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ARCHIVIO PUBLIFOTO - OLYCOM SPA
BASILICATA
Nitti,
lo statista,
l’uomo
Francesco Saverio Nitti, renowned
historian and statesman of Basilicata,
was commemorated with many
national and international activities
on the fiftieth anniversary of his
death. From his debut as a journalist
up to the years of his fervent political
engagement, the most important steps
of his career were traced back during
a meeting in Paris with President
Bubbico. The purpose of this meeting
was to point out the prophetic aspect
of Nitti’s works.
NICOLETTA ALTOMONTE
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ARCHIVIO FONDAZIONE EINAUDI DI TORINO
Francesco Saverio Nitti studioso ed uomo politico di grande spicco. Collaborò giovanissimo ai
giornali I1 Corriere di Napoli, alla Gazzetta Piemontese, al Resto del Carlino, e presso
il nuovo giornale di Scarfoglio e Serao, Il Mattino.
Esperienze giornalistiche vissute tutte con eguale passione ed impegno. Riconoscibilissimo lo stile. Accanto all’estrema chiarezza l’ironia ed il sarcasmo recitano ruoli da protagonisti in articoli, non a caso, firmati con lo pseudonimo:
Tristram Shandy, il gentiluomo del settecentesco romanzo
satirico di Sterne. A soli vent’anni pubblicò il saggio L’emigrazione italiana e i suoi avversari.
Con l’ausilio delle scienze sociali, soprattutto economia
politica e statistica, il giovane lucano affrontò il tema dell’emigrazione, mettendo in discussione un Disegno di Legge
crispino che, ritenendo dannosa l’emigrazione, intendeva limitarla. Sotto la chiara influenza culturale e politica di Giustino Fortunato, Nitti lanciò, da quelle che sarebbero diventate pagine preziose per lo studio del fenomeno, la tesi
di una positività dell’emigrazione, in quanto fattore di trasformazione e di miglioramento delle condizioni di vita di contadini ed artigiani costretti dalla miseria ad abbandonare il proprio
paese, e spia di moderno spirito d’intraprendenza, segno di civiltà in espansione, seppure tra grandi sofferenze.
Tra le altre pubblicazioni sono da ricordare Il socialismo
cattolico, Nord e Sud, Il partito radicale e la nuova democrazia industriale.
Docente universitario, deputato dal 1904 e ministro,
Nitti divenne presidente del Consiglio nel delicato perio-
F
IN ALTO: LA MISSIONE DI NITTI NEGLI USA NEL 1917
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do postbellico e dovette affrontare la gestione dei trattati di pace, il disavanzo finanziario, le for ti agitazioni sociali e l’insorgente regime dittatoriale. Antifascista, in esilio dal
1924, tornò in Italia nel 1945, fondando l’Unione Democratica Nazionale.
A cinquant’anni dalla sua scomparsa la Regione Basilicata ha
promosso una serie di iniziative. Diverse manifestazioni svolte
tra Roma, Parigi e Melfi sua città natale, organizzate non soltanto
con il fine di celebrare il grande statista lucano, ma quasi per tentare una sorta di riconciliazione con la sua terra. Attraverso un
viaggio tra i luoghi che lo hanno visto protagonista, l’ufficio Immagine della Giunta Regionale, ha ricostruito le tappe della sua
carriera, del suo modo di concepire la politica, del suo impegno
speso per la soluzione delle questioni che attanagliavano il sud
d’Italia. Una giornata di studio si è tenuta a Roma, dove ricoprì
importanti incarichi di governo, una tavola rotonda è stata organizzata a Parigi, dove consumò la drammatica esperienza dell’esilio, ed un incontro conclusivo si terrà nel mese di gennaio a Melfi,
dove il giovane Nitti visse - come lui stesso ha scritto - un’esistenza difficile e modesta, in dignitosa povertà. Strappare questo
eminente personaggio, gigantesco quanto solitario, a quel destino di estraniazione che lo ha perseguitato in vita e, ancor più,
dopo la morte, l’ambizione della Regione Basilicata, più
volte ribadita dal Presidente Bubbico nel convegno
recentemente tenutosi all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi. Nella capitale francese, davanti ad
un pubblico attento, il governatore lucano ha parlato della volontà di “incorporare più intensamente
la lezione nittiana, come stile di pensiero e metodo
di lavoro, nella coscienza del Mezzogiorno d’Italia, che
comincia a liberarsi dei suoi impacci e dei suoi ritardi
guardando all’orizzonte dell’Europa”.
Nella città d’oltralpe, si è ancor meglio definito quel processo di identificazione collettiva della figura nittiana. Un progetto che tende ad innalzare Nitti a ispiratore e profeta della
nostra storia più recente, del ciclo di modernizzazione accelerata che il Mezzogiorno sta vivendo e, che per Bubbico “non
deve essere interpretato come esercitazione revisionistica della
storiografia, assoggettandola a schemi interpretativi deformanti
e tradendo, per l’ennesima volta, il significato del suo irriducibile
criticismo, della sua ostilità ad ogni populismo, della sua convinzione che tra democrazia industriale ed efficienza dello Stato,
non solo non vi fosse contrapposizione, ma addirittura complementarità necessaria”. Un pensiero attuale e moderno, quello
nittiano, illustrato dallo storico Raffaele Giuralongo, presidente
della Deputazione Storia Patria per la Basilicata e del Comitato
Regionale per il cinquantenario della morte di Francesco Saverio
Nitti. Giuralongo si è soffermato sulle capacità di questo grande
protagonista della storia italiana del Novecento, “che nell’attività politica e di governo aveva impresso una sua precisa visione
delle riforme, che, fondata su solide basi teoriche, fosse in grado di incidere sulla vita nazionale e sulle strutture pubbliche, per
renderle più adeguate ad una società capitalista moderna e per
introdurre, anche in Italia, una più giusta politica del lavoro, che
partiva dal pieno riconoscimento delle organizzazioni sindacali e
del contributo dei lavoratori allo sviluppo complessivo dell’Italia”. Un uomo dalle straordinarie capacità di analisi ed intuizione,
assertore delle azioni di governo volte ad almeno attenuare e,
comunque, a combattere il disagio sociale anche al fine di evitare tensioni e tentazioni rivoluzionarie che considerava inutili e
dannose, e poi un docente ricordato, ancor oggi, per chiarezza
espositiva, comunicativa immediata e capacità di convinzione,
ma anche un padre e marito attento, pronto a mantenere il padre, la madre e le tre sorelle. Ed è proprio su questi aspetti più
intimi che si è soffermato Joseph Nitti, nipote di terza generazione di Francesco Saverio Nitti.
Facendo appello alla memoria, a ricordi e testimonianze, Joseph ha tratteggiato con poche linee essenziali un Nitti ‘più umano’. “Un uomo legato a valori profondi e ideali alti che venivano
da lontano (da un “padre morto dopo una lunga vita di lavoro”)
e che ne hanno visibilmente orientato il pensiero e la condotta. Principi che traevano forza dalle radici di una famiglia di quel
Sud di cui Nitti, grande italiano, grande lucano, grande meridionalista, si fece sempre difensore e portavoce”.
Dispensatore di teorie basate sull’apertura ai bisogni dei ceti
meno agiati della società, Nitti - ha ricordato Joseph - s’impose
come un liberale e democratico intelligentemente aperto ai bisogni dei ceti meno agiati della società nazionale. Un’azione politica, quella dello statista melfitano, vissuta, sempre, con un
fervore e una convinzione cui non abdicò neanche
negli anni più difficili, quelli vissuti in esilio.
Gli anni trascorsi a Parigi furono difficili, controversi, ma furono anche gli anni della maturità e
delle riflessioni. A pochi mesi dal suo arrivo nella capitale francese si trovò a visitare in ospedale
Piero Gobetti e Giovanni Amendola, due grandi promesse della cultura italiana, due combattenti per la democrazia che i fascisti avevano ridotto in
fin di vita. Sono gli anni in cui si rafforzarono i rapporti con le grandi correnti del pensiero economico europeo
ed americano. Un periodo non documentabile poiché tutte le
agende e le lettere “più compromettenti” furono distrutte su disposizione dello stesso Nitti dal figlio Federico.
Registri, agende, ed interi pacchi di lettere furono bruciate
presso l’Institut Pasteur: in qualche ora di tutta quella grossa massa di carte, che racchiudeva tanta parte di quella che era stata la
mia attività all’estero e carte interessanti portate dall’Italia, non in
gran numero, ma non senza importanza non rimase più nulla: tutto
fu ridotto in cenere nei forni dell’Istituto.
Da statista liberale in aspettativa, è così che amava definirsi, più che partecipare ai contrasti che continuarono a dividere
i diversi raggruppamenti antifascisti, preferì approfondire i rapporti con l’ambiente politico e diplomatico che operava nella
capitale francese: sono di questi anni le amicizie con Herriot,
Briand, Painlevé, Caillaux. Venti lunghi anni spesi nella speranza di: poter esercitare un’azione sopra tutto di ordine intellettuale
e morale non solo contro il fascismo italiano, ma contro tutti i movimenti totalitari rivoluzionari e reazionari.
Una lunga ed intensa attività vissuta in nome della pace e
della democrazia. E proprio alla democrazia dedicò una delle sue opere più intense ed appassionate, forse il suo capolavoro, che ora la Regione Basilicata ha voluto ripubblicare, seguendo l’edizione nazionale delle opere di Francesco Saverio
Nitti, uscite a suo tempo per il tipi della Laterza.
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documenti
NONE OF THE CORRESPONDENCE OF NITTI DURING
HIS EXILE HAS BEEN PRESERVED. WE STILL HAVE
ONLY FEW LETTERS FROM ITALY. AMONG THE MOST
REMARKABLE ONES, CHRISTOPHER MAGISTRO,
TEACHER OF LITERATURE AT THE PERMANENT
TERRITORIAL CENTRE PROVETTI OF TURIN,
MENTIONS SOME LETTERS FOR THE KING (WHICH
HAD NO REPLY) AND A MESSAGE FOR MUSSOLINI,
ASKING HIM NOT TO JOIN HITLER IN THE
WAR.A BOUT 400 LETTERS WERE ADDRESSED TO
HIS RELATIVES. THEY ARE VERY CONCISE (DUE TO
FASCIST CENSURE) BUT FULL OF ANGUISH FOR THE
LOSS OF HIS BELOVED SONS, FOR HIS OVER NINETY
- YEAR - OLD MOTHER AND FOR HIS WIDOWED
SISTERS. IN APRIL 1943, AS HE WROTE TO VITO
REALE, NITTI FELT HIS NOSTOS ( RETURN) GETTING
CLOSER, AND HIS PAIN GETTING MELTED INTO
AN UNGOVERNABLE FIGHT FOR THE DEMOCRACY
IN ITALY.
UN PROGETTO NITTIANO,
LA BANCA PER GLI EMIGRATI ITALIANI
Tutto sommato si vive, ma non crediate che questa
sia l’America, scriveva con involontaria ironia un
emigrato in Brasile sul finire dell’ottocento.
Questa affermazione riportata da Nitti nel saggio
La nuova fase dell’emigrazione italiana
pubblicato nel 1896 - un aggiornamento quasi de
L’emigrazione e i suoi avversari di otto anni prima
- è una testimonianza tutt’altro che isolata delle
amarezze cui andarono incontro molti emigrati.
Il fenomeno non aveva ancora assunto il carattere
di esodo del decennio successivo (con la punta
raggiunta nel 1913 di 870.000 partenze), ma
già allora, notava Nitti, per ogni dodici italiani
residenti in patria ve n’era uno in America.
E l’America reale spesso somigliava poco a quella
sognata perché i pericoli e le insidie per gli
emigranti non finivano mai. Non per i serpenti
bovi, gli insetti vampiri o altri fantastici animali con
cui certa pubblicistica antiemigrazionista cercava
di dissuadere i partenti, ma per le speculazioni e
le truffe cui gli emigrati erano esposti in ogni fase
della loro esperienza.
E già molti vedevano svanire i loro risparmi
affidati al compare, come venivano chiamati gli
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improvvisati banchieri che, dopo aver fatto incetta
fra i paesani del denaro che questi volevano
spedire in Italia, scomparivano o dichiaravano
fallimento.
Dalla costante attenzione al mondo
dell’emigrazione e dal desiderio di tutelarne gli
interessi, ma anche un giusto profitto - secondo
quell’etica protestante che non vedeva nel successo
economico l’ombra del diavolo - nasceva nel 1896
il progetto nittiano di Banca per gli emigrati
d’Italia, un’impresa privata che convinse anche
personaggi come Alberto Albertini, il futuro
direttore del Corriere della Sera, ad aderirvi.
Il Ministero del Tesoro cui fu sottoposto non lesinò
lodi e apprezzamenti all’ideatore del progetto, ma
nel dicembre dell’anno successivo Luigi Luzzatti,
che del ministero era titolare, presentò una sua
proposta “per la tutela delle rimesse degli emigrati
nelle due Americhe” che riprendeva pari pari l’idea
di Nitti ma affidava la raccolta e la spedizione dei
risparmi degli emigranti al Banco di Napoli.
LETTERE DALL’ESILIO
Fra gli oltre 7000 documenti dell’archivio Nitti
che la famiglia affidò alla Fondazione Einaudi
di Torino subito dopo la scomparsa del congiunto,
ben pochi si riferiscono ai lunghi anni dell’esilio
- prima in Svizzera e poi in Francia - dello statista
lucano.
Ed è facile comprenderne i motivi.
Dopo la partenza dall’Italia, avvenuta il 4 giugno
del 1924, Nitti troncò i rapporti con quasi tutti
i suoi antichi corrispondenti e seguaci. Per non
compromettere col fascismo chi ne era rimasto
fuori e, ancor più, chi era già salito sul carro
del vincitore. E per non creare meriti a quanti,
specie in Basilicata, avevano fatto dell’antinittismo
e della caccia alle “trafile” della corrispondenza
di Nitti il loro maggiore titolo di nobiltà fascista.
Per lo meno fino a quando l’arrivo a Potenza
- nel luglio del 1928 - del prefetto Ottavio Dinale,
un professore vicentino amico personale di
Mussolini, non liquidò definitivamente il conflitto
fra l’anima ministeriale (Francesco D’Alessio)
e quella combattentistica (Nicola Sansanelli)
del fascismo lucano.
Nitti, com’è noto, distrusse anche le carte
accumulate negli anni dell’esilio quando Parigi
fu invasa dalle truppe naziste, cosicché ciò che
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rimane di quegli anni è ben poca cosa. Fra le
lettere dall’esilio a personalità politiche risaltano
le due lettere al re e il messaggio a Mussolini
sulla posizione dell’Italia nel conflitto apertosi con
l’invasione nazista della Polonia.
Di un certo interesse, malgrado l’autocensura
che Nitti si imponeva, è anche la corrispondenza
(circa 400 lettere) con le sorelle Anita ed Eleonora,
la madre Filomena Coraggio, il cognato Gioacchino
Li Greci. Vi si parla di necessità pratiche - Nitti
manterrà la madre novantenne e le sorelle rimaste
vedove in tutti questi anni -, della morte dei figli
Vincenzo e Luigia che ha lasciato due figli piccoli,
della villa di Acquafredda che i fascisti vorrebbero
espropriare.
Le lettere che parlano delle sventure famigliari sono
scritte con una grafia di difficile interpretazione,
l’inconsolabile dolore che ne emerge è di strenuo
laicismo.
LETTERA A VITO REALE
Nell’aprile del ’43, vent’anni dopo la sua partenza
dall’Italia, Nitti scrive a Vito Reale, uno dei pochi
suoi seguaci di Basilicata che non sia sceso a patti
col fascismo, una lunga lettera.
I motivi del lungo silenzio sono presto detti:
Se non vi ho scritto prima e se ho evitato di
scrivere a voi e agli amici, è perché non desidero
che alcuno abbia per causa mia molestia. La mia
discrezione non deve essere interpretata come
dimenticanza o indifferenza. Io ricordo con la stessa
affezione tutti quelli che hanno avuto amicizia
per me e per cui ho avuto amicizia.
D’altronde è questa stessa una lettera semi-pubblica
in quanto Nitti stesso chiede all’amico di mostrarla
alle autorità fasciste. E’ dettata dal bisogno di
trovare un successore al colono e guardiano della
villa di Acquafredda presso Maratea, ma diventa
l’occasione per rendere in qualche modo partecipe
l’amico di un indefinito stato d’animo di attesa della
fine del lungo esilio.
La villa s’era rivelata costosa e poco abitabile,
un incubo messo su “da un architetto pazzo
e purtroppo da una serie di ladri”.Quando fu
costruita lui non aveva potuto occuparsene,
lavorava intensamente e aveva “la mente altrove”.
Sappiamo da altre fonti che la sua supervisione fu
inutilmente affidata al sognante senatore Giuseppe
De Lorenzo, geografo e cultore di un buddismo che
lo aiuterà a passare senza traumi al fascismo già nel
‘23. Dagli avversari di Nitti la villa era stata vissuta
come un’esibizione, un affronto, una collettiva
ossessione gaddiana, la prova provata delle
ricchezze sardanapalesche da lui accumulate con
l’attività politica. Nella fantasia di qualche fascista
diventerà la grotta di Alì Babà da espugnare, tanto
che furtarelli patriottici si susseguono con una certa
frequenza, malgrado l’assidua vigilanza del colono
marchigiano Luigi Marchetti.
Per Nitti, la villa è stato un alto prezzo pagato al
bisogno di un buon ritiro per meditare e scrivere
nelle pause di un’attività politica che il fascismo
ha interrotto due anni dopo la sua inaugurazione.
“È stata sempre passiva e ragione di grandi noie”,
ma al momento in cui scrive ha ripreso forza in lui
la speranza di potervi passare in solitudine
gli ultimi anni della vecchiaia.
E soprattutto: […]ad Acquafredda io ho fatto
riunire tutto ciò che avevo a Napoli e in parte
a Roma, mobili, libri, oggetti che son ricordi
personali, qualche statua.
Mi interessano soprattutto i libri, un gran
numero di libri e di opuscoli raccolti in tanti anni
pazientemente.
Ma vi sono, ricordo per me prezioso, i libri e i
mobili di mio figlio Vincenzo, i libri di mia figlia
Luigia, i due figli morti, sempre presenti a me e al
mio spirito. Non vorrei che le cose che furono loro
andassero disperse ed è soprattutto di queste cose
che mi preoccupo.[…]
Alcuni furti sono in passato avvenuti, ma rimane
tutto nel complesso ancora intatto. Altri furti veri
o simulati non devono avvenire.
[…]Troppe cose sono avvenute che non mi sono
piaciute e ciò che rimane non deve essere demanio
pubblico. Gli assenti han sempre torto ma ciò non
deve essere pretesto di rapina o dilapidazione.
La lettera si conclude con il ricordo dei figli perduti
che erano il suo “orgoglio”, ma anche con la
riaffermazione e rivendicazione di una straordinaria
attitudine da lottatore pronto a rituffarsi nella
mischia: Io sono una vecchia e solida quercia che
il fulmine ha colpito, ma non sradicato e sono
ancora vivente nel corpo e nello spirito e animato
dalla stessa energia morale e dalla stessa
invincibile fede e dalla stessa immutevole serenità.
Dolente ma sereno, io vedo tutte le cose con
lo stesso senso di equilibrio che mi ha sempre
guidato. (a cura di Cristoforo Magistro)
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