ANNO XViii - N. 12 Dicembre 2013 LA NUOVA FENICE Tarì 2 (D 0,50) BRICIOLE DI SALUTE ià da metà del mese di novembre le città cominciano a presentare segni delle prossime festività natalizie, ma la crisi, e non solo, la crisi come da più parti si ripete, ha prodotto e continua a produrre un notevole incremento dei fenomeni di sotto-occupazione, lavoro nero e disoccupazione, aggravando una serie di aspetti negativi della flessibilità del lavoro, per cui per molti l’aria non è e non sarà di festa. Il tema della povertà è sempre un argomento scomodo, in tempo come adesso di crisi economica e di crisi di valori, in cui al termine stesso è difficile dare contorni. Non si è poveri solamente per carenza di risorse economiche, ma oggi si presenta come carenza di relazioni e di socialità, come perdita d’identità, come smarrimento di valori e come assenza di punti di riferimento solidali all’interno di una città. Basta stare un’ora con gli operatori del Progetto Briciole di Salute a Monreale, nato dalla collaborazione dell’ Arcivescovo di Monreale Mons. Mi- G chele Pennisi, Priore costantiniano di Sicilia con il comune della città normanna, di cui la responsabile è l’assessore alla cultura Lia Giangreco.e del Sacro Militare Ordine Costantiniano di S. Giorgio delegazione Sicilia, del CE.ST.E.S.S onlus, del Centro Studi per le politiche pubbliche e di Nuovi Spazi onlus, per rendersene conto. Ai tempi del Beato Giacomo Cusmano la perdita di lavoro, un incidente o una malattia determinavano un affiatamento ulteriore non solo nella famiglia colpita, ma spesso anche nel rione oggi c’è un impoverimento e si innescano dinamiche di disgregazioni. La povertà culturale e relazionale aggrava ancora di più la povertà materiale. L’Ordine Costantiniano pur mantenendo i principi originari con il progetto in atto a Monreale aggiorna la sua attività e precisamente sta imparando ad ascoltare e quindi rispondere ai bisogni della società. I nuovi poveri sono oggi nei nostri quartieri, nei nostri condo- Da sx: cav. Vincenzo Nuccio, l’Assessore alla cultura Lia Giangreco e il cav. Antonio di Janni Da sx: cav. Antonio di Janni, S.E. Mons. Michele Pennisi e cav. Vincenzo Nuccio. mini, dove vivono anziani soli, che hanno difficoltà a fare la spesa e nell’acquistare i farmaci, le giovani coppie con figli piccoli e single senza alcun reddito. Numerose famiglie monrealesi meno abienti settimanalmente richiedono latte, omogeneizzati, pannolini per il loro figli agli operatori del progetto Briciole di Salute. Questo fabbisogno settimanale viene fornito dalla delegazione Costantiniana di Sicilia e distribuito dai volontari delle altre associazioni che condividono il Progetto. In questo periodo di festa il contrasto diventa ancora più evidente e pertanto è necessario avvicinarsi a tutti con umiltà e dare spazio alla nostra fantasia, inventandoci iniziative adeguate e collaborando con quanto in atto, fornendo aiuti e supporto ove possibile, lavorando per azioni che spingano le istituzioni e la società civile a farsi carico di alcuni servizi, ormai divenuti essenziali. Occorre, nello spirito dei principi dell’Ordine Costantiniano e guidati dalla luce che il figlio di Dio dalla grotta di Betlemme ci dona, sensibilizzare tutti rispetto alle tematiche della povertà ed alle condizioni di vita dei soggetti poveri, contrastando la mentalità dell’individualismo e promuovendo meccanismi di solidarietà senza alcuna discriminazione. Il tutto non solo finalizzato all’assistenza nell’immediato ed al superamento della condizione di disagio, ma soprattutto alla prevenzione, nella consapevolezza che solo così, in divenire, si può pervenire a condizioni di vita più accettabili per i singoli individui e più gestibili per le comunità. Vincenzo Nuccio PAGiNA 2 Dicembre 2013 LA NUOVA FENICE Mostra a Monreale ET VERBUM CARO FACTUM EST na delegazione del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio guidata dal Delegato Vicario Cavaliere di Gran Croce di Grazia Nobile Antonio di Janni e composta dai Cavalieri Gaetano Giarrusso, Vincenzo Nuccio e Carmelo Sammarco hanno partecipato alla presentazione della mostra Et verbum caro factum est promossa dall’Arcidiocesi di Monreale, dal Museo Diocesano di Monreale e dall’Ente Opere di Religione e di Culto. La mostra realizzata nella Sala San Placido del Museo Diocesano è stata resa possibile dalla collaudata sinergia tra la Soprintendenza BB.CC.AA. di Palermo rappresentata dall’Arch. Lina Bellanca, dal Comune di Monreale presente con l’Assessore alla Cultura Signora Lia Giangreco, dall’Archivio Storico Diocesano e la Biblioteca Torres. L’Arch. Bellanca ha evidenziato nel suo intervento come nonostante la cronica carenza di fondi, l’attenzione per Monreale è sempre vigile, infatti, ha comunicato che spera entro l’anno 2014 di restituire tutto il complesso monumentale dell’ex convento dei benedettini, del U chiostro e del Duomo alla comunità non solo locale ma internazionale essendo il complesso Guglielmo unico al mondo. L’Assessore Giangreco nell’intervento di saluto a nome del Sindaco e dell’Amministrazione Comunale ha evidenziato la perfetta unità d’intenti con tutte le altre sigle, infatti l’Adorazio- ne dei Pastori di M. Stommer di casa al Palazzo Municipale, il prezioso Libro d’Oro del V secolo della Biblioteca Comunale sono i due pezzi pregiati della Mostra ed è orgogliosa di rendere partecipe il pubblico di questi due tesori che non senza fatica sono ritornati negli anni di proprietà dell’Amministrazione comunale. Il Museo era rappresentato dalla direttrice Prof. ssa Maria Concetta Di Natale che nel suo indirizzo di saluto e nel guidare i vari interventi ha illustrato le tappe del museo dalla sua inaugurazione all’iniziativa odierna. S.E. Mons. Michele Pennisi Arcivescovo di Monreale e Priore per la Sicilia dell’Ordine Costantiniano partendo dal titolo della Mostra “Et verbum caro factum est et abitavit in nobis, et vidimus gloriam eius”, prologo del Vangelo di Giovanni, ha condotto i presenti attra- verso l’umanizzazione del figlio di Dio alla vita della Chiesa e come la fede professata da secoli parta e si diffonde dal quell’avvenimento della nascita di Gesù. L’Ordine Costantiniano non può che rilevare con piacere anche la precedente mostra sempre del Museo Diocesano Signum Crucis che dal 27 aprile al 27 agosto 2013 in coincidenza con l’ingresso in diocesi S.E. Mons. Pennisi ha segnato anche l’anno del XVII Centenario dell’Editto di Costantino. La mostra Et Verbum caro factum est che resterà aperta fin al 23 febbraio 2014 merita una visita in special modo per il bellissimo dipinto di Matthias Stommer “L’Adorazione dei pastori” mirabilmente illustrato nel catalogo dell’iniziativa dalla vice direttrice del museo Dott.ssa Lisa Sciortino. Antonio di Janni Dicembre 2013 PAGiNA 3 LA NUOVA FENICE L’ORDINE COSTANTINIANO DI S. GIORGIO ONORA S. CATERINA D’ALESSANDRIA l 25 Novembre, ricorrenza liturgica di Santa Caterina d’Alessandria, una Delegazione di Cavalieri del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, su invito di Mons. Mario Di Pietro, Cappellano Costantiniano, ha partecipato alla solenne celebrazione dei Vespri e della S. Messa presso la Chiesa Parrocchiale di S. Caterina Valverde in Messina. Unitamente al Coordinatore di Messina, Comm. Prof. Gianni Bonanno, hanno preso parte alla Liturgia i Cavalieri Costantiniani Giuseppe Amato, Letterio Donato, Salvatore Italiano, Carmelo La Rosa, Santo Giacomo Legrottaglie, Giuseppe Matranga, Aldo Mattei, Franz Riccobono, Francesco Maria Salpietro, Salvatore Scalzo, Marco Sciliberto, Francesco Stagno D’Alcontres. Tra gli aspiranti Cavalieri figurava il Col. Corrado Benzi, Comandante del 5° Reggimento Fanteria della Brigata “Aosta”. Presenti alla cerimonia anche una rappresentanza di Cavalieri del Santo Sepolcro di Messina, il cui Preside Avv. Clodomiro Tavaniè dell’Ordine Costantiniano, numerosi membri della Confraternita di San Giuseppe a Palazzo, e molti fedeli della Parrocchia. La cerimonia si è tenuta in un clima particolarmente raccolto, I nel quale i Cavalieri Costantiniani hanno inteso manifestare il loro affetto e la loro vicinanza spirituale a Mons. Di Pietro, colpito dalla recentissima perdita della madre. Il lutto subìto dal Confratello Sacerdote è stato per lui occasione di rendere una commovente testimonianza di Fede nella Risurrezione, ed è stato edificante vederlo sereno, pur se profondamente provato dal dolore del distacco fisico. Nella sua omelia Mons. Di Pietro ha ricordato l’eroismo delle virtù della Martire Caterina, che, sebbene fosse solo una giovane donna, non esitò a sfidare il governatore di Egitto e Siria Massimino Daia, esortandolo a convertirsi al Cristianesimo. Fedele a Cristo sino alla morte, Caterina diviene esempio vivo per i giovani d’oggi e per tutti i Cristiani, ai quali continua ad indicare che la vera saggezza non consiste nella “furberia” di sottrarsi ai propri impegni e responsabilità, ma nell’affrontare con coraggio le prove della vita, per testimoniare la vera Fede. La tradizione ci narra infatti che la giovane fu esortata all’apostasia e che sostenne il confronto con un commissione di saggi filosofi, i quali avevano il compito di indurla a sacrificare agli dei. Caterina, divinamente ispirata, fu talmente convincente da con- vertire i dottori pagani, persuadendoli ad accettare la morte, piuttosto che perseverare nella falsa religione pagana. Rifiutata l’offerta di matrimonio dello stesso Massimino, la sapiente giovinetta fu quindi condannata ad essere straziata da una ruota dentata, che invece, al contatto con la delicata fanciulla, si spezzò prodigiosamente, dimostrando il favore divino per la perseveranza nella Fede della giovane cristiana. Accecato dall’ira, il perfido governatore pagano ordinò allora che Caterina fosse decapitata. La Leggenda prosegue riportando il miracoloso trasporto del corpo della Martire, ad opera degli Angeli, dalla città egizia di Alessandria sino al monte Sinai, dove ancora oggi sorge un Monastero a lei dedicato. Recependo tutti gli elementi della narrazione agiografica, l’iconografia rappresenta la Vergine Alessandrina in splendide vesti, intenta a confutare i saggi dottori e filosofi, o singolarmente, munita degli attributi propri: la ruota dentata spezzata, il libro e la penna d’oca, la corona indicante le sue nobili origini, la spada con cui fu decapitata, e la palma, simbolo per antonomasia del Martirio. Al termine del solenne Rito Eucaristico, concelebrato da Mons. Angelo Oteri e da P. Mario Magro, Mons. Di Pietro ha fatto dono di una icona raffigurante la Santa Martire alla Delegazione Costantiniana, ai cavalieri del Santo Sepolcro e alla Confraternita di San Giuseppe a Palazzo. Salvatore Italiano PAGiNA 4 Dicembre 2013 LA NUOVA FENICE LA POLITICA CULTURALE IN SICILIA IN EPOCA BORBONICA ’appuntamento culturale ideato dal Cav. Baldassare Cacioppo sul tempo di cultura all’epoca dei Borbone, segna un momento importante per la rilettura di un periodo storico troppo frettolosamente rimosso e sicuramente può rappresentare una occasione importante perché non si debba avere più paura della verità. La conferenza, inserita nel programma per il XVII Centenario dell’Editto di Costantino, introdotta e moderata dal Delegato Vicario del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio che ha riscosso la partecipazione di un folto pubblico, ha visto un’accurata esposizione sulla Tutela legislativa dell’antico nella Sicilia Borbonica da parte del cav. Baldassare Cacioppo e due interventi che con comprensibili voli secolari hanno attraverso centocinquanta anni di Regno delle Due Sicilie curati dallo storico Pasquale Hammel e dal Soprintendente del Mare della Regione Siciliana Prof. Sebastiano Tusa. Al termine del convegno S.E. il Prefetto Comm. Gianfranco Romagnoli ed il Delegato Vicario hanno consegnato ai Relatori una medaglia ricordo dell’Ordine Costantiniano. L Il mondo culturale di allora certamente conosceva le biblioteche, ma esse erano privilegio o degli enti religiosi o di alcuni privati. La situazione cominciò a cambiare e questi depositi culturali si cominciarono ad aprire ad un pubblico che per quanto ristretto, era comunque in espansione. A Messina esisteva la Biblioteca del Salvadot, ma essa nel periodo tra il 1728\1738 fu aperta al pubblico; a Palermo e a Catania rispettivamente nel 1760 e 1775. Quasi contemporaneamente si apriva ad Agrigento la Lucchesi Palli, a Siracusa la Monsignor Alagona, a Canicattì la San Marco La Torre, e la Daidone e Ciprì a Termini Imerese. Qualche anno dopo, nel 1782 a Palermo, si apriva a Palermo un’altra pubblica biblioteca ad opera del teatrino Sterzinger. A questo punto appare chiaro come l’impulso dato alla biblioteche a Palermo creò i presupposti per due grandi fiori all’occhiello del settore ancora validissimi e rinomati ai nostri giorni: la Comunale e l’ex Nazionale, ora Regionale, in via Vittorio Emanuele. Nel periodo borbonico fiorirono, una grande serie per la verità, numerosi compendi e ponderosa raccolta di eruditi e letterati siciliani che sulla scia di Mongitore approdarono a straordinari risultati come appunto la Scinà ed il Mira. Una vasta espansione di giornali e riviste costellò il lungo percorso erudito delle persone colte e non mancarono gli interventi anche sulle stampe estere. A riprova di quanto si è esposto bisogna sottolineare che i viaggiatori e gli osservatori stranieri evidenziarono la partecipata frequentazione dei Siciliani con la lingua straniera. Infatti Patrick Brydone, nel suo TRAVEL, notava che a Palermo nelle libre- rie c’erano un sacco di libri in edizione straniera in vendita ordinaria nelle librerie. E a proposito dell’apertura alle visite straniere è da sottolineare il fatto che il travel di Brydone e il reisen di Wolfang Goethe aprirono una proficua stagione di viaggi verso il Sud Italia e la Sicilia in particolare. La cultura del Meridione italiano, nonostante: commenti completamente negativi di Gladstone e nonostante gli scontri della monarchia con gli intellettuali per le rivolte, ebbe un incentivo all’espansione e fu per la prima volta conosciuta in Europa. L’immagine primaria che scaturì da tali viaggi fu anzitutto la solarità dei luoghi e poi e grande fascino dell’arte e della tradizione. Dal primo resoconto di Sir William Digby, nel XVII sec. Ai viaggiatori successivi la cultura dell’isola non fu mai dissociata dalle sue bellezze. In seguito le posizioni negative inglesi furono modificate da altri connazionali come Acton che non vide nulla di così assurdamente tragico nel vivere al tempo dei Borbone. Non c’è dubbio che una pesante presenza britannica fu per molti anni Dicembre 2013 PAGiNA 5 LA NUOVA FENICE notata in Sicilia, e la presenza di lord Bentick non fu casuale, ma dettata da motivazioni del Foreign Office. La prima presenza britannica in Sicilia fu dovuta all’ammiraglio Horatio Nelson, che, dopo la vittoriosa battaglia di Abukin contro Napoleone Buonaparte ebbe «graziosamente» in dono la ducea di Bronte, assumendone il titolo. Negli stessi anni imprenditori vitivinicoli britannici come gli Inghan e Woodhouse, e poi i Whitaker, crearono di tipo di vino liquoroso entrato nella leggenda con nome di “marsala”. In realtà gli interessi economico-politici britannici furono vari e potenti, e durarono sino oltre la cosiddetta conquista del Sud ad opera di Garibaldi Inglesi, tedeschi e francesi letteralmente presero d’assalto la Calabria e la Sicilia e, nonostante le difficili e spesso inesistenti vie di comunicazioni, compirono epiche visite e lasciarono ponderosi documenti di viaggio. Circolava ai tempi dei Borbone un simpatico aneddoto sulla premura di Nelson per Palermo a proposito della sua difesa della città. Quando per un fatto di sangue nei confronti di alcuni turchi uccisi a Palermo, e comandante della flotta turca, la fonda a Palermo, voleva cannoneggiare la città, fu dissuaso nella dimostrazione di forza di Nelson. Ma, si diceva, il gesto umanitario dell’ammiraglio inglese fu dettato dalla paura di vedere ferita la sua amica Emma Hamilton allora Palermo e non dell’altruismo per i cittadini palermitani. Sicuramente dal punto di vista culturale il mondo britannico non aggiunse quasi nulla, tranne una serie di conoscenze tardive come fascino soprattutto di due autori Lord George Byron e si Walter Scott. Vincenzo Mortillaro a Palermo, oppure “Il giornale dell’agricoltore” che informava sulle ultime conquiste tecniche o nuovi sistemi di attività agricole come le sementi o gli innesti nuovi. Non dimentichiamo che la Sicilia era reduce dalla tristezza ondata di fillossera che distrusse completamente i vitigni e fu necessario il reimpianto. La prima cattedra di Economia Agraria, guarda caso, sorse a Il progresso editoriale invece si notò con le molte pubblicazioni e riviste di alto tono in vari campi del sapere. Il progresso editoriale invece si notò con le molte pubblicazioni e riviste di alto tono in vari campi del sapere. Ricordiamo a tale proposito riviste come “Il giornale di Scienze, lettere, e arti per la Sicilia” diretta da Palermo nel 1804 e ne fu titolare il famoso Paolo Balsamo, autore del testo” Viaggio in Sicilia e particolarmente nella Contea di Modica”, in cui venivano descritti, dal punto di vista agricolo, i luoghi all’incirca della provincia di Ragusa dei nostri giorni. L’impulso dato alle tre università siciliane fu grande e degno LA NUOVA FENICE Direttore responsabile: Antonio Di Janni Stampa a cura della Casa Editrice CE.S.T.E.S.S. via Catania, 42/B - Palermo Autorizzazione del Tribunale di Palermo n. 13 del 15.03.96 Casa Editrice CE.ST.E.S.S. Centro Studi Economici-Sociali Sicilia via Catania, 42/B - Tel. 091.6253590 - Fax 0917301720 PALERMO www.duesicilie.com e-mail: [email protected] di nota, in quanto la loro posizione culturale assunse legittimamente un ruolo leader nell’isola. L’esperienza culturale siciliana aveva anche avuto un momento particolare quando nel 1720 a Palermo Giovanni Battista Caruso aveva promosso la diffusione di due tavole di rame con monumenti scritti arabici. Essi erano una cronaca di Sicilia dell’827 al 963, che per la prima volta, come manoscritto della Cronaca di Cambridge, era stato invitato in terra siciliana nella traduzione di Thomas Hobwart. Tale documento fu ristampato a Palermo con annessa traduzione latina. Anche piccoli centri risentirono degli impulsi culturali e anche la lontana Ragusa Ibla vide il fiorire di uno scrittore locale con perfette conoscenza di inglese e francese, oltre al greco, ossia Giambattista Marini. Divenne un tocco di classe, in quegli anni, avere nella biblioteche private i libri di tre autori: le poesie di Byron, le Vite Parallele di Plutarco e qualche romanzo di Walter Scott. Gli intellettuali siciliani cominciarono così la loro stagione e non mancarono simpatiche figure di gente amena, come l’abate Vella che addirittura dava luogo a documenti arabi di un’era perfettamente incolto. Il marchese Natale scrisse addirittura un poema su Leibuiz. Ristorante » a cuccagna Palermo Quando la cucina diventa… Spettacolo! Via Principe di Granatelli, 21a - 90139 Palermo Tel. 091 58 72 67 - Fax 091 58 45 75 www.acuccagna.com • e-mail: [email protected] PAGiNA 6 Dicembre 2013 LA NUOVA FENICE Le università nel loro nuovo corso videro grandi progressi come a Catania che si arricchì inoltre di scuole tecniche per i fanciulli meno abbienti. Il principe di Cutelli fondò un collegio per mettere su culturalmente ventiquattro giovani di buona famiglia. Francesco Paolo Di Blasi propugnava nei suoi scritti l’esigenza di cui nuovo codice e la soppressione della primogenitura. A Palermo il marchese di Villabianca si dedicò a grandi studi E sempre nell’ultimo periodo vanno menzionati gli artisti Francesco Lojacono, Antonio Leto e Michele Cati, e lo scultore Benedetto Civiletti. Nella disamina citano pure Luigi Caprana, Mario Rapisardi e Giovanni Verga, anche se per poco in aura borbonica ma comunque in essa formatisi. La rinomanza dei luoghi del Regno delle Due Sicilie portò nella prima metà del Novecento anche viaggiatori dai lontani Stati Uniti d’America come antiquari come Columba, Mirabella, Landolina scopritore della Venere omonima di Siracusa. Nel campo musicale emerse Alessandro Scarlatti, nato a Trapani e deceduto a Napoli, e nell’ultimo periodo borbonico Vincenzo Bellini, e l’altro catanese Giovanni Pacini ed il palermitano Enrico Petrella. Nel campo letterario ci furono nomi come Giovanni Meli e poeta dialettale, Domenico Tempisi, e poeta satirico, Marianna Coffa Caruso la poetessa, Michele Amari autore della “Storia del Vespro Siciliano”, e “Storia dei Musulmani in Sicilia”, S. Attardi monaco scrittore. Importante incisore in rame fu Tommaso Aloisio Juvera, messinese e il pittore Salvatore Forte palermitano; poi ricordiamo il grande architetto G.B. Basile. Washinghton Irving, autore di un testo sui briganti meridionali ed il famoso Hermans Melville, autore di Moby Dick. Codesto infatti, venuto per guarire la sua depressione momentanea, rimase affascinato a Napoli da via Toledo da paragonarla alla Broadway della New York di quei tempi, ossia negli anni 1856-1857. L’opinione negativa di Gladstone, lentamente perdeva il mordente e l’Isola divenne un luogo di grande turismo internazionale e di teste coronate. A riprova di quanto esposto possiamo citare alcuni tra i più noti alberghi palermitani di inizio novecento, l’Hotel d’Angleterra a Piazza Marina, il Prince of Wales, l’Hotel Albion e il Madame de Montagne. Il palazzo Benso, in cui aveva alloggiato Goethe, divenne il Grande Albergo, il Trinacria ricordato anche nel romanzo “Il Gattopardo”. Il flusso di stranieri era anche favorito, oltre che dal clima, da alcune istituzioni di carattere scientifico che sorsero allora nell’isola unitamente agli studi delle Università. Si videro dunque due giardini botanici a Palermo e a Catania, ma il primo divenne oltremodo famoso perché si inseriva anche ne contesto delle splendide ville palermitane e della vicina Bagheria. Infatti il fascino delle dimore di Bagheria aveva assunto vaste proporzioni, tanto che la villa del Principe di Palagonia fu quasi una leggenda. Accanto ai giardini botanici e alle ville bisogna ricordare l’istituzione importantissima del cosiddetto “Bosco della Ficuzza” in territorio di Marineo (PA) ad opera di Ferdinando III, il primo esempio di conservazione e funzione dell’ambiente naturale con annessi allevamenti specializzati di animali domestici di gran pregio. Il bosco sorgeva su un territorio esteso per 1116,82 ettari, e divenne ben presto un modello molto lodato. Esso infatti, pur essendo un luogo preordinato per la caccia, assumeva nel contempo, mutatis mutandis, le caratteristiche di un’oasi ecologica in quanto le sperimentazioni animali assunsero proporzioni interessanti. Nel bosco della Ficuzza, secondo il progetto dell’architetto Marvuglia formatosi alla scuola del Vanvitelli con canoni classicisti, sorse uno splendido palazzo reale, residenza estive e luogo di caccia, una sorta di dimora legata al luogo, quasi come le antiche Adriamutherai dell’imperatore Adriano. Tutto il complesso divenne proprietà demaniale e fu stabilito come santo protettore San Isidoro Agricola. Si videro grandi armenti di bovini modicani e sciclitani, pecore e capre da Mistretta e da S. Cataldo e stalloni berberi come Turco e Philippstadt che diedero origine ai rinomati cavalli di sangue orientale in vari punti della Sicilia. Ricordiamo soltanto per il piacere della rievocazione che nel 1930 a Milano, nella Fiera Agricola Nazionale, gli esemplari arabi allevati nella frazione ragusana di S. Giacomo meritarono ben tre medaglie d’oro in campo nazionale. Per mantenere l’ordine e il rispetto sanitario nel complesso laboratorio della Ficuzza si riunirono le schiere di guardacaccia e veterinari che potessero egregiamente badare alle varie esigenze. E nel contesto della cultura nuova, in campo produttivo, nella sperduta Ragusa Ibla del tempo, fu costruita una filanda di cotone ad opera del barone Francesco Maria Arezzo di Donnafugata: un’azienda dove tra operai e carrettieri lavoravano circa ottanta persone. Un’altra iniziativa culturale Dicembre 2013 PAGiNA 7 LA NUOVA FENICE Il Prof. Tusa riceve la Medaglia Costantiniana da S.E. il Prefetto Gianfranco Romagnoli molto importante per l’epoca furono i compendi geografici, ossia delle pubblicazioni che fornivano una serie di ragguagli sulle consistenze abitative dei vari centri con notizie e dati di censimento, come ad esempio l’opera dell’Ortolani. Non fu quindi un caso che le guide del famoso Baedeker riportassero anche notizie su alcuni centri minori dell’…che avevano un dato particolare oppure per la presenza di personaggi in vista a livello extra-regionale. Nel campo dell’istruzione scolastica certamente i Gesuiti tenevano la supremazia, ma sia durante il loro splendore e dopo la loro cacciata, anche altri ordini come i Teatini avevano ottenuto grandi successi. Questi ultimi, infatti, col permesso dei sovrani provvedettero all’istruzione “dei giovanetti di seconda classe” e crearono nel 1737 a Palermo il Collegio della Concezione nel Palazzo del Principe di Lampedusa dietro la chiesa di Santa Cita. Sotto il regno di Ferdinando II, nonostante la brutta fama, furono aperte scuole pubbliche e anche scuole nautiche, proprio per consentire un flusso d’istruzione che non doveva rimanere privilegio di pochi eletti. Sicuramente non mancarono episodi di repressione nell’Isola, ma lo spirito del tempo non vedeva di buon occhio le grandi aperture all’innovazione, ma ciò non deve servire a valutare troppo negativamente l’intero periodo. E se volessimo dare un’ulteriore valutazione al mondo borbonico, bisogna per forza citare un aspetto del fenomeno del brigantaggio post-unitario, represso con un esercito guidato dal generale Cialdini di ben centoventimila uomini. Tra le varie componenti dei gruppi di briganti meritano una menzione autonoma quanti furono sostenitori nostalgici dell’an- cien regime, ben diversi dai malavitosi o dai grassatori comuni. Non fu un caso che tra le fila dei rivoltosi all’assetto sabaudo si trovarono militari di carriera come il famoso generale Borjes. Le luci e le ombre si susseguono nella storia, ma non bastano, nelle ricostruzioni le opinioni dei soli vincitori, essi hanno un interesse di parte che sovente offusca o modifica la realtà. E per concludere bisogna citare il grande Pirandello che notava con grande precisione e arguzia: alla luce dei falò le ombre degli sciocchi e degli intelligenti sono perfettamente uguali. Vincenzo Nuccio Il cav. Cacioppo riceve la Medaglia Costantiniana da S.E. il Prefetto Gianfranco Romagnoli PAGiNA 8 Dicembre 2013 LA NUOVA FENICE SIBILLA DI LILIBEO erso la punta estrema occidentale della Sicilia, in località Capo Boeo, si dice che lì vivesse la Sibilla Lilibetana, da alcuni identificata con la Cumana; si dice pure che dimorasse in una grotta posta alle pendici del promontorio, presso la città di Marsala in provincia di Trapani, dove anticamente era la colonia cartaginese di Lilibeo. L’antico nome presenta più interpretazioni: la prima potrebbe derivare da Lily, “acqua”, e da Beo, quindi da Eubei, abitatori prefenici del luogo, oppure sembra che il nome di quella colonia, fondata dai Cartaginesi, derivi invece dalla parola greca Lilybaion, dal significato “che guarda la Libia”, infatti la città era stata edificata proprio di fronte alla costa settentrionale dell’Africa, in antico chiamata Lybia. Per Esichio, storico e letterato bizantino, la parola Lylibeo era un termine onomatopeico dal significato di sorgente; secondo altri ancora, quella parola stava per “promontorio che guarda il luogo della prostituzione sacrale”, in quanto sopra il vicino monte Eryx (latino) o Eρuξ (greco) sorgeva la città omonima di Erice, fondata dagli Elimi, gente autoctona, o, secondo Tucidide, da esuli troiani. Questa città era conosciuta anche con il nome di “Lilubaion” in dialetto ionico e Liliboeum in lingua dorica, ma prima della sua fondazione in tempi preistorici sulla cima del monte veniva praticato un culto in onore della dea della fecondità, una dea madre locale, divinità primitiva che in seguito venne assorbita da altre portate dai coloni punici, greci e poi latini. Il risultato fu la costruzione di un tempio dedicato alla dea dell’amore, dove secondo un uso diffuso soprattutto tra le genti babilonesi, feni- V cie e assire, veniva praticato la prostituzione dalle ierodule, le schiave sacre della dea fenicia Astarte -Tanit, poi identificata con la greca Afrodite ed infine con la latina Venere. Le giovani donne, con la loro pratica in onore della dea, volevano propiziare la fertilità e la prosperità economica del loro tempio e della comunità alla quale appartenevano, assicurata dalle splendide offerte che i fedeli, i naviganti, i visitatori tutti usavano lasciare a loro per onorare la dea. Pure Cicerone, inviato come questore in quei luoghi negli anni 75-76 a. C., vedendo la colonia la definì una splendidissima civitas e ricordò nel processo contro Verre la presenza delle schiave sacre e dei tanti schiavi pubblici, che lavoravano nel tempio di Venere. grotta, posta attualmente a circa 5 metri di profondità sotto terra, ma in origine meno profonda (1,50 metri), da sempre era considerata sacra perché al suo interno sgorgava una sorgente dall’acqua miracolosa, capace di guarire le malattie e dare il dono della profezia a chi l’avesse bevuta. Data l’importanza dell’acqua come fonte di vita, vi sono teorie che collegano alla presenza di divinità femminili, come dee madri o ninfe, le sorgenti che si trovavano dentro strutture ipogee e che erano luogo di culto presso le popolazioni primitive. Queste divinità femminili, queste grotte sotterranee con le loro sorgenti, sono la testimonianza di una religiosità protostorica dell’Isola, dove, come nel resto del bacino mediterra- Adolfo de Carolis: Sibilla Si diceva anche, da parte dei locali, che invece la colonia di Lilybayon fosse stata fondata dalla Sibilla di Lilybeo, la sacerdotessa di Apollo, e che poi sopra di essa in seguito sarebbe sorta Marsala e proprio questa profetessa, creduta essere la vera Sibilla Cumana, una volta morta sarebbe stata sepolta nella grotta dove viveva. Quella neo, era molto praticata una devozione di tipo matriarcale alla quale, in seguito, si sono sovrapposte altri culti importati dalle nuove immigrazioni, le quali hanno così favorito il sincretismo religioso tra loro e le popolazioni autoctone. Infatti tra le nuove divinità importate dai Greci, oltre ad Afrodite, anch’ella una più antica dea Madre, vi fu pure Apollo, il quale portò con sé la sua sacerdotessa, ed il suo culto presto si diffuse tra le genti di Sicilia; ciò è testimoniato dalla presenza di molte statue e da mosaici, che raffiguravano il dio, tra i quali va ricordato quello che si trova nella Villa del Casale a Piazza Armerina; inoltre molti templi erano stati dedicati al dio, a Siracusa, a Selinunte ed ancora in altre località dell’isola e si pensa che anche a Marsala esistesse un tempio costruito in onore del dio dove la devozione verso di lui era profondamente sentita tanto che, a ricordo di essa, la città ha voluto che nel suo stemma civico fosse rappresentato Apollo con una lira tra le mani. Nulla esclude che presso la fonte di quel pozzo (così definito da Diodoro Siculo) fosse venerata prima una divinità femminile profetica e guaritrice, poi mutata nella Sibilla, la quale, secondo la tradizione oracolare apollinea, come tutte le altre sue profetesse, doveva prima purificarsi con l’acqua di una fonte, ritenuta miracolosa, e poi berla, perché solo così la sacerdotessa si veniva a trovare nella condizione necessaria per ricevere il dio dentro di sé e quindi dare i vaticini richiesti. Dicembre 2013 PAGiNA 9 LA NUOVA FENICE Una volta adempiuti tutti i riti iniziali, ella si poneva davanti l’ara di Apollo, che si crede si trovasse nella grotta, posta sotto al tempio del dio, e rispondeva alle domande dei fedeli. Ma al tempo stesso non è chiaro se questa Sibilla Lilybetana sia stata una persona reale, in carne ed ossa, o piuttosto una figura irreale, incorporea, quindi vista come uno spirito dalle doti profetiche e guaritrici presente in quell’acqua. Di questa sacerdotessa, al dunque, si sa molto poco, e sono giunte a noi solo vaghe notizie che affermano una sua esistenza, ma al tempo Marsala - Antro della Sibilla stesso queste sono poche ed insufficienti per conoscerla ampiamente; comunque questi racconti sono stati tali da accrescere il mistero e l’interesse intorno alla sua persona. Un racconto, che nasce nel tempo del mito, dice che Ulisse, giunto in Sicilia durante il suo lungo peregrinare, sia andato da lei per dissetarsi alla sua fonte e per interrogarla riguardo al suo futuro e su ciò che avveniva nella sua reggia. Prove storiche di queste credenze ve ne sono, come il ritrovamento di una moneta di bronzo di epoca romana, che su una faccia rappresenta un treppiede con un serpente avvolto intorno, entrambi simboli di Apollo, e sull’altra faccia il volto della Sibilla racchiuso in un triango- lo, la figura geometrica che rappresenta la Sicilia. La notizia storica più attendibile, che cita la Sibilla lilibetana, è fornita da Diodoro Siculo, lo storico del I sec., che, nella Biblioteca storica, XII, 14, 4, racconta dello sbarco in Sicilia, nel 409 a. C, presso Capo Boeo, di Annibale Magone, condottiero e re dei Cartaginesi, in guerra con i Greci di Selinunte per il dominio sull’isola; lo storico così scriveva: « … Annibale il Cartaginese portava le truppe sul promontorio di fronte alla Libia e poneva l’accampamento vicino al pozzo chiamato Lilibeo…» la cui acqua era utilizzata dai sacerdoti cartaginesi al seguito della spedizione. In seguito, in epoca storica, tra il II ed il IV secolo d. C., con l’avvento del cristianesimo, alcuni cristiani presero possesso del luogo e usarono il pozzo come fonte battesimale attribuendo anche essi alle acque della sorgente poteri salvifici, come prima avevano creduto i pagani. Così pure, tra il III ed il IV sec., il letterato romano Caio Giulio Solino, nelle Collectanae rerum memorabilum, II, 6; V7, ci informa dell’esistenza del sepolcro della veggente ricordando che «Lilybetano liIybeum oppidum decus est Sibillae sepulcro» (sul monte Lilibeo la citta di Lilibeo si fregia del sepolcro della Sibilla). Altre fonti, che attestano l’esistenza della grotta e della fonte, ci sono state lasciate in epoche diverse: nel V sec. dal vescovo di Marsala Pascasino, nel XIV sec. da Fazio degli Uberti, poeta didascalico fiorentino, nel XVI dal frate domenicano Tommaso Fazello, nella De Rebus Siculis, dal barone siciliano Arezio; e inoltre dagli storici siciliani il gesuita Ottavio Gaetani e l’abate Rocco Pirri, anch’essi vissuti tra il XVI ed il XVII sec. e poi ancora dal presbitero palermitano A. Mongitore (1663-1743) in La Sicilia ricercata nelle cose memorabi- Erice - Il Castello li, e dallo studioso J. Philippe D’Orville nel ‘700. Anche negli Opuscoli Palermitani, scritti da F. M. E. Gaetani, marchese di Villabianca, si legge che la città di Marsala era famosa perché la maga Sibilla aveva vissuto in una grotta posta sotto la chiesa di San Giovanni Battista e si specifica che «al centro della gotta sta il tanto celebrato pozzo, dalle cui acque, che tiene di salso, probabilmente bevea la Sibilla prima di proferire l’indovinamenti»; ancora è possibile, per chi si reca in quel luogo, veder sgorgare l’acqua di quella sorgente. il battesimo di Cristo nel fiume Giordano; così pure fu posta una statua del santo dentro la grotta e forse proprio sull’ara di Apollo. Ma, come riporta nell’800 il famoso storico ed antropologo siciliano Giuseppe Pitré nelle Feste Patronali in Sicilia, continuarono nei secoli i pellegrinaggi alla grotta per consultare la cara Sibilla che si credeva ancora presente in quel luogo, così le ragazze si recavano alla vigilia della festa del santo, nel rito dello scutu (ascolto), per chiedere a lei se si sarebbero sposate, le donne maritate se i mariti erano fedeli e i malati per curarsi tuffandosi tre San Giovanni Nel 1576 sul posto venne edificata dai Gesuiti una chiesa dedicata a S. Giovanni Battista, il quale era stato un personaggio biblico legato pure lui alla profezia e all’acqua, avendo praticato volte nell’acqua e invocando il nome del Padre, del Figlio e del Santo: così si fondevano insieme le due religiosità, quella pagana con quella cristiana. Carla Amirante PAGiNA 10 Dicembre 2013 LA NUOVA FENICE ROSA, PROFUMO DI SANTITÀ: ROSALIA E ROSA DA LIMA olteplici sono i significati della rosa nel linguaggio dei fiori, e variabili a seconda del colore: viene subito alla mente la rosa rossa, notoriamente simbolo della passione d’amore. Ma questo fiore, con il suo profumo intenso e delicato insieme, può assumere un altro significato: quello della santità. Ne è esempio Santa Rosalia, che nell’inno a lei dedicato viene definita “Rosa fulgida che dolce olìa”. Di Santa Rosalia, nel cui nome alla rosa si unisce il giglio, ho avuto modo di parlare in miei precedenti articoli nei quali riferivo delle opere letterarie, teatrali e poetiche, a lei dedicate nel Seicento: dal dramma sacro La Rosalia del Gesuita siciliano P. Ortensio Scammacca alla commedia La mejor flor de Sicilia: Santa Rosolea di Agustin de Salazar, drammaturgo spagnolo del Secolo d’oro, ai tre poemi del palermitano Pietro Fullone, meglio noto come Petru Fudduni. In questa sede, però, al fine di istituire poi un parallelo tra queste due sante, intendo parlare innanzitutto di un’altra rosa dal forte profumo di santità: Santa Rosa da Lima, M patrona dell’America, anche lei protagonista di una commedia spagnola di Agustin Moreto Santa Rosa del Peru (1699) in quanto appartenente a quello stesso mondo dell’Hispanidad, stabilitosi tra le due sponde dell’Oceano, che accomuna la Sicilia con l’America latina e che, riscoprendo e valorizzando la figura della Santa normanna, la inserì saldamente nel proprio universo. Rosa appartiene a quella schiera di santi, in un primo tempo, come lei, di famiglia spagnola ma in seguito anche meticci ed indios, che fiorì nel Perù tra il Cinquecento e il Seicento, all’indomani della Conquista e della cristianizzazione di quel grande Paese. Figlia di un hidalgo spagnolo, fu cresimata, al pari del futuro santo meticcio Martino de Porres, da un’altra grande figura di santità, l’arcivescovo di Lima Toribio de Mogrovejo, promotore della pubblicazione, in Perù, del catechismo in spagnolo, quechua e aymara e fondatore a Lima, nel 1591, del primo seminario di tutta l’America Latina. Fu lo stesso Mogrovejo a convocare e presiedere il terzo Concilio di Giuseppe Velasquez: Santa Rosalia, XVIII sec. Lima, che segnò l’applicazione in America dei deliberati del Concilio di Trento. La commedia di Moreto ci narra come, per aiutare la sua famiglia caduta in miseria, la giovane si dedicò al lavoro manuale. ma poi, rispondendo alla chiamata di Cristo, decise di ritirarsi lontana dal mondo, vivendo in solitudine rinchiusa in un padiglione del suo giardino, dove si sottopose a ogni forma di privazione del cibo e del sonno e alle più severe discipline, confortata da apparizioni di Gesù e di Maria Bambina. Un servitore fatuo, sciocco e un po’ gaglioffo, la tipica figura del gracioso della commedia aurisecolare spagnola, eletto da lei quale inflessibile guardiano per filtrare le rare visite del suo direttore spirituale, finì sull’esempio della santa per indirizzarsi sulla via della santità. Ugual sorte toccò al fidanzato di Rosa, che lei aveva rifiutato per divenire sposa di Cristo: questo giovane nobile e ricco, che avrebbe potuto sollevare la famiglia della fidanzata dalla povertà, dopo aver tentato di violentarla per istigazione del demonio che voleva farla recedere dalla sua scelta, si pentì e scelse anche lui il cammino della santità. Estenuata dalle privazioni, Rosa Dicembre 2013 PAGiNA 11 LA NUOVA FENICE Rosa da Lima morì ancora molto giovane e, appesa in ginocchio ai rami, a forma di croce, di un albero del suo orto, venne elevata in cielo, dove fu accolta da Gesù, daMaria e dalla sua protettrice Santa Caterina. Le comedias de santos, nel teatro spagnolo aurisecolare, procedono un po’ per schemi fissi: ma a prescindere da ciò e dalla comune appartenenza degli autori Salazar e Moreto alla scuola calderoniana, nelle due commedie sopra citate risulta evidente il parallelismo, tra la biografia (fantastica) di Santa Rosalia e quella posteriore di Santa Rosa da Lima. Entrambe bel- Toribio Mogrovejo le e destinate a un ricco matrimonio, che rifiutano per amore di Cristo; entrambe votate al- l’eremitaggio e a una vita di privazioni; entrambe sostenute nei momenti difficili da teofanie ed apparizioni angeliche; entrambe tentate invano dal demonio; entrambe morte in giovane età ed assunte in cielo con grande edificazione spirituale dei presenti. E’ in forza di queste forti analogie, sottolineate anche dall’iconografia che le raffigura entrambe coronate di rose, e della comune appartenenza al mondo dell’Hispanidad, che possiamo affermare che Rosalia e Rosa sono due fiori del paradiso ispanico. Gianfranco Romagnoli LE FONTANELLE DIMENTICATE redo che potrei riconoscere le fontanelle della mia città anche se ne sentissi soltanto l’odore. Ricordo perfettamente che quando da bambino mi inchinavo per bere dal piccolo rubinetto d’ottone percepivo un odore particolare emanato da queste fontanelle, sicuramente dovuto all’interazione dell’acqua con il particolare metallo di cui sono costituite. E’ strano come gli odori entrino a far parte della nostra memoria, rievocando con vivida lucidità le cose a cui gli odori stessi appartengono. Quel ricordo è rimasto impresso forte nella mia memoria, ed C ancora più forte quello della soddisfazione che provavo nel dissetarmi, magari dopo una partita al pallone, o semplicemente rifocillandomi durante una di quelle tipiche giornate assolate che la nostra terra offre nelle stagione più calde. Oggi i nostri ragazzi non la cercano neanche la fontanella, sicuramente perché non l’hanno mai conosciuta, e noi grandi ce la siamo dimenticata. Eppure, ne sono sicuro, chi viene da fuori a trovarci, intendo il turista, di certo troverebbe gradevole chinarsi a bere un sorso d’acqua da una di queste fontanelle, magari opportuna- mente collocate dalla nostra Amministrazione lungo le arterie principali della Città. Sono certo che anche il turista legherebbe indissolubilmente ai propri ricordi l’odore tipico che emanano queste fontanelle alla nostra Città, magari dicendo: “E’ vero, a Palermo fa un grande caldo d’estate, ma puoi rinfrescarti in quelle fantastiche fontanelle di cui la Città è disseminata”. Con il sogno che questa diventi una Città a vocazione turistica. Gasperino Como PAGiNA 12 Dicembre 2013 LA NUOVA FENICE IL NATALE BORBONICO l Natale a Casa Borbone ha rappresentato sempre un momento fondamentale dell’anno reale. La dinastia regnante un pò per spirito religioso, un pò per inserirsi nel solco della tradizione natalizia partenopea ha riservato un’attenzione speciale alla festa più attesa. La notte di Natale d’obbligo era la Santa Messa nella Cappella Reale Palatina della reggia di Caserta, che fu tra l’altro inaugurata proprio la notte di Natale del 1784. Veniamo ora agli addobbi natalizi. Per molto tempo, la tradizione dell’albero di Natale rimase tipica delle regioni a nord del Reno. I cattolici la consideravano un uso protestante. Furono gli ufficiali prussiani, dopo il Congresso di Vienna, a contribuire alla sua diffusione negli anni successivi. A Vienna l’albero di Natale apparve nel 1816, per volere della principessa Henrietta von NassauWeilburg, ed in Francia nel 1840, introdotto dalla duchessa di Orléans. Nel Regno delle Due Sicilie tale uso subentrò quindi successivamente e raggiunse proporzioni consumistiche solo agli inizi del Novecento (sotto l’egida piemontese). I Borbone dunque non applicarono mai tale uso. Il presepe invece era un vero pallino per i Borbone, più per Carlo e per Francesco I che fu addirittura un collezionista del genere. All’allestimento del presepio partecipava l’intera corte, non solo artisti e artigiani che realizzavano le statuine, ma anche dame di corte e principesse che si interessavano del confezionamento degli abiti eseguito dalle sarte più abili della manifattura reale. Il presepe reale era allestito in una sala ellittica all’interno della Reggia di Caserta. Questi presepi immortalavano i fatti dell’epoca, come il ritrovamento di Pompei e Ercolano (la prima campagna di scavo avvenne fra il 1738 e il 1765 sotto il patrocinio di Carlo di Borbone, strano dunque che l’attuale ammi- I nistrazione comunale nomini un erede Savoia come ambasciatore di Pompei nel mondo...), nonchè i cortei e le feste principesche. Oggi il presepe della Reggia è stato restaurato di recente, dopo che la maggior parte dei pastori era stata trafugata: quelle oggi visibili sono le statuine che appartenevano a Ferdinando II. zuppe: una di purè d’erbe; una di polpette all’Allemanda; una di barrone con maccheroni. «Due rilievi»: uno di culardos (voce popolare per coscia), con capponi e lingua in allesso con aspò (aspic) e uno composto di un arrosto di piccioni e grigliata con beccacce, beccaccine, tordi e salsicce. Sei entrate: una di pasticcetti di Sar- I Borbone quindi favorirono sempre l’antica tradizione presepiale napoletana. Come da tradizione infatti le figurine erano realizzate parte in terracotta, teste mani e piedi, mentre l’anima era in stoppa e fil di ferro. Venivano realizzati veri e propri progetti: l’ultimo fu del 1844, e l’attuale presepe presente alla Reggia si ispira proprio a quel progetto. Il giorno di Natale l’augusto sovrano partecipava con la famiglia reale al pranzo natalizio presso la sala da pranzo della reggia di Caserta. Il menù di Natale consumato dalla famiglia reale in forma privata il 25 dicembre del 1827, sotto il regno di Francesco I (oggi conservato nell’archivio della Reggia di Caserta) fu un pranzo molto intimo e meno pomposo del solito. Due anni prima infatti era morto (nel gennaio del 1825) il padre Ferdinando I di Borbone e quindi non ci furono grandi ricevimenti per quelle festività. Nonostante ciò il pranzo di Natale fu di tutto rispetto. Il menù era così composto: tre no alla tedesca, uno di papigliotte (filetti ndr) di beccaccine alla Pericord, uno di granatine di petti di gallote con ragù di piselli; uno di lattarole (animelle ndr) alla macedonia con ragù alla Tolosa; uno di gelatina di portogalli (aranci); una canestrina di pasticcerie ed amarenghe secche alla crema. Solo per Sua Maestà; una di tinche bollite; una di cardi con salsa gialla (maionese); uno de gamberi di Sarno alla finisserbe (fines-herbes); una di carciofi alla Lionese; una di capitoni arrostiti. Il Natale borbonico dunque mescolava tradizione, regalità, religiosità e sobrietà. Il nostro Natale é invece una strana alchimia commerciale che poco ha ancora di senso religioso, poca sobrietà e sempre meno tradizione. Ecco che la crisi economica che tanto ci fa penare diventa occasione per riscoprire le nostre radici, per rendere di nuovo genuino ciò che é stato sofisticato ed edulcorato dalla vacua modernità del 2013, dalla globalizzazione che sempre più diventa “americanizzazione” di usi e costumi in realtà plurisecolari, in realtà nostri da sempre. Che il Natale 2013 possa essere un vero Natale borbonico: tradizionale, regale, religioso e sobrio. Francesco Paolo Guarneri