Pianeta scienza
MARTEDÌ 11 SETTEMBRE 2012 IL PICCOLO
Un triestino scrive l’Enciclopedia degli elementi del Dna
Non c’è spazzatura. O per lo
meno ce n’è in quantità assai
minore di quanto si pensava fino a poco tempo fa. Il nostro
Dna sarebbe dunque più pulito, cioè quasi privo di tratti inutili, cui non viene assegnata
una funzione specifica. E’ il risultato cui è giunto un team internazionale di ricercatori
(442 scienziati in 32 istituti di
ricerca e cinque paesi). Tra essi anche il Riken Omics Center, in Giappone, dove lavora
un gruppo di biologi molecolari guidati dal triestino Piero
Carninci, che da oltre 15 anni
si è trasferito nel paese del sol
levante.
Encode (ENCyclopedia Of
Dna Elements), questo il nome del progetto guidato
dall’Istituto nazionale di ricerche sul genoma umano (Nhgri), ha analizzato quasi 150
tessuti diversi per individuare
gli elementi funzionali del genoma umano, cioè per capire
dove si trovano –al di là dei geni già noti- i direttori d’orchestra che dirigono la sinfonia,
magari un po’ di nascosto, dietro le quinte. Qual è l’importanza di questo studio? Lo spie-
ga Carninci: «I nostri geni sono
organizzati in modo complesso: si attivano seguendo precise sequenze temporali e spaziali, in base al tessuto per cui
devono produrre una proteina. Esistono però punti di attivazione e spegnimento sparsi
in tutto il genoma, in quelle regioni che pensavamo fossero
simili a un deserto, e che per
molto tempo abbiamo definito spazzatura, appunto». Per
proseguire con una metafora
musicale, iniziare a conoscere
questi direttori d’orchestra delocalizzati permetterà ai ricer-
catori di capire meglio l’intera
partitura, apprezzando strumenti che finora suonavano in
sordina. Oltre ad avere un valore conoscitivo intrinseco, dunque, lo studio schiude nuove finestre di indagine sulla relazione tra geni e malattie, anche se
–certamente- dovrà passare
ancora del tempo prima che
applicazioni concrete di tipo
terapeutico possano vedere la
luce. Conferma Carninci: «È
presumibile che anche in queste regioni di Dna compaiano,
più o meno casualmente, delle
mutazioni. E per quanto pos-
MICROSCOPIO
siamo immaginare, anche da
queste mutazioni potrebbe dipendere lo sviluppo di certe
malattie». Grazie a questo studio, pubblicato da numerose
riviste specialistiche come
“Nature”, “Genome Biology” e
“Genome Research”, oggi sappiamo che l’80 per cento del
genoma umano ha una funzione biochimica.
Le analisi del genoma sono
state effettuate utilizzando
una tecnologia complessa denominata Cage, messa a punto dallo stesso Carninci e dal
collega giapponese Yoshihide
Hayashizaki, ora di proprietà
del Riken.
Cristina Serra
“Foto” ai raggi X dal Pleistocene
Nei laboratori del Sincrotrone e dell’Itcp analizzati i resti di ominini vissuti migliaia di anni fa
di Cristina Serra
È stata una riunione insolita
quella che si è tenuta recntemente a Trieste. A transitare per
i laboratori del Sincrotrone Elettra e del Centro internazionale
di fisica teorica sono stati 27
ospiti, provenienti da diverse regioni italiane, Croazia, Africa
orientale. La visita ha richiesto
molta cautela, dal momento che
il più vecchio aveva circa 450 mila anni, mentre il più giovane solo 24 mila. Gli ospiti insoliti erano, in realtà, reperti fossili appartenenti a ominini vissuti in
epoche che vanno dal Pleistocene inferiore (era che inizia un
milione di anni fa) all’Olocene
(presente). La ragione della loro
visita triestina: sottoporli ad analisi tridimensionali dell’interno,
con la microtomografia ai raggi
X, per definire l’architettura dei
campioni e creare una mappa
consultabile in qualsiasi momento, senza bisogno di rimanipolare il reperto, preservandone
così l’integrità. Una vera e propria immortalizzazione virtuale,
che difende da tempo e incidenti il nostro passato più remoto.
«Da quando esistono tecniche quali la microtomografia ai
raggi X, che forniscono immagini dettagliate della struttura in-
Lo staff di Claudio Tuniz che ha realizzato le analisi di microtomografia ai raggi X sui resti fossili di ominini
terna di tessuti duri come le ossa
– spiega Claudio Tuniz, responsabile del Laboratorio multidisciplinare dell’Ictp dove si sono
svolte alcune delle analisi – la paleoantropologia ha fatto un salto di qualità». Il campione, infatti, non richiede una preparazio-
ne particolare: viene scansionato ai raggi X da diverse angolature e le informazioni sono elaborate con i metodi della tomografia computerizzata. Il tutto fornisce una serie di sezioni piane
corrispondenti ad altrettante
“fettine” di tessuto. Ciascuna
può essere analizzata separatamente per ricavarne informazioni sulla densità del materiale, sui
minerali e sulla sua struttura più
intima. Oltre al laboratorio
dell’Ictp, dove ha collaborato –
fra gli altri - l’archeologo Federico Bernardini, sono coprotago-
nisti dello studio anche ricercatori della Sincrotrone Trieste
ScPA. Parte delle analisi, infatti,
sono state effettuate presso la linea Syrmep e il laboratorio Tomolab coordinati da Giuliana
Tromba, in collaborazione con
il Museo Pigorini di Roma, l’università La Sapienza, l’università
di Poitiers, il Museo nazionale
eritreo e quelli di Storia naturale
di Zagabria e di Parigi.
Uno dei reperti più interessanti è stato senz’altro il cranio
dell’Uomo di Mompaderno, in
Croazia. Il cranio, scoperto nel
1886 da Carlo de Marchesetti e
ospitato dal Museo di storia naturale di Trieste, portava adesi
ancora dei denti. «Ne abbiamo
analizzati due, con il radiocarbonio, in collaborazione con l’Università di Caserta – dice Tuniz –
ed è emerso che il reperto ha
un’età approssimativa di 4000
anni». Queste ricerche, prosegue Tuniz, non ci sarebbero state senza il contributo della Regione, con l’assessore di allora
Roberto Cosolini, che si era prodigato affinché proprio a Trieste
sorgesse questa facility unica in
Italia. «Ora vogliamo creare una
banca dati interattiva sul web,
aperta sia agli studiosi che al
pubblico».
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Combattevano scalzi i marinai del Mercurio
Uno studio analizza i resti delle calzature trovate sul relitto affondato nel 1812 al largo di Grado
Combattevano a piedi scalzi anche d’inverno i marinai imbarcati sui vascelli del XIX secolo,
mentre gli ufficiali mantenevano il privilegio di affrontare il
combattimento in mare con i loro stivali fatti su misura, e di fattura più accurata rispetto alle
calzature destinate alla ciurma
che, fra l’altro, non erano distinte fra destra e sinistra ma avevano forma e dimensione unica,
erano identiche a quelle indossate dai soldati della Marina
francese, e non avevano la suola
chiodata come quelle delle truppe di terra.
L’archeologia permette di far
rivivere particolari del passato
anche attraverso le suole delle
scarpe. Ed è quello che è successo con gli scavi subacquei sul relitto del Mercurio, il brick del Regno italico affondato nel febbraio del 1812 al largo di Grado durante lo scontro con una squadra navale inglese, oggi uno dei
giacimenti archeologici sommersi più importanti d’Europa.
In nove campagne di scavo
l’équipe di archeologi subacquei dell’Università Ca’ Foscari
di Venezia guidata da Carlo Beltrame ha recuperato dal fondo
del mare centinaia di reperti: oltre ai resti di alcuni dei novanta
marinai morti nel naufragio sono riemersi armi, dotazioni di
bordo, effetti personali, persino
gioielli. Più una quantità di parti
delle divise indossate dall’equipaggio. Tra questi una settantina di frammenti di calzature,
che hanno consentito a una delle giovani archeologhe subacquee dell’équipe, Sophia Donadel, di compiere per la sua tesi
di laurea in Conservazione e gestione dei beni e delle attività
culturali (relatore Sauro Gelichi,
correlatore Carlo Beltrame) uno
studio approfondito proprio sulle calzature indossate da quegli
sfortunati marinai. Il risultato è
Galileo. Koch. Jenner. Pasteur. Marconi. Fleming...
Precursori dell’odierna schiera di ricercatori
che con impegno strenuo e generoso (e spesso oscuro)
profondono ogni giorno scienza, intelletto e fatica
imprimendo svolte decisive al vivere civile.
Incoraggiare la ricerca significa
optare in concreto per il progresso del benessere sociale.
La Fondazione lo crede da sempre.
una ricerca di oltre duecento pagine che punta sì la lente d’ingrandimento su un particolare
aspetto dell’equipaggiamento
sui vascelli dell’epoca, ma apre
anche una finestra su scenari
più ampi: come avvenivamo le
forniture, quali erano le ditte artigiane italiane al servizio di Napoleone, come si combatteva su
una nave da guerra dell’Ottocento. «Molte calzature trovate
sul relitto erano vicine - spiega
Donadel -, forse proprio a testimoninza del fatto che i marinai
si erano tolti gli stivali prima del
loro ultimo combattimento».
Pietro Spirito
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Sofia Donadel
QUESTA PAGINA È REALIZZATA IN COLLABORAZIONE CON
COSÌ LA GERMANIA
DIVENTA GRANDE
CON LA SCIENZA
di MAURO GIACCA
S
iviglia, città andalusa di
grande fascino, ha ospitato il meeting congiunto
delle Società scientifiche di biochimica e biologia molecolare
europea ed internazionale. Più
di tremila ricercatori, alcuni premi Nobel e moltissimi giovani,
che per quattro giornate hanno
discusso di tematiche che andavano dagli studi sulle singole
molecole alle cellule staminali.
Un convegno come tanti altri, si
dirà, se non per il fatto che spiccava nel salone delle esibizioni
uno stand del Governo della Repubblica Federale Tedesca. Lo
stand reclamizzava la Germania
come Paese della scienza, distribuendo opuscoli, gadget e poster che invitavano i giovani di
tutto il mondo ad andare in Germania per fare ricerca avanzata.
Il piano di marketing della
scienza tedesca è impressionante, almeno quanto lo sono i numeri che il Paese può oggi vantare. Solo nell'ultimo anno, il Ministro dell'Educazione e Ricerca, Annette Chavan, ha annunciato il supporto a una vasta serie di progetti di alta tecnologia,
ha organizzato un meeting nel
campo della fisica cui hanno
partecipato 27 premi Nobel, e
ha stipulato contratti bilaterali
per la ricerca con un vasto numero di altri Paesi. Per facilitare
l'immigrazione di cervelli, le regole burocratiche sono state
semplificate, e i migliori scienziati di qualsiasi nazionalità dopo qualche anno possono godere della residenza permanente.
Il Paese offre programmi di finanziamento per scienziati a
tutti i livelli, dagli studenti universitari ai professori e ricercatori più esperti, per operare all'
interno di circa 750 istituzioni di
ricerca finanziate per oltre 61
miliardi di Euro annui. In un
momento storico in cui l'Europa vive un momento di grande
difficoltà, in cui le strategie finanziare su come salvare l'euro
sono centrali in ogni discussione, in cui la crisi dell'occupazione è diffusa, vedere come un Paese leader punti a un rilancio basato su grandi investimenti tecnologici e sulla valorizzazione
delle capacità intellettuali è fonte di ammirazione. È la visione
lungimirante che il progresso,
anche economico, non può essere disgiunto, come non lo è
peraltro mai stato nel passato
dell'umanità, dalla ricerca di soluzioni ad alto contenuto scientifico e tecnologico. Un'unica
cosa bizzarra nel piano si comunicazione della scienza tedesca:
allo stand al congresso di Siviglia erano in bella mostra manifesti che reclamizzavano la Germania come il "Paese delle
idee". Ma come, non eravamo
noi italiani, da Leonardo in poi,
ad essere i più immaginativi e
creativi? Non eravamo noi quelli capaci di creare innovazione
anche in condizioni difficili? Rimaniamo un po' mortificati dalla privazione di questo primato.
In fondo, è anche questo un segno dello spread che si amplia.
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Cosi` la Germania diventa grande con la scienza