UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’EDUCAZIONE E DELLA FORMAZIONE CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA DELL’EDUCAZIONE E DELLA LETTERATURA PER L’INFANZIA CICLO XXIII FORMAZIONE ED ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE MEDICA A ROMA E NELLA MARCA FERMANA NEI SECOLI TUTOR Chiar.mo Prof. Roberto Sani XVII - XVIII DOTTORANDO Dott.ssa Fabiola Zurlini COORDINATORE Chiar.mo Prof. Roberto Sani ANNO 2011 INDICE Introduzione I - VII CAPITOLO I p. 1 UNIVERSITÀ E FORMAZIONE MEDICA IN ITALIA ED EUROPA IN ETA’ MODERNA: I CENTRI DI ECCELLENZA p. 5 1.1 Formazione medica in Età Moderna: “ anatomia” di un centro di eccellenza p. 12 1.2 L’ Università di Padova: centro di eccellenza per l’anatomia nel XVI secolo p. 23 1.3 William Harvey e l’eccellenza dello studio della fisiologia tra Londra ed Oxford nel XVII secolo p. 38 1.4 Herman Boerhaave e Leida: centro di eccellenza per una nuova pedagogia medica p. 45 1.5 Parigi nel XVIII secolo: centro di eccellenza per la chirurgia p. 51 1.6 Montpellier nel XVIII secolo: il rigore dell’eccellenza della formazione medica CAPITOLO II p. 57 FORMAZIONE E PROFESSIONE MEDICA A FERMO E NELLA MARCA FERMANA NEI SECOLI XVII-XVIII p. 68 2.1. Lo Studio fermano e la medicina nei secoli XVII – XVIII p. 69 2.2. I Maestri e le Cattedre p. 87 - Tabella 1, Lettori di Medicina allo Studio di Fermo, secoli XVII – XVIII p. 89 2.3. Lo Studio e la medicina: organizzazione della didattica p. 103 2.4. Lo Studio, il Collegio Medico ed il Protomedicato: dalla formazione alla professione medica p. 109 Tabella A, Il Collegio Medico di Fermo (secoli XVII – XVIII) 1 p. 113 Tabella B, I Priori del Collegio dei Medici e Filosofi di Fermo (1636 – 1658) p. 116 Tabella C, I medici condotti del Collegio di Fermo (secoli XVII – XVIII) p. 130 2.5. La chirurgia nella Marca di Fermo: tradizione, scienza e pratica p. 142 2.6. La cultura dell’assistenza e gli ospedali della città di Fermo p. 151 2.7. Lo Studio e la Pubblica Libreria fermana p. 163 2.8. Lo Studium Firmanum in Età Moderna : un’ università “minore” o un centro di eccellenza per la formazione medica? CAPITOLO III DA FERMO A ROMA: FORMAZIONE ED ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE MEDICA DALLO STUDIUM FIRMANUM ALLO STUDIUM URBIS p. 181 3.1 I medici “marchiani” e fermani a Roma: clientele, carriere e privilegi p. 189 3.2 Medici e Lettori fermani allo Studium Urbis p. 206 3.3 Studiare Medicina alla Sapienza: curricula e contenuti dell’insegnamento medico p. 236 3.4 Formazione ed esercizio professionale a Roma e nello Stato Ecclesiastico nel XVII secolo: l’introduzione della matricola p. 243 3.5 Lo Studio di Fermo e il Collegio Medico Romano: matricola ed esercizio della professione medica p. 263 Tabella n. 1, Lettori di medicina, filosofia, anatomia, chirurgia e botanica dello Studium Urbis nei secoli XVII – XVIII originari della Marca Fermana (1615 – 1790) P. 272 BIBLIOGRAFIA 2 Introduzione “Scientists are not born, they are made” scrive David Kaiser nell’introduzione del suo ultimo lavoro edito sulle prospettive storiche e contemporanee della pedagogia e pratica della scienza1 dove evidenzia la carenza di attenzione scientifica prestata alla centralità della pedagogia nelle professioni scientifiche moderne. Facendo eco a quanto sopra, in riferimento al presente lavoro di ricerca è opportuno aggiungere “Professionals – especially the medical ones - are not born; they are made too”. L’ affermazione intende concentrare l’attenzione sulla carenza generale di studi dedicati alla storia della professione medica in età moderna – lacuna particolarmente evidente nella bibliografia italiana, fatto salvo un numero davvero esiguo di studi editi2 – , evidenziando anche tutta la complessità dell’argomento. La storia della professione medica in età moderna, ed in generale delle professioni, impone un’indagine in molteplici direzioni: formazione e insegnamento del corpo di base di conoscenze di una professione, i luoghi ed i protagonisti della formazione, le fasi di istituzionalizzazione del processo formativo, le implicazioni sociali che la dimensione professionale comporta in termini di identità di un gruppo e del suo agire, le interazioni tra professione e progresso delle conoscenze. Sono solo alcuni dei tanti aspetti su cui uno studio attento della professione medica in età moderna deve indagare. Sulla base di tali premesse si giustifica la scelta del tema di ricerca del presente lavoro che, proprio dal confronto, tra due dimensioni molto diverse- quella fermana e quella della David Kaiser (edited by), Pedagogy and the practice of science: historical and contemporary perspectives, Cambridge Massachusetts, Massachusetts Institute of Technology, 2005, pp. 1-8. 2 Si citano di seguito alcuni dei principali studi editi in Italia sull’argomento per l’età moderna: Maria Luisa Betri – Alessandro Pastore, Avvocati, medici, ingegneri: alle origini delle professioni moderne (secoli XVI – XIX), Bologna, Clueb, 1997; Dino Carpanetto, Scienza e arte del guarire : cultura, formazione universitaria e professioni mediche a Torino tra Sei e Settecento, Torino, Deputazione di Storia Patria, 1998; Alessandro Pastore – Marco Meriggi, Le regole delle professioni: sec. 15. – 19., Milano Franco Angeli, 2000; Alessandro Pastore, Le regole dei corpi: medicina e disciplina nell’Italia Moderna, Bologna, Il Mulino, 2006; Formare alle professioni: figure della sanità (a cura di) Monica Ferrari e Paolo Mazzarello, Milano, Franco Angeli, 2010 (Storia pedagogica delle professioni, a cura di Egle Becchi e Monica Ferrari; 2). 3 1 capitale romana tra Seicento e Settecento - , intende far emergere per analogia e per contrasto, gli aspetti generali a cui sono improntate la formazione e la professione medica. La storia locale come quella nazionale, spesso, si presenta particolarmente ricca di lavori dedicati ad una singola istituzione formativa e professionale medica – un’università, un ospedale, un collegio medico, una biblioteca medica -, ma senza che emerga in essi il senso ed il significato della professione medica e soprattutto la sua natura essenzialmente dinamica. Nessun’altra professione, al pari di quella medica, coinvolge in maniera così estesa e pervasiva l’intera società di ogni tempo; l’obiettivo dei medici è stato da sempre quello di accrescere la loro efficacia, influenza sociale e clientela, ben al di là della famiglia e del gruppo sociale di appartenenza. Vale la pena richiamare qui i concetti di medicalizzazione e demedicalizzazione, molto usati, soprattutto dagli storici contemporanei della medicina3, applicando il primo in particolare all’età moderna. A partire dal XVI secolo il corpo professionale medico utilizza modelli relazionali propri del suo contesto, per esercitare un crescente controllo sociale sulla popolazione. Il processo ha come premessa il riconoscimento e l’identificazione della classe medica sul piano sociale attraverso la costituzioni di collegi, gruppi che si autoregolamentano nella tutela di interessi professionali comuni, fenomeno a cui si assiste nella penisola ed in Europa tra XVI e XVII secolo. Il processo di formazione dei collegi medici ed il loro ruolo di controllo professionale sono stati messi in evidenza nel presente lavoro, per quanto riguarda Fermo e Roma, evidenziando gli inevitabili conflitti che tale processo implica, soprattutto nelle modalità di esercizio del potere. Il caso dell’introduzione della matricola, affrontato nel capitolo terzo, che alimenta per circa due secoli aspre polemiche e conflitti tra Roma e Fermo, evidenzia quali e quanti interessi, economici, sociali, politici e culturali, fossero sottesi alla dominanza di un gruppo professionale su un territorio ed alle dinamiche di controllo sociale. John Burnham, What is Medical History, Cambridge, Polity Press, 2005, si veda in particolare il paragrafo “A General Framework: Medicalization vs Demedicalization”, pp. 6 – 9. 4 3 Il lavoro di ricerca impone anche una riflessione su cosa esattamente si intenda in età moderna per formazione e professione medica. Un aspetto da evidenziare è che, per quanto riguarda i medici, in quel momento storico il termine professione non sta necessariamente ad indicare la competenza: non a caso tutti i provvedimenti e le misure adottate sia dalle istituzioni governative, sia dagli stessi collegi medici vanno nella direzione di garantire la competenza attraverso adeguata formazione universitaria e tirocinio pratico. In età moderna l’idea di professione medica si associa piuttosto ad una collettività che si autoidentifica ed è identificata sul piano sociale attraverso la pratica e la stessa vocazione medica.4 Un altro nodo interpretativo da sciogliere riguarda il ruolo della formazione nella professione medica in età moderna: se il significato della professione medica viene legato principalmente alla sua dimensione sociale, il momento formativo viene riassorbito nella dimensione intellettuale della storia della medicina come storia delle idee ed i suoi contenuti, scevri delle modalità pedagogiche di trasmissione, vengono visti e ricompresi nell’insieme del corpus di conoscenze mediche. Solo la storiografia medica ottocentesca di area germanica ed in particolare Theodor Puschmann a Vienna nel suo celebre saggio5 processo di professionalizzazione lega il - ed in particolare la fase segnata dall’introduzione della licenza come momento di autorizzazione formale all’esercizio della pratica medica-, alla crescita dell’istruzione medica formale6. L’attenzione dello studioso è concentrata soprattutto sull’importanza del curriculum formativo dei medici e su come esso evolva attraverso i secoli. L’opera John Burnham, How the concept of profession evolved in the work of historians of medicine, «Bullettin of the History of Medicine», 1, 1996, pp. 2 -3. L’articolo è stato ampliato ed edito da J. Burnham col titolo How the Idea of profession changed the writing of medical history, come numero speciale di «Medical History», Supplement n.18, 1998, pp. 1 – 195. 5 Theodor Puschmann, A History of Medical Education from the Most Remote to the Most Recent Times, translated and edited by Evan H. Hare, London, H.K. Lewis, 1891. L’edizione inglese del 1891 si basa su quella originale Theodor Puschmann, Geschichte des midizinischen Unterrichtes von den ältesten Zeiten bis zur Gegenwart, Leipzig, Veit, 1889. 6 Si veda il recentissimo saggio di Vivian Nutton, The Puschmann legacy: medical history and the history of medical education, in corso di pubblicazione nel volume degli Atti della 38. Tornata degli Studi Storici dell’arte medica e della scienza sul tema “La formazione del medico in Età Moderna (secoli XVI – XVIII)”, Fermo, Palazzo dei Priori, 20- 22 maggio 2010, a cura di Roberto Sani e Fabiola Zurlini, presso Macerata, Edizioni Università di Macerata. 4 5 di Puschmann si colloca, non casualmente, in un contesto particolare come quello di fine Ottocento in cui il corpo medico è impegnato un po’ ovunque in Europa, in dispute e movimenti associazionistici per il riconoscimento di diritti legati allo status professionale. Oltre a Puschmann va evidenziata l’opera di Johann Hermann Baas il quale si occupa nella suo volume edito nel 18767, circa una decina di anni prima di quello di Puschmann, anche di storia della professione medica. Particolarmente interessante è il modo in cui Baas struttura i capitoli dell’opera: accanto alla biografia dei grandi medici inserisce schede supplementari in cui descrive, sulla base dell’epoca di riferimento del personaggio medico preso in esame, anche le condizioni sociali della professione medica, concentrando l’attenzione sugli aspetti istituzionali e legali che ne regolano l’esercizio. E’ una novità importante che prelude a nuove aperture per la storia della medicina. Difatti i concetti di formazione e professione introducono una prospettiva nuova per gli storici della medicina che, fino alla fine del XIX secolo, si riconoscono principalmente in due correnti di ricerca: quella “iatrocentrica”8, basata sulla eccezionalità di grandi medici e di grandi scoperte, e quella filosofica in cui la storia della medicina viene sostanzialmente intesa come storia intellettuale del pensiero medico9. Chiaramente l’introduzione di questi concetti nella storia della medicina ed il desiderio di ricercare nuovi approcci che andassero oltre i confini delle due correnti sopraindicate, aprirono nel XXI secolo le porte alla social history10 ed anche ai rapporti stretti tra storia 7 Johann Hermann Baas, Outlines of the History of medicine and the medical profession, translated and edited by H. E. Handerson, New York, J. H. Vail, 1889. L’edizione inglese del 1889 si basa sulla traduzione dell’edizione originale tedesca Johann Hermann Baas Grundriss der Geschichte der Medicin und des heiligen Standes, Stuttgart, Ferdinand Enke, 1876. 8 Questa tradizione di studi concentrata sulle figure dei grandi medici si deve a Kurt Polykarp Joachim Sprengel (1766 – 1833) botanico tedesco, laureatosi in medicina nel 1797 presso l’università di Halle ed autore dell’opera Versuch einer pragmatischen Geschichte der Arzneikunde, Halle, Johan Jacob Gebauer, 1792 – 1803, voll. 5.. Si veda Guenter B. Risse, voce “Sprengel, Kurt Polycarp Joachim”, in, Dictionary of Scientific Biography, New York, Charles Scribners Sons, 1975, vol. 12, pp. 591-592. 9 Questa tradizione ottocentesca continua nel Novecento e trova espressione in saggi considerati classici per la storia della medicina come la monumentale opera a cura di Mirko Drazen Grmek, col coordinamento di Bernardino Fantini, Storia del pensiero medico occidentale, Roma - Bari, Laterza, 1993 – 1998, voll. 3. 10 Sugli autori e sulle tendenze della scuola italiana di social history nel dopoguerra si veda: Nelli -Elena Vanzan Marchini, Surveys of Developments in the Social History of medicine: II Italian Scholars and the Social 6 della medicina e sociologia, discipline che per diversi anni del Novecento mutuarono l’una dall’altra concetti e criteri interpretativi. Gli storici della medicina si accorsero che la storia della professione medica intesa soprattutto nelle sue implicazioni sociali, fino ad allora era stato un soggetto negletto. Senza entrare in questioni complesse come quelle relative ai rapporti tra la storia della medicina, la sociologia e la social history nel Novecento che necessiterebbero di ben altri spazi ed approfondimenti, ciò che si vuole sottolineare qui è che, nelle ricerche sociologiche sui processi di professionalizzazione, la professione medica è da sempre stata considerata il modello per definizione, proprio perché nella sua evoluzione attraverso i secoli, si presta ad una scansione evidente delle fasi in cui si articola lo sviluppo della professionalità. Benché gli storici delle professioni in generale e gli storici della medicina si avvantaggiarono inizialmente dall’uso di concetti sociologici, ben presto ne cercarono l’indipendenza. Alcune applicazioni di concetti sociologici alla ricerca della storia della professione medica furono anche originali e interessanti nelle loro soluzioni, ma altri furono opinabili sul piano scientifico, come negli esempi di seguito illustrati: il medievalista Vern Bullough, nel tentativo di individuare le modalità applicative di alcune categorie sociologiche a supporto della ricerca storico-medica, nel caso dell’origine della professione medica, giunse alla conclusione che l’inizio del processo di professionalizzazione medica fosse sostanzialmente segnato dalla nascita della scuole di medicina nelle università medievali11. L’ insegnamento medico si istituzionalizza attraverso le università ed è da quel momento che la medicina si definisce come professione. Il risultato è sicuramente interessante ma non immune da limiti sul piano scientifico: un certo “presentismo” secondo il quale Bullough fa ricorso a conoscenze correnti della sociologia della medicina – ovvero cosa nel XXI secolo definisce la professione medica in senso moderno – applicate alla storia della medicina del Medioevo, per trarne un risultato History of Medicine, 1960 – 1990, «Social History of Medicine: The Journal of the Society for the Social History of Medicine», 1/4, 1991, pp. 103 – 115. 11 Si veda Vern L. Bullough, The Development of Medicine as a Profession: the contribution of the Medieval University to Modern Medicine, Basel, S. Karger, 1966. 7 storicamente fondato; il limite di tale processo è ben evidenziato dalle critiche mosse dallo storico della medicina Vivian Nutton che definisce del tutto anacronistico il tentativo di applicare ai suoi studi sulla medicina militare in epoca romana, una lettura sociologica moderna sulle organizzazioni formali e non12. Su questa base, fu solo nel 1980 che lo storico della medicina Toby Gelfand13, occupandosi nelle sue ricerche, come è stato evidenziato nel primo capitolo del presente lavoro, della storia della professione medica in Francia nel Settecento -ed in particolare del processo di unificazione tra professione medica e chirurgica in età moderna-, dimostrò che era possibile utilizzare fonti storiche, in maniera rigorosa, per documentare il processo di professionalizzazione medica, senza incorrere in anacronismi. Dagli anni ‘Ottanta, dunque, gli storici della medicina hanno cominciato a sviluppare la storia della professione medica, in maniera autonoma dalla sociologia, ma con chiare aperture su tutte le discipline storiche. La professione medica non viene più messa in esclusivo rapporto di dipendenza nella sua evoluzione storica dai mutamenti ed i progressi del pensiero medico, mentre l’accento viene posto dalle ricerche in senso contrario: la nascita di nuove idee scientifiche proprio dalla pratica medica e la continua interazione tra formazione ed esercizio pratico nell’evoluzione della professione medica e delle sue conoscenze di base. Nel primo capitolo del presente lavoro che traccia una panoramica della formazione medica d’eccellenza in Europa, si è posto intenzionalmente l’accento su questa interazione: ne è Vivian Nutton, Medicine and the Roman Army: a further reconsideration, «Medical History», 13, 1969, pp. 260 -270. 13 Si indicano di seguito solo alcuni degli scritti principali di Toby Gelfand: Professionalizing Modern Medicine: Paris Surgeons and Medical Science and Institutions in the Eighteenth Century, Westport, Conn, Grenwood Press, 1980; The “Annales and Medical Historiography: Bilan et perspectives, in, Roy Porter – Andrew Wear (edited by), Problems and Methods in the History of Medicine, London- New York-Sidney, Croom Helm, 1987; The History of Medical Profession, in, Companion Encyclopedia of the History of Medicine, London, 1993, vol. 2, pp. 1119 – 1150; si veda anche il recentissimo saggio di Toby Gelfand, Paris: “certainly the best Place for learning the practical part of Anatomy and Surgery, in, Ole Peter Grell - Andrew Cunningham -Jon Arrizabalaga (edited by), Centres of Medical Excellence? Medical Travel and Education in Europe, 1500 – 1789, Farnham-Burlington, Ashgate, 2010, pp. 221 – 245. 12 8 l’esempio massimo il contesto in cui matura la scoperta della circolazione del sangue, un contesto in cui la formazione medica ricevuta da William Harvey presso lo studio padovano interagisce con l’esercizio professionale e con la pratica ospedaliera, nel percorso di ricerca che giunge a quella che universalmente riconosciuta, come la scoperta più importante della storia della medicina dell’età moderna. Questo filo rosso ha guidato l’elaborazione degli altri capitoli, basata sullo studio di fonti, in gran parte manoscritte ed archivistiche, con l’obiettivo di ricostruire pagine inedite della storia della formazione e della professione medica tra Fermo e Roma in età moderna. L’intero lavoro intende dimostrare come, nella storia della professione medica, le direttrici da seguire possano essere diverse, ma come debbano necessariamente intersecarsi. E ciò anche sulla base delle tendenze “eclettiche” che connotano gli storici della medicina – e della professione medica - a partire dagli anni Novanta: lo stesso concetto di professione medica ed in generale molti altri temi sono stati approcciati da metodi quantitativi, qualitativi, linguistici14 nella crescente consapevolezza scientifica che la storia della medicina si configura per sua natura come storia dei saperi e che, mai come oggi, essa è alla ricerca di prospettive scientifiche, in grado di guardare al passato da differenti angolazioni. In questa apertura va ricercato il futuro della storia della medicina e la sua evoluzione come disciplina sempre più dinamica e critica15. In ciò risiedono anche le motivazioni e le finalità che hanno stimolato la nascita di questo progetto di ricerca. Sulla varietà dei metodi e degli approcci riscontrabili nella storia della medicina a partire dagli anni Novanta, si veda Roy Porter – Andrew Wear (edited by), Problems and Methods in the History of Medicine, London, New York, Sidney, Croom Helm, 1987 ed in particolare i saggi in esso contenuti di Toby Gelfand, Guenter B. Risse and Andrew Wear. Per il metodo linguistico si veda il recente saggio di Willem de Blécourt – Cornelie Usborne, Medicine, mediation and meaning, in, Willem de Blécourt – Cornelie Usborne, (edited by), Cultural Approaches to the History of Medicine: mediating medicine in Early Modern and Modern Europe, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2004, pp. 1 – 10. 15 Bill Luckin, The Crisis, the Humanities and Medical History, «Medical History», 3/55, 2011, pp. 283 – 287. 9 14 CAPITOLO I UNIVERSITA’ E FORMAZIONE MEDICA IN ITALIA ED IN EUROPA IN ETA’ MODERNA: I CENTRI DI ECCELLENZA Premessa Nei decenni trascorsi si è assistito ad un interesse crescente verso lo studio della storia della comunità medica nei differenti Paesi Europei in età moderna16: ciò ha comportato la positiva ricostruzione di un quadro generale sullo stato della pratica medica attraverso lo studio delle istituzioni in essa coinvolte – università, collegi di medici, chirurghi e speziali, ospedali –, quadro che può rappresentare l’utile premessa ed il punto di partenza per indagini storiche più approfondite sulla formazione medica. Molto scarsa ad oggi la letteratura storiografica David Gentilcore, Healers and Healing in Early Modern Italy, Manchester, Manchester University Press, 1998; Michael E. Burke, The Royal College of San Carlos : surgery and spanish medical reform in the late eighteenth century, Durham, Duke University press, 1977, Andrew Wear, Knowledge and practice in English Medicine, 1550 – 1689, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, Laurence Brockliss – Colin Jones, The Medical World of Early Modern France, Oxford, Clarendon press, 1997, Mary Lindemann, Health and Healing in Eighteenth century Germany, Baltimore-London, John Hopkins University Press, 1996, James Kelly – Fiona Clark, Ireland and Medicine in the Seventeenth and Eighteenth century, Farhnam, Ashgate, 2009; Gerrit. Arie Lindeboom, Boerhaave and his time : Papers read at the International Symposium in Commemoration of the Tercentenary of Boerhaave's Birth, Leiden, 15-16 November 1968, Leiden, Brill, 1970; A.M. LuyendijkElshout, Walking with Boerhaave in Leiden: the trail of the past, Leiden, Caecilia Foundation, 1994 per la Spagna si rinvia anche agli studi di Luis Garcia Ballester, più specificatamente dedicati al periodo medievale ma spesso comprensivi anche di un quadro storico della pratica medica in età moderna, come Medicine in a multicultural society: christian, jewish and muslim pratictioners in the Spanish kingdoms, 12221610, Aldershot, Ashgate, 2001; per un quadro di insieme della medicina in Europa in età moderna si veda: Peter Elmer-Ole Grell, Health, Disease and Society in Europe, 1500 -1800. A source book, Manchester, Manchester University press, 2004, Mary Lindemann, Medicine and Society on Early Modern Europe, Cambridge, Cambridge University Press, 2010. Si precisa che sono state indicate solo le opere principali di carattere più generale, edite sulla storia della pratica medica in Europa nell’età moderna, omettendo volontariamente un ampio numero di testi e studi di carattere specifico. 10 16 specifica sull’argomento17, se si escludono le grandi opere di riferimento per la storia delle università in Europa18 in cui viene prestata attenzione anche alle facoltà mediche. Soltanto pochi Paesi Europei19 godono alla data odierna di studi sull’argomento, condotti in una prospettiva scientificamente ampia che sappia integrare il ruolo formativo svolto dalle università con quello di altri centri di formazione, di natura maggiormente pratica come collegi professionali, ospedali e scuole private. Ciò con l’obiettivo di ricostruire il reale contesto formativo europeo in età moderna in cui giovani studenti di medicina e medici addottorati furono avviati allo studio della medicina ed all’esercizio della professione, contesto che, spesso, proprio per la mancanza di questa prospettiva di insieme appare dagli studi editi, parziale ed incompleto. Mancano, inoltre, indagini storiche che, nella ricostruzione del quadro formativo medico per il periodo qui preso in esame, fuoriescano da una logica meramente istituzionale e si avventurino nell’ambito sicuramente di maggior complessità per la scarsità delle La storia della formazione medica in Europa in Età Moderna conta ad oggi un numero esiguo di opere monografiche edite: Andrew Robert Cunningham, Aspects of the history of medical education in Britain in the 17th & early 18th centuries, London, University College, 1974; Vivian Nutton – Roy Porter, The history of medical education in Britain, Amsterdam, Edition Rodopi, 1995 (Clio Medica 30 / The Wellcome Institute Series in the History of Medicine); Laurence Brockliss, French higher education in the seventeenth and Eighteenth centuries: a cultural history, Oxford, Clarendon press, 1987; Laurence Brockliss, Medical reform, the Enlightenment and physician-power in late eighteenth-century France, in, Medicine in the Enlightenment, Amsterdam, The Wellcome Institute, 1995, pp. 64-112. Un testo classico di riferimento per la storia della formazione medica è l’opera di Theodor Puschmann, A history of medical education from the most remote to the most recent times, translated and edited by Evan H. Hare, London, H. K. Lewis, 1891. Per un quadro di insieme sulla formazione medica in Europa nel XVI secolo si veda anche Nancy Siraisi, Medieval and Early Renaissance Medicine: an introduction to knowledge and practice, Chicago – London, Chigago University press, 1990, in particolare il capitolo “Medical Education” alle pp. 48 -77. Benché datato al 1970, è ancora di riferimento il volume a cura di C. D. O’ Malley, The History of Medical Education, An international Symposium held in February, 5-9 February, 1968, sponsored by the UCLA Department of Medical History, School of Medicine, Berkeley-Los Angeles- London, University of California Press, 1970. Per l’Italia si segnalano gli studi di Alessandro Pastore attenti alla storia del corpo professionale medico in età moderna, si vedano in particolare: Le regole di un corpo professionale: gli statuti dei collegi medici (secoli 15. – 17.), estr. da «Archivio Storico Ticinese», 118, 1995, pp. 220-236, Le regole dei corpi: medicina e disciplina nell’Italia Moderna, Bologna, Il Mulino, 2006 e il volume a cura di Alessandro Pastore e Maria Luisa Betri, Avvocati, medici, ingegneri: alle origini delle professioni moderne secoli 16-19, Bologna, Clueb, 1997. 18 Mordechai Feingold-Victor Navarro-Brotons, Universities and science in the early modern period, Dordrecht, Springer, 2006; H. De Ridder-Symoens, A History of the University in Europe: Universities in early modern Europe (1500-1800), Cambridge, Cambridge University press, 1996, vol. 2.; John Gascoigne, Science, politics and universities in Europe, 1600 – 1800, Aldershot, Ashgate, 1998; Gian Paolo Brizzi – Jacques Verger, Le Università dell’Europa, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 1991-1992, voll. 2-3. 19 Cfr. n. 2 il saggio di Vivian Nutton e Roy Porter per la storia della formazione medica in Gran Bretagna. 11 17 fonti disponibili, di una storia della formazione medica, letta anche dal punto di vista degli studenti. In questo senso in età moderna, la “scatola nera” delle scuole di medicina – intendendo in questa sede non soltanto le università ma tutte le altre scuole annesse a collegi professionali, ospedali, orti botanici e teatri anatomici, nonché scuole private e in alcuni casi anche attive presso corti reali20 – attende ancora di essere aperta: poco o nulla si sa delle pratiche didattiche adottate – convenzionali e non-, molto resta ancora da studiare relativamente ai manuali usati per l’insegnamento medico21 alle modalità con cui avveniva la formazione pratica del “tirocinante” di medicina, dopo il conseguimento del dottorato, presso gli ospedali o sul territorio sotto la guida di un medico pratico esperto. Un ritardo sicuramente da imputare, come già evidenziato, alla scarsità delle fonti ed alla loro difficoltà di reperimento, anche se come Arnaldo Momigliano ripeteva instancabilmente le fonti si trovano quando si ha la tenacia di cercarle! Nonostante il fiorire di una letteratura europea storico-medica maggiormente attenta alla pratica medica in età moderna, si è ancora molto lontani da una dimensione comparativa tra i diversi Paesi Europei sulla struttura della comunità medica, sulle sue modalità formative ed organizzative. Ciò è imputabile a molteplici ragioni: la pluralità di confessioni religiose che connota le nazioni europee tra Cinquecento e Seicento, i differenti livelli di organizzazione burocratica degli Stati europei e di sviluppo del sistema medico, le diverse forme e modalità di controllo, esercitate dagli Stati durante l’età moderna, sulla formazione universitaria e professionale. Nonostante la diversità dell’offerta formativa dei vari Paesi Europei, un fenomeno interessante che costringe per gli studi medici a indagini comparative è quello della peregrinatio medica, intesa non solo sul piano universitario come peregrinatio academica, ma soprattutto su quello 20 Per la formazione ed educazione del medico di corte si veda: Vivian Nutton, Medicine at the courts of Europe, 1500 – 1837, London- New York, Routledge, 1990. 21 Ancora oggi il saggio principale di riferimento resta l’opera di Nancy G. Siraisi, Avicenna in Renaissance Italy: the Canon and medical teaching in Italian Universities after 1500, Princeton, Princeton University Press, 1987. 12 professionale, come mobilità di laureati in medicina verso centri che offrono maggiori occasioni di qualificazione pratica. E’ un aspetto peculiare della formazione medica in cui il conseguimento del dottorato presso un’università segna il momento di passaggio dal piano formativo teorico a quello pratico con l’ “iniziazione” all’esercizio della professione, in diverse forme: sotto la guida di medici pratici esperti del territorio, ma anche presso ospedali e istituti di ricovero, scuole annesse ai collegi professionali e, nel caso delle grandi città, anche privatamente al fianco di medici e chirurghi di fama. Va, inoltre, evidenziato che gli studi medici rivestono ovunque nelle università un ruolo minore, soprattutto nel Cinquecento e fino alla prima metà del Seicento, rispetto a quelli giuridici. Ciò spiega in parte perché questi ultimi hanno goduto di maggiore interesse da parte degli storici della formazione e delle professioni, che ne hanno indagato con più attenzione la loro evoluzione nel contesto universitario ed in quello pratico-professionale. I nodi da sciogliere da parte della ricerca storiografica sulla storia della formazione e della professione medica in età moderna sono ancora molti e non si ha alcuna pretesa di occuparsene in questa sede. L’obiettivo che qui ci si pone è semplicemente quello di tracciare un rapido quadro dei centri di eccellenza per la formazione medica nella penisola italiana e nel resto d’ Europa in età moderna – con maggiore attenzione ai secoli XVII - XVIII –, mappando, in questo modo, le mete privilegiate per gli studi e la professione medica e tenendo in considerazione quegli elementi che concorrono a connotarne l’eccellenza formativa, anche in relazione all’evolversi del sapere medico sul piano teorico e pratico. 13 1.1 FORMAZIONE MEDICA IN ETÀ MODERNA: “ ANATOMIA” DI UN CENTRO DI ECCELLENZA Tra Cinquecento e Seicento il sapere medico conosce profonde trasformazioni dovute al concorrere di diversi fenomeni: il progresso dell’anatomia, grazie agli studi di Andreas Vesalius22, le indagini microscopiche del XVII secolo di Marcello Malpighi23 con la scoperta dell’infinitamente piccolo nel corpo umano, nel mondo animale e vegetale; la messe di nuove conoscenze su piante medicinali, fino ad allora sconosciute, provenienti dal Nuovo Mondo; la riscoperta degli studi ippocratici nella loro veste originale attraverso la disponibilità delle fonti greche, grazie all’Umanesimo medico24, movimento che, sull’esempio ippocratico, restituisce centralità nella medicina all’ osservazione ed alla pratica “accanto al letto del paziente”; la lettura cartesiana della natura ed anche del corpo iatromeccanica25, umano attraverso la visione meccanicistica della fattori che concorrono tutti, come vedremo più dettagliatamente nei paragrafi seguenti, a far convergere l’attenzione sulla dimensione pratica del sapere medico, nel momento formativo universitario ed in quello professionale. Pertanto, i tratti della modernità della formazione medica sono tutti riconducibili ad aspetti pratici del sapere e della professione medica: la dissezione dei cadaveri e l’osservazione diretta del corpo umano attraverso l’esercizio dell’anatomia e della chirurgia, l’ostensione dei semplici Andrea Carlino, La Fabbrica del Corpo: libri e dissezione nel Rinascimento, Torino, Einaudi, 1994. Si vedano in particolare “ Medici e filosofi alla scoperta del corpo ovvero a cosa serve l’anatomia” alle pp. 132 – 143. 23 Sulla figura di Malpighi ed in particolare sulle relazioni tra gli studi anatomici e la pratica medica si veda il saggio di Domenico Bertoloni Meli, Marcello Malpighi, anatomist and physician, Firenze, L. S. Olschki, 1997 (Biblioteca di Nuncius ; 27). 24 Per un quadro generale sull’Umanesimo medico si veda il volume A. Wear, R.K. French and I.M. Lonie (edited by), The medical Renaissance of the Sixteenth Century, Cambridge, Cambridge University Press, 1985. 25 Si veda il recente saggio di Domenico Bertoloni Meli, Thinking with objects : the transformation of mechanics in the seventeenth century, Baltimore, the John Hopkins University Press, 2006. 14 22 come momento didattico-dimostrativo presso orti botanici che si affianca tra XVI e XVII secolo alla lettura dei semplici, svolta sui manuali e la pratica nella cura del paziente presso ospedali e strutture di accoglienza. Di questi aspetti bisogna tener conto nel tentativo di definire cosa si intenda nell’Europa dell’Età Moderna, soprattutto tra Seicento e Settecento, per centro di eccellenza sul piano formativo. Modernità che non significa, tuttavia, ricerca: non era compito formale del lettore di medicina svolgere attività di ricerca entro le mura universitarie, mentre è noto che, soprattutto nel Seicento, erano le accademie ed i circoli letterari e scientifici le sedi deputate allo svolgimento degli esperimenti ed alla circolazione del nuovo sapere scientifico. L’incarico della lettura presso un’ università era spesso poco remunerativo e concorreva più al prestigio sociale del docente che alla sua reale sopravvivenza! Ciò spiega perché i lettori – soprattutto i più anziani nella carica- erano spesso poco presenti alle lezioni universitarie e si avvalevano di giovani coadiuvatori nella cattedra: il loro impegno maggiore era nella pratica professionale o come medici condotti della città o nel caso dei più fortunati e di maggior fama, come medici al servizio di personaggi illustri quali prelati, nobili e principi. A tal proposito nel capitolo terzo dedicato alla professione medica a Roma nel Seicento, verrà ampiamente evidenziata l’importanza dell’archiatra pontificio, figura di primo piano in ambito universitario, proprio in riflesso dell’incarico come “familiare” del papa. Tuttavia è indubbio che tra gli elementi che concorrevano a fare di una sede universitaria in età moderna, un centro di eccellenza per lo studio della medicina vi era la qualità dei docenti, requisito che si otteneva quando l’università poteva disporre di risorse finanziarie adeguate per permettersi di annoverare tra i suoi docenti quelli di maggior fama del momento e quando, nel reclutare gli altri docenti, per selezionare i migliori sulla piazza, ricorreva allo strumento del concorso più che cedere alla pratica clientelare. Vedremo nel capitolo seguente che, anche nel caso di uno studio universitario minore come quello fermano, intorno alla metà del Seicento lo stesso collegio medico si risolverà nell’adozione del concorso, come strumento per individuare i candidati migliori: questa forma di selezione era 15 l’unica in grado di porre freno ad un meccanismo di reclutamento dei docenti su base locale, fortemente condizionato dai clientelismi ed a discapito della qualità dell’insegnamento e dell’immagine della stessa università. Nella ricerca di ulteriori criteri per la definizione di un centro di eccellenza si ricorre anche all’indice di frequenza degli studenti per definire la popolosità degli atenei e delle facoltà mediche. Nel calcolare tale indice di frequenza non rappresentano fonti attendibili gli acta graduum – benché in molti casi siano le uniche conservate presso gli archivi storici dell’università- perché spesso lo studente iniziava gli studi in una sede universitaria e successivamente, per ragioni di opportunità economica e agevolazioni varie, sceglieva di andare ad addottorarsi altrove; rappresentano, invece, una fonte più attendibile i registri delle matricole26 che documentano il numero degli studenti iscritti per anno27. Tuttavia anche l’attendibilità di tali fonti può avere dei limiti: i registri delle matricole offrono una fotografia esatta della frequenza degli studenti di un’università, soltanto se questi studiano continuativamente nella stessa sede. Ciò avviene raramente, mentre è frequente in età moderna, il fenomeno della 26 L. Brockliss, Medical Education and Centres of Excellence in Eighteenth-century Europe: Towards an Identification, in, Ole Peter Grell, Andrew Cunningham and Jon Arrizabalaga (edited by) Centre of Medical Excellence? Medical Travel and Education in Europe, 1500 – 1789, Farnham-Burlington, Ashgate, 2010 ( The History of Medicine in Context), pp. 17- 46. Si veda in particolare, pp. 26 -28. Il problema del metodo e delle fonti relative allo studio della presenza studentesca, limitatamente alle università italiane è stato affrontato da Gian Paolo Brizzi, La presenza studentesca nelle università italiane nella prima età moderna. Analisi delle fonti e problemi di metodo, in, G.P. Brizzi – Angelo Varni (a cura di), Le università in Italia fra età moderna e contemporanea: aspetti e momenti, Bologna, Clueb, 1991, pp. 85 – 109. Brizzi sostiene che, per la complessa e multiforme realtà delle università nella penisola italiana in età moderna, non esiste una sola fonte – siano le liste matricolari o gli acta graduum – in grado di ricostruire la presenza studentesca in un ateneo. E’ necessario utilizzare e sottoporre al vaglio critico più fonti che solitamente vengono impiegate per lo studio delle popolazioni studentesche al fine di accertarne l’idoneità a rappresentare il fenomeno. Va detto, tuttavia, che la realtà italiana per la sua complessità, appare un fenomeno particolare nel contesto europeo dell’età moderna e che in una prospettiva di evoluzione della storiografia sulla formazione medica europea, appare quanto mai necessario, come sostiene Brockliss, individuare una fonte di riferimento comune come base minima di partenza per studi che, indubbiamente, devono contemplare in ogni caso il ricorso all’integrazione di fonti diverse. Per studi come quelli di medicina, più facilmente soggetti pe la loro natura alla peregrinatio non solo academica, ma medica in età moderna, è più che evidente che il catalogo dei laureati non possa rappresentare uno strumento idoneo a rappresentare nelle giuste dimensioni la popolazione degli studenti di medicina di una sede universitaria, ma che la lista matricolare rappresenti una fonte, se non precisa, ma che si approssima abbastanza al dato reale con i limiti che lo stesso Brockliss consapevolmente evidenzia. 16 27 peregrinatio academica: durante il biennio o triennio di formazione medica, gli studenti si iscrivono in una sede universitaria dove cominciano gli studi che vanno a terminare altrove. E’ chiara, pertanto, la ragione per cui venga messa in discussione, anche l’attendibilità dei registri delle matricole come fonti per determinare la frequenza degli atenei più popolosi, e nel nostro caso, dei corsi di medicina. Un altro dato da considerare è la provenienza geografica degli studenti: la presenza di stranieri è un indice di attrattività della sede universitaria. Considerati i costi, in genere, piuttosto elevati, che bisognava sostenere per recarsi a studiare in una sede lontana dalla propria città natale, è chiaro che a tale scelta doveva corrispondere un’offerta formativa di qualità e rispondente all’investimento fatto, esigenza questa che, in genere, non poteva essere soddisfatta dalla locale università. Spesso alla peregrinatio academica degli anni universitari, seguiva quella medica, per qualificare la formazione professionale sul piano pratico. Nel caso di medici addottorati presso università locali, sufficientemente abbienti da non doversi dedicare all’esercizio professionale subito dopo la laurea, non era infrequente la peregrinatio medica verso centri di eccellenza che garantivano una formazione professionale qualificata. Spesso questi centri coincidevano con grandi contesti urbani, come ad es. Parigi, la cui offerta formativa tra istituzioni pubbliche e private era molto ampia o nel caso di centri più piccoli con sedi universitarie di grande tradizione per gli studi medici, come ad es. Montpellier28. Riportando l’attenzione alla dimensione locale fermana, per tutto il Seicento si assisterà ad un flusso di medici attratti dalle possibilità offerte dalla capitale romana per perfezionare la loro formazione professionale, nella speranza anche di una carriera di prestigio. Roma appare agli occhi degli studenti di medicina fermani e degli stessi medici della Marca, come un centro di eccellenza. Ma sappiamo anche, che la stessa città di Fermo poteva apparire agli occhi di molti studenti di medicina del territorio marchigiano e dello stesso Regno di Napoli -in cui erano davvero poche e molto lontane tra loro le sedi universitarie dove era possibile studiare medicina!-, come un centro di 28 Si veda n. 11, pp. 30-34. 17 eccellenza29: a Fermo era attiva la facoltà medica, esisteva un potente collegio di medici, chirurghi e speziali, era radicato l’istituto del protomedicato e la città vantava in età moderna una rete ospedaliera che contava con l’Ospedale di S. Maria della Carità, esclusivamente dedicato alla cura degli Esposti, un istituto di accoglienza unico, unico nel territorio marchigiano e di riferimento anche per quelli limitrofi. L’esempio vale, non tanto a introdurre un criterio di relatività che disancora la definizione di centro di eccellenza da aspetti e requisiti oggettivi, ma a far riflettere su un altro criterio importante che è quello geografico. Non è infrequente che il declino di un centro di eccellenza per gli studi medici sia dovuto al nascere in un’area geografica continua di una nuova sede che, in risposta al progetto politico di alcuni sovrani o governatori, goda di ampie risorse per attirare docenti di fama, realizzare strutture didattiche come nuovi teatri anatomici, orti botanici ben curati e forniti anche delle specie vegetali esotiche di recente scoperta e di musei e gabinetti, ricchi di collezioni di storia naturale. Chiaramente questo tipo di competizione poteva instaurarsi tra università di medie dimensioni perché era chiaro, che un contesto formativo di tradizione, ricco di opportunità e solido come quello offerto dalla città di Parigi per gli studi medici, difficilmente poteva essere messo in difficoltà dalla nascita di una nuova sede universitaria territorialmente vicina. Difatti ciò su cui si è posto fortemente l’accento nel definire un centro di eccellenza per gli studi medici è il contesto formativo, inteso nella sua accezione più ampia: non è soltanto la quantità e qualità dei docenti che leggono medicina e quella del loro insegnamento che concorre a fare di una città, uno dei centri principali di attrazione e di interesse formativo medico, ma è anche tutto ciò che si svolge al di fuori delle mura universitarie. Offerta che può coinvolgere Jacques Verger a proposito della peregrinatio academica ha ben evidenziato il concetto di mobilità interna che si esercitava nell’ambito di un’area locale, regionale o nazionale, in cui ogni università aveva il suo bacino di reclutamento di studenti. Verger chiarisce bene come per area di reclutamento non si intenda solo lo spazio geografico in un cui un’università non incontra una rivale vicina, ma soprattutto l’area su cui l’università è in grado di esercitare la sua influenza attraverso il suo potere e la sua rete di relazioni legate al ruolo politico, economico e religioso della città in cui ha sede. Jacques Verger, Peregrinatio Academica, in, Gian Paolo Brizzi – Jacques Verger (a cura di), Le Università dell’Europa: Gli uomini e I luoghi, secoli XII –XVIII, Milano, Silvana Editoriale, 1993, pp. 109-135. 18 29 istituzioni pubbliche e private: teatri anatomici annessi ad un’università – o anche privati come può capitare in grandi città come Londra- orti botanici perfettamente curati e continuamente ampliati con nuove specie vegetali in cui agli studenti non soltanto è possibile assistere all’ostensione dei semplici, ma anche ripetere in maniera individuale la dimostrazione e lo studio delle piante medicinali; scuole annesse a collegi medici e chirurghi in cui acquisire una formazione pratica qualificata. L’importanza di queste ultime istituzioni per l’apprendimento della medicina pratica è tale da giustificare l’eccellenza di alcuni centri privi di università di medicina. Ne sono un esempio Londra e Madrid. Londra divenne un centro di grande importanza per lo studio della medicina nel XVIII secolo, ma non possedeva una vera e propria università. L’offerta formativa privata era elevatissima: si contano ben ventisette teatri anatomici, sedi di dissezioni di cadaveri e di lezioni di anatomia, in gran parte privati. Basta ricordare quello che il celebre chirurgo William Hunter fece realizzare nel 1766 nella sua nuova residenza al n. 16 di Great Windmill Street, così strutturato: un teatro anatomico, una stanza adiacente ad esso dove il cadavere veniva preparato e dissezionato ed un annesso museo di chirurgia e anatomia30. Nel 1780 ben tre dei sette maggiori ospedali attivi a Londra, precisamente il S. Bartholomew’s, il St Thomas e l’Ospedale cittadino, erano sedi di lezioni anatomiche. Londra era inoltre sede, oltre della prestigiosa Royal Society, anche del London College of physicians con compiti di controllo e vigilanza sull’esercizio pratico della professione, ma anche sulla formazione dei medici, attraverso l’obbligo della conoscenza di una serie di manuali e testi di base31. Madrid non possedeva sedi universitarie di tradizione come Salamanca, Siviglia e Granada, ma nel Settecento erano attive in essa numerose istituzioni in grado di garantire allo stesso modo una formazione medico-pratica di qualità: un ospedale 30 Susan C. Lawrence, Anatomy and Address: Creating Medical Gentlemen in Eighteenth-Century London, in, Vivian Nutton – Roy Porter, The History of Medical Education in Britain, cit., pp. 199 – 228. Si veda in particolare a p. 210 l’elenco dei teatri anatomici private esistenti e attivi a Londra nel XVIII secolo. 31 Margaret Pelling, Knowledge Common and The education of Unlicensed Medical Practitioners in Early Modern London, in, Vivian Nutton – Roy Porter, The History of Medical Education in Britain, cit., pp. 250 – 279. 19 in cui veniva insegnata l’anatomia, l’ accademia di medicina sorta nel 1732, il collegio dei chirurghi a cui nel 1748 fu concesso il privilegio di insegnare, la scuola di chirurgia del S. Carlos e la scuola reale di medicina pratica, fondata nel 1795. Madrid era anche sede del Protomedicato e risentiva in maniera significativa dell’influenza della corte dell’Escorial32. I grandi contesti urbani offrivano molteplici occasioni formative e di ampliamento della rete di contatti professionali: le lezioni private impartite nelle loro case da medici pratici e chirurghi di fama, erano occasioni di apprendimento ma anche di incontro, che contribuivano ad ampliare il network di conoscenze utili alla professione. Spesso le lezioni tenute privatamente abbandonavano il latino a favore del vernacolo, specialmente se si trattava di lezioni di chirurgia ed ostetricia, aperte alla partecipazione di un pubblico piuttosto ampio e non particolarmente dotto come quello composto da chirurghi, barbieri, ostetriche e speziali. L’aspetto linguistico non era secondario: le lezioni ex cathedra nelle aule universitarie venivano rigorosamente impartire in latino, mentre nelle scuole esterne all’università non era sempre così. Affinché un centro di formazione potesse contare su un’ampia presenza di stranieri il problema linguistico non era di certo secondario; in questo caso godevano di un grande vantaggio, città come Parigi e Montpellier, per la veste diplomatica ed internazionale storicamente rivestita dalla lingua francese in età moderna. Non ultimi tra i requisiti che possono decretare un centro di eccellenza vanno considerate le agevolazioni offerte dalle città nell’accoglienza degli studenti, specialmente stranieri come i collegi e le biblioteche, dove era possibile apprendere ed aggiornare il proprio sapere medico in un periodo in cui la circolazione del libro era ancora legata a costi significativi ed accessibili ancora a pochi. In questo senso rappresenta un progetto di straordinaria modernità quello ideato dal celebre medico Giovanni Maria Lancisi nella capitale romana e inaugurato nel 1714 con l’apertura della Biblioteca Lancisiana presso il complesso dell’Arciospedale Santo Spirito: 32 Si veda n. 11, p. 40. 20 all’ospedale era annessa una biblioteca fornita dei principali testi medici, continuamente aggiornata con le opere mediche più recenti, al fine di offrire ai giovani medici che praticavano presso l’ospedale, un momento di verifica teorica alla loro esperienza pratica e nella sede dell’ accademia annessa all’ospedale anche un luogo di confronto e dibattito sul nuovo sapere medico. Del progetto si parlerà più diffusamente nel terzo capitolo, ma basti qui considerarne la modernità che conferisce al complesso del S. Spirito, tra Sei e Settecento, i caratteri di un centro di eccellenza per la formazione medica. Da questo rapido quadro generale emerge un dato che caratterizza ed accomuna fortemente i centri di eccellenza per la formazione medica in Età Moderna: la netta supremazia della medicina pratica come elemento che qualifica la formazione medica, sia nel momento universitario sia in quello professionale, supremazia che si esprime attraverso la crescente importanza che le discipline ad essa ausiliarie come l’anatomia, la chirurgia e la botanica rivestono nel corso del XVII e del XVIII secolo. Teatri anatomici, sale incisorie, orti botanici, musei e gabinetti di storia naturale, così come aule e corsie di ospedali aperte ai tirocinanti, sono i segni evidenti di questa eccellenza in tutta Europa33. A questo punto, è il caso di osservare più da vicino, le caratteristiche di qualche esempio di centro di eccellenza nella penisola e nel resto d’Europa. 1.2 L’ UNIVERSITÀ DI PADOVA: CENTRO DI ECCELLENZA PER L’ANATOMIA NEL XVI SECOLO Sull’importanza rivestita dall’Università di Padova per gli studi medici nel Medioevo ed in Età moderna sono stati già versati fiumi di inchiostro: l’obiettivo che qui ci si prefigge è quello di rilevare le ragioni di tale primato di eccellenza, Si veda Marta Cavazza, Orti Botanici, Teatri Anatomici, Osservatori Astronomici, Musei e Gabinetti Scientifici, in G.P. Brizzi e Jacques Verger (a cura di), Le università dell’Europa. Le scuole ed i maestri. L’età moderna, Trieste, Ras, 1995, vol. 5., pp. 76- 82. 21 33 in relazione ai tratti di modernità che l’ateneo padovano mostra e che lo rendono un centro di forte attrattività per gli studenti di medicina. Cosa rende Padova nel Cinquecento e nei secoli successivi una sede universitaria così ambita dagli studenti provenienti dalla penisola, ma anche dal resto d’Europa? Sappiamo che alla fine del Cinquecento la Natio degli studenti transalpini – in gran parte provenienti dai territori del Sacro Romano Impero – è la più numerosa34. Che cosa spinge gli studenti ad intraprendere un viaggio così lungo e rischioso ed un soggiorno di studio costoso, presso l’ateneo padovano? Nel 1594 fu eretto dalla Repubblica Veneta a Padova il teatro anatomico in legno che ancora oggi si conserva nell’area Nord-Ovest di Palazzo del Bò: è il primo teatro permanente costruito in Europa e soprattutto destinato al pubblico35. Il 24 settembre del 1596 il senato veneto con decreto stabilì che le dimostrazioni di anatomia presso il teatro fossero pubbliche, in maniera tale che chiunque vi poteva intervenire, aspetto eccezionale in quanto fino ad allora vi erano, di solito, ammessi solo i matricolati in medicina che dovevano anche versare una tassa annua in soldi d’argento per accedervi36. Il senato veneto con il suddetto decreto abolì la tassa e assegnò allo Studio venticinque ducati annui per Si veda la preziosa fonte rappresentata da Antonio Favaro ( a cura di), Atti della Nazionale germanica artista (Acta Germanicae artistarum) nello Studio di Padova, Venezia, Deputazione di Storia Patria, 1911 1912, 2 voll.. Si veda anche Giorgio Fedalto, Stranieri a Venezia e a Padova 1550 – 1700, in, Storia della cultura veneta 4, pt.2 (1984), pp. 251-279. Per la presenza degli studenti tedeschi a Padova nei primi decenni del XVII secolo si veda Lucia Rossetti ( a cura di), Acta Nationis Germanicae Artistarum (1616 – 1636), Padova, editrice Antenore, 1967. Tra gli studenti e docenti illustri di anatomia della Natio Germanica agli inizi del XVII secolo va ricordato l’olandese Adriaan Van Spiegel da Bruxelles, allievo di Girolamo Fabrizi di Acquapendente, Ivi, pp. 132 -134. Spiegel compare negli Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1601 ad annum 1605, tra i docenti che presenziarono al dottorato in medicina e filosofia di due studenti ebrei, Leone e Arone Lucerna. Si veda anche Francesca Zen Benedetti, Acta graduum Academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1601 ad annum 1605, Padova, editrice Antenore, 1987, pp. 544-545, n. 1498. 35 In realtà quello eretto nel 1594 fu il secondo teatro anatomico dell’ateneo padovano: il primo era stato costruito nel 1584, sempre in legno in un angolo di Palazzo del Bò, e fu utilizzato da Girolamo Fabrizi d’Acquapendente per le sue lezioni di anatomia; fu parzialmente danneggiato da un incendio, scoppiato nel 1588 durante una dimostrazione anatomica e cessò di funzionare tra il 1589 ed il 1592. Cinthya Klestinec, Medical Education in Padua: students, faculty and facilities, in, Ole Peter Grell, Andrew Cunningham and Jon Arrizabalaga (edited by), Centre of Medical Excellence? Medical Travel and Education in Europe, 1500 – 1789, cit., pp. 208-211. 36 Pietro Tosoni, Della anatomia degli antichi e della scuola anatomica padovana, Padova, tipografia “La Garangola”, 1995 (rist. anast. dell’edizione stampata a Padova, dalla tipografia del Seminario, 1845), pp. 99 – 106. 22 34 la copertura delle spese necessarie allo svolgimento delle dimostrazioni anatomiche. Il teatro aprì i battenti agli studenti ebrei, ai lettori ed agli studenti di medicina, come ad artigiani, commercianti, sarti, macellai ecc.. nello spirito di garantire la più ampia partecipazione alla dimostrazione anatomica: questa si era trasformata in realtà in un vero e proprio spettacolo teatrale, in alcuni casi anche con tanto di musica37. La struttura del teatro concepita su progetto di Paolo Sarpi, come ellittica a sei piani e fortemente verticalizzata, dove i trecento partecipanti sedevano nel rispetto di precise regole gerarchiche, di fatto, consentiva più di ascoltare che di vedere. Il teatro anatomico fu realizzato per volontà del celebre anatomista Girolamo Fabrizi D’Acquapendente a cui il senato veneto aveva affidato, fin dal 1565, la cattedra di anatomia e chirurgia che lo studioso mantenne quasi ininterrottamente fino al 161338. La cattedra era stata occupata in precedenza da figure di grande rilievo, primo fra tutti il celebre Andreas Vesalius nel 1540 - nel 1543 mentre era lettore di anatomia a Padova Vesalius pubblica a Basilea presso Giovanni Oporino la prima edizione del De humani corporis Fabrica libri septem, pietra miliare per gli studi anatomici, che sfrutta pienamente tutte le potenzialità della stampa, per la diffusione del sapere anatomico39 - e Gabriele Falloppio a cui Richard Andrews, Script and scenarios: the performance of comedy in Renaissance Italy, Cambridge, Cambridge University Press, 1993, pp. 121 -168. Si veda anche Lionello Puppi, La dissezione del corpo tra ricerca scientifica, cannibalismo terapeutico e derive attuali di un antico spettacolo ritual, in, Maurizio Rippa Bonati e Josè Pardo–Tomás (a cura di), Il Teatro dei Corpi: le Pitture Colorate d’anatomia di Girolamo Fabrici D’Acquapendente, Milano Mediamed edizioni scientifiche, 2004, pp. 192 – 203. 38 Per una biobibliografia di Girolamo Fabrici d’Acquapendete si veda Maurizio Rippa Bonati, Girolamo Fabrici d’Acquapendente: per una bio-crono-bibliografia, in, Maurizio Rippa Bonati e Josè Pardo – Tomás (a cura di) Il Teatro dei Corpi: le Pitture Colorate d’anatomia di Girolamo Fabrici D’Acquapendente, cit. , pp. 268 – 277. 39 Si veda Andrea Carlino, La Fabbrica del corpo: libri e dissezione nel Rinascimento, cit., in particolare il paragrafo interamente dedicato alle novità rivoluzionarie sul piano della comunicazione a stampa di cui l’opera di Vesalius è portatrice, alle pp. 40 – 54. Sull’uso didattico dei ricchi apparati iconografici che corredano il volume si veda F. Zurlini, L’esemplare della Fabrica della Biblioteca Civica di Fermo, in, Il Teatro dei Corpi: le Pitture Colorate d’anatomia di Girolamo Fabrici D’Acquapendente, cit., pp. 224-227. Il fondo bibliografico del medico fermano Romolo Spezioli, donato alla Biblioteca Civica fermana nel 1705 conserva ben due esemplari dell’editio princeps del De Humani Corporis Fabrica di Vesalius di cui uno acefalo, ma con tavole anatomiche acquarellate a colori per fini didattici. Il frontespizio xilografato dell’opera di Vesalius ritrae l’anatomista mentre esegue personalmente una dissezione anatomica ed perciò chiaro il messaggio rivoluzionario che l’autore vuole inviare in opposizione al vecchio modello scolastico rituale della lezione d’anatomia: Vesalius stesso è impegnato nella dissezione del cadavere durante la dimostrazione pubblica, cosa che avveniva raramente in precedenza. Gli anatomisti 23 37 furono affidate nel 1551 le cattedre di anatomia-chirurgia e botanica40. Risale al 1545 la realizzazione, ancor prima del teatro anatomico, dell’Orto Botanico41, avvenuta su impulso e richiesta del lettore dei semplici Francesco Bonafede: questi, nel segno di una modernità didattica, voleva affiancare lo studio della botanica svolto fino ad allora attraverso la lettura dei Semplici sui manuali con l’ostensione ovvero la pratica dimostrativa delle specie vegetali e piante medicinali nell’ orto botanico, novità che, da poco, iniziava a comparire nel curriculum medico. La realizzazione dell’Orto Botanico – il primo non solo in Italia ma anche in Europa- va collocata nel contesto generale delle innovazioni didattiche in medicina di cui l’ateneo padovano fu protagonista nel Cinquecento: tra queste va ricordata l’attività didattica del celebre Giambattista da Monte42, lettore di medicina pratica presso l’università di Padova nel 1539, esempio di medico umanista attento allo studio delle fonti originali della medicina greca. Questi aveva introdotto la medicina clinica come strumento di integrazione tra sapere medico teorico e pratico: gli studenti di medicina oltre ad essere in grado di riconoscere le piante medicinali – per non diventare ostaggio degli speziali! dovevano fare pratica negli ospedali dove, secondo l’insegnamento ippocratico, era di centrale importanza per la formazione pratica, imparare ad osservare ed interrogare il paziente, la vera principale fonte di informazione per un medico. prevesaliani non praticavano le dissezioni durante le dimostrazioni pubbliche, ma le eseguivano privatamente o negli ospedali come vere autopsie per indagini di anatomia patologica nell’individuare le cause della morte. Vesalius, al contrario, non solo praticava personalmente le dissezioni in pubblico, ma sul piano didattico per garantire adeguata formazione medica ai suoi studenti, voleva che si cimentassero in dissezioni anatomiche private. 40 Si veda n. 21, pp. 87-95. 41 Ampia la bibliografia sulla storia dell’Orto Botanico di Padova, ma ai fini del presente studio si veda Alessandro Minelli (a cura di), L’Orto Botanico di Padova 1545 – 1995, Venezia, edizioni Marsilio, 1995 ed in particolare in riferimento alle pratiche didattiche adottate nell’insegnamento della botanica nel secolo XVI il contributo di Andrea Ubrizsy Savoia, L’Orto di Padova all’epoca del Guilandino, pp. 172 – 195. 42 Si veda l’opera di Giuseppe Cervetto, Di Giambattista da Monte e della medicina italiana nel secolo 16, Verona, G. Antonelli, 1839, recentemente riprodotta nel 2008 dall’Università degli studi di Pavia in formato elettronico su CD-Rom e il contributo di Carlo Brillante – Ennio Turba, La vita e le opere del veronese Giovanni Battista Da Monte (1489 – 1551) «illustre medico e filosofo del secolo XVI », ricordate nella monografia del concittadino Giuseppe Cervetto, in, Atti della 37. Tornata degli Studi Storici dell’Arte Medica e della Scienza dello Studio Firmano, Congresso Internazionale “Per una storia della comunicazione medico-scientifica: dal manoscritto al libro a stampa, secoli XV-XVI, Fermo, 18 – 20 settembre 2003 a cura di Fabiola Zurlini, Fermo, Andrea Livi editore, 2008, pp. 134 – 142. 24 Per tale ragione Giambattista Da Monte aveva istituito l’insegnamento clinico con lezioni pratiche presso l’ Ospedale di S. Francesco43 a Padova, aspetto questo di assoluta innovazione nella formazione universitaria medica. La scelta di istituire un orto botanico ed erigere il teatro anatomico rientra nel contesto di un piano di riforme promosso dalle autorità civili venete44 determinate ad esercitare un controllo sugli ospedali più diretto e meno mediato dalle autorità religiose e, soprattutto, sulla formazione del corpo professionale medico. Dotare lo Studio padovano di due strutture, come il teatro anatomico e l’orto botanico, di centrale importanza per la didattica dell’anatomia e della botanica, considerate ormai parte di quel bagaglio di conoscenze pratiche indispensabili del medico, significava rendere Padova una sede universitaria sempre più prestigiosa e d’eccellenza per gli studi medici, non seconda a nessuno nella penisola e tra le primissime in Europa45. Va ricordato che l’opera di potenziamento delle strutture didattiche dell’Università di Padova prosegue nel Seicento con la realizzazione della prima biblioteca universitaria italiana, particolarmente ricca di opere manoscritte ed a stampa di medicina. La biblioteca L. Premuda – B. Bertolaso, La prima sede dell’insegnamento clinico nel mondo: l’ospedale di S. Francesco Grande in Padova, in, «Acta medicae Historiae Patavinae», 7, (1960-1961), pp. 61-91. 44 Il Senato veneto nel XVI secolo aveva conferito un grande potere e privilegi ai Riformatori dello Studio di Padova, giustificando tale scelta con il prestigio che l’università padovana apportava all’intera repubblica veneta. I Riformatori dello studio potevano rivestire contemporaneamente alte cariche nel governo della Serenissima, ciò spiega l’ampia autorità ed il potere di cui godevano nell’amministrare l’ateneo padovano. Si veda Paul F. Grendler, The University of Padua 1405 -1600: a success story, in, P. F. Grendler, Books and Schools in the Italian Renaissance, London, Ashgate, 1995, pp. 7-17. 45 Si veda n. 29, pp. 12-13. Le innovazioni pedagogiche in medicina nel XVI secolo a Padova erano state possibili grazie a un forte supporto del governo dell’università e di quello veneto. Un esempio pratico riguarda il supporto dato agli studi anatomici di Vesalius e di Falloppio nel rendere disponibili cadaveri da sezionare: gli stessi Riformatori dell’ateneo padovano si facevano portatori presso il Senato veneto della richiesta di cadaveri di condannati a morte per soddisfare in breve tempo le richieste dei lettori di anatomia. Le ragioni di un tale supporto da parte del patriziato veneto verso l’Università di Padova sono molteplici: molti nobili patrizi veneti avevano studiato a Padova o erano comunque umanisti e letterati che avevano proseguito la loro carriera raggiungendo i vertici delle cariche politiche del governo veneto; inoltre l’università di Padova con i suoi oltre mille studenti nella metà del Cinquecento rappresentava per la Repubblica Veneta, oltre che un motivo di prestigio, davanti all’intera Europa, anche un grosso introito economico. P. Grendler evidenzia bene nel suo saggio – si veda n. 29-, come dietro al successo dello Studio di Padova ci fosse una politica saggia ed avveduta della classe politica dirigente del governo veneto. 25 43 fu fondata con decreto del senato veneto del 5 luglio 162946, su impulso del lettore Felice Osio, già collaboratore del cardinale Federico Borromeo, intellettuale e fine umanista, in corrispondenza con i principali letterati europei del tempo che si era legato all’ambiente universitario padovano per il suo interesse sulla storia della cultura padovana. L’esigenza sollevata nei primi anni del Seicento di dotare l’università di una sua biblioteca è motivata da diverse ragioni: ornare l’università di una struttura didattica importante che ne aumentasse il prestigio anche in una prospettiva di eccellenza europea, sopperire al servizio scarso che veniva fornito dalla vicina Biblioteca Marciana – spesso chiusa e con tasse elevate per il prestito dei libri – integrare il servizio svolto dalle biblioteche già esistenti delle nationes germanica e polacca, ma soprattutto rispondere alle esigenze dell’ambiente universitario e culturale padovano, particolarmente attento al mondo del libro, al gusto ed alla passione per la bibliofilia ma, soprattutto, per la ricerca47. In tutto questo contesto molto sviluppato ed innovativo sul piano della didattica medica, non va dimenticata tra le ragioni di crescita dell’ateneo padovano, la politica di apertura praticata dalle autorità venete, in materia confessionale tra XVI e XVI48: studenti protestanti, inglesi e tedeschi, potevano tranquillamente immatricolarsi per studiare medicina e diritto nello Studio di Padova. Una politica lungimirante, anche considerando che la Natio Germanica tra Cinquecento e Seicento, era la più numerosa presso l’ateneo padovano. Ma cosa si aspettavano esattamente gli studenti, soprattutto stranieri che, nel contesto della loro peregrinatio academica, vedevano in Padova una meta d’eccellenza per gli studi medici ed in particolare anatomici? Quali fossero le loro aspettative lo si deduce analizzando i conflitti, che sorsero più volte tra gli 46 Si veda Tiziana Pesenti Marangon, La Biblioteca Universitaria di Padova : dalla sua istituzione alla fine della Repubblica Veneta (1629 -1797), Padova, edizione Antenore, 1979, appendice dei documenti, n. 1, p. 184. 47 Ivi, p. 9. 48 Il fenomeno della peregrinatio confessionale come lo definisce Jacques Verger caratterizza la peregrinatio academica in età moderna. In Europa università come Padova ed Orléans si distinsero per l’apertura a studenti luterani e calvinisti, apertura che durò fino al 1650. Si veda n. 14, pp. 131-132. 26 studenti della Natio Germanica e Girolamo Fabrizi d’Acquapendente in merito alle lezioni di anatomia49. Gli studenti erano interessati ad apprendere come dissezionare un cadavere, per comprendere le connessioni tra le parti anatomiche, saper individuare le cause e le sedi anatomiche delle malattie. Tutto ciò era spesso assente dalle lezioni anatomiche di Fabrizi e per una ragione molto chiara: Fabrizi, a differenza degli anatomisti che lo avevano preceduto come Vesalius, Realdo Colombo e Gabriele Falloppio, raramente forniva la descrizione anatomica dell’intero cadavere, ma il suo interesse anatomico era specifico e mirato. Egli si concentrava su una singola parte anatomica, sulla sua struttura e sull’analisi delle cause materiali e finali, secondo lo spirito della dottrina aristotelica. Come molti studi hanno messo in evidenza50, l’anatomia di Fabrizi, era di chiara impronta aristotelica, proprio nella sua stretta connessione con la filosofia naturale: Fabrizi osservava il corpo umano come parte della natura e pertanto regolato dalle stesse verità e leggi universali. Per tale ragione l’osservazione non scadeva mai nell’empirismo, ma si elevava fino alla contemplazione di tali verità: ad es. dalla sezione anatomica di un occhio umano e dalla sua comparazione con un occhio animale, gli esiti finali a cui doveva pervenire il suo studio non dovevano essere legati a quel particolare occhio, ma avere natura universale, valida per la struttura e soprattutto per il funzionamento di tutti gli occhi umani. Il paradigma aristotelico è evidente, ma è lecito chiedersi perché Fabrizi, invece di applicare quello galenico che, nel XVI secolo, ancora dominava lo studio del corpo umano e del suo funzionamento, adotti quello aristotelico. Padova era stata da sempre un centro di particolare interesse per l’aristotelismo51 ed aveva annoverato tra i suoi lettori di medicina e filosofia, Klaus Bergdolt, L’Acquapendente e la Natio Germanica di Padova, in, Maurizio Rippa Bonati e Josè Pardo – Tomás (a cura di) Il Teatro dei Corpi: le Pitture Colorate d’anatomia di Girolamo Fabrici D’Acquapendente, cit., pp. 228 - 234 50 Andrew Cunningham, Fabricius and the Aristotle project in anatomical teaching and research at Padua, in, A. Wear, R.K. French and I.M. Lonie (edited by), The medical Renaissance of the sixteenth century, Cambridge, Cambridge University Press, 1985, pp. 195 – 222. 51 L’insegnamento della filosofia naturale di impronta aristotelica vantava a Padova personaggi come l’aristotelico Jacopo Zabarella, che deteneva la cattedra dal 1568 a cui successe nel 1590 Cesare Cremonini. Molto ampia la bibliografica di riferimento ma si veda in particolare La presenza 27 49 personaggi come Pietro d’Abano e molti altri che avevano contribuito sul piano scientifico allo studio ed ai commenti delle opere aristoteliche52. Fabrizi si inserisce perfettamente in questa tradizione ed è proprio in questo contesto che matura il suo piano di ricerca anatomica: la spiegazione della struttura e la funzione di una certa parte del corpo per Fabrizi, secondo il metodo aristotelico, doveva avere valore universale, al di là degli accidenti del particolare. Soltanto in questo modo era possibile scoprire le cause finali delle parti anatomiche, considerate non isolatamente, ma unite in una visione sistematica53. Gli scritti aristotelici – in particolare quelli “biologici” come il De generatione animalium, il De animalium historia, il De partibus animalium – vengono utilizzati da Fabrizi ed in generale dagli anatomisti aristotelici, come “manifesti” programmatici per la loro ricerca anatomica. Ma gli esiti concreti sul piano didattico di questo programma di ricerca, non erano esattamente quelli desiderati dagli studenti e soprattutto quelli della nazione tedesca non mancavano di evidenziare le lacune pedagogiche di tale metodo, anche attraverso proteste scritte, dirette alle autorità dell’ateneo padovano54: il programma didattico non era organico ed equilibrato, Fabrizi spendeva due mesi sulla spiegazione e descrizione delle ossa del cranio, tre per i muscoli, dedicando un’ora di spiegazione ad ogni muscolo del corpo umano ma, a detta degli studenti, tutto veniva illustrato in maniera sconclusionata in cui risultava difficile comprendere la sequenza e la connessione delle parti. Spesso per tale ragione nel teatro anatomico durante le lezioni di Fabrizi regnavano rumore e confusione, generati in parte dagli stessi studenti, distratti rispetto ad dell'aristotelismo padovano nella filosofia della prima modernità : atti del Colloquio internazionale in memoria di Charles B. Schmitt, Padova, 4-6 settembre 2000 (a cura di), Gregorio Piaia, Roma, Antenore, 2002. 52 Bruno Nardi, Saggi sull’aristotelismo padovano dal secolo XIV al XVI, Firenze, G. Sansoni editore, 1958. In particolare su Pietro d’ Abano si vedano le pp. 19 – 73 Oltre a Pietro d’Abano va ricordato tra i principali filosofi medievali anche l’averroista Paolo Veneto. 53 Sull’importanza dell’aristotelismo quale premessa per lo sviluppo del metodo scientifico nell’ateneo padovano si veda J. H. Randall, The development of scientific method in the school of Padua, «Journal of History of Ideas», I (1940), pp. 177-206. 54 Antonio Favaro, Atti della Nazione Germanica Artista nello Studio di Padova, cit., vol. 1, p. 286. 28 una lezione che risultava incomprensibile e difficile da seguire ed in parte dal continuo via vai di gente che entrava ed usciva dal teatro55. In sostanza il risultato concreto delle sue lezioni, sul piano didattico era antitetico a quello del suo programma di ricerca. Gli studenti avrebbero desiderato invece una spiegazione chiara e coincisa del corpo umano da mettere in relazione con le conoscenze della fisiologia, della patologia e della terapeutica, apprese durante le lezioni di medicina teorica e pratica. Di fatto, gli studenti per soddisfare i loro bisogni conoscitivi molto più legati ad esigenze pratiche, frequentavano le lezioni private di anatomia presso l’ Ospedale di S. Francesco, tenute tra il 1570 ed il 1580 da Girolamo Capivacci, Gerolamo Mercuriale, Marco Degli Oddi, Albertino Bottoni, Emilio Campolongo e Pietro Paolo Höchstetter56. Le lezioni venivano impartite con un orientamento pratico allo studio dell’ anatomia, finalizzato all’ uso medico e chirurgico della disciplina per ricercare le cause ed i segni delle malattie nelle sedi anatomiche e saper ricomporre fratture e ferite. Inoltre Capivacci, in risposta ai desideri degli studenti che, in una visione pratica, enfatizzavano il legame tra anatomia e chirurgia, ne aveva chiarito molto bene il 55 Cynthia Klestinec, Medical education in Padua: students, faculty and facilities, cit., pp. 210 – 211. 56 Girolamo Capivacci (1523 – 1589), professore di anatomia a Padova che nel suo De methodo anatomico mise in relazione la filosofia aristotelica con i concetti dell’anatomia galenica, si veda Cynthia Klestinec, Theaters of Anatomy: students, teachers and traditions of dissection in Renaissance Venice, Baltimore,Johns Hopkins University Press, 2011, pp. 63 – 65; Gerolamo Mercuriale (1530 – 1606), aveva studiato a Bologna e si era laureato in medicina a Padova nel 1555, dove insegnò medicina pratica tra il 1569 ed il 1587, prima di essere chiamato all’università di Pisa. E’ autore di opere celebri come il De morbis puerorum e il De arte Gymnastica si veda Fabio Toscano, Gerolamo Mercuriale, in, Franco Gabici – Fabio Toscano (a cura di), Scienziati di Romagna, Milano, Sironi editore, 2006, pp. 3142; Alessandro Arcangeli–Vivian Nutton (a cura di), Girolamo Mercuriale: medicina e cultura nell'Europa del Cinquecento : atti del convegno "Girolamo Mercuriale e lo spazio scientifico e culturale del Cinquecento" (Forlì, 8-11 novembre 2006), Firenze, Leo S. Olschki, 2008,; Marco Degli Oddi è ricordato insieme ad Albertino Bottoni per aver incrementato la scuola della clinica medica avviata a Padova da Giambattista da Monte, si veda Giuseppe Vedova, Biografia degli scrittori padovani, Padova, con i tipi della Minerva, 1832, p. 10, Pietro Paolo Höchstetter, anatomico e consigliere della Natio Germanica, Ivi, p. 12; Emilio Campolongo (1550 – 1604) studiò medicina a Padova dove nel 1578, iniziò a insegnare medicina teorica straordinaria. Esercitava contemporaneamente la professione medica all'ospedale di S. Francesco, dove si fece notare per il suo corso di esercitazioni pratiche. Nel 1591 successe a Marco Degli Oddi nel corso di medicina pratica straordinaria; nel 1596 passò a quello di teorica ordinaria, reso vacante dalla morte di Albertino Bottoni. si veda G. Gliozzi, voce Emilio Campolongo, in, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto Enciclopedia Treccani, 1974, vol. 17, edizione consultabile on line all’indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/emilio-campolongo_(Dizionario_Biografico). 29 rapporto: il chirurgo taglia ed isola le parti, descrivendone la struttura materiale; l’anatomista muove dalle cause materiali per astrarre quelle finali dell’anatomia ed il suo compito è spiegare perché esiste ed a cosa serve quella parte anatomica. L’ ospedale di S. Francesco non era l’unico luogo al di fuori dell’università dove si tenevano lezioni di anatomia: Giulio Casseri57, allievo del Fabrizi e Paolo Galeotto insegnavano anatomia nella Chiesa di S. Caterina o anche, come nel caso del Galeotto tra il 1588 ed il 1589 nella spezieria “Officina del Corallo”. In sostanza mentre le lezioni pubbliche di anatomia tenute dal Fabrizi si incentravano sulla dimensione del sapere anatomico come parte della filosofia naturale, quelle private sugli aspetti più pratici, legati ad abilità manuali, a Giulio Casseri (1552 – 1616), di umili origini, ma di brillante ingegno studiò a Padova medicina, mentre era al servizio dell’anatomista Fabrizi d’Acquapendente. Laureatosi nel 1580, dopo aver studiato anche sotto G. Mercuriale, concorse nel 1584 al posto di chirurgo presso l'ospedale di S. Francesco, ma gli venne preferito un certo Tiberio Bolognese. I suoi rapporti col Fabrizi si fecero difficili, soprattutto nel 1598, quando non poté più far parte delle commissioni esaminatrici per i diplomi in chirurgia, al posto del Fabrizi stesso. Ma il Casseri prese ad esercitare in privato la professione chirurgica, specializzandosi nella cura di ferite e piaghe, raggiungendo una buona posizione economica che gli permise di approfondire i suoi studi anatomici, anche attraverso lezioni private e dissezioni, almeno fino al 1586, quando esse vennero proibite. Sentendo la necessità di veder illustrate le sue indagini, si rivolse nel 1593 al pittore tedesco Joseph Murer per i disegni relativi. Ma il successo e l'abilità del Casseri parevano dar ombra al Fabrizi; sotto la rivalità tra i due anatomici, che si protrasse per lungo tempo, si può intravedere il contrasto, allora assai vivo, tra insegnamento pubblico e privato. Quando nel 1595 il Fabrizi non poté continuare le lezioni anatomiche per motivi di salute, il Casseri fu invitato a tenerle su sollecitazione degli studenti, e pare con un certo successo, se il vecchio Fabrizi si affrettò a riprendere le sue lezioni. Ma gli studenti, soprattutto i tedeschi, erano tutti per il giovane anatomista, al quale procuravano in buon numero i cadaveri da sezionare, difficilmente reperibili, per le lezioni pubbliche. Egli raccolse allora molti dati, confluiti poi nelle sue opere, praticando anche anatomia comparata. Il livore del Fabrizi, che aveva fatto nuovamente proibire le dissezioni private fino al 1604, aumentò nel 1600 quando, contemporaneamente al suo De visione, voce, auditu, fu pubblicato De vocis auditusque organis historia anatomica del Casseri. Entrambe le opere sono divise in tre parti - la prima anatomica, la seconda fisiologica, la terza filosofica - ma si ritiene che quella del Casseri superi in valore quella del Fabrizi; questi afferma, ad esempio, d'aver scoperto nel 1599 il muscolo rilassatore del timpano, già noto al Casseri da almeno sei anni. Nel 1609 i riformatori dello Studio padovano separarono l'insegnamento della chirurgia da quello dell'anatomia, lasciando il secondo a Fabrizi e nominando il Casseri per il primo, destinandolo in questo modo alla successione. Ma anche dopo la rinuncia definitiva del Fabrizi all'insegnamento, nel 1613, il Casseri continuò a compiere dissezioni privatamente o in un teatro fatto costruire a sue spese nel palazzo del capitano. Per rendere più facile il reperimento dei cadaveri, egli rimise in vigore l'uso di seppellirli onorevolmente dopo le dissezioni. Troppo affezionato alla sua città di adozione, che gli tributava onori e riconoscimenti (fu creato anche cavaliere di S. Marco), rifiutò le vantaggiose offerte del duca di Savoia e di quello di Parma perché si trasferisse presso le loro università. Nell'anno 1614-15 tenne ancora un corso di anatomia, ma le dissezioni furono poche per mancanza di cadaveri; non poté. condurre a termine l'incarico di chirurgia (affidatogli fino al 1622 con l'aumento di 300 fiorini l'anno) perché ai primi di marzo del 1616 si ammalò gravemente e morì l’8 marzo. Si veda A. De Ferrari, voce Giulio Casseri, in, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto Enciclopedia Treccani, 1978, vol. 21., consultabile on line all’indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/giulio-cesare-casseri_(Dizionario-Biografico) 57 30 tecniche chirurgiche e ad un uso medico dell’anatomia per l’identificazione dei segni della malattia e della sua cura. Tuttavia i due aspetti si integravano sul piano didattico ed erano sintomatici, soprattutto il secondo, di un sostanziale cambiamento del ruolo dell’anatomia nel curriculum medico: da disciplina minore, prevalentemente associata alla chirurgia, a disciplina legata alla filosofia naturale. Come ha ben chiarito Charles Schmitt58, nel curriculum universitario medico si assiste al passaggio dalla filosofia logico-scolastica a quella naturale. L’osservazione del corpo umano nel caso dell’anatomia non poggia sull’empirismo, ma sulla contemplazione delle cause finali che chiariscono il rapporto tra le parti anatomiche e l’anima, diventando oggetti di contemplazione di verità universali. Lo sviluppo della ricerca filosofica naturale che, in medicina, diventa particolarmente evidente alla fine del Cinquecento nel campo dell’anatomia - come l’ateneo padovano dimostra ampiamente con la sua eccellenza-, è il risultato di un’interazione molto più forte e continua tra medicina teorica e medicina pratica, tra teatro anatomico ed esperienza clinica, interazione in cui va tenuto conto anche dell’apporto significativo che, nel caso padovano, gli studenti esprimono attraverso i loro bisogni conoscitivi pratici e la necessità di un’elaborazione concettuale più organica e matura. Il caso dello Studio di Padova, è un esempio concreto in cui le strutture didattiche, le forme di comunicazione del nuovo sapere medico ed anatomico – da Vesalius a Fabrizi- e la loro traduzione sul piano pedagogico, diventano determinanti nel riorientare la ricerca e il ruolo formativo dell’anatomia nel curriculum medico del Cinquecento e dei secoli successivi. Charles B. Schmitt, Aristotle among the physicians, in, The medical Renaissance of the Sixteenth century edited by A. Wear, R. K. French, I.M. Lonie, Cambridge, cit., pp. 1 – 15. 31 58 1.3 WILLIAM HARVEY E L’ECCELLENZA DELLO STUDIO DELLA FISIOLOGIA TRA LONDRA ED OXFORD NEL XVII SECOLO Sia la capitale londinese che l’antica università oxoniense conoscono nel Seicento una stagione molto fortunata per lo studio e l’insegnamento della fisiologia quale preziosa eredità che il secolo d’oro dell’anatomia – il Cinquecento – aveva consegnato a quello successivo ed a coloro che, nel contesto degli studi medici, ne furono protagonisti. La ricostruzione del quadro formativo di eccellenza di questi due centri non può prescindere da quella che fu la figura chiave di cesura tra due realtà, quella londinese e quella oxoniana, solo in apparenza diverse tra loro, ma pervase nel XVII secolo da quella stessa atmosfera di entusiasmo per l’indagine sperimentale e la ricerca: il medico inglese William Harvey (Folkerstone, 1578 – Londra, 1657), forse uno dei nomi più noti nella storia della medicina non solo dell’età moderna ma di tutti i tempi. La figura e l’opera di Harvey sono state oggetto di una bibliografia sterminata che non vi è qui l’intenzione di ripercorrere, mentre è nostro interesse far rilevare quegli aspetti che concorrono a definire il percorso formativo e professionale del medico inglese in relazione alle sue scoperte ed all’influenza che queste esercitarono nel creare un contesto di eccellenza per gli studi medici. Anche Harvey fu uno dei protagonisti della peregrinatio academica che vedeva in Padova una meta universitaria ambita, di respiro internazionale non solo nel XVI secolo, come si è visto nel precedente paragrafo, ma anche nel secolo successivo. Difatti Harvey conseguì la laurea in medicina e filosofia il 25 aprile 1602 dopo tre anni di studi presso l’ateneo padovano59. Il suo arrivo a Padova è databile al 1599: Harvey aveva iniziato gli studi di medicina e umanistici a Cambridge dove aveva conseguito nel 1597 il Bachelor of Arts per poi trasferirsi nello studio padovano, attratto dalla fama che Lucia Rossetti, La Laurea di Harvey a Padova, in, Giuseppe Ongaro, Maurizio Rippa Bonati, Gaetano Thiene (a cura di), Harvey e Padova, atti del convegno celebrativo del quarto centenario della laurea di William Harvey, Padova, 21 – 22 novembre 2002, , Padova, Edizioni Antilia, 2006, pp. 195 – 200. 32 59 l’università aveva acquistato a livello europeo per lo studio delle discipline mediche. Si è avuto modo di illustrare nel precedente paragrafo la crescita e lo sviluppo della didattica medica nel corso del XVI secolo presso l’ateneo padovano, con l’istituzione di strutture sul finire del Cinquecento, come il teatro anatomico e l’orto botanico e di attività cliniche che avevano reso l’università padovana un centro di eccellenza per gli studi medici. Ad attrarre Harvey come molti altri studenti stranieri, oltre all’eccellenza delle strutture didattiche concorreva anche quel clima di libertà di studio, di insegnamento e di tolleranza intellettuale che la Repubblica di Venezia aveva voluto garantire allo studio padovano. Dopo che la bolla papale di Pio V del 1564 aveva imposto ai laureandi la professione della fede cattolica, per superare l’ostacolo, lo stesso senato veneziano aveva riscoperto il diritto imperiale dei conti palatini di conferire la laurea al di fuori del Collegio, con pari autorità del vescovo: ciò aveva consentito a molti studenti protestanti, anglicani ed ebrei di eludere il problema del giuramento di fede. Ciò consentì a Padova di mantenere il carattere di un centro di formazione universitaria internazionale, in cui nel clima di libertà che si respirava era possibile studiare ed indagare senza troppi vincoli di natura religiosa ed istituzionale ed il merito poteva diventare, in tal modo, un elemento distintivo nella carriera professionale ed universitaria. Lo stesso Senato Veneto per evitare accuse di nepotismo aveva proibito ai figli di patrizi veneziani di ottenere letture presso l’università padovana e gli studenti più capaci, anche stranieri e protestanti, potevano sedere in cattedra per la loro bravura: ciò è evidente nel caso dell’anatomista fiammingo Vesalius a cui fu affidata la lettura di anatomia, il giorno dopo la sua laurea, a soli 23 anni! Molte potevano essere, dunque, le ragioni che influenzarono Harvey nella scelta di Padova, non ultima anche l’influenza subita dal medico John Caius60 a Cambridge, che aveva a sua 60 John Caius (1510 – 1573), aveva iniziato gli studi umanistici a Cambridge e dal 1539 si era dedicato a quelli medici. Dopo la laurea in medicina all’università di Padova nel 1541 – dove aveva condiviso il collegio con il celebre Andreas Vesalius – viaggiò in diversi Paesi Europei fino a ritornare a Londra per insegnare e praticare la professione medica. Nel 1547 entrò a far parte del College of Physicians di Londra. Fu medico della Regina Elisabetta I, del re Edoardo VI e fu il fondatore del Gonville and Caius College di Cambridge. Su John Caius si vedano i numerosi saggi e contributi di Vivian Nutton ed 33 volta studiato a Padova: Harvey aveva studiato proprio al Caius College di Cambridge negli anni 1593 – 1599, grazie alla borsa di studio in medicina, istituita dal vescovo Mathew Parker di Canterbury. Caius che aveva condiviso la formazione medica padovana con studenti illustri come lo stesso Vesalius, esercitò indubbiamente una forte pressione, affinché il giovane brillante Harvey potesse mantenere alta la tradizione anglica degli studi medici presso l’università padovana61. Harvey fu, dunque, un esponente di punta della Natio Anglica presso lo studio padovano, fin dal suo arrivo. Ne fu eletto consigliere il 20 agosto 1600, svolgendo diversi ruoli ed attività al suo interno. Sia per ragioni legate alla professione della fede cattolica – come si è già evidenziato - che economiche, Harvey conseguì la sua laurea non in un Collegio dello studio, ma presso il conte palatino Sigismondo Capodilista che, in quanto rappresentante dell’imperatore, aveva avuto il privilegio di conferire lauree.62 Tra i promotores che assisterono ed esaminarono William Harvey figurano volti noti della medicina presso lo studio padovano, primo fra tutti Girolamo Fabrizi d’Acquapendente di cui Harvey fu allievo, ma anche Giovanni Tommaso Minadoi, lettore di medicina pratica, Giulio Casseri, che si era addottorato nel 1601 ed era già noto per le sue competenze in anatomia, fisiologia e chirurgia e Giorgio Raguseo, lettore di filosofia ordinaria. Solo nel 1628 Harvey pubblicò la celeberrima Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus63 che è considerata uno dei più importanti libri a stampa nella storia della medicina64 in cui rende note le in particolare: John Caius and the manuscripts of Galen, Cambridge, Cambridge Philological Society, 1987; John Caius and the Linacre tradition, «Medical History», 23, 1979, pp. 373 – 391. 61 Cristina Basso – Gaetano Thiene, Laurea di William Harvey all’Università di Padova e scoperta della circolazione del sangue 1602-2002, «Sic et simpliciter, Bollettino ufficiale della Società Italiana di Cardiologia», 21, 2004, pp. 20-22. 62 Il privilegio accademico originale si conserva a Londra presso il Royal College of Physicians di cui Harvey divenne membro nel 1607. Si veda n. 44, p. 197. 63 L’editio princeps dell’opera è stata stampata a Francoforte nel 1628 presso Gulielmus Fitzerus e ne risultano censiti allo stato attuale solo 58 esemplari esistenti. 64 Albrecht von Haller (1708 – 1777), aveva iniziato gli studi di medicina a Tubinga per poi proseguirli a Leida dove si laurea nel 1727. E’ autore di diverse opere di argomento anatomico tra cui la Bibliotheca Anatomica (Lugduni Batavorum, ex Officina Haakiana, 1774, I, p. 363) in cui definisce l’opera di Harvey l’aureum opusculum per la chiarezza delle idee e l’ordinamento logico delle osservazioni. 34 conclusioni a cui era giunto dopo diverse osservazioni ed esperimenti anatomici su un problema fisiologico molto specifico: spiegare, alla luce delle sue conoscenze anatomiche sul cuore e sulle arterie, la loro natura e la funzione del loro movimento perpetuo. E’ evidente la recezione dell’insegnamento del maestro padovano Fabrizi nel contesto di un’anatomia fisiologia, legata alla tradizione aristotelica, come si è avuto modo di esaminare nel precedente paragrafo. Lo stesso Harvey confiderà in vecchiaia all’amico Robert Boyle che furono le lezioni anatomiche di Fabrizi ed in particolare quelle sulle valvole venose, a stimolare in lui la riflessione sulla loro funzione in relazione al percorso del sangue: Fabrizi pubblicò il De venarum ostiolis solo nel 1603, l’anno successivo alla partenza di William Harvey da Padova, ma è noto che egli facesse uso didattico delle sue tavole in cui si ritrova anche l’apparato iconografico del De venarum ostiolis, durante le lezioni di anatomia65. Harvey da studente aveva avuto modo di vederle, come si deduce dallo stesso primo capitolo dell’ Exercitatio anatomica, pieno di riferimenti al maestro Fabrizi66 ed avevano evidentemente suscitato il suo interesse scientifico, se fu in questa direzione che si orientarono per oltre venti anni le sue ricerche, da quando lasciò lo studio padovano. Fabrizi Lo stesso Fabrizi aveva più volte evidenziato l’importanza dell’uso delle tavole anatomiche per fini didattici, criticando quello fattone dai suoi predecessori nella cattedra di anatomia dello studio di Padova come lo stesso Vesalius: le tavole anatomiche dovevano essere quasi a grandezza naturale – i disegni preparatori e le tavole lasciate da Fabrizi che avrebbero dovuto servire al progetto editoriale ambizioso del Teatro anatomico, conservate presso la Biblioteca Marciana di Venezia, Rari ms. 118, sono in formato atlantico ed a colori – per consentire al lettore di vedere con i propri occhi, esattamente come avveniva agli studenti nel teatro anatomico. In realtà Harvey, pur riconoscendo l’utilità della tavole sull’apparato delle valvole venose che ebbe modo di vedere dal maestro durante le lezioni, nel suo De motu cordis riduce drasticamente l’uso didattico delle tavole, privilegiando quello delle parole: egli inserisce una sola tavola in cui dimostra come la funzione delle valvole venose fosse quella di impedire il reflusso del sangue a dimostrare che nessuna tavola può sostituire l’osservazione anatomica diretta che ciascuno deve sperimentalmente fare. 66 William Harvey, Esercitazione anatomica sul movimento del cuore e del sangue negli animali, introduzione, traduzione italiana e note di Giuseppe Ongaro Milano, Mediamed edizioni scientifiche, 2003 (rist. anast. dell ‘edizione originale stampata a Francoforte nel 1628), Cap. I, “Motivi da cui l’autore fu indotto a scrivere”, p. 18: “…Fui costretto a pubblicare questa mia opera affinché tutti potessero esprimere un giudizio su di me e sulla stessa questione, in modo che tutti diventassero partecipi delle mie fatiche… ma anche tanto più volentieri perché Girolamo Fabrici d’Acquapendente quando in un suo originale trattato aveva raffigurato accuratamente e dottamente pressochè tutte le parti degli animali, aveva lasciato da parte soltanto il cuore..”. E’ chiaro il riferimento di Harvey all’atlante anatomico di Fabrizi in cui sono raccolti i risultati delle sue ricerche anatomiche, utilizzato solo in parte nelle opere edite dal Fabrizi dopo il 1600, ma evidentemente già usato dal maestro come strumento didattico. Nella sterminata bibliografia harveyana si veda anche la più importante biografia del medico inglese, Geoffrey Keynes, The life of William Harvey, Oxford, Clarendon press, 1966, p. 28. 35 65 fu l’unico insegnante di anatomia di Harvey nel suo curriculum formativo ed è evidente che ciò che fornì al geniale allievo fu innanzitutto il metodo, l’ approccio, la struttura del programma di ricerca su cui Harvey lavorò per tutta la vita, fino a giungere al risultato della scoperta della circolazione del sangue67. La base dell’approccio harveyano è la dissezione di cadaveri umani e di animali, ma ancor più la vivisezione di quest’ultimi: l’apertura del corpo dell’animale vivo, non cessa mai di rivelare ad Harvey qualcosa di nuovo. Ma dal 1602, anno in cui Harvey lascia Padova, al 1628 anno in cui pubblica la sua opera più celebre in cui divulga e dimostra la scoperta della circolazione del sangue, quale è concretamente il contesto formativo, professionale e scientifico in cui il medico inglese continua le sue sperimentazioni e le sue indagini fino a giungere al celebre esito finale? Il percorso professionale e scientifico di Harvey, al suo rientro in patria, si perfezionò al di fuori delle mura universitarie. Egli divenne membro nel 1607 del Royal College of Physicians di Londra in cui ebbe ruoli istituzionali importanti: più volte ne fu censore e tesoriere e nel triennio 1616-1618 gli furono assegnate le lezioni lumleiane di anatomia. Il corso lumleiano – così denominato dal suo istitutore Lord Lumley68- consisteva in un ciclo di lezioni di chirurgia e anatomia, piuttosto prestigioso, che il Royal College of Physicians di Londra organizzava anche in forma itinerante in diverse città inglesi. L’obiettivo era quello di garantire un’adeguata e qualificata formazione professionale a medici e chirurghi. Nelle sue lezioni lumleiane, Harvey, dal 1616 in poi, chiaramente adombra la sua scoperta, in cui la vivisezione di animali Tutti gli studi di Andrew Cunningham ben evidenziano questo rapporto nodale tra l’anatomia di Fabrizi e quella harveyana. Si veda A. Cunningham, Fabrici and Harvey, in, Harvey e Padova, atti del convegno celebrativo del quarto centenario della laurea di William Harvey, Padova, 21 – 22 novembre 2002, cit., pp. 129 – 149. 68 Nel 1582 la regina Elisabetta I aveva concesso, grazie alla mediazione del nobile benefattore Sir John Lumley (1538 – 1609) e del chirurgo Richard Caldwell, una serie di privilegi al Collegio dei Medici di Londra, tra cui un legato per finanziare l’organizzazione di letture di chirurgia a cura dello stesso collegio, con lo scopo di definire sul piano professionale le competenze che erano necessarie per un adeguato esercizio della chirurgia. Tra i lettori illustri del XVII secolo del ciclo di letture lumleiane figura appunto William Harvey. Lord Lumley fu una delle figure di spicco del regno di Elisabetta I: egli oltre a supportare il Collegio Medico londinese, fu un grande benefattore dell’Università di Cambridge e la sua splendida biblioteca è oggi conservata presso il British Museum. Si veda Francis W. Steer, Lord Lumley’s benefication to the college of physicians, «Medical History», 2(4), 1958, pp. 298 – 305. 36 67 riveste un ruolo centrale: rivela ad Harvey la soluzione nel spiegare il problema del battito arterioso e del transito polmonare -il sangue dal cuore fluiva ai polmoni attraverso l’arteria polmonare e ad esso ritornava dalla vena polmonaree del movimento arterioso per cui le arterie si dilatavano a causa della loro continuità con il cuore. Il movimento perpetuo del cuore e delle arterie erano oggetto della sua attenzione, nel contesto di una visione filosofico-naturalistica, perfettamente inserita nella tradizione aristotelica. Da questo punto di vista Harvey non era un rivoluzionario ma, al contrario, un conservatore: la vera innovazione sta nelle sue scoperte fisiologiche, avvenute sul solco di quelle anatomiche dei grandi maestri che lo avevano preceduto come Vesalius, Realdo Colombo e Fabrizi d’Acquapendente e soprattutto, nelle conseguenze logiche a cui giunge dall’osservazione delle sue indagini, con un impianto ed una struttura logica del suo lavoro scientifico la cui perfezione e rigore sono ancora oggi oggetto di attenzione e dibattito storico69. La sua posizione fondamentalmente conservatrice si deduce anche dal contributo che egli diede in termini di strutturazione del curriculum formativo medico, che il Royal College of physicians londinese imponeva per ottenere la licenza per l’esercizio professionale medico. L’esame per ottenere la licenza era molto rigido: si articolava in tre parti, tutte basate sulla verifica della conoscenza delle opere di Galeno. Lo svolgimento dell’esame era regolato nei dettagli dagli statuti del collegio medico londinese e Harvey fu coinvolto nella loro revisione, già sei mesi dopo il 6 giugno 1607, data in cui egli aveva compiuto il giuramento per il rito di ammissione allo stesso collegio. L’approccio di Harvey alla revisione degli statuti fu essenzialmente di natura conservatrice: egli rifiutava quanto si allontanava dai principi della medicina galenica, ad eccezione nella ricerca dove mostrava una maggiore libertà. Per tale ragione fu un fiero oppositore dell’introduzione della chimica nel curriculum formativo dei medici che vedeva come un sapere lontano e avulso dal Cesare Scandellari – Giovanni Federspill, Epistemologia della scoperta di Harvey, in, Harvey e Padova, atti del convegno celebrativo del quarto centenario della laurea di William Harvey, Padova, 21 – 22 novembre 2002 (a cura di) Giuseppe Ongaro, Maurizio Rippa Bonati, Gaetano Thiene, Padova, Edizioni Antilia, 2006, pp. 292-297 con una recente analisi sul percorso logico della scoperta di Harvey. 37 69 sistema galenico. Un atteggiamento conservatore particolarmente evidente anche nel ruolo che rivestì nel conflitto esploso nel 1621 tra il Collegio medico londinese e quello dei barbieri-chirurghi: questi ultimi si erano opposti con forza attraverso una petizione parlamentare affinché potessero ottenere licenze comparabili nelle loro prerogative professionali a quelle dei medici, mentre il Collegio medico londinese aveva completamente assoggettato la pratica chirurgica a quella medica. Il motivo del contendere era legato alla prescrizione di terapie mediche ai pazienti chirurgici: era stato fatto divieto ai chirurghi da parte del collegio medico londinese non soltanto di eseguire tali prescrizioni, ma anche di conoscere il contenuto dei medicinali prescritti dai medici. Tutto ciò era stato considerato intollerabile dai chirurghi che, come si è visto, avevano portato la loro protesta all’attenzione delle istituzioni parlamentari. Harvey fu coinvolto nella diatriba e fu incaricato di scegliere i membri che in rappresentanza dell’ università di Cambridge avrebbero supportato il Collegio Medico londinese nella difesa dei provvedimenti adottati contro i chirurghi. Il conflitto si protrasse per molti anni durante i quali i chirurghi rimasero sempre in una posizione di sudditanza rispetto ai medici. In concomitanza di questi conflitti, Harvey assunse una posizione conservatrice anche all’interno del St. Bartholomew’s hospital in cui esercitava fin dal 1607. La struttura ospedaliera era, nel XVII secolo, una delle più importanti di Londra, connotata al suo interno non solo per l’accoglienza e la cura dei malati poveri, ma anche come scuola, aspetto su cui vale la pena soffermarsi. Il Collegio medico londinese aveva contribuito alla formazione di questa scuola, incoraggiando in maniera particolarmente decisiva l’esperienza pratica in una struttura ospedaliera quale elemento qualificante ed indispensabile al curriculum medico. Gli statuti dell’università di Cambridge richiedevano all’aspirante medico di aver praticato medicina due anni, per ottenere il titolo di dottore in medicina e filosofia. Ciò conferma come nel loro curriculum formativo gli studenti di medicina combinassero diversi percorsi -dalla formazione universitaria, ad un apprendistato professionale al seguito di un medico pratico fino alla pratica ospedaliera - secondo le opportunità offerte dalle 38 varie istituzioni formative ed in base alle loro possibilità economiche. Il St. Bartholomew’s hospital la cui fondazione risale al 1123, nel 1547 era amministrato dal governo cittadino londinese e si era dotato di un proprio staff medico composto da tre chirurghi ed un medico70. E’ probabile che da questa data che coincide con la rifondazione del St. Bartholomew’s i giovani medici frequentassero regolarmente l’ospedale come apprendistato professionale. La protesta dei chirurghi nel 1621 contro il monopolio del collegio medico londinese provocò all’interno dell’ospedale di St. Bartholomew’s un’immediata reazione: Harvey adottò provvedimenti restrittivi riguardo la pratica chirurgica all’interno dell’ospedale proprio nei confronti di quei membri che appartenevano alla corporazione dei barbieri- chirurghi che era stata protagonista del conflitto; ciò non con fini di persecuzione, ma con l’obiettivo di esercitare un controllo e delimitare lo spazio di competenze formative del collegio dei chirurghi, a favore di quello medico, all’interno di una struttura come il St. Bartholomew di importanza strategica per la formazione medica. Il tratto conservatore non era proprio soltanto degli interventi di Harvey, ma apparteneva in generale all’orientamento della gestione ospedaliera del St. Bartholomew’s: come riflesso della sua fedeltà alla tradizione della corona reale anche la didattica all’interno dell’ospedale era legata, nella metà del Seicento, ai metodi tradizionali di insegnamento, basati su testi medici in lingua greca e latina. Nel 1668 l’ospedale si dotò di una biblioteca che, sebbene non fosse specificatamente medica, avrebbe dovuto contenere testi utili ai giovani praticanti la medicina all’interno dell’ospedale: oltre alle opere a stampa di Galeno ed Ippocrate e di altri autori meno conosciuti, la biblioteca annoverava un numero crescente di opere a stampa di medicina in vernacolo, utili soprattutto alla formazione dei chirurghi, notoriamente meno colti dei medici. La biblioteca non fu l’unica struttura ad essere realizzata in risposta alle esigenze di didattica e ricerca dei medici che svolgevano il loro apprendistato professionale presso l’ospedale, ma nel 1722 Keir Waddington, Medical education at St. Bartholomew’s hospital 1123 – 1995, Woodbridge ; Rochester : The Boydell Press, 2003, pp. 17- 29. 39 70 una delle due sale adibite ad obitorio per i pazienti morti fu trasformata in sala per la dissezione anatomica e corredata di strumentazione chirurgica e anatomica, non solo corrente ma anche passata. La sala aveva, dunque, valenza anche museale. Circa venti anni dopo, l’amministrazione cittadina decise di dotare l’ospedale anche di un laboratorio, sull’esempio di quello esistente nell’altro grande ospedale della capitale londinese il St. Thomas’s. Le strutture didattiche per la ricerca e l’insegnamento erano ormai complete, così come era definito il processo di istituzionalizzazione della formazione medica: l’ospedale poteva configurarsi come un centro di eccellenza per l’apprendistato professionale della medicina e della chirurgia. Contemporaneamente alla sua attività professionale presso il St. Bartholomew’s hospital, Harvey svolse, come si è già accennato, un ruolo centrale nell’attività di formazione medica promossa dal Collegio Medico londinese. Va evidenziato, tuttavia, che l’attività didattica e formativa era già tra quelle proprie del Collegio nel secolo XVI: un atto del Parlamento nel 1565 destinava al Collegio medico i cadaveri di quattro condannati a morte ogni anno per la dissezione. L’insegnamento della chirurgia rientrava tra i principali obiettivi didattici del Collegio medico e ciò per una ragione molto semplice: non potendo controllare internamente, se non attraverso ispezioni, l’operato degli speziali con cui i rapporti erano da sempre conflittuali, il collegio si era posto l’obiettivo di controllare da vicino l’operato dei chirurghi, acquisendo un potere diretto sulla formazione professionale. Chiaramente l’insegnamento chirurgico rivestiva importanza fondamentale anche per i medici stessi, ma per quest’ultimi soprattutto in relazione all’ acquisizione di conoscenze anatomiche e fisiologiche. Rientra in questo contesto l’istituzione del ciclo di letture lumleiane, nato con lo scopo principale che il Collegio Medico potesse avere a disposizione ogni anno un lettore stipendiato di chirurgia. Il Collegio Medico affidò ad Harvey, all’età di soli trentasette anni, il prestigioso ciclo di letture che egli iniziò a svolgere di fatto nel 1616: di questa attività didattica restano gli appunti e le note che egli fece 40 durante le lezioni e che aggiornava di anno in anno. Si tratta di una documentazione preziosa conservata presso l’archivio e la biblioteca del Royal College of Physicians di Londra, oggetto attualmente di studi approfonditi71 e meritevole di molta attenzione sul piano della storia della didattica dell’anatomia e della fisiologia. Sul piano didattico ciò di cui bisogna tener conto è che l’attenzione di Harvey non è diretta in sé, alla semplice dissezione anatomica, ma sulla base dell’insegnamento aristotelico del maestro padovano Fabrizi, essenzialmente all’ uso ed alla finalità delle parti e del loro movimento, dati che devono essere rilevati dall’ osservazione diretta e dalla vivisezione. Questa consente di vedere il corpo dell’animale sezionato ancora vivo e pulsante e di comprendere, in tal modo, le funzioni vitali delle varie parti. Si trattava in realtà di un insegnamento di anatomia applicata ovvero di fisiologia. La scoperta della circolazione del sangue divulgata nel De Motu Cordis nel 1628 fu, in realtà, già oggetto delle sue lezioni lumleiane, come documentano i suoi appunti. I suoi studenti ebbero, dunque, il privilegio di apprendere le sue teorie e le sue scoperte, prima ancora della loro pubblicazione, tutto ciò in un clima didattico innovativo nei suoi contenuti scientifici per lo studio della fisiologia. Il contributo che Harvey diede nella prima metà del secolo al Royal College of Physicians fu, dunque, determinante nel qualificarlo da ogni punto di vista, come un centro di eccellenza per la formazione professionale: didattico per la straordinaria modernità delle sue lezioni di fisiologia; organizzativo per il contributo significativo che diede alla revisione dello statuto e nei conflitti con il corpo professionale dei chirurghi; infine anche politico, nella sua posizione di prestigio come medico del re Carlo I. Nel 1618 Harvey era stato nominato medico della corte reale e nel dicembre del 1630 divenne archiatra del re Carlo La documentazione è oggetto di studi da parte di W. Ian McDonald che ne ha evidenziato la difficoltà di lettura, sia per via della pessima grafia di Harvey che per le numerose abbreviazioni che la caratterizzano. Essa rappresenta, tuttavia, una fonte inedita preziosa per lo studio dei percorsi logici adottati da Harvey nelle dimostrazioni delle sue teorie, durante le lezioni e dei principi di base su cui impostava le sue lezioni anatomiche. Si veda W. Ian McDonald, Harvey, the Royal College of Physicians and the University of Padua, in, Harvey e Padova, atti del convegno celebrativo del quarto centenario della laurea di William Harvey, Padova, 21 – 22 novembre 2002, cit., pp. 254-255. 41 71 I72 che lo inviò in Europa al seguito di diverse missioni diplomatiche. Nel 1639 Harvey divenne il primo archiatra del re Carlo I e per il prestigio della carica conferitagli gli fu concesso un appartamento in Whitehall. Ma la vicinanza e la fedeltà alla corte reale fu motivo di persecuzione durante la prima guerra civile nel 1642: mentre egli era in viaggio col re, il suo appartamento venne saccheggiato e andarono distrutti anche molti suoi appunti relativi alle osservazioni compiute sugli insetti che avrebbero dovuto servire come base per l’ opera De generatione animalium. Questa fu edita nel 1651 e fu, in realtà, il frutto della ricerca condotta da Harvey negli anni in cui, dopo essere stato costretto ad abbandonare Londra, il medico inglese fu nominato da re Carlo I che si era trasferito insieme alla sua corte ad Oxford, preside del Merton College. L’arrivò di Harvey ad Oxford concorse ulteriormente a rendere l’atmosfera scientifica oxoniense ancor più innovativa ed in fermento. Dall’inizio del XVII secolo il contesto formativo dell’università di Oxford si era notevolmente accresciuto di studenti, edifici, donazioni: si erano verificati numerosi mutamenti che avevano trasformato una sede universitaria arroccata sulla sua tradizione medievale in un centro particolarmente congeniale a scienziati ed in particolare medici. Alla fine del XVI secolo ed agli inizi del XVII il ceto nobiliare e quello borghese avevano compreso che l’istruzione universitaria, vista fino a quel momento come riservata ai membri più poveri che intraprendevano la carriera ecclesiastica, poteva diventare un importante strumento di ascesa personale e di carriera pubblica. Il numero degli studenti ad Oxford aumentò massicciamente nella prima metà del XVII secolo e questo comportò la fondazione di nuovi collegi e la ristrutturazione di quelli già esistenti: ad es. il Merton di cui Harvey fu preside ed anche l’Exeter ricostruirono le loro corti interne, mentre il Lincoln, il St Johns e il Trinity ne aggiunsero di nuove. Furono istituite nuove borse di studio, sussidi agli studenti e rendite a favore dei collegi. Furono incrementate le K.J. Franklin, King Charles I and William Harvey, «Proceedings of the Royal Society of Medicine», 54 (2), 1961, pp. 85 – 91. Harvey aveva sposato nel 1604 Elisabeth Browne figlia del medico Lancelot Browne, primo medico di corte della regina Elisabetta I. Harvey aveva già da molti anni, una certa familiarità con gli ambienti della corte reale inglese, prima del suo incarico di medico del re Carlo I. 42 72 cattedre scientifiche e le strutture didattiche funzionali allo studio della medicina e della scienza in generale: nel 1621, grazie alla liberalità di Henry Danvers, conte di Danby, fu realizzato un “Physick Garden” allo scopo di coltivare diversi esemplari botanici e di impartire lezioni sulle piante medicinali73; nello stesso anno sir William Sedley istituì la cattedra di filosofia naturale e nel 1624 Richard Tomlins quella di anatomia da assegnare al lettore di medicina; sempre in quegli anni le sale della Schools Quadrangle erano state ristrutturate e trasformate in una Scuola Anatomica. Al momento dello scoppio della Guerra Civile, quando Harvey divenne preside del Merton College dove erano attive tra l’altro la Superior e Inferior Linacre Lectureships di medicina, l’università di Oxford vantava ben sette cattedre scientifiche contro le uniche due dell’Università di Cambridge e poteva garantire ai suoi lettori provvigioni e stipendi generosi. Non va dimenticato, inoltre, che nel 1598 si deve alla generosità di sir Thomas Bodley la rifondazione della biblioteca universitaria preesistente, ma quasi distrutta dai saccheggi e dalle lotte religiose: Bodley donò oltre 2500 volumi alla biblioteca, fece nominare bibliotecario Thomas James e la biblioteca aprì le porte agli studenti nel 1602. Le raccolte librarie si incrementarono, grazie ad un accordo che Bodley aveva stretto con la Stationer’s Company of London, secondo cui ogni copia di libro stampato da coloro che appartenevano alla compagnia doveva essere inviato alla biblioteca: si trattava della prima forma di deposito legale in Inghilterra. In tal modo già verso il 1670 la Bodleian Library poteva contare su quarantamila volumi che includevano per gli studi medici non solo i classici greci e latini – Ippocrate e Galeno – ma anche tutte quelle opere di recente pubblicazione che un medico o un filosofo naturale avrebbero avuto esigenza di consultare per un sapere nuovo ed aggiornato: Cartesio, Gassendi, Bacone, quasi tutte le opere di anatomia e chimiche più recenti e chiaramente le opere degli 73 Benché la cattedra di botanica fu attivata ad Oxford formalmente solo nel 1669, l’insegnamento botanico si svolgeva fino a quella data in maniera meno ufficiale ma scientificamente utile per gli studenti: al Physic Garden Ivi Bobart teneva lezioni informali, organizzava spedizioni botaniche e pubblicò nel 1648 il Catalogus plantarum Horti Medici Oxoniensis, ad uso degli studenti come guida per l’orto botanico. Si veda Robert G. Frank, Harvey e i fisiologi di Ocford: idee scientifiche e relazioni sociali, Bologna, Il Mulino, 1983, pp. 99-100. 43 inglesi, oltre a quelle di Harvey, anche le opere dei fisiologi Francis Glisson, George Ent Thomas Willis, Richard Lower, Christopher Wren, il chimico Robert Boyle, il filosofo naturale Robert Hooke e molti altri medici e scienziati contemporanei. Nel 1630 ad Oxford erano attivi venticinque editori quasi il doppio di quelli di Cambridge: la produzione editoriale scientifica era ricchissima. La comunità scientifica di Oxford nel XVII secolo aveva scritto più di 580 libri di cui 240 di argomento medico e scientifico. Dunque, fu proprio nel momento in cui Harvey giunse ad Oxford che la comunità medica, cresciuta rapidamente soprattutto a metà del XVII secolo, assunse contorni didattici e scientifici ben definiti. Dopo il 1640 gli studenti che si addottoravano in medicina passarono da una media esigua di circa dieci ogni dieci anni a ben trentatre studenti annui. Il corso regolare in medicina era molto lungo – sette anni – ed era didatticamente articolato sulla base della tradizione medievale in lezioni e dispute. Tali elementi, dopo il 1640, furono accompagnati anche dall’insegnamento di quelle discipline che, come abbiamo visto, si andavano imponendo come necessarie ad una formazione medica aggiornata ovvero l’anatomia, la botanica, la chimica e la medicina clinica con la pratica ospedaliera. La formazione medica si ampliò sensibilmente nei decenni seguenti: lezioni di astronomia, geometria, filosofia naturale venivano ritenute obbligatorie nella formazione del medico. A proposito delle letture aggiornate ritenute maggiormente necessarie alla formazione medica, ci resta la testimonianza di un allievo eccezionale dell’università oxoniense: John Locke. Gli appunti di Locke74 documentano gli autori di maggiore interesse per lo studio della medicina in quegli anni: gli anatomisti- fisiologi Francis Glisson, George Ent e Ole Rudbeck, il chimico Jan Baptista van Helmont, il chimico e botanico Pierre Borel. I taccuini di allievi celebri come Locke sono fonti di informazioni preziose per I manoscritti di Locke sono descritti nell’opera di P. Long, A summary catalogue of the Lovelace Collection of the papers from John Locke in the Bodleian Library, Oxford, University press, 1959. In particolare per lo studio dettagliato del manoscritto a cui si fa riferimento, attualmente conservato presso la Bodleian Library, ms Locke e.4 (1652 – 1699), si veda Kenneth Dewhurst, An Oxford medical student’s notebook, «Oxford Medical School Gazette», XI, (1959), pp. 141 – 145. 44 74 documentare le letture più aggiornate per uno studente di medicina e gli interessi scientifici verso il nuovo sapere: la fisiologia di Harvey, la botanica di Leonhart Fuchs, l’anatomia di Glisson, Conring, Bartholin e Swammerdam, la medicina generale e clinica di Sennert, la chimica di Boyle, tutta la letteratura medica più recente che dimostrava come il sapere di Galeno, restasse sullo sfondo e fosse, di fatto, superato. Anche ad Oxford sul fronte dell’insegnamento si assiste nel XVII secolo alla convivenza tra lezioni ufficiali e lezioni informali e private. Accanto alle lezioni di anatomia impartite da Tomlins all’interno dell’università si svolgevano lezioni private, tenute intorno al 1660, da fisiologi di fama come Thomas Willis e Richard Lower, assai più frequentate delle prime. Gruppi di medici e studenti si riunivano in appartamenti privati per praticare l’autopsia di cadaveri di giustiziati ed in assenza di corpi umani si ricorreva ai cani. Ma Oxford era un luogo di studio anche per la chimica che poteva essere praticata informalmente: Thomas Willis aveva installato nella sua casa a Beam Hall un laboratorio in cui ebbe come assistente Robert Hooke. Boyle che era arrivato ad Oxford nel 1655 prese come suo assistente prima Lawrence Rooke e poi su raccomandazione di Willis, Hooke. Nel 1659 Boyle assunse il chimico alsaziano Peter Stahl come assistente ed insegnante di chimica: diversi medici e studenti di medicina frequentavano le sue lezioni e tra questi lo stesso Richard Lower, John Locke, George Bathurst75. Oltre alle lezioni private di anatomia e di chimica non vanno dimenticati quei luoghi “informali” di trasmissione del sapere medico come ad esempio le botteghe di speziali tra cui quelle di Stephen Toone, John Cross e Arthur Tilyard che divenivano luogo di incontro e di conversazione in cui i medici passavano il tempo a discutere di droghe medicinali, scambiarsi ricette medici e consigli, raccontarsi e confrontarsi su esperienze di casi clinici, acquisendo in tal modo un sapere pratico, concreto a cui partecipavano anche i chirurghi locali. Un cenno va anche fatto ai numerosi circoli scientifici interessati 75 I. Donaldson, William Harvey’s other book: Exercitationes de generatione animalium, «Journal of Royal College of Physicians of Edinburgh», 39, (2009), pp. 187 -188. 45 1 alla filosofia naturale, attivi ad Oxford nel XVII secolo e sedi di importanti indagini mediche. Celebri gli incontri nel 1645 del gruppo dei filosofi sperimentali presieduti da John Wilkins, al Wedham College in cui alcuni studiosi hanno voluto vedere le origini intellettuali della Royal Society, fondata nel 1660 al Gresham College di Londra. La questione è in realtà molto più complessa ed è stata oggetto di numerosi studi, pertanto non è intenzione affrontarla qui: è indubitabile che molti dei personaggi della scienza ad Oxford come Wilkins, Boyle e Hooke furono anche protagonisti della nascita della Royal Society e che vi siano state influenze tra il gruppo scientifico oxoniense e quello londinese. Tuttavia basti qui rilevare che la tradizione scientifica oxoniense e quella londinese hanno aspetti di complessità tale che ne evidenziano anche la reciproca autonomia delle origini76. In questo contesto Harvey si trovò ad operare come medico al servizio della corte del re Carlo I che si era trasferita ad Oxford ed a continuare le sue indagini, dedite in questi anni all’embriologia. Secondo le sue teorie fisiologiche nell’origine – nell’embrione-, risiedeva la spiegazione della genesi e delle funzioni delle parti. Harvey, nel gennaio del 1645, fu eletto preside del Merton College, come abbiamo già visto il più importante collegio oxoniense per lo studio della medicina e fu proprio in questi anni che avviò una serie di importanti collaborazioni nelle sue ricerche, fino a costituire un piccolo circolo di fisiologici che ruotavano intorno alla sua figura. Una delle figure di maggiore importanza del suo circolo fu Nathaniel Highmore: questi aveva iniziato ad eseguire dissezione anatomiche insieme a Thomas Clayton regio professore di medicina ad Oxford ed era naturale che quando Harvey arrivò ad Oxford nel 1642, i due studiosi entrassero in contatto. Oltre ad Highmore, Harvey formò altri collaboratori tra cui Charles Scarburgh che aveva studiato medicina a Cambridge Senza entrare in maniera specifica nella storiografia sterminata sulle origini e la storia della Royal Society, si rinvia al saggio di Charles Webster, The Great instauration: science, medicine and Reform, 1626 1660, London, G. Duckworth, 1975, tradotto in italiano nell’edizione del 1980, edita da Feltrinelli a cura di Pietro Corsi che analizza composizione ed evoluzione di queste “accademie nelle accademie”. 76 46 e si era poi arruolato nel partito del re. Fu nel contesto degli affari militari di corte che Harvey incontrò Scarburgh e intuendone la formazione e l’abilità medica lo spinse ad abbandonare l’esercito per dedicarsi alla pratica ed alla ricerca medica. Harvey e Scarburgh lavorarono come amici inseparabili al Merton College sull’embriologia. Tra gli altri allievi legati al circolo di Harvey non vanno dimenticate altre due figure illustri della medicina: Walter Charleton che entrò in contatto con Harvey in quanto era stato nominato medico alla corte del re, lo stesso Thomas Willis, e Ralph Bathurst77, fratello minore del già citato George, membro del Trinity College. Harvey trovò ad Oxford un circolo di colleghi a lui congeniali e riuscì a formare un gruppo di fisiologi che concorsero negli anni a venire, allo sviluppo della fisiologia ad Oxford e Londra, mantenendo alto il profilo di centri di eccellenza delle due città per gli studi medici ed in generale il contributo che le isole britanniche diedero allo sviluppo della disciplina in età moderna. 1. 4 HERMAN BOERHAAVE E LEIDA: CENTRO DI ECCELLENZA PER UNA NUOVA PEDAGOGIA MEDICA Tra il XVII ed il XVIII secolo l’università di Leida divenne in Europa il centro del nuovo sapere medico e soprattutto di una nuova pedagogia medica, al pari di come lo era stata l’università di Padova nel XVI secolo. Fin dalla fine del Seicento si colgono i fermenti didattici nello studio della medicina che animano l’università di Leida, attenta osservatrice di quanto avviene in Italia, soprattutto a Padova, considerata l’università leader a livello europeo per la medicina. Risale al 1545 la costruzione dell’ orto botanico di Padova nel contesto di una serie di Jean Guy M, Leading a double life in 17th-century Oxford: Ralph Bathurst (1620-1704), physician-physiologist and cleric, « Journal of Medical Biography», 14 February 2006, pp. 17-22. 77 47 illuminate riforme che, come si è visto nei paragrafi precedenti, potenziano la qualità didattica dell’ateneo padovano in campo medico. In ambito europeo l’università di Leiden si mostra come il centro di formazione medica maggiormente recettivo rispetto a tali innovazioni didattiche anche sul piano strutturale: nel 1577 viene istituito a Leida l’ orto botanico, il primo in Europa dopo quello padovano e nel 1597 – soltanto tre anni dopo Padova - viene realizzato il teatro anatomico, sull’esempio di quello voluto a Padova da Fabrizi, come un anfiteatro a sei ellissi, ma maggiormente illuminato di quello padovano e soprattutto con un carattere di maggiore rigore e sobrietà. Dal 1578 in poi Leida è meta, per lo studio della medicina, di numerosi studenti stranieri, soprattutto provenienti dalle isole britanniche78 e lo stesso teatro anatomico di Leida fungerà da modello per quelli realizzati nei decenni successivi sia a Londra che in Scozia79. Già nel 1575 il lettore di teologia Wilhelm Feungueraeus, nel contesto di una riorganizzazione dell’università di Leida, raccomandava per gli studi medici di seguire l’esempio padovano: contenere le dispute a favore della dissezione cadaverica e dell’osservazione di piante e minerali. E’ evidente la recezione dell’insegnamento padovano verso un approccio antidogmatico e empirico della medicina, basato sull’esperienza e l’osservazione diretta. In questo contesto si inseriscono le innovazioni strutturali didattiche che Leida sull’esempio padovano fa proprie come l’orto botanico, il teatro anatomico, le collezioni anatomiche e di storia naturale, laboratori in cui era possibile eseguire esperimenti di chimica aperti agli studenti e sempre sull’esempio padovano dell’ ospedale di S. Francesco, l’istituzione anche di lezioni cliniche negli ospedali leidensi come presso il Caecilia hospital in cui i dodici pazienti accolti, furono assegnati alle cure dei lettori di medicina. Le lezioni presso l’ospedale si svolgevano due volte a settimana: gli studenti assistevano da gallerie sopraelevate rispetto ai letti dei Si veda R. W. Innes Smith, English speaking students of medicine at the University of Leiden, Edinburgh, Oliver and Boyd, 1932. 79 Mauro Spicci, Corpo e ibridazioni discorsive nell’Inghilterra elisabettiana: the purple Island (1633) di Phineas Fletcher, Catania, Ed.It, 2009 , pp. 37-38. 48 78 pazienti, alle lezioni impartite nella corsia da due lettori di medicina dell’università dai quali venivano chiamati a commentare i casi clinici. Ma sul modello padovano, tra Sei e Settecento, l’università di Leida innesta delle novità di centrale importanza per la didattica medica, grazie alla capacità d’innovazione dei suoi lettori. Nel XVII secolo Leida, nel contesto della ricerca scientifica in ambito medico di una nuova fisiologia in grado di spiegare la struttura anatomica del corpo umano e l’uso delle parti, si distinse nel panorama europeo per l’insegnamento di Franciscus Sylvius (Francois de le Boë, 1614 - 1672), promotore di una nuova fisiologia chimica che divenne estremamente popolare tra gli studiosi del tempo80. Sylvius era un sostenitore della scoperta harveyana della circolazione del sangue la cui portata rivoluzionaria estese all’intera fisiologia del corpo umano. Gli interessi di ricerca e di didattica di Sylvius si inserivano nel contesto degli studi sulla digestione avviati da medici come Gaspare Aselli ( 1581 – 1625), lettore di anatomia a Pavia che aveva scoperto vivisezionando un cane i vasi chiliferi dell’intestino e ,soprattutto, come Thomas Bartholin (1616 -1680) i cui studi avevano evidenziato il sistema linfatico. Partendo da queste conoscenze Sylvius combinò aspetti della teoria chimica di Van Helmont con quella della circolazione del sangue di Harvey, dando vita ad una nuova teoria sulla digestione, in netta opposizione a quella galenica: la digestione era di fatto un processo fermentativo in cui l’elemento centrale era la reazione acida, più che il calore corporeo innato di cui parla Galeno, processo di fermentazione che iniziava nella bocca per proseguire nello stomaco e nel sangue. Aselli aveva già chiaramente dimostrato come i vasi chiliferi intestinali si riempivano di fluido, dopo il pasto. Ciò che va evidenziato nel processo di ricerca di Sylvius è l’autonomia di pensiero rispetto all’autorità del pensiero medico classico di Galeno che, in un clima di estrema libertà, viene messo in discussione sul piano scientifico rispetto all’elaborazione di nuove ipotesi. Questo tratto di libertà di Roy Porter, The Greatest benefit to mankind: a medical history of humanity from antiquity to the present, London, Harper-Collins, 1999, pp. 219-220. 49 80 pensiero che connota l’università di Leida, fin dalla metà del Seicento, è evidente non solo nella ricerca, ma anche nella didattica: le letture di medicina a Leida non sono più organizzate sulla base di specifici autori dell’antichità – Galeno, Ippocrate, Avicenna – ma su temi di interesse medico, discussi anche durante l’insegnamento clinico ospedaliero accanto al letto del paziente e chiaramente anche durante le dissezioni cadaveriche81. Negli anni compresi tra il 1660 ed il 1670 Sylvius fece della pratica ospedaliera, l’aspetto centrale del curriculum formativo medico, sviluppando durante gli anni del suo insegnamento il modello padovano già introdotto, fin dal 1636, dai suoi predecessori come Otto van Heurne e Ewaldus Screvelius. Fin dalla metà del Seicento Leida divenne, pertanto, protagonista di una rivoluzione pedagogica nell’insegnamento medico che, in un clima di libertà ed indipendenza di pensiero rispetto alla medicina classica, rese possibile la messa in discussione dei vecchi sistemi e la ricerca di nuovi. In questo processo di rinnovamento pedagogico fue centrale la figura di Herman Boerhaave (1668 – 1738)82, non a caso definito da uno dei suoi allievi più celebri, Albrecht von Haller, il Communis Europae praeceptor, il maestro per eccellenza dell’Europa intera83. Cosa rendeva così universalmente apprezzato l’insegnamento medico di Boerhaave? Sul piano del nuovo sapere medico Boerhaave era un fautore del pensiero meccanicistico, ma alla visione matematica cartesiana dell’uomo-macchina, 81 The Western medical tradition 800 BC to AD 1800 edited by Lawrence I Conrad, Michael Neve, Vivian Nutton, Roy Porter, Andrew Wear, Cambridge, Cambridge University press, 2000, pp. 360-361. 82 Sulla biografia e bibliografia di Boerhaave, benché datate restano un punto di riferimento ineludibile le opere di G. A. Lindeboom, Herman Boerhaave: the man and his work, London, Methuen, 1968, Bibliographia Boerhaaviana: list of publications written or provided by H. Boerhaave, or based on his works and teaching, Leiden, Brill. 1959. Boerhaave si era laureato in filosofia nel 1689 a Leida, nel 1701 era stato nominato lettore di Institutiones Medicae sempre al’università di Leida: celebre la sua orazione augurale, De commendando Hippocratis studio in cui indicava ai suoi studenti il medico greco come il modello da seguire negli studi di medicina in cui centrale era l’osservazione al letto del paziente. Nel 1719 ricoprì il ruolo di lettore di botanica, apportando numerose migliorie all’ orto botanico dell’università di Leida, ma fu nel 1714 quando ottenne la cattedra di medicina pratica presso la stessa università che promosse il suo nuovo sistema di istruzione clinica per cui rese nota Leida, come centro di formazione medica in Europa. 83 Rina Knoeff, Hernam Boerhhave at Leiden: Communis Europae praeceptor, in, Centre of Medical Excellence? Medical Travel and Education in Europe, 1500 – 1789, cit., pp 269 – 286. 50 applicava nel contesto della filosofia naturale, il nuovo modello scientifico offerto dai progressi che la fisica aveva compiuto grazie ad Isaac Newton la cui opera più celebre, i Philosophie Naturalis Principia Mathematica era stata pubblicata a Londra nel 1687. La malattia e la salute erano nella visione di Boerhaave il risultato di uno squilibrio o equilibrio dovuto a molteplici variabili di forze, pesi e pressioni idrostatiche. La salute era il risultato di un equilibrio idrostatico tra fluidi e per Boerhaave bisogna distinguere le affezioni delle parti solide del corpo umano – gli organi- da quelle dei fluidi come ad es. il sangue. Ricoprendo il ruolo di lettore di diverse cattedre presso l’università di Leida a partire dal 1701, Boeerhaave diffuse il suo pensiero scientifico attraverso le opere che diede in quegli anni alle stampe: le Institutiones Medicae84 pubblicate per la prima volta nel 1708, videro ben dieci edizioni e furono tradotte in cinque lingue. Il successo dell’attività didattica di Boerhaave viene spesso imputato all’ enfasi che egli pose sulla medicina pratica ed in particolare su quella clinica, introducendo una lettura specificatamente dedicata alla clinica che prevedeva visita e pratica presso gli ospedali. La fama di Boerhaave come insegnante di clinica pratica viene acclamata da molti storici della medicina al punto tale che la sua didattica viene ritenuta il modello a cui si ispirò l’Europa intera nell’istituzione di insegnamenti di clinica ospedaliera come parte del curriculum formativo medico. Benché Boerhaave si recasse quotidianamente a visitare i suoi pazienti nel Caecilia hospital e riservasse importanza fondamentale, sulla base dell’insegnamento ippocratico, all’osservazione al letto del paziente, in realtà non fu questa la vera grande innovazione del maestro olandese, che va ricercata, piuttosto, nel metodo. Boeerhaave invitava fortemente i suoi studenti all’esperienza pratica, l’unica vera forma di conoscenza in grado di confutare le fallaci osservazioni dei fatti di cui era costellata la medicina degli antichi. Tuttavia, secondo Boerhaave, se era vero che nessuna affermazione poteva essere certa senza una 84 Herman Boerhaave, Institutiones medicae in usus annuae exercitationis domesticosa, digestae ab Hermanno Noerhaave, Lugduni Batavorum, apud Johannem Vander Linden, 1708, 12°. 51 dimostrazione basata sull’esperienza, era parimenti vero che l’esperienza in sé poteva essere condizionata nei suoi risultati dai criteri interpretativi utilizzati per spiegare le cause di particolari effetti, sulla base di ipotesi differenti85. Per tale ragione Boerhaave, dopo aver impartito ai suoi studenti quei rudimenti di base della medicina che consentivano loro di comprenderne i fondamenti, piuttosto che insistere sul tramandare sistemi di aforismi e prescrizioni o commenti ai testi dei classici, egli li incoraggiava a sperimentare da soli e scoprire di fatto cosa fosse la medicina e come operasse. E’ questo spirito di indipendenza della ricerca, è questo programma del tutto svincolato dall’autorità degli antichi ed assolutamente innovativo, che continuava ad attirare masse di studenti di medicina a Leida. E ciò avveniva nonostante la città fosse rinomatamente cara per le spese di vitto e soggiorno. Anche se, in coerenza con lo spirito di apertura che connotava la città e la sua università, molti studenti poveri riuscivano a frequentare i corsi di medicina a Leida, per la brevità degli studi universitari che non si protraevano più di tre anni, a differenza di altre città europee come Oxford o Parigi dove la durata dei corsi raggiungeva i sette-dieci anni. Ciò che rendeva unico l’insegnamento di Boerhaave, per cui gli studenti accorrevano a Leida dall’intera Europa, era dunque il suo approccio, fondamentalmente pedagogico più che scientifico in sé: l’interesse di Boerhaave non stava nel trasmettere ai suo studenti questa o quella teoria ma un metodo per cui si sarebbero resi per sempre autonomi nella pratica professionale come nella ricerca medica. Era questo il più alto obiettivo pedagogico a cui un insegnante di medicina potesse aspirare in quel momento86. Non a caso il suo allievo più celebre Albrecht von Haller appella Boerhaave come il Communis Europae praeceptor ed in una lettera indirizzata alla figlia nel 1780, a distanza di oltre cinquanta anni dall’insegnamento ricevuto a Leida ne conserva ancora vivo il Si veda n. 66, p. 361. La parte della pedagogia di Boerhaave, relativa all’insegnamento della chimica, è stata oggetto di un’ interessante tesi di dottorato di ricerca, tuttavia non ancora edita: John Powers, Herman Boerhaave and the pedagogical reform of eighteenth century chemistry (PHD dissertation, Indiana University, 2001). 52 85 86 ricordo della semplicità e del garbo di un grande uomo che possedeva il talento unico della persuasione87. Conseguenza diretta di questo metodo di Boerhaave era l’apertura ad opinioni diverse: egli difficilmente dava adito a polemiche nei confronti di chi, collega o studente, la pensasse in maniera differente dalla sua. Era aperto alle critiche che anzi, se provenivano dai suoi studenti, rappresentavano per lui la maggior prova dell’efficacia del suo metodo che puntava all’autonomia di pensiero nella ricerca. Una libertà di metodo e di pensiero che poteva diventare pericolosa, specialmente in un momento in cui le controversie religiose animavano l’intero continente europeo. Benché Leida fosse da sempre stata caratterizzata come università da un forte spirito di tolleranza religiosa tra diverse confessioni, in ogni caso Boerhaave si mosse sul piano formale in piena ortodossia: egli aveva abilmente legato le nuove scoperte e l’approccio alla filosofia naturale con la tradizione ippocratica, sostenuta dalla facoltà medica, ottenendo come risultato un curriculum medico basato su fonti moderne, ma del tutto ortodosso. Anche nell’ultimo volume che Boerhaave diede alle stampe nel 1732 gli Elementa chemiae più che proporre nuove idee scientifiche, offre un nuovo metodo didattico di apprendimento della chimica, evidenziato dalla stessa organizzazione e struttura dell’opera: egli guida il lettore dall’apprendimento dei rudimenti della chimica e dalle teorie più semplici a quelle più complesse. Obiettivo, anche qui, è rendere più semplice l’apprendimento della disciplina, attraverso la disposizione degli argomenti in maniera naturale e ordinata, secondo un metodo che nessuno aveva adottato prima di allora. In questa abilità pedagogica risiedono tutto il genio e la modernità di Boerhaave. Alle sue lezioni accorrevano in maniera massiccia studenti stranieri, discepoli resi autonomi ed indipendenti nel pensiero 87 Albrecht von Haller, Letters from Baron Haller to his daughter on the truths of Christian religion, London, 1780, p. 64. Si veda anche Abrecht von Haller, Bibliotheca Anatomica, Zurich, 1774 – 1776, vol. I, p. 756. La descrizione che Haller fa del maestro come il miglior insegnante di medicina in Europa, in grado di stimolare gli studenti a pensare ed a sperimentare da soli è molto nota ed è stata fonte di ispirazione per diverse pubblicazioni ed articoli, mirati a documentare e giustificare il successo didattico di Leida per la medicina tra Sei e Settecento. 53 dal maestro che a loro volta diffusero il nuovo metodo in altre sedi europee: Albrech von Haller, l’ enfant prodige di Berna, trasmise il metodo del maestro nei suoi sette anni di insegnamento all’ università di Göttingen prima di rientrare nel 1753 in Svizzera88; Archibald Pitcairne, che ebbe un ruolo decisivo nella fondazione della facoltà medica di Edinburgo aveva studiato a Leida, così come Alexandro Monro primus, lettore di medicina all’ università di Edimburgo89. Molti altri allievi disseminarono il nuovo metodo del maestro in tutta Europa, formando quella generazione che, nel Settecento, avrebbe consentito la nuova rivoluzione della medicina, caratterizzata da un continuo spirito di ricerca verso nuovi e differenti sistemi medici. 1.5 PARIGI NEL XVIII SECOLO: CENTRO DI ECCELLENZA PER LA CHIRURGIA La capitale francese nel Settecento si configura a livello europeo come un centro di eccellenza per lo studio dell’anatomia pratica e della chirurgia, un primato che nonostante l’antica tradizione degli studi medicina presso l’università parigina è dovuto soprattutto ad un contesto formativo esterno all’università. Nella facoltà medica parigina a differenza sia di quella di Montpellier che di altre in Europa si respirava ancora un’atmosfera troppo conservatrice, legata strettamente alla medicina classica e resistente ad accogliere le innovazioni nella teoria medica, nella fisiologia, nella chimica e nella terapeutica. Mentre il contesto parigino extra-universitario vantava una molteplicità di occasioni formative, soprattutto nel campo dell’anatomia pratica e della chirurgia, improntate al nuovo sapere medico ed aperte a nuove prospettive di pratica professionale. Se Parigi non era appetibile come centro di formazione universitaria, ciò equivale a dire che la Si veda n. 62, p. 250. B. Risse, Hospital life in Enlightenment Scotland: care and teaching at the Royal Infirmary of Edinburgh, Cambridge, Cambridge University Press, 1986, p. 241. 54 88 89Guenter capitale francese non era una città per i principianti in medicina90, ma adatta a coloro che avevano già conseguito altrove una laurea in medicina e cercavano di completare la loro formazione attraverso un apprendistato professionale medico e chirurgico. Quali opportunità formative la città era in grado concretamente di offrire da questo punto di vista nel XVIII secolo? Davvero molte: scuole di medicina e chirurgia, con corsi pubblici e privati a pagamento, lezioni pubbliche e private di anatomia, chirurgia e ostetricia, apprendistato professionale al seguito di medici e chirurghi di fama, pratica ospedaliera in cui era perfino possibile assistere ad operazioni chirurgiche. La qualità dell’offerta didattica era ampia e varia. Poche città europee al pari di Parigi erano in grado di offrire una concentrazione così elevata di luoghi ed istituzioni formative in cui era possibile perfezionarsi nello studio della chirurgia e anatomia. Una concentrazione segnata anche sul piano urbanistico dalla contiguità di queste strutture: il Jardin du Roi, la scuola chirurgica, gli ospedali Hôtel Dieu e Charité erano situati uno in prossimità dell’altro. Vediamo più da vicino qualcuna di queste strutture. Il Jardin du Roi era stato istituito nel 1626, su impulso del medico del re, Guy Labrosse con lo scopo principale di fornire didattica ai medici sull’uso delle piante medicinali e rimase fino al 1718 sotto la direzione del medico reale. Nel 1673 alle lezioni di botanica che si svolgevano al Jardin du Roy, si aggiunsero quelle di anatomia e chirurgia tenute dal chirurgo di corte Pierre Dionis (1673 1718)91. Il legame diretto con la corte reale garantiva una serie di privilegi per il reperimento di cadaveri utili alle dissezioni: era intervenuto il re Luigi XIV a dotare il Jardin del privilegio, fino ad allora concesso soltanto alla facoltà medica, di pretendere il cadavere di condannati a morte. Le lezioni dei suoi corsi di anatomia, chirurgia ed ostetricia furono raccolte e pubblicate in opere a stampa92 Toby Gelfand, Paris: “certainly the best Place for learning the practical part of Anatomy and Surgery, in, Centre of Medical Excellence? Medical Travel and Education in Europe, 1500 – 1789, cit., pp. 221 – 245. 91 The Western medical tradition 800 BC to AD 1800, cit.,, p. 437. 92 Le lezioni di anatomia e chirurgia che Pierre Dionis tenne al Jardin du Roy furono raccolte ed edite nelle seguenti opere Cours d'operations de chirurcie, demontrees au Jardin Royal, par m. Dionis. A Paris rue Saint Severin : chez D'Houry seul imprimeur & libraire de Monseigneur le Duc d'Orleans, 1746; L' anatomie de l'homme, 55 90 che conobbero larga fortuna europea, anche grazie attraverso numerose traduzioni in diverse lingue. Lezioni di anatomia furono impartite anche nel 1682 dal medico Joseph-Guichard Duverney, membro dell’Accademia delle Scienze, con la partecipazione numerosa di studenti e visitatori stranieri –oltre 140 in un anno- dovuta anche alla particolare abilità oratoria delle sue dimostrazioni. In prossimità del Jardin du Roy gli aspiranti medici e chirurghi potevano dedicarsi alla pratica ospedaliera presso l’Hôtel Dieu: l’ospedale adiacente alla cattedrale di Notre Dame era il più grande ospedale europeo in grado di accogliere duemilacinquecento malati poveri che, durante le fasi epidemiche, arrivavano fino a quattromila. Non molto distante sorgeva l’ospedale della Charité, destinato ad accogliere duecento pazienti uomini e rinomato per la sua pulizia. La rete ospedaliera parigina includeva anche l’ Hotel des Invalides con più di quattrocento letti destinati ad accogliere i soldati invalidi e le due divisioni dell’Hopital Général, il Salpêtrière per donne ed il Bicêtre per uomini. Alcuni di questi ospedali come l’Hôtel Dieu e la Charité offrivano la possibilità, in alcuni giorni della settimana, di assistere ad operazioni come litotomie – procedure di estrazione dalla vescica dei calcoli renali – ed altri interventi chirurgici. Nel 1725 il primo chirurgo cittadino Henri- Francois Ledran inaugurò la scuola di anatomia e chirurgia presso l’ospedale Charité, come privilegio che discendeva da un editto reale dell’anno precedente che autorizzava il collegio dei chirurghi a nominare il primo chirurgo e questi ad avviare attività didattica ospedaliera. All’ Hôtel Dieu andava invece il primato per la pratica e lo studio dell’ostetricia, ambito che nei primi decenni del Settecento nell’ospedale francese fu aperto anche alla formazione di medici e chirurghi uomini i quali sotto la guida del maestro chirurgo dell’ospedale e chiaramente della prima ostetrica, potevano suivant la circulation du sang, & les dernieres dècouvertes, De'montre'e au jardin royal. Par mr. Dionis .. A Paris, chez Laurent d'Houry, rue Saint Severin, vis-à-vis la ruë Zacharie, au S. Esprit, 1706. 56 assistere ai parti delle donne ricoverate nell’ospedale. Il fenomeno dell’ospedalizzazione nella capitale francese nel Settecento merita qualche attenzione in più in quanto è al centro dell’attenzione degli storici della medicina quale processo che porta alla nascita dell’anatomia patologica ovvero all’approccio anatomochirurgico delle malattie interne. Furono i medici della “Scuola di Parigi” come Jean-Louis Petit (1674 – 1750), Pierre- Joseph Desault (1738 – 1795), Théophile de Bordeu (1722 – 1776) e Félix Vicq d’ Azyr (1748 – 1794) i protagonisti della costruzione di questo nuovo approccio anatomolocalista in cui lo stesso ospedale come struttura in grado di accogliere centinaia di malati rappresentava un luogo di osservazione, ma non soltanto questo. I medici e chirurghi parigini non si limitarono all’osservazione dei casi ed a considerare l’ospedale come un teatro nosologico, la cui funzione era quella di offrire agli studenti un’immagine concreta delle diverse manifestazioni patologiche: questa era la scuola ippocratica di prima maniera che poteva rifarsi a Leida ed alle lezioni cliniche di Boerhaave, come si è visto nel paragrafo precedente. Su questa tradizione i medici parigini innestarono una novità sostanziale: essi sostituirono all’arte ippocratica dell’osservazione di un particolare individuo, la diagnostica fondata su correlazioni anatomocliniche, basate sulle frequenze ed una terapeutica fondata su considerazioni statistiche. Questo innovativo approccio, unitamente all’introduzione ed istituzionalizzazione dell’insegnamento clinico negli ospedali – all’inizio raramente incluso nei curricula universitari -, all’interazione tra medicina e chirurgia consente la nascita ad opera della “scuola di Parigi” dell’anatomia patologica, ma anche la trasformazione dell’ospedale in centro medicalizzato e laboratorio della nuova scienza medica93. Ciò era stato possibile a Parigi per la presenza di condizioni favorevoli come strutture ospedaliere in grado di accogliere grandi numeri di malati e una tradizione anatomo-chirurgica di eccellenza. Studiare e fare pratica a Parigi rappresentava per un giovane medico e Othmar Keel, La nascita della clinica in Europa, 1750 – 1815: politiche, istituzioni e dottrine, introduzione di Maria Pia Donato, Firenze, edizioni Polistampa, 2007, pp. 30 – 50. 57 93 chirurgo, quindi, non solo una garanzia di prestigio nell’esercizio futuro della professione, ma anche un privilegio nel poter assistere alle lezioni dei medici e chirurghi, protagonisti di questo approccio innovativo. Théophile de Bordeu che aveva conseguito il dottorato in medicina a Montpellier giunse nella capitale francese nel 1747 con l’obiettivo di perfezionarsi nella chirurgia ed ebbe il privilegio di potersi concedere a pagamento un maestro come Jean –Louis Petit, il chirurgo dell’epoca più famoso in Europa da cui apprese l’esperienza e l’insegnamento anatomolocalista; il medico inglese Martin Lister che aveva studiato a Montpellier si recò nel 1698 a Parigi per assistere alle lezioni di Duverney presso il Jardin du Roy ed ebbe l’occasione di visitare la casa di Jean Méry, uno dei principali chirurghi dell’Accademia delle scienze dove potè assistere alle dimostrazioni che questi teneva presso il suo gabinetto chirurgico privato; Pietro Paolo Molinelli94 che si era laureato in medicina e filosofia a Bologna, nel 1730 si recò a Parigi presso la scuola di Sauveur François Morand, frequentando i corsi pubblici e privati, tenuti dal maestro francese presso l’ ospedale Charité e l’Hotel des Invalides. Molinelli di ritorno dalla Francia si battè a Bologna per l’introduzione di una cattedra di insegnamento della chirurgia attraverso la dissezione dei cadaveri ed ottenne nel 1742 dallo stesso pontefice Benedetto XIV l’istituzione della cattedra di Ostensioni delle operazioni chirurgiche. Il medico pratico Thomas Baker visitò nel 1732 l’ospedale Charité ed ebbe occasione di assistere alle operazioni di fistole di Morand così come di ascessi facciali e di fratture al cranio; Baker visitò anche la casa privata di Morand dove potè ammirare la sua libreria come la sua collezione chirurgica. Tutti esempi che rendono bene l’idea di cosa esattamente si trovasse davanti un giovane medico desideroso di accrescere la sua conoscenza professionale e soprattutto le sue competenze chirurgiche nella Parigi del XVIII secolo. Per la biografia di Pietro Paolo Molinelli si veda Stefano Arieti, Voce “Molinelli, Pier Paolo”, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 75, consultabile on line all’indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/pier-paolo-molinelli_(Dizionario-Biografico). 58 94 Merita, infine, un cenno la nascita nella seconda metà del Settecento a Parigi dell’Accademia di chirurgia legata al collegio chirurgico reale. Nel 1750 il collegio dei chirurghi e barbieri aveva ricevuto un formale riconoscimento dal governo reale che aveva fondato annessa al collegio una scuola di chirurgia, un’accademia, definendo in tal modo la formazione chirurgica su un piano universitario, più che soltanto pratico. Il numero delle cattedre di chirurgia crebbe sensibilmente, da quattro fino a dieci con ben diciotto lettori che insegnavano materie come fisiologia ed igiene, patologia, terapeutica, anatomia, ostetricia, oculistica, chimica e botanica. La posizione di questi lettori era di estremo privilegio rispetto a quelli della facoltà medica, spesso sottopagati ed incerti nelle loro nomine: la scuola di chirurgia era garantita dal governo reale nell’assegnazione delle risorse necessarie al suo funzionamento e i lettori che occupavano le sue cattedre potevano godere di notevole stabilità, prestigio ed erano per tale ragione selezionati fra i migliori professionisti della città. La scuola ottenne notevole successo e studenti accorsero da tutta la Francia e da altre nazioni europee: tra i più celebri si ricorda lo stesso Albrecht von Haller. Il complesso didattico del collegio chirurgico fu completato tra il 1757 quando fu istituita una scuola per le dissezioni e nel 1774 con la costruzione di un piccolo ospedale di ricerca. Esso divenne il segno tangibile dell’eccellenza e del primato che la capitale francese mantenne per tutto il Settecento ed anche per il secolo successivo per l’insegnamento della chirurgia e per lo sviluppo in termini di ricerca dell’ applicazione chirurgica nella diagnosi e nella cura delle patologie. 59 1.6 MONTPELLIER NEL XVIII SECOLO: IL RIGORE NELL’ ECCELLENZA DELLA FORMAZIONE MEDICA La tradizione medica dell’ Università di Montpellier è antica e prestigiosa: la fondazione dell’università data al 1220, quando la cittadina era un attivo e dinamico centro commerciale. Fin dal tardo Medioevo l’università si distinse come un centro rinomato per la formazione medica insieme a Parigi e Bologna. La popolazione studentesca nel tardo Medioevo era in gran parte straniera – oltre il trentasette per cento – mentre sul finire del XVI secolo le presenze straniere si diradano – la percentuale scende al di sotto del quattordici per cento – a causa delle guerre di religione. Montpellier era una sede universitaria guardata con sospetto dai cattolici, vista come un centro protestante. Ciò che caratterizzò nell’età moderna la facoltà medica di Montpellier fu un legame molto stretto con la corona: fu grazie ad Enrico IV se nel 1593 furono istituite le cattedre di anatomia e botanica e nel 1597 quelle di chirurgia e farmacia, così come nello stesso periodo furono istituiti i quattro maestri reggenti le cattedre. Di fatto l’assetto didattico impresso in questo periodo rimase inalterato per tutta l’età moderna, in quanto furono aggiunte nei secoli successivi solo altre due cattedre: nel 1676 quella di chimica e nel 1715 quella denominata service des pauvres (servizio dei poveri) collegata alla pratica ospedaliera. Dalla fine del Cinquecento il legame dell’università di Montpellier con la corte reale si mantenne sempre molto stretto: la maggior parte dei medici di corte provenivano dalla facoltà 60 medica di Montpellier piuttosto che da quella di Parigi95. Tra il 1693 ed il 1792 ben quattro degli otto archiatri di corte avevano studiato medicina a Montepellier e la proporzione si manteneva pressocchè la stessa, anche per tutti gli altri medici in servizio a Versailles. Questo primato rese da sempre Montpellier la rivale più temibile per la facoltà parigina. Uno degli aspetti che rendeva Montpellier molto solida rispetto alla facoltà di Parigi era, come diremmo in termini moderni, la qualità e la solidità del suo corpo docente. I lettori di medicina di Montpellier – i quattro reggenti sopracitati – venivano nominati a vita e sedevano mediamente sulla cattedra per un tempo minino di almeno due decenni con punte massime di quasi mezzo secolo per alcuni. Ciò contribuiva a creare un clima di stabilità sul piano didattico, a differenza della facoltà medica parigina dove i lettori venivano nominati per non più di due anni. La facoltà veniva governata al vertice da un cancelliere direttamente dipendente dalla corona reale: questi era un membro a tutti gli effetti della facoltà e la cattedra di anatomia e botanica era direttamente legata al suo ufficio. Il cancelliere rappresentava, inoltre, gli interessi dell’università nei confronti di autorità esterne che avevano competenza su di essa come il vescovo di Montpellier, definito il “guardiano” dell’ università e l’intendente di Linguadoca. Il legame diretto del cancelliere con la corona avveniva attraverso il primo medico di corte residente a Versailles: questi veniva consultato e interpellato nelle maggiori decisioni da assumere sul piano istituzionale per la facoltà medica. Tutto questo contesto istituzionale poteva influenzare fortemente l’attività della facoltà medica di Montpellier che era, quindi, suscettibile nella sua impronta didattica ed organizzativa ai condizionamenti esterni che poteva ricevere da queste autorità. Sul piano dell’assetto didattico mentre era fisso il programma assegnato alle quattro cattedre dei reggenti – anatomia e botanica, chirurgia, farmacia, chimica – gli altri lettori erano liberi di scegliere il soggetto dei corsi sulla base dei loro interessi medici, benché anche questa fosse una sorta di libertà vigilata dall’autorità Si veda Vivian Nutton (edited by), Medicine at the court of the Europe, London, Routledge, 1990, pp. 7994. La corte francese fu definite da Luigi XIV “une pépinière des archiâtres” ovvero una sorta di nursery dove venivano allevati i medici di corte. 61 95 accademica. Difatti nel XVIII secolo il rigore che da sempre caratterizzava l’organizzazione dell’insegnamento medico a Montpellier si accentuò: gli statuti del 1732, riconfermati nel 1766, stabilivano che i lettori, una volta scelto il soggetto medico dei loro corsi, dovevano articolare cicli di lezioni che nell’arco di sei anni ne avrebbero dovuto approfondire in successione i vari aspetti96. Inoltre gli statuti regolavano la presenza dei lettori: dovevano leggere per almeno quaranta volte in un semestre, certificando in un registro ogni volta la loro presenza, sotto la pena pecuniaria per ogni lezione che non veniva svolta. Nel Settecento lo stesso rigore caratterizzava l’articolazione degli esami e delle verifiche a cui dovevano essere sottoposti gli studenti, aspetto di serietà per cui la facoltà medica di Montpellier godeva di un’altissima reputazione. Spesso gli esami nelle altre facoltà avevano un carattere di mera formalità, tanto che a volte, neanche venivano svolti, ma solo certificati. A Montpellier lo svolgimento degli esami era improntato al massimo rigore, come stabilivano gli statuti; per il dottorato in medicina era previsto un esame scritto della durata di quattro ore, la composizione di una tesi che di norma veniva pubblicata, dodici lezioni da svolgere pubblicamente tra cui tre dissezioni anatomiche da eseguire in tre mesi alle quali era prevista la partecipazione dei maestri, l’esame detto per intentionem in cui il candidato doveva rispondere a quattro quesiti posti da quattro differenti professori su quattro differenti casi di malattie. Dopo un intervallo di otto giorni si svolgeva un altro esame articolato ad ogni sessione in tre ore alla mattina e tre ore al pomeriggio durante le quali i candidati dovevano ricevere i voti favorevoli di almeno due terzi dei docenti presenti per essere ammessi alla sessione successiva. Infine dopo altri otto giorni si svolgeva un altro esame generale articolato su punti basati sugli Aforismi di Ippocrate. Benché sia difficile documentare con quale livello di serietà e di regolarità si svolgessero le prove, è innegabile il loro rigore e complessità a cui dovevano sottoporsi i giovani aspiranti al dottorato in medicina. Una novità importante, non presente negli Elisabeth A. Williams, Medical education in Eighteenth century Montpellier, in, Centre of Medical Excellence? Medical Travel and Education in Europe, 1500 – 1789, cit., pp. 247-267. 62 96 statuti, ma introdotta di fatto nel XVII secolo era il requisito richiesto agli studenti che volevano ottenere la licenza in medicina di svolgere uno stage pratico di almeno sei mesi sotto la guida di un medico locale. La pratica si rendeva parte necessaria della formazione medica ed è sulla base di questo stesso impulso che nel 1715 era stata istituita la cattedra del servizio dei poveri. Un’innovazione didattica significativa fu nel 1734 la possibilità per gli studenti di essere esaminati sia in medicina che in chirurgia, conseguendo una laurea in entrambe le discipline. Questo rese piena di attrattive la facoltà medica di Montpellier agli occhi degli studenti anche delle altre nazioni europee, tanto che negli ultimi trent’anni del XVIII secolo, vi si contano ben seicento laureati in medicina e chirurgia. Unitamente al rigore che improntava l’articolazione dei suoi studi la facoltà medica di Montpellier doveva la sua fortuna, alla ricchezza di opportunità per la formazione medica che caratterizzava il suo contesto. Il Jardin des Plantes fu realizzato nel 1593, il primo in Europa dopo i tre italiani di Padova nel 1545 di Pisa nel 1546 e di Bologna nel 1568 e fu diretto da Pierre Richer de Belleval lettore della cattedra di anatomia e botanica dal 1593 al 1632. Il Jardin conobbe un periodo di particolare splendore nel XVIII secolo durante la direzione di François Boissier de Sauvages che resse la cattedra di botanica dal 1752 al 1758. Egli era un corrispondente di Linnaeus di cui introdusse nell’orto botanico la nomenclatura oltre a molte altre innovazioni e miglioramenti. Tra le altre strutture didattiche non va dimenticato che Montpellier fu la prima università francese a costruire un teatro anatomico nel 1556 e a dotare la facoltà di una specifica cattedra di anatomia. Tuttavia va detto che proprio questa cattedra come si è già visto era annessa al cancelliere della facoltà a sua volta legato al primo medico della corte reale. Ciò significò l’assegnazione della cattedra spesso ad anatomisti, provenienti da famiglie e circoli legati alla corte reale. Non ultima va evidenziata la possibilità per gli studenti di Montpellier di esercitare la pratica all’interno di ospedali come l’ Hôpital Saint- Eloi dove nel XVIII secolo i 63 professori della facoltà medica avevano incarichi di amministrazione. La presenza degli studenti nell’ospedale è attestata già dai primi decenni del secolo XVIII ma solo nel 1746 l’amministrazione dell’ospedale adottò provvedimenti ufficiali per regolamentarla. Infine un’istituzione che non va dimenticata nel Settecento nel contesto formativo a Montpellier è la Société royale des sciences fondata nel 1706: benché fosse esterna alla facoltà medica, la metà dei suoi membri erano medici e la società divenne un importante luogo di dibattito e confronto sul sapere medico e scientifico, conferendo ulteriore prestigio alla città ed alla sua università. Fu proprio la Société royale des sciences a supportare l’istituzione di un laboratorio e di un corso privato di chimica. Benché ricco di opportunità non fu solo il contesto extrauniversitario di Montpellier a confermarne nel XVIII secolo il prestigio ed il primato nella formazione medica, quanto il corpo didattico della facoltà e la sua organizzazione interna: il rigore della formazione interessava in egual modo, come si è visto, sia i lettori che gli studenti, ciascuno nei reciproci obblighi e compiti all’interno dell’università, nel corso delle lezioni, delle verifiche e degli esami ed era questa la cifra caratterizzante la qualità didattica di Montpellier, in grado di formare con attenzione ai vari livelli, sia generazioni di medici di corte che di medici della provincia97. In conclusione, il quadro che emerge dal rapido esame tracciato, nella sua complessità legata alla vicenda specifica di ogni città ed università presa in esame, evidenzia dei tratti comuni: l’eccellenza di un centro di formazione medica si lega in età moderna con la sua capacità di offrire un sapere medico aggiornato, in grado di rendere il medico quanto più preparato all’esercizio pratico della professione. Saper riconoscere le sedi delle malattie e le parti del corpo attraverso Colin Jones, Montpellier medical students and the medicalization of 18th century France, in, Problems and methods in the history of medicine edited by Roy Porter and Andrew Wear, London, Croom Helm, 1987, pp. 57 – 80. 64 97 la dissezione anatomica, saper riconoscere le virtù delle piante medicinali attraverso le ostensioni nell’ orto botanico, saper decifrare i segni della malattia al letto del malato, sono requisiti che un buon medico pratico deve avere ed il centro di eccellenza è tale nella misura in cui è in grado di fornire strutture, strumenti e metodi per garantire l’acquisizione di questo sapere pratico. L’osservazione diretta del caso clinico in ospedale, la possibilità di ripetere in maniera autonoma la dissezione anatomica acquisendo abilità manuali e conoscenza diretta del corpo umano e delle sedi delle malattie, la possibilità di esercitarsi in maniera autonoma nell’Orto Botanico nel riconoscere le piante medicinali, sono componenti essenziali di un metodo mirato a rendere il futuro medico, sempre più autonomo nei suoi percorsi formativi e nella capacità di praticare la medicina con indipendenza di giudizio. Dalla medicina dogmatica delle dispute medievali basate sull’autorità dei classici ad una medicina basata sull’esperienza con cui vanno confrontate le diverse ipotesi di interpretazione del dato reale. Non più un sistema assoluto di verità ma la ricerca di sistemi nuovi in grado di offrire una nuova visione del sapere medico, speculare alle nuove conoscenze che le indagini anatomiche e microscopiche erano in grado di rivelare. Mutano i criteri interpretativi della realtà, muta lo scenario di fondo della medicina: non è più fisso e fatto di certezze immutabili offerte dall’ autorità dei maestri classici, ma è mobile e nell’età della rivoluzione scientifica, costantemente mutevole. Quanto più si è in grado di adattarsi a questa mutevolezza e di preparare ad essa, quanto più trova giustificazione il criterio di eccellenza, applicato a contesti formativi che siano universitari e non. In questa nuova visione la chirurgia, sapere tradizionalmente relegato per la sua manualità ad una condizione di inferiorità rispetto a quello puramente teorico della medicina, si riunisce alla medicina, a significare la necessità sul piano formativo, prima ancora di quello pratico, di ridefinire un nuovo programma didattico in cui il momento dell’osservazione e quello pratico, diventino espressioni diverse di uno stesso bisogno conoscitivo. Bisogno che emerge e dà vita, nel corso dell’età moderna, a nuove discipline come la fisiologia e l’anatomia patologica. Centri di eccellenza 65 sono, dunque, quelli in cui la consapevolezza del processo in atto, determina la ricerca nuovi approcci e nuovi metodi di studio, idonei nell’ apprendimento, applicazione e comunicazione del nuovo sapere medico. CAPITOLO II FORMAZIONE E PROFESSIONE MEDICA A FERMO E NELLA MARCA FERMANA NEI SECOLI XVII-XVIII Premessa Nel territorio dello Stato Pontificio coincidente con quello odierno marchigiano si assiste nel corso dell’età moderna ad un fenomeno singolare: nel raggio di pochi chilometri fioriscono ben cinque sedi universitarie – Macerata, Fermo, Fano, Urbino e Camerino – con una densità rispetto all’estensione del territorio ed al numero di abitanti che non ha precedenti, non solo nella penisola, ma nell’intera Europa98. Si è già riflettuto sulle possibili cause del fenomeno99, legate alla particolare natura del rapporto tra il potere e le oligarchie cittadine, ma esso resta un dato in controtendenza rispetto alla direzione in cui vanno le altre università della penisola in età moderna – soppressione degli atenei minori e potenziamento di quelli più grandi – ed anche in Europa. Tuttavia, al di là dei limiti che possono essere imputati a tali università, come la provincializzazione del corpo docente, la scarsa frequenza degli studenti a fronte dell’elevato numero di laureati che le rende fabbriche di titoli più che di veri e propri dottori100, è innegabile la funzione che questi Studia assolsero nei secoli XVII – XVIII, favorendo la crescita dell’intero contesto culturale urbano e territoriale e, Gian Paolo Brizzi, Università e collegi marchigiani in età moderna, in, atti del Convegno storico –scientifico “Scienziati e tecnologi marchigiani nel tempo”, editi nel numero speciale di «Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche”», 30/6, 2000, pp. 17 – 36. 99 Ivi, cit., pp. 25 – 27. 100 Regina Lupi, Gli Studia del papa: nuova cultura e tentativi di riforma tra Sei e Settecento, Firenze, Centro Editoriale Toscano, 2005, pp. 16-18. 66 98 soprattutto, lo sviluppo ed il radicamento nei ceti nobiliari di nuove professioni, come quella medica. Benché la vicenda storica di ciascun ateneo sia stata indagata o in maniera specifica o nel contesto più generale di opere di storia locale, manca del tutto una visione di insieme sul ruolo che questi Studia svolsero nello sviluppo della formazione medica in età moderna101. Ciò perché è del tutto assente o piuttosto scarsa una bibliografia di base specifica sugli studi medici condotti nella singola università, su coloro che ne furono i protagonisti – lettori e studenti- e soprattutto sul progetto formativo al quale diedero vita in ambito universitario e professionale. Nel capitolo precedente si è visto quali fossero i centri di eccellenza per la formazione medica in età moderna nella penisola ed in Europa e quali orientamenti, in generale, connotassero in maniera più o meno comune, lo sviluppo della didattica medica e della ricerca. Poco o nulla si sa fino alla data odierna su come lo studio della medicina si collocasse all’interno di queste università marchigiane, sia in riferimento al contesto locale, sia rispetto agli altri centri maggiormente noti della penisola, come Padova e Bologna e considerando lo Stato Pontificio, anche rispetto alla stessa Roma. Tuttavia proprio sulla base dei parametri evidenziati nel precedente capitolo, tra questi Studia, quello che merita maggiore attenzione per la formazione medica è senza dubbio quello fermano per diverse ragioni: il carattere internazionale dei suoi studenti – provenienti dall’Illiria, dalla Stiria e dai paesi del Nord- Europa, in particolare dai territori del Sacro Romano Impero102-, la presenza del più importante collegio gesuitico fondato dalla compagnia in territorio marchigiano, il contesto extra-universitario, con diverse possibilità formative legate all’esercizio pratico della professione, sono tutti aspetti che meritano i necessari approfondimenti. Non ultimo va rilevata l’attenzione che personaggi di spicco Un unico tentativo di delineare anche a sommi capi una storia della formazione medica nelle università marchigiane in età moderna si evince dal contributo di Gilberto Piccinini, Formazione e presenza medica tra Cinquecento e primo Ottocento, in, La Cultura nelle Marche in Età Moderna, (a cura di) Werther Angelini e Gilberto Piccinini, Milano, Federico Motta editore, 1996, pp. 190 – 205. 102 Si veda n. 3, p. 17. E’ attestata la presenza a Fermo di numerosi studenti provenienti dalla città di Graz e dai territori della Dalmazia. Per uno studio sulla presenza degli studenti di area germanica a Fermo si veda Fritz Weigle, Deutsche Studenten in Fermo (1593 – 1774), «Quellen und Forschungen aus Italianischen Archiven und Biblioteken – Deutsches Historisches in Rom», 38, 1958, pp. 243 – 265. 67 101 della cultura della curia romana e medici fermani illustri che vi operarono, seppero attirare sulla formazione medica a Fermo tra Seicento e Settecento. Difatti la fama dell’Università fermana nel Seicento si lega in modo particolare a personaggi illustri come Cesare Macchiati e Romolo Spezioli che, dopo aver ottenuta la laurea in filosofia e medicina presso lo studio cittadino, si distinsero per una prestigiosa e fortunata carriera nella capitale romana, all’ombra di personaggi della statura culturale e politica della Regina Cristina di Svezia e del cardinale Decio Azzolino junior. Personaggi che la storia del Seicento lega strettamente anche a quella della città di Fermo. La vicenda biografica del cardinale Decio Azzolino junior rinvia alla fondazione della Pubblica Libreria Fermana nel XVII secolo, mentre quella del medico fermano Romolo Spezioli si lega inscindibilmente sia alla nascita delle collezioni bibliografiche della biblioteca fermana, sia alla stessa attività didattica della facoltà medica fermana. La fortunata carriera compiuta dai due medici tra la Marca Fermana e Roma è emblematica, del prestigio e del ruolo formativo rivestito da un’ università solo apparentemente “minore” dello Stato Pontificio come quella fermana che, nel XVII secolo, rappresentava il principale bacino di provenienza dei lettori “forastieri” di medicina e non soltanto, attivi presso l’Archiginnasio Romano103. Questo è un dato, come già sopraindicato, che merita una riflessione storica più articolata, anche perché fa luce sul ruolo che l’università fermana ebbe di fatto, per quanto riguarda gli studi medici, già nell’imminenza dell’intero territorio dello Stato Pontifico, ruolo che resta piuttosto silente nella bibliografia edita fino ad oggi. Annalia Bonella, La professione medica a Roma tra Sei e Settecento, «Roma Moderna e Contemporanea», numero monografico Corporazioni e gruppi professionali a Roma tra XVI e XIX secolo (a cura di) Carlo M. Travaglini, 6/3, 1998, pp. 349 – 366. Si veda in particolare p. 358 in cui sono evidenziati i dati di provenienza dei medici attivi a Roma nei primi decenni del Settecento: delle università dello Stato Pontificio Fermo è quella da cui provengono la maggior parte dei laureati extra-collegium. 68 103 Gli studi pubblicati sono soprattutto attenti a singoli episodi illustri, come quelli dei medici Spezioli, Macchiati ed altri104 o ad una ricostruzione di carattere piuttosto generale sull’insegnamento medico attraverso i secoli nell’ università fermana, con notizie piuttosto scarse e scarne sullo specifico assetto formativo medico tra XVII e XVIII secolo105. E’ quasi totalmente assente un tentativo storico di ricostruzione organica del quadro formativo medico fermano, nelle sue strette implicazioni professionali tra Seicento e Settecento con il collegio medico e con il contesto assistenziale e sanitario della città e del territorio fermano in cui i medici graduati presso l’università fermana si trovavano di fatto ad operare. Una lacuna che può trovare la sua giustificazione sul piano scientifico nella difficoltà in cui ci si imbatte nella ricerca, sia per la frammentarietà che per l’esiguità delle fonti a disposizione, di cui si tenterà di offrire, di seguito, un sintetico quadro di insieme. Per quanto concerne la bibliografia edita lo studio più significativo sul piano scientifico resta alla data odierna quello di Gian Paolo Brizzi L’antica università di Fermo, pubblicato nel 2001106 che cita la maggior parte delle principali fonti edite ed inedite a disposizione degli studiosi per ricostruire la storia dell’università fermana. Nel volume scarse le notizie specifiche che si desumono sulla facoltà medica fermana e il collegio medico, anche se l’importanza che queste istituzioni Benché datati nella ricostruzione della vicenda biografica di molti dei medici che si laurearono presso l’università fermana e vi insegnarono come lettori, restano un punto di partenza i repertori biobibliografici dei medici marchigiani come: Giovanni Panelli, Memorie degli uomini illustri e chiari in medicina del Piceno o sia della Marca di Ancona, Bologna, Arnaldo Forni editore, 1974, voll. 2. (rist. anast. basata sull’edizione originale in due volumi impressa in Ascoli, per Niccola Ricci, 1757 – 1758); Giuseppe Natalucci, Medici insigni Italiani antichi moderni e contemporanei nati nelle Marche, pref. del prof. Guglielmo Bilancioni, Falerone, premiato stabilimento tipografico Ferruccio Menicucci, 1934. 105 Si veda Giuseppe Castelli, L’istruzione nella Provincia di Ascoli Piceno dai tempi più antichi ai nostri giorni. Notizie, tavole statistiche e documenti raccolti ed ordinati per ciascun comune con la cooperazione di valenti scrittori dal prof. Giuseppe Castelli, Ascoli Piceno, Luigi Cardi editore, 1899, in particolare alle pp. 534 – 676 in cui viene ricostruito in maniera analitico il quadro complessivo dell’istruzione fermana, sia attraverso la storia dell’università che del collegio dei gesuiti, degli altri collegi attivi a Fermo in età moderna e delle Accademie da cui si possono dedurre anche informazioni sulla formazione medica. 106 Gian Paolo Brizzi, L’antica università di Fermo, Milano, Silvana Editoriale, 2001, pp. 99 - 102. L’opera, benché di carattere generale sulla storia dell’università fermana dalla sua origine alla soppressione nel XIX secolo, è un ineludibile punto di partenza per lo studio della storia della facoltà medica fermana e del contesto culturale in cui gli studi medici si svilupparono a Fermo, in particolare tra il XVII ed il XVIII secolo. 69 104 rivestono nel contesto cittadino vengono ben evidenziate: i docenti di medicina, seppur in numero minore di quelli di diritto, nel Seicento sono quelli che maggiormente contribuiscono attraverso la loro fama al lustro dello Studium cittadino, mentre l’insegnamento medico fermano contribuisce a radicare la professione medica nel tessuto cittadino. Non sfugge inoltre a Brizzi, l’importanza sul piano formativo della donazione libraria del medico fermano Romolo Spezioli che dota la pubblica libreria fermana di un patrimonio eccezionale di opere manoscritte ed a stampa, in gran parte di interesse medico e scientifico, destinato principalmente agli studenti fermani di medicina. Un progetto formativo di ampio respiro, quello pensato da Spezioli per la crescita della facoltà medica fermana, in cui la pubblica libreria diventa il luogo di circolazione di un sapere medico nuovo ed aggiornato, grazie ad una raccolta libraria straordinaria per consistenza e qualità bibliografica di cui già favoleggiavano le cronache romane del tempo107. La libreria di Romolo Spezioli era già nota a Roma per la ricchezza e la rarità degli esemplari a stampa di medicina, molti dei quali impressi in area protestante e messi all’indice dalla censura. La vita alla corte romana della Regina Cristina di Svezia nel Seicento, raffinata bibliofila e personaggio chiave della cultura romana, anche scientifica, consente al medico fermano una facile accessibilità al mondo della circolazione libraria ed il continuo contatto con filosofi e scienziati di fama, assidui frequentatori della corte della sovrana. Un respiro internazionale che attraverso la sua raccolta libraria, Spezioli intende forse donare alla facoltà medica fermana e più in generale allo Studium Cittadino. Sia la figura del medico Spezioli che la sua biblioteca hanno goduto di studi specifici, a partire da quelli editi dalla prof.ssa Vera Nigrisoli Wärnhjelm che ne ha valorizzato il legame con la figura di Cristina di Svezia e degli altri fermani alla Si veda Giovanni Cinelli Calvoli, Biblioteca Volante continuata dal dottor Dionigi Andrea Sancassiani, Sala Bolognese, Arnaldo Forni editore, 1979, (rist. anast. dell’edizione Venezia, Giambattista Albrizzi, 1734-1735), vol. 2., p. 259: “ [Romolo Spezioli]… ha fra le migliori delizie una famosa libreria sì di libri filosofici come medici, ed è tale che in questo genere, sento che niun Medico di Roma l’agguaglia non che l’avanzi”. 70 107 corte romana come i fratelli Adami108. Sempre ad una studiosa svedese Marie Louise Rodén dobbiamo i pochissimi studi editi sulla figura dell’altro illustre medico fermano della Regina il medico Cesare Macchiati109 e sul ruolo strategico che ebbe il cardinale Decio Azzolino junior, nel rapporto tra la città di Fermo e la Curia Romana del Seicento e nella stessa fondazione della biblioteca pubblica fermana110. Studi che rappresentano un punto di partenza ineludibile per ricostruire il contesto in cui opera la facoltà medica fermana, soprattutto nelle sue strette e complesse relazioni con la capitale romana, in cui il piano culturale e scientifico si interseca e sovrappone a quello politico-istituzionale e religioso. Sul piano formativo medico-scientifico non va trascurato il ruolo del Collegio Piceno e delle sue strette afferenze con la facoltà medica e l’università fermana in generale. Nel Seicento la città gode della presenza di numerosi collegi ed accademie: il collegio Canuti – strettamente legato al Collegio Piceno a Roma-, il Collegio Marziale, il Collegio Illirico ed accademie come quella degli Erranti, il cui contributo offerto direttamente ed indirettamente alla formazione medicoscientifica, non va certamente ignorato. La prof.ssa Vera Nigrisoli Wärnhjelm è stata la prima studiosa ad occuparsi della figura di Romolo Spezioli in quanto medico fermano della Regina Cristina di Svezia ed il suo interesse scientifico si è concentrato sui fermani presenti alla corte della regina come i fratelli Adami. Si citano di seguito soltanto alcuni dei principali studi editi da V. Nigrisoli Wärnhjelm: Romolo Spezioli, medico di Cristina di Svezia, Stoccolma, Università di Stoccolma, Dipartimento d’Italiano, 1991; Romolo Spezioli, medico di Cristina in Svezia, « Settentrione», nuova serie, 1994, pp. 25 – 38; Lorenzo Adami, Lettere dalla Svezia: il capitano Lorenzo Adami alla regina Cristina e al cardinale Azzolino, 1665, Stoccolma, Università di Stoccolma, Dipartimento di francese e italiano, 1991 (Forskningsrapporter, Cahiers de la Recherche; 14); V. Nigrisoli Wärnhjelm, I Fermani alla corte della regina Cristina di Svezia, in, Cristina di Svezia e Fermo : atti del Convegno internazionale "La regina Cristina di Svezia, il cardinale Decio Azzolini jr e Fermo nell'arte e la politica della seconda metà del Seicento", tenuto a Fermo nell'Auditorium di San Martino nei giorni 3 e 4 ottobre 1995 (a cura di) Vera Nigrisoli Wärnhjelm, Fermo, Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo, 2001, pp. 105 – 134. 109 M.L. Rodén, Cesare Macchiati, Queen Christina’s first Italian Physician: the Hamburg Letters, in, M. Beretta – T. Frängsmyr, (a cura di), Sidereus Nuncius – Stella Polaris. The scientific relations between Italy and Sweden in Early Modern History, Canton, Science History publications, 1997, pp. 37-45. Sulla figura di Cesare Macchiati si veda anche: S. Virgili, Cesare Macchiati (1597 – 1675) medico della Regina Cristina di Svezia, in Personaggi Piceni, II, Fermo, Andrea Livi editore, 2009, pp. 202 – 214. 108 Si vedano di Marie-Louise Rodén, Cardinal Decio Azzolino, Queen Christina of Sweden and the Squadrone Volante: political and administrative developments at the roman Curia, 1644-1692, Ann Arbor, UMI, 1992; Church politics in Seventeenth-century Rome : Cardinal Decio Azzolino, Queen Christina of Sweden, and the Squadrone Volante, Stockholm, Almqvist and Wiksell, 2001. 71 110 Non va dimenticato, inoltre, il ruolo strategico che svolse il Collegio dei Gesuiti di Fermo nel contesto dell’ attività didattica dell’Università fermana: sebbene non si occuparono mai direttamente di medicina – non risultano letture di medicina direttamente assegnate ai gesuiti – non va dimenticato il contributo strategico che diedero all’attività di ricerca scientifica, grazie alla presenza nei loro collegi – ed anche in quello fermano- di Gabinetti scientifici ed al ruolo che i Gesuiti svolsero nell’insegnamento della filosofia ed in particolare della fisica aristotelica, ancora alla base della formazione medica nel Seicento. Tra le fonti manoscritte per la ricostruzione della storia dell’Università fermana ed in particolare della facoltà medica riveste particolare interesse il fondo Sabbioni conservato presso la Biblioteca Civica “R. Spezioli” di Fermo. Si tratta di diverso materiale archivistico manoscritto preparatorio, in tutta probabilità, per un’opera di carattere celebrativo sulla storia dell’istruzione a Fermo ed in particolare dello Studium cittadino che fu edita, soltanto in parte, nell’ opera a stampa Sulla istruzione pubblica ed Università degli studi in Fermo. Memoria storica compilata dai Deputati della Città arcidiacono Bartolomeo Cordella e Giuseppe Conte Sabbioni Prefetti agli studj, Roma, per Vincenzo Poggioli Stampatore Camerale, 1824111. L’opera si inserisce nella pubblicistica di natura autoreferenziale a cui diedero vita molte università minori dello Stato Pontificio tra cui quella fermana, nel tentativo di rivendicare la restaurazione dello Studio cittadino, in risposta alla riforma degli studi universitari promossa da Pio VII. La commissione cardinalizia incaricata dal pontefice aveva riconosciuto all’unanimità negli atenei di Roma e Bologna, i centri principali di formazione culturale, tecnica e scientifica dello Giuseppe Sabbioni (Fermo, 24 novembre 1689 – ivi, 8 gennaio 1874), figlio del conte Saverio Sabbioni e di Eleonora Morroni, aveva ricoperto incarichi governativi a Petriolo, cittadina del territorio maceratese, dove ebbe abituale dimora per molti anni. Con l’arrivo del Regno d’Italia, ritiratosi dalla vita politica ed amministrativa in quanto fedelissimo al governo pontificio, si dedicò agli studi storici, lasciando, in particolare, oltre ad una storia di Petriolo, anche numerose opere sulla storia dell’istruzione a Fermo e nel territorio fermano. Si veda il profilo biografico di Giuseppe Sabbioni in Atti della Società Storico-Archeologica delle Marche in Fermo, Fermo, stabilimento tipografico Bacher, 1878, vol. 2, pp. 218 – 219. Si veda anche BCFermo, Cartelle Araldiche, famiglia Sabbioni. 72 111 Stato Pontificio, ma per ragioni di equilibrio politico, non poteva non tener conto di tutte le altre università sorte nei secoli nel territorio stesso dello Stato, tra cui figurava anche Fermo. La soluzione adottata di distinguere università di primo grado – Roma e Bologna – e secondo grado – Ferrara, Perugia, Macerata, Camerino, Fermo e Urbino-, nonostante si appellasse a criteri come l’efficienza didattica, l’autonomia economica, la corretta gestione amministrativa, fu il risultato di un compromesso politico che diede adito, di fatto, a non poche ambiguità sul piano concreto e che potenziò le situazioni di conflittualità tra gli atenei. In questo contesto si colloca l’ambizioso progetto originario dell’opera di Sabbioni: si trovano tracce nelle cartelle manoscritte di almeno quattro tomi di una monumentale Storia dell’istruzione pubblica a Fermo, dalle origini nell’Alto Medioevo fino al secolo XIX. L’opera nella sua interezza rimase manoscritta, mentre fu edito soltanto un sunto raccolto nella pubblicazione sopracitata, composta da Sabbioni in collaborazione con Bartolomeo Cordella, opuscolo che ebbe, in realtà, soprattutto una funzione celebrativa in un momento strategico di riorganizzazione dell’istruzione universitaria nello Stato Pontificio in cui l’università fermana rischiava la soppressione. Celebrarne e documentarne l’antichità delle origini e il prestigio attraverso i secoli, rappresentava lo strumento necessario per difenderne la sopravvivenza in una città come Fermo che, da sempre, era stata connotata dalla sua tradizione culturale di studi112. Il materiale archivistico documentario a corredo di quello manoscritto raccolto nelle cartelle Sabbioni, rappresenta una miniera preziosa ove riscontrare bandi, calendari delle lezioni, decreti e costituzioni dell’ università fermana, con l’unico limite della scarsità di documentazione relativa al XVII secolo, a differenza di quella più ricca del XVIII secolo. G. P. Brizzi, Le università minori in Italia. Identità e autoconsapevolezza, in, Le università minori in Europa (secoli XV- XIX), Atti del Convegno internazionale di studi, Alghero, 30 ottobre – 2 novembre 1996, (a cura di) Gian Paolo Brizzi – Jacques Verger, pp. 170 – 188. Si veda in particolare a p. 175, n. 15 in cui la città a proposito della sua tradizione culturale e di studio viene appellata “Firmum, civitas studiis aptissima”. 112 73 Se scarna è la bibliografia sulla storia dell’università fermana lo è ancora di più quella sulla storia del collegio medico professionale fermano in età moderna. Ne fa un accenno nel suo volume sulla storia dell’università fermana G.P. Brizzi113, evidenziando il progressivo controllo assunto nel Seicento da parte del collegio medico fermano sull’insegnamento medico universitario, con un reclutamento dei docenti prevalentemente su base locale. Un potere quello del collegio medico che cresce tra Seicento e Settecento con l’imporsi della professione medica nel tessuto sociale ed urbano: Brizzi evidenzia come gli studi medici nell’università fermana abbiano da sempre rivestito un ruolo marginale rispetto a quello giuridici, come documentano sia il numero dei laureati che quello dei lettori114. Ciò in risposta alla maggiore richiesta di professionisti del diritto per il gran numero di funzionari e cariche nelle giurisdizioni amministrative ecclesiastiche dello Stato Pontificio. Soltanto nel Seicento, Brizzi evidenzia due dati relativi alla facoltà medica fermana a cui si rende necessario prestare particolare attenzione: benché il collegio dei giuristi fosse quello tradizionalmente più potente all’interno dello Studium cittadino, quello che conferiva maggior lustro era quello medico, grazie a personaggi della fama di Cesare Macchiati e di Romolo Spezioli; inoltre si assiste ad un progressivo incremento di studenti e laureati in medicina nel Seicento, un dato quantitativo che Brizzi mette in relazione con la maggiore richiesta sul piano professionale medico, dovuta al saturarsi dei ruoli a disposizione in ambito giuridico ed all’affacciarsi della gioventù nobiliare e borghese fermana agli studi di medicina. Ciò è indubbiamente vero, ma spiega solo in parte il fenomeno. La fama particolare di cui godono i medici che si addottorano a Fermo nel Seicento – non solo Macchiati e Spezioli, ma anche Domenico Mistichelli e molti altri – diventa sempre meno un’ anomalia, un fenomeno eccezionale se la G.P. Brizzi, L’antica università di Fermo, cit, p. 43. Nel Seicento i laureati in medicina rappresentano il 23% contro il 75% dei giuristi. Si veda G.P. Brizzi, Università e collegi marchigiani in età moderna, cit., tabelle dei laureati, pp. 23-24. 113 114 74 storia della facoltà medica fermana viene messa in relazione con l’Archiginnasio Romano e con il “circolo virtuoso” che si innesta tra Fermo e Roma in ambito medico-scientifico. Un circolo virtuoso che è solo una parte di una fitta comunicazione tra Fermo e Roma che nel Seicento poggia, innanzitutto, su aspetti istituzionali, legati a riflessi del potere ecclesiastico romano su una delle sue province più importanti e fedeli, come quella fermana. Il crescente potere del collegio medico professionale fermano, evidenziato da Brizzi, va messo in relazione con l’evolversi della richiesta professionale medica che, tuttavia, resta piuttosto vaga come giustificazione sul piano scientifico, se non si presta attenzione a quali siano le forme ed i luoghi in cui si concretizza la pratica professionale medica ed il tirocinio pratico dei medici addottorati a Fermo. Ciò impone lo studio del tessuto urbano assistenziale per evidenziare quali istituzioni ospedaliere e di ricovero erano in grado di assorbire i nuovi medici e di consentire un tirocinio pratico e sanitario, sotto la vigilanza del collegio medico professionale e delle altre istituzioni locali competenti. Per quanto concerne la storia delle istituzioni assistenziali ospedaliere fermane, la bibliografia edita se ne occupa principalmente sul piano religioso, come storia delle congregazioni religiose a cui facevano capo, mentre si deve al prof. Mario Santoro, fondatore dello Studio Firmano, l’avvio di studi sistematici sulla storia ospedaliera fermana, concentrati in particolare sulla cura degli infanti e degli esposti115. Dal quadro bibliografico edito emerge, tuttavia, sul piano della storia ospedaliera una maggiore attenzione alle origini medievali della maggior parte dei nosocomi fermani, con scarse informazioni sulla loro storia in età moderna. Una Mario Santoro (Catignano, 1905 – Fermo, 1998), pediatra e storico della medicina, allievo del celebre prof. Adalberto Pazzini, ha fondato a Fermo nel 1955 lo Studio Firmano dall’Antica Università per la storia dell’arte medica, quale ideale continuazione dell’antica università fermana. Nelle sue numerose pubblicazioni si è occupato della storia della medicina in terra marchigiana, con particolare attenzione a quella fermana e ad istituzioni ospedaliere e di accoglienza dell’infanzia abbandonata. Si citano di seguito soltanto alcuni dei suoi lavori sull’argomento riediti nel volume Scritti Medici, pubblicato nel 1998, in ricordo di Mario Santoro, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo, a cura di Gisleno Leopardi: L’Ospedale di S. Maria della Carità o Fraternità di Fermo, pp. 33-39; San Marco alle Paludi fu Leprosario dei Crociati – Nota preliminare e piano di lavoro, pp. 46 – 49, “San Marco alle Paludi” antico “Spedale di Crociati lebbrosi?”, II parte, pp. 57 – 62, Presentazione e disamina di alcuni regolamenti, statuti e documenti pertinenti ad Ospedali della Marca nei secoli XIV, XV, XVII, XVIII, pp. 128 – 132. 75 115 lacuna da colmare attraverso il reperimento delle fonti manoscritte, distribuite per quanto concerne gli ospedali e le opere assistenziali fermani tra la biblioteca civica fermana ed in gran parte nel fondo Opere Pie, conservato presso l’Archivio di Stato di Fermo. Una pagina ancora tutta da scrivere è quella relativa all’attività di disciplina, regolamentazione e formazione professionale svolta dal Collegio Medico Fermano, un’istituzione che non risulta ad oggi godere di studi monografici già editi, né di contributi specifici pubblicati in riviste scientifiche, né in quelle di interesse storico-locale. Non abbiamo notizie su quale fosse la sua composizione, il suo meccanismo di regolamentazione e funzionamento interno, né concretamente sulle forme di controllo e gestione che esso era in grado di esercitare in età moderna sull’insegnamento medico presso lo Studium cittadino. Preziose le fonti manoscritte conservate all’Archivio di Stato di Fermo, nel fondo Studio, che hanno rappresentato il principale oggetto della ricerca qui presentata, nel tentativo di ricostruire almeno le linee generali di un quadro professionale medico, ad oggi del tutto assente. L’attenzione alla professione medica implica anche quella verso categorie professionali collegate come i chirurghi e gli speziali: nel corso del Seicento, si assiste ad un processo di regolamentazione interna dell’esercizio della chirurgia e dell’arte della spezieria che si esprime concretamente attraverso la compilazione di statuti, nel tentativo di delineare e delimitare confini professionali, ancora vaghi che generano, inevitabilmente, conflitti piuttosto aspri con il corpo medico. Anche nella realtà fermana l’esistenza attestata nel presente studio di istituzioni come il Protomedicato – di cui fino ad oggi non vi era alcuna traccia - conferma lo stretto potere di vigilanza che la classe medica esercita, grazie alle norme di controllo imposte dal Collegio Medico, ai chirurghi per il rilascio di licenze e patenti e agli speziali attraverso le visite di ispezione alle spezierie del territorio fermano. 76 Risulta impossibile delineare un quadro soddisfacente dell’insegnamento medico fermano senza ricostruire quello del collegio medico professionale, anche in considerazione della coincidenza tra Seicento e Settecento di molti di coloro che ne furono protagonisti da un lato come lettori e dall’altro come membri del collegio. I nomi dei maestri di medicina dello Studio sono anche quelli, spesso, dei professionisti più rinomati e affermati in città e nel territorio – come Lucio Ruffi e Domenico Pieri che furono maestri universitari del medico Spezioli – ed anche dei priori ai vertici del collegio medico. In assenza di questo quadro risulta difficile anche un confronto che contestualizzi la realtà medica fermana nella sua espressione formativa e professionale con altri centri di analoghe dimensioni della penisola in età moderna, di altre città del territorio marchigiano ed anche con il contesto della capitale romana, indubbiamente sovradimensionato rispetto a quello fermano, ma piuttosto omogeneo sul piano politico-istituzionale e culturale. Questi gli obiettivi che la ricerca si è posta e che ha cercato di raggiungere attraverso i risultati di seguito articolati che necessitano indubbiamente di ulteriori approfondimenti, ma che hanno il merito di delineare un quadro del tutto inedito sulla storia della formazione e della professione medica in età moderna a Fermo e nella Marca Fermana116. 2.1 LO STUDIO FERMANO E LA MEDICINA NEI SECOLI XVII - XVIII Se è vero che ancora molto resta da indagare sulla storia fermana in generale, è indubbio che l’argomento che stiamo per affrontare è, secondo le analisi condotte sulla bibliografia edita, una pagina completamente nuova da scrivere. Ciò da un lato può facilitare il compito dello storico che, per primo, ha il privilegio di affrontare un argomento mai trattato, imprimendo il proprio Per la storia della Marca Fermana in età moderna si veda Atlante storico del territorio fermano, testi a cura di Lucia Medei, Stefano Papetti, Luigi Rossi, tavole di Tommaso Fattenotte, Fermo, Andrea Livi editore, 2010, in particolare alle pp. 29 – 34 e pp. 308 – 309. 77 116 orientamento scientifico alla ricerca, dall’altro la totale assenza di ricerche pregresse ed anche di una scarna bibliografia edita di partenza, impone in via immediata il lavoro di ricerca sulle fonti inedite, di non sempre facile reperimento, accessibilità e lettura. Nel caso specifico hanno rappresentato principale oggetto di indagine il fondo manoscritto Giuseppe Sabbioni conservato presso la Biblioteca Civica “R. Spezioli” di Fermo e il fondo Studio dell’Archivio di Stato di Fermo. La ricerca condotta sulla documentazione conservata nel fondo Università dell’Archivio di Stato di Roma per definire il contesto dei rapporti tra l’ateneo ed il collegio medico romano e quello fermano nel periodo cronologico preso in esame, ha consentito di reperire anche informazioni di interesse strategico sulla stessa struttura didattica e formativa della facoltà medica fermana, così come veniva descritta e risultava agli occhi dell’ateneo gerarchicamente “sovraordinato” della capitale romana. Il risultato che ne è derivato è quello di un quadro complessivo in cui finalmente sono chiari i protagonisti di questa storia e cominciano ad emergere i percorsi formativi della professione medica nella Marca, condivisi tra università cittadina e collegio medico, con un ruolo sempre più preponderante di quest’ultimo, specialmente nella seconda metà del Seicento, come documentato nel presente capitolo. La ricerca necessita sicuramente di approfondimenti futuri, ma ha il merito di aver gettato luce su un capitolo totalmente inedito della storia fermana e soprattutto della storia della formazione medica in un’ università “minore” dell’età moderna. 2.2 I MAESTRI E LE CATTEDRE 78 La storia della facoltà medica fermana in età moderna, sino ad oggi, è stata scritta paradossalmente al contrario ovvero partendo dai suoi allievi più illustri: Cesare Macchiati, Giovanni Tiracorda, Romolo Spezioli, Giambattista Scaramuccia, Domenico Mistichelli. Tanto nei repertori generali biobibliografici117 di cui si dispone, quanto nei singoli contributi editi nelle riviste, dedicati alle figure di questi personaggi illustri della medicina fermana, non si ritrovano che cenni sporadici al periodo di formazione presso lo Studium cittadino: a parte la data di conferimento del dottorato in medicina e filosofia poco o nulla si sa del contesto accademico in cui si formarono e dei primissimi anni della loro attività professionale svolta nel territorio della Marca. Ciò è comprensibile se si mette in relazione alla scarsità delle fonti bibliografiche edite e alla complessità che una ricerca sulle fonti inedite implica, specialmente quando l’attenzione dello studioso è focalizzata su un singolo personaggio o solo sulla ricostruzione biografica, come è principalmente la natura degli studi sopracitati. Tuttavia tale lacuna si spiega ancora meglio, nell’assenza di una prospettiva di rilettura del ruolo formativo svolto dello Studium nel territorio dello Stato Pontificio in relazione a quello egemonicamente superiore della capitale romana e del suo contributo alla formazione della classe dirigente locale ed alla crescita culturale e scientifica della città e del territorio fermano. Ad eccezione dello studio edito da G. Brizzi che rappresenta ancora oggi per gli studiosi un ineludibile punto di partenza, mancano indagini che tentino di restituire un quadro di insieme che ricostruisca come realmente operò lo Studium cittadino per la formazione medica, quali ne furono i protagonisti e quale ruolo svolse nel 117 Si vedano: Giovanni Panelli, Memorie degli uomini illustri e chiari in medicina del Piceno o sia della Marca di Ancona, cit, Cesare Macchiati, vol. 2, pp. 299-301, Giovanni Tiracorda, vol. 2, pp. 266 – 268, Romolo Spezioli, vol. 2, pp. 309 – 316, Giambattista Scaramuccia, vol. 2, pp. 328 – 331; Domenico Mistichelli, vol. 2, pp. 336 – 342; Giuseppe Natalucci, Medici insigni Italiani antichi moderni e contemporanei nati nelle Marche, pref. del prof. Guglielmo Bilancioni, cit., Cesare Macchiati, pp. 82-83, Giovanni Tiracorda, p. 72, Romolo Spezioli, pp. 52 -53, Giambattista Scaramuccia, pp. 109 – 110, Domenico Mistichelli, p. 60. 79 contesto culturale cittadino e nel territorio dello Stato Pontificio per lo sviluppo della professione medica. E’ bene, allora, cominciare a scrivere questa pagina inedita, partendo da coloro che ne furono i primi protagonisti: i lettori di medicina. Dal Catalogo dei Laureati edito nello studio di Brizzi deduciamo notizie sugli allievi illustri che si addottorarono in medicina e filosofia presso l’ università fermana nel XVII secolo118, ma nulla sappiamo dei loro maestri. Solo dalla breve nota autobiografica che Romolo Spezioli invia a Carlo Cartari, avvocato concistoriale dell’Archiginnasio Romano, ricaviamo qualche cenno su chi fossero i suoi maestri di medicina nello Studio fermano: “Studiai sempre in patria, ed ebbi Maestri nella Medicina il sig. Dottor Lutio Ruffi e Sig. Domenico Pieri Lettori Primarij nell’Università di Fermo. Mi diede la Laurea Dottorale il sig. Francesco Macchiati Medico Celebre nella Marca et all’ora Primo Medico di Fermo, sotto di cui feci la mia prattica, e poi uscij a medicare alle Condotte…” 119. La testimonianza di Spezioli, vista la totale assenza di analoga documentazione per altri illustri allievi fermani, è del tutto eccezionale: rileggendola con attenzione esprime in sintesi il percorso formativo, forse esemplare, di un medico della Marca. Spezioli studiò “sempre” in patria ovvero non si avventurò nella peregrinatio academica tipica della formazione medica nel Seicento120, né in G.P. Brizzi, L’ Antica Università di Fermo, Milano, Silvana Editoriale, 2001, Catalogo dei Laureati, pp. 113-207. Giovanni Tiracorda si addottorò presso lo Studio fermano in medicina e filosofia in data 19.06.1637, Cesare Macchiati il 13.11 1650, Romolo Spezioli il 22.04.1664, Giambattista Scaramuccia il 13.01.1674, Domenico Mistichelli il 7.04.1698. 118 F. Zurlini, Romolo Spezioli (Fermo, 1642 – Roma, 1723): un medico fermano nel XVII secolo a Roma, Manziana (Roma), Vecchiarelli editore, 2000, pp. 13-14. La nota autobiografica di Spezioli è conservata in ASRoma, Fondo Cartari-Febei, serie 2., b. 66, c. 151r insieme ad altro materiale che l’avvocato concistoriale Carlo Cartari raccolse allo scopo di dare alle stampe un catalogo dei professori dell’Archiginnasio Romano. Di fatto l’opera che nelle intenzioni dell’autore avrebbe dovuto essere editata col titolo Athenaeum Romanum non vide mai la luce, ma servì da guida al volume di Giuseppe Carafa, De Gymnasio Romano et de eius professoribus ab urbe condita, Romae, typis Antonii Fulgonii apud S. Eustachium, 1751 – 1753. 120Sull’ argomento si veda il recentissimo saggio di Ole Peter Grell, Andrew Cunningham, Jon Arrizabalaga (edited by), Centres of Medical Excellence? Medical Travel and Education in Europe: 1500 – 1789, Farnham – Burlington, Asgate, c2010 (The History of Medicine in Context). 80 119 altre università dello Stato Pontificio, né in altre città, ma la sua prima formazione accademica avvenne localmente sotto la guida dei suoi principali maestri – Lucio Ruffi e Domenico Pieri- lettori “primarij” come li definisce il medico fermano e dunque di fama, in quel momento, nello Studio cittadino; promotore della sua laurea fu Francesco Macchiati, a quanto si deduce un medico pratico, il primo medico “condotto” della città di Fermo, celebre a quei tempi nella Marca per la sua abilità professionale. Una formazione teorica che fin dalla laurea riceve un’impronta fortemente pratica come biglietto d’ ingresso – necessario?- all’esercizio della professione nel territorio della Marca attraverso le condotte, i castelli per poi arrivare a Roma nel 1675. Ma chi erano Lutio Ruffi, Domenico Pieri e Francesco Macchiati? E su quali altri maestri di medicina dentro e fuori dallo Studio cittadino Spezioli e gli altri studenti fermani potevamo contare in quegli anni per la loro formazione medica? E’ un quadro tutto da ricostruire in cui, tuttavia, in una visione di sintesi istituzionale, i protagonisti della vita dello Studio cittadino e di quella del Collegio Medico si sovrappongono. I nostri maestri Lucio Ruffi e Domenico Pieri li ritroviamo già citati nel 1646 nel Catalogo o Matricola dei SS.ri Medici fisici et filosofi de Suprannumero di 12 partecipanti che si ritrovano hora cioè nell’anno 1646121 - già attivi come medici, diciotto anni prima del conferimento della laurea di Spezioli nel 1664, quindi medici esperti e ben radicati nella comunità scientifica fermana. Il catalogo che si trascrive di seguito offre una fotografia interessante dei volti dei protagonisti della medicina fermana nei primi anni del Seicento: “Sig. Camillo Cruciano da Mte. Robbiano medico Filosofo Sig. Gio. Marco Tassone da Massignano *122 Filosofo sig. Pierini Morico da Fermo 121 ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. philosophorum et medicorum civitatis Firmi, 1635 – 1783, Cathalogus seu Matricola … Doct. Ill. Philosphorum et Medicorum de numero duodenario participantium et sunt superstites, cc. 2r – 4r. 122 I nomi contrassegnati con l’asterisco risultano cancellati a penna come spuntati dall’elenco, in quanto si riferiscono a membri non più appartenenti al collegio o deceduti, come nel caso del medico Leonardo Gervasio. 81 Filosofo Sig. Conte Felice Morrone da Fermo * + sig. Leonardo Gervasio Medico da Massignano obijt * Sig. Giovanni Cordella da Fermo medico Sig. Berard. <ino> Macchiati da Carassai medico Sig. Lutio Ruffo da Fermo medico Sig. Domenico Pieri da Fermo medico Filosofo sig. Marco Ant. <onio> Ruffo da Fermo Filosofo sig. Francesco Sabbione da Fermo * Sig. Paulo Scaramuccia da Lapedona medico Filosofo sig. Simone Paetino in loco del signor Leonardo Medici Sig. Nicola Grana da Fermo (li 18 luglio 1647) Filosofi Francesco Maria Bertacchino 1648 Filosofo Sig. Filippo Tassoni da Fermo Filosofo Sig. Aniballi Adami da Fermo Filosofo Sig. Filippo Monti da Fermo Medici Sig. Giovanni Francesco Gasparo da Lapedona Medici S. Vincenzo Macchiati da Carassai Medici Sig. Cesare Macchiati da Carassai”. Il catalogo merita qualche riflessione: la composizione del collegio dei medici e filosofi riflette una netta predominanza dei primi nel numero dei membri, significativa del maggior potere rivestito sul piano professionale dal corpo medico nell’ambito cittadino e territoriale ed anche nel contesto universitario. 82 Le numerose cancellature ed annotazioni che il catalogo reca, danno l’idea di un frequente aggiornamento e quindi il nome del medico Cesare Macchiati che compare alla fine dell’ elenco potrebbe essere stato aggiunto per ultimo, dato che Macchiati si è addottorato nel 1650 e le aggiunte precedenti sono datate 1647 e 1648, oppure c’è da chiedersi se Macchiati fosse già stato accolto tra i membri del collegio prima di addottorarsi in virtù della presenza nel collegio di ben altri due membri della sua famiglia già medici Bernardino e Vincenzo?123 In tal caso il dato farebbe pensare ad una sorta di monopolio da parte di alcune famiglie sulla gestione del potere all’interno del collegio medico. Era un fatto noto che la proposta di accogliere nuovi membri seguisse il meccanismo della cooptazione e che la professione medica fosse un retaggio familiare. L’elenco suggerisce altre due riflessioni: l’appartenenza di molti dei suoi membri a nobili famiglie fermane (Cordella, Morici, Morrone, Ruffi, Sabbioni), segno evidente che la professione medica iniziava ad essere accettata ed anche ambita dalla stessa nobiltà, sia per via del crescente prestigio sociale del corpo professionale medico all’interno delle oligarchie cittadine, sia anche come nuova via di affermazione professionale dopo la saturazione dei tradizionali incarichi di natura giuridica ed amministrativa nella burocrazia ecclesiastica. Un ultimo sguardo alle provenienze dei medici e filosofi del collegio: la maggior parte dei membri del collegio proviene dalla città di Fermo che, dunque, poteva contare su una maggiore rappresentatività all’interno del collegio ed anche su un maggior potere decisionale nelle adunanze. Interessante notare come, per quanto riguarda la provenienza dal resto del territorio, sia significativa la presenza di membri da città e castelli situati nella parte meridionale della Marca nella zona Aso -Tronto, (Lapedona, Monte Rubbiano Massignano, Carassai), quella confinante ed in parte inclusa nella diocesi di Ripatransone, area di tradizionale influenza della potente e nobile famiglia fermana degli Azzolino. 123 Diversi i membri della famiglia Macchiati che avevano conseguito il dottorato in medicina e filosofia presso l’università fermana: Francesco Macchiati si era laureato in medicina e filosofia il 29 gennaio 1625, Vincenzo Macchiati il 3 febbraio 1625, Bernardino Macchiati il 9 febbraio 1629, Cesare Macchiati il 13 novembre 1650. Si veda Gian Paolo Brizzi, L’antica università di Fermo, cit., p. 125, n. 708 e n. 709, p. 126 n. 798, p. 137, n. 1424. 83 Confrontando il catalogo del 1646 con quello precedente del 1635124 si osserva come nell’arco di un decennio di fatto i cambiamenti all’interno del collegio, per quanto riguarda i medici, non siano stati significativi: a parte le sostituzioni dovute ai decessi ed ai trasferimenti, Camillo Cruciani, Giovanni Cordella, Bernardino Macchiati, Lucio Ruffi, Domenico Pieri e Paolo Scaramuccia restano i membri di riferimento per la parte medica. Disponiamo anche di un catalogo a parte di Soprannumerari125 del collegio, probabilmente di datazione antecedente al 1635, strumento interessante che consente di individuare le dinamiche di ingresso al collegio dei numerari: Lucio Ruffi e Domenico Pieri vengono ammessi pienamente nel collegio in quanto sciolgono il loro debito, versando la tassa di ingresso per l’iscrizione, mentre Bernardino Macchiati da Carassai è ammesso con decreto dello Studio del 30 ottobre di quell’anno – il 1635?-, il medico Pietro Mannocchi entra nel collegio in quanto è figlio di un precedente collegiato, così come Anton Francesco Arbostino. Degna di nota l’ammissione nel catalogo dei Soprannumerari di Giovanni Battista Petrucci “Lettore in Chirurgia”, con decreto dello Studio del 6 ottobre 1644 in cui acquista in via del tutto eccezionale lo ius curandi, ovvero la capacità di somministrare medicamenti, anche per uso orale, come era consentito ai medici, benché nell’elenco venga indicato come “medico e filosofo” oltre che chirurgo. L’episodio allude alla questione piuttosto complessa su cui si tornerà in seguito in questo capitolo, dei rapporti in età moderna tra il corpo professionale medico e quello delle altre professioni sanitarie –chirurghi, speziali, ostetriche-, nella fase ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. philosophorum et medicorum civitatis Firmi, 1635 – 1783, Cathalogus seu Matricola … Doct. Ill. Philosphorum et Medicorum de numero duodenario participantium qui modo reperiuntur et sunt superstites, Die 9 Maij 1635, c. 2r. Nello stesso volume si rinviene a c. 17r un ulteriore catalogo di medici e filosofi non datato che si trascrive di seguito: “Piervincenzo Morico, Giovanni Cordella, Bernardino Macchiati, Lutio Ruffi, Domenico Pieri, Marc’Antonio Ruffi, Francesco Sabbioni, Paolo Scaramucci, Simone Paetino, Piero Mannocchi, Anton Francesco Arbostini, Gio.Battista Petrucci, Gregorio Gratiano, Filippo Tassoni, Aniballo Adami,Filippo Monti, Nicola Grana, Francesco Maria Bertacchino, Giovanni Francesco Gaspari, Vincenzo Macchiati, Cesare Macchiati, Giovanni Tranquillo, Gio. Battista Cocciotti, Giacomo Horatij, Giulio Capotosti, Antonio Preziotti, Benedetto Cesareo, Filippo Moro, Gio. Lorenzo Ruffi”. 124 125Ivi, Catalogus Suprannumerorum Collegii Excell. Philosophorum et Medicorum Ill.ma Civitatis Firmi, c. 2v. 84 strategica in cui vengono a delimitarsi gli ambiti di competenza di ciascuna. Una necessità di definizione di status professionale che muove innanzitutto dal corpo medico ed in particolare da istanze di quest’ultimo di potere, prestigio sociale e di controllo sulle pratiche terapeutiche, principalmente in difesa delle proprie prerogative e privilegi professionali, ma anche a tutela degli stessi malati. Il rapporto tra medici e chirurghi, se da un lato era segnato da conflittualità tra le due categorie professionali, dall’altro si connotava per un tentativo da parte dei chirurghi di ottenere legittimazione professionale da parte dei medici. Non erano infrequenti i casi, come quello emerso nella realtà fermana, di chirurghi che ottenevano il dottorato in medicina e filosofia, solo allo scopo di poter praticare la chirurgia, che restava il principale ambito di competenza, in maniera più “libera” e legittimata126. Meno frequentemente accadeva l’inverso: soltanto in tempi di epidemie, pestilenze o guerre, quando il rischio di morte aumentava notevolmente per i chirurghi, i medici per sopperire all’emergenza, praticavano la chirurgia, richiedendone la formale abilitazione al collegio. Ma si trattava di casi eccezionali, dato che la chirurgia in quanto pratica che richiedeva l’uso manuale veniva tradizionalmente ritenuta professionalmente “inferiore” rispetto a quella medica. In ogni caso, come si avrà modo di illustrare in seguito in maniera più dettagliata, l’esercizio professionale della chirurgia così come la presenza della disciplina nel curriculum formativo medico dello Studio fermano, tenderà ad acquisire maggior peso ed articolazione tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento, secondo un processo perfettamente in linea con le tendenze in atto negli altri stati italiani ed europei. Tornando ora al nostro catalogo del 1646 quali altri medici oltre a Lucio Ruffi e Domenico Pieri figuravano tra i lettori di medicina dello Studio cittadino? Quali letture erano loro assegnate? Quale il ruolo della medicina nel curriculum degli V. Giormani, I rapporti tra i due collegi veneziani, dei Filosofi e Medici e dei Chirurghi, con l’Università di Padova nel Settecento, in, G.P. Brizzi – J. Verger (a cura di), Le Università minori in Europa (secoli XV-XIX), Convegno Internazionale di Studi, Alghero, 30 ottobre – 2 novembre 1996, Roma, Rubbettino, 1998, pp. 369 – 381. 85 126 studi universitari? E domanda di cruciale importanza, quale il rapporto tra Studio cittadino e collegio medico nella formazione dei nuovi medici della Marca? Domande a cui è possibile rispondere, solo previa ricostruzione di un dettagliato quadro di insieme in grado di individuare i lettori di medicina, le discipline insegnate ai nuovi potenziali medici nello Studio fermano ed il concreto funzionamento dell’istituzione universitaria in relazione all’attività del collegio medico in città e nel territorio. Lo studio delle fonti inedite conservate presso il fondo Studio dell’Archivio di Stato di Fermo e il fondo Giuseppe Sabbioni della Biblioteca Comunale di Fermo, ci ha restituito una pagina completamente inedita di storia fermana e di un’università “minore” dello Stato Pontificio. Ma le dinamiche formative emerse dalla ricerca e che analizzeremo di seguito, se poste in relazione a contesti non solo italiani ma europei dell’età moderna, consentono di “sprovincializzare” l’immagine dello Studio fermano, sia per quanto concerne la presenza di notevoli tratti di modernità scientifica nell’insegnamento medico, che per i legami che lo Studio ha da sempre con istituzioni formative e personaggi di rilievo politico e culturale della capitale romana. Apriamo allora metaforicamente i battenti dello Studio cittadino dall’inizio del Seicento, addentrandoci in questo viaggio tra aule, lettori, allievi, libri e medici che intenzionalmente faremo terminare qui alla fine del Settecento, proprio alla soglia dei mutamenti sostanziali che l’ università fermana dovrà affrontare nell’Ottocento, fino alla sua soppressione. Lo studio dei registri delle Adunanze dello Studio, riferiti ad un intervallo cronologico di oltre un secolo (1623 – 1759), fa emergere un primo dato importante: la centralità della medicina pratica nel piano formativo dell’Università Fermana ed il prestigio di cui godevano i lettori della disciplina. Questi medici, non soltanto, godevano di una posizione di potere all’interno dello Studio, ma anche nel collegio medico ed in città dove ricoprivano il ruolo di medici “primari”. Camillo Cruciani, Domenico Pieri, Lucio Ruffi, Francesco 86 Maria Patriarca, Silvio Argenti, Domenico Raccamadoro sono i protagonisti principali dell’insegnamento medico universitario fermano tra Sei e Settecento, accanto ad altri personaggi come Antonio Fazi, Felice Gaucci, Rodolfo Onofrio Raccamadoro, Clemente Antonio Massi e Girolamo Felice Paccarone. Vedremo in seguito più da vicino chi sono. Un dato che emerge conseguentemente alla centralità dell’insegnamento della medicina pratica nello Studio cittadino è il legame stretto tra formazione universitaria e pratica della professione medica. I piani di sovrappongono e quasi coincidono: ciò evidenzia la stretta aderenza dell’università fermana al contesto cittadino e territoriale nell’ambito medico ed accenti di modernità nel conferire, già sul piano formativo, un’importanza strategica a quanto concorre a fare dello studente di medicina un abile professionista sul campo. Ciò anche attraverso l’accesso e la lettura dei testi medici e di filosofia naturale più aggiornati, a disposizione degli studenti nella “Libraria” fermana, grazie alla donazione del medico fermano Romolo Spezioli. Non più soltanto le auctoritates della medicina e della filosofia classica e della tradizione araba – Ippocrate, Galeno, Avicenna, Aristotele – ma anche William Harvey, Herman Boerhaave, Thomas Sydenham, Robert Boyle ed anche Galilei. Una raccolta bibliografica eccezionale sia per la quantità che per la qualità bibliografica e bibliologica delle opere a stampa in essa conservate, principalmente finalizzata, già nelle intenzioni del suo donatore, alla formazione dei giovani studenti di medicina, secondo un progetto didattico di ampio respiro. La libreria fermana insieme alla presenza di numerosi collegi tra cui quello dei padri gesuiti, sono soltanto alcuni degli elementi che arricchiscono il contesto culturale universitario e cittadino fermano: nel XVII secolo non vanno dimenticate le Accademie, come quella dei Vaganti e gli istituti ospedalieri urbani. La ricerca ha inoltre messo l’accento per la prima volta sull’esistenza dell’istituzione del protomedicato nella città di Fermo, con le sue funzioni e prerogative e nei suoi rapporti con il collegio medico di cui era, in sostanza, la 87 più diretta espressione sulla città. Proprio sulle prerogative del protomedicato fermano e dello Studio cittadino si appunterà l’attenzione dell’ università di Roma e del collegio medico romano, in una polemica piuttosto accesa che offre, indirettamente, numerose notizie interessanti circa l’attività del collegio medico fermano e quella dello Studio cittadino, in relazione con quello romano e con altri del territorio dello Stato Pontificio. Sui punti sopraevidenziati si tornerà più diffusamente di seguito in questo capitolo, mentre ora concentriamo l’attenzione sui lettori di medicina dello Studio Firmano e sulla alla loro carriera. Se la cattedra di medicina pratica era di sicuro la più ambita per un lettore dell’ università fermana, difficilmente vi si accedeva all’inizio della carriera universitaria che, in genere, cominciava con la lettura della medicina teorica straordinaria, per passare successivamente a quella pratica. Inoltre durante la carriera accademica accadeva di frequente che le letture di medicina teorica e pratica si alternassero. Un dato interessante per quanto riguarda l’ università fermana consiste nell’annessione alla cattedra di Medicina Teorica del compito di visitare e curare gli infermi, carico non poco gravoso per medici che, solitamente, già univano quotidianamente l’esercizio professionale all’attività universitaria. Tuttavia l’unione della teoria alla pratica resterà un caposaldo del curriculum medico presso l’ università fermana per tutto il Seicento ed il Settecento, mostrando in questo aspetto un forte accento di modernità.127 127 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza dell’8 febbraio 1722, c.127v. Saverio Mariotti, terzo medico della città, rinuncia ad una delle due cattedre di medicina teorica cui era annesso il peso di visitare gli infermi ed a questo punti i possibili aspiranti sostituti sollevano il problema del gravoso carico di leggere ed allo stesso tempo occuparsi dei malati. L’ Adunanza dello Studio è chiamata a pronunciarsi se sia il caso o meno di disgiungere la pratica della visita degli infermi dalla cattedra di medicina teorica. Prevale l’orientamento di mantenere unite la Teorica con la pratica degli infermi e se ne comprendono le ragioni: la lettura della teoria doveva necessariamente essere accompagnata dalla pratica, affinché il lettore non rimanesse lontano dalla casistica pratica e da quella forma di apprendimento necessario per un medico al capezzale del malato. Oltre tutto vi erano anche ragioni di ordine pubblico perché i lettori dovevano occuparsi di infermi poveri e bisognosi e per cui il loro compito garantiva sul piano sanitario il controllo sul diffondersi di malattie a nel contesto urbano. 88 Seguono alcune notizie biografiche sui lettori principali di medicina nello Studio fermano e su vicende accademiche di cui furono protagonisti che gettano luce sul funzionamento delle cattedre. Camillo Cruciani128, originario di Monte Rubbiano, uno dei castelli della città di Fermo, legge medicina nello Studio di Macerata nel 1616 con una provvisione di scudi 100 e da Macerata si reca a Fermo nel 1624 dove legge medicina fino al 1642, con una provvisione che, dagli iniziali 145 scudi, si incrementa fino a raggiungere la cifra di 180 scudi. Oltre alla medicina pratica - sua principale disciplina - legge anche quella teorica dal 1629 al 1633. Nei primi decenni del Seicento Cruciani è il principale protagonista della medicina nello Studio di Fermo: legge per oltre venti anni e per tale ragione il 2 novembre 1627129 l’Adunanza dello Studio accoglie la sua istanza di potersi fregiare del titolo di “professore”. L’istanza traduce il desiderio del medico Cruciani di un pubblico riconoscimento del ruolo accademico di primo piano svolto nello Studio e di affermazione del suo prestigio anche all’interno dello stesso corpo docente, specialmente in occasioni pubbliche come il conferimento dei dottorati in medicina. Questo diventa motivo di conflitto con gli altri lettori, a discapito degli scolari. Sulla questione di precedenza sorta tra Camillo Cruciani e il medico Timorati, l’Adunanza dello Studio è chiamata a pronunciarsi in occasione della cerimonia di dottorato di Felice Antonelli130: quest’ultimo studente del Timorati, temendo una qualche ritorsione e conseguenza sull’esito dell’esame, pur desiderando dottorarsi in Fermo, pensa bene di chiedere allo Studio la licenza di dottorarsi altrove. Il collegio medico non accoglie la supplica, ma al fine di garantire il regolare svolgimento del dottorato presso lo Studio fermano senza pregiudizio per lo studente, chiede al Governatore della città ed al magistrato di essere presenti. L’episodio in sé potrebbe apparire frutto soltanto del desiderio di BCFermo, fondo Sabbioni, ms. Professori ed Alunni nella Università di Fermo ed altrove insegnanti Notizie per li Secoli XIV al XVIII in principi raccolte dal Canonico Michele Catalani, cc. 41r e seg “Professori di arti che hanno letto nell’università di Fermo et altre”, c. 46r “Camillo Cruciani”. 128 129 130 ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, 2 novembre 1627, c. 30r. Ivi, Adunanza del 12 marzo 1629, c. 35r; Adunanza del 20 giugno 1629, cc. 39v e 40r. 89 affermazione di Cruciani, in realtà apre a questioni di competizione tra lettori dello Studio di carriera accademica e medici pratici ammessi nella discussione dei dottorati di medicina. Nelle fonti che descrivono l’episodio, si sottolinea che, mentre Cruciani viene chiaramente denominato lettore di Medicina Pratica, Timorati è appellato semplicemente come medico. La competizione fra i promotori in occasione dei dottorati di medicina era così forte, così come la pressione da parte dei medici pratici della città di prendere parte ad un momento importante per la vita dello Studio, con importanti ricadute in termini di immagine e prestigio personale, che l’Adunanza dello Studio nel 1631 è costretta a regolamentarne il numero e le competenze. Le risoluzioni dell’ adunanza vanno a vantaggio dei medici pratici, evidenziando in tal modo come il potere acquisito sul piano professionale nel contesto urbano e nel collegio medico, riverberi anche all’interno delle mura universitarie131. La posizione di preminenza di Cruciani nello Studio si deduce anche dal suo potere decisionale in merito all’assegnazione delle letture: quando nel 1632 Lucio Ruffi consolida la sua carriera accademica passando dalla lettura di medicina straordinaria a quella di medicina ordinaria, è Camillo Cruciani a scegliere quale delle due letture di medicina ordinaria possa essergli assegnata.132 Si veda n. 31, Adunanza del 21 ottobre 1631, cc. 58r-59v: “Quando li soggetti che interverranno ai dottorati di medicina saranno di numero meno di dodeci, li Promotori siano due conformemente alle Constitutioni di detto studio cap.9. ove uno del Collegio et l’altro del Laureando, quando poi saranno dodeci o più, possino esser tre Promotori più conforme alle dispositioni del decreto fatto in Adunantia di studio il 16 marzo 1630 et quanti saranno i promotori per tanti si faccia il disposto et più ciò si osservi sempre in avvenire… Havendo la città concesso ai signori medici Prattici di poter intervenire nei dottorati et altri atti collegiali si decida per il presente decreto che nel suddetto Studio Mariani medesimo 3° medico habbia in detto Collegio quel luogo che gli si dà l’anzianità del suo dottorato et questo decreto si osservi nell’avvenire tanto per il 3° medico, quanto per il 2° che saranno condotti”. L’Adunanza si riferisce ai medici pratici incaricati dal Consiglio di Cernita Comunale come medici condotti della città che aspiravano ad avere una posizione anche all’interno dello Studio cittadino. 132 Ivi, Adunanza del 27agosto 1632, c. 60v-61r. 131 90 Lucio Ruffi133 è uno dei Lettori “primari” dello Studio fermano, così lo descrive il medico Spezioli, indicandolo come uno dei suoi maestri principali134. Ruffi legge medicina nello Studio fermano dal 1630 ininterrottamente fino al 1662135 quando chiede all’Adunanza dello Studio il conferimento del titolo di “Maestro”136, avendo letto per oltre venti anni. E’ ammesso nel collegio dei medici e filosofi della città di Fermo nel 1630137, lo stesso anno in cui comincia a leggere nello Studio medicina straordinaria per poi passare alla lettura di medicina pratica ordinaria mattutina, ruolo che mantiene fino alla fine della sua carriera. Assume negli anni una posizione di potere all’interno dello Studio e la sua carriera è parallela a quella di Domenico Pieri, primo lettore di medicina pratica. Insieme al Pieri è protagonista di una disputa all’interno del collegio contro il medico Bernardino Macchiati138, figura assai debole, rispetto a quelle preminenti dei due lettori di medicina pratica. Domenico Pieri è senza dubbio il lettore di medicina più importante dello Studio fermano nel Seicento. La sua carriera si svolge parallelamente a quella di Lucio Ruffi – entrambi sono maestri di Romolo Spezioli, ma è di maggior prestigio. Pieri entra nel collegio medico nel 1633 e nello stesso anno viene ammesso ad intervenire nei dottorati di medicina139. Nel 1634 gli viene assegnata 133 Si veda BCFermo, ms. 958, Notizie della famiglia Ruffi ed in particolare “Albero Genealogico della Famiglia Ruffo da Fermo, 1704”. Tra i secoli XVII e XVII diversi membri di questa nobile famiglia fermana ricoprono il ruoli di lettori presso l’università fermana: oltre a Lucio, dottore in medicina, vi figurano Marcantonio, insigne giureconsulto, con legami di parentela col cardinale Decio Azzolino, lettore per più di quaranta anni dell’università fermana; Paolo Ruffi -che vedremo nei paragrafi successivi di questo capitolo, protagonista della fondazione della pubblica libreria fermana-, laureatosi in legge presso l’università fermana, fu luogotenente generale della città di Montalto. 134 135 Cfr. n. 21. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studi ab 1641 usque 1690, 4 gennaio 1664, c. 75r. Ruffi chiede all’Adunanza dello Studio di rimettergli l’obbligo di alcune lezioni perché deve assentarsi per un breve periodo. E’ l’unica interruzione documentata, altrimenti Ruffi legge ininterrottamente medicina presso lo Studio fermano. 136 Si veda n. 23, Adunanza del 2 novembre 1662, c. 80r. 137 Si veda n. 31, Adunanza del 18 gennaio 1630, c. 45r. 138 Si veda n. 31, Adunanza del 20 giugno 1629, c. 40r: “Bernardino Macchiati da Carassai supplica per amor di studio essendo povero aggregarlo nel numero di fisici collegiati senza sostener peso di leggere et sostener le conclusioni, non potendo farlo per la sua povertà”. Viste le difficoltà che mostra nell’accedere al collegio medico, Bernardino Macchiati non ha certamente lo stesso potere e prestigio dei medici Ruffi e Pieri. 139 Ivi, Adunanza del 23 luglio 1633, c. 68r : “Sopra il Memoriale del sig. Dottor Pieri son di parere che gli si faccia la gratia di dimandar di poter legger nelle Pubbliche Scuole et li sig. Prefetti gli assegnino la materia sua et la cathedra”. 91 una lettura straordinaria di medicina per quattro anni con una provvisione annua di 25 scudi.140 Dal 1652 passa alla lettura di medicina ordinaria mattutina, fino al 1666 quando gli viene assegnata la lettura di medicina pratica ordinaria – la cattedra più importante – che manterrà fino alla morte nel 1675. Nel 1663 sostituisce per un periodo, anche il lettore di medicina teorica e per questo ottiene un aumento di dodici scudi. Nel 1670 l’Adunanza dello Studio in segno di riconoscimento per aver letto tanti anni con lode, gli conferisce un significativo aumento della provvisione fino a cento scudi. La scomparsa di Pieri lascia un vuoto importante nello Studio fermano tanto che l’Adunanza deve ricorrere alla Congregazione del Buon Governo per la sua sostituzione. Ciò a conferma dell’importanza e della centralità che la figura di Pieri rivestiva per la medicina fermana, sia all’interno dell’ università, che nel collegio medico e nel contesto urbano e territoriale. La cura e la visita agli infermi era parte sostanziale della sua attività pratica, fin dall’inizio della sua carriera medica: sappiamo, infatti, che il 23 maggio 1635 Pieri chiede all’Adunanza dello Studio la licenza di assentarsi dall’ università per andare a Loreto con la Compagnia della Pietà.141 E’ ipotizzabile che avesse un rapporto stretto con la compagnia di cui era magari il medico di fiducia. Alla morte di Pieri nel 1675 Francesco Maria Patriarca, pur di ottenere, anche temporaneamente, una cattedra di prestigio come quella del Pieri, nel momento in cui si verifica la vacanza, si offre di assumere gratuitamente la lettura di medicina pratica ordinaria e l’incarico della cura e visita agli infermi142. Questo depone particolarmente a favore di Patriarca agli occhi dell’Adunanza dello Studio che non esita a confermarlo nella lettura per quattro anni, ma come stipendiato. Tuttavia la questione della sostituzione del 140 Ivi, Adunanza del 4 luglio 1634, c. 77r: “Si dia anche la condotta di Lettore di straordinario in medicina al sig. Domenico Pieri et parimente ha letto con molta sua lode con la provisione ordinaria di venticinque scudi l’anno per 4 anni da venire et si riporti in Cernita”. 141 La compagnia della Pietà eretta nel 1564 da Bonaventura da Bagnoregio, aveva il compito di eseguire opere di pietà e misericordia verso i carcerati e confortare i condannati a morte. Fu posta sotto la protezione di S. Giovanni Battista. Si veda I Capitoli della veneranda Compagnia della Pietà della magnifica città di Fermo, In Ancona, per Astolfo de Grandi, 1567. 142 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 30 agosto 1675, c. 130v. 92 lettore primario di medicina pratica si rivela piuttosto complessa da risolvere per l’Adunanza dello Studio: data la centralità di questa figura, aumentando di molto la provvisione della cattedra, previa approvazione della Congregazione del Buon Governo, si offre allo Studio Fermano la possibilità di sostituire Pieri con un lettore di fama, che dia ancora più lustro all’ università.143 La mancanza di un lettore di medicina pratica si configura come una grave lacuna nel piano didattico dello Studio: gli studenti scelgono di venire a studiare a Fermo e si attendono di trovare un buon lettore di medicina pratica, disciplina considerata fondamentale nella formazione del medico in quel momento e probabilmente cattedra per cui lo Studio fermano aveva acquisito un certo prestigio nel territorio, e non possono accettare che venga a mancare proprio quel lettore144. L’urgenza di provvedere ad adeguata sostituzione va raccordata, tuttavia, con quella di trovare una figura degna di ricoprire tale ruolo e di non offuscare il prestigio che lo Studio ha acquisito nel Seicento in quella disciplina. E’ un compito non facile per l’Adunanza, che deve scontrarsi anche con le aspirazioni e le ambizioni dei lettori locali già attivi da tempo nello Studio come Antonio Fazi e Silvio Argenti, entrambi già lettori di medicina teorica in attesa di progredire la propria carriera. Dopo diverse valutazioni, l’Adunanza fa cadere con votazione la scelta nel 1679 su Domenico Raccamadoro che risulta essere il candidato maggiormente 143 Ivi, Adunanza del 5 giugno 1679, c. 162 r e v: “In conformità del decreto della Cernita essendo stati supplicati i signori Prefetti in Roma per l’approvatione dell’augmento da darsi al Primo Medico da condursi, sentirono ciò che è stato risoluto nella Congregazione del Governo. Per facilitare l’elezzione da farsi del nuovo medico in qualità di Primario et havere un Soggetto che degnamente possa sostenere il carico e supplire anco il peso di leggere in Studio l’ordinario di Medicina Prattica in luogo del sig. Domenico Pieri defonto nel modo appunto che ha risoluto la Congregatione del Governo la quale ha approvato l’augmento dello stipendio assegnato per il detto medico da eleggersi sino alla somma di scudi quattrocento, purchè vi si applichi li cento scudi che si pagano al sopraddetto S. Pieri come lettore dell’Ordinario di Medicina Prattica col peso et obligo però che, oltre alla visita e cura degl’Infermi sia tenuto a leggere in Studio la detta Materia dell’Ordinario di medicina, si determini in virtù del decreto di questa Adunanza che si conduchi il medio che si ha da eleggere in qualità di primario e di grado eminente con applicare allo stipendio delli 400 scudi determinati dalla Cernita…”. 144 Ivi, Adunanza del 13 novembre 1679, c. 168r :“Si fa sapere alle S.V. che molti scolari che sono venuti per studiar medicina, havendo trovato che manca nel nostro Studio il lettore di Medicina Ordinaria Prattica disegnano di partir via et andare a studiar altrove, se pare provedere al bisogno, per non sviare il nostro studio…”. I tre aspiranti alla cattedra sono Antonio Fazi, Silvio Argenti e Domenico Raccamadoro che ottiene maggior voti favorevoli dell’Adunanza. 93 votato ed anche, alla prova dei fatti con l’assegnazione della lettura, un degno sostituito: riscontra pubblico gradimento per il suo operato, premiato dall’Adunanza con aumento della provvisione di cento scudi annui.145 Raccamadoro, in realtà, aveva già cominciato a leggere nello Studio fermano, medicina teorica nel 1677, cattedra che mantiene fino al 1679146, quando ascende di grado passando alla medicina pratica ordinaria. Questo a riscontro che la lettura della medicina teorica è, in genere, il primo incarico con cui esordisce la carriera universitaria che culmina con la lettura di medicina pratica ordinaria. Va evidenziato che diversi membri della nobile famiglia fermana dei Raccamadoro si dedicano alla medicina, come lettori nello Studio, tra la seconda metà del Seicento ed i primi del Settecento: oltre a Domenico, anche Rodolfo Onofrio e Giacomo Filippo Raccamadoro147, leggono medicina teorica – rispettivamente negli anni 1712-1724 e 1714-1724 - presso lo Studio fermano. Ciò conferma che verso la fine del Seicento, i tempi sono più che maturi per un’apertura significativa del ceto nobile fermano alla professione medica, apertura indubbiamente favorita dalla presenza di un’ università cittadina in cui la medicina riveste per tutto il Seicento un ruolo crescente di importanza e prestigio e diventa strumento di affermazione sociale per chi vi è coinvolto attivamente. La cattedra di Domenico Raccamadoro, alla sua morte nel 1711, verrà occupata da Silvio Argenti148, già lettore di medicina teorica dello Studio dal 1674. Argenti Si veda n. 44, Adunanza del 22 dicembre 1679, c. 170v. Ivi, Adunanza del 27 gennaio 1677, c. 149r. 147 Si veda Filippo Eugenio Mecchi, Degli Uomini Illustri della famiglia Raccamadori, patrizia di Fermo, memorie storiche.., Fermo, dalla tipografia Bacher, 1866, pp. 12 – 15. Domenico è autore di diverse opere tra cui la raccolta delle “Notizie istoriche della città di Fermo del 1710, edita nel 2003 per i tipi di Andrea Livi di Fermo. Si veda Domenico Raccamadori, Notizie istoriche della città di Fermo, a cura di Luigi Rossi, con un saggio di Stefano Papetti, Fermo, Andrea Livi, 2003. Si veda BCFermo, ms. Cartella Araldica Raccamadoro, ed in particolare “Genealogia e Stemma della Famiglia Raccamadoro”, Rodolfo Onofrio è figlio di Carlo Raccamadoro, mentre Giacomo Filippo Raccamadoro discende da Domenico. 145 146 148 Si veda n. 44, Adunanza del 28 agosto 1674, c. 125r; Adunanza del 15 gennaio 1677, c. 148v; Adunanza del 23 ottobre 1680, cc. 172v- 173r. Silvio Argenti si assenta da Fermo, lasciando la cattedra di medicina teorica e la visita agli Infermi; Adunanza del 5 ottobre 1711, c. 72r. Si osserva come l’Adunanza sottolinei 94 viene considerato dall’Adunanza un candidato idoneo a sostituire Raccamadoro, perché unisce alla sua esperienza di lettore nell’università fermana, anche quella dell’esercizio professionale al di fuori della città, requisito che lo qualifica per la lettura della Medicina Pratica. La pratica medica acquista un valore formativo nello stesso iter accademico e non è un caso che alla cattedra di medicina teorica lo Studio fermano imponga l’obbligo della cura degli infermi: la medicina teorica da sola non basta per fare un buon medico ed anche un buon maestro di medicina e per questa ragione, sul piano formativo e scientifico, va sempre completata con l’esercizio pratico. Argenti ricoprirà la cattedra di medicina pratica ordinaria vespertina per poco più di un decennio in quanto morirà nel 1724. Alla successione alla cattedra aspira Rodolfo Onofrio Raccamadoro che, come abbiamo, visto era già lettore di medicina teorica. Domenico Raccamadoro, dopo Camillo Cruciani, Lucio Ruffi e Domenico Pieri, è l’ultima figura di rilievo tra i lettori di medicina pratica dello Studio firmano tra Sei e Settecento. Per quanto concerne l’insegnamento della medicina teorica non vanno dimenticati alcuni lettori di una certa importanza dello Studio fermano come Antonio Fazi che ricoprirà tra l’altro il ruolo di protomedico della città nel 1694 e nel 1696, ma sull’istituto del Protomedicato a Fermo torneremo in seguito in maniera più dettagliata nel corso di questo capitolo. Antonio Fazi insegna medicina teorica dal 1663 fino al 1677149. Dal 1679 fino al 1696 legge medicina pratica ordinaria, requisito indispensabile per essere eletto protomedico. Ma al termine della sua carriera, dal 1695 al 1699 torna ad insegnare di nuovo medicina che Silvio Argenti è un candidato idoneo a sostituire Pieri perché “oltre haver letto per più anni in questa Università, ha esercitato lodevolmente in più luoghi cospicui la professione di medico”. 149 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 27 giugno 1663 c. 82v; Adunanza del 23 luglio 1663, c. 83r, Adunanza del 5 luglio 1666, c. 87r, Adunanza del 28 luglio 1677, c. 150v; Adunanza del 27 settembre 1679, c. 164r: in questa adunanza Antonio Fazi concorre insieme al medico Pietro Mannocchi per ottenere la cattedra di medicina pratica ordinaria che prevede uno stipendio considerevole di partenza di settantacinque scudi annui. 95 teorica. Tra gli altri lettori di medicina teorica si segnalano Felice Gaucci che legge dal 1684 al 1707150, Giacomo Filippo Raccamadoro che legge dal 1712 al 1724151 e Girolamo Felice Paccaroni152, titolare di una lettura di medicina straordinaria nel 1724, futuro protomedico della città di Fermo.Di seguito, a conclusione del presente paragrafo, si inserisce un prospetto di sintesi dei lettori attivi tra Seicento e Settecento presso lo Studio di Fermo. Tabella n. 1 Lettori di Medicina allo Studio di Fermo, secoli XVII - XVIII NB I lettori si succedono secondo le cattedre, in ordine cronologico153 Lettore Camillo Cruciani da Monterubbiano Lucio Ruffi 150 Cattedra Anni Medicina Pratica 1624 – 1626 Medicina Teorica 1629 - 1633 Medicina Pratica 1633 – 1642 Medicina Teorica Straordinaria 1630-1634 Medicina Teorica Ordinaria 1632 - 1652 Medicina Pratica 1653 - 1664 Note Ivi, Adunanza del 26 giugno 1684, c. 291v; fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 27 giugno 1695, c. 22r; Adunanza del 27 giugno 1707, c. 57r. 151 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 4 luglio 1714, v. 79v. 152 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 13 settembre 1724, c. 137v – 138r. 153 I dati sono stati tratti dal fondo mss Giuseppe Sabbioni della Biblioteca Comunale di Fermo e dai registri delle Adunanze dello Studio conservati nel fondo Studio presso l’Archivio di Stato di Fermo: ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. philosophorum et medicorum civitatis Firmi, 1635 – 1783 ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759. 96 Domenico Pieri Medicina Straordinaria 1633 – 1636 Medicina Pratica Ordinaria Francesco Maria Patriarca 1637 - 1675 Supplenza della lettura di Medicina Teorica 1666 Medicina Teorica 1672 Medicina Pratica Ordinaria 1675 - 1679 Antonio Fazi Medicina Teorica 1663 – 1672 (Protomedico) Medicina Teorica Ordinaria 1677 Medicina Pratica Ordinaria 1679 Medicina Teorica 1695- 1703 Eletto nel 1675 in temporanea sostituzione di Domenico Pieri Giovanni Battista Petrucci Chirurgia 1643 Simone Franceschini Medicina Teorica 1663-1667 Silvio Argenti Medicina Teorica 1677-1680 Medicina Pratica Domenico Raccamadoro Medicina Teorica Medicina Pratica 97 1711 – 1724 1677 – 1679 1679 - 1711 Eletto nel 1679 in definitiva sostituzione di Domenico Ordinaria Pieri. Felice Gaucci Medicina Teorica 1684 - 1707 Rodolfo Onofrio Raccamadoro Medicina Teorica 1712 – 1714 Medicina Teorica Ordinaria 1714 - 1724 Giacomo Filippo Raccamadoro Medicina Teorica 1714 – 1724 Clemente Antonio Massi Medicina Teorica Girolamo Felice Paccarone Medicina straordinaria 1724 – 1750 Vito Pichelli Medicina Pratica 1774 – 1796 Giuseppe Buratti Medicina Pratica Filippo Morrone Medicina Teorica 1774 – 1800 Paolini Pietro Medicina 1795 – 1800 Cordella Vincenzo Medicina 1795 – 1800 1722 (Protomedico) 1772 2.3 LO STUDIO E LA MEDICINA: ORGANIZZAZIONE DELLA DIDATTICA Ora che i lettori di medicina dello Studio fermano cominciano ad avere un volto, è possibile indagare più da vicino per conoscere i meccanismi di funzionamento interno dell’università, per quanto concerne l’assetto didattico della disciplina, la formazione degli studenti, l’esame di dottorato ed anche i rapporti tra lo Studio 98 ed il collegio medico. Anche questa è una pagina di storia completamente inedita, ricostruibile quasi esclusivamente attraverso lo studio delle fonti dirette. Agli inizi del Seicento lo Studio fermano gode di un momento abbastanza felice: il rinnovato splendore dell’Università fermana nel Cinquecento, grazie ai privilegi tributati da papa Sisto V, si riflette ancora sui primi decenni del secolo XVII154. Lo Studio vuole mantenere alto il nome ed il prestigio attraverso un meccanismo di controllo piuttosto forte sulla formazione della classe medica in città ed in tutto il territorio della Marca, imponendo regole tassative sia sui processi formativi che, attraverso il collegio medico, su quelli professionali. Nel 1623 sappiamo che la durata minima del corso di studi in Medicina per poter conseguire il dottorato è di quattro anni: il titolo può essere ottenuto da “scolari della Città e dello Stato” che avranno seguito il corso nello Studio fermano o in altra università, previa attestazione della frequenza da parte dei lettori che hanno loro insegnato; inoltre i requisiti per proseguire la carriera medica come lettore all’interno dello Studio o come professionista medico prevedono l’età minima di 24 anni e la cittadinanza fermana.155Nel corso della prima metà del Seicento assistiamo ad un progressivo irrigidimento delle norme imposte dall’Adunanza dello Studio in materia di dottorati ed esercizio della professione, col duplice obiettivo da un lato di consolidare la preminenza dell’istituzione universitaria fermana nella formazione medica, aumentandone il numero degli studenti e dall’altro di controllare ed innalzare gli standards di competenza per l’esercizio della professione. Nel 1627 il dottorato in medicina e filosofia presso lo Studio fermano diventa conditio sine qua non per l’esercizio della professione “nella Città 154 G.P. Brizzi, L’antica università di Fermo, cit., pp. 21 – 31. 155 ASFermo, Serie B1, Liber Adunantiae Studij 1623 usqye 1641, Adunanza del 9 ottobre 1623, c. 2r. 99 e nello Stato”156 ad eccezione soltanto di coloro che su licenza del Consiglio di Cernita conseguono l’autorizzazione a dottorarsi in altra sede.157 Nel 1630 i tempi cominciano ad essere maturi per regolamentare in maniera strutturata il funzionamento dello Studio, al fine di migliorarne ulteriormente lo stato che appare già fiorente e per tale ragione l’Adunanza dello Studio nomina due deputati per formare capitoli ed ordini da osservarsi da parte dei lettori.158 Lo svolgimento dell’esame di dottorato viene reso più severo per garantire il buon nome dello Studio: nel 1631159 i promotori nei dottorati non possono essere più di due o tre, conformemente alle costituzioni dello Studio; essi vengono scelti in genere tra i medici pratici di maggior abilità professionale e fama in città. Romolo Spezioli ebbe come promotore nel dottorato Francesco Macchiati, medico pratico che era stato ammesso dallo Studio a partire dal 1663 come promotore.160 Diversi sono i medici pratici che nel corso del Seicento chiedono di essere ammessi come promotori nei dottorati: oltre ad essere un motivo di prestigio professionale e di introito, la carica di promotore nei dottorati poteva rappresentare un primo passo per entrare nel contesto universitario come lettori. Tra questi, oltre a Francesco Macchiati, figurano: Guerriero Guerrieri (1664)161, Alessandro Cocci (1672)162, Paolo Manfronio (1675), Paolo Belli (1675)163, Giovanni Maria Diamanti (1675)164, Pietro Agostino Leonini (1676)165, 156 E’ verosimile che per Stato, è da intendersi più che l’intero territorio dello Stato Ecclesiastico, quello della Marca Fermana. La precisazione non è fine a se stessa in quanto vedremo nel corso di questo capitolo e del successivo come uno dei motivi di forte controversia tra lo Studio fermano e quello romano, per quanto concerne l’esercizio delle professione medica, riguarderà proprio la sede universitaria in cui si è conseguito il dottorato. 157 ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 3 marzo 1627, c. 22r. 158 Ivi, Adunanza del 7 giugno 1630, c. 48r. 159 Ivi, Adunanza del 21 ottobre 1631, c. 52r. 160 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 12 giugno 1663, c. 81v. 161 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 12 giugno 1663, Adunanza del 17 giugno 1664, c. 85r. 162 Ivi, Adunanza del 4 febbraio 1672, c. 122r. Alessandro Cocci è medico condotto. 163 Ivi, Adunanza del 30 maggio 1675, c. 128r. 164 Ivi, Adunanza del 8 ottobre 1675, c. 132v. 100 Alessandro Urbani (1680)166, Filippo Mistichelli (1680), Giacomo Annibaldi (1680)167, Flaminio Renzi (1695)168, Ignazio Olivieri (1695). L’analisi ci consente di ricostruire i medici pratici di maggior nome che erano attivi nel Seicento in città e nel territorio fermano, spesso come medici condotti, con qualche eccezione: Paolo Manfronio e Paolo Belli non sono originari del territorio fermano, ma data la loro presenza ed attività in città vengono ammessi a partecipare nei dottorati come promotori. Una questione interessante in merito ai promotori nei dottorati in medicina sorge in relazione al medico del Porto169 – da intendersi l’antico Porto di Fermo oggi Porto San Giorgio170 – se debba o meno essere ammesso a parteciparvi, come se la sua professionalità, rispetto ai medici condotti dei castelli dell’entroterra, venisse messa in dubbio. L’Adunanza dello Studio chiamata a pronunciarsi su questo caso chiarisce che il medico del Porto in quanto è legalmente autorizzato ad esercitare la professione di medico condotto, avendone esibito pubblicamente la patente, può essere ammesso come gli altri medici condotti a partecipare nei dottorati ed a godere degli emolumenti che ne derivano171. Riguardo l’origine di tale questione un’ipotesi può derivare dal fatto che il Porto di Fermo in quanto tale, godeva rispetto ai “castelli” di una minore autonomia sotto ogni profilo e, di riflesso, il medico che serviva la comunità del Porto, veniva considerato come una figura “minore” rispetto ai medici che operavano all’interno delle mura urbane. Se questo poteva esser vero sul piano amministrativo, non lo era affatto 165 166 Ivi, Adunanza del 8 novembre 1676, c. 145r. Ivi, Adunanza del 20 agosto 1680, c. 171r. Alessandro Urbani è medico condotto. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 23 ottobre 1680, c. 175r. Giacomo Annibaldi è medico condotto. 168 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 22 febbraio 1695, c. 21r. 169 ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 9 giugno 1628, c. 31v. Fulgenzio Tallei è aggregato al Collegio dei Medici e Filosofi di Fermo ed esentato dall’obbligo di leggere un anno gratis nello Studio, ritenuto requisito necessario per l’ammissione, proprio in quanto esercita già nella condotta del Porto di Fermo, carico gravoso che non gli consente anche la lettura nello Studio cittadino. 170 Si veda n. 70, Adunanza del 13 agosto 1685, c. 197v. 171ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 27 agosto 1632, c. 60v: “Per evitar i dissordini che nascono tra i s.ri medici per ordine di mance dei laureandi si faccia l’esame nel Palazzo alla presenza almeno d’uno dei s.ri Prefetti ai quali tutto si faccia sapere dal bidello”. 101 167 sul piano sanitario: è noto come i porti fossero spesso le vie di contagio più comuni172, sia per le merci che per i passeggeri trasportati e che, per tale ragione, richiedevano una vigilanza sul piano medico-sanitario molto più severa e ciò era vero anche per quello di Fermo, come documentato dalle patenti sanitarie di libero transito173 per coloro che partivano dalle città, dalla giurisdizione e dal Porto di Fermo nel XVII secolo. I Priori di Fermo – così come le altre autorità dei Comuni del territorio - dovevano attestare che i passeggeri in partenza dal Porto di Fermo, non erano affetti da peste, né da altro male contagioso. Non va dimenticato che il Seicento è il secolo in cui le peste dopo il flagello delle epidemie del Trecento - Quattrocento, vive una nuova fase di recrudescenza. La città e lo Stato di Fermo, per quanto concerne la documentazione esaminata, non sembrano interessati da forti epidemie, ma questo è un dato della ricerca che merita ulteriore approfondimento. In ogni caso essere il medico condotto di un porto nel Seicento significava, senza dubbio, svolgere un compito non semplice sul piano professionale che richiedeva una notevole competenza pratica. Ed è per tale ragione che l’Adunanza adotta la risoluzione positiva di ammettere il medico del Porto nei dottorati di medicina, al pari degli altri medici condotti. Oltre alla regolamentazione dei promotori che assistono nei dottorati in medicina, si fanno più severe le norme che regolano lo svolgimento dell’esame: il Collegio dei Medici deve eleggere ogni anno tra i suoi membri due esaminatori – medici della città di Fermo – col compito di valutare la preparazione del candidato e concedere o meno la licenza a dottorarsi174. Lo scopo della norma Si veda Grazia Benvenuto, La peste nell’Italia della prima età moderna: contagio, rimedi, profilassi, Bologna, Clueb, 1996, in particolare alle pp. 152 – 157. 173 Si veda a proposito della circolazione delle merci nel porto di Ancona e di Fermo e dei possibili contagi in BCF, Cartella LI, ms. 1149, secolo XVII, Fermo, Regolamento Sanitario in cui sono contenute, in particolare, patenti sanitarie di transito di merci e persone in partenza dal porto di Fermo nel secolo XVII. 172 174 ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 21 ottobre 1631, c. 58r. 102 appare piuttosto chiaro: dato che le richieste di addottorarsi in medicina nello Studio di Fermo dovevano essere molteplici, anche da parte di chi non aveva seguito interamente il corso di quattro anni nella sede fermana e vista anche la tendenza degli studenti a frequentare le lezioni private a scapito di quelle pubbliche – su questo fenomeno tipico di tutti gli Studi cittadini più o meno grandi torneremo in seguito nel presente capitolo - bisognava garantire la qualità della preparazione ed in qualche modo inserire un meccanismo di controllo e una forma di selezione, prima che venisse rilasciato il titolo dallo Studio. Il controllo viene esercitato dall’Adunanza in maniera molto forte anche sullo svolgimento stesso dell’esame di dottorato in medicina e filosofia: se alcuni studenti rifiutano di dottorarsi con cerimonia pubblica nella Sala Aquilae – l’attuale Sala del Consiglio Comunale- del Palazzo dei Priori, sono autorizzati a sostenere l’esame di dottorato nello Studio a porte chiuse, ma sotto il controllo degli esaminatori ed alla presenza di almeno di uno dei due Prefetti dello Studio.175 L’irrigidimento delle norme sul rilascio dei dottorati in medicina e filosofia fa pensare ad un incremento di studenti su cui esercitare il controllo: purtroppo per l’Università fermana non disponiamo nei fondi archivistici di registri di iscrizione degli studenti, ma soltanto di quelli relativi al conferimento dei gradi dottorali176, strumenti di indagine sicuramente utili per offrirci dati statistici ed un quadro di insieme, ma soltanto sulla parte finale del percorso formativo. Non disponiamo di dati sul numero degli studenti iscritti – il registro delle matricole- e sulla frequenza alle lezioni di medicina e ciò rende più difficoltosa la ricerca. Nonostante le norme severe introdotte dall’ Adunanza circa la provenienza degli studenti che dovevano dottorarsi nello Studio fermano, non è assolutamente infrequente che vi si addottorassero studenti provenienti da altri centri: pertanto, sul piano scientifico, concentrare la ricerca esclusivamente sul registro dei gradi 175 Ivi, Adunanza del 10 marzo 1633, c. 63v. G. P. Brizzi, L’ antica università di Fermo, cit., si veda “Il libro d’oro. Catalogo dei laureati dello studio di Fermo” alle pp. 103-207. 103 176 dottorali, in assenza di un riscontro oggettivo con il registro delle matricole, può essere fuorviante nel ricostruire il quadro dell’attività didattica vera e propria degli Studi cittadini. Laurence Brockliss177 autorevole studioso di storia della formazione medica universitaria in età moderna, ha mostrato in un recente saggio, il limite del metodo di ricerca basato esclusivamente sullo studio degli Acta Graduum, evidenziando come l’attenzione dello storico debba appuntarsi, in assenza di strumenti archivistici, piuttosto su due altri aspetti di importanza strategica per gli Studi cittadini in età moderna: l’analisi del contesto culturale un cui si colloca l’attività dello Studio nella città e nel territorio, con attenzione alle sue potenzialità formative al di fuori delle mura universitarie e il fenomeno della peregrinatio academica, una pratica consolidata nel Seicento- Settecento europeo. Specialmente nel territorio del Sacro Romano Impero, era una prassi normale per gli studenti muoversi dal contesto locale o per ricevere in altri centri di maggiore prestigio i gradi dottorali o per perfezionare il proprio curriculum di studi e professionale, dopo aver già conseguito il dottorato nell’università più vicina alla città natale. Tra i parametri che Brockliss indica nel definire una sede universitaria un “Centro di Eccellenza” figura come indicatore la presenza di studenti forestieri178, da intendersi non solo e non tanto quelli provenienti da altri stati della penisola, ma da altri stati europei. Sul ruolo dello Studio fermano in età moderna in relazione agli altri centri universitari dello Stato Pontificio si tornerà più diffusamente alla fine di questo capitolo, ma per ora basti riflettere sul dato 177 Laurence Brockliss è uno dei pochi storici della medicina che si è avventurato nel terreno scientifico della storia della formazione e della professione medica, con particolare attenzione al contesto francese del XVIII secolo. Si vedano tra i suoi numerosi saggi editi: L. Brockliss, Medicine and the small University in Eighteenth Century France, in, Le università minori in Europa (secoli XV- XIX), Atti del Convegno internazionale di studi, Alghero, 30 ottobre – 2 novembre 1996, (a cura di) Gian Paolo Brizzi – Jacques Verger, pp. 239 – 272; L. Brockliss, Curricula, in, Walter Rüegg (general editor), A history of the University in Europe, Universities in Early Modern Europe (1500 – 1800), vol. 2. Cambridge, Cambridge University Press, 1996, pp. 563 – 620; Organization, training and the medical marketplace in the Eighteenth century, in, Peter Elmer (edited by), The Healing Arts: health, disease and society in Europe, 1500 – 1800, Manchester, Manchester University Press, 2004, pp. 344 – 378; si veda anche il recentissimo contributo di L. Brockliss, Medical Education and Centres of Excellence in Eighteenth- century Europe: Towards an Identification, in, Centre of Medical Excellence? Medical Travel and Education in Europe, 1500 – 1789, edited by Ole Peter Grell, Andrew Cunningham and Jon Arrizabalaga, Farnham-Burlington, Ashgate, 2010 ( The History of Medicine in Context), pp. 35 - 46. 178 Cfr. n. 5. 104 della presenza degli studenti stranieri come indicatore di un certo prestigio acquisito nella formazione, non soltanto medica, dell’università fermana, già agli inizi del Seicento. La presenza di studenti dell’area germanica e dell’Est- europeo doveva essere consistente se nel 1635 lo Studio cerca di legittimare su base storica la possibilità di dottorare “i sudditi della Maestà dell’Imperatore” con il supporto dei padri Gesuiti di Fermo179: l’Adunanza incarica appositamente due membri di eseguire la ricerca tra i documenti dell’archivio dell’ università presso il convento fermano di S. Domenico180 per rinvenire privilegi concessi dall’Imperatore a favore dello Studio in materia di dottorati e chiede l’intervento formale del padre gesuita Solimano181, affinché supporti la ricerca, individuando quali altri Studi abbiano ricevuto analogo privilegio. Qualora non si rinvenga idonea documentazione storica, l’Adunanza invita il padre gesuita ad intervenire per ottenere dall’Imperatore il privilegio a favore dello Studio fermano di dottorare gli studenti del Sacro Romano Impero.182 Che tale facoltà verrà riconosciuta allo Studio fermano lo deduciamo con certezza dall’importanza acquisita dalla Natio Germanica alla fine del Seicento: la presenza di questi studenti è di “splendore et amplificatione” dello Studio e va magnificata anche in occasione della cerimonia dottorale con il suono della campana viola, - la Gian Paolo Brizzi, L’antica università di Fermo, cit., pp. 55 – 62. La presenza dell’Archivio dello Studio nel convento fermano di S. Domenico, rende più chiaro il progetto originario del nobile Paolo Ruffi di destinare tramite legato testamentario quello che sarebbe destinato a diventare il primo nucleo della Pubblica Libreria Fermana. Evidentemente l’Università fermana aveva individuato nella sede del convento dei Domenicani – oggi ex Collegio “Fontevecchia”il sito più idoneo, vista anche la vicinanza sia al Palazzo dei Priori che a quello degli Studi – l’attuale Biblioteca Civica- nell’allestire il proprio “centro di documentazione e di ricerca”: a completamento dell’ archivio, andava realizzata la biblioteca. Ma sull’erezione della pubblica libreria, vicenda di estremo interesse, si tornerà in maniera più specifica nei paragrafi finali nel presente capitolo. 181 In tutta probabilità si tratta di Giulio Solimani, padre gesuita e lettore di teologia e filosofia. Entrato nel 1613 all’età di diciotto anni nella congregazione dei gesuiti, lesse filosofia a Praga e teologia a Fermo. E’ autore di un’orazione tenuta in occasione dell’apertura dello Studio di Praga nel 1626. E’ probabile che il padre Solimani fu coinvolto dallo Studio fermano nella vicenda legata al privilegio di dottorare i sudditi dell’Impero, proprio in nome dei rapporti e delle esperienze maturate nel collegio di Praga. Morì a Roma il 14 maggio 1639. Tra i lettori di giurisprudenza dell’università fermana figura anche Ventura Solimani che fu anche bibliotecario della pubblica libreria fermana dal 3 agosto 1716 al 4 luglio 1718. Si veda BCFermo, Cartelle araldiche, famiglia Solimani. 182 ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza dell’ 8 gennaio 1635, c. 83r e c. 83v. 105 179 180 campana maggiore della cattedrale -183 privilegio riservato soltanto agli studenti di origini nobili o di dignità ecclesiastica184. Ma esattamente da quali studenti è composta la Natio Germanica? L’Adunanza nella risoluzione del 24 dicembre 1674 ne chiarisce la definizione “Per scolari della Natione Tedesca s’intendino tutti gl’Oriundi et habitanti con continuo domicilio in quelle città e Province soggette al Sagro Romano Imperio della Cesarea Maestà di là dalla Dalmatia”. La definizione merita qualche riflessione soprattutto sull’ultima parte relativa alla localizzazione geografica: sono noti i rapporti transfrontalieri che legavano in maniera secolare le due sponde dell’Adriatico, sotto il comun denominatore del governo veneto, sul piano commerciale e culturale fin dal Medioevo185, rapporti che nel Seicento erano documentati dalla presenza nella città fermana di un collegio illirico186 attivo nel 1663 a Fermo, mentre molto meno si conosce in merito ai rapporti tra la città di Fermo e l’area germanica nel Seicento. Tuttavia il Sacro Romano Impero includeva nel Seicento nel suo territorio anche la Croazia e visti i secolari rapporti tra le due sponde dell’Adriatico, non è escluso che molti studenti del Sacro Romano Impero potessero provenire da quei territori. In ogni caso nel Seicento a Fermo la loro presenza è considerevole, soprattutto a Fermo nel G.P. Brizzi, L’antica università di Fermo, cit. p. 81. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 24 dicembre 1674, c. 127r. 185 Si veda ad es. il catalogo della mostra a cura di Stefano Papetti, L' aquila e il leone: l'arte veneta a Fermo, Sant'Elpidio a Mare e nel Fermano : Jacobello, i Crivelli e Lotto, Venezia, Marsilio, 2006. 186 Si veda BCF, mss fondo Giuseppe Sabbioni, cartella I, “Istruzione pubblica e letteratura di Fermo. Memorie storiche- Scuole, accademie, ospedali”, fascicolo II n. 11: “I profughi albanesi e di Scio per sfuggire alla persecuzione maomettana si rifugiano a Fermo. Si riuniscono nella congregazione di S. Maria della Carità con una congregazione con altare dedicato a S. Venere e S. Anna. Società approvata nel 1523 dal Generale Consiglio. E sarà stato forse perciò che nell’anno 1663 Fermo vide sorgere per le sue mura con assenso ed a spese della Romana Sacra Congregazione de propaganda fide un Collegio detto Illirico ed Albanese dai Nazionali che dovevano esservi ricevuti ed educati. Venne eretto provvisoriamente nel locale poi acquistato dai preti dell’ Oratorio di S. Filippo e fin dal principio dette di se le migliori speranze e le garanzie di utile grande alla Società ed alle lettere. Il collegio venne aperto sotto il titolo de’ santi Pietro e Paolo”; fascicolo II, n. 10 “Anno 1746, Collegio Illirico ed Albanese in Fermo”: “Questo collegio contava nella Città nostra quasi un Secolo di Vita dalla sua erezione. In tal epoca erasi aumentati a poco a poco gli Alunni che sia per la salubrità dell’aria, sia per la copia dei commestibili, sia per la coltura che visi faceva de buoni studi era solito un Numero di circa 20 in ogni Anno: onde fu che a provvederlo di un Locale più ampio , dai Fermani non si era mancato di legare e far tenere alla Sacra Congregazione di Propaganda la pecunia occorrente a tal uopo. Quel Sacro Consesso però, sotto il pretesto di non poter sostenere il dispendio che asseriva esser grave per il mantenimento del Fermano Convitto all’improvviso li 23 febbraio di quest’anno 1746 ne fece partire per Roma i dieci alunni che esistevano onde riunirli per sempre al proprio collegio…”. 183 184 106 Collegio Marziale187. Benché la maggior parte degli studenti ospiti del Collegio Marziale fossero dediti agli studi giuridici e teologici, non è escluso che vi fossero anche studenti di medicina ed in ogni caso è documentato che il collegio dei medici e filosofi fosse chiamato ad intervenire nelle loro cerimonie di laurea: nel 1722, in occasione della pubblica cerimonia presso la Chiesa dei Gesuiti di Fermo in cui è chiamato a sostenere le conclusioni lo studente del Collegio Marziale Joseph Wichberg188, il collegio dei medici e filosofi è invitato a parteciparvi in maniera solenne con i propri membri vestiti con abito lungo e mazza.189 E’ indubbio che lo Studio fermano conosce una crescita significativa per tutto il Seicento, al punto che nel 1676 si rende necessario regolamentarne in maniera più ferrea e dettagliata il funzionamento, soprattutto in materia di lettori e cattedre. Probabilmente le richieste di entrare a far parte del corpo dei lettori dello Studio erano diventate troppe, la competizione fra i medici era molto alta, ma ciò a detrimento, forse, della qualità didattica. Per evitare il proliferare delle letture e dei lettori in maniera incontrollata e per sorvegliare sulla loro 187 G.P. Brizzi, L’ antica università di Fermo, cit., pp. 50-51. Negli anni 1655 – 1767 gli alunni provenienti dai “territori dell’Impero” erano i più numerosi dopo quelli provenienti dallo Stato della Chiesa e dalla Marca Pontificia. Quindi la Natio Tedesca era la componente più significativa della presenza straniera tra gli studenti dell’università fermana. Un cospicuo numero di studenti del Collegio erano originari di Graz: data la presenza nelle città di Fermo e Graz di collegi dei padri gesuiti, Brizzi ipotizza che questi furono i mediatori che favorirono la mobilità studentesca tra le due città. Ciò se da un lato è sicuramente vero dall’altro non basta a spiegare in generale l’importanza della presenza tedesca a Fermo che, a mio parere, va ricercata sia nel secolare rapporto della Marca, fin dal primo Medioevo, con i territori maggiormente a Nord dell’Impero che in quelli commerciali e culturali con le sponde dell’Adriatico in cui erano inclusi anche quelli Croati di pertinenza imperiale. Lo Studio fermano si avvalse della competenza e della mediazione dei Gesuiti, come abbiamo già visto in questo capitolo, per legittimare la facoltà dell’università fermana di dottorare i sudditi dell’Impero ma c’è da chiedersi se l’esigenza di legittimazione nacque dalla presenza tra gli studenti che già arrivavano a Fermo di una forte componente tedesca o se, al contrario, si cercasse la legittimazione di tale facoltà quale presupposto per attrarre nello Studio studenti tedeschi. Leggendo con attenzione le prime righe dell’ Adunanza dell’ 8 gennaio 1635, a c. 83r “Per dar animo a sudditi della Maestà dell’Imperatore et a fine che possano venire francamente a studiar in questa città per dottorarsi in questo Studio…”, l’impressione a mio parere che se ne ricava è quella di un bisogno di legittimazione di un fenomeno che in maniera non ancora regolata e formale, è tuttavia già in atto. Da ciò l’urgenza di legittimare per incentivare l’ulteriore incremento della mobilità studentesca già in atto, quale opportunità preziosa di sviluppo e prestigio per lo Studio di Fermo. 188 Il nome che si legge nell’ Adunanza del 12 agosto 1723 a c. 75r è “Giuseppe dall’avo Wichberg”. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 12 agosto 1723, c. 75r. Si intende probabilmente l’ antico mazza giuratoria simbolo dell’ateneo. 107 189 preparazione, al fine di mantenere alto il nome dello Studio, viene stabilito un numero fisso di lettori per ciascuna cattedra con la definizione dello stipendio assegnato: i lettori di legge sono undici in tutto (due per la lettura di ordinamento civile, due per l’ordinamento canonico, due per le letture straordinarie e cinque per le letture di “Instituta”), mentre quelli di medicina sono in tutto quattro, distribuiti due per la lettura di medicina pratica, due per la lettura di medicina teorica, che si alternano nelle lezioni mattutine e vespertine190. Come viene disciplinato il reclutamento di questi lettori? Ad eccezione di quei soggetti di comprovato valore che già leggono come nel caso del medico Domenico Pieri per la medicina pratica – come abbiamo già visto è il lettore di medicina più importante dello Studio nel Seicento- gli altri lettori, sia quelli che aspirano alla cattedra, sia quelli che in qualche modo già la detengono, devono sottoporsi ad un esame piuttosto severo. L’esame avviene alla presenza di quattro dottori del Collegio che assegnano, non più di ventiquattr’ore prima al candidato il “puncto” – ovvero l’argomento di discussione dell’esame –, ed anche dell’Arcivescovo, del Magistrato e dei Prefetti i quali assistono ma non hanno diritto di voto che spetta soltanto agli esaminatori: i candidati ritenuti idonei sono quelli che otterranno maggiori voti favorevoli. Gli esaminatori non possono essere eletti tra i lettori che leggono in quel momento nello Studio, ad eccezione del lettore ordinario di medicina pratica191, esprimono il voto segretamente e sotto vincolo di giuramento. In genere unitamente al medico primario di medicina pratica vengono eletti come esaminatori i due medici condotti della città. La scelta dei membri della commissione d’esame conferma l’importanza attribuita alla medicina pratica nella formazione universitaria, con forti implicazioni nell’esercizio pratico della professione, comprovate dalla scelta dei medici condotti. 190 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 1 aprile 1676, c. 136v-136r. 191 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 20 giugno 1676, c. 142r. 108 L’esame per una determinata cattedra viene sostenuto, in genere al principio dell’attività dello Studio ed una sola volta per l’insegnamento di un determinata disciplina: terminato l’incarico, l’Adunanza dello Studio con l’approvazione successiva del Consiglio di Cernita può procedere nuovamente ad assegnare a quel lettore già ritenuto idoneo, la cattedra per un periodo di tempo successivo, senza che debba nuovamente essere esaminato. Nel caso che le cattedre vengano assegnate a nuovi lettori, questi chiaramente dovranno essere sottoposti all’esame. Mentre i nuovi lettori a cui è imposto il carico di leggere per un anno gratuitamente o a volte per due anni ma con stipendio, quale requisito propedeutico necessario per essere ammessi al collegio, non devono sottoporsi all’esame. L’importanza di questa nuova regolamentazione per l’accesso alle cattedre è tale che l’Adunanza oltre a farne un rescritto in latino da allegare alle Costituzioni dello Studio ne chiede approvazione all’Arcivescovo, in qualità di nobile Cancelliere dello Studio, come stabilito dal pontefice Sisto V nella rifondazione dello Studio192. Difatti l’Adunanza con l’approvazione dell’Arcivescovo può emanare leggi, regolamenti e decreti aventi valore per il buon funzionamento dello Studio. Quanto alla scelta dei lettori di medicina l’Adunanza torna nuovamente sui loro requisiti: nel caso di lettori che non abbiano altri concorrenti aspiranti alla cattedra che detengono, questi non devono sostenere l’esame, mentre vi si devono obbligatoriamente sottoporre quei lettori che sono in concorrenza con altri aspiranti alla medesima cattedra. Si cerca in questo modo di regolare l’accesso alle cattedre più ambite come quelle di medicina pratica, innalzando la qualità dei lettori e cercando di selezionare quelli maggiormente qualificati per ricoprire l’incarico. L’obiettivo è anche quello di evitare che i lettori di medicina- come quelli delle altre discipline – facciano del loro incarico una forma stabile di impiego, perdendo qualsiasi stimolo ad aggiornarsi e qualificarsi nella materia. Si vuole favorire il ricambio del corpo 192 Con la Bolla del 13 settembre 1585 papa Sisto V rifonda l’Università di Fermo che dal 4 novembre dello stesso anno apre i battenti. Il pontefice conferma i privilegi antichi della città in materia di studi e manifestava la volontà che vi fosse creato uno Studio generale avente come modello di riferimento quello di Bologna. Si veda G.P. Brizzi, L’Antica Università di Fermo, pp. 25-27. 109 docente, impedendo il radicarsi tra i lettori di vecchia data, di poteri e privilegi acquisiti più per consuetudine che per merito. In questa stessa direzione va l’adozione di un limite nella durata degli incarichi ai lettori: soltanto per il lettore ordinario di medicina pratica è di quattro anni, mentre per gli altri tre lettori di medicina (una di pratica e due di teorica) è solamente di due anni.193 Sempre in questa prospettiva i lettori la cui richiesta di nuove letture o di conferme dell’incarico viene rigettata dall’Adunanza, non possono ripresentare la loro domanda prima che sia trascorso almeno un anno, inoltre quelli che inoltrano nuova richiesta ed ottengono risposta favorevole un anno prima che termini il loro incarico, non possono rinnovare l’istanza prima di due anni194. La severità delle norme che regolano il conferimento delle cattedre ai lettori si estende anche a quei medici che ricoprono il grado di promotori nei dottorati: non sono ammessi a partecipare ai dottorati quei promotori estratti che il giorno che precede la laurea non saranno stati in casa del laureando per verificarne il grado di preparazione. Difatti i puncta venivano assegnati al dottorando ventiquattr’ore prima ed era compito dei promotori che presentavano lo studente, controllare che il grado di preparazione raggiunto fosse idoneo al conseguimento del titolo. Le norme che disciplinano il ruolo dei promotori nei dottorati si faranno ancora più rigide verso gli inizi del Settecento, provocando addirittura una controversia giuridica tra il collegio dei medici e filosofi ed i medici condotti della città di Fermo e del suo porto ai quali viene proibito di interrogare durante i dottorati di medicina e filosofia, controversia in cui viene chiamato in causa lo stesso l’Arcivescovo195. Viene proibito, inoltre, agli stampatori l’uso di inserire nella stampa dei punti assegnati al candidato, altri titoli di qualità del dottorando, senza l’autorizzazione dei Prefetti. Per garantire l’assiduità dei lettori nell’insegnamento viene prestata 193 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 28 Aprile, 1675, c. 139v. 194 Si veda n. 95, Adunanza del 28 luglio 1677, c. 150v. 195 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 4 marzo 1720, c. 104r. 110 attenzione anche al cumulo di cariche: non era infrequente che alcuni lettori ricoprissero altri incarichi come quello di Priore e di Magistrato e che, per tale ragione, venissero esentati dall’impegno della lettura. L’acquisizione di cariche ulteriori, oltre quella della lettura nello Studio, non doveva essere di ostacolo per il regolare svolgimento dell’attività didattica, anzi: condizione per il conseguimento delle cariche, era quello di risiedere nella città per tutta la loro durata e di garantire, allo stesso tempo, con continuità la lettura nello Studio.196 Sempre in questa prospettiva va letta la risoluzione che vieta a coloro che sono ammessi a partecipare ai dottorati di medicina e filosofia, di prendere parte anche a quelli di teologia, in quanto le Costituzioni distinguono i due collegi e vietano di partecipare contemporaneamente ad entrambi197. Il quadro generale che emerge di un complessivo irrigidimento del funzionamento dello Studio, sia nei criteri di selezione dei lettori, che nelle modalità in cui si svolge l’esame di laurea e di selezione per i docenti, che nei titoli rilasciati dà l’idea di un’ università che vuole apparire seria e credibile, non una “fabbrica di titoli” in cui è piuttosto facile conseguire il titolo di dottore in medicina e magari ottenere anche l’incarico di lettore! In merito al funzionamento dello Studio un cenno va fatto sia alla disciplina delle lezioni che alle norme di comportamento imposte agli stessi studenti. Anche lo Studio Fermano, come gran parte degli Studi cittadini nel Seicento, deve fare i conti con il problema della scarsa frequenza degli studenti alle lezioni pubbliche, a fronte del proliferare di quelle private, tenute spesso dagli stessi lettori dell’università: in un primo momento lo Studio sembra tollerare il fenomeno in quanto garantisce un maggior servizio agli studenti, a condizione tuttavia che le lezioni private non avvengano in concomitanza di quelle pubbliche198. Tale 196 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 27 settembre 1670, c. 166r. 197 Si veda n. 97, Adunanza del 4 dicembre 1696, c. 29r. 198 ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 23 settembre 1624, c. 1r. Da notare che quello sulle lezioni private figura tra i primi provvedimenti assunti dall’Adunanza dello Studio agli inizi del Seicento, segno evidente che il fenomeno appariva come 111 divieto non è di fatto rispettato, se nel 1637 viene proibito ai lettori di leggere in casa nelle ore in cui si legge nello Studio.199 Al fine di evitare lo spopolamento delle aule, anche in relazione al cattivo uso di lezioni private concomitanti con quelle pubbliche, viene fatto divieto agli studenti di uscire non più di due alla volta, dalle scale dello Studio. Circa la disciplina da osservarsi durante le lezioni, ai lettori viene intimato di vestire l’abito lungo sia nei giorni in cui ci sono pubbliche lezioni che durante i dottorati, di non attardarsi nella “Libraria” vicina allo Studio, ma di avvicendarsi con ordine e prontezza per garantire il regolare svolgimento delle lezioni.200 Tuttavia la vita all’interno dello Studio doveva svolgersi con una certa tranquillità in quanto non si riscontrano controversie di particolare gravità tra i lettori e gli studenti, né provvedimenti disciplinari nei loro confronti. Gli equilibri più difficili da mantenere per quanto riguarda le istituzioni mediche, di fatto risultano essere quelli tra il corpo accademico ed i professionisti attivi in città e nel territorio. Sono equilibri complessi in cui entrano in gioco molteplici interessi diversi di natura professionale, economica, sociale e territoriale e che vale la pena indagare in maniera più approfondita per comprendere come incidano sullo sviluppo della stessa professione e pratica medica tra Seicento e Settecento nel contesto fermano. 2.4 LO STUDIO, IL COLLEGIO MEDICO ED IL PROTOMEDICATO: DALLA FORMAZIONE ALLA PROFESSIONE MEDICA Considerando l’assoluta scarsità di fonti edite a disposizione sull’argomento, la prima domanda che bisogna porsi è se a Fermo nel Seicento esisteva un Collegio Medico inteso come corpus professionale ed in tal caso di che natura fosse. Prima di rispondere a queste domande, è bene chiarire cosa si intenda per Collegio urgente da disciplinare, a scapito della scadenza delle lezioni pubbliche dello Studio e della presenza degli studenti. 199 Ivi, Adunanza del 3 giugno 1637, c. 104r. 200 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 2 ottobre 1649, c. 69r. 112 Medico in età moderna. Il periodo che va dal Cinquecento ai primi del Settecento può essere definito l’ “Età dei Collegi” tal punto che, nella penisola all’inizio del Seicento, si contano ben quattordici Collegi medici201. Già nel tardo Medioevo non soltanto i medici, ma anche gli speziali, i chirurghi ed i barbieri si erano organizzati in corporazioni di mestiere che avrebbero dovuto sottostare all’autorità delle facoltà mediche, ma che, concretamente, agivano con grande autonomia. Nel Seicento si assiste ad un fenomeno molto complesso nell’ambito delle professioni mediche: in maniera più o meno sincronica i vari Collegi dei Medici cercano di estendere la loro autorità anche su chirurghi, barbieri e speziali e ciò per diverse ragioni che analizzeremo di seguito. Laurence Brockliss, in un suo saggio sulle università minori francesi del Settecento, divide i “medical practitioners” in due grandi categorie: quelli che esercitano la medicina in maniera legale e quelli che lo fanno in maniera illegale.202 Il concetto di legalità si lega fortemente alla natura della formazione ricevuta e riconduce alla separazione di origine medievale tra professioni nobili e dotte: le prime di impronta speculativa, di natura più elevata rispetto alle seconde di natura manuale e quindi percepite come inferiori. Il medico-filosofo si recava al capezzale del malato, analizzava i sintomi della malattia, li riconduceva a teorie ben precise secondo le auctoritates –Ippocrate, Galeno e Avicenna – per formulare la diagnosi e prescrivere la terapia adeguata che competeva alle altre figure di pratici - spezialichirurghi e barbieri – mettere in atto, ma sempre sotto il suo stretto controllo. Mentre il medico riceveva una formazione ufficiale attraverso le università, gli altri pratici - chirurghi, barbieri e speziali - si formavano in maniera più artigianale: gli speziali dentro le loro botteghe, con un sapere tramandato di padre in figlio, chirurghi e barbieri acquisivano esperienza sul campo attraverso un apprendistato pratico. Tuttavia tra Seicento e Settecento la figura del 201 David Gentilcore, Malattia e guarigione: ciarlatani, guaritori e seri professionisti. La storia della medicina come non l’avete mai letta, traduzione di Paolo Paciolla, Lecce, Edizioni Controluce, 2008, pp. 49-52. Gentilcore, ordinario di storia moderna all’università di Leicester è uno degli studiosi che ha indagato maggiormente la storia socio-culturale dell’Italia moderna soprattutto in area religiosa e sanitaria, occupandosi in maniera specifica dell’organizzazione della professione medica. 202 Laurence Brockliss, Medicine and the Small University in Eighteenth – Century France, cit., pp. 256-257. 113 chirurgo, come vedremo in seguito in questo capitolo, inizia ad assumere contorni più definiti rispetto agli altri “medical practitioners”, anche nel contesto universitario. Senza dimenticare, infine, che nell’ambito di coloro che praticano la medicina di livello popolare vanno ricomprese le levatrici ed i ciarlatani. La figura del medico, addottoratosi in medicina e filosofia in un’università, appariva a livello popolare molto più distante e meno accessibile rispetto a quelle di speziali, chirurghi e barbieri alle cui cure, molto meno costose, si poteva ricorrere più facilmente. Ed è facile comprendere perché gli stessi pazienti, meno abbienti, richiedessero a queste figure minori della medicina, interventi terapeutici che esulassero dalla loro competenza specifica e fossero di competenza diretta dei medici. Il problema dei costi da sostenere per avere cure adeguate non era indifferente. Anche quando la comunità cittadina garantiva gratuitamente attraverso il medico condotto, già stipendiato dalla comunità civica, la visita agli infermi poveri e meno abbienti, restava comunque a carico dei pazienti il problema di procurarsi le medicine per eseguire la terapia prescritta, che erano, spesso, di non facile reperimento e molto costose. Senza contare che, parlando sempre in termini di costi, ottenere una formazione universitaria per tutti coloro che esercitavano a vari livelli la pratica medica, avrebbe significato essere in grado di sostenere comunque spese per gli studi e la frequenza in un’università locale, ma questo non era economicamente possibile per tutti. Per tale ragione per lungo tempo l’apprendistato pratico rappresentò spesso l’unica forma di istruzione accessibile in maniera immediata a quanti volevano entrare nel mondo variegato della pratica medica. Con queste premesse, era comprensibile, da un lato il naturale proliferare di queste figure minori della medicina, interessate ad estendere sempre più i confini della pratica medica “illegale”, dall’altro il percepire questo fenomeno da parte dei medici addottorati come un’ingiustificata invasione di campo, un sovvertimento dell’ordine gerarchico all’interno della società in cui ciascuno aveva un posto ben preciso, ordine che era il riflesso di quello divino203. In questo contesto riprendere il controllo e la 203 Alessandro Pastore, Le regole dei corpi: medicina e disciplina nell’Italia Moderna, Bologna, Il Mulino si veda 114 disciplina della pratica medica, si imponeva quasi come un dovere divino: in realtà, spesso ben altre esigenze si celavano dietro questo desiderio di ripristinare l’ordine naturale delle cose. Innanzitutto un bisogno di affermare la propria identità professionale in maniera netta: il medico non somministrava le droghe come uno speziale, non interveniva chirurgicamente e manualmente sul corpo del paziente come il chirurgo, non praticava i salassi come un barbiereflebotomo e dunque a cosa concretamente rispondeva la sua figura nell’immaginario popolare? La domanda è strategica e la risposta va individuata nel processo di progressiva affermazione in età moderna, nel curriculum universitario della medicina pratica e dall’importanza che viene tributata ad essa come disciplina ed a chi la insegna. E’ un processo che, nelle pagine precedenti, abbiamo visto compiersi anche all’interno dello Studio fermano. Nel campo della medicina l’eredità medievale che rendeva lineare la divisione tra sapere speculativo – e quindi dotto - e quello manuale – dunque di natura inferiore poteva apparire ancora chiara e netta solo sul piano teorico, perché, di fatto, si scontrava con un ambito reale molto più confuso ed in forte evoluzione, soprattutto tra Seicento e Settecento, nel contesto della pratica medica. Di fatti ciò che connota il mondo della pratica medica in questa fase transitoria, è l’ assoluta mancanza di uniformità non soltanto tra i vari “medical practitioners”, ma anche all’interno dello stesso corpo medico. E’ evidente che medici non fossero tutti uguali: poteva esserci una grande diversità tra un medico lettore di medicina in una grande università urbana e quello di un’università provinciale come tra un lettore di medicina ed un medico condotto di una città ed ancora, come tra quest’ultimo ed il medico condotto di un piccolo paese rurale o montano. Era chiaro allora che il carattere nobile ed elitario della professione medica, fosse più o meno accentuato dalle caratteristiche e dalla forza del contesto istituzionale, sociale, culturale, urbano e territoriale in cui il medico di fatto si trovasse ad operare. Si comprende allora perché l’appartenenza ad un collegio, oltre ad essere uno strumento di controllo sull’accesso alla professione e in particolare il cap. primo “Il corpo fisico e il corpo politico”, pp. 17-35. 115 sulla regolamentazione del suo esercizio, poteva rappresentare un potente mezzo di autolegittimazione e di affermazione sociale: la stessa appartenenza, in un gioco speculare, contribuiva a definire l’ identità e lo status professionale. Senza dimenticare il prestigio ed i benefici professionali anche economici che potevano discendere dall’appartenenza al collegio, dalle agevolazioni nell’esercizio professionale, ai vari emolumenti di cui beneficiano i membri del collegio, a seconda del ruolo svolto all’interno. In questo quadro ricostruito a grandi linee si trovano ad operare i Collegi Medici in età moderna che vanno ricondotti essenzialmente a due tipi: quelli associati alle università che esercitano un forte controllo sull’insegnamento medico ed il rilascio delle lauree e quelli di natura cittadina che esercitavano potere e controllo su chi pratica la professione in città e nel territorio. Ora, tornando alla realtà fermana, non è facile individuare a quale di queste categorie ricondurre il Collegio Medico fermano e la ragione di ciò risiede nella sua stessa natura “ambigua” ed intermedia, come di seguito illustrato. Esaminando la documentazione il Collegio Medico fermano può apparire ad una prima analisi come eminentemente universitario, non soltanto per la coincidenza di gran parte dei suoi membri con i lettori dello Studio, ma anche perché la sua prima funzione, come emerge dalla ricerca, è il controllo nel conferimento dei dottorati. Il Collegio opera essenzialmente all’unisono con l’università: non si riscontrano forme di autoregolamentazione interna manoscritte o a stampa che ne traccino l’autonomia di funzionamento rispetto allo Studio, come Statuti o Costituzioni specifiche. Lo stesso iter di accesso al collegio è strettamente collegato allo Studio: prevede un anno di lettura gratis che a volte può tramutarsi in due anni ma, in tal caso, stipendiata ed alla conclusione dell’incarico di lettura, una discussione dinanzi al collegio. Questo iter formale conosce delle eccezioni come per i medici che chiedono di essere ammessi al collegio, ma esercitano già nelle condotte. In questo caso il Collegio concede la dispensa dall’obbligo di leggere, ma non da quello di sostenere le pubbliche conclusioni. Di esempi di 116 medici condotti a cui, nel corso del Seicento, viene concessa tale dispensa ve ne sono diversi per il collegio medico fermano: il medico Giovanni Battista Vitali, medico condotto alle “Grotte”204, Fulgenzio Tallei medico del Porto di Fermo, Paolo Scaramuccia medico di Fermo e Giuseppe Petrucci medico a Lapedona. Al contrario, a volte, anche alcuni medici condotti vengono esentati dal Collegio, dal sostenere le pubbliche conclusioni: ciò accade ad esempio a Filippo Grazioli, medico condotto a Monte Urano, Clemente Antonio Massi, medico condotto di Torre di Palme. Non è sempre l’impegno professionale in una condotta, ma magari in strutture di assistenza e ricovero che spinge i medici a chiedere al collegio la dispensa da un tale obbligo: Filippo Mistichelli chiede di poter essere ammesso nel Collegio, con la dispensa di leggere in Studio e sostenere le pubbliche conclusioni in quanto già fortemente impegnato nella cura gratuita degli infermi. Non sempre la richiesta di essere aggregato al Collegio medico con la dispensa dalla lettura nello Studio viene accolta: nel caso del medico Marino Marini nel 1687, il Collegio, forse per mettere fine ai tentativi dei medici di aggregarsi nella maniera più facile, decreta che “In avvenire quelli che supplicheranno di essere aggregati di Collegio debbano giustificare dentro il termine di due anni di haver letto in Studio per l’anno gratis o almeno di haver ricominciato a leggere e di non haver potuto compiere a causa di essere stato impiegato in altre condotte corrispondenti alla loro professione”205. Circa la composizione del collegio medico, il quadro che emerge dalla documentazione esaminata presso l’archivio di Stato fermano, per gli anni 1623 1759, descrive una presenza significativa nei suoi membri di lettori di medicina dello Studio: Lucio Ruffi (1630)206, Paolo Scaramuccia (1638)207, Francesco Maria Il toponimo lascia pensare in tutta probabilità che si tratti del Castrum Gruptarum ad Mare – oggi Grottammare, benché la Marca Fermana comprendesse anche il Castrum Gruttarum Azzolinae – oggi Grottazzolina. Si veda Domenico Raccamadoro, Notizie istoriche della Città di Fermo, cit., p. 198. Si veda anche Dizionario di toponomastica, Torino, Utet, 1990, p. 319 in cui è attestato in vernacolo l’uso del plurale “Grotte” per indicare la città di Grottammare e del singolare “Grotta” per quella di Grottazzolina. 204 205 ASFermo, Fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 27 giugno 1687, c. 204r L’anno tra parentesi tonde si riferisce alla data di aggregazione al collegio. Adunanza del 16 marzo 1630, c. 46r. 117 206 Patriarca (1669)208, Silvio Argenti e Domenico Raccamadoro (1675)209, Felice Gaucci (1682)210, Clemente Antonio Massi (1684)211, Rodolfo Onofrio Raccamadoro (1703)212, Giacomo Filippo Raccamadoro (1714)213, Gerolamo Felice Paccaroni (1722)214 sono tutti membri del collegio ma, come abbiamo già visto, sono anche lettori nello Studio. Ma ancor più significativa è la presenza nel collegio dei medici che esercitano in città e nelle condotte del territorio che ne costituisce la maggioranza dei membri. Circa un quadro di insieme sul numero dei medici aggregati, le loro provenienze dal territorio e la data di aggregazione al Collegio, l’articolazione delle condotte nel territorio fermano e la serie dei priori del collegio medico si rinvia alle Tabelle A,B,C, che seguono. Si precisa che i dati inseriti nelle tabelle sono stati tutti desunti dai Registri delle Adunanze dello Studio in cui sono documentate anche tutte le attività del collegio medico, per gli anni 1623 – 1759215. TABELLA A IL COLLEGIO MEDICO DI FERMO (Secoli XVII - XVIII) NB I medici si succedono nell’elenco secondo la data di ammissione al Collegio Medico. Si precisa che sulla base della documentazione rinvenuta non è stato sempre possibile specificare la provenienza del candidato. 207ASFermo, Fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 23 settembre 1624, Adunanza del 9 giugno 1638, c. 109v. 208 ASFermo, Fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 4 dicembre 1696, Adunanza del 30 aprile 1669, c. 37r. 209 Ivi, Adunanza dell’8 luglio 1675, c. 129r. 210 Ivi, Adunanza del 3 febbraio 1683, c. 177v. 211 Ivi, Adunanza del 30 agosto 1684, c. 192r. 212 ASFermo, Fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 4 marzo 1720, Adunanza del 15 aprile 1703, c. 64v 213 Ivi, Adunanza del 25 giugno 1714, c. 69v 214 Ivi, Adunanza del 26 novembre 1722, c. 74r. 215 Si vedano: ASFermo, Fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641 ASFermo, Fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690 ASFermo, Fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759. 118 Medico Data ammissio ne Provenienza Bernardino Macchiati 20 giugno 1629 Carassai Zenone Arbostini 20 giugno 1629 Fermo Lutio Ruffi 18 gennaio 1630 Fermo Paolo Scaramuccia 16 ottobre 1635 Fermo Alessandro Grana 23 aprile 1653 Giovanni Tranquilli 23 aprile 1653 Monte Rubbiano Giacomo Orazi 10 giugno 1654 Altidona Giovanni Battista Cucciotti 10 giugno 1654 Monte Giberto Giulio Capotosti 12 febbraio 1655 Montottone Antonio Preziotti 12 febbraio 1655 Fermo Giovanni Filippo Graziani 30 ottobre 1655 Giovanni Bernardino Graziani 30 ottobre 1655 Giovanni Francesco Franceschini 22 luglio 1658 Giuseppe Stabili 8 settembre 1658 Giuseppe Antonio 27 giugno 1662 119 Cordella Niccolò De Dominicis 17 giugno 1664 Bono Preziotti 20 giugno 1666 Piersante Mannocchi 20 giugno 1666 Francesco Maria Patriarca 30 aprile 1669 Pietro Mannocchi da Petritoli 9 luglio 1672 Petritoli Giuseppe Antonio Farinelli 13 luglio 1673 Carassai Silvio Argenti 29 agosto 1674 Antonio Gaggi 27 gennaio 1677 Venanzo Macchiati 30 ottobre 1677 Felice Gaucci 29 ottobre 1682 Giambattista Smoraccion e 29 ottobre 1682 Camillo Rossi 19 agosto 1682 MonteGranaro Domenico A. Scalchi 16 dicembre 1683 Ripatransone Antonio Tranquilli Gennaio 1684 Montegranaro 120 Petritoli Pier Tommaso Barabini Gennaio 1684 Mondolfo Domenico Francesco Palombino 19 aprile 1684 Acqua Santa Filippo Mistichelli 30 agosto 1684 Teodoro Vagnolini 5 novembre 1685 Teodoro Vagnolini 5 novembre 1685 Castignano Pier Angelino 30 ottobre 1687 Servigliano Giuseppe Ronchi 15 1688 Fermo Domenico Mistichelli 27 ottobre 1698 Rodolfo Onofrio Raccamador i 15 aprile 1703 Fermo Luigi Polini 7 novembre 1703 Carassai Domenico Ubaldo Olivieri 22 1707 Antonio Francesco Morroni 3 settembre 1708 Fermo Giacomo Filippo Raccamador i 25 giugno 1714 Fermo Ventura Solimani 18 1715 settembre Francesco S. Morroni 27 1715 novembre Francesco Saverio 25 novembre novembre novembre 121 Cordella 1719 Nicola Fedeli 29 ottobre 1720 Fermo Giovanni Girolamo Ricci 19 1722 novembre Fermo Gerolamo Felice Paccaroni 26 1722 novembre Fiduzio Orlando Fermano 14 1735 settembre Domenico Raccammad ori 22 giugno 1744 Enrico Orlando 28 luglio 1760 Filippo Morroni 1 ottobre 1761 Vincenzo Nicola Cordella 16 aprile 1763 Giuseppe Orlandi 6 settembre 1783 TABELLA B I PRIORI DEL COLLEGIO DEI MEDICI E FILOSOFI DI FERMO (1636 - 1658) 122 NB I Priori si succedono nell’elenco secondo la data di nomina Pietro Vincenzo Morico 1 maggio 1636 Camillo Cruciani 1 settembre 1636 Leonardo Gervasio 13 gennaio 1637 Giovanni Cordella gennaio – agosto 1637 Camillo Cruciani 12 settembre 1637 Leonardo Gervasio gennaio – aprile 1638 Antonio Spagnolo 7 maggio 1638 Doroteo Tassoni 2 settembre 1638 Pietro Vincenzo Morroni 3 gennaio 1639 Giovanni Cordella 1 maggio 1639 Padre Antonio Scagnola 2 settembre 1639 Camillo Cruciani 6 maggio 1640 Doroteo Tassoni 3 settembre 1640 Camillo Cruciani 4 gennaio 1641 Pietro Vincenzo Morico 4 marzo 1641 123 NB deve esercitare la professione fuori dalla Città di Fermo e viene sostituito Giovanni Cordella 2 settembre 1641 Doroteo Tassoni 4 gennaio 1642 Leonardo Gervasio 25 aprile 1642 Camillo Cruciani 25 settembre 1642 Giovanni Cordella 1 gennaio 1643 Lucio Ruffi 29 aprile 1643 13 settembre 1643 Doroteo Tassoni gennaio – aprile 1643 Giovanni Cordella aprile – agosto 1644 Camillo Cruciani 1 settembre 1644 Leonardo Gervasio 5 gennaio 1645 Domenico Pieri 5 marzo 1646 Marco Antonio Ruffi Aprile 1646 Lucio Ruffi 15 settembre 1646 Padre Vincenzo Morico 8 gennaio 1647 Pietro Vincenzo Morico 2 maggio 1650 Domenico Pieri aprile 1651 Simone aprile 1651 124 Doroteo Tassoni muore ed è sostituito da Camillo Cruciani Paetino Lucio Ruffi 14 giugno 1653 Giovanni Cordella 13 febbraio 1654 Giovanni Cordella 7 aprile 1655 Giovanni Cordella 30 settembre 1655 Vincenzo Morico 17 ottobre 1655 Marco Antonio Ruffi 6 giugno 1658 TABELLA C 125 I MEDICI CONDOTTI DEL COLLEGIO DI FERMO (Secoli XVII-XVIII) NB I medici si succedono nella tabella secondo l’ordine cronologico della data di ammissione al Collegio Medico di Fermo Medico incaricat o Condotta Anno Ercole Costantin i Offida 1623 Giovanni Battista Vitale Grottammare 1626 Giuseppe Gaspari Lapedona 1627 Fulgenzio Tallei Porto di Fermo 1628 Paolo Scaramuc cia Fermo 1638 Pietro Mannocc hi da Petritoli Palombara * 1672 *Palombara Sabina Comune in Prov. di Roma *Monte Vecchio frazione di Pergola nel territorio di PesaroUrbino Antonio Senzini Monte Vecchio* 1677 Filippo Grazioli Monte Urano 1682 Felice Gaucci Torre Patrizio S. 126 1682 Clemente Antonio Massi Torre di Palme 1684 Giuseppe Petrucci da Lapedon a Torre S. Patrizio 1698 Antonio Anania Barlocci Falerone 1722 Una posizione di rinomanza all’interno del Collegio era quella del primo medico della città, figura che come abbiamo già visto coincideva con quella del lettore di medicina pratica più importante nello Studio, rinomanza deducibile anche dal posto che gli veniva assegnato vicino al Priore del Collegio, durante le adunanze.216 Il Collegio dei Medici e Filosofi era formato da membri ordinari217 e soprannumerari218: il numero era variabile, ma all’incirca – considerando i decessi e le partenze dal territorio- si attestava sull’effettiva presenza di dodici membri ordinari e dodici membri suprannumerari. Il Priore del Collegio era eletto tra i suoi membri e restava in carica quattro mesi: ricostruendo la sequenza dei Priori che si sono succeduti dal 1636 al 1658, come si può osservare nella Tabella B si riscontrano come eletti alla carica, numerosi lettori illustri di medicina, di cui ci siamo già occupati in questo capitolo, come Camillo Cruciani, Lucio Ruffi, Domenico Pieri. Si osserva infine una certa alternanza, quasi ciclica della carica in mano alle stesse persone, segno che il potere all’interno del collegio aveva un tratto indubbiamente conservativo. Questo lo si riscontra anche in merito alle modalità di aggregazione: oltre a quelle che abbiamo visto sopra con un iter ben ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 7 dicembre 1695, c. 25r. 217 ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. Philosophorum et medicorum civitas Firmi, 1635 – 1783, Cathalogus seu Matricula … Philosophorum et Medicorum. De numero duodenario.., Die 9 Maij 1635, c. 2r. 218 Ivi, c. 2v. I membri iscritti al catalogo dei soprannumerari alla data del 1644 sono undici. 127 216 preciso – lettura gratis per un anno nello Studio e conclusioni pubbliche - ve ne erano altre come la discendenza familiare e anche la comprovata abilità. Per il primo caso si possono addurre come esempi i medici Piersante Mannocchi, Giacomo Filippo Raccamadori, ammessi rispettivamente nel 1672 e nel 1714 in quanto figli di Pietro Mannocchi219 e Domenico Raccamadoro220; per il secondo caso un’ammissione illustre al Collegio è quella di Rodolfo Onofrio Raccamadoro di cui è nota e stimata l’abilità professionale.221 Un altro dato importante: molti medici chiedono di essere aggregati al Collegio, benché prossimi a lasciare il territorio, perché hanno ottenuto incarichi altrove, soprattutto per la maggior parte, a Roma222. In ogni caso prima di partire, manifestano il desiderio di essere ammessi al Collegio, chiedendone l’iscrizione e ciò per una ragione chiara: presentarsi in maniera sempre più accreditata sul piano professionale, anche nella città dove andranno ad esercitare. Alcuni di questi medici, una volta partiti, svolgono interamente la loro carriera al di fuori del territorio fermano – il caso illustre di Cesare Macchiati223 -, mentre altri 219ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 9 luglio 1672, c. 113v. Il padre Pietro Mannocchi si rivolge al Collegio, affinché il figlio Piersante Mannocchi possa esser dispensato dal sostenere le pubbliche conclusioni per essere ammesso nel Collegio. 220ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 25 giugno 1714, c. 69r. In questo caso il padre Domenico Raccamadoro aveva depositato mentre era in vita, al cancelliere del collegio, due scudi come anticipo per la futura iscrizione del figlio Giovanni Filippo. 221 Ivi, Adunanza del 15 aprile 1703, c. 64v. Rodolfo Onofrio Raccamadoro è ammesso al Collegio in quanto la sua idoneità e la sua abilità professionale è già nota ai membri del Collegio. Probabilmente si era già distinto come medico nel contesto cittadino, sappiamo già che dopo l’ammissione al Collegio nel 1703, otterrà la cattedra di Medicina Teorica nel 1712. 222 Sono numerosi i medici che si recano a Roma ad esercitare la professione: Alessandro Grana nel 1653, Giulio Capotosti da Montottone nel 1655, Giovanni Filippo Graziani nel 1655, Giovanni Francesco Franchini nel 1658, Pietro Mannocchi nel 1672 -ha l’incarico della condotta di Palombara-, Domenico Mistichelli nel 1699, che eserciterà medicina presso l’Arciospedale S. Spirito di Roma, come si vedrà nel prossimo capitolo più dettagliatamente. Il fenomeno del flusso di medici da Fermo a Roma nella seconda metà del Seicento assume contorni piuttosto consistenti: nella lista sopra indicata vanno aggiunti Cesare Macchiati nel 1660 e Romolo Spezioli nel 1675. Sull’importanza del rapporto tra lo Studio di Fermo e l’Archiginnasio Romano, per quanto riguarda la medicina, si tornerà in maniera diffusa nel prossimo capitolo. 223 AS Fermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. philosophorum et medicorum civitatis Firmi, 1635 – 1783, Cathalogus seu Matricola … Doct. Ill. Philosphorum et Medicorum de numero duodenario participantium qui modo reperiuntur et sunt superstites, Die 6 Aprilis 1651, c. 10r. Nella seduta del 6 aprile 1651, chiedono l’ammissione al collegio medico Vincenzo Macchiati col figlio Cesare Macchiati. Questi lasciò Fermo nel 1660 in quanto fu scelto dalla Regina Cristina di Svezia come medico personale della corte romana e non fece più rientro nella città natale, risiedendo a Roma fino alla morte avvenuta nel 1675. Si veda, Candida Carella, L’insegnamento della filosofia alla “Sapienza” di Roma nel Seicento: le cattedre ed i maestri. 128 rientrano nella città di Fermo, dopo aver arricchito la loro esperienza professionale: Silvio Argenti lascia Fermo nel 1680 e vi fa ritorno prima del 1711, anno in cui ottiene la cattedra di medicina pratica vacante per la morte di Domenico Raccamadoro. L’aver esercitato al di fuori del territorio fermano costituisce per Silvio Argenti un merito per concorrere all’assegnazione della cattedra più prestigiosa in quel momento per l’insegnamento medico224: quella di medicina pratica. La centralità di questa disciplina all’interno del curriculum formativo medico – argomento già affrontato in questo capitolo-, il prestigio attribuito alla medico pratico primario della città, l’annessione alla cattedra di Medicina Teorica dell’obbligo della cura degli infermi, proprio allo scopo di non perdere il contatto con la pratica quotidiana, l’attenzione che il Collegio Medico stesso riserva a quei medici, come Silvio Argenti ed altri che maturano un’esperienza pratica significativa, al difuori delle mura delle città e dei confini della Marca: sono tutti fattori questi che depongono, da un lato a favore dello Studio stesso, come sede universitaria vocata a formare medici con un’identità professionale ben definita e dall’altra a favore dello stesso Collegio Medico che, pur essendo in stretta collaborazione con lo Studio, non accentua il carattere elitario della professione medica, a discapito della concreta abilità pratica dei suoi iscritti. Ciò può ricondursi a due ragioni: innanzitutto l’interesse dello Studio ad acquisire sempre maggiore fama nel territorio della Marca e dello Stato Pontificio, come centro di formazione di professionisti della medicina al passo con i tempi, noti per la loro pratica medica che con la loro immagine professionale alta, veicolano anche quella dello Studio in contesti di prestigio come le corti romane e la stessa Curia Pontificia – si pensi a figure come Cesare Macchiati, Romolo Spezioli, Domenico Mistichelli; secondariamente l’aderenza dello Studio ai reali bisogni del territorio, per quanto concerne la formazione medica ed i concreti bisogni professionali, aspetto più semplice da raggiungere in Firenze, Leo S. Olschki, 2007 (Le corrispondenze letterarie, scientifiche ed erudire dal Rinascimento all’ Età Moderna, Subsidia n. 7), p. 153. 224 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 5 ottobre 1711, c. 72v. 129 un contesto provinciale, grazie al ruolo fondamentale di supporto e controllo svolto dallo stesso Collegio Medico sul territorio. E’ evidente che il Collegio Medico fermano mantiene le caratteristiche di corpo professionale autoregola, secondo precisi meccanismi di aggregazione, che si tuttavia la documentazione esaminata non ne rileva il carattere eccessivamente chiuso, come predominante nella sua politica sul territorio. E’ bene evidenziare che, riguardo al ruolo dei Collegi Medici in rapporto alla professionalizzazione della medicina in età moderna, le opinioni degli studiosi sono piuttosto discordanti: David Gentilcore225 non individua nel fenomeno della nascita dei Collegi medici un segno di professionalizzazione in senso moderno della disciplina, ma un tentativo della classe medica di ribadire il proprio prestigio sociale, cercando di disciplinare e controllare dall’alto un mondo come quello della pratica sanitaria, in ebollizione ed assai meno uniforme, di quanto si volesse far sembrare. Ciò può essere in parte vero, visto che una delle ragioni di crisi dei Collegi Medici agli inizi del Settecento sarà proprio quella del loro limite ed incapacità, nel rappresentare la complessità delle diverse figure attive in campo sanitario e dei loro bisogni di tutela. Tuttavia, a mio parere, va riconosciuto ai Collegi medici il merito di aver contribuito ad improntare l’agire medico ai principi di obbedienza, ordine e gerarchia, ispirando il comportamento di un gruppo sociale e determinandone in questo modo, anche inevitabilmente la professionalizzazione226. Ma in una città di provincia come Fermo il ruolo del Collegio Medico non si esaurisce in quello di un corpo chiuso, proprio per le dimensioni urbane in cui si trova ad operare. Difatti nel caso di Fermo, la natura prevalente di Collegio Medico associato all’università, non esclude, secondo quanto emerge dalla ricerca, anche quello di Collegio professionale “cittadino”, legato più da vicino alle istituzioni e con giurisdizione su chi pratica nel contesto urbano e sul territorio. Basta pensare che nel Seicento Fermo era tra le città più popolose del territorio marchigiano, a capo dell’Arcidiocesi che papa Sisto V, in 225 226 Cfr. n. 103 Alessandro Pastore, Le regole dei corpi: medicina e disciplina nell’Italia Moderna, cit., pp. 148 – 153. 130 ragione della sua importanza storica ed estensione territoriale, aveva elevato al rango di arcidiocesi metropolitana il 24 maggio 1589 con la bolla Universis orbis ecclesiis227. Quindi Fermo, relativamente al territorio marchigiano, poteva avere i connotati di una piccola capitale “ecclesiastica”, dato non secondario nel valutare il potere del Collegio Medico come istituzione cittadina. Lo stesso Studio fermano, come era consuetudine, dopo i fasti a cui era tornato grazie ai privilegi concessi da papa Sisto V, godeva tradizionalmente della protezione di un potente cardinale della Curia Romana che veniva individuato dalla stessa Adunanza. Nel Seicento si successero come protettori dello Studio il cardinale Francesco Barberini, eletto dall’ adunanza come protettore nel 1633228 – mentre lo stesso Barberini era anche Governatore della Città di Fermo, carica che ricoprì dal 1623 al 1644 - ed il cardinale Decio Azzolino junior229, eletto protettore nel 1679230. Il legame dello Studio con la Curia Romana era molto stretto e non sono infrequenti le visite di illustri cardinali, accolti in pompa magna dal corpo universitario: il 2 marzo 1687231 l’università riceve la visita del cardinal Altieri – il potente cardinal- nepote di Papa Clemente X232-, mentre il 2 agosto 1693233 quella del cardinal Opizio Pallavicini, legato pontificio ad Urbino e vescovo di Osimo nel 1691.234 Lo stretto legame con personaggi di potere della Curia Romana nel Seicento, facevano di Fermo una città di riferimento di un certo Si veda Atlante storico del territorio fermano, cit., pp. 162 – 169. ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641,Adunanza del 26 febbraio 1633, c. 63r. 229 Si veda Gaspare De Caro, voce “Decio Azzolini”, in, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto Treccani dell’Enciclopedia Italiana, 1962, vol. 4, consultabile on line all’indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/decio-azzolini_(Dizionario-Biografico). 230 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 9 luglio 1672 Adunanza del 22 dicembre 1679, c. 169r. 231 Ivi, Adunanza del 2 maggio 1687, c. 203r . 232 Paluzzo Paluzzi degli Albertoni (1623 – 1698), detto “cardinal Altieri”: Clemente X ovvero Emilio Altieri, non avendo discendenti dalle sorelle e dai fratelli ed essendo il Paluzzi zio del marito della figlia di una sua cugina, Laura Caterina, lo adottò a partire dal 30 aprile 1676. Paluzzi divenne “cardinal Padrone” ovvero primo ministro, onnipotente ed indispensabile all’anziano pontefice. Si veda P. Levillain, Dizionario storico del papato, Milano, Bompiani, 1996, I, pp. 340-341. 233 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 2 giugno 1693, c. 12v. 234 Isabella Mangiocalda, Il viaggio nelle Fiandre del cardinale Opizio Pallavicini, nunzio apostolico di Colonia nell’anno 1676, tesi di laurea, Università di Utrecht, Dipartimento di Italianistica, giugno 2006. Alle pp. 28-29 in cui si evidenziano gli stretti rapporti non soltanto epistolari che intercorrono tra il cardinale Opizio Pallavicini e il cardinale Altieri. 131 227 228 rilievo nel territorio marchigiano dello Stato Pontificio, dando maggiore forza anche alle sue istituzioni cittadine. In questo contesto, nel rapporto tra il Collegio Medico, la città di Fermo ed il suo territorio va evidenziata l’importanza svolta da un’istituzione della cui esistenza non vi era finora alcuna traccia, né alcuna menzione: il Protomedicato. Il primo documento rinvenuto che testimonianza l’esistenza di un protomedicato a Fermo è datato 12 luglio 1631: l’Adunanza dello Studio deve rinnovare i bussoli dei Protomedici in cui vengono inseriti i candidati eleggibili alla carica.235 Ma conosciamo con maggior dettaglio i requisiti all’eleggibilità alla carica, la sua durata e le competenze del Protomedico da due Adunanze, rispettivamente del 31 gennaio e dell’ 8 febbraio 1674: “Avvicinandosi il tempo di far l’estrattione del Protomedico e convenendo perciò doversi rinnovare il bussolo, è stato suscitato qualche dubio in ordine à soggetti da imbussolarsi, parendo non ne potessero esser capaci se non i Medici prattici esercenti nella Nostra città e similmente i lettori di prattica nello Studio…”236 e ancora: “Il bussolo dei Protomedici si componga in avvenire de Medici Prattici esercenti della nostra Città e dei lettori similmente di prattica nel nostro Studio come anche di tutti gl’altri Medici oriundi della nostra Città che esercitano o hanno essercitato pratica in varie condotte purchè siano aggregati nel Collegio e da questo bussolo se ne faccia ogn’anno l’estrattione di uno nel mese di Aprile d’haver poi a continuare ad esercitar il suo carico nel primo giorno di maggio e duri un anno e nella visita alle spezierie della città vi assistino Gentilhuomini di Cernita da eleggersi dal sig. Magistrato pro tempore insieme al Consigliere de’ Spetiali e nella visita della Spetieria dello Stato debba condursi il detto Console e debba cominciar a far la visita prima nella Città poi nello Stato e se ricorresse che alcuni di detti imbussolati estratti si trovasse assente se gli debba notificare l’officio che gli è uscito il Protomedico e debba ritornare fra 15 giorni se vorrà esercitare altrimente si 235 ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 12 luglio 1631, c. 54v. 236 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 13 gennaio 1674, c. 122r. 132 faccia l’estrattione di altri che possino e voglino solito fare il carico e l’estrattione si faccia in Adunanza in principio di Aprile”237. Ancora una volta la conoscenza scientifica della medicina pratica sul piano disciplinare – i lettori- e la comprovata competenza nel suo esercizio- i medici pratici ed anche i medici condotti- è criterio di precedenza nell’accesso a cariche pubbliche importanti. Il Protomedico, eletto dall’Adunanza tra i soggetti che ne possiedono i requisiti, è di fatto espressione del potere del Collegio Medico. La durata della carica è di un anno, a cominciare dal mese di maggio ed il compito principale sembra essere quello della visita alle spezierie della città e della Marca Fermana. La commissione di ispezione è composta, dal Protomedico, da due Consiglieri di Cernita e dal Consigliere degli Speziali: è la prima volta che si ha notizia dell’esistenza di rappresentante degli speziali nella città, segno che sul piano professionale, avevano dato vita, probabilmente ad una loro corporazione di mestiere, con un certo potere nel contesto delle istituzioni cittadine. La visita deve iniziare dalle spezierie della città, per estendersi poi in tutte quelle del territorio. Perché tale attività di ispezione riveste importanza centrale nell’ufficio del Protomedicato, anche nella Marca di Fermo? David Gentilcore il più autorevole studioso di questa istituzione in Italia nell’ età moderna238 individua come principali competenze dell’ufficio del Protomedico, che era distinto da quello del Collegio dei Medici, l’attività di ispezione effettuata attraverso le visite nel territorio e quella di riscossione delle tasse. Benché la carica di protomedico fosse il più alto ufficio a cui un medico potesse aspirare, in quanto rappresentava la posizione più importante e di maggior prestigio nella burocrazia medica dello Stato, di fatto la carica e l’ufficio del protomedico venivano identificate, perlopiù come una sorta di agenzia fiscale, mentre il vero 237 Ivi, Adunanza dell’8 febbraio 1674, c. 123r - 123v. David Gentilcore, All that pertains to medecine”: protomedici and protomedicati in Early Modern Italy, «Medical History», 38, 1994, pp. 121-142. Dello stesso autore si vedano anche: Healers and healing in Early Modern Italy, Manchester, Manchester University Press, 1998; Medical charlatanism in Early Modern Italy, Oxford, Oxford University Press, 2006. 238 133 potere sul corpo medico restava concentrato nelle mani del Collegio Medico. Nelle visite di ispezione il Protomedico doveva essere accompagnato da un farmacista eletto dalla Corporazione degli Speziali, competente nell’analizzare le droghe medicinali conservate nelle spezierie, per valutarne la composizione e lo stato di conservazione: i medicinali non dovevano essere corrotti e dovevano essere adeguati ovvero corrispondere a quelli indicati nella “Tavola” che conteneva l’elenco di medicine approvate e previste dal Protomedicato di cui lo speziale doveva essere fornito239. Il Consigliere degli Speziali che accompagna il Protomedico, durante la visita, saggia ogni singolo medicinale “lo vede, l’odora, lo tocca, se bisogna lo gusta per sapere se è vero, e legitimo e buono…”.240 La visita doveva cogliere lo speziale di sorpresa, affinché non avesse tempo di sbarazzarsi delle medicine corrotte o non autorizzate e di farsi prestare quelle in buono stato da qualche speziale amico. Il commercio illegale di droghe provenienti dal Nuovo Mondo era molto diffuso nel Seicento ed in generale la categoria degli speziali veniva associata non tanto al mondo della medicina, quanto a quella del commercio in cui anche la frode rientrava nella pratica quotidiana241. La presenza, oltre al Protomedico, di altri membri nella Commissione – il rappresentante degli Speziali ed almeno due Consiglieri- rappresentava la garanzia che l’ispezione venisse eseguita nel rispetto di tutti i parametri, in 239 La pratica della visita di ispezione alle spezierie da parte di medici deputati al controllo risaliva al periodo medievale. Nel secolo XIV un’ordinanza del re di Francia, aveva stabilito norme che regolavano la professione di chirurghi, barbieri e speziali, dietro forte pressione della facoltà medica dell’università di Parigi, tra i centri più prestigiosi in età medievale e moderna per lo studio della medicina. Questo bisogno di controllo sull’attività degli speziali nasce dal fatto che i medici erano fortemente dipendenti dagli speziali circa la preparazione dei medicinali che prescrivevano nelle loro ricette. Un medicinale poteva variare molto, fino a perdere la sua efficacia terapeutica o addirittura diventare pericoloso per il paziente se nella sua confezione venivano variati i pesi utilizzati per i vari ingredienti o se venivano sostituiti alcuni di essi e per quest’ultima ragione gli speziali dovevano disporre del Quid pro quo una lista di droghe sostitutive. Gli speziali, inoltre, non potevano somministrare lassativi, oppiacei, veleni e medicine per abortire. Si veda Vern. L. Bullough, The development of medicine as a profession: the contribution of the Medical University to Modern Medicine, Basel- New York, S. Karger, 1966, pp. 102-103. 240 David Gentilcore, Malattia e guarigione: ciarlatani, guaritori e seri professionisti. La storia della medicina come non l’avete mai letta, traduzione di Paolo Paciolla, Lecce, Edizioni Controluce, 2008, “Ispezioni nelle botteghe degli speziali”, pp. 36-37. 241 Rosemary O’ Day, The professions in Early Modern England, 1450-1800: servants of the Commonweal, Pearson Education- Longman, 2000, pp. 197-198. 134 quanto il rapporto che documentava la visita, doveva essere firmato da tutti i membri che ne condividevano in questo modo tutte le responsabilità. Chiaramente lo speziale, oltre a pagare la tassa per la visita, in quanto il viaggio e la permanenza in città della Commissione comportavano dei costi, poteva essere soggetto a multe e sequestri, se la sua spezieria non fosse stata trovata a norma, per quanto concerne i medicinali in essa conservati. Non era infrequente che lo speziale per evitare di pagare, adducesse come motivazione un presunto stato di povertà, dovuto ai mancati incassi per aver concesso gratuitamente le medicine agli infermi poveri, come prescritto dal medico condotto e che, nei casi più gravi, si rifiutasse di aprire i battenti della farmacia all’arrivo dell’ispezione o cercasse di rifugiarsi nella chiesa della parrocchia, qualora fosse accusato di commercio illegale di droghe medicinali. In ogni caso è evidente come la visita non soltanto non fosse gradita dagli speziali, ma alimentasse maggiormente quei conflitti, piuttosto aspri, che connotavano il rapporto tra medici e speziali, ormai da secoli. In ogni caso sulle ragioni di questo conflitto si tornerà nelle pagine seguenti. Va infine precisato che il Protomedico non aveva alcun potere di ispezione sulle spezierie appartenenti ad ordini religiosi che erano esclusivamente sotto la giurisdizione ecclesiastica. A questo punto è chiara la ragione per cui la pratica della visita rappresentasse una voce d’entrata piuttosto importante per le casse dello Stato, specialmente per quello della Marca di Fermo che aveva un territorio piuttosto esteso. Ritroviamo traccia di questa attività di ispezione del Protomedico di Fermo sulle spezierie in un ms. del XVII secolo, conservato nella Biblioteca Comunale fermana.242 La visita di ispezione condotta nel 1651 dal “Physicus et Protomedicus Ill.ma Civitatis Firmi” Giovanni Cordella sulle spezierie del territorio fermano dura otto giorni: dal 12 al 20 dicembre di quell’anno. Comincia il 12 dicembre a Rapagnano, dalla spezieria di proprietà dello speziale Venanzio Grifoni per continuare come 242 BCF, ms. 4 DE 1 / Cart. LVI, n. 1199, (secolo XVII, Fermo Spezierie), cc. 1r-6r. Le carte del ms. presentano scrittura solo sul recto delle carte. 135 segue: il 13 dicembre a Loro Piceno nella spezieria di Alessandro Marcucci, il 15 dicembre a Servigliano nella spezieria di Flaminio Gulino, il 17 dicembre a Lapedona nella spezieria di Giacinto Tranquilli, il 19 dicembre a Grottammare nella spezieria di Agapito Cuccioli per concludersi il 20 dicembre, con la visita al Porto di Fermo, alla spezieria di Alessandro Tomassini243. Il documento è di estremo interesse per diverse ragioni: oltre ad essere l’unica testimonianza ad oggi rinvenuta sull’attività di ispezione del Protomedico di Fermo, mappa la rete delle spezierie della Marca, come elemento di un sistema sanitario, accanto a quello delle condotte mediche e degli ospedali244, piuttosto articolato nel Seicento, più di quanto si potesse ad oggi pensare, sulla base della scarsa bibliografia edita sull’argomento. Inoltre i protomedici di Fermo cominciano ad avere un volto: Giovanni Cordella, membro della nobile famiglia Cordella, originaria di Viterbo della quale un ramo migrò intorno al Quattrocento nelle Marche, prima a Monturano e poi a Fermo. Nei documenti araldici di Giovanni Cordella si legge che fu “Dottore in medicina e medico Primario della città”.245 Ritroviamo Giovanni Cordella protagonista, come Protomedico, di una richiesta dinanzi al Collegio Medico: nel 1655 Cordella chiede al Collegio di concedere al chirurgo Antonio Serio da Palermo, una patente per l’esercizio della professione nella città e nel territorio. Per verificare il grado di preparazione e l’idoneità acquisite nell’esercizio della chirurgia, il candidato deve sottoporsi ad un esame da parte del Collegio: solo dopo aver ottenuto un esito positivo, segue la 243 La pratica delle visite di ispezione alle spezierie da parte delle autorità fermane nel territorio sembra continuare fino alla fine del Settecento. Così si deduce dal ms. 141 conservato presso la Biblioteca Comunale Fermana, datato 31 luglio 1799, Libro dei Medicinali per uso della Truppa in Massa ordine del comandante della Spezieria Luciani, che documenta a c. 6r il controllo esercitato dallo Speziale di Fermo Giuseppe Casellini sul Libro di Medicinali ed il pagamento della tassa di cinquanta scudi a cui era soggetto il proprietario della spezieria. 244 Sulla rete delle condotte mediche e degli ospedali del territorio si tornerà successivamente in questo capitolo in maniera più dettagliata. 245 Giovanni Cicconi, Cenni storici-biografici della famiglia Cordella nobile patrizia fermana, pubblicati in occasione delle nozze Cordella- Desportes, S.l.n., p. 10. L’opuscolo privo di data e note tipografiche è contenuto in BCF, Cartelle Araldiche, famiglia Cordella. Uno dei suoi discendenti Bartolomeo Cordella fu protagonista insieme al conte Giuseppe Sabbioni, della missione compiuta nel 1824 presso la Curia Romana, per perorare la causa di riapertura dell’antica università fermana, chiusa nel 1808 e ristabilita poi per breve tempo in forza della Bolla Leonina “Quod Divina Sapientia”. 136 concessione della patente da parte del Protomedico e di due medici.246Pertanto rientrava nelle competenze del Protomedico concedere le patenti ovvero licenze di esercizio professionale ai chirurghi, il cui grado di preparazione, poteva essere davvero eterogeneo: a fronte di coloro che avevano acquisito la loro preparazione esclusivamente sul piano pratico senza alcun riconoscimento formale e su cui si appuntavano in maniera più serrata le forme di controllo, vi erano chirurghi che erano riusciti ad aggregarsi ad un’università e conseguire un dottorato in medicina e potevano vantare un grado di preparazione maggiormente riconosciuto sul piano formale. L’esame a cui venivano sottoposti i chirurghi da parte del Collegio doveva verificare come erano in grado di intervenire nel caso di ferite alla testa, nelle punture dei nervi, nei flussi di sangue. La figura del chirurgo non va confusa con quella del barbiere, posta al gradino più basso della piramide gerarchica dei “medical practitioners”, quindi sotto ai chirurghi: i barbieri potevano formalmente eseguire soltanto salassi – ed in qualche caso erano abilitati anche a cavare denti – ma non potevano compiere nessun altro atto chirurgico e dovevano agire sempre sotto il controllo di un medico247. Quindi anche nel caso della patente di chirurgia di Antonio Serio, è evidente come l’autorità del Protomedico sia, di fatto, circoscritta: Giovanni Cordella non può agire indipendentemente dal Collegio Medico, né ha un’ effettiva autorità sui medici della città e del territorio i quali rispondono, piuttosto, alla propria corporazione e questo limite vale, indirettamente, anche per le altre professioni sanitarie248. Le diverse corporazioni professionali – medici, chirurghi, speziali- erano non solo élite locali, ma soprattutto centri di potere che non mancavano di ribadire la loro forza nel tessuto istituzionale. Si trattava di un equilibrio molto complesso, anche difficile da mantenere, nelle inevitabili aree di sovrapposizione che andavano a crearsi nel tempo tra le diverse competenze: il Protomedicato sia per esigenze di incremento degli introiti che 246 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 6 luglio 1655, c. 57r. 247 David Gentilcore, Malattia e guarigione: ciarlatani, guaritori e seri professionisti. La storia della medicina come non l’avete mai letta, traduzione di Paolo Paciolla , pp. 61-64. 248 Ivi, pp. 41-44. 137 per estendere il suo potere, cercava di emanciparsi progressivamente dall’autorità del Collegio Medico, concedendo in maniera diretta e con una certa facilità, licenze dietro pagamento, ciò non senza generare aspri conflitti con lo stesso collegio e lo Studio. Una situazione questa, che sul finire del Seicento ed i primi del Settecento, si verifica anche a Fermo: il Collegio Medico nel 1722, dietro la protesta di molti medici contro chi praticava illegalmente la medicina, dovette risolversi a dichiarare nulla qualunque patente rilasciata dai Protomedici passati, in nome della quale molti continuavano a praticare la medicina e somministrare, non solo cure esterne al corpo, ma anche medicamenti per bocca, senza alcuna autorizzazione da parte del Collegio stesso. Non soltanto le patenti rilasciate dai Protomedici furono dichiarate nulle, ma venne imposta anche una pena pecuniaria a coloro che le detenevano ed esercitavano in maniera illegale249. La gravità stava non solo nel praticare all’insaputa del Collegio Medico, ma ancor più nel somministrare, specialmente da parte di chirurghi e speziali, medicamenti per bocca, con grave pericolo del paziente: soltanto il medico poteva ordinare di somministrare medicinali per bocca, in quanto tale tipo di somministrazione andava direttamente a modificare il delicato sistema di equilibrio degli umori e temperamenti interni che come sappiamo, per la medicina tradizionale classica, era alla base del concetto di malattia. Questo era un errore ed una trasgressione abbastanza frequente in cui incorrevano chirurghi, barbieri e speziali, dietro la richiesta diretta di cure del volgo. Il fenomeno era talmente diffuso nella medicina popolare del tempo, da meritare un trattato specifico come quello di Scipione Mercurio, opera edita nel Seicento, in due volumi di cui il primo interamente dedicato agli errori più comuni nella cura degli infermi e del modo di correggerli250. Oltre a Giovanni Cordella, sappiamo che furono protomedici di AS Fermo, Fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. philosophorum et medicorum civitatis Firmi, 1635 – 1783, Adunanza del 13 luglio 1722, c. 73r -73v. 250 Mercurio, Scipione Girolamo, De gli errori popolari d'Italia, libri sette, diuisi in due parti. Nella prima si trattano gl'errori, che occorrono in qualunque modo nel gouerno de gl'infermi, e s'insegna il modo di corregerli. Nella seconda si contengono gl'errori quali si commettono nelle cause delle malattie cioè nel modo del viuere, ... Dell'eccellentiss. sig. Scipione Mercurii ... Parte prima-seconda, in Padova, ad instanza di Francesco Bolzetta, 1645. Per la biografia del medico Scipione Girolamo Mercuri (Roma, 1540 - ? 1615) si veda Dizionario Biografico degli 138 249 Fermo anche, Antonio Fazi tra il 1694 ed il 1696251 e Girolamo Felice Paccaroni252, aggregato al Collegio Medico il 26 novembre 1722253 ed eletto Protomedico l’8 aprile 1723 di cui è stato rinvenuto tra i manoscritti della Biblioteca comunale fermana, una copia del Diploma di Protomedico con cui gli viene conferita la carica, fonte preziose in cui si descrivono competenze ed incombenze di cui essa consiste254. La presenza a Fermo in età moderna dell’istituto del Protomedicato insieme al Collegio Medico e al Collegio degli Speziali della cui esistenza si ha traccia perlomeno come corporazione di mestiere, evidenzia un tessuto piuttosto articolato per quanto concerne la pratica medica in città e nel territorio. Un elemento su cui concentrare l’attenzione sul piano professionale e formativo è la presenza a Fermo e nel suo territorio, di un consistente numero di chirurghi che si intensifica sul finire del Seicento, per diventare più significativa nel Settecento. Lo sviluppo della pratica chirurgica ad un livello professionale accreditato attraverso il Collegio Medico, l’inserimento insieme all’anatomia nel curriculum Italiani, voce “Mercuri, Scipione Gerolamo” di L. Roscioni, versione on-line consultabile all’indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/scipione-girolamo-mercurio_(Dizionario-Biografico). 251 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 27 dicembre 1696, c. 62v: Antonio Fazi è appellato “Decanus et Protomedicus”. 252 BCFermo, Cartelle Araldiche, famiglia Paccaroni. La nobile famiglia fermana dei Paccaroni è riconducibile a quella degli Albertoni di Normandia. I membri della famiglia fin da Medioevo si distinsero come uomini dediti alla cavalleria ed alle armi; sembra che alcuni dei Paccaroni combatterono a fianco di Tancredi e di Roberto il Guiscardo e che, quando questi occupò la Marca Fermana, al tempo di Gregorio VII, giunsero a Fermo ove alcuni si fermarono stabilmente. 253 Si veda n. 153, Adunanza del 26 novembre 1722, c. 74r e 74v. 254BCF, ms. 1116, Diploma di Protomedico per la città di Fermo e suo Stato, 1723: “Populi Priores Civitatis Firmi Cum ex antiqua consuetudine ex Privilegio nostrae Civitati incumbat eligere quotannis Physicum Qui sub vinculo iuramenti officium veri Prothomedici cum facultatibus inspiciendi, prohibendi, permittendi et alia faciendi quae veri Prothomedici facere possunt, et valere circa officinas set vel aromatarios sed ipsos Aromatarios in nostra Civitate, Statu et ditione exerceat, tibi D. Hieronymo Paccaroni stylo super hoc servato committendum putavimus ad annum dictum munus Prothomedici nostrae civitatis Status et Ditionis.: duo proptèr tenore … et decretis pubblicis super hoc emanatis inherens de D. Hieronimum Felicem antedictum eligimus, assumimus et nominamus ut supremo in Prothomedicum nostrae Civitatis, Statibus et Ditionis cum facultate visitandi, inspiciendi, prohibendi, permittendi et alia faciendi circa vel Aromatarius et ipsos Aromatarios corpus Arti consonum esse cognoverit et equum censueris atque cum alijs honoribus et oneri bus solitis et consuetis mandantes omnibus ad quos spectat ut eo in Prothomedicum recipiant et adcognoscant sibique in omnibus fundant (o faveant) et assistant, sperantes de huiusmodi officio hilari quo dominus animo diligentissimè perfuncturum. Datis Firmi ex nostrae Priorali Palatio hac die 8 Aprilis 1723, Ignatius Erioni a Secretis”. 139 universitario di formazione medica e la pratica presso gli ospedali cittadini, costituiscono elementi importanti per qualificare tra Sei e Settecento, l’offerta didattica di un’università e di un contesto urbano, come centro di eccellenza per lo studio e la pratica della chirurgia. Vale la pena allora vedere più da vicino come la chirurgia si sviluppa a Fermo in età moderna e come si inserisce nella rete delle istituzioni cittadine - Studium, Collegio Medico, Protomedicato, Ospedali - deputate al controllo ed alla pratica della disciplina. 2.5 LA CHIRURGIA NELLA MARCA DI FERMO: TRADIZIONE, SCIENZA E PRATICA Già agli inizi del Seicento gli studi chirurgici sembrano rivestire un ruolo di importanza nel curriculum medico fermano, dato che tra i lettori dello Studio figura un chirurgo illustre come Cesare da Norcia, fratello di Durante Scacchi, altro noto chirurgo che si era stabilito a Fabriano alla fine del XVI secolo255. Cesare, chirurgo della scuola di Preci, ebbe una fortunata carriera: sembra che per dieci mesi fu al servizio della Regina Elisabetta e che tornato in Patria, carico di doni ed onori, fu chiamato dallo Studio di Fermo come lettore, offerta che Cesare preferì rispetto a molte altre che gli pervennero da altri studi cittadini, proprio per il pregio scientifico dell’università fermana. Della vicenda narra Giovanni Panelli nel suo repertorio bio-bibliografico256, ma se ne ritrova traccia 255Durante Scacchi Chirurgo, nato a Preci nel 1540, ma “naturalizzato” fabrianese, autore dell’opera dedicata alla chirurgia Subsidium Medicinae stampata nel 1596 ad Urbino, capostipite della grande “scuola” dei dottori di Preci. Per la biografia di Durante Scacchi, si veda Giovanni Panelli, Memorie degli uomini illustri e chiari in medicina del Piceno o sia della Marca di Ancona, cit., vol. 2., pp. 202-206. Francesco, figlio di Durante, fu a sua volta medico a servizio per venti anni del cardinale Bandino, si veda Giuseppe Natalucci, Medici insigni italiani antichi moderni e contemporanei nati nelle Marche, Falerone, cit., p. 38. 256 Giovanni Panelli, Memorie degli uomini illustri e chiari in medicina del Piceno o sia della Marca di Ancona, cit., vol. 2., p. 205: “Cesare [Scacchi] dopo il ritorno fatto dall’Inghilterra, dove per dieci mesi assistette alla salute della Regina Elisabetta… fu chiamato Lettore di Medicina a Fermo, la di cui Università si scelse Cesare suddetto in competenza di molte altre, che lo invitarono, essendo queste le parole di Durante “In Italiam reversus a praeclaris Firmani Civibus conductus in pubblico illo Gymnasio pubblicè Lectoris munus obiisti, a pluribus Civitatibus optatus et accersitus, aliquibus cun maxima laude te praebuisti”. 140 anche nei manoscritti di Giuseppe Sabbioni257 nel “Catalogo dei professori illustri dell’ Università di Fermo”. Cesare, da quanto si apprende dal ms. Sabbioni, insegnò nello Studio di Fermo chirurgia ed anatomia e benché fosse già in possesso della laurea in medicina e chirurgia ottenuta all’Università di Perugia, si laureò in medicina anche presso lo Studio fermano. Cesare non figura, tuttavia, nel catalogo dei laureati dell’università fermana edito da G. P. Brizzi, ma non è peregrina l’ipotesi che si sia comunque laureato anche presso lo Studio fermano per una ragione molto semplice: sia per associarsi al Collegio Medico fermano che per poter esercitare la professione chirurgica in città e nel territorio nel rispetto delle normative locali. Riservando di approfondire tale presenza con successive ricerche, la figura di Cesare Scacchi richiama l’attenzione sull’importanza e sul ruolo formativo che l’università fermana assegna alla chirurgia, già dalla fine del Cinquecento, evidenziando, a mio parere, una notevole modernità formativa di cui spiegheremo nel corso di questo paragrafo le ragioni. Un dato molto importante che conferma questa modernità è la presenza fin dal 1644 nel Collegio Medico di Giovan Battista Petrucci, appellato “cerurgico e lettore in chirurgia”258. Quindi la tradizione degli studi chirurgici nello Studio fermano ha, dopo Cesare Scacchi, la sua continuità cronologica, ma non solo questo: la posizione di Petrucci all’interno del Collegio, benché iscritto al suo ingresso nel Catalogo dei Membri Soprannumerari, appare di un certo prestigio e potere, in quanto gli viene concesso dall’Adunanza lo ius curandi ovvero l’autorizzazione a eseguire le cure chirurgiche, senza escludere in maniera esplicita la possibilità di somministrare farmaci per uso orale, modalità che in situazioni di emergenza al chirurgo poteva essere consentita. Non era infrequente che un chirurgo in un piccolo borgo di campagna fosse l’unico operatore sanitario presente e che si trovasse, pertanto, a supplire l’assenza di un BCF, fondo Giuseppe Sabbioni, ms. “Professori ed Alunni nella Università di Fermo ed altrove insegnanti Notizie per li Secoli XIV al XVIII in principi raccolte dal Canonico Michele Catalani”, c. 48r. 257 258 ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. Philosophorum et medicorum civitas Firmi, 1635 – 1783, Catalogus Suprannumerorum, c. 2v. Giovan Battista Petrucci è ammesso al Collegio Medico con decreto dell’Adunanza dell’8 ottobre 1644 che gli attribuiva lo ius curandi. 141 medico condotto, anche sul piano terapeutico. L’ammissione di Petrucci come chirurgo nel Collegio Medico fa rilevare l’assenza di un Collegio dei Chirurghi autonomo rispetto a quello Medico, dato abbastanza comune in tutta la penisola, ad eccezione dei grandi contesti urbani, ma allo stesso tempo evidenzia la presenza di un primo nucleo “scientifico” della disciplina, ammessa nello Studio e considerata tra quelle necessarie alla formazione del medico. Nella maggior parte dei casi, l’iter formativo per un chirurgo si risolveva nell’ apprendistato come garzone-chirurgo di tre-quattro anni al seguito di un chirurgo esperto a cui seguiva poi un esercizio della professione in autonomia. apprendistato, come momento formativo, Tuttavia il solo relegava ancora la professione chirurgica nell’ambito di una pratica manuale, senza alcuna dimensione scientifica. Gli studi anatomici, a partire dal Cinquecento, si erano imposti in tutta la loro forza scientifica con figure come André Vesalius – e centri di eccellenza per lo studio dell’anatomia come l’Università di Padova – dove operarono maestri illustri come Girolamo Fabrizi d’Acquapendente, allievo di Gabriele Falloppio, e Giulio Casserio allievo a sua volta di Fabrizi- in un processo in cui l’anatomia e la chirurgia si avvicinarono nel comune terreno dello studio del corpo umano attraverso la dissezione del cadavere, l’osservazione autoptica e la ricerca delle cause anatomiche del male259. Bisognerà attendere il Settecento per il pieno affermarsi della chirurgia – sotto l’influenza francese260come disciplina accademica trainante per lo sviluppo della scienza medica, ma già nel Seicento si assiste a quel lento processo per cui comincia a venir meno il paradigma medievale che vede il chirurgo confinato ad un sapere artigianale, esclusivamente basato sulla manualità e, per tale ragione, interdetto dall’accesso a qualsiasi sapere teorico261. Segni di questo processo si riscontrano nell’affacciarsi 259 Andrea Carlino, La Fabbrica del Corpo: libri e dissezione nel Rinascimento, Torino, Einaudi, 1994, pp. 143 – 158. 260 Jean Pierre Goubert, Un corpo medico a due velocità: il caso della Francia nel XVIII secolo, in, Maria Luisa Betri – Alessandro Pastore (a cura di), L’arte di guarire: aspetti della professione medica tra Medioevo ed Età Contemporanea, Bologna Editrice Clueb, 1993, pp. 75-81. 261 Andrea Wear, Knowledge and practice in English Medicine, 1550 – 1680, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, si veda in particolare il cap. “Surgery: the hand work of medicine”, pp. 210 – 274. 142 dell’insegnamento della chirurgia all’interno delle università e, nel nostro caso, anche di quella fermana.262 Certamente un fattore da non trascurare nel favorire lo sviluppo della tradizione chirurgica fermana è la vicinanza della scuola umbra di Preci: le antiche origini medievali della scuola, la sua fama e la sua vicinanza geografica avevano agevolato i rapporti con la città di Fermo e l’intero territorio della Marca di Fermo e di Ancona, come abbiamo già visto con i fratelli Durante e Cesare Scacchi. Nell’ analisi storico dello sviluppo della chirurgia come disciplina nello Studio fermano in età moderna, c’è da chiedersi se via sia traccia anche di uno studio dell’anatomia nel contesto universitario, dato che di frequente le due discipline venivano unite in un’unica cattedra. Abbiamo già visto come Cesare Scacchi venga indicato lettore di chirurgia ed anatomia presso l’università fermana. L’ insegnamento dell’ anatomia non compare tra quelli ufficiali indicati per la facoltà medica nei calendari accademici a stampa del Settecento – gli unici che ancora si rinvengono delle lezioni universitarie fermane risalgono appunto al sec. XVIII263- , tuttavia da un’Adunanza dello Studio datata 26 settembre 1672 si apprende l’esistenza della pratica della dissezione anatomica, in tutta probabilità proprio nel contesto universitario: il medico Antonio Paolini da Monte Ranaldo – si tratta di Monte Rinaldo uno dei castelli del Fermano – supplica per una lettura di medicina teorica stipendiata presso l’università fermana, con obbligo di attendere alla visita degli infermi alla mattina “et all’anatomia quando sarà chiamato in occasione di aprirsi qualche cadavere ed alle simili funtioni”264. Ora il documento assume un’estrema importanza per diverse ragioni: è la prima volta, in generale, che si ha traccia dello svolgersi di dissezioni anatomiche a Fermo ed in questo caso con funzioni didattiche. L’obbligo di assistere alle dissezioni anatomiche è imposto al medico Paolini come parte di Dino Carpanetto, Scienza e arte del guarire: cultura, formazione universitaria e professioni mediche a Torino tra Sei e Settecento, Torino, deputazione subalpina di Storia patria, 1998, pp. 198-209. Si veda anche Dino Carpanetto, Professione medica e università nel Piemonte del Settecento, in, Maria Luisa Betri – Alessandro Pastore (a cura di) L’arte di guarire: aspetti della professione medica tra Medioevo ed Età Contemporanea, a cura di, Bologna Editrice Clueb, 1993, pp. 94-96. 263 BCF, ms. 1013, Calendari per le scuole dell’Università di Fermo per gli anni 1725-1747, 1750, 1752, 1754, 1756, 1758, 1764, 1816-1817, 1821. 264 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 26 settembre 1672, c. 109r. 143 262 quelli annessi alla cattedra di Medicina Teorica di cui fa richiesta: era già noto l’obbligo della visita agli Infermi annesso a questo insegnamento, ma non si aveva avuta mai notizia prima d’ora, anche di quello della dissezione anatomica e soprattutto che vi fosse obbligo per i lettori di assistere alle dissezioni anatomiche. Benché assenti dai calendari accademici stampati si può ipotizzare che gli insegnamenti di chirurgia ed anatomia fossero comunque in qualche modo contemplati e completassero, di fatto, l’iter formativo di medici e chirurghi che studiavano presso l’ università fermana. Il fatto che i calendari delle lezioni ancora consultabili, recepiscano solo gli insegnamenti di medicina teorica e pratica non deve stupire, in quanto è coerente con l’attestarsi dello Studio fermano su posizioni piuttosto “ortodosse”, rispettose della medicina delle auctoritates, anche nell’introdurre di fatto accenti di modernità come lo studio e la pratica della chirurgia, non dimenticando, il contesto dello Stato Pontificio cui Fermo appartiene; in realtà sul piano formativo e scientifico la presenza in città di ospedali – da cui poter avere a disposizione i cadaveri necessari alla dissezione -, di una pubblica libreria fornita dei principali e più aggiornati testi di anatomia e di una scuola chirurgica di tradizione, rappresentavano le migliori condizioni per il radicarsi a Fermo degli studi e della pratica anatomica, in linea con quanto avveniva nei migliori centri universitari di dimensioni molto maggiori del territorio dello Stato Pontificio, come ad esempio lo stesso Archiginnasio Romano. Parallelamente al processo in atto nel contesto universitario, si assiste nel territorio fermano al radicarsi dell’ esercizio della pratica chirurgica, secondo le modalità tradizionali ovvero attraverso patenti ottenute dal Collegio Medico, dopo aver attestato la pratica compiuta presso un chirurgo esperto. Nel 1675 un certo Tommaso Siculo della Terra di Rocca265 chiede di esercitare la pratica nel territorio fermano, previa concessione della patente da parte del Collegio Medico; nel 1676 Francesco Ciccolino da Rotella richiede la grazia di una 265 ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. Philosophorum et medicorum civitas Firmi, 1635 – 1783, Die 8 Junij 1675, c. 45v. 144 patente in chirurgia “praeter facultas medendi praesidijs per os assumendis”, come se si fosse addottorato nello Studio fermano, stante la sua idoneità266; sempre nel 1676 Andrea Bellozzi di Senigallia chiede al Collegio Medico una patente in chirurgia ma con poteri più ampi: la patente dovrebbe autorizzarlo ad esercitare non soltanto nella Marca di Fermo, ma anche altrove ed a somministrare in caso di urgenza anche rimedi per bocca, nel limite di quanto compete alla professione chirurgica267. La provenienza dei chirurghi che chiedono di abilitarsi tramite patente al Collegio Medico Fermano è varia: molti sono originari della Marca di Fermo, altri vengono da altre zone del territorio marchigiano ed alcuni anche da altri centri della penisola268, segno quest’ultimo di una certa rinomanza della città per la tradizione chirurgica. Alcuni anche da altre regioni europee come un tal Francesco Carpinetti da “Leone di Francia”: non è chiara la provenienza così come si legge nei registri, benché la denominazione lascia alludere ad una possibile provenienza da ambienti legati alle corti reali francesi, dato che confermerebbe il prestigio e l’attrattiva della tradizione chirurgica della città fermana269. Un caso interessante per comprendere i limiti della pratica chirurgica è quello di Francesco Venerando da Lapedona e Paolo Antonio Mazzoleni da Massa Fermana che, nel 1680, chiedono la patente in chirurgia al Collegio Medico fermano con l’esclusione della somministrazione dei medicamenti orali ma “venendo qualche caso che qualche donna morisse in parto prima di haver dato in luce il feto, siano tenuti et obligati ad aprirla subito et incontinenta per salvare il feto acciò si possa battezzare”270. Ora, oltre all’obbligo morale e religioso, dalle condizioni imposte dal Collegio nella concessione della patente si evince la competenza che la figura del chirurgo stava maturando – spesso affiancando il lavoro della levatrice- in 266 Ivi, Die 30 Januarij 1676, c. 46v. Ivi, Die 16 Junij 1676, c. 48r. 268 ASFermo, Fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Die 6 Julij 1655, c. 57r. Il medico Giovanni Cordella promuove presso il Collegio Medico la richiesta di patente del chirurgo Antonio Serio che è palermitano. 269 Si veda n. 167, Die 12 gennaio 1675, c. 42v- 43r. 270 ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. Philosophorum et medicorum civitas Firmi, 1635 – 1783, Die 17 Januarij 1680, c. 50v. 145 267 maniera specifica sugli interventi dell’apparato riproduttivo. Dal Seicento al Settecento la gamma degli interventi di competenza del chirurgo si amplia progressivamente: originariamente il chirurgo poteva intervenire solo sui morbi esterni del corpo umano – come tumori, fratture, ferite, ulcere, lussazioni – curabili con l’uso della mano e degli strumenti chirurgici; lentamente la competenza riconosciuta, di fatto, al chirurgo per interventi sull’apparto urogenitale, gli consente di intervenire anche su morbi interni, in questo caso soprattutto del corpo femminile. Non a caso, quando nel Settecento, la figura della levatrice conosce un riconoscimento ufficiale sul piano professionale e su quello formativo, lo sviluppo dell’ostetricia, sul piano accademico e scientifico, è da mettere in stretta relazione con quello della chirurgia271. Va, inoltre, considerato che la pratica della chirurgia ostetrica nella città di Fermo poteva trovare facilmente spazio in un’istituzione specificatamente dedicata agli esposti, l’ospedale di S. Maria della Carità, poi brefotrofio con una tradizione importantissima272, ampiamente studiato nelle sue origini storiche e attività da Mario Santoro, pediatra e storico della medicina. Benché l’ospedale fosse dedicato all’accoglienza ed alla cura degli Esposti, non era infrequente che venisse riservata assistenza alle donne anche al momento del parto. Le richieste di patenti di chirurgia al Collegio Medico si susseguono per tutto il Seicento, incrementandosi, come prevedibile, nel Settecento: nel 1682 inoltra richiesta Giuseppe Firmanucci da Monte Cosaro273, nel 1694 Tommaso Roberto 271 Dino Carpanetto, Scienza e arte del guarire: cultura, formazione universitaria e professioni mediche a Torino tra Sei e Settecento, cit., pp. 204-205. Dino Carpanetto a proposito dello sviluppo della chirurgia ostetrica compie un’analisi interessante del caso della fondazione a Torino nel 1728 dell’Opera per le partorienti, la prima in Italia e tra le poche in Europa, istituzione nata per combattere il problema sociale degli Esposti in cui vengono applicate le conoscenze più recenti della chirurgia ostetrica francese e quotidianamente le levatrici ricorrono all’opera del chirurgo. Si vedano anche: A. Badini, Regia Opera di Maternità in Torino, Torino, Botta, 886 e T.M. Caffaratto, La scuola ostetrica di Torino, «Minerva ginecologica», 32,1980; T. M. Caffaratto, L’ostetricia, la ginecologia e la chirurgia in Piemonte dalle origini ai giorni nostri, Saluzzo, Ed. Vitalità, pp. 311 e sgg. 272 Cfr. n. 18. 273 ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. Philosophorum et medicorum civitas Firmi, 1635 – 1783, c. 52 r. 146 da Monte San Giusto274 – entrambi provenienti dall’area maceratese - e nel 1696 Nicola Lanzi di Pisa. Su quest’ultimo personaggio vale la pena soffermare un attimo la nostra attenzione, per comprendere la rinomanza della tradizione chirurgica fermana. Tommaso Roberto di Monte San Giusto è aggregato al Collegio Medico, previo esame ed attestazione della sua idoneità dal chirurgo Nicola Lanzi che già si trova evidentemente ad operare nel territorio fermano; nel 1696275 viene aggregato al Collegio lo stesso Lanzi appellato dall’Adunanza come “Chirurgus meritissimus Ill.mae Civitatis Firmi” e promotore del Lanzi è il medico più importante e potente del Collegio Medico, il lettore di medicina pratica Domenico Pieri che ne illustra le comprovate doti attraverso il pluriennale esercizio presso diverse città ed i numerosi privilegi ottenuti dal chirurgo Lanzi tra cui quello dell’ illustre città di Firenze. Era chiaro che Fermo doveva avere una certa rilevanza nella tradizione chirurgica, se era in grado di esercitare attrattiva su un chirurgo con credenziali illustri come quelle del Lanzi che aveva esercitato nel contesto fiorentino. Ciò, probabilmente, testimonia anche l’inserimento della città di Fermo in un circuito di sedi note nella penisola per la possibilità di praticare la chirurgia con profitto non solo economico ma anche scientifico e didattico, data la presenza della disciplina anche in un contesto universitario. Se è vero che non esisteva un Collegio dei Chirurghi separato da quello dei medici e filosofi, è pur vero che a Fermo, come abbiamo avuto modo di vedere in precedenza in questo capitolo, il Collegio Medico era associato allo Studio e, di conseguenza, anche i Chirurghi che vi venivano aggregati, potevano contare sulla vicinanza all’istituzione universitaria e sulla concreta possibilità di ottenere, molto più di una semplice patente o licenza professionale ovvero una legittimazione del loro status professionale attraverso l’inserimento della disciplina, come “sussidio” alla formazione medica. Questa prospettiva non era comune a molte altre sedi universitarie della penisola e 274 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 30 dicembre 1694, c. 62r. 275 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 27 dicembre 1696, c. 62v. 147 rendeva, per tale ragione Fermo, particolarmente eleggibile per la pratica della chirurgia. Ciò spiega perché, dalla fine del Seicento alla prima metà del Settecento, la pratica chirurgica conosce a Fermo e nel territorio uno sviluppo crescente, come è documentato dall’incremento delle richieste di patenti di chirurgia al Collegio Medico, accompagnate sempre più frequentemente da attestazioni da parte di “maestri chirurghi” riguardo al tirocinio formativo svolto dai loro candidati. Le attestazioni rappresentano una fonte preziosa per documentare il grado di sviluppo della professione chirurgica in città e nel territorio e, al tempo stesso, per ricostruire l’iter formativo pratico degli aspiranti chirurghi. Nel 1699 chiede di essere aggregato al Collegio come chirurgo Giovanni Berardini de Morici da Monte Filottrano della Marca Anconetana, essendo già stato dichiarato idoneo all’esercizio della professione da parte del chirurgo della città di Fermo Nicola Carpini e dal medico Antonio Sensini. Questo è un dato particolarmente interessante in quanto all’attestazione del chirurgo viene unita quella del medico, ciò a conferma della crescente professionalità chirurgica e del riconoscimento di questa anche da parte medica276. Le modalità di aggregazione dei chirurghi al Collegio Medico non erano sempre uniformi: nel caso di Pietro Petrucci277, originario del Foro Popilio278 l’esame di idoneità avviene direttamente sotto il controllo dello stesso Collegio. Non è escluso che, in questo caso, la provenienza del candidato dal Regno di Napoli e quindi il non aver praticato sotto il controllo di un chirurgo esperto della città o del territorio della Marca, renda il Collegio più rigido nel valutare l’idoneità del candidato all’ammissione. Inoltre Pietro Petrucci non chiede in questo caso una patente, ma soltanto l’aggregazione, primo passo necessario, soprattutto per un chirurgo proveniente da un altro Stato, per inserirsi nella comunità scientifica e professionale locale. Ma lo stesso accade a 276 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 29 settembre 1699, c. 64r. 277 Ivi, Adunanza del 5 marzo 1704, c. 65r. Città dell’ Ager Falernus, sita nella Campania settentrionale che, probabilmente, deriva il nome dall’antica via Popilia, arteria principale della Lucania, costruita da P. Popilio nel 132 a. C. Si veda voce “Popilia via”, in, Dizionario Enciclopedico Italiano, Roma, Istituto Treccani dell’Enciclopedia Italiana, 1958, vol. 9., p. 635. 148 278 Giuseppe Fedeli da Monte Giorgio che chiede l’aggregazione al Collegio nel 1706279: gli esaminatori sono gli stessi membri del Collegio che prima di aggregarlo nel novero dei chirurghi, vogliono direttamente controllarne l’idoneità. Segno evidente questo, della necessità di elevare il livello professionale dei chirurghi che operano in città e nel territorio la cui presenza nel corso del XVIII secolo diventa sempre più numerosa. Nel 1709 chiede l’aggregazione al Collegio Medico, Domenico Bianconi di Torre S. Patrizio – uno dei castelli della Marca Fermana - esibendo l’attestazione di Angelo Foschi, chirurgo della terra di Morrovalle – città del territorio maceratese – che viene suffragata a sua volta dall’attestazione del medico Rodolfo Onofrio Raccamadoro, già aggregato al Collegio nel 1703 per la sua nota abilità pratica. Con le stesse modalità nel 1721 viene aggregato al Collegio il chirurgo Pietro Nicola Prosperi di Magliano280. Parallelamente allo sviluppo che la chirurgia conosce come disciplina e come professione nel corso del Settecento, si assiste ad un innalzarsi degli standards richiesti dal Collegio Medico, per entrare a far parte del numero dei chirurghi abilitati: Patrizio Terenzi281, Giuseppe Sacripanti da Fermo282 e Ignazio Gentile da Servigliano svolgono la pratica sotto il chirurgo Giovanni Battista Agnozzi definito dal Collegio “Primus Chirurgus Firmi” e per il primo candidato l’attestazione di idoneità è accompagnata anche dal parere del Protomedico Francesco Farroni.283 Dalle date delle relative Adunanze del Collegio deduciamo che Giovanni Battista Agnozzi opera a Fermo come chirurgo almeno dal 1725 al 1739 ed era un personaggio noto e stimato dalla comunità cittadina e medica ma non basta il suo prestigio a garantire l’ammissione dei candidati, se questa viene rinforzata da quella del Protomedico. Si veda n. 178, Adunanza del 13 settembre 1704, c. 66v. In tutta probabilità si tratta di Magliano di Tenna uno dei castelli del Fermano ed attuale Comune della Provincia di Fermo. 281 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 26 luglio 1725, c. 75v. 282 Ivi, Adunanza del 6 aprile 1739, cc. 81v - 82r. 283 Ivi, Adunanza del 28 settembre 1726, c. 76v. 149 279 280 A metà del XVIII la chirurgia raggiunge maturità non soltanto come pratica professionale, ma anche come disciplina con un suo bagaglio ben definito di conoscenze teoriche. A tal proposito l’attestazione rinvenuta tra le carte sciolte del fondo Studio dell’ Archivio di Stato di Fermo circa l’iter formativo del giovane chirurgo Nicola Abbruzzetti, datata 5 settembre 1749, acquista il valore di una testimonianza storica particolarmente importante e, per tale ragione, si trascrive integralmente di seguito: “ Adì 5 settembre 1749, Fermo Si fa fede per me infrascritto Cerusico Primo di questa città di Fermo, qualmente il Giovane Signore Nicola Abbruzzetti per esser mio scolaro da più di 2 anni nello studio della Chirurgia Theorica e Prattica, stimo capace d’esser ammesso all’esercizio prattico di chirurgia in fede. Antonio S<antini>”284 E’ documentato che la formazione del chirurgo, alla metà del Settecento nella città di Fermo, si dimostra al passo con lo sviluppo europeo della disciplina: la formazione del giovane chirurgo per due anni non si esaurisce in un apprendistato pratico, ma consiste nello studio della Chirurgia Teorica e Pratica. La chirurgia acquista lo status di una disciplina che unisce alle conoscenze teoriche quelle pratiche, segno di una dignità scientifica che si è ormai conquistata, nel contesto universitario al pari di quello professionale. Ed è una nuova figura di chirurgo quella che emerge all’orizzonte. Benché sia vero che i libri non fanno i chirurghi e che l’abilità tecnica derivi dall’esperienza, il chirurgo deve acquisire la conoscenza teorica della chirurgia: non soltanto della manualistica in cui illustri 284 Si tratta di una carta sciolta contenuta nel Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, probabilmente tra la documentazione allegata per l’ammissione del chirurgo Nicola Abbruzzetti al Collegio medico. La firma del chirurgo attestante non è chiaramente leggibile nella seconda parte del cognome. 150 chirurghi tramandano tecniche e istruzioni su come seguire le operazioni chirurgiche – trattatistica che alla metà del Settecento dispone già di numerosi autori noti285- ma anche conoscenza dei rimedi – impiastri, cerotti, unguenti - da applicare nel caso di ferite, ulcere ecc. La pratica del chirurgo richiedeva ormai un alto livello di abilità e conoscenze, perdendo in tal modo la connotazione di sapere meramente artigianale, per acquisire una dimensione anche scientifica286. Ancora si rinviene nel fondo Studio dell’ Archivio di Stato di Fermo, sempre tra le carte sciolte, un’ altra attestazione datata 18 ottobre 1752287, rilasciata dal chirurgo condotto della città di Fermo Carlo Giuseppe Cassini a favore dell’allievo Gaetano Polini da Carassai, documento interessante che si trascrive integralmente di seguito: “Io sottoscritto Chirurgo condotto di questa Ill.ma Città di Fermo à chiunque spetta, mediante il mio giuramento fò piena fede da valere.. qualmente il Sig.re Gaetano Polini da Carassai è stato da due Anni inciso sotto la mia disciplina in pratica et hà il medesimo con ogni attenzione giornalmente atteso, et anco della prattica avuta da me fatto molto profitto, di modo che nelle mie assenze ha esso supplito le mie veci tanto per la città che per gli Ospidali con soddisfazione degli infermi e per essere ciò la verità ha fatta la presente di mia propria mano. Fermo li 18 ottobre 1752 Carlo Giuseppe C<assini> attesto come sopra”. 285 Dalle opere edite nel Cinquecento del medico chirurgo francese Ambroise Paré (Bourg-Hersent, Laval, 1510 – Parigi, 20 dicembre 1590) considerato il padre della chirurgia moderna fino a Pierre Joseph Desault (Magny-Vernois, 6 febbraio 1738 – Parigi, 1 giugno 1795) noto per i suoi metodi rivoluzionari d’insegnamento della chirurgia presso l’Hôtel Dieu, il più importante ospedale di Parigi, raccolti nelle opere dei suoi allievi migliori come Marie François Xavier Bichat (Thoirette, 14 novembre 1771 – Parigi, 22 luglio 1802), divenuto a sua volta noto chirurgo e fisiologo francese Per una biobliografia su Ambroise Paré, Pierre Joseph Desault, Marie François Xavier Bichat, si veda Leslie T. Morton – Robert J. Moore, A bibliography of medical and biomedical biography, Aldershot Ashgate, 2005, rispettivamente alle pp. 285 – 286, pp. 94 – 95 e p. 37. Per un quadro generale sulla storia della chirurgia in rapporto all’evoluzione degli ospedali si veda Roy Porter (edited by), The Cambridge Illustrated History of Medicine, Cambridge, Cambridge University Press, 1996 ed in particolare il capitolo “Hospitals and surgery”, pp. 202 – 233. 286 Andrea Wear, Knowledge and practice in English Medicine, 1550 – 1680, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, si veda in particolare il cap. “Surgery: the hand work of medicine”, pp. 234-236. 287 Si veda ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. Philosophorum et medicorum civitas Firmi, 1635 – 1783, le due carte sciolte sono contenute nel registro tra la documentazione necessaria per il rilascio delle patenti in chirurgia. La firma non è leggibile nella seconda parte. 151 Qualche osservazione dalla lettura del documento: si apprende che nel 1752 la città di Fermo oltre alla figura del medico condotto, era dotata anche di un chirurgo condotto288 col compito di servire la città e gli ospedali. L’unione della conoscenza teorica e di quella pratica rappresenta un nodo cruciale per lo sviluppo della chirurgia come disciplina ma anche per una migliore qualità della pratica professionale: in particolare nella pratica ospedaliera, il chirurgo aveva modo di esercitarsi mediante la più ampia gamma di interventi chirurgici ma anche di ampliare le proprie conoscenze. La varietà dei casi che si presentavano negli ospedali, rappresentava un terreno di esercizio formativo unico per il chirurgo sia per le sue conoscenze teoriche che pratiche. Anche da questo punto di vista gli aspiranti chirurghi potevano godere di un contesto favorevole alla loro formazione e crescita professionale: la città di Fermo poteva vantare una tradizione secolare di assistenza e cura di poveri, pellegrini e malati ed una rete di istituzioni ospedaliere significativa non solo per il territorio fermano ma anche per quelli limitrofi, una realtà importante per la formazione medica che merita la nostra attenzione. 2. 6 LA CULTURA DELL’ASSISTENZA E GLI OSPEDALI DELLA CITTÀ DI FERMO Senza entrare in dettaglio nella vicenda fermana piuttosto complessa degli ordini religiosi assistenziali e delle confraternite - argomento che per la sua ampiezza richiederebbe una trattazione specifica 288 obiettivo del presente paragrafo è La città di Fermo alla fine del Settecento ambisce ad una struttura sanitaria piuttosto articolata, come documenta il ms. 1115 conservato presso la Biblioteca Civica Fermana, Tariffa per la patente di elezione e quella di riforma che spedisce la Comunità di Fermo ai medici e Chirurghi, 1795. Si legge nella prima carta sciolta del mss. “Dalle stanze del Vaticano 14 gennaio 1795: primo medico, secondo medico, primo chirurgo, secondo chirurgo, terzo medico, quarto medico”. Si tratta di una riforma che l’Arcivescovo di Fermo propone al papa per la città di Fermo attraverso il cardinale Francesco De Zelada (Roma, 27 agosto 1717 – 19 dicembre 1801), autore del breve con cui venne soppressa nel 1773 la Compagnia di Gesù. Ciò presuppone che rispetto ai sei membri proposti, nella città di Fermo, già prima della riforma, operasse un nucleo ristretto almeno di due (primo medico, primo chirurgo). 152 offrire un rapido sguardo di insieme alle strutture ospedaliere e di assistenza a poveri ed infermi che sono nodi importanti di quella rete istituzionale diffusa nella città e nel territorio, dove la formazione di medici e chirurghi trova occasione di crescita e completamento attraverso l’esercizio professionale pratico. Per far questo è bene delineare il quadro generale delle strutture ospedaliere fermane attive tra Seicento e Settecento.289 La tradizione ospedaliera fermana290 affonda le sue radici nelle istituzioni di accoglienza per poveri, adibite a ricovero per infermi ed incurabili: si ha traccia di un primo nucleo ospedaliero medievale collocato presso il Girfalco – la parte alta della città- adiacente all’antica rocca medievale sforzesca, oggi distrutta. L’ ospedale per ragioni legate alla sicurezza del luogo ed alla salubrità dell’aria fu trasferito in contrada Pila. Risale al 1100 circa la fondazione dell’Ospedale dei Crociati o “Leprosario” di S. Marco alle Paludi291, concepito come hospitium, collocato per ragioni di profilassi, lontano dal nucleo urbano ed al di fuori del Monastero, retto dall’ordine dei Canonici Regolari Lateranensi. Esso rivestiva, in tutta probabilità, funzioni di ospedale militare per il ricovero di malati e lebbrosi di cui le galee venete provenienti dall’Oriente si sbarazzavano, per evitare di introdurre il contagio in città, prima di fare ritorno nella Serenissima. L’ ospedale di S. Maria della Carità292, fondato nel 1341, originariamente col fine di accogliere i poveri deboli, vaganti e senza sostentamento, si trasformò nel XVI Benché orientato al secolo XIX, ma ricco di spunti bibliografici anche per la storia degli ospedali a Fermo e nella Marca Fermana in età moderna (secc. XVII - XVIII) è il recentissimo volume di Fabiola Zurlini (a cura di), Luoghi e forme dell’assistenza sanitaria: ospedali, medici condotti e operatori sanitari a Fermo e nel Fermano dopo l’Unità d’Italia, edito dall’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Fermo, Fermo, Andrea Livi editore, 2011. 290 Per un quadro generale dell’assistenza medica e sanitaria nella Marca Fermana si veda Alfredo Serrani – Fabiola Zurlini, Medici, Medicina e sanità nella Marca Fermana, in, Albo dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Fermo, Fermo, Andrea Livi Editore 2009, pp. 13-17. Si veda anche Gabriele Filoni Guerrieri – Francesco Trebbi, Ospedali di Fermo, s.l., s.n. sec. XIX, pp. 193 – 208 e Francesco Trebbi – Gabriele Filoni Guerrieri, Erezione della Chiesa Cattedrale di Fermo Metropolitana, Fermo, Andrea Livi editore, 2003 (rist. anast. dell’edizione stampata a Fermo, Bacher, 1890) pp. 193198. 289 291 Mario Santoro, S. Marco alle Paludi antico “spedale di crociati lebbrosi”, in, Scritti Medici raccolti da G. Leopardi e L. Verdoni, cit., pp. 57-62. 292 Mario Santoro, L’Ospedale di S. Maria della Carità o Fraternità di Fermo, in, Scritti Medici raccolti da G. Leopardi e L. Verdoni, cit., pp. 33- 39. 153 secolo in una struttura dedicata esclusivamente all’accoglienza e cura degli Esposti, diventando in età moderna un’istituzione di riferimento non soltanto per il territorio fermano, ma anche per gli Stati limitrofi come il Regno di Napoli293. Si è già accennato nel paragrafo precedente, all’importanza che l’ ospedale degli Esposti poteva offrire per la pratica della chirurgia ostetrica, come struttura di riferimento per il territorio. In età moderna la città di Fermo contava due strutture ospedaliere principali: l’ ospedale di S. Maria dell’Umiltà, fondato nel 1373 con lo scopo di assistere gli infermi poveri di Fermo294 e l’ ospedale di S. Giovanni Battista dedicato alle donne povere inferme, sotto la cura della Confraternita della Concezione295, eretto nel Quattrocento in prossimità della Chiesa di S. Francesco296. I due ospedali per ragioni economiche furono riuniti nel 1776 con un provvedimento dell’arcivescovo cardinale Urbano Parracciani che si preoccupò di regolare con nuove norme la presenza nel medesimo ospedale di pazienti uomini e donne297. In realtà l’idea di unificare i due ospedali era stata ventilata già nel 1624 da Mons. Dini ma non aveva avuto seguito, segno tuttavia che l’esigenza economica di contenimento dei costi, ma anche assistenziale era quella di avere un unico Nella Visita ad Limina del 1628 monsignor Giovanni Battista Rinuccini riferisce dell’ospedale degli Esposti di Fermo come struttura in cui confluivano esposti anche dal Regno di Napoli. Sembra inoltre che nel Palazzo della Curia di Fermo, Rinuccini avesse aperto una spezieria gestita da religiosi che era in stretta relazione con quella di Loreto. Si veda G. L. Masetti Zannini, Gli Ospedali marchigiani (sec. XVI) in alcuni documenti vaticani, in, Medicina e salute nelle Marche dal Rinascimento all’Età Napoleonica, atti del convegno, Ancona- Recanati, 28-29-30 maggio 1992, Ancona, Deputazione di Storia patria per le Marche, 1994, vol. 1, pp.384-385. 294 Capitoli della Confraternita di S. Maria dell’Umiltà dell’Illustrissima città di Fermo, Fermo, 1737, pp. 3-4. La Confraternita chiese alla Basilica di S. Giovanni in Laterano di Roma l’autorizzazione a costruire la chiesa e l’ospedale su un terreno di proprietà del Capitolo Lateranense. Verificare in biblioteca fermo 295 La Confraternita, più che di matrice puramente religiosa, appare come una libera associazione di laici che si riuniscono per sovvenire alle esigenze dei bisognosi di varie specie, soprattutto i malati, ma con un’attenzione specifica alle donne, considerate un anello debole della società. L’Ospedale di S. Giovanni Battista garantiva due tipi di assistenza: una domiciliare e una tramite ricovero presso la struttura, riservata quest’ultima forma alle donne costrette a pellegrinare ed incapaci di provvedere a se stesse nelle necessità più immediate. 296 Si veda il recentissimo saggio di Emilio Tassi, Le istituzioni dell’assistenza sanitaria nella città di Fermo (secc. XVII – XVIII), «Quaderni dell’Archivio Storico Arcivescovile di Fermo», 51, 2011, pp. 7-23. Il contributo di Emilio Tassi colma la lacuna presente nel volume Assistenza e Beneficenza in età moderna: le Istituzioni nella Marca, atti del XXVII Convegno di Studi Maceratesi, Treia 23-24 novembre 1991, Macerata, Centro Studi Storici Maceratesi, 1993, in cui mancano interventi specifici su Fermo ed il Fermano. 297 Si veda Statuti e Regole del ven. ospedale di S. Maria dell’Umiltà e di S. Giovanni Battista, Fermo, 1777, pp. 36. 154 293 ricovero per i malati della città298. A proposito dell’assistenza che questi ospedali potevano garantire alla città va distinta quella sanitaria vera e propria da quella di beneficenza: l’Ospedale di S. Maria dell’Umiltà garantiva assistenza anche ai malati abbienti nelle case, a fronte di un pagamento di denaro, mentre gli infermi poveri erano accolti principalmente nell’ospedale299. La struttura di S. Maria dell’Umiltà nei secoli XVI-XVII viene messa in relazione anche con una residenza dei Fatebenefratelli, confermata dalla presenza di uno stemma in pietra davanti all’altare maggiore della Chiesa di S. Maria dell’Umiltà300. Ciò che interessa evidenziare ai nostri fini è l’importanza dell’ospedale come luogo importante, tra Seicento e Settecento, per la formazione pratica di medici e chirurghi che si erano addottorati presso lo Studio fermano o che appartenevano al Collegio Medico fermano. Per tale ragione, negli aspetti di nostro interesse, merita di essere analizzata con maggiore dettaglio. 298 Emilio Tassi, Le istituzioni dell’assistenza sanitaria nella città di Fermo (secc. XVII – XVIII), cit., p. 11. Ivi, p. 13. 300 Nella cartella manoscritta BCF ms. 204 sono contenuti unitamente all’opuscolo a stampa Statuti e Regole del Venerabile Ospedale di S. Maria dell’Umiltà e S. Giovanni, Fermo, appresso Filippo e Fabio Maria Lazzarini, 1776, anche n. 4 cc. sciolte con appunti mss sulle testimonianze della presenza fermana dei Fatebenefratelli. Alla c. 3r si legge: “Altra volta furono a Fermo gli Ospitalieri di S. Giovanni di Dio detti Fatebenefratelli; pare che la loro residenza fosse nel Locale stesso dell’attuale Spedale. Lo dimostra la lapide della sepoltura posta innanzi all’altar maggiore della Chiesa di S. Maria dell’Umiltà ove si vede scolpito un Bastone rivolto sulla cima e pendenti dal medesimo un pajo di bisacche una delle quali quadrata, l’altra semirotonda. Questo Bastone e bisacche era l’antico Stemma de’ Scudi Ospitalieri, NB Nella nostra collezione de’ Sigilli se ne trova n. 180 uno rappresentante di S. Giovanni di Dio colla epigrafe. Ignorasi il significato delle Lettere puntate in fine della detta Epigrafe. Ignorasi pure l’epoca, in cui furono a Fermo li detti Ospitalieri”. Continua alla c. 4r: “A Fermo nel 1596 erano i Fatebenefratelli della Instituzione di S. Giovanni di Dio come si ravvisa nel Bollario dell’Ordine Ospedaliere di S. Giovanni di Dio pag. 139 e 141 edizione di Roma 1724 tip. Camerale, ove alla detta pagina 141 si trova che tal Frate Giuseppe Sordelli Priore dell’Ospedale dell’Umiltà di Fermo fosse uno di quei che intervennero al Capitolo Generale tenuto in Roma nel detto anno 1596. Nel 1616 a Fermo non era più il detto ordine. Nella Chiesa suddetta di S. Maria dell’Umiltà innanzi l’altar maggiore esiste ancora la sepoltura di Frate Benefratelli ove si vede l’antico stemma dell’Ordine, cioè una forcina o Bordone raccomandata da cui pendono due sporte, una cioè l’anteriore di forma quadra come una collettiva l’altra a guisa di Sporta. Lo Stemma vedesi ancora nel frontespizio del volume Compendium Privilegiorum Religiosis P. Joannis Dei Collegij Serafinus Levicellus ejusdem religionis Mediolani 1633 Ghiselfi ed ancora meglio ravvisasi tale stemma nel volto del Refettorio dei Benefratelli in Roma. Il melograno colla Croce e la Stella si vede raggiunto nello stemma del 1600. Nel 1683 si veggono tolte le sporte”. 299 155 Innanzitutto va sottolineato che l’ ospedale di S. Maria dell’Umiltà è l’unica struttura della città di Fermo di accoglienza e ricovero per infermi che, tra Seicento e Settecento, perfeziona la sua natura pubblica. Tale processo era già iniziato dalla fine del Quattrocento quando lo stesso Consiglio di Cernita tramite appositi decreti, risalenti al 1458 ed al 1529, inizia a concentrare l’attenzione sulla struttura in quanto ne comprende le potenzialità, sul piano dell’assistenza sanitaria, per l’intera città: è in questa fase che emerge una preoccupazione di natura “pubblica” circa il ricovero e l’assistenza dei malati che, col tempo, si fonde con quella di natura religiosa e propria della Confraternita dell’Umiltà che nel 1567 ebbe le sue Costituzioni a stampa. Ma soltanto nel 1776 dopo il provvedimento di riunificazione dell’Ospedale di S. Maria dell’Umiltà con quello di S. Giovanni Battista si può dire che Fermo, sotto il profilo dell’assistenza, ebbe il suo primo ospedale completo con vantaggi in termini formativi e professionali anche per i medici ed i chirurghi del territorio ai quali offriva un luogo di elezione per osservare una casistica completa circa patologie maschili e femminili301. Attraverso la documentazione rinvenuta presso la Biblioteca Comunale fermana e presso l’Archivio di Stato di Fermo, è stato possibile ricostruire lo stato complessivo dell’ ospedale di S. Maria dell’Umiltà nel Settecento, poco prima della fusione con quello di S. Giovanni Battista, con un quadro abbastanza chiaro del personale sanitario che vi operava. L’inventario manoscritto302 conservato presso la Biblioteca Comunale fermana, redatto nel 1771, ci consente di conoscere lo stato dell’ ospedale dell’Umiltà 301 Giancarlo Marconi, Quattro antichi Nosocomi Fermani nella loro storia, nelle loro regole interne e assistenziali sulla scorta di documenti rinvenuti a Fermo (1100 – 1400), tesi di laurea, Università degli Studi di Roma, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Istituto di Storia della Medicina, anno accademico 1955-1956, Relatore: Prof. Adalberto Pazzini, pp. 27-29. 302 BCF, ms. 203, Inventario dell’Ospedale di S.ta Maria dell’Umiltà di Fermo, 1771. Con le notizie sulla erezione del medesimo, c. 1r : “In esecuzione dell’Editto fatto publicare nel corrente anno 1771 dallE.mo e Rmo Sig. Cardinale Urbano Parracciani arcivescovo e Principe di Fermo si fa da Noi Giuseppe Mora, Rocco Bartolotti e Domenico Venturini attuali Capi e Rettori di questo Spedale di S. Maria dell’Umiltà. L’inventario o sia Descrizzione del detto Spedale colla Chiesa ad esso unita e con tutto quello che il Medesimo presentemente possiede sì in Beni Stabili come in Censi attivi, mobili ed altro qui sotto notato”. 156 prima dell’inizio dei lavori di risanamento ed adeguamento dell’edificio che precedettero la fusione con quello di S. Giovanni avvenuta nel 1776. L’ospedale dell’Umiltà con la sua Chiesa è situato dentro le mura urbane in contrada Pila, sotto la giurisdizione della parrocchia di S. Gregorio: i lavori ne ampliano la struttura con un piano sopraelevato, per aumentare la capacità di accoglienza degli infermi303. Difatti la nuova ala sopraelevata dell’ospedale, debitamente arredata, consente di ospitare altri diciassette infermi304. Una fonte preziosa per conoscere, la struttura organizzativa dell’ospedale è rappresentata dagli Statuti stampati nel 1776305, dopo la fusione con quello di S. Giovanni Battista. Nel capitolo ottavo dedicato all’ “Offizio dei Medici” si apprende che i medici dovevano visitare gli infermi almeno una volta al giorno e prescrivere in apposito registro sia i medicamenti da somministrare che il tipo di dieta da osservare306. La loro presenza è indispensabile al punto che non possono assentarsi senza provvedere ad un sostituto il cui compenso è a loro carico. Inoltre devono essere cauti nel ricoverare gli infermi, ammettendo principalmente i poveri febbricitanti o nati nella città di Fermo o con domicilio in essa. I forestieri sono esclusi dal ricovero tranne casi di particolare gravità: in 303 Ivi, c. 6v: “E siccome lo Spedale vecchio era del tutto angusto, appresso d’aria, umido e privo di commodità necessarie ed in specie per gl’Infermi Civili, così (segue a c. 2r) con li sopravanzi dell’Entrare del Medesimo di moltissimi anni nei quali non vi fù affluenza d’Infermi, convene all’Adunanza di rifarlo di Pianta, unito all’antica sua Chiesa e renderlo di gran Lunga più ampio nell’elevazione con tutti quei Commodi dei quali era scarsissimo e spendere scudi tremille e settantotto come il tutto apparisce dall’Istromento Rogato dal q. Filippo Maria Vagnozzi Notaro Fermano 1ì 21 Giugno dell’anno 1737.Il suddetto Nuovo Spedale coll’antica sua Chiesa sotto il surriferito Titolo è situato dentro di detta Città a Capo e fuori di Piazza Maggiore, in Contrada Pila, sotto la Parrocchia di S. Gregorio, presso da tre lati le strade publiche e da un altro Lato la Casa del Sign. Conte Lorenzo Adami”. 304 Ivi, c. 13v –14v : “Nello stanzone grande, o sia Spedale Nuovo che corrisponde soprà al volto della descritta Chiesa nella Porta v’è una Bussola con una tendina sostenuta da un Ferro al di fuori una stora foderata. Nel qual Spedale vi sono quattordici letti con Trespoli di Ferro, Tavole, pagliacci, matarazzi, otto Lenzuoli, coperte di lana rossa n. 14 con loro tennine n. 6 per ciascun letto, quattordici fregi ed altrettanti Celi al di sopra di essi letti. Quattordici credenzine con altrettante Tavolozze per uso da dar a mangiare agl’Infermi. Tre spalliere di legno foderate di pelle, Dieci commodi di noce parte e parte di abbete con loro vasi di coccia, un focone di ferro col suo piedistallo esistente in mezzo ad uso per esso spedale, Altri tre letti, due con trespoli di ferro, ed un con trespoli di legno, tavole, Pagliacci ed un matarazzo…”. 305 Statuti e Regole del Venerabile Ospedale di S. Maria dell’Umiltà e S. Giovanni, Fermo, appresso Filippo e Fabio Maria Lazzarini, 1776. Una copia a stampa è conservata presso la Biblioteca Comunale “R. Spezioli” di Fermo. 306 Ivi, cap. VIII, p. 17. 157 tale circostanza è previsto il rimborso per la degenza a carico dei familiari o dell’ospedale della città nativa. Sono esclusi inoltre dal ricovero i poveri afflitti da tigna e rogna, a causa del forte contagio di queste malattie e dunque per garantire l’igiene dell’ospedale307. La struttura presenta l’impiego stabile di un chirurgo di cui è richiesta la presenza quotidiana e la cura tanto dei pazienti uomini quanto delle donne al punto che, come il medico, in caso di assenza il chirurgo deve garantirsi un sostituto. Negli Statuti si raccomanda al chirurgo di curare i morbi di sua competenza professionale come ferite, ulcere, di praticare salassi su indicazione del medico e di prescrivere nel registro i medicamenti necessari che verranno ordinati nelle spezierie. Nel caso di “mali misti” ovvero in cui è richiesta congiuntamente la competenza del medico e del chirurgo, quest’ultimo si presenterà alla visita nella data ed ora stabilita dal medico con cui concorderà la cura. Il chirurgo, inoltre, doveva garantire una sorta di reperibilità e tenersi pronto per le visite straordinarie308. Dall’inventario manoscritto del 1771309 si apprende che il compenso annuo del medico è pari a quello del chirurgo ed ammonta a dodici scudi annui: non era frequente questa equiparazione dello status professionale delle due figure sul piano della remunerazione, perché in genere quella del medico è sempre maggiore. Tuttavia riguardo alle remunerazioni, nel ruolo dei salariati che compare negli statuti dell’ ospedale si apprende che il medico degli uomini guadagnava dodici scudi annui, quello delle donne tre ed il chirurgo che cura indistintamente uomini e donne, in tutto quattordici scudi all’anno310. Ora il quadro è chiaro per capire quale personale vi operava: stabilmente almeno due medici ed un chirurgo, senza contare gli eventuali sostituti in caso di assenza. Ma come venivano selezionati medici e chirurghi in servizio presso l’ospedale e chi erano? 307 Si veda n. 207, cap. VIII, p. 18. Ivi, cap. IX “Del Chirurgo”, pp. 18 – 19. L’ospedale disponeva di un armamentario chirurgico come si riscontra nell’inventario ms. 203 del 1771 a c. 14r : “Due tavoli d’abbete uno de quali grande sopra di cui esistono cinque credenzini per tener unguenti. Una credenza al muro dove si custodiscono le Robbe appartenenti alla Chirurgia”. 308 309 310 Si veda n. 204, c. 140v. Si veda n. 207, Ruolo per li Salariati dell’Ospedale di S. Maria dell’Umiltà di Fermo, p. 45. 158 Attraverso lo studio dei Registri dei lavoranti311, conservati presso il fondo Opere Pie dell’Archivio di Stato di Fermo, riusciamo a ricostruire i medici ed i chirurghi che si avvicendarono presso l’ ospedale dell’Umiltà, dal 1653 al 1681 Vi ritroviamo quasi tutti nomi già noti in questo capitolo: membri del Collegio Medico, lettori di Medicina ed anche il Protomedico Giovanni Cordella. Questi vi esercita dal 1653 al 1656, mentre nel 1659 è in servizio come medico dell’ospedale Domenico Pieri, Giovanni Battista Vitale vi pratica dal 1661 al 1663, Francesco Macchiati – promotore del dottorato in medicina di Romolo Spezioli- dal 1663 al 1667, Giovanni Diamanti dal 1666 al 1669, Silvio Argenti nel 1679, mentre Filippo Mistichelli vi esercita dal 1680 al 1682. Presso l’ ospedale figurano in servizio tra il 1672 ed il 1673 anche i medici Angelo Viviani ed Alessandro Coccia312, nomi fino ad ora non riscontrati né tra i membri del collegio medico, né tra i lettori dello Studio. Nel novero dei chirurghi che operano presso l’ospedale troviamo nel 1654 Tommaso Moscati e nel 1657 Biagio Biagnotti. Sappiamo anche quali sono gli speziali che riforniscono l’ ospedale: Giovanni Domenico Lauro e Giovanni Francesco De Angelis. Per quanto riguarda i medici al servizio dell’Ospedale, provengono come già evidenziato quasi interamente dal bacino universitario e dal Collegio Medico: Giovanni Cordella è Protomedico, Domenico Pieri e Silvio Argenti sono lettori di Medicina Pratica e Teorica, Giovanni Battista Vitale esercita nel 1626 come medico condotto a Grottammare, Francesco Macchiati e Giovanni Maria Diamanti sono medici noti per la loro abilità pratica e vengono ammessi come promotori nei dottorati di medicina, mentre Filippo Mistichelli nel momento in cui chiede l’aggregazione al Collegio Medico adduce il carico della cura degli infermi che già grava su di lui, come un impedimento per assolvere all’obbligo 311 AS Fermo, fondo Opere Pie, 198/ LIII, Libri di Cenzi et Altri Crediti e Partite di Lavoranti, 1653, cc. 5r102r. 312 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 4 febbraio 1672, c. 122r. Alessandro Coccia è ammesso nel 1672 in quanto medico pratico, come promotore nei dottorati di ricerca. Quindi l’esercizio professionale ospedaliero è concomitante agli inizi della sua carriera professionale ed all’interno dello Studium. 159 della lettura un anno gratis. In tutta probabilità Mistichelli era in servizio presso l’ospedale dell’Umiltà. A livelli diversi ed in base alle differenti carriere, la pratica ospedaliera rappresenta un momento di formazione comune per i medici che abbiamo incontrato, sia si configuri come un esordio professionale, come un impegno correlato all’incarico di lettore dello Studio – si ricorda che nel caso della cattedra di Medicina Teorica vi annesso per il lettore l’obbligo della cura degli infermi- o integrativo rispetto alla pratica della condotta. In ogni caso rappresenta per tutti un passaggio obbligatorio per affinare la pratica professionale. Con l’esame della rete ospedaliera il quadro formativo professionale della città di Fermo è piuttosto completo: dagli studi universitari all’esercizio professionale regolato dal Collegio Medico, alle condotte fino alla pratica ospedaliera, un medico – e oserei dire anche un chirurgo – tra XVII e XVIII secolo si trovano davanti a molteplici occasioni di formazione che il contesto fermano può offrire per integrare il percorso universitario. Dunque la città di Fermo si configura come una sede potenzialmente ricca di attrattive per gli studenti di medicina, non solo per la presenza dello Studio, ma anche per il contesto formativo extrauniversitario che la rende particolarmente ricca di opportunità, tra Sei e Settecento, anche sul piano culturale e scientifico. 2.7 LO STUDIO E LA PUBBLICA LIBRERIA FERMANA 160 La fondazione e la storia della Biblioteca Comunale fermana sono state oggetto di diversi studi editi313 che ne hanno affrontato aspetti diversi: il legame nel Seicento con la figura della Regina Cristina di Svezia, con i personaggi fermani di rilievo nella corte romana della sovrana, come il cardinale Decio Azzolino junior e il suo medico personale Romolo Spezioli, il pregio delle antiche collezioni bibliografiche e manoscritte in essa conservate e la splendida fattura barocca della Sala del Mappamondo. Tuttavia non è stata mai studiata la storia della pubblica libreria fermana, partendo da una prospettiva diversa: quella che colloca il progetto della fondazione della libreria nel contesto universitario secentesco della città. Rileggendo da questa prospettiva la storia della fondazione della pubblica libreria fermana, si chiariscono molti punti di questa vicenda che dalla lettura delle diverse opere già edite restano comunque oscuri e su cui torneremo in questo paragrafo. Tutto origina dalle ultime volontà del nobile patrizio fermano Paolo Ruffi che aveva lasciato per legato testamentario tutta la sua collezione bibliografica al convento fermano di San Domenico. Il convento disponeva già di una preziosa biblioteca ad uso dei religiosi e non è chiara la ragione per cui Ruffi lascia la propria biblioteca ad un convento religioso – dunque sotto giurisdizione ecclesiastica - ponendo la clausola obbligatoria dell’uso pubblico della destinazione della raccolta. Questa è la prima incongruenza a cui si accenna solo marginalmente negli studi già editi. Ma chi è Paolo Ruffi e quale relazione intercorre tra la nobile famiglia Ruffi e lo Studio fermano? In un’Adunanza dello Studio dell’ 8 gennaio 1635 - già citata in questo capitolo a proposito del privilegio dell’università fermana di dottorare i sudditi del Sacro Romano Impero314 - si accenna alla presenza dell’archivio dell’università presso 313 Per una bibliografia generale sulla storia della biblioteca comunale fermana si vedano: F. Raffaelli, La Biblioteca Comunale di Fermo, Recanati, R. Simboli, 1890; S. Prete, I codici della Biblioteca Comunale di Fermo, Firenze, Olschki, 1960; M.C. Leonori ( a cura di), La Biblioteca Comunale di Fermo, Fiesole, Nardini editore, 1996. In relazione alla storia del lascito Spezioli si veda F. Zurlini, Romolo Spezioli (Fermo, 1642 – Roma, 1723): un medico fermano nel XVII secolo a Roma; 314 Cfr. n. 5 e n. 89. 161 la sede del Convento di S. Domenico315, dato che conferma l’uso della sede conventuale come supporto e riferimento per l’università. E’ possibile dedurre che, se nel convento esisteva già l’archivio dello Studio, fosse logico istituirvi anche la biblioteca. Sicuramente questo induce a rivedere con più attenzione il ruolo che i padri domenicani svolsero nel supportare l’ università fermana soprattutto nel suo nascere e quali tipi di rapporti intercorsero tra il Comune, lo Studio ed il convento. Ma ciò merita un’indagine specifica a parte. Ci basta per ora chiarire la ragione per cui Paolo Ruffi scelse proprio quella destinazione per la sua raccolta. Il legame della famiglia Ruffi (o Ruffo)316 con l’ università fermana è piuttosto stretto: Paolo Ruffi si laurea in utroque iure nello Studio fermano il 5 aprile del 1620317, ma diversi membri della famiglia Ruffi si ritrovano nel Seicento come laureati presso l’ università fermana, come Lucio Ruffi - il noto lettore di medicina, maestro di Romolo Spezioli - di cui ci siamo già occupati e soprattutto Marcantonio Ruffi. Questi si addottora in utroque iure presso lo Studio fermano318 il 16 ottobre 1633319 e chiede di essere aggregato nel Collegio dei giuristi il 22 dicembre 1633320. La carriera di Marcantonio Ruffi all’interno dello Studio è particolarmente brillante: oltre a ricoprire il ruolo di lettore, viene anche eletto Consigliere dell’Adunanza dello Studio, in una posizione di potere che contribuirà non poco a condizionare l’esito del legame testamentario di Paolo Ruffi. Vediamo più da vicino come viene vissuta nel contesto dello Studio, la vicenda di questo legato e della fondazione della pubblica libreria fermana. Nell’Adunanza del 16 febbraio 1673 – a distanza di 315 Cfr. n. 58. ASFermo, Fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza dell’ 8 gennaio 1635, c. 83r e 83v: “Per dar animo a i sudditi della Maestà dell’Imperatore et a fine che possano venire francamente a studiar in questa città per dottorarsi in questo Studio, li SS.ri di Magistrato facciano due deputati a vedere se nelle scritture del nostro Archivio in S. Domenico si trovino privileggi concessi dalla Maestà dell’Imperatore…”. 316 Cfr. n. 36. 317 G. P. Brizzi, L’Antica Università Fermana, cit., n. 577, p. 123. 318 Ivi, n. 897, p. 128. 319 Ibidem, p. 128. 320 ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 22 dicembre 1633, c. 71r. 162 due anni dalla morte di Paolo Ruffi avvenuta nel 1671 – lo Studio fermano comincia ad interessarsi in maniera più pressante della questione della libreria: “Essendo che gl’anni passati la buona memoria del sig. Dottor Paolo Ruffi nel suo testamento lasciasse per via di legato una libraria pubblica in servizio de scuolari di quest’ Università con haverla destinata nel Convento dei P.P. di S. Domenico e perché non si vede l’effettuatione di essa, parerà bene come che è cosa che concerne il decoro pubblico e l’utilità de scuolari che l’Adunanza dello Studio vi s’interessasse in modo che per via di doi Deputati e per se stessa indagando quanto succede sopra questi negozi e superando le difficoltà quando vi fossero procurasse l’adempimento di opera sì utile e considerevole…Li sig. ri Magistrati faccino doi o più deputati che procurino li adempimenti di quanto ha disposto nel suo testamente il sig. Paolo Ruffi in ordine alla Libraria da erigersi in benefitio dell’Università e li detti sig. Deputati si compiaccino partecipare a Mons. Nostro Arcivescovo i sensi dell’Adunanza in questo proposito per implorare l’assistenza del suo patrocinio a favore per la sollecita esenzione e maggiormente che Sua Signoria Ill.ma è l’esecutore testamentario…”321. Quindi è chiarissima la destinazione pubblica del legato Ruffi, a vantaggio degli studenti dell’ università e la necessità che tale libreria venga quanto prima realizzata per aumentare il prestigio dello Studio e ad utilità degli studenti: per un’università poter contare su una libreria rappresenta un ulteriore ed importante elemento di qualità dell’offerta didattica e del potere di attrazione di studenti. L’importanza della vicenda è tale per lo Studio che, per sbloccare l’esecuzione del legato, l’adunanza coinvolge, come abbiamo visto, l’ allora Arcivescovo della città Francesco Ginetti (1626 – 1691). Ma la questione non si sblocca con rapidità e nel 1683, a distanza di quasi dieci anni, l’Adunanza dello Studio nomina un terzo deputato, Fabrizio Francolini “acciò congiuntamente [agli altri due deputati già nominati] possino meglio considerare i modi da tenersi per l’erettione della Libraria lasciata dal sig. Paolo Ruffi”322. L’importanza della questione da risolvere 321 ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. Philosophorum et medicorum civitas Firmi, 1635 – 1783, Adunanza del 16 febbraio 1673, c. 177r e 117v. 322 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 12 luglio 1683, c. 183v. 163 richiede il supporto di un terzo deputato e da questo momento in poi, è tutto un susseguirsi di pronunciamenti dello Studio e concreti interventi sulla libreria fino ai primi del Settecento323. I Padri Domenicani rinunciarono formalmente al legato che fu accettato dal Consiglio di Cernita nel 1688324 e fu allora che intervenne il cardinale Decio Azzolino junior, supportando economicamente i lavori di trasformazione della sala del Mappamondo per trasformarla ed adeguarla come prima sala storica della libreria. La di là del potere legato alla sua posizione nella Curia pontificia ed ai legami politico con la città, non era mai stato chiaro fino ad oggi, esattamente a che titolo intervenne il cardinale Decio Azzolino junior nella intricata vicenda della libreria: questi nel 1671 aveva fatto richiesta di un locale al Consiglio di Cernita per mettere a disposizione degli studenti alcuni suoi volumi e il locale adatto a tale scopo, fu individuato nel piano superiore del Palazzo degli Studi. Il ruolo chiave ricoperto dal cardinale Azzolino nella fondazione della pubblica libreria fermana è stato indagato in maniera approfondita dalla studiosa Vera Nigrisoli Wärnhjelm325 che ne ha ricostruito l’intera vicenda, attribuendone l’intervento a diversi fattori: dallo spirito di mecenatismo, all’influenza culturale sul cardinale di un personaggio della levatura intellettuale della Regina Cristina di Svezia – a cui è dedicata la storica sala del Mappamondo come si legge ancora oggi in un’iscrizione sul medaglione ligneo che trionfa sopra al portone di ingresso – ed al desiderio di legare il suo nome e quello della sua nobile famiglia ad un’opera importante come la libreria fermana. Aggiungerei a tutte queste motivazioni fondate anche quella, forse più importante, legata alla destinazione della libreria fermana ai giovani studenti universitari: il cardinale Decio Azzolino junior era stato eletto nel 323 Ivi, Adunanza del 7 giugno 1689, c. 215r in cui si affrontano questioni economiche legate ai censi per la realizzazione della libreria; Adunanza del 14 ottobre 1689, c. 218v in cui si prevedono i fondi per il mantenimento della libreria; Adunanza del 25 giugno 1691, c. 1r-2v e Adunanza del 1 ottobre 1691, c. 3v in cui si liquidano patrimonialmente alcuni censi imposti per la libreria. 324 M.C. Leonori (a cura di) La Biblioteca Comunale di Fermo, cit., p 16. 325 Vera Nigrisoli Wärnhjelm, Una lettera inedita del cardinale Decio Azzolino jr sulla nascita della Biblioteca Comunale di Fermo, in, La tradizione e la diffusione del pensiero medico e scientifico in Italia: le scholae e le istituzioni, Atti della XXXVI Tornata dello Studio Firmano per la storia dell’arte medica e della scienza, Fermo, Andrea Livi editore, 2003, pp. 185 – 189. 164 1679 dall’Adunanza “Protettore dello Studio”326, come abbiamo già visto in questo capitolo, succedendo nella carica al cardinale Francesco Barberini. Ora se è vero che l’idea di una libreria a favore degli studenti fermani matura nella mente del cardinale, già a partire dal 1671, solo la nomina a protettore dello Studio gli conferisce quella formalità che ne rafforza l’impulso e la concretizzazione. Circa la realizzazione della libreria nel 1690, ancora deve essere realizzata la Sala disegnata per accogliere la libreria e per tale ragione si rende necessario il rifacimento del tetto327per coprire la nuova stanza. Sul piano architettonico la libreria verrà completata nei primi del Settecento, sempre ad opera dello Studio che stabilisce una serie di interventi che ne migliorano il decoro e la funzionalità: nel 1706 viene dotata di una scala “ decorosa e nobile” per accedervi328 con la quale si intende in tutta probabilità la loggetta pensile329 che collega anche attualmente il Palazzo degli Studi –oggi sede della Biblioteca Comunale – con il Palazzo dei Priori ove si trova la Sala del Mappamondo, prima sala della biblioteca. Il collegamento architettonico rende visibile ed evidente lo stresso nesso culturale, istituzionale e scientifico che esiste tra lo Studio e la libreria: è la presenza dello Studio cittadino a determinare l’esigenza di erigere una pubblica libreria e a condizionarne la crescita culturale, offrendo possibilità significative sul piano scientifico per l’accrescimento e la fruizione del suo patrimonio. E’ in questo contesto che si comprende anche l’attività di mediazione che il cardinale Azzolino svolse per favorire l’arrivo delle collezioni bibliografiche del cardinale Michelangelo Ricci 326 e del medico fermano Romolo Spezioli ad Cfr. n. 132. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 29 agosto 1690, c. 222r - 222v: “Con i danari della Fabrica dello Studio si faccia alzare o coprire il tetto con proporzionata simmetria sopra la nuova sala e stanza destinata per la libraria erigenda e li sig. Deputati che già vi sono habbino la cura di provvedere alle spese che si asserisce possa ascendere a scudi dugento acciò si faccia col maggior utile e vantaggio che sarà possibile”. 328ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759 , Adunanza del 26 marzo 1706, c. 53r 329Ivi, Adunanza del 14 novembre 1708, c. 63r: “Essendo stata compita l’opera della nuova Scala per comunicatione dello Studio colla Libraria Pubblica ch’è riuscita molto decorosa com’ognuno vede, è necessario ora che sia tenuto il tutto con polizia, particolarmente per i forastieri che all’improvviso vi vanno…”. 165 327 incrementare i fondi della pubblica libreria fermana. Mentre la vicenda della donazione di Romolo Spezioli su cui torneremo a breve è chiara, quella della libreria Ricci rimane ancora oggi piuttosto oscura. Michelangelo Ricci (Roma, 1619- 1682) agostiniano fu elevato nel 1681 alla porpora da papa Innocenzo IX nel 1681, un anno prima della morte; era un famoso matematico, forse allievo del Torricelli e a quanto pare una figura centrale del mondo scientifico romano del Seicento, in corrispondenza con i principali scienziati ed eruditi del suo tempo. Il cardinale Ricci fu tra i fondatori del Giornale dei Letterati, strumento fondamentale per la circolazione delle nuove idee scientifiche in Italia e fu anche un personaggio vicino agli ambienti romani dell’Accademia Reale della Regina Cristina. Visti i rapporti con la corte della regina, non è difficile ipotizzare, come nacque l’interessamento del cardinale Azzolino verso la biblioteca di Ricci, mentre è meno chiaro ad oggi quale fosse il progetto culturale e scientifico che il cardinale aveva in mente di realizzare, facendo confluire presso la pubblica libreria fermana una tale collezione di interesse soprattutto scientifico. Azzolino avviò le trattative per l’acquisto della biblioteca fin dal 1683, dopo la morte di Ricci e data l’appartenenza del cardinale defunto all’ordine agostiniano, Azzolino propose di collocare la libreria in uno dei locali del convento agostiniano di Fermo330. Azzolino morì, pochi mesi dopo la regina Cristina, nel 1689, ma l’acquisto della libreria Ricci da parte del Comune è fatto risalire da fonti edite al 1691, data opinabile, in quanto l’ 8 febbraio 1692 l’Adunanza dello Studio evidenzia che sono ancora in corso le trattative col il Padre Generale del Convento di S. Agostino di Fermo per la questione della libreria: “Essendo di qualche consideratione ciò che viene esposto nel memoriale dato dal Padre Generale e Padri del Convento di S. Agostino di questa nostra città in proposito del legato della libraria lasciata dal suddetto cardinal Ricci e tutto ciò che in esso memoriale viene offerto al nostro pubblico, son di parere che dal sig. Magistrato si faccino due Gentilhuomini Deputati a trattare 330 Cfr. n. 227, Vera Nigrisoli Warnhjelm edita nell’appendice documentaria del suo intervento, allegato 1, p. 190, la Lettera del cardinale Decio Azzolino all’abate Francesco Azzolino, Roma 24 ottobre 1683, conservata a Stoccolma presso il Riksarkivet, Azzolinosamlingen, K 415 in cui il cardinale è in trattative col padre agostiniano Malpiedi di Fermo. 166 con i medesimi P.P. di questo interesse e sentire, considerare a riconoscere le conditioni oblighi e risolutioni che si vorranno apporre nel contratto, riportando poi il tutto a questa Adunanza per ricevere da essa la determinazione di quanto si esagisce”331. E’ più logico pensare che nel 1691 fossero in corso trattative tra il Comune e i Padri Agostiniani per l’acquisto della libreria Ricci, trattative in cui ebbe un ruolo determinante lo Studio, come si deduce dall’Adunanza del 1692. Non è noto se la libreria Ricci di fatto sia stata acquistata, ma ciò che interessa qui è far rilevare il progetto culturale e scientifico a cui rispondono l’acquisto della libreria Ricci e la donazione di quella del medico Spezioli. Un progetto ideato dal protettore dello Studio, il cardinale Azzolino che, nella sua lungimiranza politica, mira a qualificare l’università fermana come un centro di eccellenza per lo studio delle discipline scientifiche ed in particolare della medicina. L’acquisto della libreria Ricci va visto in termini di contributo innovativo che, sul piano didattico e scientifico, le opere in essa contenute potevano apportare all’insegnamento medico ed in generale alle opportunità formative dei giovani studenti di medicina dello Studio. I volumi in essa contenuti potevano ampiamente servire allo studio di quelle discipline scientifiche considerate come necessarie per il sapere medico come la matematica e la geometria, l’astronomia, l’ottica, la statica ma soprattutto la logica e la filosofia naturale, considerata quest’ultima nel suo ampio concetto di “madre di tutte le scienze” 332 in quanto rappresentò il terreno medievale su cui si preparò la rivoluzione scientifica del XVII secolo. La filosofia naturale medievale fu modificata da nuove idee fisiche e da nuove concezioni del mondo anche se va sottolineato che solo la fisica e la cosmologia aristoteliche furono di fatto superate dalla nuova scienza, mentre ciò non accadde nell’ambito della zoologia e soprattutto della biologia aristotelica. L’accusa rivolta con maggiore frequenza alle università del Seicento è quella di essere troppo legate ad una visione conservatrice, ad un aristotelismo fuori dal tempo che costringe la nuova scienza 331 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza dell’ 8 febbraio 1692, c. 7r. 332 Edward Grant, Le origini medievali della scienza moderna. Il contesto religioso, istituzionale ed intellettuale, Torino, Giulio Einaudi editore, 2001, pp. 287-289. 167 al di fuori delle mura universitarie, nei circoli delle accademie e società scientifiche. Se il progetto del cardinale Azzolino era quello di dotare la pubblica libreria fermana della collezione bibliografica del cardinal Ricci – uno dei fondatori del Giornale dei Letterati-, è evidente l’intento di far circolare a Fermo nel contesto universitario nuove idee scientifiche di cui Ricci era un significativo esponente. Un progetto che trova coerenza anche nella vicenda della donazione libraria del medico fermano Romolo Spezioli. Sia sul medico fermano che sulla sua biblioteca disponiamo di maggiori informazioni e studi editi rispetto a quella del cardinale Ricci: Spezioli si recò a Roma nel 1675 sotto la protezione del cardinale Azzolino che lo introdusse alla corte romana della Regina Cristina come medico personale e all’università romana come lettore di medicina pratica dove insegnò dal 1676 al 1722333. Della sua splendida collezione libraria favoleggiavano già le cronache dell’epoca334 e nel 1705 con strumento di pubblica donazione335 Spezioli dona alla città di Fermo la prima parte della sua collezione, composta in gran parte di libri di medicina e di scienze naturali. La seconda parte della libreria privata di Spezioli arriverà alla biblioteca fermana, dopo la sua morte ed a seguito di lascito testamentario del 1723 con il quale dona alla città di Fermo tutti i libri di argomento sacro e di ogni altra materia contenuti nella sua biblioteca romana336. Ma quale fu il ruolo dello Studio nella vicenda della donazione libraria Spezioli? Nell’Adunanza del 9 settembre 1703 – quindi due anni prima che Spezioli si risolvesse a donare attraverso strumento notarile la prima parte della sua libreria – lo Studio, avuta notizia dell’intenzione del medico fermano di donare la propria collezione, qualora fosse stata aperta la Pubblica Libreria fermana e fosse stata dotata di un buon bibliotecario, dato l’impegno profuso in quegli anni per l’erezione della libreria, decreta la provvisione di trenta 333 F. Zurlini, Romolo Spezioli (Fermo, 1642 – Roma, 1723): un medico fermano nel XVII secolo a Roma, Manziana (Roma), Vecchiarelli editore, 2000, si vedano i capitoli II e III, pp. 15-32 e pp. 73-80. Si veda anche F. Zurlini, Cultura scientifica, formazione e professione medica tra la Marca e Roma nel Seicento, Macerata, EUM, 2009, pp. 31 – 37. 334 Cfr. n. 10. 335 ASFermo, Archivio Storico Comune di Fermo, Instrumenti 1539 – 1808, Instrumentorum Comunis Firmi, 1703, 1704, 1705, Lettera autografa di donazione, XI luglio 1705, c. 274r. 336 Si veda n. 235, pp. 83-86 168 scudi per conferire incarico ad un bibliotecario di redigere l’inventario di tutti i libri, provvisione da dedursi dalle entrate per la fabbrica dello Studio. Quindi il bibliotecario viene nominato e stipendiato direttamente dallo Studio cittadino che si fa carico in questo modo di garantire il funzionamento della pubblica libreria. Ciò anche perché, Spezioli per esser certo che la città di Fermo – e soprattutto l’università- facesse buon uso della sua collezione bibliografica, aveva posto delle clausole come l’apertura pubblica della libreria e la presenza di un buon bibliotecario. In realtà Spezioli dona la prima parte della sua libreria nel 1705, ma nelle adunanze dello Studio troviamo traccia dell’esistenza di un bibliotecario soltanto nel 1713, tale Bartolomeo Cordella convocato in quell’occasione per il conferimento dell’incarico di redigere l’ “Indice della medesima Libraria” e concordare la cifra dello stipendio337. Ciò che risulta molto chiaramente dallo strumento di donazione della libreria Spezioli come prima motivazione che spinge il medico a privarsi della sua pregiata collezione bibliografica medica, è l’intento formativo della donazione a favore dei giovani studenti di medicina: “Io sottoscritto per il desiderio che tengo di dare all’Ill.mo Publico e Città di Fermo mia Padria qualche segno d’amore conforme me ne riconosco obligato avendo inteso dal’Ill.mi SS.ri Priori, ch’essa Città voglia aprire la sua Libraria alla commodità universale e che abbia già eletto il bibliotecario per la custodia de’ Libri, umiliss.te prego l’Ill.ma Città a degnarsi di ricevere tutti i miei libri tanto di medicina, come d’ogn’altra materia che manderò franchi di porto, e collocarli nella mede.ma Libraria per utile e commodo publico, invitandomi anco a ciò fare il pensiero che nodrisco di giovare à tutti, e particolarmente à gl’Infermi, mà non essendomi permesso di farlo in altra forma, ho risoluto voler mandar’ i miei libri, affinché quelli che presiedono alle cure de’ mali possino approfittarsene in vantaggio e salute de mede.mi Infermi e per commodo e istruzzione de’ scolari studenti applicati allo studio della medicina…”338 . 337 ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. Philosophorum et medicorum civitas Firmi, 1635 – 1783, Adunanza del 28 giugno 1713, c. 76v. 338 Cfr. n. 237, Lettera autografa di donazione, XI luglio 1705, c. 274r. 169 Rileggendo con molta attenzione il documento autografo del medico fermano, allegato allo strumento notarile di donazione, si colgono con chiarezza tutti le finalità formative che motivano la donazione: -Spezioli vuole essere sicuro che la sua prestigiosa ed ingente collezione bibliografica- è un gioiello di cui si priva per amore e gratitudine verso la città natale- sia accessibile a tutti e venga realmente utilizzata per intenti formativi; per tale ragione effettua la donazione solo quando la struttura architettonica della biblioteca è realizzata e pronta ad accogliere i volumi ed è già stato individuato un bibliotecario che possa redigere il catalogo e rendere fruibile la collezione; -la fruizione della collezione deve essere “universale” ovvero pubblica senza distinzioni o limitazioni, per conferire maggiore prestigio alla stessa libreria fermana che la accoglie, anche se la donazione è pensata, fin dall’inizio, principalmente come strumento di supporto allo studio ed alla pratica della medicina; - il medico fermano destina la biblioteca, innanzitutto, a “coloro che presiedono alle cure de’ mali” , che va inteso, a mio parere, più come un riferimento ai professionisti come medici e chirurghi che esercitano in città e nel territorio, più che esclusivamente agli studenti di medicina, affinché possano trarre vantaggio conoscitivo e di aggiornamento nello studio ma soprattutto nella pratica quotidiana, con cure aggiornate ed efficaci per gli infermi; Spezioli era essenzialmente un medico pratico, aveva letto medicina pratica presso lo Studium Urbis per oltre quaranta anni, aveva esercitato come medico alla corte romana della Regina Cristina, alla corte pontificia di Papa Alessandro VIII; inoltre era stato il medico personale del cardinale Decio Azzolino, del cardinale Basadonna e di altri ecclesiastici veneti339 a Roma nel Seicento. Il medico fermano aveva frequentato come protagonista gli ambienti medici istituzionali in apparenza maggiormente legati al sapere tradizionale come lo Studium Urbis e la 339 F. Zurlini, Cultura scientifica, formazione e professione medica tra la Marca e Roma nel Seicento, cit., pp. 2937. 170 corte pontificia, ma allo stesso tempo, attraverso la corte romana della Regina era venuto in contatto con gli aspetti nuovi e meno convenzionali –si pensi al comune interesse per l’alchimia di Cristina ed Azzolino!- del sapere scientifico ed anche medico. L’atmosfera culturale della corte romana della Regina frequentata dai maggiori letterati, artisti, scienziati e filosofi del tempo in cui le nuove idee scientifiche trovavano ampia circolazione, aveva consentito al medico di sviluppare apertura intellettuale verso il nuovo sapere ed il privilegio di accedere con facilità ad una rete di contatti culturali e scientifici di respiro europeo. Rete di contatti estesi anche al mondo della circolazione libraria, che gli aveva consentito di procurarsi con facilità opere, molto spesso rare e proibite, per la sua biblioteca privata340; ciò grazie anche alla competenza bibliografica e bibliologica maturata dalla vicinanza e frequentazione della regina Cristina, colta e raffinata bibliofila. Spezioli, da buon ippocratico341 e secondo gli insegnamenti dei medici contemporanei Thomas Sydenham (1624-1689) e Hermann Boerhaave (1668-1738) aveva compreso, anche dopo anni di esperienza professionale che il medico doveva essere al capezzale del malato per indagare i sintomi del male, imparare ad osservarli ed interpretarli al vaglio delle conoscenze teoriche per individuare la migliore strategia di cura. Il sapere medico che poteva essere utile all’esercizio della “clinica medica” era un sapere aggiornato, essenzialmente pratico, piuttosto che teorico e speculativo. Con questa impronta nasce a Roma la sua collezione bibliografica medica, concepita, innanzitutto, come strumento funzionale all’ esercizio professionale nella capitale romana. La classificazione del nucleo originario di opere contenute nel “Catalogo Manoscritto autografo di Romolo Spezioli”, datato 16 febbraio 1706342 rivela la 340 F.Zurlini, Un medico fermano alla corte della Regina Cristina: Romolo Spezioli, la sua biblioteca e la cultura delle Accademie, in, Cristina di Svezia e la cultura delle Accademie, Atti del Convegno Internazionale, Macerata – Fermo, 22-23 maggio 2003, (a cura di) Diego Poli, Roma, Editrice “Il Calamo”, 2005, pp. 189 – 201. 341 F Zurlini, Romolo Spezioli, cit. p. 14. Spezioli aveva in progetto di comporre un’opera dal titolo Consensus veteris et novae Medicinae in Historis Epidemicis Hippocratis delineatus. 342 La donazione della prima parte della libreria Spezioli è avvenuta formalmente con atto notarile datato 11 luglio 1705, mentre il catalogo ms. autografo conservato presso la Biblioteca Civica Fermana nel fondo cataloghi manoscritti, è datato 16 febbraio 1706. Ciò significa che fu redatto dal medico fermano successivamente all’atto di donazione e forse in maniera ad essa funzionale, proprio per accompagnare i volumi che dovevano essere trasferiti da Roma a Fermo. 171 presenza nella collezione bibliografica, oltre ad un numero consistente di autori classici come Ippocrate, Galeno, Avicenna, Rhazes, Celso, anche di un pari numero di opere “nuove” di anatomia del Cinquecento - ben due esemplari dell’editio princeps, impressa a Basilea nel 1543, del De Humani Corporis Fabrica di Andrè Vesalius di cui uno acquarellato per fini didattici - e del Seicento, di numerose opere di therapeutica ed anche una considerevole presenza di volumi di farmacopea, materia medica ed alchimia343. Senza contare la presenza nella collezione Spezioli delle principali bibliografia mediche dei secoli XVI - XVII344 –come Nomenclator scriptorum di Spach Israel (Francoforte, 1591), la Bibliotheca Realis Medica di Martin Lipen (Francoforte, 1679) e soprattutto il De scriptis medicis di Johannes Antonides Vander Linden (Amsterdam, 1662)345- che rappresentano strumenti di aggiornamento sulla comunicazione ed editoria medica ed anche della prima rivista scientifica italiana ovvero il Giornale dei Letterati346, principale veicolo delle nuove idee scientifiche e mediche europee tra gli studiosi della penisola. Numerosi anche gli esemplari a stampa, impressi in area protestante: spesso si tratta di opere proibite e piuttosto rare che il medico fermano riusciva comunque a procurarsi, probabilmente grazie ai contatti e legami culturali della Regina con il mercato librario del Nord- Europa347. 343 La classificazione delle opere citate nel catalogo autografo manoscritto Spezioli fa parte dell’opera in corso di pubblicazione di F. Zurlini dedicata alla ricostruzione bibliografica completa ed all’analisi storico- formativa della libreria di Romolo Spezioli. 344 Sulla storia delle bibliografie mediche dal XV al XIX secolo si veda : T. Besterman, Medicine, A bibliography of bibliographies, Totowa, N.J., Rowman and Littlefield, 1971; per un elenco “critico” si veda J. Symons, Medical bibliographies and bibliographers, in, Thornton’s Medical Books, Libraries and Collectors: a study of bibliography and the Book Trade in Relation to the Medical Sciences, 3. Revised edition, Aldershot, Gower Publishing Company, 1990, pp. 239-266. 345 Per un quadro di insieme sulla storia della bibliografia medica nei secoli XVI – XVII si veda A. Serrani – F. Zurlini, Storia della bibliografia medica ed evoluzione del concetto di malattia “infettiva” nei secoli XVI – XVII, in, Atti del Congresso della Società Italiana di Storia della Medicina, “In onore di Camillo Golgi a 100 anni dal conferimento del Premio Nobel”, Pavia 19 – 22 settembre 2006, editi nel numero speciale di «Medicina nei secoli», 19/1, 2007, pp. 199 – 214. 346 Per l’importanza che il Giornale dei Letterati ha rivestito nella circolazione delle idee scientifiche nel sec. XVII, si veda Maria Conforti, La Medicina nel Giornale dei Letterati di Roma (1668 – 1681), «Medicina nei Secoli» Giornale di Storia della Medicina a cura della Sezione di Storia della Medicina – Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, nuova serie,. 13 (I), 2001, pp. 59-91. 347 F Zurlini, Romolo Spezioli, cit, pp. 147 – 191. 172 In questa prospettiva appare ora finalmente chiaro, il progetto culturale e formativo concepito dal cardinale Azzolino all’insegna di una straordinaria modernità per la città e l’università fermana, con l’intenzione di dotare la pubblica libreria fermana di due collezioni bibliografiche - quella del cardinale e matematico Michelangelo Ricci e del medico Spezioli- di straordinario valore scientifico: raccolte che rappresentano potenti strumenti di comunicazione e diffusione di un sapere innovativo nel contesto culturale della città e del territorio fermano, ma soprattutto opportunità uniche per accrescere il prestigio e l’eccellenza dello Studio fermano ed in particolare della sua facoltà medica. 2.8 LO STUDIUM FIRMANUM IN ETA’ MODERNA: UN’UNIVERSITA’ “MINORE” O UN CENTRO DI ECCELLENZA PER LA FORMAZIONE MEDICA? Dopo aver ricostruito nei paragrafi precedenti un quadro generale dell’articolazione degli studi di medicina e dell’esercizio professionale in ambito medico a Fermo e nel territorio della Marca fermana nei secoli XVII - XVIII, è possibile trarre alcune conclusioni e soprattutto fare qualche riflessione sul reale contributo che l’università fermana diede alla formazione medica in quel preciso contesto culturale, scientifico ed istituzionale. Fu un’università minore dello Stato Pontificio o ebbe i tratti di un centro di formazione di eccellenza per gli studi medici? Prima di rispondere alla domanda è bene chiarire cosa si intenda per università minore e per centro di eccellenza. La definizione di università minore per alcuni Studi dello Stato Pontificio viene ben chiarita da G. P. Brizzi348: la categoria risale all’Ottocento quando Pio VII affidò ad una commissione cardinalizia il compito di riordinare 348 il sistema G.P. Brizzi, Le Università minori in Italia. Identità e Consapevolezza, in, G. P. Brizzi – J. Verger ( a cura di), Le Università minori in Europa (secoli XV – XIX), Atti del Convegno Internazionale di Studi, Alghero, 30 ottobre – 2 novembre 1996, cit., pp. 170 -188. 173 scolastico dello Stato della Chiesa. La commissione, sulla base di parametri come l’efficienza didattica, l’affidabilità scientifica dei docenti, l’autonomia economica ed una valida gestione amministrativa, divise gli Studia dello Stato Pontificio in università di primo grado come Roma e Bologna e di secondo grado come Ferrara, Perugia, Macerata, Camerino, Fermo e Urbino. Brizzi dimostra come tale categoria, adeguando con rigore scientifico i parametri di valutazione, possa essere estesa ed applicata alle università dello Stato Pontificio, anche nel periodo-prenapoleonico. La concentrazione di Studi cittadini – ben dieci!349 - nello Stato della Chiesa è un fenomeno unico per le sue dimensioni nella penisola in età moderna: tra le cause individuate figura il particolare rapporto che lega il pontefice, in uno Stato di natura non dinastica, alle oligarchie locali, con notevoli vantaggi per le città di provincia. Se questo è indubbiamente vero, non va trascurato che la maggior parte di questi Studi, vive il momento più fulgido di rifondazione – come lo Studio di Fermo – nel periodo della ControRiforma. Non è da escludersi che il proliferare di questi Studi, benché vantino tutti antiche origini e privilegi medievali, vada messo in relazione con la creazione di nuovi centri di controllo della formazione culturale, sotto la vigilanza ed il potere dello Stato della Chiesa. Ciò può essere particolarmente vero per una città come Fermo connotata da sempre storicamente, nel territorio marchigiano come il più importante avamposto del potere politico ed ecclesiastico romano. Nel Seicento, sappiamo come i rapporti tra Fermo e Roma, grazie alla presenza di personaggi influenti della Curia Romana, come il cardinale Decio Azzolino junior, siano ancora più stretti. Tra i criteri che possono definire un’università minore nel periodo prenapoleonico Brizzi individua: l’utenza valutata sul numero di lauree conseguite350, 349 Macerata, Fermo, Fano, Urbino, Camerino, Cesena che si aggiunsero in età moderna alle università già attive come Roma, Bologna, Ferrara e Perugia. 350 Si veda G. P. Brizzi, La presenza studentesca nelle università italiane nella prima età moderna. Analisi delle fonti e problemi di metodo, in, L’Università in Italia fra età moderna e contemporanea: aspetti e momenti, Bologna, 174 scarsa articolazione delle discipline, la ricerca di docenti qualificati nelle università maggiori, a causa della mancanza di una forte tradizione locale che rende queste piccole università subordinate agli Studi più grandi, uno scarso numero di studenti, la mancanza di un edificio dedicato come Palazzo degli Studi, l’assenza di strutture scientifiche come musei, orti botanici, biblioteche e di accoglienza per la mobilità di studenti – i collegi -, l’entità piuttosto modesta del patrimonio e delle rendite su cui si reggono economicamente questi Studi cittadini. Tra i fattori di difficoltà di crescita delle università minori o in qualche caso di declino, Brizzi indica la presenza di Collegi dei Gesuiti e di Collegi professionali che entrano in concorrenza con gli Studi cittadini, assumendo le facoltà proprie di un’università ovvero quella di insegnare e di dottorare. Ora proviamo ad applicare i parametri individuati da G.P. Brizzi al caso dello Studio fermano. Per valutare l’utenza dell’università fermana, disponiamo ad oggi soltanto del Catalogo dei Laureati e non dei registri delle matricole. Ma l’utenza calcolata solo sul numero delle lauree conferite dall’ateneo non è un criterio del tutto rigoroso come ha ben evidenziato di recente L. Brockliss nel suo saggio351 per valutare il grado di salute di un ateneo. Il metodo più corretto è quello di analizzare, ove si conservano, i registri delle matricole e purtroppo non si dispone di questa documentazione per il caso fermano. Quindi il numero dei laureati in medicina, calcolato su questa base, è Clueb, 1991, pp. 85 – 109. Come si è visto nel precedente capitolo – si veda n. 13 del cap. 1. - , Brizzi sostiene che non sia possibile valutare la presenza studentesca di un determinato ateneo italiano in età moderna (fino agli ultimi decenni del Settecento), basandosi esclusivamente sulle liste matricolari ma che nella ricerca si rende necessario integrare le fonti a disposizione. Ciò in quanto le liste matricolari riflettono in maniera attendibile le reali dimensioni della popolazione studentesca solo quando il censimento degli studenti passa dagli organi interni alla loro corporazione alle magistrature dello studio, processo che si realizzò con efficacia solo dove fu avviata un’organica politica scolastica. Tuttavia Brizzi ammette i limiti delle proiezioni sull’entità della presenza studentesca che emergono dall’analisi degli acta graduum. 351 Cfr. n. 79, L. Brockliss, Medical Education and Centres of Excellence in Eighteenth-century Europe: Towards an Identification, in, Centre of Medical Excellence? Medical Travel and Education in Europe, 1500 – 1789, edited by Ole Peter Grell, Andrew Cunningham and Jon Arrizabalaga, Farnham-Burlington, Ashgate, 2010 ( The History of Medicine in Context), p. 27. Benché Brockliss prenda in esame il contesto universitario europeo del XVIII secolo, ma traccia un metodo rigoroso ed applicabile per tutta l’età moderna per gli Studi dove era attiva una facoltà medica. “It must be stressed, though, that the study must be based on matriculations not graduations. As will become apparent, there is good reason for believing that the level of graduations is not a reliable indicator of relative institutional health”. 175 un dato parziale pe lo Studio fermano che non è in grado di misurarne a pieno lo stato di salute. Ciònonostante Brizzi, disponendo di quest’unica fonte, dai registri delle lauree dell’ università di Fermo e di Macerata calcola le percentuali di laureati nelle varie discipline352. Tra il 1550 ed il 1799 gli studenti si laureano in maggioranza in diritto e solo una percentuale che oscilla dall’8 per cento al 42 per cento, calcolata su un intervallo cronologico che va dalla seconda metà del Cinquecento alla fine del XVIII secolo, si laurea in medicina. Si osserva come la tradizione degli studi giuridici a Macerata sia molto solida e la facoltà di medicina non riesca ad essere particolarmente competitiva, né ad imporsi se non nella seconda metà del Settecento e di poco quando si laureano in medicina n. 42 studenti a fronte dei n. 38 in diritto: una differenza di soli quattro studenti in più, laureati in medicina nella seconda metà del XVIII secolo. Diverso è il quadro che emerge per gli studi medici nell’università fermana353 e che è possibile osservare in sintesi nella tabella di seguito. Laureati in medicina e diritto dello Studio di Fermo e di Macerata nei secoli XVII – XVIII 1. STUDIO DI FERMO 352 G. P. Brizzi, Università e collegi marchigiani in età moderna, in, Scienziati e tecnologi marchigiani nel tempo, atti del convegno storico- scientifico editi in, Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche, anno VI, n. 30, febbraio 2000, pp. 17-36. Dal contributo di Brizzi sono tratti i dati pubblicati nella tabelle dei laureati dello Studio di Fermo in medicina e diritto per gli anni 1600 – 1799. 353 Cfr. n. 229, pp. 23-24. 176 n. Percentuale n. laureati Percentuale laureati dei laureati in diritto dei laureati in in medicina medicina 1604 –1649 216 22% 783 72% 1650– 1699 324 23% 1034 75% 1700– 1749 281 28% 697 68% 1750- 1799 237 53% 214 41% Anni in diritto 2. STUDIO DI MACERATA n. Percentuale n. laureati Percentuale laureati dei laureati in diritto dei laureati in in medicina medicina 1604 -1649 103 7% 1084 72% 1650-1699 192 17% 813 71% 1700-1749 203 24% 636 67% 174 42% 172 38% Anni 1750- in diritto 1799 Tra il 1604 ed il 1649 mentre a Fermo si laureano n. 22 studenti in medicina, nello stesso periodo a Macerata se ne laureano soltanto 7! Ed ancora tra il 1650 ed il 1699 a Fermo si laureano in medicina n. 23 studenti, mentre a Macerata solo n. 17. Il trend di crescita delle lauree in medicina presso lo Studio fermano nel 177 periodo tra il 1604 ed il 1799 è crescente e passa dal 22% del 1604-1649 addirittura al 53% del periodo compreso tra il 1750 ed il 1799, con un significativo sorpasso della facoltà medica su quella giuridica. In quello stesso periodo a Fermo si laureano in diritto n. 41 studenti, ben n. 12 studenti in meno rispetto a quelli in medicina. In generale ciò che emerge confrontando i dati delle lauree in diritto e medicina dei due Studi – Fermo e Macerata- dello Stato Pontificio tra Sei e Settecento, è il minor scarto di percentuale tra laureati in medicina e diritto dell’università fermana rispetto a quella maceratese: a Fermo gli studi giuridici, benché restino la prima domanda formativa, devono competere con una facoltà medica più forte e sempre in crescita. Per quanto riguarda il secondo parametro ovvero la scarsa articolazione della disciplina, anche in questo caso, bisogna fare i conti tra quello che è il dato ufficiale che si desume dai calendari accademici a stampa e dalle Adunanze dello Studio e quello che emerge dal contesto formativo reale che ruota intorno all’Università fermana per quanto concerne la formazione medica. Come abbiamo già visto in questo capitolo, ufficialmente l’insegnamento della medicina è articolato nelle letture di medicina teorica e pratica, in tutto quattro, due mattutine e due vespertine. All’appello ufficiale mancano, soprattutto nel Settecento, l’anatomia, la chirurgia, la botanica e la chimica che fanno parte del bagaglio aggiornato per la formazione del medico. Discipline che non risultano formalmente inserite tra le lezioni dello Studio – perlomeno dalla lettura dei calendari ufficiali - dato che non esclude necessariamente che, nel contesto culturale e scientifico fermano, non vi fosse nessun altra possibilità integrativa di apprendimento delle stesse discipline. Abbiamo visto con certezza come lo studio della chirurgia – anche nei suoi aspetti teorici e non solo pratici- avesse il suo spazio all’interno del contesto urbano e del collegio medico e probabilmente si può pensare anche del contesto accademico, benché non in una forma ufficiale. Ciò in relazione alle fonti attualmente disponibili anche se non si esclude che ricerche future possano 178 riservare delle novità in proposito. Un dato documentato nel 1644 è la presenza di un lettore di chirurgia Giovan Battista Petrucci, mentre l’esistenza di un curriculum per gli studi e la pratica chirurgica di due anni è chiaramente attestato a Fermo nel 1749, così come è documentata la possibilità riconosciuta di affinare la propria pratica, sotto il controllo medico, presso istituti assistenziali della città come l’Ospedale dell’Umiltà. Per quanto concerne l’anatomia si trova traccia concreta della pratica di dissezione nel secolo XVII, riconducibile proprio al contesto formativo universitario: nel 1672 al medico Antonio Paolini di Monte Rinaldo che supplica una lettura di Medicina Teorica, è la stessa adunanza dello Studio ad imporre come momento formativo la partecipazione alla dissezione anatomica. E’ un aspetto della ricerca che merita un ulteriore approfondimento futuro in quanto apre a scenari del tutto nuovi per lo studio della medicina a Fermo in cui delineare luoghi e protagonisti dell’insegnamento dell’anatomia. Per quanto riguarda lo studio della botanica: non disponiamo al momento di documenti ufficiali che attestino la presenza della Lettura dei Semplici nei calendari accademici, né dell’esistenza di un orto botanico dello Studio dedicato all’insegnamento della disciplina. A parte evidenziare la presenza di un ricco tessuto conventuale urbano dove era molto probabile la presenza di orti botanici, non si può escludere come ipotesi, visto il rapporto intercorso tra lo Studio ed il convento dei Padri Domenicani che questi, analogamente a quanto avveniva per gli spazi dedicati alla biblioteca ed all’archivio dello Studio, mettessero a disposizione anche il loro orto interno. In ogni caso sul piano documentario si trova traccia dell’esistenza di un orto botanico nel 1812 in una pubblicazione che parla di un Hortus Firmanus354. Si trattava di un orto per le lezioni di botanica ed agricoltura del Regio Liceo Scientifico, ma visto che la sede della scuola è quella originaria del Collegio dei Gesuiti di Fermo, non si può escludere l’esistenza della tradizione di studi botanici, già a partire dai secoli precedenti, magari nel 354 BCF, ms. 1010. La cartella contiene un opuscolo a stampa di dieci pagine Catalogus Plantarum Horti Firmani curante Horatio Valeriani botanices et rusticae rei professoris... 1812. Firmi, typis J. Paccasassi, 1819 in cui sono descritte secondo criteri di classificazione botanica tutti gli esemplari esistenti nell’Orto Fermano. 179 contesto stesso degli studi scientifici sviluppati dal Collegio. Anche questo è indubbiamente un aspetto della ricerca che merita ulteriore approfondimento. Per quanto riguarda la chimica, la sua assenza nel Seicento è da riscontrare anche nella maggior parte delle principali università di medicina, pertanto la sua mancanza nel curriculum formativo dello Studio fermano è un dato più che prevedibile. Va evidenziato, tuttavia, che con l’arrivo nel 1705 presso la pubblica libreria fermana della donazione Spezioli, gli studenti trovano nella raccolta un ingente numero di opere a stampa di alchimia, molte piuttosto rare, che rappresentano preziosi strumenti di studio e di aggiornamento per gli sviluppi, più recenti anche della iatrochimica. L’urgenza e l’ansia che, per tutta la metà del Seicento, pervadono l’Adunanza dello Studio fermano nel portare a compimento il legato testamentario di Paolo Ruffi per l’erezione della Pubblica Libreria, a decoro della stessa università ed ad utile degli studenti, testimoniano il progetto di rafforzare l’università con la presenza di strutture didattiche ad essa correlate, prima fra tutte quella di una biblioteca pubblica. Per quanto concerne questo aspetto, è già stata esaminata la modernità del grande progetto culturale e scientifico del cardinale Decio Azzolino junior attraverso l’ obiettivo di dotare l’università fermana di un patrimonio bibliografico di eccezione, per lo studio della matematica, della fisica, della medicina e filosofia naturale attraverso l’ acquisizione delle collezioni bibliografiche del cardinale Michelangelo Ricci e del medico Romolo Spezioli. Va rilevato che, coerentemente a quello che rivela il trend di crescita di laureati in medicina a Fermo tra Sei e Settecento, il progetto culturale è quello di rafforzare attraverso la pubblica libreria e le due pregiate collezioni bibliografiche, principalmente gli studi medico-scientifici, segno già di una dominanza nel contesto culturale cittadino di questa tradizione. Chiaramente la presenza di medici addottoratisi nello Studio di Fermo, come Giovanni Tiracorda, Cesare Macchiati, Romolo Spezioli, in contesti di eccellenza nella capitale romana quali l’Arciospedale di S. Spirito, l’Archiginnasio Romano, la corte romana della 180 Regina Cristina di Svezia, la corte pontificia di papa Alessandro VIII, pone l’accento sulla facoltà medica, più che su quella giuridica, come elemento di crescita del prestigio e della fama dell’università fermana. Era sugli studi medici che “sprovincializzavamo” lo Studio fermano, che bisognava investire maggiormente per aumentarne sempre più il prestigio e la fama al di fuori dei confini della Marca. Sul piano architettonico, dal secolo XVI, lo Studio fermano possiede ha la propria sede nell’omonimo Palazzo degli Studi, edificio nella centralissima Piazza del Popolo, che si viene via via completando ed abbellendo nella facciata con le statue dei pontefici che lo avevano nei secoli beneficato. Per realizzare un complesso architettonico maggiormente funzionale alla didattica, è lo Studio che, a proprie spese, fa realizzare la loggetta pensile, ancora oggi visibile, che collega il Palazzo degli Studi – sede dell’attuale Biblioteca Civica – con la prima storica sala della pubblica libreria ubicata nel Palazzo dei Priori355. Dunque la presenza dell’università viene ben delineata nel contesto urbanistico della città: il Palazzo degli Studi si affaccia sulla piazza principale della città insieme agli altri Palazzi, quello dei Priori, del Governatore Apostolico, dell’Arcivescovato, ciascuno sede dei maggiori poteri istituzionali. Quanto alla presenza di strutture di accoglienza per la mobilità degli studenti come i collegi, Fermo tra Sei e Settecento vanta un’offerta particolarmente ampia. G. P. Brizzi nel volume più volte citato sulla storia dell’antica università fermana analizza le diverse strutture esistenti nel contesto urbano come il Collegio Marziale che abbiamo già visto come fosse meta privilegiata per gli studenti stranieri del Sacro Romano Impero, il Collegio Illirico- Albanese, il 355 Si vedano G. P. Brizzi, L’Antica Università di Fermo, cit., pp. 9 – 31 e La Biblioteca Comunale di Fermo (a cura di) Maria Chiara Leonori, cit., pp. 13-16. Si veda anche: Michael Kiene, Piccole e grandi università a confronto: insediamenti universitari in Europa dal XVI al XVIII secolo, in, G. P. Brizzi – J. Verger ( a cura di), Le Università minori in Europa (secoli XV – XIX), Atti del Convegno Internazionale di Studi, Alghero, 30 ottobre – 2 novembre 1996, cit., pp. 289 – 300. 181 Collegio Canuti356, senza contare sugli stretti rapporti tra la città di Fermo e il Collegio della Natio Picena a Roma, grazie alla mediazione del cardinale Decio Azzolino junior che ne fu il protettore357. Lo strapotere di quest’ultimo era particolarmente forte nel determinare le assegnazioni dei posti agli studenti di legge e medicina che potevano essere ospitati nel Collegio del Pio Sodalizio a Roma: competeva al cardinale protettore scegliere dieci dei complessivi sedici studenti da inserire nel Collegio di cui cinque provenienti da Roma e cinque dalle Marche. Quindi nel Seicento per chi si addottorava in medicina nello Studio fermano, si apriva una possibilità ulteriore ancora più ricca di attrattive: proseguire gli studi nella capitale romana dove conseguire un ulteriore dottorato in medicina presso lo Studium Urbis, magari studiare e praticare medicina in uno dei tanti ospedali romani – a partire dal più prestigioso in età moderna come l’Arciospedale di S. Spirito- e riuscire a far parte del circolo dei più rinomati professionisti di medicina a servizio di principi, nobili e prelati romani. Da Fermo a Roma per una carriera d’eccezione nella medicina, una potente attrattiva sia per gli studenti locali che per quelli che vi giungevano da altri stati italiani e regione europee. Da ultimo, non certo per importanza, va ricordata la 356 I Collegi sono già stati oggetto di specifica ampia trattazione dello stesso G.P. Brizzi nell’opera L’antica università di Fermo, cit., pp. 47 – 63. 357 BCF, Cartella ms. Giuseppe Sabbioni, fascicolo II, n. 13 “Collegio Piceno in Roma istituito a beneficio anche de’ Fermani e Marcheggiani. La nazione picena acquista con il beneplacito del pontefice Clemente IX e grazie alla mediazione del cardinale Decio Azzolino , Protettore dei Marcheggiani di questo Collegio, la Chiesa di S. Salvatore in Lauro col Monastero dando in cambio quella di S. Giovanni Marcatello dei Camerinesi. Questo Monistero venne convertito in Collegio e vennero Lui assegnate rendite bastanti ad allevare nella Curia Romana sotto combinate regole dodici Giovani Marcheggiani i quali avessero ivi ad attendere per cinque anni agli studi della Facoltà Legale e Medica. A loro comodo venne disposta dal Pio Luogo una copiosa Biblioteca lasciata da Maria Urbani di Monte S. Martino. Anni 1615 al 1655 Collegio Canuto in Fermo riunito quindi al Collegio Piceno in Roma. Monsignor Andrea Canuto di Sant’Elpidio a Mare, Vescovo in partibus Oppidense [S. Elpidio a Mare], istituì nell’anno 1615 per i suoi Concittadini un Collegio che dal suo Fondatore prese il nome di Collegio Canuto. Questo venne la prima volta aperto in Fermo l’anno 1625 dopo la di lui morte. Nell’anno però 1655 venne riunito al Collegio Piceno in Roma onde mantenervi un certo numero dei Chiamati dal Fondatore a goderlo”. Cartella ms. Giuseppe Sabbioni, fascicolo II, n. 13: “Collegio Piceno in Roma. Nel 1646 Monsignor Castellani originario di Carcare Luogo nelle montagne di Genova, sendo Canonico di San Pietro in Vaticano le arricchì di una fortuna superiore a 100.000 come alla sua donazione del 27 dicembre 1645 ed al suo ultimo Testamento del 29 dicembre 1646. In forza di questi Atti gli Alunni dovevano essere 16 e non meno di 10, cioè 6 e non meno di 4 di Carcare ed in mancanza dei luoghi circonvicini,5 e non meno di 3 di Roma, 5 e non meno di 3 delle Marche. Da nominarsi i primi dal Superiore dei Padri delle Scuole Pie di Carcare; i secondi ed i terzi dallo Eminentissimo Card. Protettore pro tempore della Santa Casa di Loreto in Roma (oggi riunito a quel Collegio Piceno detto dei Marcheggiani)”. 182 presenza a Fermo del Collegio dei Padri Gesuiti358 di Fermo che svolsero nel Seicento un ruolo attivo nella didattica dello Studio. G.P. Brizzi individua tra otto e nove docenti dei Gesuiti attivi nello Studio di Fermo per l’insegnamento delle discipline filosofiche che includevano anche la matematica e la fisica e di quelle teologiche359. Il ruolo che i Gesuiti svolsero nello studio di Fermo ed in generale nel contesto culturale fermano nel Seicento per lo sviluppo delle discipline scientifiche meriterebbe una trattazione specifica e indagini ulteriori di approfondimento. Giovi qui evidenziare che l’attività di ricerca scientifica era un’occupazione stabile all’interno dei collegi dei Gesuiti che vi dedicavano specificatamente risorse umane ed economiche360. Inoltre la presenza di queste scuole “scientifiche” all’interno dei Collegi, aperte anche agli studenti esterni purché membri di Congregazioni religiose, favoriva lo sviluppo di un’attività di ricerca scientifica che non era spesso possibile incentivare per gli Studi cittadini, per carenze economiche di personale docente e strutture adeguate. La dimensione internazionale della Compagnia di Gesù che consente ai membri di accedere ad informazioni ed osservazioni che specialmente in ambito naturalistico, geografico e matematico, provenivano da tutta la rete dei collegi e di favorire la mobilità da un Collegio all’altro di docenti altamente qualificati, poneva i Collegi dei Gesuiti in netto vantaggio in ambito scientifico sugli Studi 358 Il Collegio venne eretto nel 1609: la prima sede individuata fu quella della Chiesa di S. Salvatore contigua alla Parrocchia di S. Martino. Adiacente alla Chiesa vi era il Palazzo della nobile famiglia Euffreducci che nel 1611, grazie all’Arcivescovo Mons. Strozzi venne ceduti ai Gesuiti che vi aprirono il Collegio per l’istruzione della gioventù. Nel 1701 i Gesuiti sotto l’impulso del cardinale Arcivescovo Baldassarre Cenci aprirono un Collegio Convitto per accogliere i giovani di età inferiore ai diciotto anni che non avevano pienamente seguito l’istruzione primaria, affinché completassero il corso di studi inferiore per poter accedere a quello superiore nello Studio. Tale esigenza sorse perché il Collegio Marziale accoglieva giovani studenti di età superiore ai diciotto anni che frequentavano le lezioni dello Studio. Quindi il Collegio Convitto dei Gesuiti poteva rappresentare un primo bacino di formazione per i giovani che successivamente si dedicassero agli studi medici. Si veda Cartella ms. Giuseppe Sabbioni, fascicolo II, n. 5, Anni 1601-1611 “Instituzione del Collegio de’ Gesuiti” e Fascicolo II n. 6, anni 1701 al 1707, “Collegio Convito sotto la direzione dei Padri Gesuiti eretto a cura dall’Eminentissimo arcivescovo Cenci in Fermo”. 359 G. P. Brizzi, Università e Collegi marchigiani in età moderna, cit., pp. 28 – 31. Si veda anche G. P. Brizzi, L’Antica Università di Fermo, cap. I gesuiti: il collegio e lo Studio, pp. 55- 63. 360 Si veda in particolare Ugo Baldini, Legem impone subactis: studi su filosofia e scienza dei Gesuiti in Italia : 1540-1632, Roma, Bulzoni, 1992. . 183 Cittadini. E’ indubbio che nel contesto culturale fermano del Seicento i Gesuiti portarono un notevole contributo per lo studio di discipline come la fisica e la matematica che saranno determinanti nella costruzione della “nuova scienza” medica. Resta ancora da scoprire tuttavia attraverso quali modalità didattiche ciò avvenne e come condizionò gli studi medici “laici” all’interno dell’università. Una questione ancora aperta che merita attenzione in future ricerche. La presenza dei Gesuiti viene indicata da G.P. Brizzi tra le cause di declino delle piccole università in quanto nei loro Collegi diedero vita a semi-università col privilegio di dottorare che sottraevano competenze e studenti agli Studi cittadini361. Se ciò può esser vero per le discipline filosofiche e teologiche, non lo è per quelle mediche. I Gesuiti non si interessarono direttamente di medicina, ma formavano gli studenti in quelle discipline come la logica, la fisica, la geometria e la matematica, di importanza basilare per la medicina. Per questa ragione la loro presenza a Fermo, non va vista come in concorrenza con la facoltà medica dello Studio cittadino, ma come un ulteriore elemento di ricchezza del contesto culturale formativo in cui venivano a trovarsi gli studenti dell’università fermana, anche quelli di medicina. Un dato confermato anche dal fatto che, stando ai dati della percentuale di laureati dello Studio fermano, quelli in medicina continuano ad incrementarsi per tutto il secolo XVII, anche dopo la soppressione dell’ ordine e la chiusura del Collegio. Nel progetto di crescita scientifica dello Studio fermano vanno evidenziati anche gli stretti rapporti intercorsi tra il medico fermano Romolo Spezioli ed il Collegio dei Gesuiti di Fermo362. Egli li aveva nominati fin dal 1688 – mentre era a servizio della Regina Cristina a Roma – destinatari di un legato a favore della Fabbrica della loro Chiesa fermana, un vitalizio di 125 scudi annui. Con il testamento olografo del 1723 il medico fermano nomina “La Venerabile Chiesa del Collegio della Compagnia di Gesù di Fermo”363, erede universale e sempre nella Chiesa di S. Ignazio di Fermo egli fa F. Zurlini, Romolo Spezioli, cit. p. 178. F. Zurlini, Cultura scientifica, formazione e professione medica tra la Marca e Roma nel Seicento. Il caso di Romolo Spezioli, cit., si veda il paragr. “Romolo Spezioli ed il Collegio dei Gesuiti di Fermo” pp. 46 -63. 363 F. Zurlini, Romolo Spezioli, cit., p. 75. 184 361 362 istituire un altare privilegiato, dedicato alla Vergine Maria ed a S. Ignazio di Loyola, per celebrare ogni giorno una messa perpetua per la sua anima ed a favore di quella dei suoi tre insigni benefattori ovvero la Regina Cristina di Svezia, papa Alessandro VIII ed il cardinale Decio Azzolino junior364. Soprattutto quest’ultimo fu il termine medio che, in tutta probabilità, favorì il legame tra Spezioli ed i Gesuiti di Fermo. Azzolino intervenne più volte nelle controversie sorte tra i Gesuiti ed il Comune di Fermo in merito alle mancate risorse finanziarie versate dal Comune per completare la costruzione del collegio365. Spezioli lasciò al Collegio fermano dei Gesuiti anche parte dei volumi della sua libreria: questo dato è molto interessante perché rivela che egli aveva concepito un progetto culturale molto più articolato di quanto si pensi, a favore della sua città. La donazione di gran parte della sua collezione bibliografica alla pubblica libreria fermana era una parte di questo progetto più ampio, finalizzato a rafforzare il prestigio degli studi medici dello Studio e di quelli filosoficoscientifici del Collegio fermano dei Gesuiti. Il quadro ora è più chiaro: Pubblica Libreria, Studio Cittadino e Collegio dei Gesuiti di Fermo idealmente uniti nel progetto del medico fermano di rafforzare – probabilmente dietro impulso del cardinale Azzolino!- il ruolo della città natale come centro di studi e di formazione culturale in generale, ed in particolare medico-scientifici. Tutt’altro che vedere nella presenza del Collegio dei Gesuiti di Fermo un elemento che contribuisce al declino dello Studio! Il contesto culturale e scientifico della città di Fermo nel Seicento diventa in questo modo sempre più chiaro. Un contesto in cui, anche se in maniera rapida non va dimenticata l’attività delle Accademie: nel Seicento in città sono attive le Accademie dei Vaganti, dei Ravvivati e quella più celebre degli Erranti e Raffrontati, fondata nel 1640 da Camillo Gessi, lettore dell’università di Bologna che si era trasferito nello Studio di Fermo. Proprio nel Collegio dei Gesuiti di Fermo, fu attivo tra il 1733 ed il 1734 uno dei membri più illustri dell’Accademia 364 365 Ivi, pp. 76-77. Si veda n. 263, p. 47- 48. 185 degli Erranti, il celebre matematico padre Ruggero Boscovich che vi era stato trasferito dal Collegio Romano per ragioni di salute. Altra socia celebre della stessa Accademia fermana fu Maria Gaetana Agnesi, figlia di Pietro Agnesi, docente di matematica presso l’università di Bologna, nota per gli studi matematici sul calcolo infinitesimale. L’Accademia degli Erranti alla metà del Settecento contava più di trecento soci tra illustri scienziati e letterati366. L’applicazione dei parametri indicati da G.P. Brizzi per definire un’università “minore” fino a questo punto non ha chiarito la natura dello Studio di Fermo: dopo tutte le prerogative culturali e scientifiche evidenziate nel contesto sopra analizzato, con quale certezza possiamo affermare la natura secondaria dello Studio di Fermo, per quanto concerne soprattutto la tradizione medica? Soltanto un aspetto dell’università fermana mostra una certa fragilità di organizzazione: la scarsità di risorse economiche su cui poggia lo Studio, legata alla rigida economia comunale che condiziona, a sua volta, negativamente la capacità di attrarre docenti di fama e di dare stabilità all’organizzazione didattica dello Studio. Mentre non è una valutazione adeguata quella di associare l’eccellenza di un’università dell’età moderna, specialmente per quanto riguarda la medicina, con la presenza di ricerca scientifica innovativa, riconosciuta su un piano internazionale. La ricerca – intesa nella sua accezione moderna - non fa parte degli obblighi di un docente universitario del tempo: egli deve limitarsi a trasmettere il sapere corrente “ortodosso” e deve comprovare ciò con la sua esperienza, le sue opere ed il suo comportamento all’interno dell’università e nei confronti degli studenti. A tal proposito vale la pena ricordare che nel Seicento, come abbiamo già visto nel capitolo precedente, William Harvey, benché avesse studiato in quella ritenuta l’università di maggior prestigio del tempo per la medicina ovvero Padova, solo una volta tornato in Inghilterra, da medico pratico al servizio presso l’ ospedale di S. Bartholomew di Londra, approfondì i suoi 366 M. C. Leonori ( a cura di), La Biblioteca Comunale di Fermo, l’antica Università e l’ambiente culturale locale, cit., pp. 277-287. 186 studi sulla circolazione del sangue fino a darne dimostrazione scientifica nel 1628, nella sua celebre opera Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus. Va sottolineato che la scoperta che ha rivoluzionato la medicina del XVII secolo, non nasce propriamente in un contesto accademico, ma soprattutto pratico. E’ indubbio che la formazione ricevuta da Harvey a Padova era stata di eccellenza e che egli si trovò ad operare in un contesto, come quello londinese, pieno di stimoli ed occasioni scientifiche e culturali per un medico del Seicento. Ma la parola chiave è proprio questa: il contesto. L. Brockliss nel suo recente saggio, già qui più volte citato367, evidenzia come ciò che distingua in età moderna un centro di eccellenza per lo studio della medicina sia il contesto e non soltanto l’università che vi opera. Parigi e Montpellier erano un centro di eccellenza per lo studio della medicina ma perché? Non soltanto per i meriti didattici di università di antica tradizione, ma soprattutto per il contesto formativo che esse erano in grado di offrire per gli studi medici. La qualità dell’insegnamento che veniva garantita se l’università poteva avvalersi di insegnanti di livello ovvero ben pagati e selezionati con rigidi criteri concorsuali era indubbiamente uno degli aspetti importanti che concorrevano a definire l’eccellenza di un centro di formazione medica, ma non ne era l’unico. Accanto ad esso vi erano altre possibilità formative: un’alta qualità degli insegnanti privati in grado di creare delle vere e proprie scuole scientifiche nel circolo dei loro allievi, la possibilità di disporre di strutture scientifiche come biblioteche, teatri anatomici, orti botanici, di frequentare ospedali, di fare pratica all’interno di un Collegio medico, ma anche per ampliare la rete di contatti tra professionisti, di seguire al di fuori dell’università lezioni private di medicina, tenute anche in vernacolo e che quindi potevano essere dirette ad un ampio pubblico di medici, speziali, chirurghi e levatrici. Senza dimenticare che il medico filosofo del SeiSettecento spesso era anche un letterato ed appassionato bibliofilo – come Romolo Spezioli-, e nutriva molteplici interessi culturali e scientifici, 367 Cfr. n. 252 187 dall’antiquariato alla botanica, all’agricoltura ed in generale alle scienze naturali. Interessi che potevano essere soddisfatti soltanto da una città con una vita culturale ricca e vivace. Ora senza fare paragoni impropri e privi di alcun valore scientifico è chiaro che l’ università di Fermo per quanto riguarda gli studi medici non possa essere avvicinata all’eccellenza di centri di dimensioni urbane di maggior rilievo, come Roma, Bologna, Padova, né tantomeno europee come Parigi, Montpellier e Leida, ma relativamente alle università minori dello Stato Pontificio, è indubbio che Fermo rivesta un ruolo di eccellenza, tra Sei e Settecento, per la formazione medica, proprio per la ricchezza di quel contesto, che abbiamo sopra ricostruito. L’analisi della provenienza dei laureati nel territorio regionale, evidenzia come la capacità di attrazione dello Studio di Fermo, sia forte, raggiungendo l’apice alla metà del Seicento, anche su quei territori a Nord della Marca che avrebbero dovuto maggiormente risentire dell’influenza di altre università come Fano, Macerata e Camerino. Senza dimenticare la forte attrazione esercitata dallo Studio di Fermo verso il Sud, il territorio del Regno di Napoli, anche probabilmente per la difficoltà degli studenti di raggiungere l’unica sede universitaria esistente a Napoli. La diocesi di Fermo, oltre ad essere la più estesa del territorio regionale era anche sede metropolitana con maggior potere dell’Arcivescovo di Fermo e degli incarichi che egli poteva conferire. La presenza di studenti stranieri veniva garantita dai numerosi Collegi attivi in città e dalle facilitazioni come borse di studio, sussidi che essi potevano ottenere. Inoltre come abbiamo visto per i più meritevoli ed ambiziosi si apriva la possibilità di una carriera medica – ma anche giuridica- nella capitale romana. L’università di Fermo, per quanto riguarda la medicina, non si distingueva come “Fabbrica di Dottori” come avveniva spesso per le università “minori” funzionali a garantire alle oligarchie cittadine il controllo sulla formazione della classe dirigente e dei professionisti o agli studenti forestieri la possibilità di ottenere un dottorato di medicina a basso costo. Sicuramente per molti studenti 188 meno abbienti era più facile economicamente poter accedere all’università fermana che ad altre università più grandi, ma ciò non equivale a dire che essa fosse solo un luogo dove dottorarsi con facilità. La presenza di numerosi Collegi, l’esigenza di dotare lo Studio di una Pubblica Libreria che eccellesse soprattutto negli studi storico-medici sta a significare la presenza stabile di studenti in città, durante le lezioni. Erano tante le prospettive che uno studente poteva trovarsi davanti, scegliendo di diventare un medico a Fermo: attendere alle lezioni ufficiali nello Studio, a quelle private in casa dei docenti, forse avrebbe potuto assistere a qualche esperimento di fisica e matematica nel Collegio dei Gesuiti, anche a qualche dissezione anatomica negli ospedali cittadini, sfogliare volumi con le illustrazioni delle nuove scoperte anatomiche, conoscere dagli speziali del posto le droghe provenienti dal Mondo Nuovo, fare pratica negli ospedali, entrare in contatto con le accademie e magari con qualche scienziato ed erudito di fama, entrare nel Collegio medico ed iniziare la pratica della professione. Lo Studio di Fermo ed il contesto in cui era inserito potevano offrire qualcosa di più di un semplice diploma a basso costo! Alle università minori, nonostante il loro carattere locale, viene riconosciuto il merito di aver contribuito alla crescita culturale del contesto in cui sono inserite e di aver formato la classe del ceto dirigente e dei professionisti locali. Nel caso dello Studio di Fermo e della medicina il merito principale è uno: di aver introdotto in un territorio “provinciale” una cultura medica “moderna” in cui ciò che emerge è la figura del medico pratico e di un sapere funzionale alla cura del male, sempre più lontano dalle speculazioni teoriche e sempre più vicino al concetto di professione in senso moderno. Proprio grazie alla medicina, ai personaggi illustri che ne sono protagonisti ed ai progetti culturali e formativi di cui questi si fanno promotori, lo Studio di Fermo inizia a perdere nel SeiSettecento il carattere eminentemente locale e regionale, per assumere i tratti di una dimensione urbana di più ampio respiro, volgendo sempre più lo sguardo alla vicina capitale romana. 189 CAPITOLO III 190 DA FERMO A ROMA: FORMAZIONE ED ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE MEDICA DALLO STUDIUM FIRMANUM ALLO STUDIUM URBIS 3. 1 I MEDICI “MARCHIANI” E FERMANI A ROMA: CLIENTELE, CARRIERE E PRIVILEGI Il legame tra la città di Fermo e la capitale romana tra Seicento e Settecento è indubbiamente molto stretto sia sul piano politico ed istituzionale che culturale, grazie a personaggi chiave come il cardinale Decio Azzolino junior, uomo di spicco della Curia Romana, protettore dello Studio di Fermo dal 1679 e del Collegio Piceno a Roma. Numerosi i personaggi fermani che il cardinale introduce presso la corte romana della Regina Cristina di Svezia ed, in generale, in posizioni di interesse strategico, sul piano politico e culturale, nella capitale. Le “creature fermane” del cardinale popolano in maniera particolarmente numerosa la corte romana della regina Cristina di cui Azzolino è la guida politica e culturale nella Roma del Seicento: dai medici personali Cesare Macchiati e Romolo Spezioli, al capitano Lorenzo Adami368 con i fratelli Domenico e Ignazio rispettivamente paggio e scudiero della regina- ai sacerdoti fermani Giovanni Antonio Spezioli, fratello di Romolo369 e Don Arbostino il quale nel 1666, accompagna Cristina nel viaggio ad Amburgo e verso la Svezia, ad Antonio e Vera Nigrisoli Wärnhjelm, Lorenzo Adami: lettere dalla Svezia. Il capitano Lorenzo Adami alla regina Cristina e al cardinale Azzolino, 1665, Stockholm, University of Stockholm, 2000 (Forskningsrapporter, Cahiers de la recherche, 14). Lorenzo Adami (Fermo, 1630 – 1685) della nobile famiglia fermana Adami, si distinse per i suoi meriti militari, come capitano del vascello pontificio, nel 1657 durante la guerra di Creta. Due anni dopo il cardinale Azzolino lo introdusse a Roma alla corte della Regina Cristina come capitano delle guardie. Adami fu con la Regina nel viaggio in Svezia nel 1660 e di nuovo nel 1665 come inviato straordinario della regina con il compito di curare gli affari della sovrana nella terra natale. Durante i due anni di missione in Svezia Lorenzo Adami intesse una fitta corrispondenza con la regina Cristina ed il cardinale Azzolino. 369 Giuseppe Spezioli si era addottorato in medicina e filosofia presso l’università fermana il 24 aprile 1673. Si veda Gian Paolo Brizzi, L’antica università di Fermo, cit., p. 157, n. 2072. 191 368 Bastiano Bevilacqua con i ruoli di portiere e guardia della regina370. La corte di Cristina esercita un’attrazione fatale sui letterati, artisti, medici e scienziati provenienti da Fermo ed in generale dalle “Marche”, riuscendo a sviare anche gli intellettuali del Ducato di Urbino e del Montefeltro più orientati, anche per ragioni di vicinanza geografica, verso Bologna e Venezia. Basta pensare che membro della corte romana della regina fu il noto cartografo fabrianese Silvestro Amanzio Moroncelli, autore tra l’altro del globo terracqueo conservato presso la Sala del Mappamondo della biblioteca civica fermana. Sempre originario di Fabriano il celebre Francesco Stelluti371 che si era laureato nel 1613 presso lo Studio fermano, fondatore a Roma dell’Accademia dei Lincei insieme a Federico Cesi, Johannes van Heeck e Anastasio de Filiis, nonché amico di Galileo Galilei. Azzolino dopo la sua nomina a cardinale nel 1654 era riuscito a tessere con grandi abilità diplomatiche una fitta rete di rapporti a più livelli che lo avevano reso uno dei personaggi più potenti della Curia Romana. Il cardinale attraverso lo “Squadrone Volante”372 aveva controllato l’elezione dei papi nella seconda metà 370 Vera Nigrisoli Wärnhjelm, I Fermani alla corte della regina Cristina di Svezia, in, “Cristina di Svezia e Fermo”, Atti del Convegno Internazionale, Fermo, Auditorium San Martino, 3-4 ottobre 1995, Fermo, Andrea Livi Editore, 2001, pp. 105 – 121. 371 Francesco Stelluti ( Fabriano 1577- Roma dopo il 1652). Letterato, filosofo, matematico, naturalista, astronomo, fu amico di Galilei, per il quale curò la stampa del Saggiatore (1623). Nel 1603, assieme a Federico Cesi, Anastasio De Filiis e all’olandese Eckius, fondò l’Accademia dei Lincei prendendo il nome di Tardigrado e scegliendo a motto “Quo serius, eo citius”. Come i suoi compagni dell’accademia, subì non poche persecuzioni da parte dei familiari di Federico Cesi, soprattutto da parte del padre di questi, il duca, omonimo del figlio, che non vedeva di buon occhio la nascita di quest’accademia. Per questo motivo dovette lasciare per alcuni anni Roma per rifugiarsi prima a Fabriano, poi a Parma, presso il duca Farnese. Verso il 1609 tornò a Roma, dove ebbe parte attivissima nel rigoglioso sviluppo dell’accademia. Nel 1616 fondò a Napoli una sezione della stessa accademia, chiamata “Il Liceo”, affidata al Della Porta. Nel 1630, morto il Cesi, lo Stelluti cercò con ogni mezzo di salvare dalla rovina l’accademia, che si trovava in pessime acque, ma malgrado i suoi sforzi, non vi riuscì. Nel 1651 completò la pubblicazione del Tesoro messicano, corredato dalle annotazioni di alcuni Lincei, nonché delle venti Tabulae Philosophicae del Cesi. Si veda voce “Francesco Stelluti”, in, Dizionario biografico dei marchigiani : formato PDF [archivio elettronico], progetto di Giovanni M. Claudi e Liana Catri, Ancona, Il lavoro editoriale, [2007], CD-ROM, p. 594. Così l’Ambasciatore spagnolo, duca di Terranova, aveva soprannominato questo gruppo di cardinali tra i quali figurano Borromeo, Omodei, Azzolino ed Ottoboni che, pur di far prevalere la supremazia della Chiesa, non esitava ad appoggiarsi alle diverse fazioni in cui era diviso il collegio dei cardinali, sulla base del potere delle varie potenze europee. L’intervento dello “Squadrone Volante” a cui aveva aderito anche la Regina Cristina di Svezia fu spesso determinante nei conclavi per l’elezione 192 372 del Seicento, mentre grazie allo “Squadrone dei Marchigiani”373 aveva dato vita ad un network clientelare basato sul legame della conterraneità che aveva innalzato il ruolo sociale dei marchigiani a Roma, temuti e rispettati non soltanto nelle corti di nobili e prelati374. Nodi strategici di questo network, messo in piedi dal cardinale Azzolino, oltre alla corte della Regina erano l’Accademia di S. Luca e il Collegio Piceno, rispettivamente per l’inserimento di artisti e letterati e di giuristi e medici. Per quanto concerne la medicina, l’azione clientelare svolta nella capitale romana dal cardinale Azzolino consolida una tradizione già piuttosto prestigiosa, avviata nel Cinquecento a Roma durante il pontificato di Sisto V. Il pontefice marchigiano aveva affidato la sua salute alle cure di medici della Marca Fermana come Antonio Porti da Fermo, Andrea Bacci di S. Elpidio a Mare e Medoro Patriarca di Grottammare375. Dalla seconda metà del Seicento questa tradizione si arricchisce di ulteriori “marchiani” prestigiosi: Giovanni Tiracorda d’Alteta376, archiatra di Innocenzo X e di Alessandro VII, primario dell’ ospedale S. Spirito in Sassia quando, nel 1676, vi entrò come assistente il giovane Giovanni Maria Lancisi; Luca Tomassini di Ripatransone, Protomedico generale a Roma nel 1675; Cesare Macchiati da Carassai medico della Regina Cristina e lettore di filosofia e medicina allo Studium Urbis; il fermano Romolo Spezioli dal 1675 medico della Regina, nominato nel 1690 archiatra di Alessandro VIII e, dal 1676 al 1722, lettore di medicina pratica presso l’università romana; Giambattista dei pontefici. Si veda Maria Louise Rodén, Church politics in Seventeenth – century Rome: cardinal Decio Azzolino, Queen Christina of Sweden, and the Squadrone Volante, Stockholm, Almqvist & Wiksell, 2000, in particolare alle pp. 189 – 216. Si veda anche BAV, Vat. Lat., 9729, “Colloquio delle due volpi”, c. 198r che documenta il colloquio tra Azzolino e Ottoboni in merito alle strategie politiche e diplomatiche che lo Squadrone Volante mette in atto nel collegio dei cardinali. 373 Luigi Rossi, Lo “squadrone” dei marchigiani a Roma nella seconda metà del Seicento, «Proposte e Ricerche: Economia e Società nella storia dell’Italia centrale», numero monografico “Marche e Roma tra ‘600 e ‘700: storia, economia e arte, 54/28, 2005, pp. 48 -80. 374 Si veda R. Ago, Carriere e Clientele nella Roma Barocca, Roma-Bari, 1990. 375 G. Panelli, Memorie degli uomini illustri e chiari in medicina del Piceno o sia della Marca di Ancona, cit., vol. 2, Antonio Porto da Fermo, pp. 231-234, Andrea Bacci da S. Elpidio a Mare, pp. 209 – 217, Medoro Patriarca da Grottammare, p. 268. 376 Ivi, pp. 266 – 268, Si evidenzia che Giovanni Tiracorda e la moglie Paradisa Jacometti, lasciarono attraverso legato testamentario la libreria contenente opere di medicina e diritto al Pio Sodalizio dei Piceni, affinché fosse fruita dai giovani studenti di medicina e legge del Collegio Piceno. 193 Scaramuccia da Lapedona lettore ed assistente di Spezioli nella cattedra di medicina pratica presso l’università romana; nel Settecento Pietro Assalti, originario d’Acquaviva Picena, lettore di botanica e anatomia presso l’università romana e bibliotecario della Vaticana e Domenico Mistichelli, celebre anatomico presso l’ ospedale di S. Maria della Consolazione. Medici illustri, in gran parte laureati presso l’ università fermana che, nella fortunata carriera romana, avevano occupato ruoli di prestigio e potere professionale. Tra questi vi figurano non soltanto “creature” del cardinale Azzolino come Macchiati e Spezioli, ma medici che legarono la loro ascesa professionale alla competenza ed esperienza acquisita nella terra natale, conquistando nella capitale romana le cariche più alte ed ambite, come il Protomedicato – è il caso ad esempio di Luca Tomassini -, i ruoli professionali di maggior prestigio istituzionale come quello di archiatra pontificio e quelli in contesti di maggiore innovazione scientifica per lo studio della medicina, come l’ ospedale di S. Spirito in Sassia. Segno evidente questo, di una forza che la tradizione medica aveva acquisito nella Marca Fermana, un prestigio ed un nome tali da rendere apprezzati i medici che da essa si avventuravano nella capitale romana tra Sei e Settecento. Tuttavia, sino ad oggi, sono noti come protagonisti di questo legame medico e scientifico con l’Urbe, soltanto i nomi dei personaggi più celebri, mentre il contesto storico tratteggiato lascia intendere che il fenomeno del flusso di medici da Fermo a Roma tra Sei e Settecento avesse proporzioni ben più ampie, con contorni non ancora adeguatamente noti. Accanto a questi nomi celebri si collocano molte figure minori, medici meno noti per la loro professione, ma che testimoniano la consuetudine di un percorso formativo e professionale, tra la Marca e Roma, ormai ben consolidato in età moderna. Indubbiamente Spezioli ne è sicuramente il modello più alto e fortunato, ma non è certo l’unico. Deduciamo notizie riguardo al flusso di medici tra Fermo e Roma nel Seicento, ancora una volta dalla preziosa documentazione archivistica delle Adunanze dello Studio fermano, conservata presso l’Archivio di Stato di Fermo. Il Collegio Medico fermano in quanto annesso allo Studio controllava la formazione e l’esercizio 194 professionale nel territorio della Marca Fermana ed è evidente che il flusso di medici verso la capitale fosse piuttosto significativo se, tra il 1673 ed il 1675, si trovò costretto a regolamentarne le modalità. Proprio in quegli anni la questione dei medici del Collegio Fermano che si recavano ad esercitare a Roma divenne più urgente da gestire: non a caso il fenomeno si intensificò nella seconda metà del Seicento, proprio dopo l’ascesa romana di medici della Marca, come Tiracorda e Macchiati e poco prima di quella di Spezioli. Già nella prima metà del Seicento il Collegio Medico si trovò a fare i conti con gli inizi di questa positiva diaspora: nel 1653 il medico Alessandro Grana377, dovendo partire per Roma, chiese di essere facilitato nell’assolvere l’obbligo di leggere medicina un anno gratis quale requisito per l’ammissione al collegio; al medico Giulio Capotosti da Montottone il Collegio Medico concesse nel 1655 l’aggregazione senza l’obbligo di lettura per un anno, dal momento che doveva recarsi a Roma378; Francesco Maria Patriarca, lettore che nel 1675 avrebbe sostituito Domenico Pieri nella cattedra di medicina pratica presso lo Studio fermano, nel 1669 chiese di essere aggregato al Collegio Medico senza l’obbligo di lettura per un anno dal momento che doveva recarsi a Roma. Il Collegio, pur concedendo tale dispensa, stabilì che qualora Patriarca avesse desiderato rientrare a Fermo ed ottenere una lettura stipendiata presso l’università fermana, prima avrebbe dovuto assolvere l’obbligo di leggere un anno gratuitamente379. E’ la prima volta che il Collegio Medico accenna ad una regolamentazione per quei medici che, una volta fatta l’esperienza professionale a Roma, decidono di rientrare in patria. Abbiamo già visto, come proprio l’esperienza acquisita nella capitale romana, rappresenterà per Francesco Maria Patriarca un requisito di eleggibilità come sostituto nella cattedra più ambita nella facoltà medica, quella di medicina pratica. La regola introdotta dal Collegio Medico per disciplinare i medici che rientravano a Fermo dopo un periodo di esperienza romana celava 377 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 23 aprile 1653, c. 50r 378 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 12 febbraio 1655, c. 55r e 55v 379 Ivi, Adunanza del 30 aprile 1669, c. 97r. 195 probabilmente un timore fondato: la protesta, più che prevedibile, da parte di quei medici del Collegio che avevano assolto senza alcuna dispensa o agevolazione gli obblighi per l’ammissione e che, magari, avrebbero visto pregiudicata la posizione acquisita all’interno del Collegio e dello Studio, proprio dal rientro di quei medici con esperienza professionale nella capitale romana. Tale tipo di esperienza poteva facilmente diventare requisito per un accesso privilegiato, soprattutto alla carriera di lettore. Che la radice del problema fosse questa lo evidenzia il caso del medico Pietro Mannocchi nel 1672380 ed i provvedimenti che l’Adunanza dello Studio ed il Collegio si trovarono costretti ad adottare per regolamentarlo, cercando di mantenere gli equilibri interni e locali. Nel 1672 Pietro Mannocchi chiese di essere ammesso al Collegio Medico, non soltanto con la dispensa dall’obbligo di lettura gratuita per un anno, ma anche dal sostenere le pubbliche conclusioni finali davanti al Collegio Medico. Ciò perché si trovava già a Roma, precisamente era medico condotto a Palombara Sabina e gli riusciva impossibile assolvere entrambi gli obblighi. In sostanza i medici che avevano già acquisito o stavano per acquisire condotte o altri incarichi a Roma, godevano di notevoli privilegi: venivano ammessi al Collegio Medico fermano senza alcun sforzo ed allo stesso tempo potevano maturare un’esperienza professionale da utilizzare in termini di carriera, al ritorno nella città natale, ma a detrimento degli altri medici rimasti ad esercitare nel territorio. Il coro di proteste che si levò di fronte a tale discriminazione da parte degli altri medici della città e del territorio, annessi al Collegio, doveva essere piuttosto significativo se, nel 1673, l’Adunanza dello Studio decretò che “li Dottori che vorranno andare in offizii condotte in Roma senza adempiere li pesi delle Costitutioni dello Studio lo possino fare come era in uso prima senza passarsi qui e si intendino ammessi nel Collegio ma però colle conditioni susseguenti che effettivamente vadino in Roma e non altrove in offizii et in condotte e perciò debbono mandare in quanto a quelli che vadano a Roma 380 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 9 aprile 1672, c. 112v – 113v. 196 [l’attestazione] del nostro Agente pro tempore in loco del loro arrivo, in quanto poi a quelli che vanno in offizi et in condotte debbono mandare le patenti per farle registrare secondo che ritornando in Patria et volendo mettersi a leggere con il salario debbano prima leggere un anno gratis.. che ogni aggregatione che verrà fatta nel sopradetto si intenderà fatta senza pregiudizio de’ Dottori che attualmente leggessero”381. Alcune riflessioni sulle risoluzioni dell’Adunanza: la prima impressione che si deduce è quella della necessità di regolamentare casi che, da sporadici, stanno diventando sistematici all’interno del Collegio, perché il fenomeno delle partenze dei medici fermani verso Roma è divenuto via via più intenso; la seconda è che si cerchi di porre un freno ad un abuso invalso forse tra i medici: questi con la scusa di andare a Roma, cercavano di eludere gli obblighi necessari per l’ammissione al collegio medico come l’anno di lettura gratis e le pubbliche conclusioni finali, semplicemente millantando un incarico nella capitale romana; forse era diventato così frequente da parte dei medici fermani ottenere qualche incarico professionale a Roma che, era necessario dichiararlo senza attestarlo, perché il Collegio fermano concedesse per le vie brevi l’ammissione, ciò fino a quando il moltiplicarsi dei casi fa emergere il sospetto di abuso; la terza riflessione conferma quanto già evidenziato ovvero la necessità di disciplinare il rientro in patria da Roma dei medici fermani, per evitare discriminazioni rispetto ai medici rimasti a leggere ed esercitare nella Marca Fermana, affinché tale condizione professionale non si tramutasse per questi ultimi in un palese svantaggio. E’ evidente che gli equilibri interni al Collegio Medico, allo Studio e ad al contesto territoriale, erano sicuramente molto delicati e complessi da mantenere. Infine dalla risoluzione dell’Adunanza apprendiamo un dato interessante: l’esistenza di un Agente fermano presso la Città di Roma, una sorta di rappresentanza e longa manus del potere disciplinare formativo e professionale del collegio medico fermano – forse anche dello Studio - nella capitale romana. Il fenomeno del flusso dei medici verso l’Urbe ha ovviamente il suo parallelismo in quello dei giuristi, data l’ampia offerta di 381 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 4 gennaio 1673, c. 115r – 116r. 197 incarichi e uffici ecclesiastici a cui potevano aspirare nella capitale. Conosciamo il nome dell’Agente pro tempore in Roma nel 1704, il fermano Tommaso Spinucci che attesta all’Adunanza dello Studio fermano che Valentino Paccaroni, in quanto dimora a Roma ed esercita presso la Curia, può essere dispensato dall’obbligo della lettura gratuita di un anno presso l’università fermana382. Quindi dalla seconda metà del Seicento, fino alla metà del Settecento il fenomeno del flusso di medici – e giuristi- da Fermo verso Roma si mantiene costante. Il problema del rientro a Fermo dei medici che hanno ottenuto per un periodo incarichi a Roma viene di nuovo affrontato dall’Adunanza dello Studio, due anni dopo, nel 1675383, nel contesto di una riorganizzazione generale dell’università fermana. Qui emerge in tutta chiarezza l’essenza della questione su cui si interroga il Collegio: i medici tornati da Roma, pur vantando un curriculum professionale più ricco, hanno diritto ad ottenere e mantenere una cattedra presso l’università fermana, se non ottemperano l’obbligo di rientrare in città per cominciare a leggere al regolare inizio delle lezioni o almeno nel corso dell’anno e non soltanto durante il periodo delle vacanze? Ed inoltre, questi medici possono essere ammessi come promotori nei dottorati di medicina per il solo fatto di detenere il titolo di una cattedra quando di fatto non leggono nello Studio? Il dubbio di interpretazione è molto sottile: non si tratta soltanto di tutelare privilegi, riservando o meno cattedre a medici fermani che dimorano ed esercitano in Roma, ma di definire quale sia il loro stato giuridico professionale in relazione al territorio di provenienza e rispetto a quello attuale di appartenenza. Per questa ragione ci si chiede se questi medici abbiano o meno il diritto a rivestire un ruolo formale come quello dei promotores durante i dottorati, momento solenne in cui lo Studio, attraverso la formalità della cerimonia pubblica, comunica il proprio potere istituzionale e giuridico. Qual è dunque lo 382 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 1 dicembre 1704, c. 51r. 383 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza dell’ 8 ottobre 1675, c. 132v. 198 status di questi medici che formalmente continuano ad appartenere al collegio professionale del territorio di origine, ma che di fatto svolgono la loro vita professionale – e spesso anche di insegnamento universitario - fuori dal territorio della Marca e in un centro di elezione come la capitale dello Stato Pontificio? La domanda pone l’accento sul rapporto tra i vari centri di potere formativo e professionale nel territorio ecclesiastico in una dinamica estremamente complessa in età moderna che vede, nel caso specifico, l’università fermana -un ‘università minore- relazionarsi e confrontarsi, proprio specificatamente nell’ambito medico, con il maggiore ateneo dello Stato Pontificio: lo Studium Urbis. 3. 2 MEDICI E LETTORI FERMANI ALLO STUDIUM URBIS Tra Seicento e Settecento la presenza dei medici fermani è un nucleo significativo nella capitale romana, soprattutto nel contesto dell’esercizio professionale: le liste che dovevano essere affisse nelle spezierie per individuare i legittimi sottoscrittori delle ricette rappresentano una fonte di dati importante in quanto oltre al nome e cognome del professionista indicano anche luogo d’origine e università frequentata. Da queste liste si deduce che la maggior parte dei medici che esercitano a Roma si sono laureati alla Sapienza; il secondo gruppo più significativo è quello dei medici che si sono laureati nelle università dello Stato Pontificio e tra questi il più numeroso è rappresentato dai medici provenienti dall’Università di Fermo. Il dato si mantiene costante per i primi decenni del Settecento: precisamente dal 1703 al 1723 Fermo è la sede universitaria con il maggior numero di laureati che vanno ad esercitare a Roma, rispetto a Macerata, Perugia, Reggio Emilia, Bologna e Ferrara. Per quanto riguarda la provenienza dalla Marca Fermana dei medici che esercitano a Roma tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, non disponiamo di 199 dati disaggregati, ma soltanto complessivi: sappiamo comunque che nel 1703 su un totale di 123 laureati in medicina a Roma, ben 49 erano nati in altre città dello Stato Pontificio, rapporto che si mantiene stabile anche nel 1715 quando su 78 laureati in medicina presso l’università di Roma, 25 sono nati nello Stato Pontificio. La media dei laureati in medicina presso lo Studium Urbis durante la seconda metà del Seicento è piuttosto bassa e va da un minimo di una unità al massimo di sei unità all’anno384. Come abbiamo già visto nel capitolo precedente la percentuale di laureati in medicina presso lo Studio fermano nella seconda metà del Seicento, precisamente tra il 1650 ed il 1699 rappresenta il 23% del numero complessivo di laureati presso l’università fermana, percentuale che sale al 28% negli anni 17001749 con un trend di crescita significativo negli studi medici, rispetto a quello di altre università dello Stato Pontificio, come Macerata, sede più nota e rinomata per gli studi di diritto385. Quindi gli studi medici si impongono a Fermo tra Sei e Settecento ed i medici fermani si “impongono” a loro volta nella capitale romana, sia come professionisti che come docenti di medicina all’interno dell’Università ed anche in altre istituzioni mediche celebri della città. Ma chi erano i lettori fermani più o meno noti presso lo Studium Urbis tra Sei e Settecento? Proprio agli inizi del Seicento si ha notizia di un tal Magister Angelus Antoninus de Sancto Elpidio386 che legge chirurgia ed anatomia dal 1587 fino al 1615. Ci si è già soffermati nel capitolo precedente sull’importanza degli studi di chirurgia ed 384 Annalia Bonella, La professione medica a Roma tra Sei e Settecento, «Roma moderna e contemporanea, rivista interdisciplinare di storia», 3, 1998, pp. 358 – 359. Le liste di medici abilitati presso il Collegio Professionale romano sono relativi agli anni 1674, 1685, 1703, 1709 e 1712 e sono conservate presso l’Archivio Segreto Vaticano, mentre per l’anno 1723 si rinvengono nella collezione di Bandi II, b. 485 e fondo Università b. 23 dell’ Archivio di Stato di Roma. Per la parte della documentazione dello Studium Urbis conservata presso l’Archivio Segreto del Vaticano si veda Cristina Mantegna, Lo Studium Urbis nei Diversa Cameralia dell’Archivio Segreto Vaticano: nuova edizione di documenti universitari romani (1425 – 1515), Roma, Viella Editrice, 2000, pp. 1-25. 385 G.P. Brizzi, Scienziati e tecnologi marchigiani nel tempo, atti del convegno storico- scientifico, «Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche», 30, 2000, pp. 24-25. 386 Giovanni Panelli, Memorie degli uomini illustri e chiari in medicina del Piceno o sia della Marca di Ancona, cit, vol. 2., p. 229. 200 anatomia a Fermo e nel territorio fermano, pertanto non stupisce di riscontrare tra i lettori della Sapienza, la provenienza a di uno dei primi maestri di queste discipline, proprio dalla Marca Fermana. Dal 1666 al 1674 figura tra i lettori dell’università romana Cesare Macchiati: questi legge filosofia naturale dal 1666 al 1669 e medicina pratica dal 1670 fino al 1674. La carriera universitaria di Cesare Macchiati merita qualche ulteriore dettaglio, utile a comprendere i meccanismi di reclutamento dei lettori presso l’Archiginnasio romano. Macchiati al suo arrivo nell’università romana occupa la cattedra vacante di Demetrio Fallirei in filosofia naturale, lettura molto ambita in quanto considerata l’anticamera dell’ingresso nelle cattedre di medicina. Fallirei era un medico e la lettura di filosofia naturale veniva individuata come lettura di “fisica”. Per tale ragione pervengono numerose richieste per succedere a tale cattedra da diversi personaggi, ma è il medico fermano ad avere la meglio e ciò per una ragione molto chiara: la protezione del cardinale Decio Azzolino junior sul medico fermano che, già dal 1660, è a servizio della Regina Cristina di Svezia. La prima lezione di Macchiati in Sapienza gode di un uditore eccezionale come lo stesso cardinale Azzolino; così racconta Carlo Cartari, avvocato concistoriale dell’università romana: “Prima lectio Macchiati De Lune 16 Junii h. 22, D. Macchiatus habuit primam lectionem in Romana Universitate, de physica”387. Una carriera privilegiata come conferma l’attribuzione nel 1670 della cattedra di medicina pratica con breve papale, vicenda che desta molto rumore tra i medici. Difatti con Breve di papa Clemente IX, datato 4 dicembre 1669, al medico fermano era stata permutata la cattedra di filosofia in medicina pratica ordinaria, confermando la vecchia provvisione. Le proteste degli altri aspiranti non tardarono ad arrivare, al punto che Macchiati è costretto a supplicare il cardinal Altieri di chiudere la causa aperta dai colleghi che hanno impugnato il Breve388. Non era inconsueto che qualche medico del papa o di illustri principi e cardinali, come nel caso di Macchiati, fosse oggetto di un trattamento di privilegio, per favorirne la carriera 387 388 ASRoma, fondo Cartari – Febei, b. 80, c. 46v e 51v. ASRoma, fondo Università, b. 86, c. 439r 201 di lettore all’interno dello Studium Urbis e nel collegio professionale. I motivi delle proteste degli altri aspiranti lettori alla cattedra del Macchiati, si leggono nella relazione allegata al Breve di Papa Clemente X389 e sono sostanzialmente due: il primo riguarda la contestazione di un’effettiva vacanza della cattedra di medicina pratica, il secondo il difetto della volontà espressa dal pontefice nello stesso breve dove non è chiaro se si tratti di una cattedra di medicina pratica ordinaria o extra ordinem. Il primo motivo non sussiste in quanto la vacanza della cattedra per la morte del medico Sinibaldi è più che accertata al punto che lo stesso pontefice avrebbe voluto come lettore in sostituzione del Sinibaldi, un medico “forastiero”, proveniente dall’università di Padova, precisamente il Dr. Giovanni Torre: questi rifiutò la proposta, così fece il medico Curzi, per tale ragione, la scelta finale cadde sul Macchiati, già a servizio presso la corte della Regina Cristina, desideroso di progredire la sua carriera, passando dalla cattedra di filosofia a quella di medicina. Quanto alla seconda motivazione è chiaro che il Breve si riferisca all’attribuzione di una cattedra ordinaria, perché se così non fosse, vi sarebbe stata chiaramente espressa la dicitura extra ordinem, come di norma ii lettori di medicina pratica ordinaria vengono indicati nei calendari a stampa delle lezioni390. Dal tono della risposta è chiara la protezione esercitata dalla Curia papale nei confronti di Macchiati è forte: nella risposta viene menzionato il cardinale Barberini, in riferimento al Macchiati come candidato idoneo a ricoprire la cattedra vacante di medicina pratica, mentre non compare mai il cardinale Azzolino che, di certo, opera tacitamente per la questione, a livello diplomatico ASRoma, fondo Cartari – Febei, busta 65, Copia Brevis Pro Cesare Macchiati Artium et Medicinae Doctore, cc. 122r- 126v. La risposta anonima che riporta la difesa circa la pretesa nullità dello stesso breve da parte degli altri lettori di medicina della Sapienza segue alle cc. 168r-169r. 390 Di fatto la questione dell’attribuzione a Macchiati della cattedra ordinaria o extra ordinem di medicina pratica non è chiara: nel Breve stesso e dalla risposta anonima pare si tratti di una cattedra ordinaria, anche se l’aggettivo non viene chiaramente espresso, né nel Breve, né nei cataloghi stampati, dove invece figura stampata la dicitura extra ordinem negli anni 1670-1674. Si veda ASRoma, fondo Università, b. 213, Elenco dei Cataloghi dei Lettori colla materia delle Scuole e coll’ore tanto mattutine che vespertine loro assegnate dal 1615 al 1790, cataloghi anni 1670 – 1674. 389 202 nella corte pontificia e che raggiunge l’obiettivo, senza troppa pubblicità circa il suo patronage per il medico fermano. Un dato di fatto è il rapporto stretto che si instaura tra il cardinale e il medico fermano, rapporto che ruota intorno alla figura centrale della regina Cristina: ne sono la riprova le lettere spedite dal medico Cesare Macchiati al cardinale Azzolino, durante i viaggi della Regina verso la Svezia negli anni391 1661 – 1668, in cui Cristina fece più volte tappa ad Amburgo. Dalla corrispondenza emerge con chiarezza il legame stretto – e a tratti confidenziale – che esiste tra il cardinale e la sua “creatura”: Macchiati riferisce attraverso le lettere, non solo riguardo allo stato di salute della regina, ma, con dovizia di particolari, su ogni aspetto che riguarda in generale la vita della sovrana in merito a episodi, personaggi che incontra e vicende politiche in cui Cristina è implicata. Macchiati ricoprirà anche il ruolo di Protomedico generale di Roma nel 1674, come figura nel catalogo dei medici romani, pubblicato in appendice all’edizione del 1676 degli Statuti del Collegio Medico392. Era una prassi consueta che l’archiatra pontificio o il medico di un principe illustre ricoprisse al termine della sua carriera – il 1674 è l’ultimo anno in cui Macchiati figura nei cataloghi dei lettori dell’università romana393 -, un ruolo di prestigio come quello del Protomedicato Generale. Ruolo che fu precluso ad un altro celebre lettore fermano di medicina a Roma: il medico Romolo Spezioli. La figura del medico fermano è stata già oggetto di numerosi studi394 e non ci si 391 La corrispondenza tra Cesare Macchiati ed il cardinale Azzolino è stata oggetto di studio in una relazione di Fabiola Zurlini dal titolo The correspondance between the personal physician of the Queen Christina of Sweden Cesare Macchiati and the cardinal Decio Azzolino junior in the Seventeenth century presentata in data 8 aprile 2010, nel contesto del panel “Letters of doctors: Medicine and Epistolary Narrative in Early Modern Italy”, al Congresso Internazionale della Renaissance Society of America, Venezia 8-10 aprile 2010, Università Ca’ Foscari, in corso di pubblicazione. Si veda anche M.L. Rodén, Cesare Macchiati, Queen Christina’s first Italian Physician: the Hamburg Letters, in, Sidereus Nuncius – Stella Polaris. The scientific relations between Italy and Sweden in Early Modern History, a cura di M. Beretta-T. Frängsmyr, Canton, Science History publications, 1997, pp. 37-45. 392 ASRoma, Collezione Statuti, Statuta Collegii D.D. Almae Urbis Medicorum…, Romae ex typographia Rev. Cam. Apostolica, 1676, Nomina et Cognomina DD. Collegii Romani medicorum quorum memoria extat, pp.105 393 Emanuele Conte, I maestri della Sapienza di Roma dal 1513 al 1787: I Rotuli e altre fonti, Roma, nella sede dell’Istituto Palazzo Borromini, 1991, vol. 2., pp. 983 – 1135 “Cattedre e Cariche Universitarie-Indice” (Studi e Fonti per la Storia dell’Università di Roma, Nuova Serie: I), vol. II, p. 1063. Dal 1670 Cesare Macchiati figura nei cataloghi a stampa dei lettori di medicina pratica, appellato col titolo di Magister. 394 Si citano di seguito soltanto gli studi principali: Fabiola Zurlini, Cultura scientifica, formazione e professione medica tra la Marca e Roma nel Seicento, Macerata, EUM, 2009; Fabiola Zurlini, Romolo Spezioli 203 soffermerà in questa sede se non sugli aspetti utili al presente studio: la carriera di Spezioli, rappresenta un modello alto e piuttosto fortunato di percorso formativo e professionale tra la Marca e Roma. Una fortuna dovuta al potere dei suoi mecenati il cardinale Azzolino junior, la Regina Cristina di Svezia ed il papa Alessandro VIII. Di fatto ciascuno dei tre, in maniera differente condizionò positivamente la sua carriera di lettore di medicina presso lo Studium Urbis. Spezioli compare nei cataloghi dei lettori dell’università romana a partire dal 1676, anno in cui figura come lettore di Medicina Pratica Extra Ordinem et Supra Numerum395: congiuntura favorevole per la sua introduzione tra i lettori dello Studium Urbis e presso la corte romana della regina Cristina, è la morte del conterraneo Cesare Macchiati avvenuta nel 1675. Il cardinale Azzolino lo introduce alla corte romana della Regina e questa, presso lo Studium Urbis, facendo pressione attraverso il cardinale Altieri sul pontefice Clemente X, per ottenere una cattedra per il medico fermano396. La carriera di lettore di medicina di Spezioli evolve, ben presto, in maniera positiva: nel 1682, grazie all’influenza della regina, Spezioli non è più un lettore soprannumerario ed avanza nella cattedra rispetto al lettore più anziano Luca Antonio Porzio che resta, invece, nel ruolo di soprannumerario; il medico fermano, inoltre, acquista potere nel corpo accademico tanto da poter favorire nella carriera anche altri medici come Giacomo Sinibaldi, lettore di medicina teorica extra ordinem, sottoscrivendo a suo favore una sorta di polizza in cui si impegna, non appena se ne fosse presentata (Fermo, 1642 – Roma, 1723): un medico fermano nel XVII secolo a Roma, Manziana (RM), Vecchiarelli editore, 2000, Fabiola Zurlini, Un medico fermano alla corte della Regina Cristina: Romolo Spezioli, la sua biblioteca e la cultura delle accademie, in, Cristina di Svezia e la cultura delle Accademie, Atti del Convegno Internazionale, Macerata – Fermo, 22-23 maggio 2003, (a cura di) Diego Poli, pp. 189-201. Si veda anche Vera Nigrisoli Wärnhjelm, Romolo Spezioli, medico di Cristina di Svezia, Stoccolma (Università di Stoccolma, Dipartimento d’italiano, Istituto di francese ed italiano), 1991; Vera Nigrisoli Wärnhjelm, Romolo Spezioli medico di Cristina di Svezia, «Settentrione», n.s, 1994, pp. 25-38. 395 ASRoma, fondo Università, b. 213, c. 49r “Catalogo dei lettori colle materie delle scuole e coll’ore tanto mattutine che vespertine loro assegnate, 1676”, Roma, ex typographia Reverenda Camera Apostolicae, 1676. 396 Fabiola Zurlini, Romolo Spezioli (Fermo, 1642 – Roma, 1723): un medico fermano nel XVII secolo a Roma, cit., pp. 20 - 22. 204 l’occasione in Sapienza, a cedergli il posto, riconoscendone il merito, l’impegno didattico e professionale397. Nel 1690 Spezioli viene nominato archiatra di papa Alessandro VIII, il cardinale veneto Pietro Ottoboni398, già membro insieme al cardinale Azzolino ed alla regina Cristina di Svezia dello “Squadrone Volante”. Tuttavia il riflesso positivo che tale nomina avrebbe dovuto rivestire sulla sua carriera di lettore, appare piuttosto debole, o perlomeno meno forte di quanto solitamente accadeva per i medici di papi: nel catalogo dei lettori della Sapienza stampato nel 1689 - l’unico che si rinviene nella busta 213 del Fondo Università399, come pubblicato in uno degli anni del pontificato di papa Alessandro VIII - Spezioli non figura appellato col titolo di “Medicus segretus N.S.” come è prassi per altri medici di papi, ad esempio per Giovanni Maria Lancisi. Manca nella stessa busta il catalogo dei lettori del 1690, anno in cui Spezioli ricopre il ruolo di archiatra alla corte papale, mentre è presente quello dell’anno 1691, stampato quando già il pontefice era deceduto. Era consueto, inoltre, che l’archiatra del papa venisse automaticamente aggregato al Collegio Medico Romano e nominato protomedico generale, ma ciò non avvenne per Spezioli e ne sono note le ragioni. L’introduzione degli Statuti del Collegio Medico del 1676 aveva modificato il sistema di elezione del protomedico: era stata introdotta la figura del magistrato perpetuo che eleggeva i quattro medici tra cui a turno veniva scelto il protomedico, mentre gli altri tre ricoprivano il ruolo di consiglieri. Questa alternanza aveva garantito una sorta di equilibrio interno al collegio medico, evitando che pur di mantenere la carica, il Protomedico eletto, distribuisse 397 ASRoma, fondo Università, b. 87, t. II (1681 – 1735), cc. 46r-47v, Polizza sottoscritta da Romolo Spezioli per la cessione del ruolo di lettore a Giacomo Sinibaldi, lettore di Medicina Teorica extra ordinem, indirizzata al rettore Buratti. 398 Fabiola Zurlini, Romolo Spezioli, cit., paragrafo IV “Alla corte papale di Alessandro VIII (1689 1691)”, pp. 59-71. Alessandro VIII sale al soglio pontificio il 16 ottobre 1689 fino al 1 febbraio 1691, data della sua morte, all’età di 84 anni. 399 ASRoma, fondo Università, b. 213, c. 63r. 205 patenti di medicina e chirurgia in maniera interessata – e dissennata! – al fine di assicurarsi un numero di voti certi, per essere rieletto. Quando Spezioli nel 1690 viene nominato archiatra papale, chiaramente mira ad innalzare il suo ruolo nel collegio medico, fino alla carica di Protomedico ma si imbatte nella rigidità del sistema imposto dai nuovi Statuti del 1676. A nulla valse la missiva che inviò al Cardinal Albani, il 14 novembre 1690400, per cercare di ottenere la carica di Protomedico: l’Albani401 rispose che Spezioli, per poter ricevere la nomina di Protomedico in qualità di archiatra del pontefice, avrebbe dovuto ottenere molte deroghe, sulla base dello Statuto vigente e che questo non era molto conveniente, conoscendo le ambizioni e la competitività dei medici del collegio che, vedendosi così scavalcati, non appena fosse cessata la protezione del pontefice si sarebbero vendicati sul piano professionale. Nel momento in cui Spezioli scrive al cardinal Albani la carica di Protomedico era ricoperta da Giovan Battista Trulli, a cui sarebbe successo nel gennaio del 1691 Luca Tomassini. La vicenda rende bene l’idea del potere elitario di cui godeva il collegio medico, un potere tale da mettere in discussione, anche i “desiderata” della Curia Pontificia, pur di mantenere le posizioni acquisite. Di fatto Spezioli continuerà a leggere medicina practica extraordinem, ininterrottamente presso lo Studium Urbis dal 1676 al 1722, fino ad un anno prima della morte avvenuta a Roma il 25 maggio 1723. Negli ultimi anni di insegnamento si avvarrà di coadiutori nel sostenere le fatiche della lettura: per tre anni – dal 1704 al 1705, il medico Giambattista Scaramuccia di Lapedona figura nei cataloghi stampati dei lettori come suo assistente, mentre dal 1706 fino al 1720 il ruolo di suo coadiutore verrà svolto dal medico Michelangelo De Paoli da Pisa ed infine dal 1721 al 1722 dal medico Francesco Soldati, uno degli allievi di Giovanni Maria Lancisi. AS Vaticano, Secreteria Brevium Diversorum, vol. 1816, cc. 297r – 300r, Lettera all’Ill.mo Eminentissimo e Rev.mo sig. cardinale Albani per Romolo Spezioli, 14 novembre 1690, c. 298r. 401 AS Vaticano, Secreteria Brevium Diversorum, vol. 1816, cc. 301r-304v, Risposta del cardinale Albani alla richiesta di Romolo Spezioli. 206 400 Tra i suoi collaboratori di cattedra, Spezioli nomina Giambattista Scaramuccia402, medico originario di Lapedona, uno dei castelli della Marca Fermana, che si era addottorato in medicina e filosofia presso lo studio fermano il 13 gennaio del 1674403. Quando Scaramuccia nel 1704 figura come coadiutore di Spezioli nella cattedra di medicina pratica, ha già dato alle stampe diverse opere: il De motu et circuitu sanguinis impresso a Fermo, presso De Montibus nel 1677, i Theoremata Familiaria, stampati ad Urbino nel 1695, mentre ricopre l’incarico di protomedico generale, e nel 1697, sempre ad Urbino, pubblica l’ opuscolo Meditationes familiares ad clarissimum et Sapientissimum virum Antonium Magliabechium .. in Epistolam ei Conscriptam de Sceleto elephantino a Wilhelmo Ernesto Tentzelio. Quest’ultima opera è espressione dei contatti scientifici che Scaramuccia coltivava con gli esponenti della medicina colta sia nella penisola - è dedicata al celebre bibliotecario Antonio Magliabechi - che in Europa. Il caso commentato nell’opuscolo rinvia al ritrovamento nel 1645 nei pressi del villaggio di Ehrfurt di uno scheletro di proporzioni gigantesche, portato alla luce alla presenza del principe di Sassonia, ritrovamento intorno al quale lo storico ducale sassone Wilhelm Ernst Tentzel scrive l’epistola indirizzata sempre al Magliabechi. Scaramuccia sostiene l’ipotesi dello storico sassone circa il ritrovamento ovvero che si tratti di ossa animalia, vere e proprie ossa antiche pietrificate e non di ossa mineralia, ovvero pietre a forma di ossa casualmente prodotte dalle esalazioni della terra. In tal modo Scaramuccia dimostra di essere al corrente degli esiti più recenti della storia naturale404 e di essere sedotto sul piano scientifico dai fenomeni del mondo sotterraneo, a cui non è estraneo lo stesso Spezioli. 402 Sulla figura di Giambattista Scaramuccia si vedano: G. Panelli, Memorie degli uomini illustri e chiari in medicina del Piceno o sia della Marca di Ancona, cit., vol. 2, pp. 328 – 331; G. Natalucci, Medici insigni italiani, antichi moderni e contemporanei nati nelle Marche, cit, pp. 109-110. Il contributo più interessante ai nostri fini è di Olivio Galeazzi, Subterranea Phenomena, medicina e storia naturale in G.B. Scaramuccia (1650 – 1710), in, Medicina e salute nelle Marche dal Rinascimento all’età napoleonica, atti del convegno, Ancona – Recanati, 28-30 maggio 1992, Ancona, Deputazione di Storia Patria per le Marche, 1994, vol. 1, pp. 153 – 161. 403 G.P. Brizzi, L’antica Università di Fermo, cit., p. 158, n. 2096. 404 G. Panelli, Memorie degli uomini illustri.., cit., vol. 2, p. 331. G. Panelli lo ascrive tra i soci dell’Accademia Leopoldina, Naturae Curiosorum, la prima e più importante accademia medico-scientifica del XVII secolo in Europa. 207 La biblioteca del medico fermano annovera moltissimi esemplari di opere di storia naturale tra cui quelle del gesuita Athanasius Kircher autore del volume Mundus subterraneus, stampato ad Amsterdam nel 1678405. I legami tra Spezioli ed i Gesuiti406 sono noti e non è escluso che la scelta di un coadiutore come Scaramuccia sia stata dettata da più ragioni: oltre alla comune origine “marchiana”, non va esclusa l’originalità sul piano scientifico di Scaramuccia, medico colto ed aperto alla comunità scientifica italiana ed europea, pur vivendo nella provincia ecclesiastica. La venuta nella capitale romana e l’inserimento tra i lettori dello Studium Urbis, poteva rappresentare per Scaramuccia un’occasione per consolidare da vicino quei contatti che aveva mantenuto, solo in via epistolare, con personaggi di rilievo della comunità medico-scientifica come Giovanni Maria Lancisi ed anche un momento formativo di grande prestigio sul piano professionale. Un’opportunità che Spezioli offre volentieri al conterraneo in cui probabilmente ravvisa caratteri di modernità scientifica che potevano trovare ulteriore possibilità di sviluppo nel contesto culturale e scientifico della capitale. Un cenno a parte merita la figura del medico fermano Domenico Mistichelli. Benché non figuri tra i lettori di medicina dell’Università di Roma, Mistichelli è un esempio interessante di percorso professionale tra la Marca Fermana e Roma nel Seicento. Mistichelli si laurea in medicina e filosofia presso lo Studio fermano il 7 aprile 1698407 . Il 27 ottobre408 di quello stesso anno chiede al Collegio dei medici di Fermo di poter leggere presso l’università fermana un anno gratuitamente, quale condizione per poter essere ammesso nel collegio stesso. Ma il 16 marzo del 1699, quando ancora non ha completato l’anno di lettura Si veda Nicoletta Morello, Nel corpo della terra. Il geocosmo di Athanasius Kircher, in, Athanasius Kircher: il Museo del Mondo, Roma, Palazzo Venezia, 28 febbraio – 22 aprile 2001, catalogo della mostra ( a cura di) Eugenio Lo Sardo, Roma, edizioni De Luca, 2001, pp. 179 – 196. 406 Si veda F. Zurlini, Cultura scientifica, formazione e professione medica tra la Marca e Roma nel Seicento, paragr. IV “Spezioli e le congregazioni religiose degli oratoriani e dei gesuiti”, pp. 46 – 63. Spezioli nel testamento del 25 novembre 1722 nomina erede universale il collegio dei Gesuiti di Fermo. 407 G. P. Brizzi, L’antica università di Fermo, cit., p. 170 408 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 27 ottobre 1698, c. 36r. 208 405 gratis presso l’università fermana, rivolge al Collegio la richiesta di essere dispensato dalle funzioni che gli restano per essere ammesso, “dovendo andare a Roma per esercitarsi in Medicina”409. Cosa significhino esattamente queste parole lo si comprende dalla documentazione rinvenuta presso l’archivio di stato di Roma. Dalle biografie che lo riguardano, sappiamo che Mistichelli410 fosse particolarmente dedito agli studi anatomici ed allo studio del cervello e le sue scoperte circa il “fluido nerveo” furono citate nelle opere di illustri anatomici del tempo411. Ma chi furono i suoi maestri di anatomia e dove apprese tale arte, ad oggi non è noto nelle biografie edite. Nel capitolo precedente, si è già visto come la pratica anatomica a Fermo, pur non essendo formalmente inserita come disciplina nei calendari accademici, veniva comunque eseguita. E’ probabile che Mistichelli apprese i rudimenti in patria e che, particolarmente interessato ad approfondire gli studi anatomici, decise di recarsi a Roma, dove le possibilità formative sarebbero state senza dubbio più ampie. Lo furono sicuramente se il 30 gennaio 1702 Mistichelli è medico assistente dell’ ospedale di S. Maria della Consolazione di Roma e presso il teatro anatomico dello stesso ospedale impartisce lezioni anatomiche del corpo umano, con l’autorizzazione del rettore della Sapienza412. L’ospedale di S. Maria della Consolazione si distinse nel contesto degli ospedali romani del sei-settecento per una sua particolare 409 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 16 marzo 1699, c. 37v. 410 Si vedano G. Panelli, Memorie degli uomini illustri e chiari in medicina del Piceno, vol. 2., pp. 336-342, G. Natalucci, Medici insigni italiani antichi, moderni e contemporanei nati nelle Marche, p. 60. 411 Si veda l’opera di Desnoues Guillaume, Lettres de G. Descoues, professour d’anatomie, & de chirurgie, de l’académie de Bologne et mr. Guglielmini, professeur de medicine & de mathematiques à Padoue, de l’académie royale des sciences et d’autres savans sur differentes nouvellese découvertes. A Rome, chez Antoine Rossi, imprimeur, 1706. ASRoma, fondo Università, b. 271, n. 175, Invito nel Teatro Anatomico del Ven. Archiospedale della Santissima Consolazione di Roma, con l’approvazione dell’Illustrissimo signor Rettore della Sapienza, Domenico Mistichelli, assistente, del detto luogo darrà principio alle Lezzioni Anatomiche del Corpo Umano il dì [30 gennaro alle ore 21], In Roma, nella Stamperia della Reverenda Camera Apostolica, 1701. Si precisa che a causa dell’inaccessibilità di una parte del fondo Università, conservato presso l’Archivio di Stato di Roma, non è stato possibile consultare le buste della serie sesta ed ottava relative, rispettivamente sia all’anatomia che all’orto botanico presso l’università romana. Tale lacuna non ha consentito di evidenziare, soprattutto per quanto concerne gli studi anatomici le possibili interazioni tra la Sapienza ed istituzioni diverse attive nei secoli XVII-XVIII nella città di Roma. 209 412 vocazione alla pratica chirurgica, considerata nell’ambito degli studi medici, come abbiamo già visto una pratica minore. L’ospedale era nato invece, proprio per dare specifico ricovero agli uomini ed alle donne con ferite e traumi; nel 1600, grazie all’intervento del cardinale Giacomo Cozza, aveva ampliato i suoi locali, includendovi una spezieria ed un teatro anatomico. Il fatto che il documento – si tratta di un invito ad assistere alle lezioni anatomiche – si ritrovi nel materiale del fondo “Università” dell’archivio di stato di Roma, lascia intendere che, a tali lezioni partecipassero anche autorità, lettori e studenti dell’università romana, considerando che nelle cronache dell’epoca, l’ ospedale di S. Maria della Consolazione veniva indicato come all’avanguardia per lo studio della pratica chirurgica ed anatomica413. Dopo l’esperienza romana Mistichelli tornerà nella terra natale, esercitando la professione sia ad Ancona che a Macerata, forte di un bagaglio professionale e didattico, maturato nella capitale romana che gli consentirà sempre una posizione di privilegio nel contesto locale. L’ultima figura illustre tra i lettori fermani di medicina dei secoli XVII-XVIII presso l’università romana è Pietro Assalti, noto per i suoi rapporti col celebre medico Giovanni Maria Lancisi. Originario di Acquaviva Picena dove nacque nel 1690, Assalti benché nei cataloghi a stampa dei lettori dell’università romana figuri appellato come “Magister Petrus Assaltus Firmanus”,414 non risulta laureatosi presso l’università fermana, dove si addottorarono invece altri membri della sua nobile famiglia come Bartomoleo Assalti415 che, nel 1731, ottenne la laurea in medicina e filosofia. Le biografie edite riportano invece che, visto le sue Ridolfino Venuti, Accurata e succinta descrizione topografica e istorica di Roma Moderna, Roma, C. Barbiellini, 1763, pp. 349 – 350. Si veda anche Maura Piccialuti, La carità come metodo di governo: istituzioni caritative a Roma dal pontificato di Innocenzo XII a quello di Benedetto XIV, Torino, Giappichelli, 1994, pp. 25-26. 414 Acquaviva Picena fin dal 1341 era passata sotto l’influenza della città di Fermo di cui rappresentava il presidio in terra nemica. Infatti sul piano architettonico Acquaviva è sede di una maestosa fortezza trecentesca che fu conquistata dai fermani, proprio per gli interessi che questi nutrivano nei confronti di quel territorio. La fortezza fu ricostruita nel Quattrocento da Giovan Francesco Azzolino ed il direttore dei lavori fu l’architetto fiorentino Baccio Pontelli. Di fatto la sorte di Acquaviva fu legata a quella della Marca Fermana fino all’Unità d’Italia. Per tale ragione Pietro Assalti, originario di Acquaviva, viene appellato “firmanus”. Si veda Domenico Raccamadori, Notizie istoriche della città di Fermo, cit., p. 214. 415 G. P. Brizzi, L’ antica università di Fermo, cit., p. 183. 210 413 particolari inclinazioni per gli studi classici e per l’apprendimento della lingua greca e latina, la famiglia lo inviò presso il Collegio dei Gesuiti di Fermo dove completò gli studi di retorica e filosofia. Trasferitosi poi a Roma per compiere studi giuridici, per le sue non comuni doti intellettuali ed il vasto sapere conquistato in giovane età, fu chiamato ad essere bibliotecario della Vaticana. Successivamente per la competenza acquisita in diversi ambiti disciplinari soprattutto quello della storia naturale- fu chiamato ad insegnare presso l’università romana. Dal 1709 al 1717 fu lettore dei semplici presso l’ orto botanico dello Studium Urbis, nel 1719 di chirurgia ed anatomia, dal 1720 al 1725 di medicina teorica, per arrivare nel 1726 a ricoprire la cattedra più ambita di medicina pratica che manterrà fino al 1727. Dalla Biblioteca Vaticana all’Archiginnasio Romano, ciò che segnò la vita culturale e scientifica di Pietro Assalti416 fu l’amicizia con Giovanni Maria Lancisi: è probabile che i due si incontrarono nel periodo in cui Lancisi aveva ricoperto l’incarico di archiatra di papa Clemente XI. Assalti curò l’edizione dell’ Opera Omnia di Lancisi edita nel 1718 e fu l’autore delle note alla Metallotheca del medico e naturalista Michele Mercati, chiamato nel XVI secolo da Pio V a Roma per dirigere il Giardino dei Semplici. L’opera manoscritta di Mercati fu edita postuma da Giovanni Maria Lancisi e Pietro Assalti nel 1717 e nel 1719; in essa il Mercati non solo descrive una straordinaria collezione di minerali e fossili a cui aveva dato vita durante il suo incarico al Giardino dei Semplici, ma espone anche le sue teorie sull’origine dei fossili. Nonostante entrambi le edizioni rechino in primo piano il nome di Giovanni Maria Lancisi, l’opera è frutto soprattutto del lavoro di Assalti che, negli anni trascorsi presso la Biblioteca Vaticana, aveva maturato una profonda competenza e conoscenza della storia naturale. 416 Pietro Assalti in una lettera al celebre medico Giambattista Morgagni descrive l’autopsia eseguita sul corpo del Lancisi, morto nel 1720. Insieme all’Assalti, altro celebre allievo di Lancisi fu Francesco Soldati che coadiuvò Romolo Spezioli nella sua cattedra di medicina pratica allo Studium Urbis negli anni 1721 – 1722. Si veda Emanuele Conte, I maestri della Sapienza di Rma dal 1513 al 1787: I Rotuli e altre fonti, Roma, nella sede dell’Istituto Palazzo Borromini, 1991, vol. 2., pp. 1063-1064. 211 Pietro Assalti è l’ultimo lettore di fama di origine fermana che figura nei cataloghi dei lettori dell’università romana per il periodo di nostro interesse: l’ultimo suo anno di insegnamento come lettore di medicina pratica, sembra essere il 1727417. Assalti chiude un ciclo di particolare fortuna e splendore per i medici fermani presso l’università romana tra Sei e Settecento418. Dopo aver incontrato i lettori fermani di medicina, il passo successivo è analizzare il curriculum formativo di uno studente di medicina presso l’ateneo romano, ma prima meritano qualche riflessione di ordine generale le carriere dei lettori fermani: il conferimento della cattedra è la conseguenza di una posizione di forza nel contesto dei rapporti tra lo Studium Urbis, la curia papale e personaggi come cardinali, principi e nobili più o meno influenti nel determinare le sorti di questo o quel medico nel contesto universitario romano. Ciò non significa, tuttavia, che nei criteri di eleggibilità, la stessa curia papale non tenesse conto della qualità della formazione medica e scientifica degli aspiranti: non a caso papa Alessandro VII quando è in cerca di un lettore di medicina che sostituisca il medico Sinibaldi, avanza la richiesta di un medico proveniente dall’ università di Padova, considerata, fin dal Medioevo, uno dei centri di eccellenza a livello europeo, per lo studio della medicina e dell’anatomia. La carriera di lettore presso la Sapienza per i medici fermani inizia, grazie a personaggi come il cardinale Decio Azzolino junior, la Regina Cristina di Svezia e trova ulteriore sviluppo e prestigio, se raggiunge la carica più ambita dai medici che, in quel contesto, è quella di archiatra pontificio: una chiave di accesso unica ad una posizione di potere all’interno del collegio medico romano, la nomina di archiatra è requisito fondamentale per ottenere la carica di Protomedico 417 Si veda Emanuele Conte, I maestri della Sapienza di Rma dal 1513 al 1787: I Rotuli e altre fonti, cit., vol. 2., p. 1064. Va evidenziato che nei secoli XVII e XVIII la circolazione dei lettori da Fermo verso l’università romana non riguardò soltanto la medicina ma anche altre discipline come la teologia e lo studio del diritto: nel 1662 Padre Giovanni Battista De Nisi dall’ordine dei minori conventuali di Montegranaro era lettore di teologia alla Sapienza, mentre Flaminio Vigoriti di Fermo fu lettore di materie giuridiche dal 1675 al 1698, rappresentando in coincidenza con la presenza di Romolo Spezioli come lettore di medicina pratica, il secondo fermano con maggiore continuità tra i lettori dell’università romana. E. Conte, I maestri della Sapienza di Roma dal 1513 al 1787, cit., vol. 2., p. 1101. 212 418 Generale, ma ciò solo prima della riforma degli statuti del collegio medico nel 1676, come abbiamo già visto. Il legame con la Curia papale, in maniera diretta nel caso degli archiatri o indiretta nel caso di medici a servizio di personaggi ad essa strettamente legati, come cardinali e nobili, resta l’elemento determinante per garantire la carriera anche all’interno dell’università romana che, soprattutto in un periodo come quello della Controriforma, deve essere espressione nell’ambito medico e scientifico- del sapere “ortodosso”. Secondo questa prospettiva, è chiaro che la Curia pontificia eserciti un controllo piuttosto stretto su un ‘istituzione formativa come l’ università e sulle figure che in essa ricoprono ruoli strategici, soprattutto nelle cattedre di ambito medico. Sul piano formativo è chiara la motivazione per cui i medici fermani scelgono la capitale dopo i primi studi in medicina presso l’università fermana: il contesto della capitale è in grado di offrire un’offerta formativa, ampia e variegata, che non si esaurisce tra le mura dello Studium Urbis, ma che vede, nella rete ospedaliera, nella Curia papale, nelle case di nobili e prelati, nelle corti di principi e sovrani, nella partecipazione alle accademie ed ai circoli scientifici, molteplici opportunità per perfezionare la propria preparazione teorica e pratica. Come abbiamo già visto nel capitolo precedente, è il contesto nel suo insieme ad avere un potenziale formativo elevato, proprio per la professione medica419. L’ospedale di S. Maria della Consolazione a Roma in cui Domenico Mistichelli impartisce lezioni di anatomia è, di fatto, una struttura specializzata nelle cure chirurgiche e quindi nello studio anatomico. Una struttura impensabile da immaginare in un contesto limitato come quello della Marca Fermana nel Seicento. Ed è chiaro che Mistichelli soddisfi le sue esigenze formative professionali, recandosi nella capitale. Si veda L. Brockliss, Medical Education and Centres of Excellence in Eighteenth- century Europe: Towards an Identification, in, Ole Peter Grell, Andrew Cunningham and Jon Arrizabalaga (edited by), Centre of Medical Excellence? Medical Travel and Education in Europe, 1500 – 1789, Farnham-Burlington, Ashgate, 2010 ( The History of Medicine in Context), pp. 17-46. 419 213 Sul piano scientifico dal confronto tra le carriere di questi medici di origine fermana emerge un dato interessante: la conoscenza della filosofia e della storia naturale come carattere di modernità nella loro formazione e come requisito importante nel determinare la loro carriera. Macchiati inizia a leggere in Sapienza nel 1666, ricoprendo la cattedra di filosofia naturale, considerata l’anticamera di quella di medicina; ciò proprio per l’importanza che la filosofia naturale stava assumendo nel secolo successivo a quello delle grandi scoperte geografiche, nella conoscenza del mondo naturale, delle droghe medicinali del Nuovo Mondo e di quegli stessi processi naturali che erano propri anche della medicina nell’osservazione del fenomeno patologico e nella classificazione della sua “serialità”. Nel Seicento, ritroviamo fra i medici420 e farmacisti i più grandi ideatori di Gabinetti di storia naturale e delle Wunderkammern – le cosiddette Camere delle Meraviglie in cui collezionare oggetti esotici, esemplari rari del mondo della flora, fauna e minerale, spesso con caratteri di novità ed eccezionalità morfologica - nel tentativo di ricreare nei loro musei, i “Teatri del mondo” in cui riportare anche i fenomeni straordinari ad una classificazione razionale e contenere un mondo che, in seguito alle scoperte geografiche, appariva sempre più vasto ed ignoto421. Giambattista Scaramuccia che coadiuva Romolo Spezioli nella cattedra di medicina pratica negli anni 1704 e 1705, è forse Basta citare Ulisse Aldrovandi a Bologna, Ferrante Imperato farmacista a Napoli, Francesco Calzolari farmacista a Verona e lo stesso Michele Mercati, direttore dell’ orto botanico Vaticano. Si evidenzia che la libreria del medico fermano Romolo Spezioli presenta raccolte bibliografiche particolarmente ricche di opere di storia naturale degli autori sopracitati, in cui si descrivono accuratamente i loro musei ed i gabinetti naturali. Si veda F. Zurlini, Romolo Spezioli un medico fermano nel XVII secolo a Roma, cit., pp. 83 – 209. 421 Sull’ argomento si vedano in particolare gli studi editi da Paula Findlen, Possessing nature: museums, collecting, and scientific culture in Early Modern Italy, Berkeley, University of California, 1994 ; Paula Findlen, The formation of a scientific community: natural history in Sixteenth century Italy, in, Natural Particulars: Nature and the Disciplines in Renaissance Europe edited by Anthony Grafton and Nancy Siraisi, Cambridge Massachusetts, The Mitt Press, 1999, pp. 369 – 400. Si veda anche Marta Cavazza, Orti Botanici, Teatri Anatomici, Osservatori Astronomici, Musei e Gabinetti Scientifici, in, G.P. Brizzi e Jacques Verger (a cura di), Le università dell’Europa. Le scuole ed i maestri. L’età moderna, Trieste, Ras, 1995, vol. 5., pp. 76- 82. 420 214 l’ unico dei medici della Marca Fermana a far parte di un circuito scientifico nazionale ed internazionale, in cui è inserito proprio per i suoi interessi legati alla storia naturale, aspetto che lo rende un medico con caratteri di modernità, in grado di attirare l’attenzione di Spezioli. Ed è chiaro che Roma, nel Seicento, rappresenti per Giambattista Scaramuccia, un contesto assai stimolante, sul piano degli studi naturalistici, basta pensare alla presenza dell’Accademia dei Lincei, alle collezioni vaticane e del Collegio Romano. Per non parlare di Pietro Assalti che, proprio grazie ai suoi studi naturalistici nel contesto della Biblioteca e del Giardino dei Semplici del Vaticano, riceve la nomina come lettore dei semplici e poi di anatomia e medicina. E’ evidente che la storia naturale conferisca aspetti e contenuti di modernità alla formazione del medico. Un altro aspetto su cui riflettere riguarda la ricaduta pratica della formazione universitaria sull’esercizio professionale, aspetto che viene documentato indirettamente dalle stesse riforme professionali che, spesso in un gioco speculare, il collegio medico romano assume di riflesso ai canoni, secondo cui veniva strutturata la stessa formazione universitaria. A questo punto si rende necessario esaminare l’articolazione e la struttura dell’insegnamento medico presso l’università romana e soprattutto la sua evoluzione tra il Seicento ed i primi decenni del Settecento, tenendo conto delle riforme che i pontefici operarono, per favorire la crescita generale dell’ateneo. 3.3 STUDIARE MEDICINA ALLA SAPIENZA: CURRICULA E CONTENUTI DELL’INSEGNAMENTO MEDICO La ricostruzione del curriculum formativo di un aspirante medico tra Sei e Settecento presso lo Studium Urbis, non appare di facile articolazione, sia per sia per la scarsità di bibliografia edita sull’argomento, che per la frammentarietà della documentazione archivistica a disposizione. A ciò è da aggiungere la 215 mutevolezza del quadro di riforme ed ordinamenti che i pontefici operarono nel XVII secolo e le varie pressioni in risposta delle quali tali provvedimenti furono adottati: da un lato la necessità di garantire una formazione adeguata agli studenti di medicina che consentisse all’Ateneo romano di essere concorrenziale rispetto ad altri più noti – come Padova e Bologna - , dall’altro quella di evitare il moltiplicarsi delle cattedre solo per motivi clientelari, facendo i conti anche con la situazione economica non particolarmente florida dello Studium. Non ultimo circa la frequenza degli studenti e l’assiduità dei lettori nel svolgere il loro ruolo, va considerato il fenomeno della diffusione delle lezioni private anche nell’ateneo romano, pratica che, nel Seicento, accomunava grandi e piccoli università. Nonostante queste difficoltà, lo studio della documentazione conservata nel fondo Università dell’Archivio di Stato di Roma, ci consente di ricostruire, almeno nelle linee generali, il curriculum ed i contenuti dell’insegnamento medico nel Seicento presso l’ università romana. Nella prima metà del Seicento l’insegnamento medico è articolato in quattro cattedre: medicina pratica, medicina teorica, chirurgia ed anatomia e lettura dei Semplici422. Due sono i lettori di medicina pratica vespertina che leggono “nell’istessa materia e nell’istessa hora” analogamente a due lettori di medicina teorica mattutina. A questi lettori ordinari se ne aggiunge uno straordinario mattutino, mentre le letture di chirurgia ed anatomia e quelle dei semplici sono vespertine423. Nel 1656 Alessandro VII riformò il numero delle cattedre: per quanto riguarda la medicina, aggiunse due letture di medicina straordinaria, una di pratica vespertina ed una di teorica mattutina. Inoltre lo stesso papa nel 1660 si prodigò, affinché l’ università romana avesse un proprio orto botanico indipendente da quello 422 ASRoma, fondo Università, b. 83, Ordinamenti e Riforme, Nota delle letture della Sapienza da 70 o 80 anni innanzi all’anno 1662, c. 86r – 87v. 423 E’ possibile dedurre anche le provvisioni dei lettori di medicina. Si veda ASRoma, fondo Università, b. 83, Rotulus Lecturarum Archigymnasij Romani anno 1673 SS.mi D. Clementi X papa auctoritate conferita, c. 121r – 123r. A c. 123r: “ Primo Medico Prattico, scudi 500, Secondo Medico Prattico scudi 500, Primo Medico Teorico scudi 350, Secondo Medico Teorico scudi 150, Medico Straordinario scudi 100, Anatomisti scudi 190, Semplici scudi 130”. 216 Vaticano, dove poter tenere le letture e le ostensioni dei semplici. L’esistenza della lettura dei semplici è più antica e precede l’istituzione stessa dell’orto botanico, ma l’intervento di Alessandro VII ebbe il merito di consolidare l’importanza della cattedra nel curriculum medico. Le lezioni dei semplici già si tenevano in Sapienza, solitamente alla mattina dei giorni vacanti e festivi, secondo i calendari stabiliti; successivamente alla dotazione di un orto botanico, Giacomo Sinibaldi unì le lezioni dei semplici alla sua cattedra di anatomia e chirurgia. Agli inizi le ostensioni dei semplici furono tenute dai religiosi francescani di S. Pietro in Montorio ai quali era affidato il compito di custodire l’orto che ricevevano, per tale opera di mantenimento, una provvisione annua di cinquantacinque scudi. Nel 1679 papa Innocenzo XI tolse tale incarico ai religiosi e lo conferì a Giambattista Trionfetti424 – originario di Bologna - che nel 1681 occupò la cattedra dei Semplici lasciata libera da Sinibaldi, passato a quella di medicina. Trionfetti mantenne la cattedra per ben trent’anni, favorendo lo sviluppo del Giardino dei semplici – ubicato sul Gianicolo nella zona prospiciente il fontanone dell’Acqua Paola-, con piante esotiche e rare, senza tralasciare la coltivazione di quelle native. Trionfetti pubblicò numerose opere di botanica425 e fu in corrispondenza con illustri studiosi dell’epoca, rendendo celebre l’ orto botanico dell’università romana in tutta Europa426. Questo, grazie all’attività didattica e scientifica di Trionfetti427, divenne una struttura didattica 424 Filippo Maria Renazzi, Storia dell’università degli studi di Roma, Roma, nella stamperia Pagliarini, 1805, vol. 3., p. 192. 425 Trionfetti è autore di diverse opere di botanica tra cui Observationes de ortu, ac vegetatione plantarum cum novarum stiripium historia iconibus illustrata, stampata a Roma nel 1685 in cui attacca la teoria di Malpighi sulla formazione del vivente nell’uovo animale e nei semi delle piante. Egli entrò a piena voce nel dibattito della generazione spontanea che vedeva protagonisti, nel secolo XVII, insieme al Malpighi anche Francesco Redi. Al Trionfetti morto a Roma nel 1708, successe nella lettura dei semplici, come abbiamo già visto, nel 1709 il fermano Pietro Assalti. 426 ASRoma, fondo Università, b. 83, Ordinamenti e Riforme, Discorso del Rettore della Sapienza sopra del quale il 19 luglio fu tenuta la prima Congregatione deputata dal papa dei cardinali camerlenghi… per dividere le cattedre dell’università in tre classi, diminuire il numero di alcune, li 29 luglio 1701, cc. 199r – 214v. A c. 209r: “[Trionfetti] con tutto che abbia benissimo concorsi alle sue ostensioni e con le sue stampe e corrispondenze abbia reso celebre il suo nome e quello della Sapienza a tutta l’Europa, commemorato già nell’opere di dodici o quattordici autori classici dekk’anno 1682 in qua perché spende et affatica nelle quotidiane lettioni dalli mesi di maggio, giugno, luglio non delli scudi emolumenti delle quali seimila che scudi 180..”. 427 Nella busta 66 del fondo Cartari-Febei, conservato presso l’Archivio di Stato di Roma si leggono a c. 306r interessanti enunciati teorici circa l’importanza e l’utilità dello studio della botanica per quello della 217 che concorse fortemente all’ eccellenza dell’ ateneo romano, contribuendo anche all’importanza ed allo sviluppo dello studio della botanica e della storia naturale, nel contesto della formazione medica. La necessità di saper distinguere e conoscere esattamente le piante e le loro virtù medicinali, attraverso la definizione di una corretta nomenclatura428 era un’esigenza conoscitiva emersa con l’umanesimo “medico”: tra Quattrocento e Cinquecento, grazie alla riscoperta filologica dei testi originali greci di Teofrasto e Dioscoride e nel Seicento, con le nuove specie vegetali che provenivano dal Nuovo Mondo, tale bisogno conoscitivo si avverte come indispensabile per la medicina pratica. L’impulso a consolidare gli studi di botanica per la formazione medica venne anche dalla necessità dei medici di affrancarsi degli speziali detentori, da sempre, di una vera e propria egemonia sul mondo delle piante medicinali ed in grado, per questo, di condizionare fortemente l’intervento terapeutico del medico. Le proprietà delle piante medicinali potevano essere benefiche o estremamente nocive per l’uomo e per tale ragione era indispensabile per un medico imparare a conoscerle con precisione, per padroneggiarne al meglio l’uso terapeutico. Il fiorire degli orti botanici, spesso accanto alle università, come nel caso dell’ateneo romano, documenta l’ evoluzione non solo della disciplina botanica in sé che conobbe nella penisola italiana – anche per ovvie condizioni geografiche – una particolare fortuna, ma anche parallelamente quella della medicina pratica che, nel Seicento, si impone con particolare forza, diventando la disciplina cardine dei curricula medici. La conoscenza della botanica ma anche la conoscenza della storia naturale, rappresentava per il medico un punto di forza medicina, datati 1 giugno 1679, lo stesso anno in cui Trionfetti iniziò a leggere i Semplici presso l’Orto Botanico dell’Università di Roma. I teoremi sono anonimi, ma non è da escludere una possibile attribuzione alle lezioni di Trionfetti. Si trascrivono di seguito, per il loro interesse didattico che merita ulteriore approfondimento: “Theoremata Phytologica. I. Botanica est facultas edocens herbarum nomina synonima specie sel virtute. II. Herbarum exacta cognitio est Medicinae Practicae necessaria. III Duplex datura in herbis processus, unus per proprietates manifestas, alter per proprietates occultas. IV Proprietates occultae sunt manifestes potentiores quae sine phytologico ductu absolute non inotescunt”. 428 Si veda a proposito l’intramontabile saggio di Paolo Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Bari, Laterza, 2004, alle pp. 275 -284 in cui il problema della ricerca tra Sei e Settecento di una “lingua per descrivere la natura” che caratterizza la tassonomia botanica e zoologica viene messa in relazione con la ricerca di un linguaggio universale e con il più ampio problema filosofico della classificazione. 218 nell’ acquisizione delle sue competenze terapeutiche. Per tale ragione era piuttosto comune nel secolo XVII l’abbinamento di giardini dei semplici con i musei di storia naturale, grazie a degli edifici, realizzati all’interno degli orti botanici per ospitare collezioni naturalistiche composte da naturalia (reperti naturali di origine minerale, animale e vegetale), insieme ad artificialia (oggetti artistici o etnografici) e mirabilia (oggetti esotici, curiosi e mostruosi)429. La botanica così come l’anatomia e la chirurgia non potevano essere insegnate agli aspiranti medici, soltanto sui libri, ma sul piano didattico avevano come comun denominatore la necessità di avvalersi di strutture dove poter garantire agli studenti l’acquisizione di una preparazione pratica, concretamente utile sul piano professionale. E abbiamo già visto, come la presenza di strutture integrative alla facoltà come orti botanici, teatri anatomici e gabinetti di storia naturale, rappresentino tra Seicento e Settecento, oltre ad un aspetto di eccellenza, anche il segno tangibile di un insegnamento medico aperto ai caratteri della modernità430. Ad ulteriore conferma di ciò, per quanto concerne l’ateneo romano, già all’inizio del XVII secolo, compare tra gli insegnamenti della facoltà medica, anche la matematica e – da far notare sul piano didattico-, su esplicita richiesta degli stessi studenti che, nel 1630, ne evidenziano la necessità e l’utilità per gli studi medici431. Ma perché la matematica, già agli inizi del Seicento, è così necessaria agli studenti di medicina? Non va dimenticato che il XVII secolo segnò in medicina l’avvento della iatromeccanica che, mutuando dalle scienze fisiche la centralità del modellomacchina, lo applica allo studio degli organismi viventi ed in particolare del corpo umano. Tale applicazione si deve, innanzitutto, al filosofo e matematico 429Si veda n. 54, Marta Cavazza, Orti Botanici, Teatri Anatomici, Osservatori Astronomici, Musei e Gabinetti Scientifici, cit., p. 81. 430 Si veda n 54. 431 ASRoma, fondo Università, b.83, Ordinamenti e Riforme, Supplica dei Scolari di medicina, perché si dia lezione anche di Mattematica, come necessario alla medicina”, c. 40r: “Li scolari di Medicina della Sapienza, essendo già quattr’anni che non hanno lettione di Mathematica, cosa tanto necessaria alla Medicina, supplica humilmente la Santità Vostra a voler ordinar al Rettor di studio che si legga chè del tutto si riceverà per gratia di Vostra Beatitudine”. 219 René Descartes, uno dei primi sostenitori, tra l’altro, della circolazione del sangue, di cui offre una spiegazione differente da Harvey, proprio nell’opera Traité de l’Homme composta tra il 1632 ed il 1633432. La iatromeccanica433 rispondeva a principi di fisiologia meccanicistica, secondo cui il moto muscolare, il funzionamento dei visceri, la circolazione dei fluidi che scorrono nel corpo attraverso canali, sono tutti descrivibili e dimostrabili mediante modelli matematici. La matematica diventa quindi il linguaggio indispensabile per descrivere e studiare il corpo umano e tradurne il funzionamento, in modelli misurabili. La piena diffusione dei principi iatromeccanici si avrà nella metà del Seicento, ma l’influenza delle teorie cartesiane sullo studio del corpo umano, risale, come abbiamo visto, ai primi decenni del XVII secolo. La supplica degli studenti di medicina della Sapienza per avere “nuovamente” l’insegnamento di matematica, è motivata dal fatto che la disciplina non si praticava più da quattro anni: segno che questa figurava, già negli anni precedenti, nel piano degli insegnamenti e che, probabilmente, per mancanza di lettori era stata tralasciata. L’esigenza didattica espressa dagli studenti testimonia come la circolazione delle recenti teorie scientifiche non soltanto avvenga anche all’interno dell’università romana -vista per la sua natura istituzionale come la roccaforte del sapere tradizionale sotto la vigilanza diretta del pontefice-, ma diventi anche fattore di influenza sulle possibili scelte didattiche: il bisogno di incrementare la presenza e Antonio Clericuzio, La macchina del mondo: teorie e pratiche scientifiche dal Rinascimento a Newton, Roma, Carocci editore, 2005, pp. 329-336. 433 Il maggiore esponente della iatromeccanica in Italia fu lo scienziato Giovanni Alfonso Borelli, (Napoli, 28 gennaio 1608 – Roma, 31 dicembre 1679) autore della celebre opera De motu animalium, pubblicata postuma a Roma in due volumi nel 1680. Fu accademico del Cimento, lettore di matematica a Pisa e a Messina. La spiegazione meccanicistica della vita animale che illustra nel De motu animalium, è fondata su una sintesi della scienza cartesiana e galileiana. Borelli dal 1674 a Roma fu uno scienziato della corte della Regina Cristina, così come Descartes fu chiamato dalla sovrana alla corte di Stoccolma ove morì nel 1650. Si veda Gianni Iacovelli, Giovanni Alfonso Borelli medico alla corte di Cristina di Svezia, in, Cristina di Svezia, scienza ed alchimia nella Roma Barocca, Bari, edizioni Dedalo, 1990, pp. 187 – 205. Vasta la bibliografia sulla figura del matematico e scienziato galileiano Giovanni Alfonso Borrelli di cui si evidenziano nel nostro caso: Howard B. Adelmann, La prima epistola di Marcello Malpighi sui polmoni: la sua base sperimentale e l’influenza di Giovanni Alfonso Borelli sulla sua produzione, Padova, Università degli studi di Padova, 1961; Luigi Belloni, Giovanni Alfonso Borelli and the mechanistic concept of the living body, Munich, J. F. Lehmanns, 1971, Ugo Baldini, Giovanni Alfonso Borelli e la rivoluzione scientifica, Firenze, Olschki, 1974; Luigi Ingaliso, La tradizione iatromeccanica nel De motu animalium di Giovanni Alfonso Borelli, Catania, Centrografico, 2007. 220 432 la frequenza degli studenti presso l’università romana, fa sì che per soddisfare le esigenze didattiche espresse, le loro richieste non restino sempre inascoltate434. E’ certo che nel 1685 la cattedra di matematica della Sapienza fu assegnata a Vitale Giordano da Bitonto, matematico amico di Giovanni Alfonso Borelli, che nel 1667 era già stato al servizio della corte della Regina Cristina. Vitale Giordano insegnò matematica a personaggi illustri tra cui Giovanni Maria Lancisi435 e fu membro, insieme al Borelli, della celebre Accademia FisicoMatematica, fondata a Roma nel 1677 dal cardinale Giovanni Giustino Ciampini436. Alessandro Pascoli437, lettore di medicina alla Sapienza nei primi decenni del Settecento rappresentò uno dei principali esponenti della medicina razionalista che applicava la filosofia cartesiana alla medicina. Secondo Pascoli, l’esercizio della geometria e dell’algebra era indispensabile per acquisire la padronanza delle dimostrazioni necessarie alla logica. Nella formazione del medico Pascoli considerava l’anatomia sapere indispensabile per conoscere la materia del corpo umano e la metafisica, disciplina la cui conoscenza era necessaria per avere una precisa cognizione della mente umana e delle proposizioni universali, riproponendo in questo suo paradigma formativo, il tipico dualismo cartesiano tra spirito e materia. E’ assodato che lo studio della matematica rappresenta, alla fine del Seicento, un dato ormai acquisito nella formazione di base del medico. 434 ASRoma, fondo Cartari – Febei, b. 66, cc. 340r – 348v. Si veda n. 64, cc. 347r – 348v “Nota de’ discepoli viventi e più cogniti in Roma i quali hanno studiato le Mathematiche da Vitale Giordani da Bitonto la maggior parte de’ quali si trovano presentemente in Roma”. 436 Maria Pia Donato, Accademie romane, una storia sociale, 1671-1824, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2000, pp. 35 e seg. 437 Alessandro Pascoli (Perugia, 1669 – Roma, 1757) laureatosi in medicina e filosofia presso l’università di Perugia, vi insegnò dal 1691 fino al 1707 quando si trasferì a Roma, come medico di papa Clemente XI ed ottenne la lettura di medicina alla Sapienza. La sua formazione fu il risultato dell’incontro di diversi personaggi illustri della scienza del tempo: a Firenze apprese l’esercizio dell’anatomia presso l’Ospedale di S. Maria Nuova, frequentò la scuola di Francesco Redi, mentre a Perugia grazie al celebre matematico Francesco Neri acquisì le dottrine cartesiane. E’ autore di opere di medicina, di logica ed algebra e di anatomia. Si veda Regina Lupi, Gli Studia del papa: nuova cultura e tentativi di riforma tra Sei e Settecento, Firenze, Centro editoriale toscano, 2005, pp. 250-253. 221 435 Un quadro chiaro della struttura complessiva della formazione medica presso l’ateneo romano viene offerto da una relazione438 anonima databile al secolo XVII – l’autore439 è sicuramente un lettore di medicina dello stesso ateneo e lo si deduce in maniera chiara dal testo stesso- scritta in risposta alla possibilità di istituire in Sapienza la lettura di Istituzioni Mediche. Ciò rende molto probabile la datazione della relazione alla seconda metà del Seicento quando, una volta consolidati da tempo gli insegnamenti tradizionali nel piano di studi medici, si tenta di inserire una nuova lettura, quella di Istituzioni Mediche – una sorta di corso ristretto e compendiato di medicina-, in risposta al bisogno degli studenti di medicina di abbreviare l’impegno della loro frequenza ai corsi. La relazione descrive dettagliatamente il piano di studi medici che alla Sapienza si adotta in quel momento. Le parti integranti della formazione medica sono due: la teorica e la pratica e per padroneggiarle entrambi occorrono almeno tre anni di lezioni. Sia la cattedra di medicina pratica che quella di medicina teorica sono articolate in successive divisioni ovvero in trattati – argomenti di corso- che si succedono nelle tre annualità. Per la medicina teorica i trattati insegnati comprendono “tutto ciò che teoricamente possa instituire un medico”440: il primo anno la Prima Fen di Avicenna, il secondo anno l’Ars medicinalis di Galeno, il terzo anno gli Aphorismi di Ippocrate. Per la medicina pratica sono: il primo anno De Morbis Capitis, il secondo De morbis thoracis e il terzo De febribus. Dato che i trattati non esaurivano tutti i possibili argomenti da affrontare nella medicina teorica e pratica, non era infrequente l’aggiungersi di altri lettori che approfondivano altri ASRoma, fondo Università, b. 61, fascicolo 8, Raggioni contro l’opinione che s’aggiunga in Sapienza un altro Lettore che legga solo l’Istitutioni Mediche, cc. 268r – 273v. 439 Si veda ASRoma, fondo Università, b. 83, Discorso del Rettore della Sapienza per dividere le cattedre dell’università in tre classi, c. 206r. L’autore in tutta probabilità è Paolo Manfredi (Camaiore, 1640 – Roma, 1716) lettore straordinario di medicina teorica nel 1663 e poi ordinario di anatomia e chirurgia dal 1668 presso l’ateneo romano. Nel 1682 ottenne la cattedra ordinaria di medicina teorica che mantenne ininterrottamente fino all’ anno della morte nel 1715. Manfredi era entrato a far parte del Collegio Medico Romano dove ebbe diversi incarichi tra cui quello di magistrato perpetuo poi di tesoriere e camerlengo. Fu nominato protomedico nel 1699 e nel 1703. E’ noto per i suoi studi sulla medicina infusoria per gli studi sulla trasfusione ed anche sugli organi di senso. Si veda la voce “Manfredi Paolo”, in, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto Treccani per l’Enciclopedia Italiana, 2007, vol. 68, consultabile nella versione on-line all’indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/paolomanfredi_(Dizionario-Biografico). 440 Si veda n. 64, c. 269v. 222 438 trattati, avendo ciò come conseguenza diretta il moltiplicarsi delle cattedre, spesso solo per favorire l’ingresso in Sapienza di qualche lettore. Alessandro VII riformò anche le cattedre di medicina e cercando di mettere ordine, affinché non aumentassero di numero senza controllo, istituì i lettori di medicina straordinari, uno per la medicina teorica ed uno per la pratica, assegnando a ciascuno per ogni annualità gli argomenti da trattare. Per il lettore di medicina teorica straordinaria, gli argomenti da approfondire nelle tre annualità erano i seguenti: il primo anno De pulsibus, il secondo De urinis, il terzo De prognosticis, argomenti in realtà già ricompresi nel corso teorico dell’Ars Medicinalis di Galeno ma che necessitavano, per la loro importanza, di un approfondimento didattico che il tempo a disposizione del lettore ordinario non rendeva possibile. Al lettore di medicina pratica straordinaria per il primo anno viene assegnato il trattato De morbis infimis ventris, per il secondo il De morbis mulierum e per il terzo l’ Epidemion Liber di Ippocrate. La durata delle lezioni da frequentare per un triennio era calcolata sulla base di quella minima richiesta per acquisire una conoscenza adeguata delle discipline mediche. Molti autori di medicina ed a volte gli stessi lettori, per scopi didattici di sintesi, compendiavano gli argomenti illustrati durante le lezioni in corsi ristretti di Istituzioni Mediche. Questi non potevano assolutamente sostituire la frequenza del corso completo della durata di tre anni, ma avevano l’unica finalità di costituire strumenti per il ripasso della materia. Era prassi, ad esempio, che gli stessi lettori di medicina che impartivano lezioni private a casa, facilitassero lo studio attraverso la redazione di questi compendi, che avevano una finalità puramente didattica. Tuttavia gli studenti al fine di evitare di dover frequentare i corsi per l’intero triennio e cercando di abbreviare i tempi per raggiungere il dottorato, chiedevano l’inserimento tra le letture, anche di quella di Istituzioni Mediche per la quale era prevista una durata breve, solo di alcuni mesi. Il Collegio Medico romano, proprio per evitare abusi di questo genere aveva vietato il conseguimento del 223 dottorato da parte di coloro che non avessero frequentato le lezioni di medicina in un pubblico studio almeno per due anni. Alla richiesta, quindi, di attivare in Sapienza la lettura di Istituzioni Mediche nella suddetta relazione si risponde negativamente “per servitio del pubblico, per utile dei Giovani, per onore della Sapienza. Per ben del publico perché così vengono meglio istruiti li medici, per utile dei giovani perché in questa forma non restano solo infarinati delle materie necessarie ma lo studiano e lo sentono con più fondamento. Per decoro della Sapienza .. restando in questa forma obligata la Gioventù per sentire tutte le materie a frequentare la Sapienza per tre anni ne risulta la popolazione studentesca più numerosa.. ”441. La preoccupazione da cui discende al risposta negativa è duplice: da un lato assicurare un livello di formazione e di conoscenze adeguato, dall’altro garantire la frequenza degli studenti di medicina di tutti e tre gli anni di corso alla Sapienza. A queste due motivazione se ne può aggiungere una terza: data già la numerosa presenza di lettori ordinari e straordinari di medicina pratica e teorica, un’ulteriore aggiunta di cattedre non solo risultava economicamente dispendiosa per l’ateneo, ma avrebbe ingenerato anche la resistenza degli altri lettori. Il moltiplicarsi delle cattedre comportava l’assottigliamento delle provvisioni di ciascun lettore, dovendosi dividere per un numero maggiore di insegnanti, il monte complessivo di scudi assegnato alla facoltà medica per il compenso dei docenti442. Il fatto che si tollerasse la pratica invalsa delle lezioni private di Istituzioni Mediche – spesso tenute nelle case dei nobili dagli stessi lettori di medicina della Sapienza -, non doveva rappresentare la premessa per legittimare un tale abuso anche formalmente, all’interno del piano di studio universitario. La cattedra di Istituzioni Mediche troverà fortuna presso le facoltà mediche, solo più tardi nel Settecento inoltrato, ma per ragioni completamente diverse: il tentativo di superare la divisione troppo accentuata tra medicina pratica e medica teorica che aveva dato vita nel tempo a due articolazioni del sapere medico, incapaci di comunicare tra loro, a discapito della Si veda n. 64, c. 271v – 272r. Si veda n. 64, c. 273v: “Sì che non è necessario multiplicare lectores sine necessitate, quando ciò sarebbe con pregiuditio dei Lettori Ordinarj o necessarij scarnendosi con la moltiplicatione dei lettori superflui le dovute e inevitate provissioni dei Lettori utili o necessarij. Il che è stato e sarà sempre la ruina, lo scandalo et il mal servitio della Sapienza di Roma”. 224 441 442 corretta formazione degli studenti di medicina. La divisione del sapere medico in due parti così nette veniva sentita come innaturale ed estranea rispetto alla medicina antica e fu in questa prospettiva che le riforme universitarie, improntate ad uno spirito di unitarietà del sapere medico, introdussero nel piano di studio anche la cattedra di Istituzioni Mediche. Nel primissimo Settecento il quadro generale dell’articolazione dell’insegnamento medico delineato dalla suddetta relazione, non presenta sostanziali mutamenti: nel 1701 le cattedre di medicina sono ancora in tutto sei. Le due cattedre ordinarie di medicina pratica sono occupate, rispettivamente da Giovan Battista Trulli e Luca Tozzi, le altre due di medicina teorica da Paolo Manfredi443 e Giacomo Sinibaldi. La cattedra straordinaria di medicina pratica è affidata a Romolo Spezioli e quella straordinaria di medicina teorica al celebre Giovanni Maria Lancisi che aveva già ricoperto l’incarico di lettore di anatomia. La nomina di due lettori straordinari, viene ritenuta comunque necessaria, affinché in caso di assenza di uno dei due lettori “per essere uno di essi o medico segreto del papa (Lancisi) o indisposto (Spezioli) o occupato in cure indispensabili l’uno suol supplire l’altro”444 . Né potevano essere tacciati come superflui i quattro lettori ordinari di medicina pratica e teorica che leggevano ciascuno, trattati diversi, per ogni annualità del triennio di corso. Assolutamente indispensabili ed uniche appaiono le cattedre di chirurgia ed anatomia e della lettura dei semplici. La prima era occupata dal 1695 da Giorgio Baglivi, mentre quella dei Semplici da GianBattista Trionfetti. Interessante è la questione che pone Giovanni Maria Lancisi circa i requisiti di idoneità che debba possedere l’aspirante lettore alla cattedra straordinaria di medicina teorica: se debba essere puramente un chirurgo o un medico con studio e pratica di anatomia. Prevale la tesi secondo cui solo un lettore medico ed esperto di anatomia è in grado di mostrare agli studenti con competenza come curare le varie parti del corpo, unendo al sapere medico ASRoma, fondo Università, b. 83, Discorso del Rettore della Sapienza per dividere le cattedre dell’università in tre classi, 444 Si veda n. 71, c. 205v. 225 443 teorico la conoscenza anatomica, cosa che un semplice chirurgo non avrebbe potuto fare. La tradizione anatomica dell’ateneo romano, applicata allo studio dei fenomeni patologici (in maniera anacronistica si potrebbe alludere all’ anatomia patologica) era un’altra di quelle caratteristiche d’eccellenza che contribuiva alla fama dell’università romana nel contesto europeo. La tradizione anatomica dell’università romana risaliva ai secoli precedenti. Già negli Statuti del 1531, al cap. 64 De Anathomia facienda445 si prevedeva che per aumentare le conoscenze dei medici, ogni volta che il Protomedico l’avesse giudicato necessario, dovevano eseguirsi pubblicamente dissezioni anatomiche a scopo didattico nel luogo e nel tempo conveniente. A queste dissezioni assistevano anche chirurghi e flebotomi, ma previo pagamento di tassa al collegio medico. La dissezione anatomica avveniva secondo regole ben precise: oltre ai permessi richiesti al Cardinale Vicario, era necessario chiedere al governatore la disponibilità di un cadavere – si trattava in genere di cadaveri di ebrei uccisi o di giustiziati-, bisognava adeguatamente preparare il luogo prescelto per la dissezione con strumenti, suffumigi, spugne ecc –mentre era il Collegio Medico ad individuare i protagonisti della dissezione ovvero il lettore – poteva essere anche più d’uno -, l’ostensore e l’incisore. Gli Statuti del 1676 confermano, senza alcuna variazione, le prescrizioni relative all’esercizio dell’anatomia446 degli statuti del 1531, inserendo tuttavia, a favore dei lettori dell’ateneo romano, una clausola di esclusione dal pagamento di multe per l’esercizio della dissezione anatomica di cadaveri umani ed animali, senza autorizzazione delle autorità competenti. La clausola la dice lunga sulla frequenza con cui avvenivano queste dissezioni anatomiche, tenute spesso a scopo didattico privato, ad opera degli stessi lettori di anatomia e chirurgia della Sapienza. Fausto Garofalo, Contributo storico allo studio dell’insegnamento dell’ Anatomia alla Sapienza (documenti d’archivio), Roma, EMES, 1950, estr. da “Humana studia:bollettino bimestrale dell'Istituto di Storia della medicina dell'Università di Roma”, serie 2., anno 2, fasc. 1, 1950, pp. 3-4. 445 Statuta Collegii D.D. Almae Urbis Medicorum, Romae, ex typographia Reverenda Camera Apostolica, 1676, De Anatome exercenda, cap. LI, pp. 78-79. 226 446 Sul luogo deputato alle dissezioni anatomiche non si hanno notizie certe. E’ probabile che il collegio medico romano, in assenza di un proprio teatro anatomico, utilizzasse inizialmente le sale incisorie di ospedali come il S. Giacomo o l’ospedale della Consolazione – abbiamo visto come il medico fermano Domenico Mistichelli nel 1702 vi tenesse ancora pubbliche lezioni di anatomia – e del S. Spirito. Il primo nucleo del teatro anatomico della Sapienza in tutta probabilità, risale alla meta del secolo XVI, quando la lettura di anatomia fu affidata al medico sanseverinate Bartolomeo Eustachi447. Questi, oltre al permesso di sezionare cadaveri presso l’ ospedale della Consolazione e del Santo Spirito, ottenne anche quello di avere a disposizione per le lezioni di anatomia, un locale a pianterreno della Sapienza. Forse questo è da considerarsi il primo nucleo di un teatro anatomico dell’università romana; è stato anche ipotizzato che di questo primo teatro anatomico, vi sia una documentazione iconografica nella vignetta incisa sul frontespizio delle Tavole di Bartolomeo Eustachi, edite Bartolomeo Eustachi (San Severino Marche, 1500 o 1510? – Fossombrone, 1574) apprese i rudimenti della professione medica dal padre Magister Marianus Medicus che lo introdusse nella corte urbinate. Nel 1547 divenne medico personale di Giulio III Della Rovere, eletto cardinale da papa Paolo III che si trasferì a Roma, portandolo con sé. Il suo nome compare nei Rotuli dei lettori della Sapienza tra il 1555 ed il 1568. Nelle sue lezioni di anatomia l’Eustachi era coadiuvato dall’allievo Pier Matteo Pini che aveva portato con sé da Urbino. Fu autore di numerose opere di argomento anatomico tra cui la più celebre è rappresentata dalle Tavole anatomiche. Nel 1567 per motivi di salute cessò la sua attività d’insegnante, tornando ad Urbino ad esercitare la professione medica. Morì nel 1574 mentre si era recato a Fossombrone a far visita al cardinale Della Rovere malato. Si veda. M. Muccillo, voce “Eustachi Bartolomeo”, in, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto Treccani per l’Enciclopedia Italiana, 1993, vol. 43, versione on-line, consultabile all’indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/bartolomeo-eustachi_(Dizionario_Biografico)/ Si vedano: Gaetano Petrioli, Riflessioni anatomiche sulle note di monsignor Gio. Maria Lancisi fatte sopra le tavole del celebre Bartolomeo Eustachio ... Di Gaetano Petrioli ... colla vita esatta del medesimo Eustachio, non prima d'ora da altro autore data alla luce, In Roma, nella stamperia di Giovanni Zempel presso Monte Giordano, 1740; G. Panelli, Memorie degli uomini illustri e chiari del Piceno o sia della Marca di Ancona, cit., vol. 2., pp. 156-189; Camillo Maggioli, Brevi cenni della vita e delle opere di Bartolomeo Eustachi, Comune di Sanseverino Marche, 2000 (rist. anast. dell’edizione stampata a S. Severino Marche, Tipografia Comunale, 1886). Il medico fermano Romolo Spezioli scrive su richiesta dell’avvocato concistoriale Carlo Cartari che sta componendo l’opera De Atheneo Romano una breve biografia del medico “marchiano” Bartolomeo Eustachi. Si veda Fabiola Zurlini, Cultura scientifica, formazione e professione medica tra la Marca e Roma nel Seicento…,Macerata, EUM, 2009, pp. 31-37. Sull’insegnamento dell’anatomia presso lo Studium Urbis nel XVI secolo ed il ruolo di Bartolomeo Eustachi si veda Andrea Carlino, La fabbrica del corpo: libri e dissezione nel Rinascimento, Torino, Einaudi, 1994, pp. 68 – 132. 447 227 da Paolo Giunchi a Roma nel 1783448. Ad oggi questa resta solo un’ipotesi. Ciò che è certo invece e che si deduce dalla documentazione d’archivio è che, i lavori di restauro del vecchio teatro anatomico, avviati sotto il pontificato di Innocenzo XI (1678 – 1689), su impulso del suo medico personale Giovanni Maria Lancisi, lettore della Sapienza e celebre anatomista, furono completati nel 1688, data desunta dalle ricevute di pagamento dei tre maestri falegnami e dall’ispezione sui lavori finiti, compiuta dall’architetto Giovanni Battista Contini. Da questa documentazione si apprende con certezza l’ ubicazione del teatro anatomico a pianterreno del Palazzo della Sapienza, verso la strada dei Canestrari. Le lezioni di anatomia nel nuovo teatro, come documenta una notificazione del 1689449, si svolgevano in genere, a partire dal primo lunedì di Quaresima. L’incarico di lettore di anatomia e chirurgia fu affidato fino al 1695 a Giovanni Maria Lancisi a cui successe un altro nome illustre dell’anatomia come Giorgio Baglivi450: anche quest’ultimo iniziò le sue lezioni nel nuovo teatro Anatomico il primo lunedì di Quaresima dell’anno 1700. Le lezioni di anatomia erano molto frequentate dagli studenti di medicina che ne riconoscevano l’importanza e la necessità per la loro formazione. Difatti non sono rare le suppliche inoltrate dagli studenti alle autorità competenti, per essere ammessi alle lezioni, vista l’elevata frequenza ed i pochi posti disponibili o affinché il Rettore garantisse la disponibilità di cadaveri 448 Bartolomeo Eustachi, Bartholomaei Eustachii anatomici summi Romanae archetypae tabulae anatomicae novis explicationibus illustratae ab Andrea Maximino Romano .., Romae, ex typographia Pauli Junchi, 1783. La vignetta calcografica opera di Pietro Leone Ghezzi (1674 -1755) compare sul frontespizio dell’opera. Nel cartiglio visibile al centro della vignetta si leggono il nome di Eustachi lettore di anatomia nel 1561. La pubblicazione delle Tavole a cui è rimasta legata la fama di Bartolomeo Eustachi si deve all’impegno di Giovanni Maria Lancisi che le recuperò, grazie all’indicazione di Marcello Malpighi, fra le carte del canonico Andrea De’ Rossi, pronipote di Pier Matteo Pini a cui l’Eustachi aveva lasciato in eredità tutte le sue carte. Le Tavole furono acquistate nel 1712, per 600 scudi, da parte di papa Clemente XI e pubblicate, per la prima volta, a Roma nel 1714, in occasione dell'inaugurazione della Biblioteca dell'ospedale di S. Spirito. Si veda anche Adalberto Pazzini, Le tavole anatomiche di Bartolomeo Eustachio [introduzione e commento storico di Adalberto Pazzini], Roma, organizzazione editoriale tipografica, 1944. 449 ASRoma, fondo Università, b. 69, Notificatione, In Roma, nella stamperia della Reverenda Camera Apostolica, 1689. 450 Giorgio Baglivi (1668 – 1707) era stato allievo di Malpighi e fu docente a Roma di chirurgia ed anatomia dal 1692 e di medicina teorica dal 1701. Mario Santoro, Due lettere inedite di Filippo Hequet a Giorgio Baglivi, in, Mario Santoro, Scritti Medici, cit., pp. 113 – 127. 228 per le lezioni anatomiche, intervenendo sul Governatore nel fissare le date delle esecuzioni di condanne a morte, in maniera favorevole al calendario delle lezioni anatomiche. Suppliche che documentano la chiara consapevolezza da parte degli studenti della centralità, rivestita dallo studio dell’anatomia per l’esercizio della professione medica451. Accanto al teatro anatomico, come nuova struttura didattica, merita un cenno anche la realizzazione della Biblioteca Alessandrina: i lavori furono terminati nel 1669 e fu aperta al pubblico nel 1670. Il progetto della biblioteca si deve al Borromini452 che aveva già realizzato nel complesso dell’edificio universitario, la celebre chiesa di S. Ivo alla Sapienza453. La sala della biblioteca, denominata “Alessandrina” in onore del committente papa Alessandro VII, fu realizzata sia con finalità didattiche che, per esigenze architettoniche di completamento dell’edificio. Nel secolo delle biblioteche che vede proprio a Roma una straordinaria fioritura di magnifiche sale di studio come la biblioteca del Collegio Romano, del cardinale Francesco Barberini, del duca d’Altemps e di molti altri personaggi illustri, la mancanza di una struttura così importante per il funzionamento e la crescita dell’ateneo, veniva evidenziata con particolare forza dall’avvocato concistoriale Carlo Cartari. Fu questi a suggerire l’idea della biblioteca al pontefice e ad accompagnare il Borromini in visita a diverse biblioteche romane nel corso del 1665, affinché avesse modo di documentarsi sulla soluzione migliore da progettare per la biblioteca della Sapienza454. Borromini aveva già lavorato tra il 1637 ed il 1650 alla biblioteca dei Padri Filippini di S. Maria in Vallicella ma la realizzazione della biblioteca alessandrina si prospettava in maniera molto più complessa. Ciò perché l’esigenza pratica ASRoma, fondo Università, b. 69, Supplica dei giovani studenti di medicina al Rettore della Sapienza Pier Francesco Rossi, 1696. Gli studenti chiedono al Rettore di farsi carico dinanzi al Governatore dell’istanza di rinvio dell’esecuzione di qualche condannato fissata prima di Natale, allo scopo di assicurare il cadavere occorrente per la successiva lezione anatomica. Cfr. n. 78, p. 4. 452 Si veda Aldo Mastroianni, Il Borromini alla Sapienza, in, Roma e lo Studium Urbis: spazio urbano e cultura dal quattro al seicento, atti del convegno, Roma, 7-10 giugno 1989, (a cura di) Paolo Cherubini, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientale-Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, 1989, pp. 87 – 95. 453 Fiorenza Rangoni, S. Ivo alla Sapienza e lo Studium Urbis, Roma, Istituto Nazionale di Studi Romani, 1989. 454 Si veda n. 85, p. 21. 229 451 della realizzazione di una sala studio in Sapienza, derivava dalla necessità di provvedere ad un sostegno statico alla cappella realizzata dal Borromini; fu per tale ragione che si decise di sfruttare parte dello spazio, risultante dalla costruzione della facciata posteriore del palazzo. A differenza della biblioteca civica fermana che poté vantare, fin dalla sua origine, una raccolta bibliografica come quello del medico Spezioli, specificatamente dedicata agli studenti di medicina, la biblioteca alessandrina455 acquisì come fondo iniziale quello donato da papa Alessandro VII, composto dai manoscritti e libri romani di Mons. Pansani, vescovo di Mileto, dai duplicati dei libri della libreria del pontefice, da fondi della biblioteca vaticana e via via da altre collezioni librarie provenienti da istituti religiosi. Non si tratta, fin dal suo nascere, come nel caso fermano di una biblioteca specificatamente destinata agli studi medici, ma era, pur sempre, una struttura a disposizione dei lettori e degli studenti anche di medicina dell’ università, che andava ad arricchire ed ampliare gli strumenti formativi di cui disponeva l’ateneo. L’esercizio professionale della medicina tra Seicento e Settecento fu regolato da diverse riforme operate dai pontefici e da provvedimenti adottati dal Collegio Medico romano, fino a tracciare un contesto istituzionale complesso di cui ci occuperemo a breve. Prima di entrare in questa nuova pagina di storia della formazione medica dell’ateneo romano, è bene soffermarsi a riflettere sullo stato della formazione medica presso l’università romana, così come è emerso dalle pagine precedenti, visto sia al suo interno rispetto alle altre facoltà, sia all’esterno in relazione al contesto istituzionale e culturale della Roma secentesca e di altre città ed università europee. Il potenziamento degli studi anatomici grazie al restauro del teatro anatomico nel 1688, lo sviluppo della botanica, grazie alla dotazione, specificamente destinata 455 Si veda Giovanni, Rita, I manoscritti 236-450 dell'Alessandrina di Roma : prolegomeni alla storia di una biblioteca, Roma, Bulzoni, 2003. 230 nel 1660 all’ università romana di un orto botanico, ubicato sul Gianicolo e la realizzazione della nuova Biblioteca Alessandrina, aperta al pubblico nel 1670, testimoniano una fioritura dell’ateneo romano nel Seicento- che contrasta con l’immagine di decadenza che spesso gli viene attribuita sul finire del secolo456. La contrazione della presenza studentesca è un dato che accomuna nel XVII secolo, diverse università dello stato pontificio e di altri stati italiani, pertanto non è un dato in sé sufficiente ad indicare la decadenza dell’ateneo, piuttosto va considerato come un aspetto da mettere in relazione con la generale crisi economica e sociale del secolo. Per quanto riguarda le altre cause addotte alla base della decadenza dell’ateneo romano, si parla, a proposito del Seicento, anche della pratica perniciosa delle lezioni private che concorrono alla diminuzione della presenza studentesca nelle aule universitarie. In realtà nel secolo XVII il fenomeno delle lezioni private è piuttosto diffuso ovunque nelle università457 e lo abbiamo riscontrato nel capitolo precedente anche presso l’università fermana. In un primo momento il fenomeno viene anche legittimato dallo stesso ateneo, visto che erano gli stessi lettori incaricati dall’università di tenere lezioni pubbliche a incrementare la pratica delle lezioni private. Ma la legittimazione, oltre a rispondere alla necessità di controllare più da vicino un fenomeno che se abbandonato completamente alla pratica abusiva poteva solo dilagare con più rapidità e con maggior danno, deriva anche dal particolare rapporto che intercorre tra élite nobiliare ed università: nel Seicento quando la professione medica fa il suo ingresso tra quelle accettate dalle classi nobili, l’alterigia di quest’ultime -caratteristica piuttosto comune alla nobiltà di tutta la penisola- impedisce la frequenza delle lezioni presso la sede dell’università dove i nobili avrebbero dovuto mischiarsi con studenti di altre provenienze. La possibilità di disporre a pagamento di un lettore privato a proprio servizio, era una conferma evidente del potere e dello status Maria Rosa Di Simone, La “Sapienza” romana nel Settecento, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1980, pp. 1528. 457 G. P. Brizzi, La presenza studentesca nelle università italiane nella prima età moderna. Analisi delle fonti e problemi di metodo, cit., pp. 101 – 105. 231 456 nobiliare. Va messa in relazione con l’influenza esercitata dalla classe nobiliare sui vertici dell’università, una certa tendenza all’aristocratizzazione, per lo meno nelle forme esteriori che connotano ad esempio le cerimonie ed in generale la ritualità della vita quotidiana dell’ateneo. L’obiettivo, in realtà, era quello di rendere più idoneo il contesto universitario all’accoglienza di nobili entro le mura dell’ateneo e favorirne, in questo modo, la presenza alle pubbliche lezioni. La realizzazione, proprio in questo secolo di nuove strutture come l’ orto botanico, il teatro anatomico e la biblioteca, che arricchivano l’offerta didattica ed il prestigio dell’ateneo romano, non trova spiegazione coerente nel quadro di un’istituzione in declino. Il diffondersi di queste nuove strutture didattiche presso le università della penisola tra la fine del Cinquecento e per tutto il Seicento, è stato interpretato da alcuni458, non come un fenomeno di risposta degli atenei all’evoluzione del sapere medico, quanto come l’introduzione di “correttivi” da parte dei Collegi Medici – i veri detentori del potere e del controllo sulla formazione e sulla professione medica- per dotare le facoltà mediche di nuovi ausili all’insegnamento della pratica. Ma tra Cinquecento e Seicento il fenomeno si diffonde in tutta Europa: gli orti botanici – i luoghi per eccellenza della didattica non verbale – sorgono a Leida, Heidelberg, Lipsia, Montpellier e Oxford, tutti strettamente collegati con le università459. A Leida, in particolare, la fondazione dell’orto botanico nel 1575 è coeva a quella dell’università e ne rappresenta, fin dal suo nascere, una delle caratteristiche di eccellenza didattica. A Parigi il Jardin des plantes sorse nel 1635 su iniziativa del medico di Luigi XIII, Guy de la Brosse, per completare sul piano pratico, la formazione dei medici in ambito farmacologico e botanico, che fino ad allora era essenzialmente teorica460. Orti botanici e teatri anatomici non vengono percepiti, al di là della loro ubicazione fisica, come strutture “esterne” all’università, ma 458 Daniela Mugnai Carrara, Curricula e contenuti dell’insegnamento: la medicina dal XVI secolo al 1800, in, Storia delle Università in Italia, Messina, Sicania, 2007, vol. 2, pp. 209- 211. 459 The Western Medical tradition 800 BC to AD 1800, by the members of the Academic Unit, the Wellcome Institute for the History of medicine, Cambridge, Cambridge University press, 2000, pp. 301-303. 460 Marta Cavazza, Orti Botanici, Teatri Anatomici, Osservatori Astronomici, Musei e Gabinetti Scientifici, cit, vol. 5., pp. 76- 82. 232 come parti integranti del complesso universitario, non solo sul piano architettonico, ma in primis su quello didattico. La struttura dei Collegi Medici e la forte influenza che riuscirono ad esercitare sull’ insegnamento universitario è un dato comune a molte università della penisola, ma nel contesto europeo il ruolo e le prerogative dei collegi mutano, così come cambiano gli assetti istituzionali. Se può essere avanzata l’ipotesi -tutta ancora da verificare!- per i Collegi Medici italiani che l’introduzione della botanica e dell’anatomia nel curriculum di universitario sia un “correttivo”, una sorta di ausilio, non si può, di certo, estendere la stessa valutazione alla dimensione universitaria europea. Come interpretare allora il fenomeno nella sua dimensione europea, se non come un adeguamento del sapere medico al problema ben più ampio di matrice rinascimentale della conoscenza della natura attraverso la sua osservazione diretta e dei rapporti tra uomo e natura in chiave di micro e macrocosmo? Restando intenzionalmente ai margini della questione estremamente ampia e complessa del rapporto tra uomo e natura nel Rinascimento che richiederebbe ben altra trattazione, basti qui poter affermare che a tale piano di discussione teorica andrebbe ricondotta nei secoli precedenti (XV – XVII) la radice del processo di istituzionalizzazione degli insegnamenti di anatomia e botanica – lettura ed ostensione dei semplici-, a cui si assiste tra Seicento e Settecento. Processo che prevede prima l’inserimento di letture teoriche delle discipline in questione nel curriculum formativo medico e poi l’aggiunta di una didattica più finalizzata all’apprendimento di un sapere di pratica utilità per i medici, soprattutto sul piano terapeutico. Con queste premesse risulta piuttosto difficile ridurre i risultati di questo processo, a dei “correttivi” ovvero quasi ad un mero miglioramento di natura esteriore e formale. Oltre al piano filosofico della questione che abbiamo volutamente solo accennato per la sua vastità, va affrontato anche quello dello status scientifico che il sapere medico ufficiale, legittimato dalle università, cerca di assumere sul piano terapeutico, nel processo di accreditamento come sapere professionalmente valido ed efficace, rispetto a quello empirico e popolare. 233 L’affermarsi dell’anatomia e della botanica è un processo che va valutato in questa direzione, la stessa che orienta l’emergere della medicina pratica su quella teorica nel XVII secolo. L’attenzione si sposta dal piano teorico della medicina a quello dell’efficacia terapeutica, la vera sfida che il sapere medico ufficiale deve raccogliere in età moderna. Nel Cinquecento la medicina assiste, grazie agli studi anatomici vesaliani, all’ampliamento vorticoso delle conoscenze sul corpo umano mentre nel Seicento il microscopio svela all’occhio umano l’invisibile, l’infinitamente piccolo: si tratta di una messe straordinaria di nuove conoscenze mediche a cui non erano corrisposti progressi significativi, di eguale portata innovativa, sul piano terapeutico. La medicina del Seicento era, nella maggior parte dei casi, inefficace e lo era, per lo meno, al pari di quella degli empirici e dei ciarlatani461, nei confronti dei quali affilava sempre più i propri strumenti di difesa sul piano istituzionale. Ciò spiega chiaramente perché la medicina pratica diventa la disciplina principe nel curriculum formativo del medico, così come le figure più importanti all’interno dell’università sono rappresentate dai lettori di medicina pratica, mentre la medicina teorica assume sempre più un ruolo secondario e marginale, quasi di carattere introduttivo. Gli studenti spesso finiscono per disertare le lezioni di medicina teorica a favore di quelle di medicina pratica ed i lettori di medicina teorica per dare maggior forza al loro ruolo all’interno dell’università, spesso detengono anche la cattedra di chirurgia ed anatomia. Lo abbiamo visto anche per l’ateneo romano con il caso di Giovanni Maria Lancisi. Tornando agli studi di botanica, saper riconoscere le piante medicinali e saperne utilizzare al meglio le proprietà curative, diventa un requisito professionale indispensabile, come conoscere il corpo umano, il suo funzionamento e le sedi delle malattie. Il sapere pratico si fa strada nella formazione del medico attraverso la botanica e l’anatomia, in direzione di quello che tra Sette e Ottocento diventerà un sapere essenzialmente clinico. L. Colapinto, Ciarlatani, Mammane, Medici Ebrei e Speziali Conventuali nella Roma barocca, Città di Castello, 2002. 461 234 Il Collegio Medico romano, così come molti altri collegi medici delle grandi città della penisola collegati alle università, viene tacciato di immobilismo, di atteggiamento conservatore e di rigida difesa del paradigma della medicina galenico-ippocratica da ogni possibile attacco che un nuovo sapere medico poteva arrecare, un atteggiamento chiaramente strumentale ad un incisivo controllo sulla classe medica. Va sottolineato che, differenza del collegio dei giuristi, il collegio medico è in grado di esercitare un controllo molto più forte, sui suoi membri, sulla loro formazione ed esercizio professionale e ciò per una ragione molto chiara: a differenza dei giuristi che potevano ricoprire numerosi ruoli ed incarichi differenti nella miriade di uffici ecclesiastici attivi nella capitale romana, i nuovi medici laureati avevano davanti a sé solo due canali obbligati come l’esercizio pratico della professione e l’insegnamento, ritenuto quest’ultimo, elemento distintivo e di particolare prestigio all’interno del collegio stesso. Il controllo su questi due soli canali professionali era, pertanto, semplice da esercitare in maniera esaustiva. Oltre al Collegio Medico Romano un altro aspetto, tra Seicento e Settecento, contribuiva a rafforzare la visione dell’ateneo romano, come luogo in cui venivano soffocate le istanze di rinnovamento didattico e scientifico: la presenza della Curia pontificia e quindi il totale controllo e condizionamento esercitato dai vertici ecclesiastici sull’ateneo romano e soprattutto sugli ambiti di insegnamento scientifico - ritenuti potenzialmente il terreno più pericoloso in quanto più fertile all’attecchimento di un sapere scientifico non ortodosso. E questo giudizio viene esteso, in generale, alle università dello Stato Pontificio462. Anche quest’aspetto merita qualche riflessione. La presenza della Curia pontificia non va vista soltanto come un ostacolo allo sviluppo di un nuovo sapere medico e scientifico: nel Seicento la Curia rappresentava un polo di attrazione per numerosi medici e scienziati di fama europea che giungevano nella capitale, Maria Rosa Di Simone, La “Sapienza” Romana nel Settecento, cit, p. 17. Si veda anche Regina Lupi, Gli Studia del papa: nuova cultura e tentativi di riforma tra Sei e Settecento, Firenze, Centro Editoriale Toscano, 2005, pp. 121 – 127. 235 462 attraverso la rete clientelare di cardinali e nobili prelati, favorendo il diffondersi di orientamenti scientifici moderni. La Curia pontificia in questo senso va vista come un elemento che accentua il tratto “cosmopolita” proprio del nuovo sapere scientifico e funge da catalizzatore di queste nuove energie intellettuali di respiro europeo. Un’apertura ed una diffusione di nuova scienza che avviene, innanzitutto, nei luoghi tradizionalmente individuati nel Seicento per la diffusione della ricerca e del sapere scientifico, come le accademie ed i circoli scientifici e letterari, con riflessi più o meno diretti all’interno dell’università: molti dei protagonisti del nuovo sapere scientifico operarono in veste di lettori all’interno dell’università o comunque di personalità ad essa legate. Pertanto, se è vero che il forte condizionamento esercitato dal collegio medico sull’università romana si esprimeva attraverso un rigido controllo sull’insegnamento medico, mantenendolo saldamente legato entro il paradigma classico ippocratico-galenico, di fatto molti dei lettori di medicina di fama dell’ateneo romano, erano pienamente coinvolti nei processi di ammodernamento della scienza medica. Per citare solo qualche esempio più legato agli ambiti strettamente scientifici, il lettore di matematica Vitale Giordano da Bitonto era membro della celebre accademia fisico-matematica del cardinale Giovanni Giustino Ciampini ed aveva frequentato la corte della regina Cristina a Roma, luogo di incontro degli scienziati più aperti alla circolazione delle nuove idee scientifiche. Anche Giorgio Baglivi, successore di Lancisi nella cattedra di anatomia alla Sapienza era membro dell’accademia di Ciampini a cui aderivano matematici, medici e studiosi in generale della natura. Parlando di un generale clima di decadenza dell’ateneo romano, c’è un altro dato contrastante su cui riflettere, che riguarda l’insegnamento della medicina. Nonostante il tradizionale primato degli studi giuridici in tutte le università pontificie – inclusa quella della capitale -, la facoltà medica dell’ateneo romano tra Cinquecento e Seicento si distingue per una maggiore forza rispetto agli studi umanistici e per una certa considerazione ed autorevolezza all’interno 236 dell’ateneo463. Ciò per un motivo molto semplice: la presenza tra i lettori di medicina di figure estremamente potenti all’interno della Curia pontificia, come gli archiatri. Questi erano membri del collegio medico ed in virtù del loro incarico di medici personali del papa - prima della riforma introdotta dagli Statuti del collegio medico del 1676-, automaticamente ottenevano anche la nomina di Protomedici, raggiungendo i massimi vertici del potere istituzionale medicosanitario. Il fatto che queste figure agissero dall’interno delle istituzioni più potenti e più conservatrici – la Curia e il Collegio Medico- non esclude che, con grande abilità, seppero “piegarle” alle loro istanze innovatrici nella formazione e nell’esercizio professionale medico, veicolando nuovi contenuti in forme tradizionalmente accettate. Qualche esempio illustre. Giovanni Maria Lancisi, lettore di anatomia e medicina teorica alla Sapienza, fu il promotore della realizzazione del nuovo teatro anatomico nel 1688; tra il 1714 ed il 1715 egli diede vita ad un polo di straordinaria modernità per gli studi medici presso il complesso ospedaliero di S. Spirito in Sassia, - istituzione sottoposta da secoli alla diretta influenza e controllo dei pontefici- realizzando al suo interno una biblioteca464 ricchissima di opere a stampa e manoscritte di medicina e un’accademia dove i medici potessero confrontarsi nell’acquisizione delle più recenti scoperte. Il paradigma formativo del Lancisi è chiaramente espresso nella sua opera Dissertatio de recta Fiorenza Rangoni, S. Ivo alla Sapienza e lo Studium Urbis, Roma, Istituto Nazionale di Studi Romani, 1989, p. 21. Dopo il grave momento vissuto dallo Studio in conseguenza del Sacco di Roma nel 1527, l’attività di insegnamento riprese in maniera florida sotto papa Paolo Farnese (1534 – 1549) e da questo momento acquistarono maggiore importanza le discipline scientifiche rispetto alle tradizionali discipline umanistiche. Nel riordinare gli studi dell’ateneo romano papa Paolo Farnese introdusse l’insegnamento anatomico come disciplina a sé stante. Si veda Luigi Stroppiana, Storia della facoltà di medicina e chirurgia: istituzioni e ordinamenti, sintesi cronologica, dalle origini al 1981, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985, pp. 12-13. (Studi e Fonti per la storia dell’università di Roma ; 9); Adalberto Pazzini, La storia della facoltà medica di Roma, Roma, Istituto di Storia della Medicina dell’Università degli Studi di Roma, 1961, voll. 2. In particolare si veda il vol. 1, pp. 30 – 33. 464 Cristoforo Carsughi, La Biblioteca Lancisiana ovvero distinto ragguaglio della Pubblica Libreria eretta l’anno 1714 nel Sacro Pontificio Archiospedale di S. Spirito in Roma dall’ Illustriss. E Reverendiss. Monsig. Gio. Maria Lancisi Cameriere Sereto, e Medico di N. S. Papa Clemente XI descritta dall’Abate Cristoforo Carsughi dottore di teologica e d’ambe le leggi, bibliotecario della medesima.. In Roma, per il De Martiis, 1718. 237 463 medicorum studiorum ratione instituenda465, stampata nel 1715 in cui individua ciò che è indispensabile e che deve garantirsi uno studente di medicina per la sua formazione: “Optimum praeceptorem; librorum delectum et frequentem, diuturnunque ad aegros, in nosocomiis praesertim accessum”466. Paradigma che Lancisi realizza presso il complesso del S. Spirito, fornendo ai giovani studenti la possibilità di integrare quotidianamente il sapere teorico con quello pratico ospedaliero. Ciò che va evidenziato con forza è che egli introdusse sostanziali novità nella formazione dei giovani medici, ma operando dentro al sistema: egli agiva di fatto nella veste di medico del collegio, di archiatra di papa Innocenzo XI e di Clemente XI, pontefice che partecipò, il 21 maggio del 1714, insieme a numerosi altri cardinali e prelati, alla solenne inaugurazione della biblioteca lancisiana. Si trattava di una rivoluzione silente, operata dall’interno, che utilizzava forme approvate dai vertici istituzionali, grazie alla credibilità che la fama del medico e la sua frequentazione degli ambienti di maggior potere ecclesiastico, erano in grado di riscuotere. Lancisi è la massima espressione di questo modus operandi negli ambienti istituzionali – Curia, Collegio Medico e università – nella seconda metà del Seicento e primi decenni del Settecento. La decadenza dell’ateneo romano, più che agli studi medici, va riferita a quelli umanistici, per una ragione molto chiara: la maggiore concorrenzialità, mostrata nello stesso ambito di studi da altre istituzioni formative attive a Roma in età moderna, prima fra tutte il Collegio Romano, dove fin dal 1551 si esercitava l’insegnamento delle discipline di grammatica, retorica, teologia e filosofia. Il Collegio Romano aveva ottenuto dal 1553, anche il diritto di conferire lauree ed il titolo di Studio Generale467. Mentre per gli studi di medicina, la prerogativa di conferire lauree restava un’esclusiva della Sapienza, unica ad avere attivi al suo interno i relativi insegnamenti, del tutto assenti ed interdetti in altre scuole. 465 Giovanni Maria Lancisi, Dissertatio de recta medicorum studiorum ratione instituenda, ad novae Academiae alumnos & medicinae Tyrones recitata in Archinosocomio S. Spiritus in Saxia a Jo. Maria Lancisio … editio altera auctior, et emendatior, Romae, typis Joannis Mariae Salvioni in Archigymnasio Sapientiae, 1715. 466 Ivi, p. 11. 467 Si veda n. 89, pp. 19-20. 238 Immaginando il fermento scientifico e culturale che, nel secolo della nascita del metodo sperimentale, doveva pervadere gli ambienti scientifici della capitale romana468 ed anche quelli medici, considerando che molti degli esponenti delle istanze più innovatrici della medicina, attivi nelle accademie e nei circoli scientifici, rivestivano anche il ruolo di lettori all’interno dello Studium Urbis, resta molto difficile pensare che l’ateneo fosse del tutto impermeabile a quanto stava accadendo al di fuori delle sue mura. Benché l’attività di ricerca non rientrasse tra quelle istituzionali dello studio e questa venisse svolta in spazi privati come accademie e circoli letterari e scientifici –numerosissimi nella Roma del Seicento469 tra cui figura la celebre l’Accademia dei Lincei fondata nel 1603 ad opera di Federico Cesi -, va tenuto conto della coincidenza dei ruoli: molti membri delle accademie romane, protagonisti di questa attività di ricerca, erano anche lettori di medicina dell’ateneo romano. A questo punto risulta difficile pensare che il loro insegnamento universitario risultasse del tutto scevro dalle influenze del nuovo sapere scientifico. Giova ricordare che alcuni di questi circoli erano espressamente dedicati alla medicina ed in particolare alle novità terapeutiche, come il Congresso Medico Romano470, fondato da Girolamo Brasavola471 lettore di medicina alla Sapienza, nella propria casa e frequentato da molti altri lettori di medicina dell’ateneo romano. Il lettore di medicina della Sapienza e Protomedico Alessandro Pascoli (1669 – 1757), uno dei maggiori esponenti della medicina razionalista e fautore delle teorie cartesiane, nel 1738 aveva dato alle stampe a Roma l’opera in due volumi dal titolo Delle risposte ad alcuni consulti su la natura di varie infermità, e la maniera di ben curarle in cui affermava l’eccellenza raggiunta nel Seicento dagli studi di matematica, anatomia, filosofia e fisica, grazie alle nuove “sette filosofiche”, così egli denominava i circoli e le accademie che davano vita a scuole di pensiero diverse sulle nuove scoperte scientifiche. Si veda l’edizione stampata a Roma tra il 1736 ed 1738 presso Rocco Bernabò, volume secondo, pp. 1-13. 469 Luisa Falchi, Le Accademie Romane tra ‘400 e ‘600, in, Roma e lo Studium Urbis: spazio urbano e 468 cultura dal quattro al seicento, atti del convegno, Roma, 7-10 giugno 1989, (a cura di) Paolo Cherubini, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientale-Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, 1989, pp. 49 – 55. Cfr. n. 69. Si veda G. Gliozzi, voce “Girolamo Brasavola”, in, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma Istituto Treccani dell’ Enciclopedia Italiana, 1972, vol. 14., consultabile on-line all’indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/girolamo-brasavola_(Dizionario-Biografico)/: Girolamo Brasavola, nacque a Ferrara il 25 giugno 1628 da Bartolomeo e Margherita Visdomini; studiò nella locale università e in essa divenne professore di medicina teorico-pratica. Nel 165 2fu chiamato dal cardinale Pio di Savoia a Roma, dove insegnò medicina all'università della Sapienza. Fondò 239 470 471 E’ chiaro che questi lettori, durante l’insegnamento entro le aule universitarie, dovessero necessariamente conformarsi al sapere medico tradizionale, continuando a leggere i testi di Ippocrate, Galeno ed Avicenna. E’ legittimo pensare dal contesto scientifico e culturale generale in cui erano immersi al di fuori dell’università, che tale adesione fosse più formale che sostanziale. Benché i curricula di insegnamento medico rimarranno invariati fino al Settecento, si assiste, a partire dal Cinquecento, al fiorire di numerosi commenti dei testi classici degli Aphorismi di Ippocrate, dell’ Ars Parva di Galeno472- un compendio noto anche come Liber Tegni - e soprattutto del Canon Medicinae di Avicenna, considerato il manuale per eccellenza della medicina, per l’ assetto sistematico delle conoscenze mediche teoriche e pratiche in esso raccolte. A fronte del numero piuttosto vasto delle opere di Galeno che, proprio per la loro molteplicità, riuscivano di difficile approccio agli studenti, il Canon di Avicenna ebbe molta fortuna, perché rispondeva alle esigenze formative degli studenti di compendiare in maniera sistematica il sapere medico in un’unica opera, consentendo, in tal modo, di apprendere in breve tempo le conoscenze basilari della medicina. In genere come manuale base per gli studenti venivano usate delle sinossi di alcuni libri del Canon riguardanti nell’ordine, la fisiologia, il trattato sulle febbri, i principi delle malattie e cura e la classificazione delle malattie dalla testa ai piedi473. Servivano come lettura di base, anche gli scritti di Rhazes sulle malattie e relative terapie e il suo celebre trattato sulla medicina. I testi dei medici arabi – Avicenna e Rhazes- , già utilizzati fin dal Medioevo nelle università di medicina, conobbero particolare fortuna durante il Rinascimento e un'accademia di medicina, il Congresso medico romano, che divenne luogo di incontro dei più prestigiosi uomini di scienza romani. Fu medico nei conclavi del 1655 e del 1676, e divenne in seguito archiatra dei pontefici Innocenzo XI, Alessandro VIII, Innocenzo XII e Clemente XI, che lo ricopersero di numerose onorificenze; fu inoltre medico personale di Cristina di Svezia. Morì a Roma il 31 luglio 1705. 472 Si veda Vivian Nutton, Galen: problems and prospects, London, Wellcome Institute for the History of Medicine, 1981; Vivian Nutton, Ancient Medicine, London, Routledge, 2004, pp. 230 – 247. 473 Nancy Siraisi, Medieval & Early Renaissance Medicine: an introduction to knowledge and practice, Chicago – London, University of Chicago Press, 1990, si veda in particolare alle pp. 70-77 il paragrafo “The medical curriculum and teaching methods”. 240 continuarono ad essere usati per tutto il secolo XVII474 e ristampati, con l’aggiunta di ampi commenti. Proprio il ricorso frequente alle introduzioni, ai commenti dei testi imposti dalla tradizione per l’insegnamento medico, viene individuato, sul piano filologico e didattico, come lo strumento per veicolare in involucri tradizionalmente accettati, contenuti con novità sostanziali. Oltre al ricorso al commento, la circolazione di nuove idee dal contesto delle accademie a quello universitario era garantita dall’iniziativa personale del docente che accanto alle lezioni sui testi obbligati, impartiva in aula o privatamente a casa, lezioni parallele in cui trasmetteva agli studenti un sapere medico aggiornato475. L’utilizzo di ampi commenti per introdurre nuovi contenuti in una veste tradizionale è un tema di ricerca che ha già dato risultati interessanti sul versante degli studi filologici, soprattutto della manualistica medica del secolo XVI, mentre l’ ipotesi di una didattica medica non convenzionale nei contenuti, è un campo di indagine ancora aperto in cui lo studio della pratiche materiali della didattica medica meno ufficiale può tracciare una nuova direzione. L’ approccio di ricerca potrebbe essere mirato in fase sperimentale ad una sola disciplina, tra quelle maggiormente propense ad accogliere anche informalmente il nuovo sapere medico, – ad esempio l’insegnamento della medicina pratica o dell’anatomia- per estendersi a tutte le altre e dovrebbe essere finalizzato alla individuazione di fonti dirette di carattere meno formale – ed anche per questa ragione di più difficile reperimento sul piano archivistico – come appunti delle lezioni degli studenti, altre testimonianze scritte di lezioni svolte, taccuini con annotazioni e testi manoscritti preparatori di natura didattica a cura dei docenti in cui riscontrare l’emergere dei nuovi contenuti. Si tratta di materiale di ricerca più facilmente reperibile per la sua natura in archivi privati – tra le carte dei singoli medici lettori- o negli archivi pubblici, tra i lasciti di singoli personaggi. Nelle ricerche finora condotte in maniera analitica presso il fondo Università, Nancy Siraisi, Avicenna in Renaissance Italy : the Canon and medical teaching in Italian universities after 1500, Princeton, Princeton University press, 1987. 474 475 Si veda n. 91,vol. 2, p. 110. 241 conservato presso l’ Archivio di Stato di Roma, non è una tipologia di materiale emerso. La ricerca andrebbe estesa anche ad archivi di accademie, circoli letterari e scientifici in cui si riscontrano tra i membri, anche lettori di medicina dell’ateneo romano. Il percorso di ricerca prospettato è sicuramente complesso e può essere sviluppato in molteplici direzioni, rappresentando il passo successivo al presente lavoro. Allo stato attuale delle ricerche, la totale scarsità e frammentarietà della bibliografia edita sull’insegnamento medico presso l’ateneo romano e sull’esercizio professionale ad esso collegato, le lacune da colmare sul piano dell’analisi archivistica delle fonti a disposizione, hanno richiesto un primo lavoro di ricerca, mirato alla ricostruzione di base di un quadro di insieme dei processi formativi sul piano universitario e professionale medico. Un quadro in cui emergono sempre nuovi aspetti. Il paradigma della medicina classica galenico-ippocratica entro cui si muove la formazione universitaria tra Cinquecento e Seicento non è cristallizzato come può apparire: proprio in questo periodo mutano i rapporti di forza nell’importanza autoritativa dei testi galenici ed ippocratici. Sino alla riscoperta dei testi originali in lingua greca di Ippocrate, avvenuta nel periodo dell’umanesimo medico con la pubblicazione dei nuovi testi greci e delle traduzioni umanistiche, le opere del medico greco erano state conosciute attraverso il filtro della tradizione galenica e delle discussioni scolastiche medioevali. La vastità e la diversità di argomenti affrontati nella produzione galenica la rendeva poco adatta, alle necessità di sistematizzazione del sapere medico sul fronte dell’insegnamento universitario, necessità che come abbiamo visto era stata colmata dall’emergere dei testi della tradizione araba, riscoperti nella loro veste originale attraverso le antiche traduzioni greche. L’opera di Ippocrate, soprattutto nel Seicento, emerge in tutta la sua modernità e consonanza con le istanze innovatrici della ricerca, orientata all’osservazione diretta della natura che, nel caso della medicina, rinvia al fenomeno patologico e 242 soprattutto al paziente476. Ciò conferisce agli occhi dei medici del Seicento, ad Ippocrate una maggiore autorevolezza rispetto a Galeno. La critica più comune rivolta dai medici del Seicento a Galeno era di aver “sterilizzato” la medicina con i suoi sofismi, allontanandola dal letto del paziente. Al contrario per Ippocrate la più grande fonte di informazioni sulla malattia era proprio il paziente e più che le congetture, erano i sensi i principali strumenti a cui ricorrere. Giorgio Baglivi, lettore di anatomia e chirurgia e poi di medicina teorica alla Sapienza era uno dei principali esponenti dell’ ippocratismo nella penisola: nell’opera De praxi medica in netta polemica con la tradizione della medicina galenica, sostiene il metodo basato sull’osservazione diretta del paziente e sulla raccolta di dati sulle malattie alla maniera ippocratica. L’ “Ippocrate Inglese” Thomas Sydenham (1624 – 1689)477 dava l’assoluta preminenza nello studio delle malattie ai sensi, perché, nella sua visione la medicina era un sapere essenzialmente pratico. Secondo Sydenham, l’unico metodo che consentiva da un giovane studenti di diventare un medico, era stare accanto al letto del malato: era l’unico luogo dove poteva imparare a conoscere davvero le malattie. Queste, secondo Sydenham erano entità specifiche e necessitavano di essere curate somministrando specifici rimedi da scoprire. I rimedi convenzionali prescritti al paziente per purgare il corpo dagli umori in eccesso, causa della malattia secondo la medicina galenica, erano in realtà fuorvianti, perché non specifici rispetto alla malattia. Il rinnovato interesse scientifico per le opere di Ippocrate si diffonde anche nell’ateneo romano nel Seicento: Romolo Spezioli, come scrive nel 1685 in una lettera diretta all’avvocato concistoriale Carlo Cartari, era intenzionato a scrivere un’opera dal titolo Consensus veteris et novae medicinae in historis Epidemis Hippocratis Si veda l’edizione in lingua inglese dell’intramontabile saggio di Jacques Jouanna, Hippocrates translated by M. B. De Bevoise, Baltimore and London, The Johns Hopkins University press, 1999, in particolare alle pp. 291 – 322 in cui l’autore analizza l’osservazione del paziente come parte essenziale del metodo ippocratico: un’osservazione di genere, che rinvia alla costituzione anatomica degli esseri umani ed un’osservazione del particolare, dei segni clinici che si manifestano in maniera peculiare in ogni paziente. 477Roy Porter, The greatest benefit to mankind: a medical history of humanity from antiquity to the present, London, Fontana Press, 1999, pp. 226-232. 243 476 delineatus478 il cui titolo è abbastanza eloquente rispetto all’integrazione tra vecchio e nuovo sapere medico attraverso la medicina ippocratica; nel 1689 il lettore dei Semplici, Giovanni Francesco Sinibaldi scrive sempre all’avvocato concistoriale Carlo Cartari che sta componendo l’opera Medicina Hippocratica exoletae divisa in due parti: pars prima Παραδοξολογος in qua medicorum principis explosa theoremata colliguntur, explicantur ut in magna parte restituntur, pars altera Παραδοξο̟οιός in qua Medicorum Principis reiecta pragmata continentur, explanantur et ex his plurima ad usum revocantur illustrando anche una sorta di indice-piano del volume479. Le due opere ad oggi non risultano pubblicate ma testimoniano l’interesse comune per i due lettori- uno di medicina pratica e l’altro dei semplicinei confronti della medicina ippocratica, confermando l’attenzione che la medicina pratica e la lettura dei Semplici riservavano al maestro greco nel Seicento. E’ chiaro a questo punto che l’adozione dei trattati imposti dalla tradizione per il triennio di studi medici, non rappresenta una ragione sostanziale e inoppugnabile per affermare che all’interno della Sapienza, non circolasse affatto il nuovo sapere medico. Il vigile controllo del collegio medico sull’ortodossia dell’insegnamento medico non poteva rappresentare un ostacolo insormontabile alla circolazione delle nuove idee scientifiche e ne abbiamo visto le ragioni: spesso sono proprio i medici dei papi -come nel caso di Lancisi- i protagonisti di forti mutamenti nei processi formativi in medicina. Il campo di indagine, allora, per quanto riguarda la formazione medica resta aperto: piuttosto che limitarsi a denunciare un quadro di decadenza e declino dell’ateneo romano e con esso anche degli studi medici, che non trova riscontro nel caso specifico, vale la pena ipotizzare altri percorsi di ricerca, in grado di restituire la vera facies dell’insegnamento medico e dei suoi contenuti e di comporre la dicotomia – artificiosa!- tra un ateneo involuto e un contesto, come ASRoma, fondo Cartari-Febei, b. 66, c. 151r. Si veda anche F. Zurlini, Romolo Spezioli.. un medico fermano nel XVII secolo a Roma, cit., p. 14. 479 ASRoma, fondo Cartari-Febei, b.63, c. 310r. 244 478 quello della capitale nel Seicento, altamente evoluto ed in continuo fermento scientifico. 3.4 FORMAZIONE ED ESERCIZIO PROFESSIONALE A ROMA E NELLO STATO ECCLESIASTICO NEL XVII SECOLO: L’INTRODUZIONE DELLA MATRICOLA Medicina e sanità a Roma nel XVII secolo rappresentano una realtà molto complessa non solo sul piano formativo, come abbiamo visto nel precedente paragrafo, ma anche su quello professionale. Se nel contesto dell’ateneo romano 245 l’insegnamento medico tradizionale doveva comunque fare i conti con la circolazione di un nuovo sapere medico, nella realtà professionale la situazione non si presentava meno complessa. Da un lato il Collegio Medico connesso con l’università, metteva in atto una serie di misure per esercitare un forte controllo sull’insegnamento medico e sull’esercizio professionale entro le mura cittadine; dall’altra la capillare rete ospedaliera e delle congregazioni di assistenza presenti a Roma nel XVII secolo offriva un terreno di esercizio professionale legato alla pratica, molto ampio e meno controllabile direttamente dal Collegio Medico, così come sfuggiva a questo controllo il variegato mondo di pratici - chirurghi, barbieri, levatrici e ciarlatani – di cui era popolato il contesto urbano. Un cenno a parte meritano gli speziali anch’essi riuniti nel Collegio degli Aromatari, ma è noto che tra il Collegio Medico e gli speziali i conflitti erano all’ordine del giorno: gli speziali difendevano con molta forza la libertà dell’esercizio della loro professione - spesso strettamente connessa ad interessi commerciali e di lucro! e maltolleravano i tentativi di intromissione e controllo esercitati dal Collegio Medico. La realtà professionale medica nel Seicento era in pieno fermento, al pari di quella culturale e scientifica ed è evidente lo sforzo del Collegio Medico romano di rafforzare il controllo su una situazione che in realtà appariva sempre meno definita e gestibile. Il primo problema che si pone al Collegio Medico è il controllo diretto su chi esercita la professione entro le mura cittadine. Era facile esercitare tale controllo sui medici che si addottoravano presso la Sapienza, ma lo era molto meno su tutta quella pletora di professionisti che operavano a Roma a vario titolo e che arrivavano dalle diverse sedi universitarie dello Stato Ecclesiastico, senza pensare a quei medici che giungevano da altri stati italiani e Paesi Europei. La situazione era piuttosto difficile da regolamentare per il Collegio Medico. Abbiamo già visto, inoltre, come il flusso di medici che da Fermo si recano a Roma per esercitare la professione, si incrementi particolarmente nel Seicento. In realtà al problema del controllo dell’esercizio 246 della professione medica ne è sotteso un altro, ben più complesso: la disomogeneità della formazione medica e la conseguente necessità di disporre di strumenti di verifica per accertare il possesso di un livello di competenza minima sul piano teorico e pratico, per esercitare la professione. La questione aveva risvolti anche strettamente politici: non va dimenticato che l’esercizio della professione medica era strettamente connesso con l’incolumità, la sicurezza pubblica e l’immagine del buongoverno. Va sottolineato, inoltre, che il Seicento è il secolo delle grandi epidemie di peste che sconvolsero la capitale romana tra il 1656 ed il 1657: la Congregazione di sanità480, struttura centrale della politica sanitaria posta sotto il controllo diretto del pontefice, mise a punto strategie di prevenzione del contagio, igiene, pulizia della città, cordoni sanitari, dietro indicazioni di medici - per citare solo i più importanti - come Mattia Naldi, archiatra pontificio e lettore alla Sapienza e Charles Valois Dubourgdieu, protomedico e lettore di medicina teorica straordinaria alla Sapienza dal 1658481. Già sul finire del secolo XVI, il tenore delle ordinanze del protomedico tradiva la preoccupazione di utilizzare uno strumento di controllo su quei medici, addottoratisi fuori Roma, che esercitavano la professione medica nella capitale: questi rappresentavano tutta quella parte del corpo professionale medico attivo entro le mura urbano, spesso completamente sconosciuto alle autorità competenti a vigilare sull’esercizio professionale medico e sulla sanità pubblica. Vediamo con qualche dettaglio le caratteristiche degli organi istituzionali preposti a tale controllo. Sappiamo che l’organo di controllo professionale era il Collegio Medico: era formato da un numero variabile di medici collegiati da dieci e venti, Fu presieduta nel 1657 dal cardinale Girolamo Gastaldi, su incarico affidatogli dal papa Alessandro VII. L’operato politico e giuridico del cardinale durante l’epidemia romana di peste del 1657 è raccolto nell’opera Tractatus de avertenda et profliganda peste, politico – legalis, Bononiae, ex camerali typographia Manolessiana, 1684. Si vedano G. Moroni, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, Venezia, dalla tipografia Emiliana, 1840 – 1870, vol. 28., pp. 184 -185. F. Zurlini, Romolo Spezioli… un medico fermano a Roma nel XVII secolo a Roma, cit, pp. 35-39. 480 481 Irene Fiori ( a cura di) La peste a Roma (1656 – 1675)i, numero speciale di “Roma Moderna e Contemporanea”, fasc. 1-3 gennaio-dicembre, (2006), anno XIV, ed in particolare si veda l’articolo di Maria Conforti, Peste a stampa: trattati, relazioni e cronache a Roma nel 1656, pp. 135 – 158. 247 suddivisi tra “numerari” e “soprannumerari” che restavano in carica a vita, dato che fa emergere la natura conservatrice e chiusa del Collegio. I membri venivano rinnovati solo alla loro morte: ciò significava che la composizione del Collegio rimaneva inalterata per lungo tempo. Anche i requisiti richiesti per poter essere eletti membri del Collegio sono significativi della natura elitaria del Collegio: l’aspirante membro doveva avere più di trenta anni, essere privo di precedenti penali, disporre di una rendita di almeno cento scudi annui, avere domicilio a Roma e - aspetto non secondario - doveva ricoprire il ruolo di lettore in qualche celebre università482. Il vertice istituzionale della struttura di controllo sul corpo professionale medico era rappresentato dal Protomedico. Questi veniva eletto annualmente dal Collegio, con competenze di giurisdizione sulla città di Roma ed anche sul territorio extra-urbano, che, di fatto, sfuggiva molto spesso al suo controllo. Per tale ragione nel 1595 il Protomedico Generale Marsilio Cagnati attraverso un’ordinanza impone che “Medici Dottorati fuori di Roma, che sin’hora non hanno dato notitia di sé, conforme a gl’ordini espressi ne’ Bandi nostri, e de nostri antecessori Protomedici, debbano in termine di dieci giorni dal dì della pubblicatione di questo Editto, dar notitia de nomi, e cognomi loro, e della facoltà che hanno di medicare”483. In realtà la ragione di tale provvedimento è riconducibile alla condotta non ortodossa degli speziali nella vendita dei farmaci: questi, spinti da interessi commerciali, si prestavano facilmente a vendere medicamenti sulla base di prescrizioni mediche senza controllare identità, provenienza e professionalità dei medici sottoscrittori delle ricette, con tutti i rischi che questo comportamento implicava sul piano della correttezza delle terapie prescritte ai pazienti. Si trattava molto spesso di prescrizioni di medici provenienti dal territorio extra-urbano e da altre province dello Stato Pontificio, per tale motivo in gran parte totalmente sconosciuti al Collegio. Con l’obiettivo di esercitare un controllo su tale situazione, il Collegio Medico iniziò a fornire agli speziali una lista con i nomi e 482 Annalia Bonella, La professione medica a Roma tra Sei e Settecento, “Roma Moderna e Contemporanea, rivista interdisciplinare di storia”, 3, 1998, pp. 349 – 354. 483ASRoma, Bandi I, b. 42, n.12, Ordini del sig. Protomedico da osservarsi da tutti i Signori Medici, Fisici e Speciali. In Roma, appresso i Stampatori Camerali, 1595. 248 cognomi dei medici approvati dal Collegio, gli unici dai quali gli speziali avrebbero potuto accettare le ricette di medicamenti. Tuttavia il provvedimento non evitò, nel corso del Seicento, l’ aggravarsi del problema al punto che, per disciplinare l’accesso alla professione, il papa Clemente X484 (1670-1676) ricorse all’introduzione della matricola485. Si trattava dell’attestazione di iscrizione al registro dei medici patentati ed abilitati dal Collegio Medico Romano all’esercizio professionale486, obbligatoria per tutti quei medici, addottoratisi in qualunque università che volevano esercitare la professione a Roma o nello Stato Ecclesiastico. Era fatto divieto assoluto di esercizio professionale ai non iscritti, passibili di una pena pecuniaria di 25 scudi, in caso di esercizio abusivo. I requisiti per iscriversi al registro della matricola si articolavano in base all’età ed alla formazione universitaria acquisita, come indicato di seguito: era sufficiente un triennio di esercizio professionale svolto sotto la direzione di un medico pratico, per quei medici che si erano addottorati a Roma mentre era necessario un tirocinio di cinque anni per quelli che si erano addottorati in altre università, ma che volevano esercitare a Roma; qualora coloro che si fossero dottorati in altre università avessero voluto esercitare in altri territori dello Stato Ecclesiastico, ma non a Roma, erano sufficienti solo tre anni di tirocinio pratico487. Riguardo all’età dei medici la matricola faceva distinzione nella richiesta dei requisiti necessari all’iscrizione sulla base di queste fasce: medici maggiori di anni trenta, che si erano addottorati da almeno cinque anni; medici che esercitavano in Roma, minori di trent’anni d’età, che si erano addottorati da Il particolare impegno e competenza di papa Clemente X nel campo della medicina venne riconosciuto formalmente tanto che il contrassegno per gli archiatri papali era una medaglia d’oro da portare sul petto con inciso il volto di Clemente X. Abbiamo già visto nei paragrafi precedenti, il particolare prestigio che la posizione di archiatra comportava nella Roma Barocca, un prestigio che andava pubblicamente mostrato, rendendo gli archiatri medici che dovevano essere distinti da tutti gli altri, anche attraverso l’uso di emblemi professionali specifici. Si veda ASRoma, fondo Università, b.58, c. 293r. 485 Luigi Stroppiana, Storia della facoltà di medicina e chirurgia: istituzioni e ordinamenti, sintesi cronologica, dalle origini al 1981, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985, p. 13. (Studi e Fonti per la storia dell’università di Roma ; 9). 486 Francesco Maria Ponzetti, L’archivio antico dell’Università di Roma, «Archivio della Regia Deputazione romana di storia patria», vol. LIX, 1936, p. 263. 487 Statuta Collegii D.D. Almae Urbis Medicorum, Romae ex typographia Rev. Cam. Apost. 1676: la definizione della matricola figura nel glossario che segue allo Statuto, alle pp. 30-31. 249 484 meno di cinque anni ed infine medici maggiori di quarant’anni d’età che si erano addottorati da almeno dodici anni. L’ampiezza delle fasce d’età ricomprese nel bando documenta l’intenzione di regolarizzare quanto più possibile l’esercizio della medicina professionale, includendo tutti i medici pratici attivi, soprattutto nella capitale. Nel 1673 la pubblicazione dell’ Editto del Cardinale Altieri488 impose con più severità l’osservanza del Chirografo con cui papa Clemente X aveva istituito la matricola, stabilendo nuove regole da osservare per i medici che dovevano cominciare a praticare la professione e per quanti già la praticavano. La finalità dell’editto era chiaramente quella di mettere ordine e sanare gli abusi professionali, purtroppo piuttosto frequenti, nel vasto mondo dei “medical practicians” nel Seicento a Roma. Tutti i medici per matricolarsi dovevano esibire al notaio del Collegio Medico, entro la data di tre mesi a decorrere dalla pubblicazione del Chirografo, il privilegio del battesimo e quello del dottorato e sottoporsi ad un esame da parte di quattro medici membri del Collegio Medico, designati dal Protomedico e dallo stesso Collegio. L’esame si svolgeva nel seguente modo: il Protomedico Generale assegnava al matricolando quattro punti - de morbis particularibus, de febribus, de morbis mulierum vel puerorum, de medicamentorum facultatibus - a cui questi doveva rispondere entro tre ore in forma scritta, senza l’ausilio di libri ed in luogo chiuso; i quattro esaminatori verificavano le risposte, assegnando il voto alla prova scritta489. Il registro della matricola veniva conservato dal Protomedico e tenuto in copia anche dal Rettore in carica della Sapienza. Il Protomedico era tenuto a ASRoma, fondo Università, b. 58, Editto sopra l’institutione della matricola, alla quale dovranno essere ascritti tutti li Professori dell’Arte della Medicina, In Roma, nella Stamparia della Reverenda Camera Apostolica, 1673, c. 266r. 488 La descrizione dello svolgimento dell’esame per la matricola si legge a c. 188r, nel memoriale ms.,datato Roma, 8 agosto, 1706 contenuto in ASRoma, fondo Università, b.12. 250 489 comunicare al Rettore i nominativi dei nuovi medici abilitati che potevano essere iscritti. Il registro della matricola si componeva di due parti: nella prima venivano iscritti i medici abilitati all’esercizio della medicina pratica mentre nella seconda venivano elencati i medici che potevano insegnare medicina pratica ed avere sotto di sé medici tirocinanti. Oltre a vigilare sull’esercizio pratico della medicina, l’introduzione della matricola, come abbiamo già visto, era finalizzata al controllo sul commercio di medicinali da parte degli speziali. Questi, spesso per puro scopo di lucro, non esitavano a vendere droghe medicinali su prescrizioni irregolari di medici non abilitati, empirici ed anche mammane, con grave pregiudizio e rischio per la salute dei malati. Nel Bando490 del Protomedico Generale Charles Valois Dubourgdieu491 del 1673 che succede all’Editto del Cardinale Altieri per l’esecuzione della matricola, subito dopo i requisiti per essere iscritti nel libro della matricola, seguono ai punti sesto e settimo le regole che disciplinano la prescrizione di medicinali da parte dei soli medici abilitati: questi devono scrivere di loro pugno le ricette, sottoscrivendole con nome e cognome in forma estesa, mentre gli speziali devono affiggere nelle loro spezierie il catalogo dei medici matricolati che il Collegio Medico, trascorsi i tre mesi dalla pubblicazione del Chirografo di papa Clemente X, avrebbe inviato a tutti gli speziali. Questi avrebbero potuto vendere medicinali soltanto dietro prescrizione dei medici abilitati ed iscritti nel catalogo, eseguendo puntualmente le prescrizioni, senza alterarle o modificarle di propria mano. Il tenore del provvedimento nei confronti degli speziali ed in generale del variegato mondo dei pratici sanitari che esercitavano a vario titolo la medicina, evidenzia il vero spirito della norma: cercare di regolarizzare una realtà come quella della pratica medico-sanitaria nella capitale, talmente vasta e indefinita, da diventare sfuggente ad ogni controllo. Per tale ragione il provvedimento in molte delle sue ASRoma, fondo Università, b. 12, Bando sopra l’esecutione della matricola, alla quale dovranno essere ascritti i Professori di medicina, Carlo Valesio, Priore del Collegio dei medici di Roma e di tutto lo Stato Ecclesiastico Protomedico Generale, cc. 93r – 97v. Il bando si presenta in formato manoscritto ed in tutta probabilità si tratta di un testo base per quello edito a stampa. 491 Si veda n. 121, Nomina et Cognomina D.D. Collegii Romani Medicorum quorum memoria extat. Antiquiora autem temporis iniuria desiderantur, p. 115 : Carolus Valesius Dubourgdieù Burdegalensis Protomed. Gen an. 1673. 251 490 disposizioni è pensato con valore retroattivo e ciò è particolarmente evidente al punto quattordicesimo del bando del protomedico Valois che impone agli empirici ed a quanti, in generale, abbiano facoltà di dare medicamenti, -già composti o che essi stessi compongono-, dietro a licenze, patenti e privilegi concessi a vario titolo dai precedenti protomedici, benché non siano addottorati in medicina, di presentarsi entro quindici giorni dalla data della pubblicazione del suddetto bando, davanti al Notaio del Collegio Medico per esibire i privilegi, le facoltà, le licenze in loro possesso, affinché vengano vagliate e riconosciute dallo stesso Collegio. Le trasgressioni alle disposizioni del bando erano punibili con notevoli pene pecuniarie, utili a rimpinguare le casse del Collegio Medico. Oltre ai benefici sul piano del controllo della professione, dall’istituzione della matricola derivavano al Collegio Medico, anche diversi introiti che favorirono il radicarsi del sistema. Interessi economici, istituzionali e politici legati ad equilibri di potere degli atenei sui rispettivi territori, saranno al centro della lite che si scatena furiosamente alla fine del Seicento, tra l’ateneo romano e le università minori ed in particolare quella fermana: l’introduzione della matricola da parte del Collegio Romano andava inevitabilmente a sollevare questioni giuridiche legate allo jus doctorandi ed in generale alle prerogative ed all’autonomia di cui godevano le altre università del territorio ecclesiastico. Per tali ragioni la polemica con l’università fermana assunse toni talmente aspri da trascinarsi addirittura fino al secolo XIX, come vedremo nel prossimo paragrafo. 3.5 LO STUDIO DI FERMO E IL COLLEGIO MEDICO ROMANO: MATRICOLA ED ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE MEDICA L’introduzione della matricola nei territori dello Stato Ecclesiastico non tardò ad ingenerare forme di resistenza alla sua osservanza, da parte delle università minori ed anche di quella fermana, particolarmente gelosa della sua autonomia e 252 del privilegio di poter dottorare medici e garantire loro il libero esercizio della professione medica nel territorio della Marca fermana. L’analisi di un caso concreto come quello del medico Domenico Lilio evidenzia bene quali furono le reazioni del medici che si erano addottorati a Fermo ed esercitavano nel territorio marchigiano, di fronte all’introduzione della matricola. Lilio, originario di Lapedona, uno dei castelli della Marca fermana, si era addottorato in medicina e filosofia presso lo Studio fermano il 17 giugno 1670492 e subito dopo aveva esercitato la professione di medico condotto nella Marca fermana ed in quella maceratese: nel 1677 è medico condotto di Urbisaglia, cittadina del territorio maceratese, quando il 16 dicembre di quell’anno, redige il Memoriale in merito all’esame della matricola che invia a papa Innocenzo XI, al Protomedico Generale di Roma Luca Tomassini ed al Collegio dei medici di Roma493. Il tenore del memoriale è il seguente: il medico Lilio chiede al papa di autorizzare i medici che esercitano fuori del distretto di Roma, a sostenere l’esame della matricola, obbligatorio per l’esercizio della professione, anche a distanza, evitando in tal modo le spese e la scomodità del viaggio a Roma e il disagio causato ai malati dall’assenza dalla condotta per diversi giorni. Sappiamo che i medici per matricolarsi dovevano sostenere l’esame a Roma, alla presenza del Protomedico Generale e di quattro medici esaminatori, designati dal Collegio stesso. Il medico Lilio propone invece una sorta di esame a distanza da svolgersi secondo le seguenti modalità: il Protomedico generale di Roma avrebbe inviato i quattro punti a cui i matricolandi dovevano rispondere in quattro schede sigillate a persone idonee e di sua fiducia nella sede del Collegio Medico di provincia; sotto la vigilanza di questi delegati di fiducia, i candidati in luogo chiuso e senza l’ausilio di libri, avrebbero dovuto rispondere in forma scritta ai suddetti quattro punti. Le risposte in buste sigillate sarebbero state rispedite dai delegati locali al Protomedico Generale che avrebbe provveduto ad aprirle ed e farle verificare ai 492 G.P. Brizzi, L’Antica Università di Fermo,cit., p. 155, n. 1984. ASRoma, fondo Università, b. n. 58, Memoriale dato ad Innocenzo XI dal medico Lilij per non sottomettersi all’esame per essere matricolato, rimesso al Protomedico pro informatione, sua informatione, voto e risoluzione, cc.347r-349v. 493 253 quattro esaminatori. Questi avrebbero verificato le prove scritte, esprimendo il loro voto con cui decretavano o meno l’iscrizione del medico alla matricola. Tutta la documentazione cartacea dell’esame doveva essere conservata dal notaio del Collegio Medico di Roma. Il caso del medico Lilio solleva un primo problema per l’osservanza della matricola da parte dei medici che esercitavano fuori Roma: raggiungere la capitale per sostenere l’esame rappresentava un costo e un disagio non trascurabili per i medici della provincia che non godono delle stesse condizioni professionali ed economiche dei medici della capitale. Le resistenze a sottoporsi all’esame della matricola nella seconda metà del Seicento si faranno sempre più forti, soprattutto da parte dell’ università fermana, gelosa e pronta a difendere con forza la sua autonomia, fino ad esplodere in una lite violenta con il Collegio Medico Romano che, a colpi di memoriali e di ricorsi, si trascinerà fino ai primi decenni del secolo XIX. Ma quali erano in dettaglio i motivi della resistenza dello Studio fermano verso l’osservanza della matricola? Nel Memoriale494 inviato nel 1691 dai medici dottorati a Fermo al cardinal Fabrizio Spada495 - in quel momento cardinal segretario di Stato e prefetto della Congregazione del Buongoverno-, si avanzano diverse motivazioni per rigettare l’osservanza della matricola: la prima riguarda il fatto che il Breve di Clemente X impone l’obbligo della matricola non per tutti i medici che medicano nello Stato Ecclesiastico, ma solo per quelli che vogliono esercitare la professione nella capitale; la seconda riguarda il difetto di potere e giurisdizione dei medici del Collegio Romano sui 494 ASRoma, fondo Università, b. 12, Lite per il privilegio di Matricolare con l’università di Fermo, Macerata, Perugia et Urbino, cc. 66r – 71r. Fabrizio Spada (1643 – 1717) si laureò in giurisprudenza presso l’università di Roma e poi vestì l’abito prelatizia. Nel 1672 fu inviato come nunzio a Torino e poi a Parigi. Fu nominato cardinale da Papa Clemente X nel concistoro del 27 maggio 1675, dandogli il titolo di San Callisto. Innocenzo XI gli affidò la presidenza e legazione di Urbino nel 1686 dove rimase per sette anni. Fu anche camerlengo del Sacro Collegio dei Cardinali (1688-1689), cardinale Segretario di Stato dal 1691 al 1700, prefetto della Congregazione del Buon Governo, arciprete della Basilica di San Giovanni in Laterano e prefetto della Congregazione del Sant'Uffizio dal 1716 alla sua morte. Si veda Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, in Venezia, dalla Tipografia Emiliana, 1854, vol. 68., pp. 20 – 21. 495 254 medici delle province ecclesiastiche in cui vengono già osservati Brevi e Costituzioni emanate a favore di questi territori dai pontefici precedenti. Tra le prerogative che attestano, in questo senso, l’antica tradizione di autonomia dello Studio di Fermo si adduce l’antichità della sua origine come Studio istituito nel 1303 con la Bolla di papa Bonifacio VIII496, un anno prima che fosse fondata l’università di Roma, confermata dai privilegi di papa Callisto III e soprattutto da papa Sisto V nel 1585; si sottolinea, inoltre, il rigore adottato nel conferimento della laurea in medicina: “.. Tutti i Dottori che piglino la laurea in questa professione di medicina nella detta città non se gli conferisce, se primo non si espongono ad un privato esame che si tiene nel Palazzo Priorale alla presenza del Capo-Priore nelle stanze rimote dov’intervengono dui Medici Prattici e gli formano l’interrogationi a loro libito senza punto parteciparle al laureando, mà all’improvviso vien’interrogato, e quando non rispondesse adeguatamente si licentia e si gl’impone a soprasedere e studiare qualche tempo in più per ricevere la laurea all’incontro poi quando risponde a tutti i dubbij et interrogationi nella forma che si dee dottrinalmente all’ora si gli concede che possa pigliar la laurea colla pompa e decoro che si prattica in simili funtioni…”497 . E’ più che evidente, anche nel seguito del Memoriale, il tentativo di difendere la serietà e la qualità degli studi medici presso l’università fermana, dimostrando come di fatto lo Studio fosse in grado di garantire adeguata preparazione ai propri medici che non necessitavano, quindi, di un’ulteriore verifica da parte del Collegio Romano, attraverso l’esame della matricola. Questa viene percepita come un’ingerenza indebita del Collegio Medico Romano nell’ autonomia dello Studio ed in particolare, nella facoltà di dottorare medici che possano esercitare e leggere la medicina ubique locorum, in virtù dei privilegi, già concessi nei secoli all’università fermana da diversi pontefici. Autonomia attestata anche da dichiarazioni di protomedici romani di cui l’ateneo fermano si fa forza, nella polemica con il Collegio Medico romano, 496 G. P. Brizzi, L’ antica università di Fermo, cit., pp. 12 – 17. La storiografia locale del secolo XIX, ha accreditato la data del 16 gennaio 1303 per la fondazione dello Studio fermano. In realtà Brizzi, richiamandosi al rigoroso studio storico-filologico della Bolla di Bonifazio VIII del 1303, conservata presso l’Archivio di Stato di Fermo, eseguita dallo storico Heinrich Denifle, data la fondazione dell’università fermana al 16 gennaio 1398, con bolla di Bonifacio IX. 497 Si veda n. 127, c. 68r-68v. 255 per ribadire le sue prerogative. In particolare si fa riferimento al caso accaduto con il Protomedico Generale di Roma, Giovanni Benedetto Sinibaldi. Questi il 13 agosto 1653 aveva fatto pervenire al Collegio Medico fermano, una lettera di scuse formali 498, per il precedente invio errato di una comunicazione, sempre a sua firma, lesiva delle prerogative di autonomia dello Studio e delle istituzioni cittadine fermane. Il caso specifico a cui si riferisce la lettera di scuse era il seguente: Sinibaldi, in qualità di Protomedico generale, aveva inviato una prima lettera circolare a tutti i luoghi dello Stato Ecclesiastico – incluso Fermo concernente la visita alle spezierie; Fermo, tuttavia, per particolari privilegi ne era esente499 - come abbiamo già visto nel precedente capitolo era compito del Protomedico fermano ispezionare le spezierie del territorio - e Sinibaldi si affrettò ad inviare una lettera di scuse al Collegio Medico fermano per l’errore che imputa al suo notaio. L’ università ed il Collegio medico fermano chiaramente si servono di questo precedente per ribadire in un Memoriale dinanzi al pontefice ed al Collegio Medico romano la loro autonomia. Non tarda ad arrivare, ben presto, la risposta del Collegio Medico romano che in data 15 novembre 1691, viene inviata a papa Innocenzo XII: il Breve di Clemente X stabilisce che nessun medico che svolge la professione nello Stato Ecclesiastico – e non soltanto a Roma – possa esercitare la medicina, senza aver previamente svolto un tirocinio pratico di almeno tre anni e aver dato saggio della sua abilità acquisita nella pratica, con il sottoporsi nuovamente all’esame della matricola. Il Collegio Medico romano evidenzia che la matricola è stata, paradossalmente accettata, dagli atenei maggiori, ma non da quelli minori di Perugia e Fermo che hanno fatto ricorso con un esposto davanti alla Congregazione del Buon Governo di Fermo. L’esame della matricola inoltre non è, a detta del Collegio Medico Romano, una forma di introito, come calunniosamente sostengono i medici dottorati a Fermo, perché non vi sono obblighi di pagamento per Ivi, c. 69r. Nel precedente capitolo si è già visto come la città di Fermo avesse il suo Protomedico incaricato di compiere il viaggio di ispezione nelle spezierie della Marca fermana di cui resta traccia nel ms 1199, conservato presso la Biblioteca Comunale di Fermo. 256 498 499 sostenere l’esame, ma è solo riferibile alla prassi l’uso di far dono di un paio di guanti al protomedico ed ai quattro esaminatori e di concedere un minimo compenso al notaio. Sul piano dei costi, inoltre, il Collegio Romano evidenzia che, per ridurre al minimo le spese dell’esame per la matricola, che dovevano essere sostenute dai medici dei distretti fuori Roma, papa Innocenzo XI, aveva approvato anche la forma d’esame a distanza. Al di là degli interessi economici, l’introduzione della matricola andava a sollevare una questione di merito nella formazione del medico, di interesse strategico per la medicina del Seicento: il rapporto tra medicina teorica e medicina pratica. Si è già avuto modo di vedere come, in questo secolo, la medicina insegnata presso le università cercasse una legittimazione come sapere ufficiale rispetto alla medicina popolare ed empirica. Il problema era però, rappresentato dal fatto che, nella quotidianità, la medicina doveva competere sul piano dell’efficacia terapeutica con la medicina degli empirici e con quella popolare che, in alcuni casi, otteneva concretamente risultati forse migliori. Nel tentativo di legittimarsi come sapere ufficiale, la medicina doveva dimostrare non solo la sua efficacia terapeutica, ma anche di possedere uno status scientifico chiaro ed inequivocabile, rispetto ad ogni altra forma di conoscenza medica. In questo processo diventa centrale il ruolo svolto dalla medicina pratica: cosa distingueva di fatto un medico da un ciarlatano, se non la possibilità di dimostrare la veridicità e fondatezza delle sue conoscenze mediche, attraverso la correttezza della diagnosi e l’efficacia dell’atto terapeutico? Chi esercitava la professione medica in maniera inefficace per mancanza di esperienza pratica o peggio in maniera abusiva, avvalendosi di conoscenze mediche sommarie e dedotte solo dall’esperienza, andava a ledere potenzialmente non solo l’immagine di un corpo professionale, ma anche lo status stesso della disciplina, rendendone i contorni anche scientifici, sempre più vaghi ed indefiniti, alla mercé dell’ empirico di turno. La matricola risponde perciò a molteplici bisogni: professionale, nel legittimare sempre più la fisionomia precisa del corpo medico e dei requisiti di appartenenza 257 ad esso; istituzionale, nel marcare gli ambiti di competenza tra il ruolo di controllo delle università sulla formazione del medico e quello dei collegi sulla sua fisionomia professionale; giurisdizionale, nel definire gli ambiti di potere territoriale con tutto ciò che poteva derivarne sul piano dei rapporti tra diverse istituzioni come università, protomedicati e collegi medici; infine sul piano disciplinare ed epistemologico, la matricola risponde alla ricerca da parte della medicina di una connotazione chiara e definita come sapere scientifico, rispetto a tutti gli altri saperi di matrice empirica e popolare che pervadono nel Seicento il variegato mondo dei pratici. Chiaramente dietro a queste motivazioni “nobili”, ad un livello più basso, l’istituzione della matricola consente al Collegio Medico romano di difendere due altre prerogative: estendere la supremazia ed il controllo sulla professione medica oltre le mura della città di Roma che ne era la tradizionale roccaforte, anche sugli altri territori dello Stato Ecclesiastico e rafforzare la posizione di preminenza dell’ateneo romano negli studi di medicina. Per tali ragioni lo scontro con l’università fermana si acuisce. il Collegio Medico romano non poteva consentire all’università fermana di ottenere l’esonero dalla matricola per i medici che si addottorano a Fermo in quanto ciò avrebbe significato fare di Fermo una sede dove in un colpo solo e con rapidità, si conseguivano sia il dottorato in medicina che l’abilitazione professionale, a differenza di Roma dove, con l’introduzione della matricola, bisognava sostenere due differenti esami per ottenere laurea ed abilitazione. Il risultato come lo stesso Memoriale500 presentato dal Collegio Medico romano evidenzia, sarebbe stato quello di favorire la diaspora degli studenti di medicina dell’università romana verso quella di Fermo dove il percorso formativo e professionale risultava, in questo modo, molto più facile e meno costoso. Un rischio che l’ateneo romano, soprattutto in 500 ASRoma, fondo Università, b.12, Lite per il privilegio di Matricolare con l’università di Fermo, Macerata, Perugia et Urbino, In materia del Protomedicato per il Collegio dei Medici di Roma, alla Santità di Papa Innocenzo XII, die 15 novembre 1691, c. 79v: “.. mettendo in consideratione alla Santità Vostra che se non si troveranno li Dottorati in Roma dalla Matricola nessuno più si dottorerà in Roma, ma tutti anderanno a Perugia et Fermo con danno dei medici del Collegio di Roma che hanno il posto in tutto oneroso”. 258 un momento di contrazione della presenza e della frequenza studentesca, che accomuna nel Seicento tutte le università italiane, non poteva correre, pena la sua stessa sopravvivenza! Va ricordato, inoltre, che la presenza nel XVII secolo nell’ ateneo romano, di studenti e lettori di medicina che provenivano dallo Studio fermano nel XVII secolo, come abbiamo già visto nei paragrafi precedenti, era piuttosto significativa e, nell’ipotesi sopra prospettata, perdere un buon numero di studenti e medici originari della Marca fermana, avrebbe significato infliggere un altro colpo alla popolazione studentesca dell’ateneo romano. Dall’altro lato resistere alla matricola diventava una questione di sopravvivenza anche per l’università fermana. L’introduzione della matricola aveva introdottto l’obbligo del tirocinio di un quinquennio per i medici che provenivano da fuori Roma, per esercitare la professione nella capitale e di un triennio per esercitarla nei territori dello Stato Ecclesiastico. Considerato il significativo flusso di medici da Fermo verso Roma, la matricola si traduceva nel rischio concreto per lo Studio fermano che, quegli studenti della Marca fermana che potevano permettersi direttamente di dottorarsi in medicina nell’ateneo romano, lo avrebbero preferito rispetto a quello fermano, mentre a tutti gli altri lo Studio fermano sarebbe stato in grado di conferire solo una parte della formazione – quella teorica comprovata con il conseguimento del dottorato-, venendo meno quella più sostanziale dell’abilitazione all’esercizio pratico della professione. La lesione delle prerogative e dei diritti propri dell’università fermana, prospettata dall’obbligo della matricola, doveva apparire piuttosto grave, agli occhi non solo dei membri della stessa università, ma anche delle istituzioni locali, se la reazione fu così dura e aspra. Ciò spiega perché gli studenti fermani di medicina arrivano a presentare al Papa Alessandro VIII – il veneto Pietro Ottoboni presso cui Spezioli era archiatra-, un Memoriale -definito “calunnioso”501 dal Collegio Medico romano-, contro l’introduzione della matricola per i medici che si Si veda n. 133, c. 90r: “… si speravano nulladimeno nel nuovo Pontificato della S. M. d’Alessandro 8° poter liberarsi da questo peso, onde fu presentato a S.Santità per parte dei Giovani Dottorati nello Studio di Fermo un calunnioso memoriale, molto gravante, con falsi supporti, è la verità e la riputazione del Collegio dei Medici di Roma circa il ministero della Matricola”. 259 501 addottoravano a Fermo, corredato, a supporto, da ampia documentazione. E’ probabile che, grazie alla vicinanza che aveva legato in vita i cardinali Pietro Ottoboni – papa Alessandro VIII- e Decio Azzolino junior con la Regina Cristina di Svezia ed alla presenza come archiatra di corte del medico fermano Spezioli, le autorità fermane, avevano trovato accesso facile e rapido, nel far pervenire il Memoriale dei giovani studenti di medicina fermani direttamente nelle mani di papa Alessandro VIII, sperando in un suo diretto intervento a favore dell’università fermana. Le accuse contenute nel Memoriale degli studenti fermani sono riconducibili, in sintesi, a cinque punti principali502: che il Collegio Medico utilizzava la matricola per fini di lucro – iscriversi al libro della matricola costava otto scudi- , imponendola anche ai medici che esercitavano fuori Roma soltanto per aumentare gli incassi dalle iscrizioni; che con la scusa di pene pecuniarie comminate a qualche trasgressore venivano fatte pagare grosse somme di denaro: il memoriale si riferisce, in particolare, al caso del medico Chiavarini, trasgressore più volte verso l’osservanza della matricola, a cui furono fatti pagare venticinque scudi in moneta invece di infliggere pene corporali ; che la matricola era contraria al dispositivo di molte Bolle di pontefici, emanate in precedenza a favore dello Studio fermano; che la disposizione della matricola risultava particolarmente dannosa ai giovani studenti di medicina che si affacciavano in quel momento all’esercizio della professione e che per tale ragione la rigettavano; che la matricola era superflua in quanto nelle università “forastiere” si usava maggior rigore nel dottorare rispetto alla Sapienza di Roma503. Quest’ultimo 502 Ivi, c. 90v. 503 Si veda n. 133, in cui viene descritta la cerimonia di dottorato in medicina presso l’università fermana, c. 68v: “ [Al dottorando] si gli concede che possa pigliar la laurea colla pompa e decoro, che si prattica in simili funtioni, la quale deve esser fatta alla presenza di Monsignor Arcivescovo o suo Vicario Generale coll’intervento del Collegio promiscuamente de Medici e filosofi con grande distintione però che vi intervenghino sette Medici e per il resto sino al n. di 12 ammesso che sian puri Filosofi oltre alli lettori pubblici dello Studio che parimente vi assistono e danno il loro voto, doppo il pubblico novo esame e dichiaratione che si fa del punto, che gli viene assegnato e risposta all’oppositione dell’argomento in modo che all’ora con i voti degli Esaminatori vien dichiarato per Dottore e come tale se gli conferiscono appresso dal Promovente, colla precedenza del Decreto ch’interpone Monsignor Vicario Generale à nome di Monsignor 260 punto è particolarmente interessante, anche perché l’intera vicenda della lite tra il Collegio dei Medici di Roma e lo Studio di Fermo, ci è utile per dedurre indirettamente informazioni importanti sui meccanismi di formazione dei medici fermani. Tornando all’ultimo punto va evidenziato che l’accusa mossa dai giovani studenti fermani all’ateneo romano è piuttosto dura: la facilità con cui l’università romana rilascia le lauree in medicina obbliga il Collegio Medico romano a porre in atto uno strumento come la matricola, nel tentativo di rimediare ai danni di una formazione inadeguata all’ esercizio professionale. Era chiara l’allusione alla pratica diffusa di trasformare le sedi universitarie in “fabbriche di lauree”, senza verificare con il necessario rigore il percorso formativo che precedeva il conseguimento del titolo. Il Memoriale dei giovani studenti fermani di medicina desta parecchio scalpore: si tratta di un attacco diretto ad un’istituzione conservatrice e potente come il Collegio Medico romano che non tarda a rispondere, affidando tale incombenza al medico Paolo Manfredi504. Questi per aumentare l’eco della risposta, ne dà ampia diffusione pubblica, attraverso la pubblicazione dell’opuscolo a stampa “Risposta altre volte a fini di ingiustificate pretensioni dello Studio di Fermo ed altri dell’istessa qualità”505: La risposta articolata in otto punti, al di là della questione della matricola, fornisce indirettamente informazioni importanti sulla formazione dei giovani medici fermani. Innanzitutto nella premessa si ribadisce chiaramente, dopo aver richiamato tutte le disposizioni e le fonti giuridiche con cui viene istituita la matricola – il Chirografo di Clemente X del 1673, gli Statuti del Collegio Medico del 1676, il Motu proprio di Innocenzo XI nel 1677 – che Fermo è sottoposta alla giurisdizione del Protomedico Generale e del Collegio dei Medici di Roma506 e che nessuna università ha rigettato la matricola ad Arcivescovo e gli si dà autorità di leggere nelle pubbliche università e d’esercitar la medicina ubique locorum in virtù de Privilegij concessi all’università”. 504 Si veda n. 72. L’opuscolo, privo di frontespizio e di note tipografiche, è stampato in sei carte, -fascicolato A3 – ed è contenuto in ASRoma, fondo Università, b. 12 alle cc. 164r – 169v. 506 Dello stesso tenore è anche l’affermazione contenuta sempre nella stessa busta 12 del fondo Università, a c. 103r in cui si legge a proposito della lite tra Fermo e Roma “ Che qui non si disputa fra 261 505 eccezione di Fermo! Viene affrontata molto sottilmente anche la questione di diritto che legittima l’introduzione della matricola: non si mettono in discussione tutti i privilegi, maturati dallo Studio di Fermo, al punto che nella attraverso la matricola si disciplina solo lo jus exercendi, mentre tutte le altre prerogative possedute dallo Studio di Fermo nello jus doctorandi restano inalterate così come avviene per le maggiori università “ad imitatione, & essempio delle quali non dovria rincrescere al picciolo Studio di Fermo che i suoi Dottori habbino à soggiacere alla nuova Matricola, qual riguarda puramente l’essercitio, e la prattica”507. Il Collegio medico romano sottolinea come l’università fermana pur essendo stata fondata da Bonifacio VIII508 non fu funzionante, di fatto, fino alla rifondazione operata da Sisto V con la Bolla del 1585; che mentre i lettori di medicina dell‘ università romana sono nove o dieci che leggono medicina di continuo, nello Studio di Fermo sono al massimo due, i medesimi due che sono medici condotti della città e che fungono da esaminatori per i dottorandi509. La disposizione della matricola, inoltre, è generale e non vi era bisogno di fare specifica menzione di Fermo, per attestarne l’obbligo all’osservanza: se non erano state menzionate nel provvedimento nemmeno le maggiori università che, ciononostante, osservavano la matricola, tanto meno sarebbe stato necessario menzionare quella di Fermo per obbligarla all’osservanza! Nella risposta si ribadisce, inoltre, che la matricola già istituita da Gregorio XIII per i medici di Roma fu estesa, nel 1673, da Clemente X ai medici delle città, terre e castelli dello Stato Ecclesiastico, per una ragione molto chiara: perché questi medici, a differenza di quelli che esercitavano nell’Urbe, praticavano la università et università (quando in Fermo fusse tale!) … ma tra Università e Collegio di Roma, il quale è stato dai Papi costituito giudice supremo nel suo stato circa le cose medicali..si conferma ciò col vedere che li dottorati in Fermo, quando sono della giurisditione di quella città, sono soggetti al Collegio di Roma, a cui de jure sono soggetti anche nella loro giurisdittione se non de facto”. 507 Si veda n. 138, c. 164v. 508 In realtà l’analisi storico-filologica di Heinrich Denifle concluse che la Bolla non poteva essere un atto uscito dalla cancelleria di Bonifacio VIII, bensì da quella di Bonifacio IX il 16 gennaio 1398. Si veda G.P. Brizzi, L’Antica Università di Fermo, cit., p. 14. 509 La stessa critica sulla scarsità di lettori di medicina presso lo Studio di Fermo viene mossa nel memoriale anche alle università di Macerata, Urbino, Cesena e Ravenna “nelle quali città tre o al più o quattro medici prattici a la metà meno di Lettori di Medicina si contano?”, Si veda ASRoma fondo Università, b. 12, c. 87v. 262 medicina in luoghi ove spesso “manchino le commodità degl’Hospedali, dell’Orto de i Semplici, dell’Anotomie, delle conferenze & occasioni di ben istruirsi nella pratica, quali sono in Roma, e ne’ Studi generali, & Università simili, e siano perciò quei Medici molto più bisognosi di esser riconosciuti, e pesati…”510. Secondo il Collegio medico romano, mancava ai medici che si addottoravano negli Studi più piccoli come quello fermano, quel contesto formativo fatto di possibilità offerte al di fuori delle mura universitarie che, solo le grandi città come Roma, poteva garantire. Un contesto formativo ampio e variegato che sembra essenziale per la formazione della medicina pratica, per cui non basta assolutamente quanto viene appreso solo dalle lezioni e dai manuali. E nei diversi memoriali in difesa della matricola, prodotti dal Collegio Medico romano, in forma manoscritta ed a stampa, si leggono diverse motivazioni legate all’importanza della pratica nella formazione medica, perché “il solo Dottorato e privilegio di Dottore non fa il Dottorato veramente medico, mà bensì con l’unione della prattica et esperientia, mentre la teorica che basta per dottorare non insegna a conoscer le febbri, molti morbi e loro differenze, né le virtù particolari de medicamenti come insegnano tutti li Dottori più insigni, che hanno scritto in Medicina. Onde supposta questa necessità l’ammettere il Dottorato all’attuale esercitio senza riconoscere la sua habilità prattica, pare che sia contro ogni buona giustizia e charità”511. L’importanza del contesto come elemento che distingue le università dei centri di eccellenza per la formazione medica, è stato già evidenziato, nel presente e nel precedente capitolo e torna ad imporsi anche nel caso fermano, come requisito formativo in assenza del quale si rende obbligatoria l’osservanza della matricola. In un altro memoriale manoscritto sempre sulla questione della matricola circa le lacune formative dello Studio di Fermo512 si evidenzia la mancanza dell’ anatomia, appellata medicinae oculus, parte più essenziale della medicina nella formazione dei giovani studenti. Tale affermazione a proposito della mancanza di insegnamenti di anatomia nell’università fermana non è corretta -e le ragioni Si veda n. 138, c. 168v. veda n. 127, c. 78r. 512Ivi, Risposte e motivi contro l’Università o Studio di Fermo a favore del Collegio di Roma per la matricola, c. 103r -103v. 263 510 511Si di questa imprecisione le abbiamo già esposte nel precedente capitolo- così come non lo è, parlare di mancanza di ospedali nella Marca: basta solo pensare alla città di Fermo in cui nel XVII secolo erano attivi almeno tre ospedali tra i quali l’ospedale di S. Maria della Carità o degli Esposti, già considerato dai regni e stati limitrofi una struttura di eccellenza, per l’accoglienza e la cura degli orfani. Anche circa l’assenza di un orto botanico universitario vanno fatte delle precisazioni: non è stata ancora attestata la specifica fondazione di un orto botanico per l’ostensione dei Semplici annesso all’università fermana, ma non è da escludersi, vista la presenza in città del Collegio degli Speziali e di numerose strutture conventuali, dotate al loro interno di orto botanico, che una di queste – probabilmente il convento dei Domenicani, per ragioni logistiche dettate dalla vicinanza alla sede universitaria - venisse messo a disposizione dei giovani studenti di medicina per la conoscenza delle piante medicinali. In ogni caso è ovvio che un contesto come quello fermano non poteva essere messo al pari di quello della capitale romana. Tuttavia, tenuto conto delle dovute differenze, non risponde a verità, sulla base dei risultati emersi nella ricerca ed illustrati nel precedente capitolo che, come evidenzia l’accusa mossa nel Memoriale del Collegio Medico romano, lo Studio di Fermo fosse privo di quei tratti di modernità che la formazione medica impone nel Seicento. Al contrario il dato emerso è che lo Studio fermano, per quanto riguarda gli studi di medicina, si presenta come il concorrente forse più temibile tra gli Studia del territorio marchigiano. Alla luce di questa considerazione, non si esclude come possibile chiave di lettura della vicenda, anche il tentativo dello Studium Urbis di imporre attraverso il potere del Collegio Medico romano - che era di fatto lo scudo più potente dell’ateneo romano-, l’introduzione della matricola come sistema che, nei suoi risvolti di regolamentazione obbligatoria della professione, poneva tutte le altre università dello Stato Ecclesiastico, in una dimensione di dipendenza da quella romana, per la loro legittimazione formativa sul piano professionale pratico. 264 La questione della matricola si trascinerà a fasi alterne per tutto il Settecento, comportando, oltre a continue polemiche tra l’università fermana ed il Collegio Medico romano, anche la ridefinizione di nuovi equilibri nei rapporti tra grandi e piccole università. L’atteggiamento che l’ateneo ed il Collegio Medico romano mantengono con le università più grandi dello Stato Ecclesiastico – come Bologna e Ferrara - è ben diverso dalla condotta tenuta con gli Studi più piccoli. Anche gli Studi più grandi e rinomati come quello di Bologna, cercarono di opporre resistenza all’introduzione della matricola e per tale ragione si fecero promotori di una pubblicistica513 finalizzata a evidenziare gli antichi privilegi che l’ateneo bolognese poteva vantare e che consentivano di esimere i suoi laureati dall’obbligo della matricola. Tuttavia il Collegio Medico romano e la stessa Curia Pontificia consapevoli della superiorità scientifica dell’università bolognese, mantennero un atteggiamento conciliante che si tradusse, nel corso del Settecento, in pubbliche conferme dei suoi antichi privilegi, anche in medicina514. La lite tra Fermo e Roma per la questione della matricola si protrasse per tutto il Settecento fino agli inizi dell’Ottocento. Nel 1741 il governatore di Fermo scrive al Protomedico Generale di Roma Romanelli, in difesa della regolarità dell’ esercizio della professione medica nella Marca Fermana: il Protomedico romano era stato informato sul fatto che, nella città di Fermo, venisse esercitata la professione medica senza i necessari privilegi ovvero la matricola e aveva chiesto verifica di ciò al governatore fermano. La risposta che il governatore invia da Fermo il 6 gennaio 1741 offre una descrizione interessante della realtà “medica” fermana e della sua anomalia nel contesto dello Stato Ecclesiastico: Fermo non solo è esentata dalla visita di ispezione alle spezierie che il Protomedico Generale di Roma compie in tutti gli altri territori dello Stato, ma per tradizione nomina ASRoma, fondo Università, b.59, fascicolo n. 16, Bolla di Benedetto XIII con cui ripristinando il Collegio e l’Università di Bologna negli antichi suoi privilegi, esime i di lei laureati dall’obbligo della Matricola Romana, Bononiae, ex typographia Bononiensi S. Thomae Aquinatis, 1727. 514 ASRoma, fondo Università, b. 59, fascicolo n. 24, Breve di Benedetto XIV in cui non solo conferma la restitutione de’ Privilegi accordata da Benedetto XIII al Collegio ed Università di Bologna in riguardo alla medicina, ma li estende ancora alla Chirurgia, Farmacia, Ostetricia. Bononiae, Typographia Longhi, impressoris Archiepiscopalias, 1741. 265 513 un proprio Protomedico col compito di vigilare sulle spezierie e provvedere in ogni caso di bisogno “affinchè l’arte della Medicina venghi esercitata da professori idonei e capaci”515. La città possiede da secoli una propria autonomia in virtù dell’importanza e della preminenza che da sempre ha rivestito nel territorio dello Stato Ecclesiastico, come il governatore ben attesta, allegando alla lettera due privilegi, autonomia rappresentata al massimo grado dalla facoltà di eleggere ogni anno, tra i membri del collegio medico della città o tra uno dei tre medici condotti, il Protomedico figura che nel territorio della Marca ha sempre esercitato la sua prerogativa in maniera continuata e pacifica516. Per tali ragioni i medici che esercitano nei castelli della Marca non sono mai stati forzati a prendere la matricola in Roma, proprio perché è compito del Protomedico vigilare su quanto attiene all’esercizio professionale. Per questa stessa ragione il governatore fermano dichiara che risponde a verità il fatto che molti medici e cerusici esercitino senza matricola nella Marca. Benché con un editto del 1739, il governatore di Fermo aveva ordinato che, fra i requisiti dei concorrenti alle condotte dei luoghi – in tutti sono 48 i luoghi o condotte della Marca- vi fosse quello di esser matricolati, è evidente che non avrebbe potuto imporre un obbligo tassativo all’osservanza della matricola, soprattutto a quei medici che operavano nelle condotte più svantaggiate e meno remunerate a cui al massimo poteva essere intimato di conseguirla nel breve spazio di due mesi dalla nomina della condotta. Va ricordato che in realtà il Collegio Medico fermano si era posto il problema dell’introduzione della matricola nell’adunanza del 5 settembre 1714: la deliberazione fu in favore dell’introduzione della matricola in conformità di tutte le altre università da osservarsi “quando vi sia la licenza delli superiori”517, quindi dietro a un preventivo controllo sempre del Collegio stesso. Dal tono della lettera del governatore fermano, emerge con chiarezza il nodo cruciale del problema: Fermo è il capoluogo della Marca ed è abituata a gestire in autonomia le questioni che riguardano il suo territorio tra cui quelle relative all’esercizio AS Roma, fondo Università, b. 12, c. 200r. Si veda n. 127, c. 263r. 517 ASFermo, fondo Studio, Liber Codex Medicorum, 1608, Adunanza del 5 settembre 1714, c. 56v. 266 515 516 della professione medica. Il fatto che sia tra le poche città dello Stato Ecclesiastico esentate dall’ ispezione del Protomedico Generale di Roma sulle spezierie del proprio territorio e che abbia la facoltà di eleggere, per tradizione, un suo Protomedico, le conferisce una posizione di autonomia che mal tollera ingerenze nella gestione della professione medica come quella rappresentata dall’obbligo della matricola. Ciò giustifica la particolare reattività dello Studio fermano rispetto alle altre università del territorio marchigiano, meno abituate a prerogative di autonomia, soprattutto nell’ambito della formazione e dell’ esercizio della professione medica. E che la questione nodale fosse proprio l’autonomia del Protomedico fermano è chiaro anche dai successivi memoriali che continuano ad essere depositati anche successivamente: il Collegio Medico romano di fronte alle resistenze fermane all’introduzione della matricola ne evidenzia la necessità per i medici che si laureano a Fermo, proprio a ragione dell’impossibilità da parte del Protomedico e vice-Protomedico Generale di Roma di esercitare una vigilanza, visto che il territorio di Fermo era esentato dall’ispezione. La percezione della Marca Fermana da parte del Collegio medico romano è quella di un territorio che sfugge all’autorità centrale e sul quale, per questo motivo, attraverso la matricola bisogna introdursi a forza per esercitare un controllo518. Al contrario Fermo fa di questa prerogativa un punto di forza: il Protomedico Generale di Roma, a cui incombe l’imposizione dell’osservanza della matricola, non avendo facoltà di visitare le spezierie della città di Fermo e del suo territorio, non può, né deve esigere di imporre ai medici della Marca Fermana la matricola come autorizzazione all’esercizio della professione medica519. Anche perché è Protomedico fermano che presenzia la laurea in medicina degli studenti fermani e ne verifica la regolarità. Il conseguimento della laurea in medicina, presso l’università fermana, prevede che il candidato debba Si veda n. 150. Minuta di memoriale presentata in Sagra Consulta per le Matricole di Fermo, l’anno 1769, c. 214r: “..Altre volte tentata tal sottrazzione mà senza frutto e solo dolosamente gl’è riuscito perché non portandosi il nostro Vice Protomedico a visitare quello stato, non può vedersi chi senza le debbite facoltà eserciti”. 519 Ivi, c. 215r. 267 518 sottoporsi ad una sorta di esame “previo e segreto”520. Questo si svolge un giorno prima della laurea: al candidato vengono assegnati i punti di discussione e se non risponde correttamente ad essi, non viene ammesso a conseguire la laurea. Si tratta di un esame, simile nei contenuti e nelle modalità di svolgimento, a quello che i medici devono sostenere per ottenere la matricola. Pertanto è in forza di questo esame se la laurea conseguita presso l’università fermana, abilita anche all’immediato esercizio della medicina pratica. Come a dire che l’esame previsto dalla matricola che si svolge successivamente alla laurea e dopo un triennio o un quinquennio di tirocinio pratico, viene eseguito anticipatamente nell’ università fermana, concedendo la laurea con maggiore rigore rispetto agli atenei più grandi, ragione per cui i medici addottoratisi a Fermo non necessitano della ulteriore verifica prevista dall’esame per la matricola. Che l’autonomia fermana dal Protomedicato romano sia il nocciolo della questione, emerge anche dalla documentazione relativa ai primissimi anni dell’Ottocento: il Collegio medico romano invia al tribunale ecclesiastico una supplica contro Vincenzo Cordella, sedicente Protomedico di Fermo “Il quale sotto il di 12 agosto 1802 non si sa con quali facoltà corredò di matricola di chirurgia Stanislao Venanzini… il solo privilegio che per indulto pontificio gode la città di Fermo in ciò che riguarda la medicina è quello di laureare in detta facoltà e far visitare le spezierie di detta città e suo Stato da uno dei medici di detta Città indipendentemente dal Collegio di Roma quale poi si arroga il titolo abusivo di Protomedico Generale e quel ch’è peggio coll’esercizio di attribuzioni annesse a detto titolo si usurpa questa autorità che è privativamente riservata dai Sommi pontefici e specialmente dalla S.M. di Clemente Z al solo protomedico generale di Roma”521. L’accesa polemica tra Fermo e Roma sulla questione della matricola, induce ad elevare la riflessione, al di là delle vicende e degli interessi di natura istituzionale, economica e politica, sul piano dello statuto della medicina in età moderna. Va evidenziato che il sistema della matricola, come meccanismo di regolamentazione professionale, nei suoi molteplici risvolti, risponde ad un bisogno, originato in 520 521 Ivi, c. 215v. Si veda n. 127, c. 217v. 268 realtà sul piano formativo dai problemi posti da una netta separazione tra medicina teorica e pratica, separazione estranea al pensiero classico di Galeno e della medicina antica in generale. Già molti autori del Cinquecento avevano cercato di superare tale divisione, sulla scorta di opere generali della medicina come l’ Universa Medicina di Jean Fernel (1554) e le Institutiones medicinae di Leonhardt Fuchs (1555): queste, sull’esempio del pensiero classico, offrivano una diversa organizzazione della medicina (fisiologia, patologia, semeiotica, igiene e terapia) che diverrà il modello per l’ impianto teoretico su cui verranno modellate, nel Settecento, le cattedre di Istituzioni Mediche. Processo che, nel XVIII secolo, non ha niente a che vedere con i tentativi secenteschi di inserimento nel curriculum medico di corsi compendiati e sintetici, ma che traduce sul piano didattico il bisogno di restituire una visione unitaria al sapere medico, connotato dalla divisione tra medicina teorica e pratica, due compartimenti diventati, alla fine del Seicento, quasi incomunicabili tra loro522. Tale divisione veniva aggravata dalla mancanza di unitarietà del sapere medico nel Seicento dovuta alla molteplicità di indirizzi che ne rendevano confusa la fisionomia sul piano scientifico. La capitale romana, come abbiamo già visto, ne è un esempio particolarmente significativo. Nella Roma barocca la medicina tradizionale galenica, strenuamente difesa sul piano formale dal Collegio medico romano, conviveva con molti altri indirizzi: dalla medicina di indirizzo cartesiano e razionalista, a quella empirica, alla iatromeccanica, al neo-ippocratismo, allo spettro ampio di indirizzi epistemologici circa le scienze naturali – matematica, filosofia, fisica e anatomia – che erano ben percepiti dal sapere medico, all’integrazione della storia naturale con la medicina attraverso la botanica, a tutto il dibattito intorno alla generazione spontanea ed alla curiosità verso il mondo sotterraneo dei fossili, al nuovo sapere sperimentale delle accademie. Era tutto un fermento di nuove teorie, talmente tante che, proprio l’eccessiva varietà di 522 Daniela Mugnai Carrara, Curricula e contenuti dell’insegnamento: la medicina dal XVI secolo al 1800, cit., vol. 2, p. 211. 269 indirizzi interpretativi, rendeva difficile non solo la sintesi, ma anche sviluppi brillanti e concreti per il progresso della medicina sul piano terapeutico. La matricola al di là dei suoi risvolti propriamente istituzionali, di potere territoriale e interessi economici, è sintomatica del bisogno di delineare degli argini entro cui nella fase pratica della terapia, potevano trovare spazio ed applicazione controllata i nuovi indirizzi, non ancora adeguatamente collocati con criteri interpretativi chiari sul piano epistemologico, entro una visione unitaria del sapere medico, ma per questo bisognerà attendere ancora i secoli seguenti. Anche sul piano cronologico si assiste all’ introduzione della matricola tra la seconda metà del Seicento ed i primi decenni del Settecento, quando, sul piano teoretico, grazie agli esiti delle varie indagini sperimentali condotte nei diversi indirizzi della medicina, si sono moltiplicate vistosamente le conoscenze e cominciano i tentativi di tradurne i benefici sul piano della pratica terapeutica, il campo che più languiva di nuovi sviluppi concreti. Il pericolo di una pratica che, sull’onda delle nuove conoscenze, potesse assumere connotati completamente nuovi e fuori controllo rispetto alla tradizione, era reale e viene immediatamente percepito da istituzioni come il Collegio medico romano, particolarmente sensibile per la natura conservatrice, ai segni di mutamento degli assetti di base del sapere medico. Non bisognava consentire che la medicina cosiddetta ufficiale, in una fase delicata di mutamenti ed innovazioni, prestasse il fianco – ed il momento della pratica era chiaramente il più esposto- a ciarlatani, empirici ed a tutto quel mondo che nel Seicento si proiettava come un’ombra scura e lunga, sulla pratica medica. La matricola risponde anche ad un’immagine di rigore che, sul piano formativo l’ università attraverso l’impronta del collegio medico deve acquisire, per dare credibilità ad un’istituzione che come abbiamo visto, attraversa in maniera generale, una fase di crisi: la scarsità degli studenti, la pratica delle lezioni private che contrasta con quelle pubbliche in aule sempre meno frequentate, l’apparente isolamento dell’università dal mondo delle accademie e dei circoli scientifici e 270 letterari dove si dibatte il nuovo sapere scientifico e la mancanza di risorse economiche adeguate per consentire il conferimento di incarichi a lettori di fama, vengono individuate come le ragioni principali della decadenza. Il rischio che gli atenei, pur di sopravvivere, si piegassero a logiche economiche e di immagine, attraverso la concessione di lauree facili era molto reale e tanto più pericoloso in medicina, dove il riscontro del livello e della qualità della preparazione impartita, era immediato sul piano pratico. Era piuttosto facile mettere subito in dubbio la credibilità di un’università di medicina attraverso casi eclatanti di errori terapeutici, magari anche con la morte di pazienti illustri. Il Seicento è un pullulare di pubblicistica medica che si sviluppa con ampi dibattiti di medici – soprattutto pratici – sui casi mal riusciti: la pratica autoptica e gli esiti di essa sul piano scientifico, rendevano il dibattito ancora più acceso, dopo la morte del paziente. Ho già affrontato nelle mie precedenti ricerche il caso del cardinale veneto Pietro Basadonna523, curato da Spezioli524 – che era il medico della Natio Veneta a Roma - morto nel 1684 per infezioni acute conseguenti al “mal della pietra”. Il caso aveva suscitato nella capitale un’eco particolarmente forte, sia per il prestigio del paziente che per la presenza tra i medici consultati anche del celebre Marcello Malpighi. Pertanto Spezioli è costretto a dare alle stampe un opuscolo525 in sua difesa per rispondere alle accuse mosse da alcuni medici, suoi “competitors” nel contesto della curia e della clientela cardinalizia. E’ un esempio concreto del clamore che un caso di medicina pratica malriuscito poteva suscitare negli ambiti elitari della capitale – curia papale e rete cardinalizia – e 523 Pietro Basadonna (Venezia, 17 settembre 1671 – Roma, 6 ottobre 1684) ebbe diversi incarichi di rilievo: dal 1648 al 1652 gli fu conferita la rappresentanza della Repubblica Veneta a Madrid in Spagna, tra il 1661 e il 1663 durante il pontificato di Alessandro VII fu ambasciatore a Roma, mediando tra la Curia e Parigi. Fu amico del cardinale Giulio Rospigliosi, nel 1671 divenne Riformatore dello Studio di Padova. Fu nominato cardinale nel 1673 da Clemente X: egli fece parte delle Congregazioni dei Vescovi, dei Regolari dell’Indice ed anche del conclave che nel 1676 elesse Innocenzo XI. E’ sepolto a Roma nella chiesa di S. Marco, dove gli è stato dedicato un monumento funebre. G. Benzoni, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto Treccani dell’Enciclopedia Italiana, 1970, vol. 7., pp. 51-53. 524 Si veda F. Zurlini, Romolo Spezioli (Fermo, 1642 – Roma, 1723): un medico fermano nel XVII secolo a Roma, cit., pp. 37-54. 525 Romolo Spezioli, Allo Scolare che scrisse i fogli intitolati il Disinganno Romolo Spezioli invia i necessari avvertimenti, Padova, 1684. 271 dell’esposizione – oggi diremmo mediatica! – con negativa ricaduta di immagine che ne deriva per il professionista e per gli ambiti a cui apparteneva. In questo contesto è più che comprensibile il controllo istituzionale che, attraverso la matricola, si vuole esercitare sull’esercizio pratico della medicina, riportandolo sotto la vigilanza del Collegio medico romano e del Protomedico Generale. La regolamentazione dell’esercizio pratico della medicina attraverso l’introduzione dei requisiti richiesti dalla matricola – laurea, età, tirocinio - trasforma in momento formativo normato anche la delicata fase della pratica medica, fino ad allora lasciata al caso delle svariate esperienze professionali, più o meno qualificanti, che il contesto della capitale o dei centri minori – come nel caso fermano- poteva offrire. Scarsa attenzione è stata dimostrata nella bibliografia edita526 -quasi inesistente! – all’ istituto della matricola che, come altri sistemi di regolamento e riforma della professione medica, meriterebbero indagini più accurate, per la documentazione e le conoscenze che possono offrire non solo alla storia della medicina, ma soprattutto a quella della formazione e delle professioni. TABELLA N. 1 LETTORI DI MEDICINA, FILOSOFIA, ANATOMIA, CHIRURGIA E BOTANICA DELLO STUDIUM URBIS NEI SECOLI XVII – XVIII ORIGINARI DELLA MARCA FERMANA (1615 – 1790) 526 Fausto Garofalo, L’istituzione della matricola nella facoltà medica dell’Archiginnasio romano, Roma, EMES, 1949. L’opuscolo di sole 19 pag. contiene perlopiù informazioni di natura archivistica sul materiale conservato presso l’Archivio di Stato di Roma, nel fondo Università ed in altri fondi, relativo all’istituzione della matricola. 272 MEDICINA PRATICA E FILOSOFIA Nome del lettore e provenienza Anno Trattato assegnato (argomento del corso) Ora della lezione Magister Angelus Antoninus 1615 de Sancto Elpidio Piceno Aggredietur curationem vulnerum capitis Prima hora Mattutina D. Caesar Macchiatus Firmanus 1666 In Philosophia.Lib. Arist. De Generat. Et corruptione deinde Meteorologicorum Tertia hora Vespertina D. Caesar Macchiatus Firmanus 1667 In Philosophia.Lib. Arist. De Anima et deinde parva naturalia Tertia hora Vespertina D. Caesar Macchiatus Firmanus 1668 In Philosophia.Octo Liber Tertia hora Vespertina Physic Arist. D. Caesar Macchiatus Firmanus 1669 In Philosophia.Lib. Arist. De Coelo et Mundo MAGISTER Caesar Macchiatus Firmanus 1670 In medicina Practica extra Tertia hora Vespertina ordinem. De effect.praeter naturam facult. animalis MAGISTER Caesar Macchiatus Firmanus 1672 In Medicina Practica extra Tertia hora Vespertina ordinem. De affect. Infim. Ventr. MAGISTER Caesar Macchiatus Firmanus 1673 In Medicina Practica extra ordinem. De Methodo Medendi. Tertia hora Vespertina MAGISTER Caesar Macchiatus Firmanus 1674 In Medicina Practica extra ordinem. De Morbis Tertia hora Vespertina 273 Tertia hora Vespertina mulieribus MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1676 In medicina extra ordinem Tertia Hora Vespertina & supra numerum. Epidem. Hippocrat. MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1677 In medicina extra ordinem Tertia Hora Vespertina & supra numerum. Epidem. Hippocrat. MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1678 In medicina extra ordinem Tertia Hora Vespertina & supra numerum. De morbis renum et vesicae MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1679 In medicina extra ordinem Tertia Hora Vespertina & supra numerum. De morbis mulierum MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1680 In medicina extra ordinem Tertia Hora Vespertina & supra numerum. Epidem Hippocratis MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1681 In medicina extra ordinem Tertia Hora Vespertina & supra numerum. In Histor. Epidem Hippocratis MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1682 In medicina Practica extra Tertia Hora Vespertina ordinem . De morbis renum et vesicae NB non è più suprannumerario e legge medicina pratica, non più semplicemente medicina MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1683 In medicina Practica extra ordinem . De morbis mulier. Tertia Hora Vespertina MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1684 In medicina Practica extra ordinem . Epidem Tertia Hora Vespertina 274 Hyppocratis MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1685 In medicina Practica extra ordinem . De morbis renum et vesicae Tertia Hora Vespertina MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1686 In medicina Practica extra ordinem . De morbis Mulier. Tertia Hora Vespertina MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1687 In medicina Practica extra ordinem . Epidem Hyppocratis Tertia Hora Vespertina MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1688 In medicina Practica extra ordinem . De morbis renum et vesicae Tertia Hora Vespertina MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1689 In medicina Practica extra ordinem . De morbis Mulier. Tertia Hora Vespertina MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1691 In medicina Practica extra ordinem . De morbis renum et vesicae Tertia Hora Vespertina MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1692 In medicina Practica extra ordinem . De morbis Mulierum Tertia Hora Vespertina MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1693 In medicina Practica extra ordinem . Epidem Hippocrat. Tertia Hora Vespertina MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1694 In medicina Practica extra ordinem . De morbis Tertia Hora Vespertina NB Si evidenzia che manca tra i cataloghi delle lezioni contenuti nella busta 213 del fondo Università, proprio il catalogo relativo al 1691, anno in cui Spezioli avrebbe dovuto essere appellato nel calendario, come accade per gli altri medici, con la dicitura di medico segreto del Papa. 275 renum et vesicae MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1695 In medicina Practica extra ordinem . De morbis Mulierum Tertia Hora Vespertina MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1697 In medicina Practica extra ordinem . De morbis Renum et vesicae Tertia Hora Vespertina MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1698 In medicina Practica extra ordinem . De morbis mulierum Tertia Hora Vespertina MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1699 In medicina Practica extra ordinem . Epidem Hippocratis Tertia Hora Vespertina MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1700 In medicina Practica extra ordinem . De morbis mulierum Tertia Hora Vespertina MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1701 In medicina Practica extra ordinem . De morbis mulierum Tertia Hora Vespertina MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus 1702 In medicina Practica extra ordinem . De morbis mulierum Tertia Hora Vespertina MAGISTER Romulus 1703 Spetiolus Firmanus & pro eo In medicina Practica extra ordinem . De morbis mulierum Tertia Hora Vespertina In medicina Practica extra ordinem . De morbis mulierum Tertia Hora Vespertina In medicina Practica extra ordinem . Epidem Hippocratis Tertia Hora Vespertina MAGISTER Jo. Baptista Scaramuccius Firmanus eius Coadiutor MAGISTER Romulus 1704 Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Jo. Baptista Scaramuccius Firmanus eius Coadiutor 1705 MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Jo. Baptista Scaramuccius Firmanus eius 276 Coadiutor MAGISTER Romulus 1706 Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Michael Angelus de Paulis Pisauriensis eius coadiutor MAGISTER Romulus 1707 Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Michael Angelus de Paulis Pisauriensis eius coadiutor MAGISTER Romulus 1708 Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Michael Angelus de Paulis Pisauriensis eius coadiutor MAGISTER Romulus 1709 Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Michael Angelus de Paulis Pisauriensis eius coadiutor MAGISTER Romulus 1710 Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Michael Angelus de Paulis Pisauriensis eius coadiutor MAGISTER Romulus 1711 Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Michael Angelus de Paulis Pisauriensis eius coadiutor 1712 MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Michael In medicina Practica extra ordinem .De morbis renum et vesicae Tertia Hora Vespertina In medicina Practica extra ordinem . Epidem Hippocrt. Tertia Hora Vespertina In medicina Practica extra ordinem . Epidem Hippocrt. Tertia Hora Vespertina In medicina Practica extra ordinem . De morbis renuum et vesicae Tertia Hora Vespertina In medicina Practica extra ordinem . De morbis mulierum Tertia Hora Vespertina In medicina Practica extra ordinem . Epidem Hippocratis Tertia Hora Vespertina In medicina Practica extra ordinem . De Morbis renum et vesicae Tertia Hora Vespertina 277 Angelus de Paulis Pisauriensis eius coadiutor MAGISTER Romulus 1713 Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Michael Angelus de Paulis Pisauriensis eius coadiutor MAGISTER Romulus 1714 Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Michael Angelus de Paulis Pisauriensis eius coadiutor MAGISTER Romulus 1715 Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Michael Angelus de Paulis Pisauriensis eius coadiutor MAGISTER Romulus 1716 Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Michael Angelus de Paulis Pisauriensis eius coadiutor MAGISTER Romulus 1717 Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Michael Angelus de Paulis Pisauriensis eius coadiutor MAGISTER Romulus 1719 Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Michael Angelus de Paulis Pisauriensis eius coadiutor 1720 MAGISTER Romulus Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Michael Angelus de Paulis In medicina Practica extra ordinem . De Morbis Mulier. Tertia Hora Vespertina In medicina Practica extra ordinem . Epidem Hyppocrat. Tertia Hora Vespertina In medicina Practica extra ordinem . De Morbis renum et vesicae Tertia Hora Vespertina In medicina Practica extra ordinem . De Morbis Mulierum Tertia Hora Vespertina In medicina Practica extra ordinem . De Morbis Puerorum Tertia Hora Vespertina NB lezione nuova? In medicina Practica extra ordinem . De morbis mulierum Tertia Hora Vespertina In medicina Practica extra ordinem . Epidem Hippocratis Tertia Hora Vespertina 278 Pisauriensis eius coadiutor MAGISTER Romulus 1721 Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Franciscus Soldatus Romanus MAGISTER Romulus 1722 Spetiolus Firmanus & pro eo MAGISTER Franciscus Soldatus Romanus In medicina Practica extra ordinem De morbis renum et vesicae Tertia Hora Vespertina In medicina Practica extra ordinem De morbis infimis ventris Tertia Hora Vespertina Magister Petrus Assaltus Firmanus 1726 In Medicina Practica de Morbis extra ordinem Secunda Hora Vespertina Magister Petrus Assaltus Firmanus 1727 In Medicina Practica extra ordinem de morbis renum et vesicae Secunda Hora Vespertina Anno Lettura Ora della lezione MEDICINA TEORICA Nome del lettore e provenienza MAGISTER Petrus Assaltus 1720 Firmanus In Medicina Theorica.Art. Prima hora matutina parv. Galeni MAGISTER Petrus Assaltus 1721 Firmanus In Medicina Theorica 1. Fen Avicennae Secunda hora matutina MAGISTER Petrus Assaltus 1722 Firmanus Prognostica Hippocratis Secunda hora matutina MAGISTER Petrus Assaltus 1723 Firmanus Prima fen Avicennae Secunda hora matutina MAGISTER Petrus Assaltus 1725 Firmanus In Medicina Theorica Secunda hora matutina 279 ANATOMIA E CHIRURGIA Nome del lettore e provenienza Anno MAGISTER Petrus Assaltus 1719 Firmanus Lettura Ora della lezione In Chirurg., et Anathom. De Tumoribus praeter naturam Tertia Hora Vespertina BOTANICA – LETTURA DEI SEMPLICI Nome Anno MAGISTER Petrus Assaltus 1709 Firmanus Lettura Ora della lezione In simplicibus medicamentis In diebus vacantibus et Festivis Cum hostensione in Horto Prima hora matutina Medico MAGISTER Petrus Assaltus 1710 Firmanus In simplicibus medicamentis In diebus vacantibus et Festivis Cum hostensione in Horto Prima hora matutina Medico MAGISTER Petrus Assaltus 1711 Firmanus In simplicibus medicamentis In diebus vacantibus et Festivis Cum hostensione in Horto Prima hora matutina Medico MAGISTER Petrus Assaltus 1712 Firmanus In simplicibus medicamentis In diebus vacantibus et Festivis Cum hostensione in Horto Prima hora matutina Medico MAGISTER Petrus Assaltus 1713 Firmanus In simplicibus medicamentis In diebus vacantibus et Festivis Cum hostensione in Horto Prima hora matutina Medico 280 MAGISTER Petrus Assaltus 1714 Firmanus In simplicibus medicamentis In diebus vacantibus et Festivis Cum hostensione in Horto Prima hora matutina Medico MAGISTER Petrus Assaltus 1715 Firmanus In simplicibus medicamentis In diebus vacantibus et Festivis Cum hostensione in Horto Prima hora matutina Medico MAGISTER Petrus Assaltus 1716 Firmanus In simplicibus medicamentis In diebus vacantibus et Festivis Cum hostensione in Horto Prima hora matutina Medico MAGISTER Petrus Assaltus 1717 Firmanus In simplicibus medicamentis In diebus vacantibus et Festivis Cum hostensione in Horto Prima hora matutina Medico Fonte: ASRoma, fondo Università, b. 213, Elenco dei Cataloghi dei Lettori colla materia delle Scuole e coll’ore tanto mattutine che vespertine loro assegnate dal 1615 al 1790. BIBLIOGRAFIA In considerazione della molteplicità dei fondi archivistici e manoscritti consultati in differenti archivi e biblioteche, si è scelto come primo criterio 281 di ordinamento delle citazioni archivistiche e di quelle relative ai mss. la sigla dell’istituto in cui sono conservate. Come secondo criterio per l’ordinamento bibliografico delle suddette fonti è stato usato quello cronologico. Segue la legenda delle sigle usate: ASFermo = Archivio di Stato di Fermo ASRoma = Archivio di Stato di Roma AS Vaticano = Archivio Segreto del Vaticano BASRoma = Biblioteca dell’Archivio di Stato di Roma BAV = Biblioteca Apostolica Vaticana BCF = Biblioteca Comunale “R. Spezioli” di Fermo FONTI INEDITE 282 ASFermo, fondo Opere Pie, 198/ LIII, Libri di Cenzi et Altri Crediti e Partite di Lavoranti, 1653, cc. 5r – 102r. ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiae Studij 1623 usqye 1641, Adunanza del 9 ottobre 1623, c. 2r. ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 3 marzo 1627, c. 22r. ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, 2 novembre 1627, c. 30r. ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 9 giugno 1628, c. 31v ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 12 marzo 1629, c. 35r. ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 20 giugno 1629, cc. 39v e 40r. ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 18 gennaio 1630, c. 45r. ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 7 giugno 1630, c. 48r. ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 12 luglio 1631, c. 54v. ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 21 ottobre 1631, cc. 58r-59v. ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 27agosto 1632, c. 60v-61r. ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 26 febbraio 1633, c. 63r. 283 ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 10 marzo 1633, c. 63v. ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 23 luglio 1633, c. 68r ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza del 22 dicembre 1633, c. 71r. ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641Adunanza del 4 luglio 1634, c. 77r: ASFermo, fondo Studio, Serie B1, Liber Adunantiarum Studij 1623 usque 1641, Adunanza dell’ 8 gennaio 1635, c. 83r e 83v: ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. philosophorum et medicorum civitatis Firmi, 1635 – 1783, Cathalogus seu Matricola … Doct. Ill. Philosphorum et Medicorum de numero duodenario participantium qui modo reperiuntur et sunt superstites, Die 6 Aprilis 1651, c. 10r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 23 aprile 1653, c. 50r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 12 febbraio 1655, c. 55r e 55v. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 6 luglio 1655, c. 57r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studi ab 1641 usque 1690, Adunanza del 2 novembre 1662, c. 80r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studi ab 1641 usque 1690, Adunanza del 12 giugno 1663, c. 81v. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 27 giugno 1663 c. 82v. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 23 luglio 1663, c. 83r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studi ab 1641 usque 1690, Adunanza del 4 gennaio 1664, c. 75r. 284 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studi ab 1641 usque 1690, Adunanza del 17 giugno 1664, c. 85r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studi ab 1641 usque 1690, Adunanza del 5 luglio 1666, c. 87r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 30 aprile 1669, c. 97r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 4 febbraio 1672, c. 122r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 9 aprile 1672, c. 112v – 113v. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 9 luglio 1672, c. 113v. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 26 settembre 1672, c. 109r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 4 gennaio 1673, c. 115r – 116r. ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. Philosophorum et medicorum civitas Firmi, 1635 – 1783, Adunanza del 16 febbraio 1673, c. 177r e 117v ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 13 gennaio 1674, c. 122r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza dell’8 febbraio 1674, c. 123r - 123v. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 28 agosto 1674, c. 125r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 30 maggio 1675, c. 128r. ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. Philosophorum et medicorum civitas Firmi, 1635 – 1783, Die 8 Junij 1675, c. 45v. 285 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza dell’ 8 ottobre 1675, c. 132v. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 30 gennaio 1676, c. 46v. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 16 giugno 1676, c. 48r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 12 gennaio 1675, c. 42v- 43r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 8 novembre 1676, c. 145r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 15 gennaio 1677, c. 148v. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 27 gennaio 1677, c. 149r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 27 settembre 1679, c. 164r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 13 novembre 1679, c. 168r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 22 dicembre 1679, c. 170v. ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. Philosophorum et medicorum civitas Firmi, 1635 – 1783, Adunanza del 17 gennaio 1680, c. 50v. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 20 agosto 1680, c. 171r ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 23 ottobre 1680, cc. 172v- 173r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 12 luglio 1683, c. 183v. 286 ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 26 giugno 1684, c. 291v. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 13 agosto 1685, c. 197v. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 2 maggio 1687, c. 203r . ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 7 giugno 1689, c. 215r. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 14 ottobre 1689, c. 218v. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 29 agosto 1690, c. 222r - 222v. ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 25 giugno 1691, c. 1r-2v ASFermo, fondo Studio, Serie B2, Liber Adunantiae Studij 1641 usque 1690, Adunanza del 1 ottobre 1691, c. 3v ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza dell’ 8 febbraio 1692, c. 7r. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 2 giugno 1693, c. 12v. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 30 dicembre 1694, c. 62r. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 22 febbraio 1695, c. 21r. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 27 giugno 1695, c. 22r. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 7 dicembre 1695, c. 25r. 287 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 27 dicembre 1696, c. 62v. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 27 ottobre 1698, c. 36r. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 16 marzo 1699, c. 37v. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 29 settembre 1699, c. 64r. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 15 aprile 1703, c. 64v. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 13 settembre 1704, c. 66v. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 1 dicembre 1704, c. 51r. ASFermo, Archivio Storico Comune di Fermo, Instrumenti 1539 – 1808, Instrumentorum Comunis Firmi, 1703, 1704, 1705, Lettera autografa di donazione, XI luglio 1705, c. 274r ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 26 marzo 1706, c. 53r. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 14 novembre 1708, c. 63r: ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 5 ottobre 1711, c. 72v. ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. philosophorum et medicorum civitatis Firmi, 1635 – 1783, Cathalogus seu Matricola … Doct. Ill. Philosphorum et Medicorum de numero duodenario participantium et sunt superstites, Catalogus Suprannumerorum Collegii Excell. Philosophorum et Medicorum Ill.ma Civitatis Firmi, cc. 2r – 4r. ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. Philosophorum et medicorum civitas Firmi, 1635 – 1783, Adunanza del 28 giugno 1713, c. 76v. 288 ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 25 giugno 1714, c. 69r. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 4 luglio 1714, v. 79v. ASFermo, fondo Studio, Liber Codex Medicorum, 1608, Adunanza del 5 settembre 1714, c. 56v. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza dell’8 febbraio 1722, c.127v. ASFermo, fondo Studio, Serie H1, Liber collegii exc D.D. philosophorum et medicorum civitatis Firmi, 1635 – 1783, Adunanza del 13 luglio 1722, c. 73r -73v. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 26 novembre 1722, c. 74r e 74v. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 13 settembre 1724, c. 137v – 138r. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 26 luglio 1725, c. 75v. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 28 settembre 1726, c. 76v. ASFermo, fondo Studio, Serie B3, Liber Adunantiae Studij ab anno 1691 usque ad annum 1759, Adunanza del 6 aprile 1739, cc. 81v - 82r. ASRoma, Bandi II, b. 485, anno 1723. ASRoma, fondo Cartari – Febei, b. 65, Copia Brevis Pro Cesare Macchiati Artium et Medicinae Doctore, cc. 122r- 126v. ASRoma, fondo Cartari – Febei, b. 66, cc. 340r – 348v. ASRoma, fondo Cartari – Febei, b. 80, c. 46v e 51v. ASRoma, fondo Università, b. 12, Lite per il privilegio di Matricolare con l’università di Fermo, Macerata, Perugia et Urbino, cc. 66r – 71r. 289 ASRoma, fondo Università, b.12, Lite per il privilegio di Matricolare con l’università di Fermo, Macerata, Perugia et Urbino, In materia del Protomedicato per il Collegio dei Medici di Roma, alla Santità di Papa Innocenzo XII, die 15 novembre 1691, c. 79v: ASRoma, fondo Università, b. 12, Opuscolo a stampa sulla lite tra l’univesrità di Fermo ed il Collegio Medico Romano, cc. 164r – 169v. ASRoma, fondo Università, b. 12, Lite per il privilegio di Matricolare con l’università di Fermo, Macerata, Perugia et Urbino, Risposte e motivi contro l’Università o Studio di Fermo a favore del Collegio di Roma per la matricola, c. 103r -103v. ASRoma, fondo Università, b. 58, Editto sopra l’institutione della matricola, alla quale dovranno essere ascritti tutti li Professori dell’Arte della Medicina, In Roma, nella Stamparia della Reverenda Camera Apostolica, 1673, c. 266r ASRoma, fondo Università, b. n. 58, Memoriale dato ad Innocenzo XI dal medico Lilij per non sottomettersi all’esame per essere matricolato, rimesso al Protomedico pro informatione, sua informatione, voto e risoluzione, cc.347r-349v ASRoma, fondo Università, b. 59, fascicolo n. 16, Bolla di Benedetto XIII con cui ripristinando il Collegio e l’Università di Bologna negli antichi suoi privilegi, esime i di lei laureati dall’obbligo della Matricola Romana, Bononiae, ex typographia Bononiensi S. Thomae Aquinatis, 1727. ASRoma, fondo Università, b. 59, fascicolo n. 24, Breve di Benedetto XIV in cui non solo conferma la restitutione de’ Privilegi accordata da Benedetto XIII al Collegio ed Università di Bologna in riguardo alla medicina, ma li estende ancora alla Chirurgia, Farmacia, Ostetricia. Bononiae, Typographia Longhi, impressoris Archiepiscopalias, 1741. ASRoma, fondo Università, b. 61, fascicolo 8, Raggioni contro l’opinione che s’aggiunga in Sapienza un altro Lettore che legga solo l’Istitutioni Mediche, cc. 268r – 273v. ASRoma, fondo Università, b. 69, Notificatione, In Roma, nella stamperia della Reverenda Camera Apostolica, 1689. ASRoma, fondo Università, b. 69, Supplica dei giovani studenti di medicina al Rettore della Sapienza Pier Francesco Rossi, 1696. ASRoma, fondo Università, b. 83, Discorso del Rettore della Sapienza per dividere le cattedre dell’università in tre classi, c. 206r. ASRoma, fondo Università, b. 83, Ordinamenti e Riforme, Nota delle letture della Sapienza da 70 o 80 anni innanzi all’anno 1662, c. 86r – 87v 290 ASRoma, fondo Università, b. 83, Ordinamenti e Riforme, Discorso del Rettore della Sapienza sopra del quale il 19 luglio fu tenuta la prima Congregatione deputata dal papa dei cardinali camerlenghi… per dividere le cattedre dell’università in tre classi, diminuire il numero di alcune, li 29 luglio 1701, cc. 199r – 214v. ASRoma, fondo Università, b. 83, Rotulus Lecturarum Archigymnasij Romani anno 1673 SS.mi D. Clementi X papa auctoritate conferita, c. 121r – 123r. ASRoma, fondo Università, b. 86, c. 439r. ASRoma, fondo Università, b. 87, t. II (1681 – 1735), cc. 46r-47v, Polizza sottoscritta da Romolo Spezioli per la cessione del ruolo di lettore a Giacomo Sinibaldi, lettore di Medicina Teorica extra ordinem, indirizzata al rettore Buratti. ASRoma, fondo Università, b. 213, Elenco dei Cataloghi dei Lettori colla materia delle Scuole e coll’ore tanto mattutine che vespertine loro assegnate dal 1615 al 1790. ASRoma, fondo Università, b. 271, n. 175, Invito nel Teatro Anatomico del Ven. Archiospedale della Santissima Consolazione di Roma, con l’approvazione dell’Illustrissimo signor Rettore della Sapienza, Domenico Mistichelli, assistente, del detto luogo darrà principio alle Lezzioni Anatomiche del Corpo Umano il dì [30 gennaro alle ore 21], In Roma, nella Stamperia della Reverenda Camera Apostolica, 1701. AS Vaticano, Secreteria Brevium Diversorum, vol. 1816, cc. 297r – 300r, Lettera all’Ill.mo Eminentissimo e Rev.mo sig. cardinale Albani per Romolo Spezioli, 14 novembre 1690, c. 298r. AS Vaticano, Secreteria Brevium Diversorum, vol. 1816, cc. 301r-304v, Risposta del cardinale Albani alla richiesta di Romolo Spezioli. BASRoma, Collezione Statuti, Statuta Collegii D.D. Almae Urbis Medicorum…, Romae ex typographia Rev. Cam. 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BCFermo, fondo Giuseppe Sabbioni, ms., Professori ed Alunni nella Università di Fermo ed altrove insegnanti Notizie per li Secoli XIV al XVIII in principi raccolte dal Canonico Michele Catalani, cc. 41r e seg “Professori di arti che hanno letto nell’università di Fermo et altre”. 292 FONTI A STAMPA E STUDI CRITICI 293 Howard B. Adelmann, La prima epistola di Marcello Malpighi sui polmoni: la sua base sperimentale e l’influenza di Giovanni Alfonso Borelli sulla sua produzione, Padova, Università degli studi di Padova, 1961. Renata Ago, Carriere e Clientele nella Roma Barocca, Bari, Laterza, 1990. Richard Andrews, Script and scenarios: the performance of comedy in Renaissance Italy, Cambridge, Cambridge University Press, 1993. Alessandro Arcangeli–Vivian Nutton (a cura di), Girolamo Mercuriale: medicina e cultura nell'Europa del Cinquecento : atti del convegno "Girolamo Mercuriale e lo spazio scientifico e culturale del Cinquecento" (Forlì, 8-11 novembre 2006), Firenze, Leo S. 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