzione del referendum obbligatorio d’iniziativa cittadina. Assieme al sistema rappresentativo, il referendum obbligatorio d’iniziativa cittadina può fornire un sistema che, da una parte, racchiude caratteristiche essenziali dell’assemblea pubblica (ossia, uguaglianza, diritto d’iniziativa, regola maggioritaria, principio del mandato) e, dall’altra, rimane ancora utilizzabile nella società moderna. Però dobbiamo poi introdurre qualche nuovo principio che determina come interagiscono le prese decisionali rappresentativa e diretta l’una coll’altra in seno alla democrazia. In particolare, se vogliamo conservare il vantaggio essenziale della democrazia rappresentativa (cioè nessun voto popolare su ogni questione), si deve esigere dai cittadini un interesse attivo nella presa decisionale diretta. Il Parlamento od il Corpo rappresentativo verrebbe considerato possedente un mandato per tutte le questioni a proposito delle quali i cittadini non fanno attivamente conoscere il loro desiderio di presa diretta della decisione. Però la proposta venne rigettata, solo di uno stretto margine, nel novembre del 1996. Quorum partecipativi Dato il principio del mandato, è assurdo introdurre quorum partecipativi per la presa decisionale diretta. I cittadini che non partecipano al voto, vengono considerati come aventi rimesso un mandato a quelli che vi prendono parte. Se si introducono quorum partecipativi, si apre così la porta al boicottaggio dalle minoranze. Supponiamo, ad esempio, che ci sia un quorum elettorale del 40% e che il 60% dell’elettorato voglia votare. In seno al gruppo entusiasta per votare, il 55% sostiene la proposta sommessa al voto e il 45% vi si oppone. Gli opponenti non possono vincere il voto se prendono parte Se un gruppo di cittadini vuole ottenere un referendum su un certo argomento, per questa ragione, essi devono provare che ci sia effettivamente un desiderio palese di presa deci17 a questo. Invece, se essi restano a casa possono « vincere » perché la soglia del 40% non può più essere raggiunta poi e la proposta verrà rigettata, all’incontro della volontà maggioritaria [si vede 2-3]. In fine alcuni difensori del quorum partecipativo si riferiscono al pericolo designato col termine di « compartimentazione ». Vogliono significare di là che cittadini votino solo per questioni concernenti i propri gruppi d’interessi. Ad esempio, nel referendum su un progetto d’azione trattante il letame, voterebbe solo una piccola parte della popolazione, come quella dei fattori allevatori di bestiame. Abbiamo visto che il mandato parlamentare non è che una forma derivata dal mandato ricevuto dagli elettori effettivi nella presa decisionale in democrazia diretta. Un Parlamento raduna in media solo il 0,003% della popolazione e nonostante questo, esso può ancora prendere decisioni. Quindi è un nonsenso introdurre quorum elettorali del 20% o del 40% per il Parlamento ad hoc formatosi dal referendum. Lo sbaglio fatto con i quorum partecipativi, consiste nel fatto che la gente rimanente a casa viene contata sia tra sostenitori sia tra opponenti (ciò dipende dal referendum stesso). In realtà, tale gente ha scelto di non esprimere l’opinione sua attraverso un voto. Questo deve essere del tutto rispettato. Tale obiezione rimane sulla falsa premessa che la gente voti solo per difendere propri interessi di gruppo. La realtà è altra (si vede capitolo 6°). Nei paesi o stati senza quorum partecipativo, quali la Svizzera e la California, non c’è « compartimentazione » in modo quanto mai evidente. Il progresso pratico dei voti di democrazia diretta rende però improbabile a priori ogni effetto di « compartimentazione ». Ad esempio, nel giorno delle elezioni attraverso il referendum in Svizzera, ci sono quasi sempre parecchie questioni sottomesse al voto referendario simultaneo. Si trattano di argomenti e temi diversi in questi referendum che non toccano soltanto i livelli federale e cantonale, ma anche il livello municipale. Pertanto, la gente non è generalmente invitata a recarsi alle urne per riguardo di una questione specializzata unica. Finalmente possiamo anche notare che il tasso di partecipazione ad un referendum non va paragonato con quello delle elezioni. In effetti, nelle elezioni tutti i generi di argomenti sono all’ordine del giorno o palesi nei partiti : quelli che sono attuali e tutti i nuovi temi che si presenteranno essi stessi nei quattro o cinque anni in futuro. Invece, un referendum tratta di una questione sola all’ordine del giorno, è dunque logico che il tasso partecipativo sia più basso di quello delle elezioni. Al contrario, è il sistema parlamentare ad essere altamente esposto alla tentazione della compartimentazione. Interessanti esempi ne sono, propriamente, il disegno sul trattare del letame od il divieto della pubblicità a favore del tabacco in Belgio. Gruppi d’interessi economici, tramite i loro contatti con un gruppo ristretto di Membri « specializzati » in seno al Parlamento, esercitano una pressione senza precedenti sulla presa decisionale. Una presa decisionale in democrazia diretta renderebbe più difficile, invece, questo gioco di « mani vincenti » per tali gruppi d’interessi. Argomenti vengono avanzati a volta per fissare un quorum basso, precisamente allo scopo di impedire ogni boicottaggio eventuale. Tuttavia tale punto di vista è illogico. Potrebbero esserci due possibilità, sia che la soglia sia troppo bassa e dunque sarà raggiunta : allora saremo sicuri che il boicottaggio sarà escluso – ma contemporaneamente la soglia diventa inutile ; sia che la soglia sia tanto elevata che è improbabile che venga mai raggiunta : il boicottaggio diviene allora possibile. Non c’è terza possibilità. Il quorum nel Parlamento Talvolta, il quorum partecipativo ai referendum viene sostenuto paragonandolo a quello vigente in molti Parlamenti. Voti nel Parlamento sono spesso validi soltanto quando raccolgono al meno il 50% dei suffragi dei Membri. Per analogia, un voto popolare non potrebbe essere valido ove il 50% della gente non votasse. Bisogna pure ricordare che i quorum partecipativi siano in fondo impossibili per le elezioni parlamentari e municipali. In fin dei conti, se non si fossero mai raggiunti tali quorum, il sistema legislativo ed amministrativo si insabbierebbe completamente. Non ci sono quindi buone ragioni di non avere un quorum per questo tipo di elezioni, pur insistendo ad averne uno per i referendum. Se viene richiesto al gruppo, che prende la decisione tramite il referendum, di essere « sufficientemente rappresentativo », allora la stessa esigenza va richiesta a fortiori (sia pure perfino più rigorosamente ancora) per le elezioni parlamentari. Supponiamo che un quorum partecipativo del 25% sia stabilito per un referendum e, nello stesso tempo, non ci sia nessuno quorum per le elezioni parlamentari. Un referendum, nel quale partecipa il 20% dell’elettorato verrebbe dichiarato non valido. Ma un Parlamento, che verrebbe eletto solo dal 5% dell’elettorato potrebbe ancora prendere decisioni « legittime » – decisioni fondate sulla partecipazione media di cittadinanza del 5% – allorché il risultato annullato del referendum può menar vanto di una partecipazione cittadina diretta del 20%. Questo è illogico. In oltre, il mandato affidato al Parlamento è di una portata molto più grande di quella del mandato donato ai votanti effettivi, in seno al referendum, da quelli che sono rimasti a casa. In fin dei conti, non si può dire niente quanto alla portata delle decisioni che verranno prese dai membri del Parlamento. Nel corso di una sessione parlamentare, nuovi temi e provvedimenti legislativi, che non potevano essere previsti, vengono continuamente messi all’ordine del giorno. Tuttavia, l’analogia è falsa. Abbiamo visto in effetti che il Parlamento, nell’insieme suo, equivale logicamente a quelli che votano in seno al referendum, e non equivale alla totalità degli elettori abilitati. Un Membro del Parlamento ha un contratto vigente con i cittadini : egli od ella, viene impegnato(a) in questo contratto per un periodo determinato, affinché egli od ella avvii alla presa decisionale nella misura in cui i cittadini non vogliano decidere per se stessi. Il Membro del Parlamento deve quindi teoricamente essere sempre presente pertanto alle votazioni parlamentari. Se, egli od ella, non vi assiste per ragione intenzionale, c’è rottura del contratto con gli elettori. Il quorum del 50% in Parlamento è un pallido riflesso di tale obbligazione. Esso non è un provvedimento felice, perché opera in favore ad una polarizzazione tra maggioranza e minoranza in seno al Parlamento stesso. Nelle sua piega, tale polarizzazione è inconciliabile col contratto esistente tra i Membri della minoranza parlamentare e gli elettori loro. Se questi Membri usciti dalla minoranza sono effettivamente nella minoranza, essi possono rivendicare con giusto titolo che la loro presenza nel Palamento sia divenuta inutile : non possono più influenzare in effetti le decisioni. Pertanto diventano anche incapaci di onorare i loro contratti con gli elettori, ciò che non è per colpa propria, ma il risul18 tato del bloccaggio dai colleghi della maggioranza. Sarebbe meglio sostituire al quorum del 50% una regola secondo cui l’assenza di un Membro del Parlamento sarebbe sanzionata da destituzione e supplenza con un candidato non eletto da un altro partito. zione delle tasse che sopporta, allorché nello stesso tempo la gente esige che il governo fornisca gli stessi servizi statali, o ancora migliori. » In accordo con questo i professori difendono quindi l’esclusione delle questioni concernenti essenzialmente o principalmente l’imposta fiscale o provvedimenti sul bilancio dello Stato. Il loro argomento non è solamente antidemocratico ; è ugualmente falso in quanto essi non menzionano l’esempio palesemente contraddittorio della Svizzera. Laggiù, non c’è nessuna restrizione sui referendum relativi a questioni fiscali, senza che per questo ciò danneggi seriamente il bilancio dello Stato federale (si vede anche i capitoli 5° e 6°). La sfera d’autorità del referendum Deve essere possibile tenere un referendum su tutte le questioni per le quali una decisione rappresentativa è pure possibile. Negare ai cittadini il diritto di presa decisionale diretta a proposito di certe questioni, equivale ad entrare in conflitto col diritto d’iniziativa. Però la presa decisionale diretta va sottomessa alle limitazioni che si applicano ugualmente alla presa decisionale rappresentativa. Diritto di petizione Un piccolo gruppo di cittadini (ossia, ad esempio, 0,1% dell’elettorato, con approssimativamente 45 000 sottoscrizioni in Gran Bretagna) deve essere in grado di sottomettere una petizione all’ordine del giorno del Parlamento (diritto di petizione), anche se un numero insufficiente di firme fossero raccolte per ottenere un referendum. É un risultato diretto della natura stessa del Parlamento: è l’istituzione in cui vengono prese decisioni pertinenti in quanto i cittadini non vogliono decidere. Il fatto che parecchie migliaia tra loro sottomettono una petizione fa ipso facto di questo tema una questione socialmente pertinente. Ci sono tre punti particolarmente importanti in questo contesto : •La presa decisionale deve aver luogo al livello che le spetta. Ad esempio, non si può riformare l’ente assicurativo statale (con cassa previdenza e cassa malattie) a livello provinciale, od abolire la generazione di potenza nucleare a livello municipale. •Le proposte sottomesse al voto devono essere in accordo con i diritti fondamentali e le libertà tali quali vengono stabiliti dalla Costituzione e nei Trattati internazionali concernenti i Diritti dell’Uomo. •Tuttavia, la gente deve aver il diritto di modificare la Costituzione mediante il referendum e si deve anche concederle un diritto di controllo democratico sull’adesione ai Trattati. Questi ultimi devono sempre stipulare una scadenza di validità e di compimento. In tutti gli altri casi, la sovranità del popolo verrebbe ristretta di un modo inaccettabile. Diritto di petizione e referendum d’iniziativa cittadina vengono collegati in una procedura di democrazia diretta a molte tappe. Un’iniziativa cittadina si avvia in quanto gruppo di petizione. Se, ad esempio, 43 800 sottoscrizioni vengono raccolte, la proposta dei cittadini viene presa in considerazione dal Parlamento. Se questo l’attua, l’iniziativa si ultima. Nell’altro caso, l’iniziativa dei cittadini può costringere al referendum se essa ottiene un numero molto più elevato di sottoscrizioni (per esempio, il 2% dell’elettorato, sia pressappoco 900 000 persone in Gran Bretagna). Gli elettori vanno informati allora sulle raccomandazioni od osservazioni del Parlamento, ciò che verrà a nutrire significantemente il dibattito sociale avviato. Il Parlamento può utilizzare il diritto suo di suggerire una proposta alternativa in più di quella del popolo. In seguito, durante il referendum, gli elettori hanno la scelta tra tre alternative: lo status quo o la proposta del popolo o l’alternativa parlamentare (questo tipo di provvedimento esiste in Baviera). Incidentalmente, tale forma di regola può garantire l’esistenza di un legame stretto tra il Parlamento ed il popolo (si vede anche il capitolo 6°). L’élite politica ha una forte inclinazione, suscitata dalla diffidenza, ad escludere la presa decisionale mediante democrazia diretta. Tale atteggiamento non s’incontra solo tra leaders politici, ma anche tra universitari e professori. Un esempio ci viene fornito dalle « Raccomandazioni del Comitato scientifico per la Commissione del rinnovamento politico » (2000) all’intenzione del Comitato parlamentare belga, i cui Membri si preoccupano di tale rinnovamento politico. Vi si legge : « Le questioni d’imposte fiscali vengono escluse dal voto popolare nella più parte dei paesi : la ragione è fondata sul timore giustificato che, tramite il referendum od il consenso popolare, la gente sceglierà sempre una diminu- 2-1: L’assemblea pubblica Assemblee pubbliche similari sorgono in molti luoghi in Europa alla fine del Medioevo. Lecomte (1995, 2003), ad esempio, descrive le consuetudini nella piccola città belga di Fosses-la-Ville, che apparteneva alla diocesi del principato di Liègi. Conosciamo così l’organizzazione esatta dell’amministrazione locale di Fosses-la-Ville mediante un carta dell’11 dicembre 1447. Il gestire quotidiano della città veniva assicurato da una Consulta eletta una volta all’anno. L’assemblea pubblica è la più antica e la più semplice manifestazione di democrazia. Nell’Atene di Pericle, (dal 450 al 430 a.C), l’assemblea pubblica (ekklesia) era l’autorità suprema, la quale approvava leggi e prendeva decisioni di guerra e pace. L’assemblea pubblica ateniese non permetteva nessuna rappresentazione che avesse ripreso il suo ruolo o la sua autorità. Il principio di uguaglianza non era apparso ancora. Solo i « cittadini » (nel senso della parola di quest’epoca) erano ammessi nell’assemblea pubblica. Gli schiavi ne erano esclusi. Nell’epoca di Pericle, c’erano pressappoco 30 000 cittadini a confronto di 100 000 - 250 000 schiavi. I cittadini non avevano voti uguali: possedimenti giocavano un ruolo maggiore. I capifamiglia della città si riunivano a questo scopo nella torre bassa all’ingresso della cittadina di Fosses e designavano i membri del Consiglio comunale tramite un voto a maggioranza semplice. Dopo il Quattrocento, queste assemblee pubbliche vennero tenute in ogni quartiere, ma il sistema rimase lo stesso. Non solo i cittadini della città 19 stessa partecipavano alla votazione, ma anche i « borghesiambulanti », che venivano dalla campagna circostante (non residenti, essi non godevano per nulla dei diritti di cittadinanza). presenta pressappoco 3 000 persone. Se ci sono questioni controverse all’ordine del giorno, questo numero aumenta di solito. Si vota colla mano alzata, voti per i quali, « l’Abmehren » (la verifica di chi ottiene la maggioranza) incontra talvolta difficoltà. Le riunioni delle assemblee pubbliche vennero chiamate « Généralités » (nel senso italiano di « Generalità », ndt). Queste « Généralités » non designavano soltanto il Consiglio comunale stesso, dato che avevano pure il potere di trattare ogni questione importante. Il Consiglio comunale stesso non poteva prendere decisioni, ma era incaricato di convocare l’assemblea pubblica. Lecomte riassume i poteri seguenti che dipendevano così dalle prerogative inerenti alla « Généralité »: In più dell’elezione della Standeskommission (Consiglio dello stato civile), del Landamann (una specie di Presidiente del Consiglio) e del Kantongericht (Tribunale cantonale), le questioni obbligatorie nell’ordine del giorno della Landesgemeinde sono le seguenti: •Una modifica eventuale della Costituzione cantonale; •Tutte le leggi ed emendamenti agli statuti che sono stati preparati dal Großer Rat (Gran Consiglio); •Tutte le proposte di spesa pubblica oltre 500 000 franchi svizzeri o di spese almeno di 100 000 franchi svizzeri, rinnovate su un periodo almeno di cinque anni (Finanzreferendum, dal 1976); •Leggi ed emendamenti alla Costituzione cantonale proposti dai cittadini e per i quali basta una sola sottoscrizione; •Ove un solo cittadino lo richiedesse: ogni decisione di spendere al meno 250 000 franchi svizzeri od al meno 50 000 franchi svizzeri all’anno, per un periodo di cinque anni al meno. •Pubblicare nuovi regolamenti e statuti; •vendere od ipotecare proprietà e beni comunali; •decidere lavori pubblici importanti; •approvare il bilancio annuale; •decidere la riscossione delle imposte e tasse. La funzione maggiore consisteva nel convocare la « Généralité » ogni volta che una decisione fosse necessaria in uno di questi campi. La funzione del Consiglio comunale era principalmente di tipo esecutivo: era responsabile dell’ordinaria amministrazione e dell’esame degli affari correnti, però per quanto concerneva nuovi principi e decisioni importanti, questi necessitavano sempre di venir approvati direttamente dai cittadini stessi. Lecomte sottolinea a buon diritto la differenza qualitativa tra il regime di democrazia diretta di Fosses di tal epoca ed il sistema corrente attuale, in cui non sono più i cittadini stessi a prendere oggi decisioni importanti, ma solo i membri del Consiglio comunale: « ...tra il Consiglio comunale di Fosses nel Medioevo e il medesimo odierno, esiste una differenza essenziale. Nei nostri giorni, il Consiglio decreta i regolamenti urbani e vota le imposte comunali. Niente di simile c’era nel Trecento. Il potere legislativo comunale apparteneva essenzialmente alla « Généralité », cioè all’assemblea generale dei borghesi invitati a decidersi su tutti gli affari che, oltre l’amministrazione corrente, riguardavano la causa degli interessi della comunità urbana. » [Il testo originale: « … entre le conseil communal de Fosses au moyen âge et le même conseil d’aujourd’hui, il existe une différence essentielle. De nos jours, le conseil édicte des règlements urbains et vote des impôts communaux. Rien de tel n’existait au XIVe siècle. Le pouvoir législatif communal appartenait essentiellement à la « Généralité », c’est-à-dire à l’assemblée générale des bourgeois invités à se prononcer sur toutes les affaires qui, en dehors de l’administration courante, mettaient en cause les intérêts de la communauté urbaine. »(Lecomte 2003, p.154). Pertanto, nessuna legge può imporsi per forza in Appenzell Innerhoden senza che prima venga approvata dall’assemblea pubblica. Ogni cittadino ha il diritto di parola durante l’assemblea pubblica. Non ci sono provvedimenti restrittivi del numero degli oratori o della durata del discorso. In pratica questo non cagiona difficoltà dato che gli interventi sono concisi e vengono rapidamente al fatto, senza ripetersi. (Hutter, 2001; Carlen, 1996). In diversi Stati del Nord-Est degli Stati Uniti, una tradizione amministrativa esiste pure fondata su ciò che si chiama laggiù « Open Town Meetings’ » (OTMs) [Assemblee Aperte della città, ndt], la quale può farsi risalire direttamente ai Pilgrim Fathers [(Padri) Pellegrini, ndt] (Zimermann, 1999). L’ente amministrativo più elevato, nella comunità non è un Consiglio comunale eletto, ma un’assemblea pubblica aperta (OTM). L’OTM si riunisce una volta all’anno. Tutti gli elettori registrati della comunità possono prendere la parola e votare nell’assemblea. Questa viene convocata dal « Board of Selectmen », un comitato, i cui membri sono stati designati dalla riunione precedente dell’OTM, che opera nel frattempo come una specie di consiglio esecutivo dell’OTM. Un cittadino può fare iscrivere questioni all’ordine del giorno. Ciò esige: sia un centinaio di sottoscrizioni in appoggio da parte degli elettori registrati, sia (nei piccoli municipi) le firme della decima parte degli elettori registrati. I Selectmen stessi possono iscrivere questioni all’ordine del giorno ed includere temi che vengono sottomessi da parte dell’amministrazione della città e da altri comitati e consigli. Nei nostri giorni ancora, almeno il 85% dei municipi svizzeri vengono amministrati dall’assemblea pubblica (Kriesi 1992, p.113). Al livello cantonale, l’assemblea pubblica (Landesgemeinde) esiste solo nell’Appenzell e nel Glarus. Queste assemblee risalgono al tardo Medioevo (il più antico documento racchiudente decisioni adottate dalla Landesgemeinde risale al 1294) e sono collegate possibilmente colla tradizione del « Thing » degli antichi Germani o Scandinavi. Partecipanti alle OTM vengono provveduti da parecchie raccomandazioni. In alcuni municipi, l’OTM plenaria è preceduta da una riunione preparatoria d’informazione, durante la quale i cittadini possono informarsi sulle diverse raccomandazioni provenienti dai diversi comitati concernenti i più degli argomenti sottomessi al voto. Il « town counsel », un avvocato specializzato sulla legislazione comunale, gioca un ruolo importante nell’OTM stessa. La Landesgemeinde del Cantone di Appenzell Innerhoden si riunisce una volta all’anno, nella piazza del mercato, centro della città di Appenzell, l’ultima domenica di aprile. In genere, il 25 a 30% dei cittadini vi si recano a votare, ciò rap20 2-2: Biocottaggio con soglie participative Si vota a mano alzata, ovvero alzandosi, ma per quanto concerne certe questioni ardue c’é ricorso allo scrutinio segreto. In questo caso il problema è il consumare tempo (solitamente tre quarti d’ora per votare e far lo spoglio). Tuttavia il ricorso allo scrutinio segreto è essenziale per evitare la pressione sociale nel caso di questioni controverse. I referendum comunali in Germania illustrano in abbondanza l’opera distruttrice dei quorum partecipativi imposti. Nel Bade -Vurtemberg, il referendum comunale venne introdotto nel 1956 (non lo fu mai negli altri Stati tedeschi prima degli anni 1990). Però, la legislazione del Bade è molto restrittiva. Una delle limitazione più serie, è la regola del quorum: almeno il 30% dell’elettorato deve votare a favore di una proposta cittadina, altrimenti essa viene annullata. Decisioni dell’OTM possono sempre essere abrogate per via referendaria. Nel Massachusetts, sottoscrizioni di 300 elettori registrati vengono richieste, e la decisione dell’OTM sarà annullata solo se almeno una maggioranza del 20% degli elettori registrati scelgano di farlo. In certe circostanze particolari, possono riunirsi OTMs supplementari. Questa regola dà più peso ai voti degli opponenti all’iniziativa cittadina che ai voti di quelli che la sostengono, dato che i « voti No » risultanti dalle astensioni, vengono aggiunti ai « voti No » di quelli che sono effettivamente opposti all’iniziativa. Quanti cittadini prendono parte a questo town meeting? Negli USA, ci si deve iscrivere sulle liste elettorali. Le percentuali indicate concernono quattro Stati con OTMs integrali: Maine : 28,17% ; Vermont : 26,03% ; New Hampshire : 22,60% ; Massachusetts : 11,89%. In realtà tali percentuali dovrebbero essere accresciute del 10% all’incirca, dato che un decimo dei nomi sulle liste elettorali sono quelli di elettori che si sono trasferiti nel frattempo. A seconda dello studio dello Zimmermann (1999), il tasso di presenza sembra dipendere fortemente dall’ampiezza della comunità. Nelle comunità di meno di 500 abitanti, più del terzo sono presenti di solito. Nelle città del Connecticut, con più di 20 000 residenti, il tasso partecipativo è dell’1% (Zimmerman, p.165; numeri dal 1996). Tassi di presenza molto bassi sono stati osservati nelle comunità in cui i poteri dell’OTM sono limitati. Il referendum di Reutlingen (nel 1986), a proposito della costruzione di un ricovero antiaereo, illustra assai bene quest’effetto. Il 20 marzo del 1986, il Consiglio comunale (maggioranza CDU) decise di costruire un riparo blindato per la protezione civile. Si erse subito e rapidamente ci fu un’iniziativa cittadina contro il bunker con i sostenitori includenti i Verdi ed il SPD, ed il 18 aprile seguente, le sottoscrizioni necessarie vennero sottomesse in vista della tenuta di un referendum sulla questione. Il Consiglio comunale e la CDU inscenarono allora un boicottaggio deliberato contro tal iniziativa. Ogni partecipazione alle discussioni di sera ed altre, venne sistematicamente rifiutata. Nell’ultima settimana precedente il voto, la CDU ruppe brutalmente il suo silenzio mediante un’informazione ed un libello, propagato in forma di un supplemento editoriale del giornale, firmato dal sindacato, tra altri. Questo era un incoraggiamento svergognato al boicottaggio delle elezioni che diceva: « I professionisti e le teste fredde devono agire a presente di un modo giudizioso – non affatto emozionale, ma mediante un atteggiamento elettorale astuto. Potrete stare così giustamente a casa la domenica che viene; dopo tutto, vi si domanda solamente di votare contro la costruzione del bunker. Anche se non votate, esprimerete in qualunque modo la vostra approvazione alla decisione presa dal Consiglio comunale. Avete ampiamente fatto affidamento sulla CDU per molti anni. Potete ugualmente farci affidamento su questa questione. » Lo Zimmerman (pp.173-174) interrogò i funzionari comunali a proposito della qualità del dibattito in seno all’OTM. Nel Massachusetts , il 82% considerano questa qualità quale « eccellente » o « buona », il 16% quale « ragionevole » ed il 2% quale « dubbiosa ». Lo Zimmerman gli domandò pure di stimare il valore decisionale. Nel Massachusetts, il 85% dei funzionari pensano che le decisioni siano « eccellenti » o « buone », il 14% che esse siano « ragionevoli » e il 1% « dubbiose ». Le percentuali sono simili a quelli degli altri stati. Nella citta di Porto Alegre, nel Sud del Brasile, un nuovo sistema, in vista della preparazione del bilancio comunale tramite democrazia diretta, è stato stabilito dal 1989 (Abers, 2000), per mezzo delle assemblee pubbliche. Questo sistema venne introdotto dal partito di sinistra Partido dos trabalhadores, che riportò una vittoria elettorale importante nel 1988. Nelle assemblee pubbliche, i residenti della vicinanza decidono le loro priorità per l’investimento nel servizio pubblico e eleggono dopo rappresentanti che, a un livello più elevato – quartiere e città – organizzano e seguono le decisioni prese dai servizi comunali. Oltre le assemblee pubbliche locali, ci sono anche riunioni tematiche , ad esempio, « sull’insegnamento » o « l’economia e le imposte ». Il risultato fu che solo 16 784 elettori sui 69 932 registrati parteciparono al voto; 2 126 soltanto votarono a favore del bunker. Ma l’iniziativa cittadina fece fiasco sulla soglia partecipativa del 30%, malgrado il fatto che solo il 3,4% degli elettori approvassero il bunker. La regola del quorum partecipativo aveva permesso in fin dei conti ad una piccola maggioranza della gente di saper in che modo cavarsela contro un’ampia maggioranza. Diversi altri municipi nel Bade-Vurtemberg tennero referendum comunali su disegni simili di riparo. Dappertutto ci fu un’ampia maggioranza contro la costruzione di tali infrastrutture che la gente considerava del tutto inutili. (Un sondaggio d’opinione segnalò che il 70% degli abitanti del Bade-Vurtemberg si opponeva al riparo blindato). In Nürtingen, un municipio vicino a Reutlingen, ci fu anche un’iniziativa cittadina contro un simile bunker. Ma la CDU locale non chiamò al boicottaggio. Il risultato fu che il 57% dell’elettorato prese parte alla Le assemblee pubbliche generano una forma molto viva di democrazia diretta, e sono certamente assai praticabili a livello locale. Tuttavia, l’assemblea pubblica presenta ugualmente qualche svantaggio nei confronti del referendum. L’assenza dello scrutinio segreto è l’obiezione fondamentale più importante. In oltre, l’assemblea pubblica richiede uno sforzo da compiere in un momento molto preciso e questo esclude più facilmente alcuni elettori dalla partecipazione. 21 votazione referendaria e dunque il 90% degli elettori ricusarono la costruzione del bunker. In questo caso, l’iniziativa cittadina incontrò successo. In un altro municipio, Schramberg, l’iniziativa cittadina contro il disegno di riparo blindato fu anche riuscita, malgrado l’appello al boicottaggio della CDU. Il testo dell’appello al boicottaggio della CDU venne divulgato prematuramente sicché gli opponenti al bunker ebbero ancora il tempo di rispondere e bloccare la manovra. I giornali locali pubblicarono parimenti le critiche all’appello al boicottaggio della CDU. In fin dei conti, il 49,25% dell’elettorato di Schramberg prese parte nel referendum: l’88,25% votò contro il ricovero blindato, cosicché il quorum partecipativo minimo del 30% fu conseguito. to gli auspici della nuova legge fu quindi immediatamente vittima di un appello al boicottaggio perfettamente riuscito. A Gand, il 14 dicembre del 1997, venne tenuto un referendum d’iniziativa cittadina a proposito di un disegno sostenuto dal Consiglio comunale. Questo contemplava la costruzione di una rimessa per automobili al centro della città designato come il « parcheggio Beaufort ». Il Consiglio aveva deciso in anticipo che avrebbe considerato il risultato come obbligatorio, ma il SP ed il VLD, che formano la coalizione maggioritaria a Gand, chiamarono gli elettori a boicottare lo scrutinio. In quest’occasione, il boicottaggio non riuscì ma con uno stretto margine, poiché il 41,12% dell’elettorato venne presento e votò col 95% contro il disegno di parcheggio. Un boicottaggio può anche venir condotto a seconda di direttive organizzative. Un esempio ben noto ci viene dalla città di Neuss, in cui il primo referendum comunale nella Vestfalia del Nord, venne tenuto il 3 settembre del 1995. L’argomento era la costruzione di un albergo vicino alla città che avrebbe distrutto in qualche modo la cintura di verzura della città. La maggioranza CDU giunse a rovinare il voto pubblico per la soglia partecipativa imposta al 25%. Si sa generalmente che quando referendum in grandi città concernano disegni di costruzione in un solo quartiere specifico, relativamente poca gente voterà, perché non si sente toccare dalla questione o ha l’impressione che una mancanza d’informazione sulla situazione locale le impedisca di decidere lealmente. (Un referendum ad Anversa, sul disegno di un giardinetto pubblico comunale ad Ekeren, ad esempio, attirerà pochissimi elettori dagli altri quartieri, quali il Sud e Hoboken, la cui maggioranza dei residenti non si sono recati mai in persona a Ekeren.) Il Consiglio comunale di Neuss mise in opera una serie di provvedimenti per scoraggiare gli elettori. In Sint-Niklaas, il 28 giugnio del 1998, venne organizzato un referendum a proposito di un altro parcheggio sotterraneo questa volta. Come in Gand, il quorum fu giusto compiuto: il 40,28% di partecipazione dell’elettorato. Il 92% votarono contro il plano di parcheggio. Il voto fu a un pelo da far fiasco, perché il maggiore partito di Sint-Niklaas, i Cristiani Democratici CVP ed il partito locale NCMV (organizzazione di negozianti), avevano chiamato gli elettori a non votare. « Il referendum è una formula cattiva. Chiunque voti « Sì » non fa che assicurare che quelli che votano « No » raggiungano il 40% del quorum richiesto. Il votante « Sì » farebbe meglio a restare a casa », a seconda del capo locale del CVP, Julien Vergeylen (giornale Gazet van Antwerpen, il 17 giugnio del 1998). Il Leader socialista, Freddy Willockx dichiarò: « Il problema è che, a cagione dell’appello al boicottaggio del CPV, non abbiamo un’immagine obiettiva di quello che la gente voglia veramente. C’è probabilmente il 70 -80% degli elettori di Sint-Niklaas ad essere effettivamente opposti al parcheggio, ma non sapremo mai questo con certezza. » (Gazet van Antwerpen, il 29 giugnio 1998). Votazione mediante la posta non fu autorizzata (sebbene per l’elezione del Consiglio comunale stesso, il 15% dei voti raggiungessero le urne attraverso la posta). Al posto del cento di uffici elettorali messi a disposizione per l’elezione del Consiglio comunale, solo il 30% vennero aperti per il referendum. Risultato: solo il 18,5% dell’elettorato prese parte alla votazione. Tra quello, è vero che il 80% era contro il piano d’albergo del Consiglio comunale, ma per la soglia non raggiunta, l’iniziativa cittadina non riuscì. Sebbene venisse abbassato il quorum ulteriormente (ed invece, la soglia del numero delle sottoscrizioni elevata); dopo queste esperienze dubbiose ed altre, ci sono state assai poche alternative da quel periodo. L’Italia ha appena fornito gli esempi perversi più recenti. Il 18 aprile del 1999, vi si tenne un referendum nazionale per riformare il sistema elettorale. La riforma era sostenuta dalla maggior parte dei partiti politici; il 49,6% dell’elettorato vi partecipò ed il 97% tra loro approvò la riforma. Ma gli elettori si sono dati da fare per niente, poiché il quorum del 50% non fu raggiunto per pochissimo, e la riforma arrestata. Un fatto interessante: nel Sud dell’Italia, la mafia chiamò attivamente al boicottaggio ed il 40% di partecipazione a Napoli era ben inferiore alla media nazionale. La mafia, decise che i suoi candidati venissero più facilmente eletti preservando il sistema elettorale attuale e, dunque essa manipolò il quorum partecipativo di modo che vincesse contro la maggioranza pubblica del 90%. In Belgio, il 10 aprile del 1995, una legge fu applicata che provvedeva a referendum non obbligatori e non-imposti a livello comunale. Un quorum partecipativo venne fissato al 40% dell’elettorato; qualora meno del 40% degli elettori avessero partecipato al referendum, i voti dovevano essere distrutti senza spoglio. Nonostante che i referendum non fossero né imposti né obbligatori e che in oltre, un’alta soglia di sottoscrizioni venisse imposta al 10%, questo condusse ad iniziative in numerose città. Nel 1996, nei municipi di Gand ed As, nel Limburgo, i cittadini esigerono un referendum sulla costruzione di un complesso commerciale sul sito di una mina in disuso. Nel municipio di As, il Consiglio comunale decise di rifiutare il referendum ma una votazione ebbe luogo in Gand il 13 ottobre del 1996. Solo il 37,47% degli elettori partecipò alla votazione e, in nome della democrazia belga, i voti non furono contati ma distrutti. Le organizzazioni delle classi medie ed un partito della sinistra estrema avevano in effeti chiamato la gente a non votare. Il primo referendum che si teneva sot- Purtroppo, tali campagne di boicottaggio succedono regolarmente in Italia. L’ultimo esempio è il referendum del 12 e 13 giugno del 2005, nel quale quattro proposte per una liberalizzazione della legge altamente restrittiva sulla procreazione assistita, vennero sottomesse al voto referendario. Con l’appoggio del Papa Benedetto XVI°, il Presidente della Conferenza episcopale, il Cardinale Ruini – felicemente chiamato in questo caso – 22 chiamò attivamente al boicottaggio. « Il Cardinale Ruini pensò che non votare fosse il migliore mezzo per ricusare le proposte. Dopo tutto, un referendum è solo valido se almeno la metà degli elettori votano. Dato il fatto che era già provato che se quelli che avrebbero votato « Sì » sarebbero stati chiaramente nella maggioranza, votando « No », i Cattolici non avrebbero altro che contribuire a raggiungere il quorum e quindi avrebbero rafforzato involontariamente il campo del « Sì »; tale fu il suo ragionamento », come lo riferisce il nuovo sito Internet: : KatholiekNederland.nl (http:// www.katholieknederland.nl/actualiteit/2005/5/nieuws_568842.html). E la strategia di Ruini fu pienamente ricompensata: la partecipazione venne meno del quorum richiesto e dunque il referendum fallì. per il cui Van den Enden usò il termine di « libertà equa ». Egli formulò il principio di sovranità popolare nel senso più forte della parola. Mise in guardia – a giusto titolo come possiamo vederlo oggi – contro il creare di una classe politica che avrebbe servito interessi propri. Van den Enden argomentò sul fatto che il popolo fosse il meglio per prendere esso stesso decisioni politiche e pensava che assemblee pubbliche fossero state i migliori sistemi per raggiungerlo. Van den Enden notò che tale risultato della deliberazione e presa decisionale comune, in seno a queste assemblee, avesse aumentato considerevolmente la conoscenza e le abilità politiche del popolo. Aveva veramente un concetto ristretto del « popolo » in questo contesto : soli uomini che si assicuravano il proprio sostentamento erano abilitati a votare. Gli uomini che non vi riuscivano e le donne, non andavano autorizzati a partecipare all’assemblea pubblica (in questa misura, la sua teoria d’uguaglianza diventava inconsistente). Egli proponeva che nella prima assemblea pubblica i cittadini dovessero fare una dimostrazione bruciando tutti i regolamenti e leggi esistenti che garantivano poteri speciali o privilegi alla nobiltà ed al clero. Egli credeva che tali comunità di democrazia diretta autentica (ed anche città) potessero stabilire legami federativi reciproci. Tutto quanto fece di lui il primissimo teorico della democrazia diretta. Van den Enden argomentò anche in favore del libero porto d’armi dai cittadini, sicché altri sovrani non fossero stati più in condizione di spogliarli dei diritti democratici loro. Questi generi d’esempi portano ad una conclusione semplice: i quorum partecipativi sono intrinsecamente cattivi. Conferiscono un peso ineguale tra la votazione dei sostenitori e quella degli opponenti ad un’iniziativa, essi cagionano quindi l’appello al boicottaggio e negano il ruolo del mandato nella presa decisionale diretta. 2-3: Frans van den Helden Per lungo tempo, il filosofo olandese Spinoza venne considerato quale il primo ad avere dato le basi filosofiche della democrazia – sovranità popolare e libertà di parola relativa. Ciò fece di lui il rappresentante tipico di ciò che lo storico Jonathan Israel (2002) chiamò « le Lumi radicali ». Alcune persone famose, considerate quali rappresentanti dell’Epoca della Ragione – Newton, Locke e Montesquieu, ad esempio – sono infatti rappresentative dell’epoca moderata della Ragione. Credenze di Locke sono rappresentative di tal epoca. Egli argomentò a favore della tolleranza e della libertà nella credenza religiosa per ogni sorta di convinzione cristiana, però non per gli atei – in quanto questo implicava il rigetto del fondamento morale – neanche per i cattolici, in quanto essi riconoscevano un’autorità estrinseca, il Papa. I propugnatori dell’epoca moderata della Ragione lottarono contro quelli dei « Lumi radicali » e questi ultimi ebbero sovente da operare in segreto. Van den Enden considereva che la democrazia fosse inestricabilmente legata ad una libera vita culturale. « La cosa più pietosa nello Stato è che nessuna libertà venga lasciata al popolo per consentirgli di proclamare ogni cosa che consideri al meglio dell’interesse pubblico…» Nessun ostacolo va posto sul cammino di chiunque, nemmeno degli stranieri, là dove si trattano opinioni personali e religiose. Van den Enden sostenne il principio di solidarietà mutua in rapporto con i bisogni fisici del popolo. Centrale, era nelle sue idee il diritto di lavorare. Lo Stato impone de facto l’appartenere allo Stato a tutti quelli che sono nati all’interno dei suoi confini : viene giustificato questo solo se lo Stato fornisce simili livelli uguali di beneficio tra tutti i suoi membri. Egli sviluppò anche argomenti in favore dell’introdurre impianti medici e sociali e rigettò categoricamente il dare umiliante dell’elemosina da parte dei ricchi e della Chiesa. Nel 1990, però Wim Klever, uno specialista di Spinoza, scoperse che questi avesse preso le sue idee dal suo precettore, Franco van den Enden (1902-1974). Van den Enden nacque da Anversa, ma si rifugiò ad Amsterdam, dove fondò una scuola privata in cui Spinoza venne istruito. Klever scorse che van den Enden era l’autore di due opere rivoluzionarie pubblicate di modo anonimo: « Kort Verhael Van Nieuw Nederlants » (Breve conto della Nuova Olanda) nel 1662 e « Vrije Politijke stellingen » (Libere proposte politiche), nel 1665 ; ambedue ripubblicate dal Klever nel 1992. Pressappoco 125 anni prima della Rivoluzione francese, Franco Van den Enden aveva già sposato il triplice ideal suo: libertà, uguaglianza e fratellanza. Mentre rivoluzionari francesi lanciavano questa parola d’ordine in una forma totalmente indifferenziata, Van den Enden vi portava molto più discernimento: metteva in effetti in relazione la libertà colla vita culturale (libertà di parola e religiosa), l’uguaglianza con i sistemi politico e giuridico e la solidarietà colle necessità materiali del popolo (si vede anche il capitolo 3°). Van den Enden fu il primo ad argomentare in favore dell’uguaglianza politica (tra gente più o meno intelligente, più o meno agiata, il genere femminile e maschile, sovrani e soggetti, ecc.) ; Van den Enden dichiarò esplicitamente che l’uguaglianza politica non volesse dire « tener conto di ». Fece valere che ogni esser umano fosse un individuo unico con talenti e caratteristiche specifici e che l’uguaglianza politica non dovesse per niente alterarli. L’uguaglianza nutre la pace. Leggi devono provvedere a ciascuno uno spazio di sviluppo, d’espressione e di pensiero, di un modo equo – Van den Enden si trasferì in seguito a Parigi dove venne arrestato per aver partecipato a un complotto contro Ludovico quindicesimo. Il 27 novembre 1674, venne condannato all’impiccagione sulla piazza della Bastiglia. Se vengono paragonati i contenuti delle sue « Libere proposte politiche » colla situazione odierna, è chiarissimo che i più degli obiettivi formulati da lui, ecco pressappoco trecentocinquanta anni fa, rimangono ancora in attesa d’attuazione. 23 3. Federalismo, sussidiarità e capitale sociale Chiesa e democrazia – il principio di sussidiarità incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle necessità. Si persuadano dunque fermamente gli uomini di governo, che quanto più perfettamente sarà mantenuto l’ordine gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio della funzione suppletiva dell’attività sociale, tanto più forte riuscirà l’autorità e la potenza sociale, e perciò anche più felice e più prospera la condizione dello Stato stesso. » La Chiesa cattolica non provó affetto per la democrazia. Fino a una gran parte del Novecento, il Capo della Chiesa cattolica difese la concezione che la Chiesa, in virtù dello statuto divino suo, dovesse codeterminare l’azione politica. Ci si aspettava prima di tutto dagli uomini politici cristiano-democratici che seguissero le direttive di Roma. Cosí papa Pio X scrisse (nella sua Fin dalla prima nostra enciclica) : « [XIV]. In compiere le sue parti, la Democrazia Cristiana ha obbligo strettissimo di dipendere dall’Autorità Ecclesiastica, prestando ai Vescovi ed a chi li rappresenta piena soggezione e obbedienza. Non è zelo meritorio, né pietà sincera intraprendere anche cose belle e buone in sé, quando non siano approvate dal proprio Pastore (Encycl. Graves de communi). » (Per l’intera enciclica si vede : http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/pioxi1.htm) La « sussidiarità », nell’ideologia democratico-cristiana, è un concetto chiave. L’idea fondamentale consiste in ciò che i livelli superiori deleghino il più dei compiti possibili ai livelli inferiori, in modo che vengano sollevati da lavori meno importanti, i quali, per soprammercato, possono venir sbrigati di un modo più efficace propriamente da questi livelli inferiori. Si prendano in oltre le mosse dal principio che nei livelli inferiori ci sia – fino al livello della persona individuale stessa – una rinuncia incontro all’ingiustizia della delega. Per dire il vero l’iniziativa del delegare i compiti succede dall’alto verso il basso. Il vertice determina quanto spazio di libertà conservino i livelli inferiori e se bisogni, e quando bisogni, annullare od abrogare tale spazio di libertà. Ciò si esprime anche dallo stesso concetto « subsidiarus », ossia quello che caratterizza ogni persona appartenente alla « truppa di riserva » – i livelli inferiori sono così veramente le truppe di riserva dei livelli superiori. Ma la Chiesa esigeva anche l’obbedienza della società in complesso. Nell’enciclica « Immortale Dei » (1855), il Papa Leone XIII poneva l’accento sul fatto che non era permesso di collocare giuridicamente allo stesso livello diversi servizi divini. La Chiesa si è sempre attenuta a tale posizione in seguito. Quale custode auto-illuminata della verità assoluta, niente altro era possibile a fin dei conti per essa. Le esperienze in Polonia, Irlanda ed Italia, dimostrano che la Chiesa tentò parimenti di trascrivere le sue posizioni sulla potenza sovrana alla totalità della società, quando si vide in situazione di farlo. Solo a partire dall’enciclica « Già per la sesta volta » del Papa Pio XII, nel 1944, la Chiesa adotta in principio una posizione a favore della democrazia (Woldring, 1966). La ripugnanza della Chiesa nei confronti degli ideali democratici rende comprensibile la ragione per la quale gli uomini politici cattolici sono rimasti così fermi contro l’introduzione del suffragio universale (in occasione del quale, d’altronde, avanzarono argomenti che vengono oggi riutilizzati contro la democrazia diretta). Sussidiarità e federalismo Il « federalismo » è l’opposto dalla « sussidiarità ». Nella società federalistica, il delegare deriva dall’individuo singolare. Il federalista afferma anche che c’è un’ingiustizia quando compiti non vengono delegati. Perché l’uomo è davvero un esser sociale che può esistere solo nella comunità. Pero la sussidiarità si distingue fondamentalmente dal federalismo. Il federalismo prende le mosse dall’individuo, poiché tanto la coscienza quanto la forza del giudizio morale, nonché le esperienze d’amor e di dolore, s’incontrano nell’individuo. Invece, gruppi non provano nessuna sofferenza e non hanno tanto meno coscienza morale. Al contrario di questo, la sussidiarità prende le mosse da una potenza che sta al di sopra degli uomini individuali e dal proprio volere il bene, crea uno spazio di moto per le azioni dei livelli inferiori, nonché per gli individui. Dovremmo tuttavia rimanere prudenti quando udiamo dire che la Chiesa cattolica abbia concepito una scienza politica, nella quale il concetto di sussidiarità assuma un ruolo centrale. Nell’enciclica « Quadragesimo anno » (1931) questo viene formulato di modo seguente : “[80] È vero certamente e ben dimostrato dalla storia, che, per la mutazione delle circostanze, molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche dalle piccole. Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofa sociale [che verrà chiamato poi principio di sussidiarità]: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle. [81]. Perciò è necessario che l’autorità suprema dello stato, rimetta ad associazioni minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento, dalle quali essa del resto sarebbe più che mai distratta ; e allora essa potrà eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei solo spettano, perché essa sola può compierle; di direzione cioè, di vigilanza, di Lo slancio federalistico si lascia senz’altro unire all’ideale democratico. Più ancora : democrazia diretta e federalismo sono i due rovesci inseparabili della stessa medaglia democratica che li ingloba. Il concetto di sussidiarità, invece, non si lascia unire alla democrazia globale, dato che prende le mosse da una potenza esistente di primo acchito. Con la teoria della sussidiarità, il modello gerarchicamente edificato della Chiesa venne trasposto nello Stato laico. Col concetto federalistico, l’esser umano forma il livello superiore, poiché sono finalmente gli individui a determinare quello che va delegato e a quale livello. Per i sostenitori del principio di sussidiarità, il diritto decisionale sta nello Stato (il quale viene subordinato, per dire il vero, in una prospettiva ecclesiastica, alla potenza « divina »), mentre gli individui singolari stanno al livello più basso. 24 La Chiesa non ha forse scoperto il concetto di « sussidiarità » – ma facendosene carico, l’ha diffuso con molto successo ; Negli ambienti dell’UE, ad esempio, si è fortemente radicata l’ideologia della sussidiarità. In quegli ambienti si suole parlare nel doppio senso degli indirizzi determinati (dal singolare verso la comunità e dalla comunità verso il singolare) nei quali si attuano le deleghe dei compiti, sicché ne è risultata una compenetrazione gravida di conseguenze per ambedue i concetti di « federalismo » e « sussidiarità ». Il termine « sussidiarità » viene adoperato attualmente da molta gente che sogna dell’ideale federalistico. Ma anche per i federalisti illuminati, la confusione dei concetti genera spesso conseguenze importanti. Sovente, essi dimenticano che una struttura federalistica inizi di un modo logico nell’individuo. Per loro, l’argomentazione a favore del principio federalistico comincia a livelli sensibilmente più elevati, come quei delle comunità o della società nell’insieme suo. Per quanto concerne livelli che stanno al di sotto, o per quello singolare, riprendono senza nemmeno pensarci il vecchio concetto di sussidiarità del Papa e della Chiesa. In questo modo, l’argomentazione a favore del federalismo perde molto l’attrattiva e la consistenza interna propria, anzi il collegamento logico del federalismo colla democrazia diretta viene smarrito. la decisione di un trasferimento verso il livello più globale ; tale delegare potendo essere ritrattato in principio ad ogni momento???. In quanto il livello più piccolo è il sommo livello. In questo modo l’individuo è al tempo stesso il piccolissimo ed il più elevato. In ciò non dovrebbero esser intesi riferimenti a « alto » ed a « basso » nel senso di un gerarchia amministrativa. Quando le comunità trasferiscono una competenza al livello della provincia, questa si trova « al di sopra » delle comunità viste dalle loro competenze nel senso tecnico amministrativo. Nondimeno, rimangono eventualmente ancora le comunità al livello sommo dei cittadini che hanno trasferito la loro competenza alla provincia, i quali, in linea di massima, possono riprendere tale competenza ad ogni momento. Federalismo e democrazia diretta Se si pensa a fondo al concetto federalistico con tutte le conseguenze proprie, si viene all’individuo autonomo in quanto comunità al tempo stesso più ristretta e fondamentale. L’uomo individuale è dunque in fin dei conti l’istanza delegante. Questo è concepibile nella misura in cui una decisione positiva si distingue sempre da un’altra negativa con l’unione dinamica di dolore ed antipatia – come l’abbiamo visto – così come queste decisioni potendo venir vissute puramente e semplicemente a livello individuale dell’uomo esse non lo possono mai come comunità intere. Il fatto che l’individuo è l’istanza superiore, deve riflettersi logicamente ad ogni livello della presa decisionale in democrazia diretta. Per il federalista coerente, l’individuo sta al livello sommo. Abbiamo menzionato due ragioni per tal interpretazione. Federalismo decentrato Democrazia significa che gli esseri umani possono organizzare se stessi nella loro comunità per mezzo di un accordo mutuo. Gli uomini devono mantenere la possibilità di trovare in modo autonomo le forme ottimali del lavoro insieme. Solo un federalismo conseguente può fornirgli tale spazio. Ragione per cui democrazia e federalismo s’appartengono inseparabilmente. Sono i due aspetti dello stesso ideale : quello della democrazia forte o approfondita (Barber, 1984). Da un lato, lo scopo della politica consiste nel cancellare in un grado massimo il dolore e l’antipatia che vanno attribuiti alle circostanze sociali. Dato che la sofferenza quale esperienza concerne solo gli individui singolari, e non gruppi o popoli interi, ne risulta logicamente che l’individuo si presenti quale somma autorità politica. Dall’altro, le decisioni politiche, nell’intimo loro, sono sempre decisioni morali o se è caso, giudizi morali. Gli individui soli provano coscienza morale e hanno facoltà morali di giudizio. Gruppi e la totalità del popolo, invece, non conoscono nessuna coscienza morale. Anche in questo punto di vista, è logico il rivendicare che l’individuo deva essere la somma autorità nell’esprimersi. Quanto importa la formazione libera di comunità è ciò che stiamo per vedere con l’esempio della Svizzera. Questa non è solamente un paese dotato dal sistema democratico più approfondito nel mondo. La Svizzera è anche un paese equipaggiato di una struttura federale veramente e fortemente sviluppata. Nei livelli amministrativi, quali cantoni e comunità (Gemeinde), ci sono spesso poteri consistenti in Svizzera (ad esempio a livello fiscale, si vede il capitolo 4°-3° e il capitolo 5°). Nondimeno, il federalista non è un egocentrico. É conscio che l’individuo può esistere solamente in seno ai reti sociali, realmente umano, e perciò essere un individuo vero. L’esser umano si collega a gli altri esseri umani proprio perché è un essere sociale. Nel 1847, ebbe luogo in Svizzera una sorta di « guerra di secessione » che viene chiamata « guerra separatista », nel corso di cui l’alleanza dei cantoni cattolici separatisti, che volevano staccarsi dallo Stato federale, venne vinta. [Nel 1847 i cantoni conservatori-cattolici costituiscono una propria lega (Sonderbund). La Guerra del Sonderbund venne rapidamente vinta dai cantoni liberali. Nel 1848 entrò in vigore una nuova costituzione. La Svizzera, da confederazione di stati, diventò così uno stato federale sul modello degli Stati Uniti. ndt]. Nei giorni nostri, tali conflitti si lasciano sistemare pacificamente dall’unione tra democrazia diretta e strutture federalistiche. Così nel 1978, la zona del Giura (svizzero) decise la formazione del proprio cantone. Questo si attuò facendo ricorso al referendum a livello nazionale, mediante cui venne decisa la nuova struttura federale (dunque includente un cantone di più). Nel 1993, certe comunità del Laufental decisero di passare dal cantone di Berna a quello di Basilea. Tale correzione di confine venne parimenti tranquillamente condotta – mediante un referendum. Uomini singolari non formano nessuna comunità di diritto in seno alle quali diversi affari possono venire regolati democraticamente. Questioni determinate non si lasciano chiarire, è vero, al livello del paese, della città, della valle o della zona. Piccole comunità possono allora unirsi per formarne un nuova più grande che si trovi quindi competente e qualificata per approdare a chiarire queste questioni. Questo processo d’associazione (del federarsi) può eventualmente ripetersi finché gli affari completi vengano infine regolati al livello appropriato. Si definisce quale federalismo la struttura che ne risulta, quando comunità più piccole s’associano mutuamente per certi affari precisi in modo da formare una comunità più grande, alla quale venga delegata la competenza determinata. Siccome il trasferimento dei compiti si attua dal livello più piccolo al livello più ampio, il primo rimane sempre libero nel prender 25 Frey e Eichenberger (1996 e 1999) parlano a favore di un federalismo radicale, attraverso cui unità politiche inferiori possono federarsi a loro piacimento. I cittadini devono aver il diritto di decidere, a sostegno del referendum, quali alleanze federali essi vogliono attuare. Una comunità dovrebbe, ad esempio, potere decidere di passare da una determinata provincia ad un’altra, nella quale ci sia, a seconda del parere degli abitanti, una amministrazione migliore. senso proprio del termine) fa leggi valenti per tutti e conformemente a questo, tutti dovrebbero collaborare alla legislazione. Nella sfera economica lo stesso non si può dire. I bisogni si differenziano e non c’è nessuna ragione di preoccuparsi dei processi particolari di produzione e consumazione, coi quali non si ha direttamente niente a che fare. I regolamenti economici risultano dunque in base a concertazioni tra partecipanti – consumatori e produttori (ci sono anche i distributori da considerare, ndt). Leggi vanno richieste, è vero, ad esempio per segnare i diritti degli impiegati (si vede il capitolo 7°) o garantire la protezione dell’ambiente. Quanto a sapere quali processi economici giochino però un ruolo dentro quest’ambito giuridico, non bisogna regolarli per via democratica. Al contrario, in una sfera come quella dell’insegnamento, diventa particolarmente importante che gli uomini si conoscano bene tra loro. Tizio comincia la scuola elementare. I suoi genitori sono divisi e lui presenta difficoltà nella lettura. Tizio s’intende bene con Caio, ma viene incessantemente stuzzicato dagli altri alunni. Fondandosi sui regolamenti centrali, non sarebbe principalmente possibile di prendere misure appropriate per Tizio ed eventualmente per la classe intera. La legislazione, per quanto concerne le sfere economica ed educativa, può solo giocare un ruolo esterno – per l’attività économica, un ruolo fissato dentro limiti ecologici e per Tizio, un ruolo che gli garantisca un’aula scolastica in ordine ed una rivendicazione minima di contenuti pedagogici determinati. In queste sfere lo Stato di diritto non deve intervenire sul piano della gestione. Un giudizio su ciò che deve accadere in queste sfere non dipende dai politici ne dall’opinione pubblica, ma esclusivamente dalle persone che hanno a che fare con queste sfere. Perciò è meglio decentrare lo stato di diritto propriamente detto da sfere come quelle dell’economia e dell’educazione-formazione – di un modo proprio e rispettivo – se non addirittura staccarlo parzialmente da esse. Le alleanze federali non sono strette per sempre. Un quadro fissato per sempre o, a seconda del caso, alleanze che possono solamente terminare con l’accordo di ogni partner, e sono tutte da valutare come negative. L’alleanza federale si lascia paragonare ad un matrimonio e può solo venir stretta e mantenuta alla condizione che ambedue i partners siano d’accordo. Se uno tra loro vorrà separarsi, anche se l’altro rimarrà interessato nel mantenere la relazione, il matrimonio dovrà venir sciolto. Se l’accordo di ambedue i partners venisse richiesto per terminare un’alleanza, uno potrebbe costringere l’altro contro la sua volontà. In questo contesto, ogni generazione deve in oltre aver l’opportunità di mettere alla prova queste piccole e grandi alleanze nonché interdipendenze decisive per la vita. Abbiamo imparato ad accettare nei decenni passati, che gli uomini che vivono oggi hanno obbligazioni ecologiche nei confronti delle generazioni future. Nello stesso modo, s’impone sempre di più il fatto che una generazione non deva lasciare ai successori propri una montagna di debiti pubblici. Quello che impone condizioni che imbavaglieranno o soffocheranno le generazioni a venire, si abbandona allo sfruttamento sforzato del futuro. Risolve così problemi attuali a prezzo della libertà delle generazioni ulteriori. Le alleanze federali si lasciano descrivere al massimo come trattati rinnovabili a scadenza determinata. In questa sua attitudine nel decentralizzare, il federalismo si distingue basicamente dalla sussidiarità. Questa parte da un alta autorità, data di primo acchito, delegante i suoi compiti verso il basso. Ne risulta inevitabilmente lo Stato unitario monolitico. Se adesso cittadini possono radunarsi a piacimento loro in modo federalistico, possibilità ne risultano nei diversi campi di vita di formare, volendo, più associazioni o gruppi differenziati allo stesso tempo. Le sfere di vita particolari verranno così « decentrate ». Tal decentramento può risultare da motivi diversi : Una decentralizzazione mediante strutture federali non può riuscire sicuramente partendo dall’alto, già per la ragione stessa del principio federale basico. Questo compito, gli uomini devono compierlo personalmente e la democrazia diretta è un mezzo indispensabile per questo. Da un altro canto, tale democrazia funzionerà tanto meglio quando i campi di vita, nei quali la democrazia « sta in casa », verranno divisi chiaramente da quelli in cui una presa decisionale non è né richiesta né auspicabile. Il federalismo decentrato e la democrazia diretta possono così rafforzarsi vicendevolmente. Una democrazia che funziona efficacemente è una sociétà in cui questo processo di rivalutazione reciproca della democrazia e delle associazioni federali vi si è stabilito con successo. La collaborazione territoriale può differenziarsi in molti campi. L’organizzazione giuridica, ad esempio, ha sempre a che fare con l’aspetto del linguaggio, poiché in seno ad una comunità giuridica le leggi vigenti vengono formulate in una lingua determinata presunta conosciuta, intesa e usata da tutti. Associazioni federali nella sfera esclusivamente giuridica si ritrovano dunque più o meno collegate alla medesima regione linguistica. Al contrario, le diverse associazioni economiche possono presentare un altro modello. La città olandese di Maastricht e la città tedesca di Aquisgrana, che stanno vicine, da un lato e dell’altro del confine, possono senz’altro appartenere alla stessa regione economica e contemporaneamente a due regioni giuridiche diverse. Una comunità nel campo della sicurezza civile e della lotta contro l’incendio, collocata in Alsazia, può associarsi a comunità tedesche della riva destra del Reno e sul tema dell’insegnamento, cooperare anche con altre amministrazioni francesi (Frey e Bohnet, 1995). Capitale sociale, democrazia e federalismo Nella prima metà dell’Ottocento, lo storico ed uomo politico francese Alexis de Tocqueville intraprese un viaggio negli Stati Uniti. Il suo racconto di viaggio uscì in due parti negli anni 1835 e 1840. Tocqueville viene sempre menzionato dagli uomini politici americani prominenti quando essi vogliono esprimere la natura del « sogno americano ». Tocqueville formulò nei suoi libri due aspetti della società americana, che sembrano contraddittori a prima vista. In primo luogo, è l’autonomia evidente dei cittadini americani che lo colpì : « Questi non sono debitori di nessuno, non aspettano niente da nessuno per dirla così ; s’abituano a rimanere sempre distinti dagli altri, si formano volentieri da soli, tutto il destino loro riposa nelle loro mani. » (p.114 e seg.). Diverse sfere di vita esigono altre forme del gestire a seconda delle circostanze. Il campo giuridico (lo Stato giuridico nel 26 Al tempo stesso, però, viene colpito dalla vita associativa, in questi giovani Stati Uniti, che sta organizzandosi di modo intenso : « Nelle città non si può affatto impedire agli uomini di riunirsi e di addentrarsi in discussioni focose. Queste città somigliano a grandi raduni popolari, i cui membri sono gli abitanti stessi. La popolazione esercita attraverso quegli assembramenti un’influenza decisiva sulle amministrazioni civili e queste traducono direttamente le volontà della popolazione. (…) Americani di ogni età, di ogni inclinazione, e di ogni dono, non smettono di creare nuove associazioni. (…) Palesemente l’arte di riunirsi è qui il padre di tutte le arti altre – ogni progresso ulteriore ne dipende. » •Partecipazione alle elezioni mediante suffragi che non vanno al candidato numero uno del voto contemplato; in una società in cui domina il centralismo amorale, c’è una gran partecipazione di tali voti (voti del clientelare). •Partecipazione ai referendum; dato che un referendum non permette nessuna struttura del tipo del clientelare diretto, pertanto la partecipazione alla presa decisionale in democrazia diretta si verifica un buon indicatore del senso civico. •Partecipazione alla lettura dei giornali; la lettura della stampa addita in effetti l’interesse portato alla società nell’insieme. •Partecipazione alla vita associativa; il prender parte alla vita associativa amplia l’orizzonte al di là della stretta cerchia della famigliare. Putnam caratterizzò il contrasto, distinto da lui in Italia, tra le due società del Nord e del Sud, nella maniera seguente: « In una regione impregnatasi col senso civico dei suoi abitanti, quando s’incontrano due cittadini per la strada, ambedue hanno verosimilmente letto il giornale, mentre in una regione i cui abitanti hanno un minore senso civico, nessuno tra loro ha sfogliato un giornale. Più della metà dei cittadini di una regione permeata dal senso civico hanno sempre votato per i candidati capolista – e dunque per i partiti – e per nessuno altro candidato della lista. Soci di associazione sportive, politiche o di ricreazione, a seconda del caso, in seno ad organizzazioni a scopi sociali, sono due volte più numerosi nelle regioni imbevute dal senso civico approfondito degli abitanti loro. Alexis de Tocqueville descrive così niente altro che la democrazia diretta viva, facendo causa comune col federalismo spontaneo. Questa situazione, nella quale s’associano liberamente esseri umani autonomi per prendere risoluzioni comuni, produce un’eccedenza sociale, per la quale si viene poi a coniare la parola « capitale sociale ». La creazione del « capitale sociale » – il « padre di tutte le altre arte » – é stato oggetto di molta attenzione quegli ultimi anni. In questo senso il libro di Putnam « Making Democracy » (1993) rappresenta una pietra miliare. In quest’opera si riassumono vent’anni di lavoro sociologico in Italia. Lo scopo originario del gruppo attorno a Putnam consisteva nello studiare delle conseguenze del regionalismo italiano. Perché, all’inizio degli anni settanta, si iniziò un processo di decentramento, da cui vennero trasferite alle regioni competenze importanti. Col susseguirsi degli anni, gli scienziati ammucchiarono un’impressionante quantità di dati. Studiarono a fondo situazioni descrivendole di modo approfondito, condussero centinaia d’interviste ed analizzarono una massa enorme di dati statistici. Esiste palesemente una relazione diretta tra il senso civico, la produttività economica e la gestione amministrativa efficace. Nelle regioni dove regna un senso civico maggiore, l’economia prospera e le amministrazioni lavorano più efficacemente. Putman ha cercato quindi alternative diverse per spiegare questo, ma finì con l’eliminarle sistematicamente tutte ed è così giunto alla conclusione che il senso civico (Civicness) gioca il ruolo primordiale. Putnam vi scoperse un contrasto manifesto e consistente tra le regioni del Nord e quelle del Sud dell’Italia. Nella prospettiva economica, regioni del Nord sono essenzialmente più agiate e dispongono di un’amministrazione molto più efficace. Il gruppo di Putnam provó anche un esperimento. Vennero interrogate le amministrazioni superiori di regioni diverse facendogli domande per ottenere risposte con spiegazioni dettagliate. Le più veloci a reagire furono le amministrazioni dell’Emilia Romana e del Valle d’Aosta, che fornirono ai ricercatori risposte complete in un termine di due settimane. Amministrazioni di Calabria e Sardegna, invece, non hanno affatto riposto in modo esauriente – malgrado pressioni rinnovate da parte del gruppo di scienziati. Putnam mostrò ugualmente che l’opposizione delle culture cittadine nel Nord e nel Sud dell’Italia sia molto vecchia e si faccia persino risalire fino all’undicesimo secolo. In quest’epoca, una monarchia feudale si era instaurata nel Sud che risaliva ai Normanni. Mentre nel Quattrocento, esistevano già città-stato repubblicane nel Nord dell’Italia, che offrivano spazio ad iniziative personali e di partecipazione politica a relativamente molti cittadini, il feudalismo perdurava invece nel Sud con strutture gerarchiche corrispettive per offrire in seguito un terreno nutritivo accogliente per la criminalità organizzata. Putman verificò l’ipotesi che tale contrasto tra Nord e Sud si fondasse su un « senso civico » diverso. Il senso civico di cui si tratta qui si lascia definire, con Tocqueville, quale « valutazione dell’interresse portato al contesto sociale ». Non viene lasciato da parte o respinto, l’interesse egoistico, ma questo deve convergere a lungo andare con l’interesse generale. Il contrario del senso civico è il « famigliarismo amorale », ovvero il centralismo famigliare amorale. Persone in tale stato d’animo rivolgono l’attenzione esclusivamente sugli interessi a breve scadenza della cerchia famigliare stretta. Una società in cui domina il centralismo famigliare viene atomizzata a breve scadenza. L’interesse sociale viene abbandonato ai potentati e vi si stabiliscano rapporti prima di tutto opportunistici (strutture del clientelare). Certo, non si può affermare che il senso civico rimanga assolutamente costante nel corso della storia. Il senso civico può fortemente venir meno in certe circostanze, ad esempio, sotto l’influenza di fattori economici. L’antropologo Turnbull ne fornì un esempio drastico nell’opera sua a proposito degli Ik (1972, 1994), un piccolo popolo nell’Est dell’Uganda. Nel giro di un trasferimento in una riserva naturale, gli Ik vennero scacciati dal loro paese originario. Le forme tradizionali d’esistenza loro e le strutture organizzative sociali ne furono distrutte. Ad esempio, la caccia collettiva, che essi solevano praticare, non fu più possibile. S’offrì solo per loro una possibilità di girovagare e cacciare di frodo per persone solitarie. Gli Ik costituiscono un esempio estremo della sconfitta e della dispersione del sociale, con diffidenza mutua tra membri dello medesimo popolo, nonché negativissima perdita di ogni forma di capitale sociale. Per misurare il senso civico, Putnam utilizzò un indice appoggiandosi sugli indicatori seguenti: 27 Helliwell e Putnam (1995) hanno analizzato in uno studio ulteriore il modo in cui funziona tale concatenazione causale: senso civico (capitale sociale) > amministrazione efficace > soddisfazione sociale. Nell’Italia degli anni ottanta, le regioni ottennero attribuzioni importanti nel campo économico. Misure economiche furono prese, non più dall’amministrazione centrale governativa, ma da quelle regionali. Negli anni sessanta e settanta, lo scemare del benessere tra Nord e Sud si era ridotto, poiché, da una parte, lo Stato centrale impegnava trasferimenti di pagamento importanti dal Nord verso il Sud e, dall’altra, regioni del Nord non erano in condizioni di avere un’economia ed un’amministrazione efficaci (dato che la politica economica procedeva ancora dal governo centrale). Dal momento in cui le regioni potettero operare di modo autonomo, il soprappiù di capitale sociale si lascia convertire in benessere crescente. Nelle regioni del Nord, i mezzi vengono utilizzati più efficacemente, sicché lo scemarsi del benessere tra Nord e Sud è tornato a crescere dal 1983, malgrado i trasferimenti di produttività continui verso il Sud. posto malevole che gli esseri umani seguano attivamente e recisamente gli interessi propri. (...) Ma dati empirici rivelano sempre di più un’altra realtà. Sappiamo, per esempio, che gli uomini stimino la conformità delle loro pratiche, che valgono per loro in situazioni determinate, più importante dei risultati ottenuti mediante queste. Si preoccupano piuttosto frequentemente degli interessi collettivi del gruppo che degli interessi personali – e i loro punti di vista sono più saldamente impregnati dai loro giudizi di valore o convinzioni che dalle conseguenze immediate, in una prospettiva determinata, per la loro vita personale. Gli uomini sono dunque assai meno preoccupati degli interessi propri di quanto affermino le teorie. Ma contemporaneamente, queste teorie, dal canto loro, sono divenute forza sociale. Pertanto la maggiore parte della gente giudica se stessa più altruista dei suoi simili. Nell’esperimento di Miller e Ratner, si trattava della disponibilità alla donazione del sangue, ed in più con o senza indennizzo finanziario (si vede 3-2). Il 63% delle persone analizzate era pronto a donare il sangue, senza ottenere per questo un indennizzo. Se veniva proposta un compenso di 15 dollari, ad esempio, la percentuale si elevava al 73%. Gli effetti degli incitamenti pecuniari non sono evidentemente significativi, ma piuttosto tenui. Vennero anche interrogate le persone sottomesse all’analisi per sapere quale fosse la misura della volontà loro di donatore di sangue con o senza allettamento pecuniario. Le persone interrogate pensavano che con un guadagno, il 62% diventasse donatore di sangue, mentre senza guadagno, solo il 32% lo rimanesse. Gli interrogati sopravvalutano quindi nettamente il ruolo del denaro in quanto motivazione peri loro simili. La connessione causale di Helliwell e Putnam si lascia ancora approfondire. Prendendo le mosse degli studi comparativi in molti paesi, evidenziarono il fatto che non era la cultura cittadina a determinare la sostanza democratica, ma la relazione causale che si esercitava nell’indirizzo opposto: « La fiducia tra gli esseri umani palesemente risulta essere piuttosto la conseguenza della democrazia anziché la causa di questa. » (Muller e Seligson, 1994). La democrazia genera la fiducia tra gli uomini, e per soprammercato, tra cittadini ed istituti pubblici. In un altro studio, Putnam (1996, a, b) investigò il regresso del « capitale sociale » negli Stati Uniti. La pratica religiosa (frequentazione delle chiese), l’impegno a favore di un partito politico, nonché l’adesione alle associazioni e confederazioni più diverse, tutto ciò è venuto drasticamente meno in quegli ultimi decenni. Al tempo stesso, la fiducia nei riguardi dei propri simili e degli stabilimenti ufficiali (« social trust ») calava fortemente. Dopo aver escluso tutta una serie di spiegazioni possibili, Putnam sembra aver scoperto nella televisione l’elemento principalmente responsabile di tale situazione. Nella società americana del Nord, la televisione conobbe negli anni cinquanta una penetrazione schiantante – mentre nel 1950 solo il 50% delle aziende domestiche aveva la televisione, queste formarono già il 90% nel 1960. É precisamente in questa data che iniziò il crollo del capitale sociale negli Stati Uniti. Un cittadino statunitense rimane quattro ore al giorno davanti alla televisione. Investigazioni dimostrano che la gente impegnantasi menomamente nella vita sociale in tutti gli aspetti suoi, sviluppa un’immagine negativa dei suoi prossimi (Consumatori di televisione di lunga durata sopravvalutano potentemente, ad esempio, le conseguenze della criminalità per la società). La televisione in quanto mass-media verifica un eccesso da questo punto di vista; lettori della stampa hanno una propensione al di sopra della media nel prender parte alla vita sociale. Durante un’altra investigazione, si trattava dell’introduzione di misure contro il fumare. Il non-fumatore è incline a un atteggiamento più severo di quello del fumatore. Il 100% dei non-fumatori ed l’85% dei fumatori si esprimono contro il divieto di fumare negli aerei. Al tempo stesso, gli interrogati ammettono che il 93% dei non-fumatori ed il 35% dei fumatori raccomandassero tale misura. Il ruolo dell’interesse egoistico dei fumatori, durante la determinazione del loro punto di vista, viene dunque chiaramente sopravvalutato. A seconda di Miller et Ratner, almeno l’80% dei fumatori assume un atteggiamento positivo nei riguardi della restrizione di fumare nei luoghi rischiosi per i fumatori passivi (ristoranti, luogo di lavoro, autobus, treno ed aereo). Al contrario, l’opinione pubblica era del parere che solo il 25-35% dei fumatori assentisse a questo tipo di misure. Questa mancanza generale di fiducia reciproca della gente, culminante nella diffidenza nei riguardi delle istanze politiche, dipende naturalmente e direttamente del problema dell’atomizzazione di capitale sociale. Fiducia tra gli uomini costituisce capitale sociale. L’atomizzare della società impedisce perciò agli uomini di percepire le loro motivazioni morali mutue. In una misura crescente, gli uomini si avvertono automi ossessionati dall’interesse proprio ed immediato, ciò che non lo sono affatto. Con la diffusione dell’ideologia dell’essere umano quale Homo aeconomicus (l’esser umano qual egoista intrinseco), gli uomini interpretano il proprio comportamento rinforzato dalla loro nozione d’interesse egoistico. Uomini impegnandosi socialmente mediante una partecipazione schietta, la spiegano in effetti preferibilmente in base a interpretazioni egoistiche (« Con questo, ho un’occupazione »; « Ho incontrato dapprima altre persone impegnate prima di me », « Con questo, vivo almeno tra gli altri uomini »). – (Si vede Withnow, 1991). L’affermazione secondo cui la gente fosse « determinata dal borsellino » non si lascia affatto con- La diffidenza reciproca tra la gente si è messa a crescere allo stesso tempo. Nel 1960, il 58% degli Americani pensava ancora che si potesse fare affidamento alla maggior parte della gente. Nel 1993, tale percentuale era calata al 37%. Miller e Ratner (1998) destarono l’attenzione sul fatto che ci fosse una salda base ideologica per questa forma di diffidenza mutua: « la biologia evolutiva, le teorie scientifiche neoclassiche, le teorie del comportamento (behaviorismo) così come le teorie psicanalitiche, prendono tutte assieme le mosse dal presup28 validare dai comportamenti di voto, bensì attraverso un’investigazione della giustificazione della gente per il suo comportamento elettorale. (Feldman, 1984; Stein, 1990). Le scuole formano solamente una delle sfere che deve assumere una forma democratica salda. Dapprima, bisogna stabilire l’ambito di democrazia diretta nel quale sarà possibile la vita sociale del luogo. Una tale cornice democratica non deve, in ogni modo, restringersi al livello locale, ma il suo edificare deve proseguire fino al livello europeo. Poiché decisioni con ampie conseguenze sul piano locale vengono prese sovente a livelli politici superiori. Negli Americani dell’inizio del Ottocento, De Tocqueville incontrò tanto una forte inclinazione all’autonomia quanto una vita associativa intensa. Putnam si vede confrontato colla polarità del senso civico (Civicness) e « centralismo famigliare amorale ». Questo indica che ci sono due tipi diversi « d’individualismo ». Ci occorre incontrare una differenza netta tra l’individualismo solidario del cittadino autonomo, che precisamente tramite l’autonomia sua, può partecipare al creare del capitale sociale – ed egli partecipa volentieri alle consultazioni popolari – e lo pseudoindividualismo degli uomini sottomessi che hanno solo in vista, puramente e semplicemente, gli interessi del proprio nucleo famigliare e conseguentemente abbandonano le parti rimanenti della società alle istanze del potere. Si tratta qui di un differenziare fondamentale, giacché le istanze del potere stanno esaltando oggi le strutture del clientelare in quanto « federazione sociale », mentre presentano se stesse come « centro » rendendosi un mezzo tra clientela impotente e potenza governativa. Tra l’incudine e il martello: la distruzione del capitale sociale Per quale ragione si arriva allo sbriciolare del capitale sociale? Nel suo libro recente, assai discusso, « Jihad versus McWorld », Benjamin Barber descrive la lotta di queste due forze opposte, lo Stato di diritto e la democrazia, le quali si minacciano a vicenda e a modo proprio. Barber caratterizza queste due forze coi concetti di Jihad e di McWorld. Esse formano il martello e l’incudine sotto i quali il capitale sociale viene calpestato. Jihad Questo genere di centro non ha niente a che fare con la vita associativa iniziata dal popolo stesso, che venne descritta da De Tocqueville. Un capitale sociale veridico sorge laddove uomini associati tra loro si capiscono prescindendo da ogni livello, quali artigiani primordiali e co-organizzatori delle loro associazioni – e ciò certamente dal club di miniskat fino allo Stato federale ampio. Ne nasce una struttura decentrata da federazioni d’individui autonomi, in seno alle quali gli uomini danno saggio da impulso ed impegno e possono rafforzarsi reciprocamente. Il contrario di questo sono i pilastri del centro, nel quale s’impigliano a mucchi i campi più diversi della vita, permettendo un accesso al potere solo conforme all’élite, mentre i membri vengono essenzialmente ridotti al ruolo della clientela. Un centro benevolo al potere di questo tipo non possiede nessuna struttura federale, ma si assoggetta piuttosto al principio di sussidiarietà. Per l’una forza, si tratta del particolarismo locale, tanto più che anela alla potenza statale, particolare e monolitica. Gruppi etnici e religiosi, stirpi, a seconda del caso, combattono per la dominazione in seno a uno stato particolare. Barber amplia quindi il senso originario del concetto « Jihad » (la « guerra santa » dei Musulmani) alla caratterizzazione di un fenomeno sorgente in tutte le regioni della Terra. In Occidente, la Jihad può collegarsi alle aspirazioni d’identità regionale (Irlanda, Paese Basco, Corsica). Non si tratta di una lotta culturale o di concezioni del mondo o d’identità religiosa, quest’ultima caratteristica propria della Jihad. Nella misura in cui tale lotta si volgesse contro lo stato unitario, monolitico ed egemonico, essa andrebbe giudicata positiva. Ma la Jihad si presenta precisamente in favore dell’introduzione di uno stato unitario monolitico. Esso anela alla supremazia di una concezione culturale del mondo sullo Stato e combatte quindi gli Stati nazionali cittadini esistenti, nei quali tal augurata supremazia non si esprime. La Jihad anela a fare mandare in frantumi quegli Stati a pro di blocchi culturalmente (e religiosamente, ndt) omogenei, organizzati secondo il principio di sussidiarietà. La Jihad vive anche della lotta contro la Jihad. In una società federale ampiamente democratica, sorge parimenti un « centro ». Ma esso possiede qualità del tutto diverse. Non fa pressione sull’uomo individuale per precipitarlo nella situazione di minoranza politica persistente, la quale viene solo autorizzata, tutt’al più ogni due anni, a dare il suo voto senza significato per un mandato. Il centro federale, che va edificandosi nel ventunesimo secolo, è un’espressione dello sforzo degli uomini per costruire la vita sociale partendo da individui autonomi. Le scuole, in un centro federale di questo tipo, non dipenderanno più da un’istanza dirigente centrata dal potere, che si pone come il ragno al centro della ragnatela, o della « rete educativa ». La scola futura verrà forgiata dalla comunità concreta dei bambini, degli insegnati e dei genitori. Tale scuola verrà finanziata da un buono scolastico, sul quale ogni allievo scolarizzabile avrà un diritto legittimo e che i genitori daranno alla scuola scelta. In una società federale, il diritto scolastico sarà puramente e semplicemente iscritto – non ci sarà nulla di politico del contenuto educativo che verrà oltre questo. Tale scuola non viene cartellizzata da fabbrica, azienda, ente ospedaliero, istituto finanziario o bancario, o federazione agricola, avvinghiandosi su un pilastro centrale. Essa sarà il risultato delle aspirazioni degli insegnanti e dei genitori, che fanno il loro meglio a tempo e luogo per i loro bambini. Essa verrà anche collegata ad altre scuole e non affatto tramite una struttura centralizzata o gerarchica, ma da una rete orizzontale di scambi fortissimi di consigli, interviste e collaborazioni pedagogiche. Il Quebec francofono illustra in modo esemplare l’assenza di limitazione ad una disintegrazione sociale cagionata dalla Jihad: la logica della Jihad non si arresta necessariamente alle prime tappe della frammentazione. Se il Quebec si staccasse dal Canada, cittadini francofoni stanti all’esterno di questa provincia, ad esempio nel New Brunswick, potrebbero perdere la sicurezza del loro diritto. E se il Quebec lasciasse il Canada – perché gli Indiani Cree da parte loro non si separebbero dal Quebec? E perché i villaggi anglofoni del Quebec o della nazione Cree, che se ne sono separati, non si farebbero da parte? E che dovrebbe succedere, allora, per le minoranze francofone in seno ai paesi anglofoni che si trovano al di fuori della regione Cree? » (Originale Barber, 1995, p.179). In Bosnia, Sri Lanka, Ossezia e Ruanda, la Jihad è giunta alla sua logica ultima. Siccome il frammentare può venir proseguito senza fine, si finisce col prender le armi per la « purificazione etnica » od il genocidio. La Jihad non riconosce l’individuo libero nell’uomo, ma quello che appartiene al gruppo religioso od all’etnia. Giacché l’individuo si vede ridotto a quello che appartiene a una stirpe, si tratta quindi di tribalismo. Per la 29 Jihad, il popolo non è affatto una forma viva che si conferisce a una comunità di uomini liberi. Per la Jihad il popolo è una costruzione mitica, alla quale si assoggettano gli individui. Di conseguenza, è logico che la Jihad non s’interessi alla democrazia, dato che pone la stirpe, il popolo, a seconda del caso, e la religione, al di sopra dell’individuo. Non anela dunque a una liberazione, ma invece, alla momificazione del popolo. Per di più, non porta nessun interesse per i Diritti dell’Uomo. Un altro sintomo di questo peso crescente del commercio di prodotti virtuali, caratteristico del McWorld, consiste nel fatto che il nome della marca sta assumendo più importanza del vero e proprio prodotto. Barber ci descrive in modo relativamente dettagliato l’offensiva di Coca-Cola. Ciò che viene comprato non è più una bevanda, nel senso di un prodotto materiale, ma piuttosto un’immagine, un parco virtuale di attrazioni Coca Cola, inglobante il mondo intero, che si estende continuamente mediante nuovi aspetti. Coca Cola fu unito ai giochi olimpici, alla caduta del Muro di Berlino, anche alla fama dell’Università Rutgers (Coca Cola possiede, non solo il monopolio della vendita di bevande sull’insieme dei terreni universitari, di cui il concorrente Pepsi si vede bandito, ma Coca Cola ha anche il diritto di fare pubblicità con Rutgers – Barber sta lavorando nell’Università Rutgers). Coca Cola conduce campagne aggressive sui nuovi mercati per respingervene la cultura locale. Barber menziona il rapporto d’attività annuale dell’impresa nel 1992, in cui fu annunciato che l’Indonesia fosse « culturalmente pronta » [« culturally ripe »] per l’introduzione massiva di Coca Cola. Fa anche parte di questa preparazione culturale, tra altre, la consumazione di tè, che debitamente andava respinta. McWorld Coll’altra forza si tratta del mercato mondiale. Essa si exercita uniformando. Riduce l’individuo al consumatore. Barber la definisce quale McWorld. Il McWorld si oppone al particolarismo della Jihad, ma come questo, insorge anche contro lo Stato nazionale. L’ondata di globalizzazione per cui si sforza il McWorld non è per la Società civile, ma per il guadagno. McWorld è una forza economica. Per dire il vero, non affatto una forza economica tradizionale. Barber abbozzò a larghi tratti la maniera in cui le merci tendono ad assumere un carattere sempre di più internazionale. Che cosa caratterizza una macchina « americana » da una macchina « giapponese », quando si è consci che, ad esempio, una Toyota Camry fu disegnata da un disegnatore americano e montata nella fabbrica Toyota collocata a Gorgetown, nello stato federale americano di Kentucky, da pezzi o componenti provenienti soprattutto dagli USA ? Di fatto, McWorld non si lascia soltanto definire dal capitale, ma solo dalla relazione ottimale tra capitale, lavoro e materie prime. « McWorld è una sorta di realtà virtuale, creata da fascicoli d’informazioni di alta tecnologia, invisibili ma potenti, e mercati economici sovranazionali moventi. Col concetto di « azienda virtuale », si tratta dunque molto più che di una semplice indicazione provocante. » (Originale : Barber, 1995, p.26). McWorld non è dunque solo una potenza puramente economica, sorgente di fianco alla cultura esistente. McWorld s’incarica anche di questa cultura esistente per mutarla di modo che essa corrisponda ai propri interessi economici. « Anche se imprese multinazionali affermano che il loro interesse sia puramente e semplicemente fondato sulle caratteristiche della produzione e della consumazione, esse possono stimolare lo sviluppo di queste solamente immischiandosi attivamente nelle sfere sociali, culturali e politiche, delle quali non si preoccupano affatto. Il loro impegno politico, in ogni caso, non viene motivato politicamente e il loro impegno culturale non nasce da un entusiasmo per la cultura. Questo non fa che rendere il loro impegno in queste sfere tanto irresponsabile quanto culturalmente sovversivo » (Originale, Barber, 1995, p.71). Una dichiarazione fondamentale di Barber asserisce che il punto essenziale dell’impegno McWorld, si transferisca a poco a poco verso rami immateriali – da merci verso servizi, da hardware verso software. Al vertice, vi s’incontra il mondo delle immagini elettroniche. McWorld va diventando sempre di più virtuale, e gli Stati Uniti rimangono gli stessi registi di quest’evoluzione. Nel momento in cui gli USA furono raggiunti dal Giappone e dall’Europa per la produzione di merci tradizionali, essi acquistarono nei nuovi rami una supremazia enorme, per esempio nel fabbricare transistori. Nel momento in cui si arrivò, all’esterno degli Stati Uniti, ad un’evoluzione simile della produzione per l’hardware, iniziò subito la produzione del software. In capo, c’è la pubblicità, la produzione delle immagini, un cosmo perfettamente virtuale che non può venir intrapreso soltanto dagli Stati Uniti soli, perché è già tanto profondamente americano quanto anglofono. Il peso crescente del commercio delle produzioni virtuali si lascia valutare dall’evoluzione delle spese pubblicitarie che, dal 1950 al 1990, si sono elevate tre volte più rapidamente in confronto alla produzione mondiale. La supremazia americana in materia d’infospettacolo si palesa anche nel bilancio commerciale degli Stati Uniti : nel 1992, questo bilancio esibiva un disavanzo di 40 miliardi di dollari, che era composto di un esubero commerciale di 56 miliardi di dollari nel campo dei servizi ma di un deficit in merci di 96 miliardi di dollari. Gli USA controllano l’ 80% del mercato cinematografico europeo – invece, l’Europa controlla solo il 2% del mercato cinematografico americano. I prodotti dell’audiovisivo (3,7 miliardi di dollari esportati verso la sola Europa) stavano al secondo posto sull’elenco dei prodotti esportati dagli USA, subito dietro le esportazioni dell’aeronautica e dell’industria spaziale. Jihad e McWorl contro la democrazia Malgrado la loro natura contraria, ostile, Jihad e McWorld condividono un carattere comune importante. Ambedue mancano di « ogni controllo umano conscio e collettivo esercitandosi dentro il quadro giuridico della democrazia (…) Jihad e McWorld hanno in comune il combattere tutti e due lo Stato nazionale sovrano, e di scalzare così le sue istituzioni democratiche. Essi lo privano quindi della comunità cittadina e disprezzano la Società civile democratica. Non anelano a forme alternative di democrazia. L’indifferenza loro nei riguardi delle libertà cittadine li caratterizza insieme. » (Originale : Barber, 1995, pp.5-6)). E più in là, « Per quanto siano antagonisti dalla loro natura particolare rispettiva, Jihad e McWorld s’uniscono tuttavia per scalzare le nostre libertà cittadine acquisite – sebbene esse non lo siano ancora che parzialmente – ed escludere così ogni possibilità di un futuro democratico mondiale » (Ibid, p.19). Secondo Barber, pretendere che la democrazia e il marcato libero s’appartengano e siano persino inseparabili, è un mito in realtà. Si ode sovente tal affermazione, in particolare dalla caduta del comunismo. Di fatto, il mercato libero rivela una capacità adattativa e fiorisce quale sistema anche in Stati dispotici come il Cile, la Corea del Sud, il Panama o Singapore. La Cina è oggi uno dei paesi meno democratici, e da un altro canto, quello che conosce l’accrescimento economico più rapido. Per dire il vero, McWorld ricerca la stabilità per 30 lo sviluppo proprio e non la democrazia. McWorld non ha nessun interesse per questioni relative, ad esempio, all’occupazione e l’ambiente naturale. Al contrario, esso viene solo spinto dal principio del profitto (« McWorld non è nulla se non un mercato », p.29) e esporta i suoi problemi direttamente sulla comunità. Nel 2005, sotto un uragano di applausi degli analisti, General Motor licenziò 20 000 impiegati. I Guadagni privati rimasero intatti e l’impresa ritrovò – come si addice – una struttura « snella ». I costi dei licenziamenti vennero al contrario trasferiti sulla comunità e le amministrazioni pubbliche del luogo. McWorld vuole consumatori che abbiano accesso al mercato e, per questo, la stabilità economica è indispensabile. Nel mondo di McWorld, la pulsione a consumare, il relativismo e la corruzione, sono alternative al tradizionalismo della Jihad. per la vita democratica, invece, la produzione di idee senza impaccio e il loro confronto è di necessità prima. Ci vorrà dunque un ambito indipendente in cui si potrà arrivare ad un libero confronto politico delle idee. Se si vuole agir contro le tendenze antidemocratiche del McWorld, si deve creare un spazio di libertà in cui il confrontare delle idee ed il formare delle rappresentazioni – distaccate dalle potenze economiche – possano verificarsi con successo. In questo spazio di libertà, un ente audiovisivo di radio o di televisione, veramente aperto, ad esempio, può giocarvi un ruolo importante. La cui esistenza sarebbe sempre di più necessaria per la sopravvivenza, ed in un grado maggiore, d’altronde, per la configurazione ulteriore della democrazia (si vede il capitolo 5°). Secondo Barber, un nuovo tipo di capitalismo è nato con McWorld. Questo nuovo capitalismo richiede gli stessi principi del « lasciare-fare », pur operando contro gli sforzi dello Stato – e certo allo stesso modo dell’antico capitalismo. L’aspetto nuovo suo consiste nel fatto che McWorld agisce al livello globale e non nazionale ; ma non per questo s’oppone quindi a nessuno Stato, che potrebbe preservare il diritto rispetto alle conseguenze ed effetti del mercato, e lo fa in un’ampiezza che non si è mai verificata in un’economia solamente nazionale. Cosicché McWorld mantiene rispetto agli Stati nazionali una supremazia immensa. L’ideologia del mercato libero è precisamente un mezzo con cui McWorld demolisce i bastioni degli Stati di diritti nazionali organizzati. « L’ingiustizia (..) tal è palesemente la caratteristica essenziale del McWorld » (Original, Barber, 1995, p.42). In questo contesto, esemplare è il fatto che il commercio internazionale delle materie prime conduca a sempre più potenti ineguaglianze. Questo fa del mondo, per un gruppo, un parco di divertimenti e per gli altri, un cimitero. Barber contraddice i sostenitori di Milton Friedman, nella loro concezione che il mercato rappresenti una sorta di democrazia, in quanto permetta il « voto » mediante il denaro (consumatori comprano ciò che gli piace) : « Decisioni economiche sono cose private e esprimono bisogni e desideri individuali. Con le decisioni politiche, diventano invece questioni pubbliche. Assumono dunque un carattere pubblico. Posso comprare senz’altro una macchina che corra a 250 chilometri all’ora, quale consumatore, e tuttavia, quale cittadino, prendere posizione a favore del limitare la velocità perché riconosco valore agli aspetti di sicurezza e di rispetto dell’ambiente naturale. Non c’è contraddizione. » (Originale : Barber, 1995, pp.296-297). Barber sfiora qui il problema del cattivo gusto. Si tratta con ciò di un fenomeno ben noto : giornali, televisioni, ecc., che vogliono colpire molti lettori e spettatori, a seconda del caso, vengono costretti in genere al cattivo gusto o al servilismo. Per una ragione molto semplice : il buon gusto è una qualità individuale, al contrario, il cattivo è collettivo. Il cattivo gusto viene caratterizzato da mancanza di una qualità individuale, o a seconda del caso, mancanza d’energia di strutturazione. Il buon gusto contiene a priori elementi creatori, collegati al particolarismo dell’individuo esprimente il buon gusto. Questo non è mai un prodotto di massa e pertanto è privo d’interesse in una prospettiva economica. Che McWorld, da un lato, acceleri la globalizzazione, ma che questa, dall’altro lato, riesca, senza legittimazione nessuna ed a livello internazionale, a generare una violazione grossolana del principio d’uguaglianza, fa sì che McWorld apra cosí la porta alla Jihad. La produzione del petrolio rappresenta a questo proposito un buon esempio. I tre paesi più ricchi del mondo – gli Stati Uniti, il Giappone, e la Germania – rappresentano la metà della produzione mondiale, ma importano anche insieme più della metà dell’energia mondiale. Il petrolio proviene per la maggiore parte dai paesi del Medio Oriente, che sono assai fragili alla Jihad. In questi paesi conflitti possono nascere senz’altro per motivi etnici o religiosi. « Più dei tre quinti della produzione odierna di petrolio (e quasi il 93% delle riserve totali) si collocano in paesi, la cui integrazione al McWorld rimane molto inverosimile, ma in cui c’è un rischio grosso di venire a instabilità politiche, sociali, e pertanto economiche. » (Originale : Barber, 1995, p.48). Non importa qui di dichiarare la guerra al cattivo gusto. Anche quando c’è una domanda di cattivo gusto, l’economia può rispondervi assolutamente e perfettamente. Ma quando l’economia comincia a dominare certamente l’insieme della società, non esiste più spazio di sviluppo per la sfera del buon gusto, nella quale si esprime l’elemento individuale : « Il problema con Disney o McDonald’s non sta a livello estetico, al cui livello gente, come Horkheimer, Adorno (ed anch’io), non vuole intervenire in nessun caso nella sfera privata del gusto, ma essa rimane assai attenta a impedire la formazione di un monopolio dell’informazione, tanto che la cooperazione in accordo con le televisioni, con la pubblicità e con il divertimento, non conduca alla limitazione della libertà di scegliere » (Originale : Baber , 1995, p.297). Sfere come quella della democrazia – ma ce ne sono anche altre, la scienza per esempio – cadono allora nelle ristrettezze, poiché esse non formulano direttamente qualità comuni a tutti gli uomini in quanto membri della stessa specie biologica, al contrario, esse manifestano piuttosto le loro idee particolari, individuali o le loro produzioni artistiche, a seconda del caso. L’autonomia del centro democratico McWorld minaccia il mondo di una dominazione economica e perfettamente non democratica. Mira a un mondo in cui prevale l’ideologia Hollywood e che non conosce nessuno principio di Stato di diritto. L’alternativa di Barber non è una società padroneggiata dallo Stato monolitico, ma un mondo decentrato con diverse sfere autonome di vita : « Otteniamo il migliore governo e la migliore amministrazione mediante una vita in campi diversi, ognuno dei quali dotato di regole e vantaggi propri, senza che nessuno tra essi sia dominato da un altro. Da una parte, la politica dovrebbe essere interamente sovrana, e ciò vuole dire che essa sola regolamenti i diversi campi della società libera e pluralistica di modo che ne ga- La democrazia inizia sempre dal far valere idee e concetti individuali, che vengono confrontati poi tra essi a livello ideale. Visto dall’economia, è questo un processo non interessante; 31 rantisca l’autonomia di ciascuno. La dominazione crescente del McWorld ha trasposto la sovranità nel campo delle imprese e del mercato mondiali e mincaccia cosí l’autonomia della società cittadina – e ciò tanto nel campo culturale quanto in quelli spirituale e politico. L’alternativa (…) non è una società dominata dallo Stato. Essa consiste in una società decentrata, nella quale l’autonomia delle sfere particolari – tra essi anche il mercato e l’economia – viene garantita dallo Stato democratico. Sola una politica democratica risente di un interesse nel mantener l’autonomia delle diverse sfere particolari e detiene la possibilità di farlo. Sarà appena lo Stato dominerà le sfere religiosa ed economica che ne risulterà una struttura totalitaria – di dominio teocratico come nel Medioevo o di dominio economico, come oggi, in quest’epoca nostra del McWorld. » (Originale : Barber , 1995, p.296). deralmente configurata : « Il governo aveva solo un’influenza debole – in particolare al livello degli Stati federali – (si potrebbe perfino dire che, visti i suoi compiti, tal influenza fosse forse troppo debole), dato che la costituzione delle autonomie intere, che non si richiamavano specialmente al governo federale, lasciavano liberi gli Stati federali ed il popolo ; » (Originale : Barber, 1995, p.282). La forma federale dello Stato è proprio essenziale nel formare e nel conservare del capitale sociale, siccome, da un lato, l’individuo vi viene considerato quale unità fondamentale (l’atto del delegare verso i livelli più elevati della comunità parte in effetti dall’individuo stesso) e, dall’altro, l’intuizione morale e l’impegno possono venire suscitati al primo colpo soltanto da quegli individui. La seconda ragione consiste nella ristrettezza del mercato all’epoca, il quale agiva meno fortemente sulla società : « I mercati avevano ugualmente un influsso debole. Erano prima di tutto regionali e permeati da relazioni mutue ed accordi sigillati tra gli individui stessi. » (Originale : Barber, 1995, p.282). Secondo Barber dovremmo sforzarci di creare questa società decentrata, verso la quale il primo passo consiste nel costruire una sfera di autonomia politica e democratica, perché solo un ambito di questo tipo potrà, dalla propria natura, aver in vista l’organizzazione dell’insieme. In base a questo, difatti, i cittadini del tempo di De Tocqueville organizzavano essi stessi la loro società. Decidevano essi stessi in comune sull’aspetto della comunità. Quello stato delle cose generava un’attrazione essenziale per intese ed armonie efficienti. La rete della fiducia reciproca, così come il senso di responsabilità sociale per la « res Publica » (la « cosa pubblica », ndt), che nasceva di tale maniera, creava capitale sociale. La questione è di sapere poi quale passo fare nell’indirizzo di una tale sfera politicamente e democraticamente autonoma. Si tratta di un’esigenza enorme, perché di fronte al carattere globale di McWorld, non c’è nessuno Stato globale e tanto meno uno Stato democratico. In questo contesto, Barber prende le mosse dal fatto che la democrazia non è un’istituzione, ma un modo di vivere basato su responsabilità individuale e senso civico : « Un popolo corrotto dal tribalismo e disincantato da McWorld non può intraprendere nessuna costituzione democratica prestabilita. Parimenti, un popolo che ha dietro di lui una lunga storia di dispotismo e tirannia, non è nemmeno in situazione per farlo. Non si può regalare la democrazia a qualcuno che non possiede nessun potere. I senza-poteri devono dunque afferrarsi alla democrazia, perché si rifiutano di vivere senza esser liberi e vogliono il diritto per tutti. Perché si apra la via verso la democrazia – ad esempio nei paesi in stato di transizione o perfino al livello globale – ci devono essere cittadini che esigono la democrazia. Dentro la società cittadina e dentro la sua cultura sociale, deve esistere un fondamento. Perché la democrazia non è una prescrizione universale per una forma determinata di governo. La democrazia è une stimolazione per vivere in un modo determinato : essendo responsabili, autonomi, pur vivendo in un campo comunitario, in seno a comunità autonome, certo, ma anche aperte, tolleranti, esercitando il rispetto mutuo, e anche permeate dalla coscienza autonoma del proprio valore. John Dewey ha caratterizzato la democrazia come una forma di vita. Secondo lui essa non è una forma governativa, ma essa è l’idea stessa della comunità. La democrazia è l’arte e il modo del vivere in una società fatta per i cittadini. Una democrazia globale, che sia capace d’arrestare le tendenze antidemocratiche della Jihad e del McWorld, non si può stabilire a partire della copia astratta di disegni costituzionali nazionali determinati. La società civile – locale o globale – sta all’inizio. » (Originale : Barber, 1995, p.279). Poi, venne minacciato da due lati questo capitale sociale – veramente democratico e strutturato a livello locale per l’essenziale. Da un lato, il mercato esercitò la sua pressione. Cittadini si videro diventare sempre di più semplici consumatori ; il libero impegno venne sempre di più represso dal mercato. Negli Stati Uniti, la libertà di dare il proprio sangue, repressa da servizi commerciali (attraverso i quali i donatori sono pagati) è un esempio classico di questo sviluppo delle cose [si vede 3-2]. Da un altro lato, il governo andò immischiandosi assai nella vita sociale. In base al ruolo crescente del mercato, forti interventi vennero richiesti da parte dello Stato. La comunità locale non fu più in grado di controllare il mercato e lo Stato dovette intervenire nel senso della protezione degli interessi pubblici. Allo stesso tempo, esso s’incaricò dei campi essenziali della responsabilità sociale dei cittadini. « Solo dal momento in cui gli individui, che si consideravano essi stessi cittadini, cominciarono a sentirsi consumatori, e gruppi che lavoravano a titolo onorifico, vennero repressi dalle imprese, quali « persone giuridiche » ne ricevettero legittimazione, solo da questo preciso momento, le forze del mercato compenetrarono la società civile e la rovinarono operando dal campo privato loro. A quest’invasione radicale del mercato, il governo rispose mediante misure energiche in modo da proteggere il bene comune contro questi nuovi monopoli, ma così facendo, il governo rovinò anche la società civile in un modo non intenzionale procedendo dal potere dello Stato stesso. Strozzata dai campi d’influenza crescente, in piena espansione, da ambedue le parti che si combattevano vicendevolmente, la società civile perse la sua situazione prominente in seno alla società americana. All’epoca dei due Roosvelt, essa era praticamente scomparsa e i suoi membri dovettero sommettersi alla tutela dello Stato forte, o, a seconda del caso, dell’economia privata, in cui scuole, Chiese, officine, fondazioni e altre associazioni, non potevano che prendere puramente e meramente forma d’imprese presentandosi come rappresentanti degli La questione decisiva è naturalmente sapere in che modo tale società civile potrebbe rinascere. Come mai si dava il caso che negli Stati Uniti visitati da De Tocqueville, vi fosse un intreccio sociale così ricco ed intenso, che il capitale sociale di quell’epoca ne fosse permeato? C’erano due ragioni per questo. La prima ragione è che la Stato nazionale, al quale i cittadini potevano appena richiamarsi all’epoca, aveva allora soltanto un’importanza limitata. Basicamente, la vita politica era fe32 interessi privati dei loro soci. Non si trattava più di sapere se quegli interessi si riferissero al guadagno o alla protezione dell’ambiente, giacché queste associazioni private avevano solo scopi privati. Scuole spettarono piuttosto a gruppi d’interessi per le persone con figli (genitori), e non furono adibiti più a luoghi dove si formasse duramente una società libera. Chiese vennero consegnate a gruppi d’interessi confessionali e non furono fonti di forza morale tanto vantaggiosa per la società (come lo intuí De Tocqueville nel suo tempo). Quanto alle associazioni « a titolo onorifico », esse diventarono piuttosto una sorta di lobbies privati e non ci furono più spazi di libertà, in cui donne e uomini seguivano la scuola della libertà. » (Originale : Barber, 1995, pp.282-283). Con questa conclusione, Barber non conduce fino a capo in modo conseguente la sua analisi delle conseguenze antidemocratiche della Jihad e del McWorld. In effetti, per quale ragione il capitale sociale degli Stati Uniti venne stritolato tra mercato e Stato? Perché McWorld, proveniente dal mercato, cominciò a estendere i suoi tentacoli sullo Stato di diritto e si mise a operare in modo distruttivo sulla cultura. Però, e questo punto è di certo sottilissimo, perché la Jihad anela ad assoggettare lo Stato a una cultura particolare od a una confessione? Il nucleo della Jihad, è la tutela ideologica, la soppressione dell’autonomia cittadina e la riduzione dei cittadini allo stato di soggetti di uno Stato badante al loro benessere interiore. La Jihad rifiuta la divisione dello Stato dalle ideologie. L’amalgamare della religione con lo Stato, come in Iran, ad esempio, od in Arabia Saudita, non è che la forma più esterna di tale alleanza tra Jihad e Stato. La « dittatura del proletariato », alla quale anelavano i regimi comunisti, ne fu un altro esempio estremo. Da ciò ne risulta la seconda tesi : i cittadini devono riprendere il proprio destino nelle mani proprie. Barber sostiene in effetti (in suo libro più recente : « Forte democrazia ») una serie di misure, tra cui, ad esempio, l’introduzione del referendum nazionale negli Stati Uniti, uno strumento di democrazia diretta perfettamente disconosciuto laggiù. Si potrebbe dire che un federalismo radicale formi il biotopo naturale in cui può nascere il capitale sociale. Le osservazioni di De Tocqueville, così come gli altri numerosi studi antropologici e psicologici, evidenziano il potere umano di creazione del capitale sociale. Ma bisogna soddisfare due condizioni per questo. Assai sorprendente in compenso e tanto più pienamente operante, è l’amalgamazione dello Stato con l’ideologia del mercato libero, in collegamento con la sistemazione sotto tutela della popolazione sotto la bandiera della « democrazia rappresentativa », come questo sorge nelle democrazie occidentali. McWorld non ha nessun interesse per lo Stato nazionale, ma la Jihad, essa, ne ha molto. Jihad e McWorld operano quindi insieme in questo campo, dove sono d’accordo per una cosa: la ripressione della democrazia. La Jihad occupa lo Stato e condivide ideologicamente la supremazia di McWorld in collegamento con le forme più varie del tribalismo. Il nazionalismo e la difesa del McWorld – tal è il modo più perfettamente efficace della Jihad, con l’aiuto dello Stato di diritto, per agire sulla popolazione. Questo conduce a queste circostanze estremamente particolari, come in Arabia Saudita, dove la cooperazione economica intensa con l’Occidente, sta accompagnandosi all’interno del Paese al terrore più reazionario contro donne e non-musulmani. In questo paese, McWorld et Jihad procedono di pari passo. Primariamente, il federalismo deve adeguatamente iniziare dall’individuo – vanno create le condizioni preliminari perché l’uomo possa effettivamente prendere la sua sorte nelle proprie mani. Una democrazia puramente rappresentativa (Barber la designa quale « thin democracy » [eventualmente, si può volgere in italiano con « democrazia zoppicante », ndt]), costringente gli uomini a delegare i loro compiti, quindi a rimettere il loro destino a chiunque, non è appropriata per questo. Secondariamente, dentro tale struttura democratica e federale, bisogna ancora approntarsi ad essere in grado di respingere McWorld e Jihad. Ne risulterà allora una cultura democratica, a cui varrà data tale denominazione. E questo non va da sé. L’antico capitale sociale, nei riguardi del quale De Tocqueville espresse la sua ammirazione, era nato in questo periodo – quindi in condizioni favorevoli – spontaneamente e inconsapevolmente. In base a questa mancanza di coscienza, non fu però in grado di resistere dopo, in circostanze divenute nel frattempo sfavorevoli, e dovette rovinarsi. Condizioni preliminari per il restauro di un nuovo capitale sociale devono venir specialmente create nel futuro. Barber ha ragione per quanto concerne l’esigenza per la società civile di riconquistare lo spazio nel cuore della società. Ma lui, non precisa dove si troverebbe tale cuore. In una società democratica, il governo non può costituire un potere autonomo contro i cittadini, perché esso non è niente altro che l’espressione democratica stessa della volontà popolare. Effettivamente, la sistemazione di una vera società civile cancellerebbe la Jihad dal governo e la ricaccerebbe nella fera in cui tiene la sua giustificazione. Questa sfera è la cultura in tutti i suoi aspetti, la formazione democratica delle rappresentazioni, così come il libero confronto delle idee, attraverso il quale si possono e si devono ricondurre « le guerre sante ». E McWorld deve, anche lui, venir respinto nella sua sfera originaria, la sfera economica. Come lo nota Barber stesso, nella sua postfazione del suo libro, Jihad e McWorld non sono cattivi per se stessi. Non sono essi che ci occorrerebbe combattere in quanto tali, ma la loro tendenza ad invadere la società civile come la malerba. Si deve venir quindi a una decartellizzazione fondamentale della Jihad (il mondo della cultura e la caratteristica culturale), del McWorld (il mondo dell’economia) e dello Stato democratico (si vede anche Steiner 1919, 1976). E questo è solo possibile mediante il federalismo democratico radicale. Gli ambiti della Jihad e di McWorld Barber non compie quest’ultimo passo nel suo argomentare, per lo meno non totalmente. E qui si rivela la debolezza del suo libro, per il resto ottimo. Barber conclude dal quadro tracciato qua che si deva abbandonare il pensiero bipolare nei concetti di « Stato contro economia privata » e sostituirgli una struttura triplicemente articolata, in cui la società civile possa ritrovare il suo posto tra lo Stato e l’economia privata. 33 3-1: Il principio di San Floriano o la Società civile e democrazia. resa dipendente da fattori esterni, ad esempio quando loro sono pagati, ciò influisce sulla loro motivazione intrinseca. La volontà intima di fare qualcosa s’indebolisce e il capitale sociale viene perduto [si vede anche 3-1]. Problemi derivanti dal principio di San Floriano vengono di continuo all’ordine del giorno. La maggiore parte della gente considera assolutamente positivamente la necessità di costruire aeroporti, centri di raccolta di profughi o di richiedenti l’asilo politico e luoghi di stoccaggio di residui radioattivi. Ma nessuno vuole avere tali impianti davanti alla propria porta. Una infrastruttura che tutti vogliono, ma che non viene tollerata da nessuno vicino a casa propria, è quella che sta alla base del principio di San Floriano. Il ricercatore neerlandese in scienze economiche, Arjo Klamer (1995) descrisse la situazione nel modo seguente : « Mentre, qualche anno fa, mi venne affidata la custodia dei miei due bambini (5 e 7 anni), decisi di applicare i miei corsi di scienze economiche e di ricompensare o punire, rispettivamente buone e cattive azioni, con un certo prezzo. Cinquanta centesimi per aiutare a sparecchiare la tavola, 25 centesimi per portare a passeggio il cane senza recriminare, 1 Euro in caso di sotterfugi in vista di battersi, 30 centesimi per il disordine inutile, ecc. Tutto si svolse dopo un’intervista coi bambini. Al contrario di mia moglie, ero convinto della mia valutazione. Con questo sistema economico, non avrei dovuto più, al meno non di continuo, giocare il ruolo del brontolone e la responsabilità veniva trasferita ai bambini stessi. Esattamente come ciò deve essere. » Per regola generale, il luogo d’impianto di tal infrastruttura viene imposto per forza dalle autorità a una comunità locale – nelle circostanze di compensazioni finanziarie od altre. In Svizzera c’è la situazione interessante che le comunità locali dispongono di un diritto di veto nel fissare un luogo d’impianto per un’infrastruttura (tramite decisione cittadina al livello della comunità concernente, o mediante un referendum in seno alla comunità). Nel 1993, vennero consultati gli abitanti di quattro villaggi sull’impianto di un luogo di stoccaggio di residui radioattivi. La regione di questi villaggi era stata giudicata dai servizi geologici svizzeri la più appropriata all’operazione progettata, perché situata su terreni geologicamente favorevoli. La risposta non fu facoltativa, dato che la decisione rimaneva aperta e il risultato del sondaggio andò conosciuto prima della presa decisionale. All’inizio, il metodo funzionò bene. Tafferugli vennero meno e i bambini diventarono compiacenti. Ma Klamer venne rapidamente confrontato con un’altra perdita, non attesa questa. I suoi bambini risposero in un grado minore al prender in considerazione l’ordine morale. « Mentre al cadetto riportai la lagnanza del suo professore, secondo cui urlava sovente in classe, lui reagì perfettamente in accordo col mio sistema di valutazione economica proponendomi... un contratto. Cioè due Euro per aver il diritto di gridare in classe ! Del tutto l’opposto dei miei principi dichiarati, mi udii comunicargli la mia stessa reazione : « In nessun caso ! Voglio semplicemente che tu smetta di farlo. Guai a te, se tu lo farai una volta di più, avrai a che fare con me ». La valutazione economica era fallita. Ne risultò che il 50,8% degli interrogati si dichiarò d’accordo per l’impianto, mentre il 44,9% si pronunziò contrario. In un modo piuttosto singolare, tale maggioranza crollò nell’istante in cui venne proposto un risarcimento finanziario. Con una compensazione finanziaria annuale da 1500 a 4500 Euro, l’accettazione dell’impianto di stoccaggio dei residui radioattivi crollò dal 50,8 al 24,6%. Questa quota non cambiò più, persino in seguito a proposta di un risarcimento maggiore. Nel 1970, Venne pubblicato il libro « La relazione avvelenata », nel quale Titmuss descrisse le conseguenze di una remunerazione della donazione di sangue. Negli anni sessanta, un sistema commerciale di donazione di sangue si era sviluppato negli Stati Uniti (tra il 1965 ed il 1967, il 80% del sangue proveniva da donatori pagati), mentre in Gran Bretagna, si era conservato il sistema della donazione benevola. Titmuss constatò che il sistema volontario era sostanzialmente più favorevole in termini di costi ed apportava in oltre un minore rischio di contaminazione. Dopo indagine, si rivelò che la legittimità della procedura giocasse effettivamente un ruolo decisivo nell’accettazione dell’impianto. Chiunque, per cui la presa decisionale sembrasse accettabile, poteva preferibilmente accettare di condividerne il risultato con gli altri. Con un risarcimento finanziario, venne anche modificato in maniera decisiva il modo di prendere la decisione. Nella procedura decisionale in democrazia diretta, includente un diritto locale di veto, gli elettori vengono rinviati direttamente al loro senso della comunità e al loro giudizio oggettivo. Se questo viene adesso congiunto a compensazioni finanziarie, s’impone allora negli elettori il sospetto che essi vadano subornati. Non si rivolge più al proprio senso civico, se gli si invia il messaggio implicito che essi vengono presi come « persone piuttosto centrate sulle cerchie familiari amorali », che vadano convinte dal ricorso a mezzi esterni (finanziari in questa circostanza). Questo trasferimento dalla motivazione intrinseca verso stimolazioni esterne conduce a uno smarrimento notevole e grave del capitale sociale (Oberholzer-Gee e.a., 1995). Interrogò quindi donatori benevoli a proposito delle loro motivazioni e venne alla conclusione che la maggiore parte dei donatori non fossero in grado di esprimere le loro motivazioni, senza fare riferimento in un modo o nell’altro a concetti morali. Effettivamente, il dono gratuito del sangue si lascia spiegare solamente dal proprio senso civico cittadino, o secondo il caso, dal senso civico della comunità di quelli che vi partecipano. Fenomeni come la donazione di sangue rivelano che i « cittadini », all’opposto di molte affermazioni, ci sono assolutamente! L’indagine di Titmuss forní una serie di risultati più strani. Dapprima, sembra che l’introduzione della « donazione » commerciale abbia influenzato negativamente la donazione gratuita e libera in una misura pronunciata. Un pregiudizio venne palesemente recato alla motivazione dei donatori liberi, perché si pagava in seno alla società una prestazione che loro offrivano liberamente e gratuitamente. 3-2: Donazione del sangue – pagato non pagato. Dunque c’è capitale sociale quando gli uomini, partendo da motivazioni intime, o, a seconda del caso, intrinseche, s’impegnano in qualcosa. Invece, quando la loro azione viene 34 Questo fenomeno è anche caratterizzato come « effetto di straripamento » [« Spillover effect »]. Quando si capisce che un altra persona è pagata per il suo impegno, viene a meno la propria stimolazione a regalare « gratuitamente » il medesimo impegno. diventò mobile, la classe media svanì a Jorwed, pubblicità e prezzi bassi dei supermercati della città vicina – che era diventata oramai accessibile con la macchina – cambiarono completamente i comportamenti di acquisto. Cio accadde dal lato della consumazione. Ma dal lato della produzione, il controllo se ne spostò anche verso l’esterno. Poiché il progresso tecnico fece la sua entrata nella fattoria. Dapprima sorsero le macchine per mungere le vacche e il trattore sostituì il cavallo da tiro. Quegli investimenti non erano ancora grossi ostacoli per il fattore. Ma negli anni settanta, ci fu ancora un cambiamento: il serbatoio di latte refrigerato divenne ad esempio uno standard: « I fattori dovettero acquistare grossi serbatoi refrigeranti per il latte. Prima di questo, si lavorava mediante bidoni da latte in alluminio, che venivano posti la sera sul ciglio della strada, affinché il camion potesse facilmente raccoglierli – una operazione accompagnata dal rumore e dallo schiocco caratteristico dei coperchi – per portarli nelle numerose piccole latterie » (p.94). Nel sistema commerciale, la qualità del sangue donato venne in oltre messa in pericolo, perché persone dai più diversi gruppi a rischi vi parteciparono contro pagamento. In seguito, questo sistema commerciale negli Stati uniti fece marcia indietro. Negli anni 1971-1980, la quantità del sangue pagato si ridusse del 76%. Nello stesso tempo, la quantità del sangue gratuito si elevò del 36%. La disponibilità a dare qualcosa da motivazione intrinseca si lasciò dunque ristabilire nei fini dei conti. Però tale ristabilimento necessita sempre un certo tempo. Crediamo di aver capito nel frattempo ciò che andava male nella pedagogia del tentativo di Arjo Klamer. E comprendiamo forse anche per quale ragione la donazione del sangue, al meglio, non dovrebbe mai venir remunerata. In effetti, non potrebbe darsi che noi ci trovassimo in questo caso in una situazione che somiglia, a molti riguardi, furiosamente a quella in cui i bambini di Klamer sono caduti, se lui avesse menato a fondo il suo progetto pedagogico malsano? Perché non si può concepire in nessun caso che ciò che vale per la donazione del sangue non valga nemmeno per la disponibilità a fornire un lavoro e un impegno per l’insieme della comunità. Il controllo dei circuiti economici si spostò lontano dalla comunità locale stessa. Fattori esterni, in particolare provenienti da scoperte tecniche, giocavano oramai un ruolo decisivo. In oltre, il contadino cadeva nella dipendenza nei riguardi degli istituti di credito o banche. Tra i contadini di Jorwed, l’accettazione del credito cagionò un cambiamento di mentalità: « Per molti, il recarsi alla banca iniziò già col primo trattore, verso la fine degli anni cinquanta. I più non potevano pagare del tutto in contanti quest’apparecchio. Ma poi ci volle sempre più denaro: per macchine, stalle, impianti sempre nuovi. E incirca dal 1975, il denaro della latteria non arrivò mai direttamente sulla tavola della cucina, tramite il trasportatore di latte, le banche presero allora grande importanza nella vita dei contadini. » (p.95) 3-3: A proposito del villaggio neerlandese di Jorwed. Numerose opere sono state scritte sulla mutazione della vita paesana. Ma il modo in cui le « forze del mercato cominciarono a compenetrare la società civile ed a annientare la sfera privata » (Barber) non è forse mai stato descritto in una manera più commovente che nel libro di Geert Mak, « Hoe God verdween uit Jorwerd [Come Dio svaní da Jorwed] », un libro nel frattempo divenuto un’opera classica. Gli abitanti di Jorwerd si affidarono sempre meno gli uni agli altri, ma sempre di più a gente esterna al villaggio. Fu il caso del fabbro ferraio. Il fabbro di Jorwerd era un fabbro ferraio generico autentico, come molti fabbri di villaggio. Ferrava i cavalli, riparava le grondaie, sistemava i fornelli, anzi le riparazioni generali del trattore non gli ponevano difficoltà particolari. Su molti binari della Frisia, circolavano ancora vecchie Renault 4 riformate, che lui aveva astutamente trasformato in binari spazzatrici. Anche la sua Harley Davidson modificata in motospazzatrice, ebbe un successo esemplare. Amava la tecnica di iniziativa propria, però la tecnica si distaccò alla fine da lui » (p.161 e seg.). « Ogni fabbro ferraio del villaggio poteva restaurare senza difficoltà l’attrezzatura agraria maggiore di un’azienda agricola: trattori, mietitrici, attrezzamenti di mungitura meccanica, spandiletami, e molti altri. Ma per i trattori e le mungitrici che apparvero sul mercato dopo il 1970, questo non valse più. Erano talmente imbottiti di elettronica e tecnologia che solo i giovani potevano cavarsela con essi. Un fabbro ordinario, della tempra antica, non poteva più cavarsi d’impiccio. Anche qua, i contadini si ritrovarono in una dipendenza sempre più forte dalle forze economiche del mondo esterno » (p.163). « Cosí scomparve a Jorwerd, qualcosa che durante centinaia d’anni aveva dato consistenza alla vita dei contadini: la propria economia all’interno dell’economia più ampia. I limiti tra ambedue svanirono, l’argine di fedeltà e tradizioni si ruppe sempre di più, e subitamente il villaggio venne trascinato e spezzato via, come se non fosse mai esistito. Jorwed è un piccolo paese agrario della provincia di Frisia, nel Nord dei Paesi Bassi. Fin a quaranta, cinquanta anni fa, i contadini controllavano la sfera centrale dell’economia, anche se questa mostrava una produttività debole. Ciò principiava già al livello familiare: « Le famiglie contadine numerose tradizionali non avevano la vita facile, ma avevano un gran vantaggio, rispetto alle famiglie delle città: disponevano di solito dei propri ortaggi prodotti sul posto, della propria carne, del proprio latte, burro, formaggio, uova, patate, e potevano così provvedere da sé ai propri bisogni vitali. » (p.23). Ciò che andava comprato in più (per esempio, caffè, tè, zucchero, sapone), non rappresentava grossa spesa. Ma soprattutto, l’acquisto si decideva rispettando un bisogno ben determinato. Eppure questo mutò: « Fino agli anni sessanta, molti contadini non entravano mai in un negozio. Lo stato di classe media finì con l’invadere la casa paesana. Da interviste con contadine anziane, queste dichiararono: « Noi scrivevamo su un libretto di conti ciò di cui avevamo bisogno, ma niente di più. Caffè, tè, sapone, che ci occorrevano. Per tutta la famiglia, io, ne compravo tutt’al più per un paio di decine di fiorini alla settimana. » (p.24). Questo sistema scomparve irremissibilmente negli anni settanta. La gente 35 Per mezzo di un controllo moderatore sull’economia, tanto sul mercato quanto sulla produzione, lo Stato intervenne regolando – esattamente come lo descrive Barber. Per i fattori di Jorwerd ed altrove, l’introduzione del contingentamento del latte fu straordinariamente « efficace ». Nel 1984, i ministri dell’agricoltura europei decisero di limitare la produzione di latte. Ogni contadino fu autorizzato a produrne solo una quantità determinata. Ogni litro di latte eccedente doveva venir punito da una multa considerevole. Ne risultarono affari speculativi sulle quote di latte. Un fattore, a chi era permessa una produzione di 250 000 litri di latte, otteneva de facto un ammontare di 450 000 Euro che lui poteva rivendere. In seguito, ci furono quote per il letame di stalle. Gli allevatori non vennero più autorizzati a superare una certa quantità di letame. Il mercato speculativo si ampliò. Gli allevatori di porci furono pronti a pagare per avere il diritto di spandere gli eccedenti loro di letame sul terreno di una altra azienda. (p.105). Per l’insieme delle relazioni sociali, è molto importante, in questo contesto, che si tratti di interventi che non abbiano il minore influsso sul contadino individuale, ma che agiscano in un modo decisivo sulla vita sua, facendone una realtà virtuale. Un contadino riassunse gli effetti di queste manovre nel modo seguente: « Non siamo più contadini, siamo produttori. » cratica che il commissario europeo responsabile dell’allargamento, Günther Verheugen, notò un giorno: «Se l’Unione stessa domandasse di aderire al Trattato, noi avremmo a obiettarle una « carenza democratica. » (Oldag & Tillack, 2003, pp.17-19 ; si vece anche Booker & North, 2005). Per un osservatore superficiale, l’UE sembra di aver risolto parecchi problemi moderni. A seconda dei suoi sostenitori, dopo due guerre mondiali, si può riconoscerle di averne evitata una terza. Ma fare questo è ignorare in che modo si sono verificate la prima e la seconda guerra mondiale. Vennero provocate da élites che governavano in un modo antidemocratico, sviluppavano i disegni loro in segreto e di solito iniziavano guerre contro la volontà della maggioranza popolare, come lo dimostrano gli studi storici attuati al giorno d’oggi. Quello che l’Unione ha fatto è semplicemente lo stabilire un’élite disponente di un potere ancora più elevato al di sopra delle antiche élites, le quali essa deve provare a tener sotto controllo. L’esempio svizzero rivela un approccio del tutto diverso; dal momento in cui divenne una federazione, nella metà dell’Ottocento, avendo incorporato elementi di democrazia diretta dall’inizio, la Svizzera è stata quasi il solo stato nell’Europa a non entrare in guerre ( solo la Svezia è vissuta in pace per un tempo più lungo). La ragione è semplice: la gente brava ed ordinaria vuole raramente la guerra. Democrazie dispongono quindi per migliori metodi della violenza per risolvere conflitti. In altre parole : quando gli stati si democratizzano internamente, divengono più pacifici. Questo smarrimento nel controllo della vita propria, non venne compensato da più democrazia. La volontà della popolazione a configurare la propria comunità di vita non fu né riconosciuta né onorata. Lo « Stato » rivendica sempre tutela, quand’anche sia veramente più dispendiosa. « Allorché i giornali e la politica stavano sconfinando in storie « d’autonomia » e di « aiuto scambievole », la comunità utilizzava in un modo particolarmente scarso le possibilità che offriva ancora nella pratica il senso sociale contadino. La maggior parte dei grandi cambiamenti in Jorwerd – la colmatura del porto, la ricostruzione, – risalivano quasi tutti a suggerimenti della popolazione stessa. In seguito, tali iniziative si manifestarono appena. Così la strada verso il campo « Kaat » era solo un grosso pantano quando Willem Osinga propose di rimetterla in ordine con qualche volontario ed una paio di sabati pomeriggio – c’erano ancora lastricati disponibili e la comunità aveva solo da fornire alcune carrettate di sabbia –, ma ciò non si doveva fare in questa maniera. Poi la comunità lo fece lo stesso. Costo: trenta mila fiorini. « Con questo denaro, avremmo potuto fare un sacco di cose nel villaggio », brontolò Osinga. » (p.225 et seg.) C’è stato un consenso da lungo tempo tra gli intellettuali per riconoscere che le democrazie (nel senso di stati provveduti d’elezioni libere e del rispetto dei Diritti dell’Uomo) non entrano in guerra fra esse. Da un altra canto, però gli intellettuali hanno osservato che democrazie sono tanto bellicose quanto altri stati autoritari. Rummel (1995) prova, tuttavia che quest’affermazione venga basata su statistiche che non fanno distinzioni tra conflitti relativamente limitati, con mille morti, ad esempio, e guerre che fanno milioni di morti. Se il numero dei morti viene preso in conto, c’è un legame assai evidente : più uno stato è democratico, meno esso cagiona morti nei conflitti. In breve, se volete la pace, potete fare tutti il possibile per tenere problemi di forza sotto controllo stabilendo un potere superiore al di sopra essi (come lo fa l’ideologia politica vigente nell’UE) ; ma una pace permanente viene assai meglio assicurata smantellando queste forze dall’interno. Sarebbe dunque una tappa molto più logica introdurre la democrazia diretta negli stati attuali piuttosto che mettere al loro posto super-stati sovranazionali in cui stati nazionali vadano assorbiti. Non c’è nessuna garanzia che tali stati sovranazionali non tornino verso lotte d’influenza regionali che gli forniscano una ragione per attaccarsi mutuamente. Se questa logica viene proseguita, ci vuole dunque uno stato più forte che deve tenere tutti gli altri stati fuori da ogni minaccia reciproca. Si finirebbe così con l’avere un solo Stato mondiale autoritario – una prospettiva non assai attraente. 3-4:L’Unione Europea In questi ultimi decenni, l’Europa si è allargata in ogni indirizzo. Ne ha ricavato più poteri per se stessa con ogni emendamento nel Trattato e quasi ogni governo in Europa si è pronunciato in favore dell’adesione, fossero d’accordo o no i cittadini. Nella maggiore parte dei casi, la decisione del raggiungimento europeo venne presa senza referendum. Oggi, il 50% della legislazione viene da Bruxelles. Essa è stata condensata attualmente in circa 100 000 pagine. Il bilancio europeo, che ammonta a più di 100 miliardi di € all’anno, è molto più importante di quello di parecchi stati membri. « Le istituzioni europee esercitano oggigiorno affettivamente più potere di ogni stato membro per conto proprio », tal è l’opinione del giudice costituzionale tedesco Udo di Fabrio. Nello stesso tempo, l’UE è così poco demo- Il mestamente celebre « deficit democratico » dell’UE, c’è perché i governi nazionali (senza l’accordo dei propri cittadini) hanno ceduto il potere alle istituzioni europee per fare leggi che prevalgono oramai sulle leggi nazionali e costituzionali. I parlamenti nazionali non hanno più nessuno 36 controllo su questo. Capi di governi nazionali e ministri (attraverso la loro partecipazione nel Consiglio europeo) controllano qualche chiave della legislazione europea, ma in quanto questi s’incontrano a porte chiuse, Parlamenti nazionali non sanno mai in che modo i loro capi governativi hanno votato a Bruxelles. Se i ministri pretendono di aver fatto esattamente ciò che i Parlamenti loro aspettavano da essi, i Parlamenti non dispongono di nessuno mezzo per opporsi. Il Parlamento europeo non può colmare questo vuoto, dato che ha appena appena qualche potere. Non ha nessuno diritto decisionale sulle questioni più importanti ed è incapace di destituire membri individuali della Commissione Europea (pressappoco il governo dell’UE). L’ex-presidente della Commissione Europea, Jacques Delors, chiamò un giorno l’UE un « tiranno discreto » (Oldag & Tillack), 2003, p.35). Fatto sta che ciò implica una doppia crisi : nel momento in cui la gente non è più soddisfatta del suo sistema rappresentativo (si vede 1-1), perfino la « parola da dire », assai ristretta , di cui i cittadini dispongono ancora col sistema rappresentativo, viene una volta di più scalzata da ogni lato. La sedicente Costituzione Europea che venne preparata a Bruxeles, ma venne rifiuta in maggio e giugno 2005 dagli elettori dei referendum di Francia ed Olanda avrebbe fatto poca cosa per risolvere tali problemi. Il Parlamento Europeo avrebbe certo ottenuto più potere nella presa decisionale, ma avrebbe continuato a non avere diritto d’iniziativa o nel destituire i membri della Commissione. Invero la Costituzione avrebbe fornito più proposte in seno al consiglio dei Ministri, ma tali proposte sarebbero rimaste limitate e non si sarebbero applicate ai capi di governi in seno al Consigli Europeo. É precisamente lì che vengono prese decisioni più importanti, quali trattati europei (con accordi più seri), il bilancio dell’UE e lo spiegamento delle forze militari europee all’esterno dell’UE. Un altro problema chiave concerne il centralismo rinforzato oltre al disegno di Costituzione europea. Leggi dell’UE valgono già pienamente in tutti gli Stati membri, o non valgono da nessuna parte. In pratica questo genera molte discussioni agitate, ma a mezza voce perché le circostanze in ogni Stato membro sono diverse ed ogni governo ha esigenze varie. Sovente, nessuno è soddisfatto dei compromessi, dato che tutti gli Stati membri (25 oggi) devono esserlo. Una semplice soluzione – in favore della quale, tra altre, argomenta Frey – sarebbe che gli Stati membri stipulassero sempre per ogni tema con quali Stati vogliono introdurre una legislazione congiunte, ciò che trascinerebbe la creazione di « giurisdizioni di sovrapposizione » (« Overlapping jurisdictions », ndt). In ogni caso, gli altri Stati potrebbero sempre decidere dopo quale giurisdizione vogliono raggiungere. In oltre, Frey suggerisce che i cittadini possano decidere mediante democrazia diretta in seno alle giurisdizioni, quello che si realizza in Svizzera, come descritto sopra. Questa proposta di Frey contiene esattamente un mischio di federalismo e démocrazia diretta, il quale, come abbiamo visto in questo capitolo, risulta cruciale per una coscienza autenticamente pacifica e produttiva nel ventunesimo secolo. 37 4. L’essere umano democratico Democrazia e motivazione Dato che decisioni presuppongono in ogni caso consapevolezza, la fisica non fornisce nessuna base per distinguere eventualmente tra ciò che è “moralmente corretto” e “moralmente scorretto”. La politica, da parte sua, può solo agire facendo invece continuamente appello al bene ed al male, in quanto essa deve decidere tra diverse misure. Se una misura non potesse venire giudicata, in un modo fondamentale o altro, quale “moralmente migliore”, la politica non avrebbe nessuno senso. Un sistema meramente parlamentare, con presa decisionale maggioritaria, non è un sistema democratico. Con tale sistema la popolazione non può impedire l’introduzione di legge non voluta. In una democrazia autentica, il popolo ha sempre l’ultima parola in caso di dubbio. Tuttavía gli oppositori alla democrazia diretta non si lasciano convincere da un principio fondamentale cosí semplice. L’opposizione loro alla democrazia diretta non si basa in effetti soltanto su motivi razionali. Il riserbo loro nei confonti della sovranità globale del popolo viene anche dalle viscere e radica in una sfiducia deliberata verso l’essere umano. L’introduzione del suffragio universale, se del caso, il diritto di voto per le donne, vennero contro a tale opposizione tradizionale a quell’epoca. ノ proprio l’esistenza di questa distinzione che deve servire da punto di partenza dell’impegno politico. Siccome gli aspetti morali – che non esistono del tutto negli ambiti delle scienze naturali – formano la base della politica, questa è dunque fondamentalmente autonoma nei confronti delle scienze naturali. Questo non è un punto di vista non scientifico o antiscientifico. Si tratta del fatto che le scienze naturali – a cagione della limitazione loro alla materia – non possono descrivere completamente la realtà umana. Gli avversi alla democrazia diretta pensano che gli esseri umani si lascino determinare nel comportamento elettorale loro, in sostanza da motivi egocentrici o d’ordine privato. A seconda di questa concezione, le minoranze verrebbero spietatamente respinte dalle maggioranze. In democrazia diretta, dunque secondo loro, non si anelerebbe in nessun caso a scopi elevati o eventualmente agli interessi umani di tutti. La democrazia rappresentativa creerebbe, invece la condizione preliminare perché una élite morale abbia la parola. Si aspetta dopo da quest’élite che essa riconosca gli interessi generali e li favorisca. La fonte originaria della morale viene spesso giustificata dalla selezione naturale darviniana (De Waal, 1996, Ridley, 1996). Ci si afferma, ad esempio, che tribù dotate di un “istinto” morale spiccato dimostrino una coesione interna più forte e siano pertanto superiori a tribù coll’istinto morale meno sviluppato. Una tribù i cui membri si combattono sempre in base a istinto morale ridotto, indebolisce se stessa e non se la cava nei confronti di un’altra, i cui membri si aiutano reciprocamente. Darwin chiarì di questo modo la fonte originale de “l’istinto morale” nell’essere umano. Nel frattempo, questo punto di vista si è ampiamente diffuso. Tal abbozzo di chiarimento suscita tuttavía problemi fondamentali. La selezione darviniana non può chiarire il fenomeno della coscienza. Che senta un’antilope la presenza del leone e sfugga subito, ciò si lascia perfettamente spiegare, nel modo meccanicistico e causale di veder le cose, da una serie de mecanismi meramente fisici. La luce tocca la retina dell’antilope, il nervo ottico trasmette un segnale al cervello dove viene trasformato in reazione motrice, per effetto di processi determinati. Il comportameno di darsi alla fugga precipitosa e il vantaggio evolutivo che gli viene associato, risultano pienamente e esclusivamente dell’organismo materiale dell’antilope stessa. Il contenuto della coscienza dell’animale, lo spavento suo e l’aggressione sua, non giocano primariamente nessuno ruolo e perciò non forniscono nessuno vantaggio evolutivo. Gli opponenti alla democrazia diretta hanno dunque un concetto bene determinato degli esseri umani e della società. Considerano la società nell’essenza sua una giungla, un nido di serpi, in cui si affrontano interessi particolari. Utilizzano quindi una teoria precisa della motivazione, secondo cui l’interesse egoistico costituisca il motivo principale del decidere. Non si lasciano convincere semplicemente dagli argomenti logici a favore della democrazia diretta nemmeno dalle pratiche messe in opera nei paesi dove esistono strutture di democrazia diretta da molto tempo. Poiché, nell’intimo, essi reputano l’essere umano medio del tutto politicamente maldestro e incapace. Nell’esposizione seguente vogliamo perciò esaminare in modo precisio il fenomeno della motivazione umana. Lettori frettolosi possono senz’altro saltare questo capitolo e passare subito al capitolo quinto. Nell’antilope, la maniera meccanicistica e causale non riconosce con precisione la realtà per due aspetti. Da un lato, le leggi della fisica non forniscono primariamente nessuna indicazione nei riguardi del fenomeno “coscienza”. Dall’altro, questa manera di osservare non offre nessun punto di riferimento secondo cui “coscienza” voglia dire vantaggio evolutivo. Bene e male quali concetti politici fondamentali Nel mondo della materia, si cerca invano l’elemento morale. Le leggi della fisica non danno nessuna indicazione sull’esistere della coscienza (Searle, 1992; Penrose, 1994). La coscienza non gioca nessuno ruolo nella fisica, in quanto questa non descrive assolutamente nessuna relazione causale in cui emerga il fenomeno “coscienza”. Si deve piuttosto prendere le mosse dal fatto che la coscienza è una condizione per la descrizione dei rapporti e leggi fisiche. Quindi la coscienza non è racchiusa nella fisica, sebbene costituisca una condizione preliminare per le conoscenze fisiche. Il senso di paura dell’antilope non è dunque spiegabile fisicamente e porta all’antilope nessuno vantaggio nella lotta par la vita. Ciò che vale per il senso di paura dell’antilope si avvalora anche in modo simile per il giudizio morale dell’essere umano. Per questo giudizio, si tratta parimenti di contenuto di coscienza che non si lascia chiarire in modo fisico e non offre nessun vantaggio evolutivo. Se – come lo pensa lo scrittore 38 neerlandese W.F. Hermans – l’essere umano è solo “un processo chimico come tutti gli altri” –, il vantaggio evolutivo risultante della cooperazione tra gli individui nasce senza che consapevolezza o giudizio morale giochino un ruolo. Se conscienza e giudizio morale non giocano nessun ruolo nel formare il vantaggio evolutivo, non si lasciano dunque chiarire da une processo di selezione darviniana. Non possiamo dunque fare a meno di considerare il contenuto del pensare realtà autonome, che non sono riconducibili a processi materiali. Chi auspica a dimostrare la giustezza di una dimostrazione matematica non ha bisogno di osservare col microscopio i processi cerebrali del matematico che sta facendola. Deve piuttosto – coll’aiuto della sua facoltà di giudicare quale facoltà percettiva – entrare nell’argomentazione matematica stessa. La visione meccanistica proiettata sulla realtà cagiona in oltre una sorte di cortocircuito logico. Se il nostro pensare fosse determinato interamente, per quanto concerne il contenuto suo, da processi fisicochimici del cervello, l’anelare nostro alla verità sarebbe un’illusione. Non potremmo mai scoprire poi se una conoscenza, che ci sembra logica e giusta, sia verace nella fattispecie. Non potremmo escludere la sua fondatezza, ma potrebbe anche succedere che la parvenza dell’esattezza logica fosse falsa e solamente il gioco di processi chimici e fisici del nostro cervello stesso. Se dunque vogliamo sviluppare concetti d’azione politica e sociale in base razionale, dobbiamo prendere le mosse dalla distinzione fra il bene e il male, nello stesso modo che da un’ipotesi fondamentale non riconducibile ad altra cosa. Questioni politiche e sociali sono veramente d’ordine etico e risposte politiche sono sempre risposte etiche. E per quanto concerne l’etica, si tratta sempre – per quanto si volti e rivolti il problema come si vuole – di una distinzione fra il bene e il male. Il concetto di “bene morale” sta dunque continuamente al centro del dibattito politico. Dato che giudizi morali – come i contenuti di coscienza in genere – non si riducono a processi fisicochimici e costituiscono il fondamento dell’azione politica generale, l’azione politica stessa non è riconducibile, in linea di massima ai processi fisicochimici. E la scienza politica stessa, in fin dei conti, non si lascia tanto meno ridurre alla fisica o alla chimica. Se noi accettassimo che il nostro pensare fosse interamente determinato da tali processi fisicochimici, dovremmo allora inferirne che ogni impressione d’esattezza possa solo essere un’illusione, in realtà prodotta in un modo incantevole da processi materiali nel cervello nostro. Quest’incertezza vale anche per l’insieme delle nostre idee, compresa la nostra convinzione che il pensare sia interamente riconducibile a fenomeni fisicochimici. Questo modo di vedere, meccanicistico, la fonte originaria del pensare, come lo nota a buon diritto Popper (1982), risulta dunque autodistruttiva. Benjamin Barber (1984) attribuisce una grande importanza a questo carattere di non-riducibilità della scienza politica e dell’azione politica. Politica è più che ricerca prammatica di soluzione ottimale a situazione di partenza determinata. C’è un momento creatore nella politica, un momento di libera scelta morale. La decisione, per sapere se si tratta di una buona soluzione, non risulta semplicemente da circostanze precise. La soluzione adeguata risulta dal fatto che gli esseri umani aggiungono qualcosa di perfettamente nuovo a circostanze determinate. Le scienze politiche sono quindi autonome nei confronti delle scienze naturali, poiché esse trattano questioni etiche (queste ultime non incontrano invece nessun’attenzione da parte delle scienze naturali) e una soluzione etica racchiude sempre un elemento creatore. L’azione politica si distingue dall’azione dell’ingegnere che sta, ad esempio, ricercando la soluzione di un problema tecnico. L’ingegnere ricorre soltanto a leggi naturali per risolvere situazioni corrispettive. Da un punto di vista tecnico, i migliori ponti risultano senza equivoco dalle condizioni materiali. ??? una differenza di principio. La percezione ci insegna che il funzionamento incontestabile del cervello è in ogni modo una condizione necessaria perché idee e giudizi morali possano accadere nella vita e nelle azioni umane. Ma questo non significa affatto che il pensiero sia, quanto al suo contenuto, riconducibile a processi interamente materiali del cervello. Par sentire un programma alla radio, mi occorre un apparecchio radio ricevente e ben funzionante. Ma questo non implica che il programma, quanto al suo contenuto, sia riconducibile al funzionamento dell’apparecchio radio. Bene al contrario: se seguiamo ad esempio una dimostrazione matematica mediante il pensiero, sono esclusivamente i puri contenuti delle riflessioni matematiche che ci permettono di progredire, da una tappa a quella successiva della dimostrazione. Questi contenuti di riflessione, in quanto tali non si lasciano mai ricondurre a un sistema meramente materiale. Per esempio, il senso di un pannello signaletico non si lascia dedurre dalle sue caratteristiche materiali. E il senso di una parola scritta sulla lavagna non si lascia mai ricondurre alle forma e configurazione d’insieme dei tratti di gesso. Dato che pannello signaletico e tratti di gesso possono venir subito collegati a un numero sterminato di significati, considerati quali sono, non conducono l’osservatore verso un’interpretazione determinata o un contenuto di pensiero definito. Un abitante del pianeta Marte non potrebbe mai inferire il senso di un pannello segnaletico partendo dall’analisi fisica e chimica di questo (una lastra metallica, dipinta in bianco con un bordo rosso). Nello stesso modo, l’aspetto di contenuto in una riflessione o idea, non può mai essere ricondotto a un sistema materiale interamente analizzato in seno al cervello. Il nostro Marziano non potrebbe nemmeno ricostruire dall’analisi fisica e chimica di un sistema cerebrale, i contenuti del pensare che il portatore di questo cervello sta avendo davanti agli occhi in quellll’istante, contenuto della propria coscienza. In questo contesto, non c’è nessuna differenza di principio tra il pannello signaletico e il cervello. Tre maniere di vedere l’essere umano e la democrazia La questione basilare – la questione di fondo della politica – è di sapere che cosa sia il “bene morale”. E tale domanda conduce a un paradosso straordinariamente interessante. Il concetto di “bene morale” diviene solo significativo se accettiamo che il bene oltrepassi il diletto dell’individuo. Non possiamo decidere arbitrariamente e semplicemente di ciò che noi caratterizziamo come rientrante o non nel campo del bene. Nel concetto “morale” si nasconde quindi un elemento sorpassante l’arbitrario individuale. Per dir il vero, la libertà individuale rimane un aspetto assai essenziale del concetto di “bene morale”. La libertà coinvolge nella possibilità di scegliere. Pertanto un’azione o una decisione può solo venire caratterizzata quale “moralmente buona” se essa radichi in fin dei conti nella libera possibi39 lità di scelta da parte dell’individuo. Che un’azione risalga, nell’istanza ultima, a una costrizione – quantunque sottile fosse anche la piega di questa – allora non si può più utilizzare le categorie del “bene” e del “male”. carlo, o ancora reprimere un eccesso di furore che sta per scoppiare in noi). Quale soggetti, invece, non possiamo mai opporci alla nostra solidarietà (per esempio col dolore dell’altro). Se vogliamo oggettivare la nostra solidarietà, la conserviamo nondimeno quale soggetto inviolabile. Non possiamo invero spaziare impassibilmente lo sguardo sulla nostra inclinazione rispetto agli altri. Quand’anche però tentiamo di farlo, dobbiamo allora generare uno spettro della nostra propensione verso essa, prescindendo dal fatto essenziale che si tratti della propria inclinazione. Se vogliamo raffigurarci realmente tale propensione o solidarietà, tenendo presente la circostanza che si tratta dell’inclinazione nostra, ne siamo allora ineluttabilmente colmati. Ciò non avviene quando, per esempio, vagliamo attentamente una delle nostre abitudini (compreso il fatto che si tratta di una nostra abitudine). La solidarietà è l’elemento da cui non possiamo prendere le distanze, ma con cui ci identifichiamo nell’intimo di noi stessi. Abbiamo un corpo, abitudini, un carattere; siamo la nostra solidarietà. Dunque l’elemento morale ha due aspetti. Sorpassa essenzialmente l’arbitrario individuale. ノ l’aspetto sopraindividuale dell’elemento morale. E questo può solo risultare dalla libertà stessa dell’individuo agente e da niente altro. ノ dunque l’aspetto individuale dell’elemento morale. Ambedue gli aspetti hanno un comportamento paradossale tra loro. In effetti, in che modo l’elemento morale può essere al tempo stesso individuale e sopraindividuale? A questo punto, giungiamo essenzialmente alla distinzione tra libertà e buon piacere. La libertà si differenzia dall’arbitrario mediante la solidarietà. Rinviamo alla propria individualità mediante la parola “Io”. Senza Io, non c’è libertà morale, nessuna distinzione tra bene e male e anche nessuna politica. Ma che cosa è veramente quest’individualità, a cui rinviamo ordinariamente tramite la parola “Io”? In ogni occasione, l’Io va distinto dal possesso suo. Ho un corpo, un sesso, una madrelingua. Sento piacere e dolore. Possiedo ricordi ed ambizione. Invece, la parola “Io” esprime propriamente che io non sono niente di tutto ciò, e che mi posso porre di fronte a tutti questi “possessi”, quale soggetto esterno ad essi. In primo luogo, la parola “Io” rinvia dunque ad un vuoto. Tale vacuità è identica per tutti gli uomini, e certo nella misura in cui due spazi vuoti possono essere identici. Qui, troviamo il fondamento obiettivo per il principio dell’uguaglianza di diritti, per l’uguaglianza davanti alla legge, che dovrebbe regnare tra gli uomini, nonostante la loro diversità. Gli esseri umani sono diversi, eppure gli esseri umani sono uguali. Intendiamo questo più chiaramente quando esaminiamo la forma più elementare d’apparire della solidarietà, cioè l’attenzione affettuosa. Di sua natura l’attenzione è una facoltà dello spirito umano che consiste nell’offrire all’altro uno spazio nella propria forza di rappresentazione. L’attenzione mira alla verità. Costituisce il primo grado dell’attività del pensare. L’attenzione amichevole offre non soltanto uno spazio per le impressioni dei sensi, ma anche per le idee e camminamenti ideali. Ci mettiamo in rapporto con l’altro, offrendogli dapprima l’attenzione affettuosa nostra. Non possiamo distaccarci dall’attenzione propria, data la natura stessa di questa. Di certo, possiamo dirigerla verso ogni sorta d’oggetti possibili – a anche verso qualità e natura della nostra stessa attenzione. Ma propriamente mediante l’azione nostra non siamo contemporaneamente separati dall’attenzione. L’attenzione nostra possiede assolutamente l’attitudine alla riflessione (essa può riportarsi a se stessa), ma non siamo in grado di oggettivarla, nello stesso modo in cui oggettiviamo i nostri tratti di carattere. Possiamo portare attenzione alla pigrizia propria, senza essere nell’istante stesso pigri. Ma non possiamo prestare attenzione all’attenzione nostra senza simultaneamente venir abbandonati a quest’attenzione. La nostra pigrizia, è qualcosa che possediamo; ma in un senso profondo e fondamentale, l’attenzione portata è una forma di manifestazione della nostra natura stessa. Quando portiamo attenzione ad una cosa, siamo allo stesso tempo questa stessa attenzione. E l’attenzione è solidarietà. A dire il vero, non si tratta di un nulla assoluto per l’Io. L’Io umano è in effetti una vacuità piena d’attesa, dottata di potenza creativa – è la vacuità della volontà morale, prima che questa volontà abbia fatto nascere una decisione morale. Sonnechia nella vacuità dell’Io una facoltà non ancora differenziata verso la solidarietà. L’Io umano non è niente altro che forma del sorgere della solidarietà nel mondo. E precisamente tale solidarietà fa la differenza tra libertà e arbitrario. Senza solidarietà, io sono tanto libero quanto un astronauta che, essendo isolato e fragile nello spazio, sta girando attorno al proprio centro gravitazionale. Può assolutamente effettuare moti arbitrari, ma non può mai influire sulla posizione del proprio centro di gravità rispetto ad altri oggetti, poiché ha smarrito ogni nesso col mondo esterno. Se non stabilirò legami con gli altri, il sublimissimo atto non mi toccherà mai intimamente e mi lascerà indifferente. Senza solidarietà non posseggo libertà di cambiamenti. Solo mediante l’insieme dei legami contrattati con gli altri mi trasformo attraverso la mia condotta. Il carattere paradossale dell’elemento morale viene sciolto nella solidarietà. Da un lato, io sono la mia solidarietà. Questa è sovraindividuale e può esclusivamente derivare da un individuo. Dall’altro tuttavía, la mia solidarietà è sempre quella che esiste con un altro. Senza l’altro non può esistere la mia solidarietà. In questo senso le sono debitore dell’esistenza mia e, certamente, ad ogni momento in un modo rinnovato. Solidarietà e calore morale possono durare soltanto tra esseri umani. La società propriamente detta non è lo Stato o l’insieme delle strutture e unità sociali. La vera società è la rete di solidarietà e indifferenza, di calore e freddo morali, tra gli esseri umani. Non è facile, rispetto alla solidarietà, sviluppare un concetto preciso, poiché non incontriamo nessuna realtà nel mondo materiale (da cui traiamo la maggiore parte dei concetti), che possegga al tempo stesso un carattere d’oggetto e un carattere di relazione. L’uomo è libero da ogni legame solo quale essere. Si potrebbe dire che è la solidarietà, o il calore morale sviluppato tra gli uomini singolari, a seconda del caso, a fare sí che nasca l’elemento morale nel mondo. Perché fuori dall’essere umano solidario, non c’è morale in nessuno luogo nel mondo. L’uomo viene rinviato in comune con tale solidarietà all’intimo della propria essenza. Possiamo, quali soggetti, non soltanto opporci al mondo esterno, ma anche al proprio corpo, alle nostre abitudini, e perfino al nostro carattere (possiamo, ad esempio, tentare di sminuire un tratto di questo o modifi- Da questo esame del carattere doppio di morale e solidarietà si succedono tre modi d’esaminare la democrazia: 40 •Quello che pone prima di tutto l’aspetto sopraindividuale al centro e trascura l’aspetto individuale, inclina cosí verso una forma ristretta di democrazia. Benjamin Barber (1997) abbozza questi “comunitaristi” incarnandola del modo seguente: “Dato che partono dal fatto che gli esseri umani stanno incatenati insieme in una rete di comunità e relazioni che prendono la precedenza sulla loro individualità e condizionandola, i comunitaristi non considerano la società civile come un campo sportivo per gli individui, i loro legami arbitrari e le loro strutture organizzative contrattuali, ma la considerano come un miscuglio complesso di rapporti sociali inevitabili, ricolleganti gli uomini in famiglie, stirpi, vicinanze, comunità e gerarchie.” In questa visione comunitarista, l’elemento morale viene considerato come imposto dall’alto. Si sceglie una forma statale sussidiaria, con tutt’al più forme rappresentative di democrazia e un vastissimo margine di manovra per l’élite dirigente. Tale élite deve poi “educare” il popolo. Organizzazioni e associazzioni vi vengono prima pensate come strumenti attaverso e mediante cui l’élite può controllare, pilotare ed “educare” il popolo con circospezione. •Quello che si concentra solamente sull’aspetto individuale dell’elemento morale e per cui gli sfugge la relazione reciproca tra gli esseri umani, ovvero la rissente qual appena segnata. Barber (1997) caratterizza tal modello “libertario” nella maniera seguente: “... in materia di relazioni sociali, sia nella sfera privata stessa, sia tra la sfera privata e le autorità, si tratta di legami contrattuali conclusi da individui liberi per proteggere i loro interessi e beni, nonché la difesa delle loro libertà. (...) Dato che questo modello si volge al consumatore autonomo, individuale e egoistico, che si barrica dietro ai suoi diritti e si arrischia ad uscire poi fuori soltanto quando può aver pretensioni sui risultati dello Stato, il quale assomiglia per lui a un’impresa di servizi, questo tipo può raffigurare il modello liberale di una società civile solo in forma rudimentale di relazioni sociali superficialmente strumentali. La concezione della libertà, conformemente a tale modello è di tipo iperindividualistico: negativo e d’opposizione. Essa non può corrispondere al desiderio di formazione comunitaria e solidaria che sta impadronendosi dei popoli moderni di società postindustriali mobili.” Da questo punto di vista, cosidetto “libertario”, si arriva senz’altro a rappresentazioni di democrazia diretta del tipo “telecomandato”, con votazione televisiva e altre cose del genere. L’opinione personale dell’individuo atomizzato fluisce poi direttamente nella risoluzione, senza che possano elaborarsi in seno alla società stessa rappresentazioni comuni. •Barber (1997) parla in favore di una “forte democrazia”: “Nella prospettiva di forte democrazia, i cittadini vengono considerati quali partecipanti della società civile in quanto membri di comunità e gruppi attivi, responsabili e impegnati. (...) I cittadini (...) concepiscono che la democrazia sia precisamente la forma statale in cui, non politici o burocrati, ma il popolo stesso provvisto dalla potenza sovrana sua, frutti le sue disposizioni legali per vivificare lo spazio delle sue libertà. Qui, la libertà porta con essa tanto dovere e responsabilità sociale quant’impegno civile e diritto delle persone morali. In questa forma statale, diritti e responsabilità sono entrambi gli aspetti di un’identità cittadina, che non appartiene né ai burocrati, né ai consumatori privati, ma unicamente e solamente ai cittadini stessi.” tuamente e in un modo organico democrazia diretta radicale e federalismo radicale. L’aspetto sovraindividuale vive naturalmente e pienamente la sua vita tra gli esseri umani. Non può venir introdotto dall’alto in una società democratica – né da un re, né da un presidente o da un gruppo di capi di partiti. Sorge dalla discussione come dalle frequentazioni coltivate dagli esseri umani tra loro, che non si oppongono gli uni agli altri, in termine d’individui atomizzati, ma che si sono raggiunti in un modo federale in seno a una rete sociale. In forte democrazia, gli esseri umani si ascoltano, dibattiti sociali hanno luogo e vi si corregono mutuamente. La decisione propriamente detta, però, l’istante del voto stesso, rimane faccenda individuale. Poiché in fin dei conti, il voto deve risultare dalla migliore conoscenza e dalla migliore consapevolezza morale, giacché solo indidui possiedono prima di tutto comprensione e coscienza morale per questo. Qui poggia il polo individuale della dimensione morale e della solidarietà. Perché solo la democrazia diretta permette un giudizio individuale. Siccome in una società federale, questo precede lo sviluppo comune delle rappresentazioni, esso può anche andare al di là dei limiti e parzialità inerenti gli individui singolari. Maslow – una teoria fenomenologica della motivazione Dobbiamo ancora esaminare se l’essere umano, durante il processo decisionale democratico, prende effettivamente in conto gli interessi della comunità. Quali motivazioni stanno, in effetti, dietro gli atti dell’essere umano e, con questo, anche dietro le decisione politiche? Per farcene un idea, noi riporteremo all’influente teoria della motivazione di Abraham Maslow (Maslow, 1943a). Secondo Maslow, nell’essere umano cozziamo contro una piramide di esigenze e bisogni. Finché un bisogno fondamentale non venga soddisfatto, la motivazione verrà determinata da questo bisogno e altri bisogni non conteranno o appena. Maslow distingue due sorte di bisogni: le necessità fondamentali, che vengono soddisfatte dall’esterno, nonché i bisogni d’autorealizzazione (ovvero “metabisogni”) che vengono soddisfatti in base all’attività interna. Necessità fondamentali s’impongono dapprima. Solo quando esse sono largamente soddifatte, il bisogno di realizzazione di sé (autorealizzazione) diviene una motivazione principale. Maslow prende in conto i bisogni fondamentali seguenti: I bisogni corporei Il bisogno di cibo, d’aria, etc.. “Un uomo affamato all’estremo s’interessa unicamente al vitto. Sogna il cibo, se lo raffigura senza tregua davanti a lui, ne ha la mente abitata, s’irrita a proposito di esso, vede e anela esclusivamente al nutrimento.” (Originale: Maslow 1943a, p.374). Finché questi bisogni non vengano soddisfatti, essi domineranno sempre la motivazione umana. Nel momento in cui vengono sodisfatti, fosse una volta sola, sorgono altri bisogni: “Che succede ai desideri di un essere umano, quando lui ha abbastanza pane e lo stomaco suo si è riempito? Subito spuntano altri bisogni (più elevati) e si mettono a dominare ora l’organismo al posto della fame corporea. E quando questi si sono compiti a loro volta, altri ancora sorgono (encora più elevati). ノ questo che vogliamo dire quando affermiamo che i bisogni umani vengano gerarchizzati di un certo modo.” (Originale: Baslow 1943a, p.375). Chi integra i due poli dell’elemento morale (individuale e sovraindividuale), avendoli aquilibrati e giustificati in diritto, giunge finalmente a un processo di formazione collettiva di rappresentazioni, seguito da decisione individuale. Una volta in più, possiamo veder qui quanto si completano mu41 Il bisogno di sicurezza cante se non viene acquisto nell’atmosfera di una vita sociale degnamente umana. La necessità di conoscenza e comprensione deve però essere considerata quale fondamentale, poiché l’essere umano deve indirizzarsi verso l’esterno per poter soddifarla (mentre il bisogno di attuazione di sé, verrà invece soddifatto da una produttività interna – si vede qui sotto). Si potrebbe affermare ugualmente che conoscenza e comprensione andrebbero raggiunte in una certa estensione, prima di poter arrivare all’autorealizzazione. In questo senso, il bisogno di sapere e capire precede in ogni modo quello della realizzazione di sé. Le necessità corporee si referiscono a bisogni immediati. L’essere tormentato dalla fame e dalla sete, non si fà nessuna idea sul proprio futuro. Vuole puramente mangiare e bere. Appena questa necessità pressante del cibo è appagata, spunta la preoccupazione delle provviste per l’avenire. Nasce dunque un bisogno d’approvvigionamento garantito in cibo, di un tetto permanente sulla testa, di una protezione dal freddo e da altri pericoli o minacce. Siamo interessati alla nostra vita e ci occore per questo una certa garanzia di sicurezza. Necessità corporee sono encora collegate ad una situazione concreta. Il bisogno di sicurezza invece concerne il nostro futuro ulteriore. Questo bisogno racchiude la necessità di regolarità e del ritmo preciso nonché l’assenza di pericoli minaccianti la nostra vita. Secondo Maslow (1943a), i bambini hanno particolarmente bisogno di un modello d’esistenza sviluppandosi con regolatezza, in cui possono sentirsi in sicurezza e protetti. Il metabisogno – o bisogno del attuarsi Una tesi centrale di Maslow avanza: ogni talento è anche un bisogno e certo un bisogno di realizzazione di questo talento. L’uomo normalmente sviluppato non rimane invischiato negli ultimi bisogni fondamentali, quali quelli d’appartenanza e d’acquisire conoscenze. Quando questi sono stati abbastanza soddisfatti, un nuovo bisogno sorge: il desiderio di precisare i propri talenti e doni. Questa nuova necessità si distingue fondamentalmente dalle precedenti, poiché non può venir soddisfatta dall’esterno, ma soltanto dall’attività interiore propria. Per questo, Maslow parla qui di metabisogno. La linea di demarcazione tra questo metabisogno e i bisogni fondamentali andanti soddisfatti dal mondo esterno, coincide con la linea separativa tra motivazione intrinseca e motivazione estrinseca. [si vede finestre 3-1 e 3-2]. Nell’istante in cui il metabisogno diventa un bisogno principale, l’essere umano si manifesta pienamente e perfettamente quale essere relazionale. Il rapporto col mondo esterno viene per cosí dire “rimboccato”. Finché i bisogni fondamentali appaiono cause di motivazione, il mondo esterno rappresenta un mezzo per soddisfare i propri bisogni. Ma appena il metabisogno si evolve in bisogno principale, diventa esso stesso un mezzo per andare incontro ai bisogni del mondo esterno. Mentre l’Io fa nascere gli elementi propri dai bisogni fondamentali (corporeità, sentimenti), i metabisogni crescono dalla solidarietà che si fa viva nell’Io. Il bisogno di relazioni sociali Quando necessità corporee e bisogno di sicurrezza sono soddisfatti, sorge il complesso di necessità seguente, cioè il bisogno d’amore e di simpatia cosí come di solidarietà (...) L’essere umano risente, ora più chiaramente che mai, l’assenza eventuale d’amici, di un partner amoroso, di sposo o sposa o di figli. Si augurebbe di stabilire relazioni d’amore con altri, vorrebbe aver il suo posto in seno a un gruppo e vi anela con tutte le sue energie.” (Originale: Maslow 1943a, p.381). Un aspetto importante, secondo Maslow, è che si tratta tanto di provare simpatia quanto di ricevere testimonianze di simpatia. Sul piano della coscienza immediata, dove sta il mondo dei nostri sentimenti, l’esperienza dell’indifferenza gioca lo stesso ruolo che la fame gioca sul piano corporeo. Bisogna notare a questo proposito che Maslow non consideri il bisogno sessuale quale elementare. Qui bisogni fisiologici e affettivi possono apparire a seconda delle circostanze diverse quali motivi. Il bisogno d’appartenanza sociale e di considerazione Il bisogno d’attuazione di sé non deve essere compreso nel senso edonistico. Non si tratta di una disposizione egoistica assola, ma di un bisogno di senso, che può solo essere trovato nel servizio ad altri. Il metabisogno è la necessità di dare un senso. Non si può rispondere in modo affermativo o negativo alla questione di sapere se l’esistenza abbia un senso sul semplice piano intellettuale. Il senso nasce dal servizio esistenziale reso ad altri, all’occasione di cui questo servizio viene vissuto come affare e produzione-realizzazione altamente personali. Un uomo politico, un artista , un carpentiere o un cassiere, che sono stati motivati dal bisogno di attuarsi, scoprono nel cuore di tal impulso ogni volta il concetto di servizio reso ad altri. Questa stimolazione interna, del fare servizio, è una parte essenziale dell’essere umano, e nella misura in cui tale stimolazione viene trasposta in atto, l’essere umano si procura il senso dell’esistere proprio. Questo dipende naturalmente assai strettamente dal precedente, ma si distingue dall’esigenza di continuità. L’essere umano desidera pranzare, ma vuole anche una garanzia d’approvvigionamento in cibo (bisogno di sicurezza). Gli occorrono anche contatti affettivi diretti (bisogno di relazioni sociali) e parimenti d’appartenanza sociale, che gli garantiscano di poter vivere nella solidarietà con altri nel futuro. Il bisogno di conoscenza e comprensione Afferma Maslow: “l’esigenza del sapere e del capire (..) costituisce parimenti un bisogno della personalità cosí come bisogni fondamentali già repertoriati.” (Originale: Maslow 1943a, p.385). Si può sovente osservare che l’aspirazione a soddisfare questi bisogni viene proseguita nonostante costi e rischi immensi. Maslow non dice chiaramente, per dire il vero, quale posto concreto questo bisogno assuma nella gerarchia citata. Nel suo articolo dell’anno 1943, commentò in dettaglio il bisogno di conoscenza e comprensione e sottolineò che si trattasse di un bisogno fondamentale. Quanto all’ordine preso da un tale bisogno nella gerarchia, lui rimase vago. Secondo noi, bisogna naturalmente concepirlo come il quinto bisogno fondamentale. Questo appare nell’intensità sua solo dal momento in cui i bisogni di relazioni sociali e d’appartenanza sociale vengono per lo meno parzialmente soddisfatti. Ogni sapere viene vissuto come vuoto e insignifi- Compimento Negli esseri umani che si sono potuti evolvere in un modo ampio ed equilibrato, una sorta di compimento è apparso nei confronti dei bisogni basilari. “Ciò vuol dire che un essere umano, le quali necessità fondamentali sono state appagate, non ha più bisogno d’allogio, di sicurezza, di relazione sociale, ecc. (...) Se ci interessiamo adesso a quello che ci motiva davvero, e non a ciò che ci ha motivato, e che ci motiverà o che potrebbe magari motivarci, un bisogno soddisfatto non 42 può più valere come causa di motivazione. Poiché da un punto di vista pratico, tale bisogno cessa in vero di esistere – è scomparso. Si deve sottolineare quest’aspetto poiché in tutte le teorie della motivazione che io conosco, esso viene ignorato e contestato. L’essere umano perfettamente sano, normale e felice, non ha pulsioni sessuali o alimentari, se del caso, di sicurezza, relazioni sociali, di prestigio o d’amor proprio, tranne in brevi momenti che rapidamente svaniscono. (...) Un uomo sano, se posso formularlo cosí, viene motivato in primo luogo dal fatto che vuole esaurire e realizzare il più liberamente le sue capacità e doni. Se un essere umano continua ad avere attivamente altri bisogni, è del tutto perché non è sano.” (Originale: Maslow 1943a, pp.393-394). Un elemento importante della teoria della motivazione di Maslow, è l’accertamento che i bisogni basilari possono del tutto venire colmati. Questi bisogni non sono inesauribili. Se si spinge il ragionamento oltre, ciò vuol dire che una riflessione sui bisogni fondamentali deve risultare negativa. Perché si tratta invero di una cancellazione di mancanze e disaccordi e non del compimento d’esigenze illimitate dell’homo aeconomicus. Se queste esigenze sono cancellate, succede un capovolgimento e i metabisogni divengono dunque i veri mobili dell’azione. Il compimento di un bisogno basilare dovrebbe venire chiaramente distinto dalla presa in conto di un bisogno occasionale. Ogni uomo, ad esempio, deve mangiare ogni giorno. Ma appena è garantito l’approvvigiamento in cibo, la fame non è più motivazione decisiva. Se il bisogno in cibo e bevanda viene durevolmente soddisfatto, viene anche compiuta la motivazione fondamentale del mangiare e del bere. Non sorge più questo bisogno quale motivazione basilare, nemmeno quando va colmato ogni tanto. Si potrebbe anche dire che i bisogni fondamentali giochino soltanto un ruolo di motivazione derivata. L’essere umano anela assolutamente alla sicurezza e all’acquisire del sapere. Ma, in fondo, questo avviene nel contesto di un bisogno sentito più intimamente e essenzialmente quale realizzazione delle disposizioni proprie ad un essere di relazioni. A seconda di Maslow si scopra il fondo della personalità autoritaria in una concezione precisa dell’essere umano e del mondo. “... Come numerose persone psichicamente esitanti, l’uomo autoritario vive in un cosmo che si raffigura in una sorta di giungla, dove gli uomini si combattono. Perciò il mondo intero diventa per lui un luogo pericolo, minacciante, per lo meno problematico. In questa concezione del mondo, gli uomini sono in primo luogo egoistici e malvagi o ignoranti. L’analogia ci lascia pensare più in là. Tale giungla viene anche popolata da animali che divorano o vengono divorati, che temono o vengono disprezzati. La padronanza dipende dalla forza e la forza consiste soprattutto nella capacità a dominare. Quando qualcuno non è abbastanza forte gli rimane l’alternativa di cercare un protettore potente. Se quest’ultimo è abbastanza forte, può pertanto affidarsi a lui, e un sorta di pace diventa possibile per l’individuo. (...) Con l’accettazione di questo concepimento, l’azione dell’uomo autoritario s’avvera logica e comprensibile. (...) Se, per l’individuo, il mondo è davvero un tipo di giungla, ostilità e angosce da parte dell’essere autoritario diventano perfettamente giustificate. E dunque, per dirla puramente così, se il mondo non è una giungla, e gli uomini non sono infinamente malvagi ed egoisti o egocentrici, si può affermare che la personalità autoritaria ha torto.” (Originale: Maslow, 1943b, 1973, p.141). Invero Maslow è dell’avviso che pochi uomini (sopratutto psicopatici segnati) corrispondono veramente al concepimento dell’esere umano dotato da una personalità autoritaria. Il carattere autoritario secondo Maslow Secondo Maslow, una serie di bisogni vengono già compiuti dagli anni primi della vita. Un fatto determinante, per lui, fu di contastare che certi uomini, una volta adulti, sembravano motivati essenzialmente dal desiderio di autoattuarsi, anche se questo venisse accompagnato da mancanze gravi nel campo dei loro bisogni fondamentali. Si tratta qui palesemente di un’eccezione nel succeder gerarchico a seconda di cui necessità sorgono quali cause motivanti: “La più importante eccezione sorge poi forse quando ideali, norme o valori sociali superiori ad altri, entrano in gioco. Indirizzati da tali valori, gli uomini possono diventare martiri. In alcune circostanze, rinunciano a tutto per un ideale o un valore. Esseri umani i cui bisogni fondamentali sono stati soddisfatti nella loro vita – in particolare nei primi anni di vita –, sviluppano palesemente una capacità singolare di resistere alle privazioni basilari, semplicemente perché in base a tale soddisfazione, hanno svolto una struttura di carattere forte e sana. Si tratta allora di esseri umani “forti”, che possono facilmente sopportare divergenze di opinioni ed opposizioni, difendendo sempre la verità, nonostante le ampie conseguenze personali che questo cagioni per loro. Donne e uomini che hanno potuto amare, e sono stati amati, o hanno coltivato amicizie profonde, sono resistere meglio in situazioni d’odio, di rigetto e di persecuzione. (...) ノ verosimile che la realizzazione dei bisogni nei primi anni due della vita sia la più importante. Esseri umani che hanno potuto acquisire padronanza e forze di sé, nei primi due anni, rivelano in seguito la tendenza a far fronte alle minacce con sicurezza e forza.” (Originale: Maslow 1943a, p.388). Maslow caratterizza la diversità tra la “personalità autoritaria” e la “personalità democratica”, nel modo seguente: •La personalità autoritaria preferisce la gerarchia. “Gli uomini vengono ordinati secondo una scala verticale. Vengono spartiti in due gruppi: quelli che si trovano più in alto sulla scala rispetto al soggetto, e quelli che si trovano più in basso. La personalità democratica inclina al contrario a non considerare gli uomini come migliori o peggiori, ma come diversi. Quindi è pronta a concedergli più spazio per preferenze e desideri propri, per loro scopi cosí come per la loro autonomia personale (finché essa non nuoce ad altri). Inoltre, la personalità democratica ha più simpatia che antipatia verso l’essere umano in genere. Parte dal principio che essi – quando ne hanno l’opportunità – si mostrano piuttosto buoni che malvagi.” (Originale: Maslow, 1943b, 1973 p.142). •La personalità autoritaria inclina a generalizzare in termini di “valorizzazione superiore” e “valorizzazione inferiore”. Il più forte viene considerato il superiore in tutti i campi. Nella forma assurdissima, incontriamo tale atteggiamento nel culto attorno a dittatori come Mao, o se del caso, Kim Il Sung. Tramite la propaganda tali persone diventano sempre più competenti, capipopoli, scrittori, artisti, scienziati prominenti. Questo genere di culto della personalità si Da sé, l’essere umano in via di realizzazione viene a un rovesciamento della piramide dei bisogni: ciò che si manifesta per ultimo nella successione dei bisogni, prende il primo posto. Ciò che stava dapprima in alto della piramide forma ora la sua base nuova. In questo punto di vista, ci si viene dunque a un “capovolgimento” di bisogni fondamentali in metabisogni [Si vede 4-1]. 43 accompagna della tendenza degli uomini autoritariamente predisposti a generalizzare le cose. L’individuo democraticamente impegnato non dispone di tale inclinazione a generalizzare, ma considera solo i termini di superiorità e inferiorità nei campi funzionali, cosí come in relazione alla capacità di padroneggiare i compiti di modo efficace. •La personalità autoritaria rivela una forte brama di potere (dato che il potere è assolutamente essenziale per sopravvivere nella giungla). Invece, la personalità democratica cerca piuttosto le forze che il potere. •La personalità autoritaria fa prova di una forte tendenza a vedere gli altri “quali strumenti e mezzi, per raggiungere scopi propri, cioè pedine sulla scacchiera od oggetti utili” (Originale: Maslow, 1943b, 1973, p.145). A questo punto incontriamo un’altra ragione per comprendere il perché personalità autoritarie si esprimono spesso contro la democrazia diretta. cosa. (...) Quegli individui costituscono veramente una élite e si ricercano amici in seno ai membri di quest’élite. Ma non si tratta di un’élite nella sfera del carattere, quella delle capacità e talenti, nemmeno in base alla nascita, la razza, il nome, la famiglia, l’età, la gioventù, la fama, o il potere. Ciò che, al tempo stesso, risulta assai profondamente qualora meno concepibile, è questo atteggiamento fondamentale molto difficile realizzare, cioè, l’atteggiamento di rispetto naturale verso ogni essere umano solo perché è un essere umano...” (Originale: Maslow 1950, 1973, p.193 e seg.). Maslow considera dunque “l’essere umano autoattuantesi” come essenzialmente un essere democratico. Nella presa decisionale autoritaria, si tratta invece di un atteggiamento proveniente dall’incompiutezza dei bisogni fondamentali. La caraterizzazione di Maslow tra personalità democratica e quella autoritaria coincide colla distinzione di Putnam tra senso civico (“civicness”) e “centrismo familiare amorale”. Un elemento importante, di cui parla sempre Maslow, è l’inclinazione delle persone autoritarie a reinterpretare in un modo autoritario punti di vista diametralmente opposti alla filosofia della giungla. Maslow cita un esempio: “l’ideale cristiano che venne corrotto e pervertito, da Chiese varie e organizzazioni, nel suo contrario.” (Originale: Maslow, 1943b, 1973, p.147). ??? notevole constare che tanti gli uomini quante le società delle due tipi rispettivi si mantengono palesemente se stessi, perfino si rinforzano. Senso civico e democrazia producono più senso civico e più democrazia. Al contrario, secondo Maslow, la personalità autoritaria influisce la società nel senso non-democratico. Configura dunque la società all’imagine sua che difende, cioè raffigurazione alla stregua di “giungla”, secondo cui il più forte sfrutta i più deboli senz’impaccio. Motivazione intima ed atteggiamento democratico Maslow ha anche investigato ciò che lui stesso chiama: “l’essere umano che si realizza”. Si tratta di uomini e donne, la cui azione quotidiana e la cui vita dei sentimenti non vengono più dominate da bisogni fondamentali insoddisfatti. Personalità autoattuantesi operano da motivazioni assai profonde e forti: “Cosí come un albero ha bisogno di luce solare, d’acqua e di nutrimenti, la stragrande parte degli esseri umano hanno bisogno d’amore, di sicurezza e delle altre necessità puramente soddisfatte dall’esterno. Ma appena queste sono colmate a sufficienza, la mancanza interna cancellata dall’esterno, allora inizia solo la questione vera e propria dello sviluppo dell’essere umano, ossia quella dell’autoattuazione.” (Originale: Maslow 1950, 1973, p.188). Aristotele sulla felicità Né la democrazia, né l’attività economica non sono fine per sé. Esse lo sono soltanto nella misura in cui esse giovano a felicità e benessere umani. Una buona politica non può di certo rendere felici gli uomini, ma per dir il vero, essa ha il dovere di cancellare gli ostacoli sociali che impediscono la felicità di nascere. Ma la domanda si pone: che cosa è la felicità? Aristotele fornì una delle risposte più antiche a tale domanda nella sua Etica Nicomachea. Si tratta di una opera sua di una minuziosa compiutezza nel campo dell’etica. Il primo libro si preoccupa già della questione della felicità. Aristotele commincia al constatare che gli uomini agiscono nei modi più disparati i quali proseguono scopi assai svariati. Una cura mira la guarigione, ad esempio, il lavoro di un sellaio mira a fare una sella, e cosí via. Mire immediate sono da parte loro assai diverse, ovvero subordinate ad altri scopi superiori. Il sellaio crea la sella dalla stessa ragione superiore di quella dell’allevatore di cavalli sta lavorando: ambedue essi vogliono permettere di cavalcare. Ma perché gli uomini si sforzano di cavalcare? Aristotele si domanda se non ci sia una meta superiore, ultima, dietro quegli scopi intermediari. C’è qualcosa verso cui ci sforziamo, in quanto è bene per sé? Tale ultima motivazione, Aristotele la caratterizza quale felicità. Non si sforza mai di procurarsi denaro e ricchezza per amore di essi, ma perché partiamo dal principio ch’essi rendono felici. La felicità per sé, invece, è una mèta per cui ci vuole nessuna giustificazione. Una delle caratteristiche più sorprendenti che Maslow mette in rilievo in questo tipo umano, è la sua “struttura di natura democratica”: “L’insieme dei soggetti possono essere caratterizzati nel senso lato come esseri umani democratici. (...) Essi dimostrano tutte le caratteristiche esterne naturalmente democratiche. Praticano naturalmente l’amicizia e l’esercitano rispetto a tutte le persone che non palesano caratteri patologici, e certo indipendentemente dalle nozioni di classe, mestieri, convinzioni politiche, razze o colore della pelle. Queste diversità, a cui altri accordano tanta importanza, loro non le notano affatto. Ma non si accontentano di questa qualità che colpisce, sulle prime. Il senso democratico di queste persone si estese in profondità. Possono apprendere da ognuno capace portargli qualcosa, ad esempio, non vi ricercano gli onori esterni, lo statuto di rispetto fondato sulla considerazione relativa all’età o altra. Sono caratterizzati da un certo tipo di riserbo ed umilità. Sono certamente consci dal loro valore, ma non fanno prova di nessuna modestia servile o calcolata. Tuttavia sono perfettamente in chiaro per quanto concerne la debolezza del loro sapere nei confronti della totalità delle conoscenze, ovvero rispetto a quella degli altri. Per questo, possono senza tregua fare prova di rispetto e attenzione per chi gli comunichi conoscenze nuove o altra destrezza in ogni In che cosa consiste tale felicità? Per scoprirlo, Aristotele andò in cerca dell’essenza dell’essere umano, di ciò che lo distingue dall’animale e dalla pianta. La felicità consiste in quest’atto, che sta in accordo coll’essenza propria dell’uomo e quindi, non bisogna perciò domandarne qualche altra ra44 gione. E giacché l’essere umano è veramente un essere sociale e morale, Aristotele giunge a questa definizione della felicità che è “un atto determinato dall’anima in accordo con la virtù”. In un senso più profondo, atti virtuosi, svolgentisi di un qualsiasi modo in disponibilità ad essere servizievoli rispetto agli altri, sono gradevoli di per sé. La nostra solidarietà efficiente è la felicità nostra. Questo concepimento di Aristotele concorda con la teoria di Maslow sui metabisogni: la felicità dell’essere umano compiuto consiste nella disposizione a essere servizievole, o se del caso, la “virtù”. il non-compimento dei bisogni fondamentali conduce à un fissare sulla soddisfazione loro, mentre allo stesso tempo, il “rimboccato” verso la soddisfazione dei metabisogni non è presente. Dall’altro, c’è il fatto che il male esiste. Maslow parla in questo contesto di “complesso di Giona”: il persistere volontario nei bisogni fondamentali e la rinuncia cosciente ai metabisogni quali motivi dell’azione nostra. Per lui, questo rappresenta in fondo, il male. Aristotele, anche lui, conosce il male: “Sembra esserci (nell’essere umano) ancora un altro elemento che per essenza sua stia oltre alla ragione, e si oppone a questa. Poiché coll’anima, ci va dello stesso modo delle membra paralizzate che si vuole spostare verso destra e che tuttavia si spostano verso sinistra: la pulsione dell’essere umano che non sa padroneggiarsi, s’indirizza verso la direzione opposta. Mentre vediamo al livello corporale ciò che si sposta falsamente, non possiamo scorgerlo al livello dell’anima. Senza nessun dubbio, dobbiamo prendere le mosse dall’accertamento che anche nell’anima c’è ancora un altra cosa che esiste fuori dalla ragione e sta combattendola e resistendole. Ma Aristotele sa anche che molti difendano un altro concetto, ossia lo stesso uomo in situazioni diverse può difendere concetti diversi. Aristotele conobbe bene l’importanza di ciò che Maslow caratterizza precisamente come “bisogno fondamentale”: Eppure la felicità ha bisogno (...) palesemente delle cose esterne. Poiché è impossibile, o se del caso complicato, fare atti buoni senza il mezzo richiesto. Molti atti sono realizzati col sostegno di altri, l’appoggio della ricchezza o del potere politico. E ci sono certe cose che nocciono alla felicità, quando esse ci mancano, ad esempio, la buona nascita, bambini eccellenti, e la bellezza (...) La felicità ha dunque palesemente bisogno in oltre – come abbiamo detto – di un tale benessere. Perciò gli uni collocano la felicità allo stesso piano dell’agiatezza, mentre gli altri l’identificano con la virtù. サ La realtà del male esige il coraggio politico. In genere, quando si accosta alla questione del “coraggio politico”, si pensa di solito a una situazione in cui “misure impopolari” vanno prese all’incontro della volontà popolare. Non si tratta lí, per dire così, di corraggio, ma in vero di un cattivo uso non-democratico del potere. Che non è fare prova di coraggio, ma di viltà, nello schivare la confrontazione con una idea che si presenta per sé quale falsa o negativa. Tali idee si lasciano combattere solo in seno al dibattito democratico aperto, o se del caso, in una confrontazione d’idee. Chi vuole uscire da questo confronto con successo, col ricorso al putsch, rinforza a medio termine puramente e semplicemente le forze malvagie nella società. Perché una cultura politica in cui il golpe de l’uno sull’altro viene accettato, costituisce il biotopo naturale del male. Il coraggio politico propriamente detto non consiste nel combattere idee false o negative mediante il golpo violento, ma mediante la confrontazione delle idee. Chi possiede il coraggio politico apprende a conoscere il male, ma non se ne lascia spaventare. Il coraggio politico anela – contrariando il male – a una società in cui l’esigenza umana per forte democrazia e solidarietà di fatto, viene soddisfatta. Nella terminologia di Maslow, si potrebbe formulare il concepimento di Aristotele del modo seguente: Finché i bisogni basilari rimangono incompiuti, la gioia che nasce dalla soddisfazione di questi può solo venire provata senz’altro quale ersatz della felicità propriamente detta, che trae l’origine sua dai metabisogni, cioè dal desiderio di solidarietà. Secondo Aristotele però la felicità non risulta dal compimento dei bisogni fondamentali. Un ampia soddisfazione di questi è certa una condizione necessaria, ma non sufficiente. L’essere umano ha anche un metabisogno verso un comportamento morale e anela al bene. Al livello generale della società, ciò vuole dire che gli occorre democrazia. Che in questo campo deve anche essere in grado di sforzarsi alla “bellezza per se stessa” [si vede 4-2]. Franck (1997) nota, a buon diritto, che la maggiore parte degli uomini preferirebbero meglio essere un Socrate insoddisfatto piuttosto che un maiale perfettamente sazio e contento. Il porco non conosce la felicità, perché non può anelare サ al bene. Di contro, conosce senz’altro il godimento dello stato di sazietà perfetta. Nel 1954, Olds e Milner scoprirono che la stimolazione di certe regioni della corteccia nel topo produce palesemente un senso di godimento intenso. Topi, a cui viene concesso la possibilità di creare tale stimolo, perdono ogni interesse all’ambiente circostante. Ng (1997) sostiene che noi dovremo fare un balzo sostanziale in avanti nella questione della “felicità per tutti”, se offriremo agli uomini la possibilità tecnica di un tale stimolo continuo della corteccia. Tale creazione massiva della “felicità” fosse stata a buon mercato e del tutto non inquinante. C’è solo un intoppo: in un grado assai meno ampio di quello che la pubblicità vuole spesso lasciarci credere, la felicità umana non ha soltanto a che fare con tale forma di godimento garantito. La felicità non è la stessa cosa del godimento. Essere felici, questo vuole dire essere creativi e potere servire. La questione di Franck e Ng indica chiaramente che Aristotele ha perfettamente ragione con la concezione sua della felicità, tanta idealistica e utopistica quanta possa sembrare di prima vista. Democrazia e felicità La felicità viene anche indagata di modo quantitivo. Frey e Stutzer (2002) danno una buona vista d’insieme sulle conoscenze più importanti che se ne possono ricavare. La felicità si lascia naturalemente misurare, interrogando ad esempio la gente a proposito della maniera in cui si sente felice. Sondaggi, in cui le persone interrogate descrivono il loro sentimento generale della felicità su una scala che si estende da veramente infelice サ a perfettamente felice サ, forniscono risultati consistenti e assai utilizzabili. Quelle che si valutano quali sorpassanti la media in guisa di felicità, vengono spesso giudicate palesemente più felici delle altre. Ridono più spesso, sono in migliore salute, si allontanano raramente dal lavoro, stabiliscono più facilmente contatti sociali e così via. (Frey e Stutzer, 2002), p.33). In questo, la felicità viene quindi influita dai fattori più svariati. La ricchezza assoluta non ha nessuna influenza sulla felicità, purché ci giunga ad un livello minimo per soddisfare i bisogni primari. In giappone, il reddito reale per abitante venne moltiplicato da sei, nella seconda metà del Novecento. Per dire il vero, ci sono due ragioni perché la concezione d’Aristotele non raggiunga il consenso generale. Da un lato, 45 Però questo non ha condotto a un senso medio della felicità più elevato tra i Giapponesi. Chi è più povero del suo vicino, non si sente più felice. Le donne sono in media più felici degli uomini, gli sposi più degli scapoli, i credenti più dei miscredenti; i telespettatori accaniti sono in media pù infelici di quegli occasionali ed infine, gli abitanti dei paesi ricchi sono di solito più felici di quelli dei paesi poveri. con più democrazia diretta, una maggiore autonomia comunale si era apertamente sviluppata. Questo sta in accordo con l’osservazione generale, cioè che la classe politica, in genere, non augura del tutto l’autonomia locale, ma preferisce una struttura centralizzata, mente i cittadini augurano tendenzialmente più l’autonomia locale. L’accrescimento del sentimento di felicità ha un carattere generale: gli effetti positivi della democrazia diretta sul senstimento di felicità non si rivelano solamente in uno gruppo di reddito, ma anche nell’insieme dei gruppi. (...) Il beneficio è in qualche modo distribuito in proporzione agli strati sociali. (Frey e Stutzer, p.145-146). La disoccupazione porta a una perdita netta e importante della felicità. Su una scala da 1 ( per nulla contento サ) a 4 ( molto felice サ), la disoccupazione produce una diminuzione media di qualche 0.33 unità. Tale smarrimento del senso della felicità è stato corretto da altri fattori importanti, quale la perdita del reddito (Trey e Stutzer, 2002, p.97). Alla luce delle teorie di Maslow e di Aristotele, questa perdita è comprensibile. Per molti esseri umani, il lavoro è in effetti una possibilità importante della realizzazione di sé. Gli permette – nel senso aristotelico –un comportamento virtuoso. Ciò venne anche confermato da altre investigazioni in cui fu dimostrato che uomini e donne autonomi nel loro lavoro si sentono più felici di quelli che lavorano quali impiegati in un contesto d’attività e dispongono perciò di meno libertà nello svolgere concreto del lavoro. Però è non solo il disoccupato da venire toccato nel proprio sentimento di felicità, anche le altre persone: un accrescimento della disoccupazione del 9% al 10% (media europea) sminuisce la felicità rissentita da 0.028 unità sulla scala di 4 unità utilizzata in precedenza. サ (Frey e Stutzer, 2002, p.101). La possibilità di un referendum in base a un’iniziativa popolare può menare a più felicità secondo due modi. Da una parte, la risoluzione diretta può fare adottare provvedimenti e leggi riflettenti meglio gli auguri e attese dei cittadini (outcome utility). Dall’altra, l’opportunità di partecipare in quanto tale può anche scatenare la felicità. In questo caso si parla di procedural utility [utilità procedurale, ndt], ossia il beneficio, il vantaggio, risultante dalla procedura risolutiva. Gli effetti delle due componenti si lasciano misurare separatamente, valutando il sentimento di felicità degli immigranti abitanti nei diversi cantoni. Questi Non-svizzeri non vengono autorizzati a partecipare ai referendum e non profittano quindi da questo vantaggio di procedura (procedural utility), ma devono assolutamente accettare le conseguenze di una gestione migliore o peggiore. Dalle risultanze dello studio anche qui nei cantoni democratici, i Non-svizzeri dimostrano un accrescimento della felicità, ma in grado più limitato, per dire il vero, degli Svizzeri stessi. Il confronto degli effetti nei Non-svizzeri e negli Svizzeri da a concludere che la maggiore parte dell’accrescimento di felicità provenga dal semplice fatto che partecipano alla decisione. Un profitto collegato a questa circostanza, cioè che le decisioni prese corrispondono meglio agli auguri e attese dei cittadini, c’è certamente, ma in grado minore del profitto ricavato dall’utilità procedurale stessa: ...I due terzi degli effetti positivi di un diritto partecipante alla democrazia diretta risalgono al vantaggio della procedura. (...) Gli effetti positivi dei diritti partecipativi sono tre volte più elevati per i cittadini nei confronti degli stranieri. Ciò vuole dire che la stragrande parte del beneficio riviene alla procedura stessa. サ (Frey e Stutzer, 2002, pp.161-162, 167). Si sentono in media più felici i cittadini, quando hanno l’opportunità di decidere direttamente mediante referendum? Appoggiandosi su un confronto menato tra i 26 Cantoni svizzeri, in cui i cittadini possono partecipare alla legislazione in grado del tutto svariato, si può rispondere a tale domanda. Frey e Stutzer ridussero l’ampiezza della partecipazione alla risoluzione diretta a un parametro potendo valutare da 1 (pocco democratico) a 6 (molto democratico). Il cantone della zona di Basilea raggiunge il valore massimo, 5,69, mentre il cantone di Genf, col valore 1,75, si posta sull’elenco quale fanalino di coda. Con altri fattori riflettenti diversità demografica e economica tra i cantoni individualizzati, Frey e Stutzer accrescerono la scala da 1 a 10 e potettero cosí raffigurare le differenze esistenti nell’autonomia comunale dei cantoni singolari. Il risultato fu che i cittadini dei cantoni democratici sono in media più felici. Ad un accrescimento da 1 a 6 sulla scala corrisponde un aumento all’incirca di 0,11 unità, e questo ha dunque lo stesso effetto della transizione dalla categoria minore di reddito (fin a 2000 franchi svizzeri al mese) alla categoria immediatamente sopra (da 2000 a 3000 franchi svizzeri al mese). Non è sorprendente che già la democrazia in sé sembri un elemento scatenante di felicità. Ci si poteva attendere tale risultato già sotto la luce della teoria di Maslow. Ché l’essere umano non vive solo da pane. Possiede anche il metabisogno di prendere in mani il proprio destino sociale con i suoi coetanei e di poter partecipare alla configurazione della società quale entità individuale e morale. Nei concetti di Aristotele: l’uomo ha bisogno di democrazia, per sforzarsi al livello sociale a un comportamento virtuoso e potere così trovarvi la propria felicità. Cosí una più grande autonomia comunale conduce quindi all’accrescimento del senso della felicità delle persone interrogate. Seppure Frey e Stutzer scoprissero che questi due parametri non erano independenti l’uno dall’altro: nei cantoni 46 4-1:Non solo di pane esplicito, sanciscono la necessità di un sostegno in grande stile agli altri, senza che si ponga seriamente la questione di sapere quali cose ce ne riulterebbero in scambio. I genitori stessi testimoniano di questo comportamento esemplare, non soltanto rispetto ai loro figli ma anche nei confronti dei membri della famiglia e dei vicini. I figli percepiscono e risentono questo senza che ci si preoccupi di essi o che si attenda da essi lo stesso impegno per gli altri. Vengono così incoraggiati a preoccuparsi di altri. L’affidabilità, il senso di responsabilità e l’autonomia guadagnano il favore, perché alleviano la preoccupazione tanto per se stesso quanto per gli altri. I falliti colpi di fortuna vengono considerati come mezzi d’apprendimento a proprie spese in vista dell’acquisire padronanza, e non come prove di mancanza incorreggibile di carattere o d’intelligenza o di capacità. Appoggiandosi su queste esperienze positive, i bambini imparano ad affidarsi al mondo circostante. Mediante un fermo ancoraggio nella loro famiglia, osano quindi stabilire relazioni con altri esseri umani fuori dall’ambiente loro. (pp.249-250). Il modo in cui il metabisogno d’autoattuazione di Maslow può determinare il comportamento verrà illustrato dal quest’anedoto (pubblicato sul Süddeutsche Zeitung del 22 gennaio 1997; si vede Schuster et al., 1997, p.581): Manuel Lubian, tassista messicano, ha restituito una somma d’incirca 86 000 marchi a uno dei suoi clienti che l’aveva smarrita nel suo tassí. Durante due giorni, Lubian se n’è andato a bussare alle porte degli alberghi di Messico per ritrovare il possessore di una valigetta riempita di lingotti d’oro, gioielli e documenti importanti. Rifiutò il compenso che il proprietario, un senatore boliviano, volle dargli, dicendo: Io credo che se accettassi questo compenso, perderei ciò che è bello in me. Kohn (1990, cita due esempi d’interventi di salvatori disinteressati. Un uomo, che saltò le rotaie del metro di New York per salvare un bambino, mentre sorse il convoglio, chiarì ad un riporter: Se non avessi agito subito in questo modo, sarei internamente morto. Io non avrei più nessun valore agli occhi propri. In un altro caso, un uomo che si era precipitato per salvare il conducente di una macchina, la quale stava calando nel fiume, dichiarò: ‘Credo che sia saltato nell’acqua per reazione d’autodifesa. Non avrei continuato a vivere con me stesso, se si fosse annegato, senza che io non avessi fatto qualcosa.’ (p.243). Lo sfondo del tipo contrario (cioè la personalità restrittiva) secondo Oliner e Oliner, viene caratterizzato in genere da legami familiari deboli, di numerose punizioni corporali (spesso arbitrarie), di valori famigliari in base a convenzioni, e rapporti deboli con la gente esteriore alla famiglia, sovente giudicata mediante stereotipi. Sebbene non ci fosse nessuno contesto deterministico, si poteva precisare con l’aiuto dell’indagine sulla personalità estensiva e quella restrittiva, con una certezza del 70%, se la persona avesse operato quale Giusto nel contesto della persecuzione degli Ebrei. Nella terminologia di Maslow, questo si lascia esprimere del mondo seguente: una mancanza nel compimento dei bisogni fondamentali nell’infanzia genera caratteristiche autoritarie della personalità e un comportamento che richiamerà lo stesso genere di carattere nelle generazioni successive. Incontriamo qui daccapo il contrasto descritto da Putnam del senso civico e del centrismo famigliare amorale. Non ché il senso civico e il centrismo famigliare amorale hanno una tendenza a mantenersi attraverso le generazioni. Sapere se il bello in me (Manuel Lubian) s’imponga, dipende per una parte maggiore, dal capitale sociale nella società in cui si è cresciuti. I motivi citati rinviano a l’esigenza a volta intensa di seguire un richiamo interiore e di render servizio a un altro. Insomma, questo straordinario valore del metabisogno di Maslow è già stato riportato nella Bibbia stessa quando vi si dice: L’uomo non vive solo di pane, ma di ogni parola che esce dalla boca di Dio. サ (Matteo 4, 4). L’uomo vive effettivamente del fatto che segue questo appello, e muore internamente サ se non gli risponde. Oliner e Oliner (1988) hanno interrogato 406 persone (i cosidetti Giusti della nazione), i quali, durante l’occupazione dai nazisti nella seconda Guerra Mondiale, avevano contribuito a nascondere Ebrei, nonché un altro gruppo di 126 persone che non avevano partecipato a tali azioni. Oliner e Oliner vennero alla conclusione che i Giusti presentavano una qualità significativa: Erano senz’altro in situazione di stabilire legami umani anche con persone che non vivevano nel proprio ambiente loro (si trattavano di relazioni estensivi). I giusti non si distinsero da un minore attenzione portata alla persona propria, dall’impresa propria o partecipazione esterna. Dimostrarono piuttosto una facoltà particolare per lo stabilire relazioni estensivi; si sentirono più fortemente collegati agli altri e si portarono responsabili per il benessere degli altri, perfino fuori della loro cerchia famigliare o della loro comunità paesana. (p.243). 4-2:Democrazia diretta, benesser e capitale sociale L’uno dei rari paesi del mondo, in cui le conseguenze della democrazia diretta sul capitale sociale hanno fatto l’oggetto d’indagini immediate, è la Svizzera. La configurazione di democrazia diretta muta da cantone a cantone. Alcuni dei 26 cantoni hanno un sistema permeato dalla democrazia diretta, negli altri le pratiche amministrative e di cogestione vigenti sono per il più vicine dal mero sistema di democrazia rappresentativa. L’investigazione condusse Oliner e Oliner alla conclusione che questa personalità estensiva サ permeava una cerchia famigliare specifica, che loro caratterizzarono del modo seguente: L’autorità parentale viene ritenuta o appena percettibile ai bambini. Ci si spiega perché un comportamento determinato sia contrario agli usi e quali saranno le conseguenze che esso possa avere per gli altri. La punizione corporale è raro; se accade, è una volta sola e non di modo solito. Non ce ne viene mai in pratica a punizioni arbitrarie. Allo stesso tempo, i genitori hanno alte esigenze rispetto alla preoccupazione per gli altri. Di un modo implicito o Frey (1997) investigò in diversi cantoni per sapere se ci fosse un rapporto tra il sistema democratica vigente e l’atteggiamento dei cittadini nei confronti delle questioni fiscali. Nei cantoni dove i cittadini beneficiano ampiamente della parola, attraverso democrazia diretta, il reddito fiscale annuale di quelli che pagano le tasse (che rimane segreto) ammonta 1600 franchi svizzeri (sia 1000 Euro) sotto la media globale dei 26 cantoni, mentre il reddito fiscale segreto dei canto47 ni aventi meno democrazia diretta, ammonta 1500 franchi svizzeri (sia incirca 900 Euro), sopra questa media. La differenza tra questi cantoni raggiunge dunque alcuni 1900 Euro all’anno e per contribuente. Con un tasso fiscale limitato del 30 al 35%, questo conduce a una differenza d’incasso fiscale annuale pagato di 625 Euro. Nei confronti della Germania (all’incirca 30 milioni di contribuenti), per darne un’idea, ciò ammonta all’anno una differenza di 18,8 miliardi d’Euro. spostino responsabilità delle cose negative il più possibile sugli altri. In vero, l’investigazione rivela che la gente non ha un percepire chiaro della contribuzione sua quanto al recare attuazioni positive e negative. Si dispone già dell’indagine classica di Ross e Sicoly (1979) a proposito dell’attribuire della responsabilità tra gli sposi in seno alla coppia. Potreste, ad esempio, interrogare ambedue i partner sul condividere del compito di portare a passeggio il cane. Marito e moglie risponderebbero rispettivamente, magari, il 70 e il 50%. Ora, tali risposte sono incompatibili, in quanto la somma delle percentuali non può sorpassare il 100%. Pressappoco sempre, questa somma ammonta a più del 100%. Frey si è anche posto la questione di sapere se altri fattori, ad esempio, la durata della punizione per frode fiscale, o le situazioni del benessere tra i cantoni, potessero cagionare questo. Questo non era palesemente il caso. Queste differenze nella probità fiscale vanno ricondotte al fatto che i contribuenti, nei cantoni a forte tradizione di democrazia diretta, potevano sviluppare una solidarietà più forte e più di responsabilità nei confronti dello Stato. Si può immaginare che entrambi i partner tendano a esagerare i loro meriti, ma questo non risulta affatto corretto. La somma del contribuire estimato nel caso d’attuazioni negative sorpassa anche abitualmente il 100%. Una spiegazione più probabile risiede nel fatto che la gente si ricorda meglio delle prestazioni proprie delle altre. Il proprio contribuire – positivo o negativo – sembra relativamente più grande in proporzione a quanto fu realizzato in totale. Tali osservazioni in Svizzera furono anche confermate da Abers (2000) che studiò la città brasiliana di Pôrto Alègre. Vi venne introdotto un sistema di democrazia diretta attraverso cui la gestione della città viene effettuata dagli abitanti stessi (si vede la finestra 2-1). L’introduzione del processo partecipativo provò subito la sua efficienza: mentre negli anni precedenti, veniva posato tutt’al più 17 km di condutture all’anno, questa lunghezza ammontò ai 46 km tra il 1989 e il 1996. Negli anni tre precedenti l’introduzione della democrazia diretta, vennero rimesse a nuovo 4 km di strade. Poi si passò ai 20 km all’anno ed, in oltre, il rifacimento delle strade fu qualitativamente migliore. Secondo Abers, il processo di partecipazione condusse a una cultura della rimessa in questione. I partecipanti alle riunioni lavorative sulla gestione comunale hanno discusso dati e chiarificazioni e risoluzioni amministrative. La gestione comunale ha dovuto reagire e nonché l’ha fatto più delle volte. L’eventualità permanente dell’interrogare fece prendere misure da parte dell’amministrazione comunale per le quali essa assunse piena responsabilità effettiva. Trasparenza e chiarezza dell’ambito pubblici sono cresciute. Il denaro non svanì più, i contratti non furono più troppo elevati, promesse non vennero più dimenticate. Prima dell’introdurre la Orçamento participativo, c’era una rete relazionale piuttosto oscura tra le imprese di costruzione e i politici locali. Contratti redditizi erano perdonati – in scambio del sostegno elettorale. Quando il Partito dei Lavoratori ( Partido dos Trabalhadores – PT) ebbe preso il potere, le imprese boicottarono le amministrazioni pubbliche, formando un cartello e rifiutando di rispondere ai bandi di gara pubblici. In seguito il cartello si ruppe e le imprese constatarono che d’ora in poi non avevano più da proporre bustarelle per venir prese in conto. Un fenomeno assai interessante fu la crescita degli incassi municipali che la città registrò dal 1992, in seguito alla riduzione dell’evasione fiscale. I contributi fiscali vennero d’ora in poi pagati. Abers vi vede due ragioni: da una parte, i contribuenti constatarono che il denaro loro fosse efficiente e utilizzato nei fatti per gli scopi necessari; dall’altra, la speranza svanì, tra i frodatori del fisco incalliti, a causa della popolarità crescente del PT, di ottenere una amnistia fiscale da parte di un’altra amministrazione. Un altra domanda è sapere in che modo la gente interpreti tale fenomeno? Ciò che incombe qui è il rischio dell’uno(a) interpretante l’inclinazione dell’altro(a), per sopravvalutare la propria contribuzione positiva, quale tendenza attribuirsi disonestamente il merito di ambedue. Tale interpretazione viene propriamente chiamata cinismo ingenuo. Lo studio di questo fenomeno è molto importante per la democrazia diretta, dato che gli oppositori a questo tipo radicale di democrazia si riferiscono di solito all’atteggiamento centrato su di sé della maggiore parte della gente per giustificare il rifiuto del diritto all’autodeterminazione. Una serie di studi recenti (discusse da Kruger e Gilovich, 1999) individua il fenomeno del cinismo ingenuo di modo più chiaro. Uno studio precedente considerava l’attribuzione d’attività positive e negative negli sposi. Ambedue i partner venivano autorizzati a guidicare il proprio contribuire e quello dell’altro nei confronti di dieci attività diverse – cinque positive e cinque negative. Positive erano, ad esempio, quelle del “risparmio di energie a casa, spegnendo le luci inutili” o “ risoluzione dei dissensi tra voi”. Da un’altro canto, “rompere l’equipaggiamento della coppia” o “suscitare una lite in famiglia” erano attività considerate tipicamente negative. Ambedue i partner venivano dopo autorizzati a predire quello che l’altro(a) avesse da dichiarare a proposito della propria collaborazione rispettiva. Il risultato – in accordo con l’investigazione precedente – si diede che la propria contribuzione di ciascuno(a) fosse sistematicamente sopravvalutata. Per le attività positive il sopravvaluto raggiungeva il 5,2% e per le attività négative, il 3,8%. Più importante ancora fu il modo in cui ciascuno partner predisse i giudizi dell’altro. Partner anticiparono che avrebbero esagererato il proprio giudizio sulla contribuzione positiva e avrebbero minimizzato quello sulla contribuzione negativa. In media, il livello di sopravvalutazione fu del 9,7% sopra quello esatto per le contribuzioni positive e del 16,1% sotto quello esatto. 4-3:Cinismo ingenuo Il cinismo ingenuo è un’espressione molto importante per la democrazia diretta. Il cinico ingenuo crede che gli altri si attribuiscano il massimo vanto possibile per se stessi e 48 Pertanto, la gente non si comporta se stessa qual egoista, ma si fa davvero un’immagine ideologica dell’altro quale essere egocentrico (Si vede anche l’indagine di Miller et Ratner discussa nel capitolo 3ー). Un punto interessante da notare: nelle coppie più felici, partner tendono a giudicarsi se stessi meno egocentrici in media. Dati ricavati da questo tipo d’investigazione sono importanti per il tema della democrazia diretta per due ragioni: Primariamente, illustrano una volta di più che la maggior parte della gente è incline a attribuire standard morali più bassi ad altri che essa se ne attribuisce a sé. C’è dunque una sfiducia mutua immeritata su cui s’appoggiano gli opponenti alla democrazia diretta per difendere il loro sistema attuale. Kruger e Gilovich non condussero soltanto l’investigazione loro sulle coppie, ma anche in una serie d’altre situazioni. Il risultato ne fu sempre lo stesso ma sorse allora una differenza importante: in situazioni dove persone cooperavano attivamente per lo stesso scopo, non solo non esibirono sopravvalutazione dei propri meriti ma non aspettarono nemmeno sopravvalutazione di quelli di altri. Invece, nel caso di situazioni competitive si palesò una forte inclinazione a sospettare altri di sopravvalutazione di sé. Ambedue le situazioni potettero verificarsi associate. Ad esempio, fra i giocatori del “vogelpik” – una sorta di gioco delle freccette – apparve che quelli della stessa squadra non manifestassero inclini a sopravvalutare o sottovalutare propri meriti e mancanze rispettivamente, tuttavia predissero anche assai precisamente valutazioni dei loro compagni di squadra e dunque, non li sospettavano di pretesa egocentrica. Giocatori avversari, in contrasto, venissero sospettati di sopravvalutare propri meriti in media del 24,8%. Secondariamente, questa ricerca mostra che la sfiducia mutua venga superata nel condividere attività insieme. Su questo punto, quindi, un ponte logico collega le investigazioni di Kruger e Glovich con quelle di Frey, a proposito dell’impatto della democrazia diretta sulla frode fiscale, menzionato nella finestra 4-2a. Democrazia diretta si riduce a un’attività condivisa fra cittadini che stanno modellando una società. Tale attività consente ai cittadini osservarsi da più vicino e meglio valutarsi mutuamente, così facendo la sfiducia viene meno. Una società piuttosto non-democratica e volta alla competizione, quale conosciamo adesso, invece, risulta un terreno propizio alla diffidenza reciproca. 49 5. Le lezioni della democrazia diretta in pratica Svizzera L’ideale di democrazia diretta fu anche popolare nei movimenti socialisti di parecchi paesi d’Europa. Ad esempio, una « Volksgesetzgebung » (legislazione popolare) era già apparsa nel programma fondatore del partito socialista tedesco degli operai nel 1891. Nei programmi di Gotha (1875) e Erfurt (1891), la democrazia occupò parimenti un posto chiave. Karl Marx, d’altro canto, si espresse di modo assai critico su quest’ideale di democrazia diretta. La Svizzera è il solo paese, se si eccettua il piccolo principato del Liechentenstein, a disporre di un sistema di democrazia diretta altamente strutturato al livello nazionale. Un simile sistema di presa decisionale diretta dai cittadini esiste solo in alcuni Stati americani, la California essendone l’esempio tipico. Però non c’è democrazia diretta al livello federale negli Stati Uniti, il che vuole dire che tutta una serie di poteri rimangono fuori portata del referendum. Gli strumenti Al livello federale svizzero, con all’incirca 4,8 milioni d’elettori, sono più importanti i tre strumenti di democrazia diretta che seguono. Tutti i referendum svizzeri sono obbligatori ad ogni livello (per precisare, decisioni approvate mediante la votazione referendaria sono d’attuazione e d’obbligo, ndt). « La Svizzera è la sola nazione nel mondo dove la vita politica gira veramente attorno al referendum. Questo paese, con 6,5 milioni di leaders politici sfuggenti alla notorietà, la cui spartizione del potere esecutivo tra i sette membri del Consiglio Federale, scoraggia in più gli uomini politici dal mettere la propria personalità al primo posto. Quando succede che un uomo politico sorga veramente al di sopra della mischia, è quasi sempre grazie all’appoggio di una campagna referendaria. La legislazione, in seno all’Assemblea Federale, assomiglia ad una danza con figure assai elaborate per schivare o guadagnare il suffragio popolare. Grandi momenti politici della Svizzera moderna non si verificano seguendo le orme degli audaci uomini di Stato, ma in seno ai dibattiti nazionali che hanno condotto le masse alle elezioni per decidere del futuro del loro paese. » (Kobach, 1994, p.98). Il referendum obbligatorio venne introdotto nel 1848. Per ogni emendamento alla Costituzione, il governo viene costretto al referendum, nonché per l’adesione della Svizzera alle organizzazioni internazionali e leggi d’emergenza per le quali, il referendum facoltativo non vale neanche. Il referendum facoltativo risale al 1874. Se 50 000 cittadini vi sottoscrivono nel termine di cento giorni dopo la pubblicazione ufficiale di una legge parlamentare, essi possono costringere a un referendum su questa legge. All’inizio, questo non si applicava a leggi che il Parlamento aveva dichiarato quali misure « d’emergenza ». Ma quando il Parlamento si mise a utilizzare abusivamente tale possibilità e cominciò col dichiarare urgenti tutti i tipi di leggi, un referendum stipulò che leggi d’emergenza potessero essere immediatamente vigenti, ma andassero sempre sottomesse in seguito a un referendum d’obbligo. La democrazia diretta svizzera origina da fonti diverse. Primariamente, ci fu la tradizione delle assemblee pubbliche locali o cantonali in una parte della Svizzera attuale, in cui cittadini maschi s’incontravano sulla piazza del mercato per prendere le decisioni più importanti (si veda 2-1). Ciò risale almeno al Duecento. Secondariamente, ci fu l’effetto di rivoluzioni straniere. In un modo similare ad altre regioni d’Europa, il primo referendum nazionale svizzero ebbe luogo nel 1802, per decidere a proposito di una nuova Costituzione, sotto il protettorato dell’invasore francese. Un terzo fattore furono i nuovi movimenti politici. Nella prima metà dell’Ottocento furono principalmente i Liberali « radicali » – distinguendosi dai Liberali « ordinari », in quanto quegli ultimi non credevano per l’appunto sufficiente la democrazia rappresentativa – da diffondere l’uso dei referendum in Svizzera. Dopo, Socialisti e Cattolici si accorsero tuttavia che i Liberali non rappresentassero certamente la maggioranza dei cittadini nei confronti di tutti i temi e divennero dunque la forza conduttrice più importante per l’espansione successiva della democrazia diretta (Kobach, 1993). Il tedesco Moritz Rittinghausen fu un personaggio importante del movimento socialista. Fu il primo ad elaborare un concetto d’iniziativa cittadina referendaria tramite il giornale Neue Rheinische Zeitung, allorché Karl Marx stava pubblicandolo. Quando questo giornale venne proibito, Rittinghausen si rifugiò in Francia dove, dal 1850, redasse una serie d’articoli promuoventi la presa decisionale attraverso la democrazia diretta. Le sue vedute incontrarono grande approvazione da parte dei sostenitori di Fourrier, in particolare. Tramite questo détour francese, le idee di Rittinghausen raggiunsero il movimento operaio svizzero (Weihrauch, 1989, pp.15-16). I Socialisti giocarono un ruolo importante nel « Movimento democratico », il quale fece campagna dal 1860 in favore dell’espansione dei diritti di democrazia diretta nelle grandi regioni della Svizzera. Nel 1869, nel cantone di Zurigo, ebbe luogo per la prima volta un’iniziativa cittadina in cui cittadini potettero iniziare un referendum su proposte redatte da loro stessi. L’iniziativa popolare costituzionale (in breve iniziativa popolare), introdotta nel 1891, dà ai cittadini la possibilità d’ottenere un referendum sulle proprie proposte redatte, se essi riescano nel radunare 100 000 firme, in forma di petizione, nel termine di 18 mesi. Tale proposta può essere sia formulata di modo generale, per venir dopo convertita in legislazione da una commissione parlamentare, sia redatta in paragrafi legislativi precisi, a cui il Parlamento non può più apportare nessun emendamento. Se viene adottata, tale proposta diviene parte della Costituzione. In pratica, però, i cittadini possono anche utilizzare questo strumento per temi che vengono di solito regolati dalla legislazione ordinaria. Perciò la Costituzione svizzera risulta un notevole miscuglio di principi nazionali e di politica generale “ordinaria”. Gli Svizzeri stanno sormontando il problema con l’introduzione dell’iniziativa popolare generale. Questa fu approvata nel referendum del febbraio 2003, ma fu resa vigente solo dal 2006. Essa autorizza i cittadini, dopo la raccolta di 100 000 firme in favore, a presentare una proposta generale al Parlamento, il quale ha in seguito la libertà di decidere se farne un disegno di legge od un emendamento costituzionale. Questo viene in seguito sottoposto all’approvazione referendaria. L’iniziativa popolare consente agli Svizzeri di esigere un referendum su virtualmente qualsiasi tema. Sole eccezioni importanti sono alcune clausole obbligatorie di diritto internazionale, quali la proibizione del genocidio e della schiavitù. Inoltre, l’iniziativa popolare deve soddisfare esigenze d’unità 50 di forma e di contenuto (ad esempio, un’iniziativa popolare non può racchiudere due temi). In fine dei conti, la legge consuetudinaria fa sì che disegni inattuabili in pratica possano venir rifiutati; così un’iniziativa popolare fu un giorno dichiarata non legittima, perché proponeva di ridurre le spese durante anni, ma vi si pose un termine prima che il referendum fosse indetto. Il Parlamento rivede tutti questi temi. Tuttavia iniziative popolari su, per esempio, le tasse, le spese statali, le questioni militari, e perfino la forma governativa stessa, sono cose banali in Svizzera. nisse progressivamente esteso ai dieci nuovi Stati membri. Contemporaneamente, misure erano proposte per impedire salari bassi e dumping sociale in Svizzera. Questo era contestato da quattro commissioni che temevano l’immigrazione incontrollata e cattive condizioni di lavoro. I cittadini approvarono, nonostante l’estensione del trattato, col 56% dei voti. Il 27 novembre, ci furono insieme un’iniziativa popolare e un referendum facoltativo. L’iniziativa popolare domandava un’interdizione di 5 anni dalla coltivazione delle piante e dall’allevamento animale per gli organismi geneticamente modificati (OGM). Governo e Parlamento raccomandavano il « No » in base al fatto che tali questioni erano coperte a sufficienza dalla legislazione esistente. Però l’iniziativa popolare fu ciononostante adottata dal 55,7% della popolazione. L’iniziativa popolare è dunque la pietra angolare della democrazia diretta. Dopotutto, nel referendum facoltativo, i cittadini non fanno che rispondere alle azioni del Parlamento che sono ancora in discussione. Però essi determinano attivamente l’agenda politica mediante l’iniziativa popolare. Il referendum facoltativo intendeva bloccare una legge parlamentare che mirava ad aumentare la possibilità di vendita domenicale di beni di consumo nelle stazioni e negli aeroporti. I sindacati iniziarono un’iniziativa referendaria sulla questione. Temevano che la domenica diventasse un giorno come gli altri. La legge del Parlamento venne nondimeno approvata con la maggioranza assai debole del 50,6%. La Svizzera non indice referendum che siano stati formulati dal Parlamento o dal governo – i referendum sono conosciuti più propriamente quali plebisciti. Quindi in Svizzera, i referendum vengono sia prescritti dalla Costituzione, sia indetti dai cittadini, utilizzando il metodo della raccolta di firme. Tra i parecchi referendum, in numero sempre crescente, che vengono indetti in Europa, la forma internazionalmente più comune rimane purtroppo ancora quella del plebiscito. I plebisciti sono in genere « referendum » facoltativi, decisi da uomini politici al potere, di modo da conferire alla loro politica una legittimità straordinaria, ovvero perché coalizioni o partiti sono in disaccordo interno. Le regole del gioco vengono frequentemente adattate ad ogni caso, nel modo che sembra migliore ai politici del momento. Questo ha veramente poco a che fare con la democrazia diretta. Le leggi che furono approvate dal Parlamento svizzero e ulteriormente contestate dal referendum facoltativo, ebbero il 50% di probabilità di sopravvivere al voto popolare entro il periodo dal 1874 al 2004. In altre parole, questo vuole dire che una volta su due, la legislazione del Parlamento si rivelò contro la maggioranza popolare. Non c’è nessuna ragione di ipotizzare che il Parlamento svizzero diverga più fortemente dalla volontà popolare degli altri corpi rappresentativi negli altri paesi. É anzi il contrario ad essere vero : precisamente perché i membri svizzeri del Parlamento, sapendo bene che i referendum facoltativi sono sempre possibili, agiscono con molta cautela nel proprio lavoro legislativo. Così proposte promananti dal Parlamento, sugli emendamenti costituzionali o partecipazioni alle organizzazioni internazionali, vennero approvate nel 73% dei casi. Le iniziative popolari, d’altro canto, ebbero solo il 10% di probabilità di venir approvate nello stesso periodo. In un numero più piccolo d’occasioni, quando il Parlamento utilizzò il suo diritto di fare controproposte, queste vennero accettate nella proporzione di sei su dieci. Gli Svizzeri sono molto prudenti e non accettano mai proposte che si rivelerebbero chiaramente essere delle debolezze. Al livello cantonale un percentuale più elevato d’iniziativa popolari viene approvato. La democrazia diretta in pratica A partire del 1848, fino al tardo 2004, 531 referendum vennero indetti al livello federale : 187 obbligatori, 152 facoltativi e 192 iniziative popolari. La partecipazione media supera il 50% (con eccezioni partecipative che ammontano fin all’ 80%), inoltre, esse hanno superato di 10 punti la percentuale partecipativa alle elezioni parlamentari. Si trova un ampio archivio di queste sul sito Internet del governo (www.admin. ch). Ad ogni livello – municipale, cantonale e federale – oltre 200 referendum sono indetti ogni anno in Svizzera. A titolo illustrativo, stiamo per esaminare i referendum dell’anno 2005. In Svizzera tutti i referendum e elezioni vengono raggruppati in due o tre giornate elettorali nell’anno. I cittadini non vi si recano soltanto per votazioni municipali e federali, ma anche per i referendum. Ci furono tre giornate elettorali nel 2005. Tuttavia, in base a queste cifre, sarebbe sbagliato affermare che l’iniziativa popolare sia solo una vicenda meramente esteriore. In particolare, le iniziative popolari hanno sovente un effetto, anche quando pure non vincessero la maggioranza dei voti. Una delle funzioni dell’iniziativa popolare è, ad esempio, offrire l’opportunità ad una minoranza di portare una questione all’attenzione nazionale. Ciò si chiude con questioni molto discusse in Svizzera, le quali in qualsiasi altro Paese non costituirebbero l’oggetto di nessuna discussione seria nei debattiti dominati dai partiti politici. In Svizzera, invece, ciò porta sovente a risposte indirette da parte dei politici. Quand’anche una questione non abbia vinto, Parlamento e governo vanno sempre incontro agli iniziatori, soddisfacendo alcune delle loro domande. Kaufmann et al (2005, p.49) parla in questo contesto del « paese dei perdenti soddisfatti ». Questo è molto più incoraggiato perché gli iniziatori hanno il diritto di ritirare ogni iniziativa lanciata prima della votazione. Dopo la presentazione delle sottoscrizioni, c’è regolarmente un processo di negoziato tra il Parla- Il 5 giugno 2005, ci furono due referendum facoltativi sulla scheda elettorale. Il primo contestava l’approvazione degli Accordi di Schengen/Dublino. Gli Accordi di Schengen aboliscono controlli sistematici del passaporto. Quelli di Dublino cercano di impedire ogni speranza d’asilo, dato che i richiedenti l’asilo politico sono oramai autorizzati a domandarlo a un solo paese partecipante. La decisione parlamentare fu approvata col 54,6% dei votanti. Il secondo referendum contestava una legge del Parlamento che rendeva possibile una partnership ufficiale per coppie omosessuali e lesbiche. La legge viene approvata col 58% dei votanti. Il 25 settembre 2005, un solo referendum facoltativo venne indetto. Il Parlamento voleva che un trattato con l’Unione Europea, che prevedeva la libera circolazione della gente, ve51 mento e i richiedenti, che ha l’esito di fare sì che le iniziative popolari vengano ritirate in un terzo dei casi. « Chi interroga gli iniziatori, studia le fonti e analizza il terreno del gioco politico, perviene alla conclusione che approssimativamente la metà dei richiedenti d’iniziative popolari credono di aver ottenuto qualcosa che rendesse il loro sforzo meritevole e che non sarebbe stato altrimenti possibile senza il ricorso all’iniziativa stessa.» (Gros, 1999, p.93). d’interesse, argomentarono a favore dell’adesione. Nonostante questo, solo il 24,3% degli elettori svizzeri votò in favore. In quei tempi, la Guerra fredda era ancora in corso e gli Svizzeri, che difendevano assai orgogliosamente la propria indipendenza e neutralità, nei riguardi dei blocchi militari e conflitti, vennero spaventati dal fatto che l’adesione all’ONU li portasse a prendere parte ai conflitti. Anni dopo, i sostenitori avviarono un’iniziativa popolare e quando si venne alla votazione, nel marzo 2002, il numero dei sostenitori era cresciuto per raggiungere il 54,6% e la Svizzera divenne così il 190° Stato membro dell’ONU. Ciò che fu decisivo nel dibattito pubblico non fu soltanto la fine della Guerra fredda stessa, bensì il fatto che gli Svizzeri avevano capito che la globalizzazione implicasse che essi non potevano più starsene in disparte e che, d’altro canto, l’adesione all’ONU non significasse una rinuncia a tutti i diritti democratici importanti per un’organizzazione internazionale non-democratica. Quest’ultima ragione, invece, rimane ancora vigente per quanto concerne l’atteggiamento svizzero nei confronti dell’Unione Europea stessa ed è pertanto la ragione per cui c’è ancora un’ampia maggioranza in Svizzera contro l’adesione all’UE. Un esempio di ciò che abbiamo appena affermato è l’iniziativa a proposito dell’abolizione totale dell’esercito svizzero, la quale iniziò negli anni ‘80 e ebbe il suo esito nella votazione ultima del 1989. Finora, l’esercito, onnipresente, era stato l’equivalente di una « mucca sacra » in Svizzera. Quasi tutti gli uomini erano costretti al servizio militare, non esisteva servizio civile alternativo e le esercitazioni militari erano organizzate fino a chw gli uomini non raggiungevano i cinquan’anni. L’iniziativa popolare ebbe inizio da alcuni democratici sociali, non tanto perché credevano di poter ottenere una maggioranza, ma perché credevano che ci fosse stato molto più di resistenza all’esercito che se ne potesse allora discutere solo nei dibattiti ufficiali, ed essi ne volevano fare la dimostrazione. All’inizio tutti pensavano che solo un pugno di Svizzeri avesse approvato tal proposta. Quando i dibattiti divennero sempre di più accaniti con l’approssimarsi del referendum, il governo dichiarò che sarebbe stato un disastro per la nazione se più del 10% dei cittadini votasse l’abolizione. Tutti i partiti importanti, eccettuati i Socialdemocratici che si astennero dal dare consegna di voto, si pronunciarono contro l’iniziativa ; solo l’estrema sinistra, un gruppo molto marginale in Svizzera, approvò la proposta. Il più importante degli interlocutori socio-economici (tranne l’astensionista « Schweizerische Gewerkschaftsbund » – confederazione sindacale), governo e Parlamento, ovviamente, si opponevano all’iniziativa. Quando il referendum ebbe luogo, il 26 novembre 1989, il 35,6% dei « SÌ » in favore dell’abolizione, combinato al tasso elevato della partecipazione (70%) causa uno choc nel paese intero. I Pacifisti celebrarono la vittoria di modo esuberante in quanto avevano raggiunto il loro obiettivo. Diverse misure vennero prontamente introdotte per attenuare l’opposizione oramai pubblica e palese all’esercito, quale l’introduzione di servizi civili alternativi che venne approvata mediante il referendum con una maggioranza eccezionale dell’ 82,5% nel dicembre 1991. L’esercito venne dunque considerevolmente ridotto negli anni successivi. Queste azioni contribuirono probabilmente a fare diminuire l’opposizione all’esercito e quando, nel dicembre 2001, ci fu un’altra votazione sull’iniziativa popolare di abolizione dell’esercito, il numero dei sostenitori era caduto al 21,9%. Il tema dell’abolizione totale dell’esercito non era mai stato all’ordine del giorno del sistema rappresentativo classico. Le iniziative popolari hanno giocato un ruolo nella storia svizzera, migliorando e approfondendo la democrazia. Quella assai importante del « Für die Proporzwahl der Nationalrates » [« Per una rappresentanza proporzionale nel Parlamento»] venne adottata col 68,8% dei cittadini nel novembre 1918 (Il Nationalrat è la più grande delle due Camere del Parlamento). Questa sostituì il sistema elettorale maggioritario (in cui, in seno ad ogni distretto elettorale, il candidato avente ottenuto il più dei voti rappresentava l’intero distretto, come accade adesso in Gran Bretagna o negli Stati Uniti) da un sistema elettorale proporzionale (in cui ogni regione intera viene considerata quale un solo distretto elettorale). Un sistema elettorale maggioritario conduce a grandi squilibri, dato che le minoranze vi si trovano assai meno rappresentanza. Comunque dal fatto che le minoranze si trovino sparse nella regione, perdono sempre al livello del distretto elettorale e non hanno nessun rappresentante nel Parlamento. L’introduzione del voto proporzionale ha portato, con la democrazia diretta, un gran contributo al sistema svizzero di « Konkordanz » (consenso). In questo, tutti i partiti politici, qualunque sia la loro levatura, dispongono di una sede permanente tra le sette persone del governo forte. Questo governo non ha nessun Primo Ministro permanente ; la presidenza del governo si attua annualmente a turno tra le sette membri. I piccoli partiti possono nondimeno partecipare al governo per merito dell’iniziativa popolare. Anche se rappresentano solo un piccolo gruppo per l’insieme del loro manifesto, possono nondimeno avere qualche tema palese e singolare, per cui ricevono veramente un appoggio maggioritario. Con la minaccia dell’iniziativa popolare, possono attirare l’attenzione su queste questioni. Fino alla fine della seconda Guerra mondiale, le leggi federali d’emergenza non erano sottoposte al referendum rettificatore. Spesso, per fare accettare in fretta regolamenti che erano contrari alla volontà popolare, governo e Parlamento decretarono troppo sovente che leggi fossero “urgenti”, anche se nei fatti non lo erano del tutto. Fu dunque lanciata un’iniziativa popolare contro di questo modo di fare : d’allora in poi, le leggi « urgenti » andrebbero sottoposte al referendum d’obbligo a scadenza dell’anno. Governo e Parlamento argomentarono assai fortemente contro quest’iniziativa popolare che limitava in modo significativo il loro potere. Ma la proposta incontrò nondimeno il favore popolare nel 1946. Un referendum nel 2003 approvò l’introduzione dell’« iniziativa popolare generale », mediante cui i cittadini presentano soltanto una proposta generale e lasciano al Parlamento la cura di decidere se Un referendum non va visto isolamente quale cosa assoluta. I referendum sono piuttosto suoni di timpani nella sinfonia. Se la votazione va incontro alla proposta, in un momento specifico, ciò può tuttavia iniziare un processo di discussione e di riflessione, contribuendo così a fare sì che la proposta finisca, qualche anno dopo, con l’ottenere un’approvazione maggioritaria. Così un processo d’apprendimento si è dunque messo in moto e il potere persuasivo ha trasformato una minoranza in maggioranza. La politica riceve così un ampio sostegno. Le circostanze possono ugualmente esser cambiate, sìcché una proposta, che fu inizialmente inaccettabile, apparisse adesso offrire buone prospettive. Un esempio ci viene fornito con l’adesione all’Organizzazione delle Nazioni Unite. Nel marzo 1986, un referendum venne indetto sull’adesione all’ONU. Il governo, il Parlamento, e tutti i partiti importanti e gruppi 52 bisogni convertirla in legislazione od emendamento costituzionale. Nello stesso tempo, il referendum facoltativo venne reso applicabile ai trattati internazionali che racchiudono disposizioni importanti, cui per essere operanti al piano nazionale, richiedono nuovi provvedimenti od emendamenti. Le iniziative popolari al livello federale, così come gli emendamenti costituzionali vengono solo accettati se ci sia una maggioranza doppia in favore : ci deve essere una maggioranza in favore della proposta, contemporaneamente degli singoli elettori e dei Cantoni. La ragione viene dal fatto che la Svizzera è una regione di minoranze : ci sono ad esempio Cantoni d’espressione tedesca, italiana, francese e reto-romanza. Il sistema a maggioranza doppia significa che alcuni grandi Cantoni non possano facilmente mettere i più piccoli in minoranza. Dato che tutti i diritti referendari, comprese le soglie di firme, l’assenza di quorum partecipativo e l’esclusione di certi temi specifici, sono indicati nella Costituzione, e perché quest’ultima può solo venir modificata dal referendum, i cittadini svizzeri si sono incaricati della propria democrazia. Secondo le indagini, nove Svizzeri su dieci sono contrari a ogni violazione dei loro diritti di democrazia diretta (Kaufmann et al., 2005, p.51). La tendenza in Svizzera si evolve dunque verso un’espansione della democrazia diretta e l’abbassamento delle soglie di validità. Il numero dei referendum sta crescendo sempre. Fra il 1980 e il 1989, c’erano in media 6,2 referendum federali all’anno ; una media di dieci all’anno dal 1990 al 1999; e una media di 11,4 referendum annualmente dal 2000 al 2004. La Svizzera non fornisce sovvenzione pubblica ai gruppi di cittadini che lanciano un’iniziativa. Dunque questi non hanno da renderne conto all’ispettorato delle finanze. Però tutti gli elettori Svizzeri ricevono effettivamente un opuscolo informativo nella loro buca delle lettere, molti giorni prima della votazione. Include, tra l’altro, il testo completo della legge su cui dovranno votare, col riassunto fattuale su una pagina A4, e gli argomenti sviluppati contemporaneamente dal governo e dal comitato degli cittadini propugnanti il referendum. Il comitato ha il diritto d’aggiungervi il proprio testo. Quei testi argomentativi sono anche accessibili via Internet sul sito del governo : www.admin.ch. I cittadini votano sempre in favore dell’espansione della democrazia diretta ? No ! Nel 1995, la popolazione del Cantone di Berna, che include anche la capitale svizzera, approvò una riforma di democrazia diretta che implicava una riduzione considerevole del numero dei referendum d’obbligo (tra altri quello sull’emendamento costituzionale). C’erano tante proposte importanti che i cittadini ne approvarono la riduzione di numero. Preferivano dunque concentrarli sui temi più rilevanti. Le iniziative popolari cittadine dispongono dell’aiuto di funzionari per formulare precisamente la loro proposta. Dall’introduzione generale della votazione per corrispondenza, una stragrande maggioranza degli Svizzeri adopera tal sistema. Tutti gli elettori svizzeri ricevono il loro certificato elettorale tramite la posta e potranno decidere se voteranno se stessi recandosi al seggio elettorale il giorno dello scrutinio (sempre la domenica), ovvero voteranno in anticipo tramite la posta. C’è una procedura speciale in quest’ultimo caso provvedente due buste per preservare il segreto del voto. Alcune particolarità della democrazia diretta svizzera : Si può aspettare un lungo tempo prima di votare effettivamente sull’iniziativa popolare. Una volta raccolte le firme necessarie, il « Bundesrat » (governo svizzero) ha in effetti due anni per preparare il referendum. Se la « Bundesversammlung » (l’Assemblea delle due Camere) fa una controproposta, sei mesi vi si aggiungono. Inoltre, contando dal momento in cui l’iniziativa popolare è presentata, il Parlamento dispone di non meno di quattro anni per decidere se accettare o no quest’iniziativa. Naturalmente esso può approvare meramente la proposta legislativa per cui un’iniziativa popolare è stata presentata. In questo caso, gli iniziatori hanno raggiunto il loro obiettivo e possono ritirarla. Se il Parlamento stende una controproposta, gli elettori possono votare a favore sia dell’iniziativa popolare originaria, sia della controproposta parlamentare. Tali termini lunghi vengono considerati vantaggiosi da parecchi seguaci della democrazia diretta. Lasciano in effetti un tempo sufficiente per il dibattito sociale sui pro e contro la proposta. Procedura di “Abberufung” (richiamo) Oltre l’iniziativa popolare, c’è anche il richiamo ovvero « Abberufung », una procedura di democrazia diretta interessante. Il che significa che un ufficiale o funzionario nominato dallo Stato (ad esempio un giudice) può essere rimosso dalle sue funzioni mediante l’iniziativa popolare. Tale sistema esiste e funge realmente in alcuni Cantoni svizzeri ma non al livello federale. A Berna, Lucerna, Schaffhausen, Thurgau e Ticino, cittadini possono richiamare il Parlamento cantonale. Dopo una procedura di richiamo riuscita, hanno luogo nuove elezioni. In pratica, però, ciò non è mai accaduto fino ad oggi. Democrazia locale Non c’è controllo sulla natura costituzionale delle iniziative popolari, né dal Parlamento, né dal Tribunale di giustizia. É vero che il Parlamento controlla de facto l’iniziativa popolare a proposito di un piccolo numero di provvedimenti obbligatori prescritti dalla legislazione internazionale (si veda sopra), ma questo rimane assai limitato. Nella storia svizzera, una sola iniziativa popolare venne dichiarata non valida a causa di tale conflitto (come ciò succede sovente per causa del conflitto col « principio di non-rifiuto » – il non-rimando dei profughi in un paese dove sarebbero in pericolo). É del tutto teoricamente possibile introdurre la pena di morte mediante il referendum in Svizzera, ma questo non viene mai provato. La democrazia diretta non vi ha portato più di violazioni dei Diritti dell’Uomo che negli altri paesi d’Europa. C’è un elenco considerevole di diritti per le minoranze che vennero invece approvati tramite il referendum. Oltre il livello federale, i livelli cantonale e municipale sono prevalentemente importanti in Svizzera. I Cantoni prelevano più o meno lo stesso ammontare fiscale di quello del governo centrale. I loro poteri sono assai estesi. Il paragrafo 3° della Costituzione Federale Svizzera dichiara che i Cantoni sono sovrani: tutti i poteri che non sono esplicitamente delegati al livello federale dalla Costituzione, appartengono per forza di cose ai Cantoni. Tra altre cose, ciò include: la polizia, il più dell’insegnamento, la legislazione sulla politica economica e un’ampia proporzione dell’assicurazione sociale. Le istituzioni di democrazia diretta variano piuttosto considerevolmente da Cantone a Cantone (si vede 4-2). 53 Effetti della democrazia diretta Nel Cantone di Zurigo, il più ampio, diecimila firme bastano per lanciare un’iniziativa popolare. Il referendum facoltativo ne richiama soltanto cinquemila. Inoltre, tutti gli emendamenti costituzionali, nonché tutte le spese finanziarie superiori a due milioni di franchi svizzeri, vanno approvati mediante il referendum. Nell’ultimo decennio, ci fu una media annuale di più di nove referendum cantonali (oltre quei federali e municipali, indetti lo stesso giorno). L’anno con il massimo numero di referendum cantonali, 19, fu il 1999. Talvolta ci sono importanti interessi economici in gioco, ad esempio nel 1996, sull’estensione dell’aeroporto di Zurigo per un costo di 875 milioni di franchi svizzeri. Parecchi referendum che sono stati tenuti in Svizzera per 150 anni constituiscono una miniera inesauribile di dati su quello che succede quando la gente diventa atta a prendere in mano il proprio destino. Un gruppo di economisti e ricercatori di scienze politiche delle Università di Zurigo e San Gallo, – Bruno S. Frey, Reiner Eichenberg, Aloïs Stutzer, Lars P. Feld, Gebhard Kirchgässner, Marcel R. Savioz ed altri – hanno studiato sistematicamente e a lungo, l’effetto della democrazia diretta sulla politica e la società. A tale fine utilizzarono il fatto che ci sono grandi differenze nei gradi di democrazia diretta nei Cantoni svizzeri. Poiché i Cantoni detengono anche poteri maggiori – la Svizzera è in effetti una cooperazione confederale di Cantoni sovrani – è possibile confrontare gli effetti specifici della democrazia diretta in parecchie sfere. Ciò implica, naturalmente, che nelle misure statistiche non si tenga mai conto degli altri fattori che potessero influire sulla relazione esaminata (il famoso principio ceteris paribus [ fermo restando ogni altra cosa, ndt]). Nel 1999, Kirchgässner, Feld e Savioz riassunsero un gran numero di analisi sul libro « La democrazia diretta: moderna e fruttuosa e progredibile e esportabile ». Ma un gran numero di ricerche recenti sono state pubblicate da allora. Un’istituzione insolita del Cantone di Zurigo è quella che si chiama iniziativa individuale (Einzelinitiative). Una sola persona ha dunque il diritto di presentare una proposta al Consiglio cantonale. Quando questa viene sostenuta da più di 60 membri del Consiglio stesso, si può organizzare un referendum. Nel 1995, ad esempio, il cittadino Albert Jörger fu capace di utilizzare questo provvedimento per iniziare un cambiamento nel modo in cui gli insegnati erano nominati nelle scuole del Cantone. I municipi riscuotono le imposte proprie sul reddito e sulla proprietà. In Svizzera, i municipi spendono un po’ meno per residente che non il governo centrale. Beedham (1996) dà l’esempio del municipio di Kilchberg (7000 abitanti) in riva al lago di Zurigo. Il villaggio organizza l’insegnamento proprio, dispone della propria squadra di vigili del fuoco, di una casa di riposo per gli anziani e di poliziotti propri, equipaggiati con due motoscafi per pattugliare il lago. Il municipio dà ai suoi rari poveri 3000 franchi svizzeri per persona al mese e aiuta anche un pugno di rifugiati, il più dallo Sri Lanka. Il Consiglio municipale comprende sette membri eletti che seguono da vicino il lavoro di un piccolo numero di funzionari municipali. Tuttavia, il potere decisionale reale tocca all’assemblea pubblica, che si riunisce due volte all’anno. Le Assemblee pubbliche vengono di solito frequentate dall’incirca 400 residenti ; talvolta parecchie centinaia di più allorché c’è qualcosa di straordinario all’ordine del giorno. Tali riunioni fissano le imposte, approvano nuove ordinanze municipali, dibattono i conti della comunità, esaminano progetti edilizi nuovi, ecc.. Quelle quattro assemblee pubbliche annuali costituiscono il livello più elevato dell’autorità municipale ; i sette membri del Consiglio presentano le loro raccomandazioni davanti all’assemblea. Le decisioni vengono prese par alzata di mano. Uno scrutinio segreto può essere richiesto da un terzo delle persone presenti, ma al giorno d’oggi tal opzione non è stata mai utilizzata. I cittadini che assistono a queste assemblee dispongono di grandi poteri. Quindici firme bastano per ottenere l’indizione di un referendum municipale mediante l’assemblea pubblica, ma ciò si verifica raramente. Molti risultati i più significativi sono elencati qui sotto : •Feld e Savioz (1997) adoperarono un indice preciso per tradurre il grado di democrazia diretta in tutti i Cantoni svizzeri e lo correlarono con le produttività economiche nei vari momenti tra il 1982 e il 1992. Dopo aver realizzato un’analisi approfondita e escluse spiegazioni alterne, essi conclusero che, a seconda del momento, la produttività economica nei Cantoni con la democrazia diretta era superiore dal 5,4 al 15% di quella rappresentativa degli altri Cantoni. « Il coesistere delle democrazie rappresentativa e diretta, in Svizzera, solleva una domanda immediata : se la democrazia diretta risulta più efficace di quella rappresentativa, perché mai i Cantoni dotati di quest’ultima non adottano le strategie più efficienti dei loro vicini. » Così si domandarono Feld e Savioz (1997, p.529). •Pommerehne studiò la connessione tra democrazia diretta ed efficacia di gestione delle 103 più grandi città delle Svizzera, scegliendo quale esempio il trattamento dei rifiuti. Nelle città gestite mediante la democrazia diretta, il trattamento dei rifiuti – fermo restando ogni altra cosa – era del 10% meno caro di quelle senza democrazia diretta. Inoltre, Pommerehne scoprì un’economia considerevole nel caso in cui il trattamento dei rifiuti venisse affidato in subappalto ad una compagnia privata. Città e megalopoli gestite in democrazia diretta, ed il trattamento privato dei rifiuti, presentano costi del 30% più bassi – fermo restando ogni altra cosa – di quei delle città gestite col sistema rappresentativo e trattamento pubblico dei rifiuti (Kirschgässner, Feld e Savioz, 1999, pp.98-100). L’assemblea pubblica di Kilchberg illustra una volta di più l’assurdità dei quorum partecipativi (capitolo 2°). Un sostenitore di questi direbbe probabilmente che un’assemblea pubblica che riunisse solo 400 dei 7000 residenti non sarebbe più « rappresentativa ». In realtà, tal assemblea pubblica costituisce un superconsiglio municipale rappresentativo. Questo Consiglio municipale allargato dispone di un mandato proprio così come un consiglio tradizionalmente eletto. Ogni persona recandosi all’assemblea è mandataria ; ogni persona restando a casa dà de facto il suo mandato all’assemblea. E finalmente il municipio di Kilchberg viene ben gestito ! L’affermazione a seconda di cui una gestione popolare conduca ai fallimenti, vi viene confutata categoricamente in pratica. •Quegli ultimi esaminarono 131 dei 137 più grandi municipi svizzeri in vista di determinare il nesso tra democrazia diretta e debito pubblico, utilizzando i dati dal 1990. Nei municipi dove i referendum sulla spesa pubblica venivano praticati (un esempio di democrazia diretta), fermo restando ogni altra cosa, il debito pubblico era del 15% inferiore di quello altri municipi. •Feld e Matsusaka (2003), indagarono il collagamento tra spesa pubblica e democrazia diretta. Qualche Cantone svizzero ha un referendum sulle finanze (Finanzreferendum), 54 in cui i cittadini devono approvare o meno tutte le decisioni del Consiglio cantonale su spese oltre di una certa somma (la media sta di 2,5 milioni di franchi svizzeri). In questo tipo di Cantone, la spesa pubblica fu in media del 19% inferiore di quella d’altri Cantoni dove democrazia diretta non c’era. dison, accettò il principio che la gente eletta rappresentasse la nazione intera e non soltanto i suoi simpatizzanti. Non fu quindi prevista la democrazia diretta. Dall’ultimo decennio dell’Ottocento, però, movimenti progressisti e popolari stavano conducendo campagne regolari per ottenere il referendum d’iniziativa popolare. Vengono prevalentemente ispirati dall’esempio svizzero. Il primo Stato a realizzare un cambiamento in quest’indirizzo fu il Dakota del Sud nel 1898, seguito dallo Utah nel 1900 e dall’Oregon nel 1902. L’interesse per la democrazia diretta sorse nell’Oregon poco dopo la sua creazione, spronato dagli emigranti svizzeri che vi si erano stabiliti nella Contea di Clackasmas. Sedici Stati supplementari andrebbero a seguire tal esempio fino al 1918. •Benz e Stutzer (2004) studiarono il nesso tra democrazia diretta e conoscenza politica dei cittadini, contemporaneamente in Svizzera e nell’Unione Europea. Per la Svizzera raccolsero i dati su 7500 abitanti e li correlarono all’indice da 1 a 6 del livello di democrazia diretta per i 26 Cantoni. Il livello maggiore venne trovato nel Cantone di Basilea, con l’indice 5,69; il minore, quello di Ginevra, essendo di 1,75. Altre variabili importanti vennero controllate, includendo sesso, età, educazione, reddito e adesione eventuale a un partito politico. Fermo restando ogni altra cosa, conclusero che la differenza in conoscenza politica fra un abitante di Ginevra e uno di Basilea fosse considerevole ed equivalesse a quella osservata per l’adesione o meno ad un partito politico, ovvero tra gruppi di redditi mensili fra 5000 e 9000 franchi svizzeri. Quanto all’UE, in cui 15 paesi vennero analizzati, tra cui sei avevano indetto un referendum nazionale fra i quattro anni in precedenza, il risultato fu simile. Attualmente 27 dei 51 Stati dispongono di una forma di democrazia diretta al livello statale. I regolamenti differiscono tra essi, siccome ogni Stato rimane sovrano su questo punto. L’iniziativa, paragonabile a quella cittadina in Svizzera, è disponibile nei 24 Stati; il referendum popolare – quello opzionale mediante cui leggi parlamentari possono essere bloccate – è ugualmente disponibile nei 24 Stati, maggiormente gli stessi autorizzanti l’iniziativa. La democrazia è ancora più diffusa al livello locale. Quasi la metà delle città americane, dispongono del referendum d’iniziativa cittadina. Più o meno il 70% degli Americani vive in uno Stato, una città, o una megaplooli, disponenti del referendum d’iniziativa cittadina. In oltre, eccetto il Delaware , tutti gli Stati hanno il referendum obbligatorio per gli emendamenti costituzionali, il che significa che ogni cambiamento alla Costituzione va sempre sottoposto all’approvazione del popolo. Ci sono assai pochi temi esclusi, e per dire il vero, nessuno in parecchi Stati (Waters, 2003; Matsusaka, 2004). •Frey, Kucher e Stutzer (2001), indagarono per sapere se il « benessere soggettivo » dei cittadini fosse modificato dalla democrazia diretta. Il benessere soggettivo può esser misurato schiettamente; nel senso che voi potete domandare semplicemente alla gente quanto questa si consideri felice. Usando lo stesso indice cantonale di Benz e Stutzer, Frey lo correlò alle 6000 risposte date dagli Svizzeri alla domanda: « Quale soddisfazione Lei prova nei riguardi della Sua vita complessivamente? » Frey analizzò quattro variabili suppletive e adoperò una scala per tradurre il livello di soddisfazione su una scala da 1 a 10. Gli abitanti di Basilea (Il Cantone più progressista in democrazia diretta), marcarono il 12,5% di punti di più degli abitanti di Ginevra sulla scala del benessere (il Cantone con le massime forme rappresentative in democrazia). Frey esaminò il benessere soggettivo che risulta dal fatto che la politica sia più in accordo con i desideri dei cittadini (outcome), rispetto al benessere soggettivo risultante della partecipazione alla votazione (process). Lo fece prendendo in considerazione un gruppo di stranieri: questi non possono votare al livello cantonale ma beneficiano anch’essi degli esiti referendari. Gli stranieri, che non votavano al livello cantonale, erano tanto felici nei Cantoni dotati della democrazia diretta quanti gli Svizzeri, ma lo erano meno di quegli ultimi nei Cantoni in cui i soli Svizzeri votavano. Frey ne concluse che il partecipare alla votazione contribuisse ai due terzi dell’accrescimento osservato nel benessere soggettivo, l’ultimo terzo rappresentante il massimo accordo con la politica seguita a seconda dei desideri del popolo. Ciò ha portato a un numero impressionante di referendum. Quasi 2000 iniziative cittadine sono state indette al livello Statale dal 1904 al 2000. Il massimo è stato raggiunto nel 1996, l’anno in cui, nei 24 Stati aventi questo diritto, 96 referendum d’iniziativa popolare furono sottoposti alla votazione. Per confrontare, i rappresentanti di quegli Stati promulgarono 14 000 leggi e risoluzioni, nello stesso anno. I referendum opzionali sono meno numerosi delle iniziative cittadine negli Stati Uniti. D’altro canto, un gran numero di referendum obbligatori sono stati attuati. Cosìcché il cumulo dei referendum statali ammontò a 19 000 fin al 1999. Oltre a questi, circa 10 000 referendum locali hanno luogo ogni anno (Efler, 1999). Quantunque i regolamenti si somiglino in genere, differenze considerevoli esistono nel numero dei referendum popolari indetti nei diversi Stati. Più della metà di essi ebbero luogo in solo cinque Stati: Oregon, California, Colorado, Dakota del Nord e Arizona. Quand’anche l’Oregon, con 318 fino al 2000, ne tenne più della California, per cui solo 275 nello stesso periodo, prendiamo quest’ultima quale esempio. Fatto sta che la California è lo Stato americano non solo più importante – essendo più fortemente popolato e riuscendo molto bene sui piani economico e culturale – ma perché la democrazia diretta californiana è anche controversa. •Nel capitolo 4°, finestra 4-2a, abbiamo già commentato della minore evasione fiscale constatata nei Cantoni gestiti mediante la democrazia diretta. Obiezioni frequentemente udite nei confronti della democrazia diretta verranno discusse nel capitolo 6°. In California, l’introduzione della democrazia diretta è strettamente legata al nome del Dottor Randolf Haynes, che fondò la California Direct Legislation League nel 1895. Mediante i suoi sforzi, la prospettiva di una presa decisionale in democrazia diretta venne introdotta nella città di Los Angeles già nel 1902. Al livello statale questa fu essenzialmente una ri- Gli Stati Uniti: la California Gli Stati Uniti d’America non hanno referendum federali. L’Assemblea Costituente del 1787, convinta da Adams e Ma55 sposta al quasi monopolio esercitato da parte di una compagnia particolare, la Central Pacific Railroad, sulla vita politica californiana alla fine dell’Ottocento. Nel 1901, venne pubblicato il libro « Octopus » in cui Frank Norris descrisse in che modo questa compagnia aveva un’alta influenza sulla politica californiana. Questa non era soltanto implicata nelle attività di trasporto, interveniva anche nella speculazione fondiaria, ad esempio. Quasi tutti i regolamenti legali di quest’epoca s’instauravano a suo vantaggio. Norris scrisse: « S’impossessano dell’urna (...) s’impossessano di noi ». Allorché venne conosciuta la presa di controllo « dell’Octopus », questa resisté. Hiram Johnson, procuratore pubblico, sostenitore di Haynes e leader de l’ala progressista dei Repubblicani, diventò governatore nel 1910. Egli condusse la sua campagna ( con lo slogan: « La Pacific deve tirare indietro le sue zampe sporche dalla politica ! ») in autobus, rifiutando di prendere il treno. Nel 1911, Haynes, Johnson e i loro seguaci, riuscirono ad introdurre il referendum d’iniziativa popolare. Nello stesso momento venne introdotta la procedura del « richiamo » – cioè la destituzione di rappresentanti e membri eletti dalle alte istanze sotto il chiedere degli elettori. La Californian Direct Legislation League dovette ancora eludere diverse offensive contro la democrazia diretta. Nel 1920, oppositori all’iniziativa cittadina tentarono di utilizzarla nuovamente quale strumento per spegnere bermela sua virulenza. Una proposta che conteneva una soglia di numero di firme estremamente elevata, a proposito di questioni d’imposte, non fu mai rigettata dagli elettori. (Waters 2000). •Le iniziative cittadine californiane sono dirette. Al contrario di quelle indirette, non vengono promulgate dal Parlamento. Ne risulta che il Parlamento non può lanciare una controproposta per opporsi all’iniziativa cittadina. Per le iniziative cittadine, la votazione avviene rapidamente: ad esempio, se la soglia formale sarà raggiunta per l’estate, l’iniziativa verrà già sottoposta alla votazione in novembre dello stesso anno. In linea di massima, c’è solo un solo giorno d’elezioni ogni due anni, al quale talvolta se ne può aggiungerne un altro solo. Questi punti, che differiscono da quelli del sistema svizzero, vengono criticati da alcuni sostenitori della democrazia diretta. A seconda di questi ultimi, periodi più lunghi e la ripartizione delle iniziative in base a più giorni d’elezione, sono buoni criteri per garantire un dibattito pubblico migliore. La mancanza del processo parlamentare e quella di una controproposta eventuale, forniscono meno informazione al pubblico lasciandogli meno opzioni. •Una proposta approvata mediante il referendum può, nonostante questo, venire annullata dalla Corte di giustizia, il rischio essendo assai considerevole dopo l’approvazione referendaria: tra il 1964 e il 1990, ciò accadde in 14 occasioni per un totale di 35 iniziative cittadine aventi tutte ottenuto la maggioranza dei voti. Un’iniziativa felice può quindi essere rovinata dal tribunale. É chiaro che questo controllo legislativo, che venne proposto dopo l’elezione, fosse stato considerato quale uno svantaggio sensibile del sistema californiano. Tale problema può esser risolto agevolmente con l’introduzione di una petizione intermediaria: ogni iniziativa cittadina avente raccolto un numero relativamente basso di firme, p. es. 10 000, acquisisce il diritto di diventare in seno al Parlamento l’oggetto di discussioni sulla proposta ed anche di essere controllata dalla Corte costituzionale. Ciò lascia alle persone che l’hanno presentata la possibilità e il diritto di modificare la loro proposta alla luce del dibattito parlamentare. Inoltre, un controllo costituzionale per tempo ovvia alla sconfitta legale scoraggiante della proposta, dopo che l’intera procedura referendaria è ultimata. L’annullamento di una proposta approvata dal popolo è cosa cattiva per la democrazia: il popolo deve non solo aver l’ultima parola, ma anche vedere che questa sua parola è l’ultima. L’annullamento, spesso in base a ragioni formali, genera frustrazione e di frequente, l’impressione giustificata che un’élite potente tutto stia attribuendosi l’ultima parola. Alcune caratteristiche della democrazia diretta californiana Il referendum d’iniziativa cittadina (« Initiative ») differisce da quello svizzero su qualche aspetto. Le regole non sono cambiate, per dire il vero, dal 1912. •La gente che lancia l’iniziativa può essere aiutata da certuni servizi governativi, al principio delle operazioni. Possono anche venir assistite dal Consiglio legislativo che redige la proposta in forma legale appropriata. L’argomento, così preparato, viene presentato a un gran giudice, l’attorney generale che compone il titolo ufficiale ed il riassunto della proposizione. Questi elementi due sono importanti, dato che vanno pubblicati sull’opuscolo informativo ufficiale per la votazione. Inoltre, in cooperazione col Ministero delle finanze, tra le altre amministrazioni, un’analisi viene realizzata sulle conseguenze fiscali della nuova proposta. Il tutto si compie in un mese e mezzo. La proposta può circolare in vista della raccolta delle firme. •Il fascicolo elettorale informativo: tre o quattro settimane prima della votazione – come accade in Svizzera – gli elettori ricevono un opuscolo contenente il materiale informativo essenziale sul referendum. Tale opuscolo contiene, oltre il titolo ufficiale, riassunti e analisi menzionati in precedenza: •Ogni questione dal relativa al potere statale può fare un tema d’iniziativa cittadina, e dunque quelle includenti il bilancio, le imposte, l’immigrazione, ecc.. C’è solo un’esigenza formale: l’unità tematica – non si possono avere due temi senza relazione in un’iniziativa sola. – il testo integrale dell’iniziativa; – gli argomenti ai pro e i contro da parte dei sostenitori e opponenti, i quali vanno formulati quattro mesi prima della votazione. Sostenitori e oppositori hanno il diritto d’usare 500 parole; due settimane dopo, ambedue le parti possono proporre un testo aggiuntivo di 250 parole in risposta al testo avverso; – un riassunto conciso degli argomenti avanzati da entrambe le parti. •L’iniziativa costituzionale ed il provvedimento legislativo sono anche possibili. La soglia delle firme per la prima è fissata al 8% dei partecipanti all’ultima votazione per eleggere il governatore dello Stato; per il secondo, basta il 5% della stessa votazione. La raccolta delle firme si deve effettuare entro 150 giorni al massimo. L’iniziativa cittadina approvata non può venir modificata successivamente dalla Camera dei Rappresentanti; essa può tuttavia esserlo esclusivamente adoperando il referendum. Le iniziative approvate concernenti disegni di legge, però, possono esser emendate dalla Camera dei Rappresentanti. Le sorti dei referendum californiani sono diverse. Tra l’anno 1912 e gli anni ‘30, gli elettori dovettero esprimersi in media su più di quattro referendum all’anno. Negli anni ‘50, ‘60 e ‘70, si ricorse raramente all’iniziativa cittadina. La gente aveva allora gran fiducia nel suo sistema rappresentativo. Negli anni ‘60, 9 iniziative furono lanciate. Tuttavia, in seguito, 56 l’iniziativa cittadina guadagnò popolarità, quando iniziative tanto progressiste quanto conservatrici abbero entrambe contemporaneamente probabilità notevoli di successo. Quelle « conservatrici » includevano l’introduzione della pena di morte, mediante il referendum nel 1974. Lo stesso anno, il movimento ecologista segnò un successo enorme con una legge sulla protezione costiera approvata dal referendum. Anche la minaccia dell’iniziativa cittadina bastava in sé per costringere a certi cambiamenti importanti, quale la moratoria sulle centrali nucleari che venne approvata nel 1976. Il varco aperto dalla Proposta 13 ebbe due conseguenze. Altre ribellioni fiscali si levarono anche in altri Stati dove esistevano simili forme d’iniziativa cittadina. Una volta di più, il successo della Proposta 13 rese l’opinione pubblica conscia delle possibilità offerte dal referendum. « Verso gli anni ‘80, l’iniziativa cittadina cominciò a sostituire la rappresentazione quale grado principale di risoluzione dei dibattiti politici. Fuori del sistema rappresentativo, gli attivisti di destra così come di sinistra vennero ispirati dall’esempio della Proposta 13. Per buone e cattive ragioni, molti sognavano perfino di diventare il prossimo Howard Jarvis. Le organizzazioni cominciarono a acquisire risorse e competenze necessarie per presentare i loro obiettivi agli elettori. Durante gli anni ‘80, gli sforzi per ottenere iniziative cittadine raddoppiarono e alla fine di questo decennio, 48 misure erano già decise mediante la votazione. In più, aumentò anche la fortuna di veder il successo dell’iniziativa. Prima del 1980, gli elettori californiani approvavano solo un terzo delle proposte a loro presentate. Dal 1980 al 1990, essi ne accettavano circa la metà (Schultz, 1996, p.3). Negli anni ‘90, l’interesse continuò a crescere. Nel novembre 1996, gli elettori dovettero decidere più misure che durante l’intero periodo dal 1960 al 1969. Nel 1977-78 la famosa iniziativa « Proposta 13 » venne redatta; essa richiedeva una pausa nell’incremento delle imposte sugli immobili. Gli anni precendenti, si era assistito a una forte inflazione mente i prezzi degli immobili sorpassavano la svalutazione del dollaro. Le famiglie delle classi medie ne risultarono confrontate con un doppio boom fiscale. Le tasse locali, che erano legate al valore delle loro case, salirono alle stelle. In oltre, l’inflazione causò un aumento dei redditi facendoli passare nelle fasce d’imposta superiori, senza compenso reale sul loro potere d’acquisto. Quest’andamento concesse allo Stato californiano di dotarsi con un reddito supplementare ammontante a 2,5 milioni di dollari nel 1976. L’anno dopo, un consenso si stabilì in seno al Parlamento californiano per utilizzare tale reddito eccezionale per sollevare il fardello dei piccoli proprietari. Però i politici non riuscivano a trovarsi d’accordo su un piano preciso d’applicazione. I Democratici Liberali argomentavano a favore di uno schema agevolante i bassi redditi, mentre i Repubblicani, come Reagan, proponevano misure vantaggiose per gli alti redditi. La proposta 13 viene sovente citata dagli oppositori del referendum per illustrare l’atteggiamento irresponsabile della votazione popolare. Infatti, fu piuttosto la passività irresponsabile del Parlamento a causare la rivolta fiscale degli elettori. Si formulò anche un altra critica contro della procedura di richiamo, la quale comportò la sostituzione del governatore Gray Davis con l’attore Arnold Schwarzenegger. I mass media crearono l’immagine falsa di un richiamo troppo facile da ottenere per il fatto che l’uomo politico in carica non avesse allora la minima probabilità di poter sbrogliarsela. Ci sarebbero altre critiche basate sul fatto che il governatore in carica potesse agevolmente essere rigettato alla maggioranza semplice dei votanti, mentre il proprio successore potesse esser eletto con meno voti. Inoltre, si pretendeva che la campagna del richiamo fosse una « campagna popolare » solo in apparenza : nei fatti, il « big business » stava veramente dietro di essa. Inoltre, la circostanza che un « politico serio » venisse sostituto da « soltanto un attore » rivelava precisamente e per l’appunto questo tipo d’abuso al cui conduceva la democrazia diretta. Niente accadde durante tutta la primavera, ma in luglio, due attivisti conservatori e contrari alle imposte, Howard Jarvis e Paul Gann, annunciarono il lancio di un’iniziativa cittadina. La loro proposta rifiutava gli aumenti d’imposte incontrollati che facevano disperare i piccoli proprietari. Ma la Proposta 13 aveva un’altra caratteristica: non faceva nessuna distinzione tra case e imprese, riunendo nella stessa categoria tutti i beni immobili. Ciò implicava che la proposta fornisse alla comunità degli affari un beneficio colossale che quest’ultima non avrebbe mai osato chiedere.. Questa particolarità non colpì l’attenzione nell’autunno 1977, allorché ferveva la campagna di raccolta delle firme per la Proposta 13 e che nel mondo politico, non c’era verso di trovare una soluzione: nessuno non sapeva dove sbattere la testa. In dicembre, Jarvis e Gann presentarono le firme raccolte in vista dell’iniziativa: due volte più del numero richiesto. Nell’inverno, dopo due anni di discussione, il Parlamento non aveva raggiunto un consenso sul che da fare. Nel gennaio 1978, i membri del Parlamento si ritrovarono sotto la terribile pressione di doverne venire a capo. Nel frattempo, la Proposta 13 aveva radunato un sostegno tremendo. Finalmente, soltanto nel marzo 1978, il Parlamento presentò l’alternativa sua alla crisi, che andava presentata agli elettori in forma di « Proposta 8 » nel mese di giugno seguente, in opposizione alla « Proposta 13 » di Jarvis e Gann. Malgrado – ovvero forse a causa del sostegno massiccio che tutti i politici diedero alla proposta 8 – i cittadini, stimolati da questa campagna, scelsero la Proposta 13 con una maggioranza soverchiante. A proposito di questo, Shultz scrisse nel 1977: « Venti anni dopo questo fatto, è importante rendersi conto a quale punto la ribellione contro le imposte era cresciuta in California. Si trattava di gente che viveva in piccole case, comprate negli anni cinquanta per circa 15 000 dollari ; fu subito confrontata con imposte fondate su quattro volte tale valore. Si aggrappò alla Proposta 13 per proteggere se stessa, e, per venti anni, se la trattenne irremovibilmente. Ora, questo era principalmente falso. Prima di tutto non è affatto agevole avviare una procedura di richiamo : al meno 900 000 firme sono necessarie per une elettorato di 15 milioni di persone nel 2003. Inoltre non è cosa tanto frequente; infatti, una sola volta prima questa aveva costretto un governatore a rassegnare le dimissioni : era nel 1920 negli USA ; al livello locale, il ricorso al richiamo è più raro ancora (36 Stati dispongono però di tale procedura), ma nella stragrande maggioranza dei casi, politici sopravvivono bene al richiamo : I Councillors [consiglieri, ndt] sopravvivono nel 70,8% dei casi, e Mayors [sindaci, ndt] nell’ 82,4% dei casi. La ragione, per la quale un gruppo di cittadini si misero a raccogliere dunque 900 000 firme, è che Davis – che era stato eletto governatore in precedenza con un margine assai ristretto – aveva già smarrito un’autorità considerevole per le sue insoddisfacenti risposte alla seria crisi energetica che durava da lungo tempo ; apparse inoltre che lui avesse in seguito lasciato un enorme debito nel bilancio. Per la sua campagna di rielezione, Davis dipinse una situazione finanziaria idilliaca dello Stato, aggredì ogni persona che menzionasse il disavanzo di bilancio, ed escluse categoricamente ogni aumento delle imposte. Poco prima della sua elezione, Davis 57 •La spesa pubblica globale dello Stato e delle Assemblee decresce ; •Le spese vengono trasferite al livello più locale ; •C’è uno spostamento delle imposte generali verso il pagamento di equipaggiamenti pubblici specifici. dovette eppure ammettere un disavanzo di bilancio record di 32 miliardi di dollari (più della somma cumulata dei disavanzi di tutti gli altri Stati americani, mentre due anni fa, c’era un’eccedenza di bilancio); lui decise inoltre un incremento delle imposte di 8 miliardi di dollari. Inoltre, divenne palese che Davis fosse stato appoggiato dal « Big Business »: per la procedura di richiamo, i due più importanti portavoce degli affari californiani – la Californian Business Roundtable e la Los Angeles Chamber of Commerce – sostennero Davis. Ciò significa che la gente, se ha l’opportunità di farlo così, esibisce una tendenza a « sgrassare » lo Stato, in particolare all’occorrenza, lo Stato centrale – è anche incline a lasciare il popolo pagare per il proprio consumo. Negli Stati Uniti, il governo spende circa il 36% del PIL ; pressappoco la metà viene spesa dai Parlamenti locali e gli Stati. Se il referendum d’iniziativa cittadina è disponibile in uno Stato singolo, ciò porta a una diminuzione media delle imposte, per una famiglia di quattro persone, di 534 dollari e una riduzione di 589 dollari nella spesa pubblica dello Stato considerato. Una differenza significativa, in condizioni assolute, ma non drammatica. Il fatto che un attore sostituisse Davis non aveva a che fare con la democrazia diretta. Al livello federale, gli USA non hanno nessuna forma di democrazia diretta – al giorno d’oggi gli Stati Uniti sono uno dei rari paesi del mondo a non avere mai indetto un referendum – e l’attore Ronald Reagan stesso fu in grado di divenirne il Presidente. Non è certo cosa buona tuttavia che, mediante la procedura di richiamo, fosse possibile costringere alle dimissioni un governatore in carica, che avrebbe raccolto il 40% dei voti, mentre il suo successore potrebbe essere eletto soltanto col 30% dei voti. Ma bisogna vedere che gli elettori devono scegliere il successore attraverso un solo scrutinio da un elenco con almeno due candidati. Succede dunque raramente che il candidato che ha più dei voti ottenga ugualmente la maggioranza assoluta. Ma ciò non è del tutto un elemento inerente alla procedura stessa del richiamo. Questo problema sarebbe potuto essere facilmente modificato con più scrutini, nei quali, in ultimo ricorso, i due candidati che dispongono del maggior numero di voti si ritrovassero in competizione ultima – esattamente il caso delle elezioni presidenziali francesi. La gente che ha votato in precedenza per candidati in terza o quarta posizione, deve finalmente scegliere tra i due candidati più popolari in un ultimo scrutinio. Ci sarà dunque sempre una maggioranza assoluta per uno di ambedue (Nijeboer, 2003). Matsusaka scoprì una altro fatto notevole. Le disposizioni nel referendum d’iniziativa cittadina non sono le stesse in Stati diversi. La variabile principale è la soglia delle firme da raggiungere e questa può variare dal 2 al 10% degli elettori iscritti. L’impatto del referendum d’iniziativa cittadina aumenta sistematicamente con la diminuzione delle soglie imposte. Negli Stati con soglie più basse, l’impatto referendario sui redditi e spese pubblici si colloca dentro una scala che raggiunge il 7%, mentre rimane irrilevante negli Stati che impongono una soglia elevata (pp. 33-35). Tanto più è facile lanciare un referendum d’iniziativa cittadina, quanto più l’aliquota d’imposta è bassa. La tendenza a ridurre le imposte non prende effetto nello stesso modo a tutti i livelli dell’amministrazione pubblica. La riduzione del complesso delle imposte è il risultato di una forte inclinazione a diminuire la spesa al livello dello Stato, all’incirca del 12%, combinatasi con una tendenza, meno marcata questa, di aumentare la spesa al livello locale, ossia quello dei consigli e delle città. Tale tendenza decentratrice pare statisticamente stabile. Ma ciò non vuole dire che le imposte aumentino al livello locale. La più ampia spesa delle città (nella misura in cui c’è correlazione con le disposizioni referendarie esistenti) viene realizzata per le cariche del servizio pubblico : « Al livello dello Stato, l’iniziativa apporta una riduzione d’imposte dell’incirca 5% e nessuno cambiamento per le cariche. Al livello della città, l’iniziativa porta al 14% di cariche in più e nessuno cambiamento per le imposte.» (p.52). La presa decisionale democratica e diretta ha già beneficiato di più fiducia tra gli elettori di quella indiretta da parecchi decenni. Elezioni più recenti confermano tale tendenza. La metà delle persone consultate ha fiducia nel popolo quale legislatore diretto. Invece, il 78,8% della gente interrogata considera che il Parlamento sia manipolato da un pugno di rappresentanti di « interessoni », mentre il 15% crede che il Parlamento tenga a mente, in genere, il bene pubblico. L’effetto della democrazia diretta e dell’iniziativa cittadina sulle tasse e spese pubbliche Per finire, c’è ancora una caratteristica notevole. I dati citati sopra concernono il periodo dal 1970 al 2000. Il più degli Stati introdussero il referendum all’inizio del Novecento e le condizioni in cui questi sono stati attuati dopo, sono state assai poco modificate. All’inizio del Novecento la spesa pubblica si ammontò al 6% del PIL (Prodotto Interno Lordo), mentre cento anni dopo questo tasso sta avvicinando il 40%. Matsusaka esaminò anche l’effetto del referendum durante il periodo del 1902-1942, da cui risultò che il referendum inducesse a un aumento della spesa pubblica. Matsusaka si accorse anche che la spesa pubblica in questo periodo aumentò meno rapidamente via via che diminuiva la soglia delle firme per indire un referendum. Con riferimento alla California, si lamenta sovente che la democrazia diretta vi abbia condotto a problemi di bilancio, dato che la gente riduce sistematicamente le imposte mediante la democrazia diretta fin al punto che lo Stato non possa più agire come dovrebbe. La Proposta 13 viene spesso menzionata a titolo esemplare (si vede l’opera di Daniel Smith : « Tax Crusaders »). Seguendo questa critica, lo in studioso di scienze politiche americane, Matsusaka, nel suo studio « For many or the few » (2004) indaga di un modo sistematico sull’effetto dei referendum sulle imposte e spese pubbliche negli Stati Uniti. Raccolse una quantità enorme di dati da tutti gli Stati americani e di circa 4 700 città americane per i cento ultimi anni – « per l’essenziale, tutti i dati correntemente accessibili » (paginaXIa). Scoprì tre effetti : Pertanto, non si può affermare senza riserve che il referendum conduca sempre a riduzione delle imposte. La sola cosa che si può dire è che il referendum d’iniziativa cittadina garantisca una messa in opera migliore della volontà maggioritaria. Come pare, il 6% della spesa pubblica nel 1900, era troppo debole agli occhi della maggiore parte della gente 58 (Matsusaka mise questo in rapporto con la rapida crescita urbana di quest’epoca che trascinò domande per tutti i tipi d’infrastrutture collettive), mentre quella del 40% attuale viene chiaramente considerata quale spesa troppo elevata e centralizzata. milioni di dollari spesi. Dalla fine degli anni ‘80, più denaro venne investito in California nelle iniziative cittadine di quello investito dal lobbying in seno al Parlamento. La comunità degli affari fornì all’incirca il 66% del denaro nel 1990 (individui : 12% ; partiti politici : 7% ; sindacati : 1%) (Schultz, 1996, p.81). Matsusaka dedicò un intero capitolo alla questione di sapere se gli spostamenti tre che ebbero luogo sotto l’influenza del referendum d’iniziativa cittadina riflettessero anche la volontà popolare. A questo fine, consultò i risultati di un gran numero di sondaggi d’opinione che vennero realizzati durante quei tre decenni ultimi. Non ci vogliono milioni di dollari per i sondaggi d’opinione – un paio di migliaia bastano per realizzare un sondaggio d’opinione rappresentativo negli USA – e nessuna campagna che costi milioni di dollari viene mai condotta. Quindi, non c’è distorsione che provenga dal finanziamento unilaterale. Dai sondaggi d’opinione, diviene palese che il più degli Americani sono in realtà sostenitori del minimo governo (quello che corrisponde alla tendenza di riduzione dell’insieme delle imposte) ; essi appoggiano il decentramento (spostamento dell’autorità di spesa verso il governo locale); essi considerano in genere le imposte quale fonte pubblica di redditi meno attraente. E perfino per battere sullo stesso chiodo : « Per ogni politica, io sono capace d’esaminare, l’iniziativa spinge la politica nell’orientamento che la maggioranza della gente augura prendere. Sono io incapace trovare una prova che la maggioranza provi antipatia per i cambiamenti politici causati dall’iniziativa ». (Matsusaka, 2004, pagine XI-XII ; sottolineato da lui). Dalla prima fase della loro storia le iniziative cittadine vennero professionalizzate. Al tempo della prima Guerra mondiale, Joseph Robinson aveva già creato una società d’affari cha raccoglieva le firme contro la retribuzione. Attualmente tali società propongono all’incirca di un milione di dollari per assicurare la colletta di firme per l’iniziativa cittadina californiana. Nel 1930, venne fondata la prima società che concepì veramente le campagne stesse (Whitaker & Baxter’s Campaigns Inc.). Nel frattempo, parecchie dozzine di « consulenti » professionisti sono attivi nello Stato e soprintendono ad entrambe le campagne dei politici e delle iniziative popolari. Tali consulenti si focalizzano di solito su segmento unico del « mercato politico ». Insomma, ciò conduce a un argomento spesso invocato : le potenze finanziarie e gruppi d’interessi abuserebbero del referendum d’obbligo o d’iniziativa cittadina per fare prevalere la propria agenda, col pregiudizio che « l’interesse generale » venga sempre considerato come servito dal sistema rappresentativo popolare. Tale argomento non è di solito pensato a fondo di un modo coerente. Abbiamo già menzionato sopra la prova fondamentale di Matsusaka, secondo cui la proposta referendaria, che viene sottomessa in alternativa alle intenzioni del « sistema rappresentativo », aumenta anche le opzioni per gli elettori e offre loro dunque più spazio per prendere decisioni più appropriate alle loro preferenze. Matsusaka ha paragonato questo a una famiglia in cui il padre (= « il sistema rappresentativo») propone « unilateralmente » quale sorta di pizza si debba mangiare. Quando la madre (= « interessi particolari ») può anche suggerire un’altra pizza, dopodiché ciascuno (dunque i bambini (= « gli elettori »)) può votare la proposta, il tutto per non rendere peggiore la situazione dei bambini. L’opzione del padre rimane sempre disponibile, ma se quella della madre è migliore, si può darle la preferenza nella votazione. « Così possiamo vedere che permettendo a ciascuno nella famiglia di fare proposte, questo funziona in genere a vantaggio della maggioranza. La conclusione vale perfino anche se il diritto di fare proposte venga riservato ad alcuni membri della famiglia. (…) A patto che le proposte sopravvivano al filtro dell’elezione maggioritaria, il solo mezzo di cui dispone un’iniziativa per rendere peggiore la situazione per la maggioranza, è di poter convincere gli elettori ad approvare politiche contrarie ai loro interessi. » (Matsusaka, 2004, p.12). La conclusione di Matsusaka è chiara : « Alcuni osservatori premurosi (…) hanno argomentato che l’iniziativa permetta a gruppi singoli di generare politiche contrarie all’interesse pubblico. La loro argomentazione si fonda sull’osservazione che l’iniziativa costi molto nel suo impiego e sembri essere retta da individui e gruppi ricchi. L’evidenza mostra qui, però, quand’anche gli interessi fortunati siano giocatori prominenti nell’iniziativa politica, i loro sforzi, in fine dei conti, ricadono sempre a beneficio della maggioranza. Non c’è mistero sul modo in cui ciò si verifica. Senza l’iniziativa, gli elettori vengono costretti ad accettare le scelte politiche della legislatura. Con l’iniziativa, gli elettori hanno possibilità di scelta. Nel caso che l’alternativa dell’iniziativa sia meno buona della politica della legislatura, la prima può sempre venir rigettata e non c’è nulla di male ! Nel caso contrario, gli elettori possono accettare l’iniziativa e se ne sentono meglio. In breve, anche se c’è un accesso impari, quando si viene al proporre iniziative, la capacità degli elettori di respingerne le cattive e conservarne le buone, consente al processo di funzionare a vantaggio della maggioranza (…) Voglio insistere sul fatto che la prova sia di valore neutro : non ci dice se il processo dell’iniziativa sia la forma buona o cattiva di governo. La prova insegna semplicemente che l’iniziativa favorisce la volontà della maggioranza » (p. 74). Nello studio suo « Il paradosso populista » (1999), la studiosa di scienze politiche, Elizabeth Gerber, esaminò sistematicamente fin a quale punto gli « interessi speciali » potessero fare prevalere il programma loro giovandosi di molto denaro. Ha analizzato il margine lordo d’autofinanziamento di 168 iniziative cittadine negli 8 Stati americani. In opposizione agli argomenti della critica, potenti interessi commerciali sembrano aver poco successo nell’ottenere l’approvazione di una legge che vogliono imporre mediante il referendum popolare. Le iniziative aventi ricevuto appoggi finanziari principalmente da parte di cittadini individuali, furono quasi due volte più sovente adottate di quelle aventi ricevuto il sostegno principale di gruppi d’interessi (Per dire il vero, il numero di iniziative interamente appoggiate da gruppi d’interessi economici particolari o da cittadini individuali è assai scarso). La Il ruolo degli interessi particolari Ciò che abbiamo appena detto sopra si connette al tema degli « interessi speciali ». Molto denaro venne impegnato dall’inizio nella democrazia diretta in California. Già nelle elezioni del 1922, la quantità totale investita sorpassava il milione di dollari. Durante gli anni ‘70, ‘80 e ‘90, l’ammontare del denaro speso nelle campagne elettorali sorpassava spesso di parecchie volte questa cifra. Nel 1992, si valuta che i comitati di campagna in 21 Stati spesero 117 milioni di dollari e nel 1998, tale cifra culminò già a 400 in 44 Stati. Su questi 400 milioni, la California assume la parte del leone con 256 59 stragrande maggioranza delle elezioni popolari si riferiscono a iniziative cittadine (pp. 111-112). Gerber conclude : « La prova empirica fornisce una base supplementare per rigettare l’affermazione che i gruppi d’interessi economici comprino risultati politici attraverso il processo legislativo (in democrazia diretta, intendiamoci bene !, ndt) »(p.138). Non è per colpa degli elettori. Ci furono diversi tentativi per mettere in difficoltà l’effetto del denaro sull’andamento del dibattito. Nel 1974, i Californiani approvarono un’iniziativa cittadina (Proposta 9) che restringeva la spesa delle campagne referendarie. Due anni dopo, tale decisione venne però annullata dalla Corte suprema mediante l’argomentare che investire denaro in campagne elettorali rientrasse nel campo della libertà di parola, garantita dal primo articolo della Costituzione degli Stati Uniti. Attualmente, è quindi impossibile imporre un limitazione del costo di campagna per la presa decisionale in democrazia diretta negli Satti Uniti, a meno di emendare la Costituzione o d’interpretarla diversamente. Gerber dimostra al contrario i che gruppi d’interessi economici riescono meglio però puntando al fallimento delle iniziative cittadine e incoraggiando il lancio di contro-iniziative. Quando un’iniziativa pare assai popolare, questo non sembra di bastare per rovesciare l’andamento degli eventi. Oppositori fortunati tentano di seminare confusione lanciando proposte alternative che assomigliano molto quella originaria, se esse vengono prese in conto superficialmente. Ciò successe par la prima volta nel 1978, con la proposta 13 anti-imposte di cui abbiamo già parlato. Parecchi politici lanciarono una contro-iniziativa « moderata » all’ultimo momento, la quale tuttavia fallì. La Corte suprema ammetteva la limitazione finanziaria per candidati alla rappresentanza, siccome vengono esposti al rischio di corruzione, ma questo rischio non può intervenire nel voto popolare su una questione pubblica, dato che sono gli elettori stessi a decidere. Il 18 dicembre 1996, gli oppositori del « big money » riportarono una vittoria sorprendente con l’approvazione della proposta 208 : il 60,8% votò in favore dell’introdurre un massimo di spesa per le elezioni di rappresentanti. Fino a questa data, non ci era massimo legale di spesa in California. Quanti presero tal iniziativa citarono l’esempio di un candidato alle elezioni parlamentari californiane che, avendo ricevuto 125 000 dollari di più, da una compagnia di tabacchi nella settimana precedente la votazione, vinse finalmente con un margine stretto di 597 voti. L’opuscolo elettorale informativo della proposta 208 stipulò : « Quando vincono gli interessi particolari « Big money », perde il popolo ! ». Ciononostante, la proposta 208 venne ugualmente contestata dinanzi alla Corte. Durante la procedura un altro gruppo lanciò la proposta 34, che voleva annullare la proposta 208 e imporre limitazioni meno rigorose alle donazioni per la campagna. Questa venne approvata da più del 60% degli elettori nel novembre 2000. Un anno chiave fu il 1990, allorché parecchie iniziative progressiste « giovani lupe » vennero lanciate. Ci era la « Nickel per drink » iniziativa proponente un tassa più elevata sugli alcolici (proposta 134) ; ci era la « Big Green » iniziativa ambientale maggiore redatta da gruppi ecologisti in cooperazione con Democratici ; e ci fu la proposta « Forest Forever » (proposta 130) che mirava principalmente alla protezione delle foreste californiane. Un’indiscrezione sfuggita da un memorandum confidenziale rivelò alla consapevolezza dell’industria chimica e petrolchimica, di un modo particolare, che l’iniziativa « Big Green » non potesse venir ostacolata par causa della popolarità sua. Pertanto, venne lanciata un contro-iniziativa : la « Big Brown » (proposta 135). L’industria della legna, da parte sua, neutralizzò « Forest forever » dalla « Big Stump » (proposta 138). Per neutralizzare la « Nickel per drink », l’industria degli alcolici lanciò quanto ad essa due iniziative proprie: “Penny a drink” (proposta 126), che proponeva una tassa inferiore sugli alcolici e un’altra che non voleva più che ci fossero tasse sugli alcolici, compresi gli aumenti di tasse, ma esigette in cambio la maggioranza dei due terzi invece della maggioranza semplice. Tutte queste contro-iniziative erano destinate a gettare lo scompiglio. Gli elettori vennero finalmente messi a confronto con un elenco-zibaldone di 27 iniziative e contro-iniziative complesse, i quali gli fecero convergere nel « Big NO » : 23 delle 27 proposte vennero quindi rifiutate, comprese proposte originariamente progressiste, che avrebbero potuto effettivamente contare su molta simpatia da parte del pubblico. Questo è l’esempio tipico di un fenomeno ordinario : gli elettori sono sempre prudenti e, in caso di dubbio, rigettano la proposta. « Gli elettori, essendo desolati, alzano meramente le braccia al cielo e votano « NO » contro tutto. » (Shultz, 1996, p.84). La pubblicazione ufficiale delle origini dei fondi era anche nel mirino. Nel 1988, gli elettori californiani accettarono la proposta 105 cje stabilisce che i finanziamenti più importanti andavano svelati pubblicamente in una campagna elettorale. Questa disposizione rimase vigente mentre per parecchi anni e fu estremamente efficace. Par darne un esempio : nella pubblicità contro l’iniziativa « Nickel per drink » dicevano sempre : « … finanziata dal « Beer Institute, Wine Institute and Distilled Spirits Council ». L’industria non riuscì mai a paralizzare la proposta 105. Sembra che finanziamenti industriali si nascondano dietro nomi senza senso o ingannevoli ; ad esempio, l’industria dei tabacchi condusse una campagna che le costò 18 milioni di dollari nel 1994, col titolo : « Californians for the Statwide Smoking Restriction’s (CASSR) [Californiani in favore della,limitazione del fumo da un capo all’altro dello Stato] » (si veda sotto). Nel 1997, però, il Senato californiano faceva approvare una legge (SB 49) obbligante alla pubblicazione sul sito Internet delle autorità californiane di ogni spesa di superiore ai 100 000 dollari per un’iniziativa cittadina. Queste vicissitudini ci insegnano un fatto importante : se l’economia può invadere la vita democratica, la democrazia traballa. Mentre sta avanzando la presa decisionale democratica, i cittadini devono decidere dei limiti legali entro cui può operare l’economia. Questi devono essere tanto inflessibili quanto lo sono confini geografici o geologici, ad esempio : devono proteggere la dignità del popolo e prevenire ogni tentativo di corromperlo. Il dibattito, ovvero il processo della formazione dell’immagine, è il vero dramma centrale della democrazia e dovrebbe quindi recitarsi in foro aperto e non andrebbe comprato. Un esempio dell’efficacia della pubblicità obiettiva si diede nel 1988, allorché l’industria dei tabacchi propose un’iniziativa che mirava a togliere delle restrizioni al fumo, molto estese in California. Tuttavia, i baroni del tabacco presentarono la propria iniziativa quale proposta CASSR (si veda sopra) sedicente per limitare il tabagismo e proveniente da un’organizzazione fittizia. Quando fu chiaro per tutti che essi prendevano in giro il pubblico, la Californian Wellness Foundation e il Public Media Center diffusero un’informazione schietta comprendente solo riferimenti dell’informazione elettorale e lista degli sponsors più importanti ai pro e contro la proposta. 60 L’opuscolo elettorale dichiarava : « Le misure proposte condurrebbero a meno restrizioni per i fumatori di quelle esistenti nella legislazione odierna. » Importanti finanzieri che vennero così individuati includevano : Philippe Morris USA, Reynolds Tobacco Co ; e alcuni altri fabbricanti di tabacco. I finanzieri più importanti della resistenza contro la proposta 188, individuati dall’informazione pubblica furono : l’American Cancer Society, l’American Lung Association, l’American Heart Association, e l’American Medical Association. La pubblicazione di questi fatti, in un manifesto di una pagina, assai bene presentato al piano grafico, permise agli elettori californiani di rendersi conto immediatamente di ciò che stava accadendo e la proposta 188 venne rifiutata attraverso una disfatta umiliante del 70% e del 30%. Tal esempio dimostra che il pericolo serio di fallimento possa venire specificamente dagli interessi commerciali. Pubblicare i nomi dei finanzieri nell’opuscolo elettorale, e diffondere il documento stesso in un formato chiaro e leggibile mediante annunci od inserti pubblicitari sui giornali fu quindi un rimedio efficace. mangono redatti in tre lingue, spagnolo e cinese e inglese. Nel 1987, il partito democratico tentò di combattere giuridicamente tale iniziativa approvata, ma gli oppositori avendo suonato l’allarme sul suo esito, questo partito si tirò indietro temendo di perdere voti. La proposta 227 in questione fu anche battezzata « solo inglese » e venne approvata dal 60% degli elettori nel 1998. Fondamentalmente queste proposte stipularono che la « bilingual education » in numerose scuole andava determinata : gli scolari che non parlavano l’inglese (ma parlavano di solito lo spagnolo), andavano sottoposti nella scuola a una « english immersion ». Nei distretti scolastici dove questa misura poteva contare su un ampio appoggio, essa viene applicata. Invece, in altri luoghi tal iniziativa ebbe nessuno influsso. In San Francisco, ad esempio, solo il 38,5% degli elettori votò per la proposta e il responsabile della rete locale delle public schools dichiarò freddamente che la proposta non venne mai applicata. Questo malgrado il fatto che l’iniziativa fosse stata approvata al livello dello Stato e che il principio dell’uguaglianza richiedeva che la proposta venisse regolarmente messa in opera nello Stato intero. Di fatto, la sorte della proposta 227 rivela che il legislatore non dovrebbe immischiarsi nelle faccende educative interne. Se lo Stato lascia la scelta alle scuole, queste possono scegliere ciò che sembra loro più vantaggioso e lo Stato non deve più imporre un sistema uniforme. Fin al 1992, le iniziative cittadine potevano ancora contare sulla « dottrina d’equità », che era stata adottata nel 1949, dalla Federal Communications Commission (FCC). Secondo questa dottrina, radio e televisioni dovevano fornire a tutti i rappresentanti dei diversi punti di vista, l’opportunità di esprimerli pubblicamente. Tale dottrina fu contestata durante lunghi anni dai proprietari delle stazioni di radio e televisioni e nel 1992, la FCC si lasciò convincere : la dottrina d’equità non fu più legalmente applicata alle iniziative cittadine. Il « documento elettorale » che riceve ciascuno elettore prima della votazione, rimane adesso la sola fonte affidabile d’informazione schietta. Si pone la domanda di sapere se ciò basti. Nel 1990, gli elettori approvarono la proposta 140. Questa introduceva da una parte, limitazioni del mandato parlamentare e, dall’altra, una riduzione all’ 80% del livello previsto di redditi finanziari per i membri del Parlamento. L’obiettivo dell’iniziativa era quello di combattere la creazione di una classe di politici professionisti a vita. La limitazione del mandato riduceva tanto la durata della rappresentanza legislativa stessa quanto quella del posto esecutivo ufficiale. Poi la proposta 140 imponeva un mandato massimo da sei a otto anni. Naturalmente, non si doveva aspettarsi di veder tale proposta approvata dai membri stessi del Parlamento. In effetti, fu però impossibile fare fallire le limitazioni di mandato una volta che erano state approvate. I politici californiani avevano esaurito tutti i rimedi possibili senza riuscirvi. L’ultimo giudizio venne pronunciato infine nel 1997. Nel frattempo, in virtù della proposta approvata, membri del Parlamento e quelli che occupavano i posti più elevati del potere, erano già interamente stati sostituiti. Il potere stabilito ebbe più successo con i tentativi di rovesciare le restrizioni finanziarie introdotte dalla proposta 140. Tramite la Corte, riuscirono a cancellare la riduzione di retribuzione eccessiva per i politici in vista, come essa era stata approvata dal popolo. Altre limitazioni della proposta 140 rimasero non toccate dalla Corte, ma la classe politica giunse ad aggirare di soppiatto la legge,operando cambiamenti d’attribuzione nel bilancio: « Riqualificando agenzie e spostando linee di bilancio fuori dalla spesa legislativa formale, la legislatura mandò all’aria l’intenzione che stava dietro la proposta 140 per la limitazione di spesa. Ciò facendo, non solo si fece sì che conservassero i loro dipendenti politici, ma impegnarono anche servizi da agenzie il cui finanziamento venne ridotto loro » (pp.54-55). Il promulgare delle iniziative approvate In California (così come in Svizzera) il più delle proposte cittadine vengono rigettate dagli elettori. Solo il 34% di queste incontra un esito favorevole. La cosa estremamente sorprendente è che questo non implica che il 34% delle proposte accettate sia promulgato ugualmente nei fatti. Una proposta approvata da una maggioranza di cittadini può ciononostante venire mandata a fondo parzialmente o interamente. Per riuscirvi i politici dispongono di mezzi diversi. In primo luogo, una proposta accettata dal referendum può venir ulteriormente contestata dalla Corte. Ciò succede frequentemente in California e a più riprese tal azione termina con la messa in disparte totale o parziale della sfortunata proposta approvata. In altri casi, le autorità non promulgano puramente e semplicemente la proposta approvata. Elizabeth Gerber ed altri, nel libro « Stealing the initiative [Rubare iniziative] », studiarono il fenomeno attraverso cui quelli che sono al potere castrano o aggirano nonostante decisioni politiche sgradite, mediante manovre diverse. Dieci proposte, approvate dalla consultazione referendaria californiana, vennero esaminate nella loro promulgazione e gli autori conclusero : « É chiaro che gli attori governativi dimostrano enorme discrezionalità sulle sorti delle iniziative dopo che sono approvate » (p.110). Di fatto, molte decisioni popolari sono parzialmente trasformate e in qualche caso, la loro esecuzione è completamente diversa. Un esempio recente (non trattato in questo libro) dell’arroganza cui politici possono dimostrare contro delle decisioni democraticamente prese ci venne fornito in seguito dal Parlamento californiano. Esso approvò una legge che mirava a riconoscere l’unione omosessuale in questo Stato. Un referendum ebbe luogo a proposito di questo tema (proposta 22) nel marzo 2000 e il 61,4% degli elettori decise che ci fosse solo matrimonio tra un uomo ed una donna. Susseguentemente, il Parlamento californiano ha appena fatto approvare Un esempio che colpisce ci è dato dall’iniziativa « Inglese solo » (proposta 62), che intendeva proclamare l’inglese quale sola lingua ufficiale in California e fu approvata dal 73,2% degli elettori nel 1986. Tuttavia la proposta non fu mai applicata. I documenti elettorali ufficiali a San Francisco ri61 una legge autorizzante il matrimonio omosessuale. Però il governatore Schwarzenegger usò il suo diritto di veto contro questo atto parlamentare, dicendo che la volontà popolare andasse rispettata. Lui viene subito ed ovviamente catalogato uomo « d’estrema destra ». Tuttavia Schwarzenegger lasciò ancora aperta la possibilità di rovinare decisioni popolari mediante il ricorso alla Corte suprema. elettori dovevano accorrere negli uffici amministrativi locali, per l’orario di apertura, per apporre la loro firma in sostegno alla domanda d’iniziativa cittadina. Quest’elevata soglia venne agevolmente sorpassata: il 13,7% dei Bavaresi iscritti nelle liste elettorali (ossia 1,2 milioni all’incirca) fecero tale sforzo! Il risultato diventava assai notevole se si prendeva in conto la resistenza ufficiale che regnò in molti luoghi. Ad esempio, parecchi cittadini non furono in grado di fare registrare il loro appoggio meramente perché gli uffici amministrativi stettero chiusi durante l’orario legale d’apertura annunziato. Germania: Baviera ed altro Il primo ottobre 1975 fu un giorno importante per la democrazia europea. Questo giorno, cittadini di Baviera stavano votando per concedersi assai più diritti di presa decisionale diretta al livello delle città, municipi e distretti amministrativi (Landkreisen) (Seipel et Mayer, 1997). La reazione della stampa fu principalmente positiva, eccetto quella dei giornali che appoggiano tradizionalmente la CSU. Il « Münchner Merkur » del 21 febbraio scrisse con sdegno: « Rallegrarsi del fatto che l’iniziativa popolare di « Mehr Demokratie » soddisfaccia la soglia richiesta, sarebbe una reazione inappropriata. In linea di massima, la Baviera ha sempre amato da lungo tempo i suoi diritti democratici. Ogni cittadina può ritirare l’appoggio suo a un consigliere od a un gruppo di consiglieri municipali nelle prossime elezioni, se non è d’accordo con la decisione proveniente da tal amministrazione... ». Lo stesso giorno, il Main-Post prediceva: « Dopo il successo di « Mehr Demokratie in Bayern », la CSU metterà in opera le sue tattiche ben note: accetteranno le proposte dell’iniziativa cittadina, facendone perfino motti propri, ma se la caveranno mediante una controproposta, la quale, in pratica, non nuocerà mai al partito al potere ». Esisteva già forma limitata di democrazia diretta nello Stato bavarese prima del 1995. I Cittadini potevano lanciare iniziative legislative e costringere al referendum su di esse. Però la soglia richiesta per utilizzare questo strumento era eccezionalmente elevata. In fase iniziale, 25 000 firme dovevano essere raccolte. E solo dopo, si poteva presentare una domanda di referendum. Se il Ministro degli Interni (Innenministerium) formulava obiezioni contro l’iniziativa, la Corte costituzionale doveva esprimere il suo parere. Se non c‘erano obiezioni, un’altra tappa andava superata, che consisteva nel raccogliere le firme del 10% degli elettori iscritti (ossia circa 900 000!); inoltre, occorreva recarsi negli uffici dell’amministrazione par fare registrare la loro firma in favore dell’iniziativa, e per coronare l’opera tutta..., nel termine di due settimane ! Questa seconda soglia era virtualmente inattuabile, sicché quasi nessun referendum ebbe luogo in Baviera al livello statale. Quello del 1995 era solo il quarto da venir indetto dalla fine della seconda Guerra mondiale. In oltre, la politica bavarese era inoltre, e lo è sempre odierno, dominata da un solo ed unico partito politico, la Democrazia Cristiana, la CSU. Giudizio attraverso il timore Nel 1991, la precedente iniziativa cittadina, « Das bessere Müllkonzept », che proponeva una riforma del metodo di raccolta delle immondizie, riuscì effettivamente a varcare la soglia del 10%, ma perse per un pelo la battaglia contro la CSU nel susseguente referendum. Però, allorché la soglia era stata raggiunta, « Mehr Demokartie » cominciò con l’esaminare minutamente il modo in cui questa precedente iniziativa era stata sabotata dalla CSU. Una delle conclusioni fu che la CSU riportò finalmente questo risultato in forza dell’appoggio del suo impianto rurale. Nelle grandi città e quelle medie, dove la campagna dell’iniziativa era stata attiva, questa ottenne spesso la maggioranza; ma nelle regioni rurali, non c’era stato nessun contrappeso alla propaganda della CSU. Ma la conclusione maggiore fu che la CSU giocasse sul timore. I discorsi preparati in questo senso, tra i documenti d’informazione referendaria, erano stati diffusi dalla CSU in seno ai consigli municipali (2000 in totale), in cui essa deteneva il potere. Ci si potevano trovare dichiarazioni come questa: « ... se la vostra cucina non ha abbastanza spazio per sei bidoni, potete cominciare con l’abbattere subito la metà delle vostre pareti... », mentre la raccolta selettiva era dipinta, al più quale obbligo verso i municipi di sistemare aree di stoccaggio che erano descritte : « immondezzai puzzolentissimi con fuochi covanti, effluvi velenosi e migliaia di ratti... ». La storia di « Mehr Democratie » (Più Democrazia) – il movimento che praticò uno sfondamento in favore della democrazia diretta in Baviera, includente il referendum del 1995 che ne aprì la via – è la storia di un doppio successo. « Mehr Democratie » riuscì a rimuovere i grandissimi ostacoli grandissimi per ottenere un referendum in Baviera. Ma successe anche contro l’opposizione della CSU che stava resistendo ostinatamente all’introduzione della democrazia diretta al livello municipale. Fu la prima sconfitta della CSU dopo 40 anni di regno sulla Baviera. Si può raffigurare l’introduzione della democrazia diretta in Baviera quale una sorta di marea nera traboccante dalla vicina Svizzera. Il fatto che furono possibili referendum in Baviera, quand’anche essi avessero soglie assai troppo elevate, è molto probabilmente dovuto al Primo ministro bavarese, Wilhelm Högner, che visse in esilio in Svizzera durante la seconda Guerra mondiale dove apprese dunque ad apprezzare il sistema democratico vigente. Dopo tutto fu l’attore che inscrisse il referendum nella Costituzione bavarese. Högner stesso dichiarò nel 1950: « Il referendum è la pietra angolare della legislazione municipale democratica e moderna » (Meyer e Seipel, 1997, p.12). Una volta varcata la soglia del 10% dall’iniziativa, la legislazione bavarese prevedeva che il Parlamento potesse presentare una controproposta che andasse votata assieme all’iniziativa stessa. Bisogna dire che la CSU aveva e ha sempre la maggioranza nel Parlamento bavarese e dunque essa può perfettamente presentare una controproposta addolcente l’iniziativa e attorno a cui la propaganda del partito verrà organizzata. In questo modo, la CSU poté così silurare l’iniziativa sulla raccolta selettiva delle immondizie. I Democratici Cristiani lanciarono una controproposta seriamente addolcita, la gui- La campagna in favore del 10% di firme Tral 6 e il 19 febbraio, « Mehr Demokratie » aveva da sormontare una soglia colossale. Nell’arco di due settimane, il 10% degli 62 darono in seno al Parlamento e, dopo una campagna furba, ottennero una maggioranza del 51% nel referendum (contro il 44% dell’iniziativa originaria « Das bessere Müllkonzept »). dine, le accuse della CSU non durarono a lungo. La stampa incitò inoltre la CSU a suggerire argomenti più degni di un professionista prima del giorno della votazione. Dopo tale successo, la CSU utilizzò la stessa strategia contro « Mehr Demokratie ». Un volta di più, ci fu una controproposta da lei lanciata. Questa escludeva molti temi dal decidere cittadino (ad esempio, nessun progetto edilizio era possibile mediante iniziativa cittadina); la proposta della CDU richiedeva un quorum partecipativo del 25% per il referendum, cioè con meno del 25% di votanti, il risultato sarebbe stato nullo (si veda il capitolo 2° a proposito degli effetti negativi dei quorum partecipativi); la raccolta delle firme non era libera, ossia i cittadini dovevano recarsi negli uffici amministrativi locali per firmare; etc. L’intenzione era chiarissima: introducendo tanti ostacoli e limitazioni che fossero concepibili, si voleva render tanto difficile quanto possibile l’esito favorevole di una presa decisionale cittadina diretta. Questa ebbe luogo il primo ottobre 1995. La proposta di « Mehrd Demokratie » riportò il 57,8% dei voti, contro il 38,7% alla controproposta della CSU. Questa vittoria rendeva possibile l’organizzazione di referendum d’iniziativa cittadina al livello locale. Democrazia fiorente Durante i dieci anni che seguirono, un sistema di democrazia diretta si mise a fiorire in Baviera (Rehmet et Venisch, 2005). Nei municipi, 1371 iniziative cittadini vennero registrate fino a settembre 2005, le quali, in 835 casi (il 60,9%) condussero al referendum. Per i casi restanti, l’iniziativa non fu approvata per ragioni diverse (14,2%), ovvero venne adottata dal consiglio municipale (12,5%), ovvero ancora ritirata dai cittadini stessi o non presentata (10,1%). Il massimo numero d’iniziative cittadine venne ottenuto nella capitale bavarese, Monaco di Baviera (15) seguita da Augusta (12). Il numero annuale d’iniziative culminò nel 1996, poi decrebbe gradatamente per stabilirsi a una media di 100 all’anno tra il 1995 e il 2000. C’era certamente qualche ritardo nella gestione amministrativa richiesta che provocò un’onda enorme d’iniziative cittadine subito dopo l’introduzione nuovo sistema. (In Germania si distingue tra l’iniziativa « cittadina » al livello municipale e quella « popolare » ai livelli statale e federale. Nello stesso tempo, la CSU avviò a soffiare sulle braci della paura. Lo slogan suo era: « Non lasciate che una minoranza blocchi tutto! ». Secondo la CSU, la proposta di « Mehr Demokartie » avrebbe aperto la strada al regno dei demagoghi e dei gruppi minoritari rumoreggianti. Essa suggerì addirittura che la proposta di « Mehr Demokratie » facesse incombere una minaccia sui rintocchi delle campane ovvero sulla famosa e popolare « Oktoberfest ». Quindi la CSU prediceva un conflitto elettorale permanente e un’incertezza continua paralizzando progetti a lunga scadenza (con la disoccupazione quale risultato principale) e l’introduzione di misure « impopolari », ecc.; tutto quanto sarebbe stato il risultato dell’appoggio dato alla proposta di « Mehr Demokartie ». Al livello locale, il potere dell’apparato di partito entrò in gioco (tra altre cose rifiutando di mettere a disposizione i locali municipali per le riunioni...). Per quanto concerne i temi referendari, tre emergono largamente al disopra degli altri: •Infrastrutture pubbliche e società d’utilità pubblica (23%); •Progetti di sviluppo (20%); •Progetti di costruzione e circolazione stradale (20%). « Mehr Demokratie » fu principalmente capace di neutralizzare la campagna della CSU in quanto sapeva ciò che stava ordendo la CSU. Il fattore più significativo nella sua controffensiva era d’incontrare ogni sorta d’organizzazioni (partiti politici, organizzazioni sociali, gruppi di giovani e perfino membri della CSU...) che erano in favore di « Mehr Demokratie » aventi anche la fiducia dei cittadini e essendo pronte a esprimersi in pubblico a favore dell’iniziativa e contro la proposta della CSU. Nel periodo dal 1995 al 2005, una disposizione presa dal consiglio municipale venne più spesso approvata (49%) dai cittadini che rigettata (45%); i casi rimanenti non potevano venir catalogati tra un caso o l’altro. Inoltre, una proposta municipale aveva pressappoco una possibilità su due di non sopravvivere alla votazione cittadina. La partecipazione elettorale media per questo periodo ammontò all’incirca al 50%; essa si evolse in un modo inversamente proporzionale al numero degli abitanti del municipio. Una lezione importante ricavata dalla sconfitta di « Das bessere Müllkonzept » era che non si dovesse più lasciare la CSU prendere l’iniziativa nel dibattito. Una delle strategie ovvie della CSU consisteva nel tempestare l’opposizione di accuse che bisognava rintuzzare passo passo, sicché quest’ultima non potesse mai parlare della ragione reale del referendum. Ad esempio, la CSU tentò di accusare « Mehr Demokratie » di frode finanziaria. Ciò successe in un momento strategicamente scelto: giusto due settimane prima delle elezioni. Se, durante queste ultime due settimane, la CSU fosse riuscita a focalizzare il dibattito pubblico sulle finanze di « Mehr Demokratie », ciò avrebbe potuto essere fatale per l’iniziativa cittadina. Le donazioni dei cittadini a « Mehr Demokratie » erano versate su un conto bancario in Monaco di Baviera, da cui, tramite l’organizzazione interna della banca operante, il denaro veniva trasferita a Colonia. « Mehr Demokratie » non aveva niente a che fare con questi, ma la CSU suggerì, nella stampa, che questi fondi fossero « siringati » fuori dalla Baviera e venissero dunque utilizzati per altri scopi. L’iniziativa cittadina avversò l’attacco aprendo i suoi conti al vaglio dell’ispezione pubblica. Dato che erano parfettamente in or- Come detto in precedenza, in qualche caso, la minaccia di un referendum divenne sufficiente perché una decisione indesiderabile del consiglio municipale venisse ritirata. Rehmet e Venisch (2005, p.5) danno l’esempio di Augusta, dove una coalizione di professori, insegnanti e librai raccolsero firme per fare aprire una nuova biblioteca municipale. Allorché presentarono le firme raccolte in numero più elevato del minimo richiesto, il consiglio municipale adottò rapidamente il loro progetto. Resistenza da parte dei tribunali Tuttavia la classe dirigente non lasciò tale situazione perdurare senza opporsele. Oltre l’opposizione dei politici della CSU, « Mehr Demokratie » dovette fare fronte ad una resistenza, perfino più forte, quella della Corte costituzionale di Baveria. In Baviera, i giudici (prevalentemente CSU) vengono nominati dal Parlomento dello Stato (Landtag), sicché il 80% dei giudici parteggia o è simpatizzante della CSU. Inoltre i giudizi resi dalla Corte costituzionale sono definitivi, visto che non c’è procedura d’appello. 63 Nello stesso tempo in cui venne lanciata l’iniziativa popolare per migliorare il sistema referendario al livello municipale, « Mehr Demokratie » lanciò anche una seconda iniziativa popolare per la stessa ragione, però questa volta al livello del Land. Entrambe vennero presentate nel 1994 con un breve intervallo tra di esse. La seconda venne contestata dal Senato bavarese per ragioni legali stiracchiate e di conseguenza essa andò presentata alla Corte costituzionale. Tutti s’attendono che gli obiezioni dal Senato sarebbero state rifiutate, in ogni modo la maggiore parte dei contenuti dell’iniziativa rimase immutata. Ma in un verdetto inaudito, i giuduci della Corte dichiararono che l’interezza dell’iniziativa non fosse valida. « Totalmente incomprensibile » intitolò il giornale della Germania del Sud, Süddeutsche Zeitung, nel suo editoriale del 15 novembre 1994, e il sospetto venne formulato: « che la Corte costituzionale, con la maggioranza dei giudici nominati e stipendiati dalla CSU, renda un giudizio che, come ci si potrebbe attendere, raggiunga l’approvazione del governo dello Stato controllato dalla CSU ». è anche più deprimente se si consideri che questo principio d’autonomia municipale era stato originariamente introdotto per dare ai cittadini locali più vigilanza possibile sulla propria comunità. Lo stesso principio veniva adesso utilizzato con disinvoltura da politici e giudici per ridurre per l’appunto questo controllo cittadino. Tra le cinque iniziative popolari lanciate da « Mehr Demokartie », dal 1995 al 2000, tre furono bloccate dalla Corte costituzionale, e una – senza l’appoggio di una legislazione applicabile – fu vittima di ostruzionismo di portata considerevole, venendo scissa in due iniziative popolari per cui si domanda ulteriormente ai cittadini di recarsi in municipio per dare la loro firma. « Mehr Demokratie » aveva solo capacità di sostenere una sola iniziativa e questo impedì la realizzazione della soglia esorbitante della seconda. Germania : Amburgo Amburgo è il secondo luogo in Germania dove « Mehr Demokratie » ebbe successo permettendo ai cittadini di decidere loro stessi sulla democrazia diretta (Efler, 2001). Amburgo, con i suoi 1,7 milioni di abitanti, è la seconda città tedesca ; questa città dispone dello statuto di uno vero Stato. Nel 1999, una volta di più, « Mehr Demokratie » presentò un’iniziativa per rinnovare il referendum al livello statale. Viene formulata questa volta di un modo tale che non sarebbe stata esposta allo stesso veto. Per l’appunto, la corte costituzionale brandì la sezione 75a della Costituzione bavarese che sancisce : « Le Proposte d’emendamenti costituzionali sono contrarie ai principi democratici fondamentali e non sono autorizzate. » Ora questo articolo era stato inizialmente introdotto per proteggere la popolazione dall’avvento di una dittatura. In questo caso preciso, però, lo vedeva utilizzato per proteggere politici dai diritti democratici sovrani della popolazione. Nel marzo 2000, la Corte costituzionale dichiarò che la « democrazia » fosse identica al sistema rappresentativo e ci potesse essere pregiudizio dato che l’iniziativa popolare domandava l’abolizione di alcune eccezioni, nonché una riduzione della soglia delle firme, etc.. In precedenza, nel settembre 1999, la corte era stata colpita da una querela cittadina a proposito dell’aumento del quorum partecipativo referendario al 25% al livello statale (subito introdotto dal Landtag), riferendosi di nuovo ai « principi democratici fondamentali » della sezione 75a. Nel 1996, il Parlamento amburghese, ispirato dall’emergere di referendum dappertutto in Germania, aveva introdotto il referendum d’obbligo per l’iniziativa cittadina al livello della città. Tuttavia soglie e eccezioni erano considerevoli al punto che il sistema era appena utilizzabile. Più o meno, ogni questione finanziaria ne era esclusa, così come progetti urbani e disegni di sviluppo « dente di sega ». Tra questi ultimi, ad esempio, un progetto d’ingrandimento del porto o la costruzione di una galleria stradale supplementare sotto l’Elba. Per ottenere un referendum ci voleva non meno del 10% degli elettori iscritti, recandosi al Municipio per fare registrare la loro firme in un termine di due settimane ( !). C‘era dunque un quorum d’approvazione inaccessibile al livello della città : le iniziative cittadine racchiudenti provvedimento legislativo ordinario, ad esempio, dovevano, oltre a riportare la maggioranza semplice dei voti, venir ugualmente approvate dal 25% degli elettori iscritti. Quanto a quelle che desideravano modificare la Costituzione, non solo dovevano assicurarsi i due terzi di maggioranza dei voti, ma in più, venir approvate dal 50% di tutti gli elettori iscritti nella lista elettorale. Ma la Corte costituzionale proseguì anche gli attacchi suoi al livello locale. Nel 1999, seguendo una querela cittadina, la corte aveva già dichiarato che « i principi democratici fondamentali » richiedevano anche al livello municipale l’introduzione del quorum partecipativo, il quale era stato abolito dal referendum vinto da « Mehr Demokratie ». Quindi il quorum era stato reintrodotto. Quando « Mehr Demokratie » lanciò l’iniziativa « Protezione del referendum municipale », per cancellare il quorum reiintrodotto, la Corte costituzionale non poteva più riutilizzare decentemente l’argomento dei « principi democratici fondamentali ». Dopotutto, i giudici avevano già dovuto ricorrere a tale ragione per rigettare il primo referendum d’iniziativa popolare di « Mehr Demokratie » nel 1994. Questa volta, di conseguenza, la Corte, che ne sa molto più del diavolo, brandì il principio d’autonomia municipale : un’abolizione del quorum partecipativo municipale ricorrendo a una legge statale. La perversione di tale argomento era evidente. In Germania, gli Stati federali hanno il proprio potere per organizzare la democrazia locale. Le disposizioni democratiche, incluse quelle delle iniziative cittadine e referendum, vanno sempre regolate dalla legislazione statale propria. La Corte costituzionale – istituzione dello Stato federale – era dunque intervenuta negli affari municipali stessi con la sua decisione sui quorum approvativi / partecipativi. Che voglia fare la stessa cosa un’iniziativa, si parla allora di una violazione di Costituzione. La situazione « Mehr Demokratie » decise dunque una volta di più a mettere a profitto lo strumento referendario cattivo esistente per ottenerne un migliore. Con parecchi partner locali, essa mise in essere due iniziative cittadine : l’una per introdurre la democrazia diretta al livello del distretto, l’altra per migliorare il sistema esistente al livello della città. Siccome la seconda richiedeva un emendamento costituzionale – e quindi doveva varcare un quorum d’ammissibilità estremamente elevato – gli attivisti mirarono a combinare il loro referendum con le elezioni parlamentari nazionali del 1998. Gli inizi furono laboriosi ; c’erano solo duemila marchi quale capitale disponibile e alcune organizzazioni coinvolte volevano rimandare la campagna intera ulteriormente. La raccolta delle prime 20 000 firme richieste cominciò solo nel maggio 1997, e gli attivisti dovevano affrettarsi per accordare iniziativa e elezioni parlamentari. Per dire il vero, la pressione del tempo sembrò giocare in loro favore. Il più delle firme furono raccolte nella seconda metà della campagna. Nell’autunno del 1997, non meno di 30 000 firme erano state radunate per venire presentate. Durante la discussione nel Parlamento, parecchi 64 membri dichiarraono che considerassero tal iniziativa contraria alla Costituzione. Ma si lasciò scadere il termine prescritto, prima della scadenza di cui l’iniziativa andasse presentata alla Corte costituzionale perché questa la giudicasse. gere il 40% minimo dell’elettorato ! L’iniziativa cittadina voleva abolire in parte il tabù sulle questioni finanziarie, mentre la controproposta parlamentare voleva escludere tutti i temi aventi un effetto sul bilancio. « Quale questione, oggi, non ha nessun effetto sul bilancio ? » si interrogò Efler (2001). In quanto il soggetto e le divergenze tra le due proposte erano d’ordine tecnico e che ci era poco tempo par garantire una piena campagna a causa della tattica dilatoria del Parlamento, « Mehr Demokratie » si focalizzò e pose l’accento sulle differenze, paragonando le due proposte punto a punto e ponendo la domanda : Per quale ragione i politici restituirebbero volontariamente il loro potere ? « Mehr Demokratie » condusse anche la sua campagna di un modo visuale, cioè ricorrendo a immagini di schede elettorali redatte all’appoggio dell’iniziativa sul suo giornale, negli annunci nei cinema e manifesti attaccati il giorno stesso della votazione dinanzi a tutti i seggi elettorali. Il 27 settembre 1998, giorno delle elezioni, il 74% degli elettori votò in favore delle proposte di « Mehr Demokratie » per quanto concerneva la città, e il 60% per quelle riguardanti il distretto. La partecipazione fu del 66,7%. Questo significò che il quorum d’approvazione molto elevato, da una parte, fosse stato raggiunto dal referendum al livello del distretto, perché questo sarebbe stato introdotto mediante una legge ordinaria, se invece non lo fosse stato per il referendum al livello della città, dato che in questo caso, la Costituzione andava modificata. La tattica dilatoria del Parlamento implicava che gli elettori ricevessero la documentazione referendaria – che poteva anche venir utilizzata per una votazione per corrispondenza – assai tardivamente rispetto a quella delle elezioni parlamentari simultanee. « Mehr Demokratie » calcolò, in seguito, che se la documentazione referendaria fosse stata indirizzata allo stesso momento di quella per le elezioni parlamentari, il quorum approvativo sarebbe stato ugualmente raggiunto per la proposta referendaria al livello della città. Quindi, l’iniziativa entrò nella sua seconda tappa, in cui il 10% degli elettori iscritti doveva presentarsi al Municipio per fare registrare la loro firma di sostegno, il tutto per due settimane soltanto, dal 9 al 23 marzo 1998. « Mehr Demokratie » venne aiutata, dato che le autorità municipali informarono gli elettori sulle iniziative, mediante una cartolina postale, precisando dove e quando le firme d’appoggio potessero essere date. A tergo della cartolina stavano un esempio illustrativo che permettesse di capire il modo di esprimere sostegno mediante la posta. Questa disposizione era stata adottata opportunamente nella legge del 1996 ed era una cosa perfettamente unica in Germania. L’atmosfera era piuttosto pesante in quanto le autorità volevano fare una sola pubblicazione del risultato intermedio dell’operazione alla fine della prima settimana. Però la seconda tappa fu un successo strepitoso : in effetti, alla fine della prima settimana, 85 000 firme erano state raccolte e vicino alla fine della campagna di raccolta, il 23 marzo, questo numero ammontò a 218 000 (il 18,1% degli elettori iscritti), per la prima iniziativa (referendum al livello del distretto) e più di 220 000 (18,4) per la seconda (democrazia diretta al livello della città). Dapprima, il consiglio municipale volle indire i referendum subito dopo le elezioni parlamentari. La gente di « Mehr Demokratie » fu colta di sorpresa, ma si riprese e fece pressione sui Parlemantari per combinare elezioni e referendum argomentando sullo spreco di tempo e denaro supplementare per i cittadini (a causa di costi elevati). La pressione ebbe effetto e i referendum vennero indetti contemporaneamente alle elezioni nel Parlamento, il 27 settembre 1998. In parte in virtà del suo successo in Baviera e ad Amburgo, il movimento « Mehr Demokratie » si è diffuso attraverso la Germania. Dispone attualmente di ramificazioni in 13 dei 16 Stati tedeschi. Nel frattempo, come in Baviera, « Mehr Demokratie » aveva radunato un’ampia coalizione d’organizzazioni sociali di tutte le sorte – piccole, per il più. Ciononostante, esse dovevano battersi contro i due partiti maggioritari ad Amburgo – SPD e CDU – nonché la Camera di commercio e il potente giornale Bild-Zeitung appartenente al gruppo Springer. L’opposizione combinata batté la grancassa con motti del genere : « le minoranze verrano brutalizzate », « i referendum con partecipazioni deboli conducono all’impostura democratica », « il porto e l’aeroporto verrano paralizzati dalle normative sul rumore » e « l’inizio di uno sviluppo fatale ». Le notizie di stampa mettevano in guardia contro una « dittatura degli attivisti » che stava per stabilirsi se le proposte di « Mehr Demokratie » fossero state adottate. « Nessun argomento era in effetti troppo rozzo per non venire usato », scrisse Efler (2001). Germania : Schönau Dopo il disastro ambientale della centrale nucleare di Tchernobyl, in aprile del 1986, un’iniziativa cittadina chiamata « iniziativa dei « genitori » per un futuro senza nucleare » fu lanciata a Schöngau, un paese di 2 500 abitanti nella Foresta Nera. Lo scopo era di promuovere un consumo più moderato d’energia senza utilizzare quella dell’atomo. Era stato un piccolo successo, ma gli abitanti si accorsero presto che essi potessero solo ottenere assai poche cose senza controllare gli approvvigionamenti stessi di energia. Dopotutto, il fornitore locale d’energia, la KWR determinava le capacità energetiche e l’economia su queste, da una parte, però, d’all’altra, una produzione decentrata dell’energia poteva risultare non-profittevole per la KWR. Ad Amburgo, il Parlamento aveva il diritto di fare una controproposta e di presentarla alla votazione allo stesso tempo dell’iniziativa popolare. Lo fece in effetti, ma solo quattro settimane prima della votazione. Per quanto concerneva l’iniziativa cittadina, essa voleva che i referendum su leggi ordinarie venissero decisi alla maggioranza semplice e quei sugli emendamenti costituzionali con una maggioranza dei due terzi, non c’erano altre esigenze partecipative. Invece, nella controproposta parlamentare, le soglie participative elevate rimanevano invariate: le leggi ordinarie andavano adottate da una maggioranza costituita da meno del 20% dell’elettorato ; gli emendamenti costituzionali da una maggioranza di due terzi, raggruppando almeno il 40% degli elettori. Così nel caso ove il 70% votasse in favore dell’emendamento, la partecipazione dovrebbe esser pressappoco del 60%, par raggiun- Quando venne il momento di rinnovare il contratto tra il municipio e la compagnia elettrica, iniziò la lotta energetica. L’iniziativa cittadina aveva sviluppato disegni propri per la produzione e la distribuzione d’energia nel rispetto dell’ambiente, pertanto voleva togliere il monopolio della rete elettrico locale affidata alla KWR. Per farlo, i cittadini fondarono il « Netzkauf Schönau » (una rete compratrice d’energia, ndt) un’organizzazione compratrice che era a capo delle altre. Però il consiglio municipale decise nonostante di rinnovare il suo contratto con la KWR. 65 Per acquisire il diritto di comprare la rete elettrica locale, « Netzlauf Schönau » lanciò un referendum nel 1991, riportato col 55,7% dei voti. L’acquisizione del diritto di gestione della rete così come l’avviamento di una politica energetica ecologica sembrò di essere possibili. cittadini cittadini, non solo di Schönau ma della Germania intera, radunarono i 4 milioni di marchi necessari all’acquisto della rete locale. Nel 1994, la compagnia locale « Elektrizitäts Werke Schönau GmbH (EWSSchönau: centrale elettrica di Schönau) vide la luce, la quale in seguito ricevette la concessione da parte del municipio. « Ich bin un Störfall » (« Io sono une pericolo di disturbo »). Allo stesso tempo continuarono la loro battaglia legale per fare decrescere il prezzo di vendita irragionevole. Il primo luglio del 1997, la compagnia elettrica sostenuta dai cittadini riprese ufficialmente la rete di distribuzione per 5,8 milioni di marchi. Da questa data, la EWS-Schönau ha dimostrato di essere un fornitore d’energia professionista ed affidabile, anche agli occhi dei suoi antichi concorrenti. La direttrice-gestrice ne è Ursula Sladek, membro del gruppo d’iniziativa originaria. La quantità d’energia solare prodotta per abitante è la più elevata in Germania e l’energia nucleare è stata completamente bandita. Tra gli altri edifici, i tetti del Municipio e della chiesa luterana, sono interamente ricoperti di pannelli solari. Per la liberalizzazione del mercato dell’energia, la EWS può oramai fornire energia ai consumatori di tutta la Germania. Dal 1998, i ribelli hanno anche fornito un sostegno ad altre iniziative nel resto della Germania, le quali volevano passare a fonti energetiche rinnovabili. Hanno cooperato alla creazione di una rete di 697 produttori tedeschi d’energia rinnovabile. La EWS ha potuto dare 900 000 euro negli ultimi tre anni. Nel luglio del 2005, un giudizio della Corte ha perfino ridotto il prezzo di acquisto da 5,8 milioni di marchi a 3.5 milioni e quindi la EWR ha dovuto rimborsare la differenza. Un ampio fronte di resistenza si stabilì contro questi cambiamenti. Includeva, come ovvio, la compagnia elettrica KWR stessa, ma anche i Democratici Cristiani della CDU e una gran parte dei Socialisti del SPD. Vi si aggiunse anche il maggiore datore di lavoro del distretto, che mise in guardia contro interruzioni di corrente e prezzi più elevati dell’elettricità nel caso in cui « ribelli dell’energia » venissero autorizzati a promuovere il loro disegno. Quegli oppositori lanciarono dunque una seconda iniziativa e per questo sistemarono un « ufficio informazioni ». Però i ribelli vinsero una seconda volta, anche se con uno stretto margine : nel marzo del 1996, il 52,4% dei votanti fu d’accordo per arrestare la collaborazione tra il municipio di Schönau e la KWR. La compagnia energetica giocò infine la sua ultima carta : domandò 8,7 milioni di marchi per la vendita dell’infrastruttura locale al posto dei 4,5 milioni previsti e valutati dagli esperti dell’iniziativa cittadina. Nel novembre 1996, dopo due anni di rifiuto, la KWR ammise che Schönau disponesse solo di 22 kilometri di cavi, piuttosto che i 33 citati, ed il prezzo decrebbe da 8,7 a 6,5 milioni di marchi. L’esempio di Schönau dimostra che cittadini possiedono un capitale sociale latente e sono pronti a fare degli sforzi. Nello stesso tempo, dimostra anche l’indispensabilità della presa decisionale in democrazia diretta in modo da trarre profitto da questo capitale. Se non fosse stata possibile l’iniziativa cittadina di Schönau, la compagnia KWR, assieme al consiglio municipale, avrebbe potuto continuare ad imporre la sua volontà (per maggiori informazioni, consulti: www.ewsschoenau.de). I ribelli dell’energia condussero una campagna nella Germania intera per raccogliere il resto del denaro necessario col motto : 5-1: I tipi dell’iniziativa cittadina •La polarizzazione non può venire evitata. Gli elettori devono chiarissimamente vedere chi è pro e cgi è contro e per quali ragioni. •Essere capaci di mettere in mostra che alcuni oppositori abbiano un interesse finanziario nell’esito è un mezzo estremamente efficace per guadagnare appoggio. Qui sotto viene elencata un lista di regole fondamentali che vanno prese in conto quando si tratta di lanciare un’iniziativa cittadina. La fonte maggiore è: Jim Shultz, « The Initiative Cookbook » (Il libro di cucina delle iniziative) et Michael Seipel & Thoma Maier, « Triumph der Bürger ! » (il trionfo dei cittadini !). Domande dall’inizio •C’è un sostegno sufficiente da parte del pubblico ? I sondaggi d’opinione possono essere utilizzati, ma bisogna ricordare che l’opinione pubblica sia volubile e possa cambiare. •C’è un messaggio semplice e vincente ? Paragonare il messaggio eventuale degli avversari o uno slogan chiave con il suo. •Qual è la forza del sostegno di base ? Ci sono abbastanza organizzazioni che possano passare sotto le luci della ribalta ? Queste organizzazioni, da cui il pubblico può naturalmente aspettarsi di vederle appoggiare la proposta, sono effettivamente in favore di essa ? •C’è denaro ? La raccolta dei fondi deve cominciare presto. Il finanziamento deve esser chiarissimo e comprensibile. Deve anche essere realistico e i conti vanno sempre tenuti aggiornati e presentabili, leggibili e disponibili (a titolo illustrativo accessibili ai mass media). •C’è un’expertise leggibile disponibile ? Assicurarsi che ci sia abbastanza gente per sbrogliarsi tecnicamente in caso di problemi o scompigli politici durante dibattiti e discorsi. •É possibile approfittaredi ogni elezione generale o locale ? Regole generali •Di solito, il campo che convince gli indecisi o gli elettori indecisi, riporta la vittoria. •La forza più potente dietro la politica dei referendum è il malcontento. Si dovrebbe dunque dimostrare con circospezione che il pubblico non sia contento e possa venir mobilitato. •I referendum d’iniziative hanno in genere la maggiorità del pubblico in sostegno… per cominciare. ciò tende a diminuire per la campagna sotto la pressione degli avversari. Uno slittamento dal 70 al 51% delle posizioni in favore può assai facilmente succedere; ma uno spostamento in senso opposto invece è molto più arduo. •I referendum vanno persi sul punto debole della proposta. Se questa mostra un punto debole da qualche parte, gli oppositori ci si focalizzano su e ne esagerano la debolezza. Gli elettori hanno una tendenza assai debole a votare in favore di una proposta che mostri palesemente un punto debole, anche se il nucleo della proposta rimane fermo. 66 Indire un referendum contemporaneamente alle elezioni può aiutare a fare crescere la partecipazione – è importante in caso di quorum partecipativi. •In particolare, le parti stabilite con potere giocano quasi sempre sull’incertezza regnante nel pubblico, le sue paure e riesumano questioni senza nesso. Voi dovrete anticipare questo coscientemente. Referenze a precedenti stranieri in connessione con la proposta possono esser efficaci per disinnescare lo scenario della paura. •I partiti al potere si rivolgeranno al pubblico quale individuo (l’assicurazione sociale « Vostra » a posto di « Nostra »…) e ricollegano questo a un’invocazione di fiducia nei « valori solidi », designando così partiti al potere e i loro leaders. Rimedio : rivolgersi al pubblico quale un gruppo di persone responsabili ricercando il fondo comune con ciascuna. •Fornire del materiale informativo : annuncio dell’iniziativa, presentazione delle firme ed altre cose di questo genere costituiscono momenti opportuni. Mantenere buoni contatti con agenzie di stampa interessate. Formulazione della domanda •La proposta d’iniziativa/referendum deve essere chiara e precisa. Il testo non deve esser ambiguo e la proposta va pubblicata il più presto possibile. •La proposta va redatta tenendo a mente tutti gli alleati potenziali. Non includervi aspetti non pertinenti che possano spaventare alleati eventuali. Il contrario è anche possibile : « fence sitters » (organizzazioni che mirano a adottare una posizione neutrale), potranno anche prendere parte alla coalizione se alcuni aspetti importanti per esse vi saranno inclusi. •La proposta va redatta tenendo a mente il pubblico. Riceve un ampio appello da parte di esso ? Ha un tendine d’Achille ? •Le autorità accetteranno il risultato referendario quale obbligatorio ? Se no, tentare di ricollegarle partiti politici può essere un’opzione : fargli promettere d’accettare l’esito molto tempo prima del referendum. •Se c’è vittoria nel referendum, essa può ancora esser contestata dal tribunale ? (ottenere consigli giuridici). Opuscolo di votazione •Lo spazio di un opuscolo ufficiale è limitato. Conservare argomenti semplici e reiterare frasi chiavi riflettenti l’essenziale. •Citare dichiarazioni chiare provenienti da autorità scientifiche o d’altre genti in cui il pubblico ha fiducia, ad esempio, può essere assai efficace. Coalizione 5-2:Referendum e plebisciti in parecchi paesi d’Europa •Una coalizione che includa alleati insoliti rinforza la credibilità dell’iniziativa (ad esempio, partiti politici « conservatori » e « progressisti », datori di lavoro e impiegati, ecc.). •Partner formanti il nocciolo duro della coalizione devono essere disponibili dall’inizio. •Sono essenziali buoni accordi tra partner di coalizione sul finanziamento, sulla posizione ufficiale comune, sulla ripartizione dei compiti e la designazione degli oratori e oratrici. Si troverà qui sotto un breve riassunto dei regolamenti a proposito di referendum e plebisciti nazionali in parecchi paesi europei. Le fonti più importanti sono : B. Kaufmann et al. (Editori), « Guida di democrazia diretta in Svizzera ed oltre » (2005), e B. Kaufmann & M.D ? Waters (Editori), « Democrazia diretta in Europa » (2004). Raccolta delle firme Germania •Shultz scrive : « Lo Zen della raccolta di firme è di non litigare ». La raccolta di firme e la campagna sono tanto migliori quanto più vengano fatte disgiuntamente. Venire tentato da una discussione di un quarto d’ora con un passante o più non è utilizzare efficacemente il tempo per il raccogliere delle firme. •Fare il nesso con la tappa seguente della campagna. Raccogliere le firme consente ai volontari di sviluppare qualche sforzo e impegno. Vengono trascurate tali riserve quando la soglia delle firme è raggiunta, è assai difficile rimobilitare una campagna efficace alcuni mesi dopo. •Provare la validità delle firme. Firme possono essere ottenute da gente che sbagliano residenza, nazionalità o nomi ed indirizzi possono essere indecifrabili o falsi. Dovrete integrare un tasso d’invalidità del 20% nel calcolo. •Fare in modo di aver un evento mediatico al momento di presentare le firme. Al livello nazionale, non c’è forma di presa decisionale in democrazia diretta. Sebbene la sezione 20^ della Costituzione tedesca preveda: « Tutto il potere dello Stato promana dal popolo ; viene esercitato dal popolo attraverso elezioni e referendum… », la legislazione d’attuazione manca. Nessun plebiscito è stato indetto dal 1945. Come si è detto nel capitolo 5°, tutti gli stati e municipi hanno introdotto il referendum d’iniziativa popolare, principalmente nel corso degli anni ‘90, e questi vengono utilizzati di modo intenso in parecchi luoghi. Tali referendum sono obbligatori. C’è una maggioranza parlamentare a favore della democrazia diretta al livello nazionale, invece, la maggioranza necessaria dei due terzi per adottare l’emendamento costituzionale attinente ancora non è stata ottenuta. Austria L’Austria dispone del referendum obbligatorio necessario in vista di una revisione in complesso della Costituzione. Quelle parziali vengono sottoposte al referendum a patto che ci sia un terzo dei membri del « Nazionalrat » (Parlamento proprio) o di quei del « Bundesrat » (Camera dei rappresentanti degli Stati federali) per richiederlo. Il « Nazionalrat » può anche indire un plebiscito d’obbligo su una legge ordinaria. Dal 1945 due plebisciti nazionali sono stati realizzati. Non c’è referendum d’iniziativa popolare al livello nazionale. Mediante la raccolta di 100 000 firme in favore, i cittadini possono presentare una petizione al Parlamento La campagna •« Rimanere semplici e ripetere il messaggio centrale senza sosta. » •Fare appello all’emozione del pubblico. Qualcuno che pare impegnato contemporaneamente in modo esperto ed emozionale fa buona impressione. •Restare fortemente centrato sull’iniziativa stessa durante il dibattito. Ognuno che si lasci incastrare dagli oppositori su un binario morto ha perso. Attenzione agli attacchi furtivi, specialmente sull’integrità della campagna. 67 (« Volksbegehren »). L’opzione è regolarmente adoperata ma non conduce affatto al referendum. In due dei nove Stati (Alta Austria e Stiria), esiste però un referendum d’iniziativa popolare, nonché iniziative popolari in tutti I municipi. aspetto interessante è che gli iniziatori della petizione possono ottenere il rimborso di una parte delle spese. Questo viene condizionato a un quorum partecipativo del 50% dei votanti. Ci sono stati 6 plebisciti nazionali dal 1945. Al livello regionale, non c’è nessuna forma di referendum ; al livello municipale il Consiglio può indire un plebiscito locale. Esempi Nel 1978 ci fu un plebiscito indetto per l’accomandita della centrale nucleare di Zwentendorf. L’avvio dell’impianto venne rigettato con stretto margine del 50,5% dei votanti. Nel 1994 la gente approvò l’adesione alla Comunità Europea con la maggioranza del 66,6%. Esempi Nel 1978, un emendamento costituzionale venne approvato da non meno del 91,3% dei votanti. Nel 1986 gli Spagnoli votarono per decidere se restare nella NATO o meno : il 56,9 decise di sì. Nel 2005, il disegno di trattato costituzionale perl’Europa venne approvato dal 76,7% dei votanti. Belgio I referendum obbligatori sono esclusi dalla Costituzione belga. Dal 1945, un solo plebiscito (all’iniziativa del governo dunque) è stato indetto. Disegni di referendum mediante l’iniziativa cittadina esistono solo al livello comunale ; ma bisogna precisare che fuori del fatto che questi referendum non siano obbligatori, il Consiglio municipale stesso possa rompere tale domanda. Da qualche anno, c’è un dibattito sulla realizzazione di più referendum e l’appoggio dei partiti politici è cresciuto – in particolare nelle Fiandre. Francia La sezione 3^ della Costituzione francese – adottata nel 1958 dal referendum – dice : « La sovranità nazionale appartiene al popolo che l’esercita mediante i suoi rappresentanti e il referendum. Nonostante questo, non c’è referendum d’iniziativa popolare in Francia. Gli emendamenti costituzionali, così come gli emendamenti locali, vanno in principio sottomessi al plebiscito. Tuttavia l’iniziativa per questo può solo esser presa dal Presidente, ovvero in ampiezza minima, dal Parlamento (il potere del Parlamento francese è debole). Il Presidente della Repubblica può decidere il plebiscito su un « concetto legislativo », abbisognante l’approvazione parlementare. La votazione non si fa su un disegno legislativo perfettamente redatto ma solo su una idea generale. I referendum nazionali sono obbligatori. I politici francesi hanno sempre promesso più democrazia diretta ; a titolo illustrativo, durante la sua campagna di ri-elezione del 2002, il Presidente Chirac propose d’introdurre iniziative popolari o cittadine ai livelli nazionale e municipale quale una possibilità da considerare nel futuro… Esempio Nel 1950, i Belgi votarono sul ritorno del reLéopold III. Con una partecipazione del 92,9%, il 57,7% l’approvò e il 42,3% fu contro. Danimarca La costituzione danese stipula il referendum in un certo numero di situazioni, compresi gli emendamenti costituzionali ed il trasferimento di sovranita verso enti internazionali quali l’Unione Europea. Se un terzo dei membri del Parlamento lo domanda, un referendum può anche venir indietto. Di questo diritto non ci si è mai giovati, però. Tutti i referendum nazionali sono obbligatori. Tuttavia, il paese non dispone del referendum d’iniziativa cittadina a qualunque livello ci sia. Al livello locale più di 160 plebisciti non obbligatori sono stati tenuti dal 1970. Esempi L’elezione diretta del Presidente venne approvata da una maggioranza del 62,3% nel 1962. Lo stesso anno, gli elettori approvarono l’indipendenza dell’Algeria col 90,8%. L’allargamento della Comunità Europea venne approvata con una maggioranza del 68,3% nel 1972. Il Trattato di Maastricht ottenne appena una maggioranza del 51% nel 1992. Nel 2000, la riduzione del mandato presidenziale da 7 a 5 anni venne approvata col 73,2% dei votanti. Esempi Nel 1972, i Danesi approvarono l’adesione del paese alla Comunità Europea al 63,3%. Nel 1992 rigettarono invece il trattato di Maastricht (il 49,3 % a favore) : l’anno dopo, mediante l’accordo d’Edimburgo, la Danimarca ottenne una clausola di non partecipazione all’UE in quattro punti : unione monetaria, unione cittadina, difesa comune, giustizia e affari interni), cosicché viene accettato il trattato di Maastricht questa volta col 56,7% di maggioranza nel 1993. Nel 1998, il 55,1% dei Danesi approvò ugualmente il trattato di Amsterdam. Però, nel 2000, il 53,1% votò contro l’adozione dell’euro. Ungheria La Costituzione ungherese ricorre al referendum facoltativo e al l’iniziativa popolare. Però l’elenco delle eccezioni è lungo: bilancio, tasse locali e nazionali decise al livello nazionale, imposte locali, trattati internazionali, scioglimento del Parlamento e autorità locali, accordo di coalizione, dichiarazione di guerra e stato d’emergenza, interventi militari all’esterno ed all’interno ( !) del paese, accordo d’amnistia. Inoltre l’iniziativa polare non va utilizzata per modificare gli strumenti di democrazia diretta (un mezzo sottile per l’élite di avere l’ultima parola sul sistema democratico). I referendum sono talvolta obbligatori, talvolta « di consultazione » (cioè facoltativi). Nel 1997, il quorum partecipativo fu ridotto dal 50 al 25% degli elettori. Senza questo cambiamento, referendum come quello per l’adesione alla NATO (nel 1997) e l’accesso all’Unione Europea (nel 2003) sarebbero falliti per mancanza partecipativa. Dal 1989, 9 referendum nazionali sono stati indetti. Al livello locale, Spagna La costituzione spagnola precisa che governo e Parlamento possano indire plebiscito su questioni d’importanza nazionale. Però ci sono molte eccezioni : emendamenti costituzionali, tasse, bilancio e questioni su cui il Parlamento dispone dell’autorità assoluta. Inoltre, 75 000 cittadini possono presentare un tipo di petizione. Questa può condurre al referendum, ma ci vuole l’accordo del Presidente, quindi non è pienamente un referendum d’iniziativa popolare. Un 68 il referendum è obbligatorio in un certo numero di casi, in altri, cittadini possono domandare un referendum con firme d’elettori (ma ci vuole tra il 10 e il 25%, un primato mondiale !). Anche qui, numerosi soggetti importanti sono esclusi. I referendum locali sono obbligatori. sposizioni d’eccezione assai vagamente formulate. Ciò ebbe per conseguenza di bloccare un numero elevato d’iniziative referendarie. É primariamente la ragione più importante del fallimento delle iniziative; su temi meno importanti o tecnici, la Corte è assai incline a consentire la votazione popolare. La mancanza di una reale iniziativa popolare segna una limitazione severa alla sovranità popolare. Una particolarità italiana si evidenzia nel comportamento di voto che si diversifica tra il Nord e il Sud. Nel Sud, la partecipazione è il 20% più bassa di quella del Nord. Nel referendum sull’abolizione della monarchia nel 1946, la votazione del Nord era essenzialmente repubblicana, quella del Sud essenzialmente monarchica. Esempi Nel 2004, il 55,6% degli elettori approvò l’introduzione della doppia nazionalità per alcuni gruppi popolari. Lo stesso giorno, un secondo referendum fu indetto per cui il 65% votò a favore dell’annullamento della privatizzazione ospedaliera e dei servizi sanitari che era già in corso. Nel 2003, l’83,8% approvò l’accesso all’UE. Esempi Le leggi approvate dal Parlamento, le quali rendevano il divorzio impossibile e accrescevano la difficoltà d’abortire, vennero rigettate dagli elettori italiani. Il referendum del 1974 sul divorzio (il 40,7% volevano proibire il divorzio) e quello del 1981 sull’aborto (il 32% degli elettori sostenevano un rinforzo della legislazione sull’aborto) sono esempi di referendum correttivi su questioni etiche. Nel 1995, fallì un’iniziativa mirante a indebolire il ruolo di Berlusconi nei mass media. Solo il 43% degli elettori sostenne la proposta di limitare la proprietà di mezzi di comunicazione privati a una sola catena televisiva. Irlanda Assieme alla Danimarca, l’Irlanda fornisce un esempio tipico di referendum obbligatorio in Europa. Dal 1937, ogni emendamento costituzionale è stato obbligatoriamente sottoposto all’approvazione popolare. Una votazione a semplice maggioranza decide, senza quorum partecipativo. Tra il 1937 ed il 2002, 28 referendum furono organizzati al livello nazionale. Inoltre, il Presidente può indire un plebiscito se rifiuta una legge votata dal Parlamento. Tuttavia, la procedura è complessa e non è stata utilizzata. Come nella maggioranza dei paesi europei, gli elettori irlandesi non possono iniziare un referendum. Lituania Esempi L’accesso alla Comunità Europea fu approvato con l’ 81,1% nel 1972. Venti anni dopo fu anche il caso del Trattato di Maastricht mediante il referendum con una maggioranza del 69%. Tre referendum ebbero luogo nel 1992 sulla legislazione sull’aborto. Il diritto di recarsi all’estero allo scopo di abortire venne autorizzato nonché quello di diffondere informazioni sulle possibilità d’aborto. La legislazione sul divorzio fu approvata tramite referendum con stretto margine, il 50,3% nel 1995. Nel 2001, il Trattato di Nizza fu rigettato con solo il 46,1% dei votanti in favore. Quando altri paesi dell’Unione fecero pressioni sull’Irlanda, quella ottenne qualche opzione di non-partecipazione e lo stesso trattato venne allora accettato dal 62,9% degli elettori nel 2002. Questa repubblica baltica possiede buone disposizioni: ci sono il referendum costituzionale obbligatorio, quello facoltativo e l’iniziativa popolare. Dal 1991 ad oggi (marzo 2006), 18 referendum sono stati realizzati. Nonostante questo, a causa del quorum partecipativo elevato – il 50% degli elettori – parecchi referendum sono stati invalidati. Nel 2002 e 2003, la legge referendaria venne emendata : il quorum partecipativo venne ridotto per referendum vertenti sull’adesione agli organismi internazionali verso i quali c’è un trasferimento di sovranità. La ragione opportuna fu : l’élite politica voleva che riuscisse ad ogni costo il referendum del maggio 2003 sull’accesso all’UE. Per tutti gli altri soggetti, non cambia il quorum. Non c’è nessuna forma di democrazia diretta ai livelli regionale e locale. Italia Esempi Nel 1996, c’erano non meno di 5 referendum nazionali (tra cui 4 lo stesso giorno). La vendita di terre arabili fu approvata dal 52% degli elettori ; il 79,6% votò in favore di un compenso finanziario cittadini che avevano perso proprietà sotto il comunismo; il 78,7% votò per ridurre il numero dei seggi nel Parlamento da 140 a 111 ; il 77,3% votò per indire elezioni parlamentari ogni quattro anni, la seconda domenica di marzo ; e il 76,9% approvò una misura mediante cui almeno la metà del bilancio annuale fosse dedicata alla politica sociale. Nel 2003, il 92,0% dei votanti accettarono l’adesione all’UE. Dal 1970, l’Italia ha avuto un referendum correttivo obbligatorio e questo viene utilizzato in abbondanza. Dopo la Svizzera ed il Liechtenstein, l’Italia accumula l’esperienza più considerevole di democrazia diretta in Europa. Il referendum correttivo permette ai cittadini di sottoporre una legge approvata dal Parlamento, o una parte di questa, alla votazione popolare. La soglia di firme da raccogliere è relativamente basso 500 000 (ossia il 1% degli elettori iscritti) e firme possono essere raccolte per le strade. Inoltre, cinque governi regionali possono costringere insieme alla votazione popolare. Il problema maggiore del referendum italiano rimane il quorum partecipativo richiesto che è assai elevato: una legge è solo rigettata se ci sia una maggioranza contro essa, allo stesso tempo, tal maggioranza deve rappresentare il 50% di tutti gli elettori iscritti. Per questa regola, non meno di 20 tra i 42 referendum nazionali italiani tenutisi dal 1990 alla fine del 2003, furono dichiarati invalidi. Inoltre, un certo numero di argomenti ne sono esclusi, quali imposte, bilancio, Trattati internazionali. La Corte costituzionale dispone di una libertà cospicua per interpretare di- Norvegia La Costituzione norvegese data al 1814 e non provvede a nessuna forma di democrazia diretta. Però il Parlamento (lo « Storting ») può indire un plebiscito facoltativo. Dal 1905, sei pleblisciti nazionali sono stati così realizzati. C’è anche una tradizione importante del plebiscito al livello municipale, dove 500 di essi hanno avuto luogo dal 1972. Nel 69 2003, il Parlamento introdusse il referendum d’iniziativa popolare al livello municipale. Ciò permise a 300 cittadini di proporre un tema specifico alla votazione popolare. Il Parlamento scozzese ha introdotto un sistema di petizione pubblica nel 1999. All’incirca 1000 petizioni vennero presentate a questa data (marzo 2006). Nel febbraio 2004, un sistema rivoluzionario di petizione-on line, comprendente la raccolta-on line di firme, fu lanciato. Nel suo primo anno ricevé 90 petizioni. Esempi Nel 1972, l’adesione alla Comunità Europea fu rigettata dal 53,3% dei votanti ; nel 1994, ci fu una nuova votazione sullo stesso soggetto con un risultato simile : il 52,2% di nuovo. Esempi Nel 1973, ci fu il plebiscito sull’Irlanda del Nord : il 98,9% degli elettori votò a favore del mantenimento nel Regno Unito (plebiscito boicottato dai Cattolici romani dell’Irlanda del Nord). Nel1975, l’adesione alla Comunità Europea fu approvata con una maggioranza del 67,2%. Negli anni 1979 e 1997, plebisciti vennero indetti a proposito delle devoluzioni scozzese e gallese. Nel 1997, il plebiscito fece approvare un Parlamento separato per la Scozia ed un’Assemblea per il Galles. Si concesse Assemblea propria nel 1998 all’Irlanda del Nord come parte del plebiscito sull’accordo del « Good Friday ». Ci furono 33 referendum locali per eleggere direttamente i sindaci e nel 2005, un plebiscito locale ad Edimburgo sull’introduzione di un’accusa di sovrappopolazione (il 74% di « NO »). Il Primo Ministro Tony Blair promise che il Trattato sulla Costituzione europea e l’Euro sarebbero stati adottati solo se venissero approvati mediante referendum (plebiscito). Paesi Bassi In seno all’Europa, i Paesi Bassi hanno probabilmente la minore esperienza del referendum. La Costituzione – assai difficilmente emendabile – non consente delle votazioni popolari obbligatorie. Al livello municipale, però, alcuni 125 referendum facoltativi sono stati indetti dal 1972 – la maggioranza di essi essendo plebisciti. Per gli anni ‘90, un certo numero di municipi introdussero il referendum correttivo d’iniziativa popolare. Nella capitale, Amsterdam, sette referendum hanno già avuto luogo dal 1992. Sotto la pressione dell’opinione pubblica, sempre più partiti politici sono oramai in favore all’introduzione del referendum correttivo in base al modello italiano. Ma questo esige una modifica della Costituzione, la quale fallì per un pelo nel 1999. In seguito al referendum sul Trattato costituzionale europeo questa verrà tentata di nuovo. Slovacchia Esempio Nel 2005 ebbe luogo il primo plebiscito nazionale dal 1815. Con una partecipazione del 63,3%, il disegno di Trattato costituzionale per l’Europa venne rigettato dal 61,5% dei votanti. Questo paese dispone di sette strumenti di democrazia diretta. Con 350 000 firme, i cittadini possono lanciare sia un referendum facoltativo, sia un’iniziativa popolare. I diritti fondamentali del cittadino, tasse, bilancio e le imposte ne sono esclusi. L’accesso a un’associazione internazionale di Stati è assoggettato al risultato di un referendum obbligatorio. Governo e Parlamento possono anche indire un plebiscito sul tema a loro scelta. Ce ne furono nove di questo tipô dal 1994. Il quorum partecipativo elevato del 50% dei votanti provoca spesso il fallimento dei referendum. Quello d’accesso all’UE, nel 2003, fu altamente criticato per essere stato scorretto. Polonia La Costituzione polacca, adottata mediante un plebiscito nel 1997, non include il referendum d’iniziativa popolare. Ma il paese adopera effettivamente il procedimento plebiscitario e questo viene regolarmente utilizzato. I plebisciti sono convalidati a patto che il 50% degli elettori vi partecipi. Dal 1996, sette sono stati indetti, i cui ultimi due furono obbligatori. Esempio Nel 1998, il 84,3% votò contro la privatizzazione « d’industrie strategiche », in particolare compagnie d’elettricità. Nel 2000, il 95,1% approvò l’accesso all’UE. Nel 200, il 84,6% votò ancora in favore di elezioni « telecomandate ». Esempi Nel 1996, la stesso giorno, non meno di 5 plebisciti ebbero luogo. Le votazioni concernevano tre disegni sulla privatizzazione (tutti rifiutati : i 92,2%, 91,3%, e 76,8% dei votanti) e due proposte sulla pensione (entrambi rigettati dal 95,1% e il 96,6% dei votanti). Nel 2003, l’adesione all’UE fu approvata col 77,5% dei voti. Svezia Come in Francia, il governo svedese utilizza il plebiscito. Mentre in Francia è il Presidente a governare (soprattutto adesso, novembre 2007, ndt), in Svezia à il Partito Social Democratico che domina il paese da molti anni. Dal 1945, furono indetti cinque di quei plebisciti. I plebisciti divengono obbligatori solo in certune circostanze. Al livello locale c’è solo il diritto di presentare un argomento all’ordine del giorno. Regno Unito IlL Regno Unito non ha nessuna Costituzione redatta – le « regole del gioco politico » sono contenute nei tre convenzioni e « understandings ». Storicamente, si ebbe il timore che una Costituzione formale potesse sfidare il Parlamento nel suo rivendicare la sovranità e quindi limitare i suoi poteri. Negli ultimi anni, il ruolo del parlamento andò indebolendosi significativamente nei confronti del governo. Non c’è referendum d’iniziativa popolare, ma il governo in verità ha talvolta indetto plebisciti. Al livello municipale, c’è n’è uno, che permette ai cittadini di scegliere d’eleggere direttamente il sindaco e fu introdotto mediante il Local Government Act (2000). Esempi Nel 1980, un plebiscito con tre scelte venne indetto sulla politica nucleare. L’opzione mediana – costruzione di 12 centrali nucleari che sarebbero state sostituite dopo 25 anni da fonti energetiche alternative – ricevette la maggioranza dei voti (il 40,5%). Nel 1994, il 52,9% si votò l’accesso nell’UE. Nel 2003 il 55,9% si votò contro l’introduzione dell’euro. 70 6. Possibili obiezioni sollevate contro la Democrazia Diretta Le seguenti obiezioni vengono spesso sollevate contro la democrazia diretta: l) Finalmente in certuno Stato, quale il Belgio, si viene a pretendere che il referendum minacci perfino l’unità stessa del paese. a) L’incompetenza: in una società moderna, i problemi sono assai troppo complessi per consentire ponderatamente una presa decisionale e venir abbandonati all’uomo della strada. Questo capitolo tratta quelle questioni una dopo l’altra. C’è una nota che si impone in anticipo, però: pur valutando talune obiezioni, la democrazia diretta va sempre paragonata al sistema puramente rappresentativo e non a un ideale astratto impossibile. Sicché molte obiezioni sollevate contro la democrazia diretta lo sono anche, per dire il vero, contro la democrazia in quanto tale. Inoltre, le obiezioni vanno esaminate nei confronti delle pratiche vigenti, in cui le forme di democrazia diretta sono sempre state messe in opera da un secolo e più (specialmente in Svizzera e in alcuni Stati americani), in quanto quegli ultimi anni, molte ricerche empiriche sono state condotte in questo campo, le quali sono coincidenti con tutti gli aspetti della democrazia diretta. b) La mancanza di senso di responsabilità: tutti considerano solo l’interesse proprio. Ad esempio, si verrebbe ad abolire ogni imposta senza realizzare le conseguenze di tale misura, ovvero si richiederebbero più spese da parte dal governo, il che farebbe fallire il bilancio. Si può sempre domandare agli uomini politici di assumere le responsabilità delle loro decisioni, ma nessuno può assumere quella della decisione referendaria. c) Il pericolo che incombe sulle minoranze: la democrazia diretta sarebbe un modo di approvare decisioni che violassero i Diritti dell’Uomo e libertà fondamentali. Tale minaccia peserebbe particolarmente sulle minoranze. a) L’incompetenza Quest’argomento rigetta la democrazia diretta in quanto gli elettori non vengono considerati competenti per formare un’opinione ponderata. Tal argomento possiede una storia poco simpatica: venne in effetti utilizzato contro il suffragio universale, contro il diritto di voto per le donne, e contro il diritto di voto dei Neri nell’Africa del Sud. d) In connessione col punto precedente: nella democrazia diretta, demagoghi hanno intera libertà per lanciare proposte rozzamente populistiche. e) Il potere del denaro: gli « interessi particolari », ben dotati finanziariamente, dominano il dibattito e utilizzano i referendum ai propri scopi. Nel 1893, il politico cattolico belga De Neef, s’oppose al diritto di voto universale invocando l’argomento d’incompetenza: « Coloro che domandano il diritto di voto devono, naturalmente, provare ugualmente che siano competenti per esercitare la funzione che richiedono. Gente sfortunata – che è stata incapace acquisire un’educazione elementare, che sono state incapaci di elevarsi al di sopra delle loro condizioni di vita più primitive – hanno ciononostante il diritto di decidere qualcosa per altra gente, e di votare sui questioni più serie del paese? In realtà, il suffragio universale conduce alla regola del più intrallazzatore, in quanto quelli che sono incapaci discriminare diventeranno totalmente dipendenti dai maneggioni operanti. » (Coenen e Lewin, 1997, p.84). Nel 1919, il con lega suo nel Parlamento, il socialista Hubin, usò anche l’argomento « d’incompetenza » per opporsi questa volta al diritto di voto per le donne. É interessante constatare che in questo momento, gli uomini della classe media operaia, avessero acquisito la competenza necessaria. « Il diritto di votare è un’arma pericolosa. Niente è di più gran valore che tal arma per le classi organizzate e educate, anche consce dei diritti e delle loro responsabilità. Però, ve lo domando, accordereste tale diritto ad una persona che non sarebbe preparata per utilizzarlo? » (Coenen e Lewis, 1997, p.95). f) L’assenza di ogni possibilità d’affinare e di qualificare le domande poste: gli elettori possono spesso dire soltanto « SÌ » o « NO » ad una proposta referendaria: non c’è opportunità di avere una differenziazione più fine e sottile. Inoltre con i referendum, c’è il problema del nesso, o del collegamento: ogni sorta di temi che concernono non direttamente il soggetto reale del referendum, giocano un ruolo nelle decisioni degli elettori. g) Il conflitto con la democrazia rappresentativa: il Parlamento viene screditato dai referendum e il primato della sfera politica « ufficiale » viene minato. h) La saturazione degli elettori: questi non vogliono affatto referendum; vogliono che li si lasci in pace e che non li si obblighi ad andare a votare. i) La manipolazione sul modo in cui la proposta viene presentata: questa può venire testualmente indirizzata in modo da fuorviare gli elettori verso una votazione contraria alle proprie convinzioni reali. j) Il conservatorismo: il referendum garantisce il blocco dei rinnovamenti essenziali, in quanto la gente tende a votare per mantenere lo status quo. Altri pretendono esattamente il contrario, cioè che gli attivisti entusiasti possano impossessarsi della democrazia per il proprio conto tramite il referendum, in quanto la maggioranza silenziosa non prende mai parte ai referendum. In pratica, ogni volta il gruppo mirato finì col aver il diritto di voto, l’argomento si è dunque verificato completamente falso. La stessa cosa s’applica anche adesso per la presa decisionale in democrazia diretta: la pratica svizzera dimostra che l’argomento non sia valido neanche in questo contesto. La Svizzera è chiaramente uno tra i paesi meglio governati d’Europa, con un esecutivo molto ridotto, servizi pubblici efficienti e un’economia al di sopra della media che funziona benissimo. k) I referendum non sono necessari, in quanto ci sono modi migliori perché il popolo discuta e dibatta questioni politiche. L’argomento fallisce per parecchie ragioni: la moralità è sempre la chiave delle decisioni politiche, ora una decisio71 ne morale è sempre personale. Nessuno può prendere una decisione morale per altri ed ogni persona responsabile è, per definizione, capace prendere una decisione morale. « Gli elettori non hanno bisogno di avere una conoscenza dettagliata delle questioni, ma di sapere quali sono le principali questioni che sono in gioco. Quelle, tuttavia, non sono di natura tecnica, ma implicano decisioni basilari (ad esempio giudizi di valore), per cui ogni elettore è del tutto tanto qualificato quanto un politico. » (Frey e Bohnet, 1994, p.156). Include l’argomento d’incompetenza, dunque, la doppia supposizione nascosta che i rappresentanti eletti siano in realtà competenti, e che abbiano a cuore l’interesse pubblico. « Le critiche alla legislazione diretta hanno spesso in mente uno stato del legislatore che sfiora il mito: ossia, allo stesso tempo, altamente intelligente con la competenza di capi d’impresa e di professori d’Università. Le stesse critiche tendono a vedere invece il popolo quale plebaglia, poco degna di fiducia. Contuttociò, le persone, o quella sedicente plebaglia, sono le stesse che eleggono i legislatori. Come mai va bene che possano scegliere tra buoni e cattivi candidati, ma non possano farlo tra buone e cattive leggi? » (Cronin, 1989, p.87). In questo contesto non si deve dimenticare ciò che la vita esige dalla gente d’oggi. Si assume (a buon diritto!) che nelle circostanze normali, la gente sia autonoma e viva in una società che si evolve rapidamente ed è competitiva. A scuola, al lavoro e negli altri aspetti della vita quotidiana, s’incontrano di continuo delle difficoltà, a una scala relativamente ridotta, che sono anch’esse all’ordine del giorno nella sfera politica più ampia. É solo logico, dato che la politica, idealmente, sta trattando realmente di problemi incontrati dalla gente nella sua vita di ogni giorno. Insomma, sta di fatto che la « conoscenza sociale » del cittadino sta accrescendosi in funzione del partecipare ai referendum. Benz e Stutzer (2004) hanno analizzato ciò paragonando la Svizzera con l’Unione Europea, in cui certuni paesi hanno avuto un referendum sull’integrazione europea ed altri no. Durante il periodo investigato, sette tra gli stati dell’UE avevano indetto un referendum sull’integrazione europea: Danimarca, Irlanda, Francia, Austria, Svezia, Finlandia e Norvegia. Nello stesso periodo non ci fu referendum negli altri otto (allora c’erano solo 15 paesi nell’UE). Gli abitanti dei paesi dove c’erano stati referendum apparvero rispondere meglio alle dieci domande generali sull’UE di quelli provenienti da paesi dove non c’era stato nessuno referendum: l’effetto fu proporzionale a quello della differenza segnata tra gente con redditi medi e gente con redditi bassi. In Svizzera, Benz e Stutzer presero un indice del grado di democrazia diretta al livello cantonale (il quale, come stabilito precedentemente, differisce considerevolmente da un cantone all’altro), e lo paragonarono con le risposte dei cittadini svizzeri a tre domande poste sulla politica generale svizzera. Anche qui, gli Svizzeri che vivevano in cantoni dotati di democrazia diretta si verificarono avere assai più conoscenze degli Svizzeri che vivevano in cantoni che dispongono piuttosto del sistema rappresentativo. L’impatto era esattamente grande come la differenza tra membri dei partiti politici e i non-membri, o quella esistente tra classe di reddito 5000 e classe di reddito 9000 franchi svizzeri. Facendo la scelta loro, cittadini utilizzano normalmente « compendi d’informazione », come opinioni del loro prossimo e delle « autorità genuine » in cui hanno fiducia: ad esempio, raccomandazioni di voto da parte dei partiti politici ed organizzazioni politiche, informazioni date dai mass media e dagli esperti, ecc.. In Svizzera, le raccomandazioni di voto provenienti da numerose organizzazioni (partiti politici, associazioni professioniste e gruppi di pressione, ecc.) sono incluse nei documenti informativi referendari. A questo proposito, i membri del Parlamento fanno alcuni compendi: devono in effetti prendere decisioni a proposito di tante leggi e di tanti regolamenti che non è frequentemente possibile per loro studiare essi stessi tutte le fonti informative relative (ciò divenne anche palese quandoun’investigazione rivelò che i membri del Parlamento neerlandese leggessero solo un quarto di tutti i memorandum che avrebbero dovuto leggere: secondo il giornale neerlandese NRC Handelsblad, il 28 febbraio 1997), sicché hanno regolarmente ricorso ai « compendi ». Lupia (1994) ha dimostrato che l’utilizzazione di « compendi » informativi dai cittadini nei referendum non ha troppo effetto sulla decisione ultima. Nella sua analisi delle iniziative cittadine californiane del 1990, sorse che vi era solo una differenza del 3% nel comportamento di voto tra il gruppo d’elettori bene informati e quello che basavano il loro voto su compendi d’informazione. b) La mancanza del senso di responsabilità Secondo quest’argomento, la gente approverebbe ciò che giova ai propri interessi, dando così prova di una mancanza di responsabilità per l’intera comunità o la società, con conseguenze distruttrici. Ad esempio, questa gente voterà per cancellare le imposte mentre vorrà aumentare nello stesso tempo le spese pubbliche. Inoltre, l’argomento non può selettivamente venir invocato contro la democrazia diretta: per dire il vero, è un argomento contro la democrazia stessa. Se i cittadini non saranno competenti per decidere su temi specifici, a fortiori non lo saranno certamente neanche per eleggere gente che prenderà buone decisioni. Per essere in grado d’eleggere qualcuno che prenda buone decisioni, dopotutto, non si deve solo essere competenti per fare la differenza tra decisioni buone e quelle cattive, ma lo si deve essere anche per giudicare del merito di fiducia e dell’integrità morale ed intellettuale dei candidati, ovvero esserlo inoltre per discernere l’ordine del giorno nascosto dei partiti politici. « Non si sa molto bene perché si da fiducia ai cittadini, dato che sono capaci scegliere tra partiti e politici nelle elezioni, ma per quale ragione non si gliela dia nelle elezioni referendarie. Sarebbe tuttavia la prima scelta a risultare più difficile, siccome gli elettori devono formarsi aspettative sulle azioni future degli uomini politici. » (Frey e Bohnet, 1994, p.157). In realtà, in una prospettiva finanziaria, cittadini sono più responsabili dei politici. I vasti debiti pubblici che esistono adesso nel più dei paesi occidentali, ad esempio, sono stati contratti contro la volontà popolare. Indagini, condotte su parecchie generazioni in Germania e negli Stati Uniti, provano che una maggioranza stabile dei due terzi della popolazione è favorevole a un bilancio governativo che rimanga equilibrato perfino a breve termine (« Bilancio equilibrato », von Weizäcker, 1992). Pertanto, l’accumulo di una montagna di debiti è il risultato di una politica contraria al desiderio della maggioranza della gente. Questa è reticente sul venir oberata di misure che sarebbero necessarie per ridurre questa montagna di debiti (Blinder e Bagwell, 1988 ; Tabellini e Alesina, 1990). 72 L’investigazione mostrò che l’accumulo di un deficit governativo è strettamente collegato all’allineamento del partito politico in un paese. Ci sono qui alcune osservazioni empiriche : •quanto più la polarizzazione è importante in seno a una coalizione di parecchi partiti, tanto più c’è una tendenza à peggiorare il debito ; •tanto più è probabile che un governo perda le prossime elezioni, quanto più forte è la tendenza a peggiorare il passivo ; •tanto più breve la media del mandato governativo, quanto più aumenta il debito ; •più ci sono partner nel governo di coalizione, più è forte la tendenza a aumentare il deficit. campo del bilancio, anche se quello dei secondi sia già considerevole. Scoprirono che la disponibilità di ricorso ai referendum obbligatori sul bilancio comportava una forte riduzione del deficit di bilancio. Kiewitz e Szakali (1996) avevano concluso in modo similare in precedenza per gli Stati Uniti. Inoltre, non è certamente vero affermare che quando si trattano di questioni d’imposta, i cittadini, per definizione, scelgano imposte più basse ! Piper (2001) ha anche compilato un inventario di tutte le iniziative cittadine riguardanti imposte negli Stati Uniti dal 1978 al 1999 ; negli USA i referendum facoltativi non hanno nessun ruolo significativo. Ci furono 130 iniziative cittadine sulle imposte, tra cui 88 domandavano una riduzione d’imposta, 27 un aumento d’imposta, mentre 17 rimasero neutrali su questo punto. Tra le iniziative cittadine in favore a una riduzione delle imposte, il 48% venne approvato, ossia meno della metà. Tra quelle che domandavano, invece, un aumento delle imposte, per il 39% venne approvato. La differenza tra entrambe queste ultime è dunque debole, e le percentuali si trovano all’incirca della media d’esito positivo delle iniziative cittadine negli Stati Uniti, la quale è del 41% in Svizzera. D’altronde, in Svizzera gli elettori approvano regolarmente gli aumenti d’imposte necessari. Nel 1993, una tassa supplementare sulla benzina di 0,2 franco svizzero al litro (all’incirca 0,14 euro) venne approvata dopo un altro aumento precedente, nel 1983, che fu ugualmente approvato mediante il referendum. Nel 1984, nuove tasse vennero anche approvate nello stesso modo per le autostrade e l’utilizzazione dei camion. (Cfr. Roubini e Sachs, la cui ricerca concerneva paesi dell’OCSE (Organizzazione di Cooperazione e di Sviluppo Economico) durante il periodo estendentesi dal 1960 al 1985 ; altri riferimenti da Weizäcker, 1992). Tali osservazioni dimostrano che il pensare a breve scadenza dell’élite politica gioca un ruolo centrale nell’accrescimento del deficit nazionale : contrarre un debito per comprare voti, per dire così. Von Weizäcker (1992) argomenta inoltre a favore della messa in opera del referendum d’obbligo prima che il debito nazionale sia contratto. Come abbiamo già dimostrato nel capitolo quinto, Feld e Matsusaka (2003) hanno studiato in che modo gli elettori decidono nei referendum sulla spesa pubblica in Svizzera. In molti cantoni, la spesa pubblica viene sottoposta a un « referendum d’obbligo sulle finanze ». Ogni spesa singolare del settore pubblico, al di là di una certa somma (la media sta all’incirca dei 2,5 milioni di franchi svizzeri), va isolatamente approvata mediante il referendum. Feld e Matsusaka hanno scoperto che i Cantoni dotati di questo tipo di referendum hanno speso il 19% meno di quelli che sono sprovvisti di questo strumento referendario (le cifre si riferiscono al periodo dal 1980 al 1998). La California viene assai spesso citata come riferimento essendo tipicamente il luogo in cui cittadini abbiano preso decisioni irresponsabili tramite il referendum. Si è preteso, ad esempio, che le iniziative cittadine avessero determinato in tanta parte il bilancio californiano ed avessero bloccato allo stesso tempo ogni possibilità di introdurre nuove tasse, al punto che gli uomini politici avrebbero finito per non disporre di un margine di manovra sufficiente. Matsusaka (2005) ha studiato tale affermazione e ha concluso che dopo quasi un secolo di democrazia diretta, il 68% del bilancio californiano era stato quasi interamente determinato dal sistema rappresentativo e che la possibilità d’introdurre nuove imposte non era stata mai del tutto ristretta. Matsusaka ritrovò lo stesso effetto per gli Stati americani, analizzando sistematicamente tutti i dati accessibili per la totalità del Novecento. Gli stati muniti dell’iniziativa cittadina appaiono spendere il 4% meno al livello statale di quelli che non lo sono. Inoltre, sembra che più è facile lanciare un’iniziativa cittadina, più l’impatto è importante : negli stati dove la soglia delle firme è più bassa, la spesa pubblica era del 7% minore di quelli senza l’iniziativa, allorché l’impatto negli stati a soglie elevate rasenta lo zero. Al livello locale, l’iniziativa cittadina conduce ad una spesa più importante, ma in genere, l’effetto netto rimane un calare della spesa pubblica (Matsusaka, 2004, pp.33-35). Malgrado la pesante responsabilità dei politici nella cattiva situazione finanziaria della maggioranza degli Stati occidentali (ciò che risulta dalla discussione qui sopra), i politici riuscirono ancora ad invertire i ruoli. Il senatore belga, Hugo Vandenberghe difese la sua posizione contro il referendum in quei termini : « Il popolo non deve prendersi la responsabilità delle sue decisioni. Può perfettamente decidere di buttare via l’imposizione e, due settimane dopo, aumentare i versamenti degli assegni mutualistici. » (il giornale belga De Standaard, del 19 dicembre 1992). La verità è esattamente l’opposto : in fin dei conti, è sempre il popolo da pagare il conto per lo sviamento di bilancio, in forma d’accrescimento delle imposte e del peggioramento dei servizi pubblici, ecc.. I singoli politici, nei sistemi rappresentativi, che sono i soli a decidere del livello fiscale e del deficit nazionale, non assumono mai personalmente, naturalmente, le conseguenze delle loro decisioni. Non hanno mai restituito un solo centesimo della spesa che i cittadini non avevano mai domandato e che conduce al passivo del bilancio nazionale. Dopo lo scadere del mandato – essendo all’occorrenza ricompensati da un premio grosso o da un assegno generoso – riprendono agevolmente il loro job, nel loro partito politico (In Francia, talvolta si presentano alle elezioni senatoriali per « andare in La democrazia diretta porta anche a imposte più basse. Se il referendum d’iniziativa cittadina fosse disponibile in un dato Stato, questo porterebbe ad una riduzione d’imposta di 534 $ per una famiglia di quattro persone, ciò che corrisponde pressappoco al 4% dell’introito pubblico. La differenza è significativa, ma non drammatica in valore assoluto e non si può dire, in base a questo solo dato, che lo Stato diventi ingestibile (Matsusaka, 2004, pp.33-35). Di conseguenza, sebbene decrescano contemporaneamente spesa pubblica e imposta, l’effetto netto rimane il calo dei deficit di bilancio. Feld e Kirschgässener (1999) hanno esaminato l’effetto del referendum obbligatorio sui bilanci nelle 131 delle più grandi città e municipi svizzeri. Scelsero di paragonare piuttosto municipi che cantoni, in quanto i primi dispongono perfino di più grande margine di manovra nel 73 pensione » tranquillamente, ndt). In seguito, possono addurre argomenti che sembrano di essere plausibili per spiegare le loro decisioni, ma il male è stato già fatto, senza nessuna garanzia che i loro successori facciano meglio di essi. gli abitanti della California evidenziò una ampia maggioranza per la creazione di democrazia diretta in tutti i gruppi etnici. Nel 1997, il 76,9% dei Asiatici, il 56,9% dei Neri, il 72% degli Ispanici e il 72,6 % dei Bianchi, consideravano la democrazia diretta californiana una buona « cosa », mentre la proporzione di quelli che pensavano che fosse una « cattiva cosa » era più elevata tra i Bianchi (il 11,5%) e più debole tra gli Asiatici (solamente il 1,9%) (Matsusaka, 2004, p.118). Infatti, il senatore Vandenberghe attira l’attenzione su un argomento chiave in favore della democrazia diretta, in quanto il popolo deve sempre assumere le conseguenze delle decisioni di bilancio e d’imposta, è del tutto logico che il popola abbia, esso stesso, l’ultima parola su queste decisioni ! La ricerca empirica rivela che se i referendum vengono indetti sui diritti delle minoranze, - risultano principalmente in favore a questi diritti. Frey e Goette (1998) scelsero, quale criteri di partenza, i diritti civili dalla dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e la Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, per esaminare tutti i referendum svizzeri sui diritti delle minoranze nel periodo che si estese dal 1970 al 1996 al livello federale, poi nel Cantone di Zurigo e infine nel municipio di Zurigo. In più di due terzi dei casi (il 70%), il risultato fu in favore dei diritti delle minoranze. Al livello federale tale sostegno era perfino più alto fino a raggiungere il 80%. Apparve così il fatto che referendum che minacciano i diritti delle minoranze, hanno assai meno chances di venir accettati di quelli su altri temi. Delle iniziative cittadine, al livello federale, ne è approvato il 10% in media ; sulle 11 iniziative (dal 1891 al 1996), che tentarono ridurre i diritti delle minoranze, nessuna poté vincere. In compenso, i gruppi minoritari riportano frequentemente il loro referendum. in media, il 50% di quelli obbligatori è adottato. Sugli 11 referendum obbligatori che sostennero i diritti della minoranze (1866 al 1996), non meno del 73% venne adottato. Una volta di più, in media, il 63% dei referendum facoltativi (dal 1866 al 1996) venne accettato. Entrambi i referendum facoltativi (dal 1866 al 1996) che sostennero i diritti delle minoranze furono tutti e due accettati. c) Minacce sulle minoranze Secondo quest’argomento, la democrazia diretta diverrebbe un’arma nelle mani delle maggioranze per opprimere le minoranze ed instaurare una dittatura. É di nuovo un argomento contro la democrazia stessa – ovvero, per dirla tutta, contro ogni sistema politico che autorizzi una libertà di scelta – e non specificatamente contro la democrazia diretta. Un regime parlamentare può allo stesso modo mancare ai suoi doveri nei riguardi delle minoranze, o stabilire perfino una dittatura. La presa del potere dai nazisti, nel 1933, è un buon esempio dell’instaurazione di una dittatura mediante la via parlamentare. Il Parlamento tedesco, non solo ha eletto Hitler al posto di cancelliere nel 1933, ma gli ha anche concesso i pieni poteri tramite la « Ermächtigungsgesetz », proprio mentre i nazisti rappresentavano meno della metà dell’elettorato durante tutte le elezioni tenuto fino ad oggi. Una forma di democrazia diretta limitata esisteva anche in Germania a quell’epoca, ma è il sistema parlamentare da aver introdotto la dittatura (si vede 6-1). In linea di massima, una democrazia diretta offre, per dire il vero, più opportunità per le minoranze di avere un effetto di quanto non possa offrire il sistema rappresentativo. « In una democrazia diretta, ci sono questioni diverse all’ordine del giorno e ogni volta la coalizione che forma la maggioranza viene costituita di un modo differente. Una volta, voi fate parte della maggioranza, un’altra, della minoranza. E in una democrazia diretta, minoranze hanno più opportunità di porre questioni all’ordine del giorno. Se [in Svizzera] esse raccolgono 100 000 firme, una votazione viene indetta sulla questione. Poi, i loro oppositori devono spiegare precisamente per quali ragioni essi sono contro la proposta. Attraverso questo processo, nuove idee possono essere acquisite e opinioni possono cambiare. La democrazia diretta è più che una semplice vista d’insieme. Fornisce mezzi dinamici mediante cui le minoranze hanno la possibilità di diventare maggioranze. In un sistema puramente rappresentativo, d’altra parte, i singoli partiti si oppongono vicendevolmente. Se voi state nei ranghi e raggiungete un partito dell’opposizione, infatti non avete più nessuna voce effettiva, in quanto i partiti della coalizione governativa dispongono della maggioranza permanente nel Parlamento e, in linea di massima, possono ottenere tutto quanto vogliono », secondo il membro del Parlamento sivizzero Andi Gross (2000). Il 24 settembre 2000, il Volkskrant, probabilmente il giornale più influente nei Paesi Bassi, pubblicò un articolo critico e tendenzioso sul referendum d’iniziativa cittadina che avrebbe avuto aver luogo il giorno dopo in Svizzera. Questo mirava a limitare il numero degli stranieri che si recano in Svizzera, il quale fu sempre molto elevato (all’incirca del 20%), dovuto alla viva tradizione umanitaria svizzera e all’economia prospera del paese. Il giornale suggeriva che questo tipo di proposta fosse socialmente inaccettabile in seno alla democrazia diretta svizzera ne concludeva quindi che tale referendum rappresentasse una violazione dei Diritti dell’Uomo. Dimenticava di precisare che la Svizzera avesse già votato precedentemente a sei riprese sulle stesse proposte in democrazia diretta e che queste fossero state tutte rigettate, con una gran maggioranza, in genere. Quando, il giorno dopo l’uscita dell’articolo sul Volkskrant, questa ultima proposta venne ugualmente rigettata patendo perfino la stessa sorte delle altre, il giornale olandese rimase silenzioso su questo argomento. Per gli Stati Uniti, la studiosa di scienze politiche Gamble (1997) tentò di provare che i referendum sui diritti delle minoranze produssero sovente risultati negativi per questi diritti. Le sue conclusioni vennero però assai criticate dai suoi colleghi (tra cui Donovan e Bowler, 1998 ; e Matsusaka, 2004). Primariamente, Gamble non aveva sistematicamente esaminato una serie di referendum lungo un periodo determinato, ma lei basava le sue conclusioni sui racconti dai mass media e d’altre fonti soggettive. Pertanto, la sua serie di dati non era stata randomizzata. Ne risultarono ovviamente distorte, in quanto i mass media sono piuttosto inclini a riferire casi sensazionali. Secondariamente, Gamble non aveva fatto nessuna distinzione tra referendum nei piccoli municipi e quelli Non per nulla, quando vengono interrogate direttamente, le minoranze s’includono sempre nella maggioranza che si pronuncia in favore alla democrazia diretta. Uno studio dettagliato di Rasmunssen, nel 1999 tra i Texani, provò che il 72% dei Neri e il 86% degli Ispanofoni erano in favore della democrazia diretta, cifre da paragonare al 69% dei Bianchi (www. initiativefortexas.org/whowants.htm). Indagini realizzate da Field, in tre momenti differenti (1979, 1982 e 1997), tra 74 dello Stato federale. Quando Donovan e Wowler analizzarono a volta loro questi dati, apparve che il grado della sedicente violazione dei diritti delle minoranze fosse molto più dipendente dalle dimensioni dell’unità politica considerata (piccoli municipi in opposizione alle grande città) che dall’iniziativa cittadina stessa. Non c’era nessuna differenza con i risultati in un sistema rappresentativo. Insomma, Gamble aveva arbitrariamente caratterizzato diverse iniziative cittadine come se esse fossero esempi illustranti la « tirannia dalla maggioranza » – come quella proposta d’imporre l’inglese quale lingua ufficiale della California, o quella di forzare la gente riconosciuta colpevole di reati sessuali gravi a sottoporsi a un test AIDS obbligatorio. Questo si risulterebbe piuttosto da un punto di vista personale. Sarebbe veramente tanto strano avere l’inglese quale lingua ufficiale in uno Stato americano ? E Dobbiamo considerare questo un diritto per qualcuno di venir autorizzato a violentare una persona senza dover subire dopo un test di diagnosi dell’AIDS ? stata piuttosto diversa di quella degli anni ‘90, divenne ovvio in merito alla legge matrimoniale, ad esempio. Fin al 1976, le donne belghe dovevano giurare obbedienza al loro marito quando si sposavano. Solo quest’anno il sistema puramente rappresentativo belga fornì disposizioni legali uguali per entrambi gli sposi nel senso stesso del cambiamento sociale. Negli Stati Uniti, la democrazia diretta precedé quella rappresentativa in merito al diritto di voto per le donne. Le iniziative cittadine dell’inizio del Novecento concessero alle donne il diritto di votare per la prima volta nel Colorado e nell’Oregon. L’Arizona seguì un po’ più tardi, poi il Wyoming, dove il referendum di rinnovamento costituzionale provvedeva il diritto di votare per le donne. Tutti questi tentativi fruttuosi erano stati preceduti da una serie di fallimenti, non solo nell’Oregon o nel Colorado, ma anche nel Missouri, Nebraska ed Ohio. Negli Stati Uniti, le iniziative cittadine erano utilizzate al livello dello Stato, per forzare la questione del diritto di voto per le donne e soltanto in seguito la Costituzione Federale venne emendata in questo senso, solo nel 1920 (Cronin, 1989, p.97). Fatto sta che gli oppositori alla democrazia diretta menzionano di solito il diritto di voto tardivamente concesso alle donne in Svizzera, e, per dirla tutta, rimangono zitti sugli esempi contrari in America, quello che illustra quanto le loro scelte degli esempi siano selettive. I bianchi sono ancora il più grande gruppo etnico della California, quasi il 50%. Altri gruppi importanti sono i Neri, gli Asiatici e gli Ispanici. Hajnal, Gerber e Louch (2002) studiarono in che modo le diverse popolazioni etniche della California votavano nei referendum. Osservarono non meno di 51 votazioni popolari. Apparve che la differenza nel comportamento di voto tra diversi gruppi etnici era assai scarsa : solo in media 1% di chance in meno per i minoritari di ritrovarsi dal lato vincitore degli elettori bianchi. La pena di morte viene anche spesso citata in riferimento. Si pretende che la democrazia diretta conduca all’introduzione od alla reintroduzione della pena di morte, e perciò vada rigettata. Il carattere inaccettabile della pena di morte viene posto così come una premessa inviolabile e, dopo, si suppone che la democrazia diretta porti alla pena di morte : « pertanto », la democrazia diretta va rigettata. Ma questo carattere inaccettabile assunto non è certamente un dato, ma deve emergere quale un valore fondamentale da un dibattito aperto tra cittadini liberi e uguali. Chiunque argomentando che su questo punto (o su qualsiasi punto) si vada contro la maggioranza sta perorando una politica del ricorso alla forza e alla dittatura. Bisogna notare che si tratti anche di un argomento contro la democrazia in quanto tale. L’introduzione della pena di morte è pure assai possibile in un sistema puramente elettorale – pertanto stiamoper abolire le elezioni ? Nel frattempo, qual è l’atteggiamento dei rappresentanti eletti in merito allo Stato costituzionale ? Cronin (1989, pp.91-92) cita lo storico Commager, il quale esaminò la lealtà da parte delle autorità rappresentative nei riguardi delle libertà civili e diritti delle minoranze : « Una lista di queste leggi deluderebbe certamente il più ottimistico Jeffersoniano. Leggi di censura, leggi anti-evoluzione, leggi di saluto alla bandiera, leggi anti-sindacali, leggi anti-socialiste, leggi anti-comuniste, leggi di sedizione e anarchia criminale, leggi d’informazione anti-contraccettiva, queste e molte altre vengono solo troppo volentieri alla mente. La legislatura di New York si è purgata dai socialisti; la legislatura del Massachusetts imponeva giuramenti di lealtà nei confronti degli insegnanti ; la legislatura dell’Oregon proscriveva scuole private mentre la legislatura del Nebraska, invece, vietava l’insegnamento della lingua tedesca nella scuola pubblica; la legislatura del Tennessee proibiva l’insegnamento dell’evoluzione animale; la legislatura della Pensylvania autorizzava l’obbligo di saluto alla bandiera per gli scolari; la legislatura della Louisiana imponeva un’imposta discriminatoria sui giornali. Quest’elenco potrebbe allungarsi indefinitamente.” Inoltre, i fatti raccontano altra storia. Ci sono due paesi in Europa dove la popolazione potrebbe introdurre la pena di morte mediante l’iniziativa cittadina: la Svizzera e il Liechtenstein. Eppure, non esiste la pena di morte in questi due paesi neanche il minimo tentativo d’introdurla mediante la democrazia diretta. É addirittura il contrario assoluto : in Svizzera l’abolizione della pena di morte venne approvata mediante il referendum, dapprima nel 1935, in merito al tempo di pace e poi nel 1992, per il tempo di guerra (tale abolizione fu sempre una parte di un complesso di misure legali)). Un’altra proibizione esplicita della pena di morte nella Costituzione svizzera venne approvata dal referendum nel 1999 (Heussner, 1999). Un esempio molto citato, a proposito dell’effetto discriminatorio del referendum, è l’introdurre tardivo del diritto di voto per le donne in Svizzera. Le Svizzere acquisirono in effetti questo diritto solo nel 1971 – tramite une referendum in cui soli gli uomini presero parte, naturalmente. In Belgio, il diritto di voto per le donne venne introdotto nel 1948. Tale differenza di 23 anni , però, non ha molto a che fare col fatto che la democrazia diretta esisteva in Svizzera, bensì col fatto che la Svizzera rimase ben fuori dello sconvolgimento della seconda Guerra mondiale (sebbene totalmente circondata dalle potenze dell’Asse). Il trauma della guerra e dell’occupazione tedesca sembra avere facilitato l’introduzione di un cambiamento politico. In Belgio, ad esempio, il diritto di voto per le donne venne introdotto dopo la seconda Guerra mondiale e il suffragio universale era stato introdotto dopo la prima Guerra mondiale. Che la mentalità degli anni ‘60 fosse Negli Stati Uniti, quasi la metà degli Stati conservano la pena di morte (gli Stati dispongono della giurisdizione afferente). Ma un trattamento esauriente di questo tema dal giurista Heussner (1999) fornì un’immagine più equilibrata. Gli Stati americani con o senza la democrazia diretta appaiono di avere la pena di morte in un’ampiezza quasi simile : tra gli Stati 24 con la democrazia diretta, 19 dispongono della pena di morte (il 79%). Però, risulta che tra gli Stati 27 senza democrazia diretta, 20 abbiano la pena di morte (il 74%). Ma tutti gli Stati senza la pena di morte sono principalmente collocati nel Nord e all’Est del continente (eccettuate le Ha75 waii) e tutti gli Stati aventi la pena di morte sono nel Sud e all’Ovest del continente. É quindi una differenza nella cultura politica ; all’Ovest e nel Sud, il sostegno al mantenimento della pena di morte – così come per gli altri temi politici connessi – viene più largamente condiviso dal pubblico e dagli uomini politici, invece, nel Nord ed all’Est, c’è assai meno sostegno da parte del pubblico e dagli uomini politici. Osserviamo disparità similari tra il Nord e il Sud dell’Europa. 1997, sono esempi in cui le soglie partecipative sono state modificate a convenienza dei governi organizzatori. Il plebiscito del governo austriaco nall’autunno 2000 (consecutivo alle sanzioni imposte all’Austria dai paesi europei, dopo l’entrata della destra FPÖ nel governo) è un esempio della compressione di numerosi temi in un solo problema predefinito. Sei questioni furono quindi poste, a cui gli elettori potevano dare una sola ed unica risposta. La prima domandava se si dovesse porre fin alle sanzioni, le seconda e terza domandavano in modo retorico se gli altri paesi non facessero meglio ad astenersi dall’intervenire negli affari del governo austriaco e le altre tre questioni concernevano regolamenti specifici in una Costituzione europea a venire. Una sola e unica risposta a sei questioni isolate, non è possibile. Il governo e il Parlamento possono interpretare il risultato nel modo che vogliono e in ogni caso, questo risultato non li vincola in niente. Dato che il referendum d’iniziativa cittadina non esiste in Austria, i cittadini stessi sono senza potere. É vero che la pena di morte venne introdotta o reintrodotta in un certo numero di Stati mediante iniziative cittadine, ma in parecchi casi, ciò fu una risposta del popolo all’abolizione della pena di morte dai tribunali (par causa d’incompatibilità con la Costituzione o con altri principi legali), e allo steso tempo una maggioranza di rappresentanti eletti era anche in favore della pena di morte. Pertanto, non ci fu disparità tra il sistema rappresentativo e la democrazia diretta. Negli altri Stati, non c’è ancora la democrazia diretta, ma vi esiste la pena di morte (adesso) per causa dell’appoggio continuo che essa sta ricevendo da parte degli uomini politici eletti. Nello Stato dell’Oregon, la pena di morte venne abolita mediante un’iniziativa cittadina nel 1914, dopodiché venne reintrodotta nel 1920, dall’iniziativa del Parlamento stesso (Heussner, 1999) Tuttavia i plebisciti non hanno a che fare con la democrazia diretta. In una genuina democrazia diretta, il pubblico in genere può sempre utilizzare la raccolta delle firme per obbligare la maggioranza al potere ad indire un referendum e le condizioni vengono regolate dalla legge e sono le stesse per tutti – politici o nomeno . Inoltre, la democrazia implica sempre la libertà di parola, la liberta d’associazione, la libertà di dimostrazione, ecc., sicché ciascuno(a) può condurre una campagna pubblica, il che non è mai il caso sotto le dittature menzionate. Una solida maggioranza al potere non ha bisogno d’indire elezioni popolari : dispone già del mandato per le sue azioni. La Costituzione svizzera non autorizza nessun plebiscito. d) Influenza dei demagoghi e populisti Tale estensione della pretesa discussa qui sopra – ossia la democrazia diretta potrebbe violare diritti della minoranze – si avanza così spesso che la democrazia diretta offrirebbe una larga piattaforma ai populisti e demagoghi (si vede anche l’inserto 6-2). e) Il potere del denaro In realtà, i demagoghi hanno molte più opportunità nel sistema meramente rappresentativo, in cui un piccolo gruppo di politici di alto bordo dettano ciò che accade e in cui cittadini vengono messi in panchina. Ciò conduce quasi sempre al malcontento tra la popolazione. La sola maniera in cui la gente possa esprimere il suo malcontento è la votazione in favore di politici populistici che promettono di rimediare veramente allo « scompiglio » nel paese, se ricevono abbastanza sostegno nelle elezioni. Nella democrazia diretta, i cittadini non hanno un gran bisogno di questi forti « sobillatori », in quanto possono essi stessi proporre le loro soluzioni e farle adottare mediante iniziative cittadine e referendum. In Svizzera, le personalità politiche non giocano quasi nessun ruolo significativo (si veda la citazione all’inizio del capitolo 5°). Una democrazia diretta è assai orientata su temi, questioni e argomenti, mentre un sistema semplicemente rappresentativo è più orientato sulle persone stesse. Secondo quest’argomento, può darsi che, chiunque disponga di molto denaro, possa mettere in opera una campagna mediatica massiccia per controllare il dibattito pubblico e vincere la lotta mediante mezzi tecnici sofisticati del marketing. L’exsindaco d’Amsterdam, Schelto Patjin, lo disse del modo seguente : « Un referendum contro la politica in merito alle droghe…? La malavita è certamente pronta per investire parecchi milioni di fiorini in una politica che lo favorisca. Comprare 7 000 ore di televisione: è questo il modo di comprare un referendum. » (Giornale De Telegraafdel 13 gennaio 1997). Non è contestabile che, in certuni luoghi molto denaro venga speso per la democrazia diretta. Nel 1998, una somma record di 400 milioni di dollari venne spesa per campagne referendarie negli Stati Uniti. Da questa somma, 250 milioni lo furono da un solo Stato : la California (Smith, 2001 ; per più dettagli, si vede il capitolo 5°). Negli USA, ci sono allo stesso tempo campagne condotte molto professionalmente con ricorso intenso alle televisioni locali e raccolta remunerata di firme. É certamente vero che ogni sorta di dittatori – Hitler, Franco, Saddam Hussein, Pinochet, ecc. (così come parecchi governi in Europa che si compiacciono di designarsi come democratici) – hanno utilizzato dei plebisciti. Questi sono elezioni popolari aggiustate dalla maggioranza al potere o dal Capo dello Stato, di norma nell’intenzione d’attribuirsi una legittimità speciale ai loro progetti. In genere, i risultati di un plebiscito non sono obbligatori, le condizioni di validità vengono combinate secondo il caso da quelli che sono al potere (in ogni modo vogliono un risultato valido) e sovente tutte le sorte d’argomenti isolati vengono « zippati » in una sola domanda definita, alla quale gli elettori possono soltanto rispondere con « SÌ » o con « NO » d’insieme. Il plebiscito in Lituania del maggio 2003 sull’accesso all’UE (per il quale il quorum partecipativo fu peraltro abbandonato) e il plebiscito d’ingresso nella NATO che fu tenuto in Ungheria nel novembre Primariamente, anche in questo caso, la democrazia diretta non va paragonata con una situazione ideale, che non esiste o non è attuabile, ma col sistema puramente rappresentativo che esiste attualmente. I gruppi di forte statura finanziaria spendono ugualmente somme enormi nelle campagne elettorali di partiti politici e in quelle dei candidati alla presidenza, inoltre per il lobbying esercitato sui legislatori e altri funzionari. Il parlamentare svizzero Gross (2000), afferma a ragione che « il potere del denaro in una democrazia diretta è essenzialmente minore di quello investito nel sistema meramente rappresentativo. In quest’ultimo, gruppi che di76 spongono di denaro hanno bisogno solo di influire un piccolo numero di politici. In democrazia diretta devono farlo influendo sulla popolazione intera e inoltre, lo devono fare pubblicamente ». che permettendo a ciascuno nella famiglia di fare proposte, questo funziona in genere a vantaggio della maggioranza. La conclusione vale perfino anche se il diritto di fare proposte venga riservato ad alcuni membri della famiglia. (…) A patto che le proposte sopravvivano al filtro dell’elezione maggioritaria, il solo mezzo di cui dispone un’iniziativa per rendere peggiore la situazione per la maggioranza, è di poter convincere gli elettori ad approvare politiche contrarie ai loro interessi. » (Matsusaka, 2004, p.12). Secondariamente, una semplice spesa di grandi somme di denaro non garantisce mai un risultato favorevole. I critici, quale il giornalista David Broder (2000), menzionano di modo aneddotico esempi di campagne in cui gruppi d’interesse economici – talvolta una compagnia, od un gruppo economico particolare – vi abbiano puntato molto denaro. Nonostante questo, bisognerebbe condurre uno studio sistematico e rigoroso su una serie completa d’iniziative cittadine e durante un lungo periodo, per saperne di più. Matsusaka pone qui l’accento su una questione chiave : molte critiche indirizzate alla democrazia diretta mantengono la congettura tacita che cittadini vengano facilmente convinti a votare contro le proprie convinzioni e propri interessi. Infatti, questo non è differente del ragionamento implicito che sta dietro il sistema puramente rappresentativo : cioè, che i politici conoscano meglio ciò che è buono per il popolo stesso. Ecco un’ipotesi pericolosa, in quanto essa apre la porta alla dittatura politica. L’ha fatto Elizabeth Gerber (1999), nelle studiosa di scienze politiche. Lei ha analizzato i cash flows (margine lordo d’autofinanziamento, ndt) di 168 iniziative cittadine in 8 Stati americani. Al contrario di quello che pretendono i critici, gli interessi commerciali potenti appaiono incontrare poco successo nell’ottenere l’approvazione di una legge che vorrebbero imporre mediante il referendum popolare. Tra le iniziative che vennero finanziariamente sostenute principlamente dai cittadini individuali, il 50% fu adottato; tra quelle che, invece, vennero sostenute da gruppi d’interesse socio-economici, ne fu adottato solo il 31%. Gerber individuò parecchi tipi di « gruppi d’interesse particolari », e la speranza di vedere l’adozione d’iniziative cittadine crolla brutalmente appena cresce la percentuale dei fondi apportati dall’industria. Gerber scoprì che i temi promossi da gruppi d’interesse socio-economici erano semplicemente meno popolari e pertanto potevano assai più difficilmente reclutare volontari. I gruppi di cittadini, dispongono di meno denaro, possono però trovare assai facilmente volontari e compensare così il loro handicap. C’è ancora un altro modo d’avvicinarsi al problema dell’effetto delle grosse somme di denaro. Matsusaka paragonò sistematicamente i risultati delle campagne referendarie negli Stati Uniti con quei dei sondaggi d’opinione. Mentre il lancio di una campagna referendaria può necessitare una spesa di milioni di dollari, un sondaggio d’opinione può essere attuato con un paio di migliaia di dollari. In questo caso, non c’è distorsione risultante della messa in opera di « molto denaro ». Matsusaka analizzò un’enorme quantità di dati coprenti la totalità del Novecento. La sua conclusione : « Per ogni politica che sono capace d’esaminare, l’iniziativa la spinge sempre nell’indirizzo verso cui una maggioranza del popolo dice che voglia andare. Inoltre, sono io incapace di scoprire una prova che la maggioranza senta antipatia per i cambiamenti politici provocati dall’iniziativa » (Matsusaka, 2004, pp.XIaXIIa ; la parola in corsivo è sua). Gli studiosi di scienze politiche, Donovan, Bowler, McCuan e Fernandez (1998), scoprirono che tra il 40% delle iniziative cittadine californiane che fu adottato nel periodo dal 1986 al 1996, solo il 14% promanava da « gruppi d’interesse» finanziaramente potenti. « I nostri dati rivelano che queste sono invero iniziative più difficili da commercializzare in California e dunque il denaro investito in esse dai loro promotori in quest’area risulta largamente sprecato ». Un altro studio di Anna Campbell sulle iniziative cittadine nel Colorado prova che durante il periodo che si estese dal 1966 al 1994 (quasi tre decenni) una solo iniziativa cittadina promanata da un « interesse particolare » ebbe un esito favorevole nella cabina elettorale (IRI, 2005). Come abbiamo sottolineato nel capitolo 5°, per dire il vero, i gruppi d’interesse commerciale furono più fortunati nell’indebolimento stesso delle iniziative cittadine lanciate dagli altri che nei loro tentativi di lanciare se stessi contro-iniziative proprie. Tutta l’informazione qui sopra si riferisce agli Stati Uniti. In Europa, appena un’investigazione sia stata condotta sul ruolo del denaro nella democrazia diretta, in quanto il denaro stesso vi gioca un ruolo più debole. In Svizzera, ci sono stati numerosi referendum che hanno richiesto molto denaro, ma il livello raggiunto non vi fu mai quello degli Stati Uniti. L’esperienza mostra sempre di più che due elementi sono importanti : vanno aperte all’ispezione pubblica le fonti dei fondi utilizzati da coloro che conducono la campagna, e tutte le parti vincolate nella questione devono aver l’opportunità sufficiente di dire la loro. L’importanza dell’accessibilità dei conti nei riguardi delle finanze viene illustrata da innumerevoli esempi. E’ tipico quello di un’iniziativa cittadina antinucleare nel Montana (1978), che disponeva solo di 10 000 $ par fare la sua campagna. I suoi oppositori spesero 260 000 $. Malgrado questo, radunando il 65% dei voti favorevoli, l’iniziativa riportò un successo sensazionale. Nel corso della campagna, l’attenzione del pubblico venne continuamente attratta dal fatto che il denaro degli oppositori veniva quasi interamente dall’esterno del Montana e, inoltre, quasi esclusivamente dall’industria nucleare stessa. Un’iniziativa simile contro il monopolio della potenza nucleare ebbe luogo qualche tempo dopo nell’Oregon (1980). Anche qui, il gruppo dei cittadini vinse contro la potenza finanziaria dell’industria, in quanto ci fu un’opportunità sufficiente per farsi ascoltare. Il « principio d’imparzialità » venne correttamente applicato e così, malgrado risorse finanziarie scarse, il gruppo fu capace di attingere abbastanza elettori attraverso radio e televisioni (si veda Cronin, 1989). É sorprendente constatare che orga- Ma quand’anche gli interessi speciali sono i soli gruppi nella posizione di lanciare un’iniziativa cittadina, gli elettori si trovano maggiormente a loro agio che in una situazione senza nessun referendum d’iniziativa cittadina. Matsusaka paragonò, nel 2004, tale situazione a quella di una famiglia in cui il padre (= « il sistema rappresentativo») propone « unilateralmente » quale sorta di pizza si deve mangiare. La madre (= « interessi particolari ») può anche suggerire un’altra pizza, dopodiché ciascuno (dunque i bambini = « gli elettori ») può votare la proposta, tutto per non rendere peggiore la situazione dei bambini, anche se gli stessi non possono fare una scelta personale. L’opzione del padre rimane sempre disponibile, ma se quella della madre risulta migliore, si può darle la preferenza nella votazione. « Così possiamo vedere 77 nizzazioni che dispongono di molto denaro siano raramente entusiaste nei riguardi della democrazia diretta : « I Gruppi finanziari potenti hanno opposto resistenza accanita contro l’introdurre del referendum nel Minnesota, New Jersey e Rhode Island. L’AFL-CIO, gruppi d’affari, Camere di commercio, hanno ostinatamente e ripetutamente lottato contro l’iniziativa cittadina, facendo valere frequentemente, con sufficiente ironia, che un’iniziativa cittadina costasse molto denaro e che solo le organizzazioni ricchissime potessero pertanto farne ricorso. può inoltre essere meglio condotta da personalità di radio e televisioni commerciali. Lo Stato costituzionale non ha più ragione di produrre pubblicità di quante ne abbia, per esempio, per produrre occhiali da sole o cibo per cani. I compito dello Stato costituzionale derivano dallo scopo di realizzare l’uguaglianza davanti alla legge e la protezione delle libertà e dei diritti fondamentali. Da questo punto di vista, è dovere di un servizio pubblico di radio e televisioni di garantire un accesso libero all’informazione e ai prodotti culturali di cui hanno bisogno i cittadini per partecipare pienamente alla vita pubblica. E’ chiaro che il denaro ha sempre un impatto sulla democrazia diretta. Ma questo è per lo meno tanto grande così come nella democrazia rappresentativa, e può venir compensato rendendo equi i fondi delle campagne. Perciò, « progressisti » californiani, come Shultz, argomentano in favore a un non-ritorno al sistema rapprensentativo tradizionale, pur esigendo veramente misure specifiche per restringere il ruolo delle « grosse somme di denaro ». Frey e Bohnet (1994, p.158) scrivono : « Non si può negare che i potenti partiti finanziari e gruppi d’interesse particolari siano meglio capaci avviare un’iniziativa e di farne la propaganda nei confronti di quelli solo male organizzati. Però non ha senso volere mirare a una democrazia totalmente ugualitaria ; ci saranno sempre differenze nelle capacità degli individui e dei gruppi per influire sull’indirizzo di una politica. Rimane sempre vero che gruppi ricchi e ben organizzati sono più potenti. Però la questione che importa non è di sapere se esistono tali differenze, ma di conoscere sotto quali regole e in quali proporzioni vantaggi pesano in favore del più organizzato al piano organizzativo e finanziario. Ciononostante, il lobbying diviene tanto più efficace quanto meno democratico diviene il sistema. Anche senza elezioni, ad esempio in una dittatura, i gruppi d’interesse particolari esercitano un’influenza. Nell’UE tali gruppi sono capaci di esercitare più influenza di quanto fanno sui paesi membri isolati, precisamente perché l’UE è meno democratica (Andersen e Eliassen, 1961). In Svizzera, anche nel caso di una coalizione tra i gruppi d’interesse e l’élite politica, appare che questo fronte unito non riesca sempre ai fini propri, e certamente non quando si trattano di temi importanti. » Questo dovere va indubbiamente considerato nel senso lato della parola: cioè comprende la raccolta completa delle notizie, l’accesso agli eventi culturali importanti, che non vengono offerti alle catene commerciali, e programmi d’analisi. Le missione chiave, però essendo quella di sostenere il processo democratico della formazione d’opinione. Organizzando dibattiti, accuratamente preparati e equilibrati, in cui sostenitori ed oppositori di un’iniziativa ricevono la stessa opportunità d’intervenire, l’impatto dello squilibrio economico sul processo di formazione dell’opinione può esser così radicalmente ridotto. Lo Stato dovrebbe attuare misure per assicurare una cultura ponderata nel formare d’opinione. Il servizio pubblico di radio e televisione può avere una funzione chiave in questo, a patto che rimanga interamente indipendente dalle forze politiche ed economiche. Tal indipendenza deve anche essere visibile. Perciò è assolutamente necessario che la pubblicità sia mantenuta fuori da radio e televisioni pubbliche. 2. Non ci dovrebbe essere intervento diretto negli organi di stampa. Mayer (1989, p.118) menziona la proposta di « Aktion Volksentscheid » (in Achberg, Germania del Sud) di obbligare i mass media (radio televisioni, pubblicazioni d’editori di oltre 100 000 esemplari) a informare sulle iniziative cittadine e fornire opportunità uguali per esprimersi ai sostenitori e oppositori. Questa proposta fece urlare contro la libertà di stampa. I mezzi d’informazione di massa devono anche avere una possibilità non ristretta d’esprimersi nei riguardi delle iniziative. Lo Stato può però utilizzare forti mezzi finanziari per sovvenzionare mezzi pubblici e la propaganda governativa, per finanziare spazi di pubblicità informative nei momenti di referendum ed elezioni. In tale « spazio pubblico d’espressione democratica » sui giornali, il principio d’uguaglianza di diritto nella presa di parola andrebbe legalmente garantito allo stesso tempo per i sostenitori e gli oppositori. Il disegno deve chiaramente mostrare che questo « spazio pubblico d’espressione » è del tipo di unannuncio pubblicitario. Ogni confusione con gli spazi editoriali deve dunque esser evitata. Il problema della manipolazione attraverso campagne mediatiche e monopoli di distribuzione dell’informazione non è un problema della democrazia diretta ; è un problema della democrazia in sé. In questo contesto due realtà scontrano. Da un lato, i mass media sono principalmente privatizzati e, dall’altro, la diffusione d’opinioni attraverso mass media cade sotto il principio della libertà di stampa. Questo restringe la libertà di parola in due sensi. I mass media tendono a difendere i punti di vista dei loro proprietari ; gente ricca o gruppi ricchi possono rivolgersi al pubblico comprando pubblicità e messaggi pubblicitari di televisione. D’altro canto, iniziative cittadine non aventi fondi hanno poca opportunità di fare udire la loro voce. 3. Qualche settimana prima del referendum, ogni elettore dovrebbe ricevere un documento informativo in cui : viene esposta la natura della proposta ; brevemente elencati i rispettivi argomenti dei sostenitori e degli oppositori, brevemente elencate le raccomandazioni di voto dei partiti politici, sindacati, enti professionali, gruppi d’interesse particolari, ecc.. Questo tipo di opuscolo è stato normalizzato da lungo tempo in Svizzera e diversi Stati americani. Attaccare la libertà di stampa non può risolvere tale problema. Pertanto, lo Stato costituzionale dovrebbe dapprima organizzare il proprio forum, la cui funzione principale sarebbe di servire d’arena di discussioni e di creare coscienza. Tale forum potrebbe venir creato attorno a tre considerazioni di base, tra altre : Oltre queste misure positive, misure negative sono ugualmente necessarie. La spesa elettorale va « limitata », non solamente per le elezioni dei rappresentanti ma anche per i referendum. I bilanci dei simpatizzanti e degli avversari vanno resi pubblici. (Nel capitolo quinto, nella sezione dedicata 1. Non c’è assolutamente nessuna ragione per cui la radio pubblica e la televisione pubblica, principalmente finanziate dalle imposte, vengano occupate dalla produzione di « pubblicità ». Questa è essenzialmente un’attività commerciale e 78 alla California, abbiamo mostrato perché i giudici americani dichiarano che la spesa illimitata per un referendum possa cadere sotto il principio della libertà di parola, mentre, al contrario, i giudici accettano realmente d’imporre limitazioni di spese per l’elezione dei rappresentanti a causa del pericolo di corruzione. Si può dire che in Europa questo problema viene considerato da un punto di vista diverso.) I nomi dei finanziatori principali della campagna e l’ammontare dei fondi vanno pubblicati, cosa che si fa già in parecchi Stati americani, tra cui la California. É anche possibile garantire un livello di finanziamento. In effetti, un’iniziativa cittadina che ha raccolto il numero necessario di firme d’appoggio per ottenere un referendum ha comunque provato che abbia toccato il tasto giusto a proposito di un tema socialmente importante. Ciò può esser riconosciuto fornendo un livello di finanziamento di base al comitato organizzatore, di modo che le iniziative dotate di fondi deboli abbiano ugualmente l’opportunità di farsi capire. Questo stesso principio viene già messo in applicazione in molti paesi europei per i partiti politici, cui ricevono un finanziamento governativo fondato sia sul numero degli aderenti loro o quello delle sedi parlamentari. Non c’è nessuna ragione di accordare, da una parte, finanziamenti governativi ai partiti politici, e, d’altra parte, di non accordarne ai comitati di cittadini che hanno raggiunto una soglia di firme obbligatoria imposta per un referendum. Insomma, i due casi mostrano di giovarsi dell’assenso popolare esistente. riflette affatto un programma di un unico partito. Ad esempio, gli Americani sostengono un salario minimo più elevato (il 82%), la registrazione obbligatoria delle armi da fuoco (il 72%) e la restaurazione delle relazioni diplomatiche con Cuba (il 56%). Tali sono le questioni « progressiste ». Ma il trattamento razziale a scuola e negli affari (la sedicente « discriminazione positiva ») viene rigettato dal 85% delle persone interrogate, il 78% vuole una riduzione delle imposte, e il 69% vuole che la preghiera sia legalizzata nelle scuole. Tali sono le opinioni tipicamente conservatrici o liberali. Ci sono anche proposte che possono contare su una maggioranza nel grande pubblico e pochissima simpatia nella classe politica. Gallup scoprì così che il 56% degli Americani era in favore dell’introduzione degli « School vouchers » (buono scolastico, ndt). Questo vuole dire che le famiglie ricevono denaro per finanziare la loro libera scelta scolastica anziché lasciare che governo finanzi direttamente l’istruzione. Una tale libertà, di una portata considerevole in materia d’istruzione, non è davvero molto popolare nell’ambiente dei politici cui considerano l’istruzione quale uno dei loro mezzi più importanti per esercitare un’influenza sociale. Supponiamo che una cittadina o un cittadino appoggi un saggio dei punti di vista della maggioranza americana suddetta. Non c’è nessuna speranza che lei (o lui) trovi un partito che esprima tale assortimento di punti di vista. E anche se tale partito esistesse davvero, rimarrebbe lei (o lui) piuttosto incerta(o) sulla sorte che sarebbe riservata a questo assortimento di punti di vista. Insomma, il partito potrebbe girare nell’opposizione, ovvero – se fa parte realmente del governo – potrebbe ancora abbandonare il suo punto di vista in cambio di un sostegno dato ai partiti dell’altra coalizione, in favore di altre proposte, anche se nel frattempo, una maggioranza di votanti rimarrebbe in favore del punto di vista di cui si tratta. Nella maggioranza delle « democrazie » europee, le voci del popolo somigliano a « ondulazioni alla superficie delle acque ». Possono solo proferire una sola espressione rozza di sostegno a favore di un partito o di un altro – « socialista » o « liberale » o « conservatore ». Non gli viene permesso tuttavia, in quanto esseri razionali e discriminanti, di decidere su ogni questione secondo il proprio valore. In questo contesto è dunque assai assurdo riunire rappresentanti eletti per lamentarsi a proposito dell’assenza di sottigliezza e d’affinamento della democrazia diretta. Questo pacchetto di misure creerebbe uno spazio per l’equa formazione dell’opinione. Il successo od il fallimento della democrazia dipende largamente della qualità della libertà di dibattere. Non è in genere compito dello Stato di fornire attivamente ai cittadini mezzi d’espressione e fori di dibattiti. Questi dovrebbero aver un’intera libertà di stabilire fori particolari e formare le opinioni ; tali fori possono venir liberamente regolati dai fondatori loro. Inoltre, è la stessa cosa che si verifica immediatamente prima della presa decisionale legislativa. In questo contesto, oltre ai fori privati, un foro speciale può essere creato dallo stesso Stato Costituzionale, che sia accessibile alla partecipazione equa dei cittadini, senza riguardo per le loro risorse finanziarie e antecedenti. f ) Assenza di possibilità d’affinamento e di qualificazione dei temi Secondo quest’argomento, si dovrebbero rigettare i referendum in quanto sono troppo « rozzi » o semplicistici, proponendo solo l’opzione del « SÌ » o quella del « NO ». Era il parere, ad esempio, del l’ex-Primo Ministro belga Dehaene (« io, conosco poco problema che potesse risolversi da un sì o da un non ») sulla catena televisiva RTBF del 4 ottobre 1992. Fatto sta che nella maggioranza dei referendum (non tutti si vede qui sotto), c’è solo una scelta tra quella di esser pro o quella di essere contro una proposta. Ma ogni decisione parlamentare viene anche presa così, secondo che i membri del Parlamento siano pro o contro la proposta. Però ciò che i critici vogliono dire qui è che il processo di formazione d’opinione in democrazia diretta cessi molto più rapidamente che nel caso della presa decisionale parlamentare. In linea di massima, è un obiezione realistica. Nei referendum tradizionali, in effetti, gli iniziatori avanzano proposte elaborate, attorno a cui una discussione pubblica viene garantita ; però gli elettori non possono più cambiare la domanda, ma soltanto adottarla o rigettarla. Nel Parlamento, i rappresentanti possono proporre emendamenti e in parecchi casi fino all’ultimo momento della votazione. (Incidentalmente, non in tutti i casi : ad esempio, per i trattati internazionali, compresi quei dell’UE, i Parlamentari non possono più fare nessuno emendamento.) Però dalla prospettiva del popolo, un democrazia fornisce possibilità più vaste di sottigliezza e differenziazioni di quelle del sistema puramente rappresentativo. In quest’ultimo gli elettori possono solo scegliere tra un numero limitato di « pacchetti » completi d’opinioni politiche (di norma non più di dieci) : i programmi dei partiti politici. In pratica, questi non sono in armonia con le scelte che gli elettori farebbero essi stessi se dovessero decidere sulle stesse questioni. Un sondaggio recente di Gallup illustra quanto grave sia questo problema. Questo sondaggio interrogò mille elettori americani su pressappoco una trentina di questioni politiche. Apparve che le preferenze maggioritarie della gente rivelassero un miscuglio di punti di vista « conservatori » e « progressisti », se si può chiamarli così. Tale miscuglio non Per affinare quest’immagine, dobbiamo notare che la fase di formazione d’opinione per un’iniziativa cittadina si verifica sovente prima del lancio pubblico di questa. In parecchi campi, un’iniziativa cittadina ha speranza di riuscire soltanto se 79 viene appoggiata da una larga coalizione di organizzazioni. Ne risulta che la proposta deve sopportare tutti i controlli della discussione e della consultazione tra i partner in seno a tale coalizione. Proposte estreme, che non dispongono dell’appoggio di un largo pubblico, non hanno virtualmente nessuna chance di riuscire. Da un altro canto, la fase formatrice dell’opinione, nella pratica parlamentare corrente, viene spesso seriamente corrotta dalla disciplina di partito rinforzata (ciò che è chiamato in Grand Bretagna con « Whips » [ovvero « fruste », designanti parlamentari incaricati della disciplina in seno al partito, ndt], ad esempio, o dal maneggio politico. In genere, sono i leaders dei partiti politici che dettano il modo in cui il partito o la fazione deve votare e questo è spesso basato su un maneggio rozzo tra i partiti politici. Se i MPs [Membres of the Parliament] volessero votare lealmente, seguendo la loro coscienza, la linea di separazione tra sostenitori e oppositori seguirebbe appena quella che separa i partiti, mentre è precisamente il caso nella maggioranza delle votazioni. effetto democratico. La sua produttività democratica ne sarà considerevolmente migliorata da un lavoro di gruppo con le iniziative cittadine legislative. Il diritto di petizione – talvolta chiamato (in modo falso) iniziativa cittadina –esistente in alcuni paesi europei, è senza senso in quanto tale. I Membri del Parlamento non sono affatto costretti a dare qualsiasi corso alla proposta popolare ; e l’iniziativa cittadina, per quanto la concerne, non ha nessun mezzo per rispondere laddove il Parlamento la rigetti o l’ignori. Ma quale preludio all’iniziativa cittadina, il diritto di petizione ha indubbiamente una grande importanza. Fornisce all’iniziativa una possibilità d’arricchire la sua proposta alla luce del contributo parlamentare e crea dunque un nesso particolare tra iniziativa popolare e Parlamento, di cui ne rinforza la legittimità. Un possibilità aggiuntiva, che fu ugualmente proposta dalla « League of Women Voters » di California, è di prevedere udienze per l’iniziativa cittadina. Nella prima tappa di questa, mentre solo un piccolo numero di firme sono state raccolte, le udienze possono avere luogo, in seno a un quadro statutario specifico, esse possono condurre al miglioramento della proposta. Inoltre è perfettamente possibile immaginare sistemi referendari in cui ci sarebbero invero spazi per adeguamenti interinali e opzioni a scelte molteplici. Le possibilità utilizzate in certuni Stati tedeschi sono lo stabilire uno stretto nesso tra petizione e referendum. Se un gruppo di cittadini vuole lanciare una proposta legislativa, può dapprima presentarla in forma di petizione al Parlamento, mediante un numero di firme relativamente debole, ossia lo 0,2% dell’elettorato. Il corpo rappresentativo deve poi decidere se accettare la proposta dell’iniziativa o rigettarla, dando le proprie ragioni. Se il corpo rappresentativo accetta la proposta, l’iniziativa ha raggiunto il suo scopo. Nel caso contrario essa può ancora prolungarsi con, sia la proposta non modificata, sia una proposta emendata alla luce dei commenti del Parlamento. Si può in seguito procedere al referendum purché essa raggiunga una soglia di firme più elevata, cioè il 2% dell’elettorato. Tale combinazione del diritto di petizione e del referendum assieme viene difesa in California dall’associazione : « American League of Women Voters » e in Germania da « Mehr Demokratie ». In Svizzera, inoltre, ci sono diverse esperienze interessanti che s’inseriscono al livello cantonale, introducendovi votazione a scelte molteplici. Il Cantone di Berna sta giocando un ruolo di pioniere in questo campo : a titolo illustrativo, gli elettori divennero capaci di scegliere tra cinque proposte diverse in vista di riorganizzare il sistema ospedaliero cantonale (Beedham, 1996). Così a Berna, si sperimentano sistemi in cui gli elettori non vengono limitati al « SÌ » o al « NO » su una proposta legislativa, ma possono ugualmente presentare emendamenti. É troppo presto per trarne conclusioni. Ci sono ancore altre possibilità che non sono state provate da nessuna parte. Ad esempio Benjamin Barber (1984) suggerì di permettere una votazione graduale mediante un scala di valori che vanno dal « NO categorico » al « SÌ » categorico. Talvolta, gli oppositori alla democrazia diretta formulano le loro obiezioni in un altro modo. Avanzano l’argomento che venga permesso nei referendum cittadini ad ogni sorta di questioni di giocare un ruolo che abbia nulla a che fare con la proposta referendaria, un fenomeno noto quale « linking » (collegamento o legame, ndt). « Il referendum stesso si presta a diventare uno strumento d’insoddisfazione generale. L’allargamento fallirà, in seguito, per ragioni hanno nulla a che fare con l’allargamento » spiegò l’ex-membro della commissione dell’UE, Frits Bolkenstein, ad esempio, a proposito dell’eventuale referendum olandese sull’allargamento dell’Unione Europea (NRC Handelsblad del 9 settembre 2000). Eppure, il fenomeno di « collegamento » è principalmente all’ordine del giorno in seno al sistema rappresentativo stesso. Nelle elezioni, dopotutto, ogni sorta di temi sono mischiati tra essi, la confusione si risolve solo quando l’elettore appone la sua marca sulla scheda elettorale o preme il pulsante. Ciò a cui Bolkenstein stava mirando non erano referendum iniziati da cittadini, che per adesso non sono del tutto possibili in Olanda, ma il plebiscito eccezionale indicibile dal solo governo (il solo « referendum autorizzato dalla Costituzione olandese). In tale situazione, è assai più probabile che altri temi vengano trascinati nel dibattito pubblico. Dato che i cittadini stessi non possono iniziare referendum, devono solo aspettare la prossima opportunità di decidere direttamente sul soggetto. Quindi l’insoddisfazione avrà il tempo d’accrescersi e dovrà solo afferrare la prossima occasione per escogitare qualcosa. Tuttavia non stiamo argomentando in favore dei plebisciti, ma a una democrazia diretta qualificata in cui cittadini posso- Inoltre, due opzioni aggiuntive possono essere possibili : •Se non approva la proposta cittadina, il Parlamento può formulare un’altra alternativa. Il sistema esiste già al livello nazionale in Svizzera e nel Land della Baviera. Gli elettori hanno poi tre opzioni: sia scegliere l’iniziativa cittadina; sia scegliere la controproposta parlamentare; sia rigettare entrambe, e dunque scegliere lo status quo. •L’iniziativa cittadina può perfino ritirare la propria proposta in favore alla controproposta parlamentare. Un approccio eventualmente utile per l’iniziativa nel caso dove la proposta parlamentare comprenda molti elementi generata da essa, mentre sussistono rischi seri, contemporaneamente per ambedue le proposte, di vedersi entrambe rigettate, lasciando una maggioranza a favore dello status quo. Ciò si verificò, ad esempio, con l’iniziativa popolare svizzera « Fattori e consumatori in favore dell’agricoltura preoccupata dall’ecologia ». Tale iniziativa mirava a fornire sovvenzioni agricole alle fattorie strettamente aderenti agli standard ecologici. Il Parlamento formulò un controproposta, che preservava nonostante i punti essenziali della proposta popolare. Gli iniziatori ritirarono allora la loro proposta e, il 9 giugno 1996, venne approvata la controproposta parlamentare con più del 77% degli elettori. L’integrazione del dritto di petizione e di quello dell’iniziativa cittadina legislativa, eventualmente completata dalle due misure segnalate qui sopra, rende il Parlamento atto a produrre proposte che verranno ben considerate e avranno il migliore 80 no se stessi lanciare iniziative refrendarie ad ogni momento. Il fenomeno di collegamento è sconosciuto nella democrazia diretta svizzera, per il semplice fatto che cittadini possono decidere ad ogni momento a proposito di ogni questione e lanciare ogni iniziativa che vogliono. diritti democratici seri al livello nazionale. Nel 2002, Gallup condusse un enorme sondaggio in cui 36 000 persone da 47 paesi furono interrogate sul loro grado di fiducia nei riguardi di 17 « istituzioni ». Questo piccolo elenco includeva esercito, governo, sistema educativo, mass media, sindacati, FMI, multinazionali, ecc.. Nella classifica, i Parlamenti occupavano il fondo della lista. Il 51% degli interrogati aveva poca o nessuna fiducia nel loro Parlamento e solo il 36% aveva un fiducia moderata o elevata. Parlamenti registrano quindi uno score particolarmente basso nei paesi europei. I due terzi della gente consultata concordava nel dire che il loro paese non fosse governato dalla volontà della maggioranza. Quando gli viene domandato : « Le cose che stanno andando meglio nel mondo ? », nel più dei paesi solo una minoranza dava una risposta affermativa. : solo il 13% dei Tedeschi, il 14% degli Italiani, il 23% degli Olandesi, e il 25% dei Britannici. In altre parole, quanti sono felici di conservare i Parlamenti tali quali sono, si sforzano solo di salvare le apparenze. In realtà, la maggioranza ha perso da lungo tempo ogni fiducia nei Parlamenti sotto il sistema principalmente rappresentativo. In breve, se i politici sono veramente preoccupati dal fenomeno di « linking » (collegamento, legame, ndt) devono solamente permettere più di democrazia diretta. g)Conflitto con la democrazia rappresen tativa Unargomento spesso sostenuto da quanti affermano che l’autorità del Parlamento venga minata dai referendum, e da altri per cui il primato della politica ne venga minacciato. Dapprima notate, per favore, il sofismo : la democrazia viene collocata allo stesso livello della « democrazia rappresentativa », come se la rappresentazione fosse l’essenza, la qualità stessa della democrazia. Il referendum minaccerebbe dunque la democrazia. In realtà, non è affatto la rappresentazione, ma piuttosto la sovranità del popolo da essere l’essenza stessa della democrazia. Non sono solo i dittatori, quali Hitler e Stalin, ad esserci dipinti come rappresentanti del proprio popolo, ma anche diversi re e despoti assoluti attraverso tutta la storia. Abbiamo provato nel capitolo secondo che un sistema puramente rappresentativo incarna solo un’interpretazione corretta della democrazia in una unica circostanza specifica – quanto cittadini sono d’accordo con esso. Però le indagini indicano uniformemente che questo non è stato più il caso dagli anni ‘70 : la maggioranza degli studi sostengono invariabilmente l’introduzione della presa decisionale mediante la democrazia diretta. Alcuni oppositori ai referendum formulano questo in un altro modo : ossia il primato della politica si trova scalzato dai referendum. La loro ipotesi tacita è apparentemente che la « politica » sia la stessa cosa del « Parlamento e Governo ». Però, anche nel caso ideale, la politica è un foro in cui tutti i cittadini partecipano. Considerata in questa luce, la democrazia diretta non attenterà mai all’importanza della politica, ma le darà invero un impulso potente. La democrazia diretta può in effetti condurre a un foro fiorente e creativo. Incidentalmente, l’impatto diretto del referendum d’iniziativa cittadina non va sopravvalutato. Nel 1996, l’anno dell’apice della democrazia diretta negli USA, un totale di 102 referendum iniziati dai cittadini vennero votati attraverso gli Stati americani, mentre lo stesso anno, i legislatori adottarono, per quanto concerne loro, un totale di 17 000 leggi in tutti gli Stati (Waters, 2002, p.6). La metà degli Stati americani se ne rallegrano piuttosto, ed essi hanno frequentemente fatto ricorso ai diritti di democrazia diretta, possiamo dunque ammettere che in uno di quegli Stati, anche se esso sia dotato di un livello relativamente alto di democrazia diretta, c’è ancora il 99,9% delle leggi adottate da politici eletti. In questo contesto è molto assurdo parlare di « perturbazione » nel sistema legislativo portata dalla democrazia diretta. Ciò a cui i critici stanno riferendosi è l’effetto indiretto dei referendum: cioè i politici non possono più imporre una legislazione per cui nessuno appoggio esiste tra i cittadini. Devono prendere in conto le opinioni attuali tra diversi gruppi della popolazione e avviare in anticipo un sostegno costruttivo per le loro proposte. Ma chi potrebbe obiettare qualcosa su questo? In altre parole, l’argomento per cui l’autorità parlamentare venga minata dai referendum non è affatto significativo. Un Parlamento non è un obiettivo di per sé – c’è un Parlamento per la democrazia ; ma non c’è una democrazia per il Parlamento. Pertanto non si può domandare che la democrazia sia limitata rispetto al Parlamento. In un certo senso, però, se la democrazia diretta fosse introdotta, essa restaurerebbe in realtà il valore del Parlamento, in quanto i cittadini sarebbero implicitamente invitati a provare la loro fiducia in ogni decisione parlamentare. Se essi non lanciano iniziative dopo che il Parlamento ha passato una legge, ciò può sempre esser interpretato quale mozione di fiducia implicita. In un sistema puramente rappresentativo, il popolo non può parlare contro il Parlamento : di conseguenza non può nemmeno esprimere la sua fiducia nel Parlamento, neppure implicitamente. Può tutt’al più stare a casa il giorno delle elezioni ; ma tale non-partecipare può esser interpretato in modo assai diverso. h)Sovraccarico e stanchezza per votare Secondo quest’argomento i referendum esigono troppo dell’elettore. Gli si domanda troppo e diventano meno inclini a andare a votare. Ne risulta che smarriscono rappresentatività, in quanto di solito è la gente più debole economicamente a ritirarsi prima. Se esisterà al giorno d’oggi la possibilità per un’iniziativa cittadina per essere lanciata, il Parlamento sarà sotto pressione per legiferare in accordo con la volontà del popolo. L’opportunità offerta al Parlamento di contribuire all’affinamento delle proposte referendarie, compreso il diritto parlamentare di presentare una proposta alternativa, è già stata menzionata sopra. In Svizzera, la partecipazione alle elezioni parlamentari si mantiene all’incirca del 40% (quella ai referendum all’incirca del 50%) ; è molto più basso della partecipazione tedesca alle elezioni parlamentari (il 80%), ovvero di quella francese alle elezioni presidenziali (il 70 al 80%) o negli USA (dal 50 al 60%). Quanti pretendono che i referendum nuocciano alla credibilità pubblica del Parlamento, devono comprendere che già da tempo il pubblico ha perso ogni fiducia nel Parlamento – e questo molto prima che il più dei paesi abbiano introdotto 81 Un debole livello di partecipazione viene spesso attribuito alla stanchezza referendaria. Se esistesse veramente tale connessione, potrebbe esser risoluta aumentando la soglia delle firme, cui in Svizzera è molto bassa (100 000 sia il 2% dell’elettorato). Questo dovrebbe rendere più difficile il lancio d’iniziative cittadine da parte dai piccoli gruppi che non richiedono più la collaborazione del popolo. livello d’istruzione, l’appartenenza ad una classe di reddito o ad una classe sociale, hanno rivelato di avere solo un effetto minore sulla partecipazione ai referendum (nel caso della partecipazione referendaria svizzera l’effetto si dimostra nullo). Le donne appaiono votare meno degli uomini (questo vale piuttosto per le donne anziane e non per le giovani). La partecipazione sembra di aumentare con l’età, fino a un certo punto, dopodiché tende a diminuire, però non in modo uniforme. Quelli che confessavano di essere « perfettamente avvisati » della questione referendaria, partecipavano quattro volte più quanto la gente che non « era informata » sulla questione. La disparità era solo leggermente più debole quando il livello d’interesse nella politica era la variabile principale. Quando entrambe le variabili erano combinate, ad esempio nel caso della gente « perfettamente conscia » del soggetto nel referendum ed riconoscente di essere « molto interessata » dalla politica, il livello partecipativo era allora otto volte più alto che per la gente che non « era al corrente » del soggetto e dichiarava neanche di « non essere interessata » alla politica (Kriesi, 2005, pp.118-121). In sintesi, la ragione più importante per non partecipare è infatti che i cittadini credono di non avere una conoscenza sufficiente della questione posta. Si deve essere molto prudenti in questo genere di conclusioni, però. In una democrazia puramente rappresentativa, i cittadini non hanno virtualmente nessuna opportunità d’influire nella politica in un modo qualunque. Hanno solo l’occasione di votare un volta ogni quattro o cinque anni, un’occasione che molti afferrano poi con zelo. In un sistema puramente rappresentativo, insomma, c’è un’assenza frustrante d’opportunità per usare la sua parola. In un sistema di democrazia diretta correttamente sviluppato, l’offerta e la domanda delle possibilità nell’esprimere opinioni sono assai più equilibrate e la gente sente che dispone di più libertà per scegliere e partecipare alla presa decisionale democratica o per delegare altre persone per farlo. Non conosciamo nessuno studio in cui una larga proporzione della gente consultata risponda in favore a meno di referendum. Al contrario, la stragrande maggioranza dei cittadini che non votano mai, rimangono ancora piuttosto dei sostenitori della democrazia diretta (Möckli, 1994, p.184). i) La redazione della questione può essere manipolata Secondo tal obiezione, la questione posta nel referendum può venir formulata in un modo ingannevole. Ne risulta che gli elettori possano votare contro le loro vere convinzioni. Il Professore Jan Gijsels (giornale belga, De Standaard, del 15 novembre 1992) la formulò così: « Non c’è referendum che non sia oggetto al litigio a causa del modo in cui la questione viene posta ». Livelli di partecipazione elevati alle elezioni e ai referendum dovrebbero dunque essere incoraggiati, naturalmente, ma una partecipazione referendaria del 10% o del 20% non è per forza un problema. Il principio del mandato gioca allora lo stesso ruolo essenziale nella presa decisionale in democrazia diretta di quello nelle elezioni parlamentari (si vede il capitolo 2°). Anche se solo il 10% degli elettori vota infatti in un plebiscito, la decisione che ne risulta è molto più sostenuta che nel caso di una votazione parlamentare, in cui, c’è appena 0,005% dell’elettorato a prendere la decisione! Il 10% dei votanti, in una votazione popolare diretta, dispone di un mandato tanto buono quanto quello dei parlamentari, e col vantaggio che la gente è molto più numerosa. Da un altro canto, il mandato concesso dai non-votanti ai votanti nel referendum è molto più ristretto che nel caso di un’elezione, in quanto c’è solo una decisione specifica all’ordine del giorno e non una serie di decisioni potenzialmente infinite da prendere su tutti i tipi di questioni possibili. Che il concetto del mandato non sia teoria pura e che venga riconosciuto intuitivamente dalla gente in genere, questo risulta chiaramente dal fatto appena menzionato, cioè un’ampia maggioranza di quelli che non votano mai, rimangono ciononostante sostenitori della democrazia diretta. In una democrazia genuina, ogni cittadina(o) deve avere la libertà per ogni elezione, di determinare se lei o lui voglia, sia affidare un mandato ai suoi connazionali, sia andare a votare egli (ella) stessa(o). É perfettamente concepibile che una(o) cittadina(o) consideri che lei o lui abbia una troppo debole competenza nella presa decisionale sociale e dunque, lei o lui affidi pertanto un mandato a un altra(o) od agli altri per questo. É essenziale che lei o lui, e nessun altro, giudichi della propria competenza. L’assenza d’elezioni (dittatura aperta) e un sistema d’elezioni obbligatorie, ambedue sottraggono agli individui la libertà di giudicare pienamente per se stessi. Per dire il vero la redazione della questione è più spesso un problema nei plebisciti e non lo è in democrazia diretta. Questi sono votazioni popolari non obbligatorie indette e formulate da politici al potere e ciò facendo, includono spesso parecchie questioni in una sola, e manipolano anche altre condizioni (si veda il punto « D » per altre informazioni ed esempi). In una democrazia diretta genuina, i politici non possono modificare senza discernimento la redazione della domanda o regole a loro piacere. La legge stipula le condizioni della democrazia diretta e queste sono le stesse per tutti i cittadini, che siano politici o non. Inoltre, è difficile conciliare la democrazia diretta con i plebisciti indetti dalla maggioranza al potere; da una parte, tali plebisciti conducono sempre agli abusi politici e, dall’altra, sono ugualmente inutili in quanto Parlamento e governo dispongono già di un solido mandato per agire. Nella democrazia svizzera, i plebisciti indetti dalla maggioranza al potere non vengono autorizzati. La legge definisce le circostanze sotto cui un referendum viene indetto e fissa le regole obbligatorie per questo. Ogni modificazione della Costituzione è sottoposta al referendum obbligatorio. C’è inoltre il referendum opzionale o facoltativo, mediante cui cittadini possono contestare una legge già promulgata e l’iniziativa cittadina può portare al referendum, tutte le condizioni venendo riunite. La questione referendaria va sempre formulata di un modo chiaro e obiettivo – tanto la proposta adottata dal Parlamento accompagnata dalla semplice domanda a proposito di cui si esprimerà pro o contro (in questo contesto, una scelta standardizzata e neutrale delle parole viene sempre utilizzata in Svizzera a in California), quanto l’iniziativa cittadina (sostenuta dal numero richie- Lo studioso di scienze politiche, Kriesi evidenziò la conoscenza della questione su cui si vota, assieme e interesse generale per la politica, sono di gran lunga i fattori più importanti e determinanti la partecipazione referendaria in Svizzera. Il 82 j) conservatorismo o attivisti entusiasti sto di firme). Con l’iniziativa cittadina, è semplice stipulare legalmente (come si fa in Svizzera) che l’iniziativa porti su una sola questione. Dato che in Svizzera il titolo dell’iniziativa cittadina è già una parte della questione referendaria, la « Bundeskanzlei » (Cancelleria federale, ndt) può rigettare ogni iniziativa cittadina laddove essa comprenda un titolo palesemente ingannevole. Secondo certuni, il sistema referendario è la garanzia che ogni innovazione essenziale rimarrà bloccata, perché la gente, di norma, preferisce preservare lo status quo. Altri pretendono esattamente il contrario, ossia che degli attivisti convinti possano utilizzare il referendum per impossessarsi della democrazia, siccome la « maggioranza silenziosa » resta a casa. Esempi di conflitto a proposito di quegli aspetti sono rarissimi. Non è solamente una questione di regolamenti, ma anche di cultura e maturità democratiche. Siccome referendum e iniziative fanno parte integrante dell’ordine del giorno negli Stati come la Svizzera, la California, l’Oregon, la Baviera, ecc., rappresentano una faccenda tanto consueta per politici e servizi amministrativi – che hanno preso l’abitudine di trattarli in modo trasparente, leale e schietto per il cittadino – quanto elezioni ordinarie sono di solito faccende senza macchie nei paesi europei che ne hanno lunga esperienza. É più sovente inimmaginabile che un partito al potere, ad esempio nei Paesi Bassi, utilizzi la sua posizione per manipolare le elezioni distorcendo le regole. In modo simile, sarà impensabile un giorno che partiti politici olandesi abusino del processo di presa decisionale in democrazia diretta per ottenere quello che vogliono. Però ciò che si vorrebbe definire esattamente col termine « innovazione » e quali punti di vista possano essere precisamente « etichettati » « di sinistra » o « di destra », tutto ciò sarebbe per l’appunto un giudizio politico che andrebbe lasciato ai tecnocrati. I Verdi, ad esempio in Germania e in Olanda, sono a favore dell’integrazione europea d’ampia portata, basata su ciò che essi stessi considerano quali « argomenti progressisti », mentre i partiti amici in Scandinavia e in Gran Bretagna, per esattamente le stesse ragioni « progressiste », sono, a dire il vero molto « euro-scettici ». Se i partiti progressisti tentano di bloccare la riduzione dell’assicurazione sociale, che viene considerata da loro quale « modernizzazione necessaria » dai conservatori al potere – questa è una risposta « progressista » o « conservatrice »? Se ciononostante esaminiamo il comportamento dei politici, è anche vero, naturalmente, che in qualche caso, resistono ostinatamente alla modernizzazione. La democrazia diretta stessa ne fornisce l’esempio come lo è anche l’introduzione dei buoni scolastici che libera il sistema educativo dagli artigli dello Stato. É facile argomentare che siano delle modernizzazioni senza cui una società possa solo funzionare con difficoltà nel ventunesimo secolo. Una stragrande maggioranza della popolazione è stata conquistata da queste due misure, ma i politici le bloccano perché, nella fattispecie, sono loro stessi da avere un interesse per mantenere lo status quo. In altri confronti, i politici sono, a dire il vero « più progressisti », ma questo può avere ovviamente risultati negativi. Ad esempio, abbiamo visto nel punto « B », qui sopra, che gli uomini politici vogliono un settore pubblico più ampio (e dunque fuori del loro interesse personale, perché questo accresce il loro potere ) di quanto vogliano i cittadini. Ne risulta che sistemi puramente rappresentativi portano a più grandi deficit pubblici di quanto non facciano i sistemi di democrazia diretta. Delle difficoltà possono sorgere a causa della formulazione della domanda, quando la gente deve votare « SÌ », ad esempio, per esprimere che essa sia contro un tema od il contrario. Ciò successe nel primo referendum italiano: nel 1974, gli oppositori al divorzio dovevano votare « SÌ » (Budge, 1996). Il referendum Belfort in Gand (Belgio, ndt) (nel 1997) ne è un altro esempio: il consiglio municipale aveva redatto un quesito in modo tale che gli oppositori al progetto per parcheggio nel centro urbano dovessero votare « SÌ ». Gli iniziatori del referendum protestarono contro questo modo di fare. In fin dei conti, essi temerono di avere una partecipazione non giustificata: gli elettori non seppero veramente più in che modo votare. Sembra non esserci alcun esempio convincente in cui l’opinione della maggioranza non avesse prevalso in quanto gli elettori non avrebbero capito la questione. Insomma – a rischio forse di rendere il nostro racconto monotono – dovremmo qui reiterare la constatazione nostra una volta di più, ossia che gli oppositori della democrazia diretta utilizzino criteri interamente differenti per la presa di decisione rappresentativa e quella diretta. Nella presa decisionale rappresentativa, gli elettori vengono di norma totalmente abbandonati nel buio in modo frustrante, per quanto concerne invero i coinvolgimenti della loro votazione. Non conoscono l’ordine del giorno nascosto dei partiti; non sanno quale coalizione governativa o quale programma governativo finiranno con l’emergere. I manifesti politici dei partiti non ne dicono granché. Ad esempio, non fissano quali punti saranno rapidamente lasciati durante i negoziati in vista di formare la coalizione governativa. I trattati internazionali, le imposte, come l’imposta sui carburanti, l’abolizione della coscrizione, del servizio militare, ecc.. Esempi (olandesi) sono semplicemente imposti ai cittadini dopo le elezioni: dettagliati, spesso complessi, rimangono del tutto invisibili nella « formulazione rappresentativa della domanda » – il manifesto elettorale. Nel caso della presa decisionale in democrazia diretta, l’immagine d’insieme è più chiara: la gente sa quasi sempre assai precisamente ciò per cui vota pro o contro. Malgrado questo, gli oppositori al referendum popolare continuano a pretendere disonestamente che abbiano a che fare con la « formulazione ambigua della questione » nella presa decisionale in democrazia diretta. Una democrazia integrata dispone degli strumenti due per frenare e rallentare i politici che « viaggiano troppo velocemente » avanti al pubblico (referendum opzionale e referendum obbligatorio), e degli strumenti che il pubblico stesso può usare per premere l’acceleratore nel caso in cui politici eletti non vogliano cambiare marcia abbastanza rapidamente (l’iniziativa cittadina). All’occasione, sono gli oppositori al referendum – quando, ad esempio, vengono costretti ad entrare in un governo di coalizione – che permettono d’introdurre un po’ di democrazia diretta mediante una forma minima di referendum (più volentieri quello dell’innocente opzionale), con cui il cittadino possa dire « NO » a leggi già adottate dagli uomini politici. Un’occhiata data sulla pratica referendaria in Svizzera e negli Stati americani rivela che i gruppi conservatori e progressisti incontrano successi diversi nei referendum. Durante parecchi anni, in Svizzera, l’iniziativa cittadina fu principalmente utilizzata da gruppi progressisti, mentre il referendum opzionale rimase lo strumento di predilezione dei conservatori. Però tale distinzione andò attenuandosi negli ultimi anni. I gruppi progressisti hanno conquistato maggioranze negli ultimi anni in iniziative che includevano la fornitura d’eroina 83 ai tossicomani, la protezione degli impegnati dall’economia per ventiquattr’ore, l’adesione all’ONU, il sostegno all’agricoltura ecologicamente pulita, il provvedimento legislativo del 1994 prevedente il trasporto transalpino di merci per treno, con la sua attuazione nel 2004, l’inclusione di un articolo anti-razzista nella Costituzione svizzera, un aumento della tassa petrolifera, la qualificazione del rapimento in seno al matrimonio quale crimine punibile, restrizioni sulle modifiche genetiche degli organismi, la creazione di un servizio civile quale alternativa al servizio militare obbligatorio, una moratoria sulla costruzione di centrali nucleari, parecchie tasse sull’uso delle macchine e camion, e l’abolizione della pena di morte, compresa in tempo di guerra. Dal lato dei conservatori, questi ottennero l’approvazione delle misure seguenti: condanna all’ergastolo per i criminali sessuali considerati dagli esperti quali pericolosi e incurabili, parecchi regolamenti per ridurre deficit di bilancio, l’arresto di parecchi finanziamenti governativi così come il rigetto di alcune proposte progressiste venienti dal governo o dalle iniziative cittadine (Butler e Ranny, 1994; Kaufmann et al., 2005). diretta. La sola ragione per cui la Costituzione europea fu provvisoriamente lasciata dormire, fu il risultato dei referendum indetti in Francia e Olanda. k)Ci fossero migliori strumenti del referendum... La prima risposta dei politici quando vengono messi a confronto con la rivendicazione di democrazia diretta, è semplicemente d’ignorarla. Se la rivendicazione prosegue e si gonfia, arriva un momento in cui continuare a ignorarla non è più efficace. politici, assieme a quelli che s’identificano con essi, vengono spesso a proporre misure alternative miranti, da una parte, a provare che non siano sordi alla domanda pubblica per più democrazia, da un’altra parte, invece, ad essere non tanto minacciosi per quelli che sono al potere. Tali misure sono poi presentate quali tentativo per trovare strumenti operanti « meglio » dei referendum. Fu il caso in Belgio, ad esempio, dove la democrazia diretta fu subito spostata a capo dell’agenda politica sotto la pressione delle dimostrazioni massicce (le « marches blanches », ossia « marce bianche ») nella seconda metà degli anni 90, ma dove anche i politici rivennero continuamente a loro antiche posizioni e rigettarono l’appoggio anteriore loro ai referendum d’iniziativa cittadina. Durante gli ultimi decenni, dei gruppi « progressisti » hanno adoperato con successo il ricorso referendario per proposte che includevano una migliore legislazione ambientale, l’uso legale della marijuana a fini medici, un aumento delle tasse sulle sigarette, la proibizione di diverse sostanze tossiche, parecchie misure in favore della protezione animale, un quadro minimo per bilanci scolastici, e condizioni necessarie alla libertà d’informazione a beneficio di consumatori ed elettori. I « conservatori », per quanto li concerne, ottennero maggioranze per ridurre le imposte sul reddito e le tasse immobiliari, condanne più severe per i recidivi, la fine dell’istruzione bilingue, quella della « discriminazione positiva », la chiusura di alcuni servizi governativi per gli immigrati illegali, il lavoro remunerato concesso ai detenuti e l’introduzione del referendum obbligatorio in caso d’aumento delle imposte e tariffe proposte al livello locale (Allsawang, 2000). Hajnal e Louch (2001, p.VII) conclusero che negli anni ‘80, i sostenitori dei Democratici e Repubblicani ebbero ambedue esattamente la stessa probabilità (il 62%) di ritrovarsi del lato vincente della votazione popolare; negli anni ‘90, i sostenitori dei Repubblicani si ritrovarono del lato vincente solo il 2% più frequentemente dei quelli dei Democratici. Così si mantengono gli uni e gli altri in equilibrio. In questo contesto, il giornalista Filippe Rogiers cita gli argomenti del politico belga Dirck Holemans per la democrazia « dialogica » al posto di « diretta »: « La democrazia dialogica », dice Holemans, « differisce fondamentalmente dalla democrazia diretta. Con quest’ultima è il modello del mercato che entra nella politica. Tale modello parte dall’idea che se voi conducete un’indagine, ottenete ugualmente una prima idea dello stato dei problemi presenti attualmente nella società – mentre la democrazia significa veramente che voi forniate al popolo un’opportunità d’interrogare la propria visione ed, eventualmente, di modificarla. É solo in questo modo che creerete effettivamente un appoggio sociale per i cambiamenti necessari. » La « democrazia dialogica » non è la democrazia diretta, non consiste nell’annotare e addizionare opinioni in termine di « SÌ » e di « NO ». Non è neanche una maniera vergognosa di dare legittimità alla democrazia rappresentativa. É soltanto un termine molto prosaico per la democrazia. Un esempio classico è la formula delle giurie cittadine. In una città od un municipio, un gruppo rappresentativo di cittadini viene radunato attorno a un tema specifico. Vengono date loro tutte le opportunità e risorse possibili per formulare un giudizio pertinente del più considerato. Possono concedere un’audizione a testimoni ed esperti diversi. Alla fine della loro sessione, rilasciano un giudizio e propongono una soluzione. Non si deve avere consenso ; non ci vuole unanimità. Anche i cittadini che hanno dovuto riconoscere i propri torti, capiscono per lo meno la ragione della decisione finale. Ci sono stati un dialogo e un confronto, le opinioni se ne sono cambiate. » (Knack, il 19 febbraio 2000). La pretesa opposta, cioè che gli attivisti convinti potessero recuperare la democrazia diretta per fare passare le loro posizioni estremiste, ha nello stesso modo pochissima sostanza. Le pratiche svizzera e americana evidenziano chiaramente che gli elettori sono estremamente prudenti. Se gli attivisti volessero fare adottare una proposta, dovrebbero adoperare l’iniziativa cittadina. Vedemmo già nel capitolo quinto che in Svizzera, solo il 10% delle iniziative cittadine viene approvato dagli elettori; in California la cifra ammonta al 40%, ma poiché molte iniziative vengono annullate dopo dai Tribunali, il valore finale si approssima al 10%. Quando non sono sicuri, gli elettori votano contro l’iniziativa cittadina. La tattica di tale linea di ragionamento contro la democrazia diretta è chiarissima. Dapprima viene presentata la democrazia diretta mediante il referendum d’iniziativa cittadina quale ricerca di mercato, libera da ogni discussione sociale e da formazione d’opinione. Palesemente, nessuno può trovare ciò veramente attraente. Poi l’alternativa di una democrazia « dialogica » viene presentata, in cui cittadini ottengono effettivamente e veramente le informazioni, discutono le cose tra essi e cambiano eventualmente d’opinione. La confusione dei concetti prodotta qui è quella che esiste tra due paia di posizioni opposte : « reale formazione d’opinione » contro In certuni confronti, i piccoli gruppi appassionati, per dire il vero, hanno più grande fortune nei sistemi strettamente rappresentativi. Insomma, in questi sistemi occorrerebbe loro solo persuadere un piccolo numero di politici. I sovranazionalisti europei sono un esempio tipico di piccolo gruppo d’attivisti che hanno avuto la più grande influenza nello sviluppo non-democratico dell’UE, mediante il sistema rappresentativo (ciò che viene provato dal disegno di Costituzione europea), il ché non l’avessero mai avuta in democrazia 84 « nessuna formazione d’opinione », da una parte e, dall’altra « sovranità popolare » contro « nessuna sovranità popolare ». Holemans e Rogiers rigettano dunque il referendum d’iniziativa cittadina in base al primo paio, facendo valere che la formazione d’opinione sia essenziale, nonché incompatibile col referendum, e poi promuovono se stessi un’iniziativa che garantisca molto più una sedicente formazione d’opinione, ma, purtroppo, loro rinunciano alla sovranità popolare. Vale la pena d’osservare incidentalmente – e specificamente in rapporto alla proposizione di Rogiers e Holemans – che Van Praag, cui condusse investigazioni sul livello e la qualità del dibattito pubblico per parecchi referendum municipali nei Paesi Bassi, fa correttamente rimarcare che il processo formativo d’opinione, per i cittadini che hanno fatto ricorso all’indagine cittadina, vada assai meno in profondità che non nel caso dei referendum. « Inoltre è molto interessante che si domandi ai cittadini la loro opinione su questioni per cui, di solito, non vengono raramente presi in considerazione, se addirittura affatto. Esiste pertanto un pericolo che la registrazione delle viste cittadine unicamente mediante un’indagine rappresenti piuttosto un istantanea, che può agevolmente cambiare di nuovo sotto l’influsso di argomenti nuovi. Ciò vale anche, sebbene in una misura meno estesa, per i questionari a scelta multipla, in cui cittadini vengono incoraggiati a pensare su idee politiche alternative. Tale obiezione è assai meno valida per un risultato referendario. Il beneficio del dibattito pubblico, causato dal referendum, sta nel fatto che i cittadini vengono messi a confronto con parecchi argomenti sul lungo periodo. La formazione d’opinione tra i cittadini si è meglio cristallizzata in genere dopo parecchie settimane, e essa cambierebbe quindi meno sotto l’influsso d’informazioni nuove ». Eppure è assurdo (e gratuito, ndt) pretendere che un referendum d’iniziativa cittadina non possa venir accoppiato a un processo intenso di formazione sociale d’opinione. Ma più violentemente ancora, c’è un caso a priori dove il dibattito sociale sarà assai più intenso con i referendum obbligatori, in quanto nel primo caso molto più cittadini partecipano nella discussione, ne sono più motivati perché sanno che prenderanno finalmente la decisione da se stessi. Né Holemans, né Rogiers fanno un qualsiasi sforzo per rinforzare la loro premessa. Affermano semplicemente l’incompatibilità del referendum popolare con la formazione d’opinione come qualcosa di ovvio e sperano che il lettore ne verrà ciecamente convinto. Poi le « alternative » (quali le giurie cittadine) vengono presentate come metodi funzionali che garantiscano « realmente » la formazione d’opinione, sebbene l’indebolimento della sovranità, collegato a « quest’alternativa », riceva tanta poca attenzione quanto sia possibile e venga furtivamente presentato come accettabile. Rogiers lascia perfino intendere che cittadini non si radunino d’iniziativa propria, ma che venga « riunito un gruppo rappresentativo ». Ma da chi ? Rogiers non lo precisa, dato che la risposta è, naturalmente: dai politici eletti. I cittadini non si costituiscono dunque in un corpo sovrano, non : « … vengono date loro tutte le opportunità e le risorse possibili per formare un’opinione, un giudizio pertinente del più considerato ». Vengono date loro? Chi gliele dà ? Di nuovo, la risposta esplicita si fa sempre aspettare. E alla fine dei conti, i cittadini non prendono una decisione sovrana, no, essi « … propongono una soluzione ». A chi ? E chi adotta o rigetta tale soluzione ? La risposta implicita è una volta di più : i politici ! Il referendum risulta dunque l’innovazione amministrativa la più popolare tra la gente. Nel 1998, il Dutch Social and Cultural Planing Board (1999, p.37) [Ufficio di pianificazione sociale e culturale olandese, ndt] fece un sondaggio sul sostegno popolare incontrato in Olanda in favore a cinque innovazioni proposte. Il referendum, con un sostegno del 80% vinse, seguito di poco dall’elezione del sindaco (il 71%), poi il sistema di coscrizione elettorale per le elezioni parlamentari (il 55%), quella del Primo Ministro (il 54%) e di fare una repubblica in Olanda (il 10%). L’investigazione dette quasi gli medesimi risultati di quei dati ottenuti da un’investigazione precedente nel 1972 con le stesse domande, in cui, a quest’epoca, il referendum arrivava anche in testa col 62% di sostegno. l) Pericolo per il paese Lo studioso di scienze politiche Van Praag (2000) paragonò sistematicamente il referendum opzionale con gli altri due strumenti di « democrazia partecipativa » popolari tra i politici olandesi : l’indagine cittadina (anche chiamata « foro dei cittadini » o « controllo dai cittadini » e la presa decisionale interattiva (anche chiamata « processo scompartito ». Nell’indagine cittadina – sotto le istruzioni di funzionari statali o politici – un gruppo fisso e rappresentativo di cittadini è regolarmente interrogato a proposito di tutte le sorte di temi. Nella presa decisionale interattiva, si domanda alla gente di assistere a riunioni in cui cittadini, nella compagnia di funzionari statali e/o politici, tracciano disegni in vista di risolvere un problema specifico individuato dall’amministrazione. L’argomento viene spesso menzionato in Belgio, tra altri luoghi. Anche qui bisogna dapprima osservare che lo Stato esiste per il popolo e il popolo non esiste per lo Stato. Se uno Stato può continuare a vivere solo cancellando lo sviluppo della democrazia, allora questo Stato non ha più nessun diritto d’esistere (nella sua forma presente) in quanto non è più ciò che il popolo vuole essere. La « controversia reale » belga – il dibattito attorno al ritorno d’esilio del Re Leopoldo dopo la seconda Guerra mondiale – non può in nessuna circostanza venire menzionata quale argomento contro la democrazia diretta. Si deve fare rigorosa distinzione tra referendum obbligatori d’iniziativa cittadina e quelli che si chiamano « plebisciti » o « referendum popolari ». Quegli ultimi vengono indetti da coloro che stanno al potere per creare una legittimità particolare a imporre disegni propri (si vede il punto « C » per altri esempi ed informazioni). Van Praag fa osservare che l’indagine cittadina e il processo della presa decisionale interattiva sono indette all’iniziativa delle autorità, mentre il referendum lo è dai cittadini: che c’è un dibattito pubblico assai meno intenso con l’indagine cittadina e la presa decisionale interattiva, e che assai meno cittadini vi sono coinvolti che nel referendum ; peraltro, la posizione dei funzionari statali e politici è molto più dominante con l’indagine cittadina e la presa decisionale interattiva che nel caso del referendum. Van Praag concluse poi che per queste ragioni, il referendum fosse uno strumento che serve i cittadini mentre l’indagine cittadina e la presa decisionale, invece, sono strumenti al servizio di quelli che fanno la politica ufficiale. Nel caso preciso della controversia belga, il plebiscito fu infatti l’ultimo ricorso dell’élite politica per schivare il vicolo cieco risultante in seno al sistema rappresentativo belga. Dopo che tale sistema si fu impantanato completamente, se ne invocò effettivamente al deus ex machina del plebiscito. 85 Sotto ogni aspetto, il plebiscito del 1950 in Belgio fu una caricatura diabolica della presa decisionale democratica. In primo luogo, il risultato della votazione non era obbligatorio (e in fin dei conti fu una minoranza che trovò l’esito suo sulla questione). Secondariamente, tale plebiscito non originò dall’iniziativa popolare, anzi da quella delle classe politica, dopo che questa ebbe permesso alla situazione di divenire del tutto inestricabile. In terzo luogo, tutti i partiti politici e il Re stesso, adoperarono diversi criteri per interpretarne l’esito. « Durante la formazione del primo governo Eyskens, nell’estate 1949, Socialisti esigerono il 66% di « SÌ », ma Liberali fecero una distinzione : il 70% o più, questo implicherebbe per loro un ritorno immediato del re, meno del 55%, questo avrebbe richiesto l’abdicazione e tra questi due valori il percentuale avrebbe servito d’indicazione per il Parlamento. (…) Per Paul-Henri Spaak, il 66% era sufficiente al piano nazionale, ma il capo del partito socialista belga, Buset, domandò una maggioranza per lo meno del 60% nelle province di Vallonia, a Bruxelles, e le Fiandre. Poi la discussione sul plebiscito diventò intensa e nuove soglie furono formulate. » (Dewatcher, 1992). Il Re stesso stabilì tale soglia al 55%, ma per finire nessun accordo generalmente accettato sull’interpretazione consensuale dell’esito emerse dalla classe politica. Non è sorprendente dunque che la totalità dell’affare sbocchi nel caos. Nell’intero Belgio, il 58% dei votanti fu in favore del ritorno, però mentre una maggioranza votava per il ritorno nelle Fiandre, ci fu, invece, una maggioranza contro questo nelle provincie di Vallonia. L’esito fu dunque rigettato da numerosi gruppi sociali e partiti e questi tentarono d’impedire il ritorno del Re. Questi era d’accordo in ogni modo ad abdicare quando suo figlio avrebbe raggiunto il ventunesimo anno d’età, e Baldovino venne proclamato re il giorno dopo l’abdicazione di Leopoldo. La controversia serve d’esempio per dimostrare che comunità di lingue diverse possono votare diversamente e che l’esito possa dilaniare il paese. Si devono fare a questo punto due osservazioni fondamentali. Primariamente, non è vero che diversi risultati di votazione in seno a gruppi etnici diversi minaccino per forza di cose l’unità federale. In Svizzera, ci sono molti esempi di tali risultati di votazioni divergenti. Ad esempio, la maggioranza degli Svizzeri francofoni votarono in favore all’accesso del paese allo Spazio Economico Europeo nel 1992, mentre la stragrande maggioranza germanofona votò contro (finalmente ci fu una maggioranza al piano nazionale). Nel settembre 1997, il più degli Svizzeri germanofoni approvò la riduzione dei sussidi di disoccupazione, mentre quelli francofoni la rigettarono con un’ampia maggioranza (ciò che finalmente diede una stretta maggioranza al piano nazionale). Tali risultati non condussero a « tendenze comunitarie ». Secondariamente, Tali problemi accadrebbero assai meno se esistesse una struttura federale consistente con cui si potrebbe lavorare. Sole tali questioni, che devono essere decise a un livello più ampio, per la loro stessa natura, vanno dunque sottoposte alla votazione a tale livello. In seno al contesto federale, l’esito logico della controversia reale sarebbe stato che le Fiandre conservassero la monarchia mentre le province di Vallonia non la conservassero, dato che in questa controversia, non c’era assolutamente nessuna ragione pratica per cui una comunita dovesse cedere questo punto alla maggioranza dell’altra comunità. Il problema sorse pertanto, perché la presa decisionale s’instaurò nel contesto di un’autorità e di uno Stato unitario. 6-1:In che modo la democrazia diretta fu silenziosamente ritirata in Germania dopo la seconda Guerra mondiale queste circostanze, solo i sostenitori dell’iniziativa andarono a votare, questo voleva dire de facto che il segreto dello scrutinio ne veniva compromesso. Nelle regioni rurali, in particolare, molti operai agricoli stettero a casa sotto la minaccia dei proprietari terrieri e delle aziende agricole. Finalmente il 39% soltanto dell’elettorato votò, di cui il 95,6% in favore all’iniziativa. La soglia del 50% non fu raggiunta, l’aristocrazia agraria riportò la battaglia a causa del quorum partecipativo troppo elevato. Nel 1929, un secondo referendum venne organizzato dai partiti de l’ala destra sulla questione del pagamento dei compensi. Al fine del giorno di votazione, solo il 14,6% degli elettori vi aveva partecipato, e dunque il risultato fu parimenti invalidato. Nel 1932, i Socialisti lanciarono un’altra iniziativa che domandava un aumento dei salari. In questo momento, il Parlamento era già stato paralizzato e il governo stava operando col ricorso a leggi d’emergenza. Il governo rispose all’iniziativa con l’aumentare dei salari, dopodiché l’iniziativa cittadina fu prematuramente abbandonata. Dopo la prima Guerra mondiale, l’Impero germanico diventò una Repubblica e Weimar ne fu la capitale. Nel 1919, la costituzione della Repubblica di Weimar entrò in vigore ; questa comprenddeva il principio del referendum copiato dall’esempio svizzero. In pratica, però il referendum non poteva funzionare, essenzialmente per la soglia del quorum partecipativo del 50%. Rigorosamente parlando, secondo la Costituzione, tale quorum s’applicava solo al referendum correttore della Costituzione stessa e non a quello dell’iniziativa cittadina. Ciononostante, in pratica, esso fu ugualmente richiesto per quest’ultima. In definitiva due referendum ebbero luogo ; ambedue fallirono in quanto il quorum non fu mai raggiunto. Ci fu un’iniziativa nel 1926, a proposito dell’esproprio di terre possedute dalla nobiltà. I più grandi proprietari aristocratici avevano domandato livelli di compenso estremamente elevati per le loro proprietà di cui erano stati espropriati dopo la Guerra mondiale. In pieno momento di boom inflazionistico, , lo Stato poteva procurarsi denaro soltanto gravando pesantemente sui cittadini. L’iniziativa popolare per opporsi a tale misura venne iniziata dal partito comunista ; socialisti e molti altri gruppi cittadini l’appoggiarono. Contro questa venne lanciata la « madre di tutte le campagne di boicottaggio » : sostenitori potenti della nobiltà, appoggiati dalla stampa, fecero appello apertamente al boicottaggio. In Perciò le iniziative cittadine non furono mai ricompensate da un successo formale sotto la Repubblica di Weimar. Tutto il potere legislativo rimase nelle mani del Parlamento. Questo trasferì tutto il potere suo nelle mani di Hitler nel marzo 1933, mediante la fin troppo famosa « Ermächtigungsgesetzt » (legge dei peini poteri, ndt), anche se i nazisti non avevano mai ottenuto l’appoggio di una qualunque maggioranza di cittadini tedeschi in nessuna elezione. I fatti storici rovinano dunque da se stessi l’affermazione secondo cui i nazisti fossero pervenuti al potere mediante 86 la democrazia. In verità, i nazisti raggiunsero il potere mediante il sistema rappresentativo. La maggioranza dei cittadini non aveva mai votato a favore dei nazisti al momento in cui questi si erano taciuti o avevano parlato vagamente dei progetti segreti loro. Se avessero presentato i veri progetti – compreso il genocidio organizzato e la dichiarazione di guerre d’aggressione – alla popolazione in un referendum, sarebbe quasi impensabile che avessero potuto acquisire una maggioranza di voti. Ciò che Hitler stesso pensava sulla democrazia (diretta) doveva essere ovvio dall’argomentazione sua esposta contro la « democrazia parlamentare » in « Mein Kampf » : « Opposta a questa, è la vera democrazia germanica, con la libera scelta del suo « Führer » cui s’impegna se stesso ad accettare la responsabilità totale per quanto lui decide di fare o di non fare. In questa democrazia (germanica) non ci sono più elezioni popolari per il più dei temi particolari ma solo determinazioni (Hitler sceglie qui anzi un termine avente il significato di « sorta ») prese da un solo individuo che deve dopo averpreso le sue decisioni con tutti i poteri e tutta l’integrità del suo essere » (Hitler, 1943/1925, p.99). In un discorso sul « Führerstaat », di fronte a 800 membri del partito nazista, nel 29 aprile 1937, Hitler espresse perfino più chiaramente ancora quello che aveva in mente: la Stato « ha il diritto d’assumere il potere dittatoriale, e il dovere di costringere gli altri a obbedirgli. Perciò il nostro Stato non è stato edificato – su questo voglio, io, insistere – sul referendum, bensì il nostro scopo è di persuadere la gente della necessità di ciò che sta accadendo. (…) Adesso, uno mi dirà forse : « bene, ma anche voi avete tenuto un referendum ». Sì !, ma dapprima io, ho agito ! Ho agito prima e solo dopo, ho fatto questo referendum, perché volevo veramente dimostrare al resto del mondo che il popolo tedesco mi sostenesse. Perciò l’ho fatto. Fossi io, stato convinto che il popolo tedesco non fosse forse stato capace seguirci sulla questione, avrei perfino agito, ma dopo non avrei tenuto referendum. » (Discorso pubblicato in Frei, 1987, pp.190-195). Nazisti flirtano brevemente quindi con l’idea dell’assemblea pubblica. In numerosi luoghi, in Germania dal 1933, formarono quelle che furono chiamate « Thingplätze » (“Thing Squates”, o “Thing”, o “Ting”) essendo l’antica denominazione dell’Assemblea pubblica in Scandinavia e qualche altro luogo d’Inghilterra, che non ebbero mai a che fare con la presa decisionale in democrazia diretta, ma erano luoghi dove la gente era tenuta ad assistere passivamente a raduni dimostrativi della propaganda nazista. Ma dal 1935, i nazisti decisero di mettervi fine e proibirono questo tipo d’assemblea dei « Thing Squares » [http://de.wikipedia.org/wiki/Thing]. sentscheid »), quella che la Repubblica di Weimar copiò dalla tradizione svizzera, è anche stata ritirata dal repertorio degli strumenti legislativi tedeschi. Questo condurrebbe per un tempo al facile rimprovero che il Consiglio parlamentare avesse privato il popolo tedesco di un elemento democratico fondamentale. Ma, alla luce degli avvenimenti scorsi, era essenzialmente dover suo proteggere lo Stato ancora incerto dalle prevaricazioni di demagoghi vaghi e di fondare una responsabilità impegnata in seno al sistema rappresentativo » (Weirauch, 1989, p.40). Nel 1948, un « Consiglio parlamentare » (non eletto dal popolo, dunque) venne nominato a Bonn che ebbe a « proiettare » una nuova Costituzione par la Germania dell’Ovest. Il fatto colpisce che il Consiglio usasse « l’esperienza di Weimar » quale ragione per non introdurre la democrazia diretta in Germania dell’Ovest. Il primo Presidente della Repubblica Federale di Germania dopo la seconda Guerra mondiale, Teodoro Heuss, incoraggiò in particolare tale interpretazione assurda della storia tedesca dell’anteguerra. Heuss era stato precisamente lui un membro del Parlamento del 1933, e, sebbene fosse non-simpatizzante nazista, non aveva mai approvato la « Ermächtigungsgesetz ». A guisa d’introduzione alla nuova Costituzione della Germania dell’Ovest del dopoguerra, Heuss scrisse : « La forma plebiscitaria della democrazia, con la sua iniziativa popolare e il suo referendum (« Volksbegehren » e « Volk- 6-2:A proposito della votazione obbligatoria In altre parole : il risultato del fallimento della democrazia parlamentare venne utilizzato per ritirare la democrazia diretta. Le conseguenze per la storia europea furono immense. In effetti, se, dopo la seconda Guerra mondiale, una pratica politica di democrazia diretta si fosse sviluppata in Germania, seguendo più o meno l’esempio svizzero, la carta democratica del mondo alla fine del Novecento avrebbe preso un aspetto molto diverso. Ciò che è particolarmente notevole è il fatto che le Costituzioni dell’ex-DDR (Germania dell’Est comunistica) e di Berlino prevedevano effettivamente il referendum d’iniziativa cittadina. Poco dopo la guerra, il SED – partito d’unione che emerse della fusione forzata dei partiti comunista e socialista nella zona sovietica – faceva perfino una campagna attiva per l’ideale della democrazia diretta. Difatti questo partito cercava semplicemente di raggiungere lo scopo che era stato anteriormente iscritto nei programmi socialisti dell’Ottocento. Alcuni referendum popolari vennero effettivamente indetti, ad esempio sullo spossessamento dei criminali di guerra. Dopo di che la Germania fu scissa, il SED arrivò al potere in Germania dell’Est, e il suo interesse per la democrazia diretta svanì senza lasciare nessuna traccia. Nonostante questo, la democrazia diretta rimase prevista nella Costituzione della DDR fin al 1968, l’anno della Primavera di Praga, in cui la disposizione venne cancellata senza nessun dibattito pubblico. La presa decisionale mediante la democrazia diretta era parimenti prevista costituzionalmente per Berlino-Ovest dopo la seconda Guerra mondiale. Tutti i poteri politici di Berlino tacquero su tale opzione costituzionale e questa venne finalmente tolta nel 1974, fuori dal dibattito pubblico. Gli oppositori alla democrazia diretta sopravvissero dunque chiaramente da entrambi i lati della Cortina di ferro. Belgio e Grecia sono gli ultimi Stati europei due a conservare l’elezione obbligatoria. Entrambi paesi hanno anche deficit pubblico estremamente elevato con un’economia sotterranea sviluppata e l’assenza di ogni forma di referendum (situazione dell’estate 2006). Democratici Cristiani e Socialisti difendono il voto obbligatorio. Il primo argomento è che senza questo, siano principalmente la gente socialmente debole che non partecipi alla votazione, ciò che indebolirebbe seriamente la rappresentatività all’esito della votazione. Mediante l’obbligo di votazione, tutte le classi sociali hanno una rappresentanza uguale nel processo di presa decisionale (indiretta). 87 Tal argomento è contestabile par parecchie ragioni. Una votazione obbligatoria non crea la competenza per realizzare un voto responsabile, ma incoraggia la votazione di protesta e le schede bianche. Si può provare che l’abolizione del voto obbligatorio focalizzi infatti l’attenzione su gruppi che tendono a partecipare meno alle elezioni. Precisamente perché gruppi passivi possono in parecchie occasioni fare la differenza tra maggioranza e minoranza, attraggono tutta l’attenzione dei partiti politici, dato che la loro votazione può essere guadagnata (tale argomento fu usato dal gruppo Agalev dei Verdi del politico Boutmans, nel giornale Gazet van Antwerp, maggio 1997). In Svizzera, all’incirca 30% dell’elettorato vota sempre, il 45% di modo selettivo, e il 25% è raramente persuaso a andare a votare (Möckli, 1994, p.206). C’è dunque un ampio gruppo d’elettori che possono venire potenzialmente mobilitati e su cui politici possono focalizzare i loro poteri di persuasione. É lungi da essere chiaro che l’effetto predetto da Boutmans giocherebbe effettivamente un ruolo in paesi senza l’elezione d’obbligo. Tuttavia, c’è solo una piccola prova che la votazione obbligatoria porti ad una migliore rappresentazione dei gruppi che tendono a partecipare meno alle elezioni. I partiti dell’estrema destra, ad esempio, ottengono una larga proporzione dei loro voti dagli elettori che si trovano per l’appunto in gruppi socialmente deboli, anche se, in pratica, quei partiti sono meno efficaci nella difesa degli interessi sociali e economici di questi gruppi. Tale argomento deve essere preso sul serio. Ci sono alcune forme d’aiuto reciproco che i cittadini non possono ragionevolmente rifiutarsi tra loro e si può arguire che le esigenze collettive in una società richiedano tempo ed attenzione di ciascuno. In pratica, si noti però che i partiti che stanno pronunciandosi in favore della votazione obbligatoria, resistano contemporaneamente all’introduzione della democrazia diretta. Questo mina totalmente l’argomento in favore dell’obbligo di votare. Tale combinazione della votazione obbligatoria e del sistema puramente rappresentativo è perversa. La gente viene forzata ad esprimere un’opinione in quanto questo sia il suo dovere civico. Ma restrizioni assurde vengono messe sulle opportunità che la gente ha per farlo – secondo i sostenitori dell’obbligo di votare, cittadini vengono solo autorizzati a votare per scegliere un partito ; e peggio ancora, viene anche domandato loro di rinunciare ai loro diritti, anche se preferissero esercitare questi diritti direttamente. Se la formazione di un giudizio sociale viene considerata quale un dovere civico, deve anche essere un dovere civico di esprimere direttamente giudizi che sono stati fatti. Ciò non è possibile nel sistema puramente rappresentativo : si può solo scegliere programmi completi di partito che non corrispondono quasi mai ai propri punti di vista. Causa così ogni sorta di distorsioni il sistema rappresentativo, come l’effetto di « pressione incrociata » : gli elettori, che non possono trovare un partito conveniente per rappresentarli, pensano più facilmente d’astenersi nella votazione. In Olanda, ad esempio, quest’impatto si vede tra gli Operai Cristiani : se votano per i Democratici Cristiani (CDA), non stanno votando per un partito che sostenga i lavoratori, e se votano ora per il Partito Laburista (PvdA) non lo fanno neanche per valori cristiani. In conseguenze, Lavoritari Cristiani danno prova di una tendenza più forte di non andare a votare (Smeenk, 1996, p.236). Non si risolverà tale problema di gruppo obbligandoli a andare a votare per forza. Il loro vero problema è da non potere dire ciò che vogliono davvero dire mediante elezioni soltanto rappresentative. Sola la democrazia diretta può correttamente risolvere questo problema di gruppo di votanti e di un modo o l’altro, facciamo noi stessi parte di tali gruppi. Un argomento contro l’obbligo di votare è che essa tolga la motivazione intrinseca di prendere parte alla votazione. Qualcuno che viene forzato a votare non lo fa più di volontà propria e di discernimento proprio. La partecipazione volontaria alle elezioni non si basa su calcoli egoistici. Per il cittadino individuale il beneficio della votazione non è niente, dopotutto, paragonato alla spesa per prendere parte alla votazione – o quella del tempo investito. Dunque votare non è un atto razionale per un cittadino calcolatore. Malgrado questo, la gente esce per andare a votare e lo fa per motivazioni non egoistiche. Forse sbaglia sul beneficio che ne ricava, ma assai probabilmente vota per solidarietà nei riguardi di un gruppo, mediante un senso di cittadinanza o per principio. Una partecipazione volontaria nella votazione è già una forma di capitale sociale e tale capitale viene distrutto quando la votazione diviene obbligatoria. Chi si fa avvocato dell’obbligo di votare, ma rigetta simultaneamente la democrazia diretta, costui non è credibile. Il voto obbligatorio che vada di pari passo con la democrazia diretta, questo è difendibile. Ma si deve anche accettare poi che i cittadini stessi siano infine autorizzati a decidere – per via di democrazia diretta – sul mantenimento eventuale della votazione obbligatoria. Finché ciò non succeda, l’obbligazione del voto può essere considerata solo come uno strumento di certuni partiti politici per ammantarsi in un ambiente a buon mercato di « rappresentatività », in cui in fin dei conti, sono i soli a credere ancora. I difensori dell’obbligo di votare considerano anche la partecipazione un dovere civico. La nostra società dispone di diversi doveri di questo tipo. Così ogni cittadino è tenuto ad offrire aiuto a chiunque si trovi nel bisogno o – se lei o lui viene chiamata(o) a farlo – d’accettare di esser in una giuria o force d’aiutare nel seggio elettorale al momento delle elezioni. Da questo punto di vista, l’obbligo del votare riflette il nostro compito morale di preoccuparci se stessi dei minimi particolari della società, di formarci opinioni al meglio della propria capacità sulle soluzioni possibili ai problemi della società e di esprimere tal opinione con cautela. 88 Bibliografia R. Abers (2000), “Inventing local democracy: grassroots politics in Brazil”, Boulder: Lynne Rienner Publishers D. Butler / A. Ranney (1994), „Referendums around the world. The growing use of direct democracy“, Washington D.C.: AEI Press J.M. Allswang (2000), “The initiative and referendum in California, 1898-1998”, Stanford, Stanford University Press L. Carlen, “Die Landsgemeinde”, p. 15-25 in: A. Auer (1996) S.S. Andersen / K.A. Eliassen (1991), “European Community lobbying”, European Journal of Political Research 20, p. 173-187 B. Cassen (1998), “Démocratie participative à Porto Alegre. 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Le opere precedenti di Jos verhulst comprendono : Der Glanz von Kopenhagen : Geistige Perspectiven der modernen Physik [Il fulgore di Copenhagen : Prospettive spirituali della fisica moderna] (Spiritual perspectives on modern physics, 1994), un’interpretazione aristotelica della meccanica quantistica, e Der Erstgeborene : Mensch und höhere Tiere in der Evolution [Il primo-nato : l’uomo e gli animali superiori nell’evoluzione] (1998), una vista non-darviniana sull’evoluzione umana (pubblicato nel 2003 negli Stati-Uniti col titolo : Developmental Dynamics in Humans and Other Primates) Ha ugualmente pubblicato articoli in Psychological Report, Acta Biotheoritica, il British Medical Journal ed Annals of Human Biology. Pubblica anche commenti politici sui giornali e reviste in diversi paesi europei. Redasse la prima edizione della presente opera nel 1998. Arjen Nijeboer (nato nel 1974) studiò giornalismo e comunicazione nel Windesheim College, Zwolle, Paesi Bassi, e le relazioni internazionali all’Università di Amsterdam. E’ cofondatore del IRI-Europe e della Referendum Piattaforma. Ha condotto varie campagne nei Paesi Bassi per introdurre la democrazia diretta, compresa quella per il referendum a proposito della Costituzione Europea ; consiglia politici e amministrazioni e organizzazioni per quanto concerne questioni referendarie e campagne. Pubblica articoli a proposito di temi democratici sui giornali nazionali e riviste specializzate e universitarie in vari paesi. E’ anche coautore di questa seconda edizione estesa e riveduta. 94 A proposito degli editori di quest’opera Democracy International Democrazia internazionale è una rete di movimenti di democrazia diretta che venne fondata a Bruxelles all’inizio del 2005. Mira a promuovere la democrazia diretta contemporaneamente nei paesi d’Europa e al livello dell’UE. Ingloba quelli che criticano e sostengono l’UE, cui, malgrado le loro differenze, sono uniti dall’anelare ad una democrazia più diretta in Europa. Democracy International ha condotto campagne per ottenere referendum sulla Costituzione europea nel maggior numero di paesi possibili: circa 10 Stati hanno annunciato questo referendum. La sua campagna a favore dell’introduzione dei diritti di democrazia diretta nel disegno di Costituzione europea riuscì parzialmente : l’iniziativa cittadina europea vi fu inclusa. Dopo il rigetto del disegno, Democracy International fu una delle numerose organizzazioni che fanno campagna per l’introduzione separata dell’Iniziativa Cittadina europea, così come per una nuova Convenzione europea, direttamente eletta dai cittadini stessi, per ricercare nuove vie per la cooperazione europea. www.democracy-international.org Democratie.nu Il movimento fiammingo per la democrazia diretta venne fondato nel 1995 quale WIT (« Bianco », ndt). Cambia il suo nome nel 2005, per adottare il termine Democratie. nu, riflettendo così meglio il suo discernimento secondo cui un sistema politico senza nessuna possibilità di referendum d’obbligo su ogni questione politica non possa più venir chiamato democrazia propriamente detta. In Belgio, il movimento ha contribuito significativamente a includere la democrazia diretta nei manifesti della maggiore parte dei partiti politici e nel dibattito pubblico in genere. Dal 1995 al 2003, WIT pubblicò la rivista la più interessante sulla democrazia diretta, De Wit Werf. www.democratie.nu Referendum Piattaforma (Tribuna referendaria) La « Referendum Piattaforma » venne fondata nel 2000 per promuovere l’introduzione della democrazia diretta in Olanda. Ha iniziato con successo una campagna referendaria sulla Costituzione europea e sull’introdurre dell’iniziativa cittadina nella città di Amsterdam. Consiglia gruppi di cittadini che lanciano referendum locali, realizza investigazioni e pubblica libri, repertori, articoli, a proposito della democrazia diretta in Olanda così come all’estero. www.referendumplatform.nl 95 ¿Cuán Hace … ISBN 9789078820086