Nascita della linguistica e comparazione fra le lingue Mirko Grimaldi Università del Salento Centro di Ricerca Interdisciplinare sul Linguaggio CRIL www.cril.unile.it Dal latino alle lingue del mondo in Europa grandi vicende storiche di ordine sociale, politico, intellettuale, religioso, resero sempre più difficile limitare l'attenzione degli studi linguistici al solo latino. Cinque-Settecento, spinte religiose: alimentarono le traduzioni nei volgari (i predicatori abbandonarono gradualmente il latino e passarono all’uso del volgare) teologi e dotti risalivano alla redazione originale ebraica e greca dei testi sacri: confronto dell’ebraico con l’antica traduzione greca dei Settanta, e i testi latini di San Girolamo con quelli antecedenti. Dal latino alle lingue del mondo Quindi per gli intellettuali più colti fu un obbligo conoscere oltre al greco e latino anche l’ebraico, una lingua semitica, affine all’arabo, di caratteristiche assai diverse da quelle del greco, del latino e delle lingue europee. In questo modo si ampliava l’orizzonte delle lingue prese in considerazione da grammatici, lessicografi e filologi. La scoperta dell’America (1492) Esigenza di evangelizzare i popoli conquistati. Ciò era possibile solo nelle loro lingue, numerosissime e assai diverse dal nord e dal sud dell’immenso continente americano. I missionari iniziarono a scrivere grammatiche e vocabolari delle lingue amerindiane, diventate, spesso, l’unica testimonianza di lingue parlate da popoli talora notevolmente sviluppati e fiorenti: le categorizzazioni della tradizionale grammatica delle lingue classiche cominciavano a rivelare la loro parziale adeguatezza L’Oriente Negli stessi secoli si intensificarono i rapporti (sia religiosi che commerciali) con l’Oriente asiatico. Conoscenza approfondita delle grammatiche delle relative lingue, ancora diverse dalle lingue d’Europa: il cinese e il giapponese. In India, invece, commercianti, missionari, e colonizzatori britannici si imbatterono nell’antica lingua della cultura e della religiosità indiana: il sanscrito. La conoscenza del sanscrito fu a doppio titolo decisiva per gli studi linguistici, per un motivo che vedremo fra poco e perché offrì agli studiosi europei strumenti e modi di analisi dei fatti linguistici avvenuti in India fin dal IV sec. a.C. Riflessioni filosofiche Fra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700, in questo clima di sempre nuove conoscenze, personalità dominanti della filosofia europea: Il francese Cartesio (1596-1650) l’inglese John Locke (1632-1704), i francesi Antoine Arnauld (1612-1694), Claude Lancelot (1615?-1695), il tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716), l’italiano Gian Battista Vico (1668-1744). cominciarono a trarre conclusioni importanti sulla natura mutevole e storica delle lingue e sulla profondità delle loro differenze non solo in fatto di pronunce e scritture, ma anche nel modo di organizzare i significati e la grammatica. Bisogna tenere presente che buona parte delle riflessioni filosofiche seicentesche e settecentesche sono incentrate sul linguaggio. Comparazione Prima con Leibniz, e poi definitivamente con Wilhelm von Humboldt (1767-1835), che conosceva da specialista varie lingue (basco, ungherese, lingue amerindiane e indonesiane), vennero gettate le basi di un'autentica linguistica comparata. L’occasione di riflettere su fenomeni eterogenei rispetto a quelli delle lingue europee già note e descritte, avviò così, nell’Europa dell’Illuminismo e poi del Romanticismo, uno studio metodico delle lingue e la loro sistematica comparazione. Dalla conoscenza e dal confronto metodico delle lingue parlate o morte di aree geografiche diverse emerse la consapevolezza che si potesse risalire a una sorta di protolingua, una lingua da cui erano derivate tutte le altre. Ci si accorse che tutte queste lingue presentavano a gruppi alcune affinità. Comparazione Accertare se queste affinità erano occasionali oppure sistematiche e decidere se erano dovute a contatti tra lingue oppure alla conservazione di un patrimonio inizialmente comune fu il primo compito degli studi linguistici che andavano ormai consolidandosi in una disciplina autonoma. Ma fu soltanto lo studio approfondito degli idiomi dell'India (da parte di Sir William Jones e di Friedrich Schlegel), e in particolar modo della sua lingua classica, il sanscrito, che consentì ai linguisti del primo Ottocento di dimostrare l'affinità di queste lingue con le nostre e di formulare regole di corrispondenza, in grado di precisare questi rapporti. Cominciò così un enorme lavoro, che in modo diverso prosegue ancora oggi, volto a individuare le grandi famiglie in cui possiamo raggruppare le lingue del mondo. L’indoeuropeo L’approccio comparatista allo studio del linguaggio venne metodicamente elaborato dal danese Rasmus Rask (1787-1832), messo a punto prima dal tedesco Franz Bopp (1791-1867) e poi dal connazionale Jacob Grimm (1785-1863). Le somiglianze constatate dal confronto fra le varie lingue furono prese come indizi della comune origine delle grandi famiglie linguistiche europee e del Vicino Oriente, sorte da una presunta lingua indoeuropea. Il comparatismo poggia sulle abbondanti corrispondenze regolari che si riscontrerebbero nell'evoluzione dei suoni peculiari di una lingua (fonemi), sia tra gli idiomi di una famiglia linguistica che tra gruppi di famiglie. Sulla sistematicità di queste corrispondenze si voleva poi imperniare la ricostruzione della protolingua, dalla quale si riteneva discendessero tutte le lingue imparentate. La regolarità dovrebbe escludere l’effetto del caso. Regolarità… Se il concetto di ‘cattivo’ si esprime sia in inglese che in iraniano con bad, il fatto è dovuto a un puro caso, perché tale somiglianza non trova parallelismi. Ma se a livello fonologico prendiamo il suono p del termine latino pater, ‘padre’, e facciamo un confronto con alcune lingue germaniche (cioè lingue che non derivano dal latino), avremo questa situazione: Fra le lingue… inglese father tedesco vater svedese fader gotico fadar Il greco e il sanscrito, viceversa, si comportano come il latino: greco patèr sanscrito pitàr L’indoeuropeo Possiamo allora notare che dove il latino, il greco e il sanscrito hanno una p, le lingue germaniche presentano una f (la v del tedesco è pronunciata come una f). Se tale differenza si ripete in un cospicuo numero di parole, ci troviamo di fronte a delle corrispondenze regolari. Il fenomeno esige senz'altro una spiegazione, e l'origine comune di tutte queste lingue, una volta esclusi il prestito o l'imitazione sonora, sembra l'unica accettabile; l'origine comune è rappresentata da una protolingua: l'indoeuropeo. Rotazione consonantica Negli esempi appena fatti le parole latine, greche e sanscrite - lingue più antiche in cui pare si siano conservate meglio le consonanti originarie dell'indoeuropeo - iniziano con una p, mentre le lingue germaniche hanno sostituito alla p primitiva una f: tale evoluzione rappresenta uno dei tratti più caratteristici del ceppo germanico rispetto alle altre lingue dell'indoeuropeo. Grimm chiamò questo fenomeno rotazione consonantica. L'individuazione di mutamenti fonologici regolari comuni a tutte le lingue germaniche permise ai comparatisti di isolare questo gruppo all'interno della famiglia linguistica indoeuropea. Problema… Il latino è una lingua di cui abbiamo molte testimonianze: i comparatisti già sapevano che dal latino erano derivate lingue come l'italiano, il francese e lo spagnolo (dette lingue romanze), mentre non esisteva nessuna lingua attestata a cui far risalire il gruppo delle lingue germaniche. La ricostruzione: Le regole di mutamento vengono interpretate a ritroso, nel senso che le forme attestate ci danno il punto di arrivo, dal quale, per congettura, si risale all'ipotetico punto di partenza. Il protogermanico: punto di partenza delle lingue germaniche. Si tratta di una protolingua, cioè una lingua ipotetica, priva di testi, ottenuta mediante un'operazione di ricostruzione, proiettando in una fase pre-documentaria i dati offerti dalla comparazione. Leggi del mutamento Si suppone che anche il protogermanico nella parola ‘padre’ avesse una *p iniziale – proprio come il latino, il greco e il sanscrito – successivamente trasformatasi in f. Potremmo formulare una regola di questo tipo: le *p dell'indeuropeo diventano f in protogermanico (e quindi nelle lingue germaniche che da esso discendono). Constatando che mutamenti sistematici del tipo ora analizzato interessavano, in contesti di parola diversi, un gruppo cospicuo di consonanti delle lingue germaniche, i comparatisti arrivarono alla formulazione di leggi o regole: legge di Grimm, legge di Verner, che dava conto delle eccezioni presenti nella prima legge di Grassmann, per spiegare esiti particolari di alcune consonati del protogermanico. Le lingue indoeuropee: Europa Le lingue celtiche, che si suddividono in: britannico: gallese (parlato nel Galles) bretone (parlato nella Bretagna occidentale). Lingue estinte sono il gallico (parlato in Gallia sino alla conquista romana), e il cornico (lingua della Cornovaglia molto simile al britannico, estintasi nel 1700); gaelico: da cui derivano l'irlandese (parlato nell'Irlanda occidentale) il gaelico di Scozia (parlato nella Scozia occidentale). Le lingue italiche il latino arcaico (lingua che, da una piccola area del Lazio, si irradiò in parte dell'Europa e oltre, estinta nel ‘600). Dall’evoluzione del latino deriveranno le lingue romanze: il portoghese (oggi parlato in Portogallo, nell'arcipelago di Madeira, in Brasile, e nelle Azzorre); il gallègo (parlato in Galizia, nel Portogallo settentrionale); lo spagnolo (diffuso in Spagna e in buona parte dell'America latina), il catalano (nella parte orientale della Spagna); il francese (utilizzato in Francia, ma anche in parte del Belgio, della Svizzera, e in alcuni stati africani); l'occitanico (a sud della Francia, oggi frammentato in diversi “patois”, dialetti); il còrso (in Corsica); il romancio (parlato in alcuni Grigioni della Svizzera); Il ladino (usato in una piccola areola fra il Veneto e il Friùli); Il sardo (in Sardegna); l'italiano e la maggior parte dei dialetti parlati nella penisola; Il rumeno (parlato in Romania); Il moldavo (usato nella Rep. Moldava). Il venetico: un tempo attestato nell'Italia nord-orientale; l'umbro: antica lingua dell'Italia centrale; l'osco: antica lingua dell'Italia meridionale; il messapico: lingua anticamente diffusa nel Salento; il siculo: attestata anticamente in Sicilia. Le lingue germaniche germanico settentrionale (o scandinavo): danese (parlato in Danimarca e Groenlandia) norvegese (usato in Norvegia) svedese (in Svezia) feroese (nelle isole Føroyar appartenenti alla Danimarca) germanico occidentale: inglese (parlato in Gran Bretagna, Stati Uniti, ma come lingua ufficiale usato anche ad Hong Kong, a Puerto Rico, in Pakistan, ecc.) frisòne (in Olanda settentrionale) ne(d)erlandese (Olanda e parte del Belgio) lussemburghese (in Lussemburgo, usato prevalentemente nel parlato, perché convive insieme al tedesco, lingua della stampa e della corrispondenza, e al francese, usato in parlamento e nell'istruzione superiore) alemanno (in Svizzera, si tratta di un dialetto tedesco che ha assunto il prestigio di una lingua) il tedesco (in Germania, Austria, parte centrale e orientale della Svizzera) afrikaans (in Sudafrica); germanico orientale: gotico, lingua parlata dai Goti, che si estinse in seguito alla sua assimilazione col latino. In gotico abbiamo la traduzione del Nuovo Testamento, fatta nel IV secolo d.C., che rappresenta il più antico documento letterario scritto in una lingua germanica La lingua ellenica greco antico, insieme al latino la lingua più documentata, e la seconda, dopo l'anatolico, per antichità di attestazione della famiglia linguistica indoeuropea. miceneo è la prima forma di greco attestato in documenti (isola di Creta XIII sec. a.C.). Il greco antico arriverà sino all'epoca medievale (bizantina), per poi subire delle modifiche (soprattutto a livello del vocalismo), e trasformarsi in neogreco, lingua parlata attualmente. Il dominio bizantino lascerà tracce durature del neogreco in aree residue: fra queste bisogna ricordare l'area salentina e la calabrese (Aspromonte) in Italia, l'isola di Cipro (area bilingue greco-turca), e l'Ukraìna (con minoranze greche nel bacino del mar d'Azov). Le lingue baltiche e slave baltico settentrionale: il lituano (Lituania) e il lettone (Lettonia); baltico meridionale: il prussiano (anticamente parlato in Polonia e Russia), ora estinto. slavo orientale: comprende il russo (Russia), il bielorusso (Bielorussia) e l'ukraìno (Ukraìna); slavo occidentale: comprende il ceco (Repubblica Ceca), lo slovacco (Slovacchia), il polacco (Polonia), il casciubo (Polonia), l'alto sòrabo e il basso sòrabo (Germania), il polàbo (Germania, estinto a partire dal 1700 circa), e lo slovinzo (Polonia, estinto agli inizi del '900); slavo meridionale: comprende il bulgaro (Bulgaria), il macèdone (Macedonia), il serbo (Jugoslavia), il croato (Croazia), lo sloveno (Slovenia). La lingua albanese l'albanese è conosciuto soltanto a partire dal XV secolo in poi, in due forme dialettali: una settentrionale, il ghego una meridionale, il tosco. Alcuni studiosi ora sono inclini a vedere l'albanese come lingua discendente dal daco-misio, una lingua ricostruita dell'area balcanica orientale. L'unità della lingua è stata precariamente raggiunta nella seconda metà del Novecento. Nel secondo dopoguerra la classe dirigente, proveniente in maggioranza dal sud, ha imposto l'uso generalizzato del tosco letterario. Asia minore La lingua armena: La dispersione territoriale e la mancanza di uno stato nella madrepatria fanno sì che i due rami dialettali dell'armeno si sia nel tempo separati, fino a configurarsi come due lingue distinte: armeno orientale armeno occidentale Solo quest'ultimo però rientra all'interno delle lingue indeuropee. Le lingue anatoliche Si tratta di un gruppo di lingue, tutte scomparse, già attestate nel secondo millennio a.C. nella Turchia centrale, ad Hattusas, l'antica capitale dell'impero ittita. Tale gruppo può essere suddiviso come segue: Ittita: è la lingua principale del gruppo anatolico, ed era scritta in caratteri cuneiformi (1700-1200 a.C); palaico: imparentato con l'ittita, parlato a nord-ovest di Hattusas, e scritto in cuneiforme; luvio cuineiforme: scritto in un sillabario pittografico (1000750 a.C.); licio: attestato nell'Anatolia sud-occidentale (400-300 a.C.); lidio: nella parte più settentrionale dell'Anatolia (500-300 a.C.). Asia centrale lingue indoiraniche: l'indiano: rappresentato dal vedico e dal sanscrito (lingue sacre dell'India antica), dall'hindi (parlato in India e in Pakistan), e da una serie di varietà linguistiche oggi parlate in India (urdu, panjabi, gujarati, bengali, assamese, sindhi, singhalese, marathi, ecc.); l'iranico: rappresentato dall'avestico e dall'antico persiano (lingue dell'antico Iran), dal curdo (parlato fra la frontiera turco-iraniana), dall'afghano (in Afghanistan), dal pahto (parte dell'Afganistan), dall'ossetico (nel Caucaso), e dallo yaghnobi (regione del lago Aral). I neogrammatici Il successo della legge di Verner e della legge di Grassmann nel chiarire le eccezioni alla legge di Grimm, diede a questi studiosi la fiducia di poter costruire una scienza linguistica molto simile alle prestigiose scienze della loro epoca. La fisica di Newton aveva fornito un modello di sistema chiuso, nel quale non vi potevano essere eccezioni. La biologia di Darwin presentava un tipo di organismo che si sviluppava secondo le leggi inesorabili dell'evoluzione, della selezione naturale, e della lotta per la sopravvivenza. Tra i linguisti si diffuse quindi la convinzione che il loro studio avrebbe potuto prendere posto tra le scienze naturali, e che questa scienza sarebbe dovuta essere necessariamente storica, in quanto il suo scopo è lo studio dei mutamenti linguistici: ogni spiegazione di un fenomeno linguistico doveva necessariamente essere una spiegazione storica. Questa era l'opinione dei cosiddetti neogrammatici (traduzione errata dell'epoca dal tedesco junggrammatiken, ‘giovani grammatici’), termine coniato in tono di scherno per individuare alcuni giovani studiosi che diedero vita alla linguistica storica. Per i neogrammatici se un certo suono, collocato in un certo contesto, era soggetto, in un certo momento storico, ad un'evoluzione, allora tale evoluzione doveva necessariamente verificarsi in tutte le parole che presentavano quel suono nello stesso contesto. Tanto i comparatisti quanto i primi neogrammatici avevano sempre condotto le loro ricerche su testi scritti (in genere di natura letteraria), o, quando esistevano, su dizionari. Tuttavia di alcune lingue le testimonianze scritte erano spesso scarse e rintracciabili solo con avanzate tecniche filologiche. La necessità di dimostrare l’ineccepibilità delle leggi fonetiche fece nascere nei neogrammatici la consapevolezza di dover disporre di osservazioni fonetiche ampie ed esatte: da qui nacque l’esigenza di compiere indagini fonetiche sulla base delle lingue parlate. Questo fu un merito, perché, come vedremo subito, l’indagine delle lingue vive porterà alla nascita della dialettologia da un lato, mentre la necessità di dover descrivere con precisione i suoni delle lingue diede avvio allo sviluppo della fonetica sperimentale. L’analisi delle lingue parlate si rivelò un arma a doppio taglio. Man mano che aumentava la messe di dati, venivano continuamente individuate delle nuove eccezioni alle leggi fonetiche. E l’idea di base su cui si era fondata questa nuova linea di ricerca non andò esente da critiche, anche feroci, da parte di altri studiosi contemporanei. Tuttavia il confronto fra le lingue così iniziato ebbe un importanza enorme, che, sia pure in modo abbastanza diverso, e sulla base di presupposti teorici differenti, continua ancora oggi, conservando molteplici finalità. Eredità Capire sempre di più struttura e storia di ciascuna lingua, le cui trasformazioni attraverso il tempo ci si fanno più chiare confrontandola con altre lingue: compito della storia della lingua o storia linguistica di ciascun popolo; studiare il trasformarsi delle lingue nel tempo e il loro raccogliersi e suddividersi in un numero relativo ristretto di grandi famiglie di lingue di comune origine, studio che, a partire dall’Ottocento, è compito della linguistica storica; l’individuazione di alcuni tipi di lingue che, al di là delle differenze, mostrano tratti comuni (per esempio possedere o non possedere gli articoli, non avere un ordine fisso delle parole oppure averlo e privilegiare l’ordine Soggetto-VerboVggetto, SVO, come in inglese e in italiano, oppure SOV, come in giapponese, ecc.), che è compito della linguistica tipologica o tipologia linguistica; l’individuazione di tratti e caratteri comuni a tutte le lingue, compito che, in parte in continuità con la vecchia grammatica generale degli inizi dell’età moderna, è proprio della linguistica generale.