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NOTIZIARIO «AMICI DI BENEDETTA»
Anno XXX - n. 1 - Maggio 2015
Semestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. abbon. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 - DCB di Forlì - Aut. Trib. Forlì n. 18/86 Dir. Resp.: Gianfranco Amati - “Amici di Benedetta” Casella postale n. 62 - 47013 Dovadola (FC) - Amm.: Via Benedetta Bianchi Porro, 4 - Dovadola (FC) Tel. 0543 934676 - c.c.p. 1000159051 - Taxe perçue (tassa riscossa) - Stampa Stilgraf Cesena
«… Poi gli accordi di una melodia
«solfeggiata da una rosa bianca
«che tua madre scorse per prima
«aprirsi d’inverno cantando il tuo segreto
«al soffio divino dell’alba».
Anna Laura Conti
Fabio Aguzzi, Rosa sola, 1998 (particolare)
2 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79
Pagine di diario
• Il 14 novembre a Dovadola Manuela Bianchi Porro ha incontrato i seminaristi di Bologna e don Enrico Casadei Garofani
per parlare di Benedetta.
• Nel pomeriggio dello stesso giorno era invece a Coriano, in
provincia di Forlì nella chiesa di San Giovanni Battista per l’inaugurazione del portone di bronzo in cui appare anche Bene-
a cura di ROBERTA BÖSSMANN
segnanti di religione coordinato dalla professoressa Iolanda Zanetti.
• Il 22 gennaio 2015 è apparso, su “il momento” un bell’articolo di Giovanni Amati per il 51º anniversario di morte di Benedetta. Veniva ricordato l’appuntamento di domenica 25 gennaio
alla Badia di Dovadola con la Santa Messa presieduta dal cardinale Giuseppe Versaldi di cui riportiamo la parte dell’omelia
relativa alla nostra Venerabile. Il tema dell’incontro, dell’accettazione della Croce, la carità verso gli altri che la fanno diventare apostola e testimone dell’Amore di Dio sono i temi sviluppati in modo efficace dal cardinale e motivo di riflessione
per tutti noi.
• Il 23 gennaio gli Angeli dell’Annunziata di Ascoli hanno presentato un recital sulla vita di Benedetta. Riportiamo una bellissima cronaca dell’evento che permette a tutti noi di essere
tra quei bimbi della scuola elementare di Ascoli Piceno. L’articolo di Mary P., fatto con grande delicatezza, dona a tutti i nostri lettori l’emozione vissuta dalle “formichine di Dio” e dai
loro spettatori. Gianfranco ed io abbiamo avuto il privilegio di
poter vedere un filmato artigianale della recita e, vi assicuro,
più volte ci siamo ritrovati con le lacrime agli occhi!
• Il 24 gennaio 2015 Manuela era a Dovadola per un incontrotestimonianza con il gruppo della parrocchia di San Giovanni
Battista di Monte Colombo (Rimini).
detta. Il parroco, don Enzo Scaioli ha chiesto a Emanuela di
portare la sua testimonianza.
• Lunedì 1 dicembre 2014 esce su “l’Osservatore Romano” l’articolo Fiore d’inverno di Lucinda M. Vardey. Racconta la vita
di Benedetta che Lucinda ha conosciuto attraverso un libro trovato nella chiesa di Sant’Anna a Sirmione. È stata colpita dalla foto di copertina che rappresenta una «elegante e giovane
donna sorridente, che porta alle orecchie le boccole che andavano di moda negli anni ’60 del Novecento. I suoi occhi scuri
non guardano verso la macchina fotografica, ma sembrano fissare qualcosa che va ben oltre la comprensione razionale, ovvero le gioie dell’amore sperimentato percorrendo la via dolorosa sotto il peso di una croce molto gravosa». Così inizia l’articolo. Dell’autrice doniamo ai nostri lettori un altro scritto inviato in inglese, che le amiche di Ostuni hanno tradotto. È molto bello. È la storia di un incontro.
• L’11 dicembre 2014 c’è stata a Dovadola l’inaugurazione del
corso di alta formazione. Ne parliamo in un articolo.
• A Sirmione sono continuati, nel 2014, gli incontri mensili promossi da mons. Evelino Dal Bon. In questo numero pubblichiamo ancora due meditazioni che sono molto belle. Spero
davvero che questa tradizione possa essere ripresa, almeno
qualche volta, anche in futuro.
• L’11 gennaio 2015, a Forlì, don Giovanni Amati, Responsabile dell’Ufficio Diocesano delle Comunicazioni sociali di ForlìBertinoro, espone una relazione sulle figure religiose più significative del territorio, Benedetta è una di esse, all’interno del
programma di pastorale della scuola e di formazione degli in-
• Il 25 gennaio il gruppo “Amici di Benedetta” dell’Alto Maceratese ha ricordato a Pieve Torina il 51º della sua morte. L’amica Federica ci ha inviato una breve cronaca della giornata.
La troverete in questo numero. È molto bello che quell’incontro sia diventato anche un momento per raccogliere offerte per
l’ospedale in Uganda fondato da Piero e Lucille Corti, grandi
amici di Benedetta. Quando Lucille contrasse il virus dell’Aids
lavorando in situazione di guerra, continuò intrepida il suo lavoro; il marito, sconvolto, scrisse al fratello: «Lucille, dall’inizio di questa prova, è semplicemente magnifica... l’ho messa
sotto la protezione di Benedetta Bianchi Porro. È pensando a
lei che abbiamo cominciato a lavorare come medici missionari
in Africa». Ho voluto fare dono di queste parole scritte da Elio
Guerriero su “Avvenire” di mercoledì 8 ottobre 2014, a p. 4,
perché penso possano essere per voi un incentivo a continuare
il vostro generoso sostegno.
• Sabato 31 gennaio in preparazione alla Giornata per la vita, a
Cassano Magnago (Va), nella chiesa di San Giulio, Emanuela
Bianchi Porro ha portato la sua testimonianza su Benedetta
partendo dal suo pensiero: «Io penso che cosa meravigliosa è
la vita anche nei suoi aspetti più terribili; e la mia anima è
piena di gratitudine e di amore verso Dio per questo».
• L’associazione “Gli Elefanti” ha pubblicato il calendario del
2015 - Un anno d’arte per una vita di solidarietà. Per il mese
di febbraio l’artista Bruna Turchi ha fatto il ritratto di Benedetta. Vederlo è stata una bella sorpresa!
• Domenica 8 marzo si è svolto a Sirmione il consueto “Concerto di primavera” promosso dall’associazione “Amici per Benedetta Bianchi Porro”, dal Comune e dalle Terme di Sirmione.
L’amico Maurizio Toscano ha fatto per noi un resoconto della
serata.
l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 3
• Sabato 21 marzo il
Comune di Zelo Surrigone, in collaborazione con la Biblioteca dell’Orologio ha
presentato il libro I
dolci volti di Dio di
Maria Grazia Bolzoni
Rogora, alla presenza
dell’autrice e di Carmen Bianchi Porro
Spinelli, sorella di
Benedetta.
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• Il 28 marzo la cara
amica Giuliana Pecolatto ha scritto un ricordo di Anna Cap'
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pelli e di Benedetta,
con la sua consueta capacità di testimoniare, pur nella sofferenza, il tanto amore che ha da donare. Definisce Anna e Benedetta «due stelle della stessa costellazione, fuoco entrambe
dell’Amore di Dio». Grazie, Giuliana, per questo splendido
pensiero!
• Il 31 marzo, Manuela, al mattino, ha parlato a Busto Arsizio alla scuola primaria “Chicca Gallazzi” alle quarte e quinte classi.
Il pomeriggio è tornata a Cassano Magnago (VA), parrocchia di
San Giulio, per incontrare 130 ragazzi di tre parrocchie che hanno preparato un cartellone da portare a Benedetta a Dovadola.
• Il 3 aprile l’Hospice di Dovadola ha ottenuto sulle pagine della stampa locale un pubblico riconoscimento per la competenza e la sensibilità dimostrate nell’accompagnamento dei suoi
pazienti.
È una struttura che svolge un servizio davvero importante: chi
vi lavora non si limita ad impegnarsi nei protocolli medici nei
confronti di coloro che si affidano alle cure, ma sostiene anche
i familiari con grande professionalità e tanta umanità nei momenti difficili che la vita richiede di affrontare. Il sindaco di
Dovadola, Gabriele Zelli, con l’associazione “Amici dell’Hospice” e con il dottor Marco Maltoni, intende sensibilizzare i
cittadini con appuntamenti culturali, previsti per il prossimo autunno, al fine di sostenere la struttura anche finanziariamente.
• Il 13 aprile viene invece affrontato il tema: La morte nella
cultura odierna: bambini adolescenti di fronte alla morte.
Relatore è don Erio Castellucci. Un grazie alla coordinatrice che
ci invia il variegato programma ricco di iniziative interessanti.
• Domenica 19 aprile, a Sirmione, si sono incontrati nella stanza di Benedetta un gruppo di Peschiera del Garda e di Verona,
affiliati a CL, che fanno capo a Bruno Maffezzoli.
• Sabato 25 aprile. Manuela era a Dovadola con un gruppo di Bologna della Parrocchia di Santa Teresa del Bambino Gesù, accompagnato da don Massimo Ruggiano che ha scritto un bel
profilo di Benedetta, analizzando il suo cammino psicologicospirituale e la trasformazione interiore che la sofferenza opererà
nella sua vita. Nel prossimo numero pubblicheremo questo lavoro nel nostro periodico. Ringrazio anche Manuela che puntualmente ci informa sui suoi incontri per far conoscere la nostra
Benedetta. Sono davvero tanti e se qualche notizia ci sfugge
chiedo perdono a lei e alle altre persone che ho dimenticato di
ricordare. Qui siamo sommersi dalle carte e qualche volta vado
in confusione! È bello sapere che tanti desiderano conoscere
Manuela o altri testimoni per avere notizie di prima mano di Benedetta; credo che questi incontri possano davvero aiutarci a farci sentire Benedetta un po’ sorella anche nostra e a farcela sentire una persona a cui rivolgersi per farsi aiutare e per trovare in
lei una testimone del Vangelo vicina ai nostri giorni.
Non mi resta che augurare a tutti una buona preparazione al Giubileo della Misericordia indetto da papa Francesco a partire dall’8 dicembre prossimo. Il tema della misericordia è la cifra del
nostro Papa e Benedetta ci può certo aiutare ad arrivare a comprendere questo concetto così grande da essere la proprietà fondamentale di Dio, quando vuole comunicare a noi la sua stessa
essenza, la sua fedeltà alla sua alleanza e la sua incrollabile pazienza con noi uomini.
«Dio perdona tutto, e Dio perdona sempre» ci ha ricordato papa
Francesco e Benedetta con la sua vita è stata un continuo richiamo a questo pensiero. Spero che queste pagine, che siamo riusciti a mettere insieme grazie all’aiuto di tanti amici, possano aiutarci a vivere bene questi mesi di attesa.
Chiediamo allo Spirito Santo di starci vicino e di fortificare il legame che c’è tra noi e Benedetta e, ovviamente, anche quello tra
di noi!
Buona estate a tutti!
Dovadola, 25 aprile 2015 - Gruppo della parrocchia di Santa Teresa del Bambino Gesù di Bologna.
4 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79
La magia di un incontro
A DOVADOLA
La magia dell’incontro si rinnova sempre a Dovadola
nei giorni di festa di Benedetta. Lo vediamo anche il 25 gennaio 2015 per il 51º anniversario della nascita al cielo di Benedetta.
Alcuni pellegrini arrivano da lontano, come gli scout di Taranto, confermando una fedele presenza di lunga data, altri invece sono nuovi, come alcune famiglie di Verona e Peschiera,
venuti a scoprire Dovadola, dove Benedetta nacque e dove sono conservate le sue spoglie alla Badia.
Da Sirmione è arrivato un pullman con un gruppo di pellegrini, accompagnati da mons. Evelino Dal Bon e da don Riccardo Alawatom, originario del Togo. C’era anche Luigi Sansoni, dell’Amministrazione Comunale di Sirmione, nel segno
del gemellaggio tra le due località nel ricordo di Benedetta.
Vediamo giovani, le ragazze e ragazzi di Monte Colombo
(Rimini), animati da don Massimo Sarti, impegnati già da sabato in una full immersion spirituale, con meditazioni, con un
incontro-testimonianza con Emanuela Bianchi Porro, con una
veglia di preghiera, con confessioni, partecipazione alla liturgia, visita al Museo della Fondazione Benedetta Bianchi Porro.
Rivediamo i familiari di Benedetta, con le sorelle Emanuela
e Carmen, accompagnata dal marito Carlo Spinelli.
Rivediamo la prof. Valeria Baccanelli, insegnante di Benedetta al ginnasio negli anni 1950-1951, gli amici di Forlì, di
Ravenna, e quelli di Dovadola, che sono, in certo modo i custodi locali di Benedetta, a partire da don Alfeo Costa, che fa
gli onori di casa durante la celebrazione alla Badia.
Liliana Fabbri Selli, presidente dell’“Associazione per Benedetta Bianchi Porro” e Jolanda Bianchini, presidente della
Fondazione Benedetta Bianchi Porro, fanno gli onori di casa,
accogliendo gli Amici anche nel tradizionale apprezzato incontro conviviale alla “Rosa Bianca”.
Tutti si ritrovano, è un ampio campionario di umanità, e ciascuno porta a Benedetta delle situazioni di vita ed una domanda di conforto e di speranza. Benedetta ha incontrato il Signo-
Dovadola - Gruppo di amici di Peschiera e di Verona venuti a Dovadola per
pregare per una bambina che ha la stessa malattia di Benedetta (Foto Conficoni)
re e indica con chiarezza quel Signore che in lei mostra la Sua
luce anche per coloro che la incontrano. Il Signore è gioia e
speranza. È questa la Buona Novella che Benedetta, per grazia
di Dio, fa scoprire nella sua drammatica vicenda. Quando le
persone colgono questo, trovano un grandissimo conforto e diventano naturalmente dei “Passaparola” di quanto avviene nel
loro cuore. Sono questi gli Amici di Benedetta.
E allora gli incontri sono un dono reciproco, di conforto, di
speranza, di rinnovato impegno. E ritrovarsi attorno all’altare
significa riscoprire ancora una volta, nell’amore di Gesù che si
rinnova nell’Eucaristia, la fonte di gioia che Benedetta ha sperimentato dentro di sé.
Questo hanno vissuto coloro che si sono ritrovati a Dovadola il 25 gennaio 2015, ma anche coloro che attorno all’altare
si sono ritrovati il 25 gennaio a Pieve Torina e ad Ostuni, e
il 23 gennaio, a celebrare l’anniversario di Benedetta a Sirmione. In tutte queste iniziative si realizza quella magia del
Signore che è presente laddove due o più si riuniscono nel suo
nome.
Dovadola, 25 gennaio 2015 - Gruppo di Sirmione
(Foto Conficoni)
Dovadola
l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 5
La scoperta dell’Amore
OMELIA DEL CARD. GIUSEPPE VERSALDI
La liturgia del rito eucaristico nella Badia di Dovadola del 25 gennaio 2015, nel 51º della nascita al cielo di Benedetta
si è svolta con una concelebrazione presieduta dal cardinale Giuseppe Versaldi, con il vescovo di Forlì-Bertinoro
Lino Pizzi, mons. Dino Zattini, don Alfeo Costa, mons. Evelino Dal Bon, don Riccardo Alawatom, don Massimo Sarti.
Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi
e credete al Vangelo (Mc 1, 15).
Seguitemi, vi farò diventare
pescatori di uomini (Mc 1, 17).
Nella sua omelia il Cardinale ha, tra l’altro, sottolineato
che è importante capire questa
stretta connessione che Gesù
fa tra conversione e fede per
non dare per scontata la fede
intesa come semplice adesione
intellettuale all’esistenza di un
Dio. La fede implica e favorisce nello stesso tempo un cambiamento della nostra vita.
Come diceva Papa Benedetto XVI nella lettera con cui indiceva l’anno della fede, si entra nella fede «quando il cuore
si lascia plasmare dalla grazia
che trasforma» (La porta della
fede, 1). Per questo Benedetto XVI parlava di un «cammino che dura tutta la vita» e che
consiste nel camminare per
uscire dal deserto ed entrare
nel luogo della vita che è comunione con Dio che è Amore.
Questo cammino hanno percorso quei discepoli che hanno
seguito Gesù e, nella fede in
Gesù misericordioso, hanno
trovato la forza di lasciarsi
perdonare, dopo averlo anche
abbandonato e tradito. In questo contesto, il Cardinale mette
a fuoco la figura di Benedetta. Riportiamo integralmente la parte dell’omelia a lei dedicata.
Di fronte a questi richiami
della liturgia odierna ci dobbiamo sentire nello stesso tempo
confortati nella nostra adesione
di fede, ma anche stimolati ad
un serio esame di coscienza
per togliere gli eventuali ostacoli ad una fede matura, a cui
non si è mai definitivamente
pervenuti. Ma la Parola proclamata oggi è anche la miglior
chiave di lettura e di comprensione della vita della Venerabile Benedetta Bianchi Porro che
questa Chiesa locale ha generato e di cui vuole conservare
giustamente viva la memoria
celebrando le sue virtù eroiche
nel suo stesso paese natale.
Documentandomi sulla breve, ma esemplare vita di questa
giovane donna ho potuto leggervi alcune caratteristiche che
vanno proprio ad incarnare il
messaggio della Parola di Dio
proclamata in questa domenica
dell’anno liturgico. Infatti, è
lampante nella vita della venerabile Benedetta la consapevolezza di una chiamata alla conversione ad una fede sempre
più matura. Conversione nel
senso più profondo che Gesù
intendeva e non solo come abbandono di uno stato di peccato. Benedetta in un momento
di sincerità confessava di non
trovare nella sua esistenza traccia di alcun peccato mortale e
tuttavia ammetteva che c’è stata una conversione nella sua
vita. L’incontro con Nicoletta
le ha permesso di dare una
svolta alla sua vita cristiana,
tanto da ringraziare l’amica di
averle dato il “dono della fede”
nel senso proprio di poter passare da una concezione moralistica della vita cristiana ad una
fede come incontro personale
con l’Amore di Dio a cui ab-
bandonarsi. Addirittura definisce “pagana” la sua vita cristiana basata su una morale
«con cui sempre ho tutto misurato», mentre dall’incontro con
l’Amore si sente cambiata perché confessa: «Ora con me c’è
Dio». Ed è da notare che questa conversione è avvenuta
mentre Benedetta era ancor abbastanza in salute e frequentava l’Università, anche se erano
già presenti i segni della sua
progressiva infermità.
Il Signore l’ha guidata a
scoprire l’amore prima di arrivare alla sommità del suo Calvario. Così Benedetta può scrivere alla mamma: «Quanto a
me sto come sempre, ma da
quando so che c’è Chi mi
guarda lottare, cerco di farmi
forte: come è bello così! Mammina, io credo all’Amore disceso dal Cielo, a Gesù Cristo
e alla sua Croce gloriosa!! Sì
io credo all’Amore» (1961).
Solo attraverso questa conversione ad una fede personale in
un Dio che è Amore, è stato
possibile a Benedetta percorrere la via del Calvario delle crescenti sue sofferenze. E qui sta
l’eroicità della sua testimonianza di fede: credendo all’Amore, Benedetta può accettare
il mistero della Croce che per
lei si fa sempre più pesante,
ma che non la scandalizza anche se rimane un mistero
perché, come scriveva, «non
c’è spiegazione alla croce»
(1964). Benedetta non sottovaluta la difficoltà di questa accettazione della Croce perché è
consapevole che «nel mondo si
apprezzano le virtù cristiane,
ma appena arriva Gesù Cristo,
la sua croce, tutti si dileguano,
tutti tacciono... cioè, cristianesimo in fondo sì, ma Cristo no,
al più ni». Lei, invece, ha detto un forte e pieno sì alla Croce di Cristo: «Le mie giornate
sono lunghe e faticose, però
con l’aiuto divino riesco a riposarmi abbandonata sulle
spalle di Cristo. Con Lui mi
pare di essere in una cella
chiusa ma in cammino verso
un porto dove la pace è sicura
ed eterna. E mi sciolgo in tenerezza trasalendo quando mi
pare di essere da Lui presa per
mano» (1963).
Ne sono testimonianza anche i due pellegrinaggi a Lourdes da dove torna senza aver
ottenuto alcun miglioramento
fisico, ma rafforzata nella sua
fede e comunione con Cristo
tanto da scrivere: «Dalla città
della Madonna si ritorna nuovamente capaci di lottare, con
più dolcezza, pazienza e serenità. Ed io mi sono accorta più
che mai della ricchezza del
mio stato e non desidero altro
che conservarlo. È stato questo
per me il miracolo di Lourdes»
(1963). E quando è testimone
di una guarigione miracolosa
avvenuta a favore di una ragazza vicino a lei, Benedetta
esulta, ma non si lamenta di
essere rimasta inferma: «Nel
nostro pellegrinaggio c’è stata
una miracolata: un’umile ragazza di 22 anni che da due
anni non camminava: che bellezza! Ne sono rimasta scossa»
(1962). A lei basta l’esperienza
della presenza dell’amore di
Dio in lei, una presenza che dà
significato anche alla sua sofferenza: «Dio mi aiuterà, per-
6 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79
ché sa che io esisto» e «Se si
ama l’Amore, si finisce per vivere di Amore» (1962).
Da questa esperienza nasce
l’ulteriore passo nella vita della Venerabile: la sofferenza accettata per amore, diventa occasione di carità verso gli altri.
Benedetta anziché ritirarsi nel
suo dolore e farsi compassionare dagli altri, si trasforma in
apostola dell’amore di Dio nella sue relazioni con tante persone. A coloro che vanno per
consolarla, lei fa dono della
va crollato, salute, studio, sogni, lavoro... Come vorrei che
anche lei trovasse un po’ di
quella pace che io posseggo»
(1963).
Da questi brevi accenni biografici risulta evidente come
Benedetta abbia in pieno realizzato quanto la Parola di Dio
oggi proclamata indicava. Sì,
veramente la nostra Venerabile
si è convertita e ha creduto al
Vangelo! Ha abbandonato la
via di una religiosità mediocre
e moralistica che pure l’aveva
Veramente Benedetta è vissuta in questo mondo “come se
non” vivesse in questo mondo,
gustando le cose belle e buone,
ma senza porre in esse la sorgente della sua felicità; e soprattutto ha accettato le crescenti e pesanti sofferenze nella consapevolezza che “passa
la scena di questo mondo” perché la Croce non è l’ultima parola, ma, unita a quella di Cristo, apre le porte alla vittoria
nella vita eterna. Solo con questa certezza nel cuore poteva
quelli che vivono o vengono
attorno al mio letto, e mi danno e domandano l’aiuto di una
preghiera» (1963).
Cari fratelli e sorelle, ringraziamo il Signore per il dono
che ha fatto alla Chiesa di quest’anima eletta e veramente benedetta! Ma non limitiamoci
ad ammirarla ed invocarla.
Dobbiamo impegnarci ad imitarla, perché tutti siamo chiamati sulla stessa via che Lei ha
percorso, anche se per ognuno
di noi i modi sono diversi e
stabiliti dalla misteriosa Provvidenza divina.
Specialmente voi, cari giovani, che avete davanti ancora
gli anni più lunghi ed impegnativi della vostra vita, non accontentavi di una fede mediocre e vissuta come rendita di un
Battesimo sempre più lontano.
Ognuno di voi è chiamato a
crescere fino alla maturità della
fede che passa attraverso la
stessa conversione che ha cambiato la vita di Benedetta. Non
accontentatevi di evitare il male, ma cercate Cristo e trovate
Colui che vi ha amato per primo perché solo così sarete attratti dal Bene e vi sentirete
chiamati a dare agli altri l’amore che continuamente ricevete.
Al sarcofago di Benedetta, da sinistra a destra: don Alfeo Costa, mons. Lino Pizzi, il card. Giuseppe Versaldi
e il diacono Ariano Baccarini (Foto Conficoni)
sua sofferenza vissuta come testimonianza della sua fede nell’Amore divino. Così scrive:
«Dal mio letto vi seguo tutti, io
così inoperosa, e vi tengo vicino al cuore, sotto le coltri,
mentre voi camminate col tempo» (1963).
Così è in grado di consigliare e di incoraggiare chi è nella
prova proprio condividendo la
sua esperienza: «Anch’io ho
passato tanti dolori, agitazioni,
e nella lotta cercavo Lui — Lui
solo — da sempre. E Lui è venuto, mi ha consolata, mi ha
accarezzata nei momenti di
paura e di dolore più forte,
proprio quando tutto mi pare-
mantenuta sulla strada del bene, per intraprendere l’esperienza esaltante e misteriosa
dell’abbandono a Cristo scoperto come l’Amore che chiama a seguirlo ovunque vada
nella assoluta fiducia che ci
conduce al definitivo Bene in
cui trovare la gioia che non
tramonta.
Per questa fede matura Benedetta ha accettato di abbandonare ogni sua aspirazione ed
è stata condotta dall’Amato a
salire con Lui sulla Croce fino
a staccarsi anche fisicamente
da ogni esperienza mondana:
sorda, cieca ed immobilizzata
fino alla morte.
scrivere così: «Io, in questi ultimi giorni, sono peggiorata di
salute. Spero perciò che la
chiamata non si faccia troppo
attendere... Le dirò che ho già
sentito la Sua voce: la voce
dello Sposo» (1963).
Veramente Benedetta, come
i primi apostoli, ha risposto alla chiamata ad essere missionaria diventando, pur nella
enorme restrizione della malattia, “pescatrice di uomini” con
la testimonianza di vita come
apostolato verso tutti coloro
che poteva raggiungere: «Il
mio compito non è solo quello
di scrutarmi dentro, ma di
amare le sofferenze di tutti
Avvertiamo nella fede la vicinanza di questa Venerabile
che vuole rimanere tra i suoi,
specialmente tra quella della
sua terra perché era convinta
che «il mio spirito vivrà, tra i
miei, tra chi soffre e non avrò
neppure io sofferto invano»
(1963).
Seguendo il suo esempio,
ognuno di noi non vivrà invano
perché troverà l’Amore che sazia ogni desiderio umano e sarà
capace di diffonderlo attorno a
sé per edificare già qui in terra
quel Regno di Dio che è vicino
ad ogni creatura. E si realizzerà
quella nuova evangelizzazione
necessaria per rianimare questa
vecchia Europa che sembra voler lasciare la sua preziosa eredità di fede per far rifiorire una
Chiesa missionaria e presente
con la Buona notizia che consola e porta la salvezza a tutti,
specialmente ai poveri.
A colloquio con il Card. Giuseppe Versaldi
l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 7
D. Lei ha affrontato Benedetta nei suoi scritti ed è stato
immerso per qualche ora in
questo ambiente dovadolese.
Quali sono le sue impressioni
a seguito di questo incontro
con Benedetta?
R. Come già detto nell’omelia, la conoscenza più approfondita di questa Venerabile
mi ha permesso di capire ancora meglio il suo cammino di
crescita: mentre il suo fisico
era indebolito dalla malattia, il
suo spirito era invece rafforzato dalla sua esperienza dell’unione con Dio, con Cristo, culminata alla fine, in una forma,
direi, di alto misticismo. Non
mi ha stupito quanto la sua
memoria e la sua testimonianza siano penetrate qui tra la
gente che l’ha conosciuta e
perdurino nel tempo, oltre cinquant’anni dopo la sua morte.
Questo è un segno di un seme
piccolo che dà frutti copiosi
nel tempo. Spero che Benedetta, con il riconoscimento da
parte della Chiesa nell’emozione all’altare, possa dare ancora
frutti più copiosi specialmente
per i giovani.
D. In cosa consiste il suo
attuale incarico di Cardinale
“Prefetto degli Affari economici della Santa Sede”?
R. Sono come nel controllo
della Corte dei conti negli affari civili, il mio dicastero non
gestisce direttamente, ma controlla i bilanci, vigila perché
venga fatta una buona amministrazione.
a cura di GIANFRANCO AMATI
do, l’uso di questi beni che si
sono anche accumulati nel
tempo, grazie appunto alla generosità dei cristiani che vedevano legata alla fede anche la
carità. E così l’Eucaristia è
D. Cosa può dire una figura come Benedetta rispetto
agli “affari economici”?
R. Ci aiuta anche la liturgia
di oggi. San Paolo ci dice di
vivere in questo mondo come
se non fossimo destinati a rimanere sempre in questo mondo. Anche i mezzi, pure necessari per la vita della Chiesa e
delle comunità, sono strettamente legati a una finalità soprannaturale. Si tratta quindi di
usare i beni terreni per favorire
il Regno di Dio con quell’oculatezza del buon padre di famiglia, ma anche ben sapendo
che non possiamo lasciarci
vincere da una mentalità mondana basata sul profitto e sull’accumulo delle ricchezze. Lo
scopo dei beni terreni nella
Chiesa è quello di potere evangelizzare e di testimoniare nella carità, soprattutto verso i poveri, come la Chiesa sta facen-
momento di unione con Dio,
ma è anche attenzione ai più
poveri che mancano dei beni di
sostentamento. È la predicazione che sta facendo in maniera
specifica, come già stavano facendo i pontefici precedenti,
papa Francesco. Egli vuole una
Chiesa che combatta contro le
disuguaglianze, contro le emarginazioni e che dia, nell’immediato, la risposta contro le
emergenze, ma poi risolva anche le cause delle diseguaglianze e delle povertà che ci
Dovadola
INTERVISTE AL VOLO AI RAGAZZI
E ALLE RAGAZZE DI MONTE COLOMBO (RN)
Domanda – Cosa hai ricavato dall’incontro con Benedetta in queste
giornate?
Risposte
Andrea – «A me è piaciuta la fede con cui Benedetta ha affrontato la
malattia, fede che le ha dato la forza di riuscire a combatterla nel migliore dei modi».
Diego – «La figura di Benedetta mi ha aiutato a capire che prima di amare se stessi è meglio amare gli altri. Questo è molto importante nella vita
perché anche in molte parti della sua vita Benedetta ha potuto dimostrarlo».
Veronica – «Ho ricavato la forza di credere da Benedetta e anche la
semplicità».
Beatrice – «Mi ha dato speranza e l’immenso desiderio di poter condividere qualsiasi cosa».
sono nel mondo. Quindi la
Chiesa vive anche dei beni materiali, ma sempre con questa
attenzione.
D. Mi ha colpito molto il
fatto che in Benedetta sia cresciuta la fecondità spirituale,
la sua comunicazione di Vangelo, di buona notizia, proprio
quando diminuiva la sua capacità di comunicare.
R. Questo è un messaggio
che va tradotto anche a livello
generale. L’anima spirituale deve permeare tutte le attività, anche quelle materiali perché veramente si possa servire Cristo
che, pur essendo ricco, si è fatto povero per fare ricchi noi
della sua grazia. Questo è l’ideale e la testimonianza incarnata nella Venerabile Benedetta.
Ringraziamo molto il Cardinale Giuseppe Versaldi per il
tempo che ci dedicato. Abbiamo avuto la netta impressione
che si sia trovato bene con noi.
Lo ringraziamo per la sua affabilità e gli auguriamo ogni
bene per l’espletamento del
nuovo incarico come Prefetto
della Congregazione per l’Educazione cattolica, che gli è
stato affidato il 31 marzo 2015
da papa Francesco.
Dovadola, 25 gennaio - I ragazzi di Monte Colombo con
don Massimo Sarti davanti al Museo della Fondazione.
Su quei gradini si sedeva anche Benedetta bambina, che
guardava quelli che giocavano in piazza.
8 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79
Dovadola: etica in economia?
Sta crescendo bene, secondo la prof. Sofia Bandini che lo dirige assieme alla prof.
Rebecca Levy Orelli, il Corso di Alta Formazione “Benedetta Bianchi Porro” dell’Università di Bologna-Campus di Forlì.
Si tratta del Corso di economia e management delle organizzazioni non profit a
movente ideale.
Che ci sia bisogno delle competenze necessarie per tutti coloro che dirigono e
operano nelle associazioni impegnate in
settori culturali, sanitari, educativi, religiosi non c’è dubbio. Avere nobili intenti e
Docenti e autorità all’inaugurazione del Corso
hanno o mostrano di avere nel loro operare. A dirla in modo spiccio, anche il mercato capisce che con le ruberie, alla lunga,
si va soltanto verso un disastro, anche economico. E questo gli economisti attenti lo
capiscono. E l’attenzione all’etica, anzi all’opzione etica, fa allora parte, in un certo
modo, del DNA del corso.
La prof. Bandini, che ha potuto contare
sulla fattiva collaborazione dell’“Associazione per Benedetta Bianchi Porro” e della
Fondazione intestata a Benedetta e di altri
enti e istituzioni per il sostegno dell’inizia-
(Foto Conficoni)
tiva, è sicuramente soddisfatta che più della metà delle lezioni si svolgerà a Dovadola, nel Museo della Fondazione “Benedetta
Bianchi Porro”. Anche il recente restauro
del loggiato, del Palazzo della Fondazione
stessa, a cura del Comune, può essere un
positivo richiamo per i visitatori.
Ci auguriamo che i corsisti riescano a
vincere la scommessa etica che sono chiamati ad affrontare.
Il 1º giugno avrà luogo al Museo la cerimonia a conclusione del corso.
G.
Museo della Fondazione “Benedetta Bianchi Porro”,
11 dicembre 2014. Inaugurazione del corso 20142015: Da sinistra a destra: la prof. Rebecca L. Orelli
e la prof. Sofia Bandini (Foto Conficoni)
gestire le iniziative in modo dilettantistico
è, oltre che difficile, spesso anche controproducente se nobili intenti non vengono
messi in pratica con razionali modalità
progettuali, organizzative e gestionali.
Uno scorcio della sala
(Foto Conficoni)
Sappiamo anche che non basta il riferimento generale a moventi ideali, perché le
cronache purtroppo mostrano quasi quotidianamente non rari esempi di management, che sono un vero e proprio “mangement” che porta a notevole lucro personale
con devastanti conseguenze di immagine e
di sperpero di denaro, possibilmente pubblico.
La prof. Bandini è consapevole di questo. Sa che proprio oggi c’è bisogno diffuso, di pulizia, di legalità, di comportamenti eticamente ispirati. Per questo il corso
CBBP è stato intestato a Benedetta, che ebbe nel rigore morale una delle cifre significative della sua vita e del suo comportamento. Una figura come la sua può richiamare l’attenzione anche di coloro che sono
abituati a occuparsi di organizzazione
aziendale ed economica, perché possano
domandarsi sul senso di quello che fanno e
sui valori che, in un modo o nell’altro,
La sede della Fondazione "Benedetta Bianchi Porro" dopo il recente restauro del loggiato
(Foto Solmona)
Da Ascoli Piceno
l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 9
Il 23 gennaio 2015, in una scuola elementare di Ascoli Piceno, gli angeli dell’Annunziata hanno presentato il recital sulla
vita di Benedetta
… LA BELLA STORIA VERA DI BENEDETTA!
Una giornata ricca di emozioni.
Un po’ alla volta il teatro si popola. Uno dopo l’altro arrivano
gli attori, gli autori, i tecnici… sono bambini, ragazzi, e sono genitori: sono gli Angeli dell’Annunziata e le loro famiglie.
Già. Ad accendere le luci, a preparare le scene, a muovere il sipario ci sono mamme e papà, non altri. I nostri Angeli lanciano
un nuovo modo di lavorare con Dio per i bambini.
«Buongiorno bambini!» – esclama allegro il “capo” (degli Angeli) al suo arrivo. E tutto a un tratto si raccolgono tutti intorno a
lui, come una chioccia e i suoi pulcini. Chiediamo a Dio di benedire il nostro piccolo, semplice lavoro, condito di tanto amore,
perché possiamo far conoscere a tutti i bambini che verranno a
vederci, la bella storia (anzi… come dicono i bambini, “la bella
storia vera”) che Gesù ha scritto con la vita di Benedetta.
Ci troviamo nella scuola elementare “Don Giussani” nel quartiere di Monticelli ad Ascoli Piceno. La direttrice dell’istituto, la
dott.ssa Agnese Ivana Sandrin, ci ha permesso di portare a scuola
il recital su Benedetta. E di questo le siamo tanto grati.
Lo abbiamo preparato con gioia in questi mesi, per l’anniversario dei 50 anni dalla sua Scalata al Cielo.
Ecco, ci siamo! In alto le porte del teatro si aprono: compaiono le prime testoline. Arrivano gli spettatori! Non posso descrivervi l’emozione che provo mentre li guardo scendere i gradoni e
ordinatamente prendere posto coi loro grembiulini blu e colletti
bianchi.
Una luce.
D’improvviso mi sembra di attraversare il tempo e rimango investita d’un colpo di tutta la grandezza nascosta e la specialità velata della missione che il Signore ci ha affidato, offrendoci l’opportunità di preparare questo spettacolo per loro. «A chi è come
loro, infatti, appartiene il regno dei cieli» (Mt 19,14). Riempire il
loro CUORE e i loro OCCHI di cose belle, le cose di Dio, far respirare a questi bimbi il profumo della vita santa dei santi... i profumi di quei fiori che Benedetta ha coltivato fin da piccola: i fiori della carità, della fede e del sacrificio.
Questo è grande, questo è impensabile! Solo Dio poteva trovare un modo tanto fantasioso per far passare ai piccoli la bellezza
del Vangelo, che quando entra nella vita e la cambia, la trasforma,
inondando di luce e di pace anche i momenti più bui.
pazione” alle vicende dei personaggi che interpretano, commoventi.
Mentre la rappresentazione scorre, alle mie spalle delle vocine
giungono a sciogliermi il cuore. Alcuni bambini di 1ª e di 2ª elementare non riescono a tacere ciò di cui i loro cuoricini sovrabbondano. E così, anche quando i bambini sul finir del recital iniziano a piangere, qualcuno addirittura singhiozza. Mai come questa volta ho avuto la netta sensazione di essere nel bel mezzo di
un’opera di Dio, circondata da ogni lato da un Dio magnificamente, potentemente, teneramente all’opera, con delicatezza, nelle piccole anime Sue. Davanti, i miei piccoli attori, di lato e alle
spalle, questo pubblico di eccezione. Dio lavora e io sto in mezzo che ammiro. Che grande è il Signore!
La croce di Benedetta ha scavato, i nostri Angeli hanno buttato il seme.
I nostri bambini-attori, nascosti fino a quel momento dietro
il sipario, escono allo scoperto. Non resistono alla curiosità
di vedere queste “formichine di Dio” scendere incolonnate mentre un discreto brulichio va riempiendo la sala. L’emozione cresce, ma dai loro dolci visetti agitati un sorriso si allarga, nella
confidente certezza che tutto andrà bene, che dall’alto Benedetta
dovrà pur suggerire! E hanno ragione... La loro speranza è ben riposta!
Dentro, ora, resta la pace che suscita l’intima gioia della sicura
speranza che infonde la fede, che quel seme un giorno porterà il
suo frutto. Come è stato per Benedetta. E così speriamo e preghiamo affinché anche di loro un giorno potremo dire ciò che abbiamo detto di Benedetta.
Lo spettacolo ha inizio. I nostri piccoli attori ci mettono il cuore. Sono straordinari. Il loro impegno responsabile e la “parteci-
Mary
… “Benedetta ha dato tutto e tutta la sua vita si è trasformata
in oro prezioso per tutti noi”.
10 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79
A Sirmione
C’è una musica anche per te
«Si dice che la musica sia la voce di Dio. E allora non è certo
un caso che Benedetta, pur essendo sorda, suonasse il pianoforte,
chiudendo la sua vita terrena cantando la
canzone Rondinella pellegrina». È uno
dei passaggi più significativi dell’intervento con il quale Emanuela Bianchi
Porro, sorella della nostra amata Venerabile, ha introdotto lo spettacolo tradizionale che la locale associazione Amici per
Benedetta allestisce l’8 marzo in omaggio alla giovane che a Sirmione visse e
morì. Significativo, si diceva, perché
Emanuela Bianchi Porro
qualcuno, rivolgendosi alla stessa Emanuela, ha chiesto perché si onori Benedetta con un concerto, piuttosto che con un convegno o un’altra iniziativa. Ebbene, in quella parola, “musica”
per l’appunto, «sono racchiuse sette lettere
dell’alfabeto» ha affermato sempre Emanuela al foltissimo pubblico del PalaCreBerg che ha ospitato il concerto C’è una…
Musica anche per te, «che trasmettono
sempre e ovunque le stesse emozioni: malinconia, dolcezza, allegria, e anche preghiera».
Tiziana Scacìga Della Silva
e Simone Mugnaini
Questo il
Walter Rubboli
breve prologo al concerto tenutosi grazie al
contributo del Comune, di Terme
SpA, della Fondazione della Comunità Bresciana e del Consorzio
Albergatori e Ristoratori e un altro
stuolo di amici e fedeli di Benedetta. Lo spettacolo, diretto e condotto dal noto musicologo e autore di spettacoli teatrali Daniele
Rubboli, ha visto l’esibizione del
soprano Tiziana Scacìga Della Silva, del tenore Simone Mugnaini e
del basso Walter Rubboli, accompagnati dal pianista Luca Gorla.
Lo spettacolo ha entusiasmato
il pubblico della cittadina termale,
nel quale erano presenti fra gli altri rappresentanti del Comune e
delle parrocchie di Sirmione, con
a capo mons. Evelino Dal Bon, e
una delegazione giunta da Forlì,
guidata dalla presidentessa Liliana
Fabbri
Daniele Rubboli
Spettacolo caratterizzato, come ha spiegato il regista nella sua
presentazione, da una coinvolgente e originale colonna sonora
che, attraverso musiche di ogni genere, ha sottolineato i gusti artistici della giovane Benedetta, e ha inoltre dedicato un omaggio
a due grandi ricorrenze in calendario quest’anno: le memorie della Grande Guerra e l’evento dell’Expo di Milano.
Maurizio Toscano
Meditazioni su Benedetta
nella chiesa di Santa Maria della Neve
Si è conclusa nel dicembre 2014 l’esemplare iniziativa del
parroco di Sirmione mons. Evelino Dal Bon, che ha colto
l’occasione del 50º anniversario dell’ascesa al cielo di Benedetta, promuovendo per tutto l’anno una serie di meditazioni su testi di Benedetta, commentati al termine della
Messa, ogni 23 del mese, da laici, sacerdoti e religiosi.
In questo numero pubblichiamo gli interventi del 23 ottobre
e del 23 novembre.
Il primo è di Monica Zuccotto che commenta una lettera di
Benedetta ad Anna Conti.
Il secondo è di Donatella Garlaschi Marconi che esplora la
corrispondenza di Benedetta con Paola Vitali.
Monica Zuccotto
Cara Anna,
grazie molto della tua cartolina e del tuo ricordo. Anch’io non
mi sono scordata di te e ti voglio sempre tanto bene. Io, però, sono molto cambiata. Ora con me c’è Dio e sto bene. Come sto bene! «Voi mi avete segnata col fuoco del Vostro Amore» – dice una
preghiera. Io vivo in un deserto silenzioso, ma con la luce della
preghiera, del resto presto suonerà la campana e Lui, finalmente,
ci verrà incontro.
Noi siamo la «terra» che spera sotto la neve – perché tutte le
cose stanno dove devono stare e vanno dove devono andare, nel
luogo assegnato da una Sapienza che non è la nostra.
E se in qualche attimo mi sento timorosa, io dico coi discepoli: «Resta con me, Signore, perché si fa sera!».
Nei miei incontri col Signore ti ricordo, e in particolare tua
mamma, che mi è tanto cara.
Sono cieca, sorda, quasi muta perché a fatica mi faccio capire,
ma io dico con San Giovanni nel Vangelo: «In principio… era la
Luce, e la Luce era la vita degli uomini, risplendé tra le tenebre,
ma le tenebre non l’hanno ricevuta» […]
Benedetta
Mi farebbe piacere ripercorrere con voi alcuni passi della lettera che Benedetta scrisse ad Anna, sua amica d’infanzia, nel maggio del 1963.
Il mio non sarà, né vuole essere, un commento esaustivo sulla
figura di Benedetta o sulla sua vita: spero che le mie parole possano, però, suscitare in voi la curiosità di approfondire la figura
di Benedetta od offrirvi spunti per la riflessione su una persona
davvero speciale.
La lettera presenta tratti ed argomenti che sono comuni ai diari (che scrisse da bambina e da ragazzina su consiglio della mamma), alle lettere ad amici e conoscenti (che dettò alla mamma
quando le divenne impossibile scrivere) ed ai pensieri che Benedetta annotò negli ultimi anni della sua vita e che, in brevi frasi,
racchiudono la sua visione della vita, la sua luminosissima fede,
il suo immenso amore per tutte le creature.
La lettera inizia con un “grazie”. Per Benedetta l’amicizia è
gratitudine, è donarsi agli altri con generosità e carità.
Ella non si limitò ad intendere l’amicizia come comprensione e
reciprocità; la intese come un illuminarsi vicendevole, come un
l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 11
donarsi sostegno e conforto. Per Benedetta l’amicizia è “fare la
strada insieme” (come ha testimoniato l’amica Paola). Per questo
scrive ad Anna «Ti voglio sempre tanto bene». Benedetta aggiunge poi: «Ora con me c’è Dio e sto bene. Come sto bene!».
A differenza delle ultime pagine dei diari (in cui Benedetta
sembra spesso lottare da sola) nelle lettere Dio appare come sua
guida e luce rivelatrice del senso più vero della sua vita. Assistiamo ad una trasformazione: ciò che era incerto diventa personale e
vicino, ciò che era dubbio diventa incrollabile certezza: Benedetta si spoglia da ciò che è terreno, caduco, temporaneo e si abbandona all’amore di Dio.
Benedetta scrive poi: «Io vivo in un deserto silenzioso, ma con
la luce della preghiera», una preghiera che è incontro, dono, inno di lode a Dio. Benedetta scrisse: «La preghiera è il respiro
dell’anima» e «Il Santo Rosario è l’aiuto della Madonna ai suoi
figli». Paradossalmente il dolore, anziché isolare Benedetta dalla
vita, da chi la circondava e da Dio, fu lo stimolo che la portò ad
abbandonare i propri criteri umani per affidarsi ad una sapienza
superiore: Benedetta prosegue infatti scrivendo «tutte le cose...
vanno... nel luogo assegnato da una Sapienza che non è la nostra».
Benedetta giunse a conformarsi ad ogni manifestazione della
volontà divina: non sapeva dove l’amore di Dio l’avrebbe portata
Benedetta sente che la sua vocazione può essere utile e feconda per chi le sta intorno; dimentica se stessa per donarsi agli altri
con generosità e carità. Nel corso della sua breve vita terrena Benedetta dapprima si ribella al dolore, poi lo accetta (non con rassegnazione, bensì come un dono che Dio e la Provvidenza le hanno riservato), infine innalza a Dio il ringraziamento per la vocazione tanto dolorosa, ma tanto preziosa, che le è stata affidata.
In alcuni pensieri Benedetta scrisse infatti: «Bisogna dare Dio
agli altri», «La carità è abitare gli uni negli altri», «La carità è
chinarsi sui dolori dei nostri fratelli per amore di Dio».
La carità fu per Benedetta la guida nel cammino verso la pienezza della fede: ne fece parte costituente della propria vita, la testimoniò attraverso la propria esistenza. L’amica Maria Grazia
scrisse a Benedetta: «Nessuno di noi è solo; ... siamo tutti insieme nella carità, una cosa sola con gli altri». E proprio a Maria
Grazia Benedetta scriveva: «San Paolo dice che “la carità è il
vincolo della perfezione”».
L’amico Roberto ha detto, in una sua testimonianza: «Benedetta è l’unica persona con cui ho avuto la sensazione di una presenza reale di Dio».
Benedetta è davvero Vangelo vivente: come disse San Giovanni Calabria «dobbiamo rinnovarci, e ci rinnoveremo se vivremo
in pratica il santo Vangelo, se saremo Vangeli viventi. O si crede
o non si crede; e se non si crede, si stracci il Vangelo!».
Benedetta non solo non stracciò il Vangelo, né si limitò a viverne gli insegnamenti: Benedetta divenne Vangelo.
Alla madre scrisse: «Io credo all’Amore disceso dal cielo, a
Gesù Cristo e alla sua croce gloriosa... ora so che il Regno di
Dio è in noi».
Benedetta si abbandonò al disegno della Provvidenza e si
conformò al sacrificio di Cristo sulla Croce. Ella scriveva: «Valore del dolore: senza il Calvario non è possibile alcuna cosa», «La
Santa Croce al cielo è stata sollevata per tutti noi», «La Provvidenza divina è l’aiuto in tutti i momenti». Benedetta non si limitò
a soffrire con Gesù, bensì ringraziò Dio per averle concesso di
soffrire con Suo Figlio; non si limitò a pregare per la redenzione
dei suoi fratelli in Cristo, bensì ringraziò Dio per averle permesso di cooperare a tale redenzione; non si limitò a vivere nella grazia, bensì ringraziò Dio per averle concesso di accostarsi alla Sua
grazia.
o cosa le avrebbe chiesto, ma si abbandonò a quell’amore. In una
lettera alla mamma scrisse: «Il Signore, mamma, vuole da noi
grandi cose. Ho sofferto tanto e ho domandato al Signore di essere una pecorella nelle Sue mani».
L’abbandono a Dio non deve farci credere che il cammino verso la fede piena sia stato facile: Benedetta si sentiva talvolta confusa, incapace di capire i motivi del suo dolore e perfino della sua
felicità. Nella lettera ad Anna leggiamo infatti: «E se in qualche
attimo mi sento timorosa, io dico coi discepoli: ‘Resta con me, Signore, perché si fa sera!’».
Come per i discepoli di Emmaus, così per Benedetta affidarsi a
Dio ed alla sua misericordia dona serenità. Nei suoi pensieri Benedetta scrisse ad esempio: «Signore, tu sei misericordia», «Dio è
bontà immensa». In una lettera all’amica Nicoletta, Benedetta
scrisse: «Grande è la Sua misericordia. In Lui confido, in Lui vivo, a Lui innalzo il mio osanna».
La lettera ad Anna prosegue con queste parole: «Sono cieca,
sorda; quasi muta... ma io dico con San Giovanni nei Vangelo:
“In principio era la Luce, e la Luce era la vita degli uomini”».
E se Dio (come scrisse Benedetta) «manda gli angeli ad ispirarci», Benedetta è sicuramente uno di questi angeli.
Donatella Garlaschi Marconi
Donatella, prima di commentare le lettere di Benedetta a Paola
Vitali, “la cara Paolina”, ricorda che «la figura di Benedetta ha
sempre fatto parte della mia famiglia. Tra noi, mio padre è stato, se
così si può dire, uno dei primi a credere nella sua santità e ricordo
che sin da bambina me ne parlava e, nel 1975, a Forlì, per l’inizio
del processo di beatificazione, ero presente anch’io, in cattedrale;
insieme ad altri sirmionesi si era organizzato un pullman per presenziare alla cerimonia. Perciò non è una persona a me così estranea, anche se mi accorgo di quanto potrebbe essere più profonda la
mia conoscenza della sua spiritualità, dei suoi scritti».
***
Paola è un’amica che lei conosce prima di partire per Lourdes
il 24 giugno 1963 e con cui intrattiene un’affettuosa corrispondenza e che incontra di persona a Sirmione e a Milano.
Continua a pag. 12
L’urlo di Dio
12 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79
di ROBERTA BÖSSMANN
*
Entrare in una piccola chiesa per salutare Gesù,
accorgersi che la chiesa è vuota, che Gesù è solo. Forse è Lui che non parla più agli uomini di oggi o siamo
noi, uomini e donne che non vogliamo più ascoltare l’urlo del
suo amore? È partendo da un’esperienza reale che il card. Angelo Comastri decide di dare voce a quell’urlo di Dio, e lo fa
con questo libro.
Il testo è diviso in quattro parti. Nella prima viene ripreso
il racconto dei Vangeli in cui si dice che Gesù, prima di morire, gridò a gran voce, «per scuoterci, per svegliarci, per richiamarci all’attenzione» (p. 11). E proprio in seguito a quel
grido qualcuno dei presenti si accorse che quell’Uomo era
davvero il Figlio di Dio, un giusto.
Con quel grido, Gesù aveva portato a termine la sua missione: ci aveva amati sino alla fine e così facendo ha fatto
capire agli uomini di ogni tempo che Dio è amore, niente altro che amore. Facendosi inchiodare sulla croce, Dio ci lascia questo messaggio fondamentale, ma noi siamo pronti ad
ascoltare questo messaggio?
Tutto quello che Gesù ha fatto, lo ha fatto per amore, fino
a diventare Egli stesso vittima per i nostri peccati. Li ha fatti propri, è diventato, per farlo, «l’opposto di Dio, il contrario di se stesso», come dice J. M. Descalzo nel suo Gesù di
Nazaret. Vita e mistero (p. 26).
Ci rendiamo conto di che cosa voglia dire questo anche
nella nostra vita? È un grido d’amore rivolto a ciascuno di
noi! Benedetta questo grido ha saputo sentirlo, accoglierlo,
farlo proprio. Nella terza parte del libro, il card. Comastri
parla di lei, partendo da un suo pensiero fondamentale: «La
Croce è il senso di tutto». Da qui nasce la sua esperienza
della gioia. «Benedetta è un canto di gioia, è un inno alla vita, è un Magnificat intonato nello sfacelo del corpo devastato dalla malattia».
Lei è stata capace di cogliere l’urlo dell’amore di Cristo
sulla croce ed è stata contagiata di gioia anche in mezzo a
prove tremende sino a riuscire ad esclamare: «Che bello vivere!». Sì, se la vita, qualunque prova ci riservi, riesce a farci cogliere l’Amore che Dio ha per ciascuno di noi, è bello
vivere e «il Mondo non merita la fine del mondo», come dice uno splendido verso della poetessa Wisława Szymborska.
Nel libro il card. Comastri ripercorre con grande sensibilità e attenzione la vita di Benedetta: la spensierata fanciullezza, l’adolescenza con i dubbi, le paure, il senso di vuoto
e poi l’incontro e l’accettazione della Croce come incontro
con l’Amore vero, assoluto e «la gioia trovata e incarnata
dentro l’esperienza del dolore che le fa sperimentare la felicità che inebria e le dà “attimi di vera estasi spirituale»
(p. 89). Benedetta, inondata d’amore, scopre che può vincere anche il dolore e che il dolore può fiorire, diventare accoglienza, dono da restituire. Sì, Benedetta è diventata lei stessa dono per tutti coloro che a lei si avvicinano. Ci ha insegnato che ogni vita è una vita importante, insostituibile agli
occhi di Dio. Ci ha gridato, con un filo di voce quasi incomprensibile, che Dio è amore e solo amore. Impariamo a
cogliere il suo grido, è solo un debole soffio, ma può insegnarci a spostare le montagne.
«Così era Benedetta – scrive Comastri – pronta a prendere la croce di tutti, ma desiderosa di portare tutto il peso della propria senza scaricarla sugli altri» (p. 104).
Sì, da lei abbiamo davvero molto da imparare.
* ANGELO COMASTRI, L’urlo di Dio. Perché non lo senti?, Edizioni San Paolo,
Cinisello Balsamo 2015.
Continua da pag. 11
Sono pubblicate sei lettere a Paola che ben sottolineano il
suo cammino spirituale che diviene sempre più convinto e cristallino.
Nella lettera del 5 luglio 1963, tenendo ben presente la sua infermità fisica, i patimenti e i dolori che sopportava, scrive di come sia ritornata da Lourdes rinfrancata dallo spirito, convinta
e capace di lottare, e testualmente afferma: «Ed io mi sono
accorta, più che mai, del mio stato, e non desidero altro che
conservarlo. È stato questo per me il miracolo di Lourdes, quest’anno».
Una strabiliante accettazione totale e cosciente del suo stato arrivando a desiderare che non cambi la sua sofferenza continua,
che non cambi il suo stato di grazia.
Il 17 novembre 1963 scrive ancora come se non soffrisse abbastanza e dovesse essere comunque serena per chi la conosce: ha
raggiunto un più alto gradino nel suo ascendente cammino spirituale e ribadisce la sua volontà, come dice San Paolo di “piangere con chi piange”, farsi carico delle sofferenze altrui e scrive: «A
volte penso di quali dolcezze infinite si priva chi non riesce a stare fedelmente vicino al Signore! E rattristata prego tanto per i
deboli. Voglia Lui chinarsi sino a me per ascoltarmi».
Siamo al 2 dicembre 1963 e Benedetta ringrazia Paola per le
belle parole scritte, per l’emozione ricevuta, tanto da avere la sensazione che il Signore le parli davvero tramite l’amica e comunque si prodiga ancora per l’amica e scrive: «Mi ha detto [Maria
Grazia] che tu le cose le prendi con troppa serietà – Sì Paola –
ma la tua serietà sia piena di allegria. Il Signore ama chi soprattutto dona con gioia – con fatica – ma con gioia. Anche coi tuoi
monelli. Pazienza, fortezza, amore: queste sono le cose che vincono il mondo».
Quindi, non è abbastanza donare, ma bisogna donare con gioia.
19 dicembre 1963. È incredibile. Benedetta si scusa per il ritardo nello scrivere, come se fosse cosa semplice, e perché Benedetta è effettivamente ai piani superiori dello Spirito: ricorda Paola quotidianamente al Signore, non ha dubbi che Dio la guidi e
non la abbandoni ogni istante e le scrive: «Ti dirò anche che in
questi giorni mi sento spesso piena di Spirito Santo; mi pare di
essere, anche in mezzo alle mie sofferenze, piena di una gioia che
non è terrena. È vero... il Signore dà tante sofferenze, quante ne
possiamo portare: non di più, non di meno».
Ormai è a un livello soprannaturale e l’opera dello Spirito Santo è palpabile.
11 gennaio 1964. Rincuora l’amica per come andrà il suo esame e la invita ad accettare con gioia la volontà del Signore delle
cose gradite e sgradite. È veramente eclatante come possa scrivere: «è perché il Signore si ricorda di me, ed io non ho alcun merito. […] coraggio, Paola: la nostra Fede deve essere fatta di pace, di luce: fede vera».
Con semplicità afferma quello a cui ognuno di noi dovrebbe
aspirare nel proprio cammino cristiano di fede, una fede vera capace di gioire di quello che si ha a 360°, nel bene, nel male e per
questo vorrei citare uno stralcio della lettera a Natalino quasi fosse il suo testamento:
«Io so che in fondo alla via, Gesù mi aspetta prima nella poltrona, ora nel letto che è la mia dimora ho trovato una sapienza
più grande di quella degli uomini. Ho trovato che Dio esiste ed è
amore, fedeltà, gioia, fortezza fino alla consumazione dei secoli».
Ecco cosa ci lascia Benedetta: un amore grande, una gioia immensa per la vita, assicurandoci che Dio esiste!
l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 13
Da Ostuni
UNA VITA… TANTI INCONTRI
«Contro la cultura dello scarto e dell’esclusione è necessario promuovere la cultura
dell’incontro e dell’inclusione per costruire un mondo più giusto e fraterno, un mondo
migliore» (Papa Francesco)
«La carità è abitare gli uni negli altri» (Benedetta)
Su questo tema si è sviluppato l’itinerario formativo
2014-2015 del Gruppo degli
Amici di Benedetta di Ostuni.
È stato bellissimo cogliere la
“cultura dell’incontro” nella
vita e negli scritti di Benedetta,
ci dice Teresa Legrottaglie, una
delle animatrici del Gruppo.
Siamo partiti dal Magistero di
papa Francesco e poi abbiamo
seguito Benedetta nei suoi “incontri” con i famigliari, leggendo, meditando e dialogando
su alcune sue Lettere (Ai Genitori, Natale 1947; Al Padre,
28 novembre 1955; A Leonida,
21 dicembre 1959; Alla Mamma, 28 novembre 1961; A Emanuela, 13 maggio 1963).
In esse lei diventa punto
d’incontro per tutti, con grande
semplicità e profondità di sentimenti, nella pace e nella letizia.
Teresa ci dice: «In un’altra
riunione abbiamo goduto dell’incontro di Benedetta con i
suoi amici, considerando le sue
lettere a Roberto nell’aprile del
1963, a Franci nel gennaio del
1964, e la lettera scritta a lei da
Maria Grazia nell’ottobre del
1963: “Era solo questo che volevo dirti: il Signore non poteva darti una vita più bella, più
ricca. Sei importante per me;
sei la cosa più bella e più cara
che io abbia. Sei il volto stesso
della speranza”. Nicoletta poi
scrive così a Benedetta: “Grazie per quello che sei, grazie
per tutto quello che ci dai…
grazie di tutto”. Come ci siamo
ritrovati in queste parole!».
Teresa prosegue: «Dal Libro
di Maria Grazia I dolci volti di
Dio, abbiamo letto del suo pri-
mo incontro con Benedetta, del
suo primo incontro con Anna
Cappelli, e quindi del cammino
che l’amicizia continua a fare
con coloro che hanno la gioia
di incontrarla. La nostra riflessione: il Signore entra nella
Storia attraverso le persone,
come è entrato nella Storia
umana attraverso Gesù che si è
incarnato. Benedetta ha toccato
la vita dei suoi amici ed essi
hanno toccato la sua. Questa
reciproca comunicazione è arrivata ad altre vite, ad altri
amici, fino a noi».
E ancora: «Anna Cappelli dà
vita all’Associazione Amici di
Benedetta, dà vita a “l’annuncio”. Che cos’è “l’annuncio”
se non un’occasione importante per diffondere la cultura dell’incontro e promuovere legami di vera amicizia?».
E così aggiunge: «Durante
l’incontro è cresciuta la consapevolezza che, grazie a Benedetta, il nostro stare insieme si
colora di verità e di bellezza».
Non c’è da stupirsi allora
che Teresa dica: «Alla fine dell’incontro tutti dicevamo: anche noi siamo stati raggiunti e
anche per noi è forte l’invito a
raggiungere altri. Qualcuno aggiungeva. Ce ne andiamo così
contenti, così aperti al sorriso,
così disponibili verso tutti, perché abbiamo ricevuto una carica di umanità, di verità nell’amicizia e di profondità negli
affetti. Sentiamo che davvero
lo Spirito santo ci guida».
L’incontro con il Signore
nella testimonianza di Benedetta rende tutti portatori di
una buona notizia che desidera
essere spontaneamente comu-
nicata. Quando poi accenniamo
a Teresa come Benedetta fosse
più capace di “dire” mentre
riusciva a parlare sempre meno, Teresa subito aggiunge,
con immediato riferimento a
temi attuali: «Nel nostro incontro mettevamo in evidenza come fino agli ultimi giorni della
sua esistenza, Benedetta era attenta a tutti, chiedeva notizie:
come sta la mamma? come va
la tua scuola? [...].
Le premure verso tutti e la
tenerezza con cui si esprimeva
sono veramente profetiche. Pa-
pa Francesco parla della “Chiesa in uscita” e di una vita cristiana gioiosa.
Il prossimo Convegno della
Chiesa italiana, che si terrà a
Firenze, ci aiuterà a vivere in
pienezza la nostra umanità, ci
proporrà una nuova antropologia, non fatta di grandi discorsi, ma di attenzione alla vita di
ciascuno, di gesti di condivisione e di tenerezza. Tutto questo noi lo abbiamo colto in Benedetta e il nostro cuore è colmo di gratitudine a Colui che
ce l’ha donata».
14 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79
Dall’Alto Maceratese
Il gruppo degli “Amici di Benedetta” dell’Alto Maceratese si è ritrovato a Pieve Torina domenica 25 gennaio per ricordare il 51° dalla morte della venerabile.
La giornata è iniziata nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta con la recita
del rosario e la celebrazione della S. Messa presieduta da mons. Nello Tranzocchi, che
ha ricordato Benedetta durante la sua omelia e nelle preghiere.
L’incontro è poi proseguito con un’agape fraterna durante la quale sono state lette le
parole preziose di Roberta Bössmann, prese dall’ultimo numero de “l’annuncio”, che
hanno dato spunto a delle riflessioni e testimonianze.
Con l’occasione ringraziamo i coniugi Amati che, con la loro dedizione nella stesura del giornalino, ci aiutano ad approfondire sempre più la spiritualità di Benedetta e ci fanno scoprire tanti altri fratelli con le loro personalità e storie ricche di fede.
Scopo dell’incontro è stato anche l’ormai consueta raccolta di fondi a favore del progetto “Un letto in Uganda”, che sostiene i fratelli più bisognosi e lontani ospitati e curati nell’ospedale del Lacor fondato da Piero e Lucille Corti; questa importante iniziativa ci fa
sentire vicini a Benedetta, ai suoi desideri ed ideali e ci rende ancor più uniti come gruppo.
È stato bello ritrovarsi ancora una volta per condividere dei momenti dove la fraternità e l’amicizia hanno avuto un significato speciale. Grazie Benedetta per averci dato questa opportunità.
Federica
«La mia amica Benedetta Bianchi Porro, che perse
tutto per trovare Tutto»
Da www.tempi.it del 24 gennaio 2015 pubblichiamo l’intervista di Benedetta
Frigerio a Francesca Romolotti, un’amica molto cara a Benedetta.
Benedetta Frigerio
24 gennaio 2014
La figura della venerabile di cui ricorre
il cinquantenario della morte, malata e sofferente catalizzò intorno a sé l’ammirazione e l’amicizia di molti giovani
È difficile trovare persone che abbiano
sofferto come Benedetta, ma è quasi impossibile conoscerne di così serene, accoglienti, in pace. Benedetta Bianchi Porro,
morta cinquant’anni fa, fu dichiarata venerabile nel 1993 e domani sarà celebrata
una Messa solenne nella sua città natale,
Dovadola (Forlì), dal cardinal Angelo Comastri, membro per la Congregazione per
la causa dei santi.
Nata l’8 agosto del 1936, morì il 23
gennaio del 1964 lasciando numerosi scritti e lettere che testimoniano una vita interiore profonda e una forza d’animo che
fanno a pugni con una fragilità fisica estrema e con una vita piena di sconfitte e umiliazioni. Benedetta rischiò di morire alla
nascita, poi si ammalò di poliomielite e,
mentre studiava medicina, si autodiagnosticò una malattia gravissima, la neurofibromatosi, o morbo di Recklinghausen,
che lentamente la privò dell’udito, poi della vista, dell’olfatto e del tatto. Eppure Benedetta passò gli ultimi anni a letto circondata dagli amici che facevano la fila per
entrare nella sua stanza e passare del tempo con lei: «Ancora adesso mi domando
come si facesse a stare così bene in una situazione che ora mi rendo conto essere la
più drammatica che abbia mai visto», spiega Francesca Romolotti Crema, fra le amiche più care della ragazza.
Benedetta era bella, intelligente, piena
di risorse. Lentamente venne meno tutto. Come poté non ribellarsi a questa situazione?
Era sensibile, sveglia, con una cultura
profonda, tanto che andò all’università pri-
ma del tempo. Eppure, dopo diverse umiliazioni, subì sconfitte anche negli studi: fu
frenata da un professore che la cacciò dall’esame a causa della sua malattia. Ricordo
commentò così: «Non mi ha rovinato il libretto con un brutto voto». Ma non mollava, era tenace e dopo ogni sconfitta rialzava la testa e ci riprovava. Scrisse che, se
non fosse stato per Dio, avrebbe subito
mollato tutto.
Non riuscì a diventare medico né a
realizzare alcuna delle sue aspirazioni.
«Non ebbi nulla di tutto quello che avevo chiesto, ma ebbi tutto quello che avevo
sperato», scrisse. Arrivò a vivere come imprigionata in un muro: praticamente aveva
contatti con il mondo solo attraverso la
mano destra, che miracolosamente aveva
conservato un po’ di sensibilità, e con questa comunicava attraverso l’alfabeto muto.
Eppure era in pace. Scrisse alla madre che
la sua disperazione si era acquietata solo
con la scoperta di Dio. Parlava delle sue
fatiche, ma anche della dolcezza dell’amore di Dio. Ed è questo secondo aspetto che
a noi ragazzi balzava all’occhio.
Come nacque la sua amicizia con Benedetta?
Avevamo un’amica in comune che partì
missionaria e che desiderava non lasciare
Benedetta senza un rapporto intenso come
l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 15
il loro. Così, questa ragazza decise di affidarmela. Nacque un grande affetto. Mi
chiamava “Francin d’oro”, mi commuovo
ancora a pensarci. Ecco, dopo che la incontrai, portai tutti i miei amici di Gioventù Studentesca da lei.
Cosa accadeva nella sua stanza?
Si traevano conforto e speranza da una
malata. Benedetta aveva delle doti che non
ho visto più tutte insieme. Giudicava ogni
fatto, ma mai le persone. Su ciascuna aveva uno sguardo di amore e accoglienza. Invece che lamentarsi, come fa chi soffre,
riusciva a uscire da sé. Ricordo una ragazza con le mani fredde e Benedetta che le
scaldava fra le sue. Eravamo tutti attratti
dalla sua capacita di donarsi. Ci sentivamo
accolti e privilegiati. Capita raramente di
vedere una persona annullarsi per mettere
al centro solo te. Lei lo faceva con tutti. Intuiva i crucci e i dispiaceri delle persone
che incontrava. E se le perdeva di vista,
chiedeva notizie per sapere come andava.
Abitava veramente negli altri.
Mai un cedimento?
Era umana, non nascondeva le sue fragilità, lo sconforto, la paura a chi le era in
stretta confidenza. Non faceva la stoica,
non si atteggiava. Era trasparente, era quella che vedevi. Però non recriminava mai.
Anzi, era autoironica, sui sogni non realizzati ci rideva su: «Che sogni che fai Benedettina!», si diceva.
Di lei si è scritto che aveva anche un
carattere forte.
Aveva ricevuto un’educazione cristiana
seria, nel senso che su quello fondava la
vita e quella seguiva. Perciò obbediva a
sua madre, ed era di ferro se si trattava di
fare obbedire i fratelli più piccoli. Nello
stesso tempo, in quella casa si respirava
una grande allegria. Erano romagnoli
chiassosi, tutti diversi: una sorella faceva
la ballerina alla Scala, un fratello diventò
giornalista, uno primario. Più si ammalava
più si addolciva. Ripeteva che il Signore le
aveva dato moltissimo, che la amava. «Ma
come?», ti chiedevi. Ed era pure piena di
voglia di vivere.
Si dice che, grazie a lei, è avvenuta
una guarigione miracolosa.
Ha fatto il miracolo di testimoniarci l’amore di Dio e la speranza. Ma forse si riferisce a quello che accadde a Lourdes.
Ti affidiamo, Signore, tutti i nostri cari
Partì per chiedere la guarigione, ma con lei
c’era una ragazza gravissima e disperata.
Benedetta la esortò a non smettere di pregare, perché i miracoli avvengono. Così fu
e la ragazza si alzò in piedi. Benedetta era
felicissima anche se lei non era guarita.
Sembra ricordarla come fosse passato
un giorno e non 50 anni. Benedetta le ha
cambiato la vita?
Direi che me la segna tuttora. Io a Benedetta ho voluto e voglio molto bene. Mi
accorgo che allora ero una ragazzina decisa e radicale, forse un po’ spigolosa, ma
capace, con Benedetta, di un’amicizia
grande. Dopo 9 anni di sterilità nel matrimonio ebbi la grazia di concepire un figlio:
la mia bambina nacque l’8 di agosto, lo
stesso giorno in cui nacque la mia amica
Benedetta.
Ma non posso dire che mi ha cambiato
la vita in una volta sola, perché mi ha accompagnata e guidata in ogni passo e mi
accompagna ancora. È così presente che
sono ancora gelosa di lei. E quando prego
il Signore e la Madonna con loro, in cima
a tutti i Santi e defunti che mi sono più cari, c’è Benedetta.
(dipinto di Aliza Mandel)
Ricordiamo in particolare Anna Cappelli nel 10º anniversario della sua nascita al cielo
Benedetta, Anna e gli artisti
16 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79
a cura di ROBERTA BÖSSMANN
ANGELO RANZI
suo simbolo per tutti noi che siamo affascinati dalla sua figura di credente.
Tra i tanti artisti conosciuti da Anna
c’è un vero amico di Benedetta: Angelo
Ranzi, di Forlì. Con Anna ha collaborato
per anni all’allestimento delle varie iniziative promosse per far conoscere il nome di Benedetta e ha donato con generosità molte opere per la stessa finalità.
Nel quadro che vi voglio presentare in
questo numero Benedetta esce dal sarcofago, nel quale era stata collocata, per
salire in cielo. In mano ha ancora la rosa
bianca che forse vuol donare alla Madonna. Accanto al sarcofago c’è la fedele amica che ha dedicato la vita per farla
conoscere a tutto il mondo: Anna Cappelli.
Ciò che colpisce nei suoi lavori è la
sua capacità di esaltare luci ed ombre
che danno alle opere un’intensità drammatica che però non è fine a se stessa,
ma apre ad una serenità e ad un’armonia
superiori. Il nostro sguardo viene così
elevato verso altre mete che resterebbero nascoste in una visione priva di
contrasti.
È un’Anna piena di gioia quella raffigurata, una giovane donna, bellissima,
avvolta anche lei dalla luce.
Le sue preghiere hanno trovato piena
realizzazione.
Forse questo quadro è un invito a tutti noi a continuare l’opera di Anna perAngelo Ranzi,
La tensione spirituale presente nei
ché Benedetta, che in cielo è già santa,
Storia di un’anima, 2014 (Foto Liverani)
suoi lavori si rivela anche nelle opere depossa diventarlo anche per la Chiesa ed
dicate a Benedetta dove lei appare dolceessere sempre più quell’immagine di lumente melanconica, ma con una grande forza e con un infinito ce per le tante persone che ancora portano la loro croce sulle
amore che pare trasmettere alla rosa bianca che è diventata il spalle.
Cara Anna,
IN RICORDO DI ANNA CAPPELLI,
DIECI ANNI DOPO
sono passati dieci anni da quando te ne sei andata. Sembra
un tempo brevissimo, perché tu, in verità, sei sempre con noi
anche ora che vivi accanto alla nostra Benedetta. Forse ora ti
sento, anzi, più vicina di prima.
Capisco meglio sia le tue fragilità che le tue certezze. Sapevi andare sempre avanti malgrado qualche parere contrario, qualche critica che inevitabilmente arrivava, malgrado le
difficoltà quotidiane che dovevi affrontare e che, forse, alla fine non sei più stata capace di sopportare. La malattia è arrivata come un fulmine a ciel sereno e ti sei ritrovata con problemi enormi che non potevi più affrontare con la giusta serenità. Ma anche nella malattia non hai smesso di credere nell’opera che avevi iniziato tanti tanti anni prima: far conoscere a tutto il mondo Benedetta.
Tu, che avevi sempre deciso da sola, pur chiedendo il parere di amici e di esperti, ti sei trovata a dover dipendere in tutto dagli altri; specialmente Lucia ti è stata vicino sino alla fine e con lei eri capace di tornare spensierata e serena. Mi
piaceva sentirvi ridere e cantare come due ragazzine, anche
perché ti avevo conosciuto sempre seria, indaffarata e preoccupata a far quadrare i conti per portare avanti le tante iniziative che sempre avevi avviato.
Ricordo come eri contenta quando cercavo di sistemare le
tue montagne di carte quando eri ancora a Forlì, quando ritrovavo l’immagine di un fiore per “l’annuncio” che avevi
cercato tanto, invano. Senza quella fotografia non si poteva
mandare in stampa il periodico perché, per te, ogni cosa fatta
per Benedetta doveva essere perfetta.
Quando il tuo male ti ha lasciato poche forze, hai chiesto a
Gianfranco e a me di continuare a occuparci de “l’annuncio”.
Quando ho scritto i miei primi articoli su Benedetta e su Annalena Tonelli, ricordo che mi avevi chiesto tu di farlo, io te li
ho letti per telefono per sapere se andavano bene. Sei stata
commovente mentre mi ringraziavi. Non lo dimenticherò mai.
Ora siamo in tanti a proseguire il lavoro che tu hai svolto
per una vita intera. Forse, tutti insieme non riusciamo a fare
quanto facevi tu da sola, ma facciamo del nostro meglio, come possiamo, e sono certa che dal cielo ci guardi e ci guidi
per evitarci di fare troppe sciocchezze.
Spero tu sia, comunque, orgogliosa di noi Amici che vogliamo tanto bene a Benedetta e anche a te che ci hai permesso di
conoscerla, di amarla, di sentirla nostra sorella.
Ciao, Anna, con affetto
Roberta
l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 17
1967
Una professoressa di filosofia, Anna Cappelli, mi ha invitata
a casa sua, a Forlì, per conoscermi, dopo aver letto il libro di
padre Turoldo: Siate nella gioia. Vuol scrivere di Benedetta.
Io non sono entusiasta di questa sua decisione: ammiro
troppo padre David per non diffidare di chi “osa” parlare di
Benedetta dopo che lui l’ha già fatto. Credo di essere gelosa
di Anna, tanto che, quando mi apre la porta, la guardo con fastidio: abito da collegiale, collettino di trina sulle 23. Mi chiedo chi sia e cosa voglia da me. Lei mi guarda come se già mi
conoscesse, mi chiama per nome e sorride, con un’espressione d’incredula, infantile felicità!
Fu amicizia, per sempre.
Negli anni seguenti fui spesso sua ospite a Forlì, in via Pedriali, 18. Con Anna abitavano ancora un fratello, Idio, e la
madre. La madre di Anna era una personcina minuta, fragile,
ma lucidissima e arguta: ricordo una sua espressione curiosamente profetica: «Quando non ci sarò più – mi disse con il
suo forte e delizioso accento romagnolo, – in questa casa si
vedranno i polli andare in bicicletta!». Alludeva, credo, all’attività di Anna, già allora frenetica, e al suo culto dell’ospitalità, che le faceva aprire il cuore e la casa a chiunque bussasse alla sua porta.
Anna, infatti, si prodigava per tutti, e non solo per la mamma e il fratello, che copriva di premure. Chiunque riceveva da
lei attenzioni materne, e benché avesse una personalità fortissima e una volontà ferrea aveva sempre un atteggiamento di
totale sottomissione ai desideri e perfino ai capricci altrui. Io
ne ero irritata, indignata addirittura, e una volta le dissi:
«Perfino il Vangelo comanda: “Ama il prossimo tuo come te
stesso”, come, e non di più! E invece tu non ti curi minimamente della tua salute, delle tue necessità, della tua fatica!».
Sapevo che trasportava su e giù dalle scale grandi pacchi
di libri e d’altro, specialmente in occasione delle mostre, che
organizzava per far conoscere Benedetta. Con l’aiuto della fe-
dele Lucia e di pochi altri, tra cui lo stesso don Alfeo Costa,
parroco di Dovadola, arrivava a “traslocare” quadri, statue,
oggetti pesanti e perfino mobili! «Troppe persone approfittano
di te!». Lei mi rispose: «Ciò che si fa per amore non pesa. Se
una persona mi chiedesse di percorrere a piedi un miglio con
lei, ne farei venti in ginocchio!». Così continuava serena, invincibile, a seguire la propria natura e le proprie convinzioni:
lei era davvero la tenerezza di Dio fatta persona.
Ricordo che una volta, entrando in una chiesa, a Forlì,
– era giugno – vidi su un altare, davanti alla statua di S. Luigi, dei bellissimi gigli, che appunto vengono chiamati “di
S. Luigi”: quelli dal lungo stelo e dal profumo intenso, che
fioriscono solo per poco tempo, negli orti e nei giardini, ma
ben difficilmente si trovano nei negozi dei fioristi. Dissi, ridendo: «I fiori non si offrono agli uomini, ma alle signore:
non è giusto che li offrano a lui e non a me!». Anna sorrise e
si allontanò con una scusa. Quando tornò reggeva in una mano uno splendido giglio, nell’altra un cartoccio con un “bombolone” gigante, ancora caldo, sapendomene ghiottissima.
Lei era davvero attenta alle piccole grandi cose di ogni
giorno.
Era sempre per amore che preparava per me, o per altri
suoi ospiti, un delizioso minestrone di verdura, anche se la
sua preparazione richiedeva un grande sacrificio di tempo, a
lei che ne aveva pochissimo.
E fu proprio al mercato delle erbe di Forlì, mentre Anna ed
io ci aggiravamo tranquille tra la folla, fermandoci poi a una
bancarella, per scegliere gambi di sedano e cipolle odorose,
che Anna maturò “la grande decisione”: «È ormai tempo di
iniziare la causa di beatificazione di Benedetta». La ricordo
così, Anna: l’anima e lo spirito rivolti a Dio, gli occhi, le mani, il cuore attenti ai fratelli, per dar loro conforto, appoggio
e gioia.
Da MARIA GRAZIA BOLZONI ROGORA,
I dolci volti di Dio, Stilgraf, Cesena 2014, pp. 135-137
Torino, 28 marzo 2015
Cara Anna,
è tanto tempo che non sei fisicamente accanto a noi, sorella tenerissima, con le tue dolci parole e carezze dell’anima che in te e Benedetta trovava conforto, amore, luce.
Eppure sei qui, VIVA in mezzo a noi, con la tua santa
amica, alla quale hai dedicato la vita.
Sei qui a sussurrarci le sue parole, che sono anche le
tue, a spronarci a vivere la Croce con gioia, poiché ci conduce alla Risurrezione.
Con il tuo lavoro infaticabile di messaggera dell’annuncio Pasquale, hai diffuso, mediante i pensieri di Benedetta,
un alleluja che non avrà mai fine.
Anna carissima, non dimentichiamo, siete due stelle della stessa costellazione, fuoco entrambe dell’Amore di Dio.
Grazie, Anna.
Anna Cappelli nel 1999 (Foto Amati)
Vi prego, rendete anche noi, piccoli “amici di Benedetta”, fuoco divino d’Amore, Croce risplendente d’Amore
Eterno.
Giuliana
18 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79
Benedetta e le altre
a cura di ROBERTA BÖSSMANN
MARIE NÖEL E BENEDETTA
vera modernità. Anzitutto
per il suo comprendere lo
scandalo del male e della
sofferenza, che è uno dei temi più importanti della sua
esistenza. Solo l’amore per
Dio riuscì a farle superare
ogni timore.
Marie Nöel
Il Diario intimo di Marie
Nöel, pubblicato nel 1961,
con la traduzione di Adriana
Zarri, ha richiamato la mia
attenzione per l’articolo Marie Nöel, sorella delle «anime turbate» dedicatole da
Ferdinando Castelli su “La
Civiltà Cattolica”, del 16 luglio 2011, (CLXII), n. 3866,
pp. 107-118.
È quella di Marie, un’opera poetica che scende negli
abissi dell’anima che oscilla
tra «l’oscurità della fede e la
sua amorosa accettazione».
(F. Castelli, op. cit., p. 107).
Nata ad Auxerre nel 1883,
Marie crebbe in una famiglia borghese in cui fece
presto l’esperienza della solitudine. Si è trovata sull’orlo dell’abisso, angosciata e
quasi desiderosa di uccidersi. Si salvò grazie alla consapevolezza che Dio non
l’avrebbe abbandonata mai.
Nel 1913 lo spettro della negazione la insidiò per tre
giorni e ogni tanto ritornerà
facendola vivere in una
“grande angoscia”. Solo
l’incontro con Gesù Cristo e
la forza della Grazia le permisero di lasciarsi possedere
dalla pace cristiana.
È una storia drammatica
la sua, che ha però aspetti di
«Credo nell’Amore» – diceva – e nell’Amore di Dio
si è gettata come un bambino tra le braccia della
madre.
Un altro aspetto di modernità è la sua esigenza di libertà totale. Non tollerava
alcuna restrizione, alcuna
barriera. Se l’uomo è stato
creato libero, sosteneva, come si può tollerare una
Chiesa istituzionale, «piena
di leggi e prescrizioni che
legano i fedeli e li obbligano
a procedere con “ordine”»?
Marie paragona la legge della Chiesa a quella che la
suocera «impone alla nuora»
(p. 112). Capisce che «frequentare troppo degli uomini “infallibili” è un pericolo
per il giudizio, per il pensiero, persino per le semplici
opinioni» (Diario intimo,
p. 61).
Un terzo aspetto di modernità sta nel fatto che Marie ci ricorda che «la verità
divina non deve restare
chiusa nei termini in cui fu
espressa» (F. Castelli, op.
cit., p. 113) perché è qualcosa di vivo, che si muove, si
evolve e porta sempre nuovi
frutti.
Anche quella di Marie
Nöel, come quella di Benedetta, fu soltanto una piccola
voce discreta, un semplice
filo di voce, capace però di
dire delle verità che colpiscono il cuore. Entrambe ci
permettono di incontrare la
parte più profonda di noi, il
mistero di Dio, la difficoltà
di accettazione del male e
della sofferenza e l’abbandono amoroso tra le braccia
dell’Amore, della preghiera,
del canto. Forse gli itinerari
percorsi da Marie e da Benedetta sono molto differenti, ma entrambe hanno conosciuto l’angoscia, l’incubo
del suicidio prima di arrivare alla certezza dell’amore
di Dio, che è per sempre.
Non mi sono mai ripresa
dal soffio di Dio, quando
Egli si è chinato sul mio
fango, dirà Marie, e anche
quando lo scandalo del male
la tormenterà, lei resterà ancorata alla fede in Dio e si
getterà come un bambino tra
le braccia di Dio, incurante
dei suoi dubbi. È quanto ha
fatto anche Benedetta che di
Dio si è sempre fidata, anche quando tutto nel suo
corpo sembrava isolarla
sempre più e allontanarla da
ogni cosa del mondo.
Marie Nöel e Benedetta
non hanno concepito Dio
“come una gabbia” riducendolo al livello della nostra
intelligenza e rendendo finito il Dio infinito.
Entrambe hanno voluto
donare alla loro anima la libertà di incontrare Dio dove
e come desidera, sempre
però in umiltà e obbedienza.
Hanno compreso che la loro
esistenza doveva diventare
Vangelo vivente e che erano
chiamate ad un’unica cosa, a
“gridare” al mondo, con il
loro filo di voce, che Dio
Benedetta
ama le sue creature. Lo hanno fatto in modo meraviglioso e hanno trovato la
pace.
«La pace non è che in
Dio», «L’amore è Dio» ci
testimonia Nöel, e Benedetta
arriva a dire le stesse parole
con la stessa intensità.
Entrambe ci insegnano
che il cristianesimo non è
una religione comoda e facile, ma un cammino verso la
luce che attraversa il buio
delle notti e che per vivere
la fede bisogna avere il coraggio di scelte impegnative.
Ci dicono anche che la vera
libertà fiorisce sull’umiltà
e sull’amore e che ciò che
può apparire quanto di più
negativo può trasformarsi in
grazia.
Marie Nöel è morta il
23 dicembre 1967, pochi anni dopo la morte di Benedetta.
È incredibile vedere come
queste due creature che non
si sono mai conosciute in vita, siano arrivate a sperimentare, negli stessi anni, il
medesimo modo di vivere la
propria fede: come abbandono, come dono, come compito.
Dalla vita alla vita?
l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 19
Da gennaio 2014 tutti i mesi hanno visto a Dovadola e
Forlì un susseguirsi di manifestazioni per il 50º della salita
al cielo della Venerabile Benedetta. Con esse la Diocesi ha
concentrato in certo modo la sua vita pastorale attorno alla
sua grande figura. Il Vescovo ha mobilitato la Diocesi perché Benedetta fosse meglio conosciuta proprio dove è nata
e dove è vissuta per metà della sua vita.
Un ciclo di cinque incontri, tra febbraio e maggio 2014,
in ricordo di Benedetta, su Fede, speranza, scienza ai confini della vita è stato organizzato dalla Consulta Diocesana
per la Cultura, diretta da don Enrico Casadei Garofani. Sono stati coinvolti esperti in varie discipline, dalla psichiatria
e psicanalisi alla teologia, dalla filosofia morale alla medicina, dalle cure palliative alla pastorale ospedaliera, con l’apporto di alcune testimonianze.
L’intento – come ha spiegato don Enrico Casadei – è
quello di fornire strade di riflessione che aiutino ad affrontare in profondità le problematiche della malattia, della sofferenza e della morte.
Benedetta Bianchi Porro ne è il riferimento ideale: una
giovane donna che, trovandosi a vivere il dramma di una
grave malattia, non è fuggita ma si è interrogata, ha lottato,
ha sofferto, ha sperato, ha amato. Oggi troppo spesso si tende, invece, a lasciarsi sopraffare dalla paura, a nascondere il
problema o a delegarlo ad altri. Rischiando, inevitabilmente,
di trovarsi impreparati di fronte ad una delle tappe ineludibili della vita, e rischiando, nel contempo, di non essere in
grado neppure di stare accanto ai propri cari che si incamminano verso la morte.
Lo psicanalista mostra che, nel terzo stadio, si sviluppa
nel paziente la consapevolezza che possono sussistere, nel
dolore per la propria malattia, anche spazi liberi dalla sofferenza, che consentono, per così dire, di pensare anche ad altro e di comunicare con altre persone. In altri termini si possono aprire dei meccanismi di speranza, se la malattia viene
in qualche modo pensata e circoscritta nella mente. Si possono aprire cioè degli spazi di quotidianità non ossessivamente occupati soltanto dalla paura della morte. Così esprime la sua posizione Moressa: «Aprire il pensiero alla speranza significa offrire spazio agli affetti, che continuano a
far parte della persona anche di fronte alle devastazioni della malattia inguaribile. La realizzazione di un pensiero sul
male e sul dolore riduce l’invadenza angosciosa di entrambi, così da rendere la morte una presenza meno incombente.
La fine viene collocata nella sua naturale dimensione di
sfondo per i pensieri quotidiani, di linea che circoscrive l’esistenza dell’uomo. In questo passaggio, il giorno della morte si rivelerà per tutti come una parte della vita; a esso potremo arrivare impegnandoci ad accogliere gli inevitabili
malesseri, continuando a desiderare e ad amare, a sognare e
a sperare».
A questo punto il discorso dello psicologo finisce, nel
senso che si apre il discorso sui motivi per amare, sognare e
sperare. E qui si apre lo spazio per altre competenze.
Questa pluralità di approcci è documentata, tanto per fare
alcuni esempi, da due relazioni forniteci da don Enrico Casadei e che possiamo vedere nel testo integrale sul nostro sito www.benedetta.it.
Nella seconda relazione, il teologo mons. Franco Giulio
Brambilla, parla proprio su Il tempo della sofferenza: una
sfida per lo spirito. Egli è perfettamente consapevole che la
sofferenza ha generato atteggiamenti che nascono da una
sorta di fuga dell’uomo moderno dal significato del soffrire.
Per un orientamento di fondo il teologo mette al centro, dal
punto di vista cristiano, non la croce (che resta il patibolo
con cui gli uomini tolgono di mezzo Gesù), ma il Crocifisso!, e considera che «la morte di Gesù è il luogo dell’universale riconciliazione. In Gesù il Padre ci ha dato tutto se
stesso, la sua stessa vita, lasciandola in balìa del tradimento,
dell’abbandono, della morte violenta e della sopraffazione
degli uomini. Gesù muore “per noi”, dice la tradizione biblica, in un duplice senso: “a causa” del peccato e “a vantaggio” dei peccatori.
C’è da domandarsi come si sviluppi la speranza nel contesto di malattie incurabili o di situazioni verso la fine della
vita.
Assumendo e portando il nostro rifiuto, lo riconcilia nel
luogo stesso dove abbiamo chiuso le porte a Dio, trascendendolo nel suo gesto d’amore incondizionato. Lo Spirito di
comunione, che tiene uniti il Padre e il Figlio anche nel momento della massima separazione, trasforma anche la distanza peccaminosa trasfigurandola in una vicinanza risorta
[…]. La liberazione della croce toglie il male fin nel cuore
dell’uomo, fin nelle profondità di tutta l’umanità, dal primo
uomo sino alla fine dei tempi. La comunione donata scolpisce i tratti del figlio di Dio, del discepolo credente e della
comunità fraterna».
Moressa fa vedere come, in questi casi, le persone passino solitamente attraverso tre distinti stadi, indicati come
1. smarrimento, 2. rabbia, 3. dolore e speranza.
In questa prospettiva si è certo ritrovata Benedetta, nel
suo abbandono al Signore e, su questa base, nel dono ai fratelli che incontrava.
È necessario rompere il tabù, riflettere a tutto campo su
queste questioni, indicando anche concrete modalità operative per stare positivamente accanto al malato e offrire un
accompagnamento che tenga conto di una pluralità di dimensioni: psicologica, socio-culturale, medica, religiosa.
La prima relazione Alla fine dei giorni: la mente dell’uomo di fronte al dolore e alla speranza è incentrata sul problema della morte, delle sofferenze che la precedono, del
lutto. Questa tematica è trattata dallo psichiatra e psicanalista dott. Pierluigi Moressa che, nell’ultimo paragrafo, parla di Benedetta, definendola così: «figura di elevata intensità
spirituale che ha mostrato un percorso intriso di dolore e di
speranza verso la fine dei propri giorni».
20 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79
Angelina Pirini (Sala di Cesenatico, 30 marzo 1922 Sala di Cesenatico, 2 ottobre 1940) è una giovane
romagnola, morta a 18 anni, dopo tre anni di malattia. Il suo cammino di fede diventa: «salita al Calvario, sulla croce salvifica redentrice, patibolo ed altare
per l’anima desiderosa solo di immolarsi come Ostia,
a perfetta e totale imitazione di Cristo, termine fisso,
culmine del cammino di fede della nostra Serva di
Dio, Angelina di Gesù, come amava firmarsi in molte
lettere del suo straordinario epistolario».
Così Luigi Riceputi considera in un suo scritto,
redatto in vista dell’anno della fede del 2012-2013,
la testimonianza esemplare di questa giovane, di cui
è in corso la causa di beatificazione presso la
Congregazione
per le cause dei santi. In queste po(Foto Amati)
che battute si intravede un nesso tematico con la
vicenda di Benedetta che l’Autore poi esplicita partendo proprio da un segnalibro su Benedetta trovato ne Il volto della speranza. Dopo un titolo redazionale, pubblichiamo
un ampio estratto del testo di Riceputi, che ringraziamo per il contributo.
Cammini di fede convergenti: Angelina e Benedetta
[Ne Il volto della speranza] […] si trova ancora come segnalibro – il più bello
e prezioso tra tutti quelli che
“segnano” i miei libri – un
ricordino (un santino) della
ragazza beata di Dovadola,
volto di quella “virtù provata” che è la speranza, generatrice di fede, in atto di ricevere dalle mani di un sacerdote (si vedono solo
quelle, il resto rimane fuori
dal nostro campo visivo)
l’estrema comunione, con
sotto, nella parte inferiore di
quella foto straordinaria, la
scritta: «Io so che attraverso
la sofferenza il Signore mi
conduce verso una strada
meravigliosa» – e sul retro,
scritto a mano (mano fatta
più per essere scritta che per
scrivere, come le avveniva,
offerta ai suoi visitatori-interlocutori, sul letto della
sua lunga agonia) con scrittura incerta, infantile, che
contrasta col proposito fermo, saldo della sua anima
ancorata alla fede: «Il dolore
è stare con la Madonna ai
piedi della Croce».
Due frasi – due aforismi –
di pretto stampo cristiano,
dettate dal suo spirito mistico, cristico-eucaristico, si-
mile alle tante che circolano
negli scritti di Angelina
– Lettere Diari Resoconti
spirituali –, dove parole come sofferenza, dolore, croce
sono di casa e frequente è il
nome della Madonna, via
maestra per arrivare a Cristo. Per Mariam ad Jesum,
secondo il motto impresso
sulla facciata della chiesasantuario di Sala dedicata
proprio alla Vergine, che è il
programma della vita spirituale di Angelina, presenza
assidua in quella chiesa con
la sua “preghiera continua”
di “pellegrina della fede” in
questa “valle di lacrime”,
come è chiamata la terra
nella preghiera mariana per
eccellenza (che un grande
poeta del nostro tempo chiama splendidamente “valle
del fare anima”). Una chiesa
risorta più bella dopo la distruzione della guerra, che
Angelina non fece in tempo
a vedere, morta agli inizi
di essa, vittima immolata
– ostia – per la riparazione
del peccato immane – del
Male – di essa!
Le trovo accostate le figure – i volti – di queste due
ragazze beate e sante – avviate a diventarlo grazie al
processo di beatificazione in
corso, foriero di quello futuro di santificazione – nella
pagina del “Corriere cesenate” che dà notizia di questo
nostro incontro su Angelina
qui a Sala e contemporaneamente di quello su Benedetta a Dovadola, degli
amici rispettivamente dell’una e dell’altra: bella, non casuale, provvidenziale coincidenza.
Noi con “Angelina verso
l’anno della fede”, loro con
“Benedetta testimone della
Divina Misericordia”. Un
orientamento, un cammino
simile: “Il cammino verso la
luce”. Così suona il titolo di
un piccolo illuminato libro
di don Divo Barsotti – un
grande “intellettuale della
fede” e grande mistico del
nostro tempo, scomparso di
recente – dedicato proprio a
Benedetta.
Il cammino verso la luce
della fede. Scrive don Divo,
quasi a compendio di quel
cammino di luce, in modo
conciso, epigrafico, che ci
pare intonato anche alla vita
e allo spirito della nostra
Angelina (tutte le persone
mistiche si assomigliano, somiglianti in Cristo, di cui
tendono ad assumere le
sembianze; simili Angelina
e Benedetta a due gocce
d’acqua nell’oceano dell’amore del Signore, per usare
una immagine della piccola
Santa Teresa di Lisièux, di
cui entrambe erano molto
devote): «Conobbe momenti
di buio e di angoscia, momenti di tentazione e di rivolta, ma nulla poté soffocare la sua gioia, nulla sopprimere il suo canto».
Nelle pagine del Diario,
dell’Epistolario e dei Resoconti di Angelina – che formano “la storia della sua
anima”, per citare il titolo
del libro della succitata Teresa del Bambin Gesù – si
trovano a profusione, come
fiori di un ricco, variopinto
giardino, un vero e proprio
tripudio e trionfo, parole come gioia, dolore (gioia e dolore in così stretta, intima
relazione, un vero e proprio
rapporto di filiazione l’una
dall’altro: “la gioia che nasce dal dolore”, secondo il
linguaggio dei mistici) e, naturalmente, fede, il cui dono
Angelina chiede nella sua
preghiera per sé e per tutti
noi. Come si vede, si sente
in questa sua pagina di dia-
l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 21
rio, del 31 marzo 1938,
giorno del suo sedicesimo
anno (quello del suo voto di
vittima – di ostia – emesso
di lì a poco, il 16 giugno, festa del Corpus Domini):
«Eucarestia, nutrimento dell’anima mia, fortifica quest’anima, perché possa affrontare qualunque battaglia,
e dammi la fede! Fede e
amore dei santi, perché come loro voglio santificare
questa mia anima e salvare
quelle altrui».
La fede lampada ai piedi
nel cammino della vita, come recita un versetto biblico. La fede dono divino e
conoscenza dell’amore di
Dio per l’anima di Angelina
assetata di Lui, come scrive
in un’altra pagina del Diario
di quello stesso anno straor-
dinario, il 16 aprile: «Ti sei
compiaciuto di farti conoscere a questa povera anima
mia ed io, che sento in Te il
mio conforto, il mio ristoro
in questa valle di lacrime,
dove cammino pellegrina,
voglio riposarmi in Te, per
imparare come debba camminare in Te, che per trentatré anni hai vissuto in mezzo
a noi per la tua grande
bontà».
Una “scienza della fede”
(così la chiama un grande
teologo e filosofo cattolico,
che fu anche sacerdote, Romano Guardini in un libretto
con quel titolo), che è nel
contempo “scienza della
Croce”, per dirla con una filosofa ebrea, Edith Stein,
convertita al Cristianesimo,
divenuta suora carmelitana,
morta ad Auschwitz e salita
agli onori degli altari negli
ultimi anni del pontificato di
Giovanni Paolo II, grande
lettore dei testi della sua “filosofia crocifissa”, come è
stata chiamata.
Ma torniamo ad Angelina,
ai passi del suo “cammino
verso la luce”. «Voglio la luce! Voglio la luce» è il refrain che ricorre nelle sue
pagine, che sono un canto di
vita e di morte. La morte
mistica dell’anima anelante
a morire per risorgere in
Cristo, vita vera, tutt’una
con Lui. I passi del suo Diario e degli altri suoi scritti si
possono considerare passi
delle stazioni del suo Calvario, un’ascesa e discesa insieme verso quella “cima
abissale” di luce che è Cri-
sto. Una fede provata, quella
della Serva di Dio, generatrice di speranza, di cui la
fede, ripetiamolo, è sostanza. Fede pasquale, gioiosa,
passata per la porta o via
stretta della “notte oscura”
purificatrice.
Notte dello spirito che,
come suona un verso del nostro grande poeta cattolico
da poco scomparso, Mario
Luzi, “lava la mente” (cioè
l’anima).
E man mano che si approssima l’appuntamento
col Signore, di cui tutta la
vita della Nostra è attesa
(Attesa di Dio si intitola un
libro della grande filosofa e
scrittrice francese, ebrea
voltasi al Cristianesimo, Simone Weil, innamorata di
Cristo e della sua Croce,
morta trentatreenne a poca
distanza dalla morte di Angelina), brilla come una stella di redenzione nella notte
dello spirito, camera oscura
dove si sviluppa gradualmente, nell’assenza salutare
per il travaglio della sua
“nascita eterna”, la luce, in
tutta la sua profondità ed
estensione, penetrata nell’anima. («Non esiste altro
peccato – ha sentenziato la
succitata Simone Weil – che
non lasciarsi attraversare
dalla luce»).
La luce di cui Clizia-Angelina, come il girasole della
celebre poesia di Montale,
era “impazzita”: lei, la “folle
di Dio”: il Dio che è Luce,
di cui la Serva di Dio fu
portatrice. («Il Dio che tutti
portiamo», come dice il
grande poeta spagnolo Antonio Machado, e specialmente, non solo genericamente, i
santi, portato fino alla fine
come una croce gloriosa sulle loro spalle).
Luigi Riceputi
22 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79
Intervista a Roberto Corso
di GIANFRANCO AMATI
Roberto Corso è una figura importante tra le persone che hanno frequentato Benedetta.
Nel 1963 Benedetta sta vivendo i momenti più duri del suo calvario, sorda e cieca e in
buona parte paralizzata. Proprio con queste difficoltà comunicative Benedetta sta vicina in
modo importante ad un liceale diciassettenne che vive le inquietudini della sua età.
D. C’è una tua lettera a Benedetta del 2 gennaio 1964, pochi giorni prima che morisse.
Forse capivi che stava per finire la possibilità di comunicare su questa terra con lei. Con la
consapevolezza che avevi in quell’anno, hai fatto una specie di
bilancio del tuo rapporto con lei. Così le scrivevi:
«Conoscerti mi ha richiamato a parecchie cose: innanzitutto
all’essere autenticamente Cristiani, a pregare, a meditare, ad accettare di essere soli a noi stessi, perché Dio possa plasmarci a
suo piacimento. Mi hai richiamato a superare i sensi e a fare del
bene. Prega ora perché con la Grazia riesca ad attuare tutto ciò,
perché mi è estremamente duro: io in cambio pregherò per la tua
serenità, che è la cosa che più mi sta a cuore. Grazie Benedetta,
di tutto». Cosa diresti adesso?
R. Adesso non direi nulla a Benedetta. Penso che sia arrivato il
momento del silenzio, almeno per me. È un momento in cui è necessario ascoltarsi e ascoltare.
Proprio in questi giorni stavo pensando a due cose.
Alla Parola e all’Incarnazione.
Abbiamo ascoltato spesso la Parola di Dio e molto spesso in
modo distratto, lontano, perché, in genere, viviamo questa Parola
come qualcosa fuori dalla nostra vita.
Il fatto invece che Dio si sia incarnato penso voglia dire anche
a noi che è necessario fare un passo in più, e cioè non essere soltanto ascoltatori della Parola, ma essere noi stessi Parola incarnata. Pensavo che Benedetta è stata proprio questo. È stata proprio
una Parola incarnata, che ha potuto essere ascoltata, ha potuto
parlare perché non è stata una cosa isolata, ma centro di vita e di
vite. In quel periodo a comunicare c’ero io, c’era Lucio, c’erano
altri ragazzi, c’era Nicoletta, Franci, Paola, Maria Grazia, tante
persone. Questo ha permesso uno scambio che non si è limitato
alla Parola, ma è diventato per ciascuno di noi vita.
Una vita molto diversa, a volte, da quella che pensavamo. Sono passati cinquantun anni dalla morte di Benedetta. Benedetta è
morta a 27 anni. Io ne avevo 17. C’è stato tempo per me di vivere, tempo per fare cose belle e anche per fallimenti, sofferenze,
lontananze. Per me questo momento è quello in cui bisogna fare
silenzio. Cerco di capire che, in fondo, siamo nelle mani di Dio,
per cui quello che dobbiamo fare in gran parte lo abbiamo fatto,
giusto o sbagliato che sia. Ciò che è sbagliato ci penserà il Signore a raddrizzarlo, e quel poco di buono che abbiamo fatto,
speriamo che a qualcosa e a qualcuno sia servito.
È il momento non tanto di guardare al passato. Possiamo guardare il passato proprio con il senso di abbandono e il futuro che
abbiamo, io me lo vedo davanti molto sereno, molto tranquillo,
perché capisco che niente è andato perduto, neanche quello che
sembra lontano.
Benedetta c’è, secondo me. Ci è vicina, non solo lei, ma è insieme a tante persone che lungo la strada si sono perse, sono
mancate, ma la cui presenza, in qualche modo, ha permesso a noi
di essere quello che siamo.
Quindi davvero il libro Vivere è bello ha un titolo che a me piace molto, perché credo che sia proprio così. Capirlo è una grande
cosa. Benedetta, secondo me, l’aveva capito benissimo perché già
prima della malattia il suo amore per la vita, per la musica, per il
disegno, per le persone, per gli incontri, sicuramente l’ha arricchita. Poi c’è stato certamente il momento della prova, della paura, dello smarrimento. Quello che poi in lei è cresciuto è questo
senso della nascita, il rendersi conto che la sua vita non finiva.
C’era un incontro, una festa, un nascere proprio nuovo che l’aspettava e non solo nell’ambito personale, ma in un ambito più
ampio, di comunione, di vita, che è molto più ampio di quello che
riusciamo a cogliere.
D. Credo che Benedetta testimoniasse, dopo un percorso di
maturazione, anche il senso dell’amore di Dio che diventa misericordia per tutti e quindi diventa momento di speranza, di consolazione, di fiducia nella vita che ci capita appunto di vivere.
R. Penso che ciascuno di noi sia capace di comunicare qualche
cosa. Non siamo sempre attenti a raccogliere quello che ci viene
dato, che ci viene offerto. Credo che questo dipenda dai tempi di
ciascuno e dai tempi di Dio.
Anche lì quello che uno fa, che venga accolto o che non venga
accolto, che venga recepito, o che non venga recepito, secondo
me non ha molta importanza.
Io sento invece, capisco Benedetta quando ha voluto spogliarsi
delle cose che aveva, comprese quelle tipiche di una ragazza. L’unica cosa che aveva voluto tenere, come segno, diciamo così della sua dignità di persona, era stato un anello d’oro. Lo si vede in
una foto che le avevo fatto mentre fa la comunione. Era solo questo il motivo per cui aveva tenuto questo anello. Tutto il resto l’aveva voluto dare via. Anche gli oggetti più cari, materiali o spirituali, per me è bene che si sia capaci di lasciarli, non perché non
siano significativi, ma perché il significato o uno ce l’ha nel cuore, altrimenti non ce l’ha.
D. Questa è una lezione molto importante di Benedetta. Credo
che ciò faccia bene, nel senso che una certa ricchezza, che da un
certo punto di vista perdi, …
R. Mi veniva da pensare che la vera “reliquia” a cui uno deve
fare attenzione è la sofferenza degli altri, il bisogno dell’altro,
l’attesa che l’altro ha di qualche cosa, di qualche cosa che non
conosce neanche e che, se sei attento, riesci a dare. Per esempio,
mi ha molto colpito oggi, la lettera che Benedetta ha scritto alla
signora Grecchi, quella che aveva perso il bambino.
D. Proprio tu avevi segnalato il caso a Benedetta.
R. La risposta di Benedetta è stata secondo me bellissima, veramente di una delicatezza, di una bellezza e di una profondità
uniche perché va veramente oltre l’episodio in sé drammatico, per
trovare, per suggerire un senso a questa cosa e anche una conciliazione perché questa signora potesse superare i sensi di colpa
che, tra l’altro, le venivano scaricati addosso.
l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 23
Questi sono accadimenti che certamente ci mettono di fronte a
dei grandi misteri. Sono certamente grandi misteri la sofferenza,
la morte, però ci invitano anche ad andare al di là. Oggi, nel Credo, che abbiamo recitato durante la Messa, si è accennato alle cose visibili e alle cose invisibili. Questa è veramente una cosa invisibile, qualcosa che ci sfugge ma che non ci è estranea. Per
questo è importante avere occhi che ci portino proprio a vedere
oltre, anche nel buio, …
D. Vedere la sofferenza può essere un’occasione per trovare la
luce…
R. Credo che alla fine ci aspetti essenzialmente la felicità. Non
credo che ci sia altro. La felicità è la comunione. Io credo molto
al fatto che ci sarà un incontro. Quel telegramma mandato a Benedetta – quel: Congregavit – nos in unum Christi amor exultemus non è un modo di dire. Era ed è anche oggi una cosa molto
vera. Per questo sono certo che rincontreremo chiunque abbia attraversato la nostra vita, anche se l’abbiamo perso da anni, da decenni. Non ha alcuna importanza, anche se ci sono state incomprensione, sofferenza, ricevute o date, ma sono sicuro che tutto
questo sarà superato.
D. La conoscenza con Benedetta che hai avuto, aveva alcune
variabili, che almeno dalla corrispondenza appaiono.
R. Avevo problemi tipici dell’adolescenza, problemi di definire
la mia strada, il mio vivere, le mie pulsioni, tante cose messe insieme.
D. Era più che altro il disagio di non riuscire a trovare la propria strada…
R. Sentivo molto all’epoca la differenza tra un ideale di perfezione e l’esperienza delle debolezze umane, questo contrasto, abbastanza forte, a quell’epoca mi sconcertava molto.
D. Poi c’era un altro tema ricorrente. Era quello dei tuoi fratelli, di un fratello più piccolo che era all’estero…
R. Ho tre fratelli: Piero, Claudio e una sorella, Ada, più grande di me. Il rapporto con i miei fratelli, con la mia famiglia è stato molto particolare. Mio padre aveva perso una gamba durante la
guerra. È stato per parecchi anni in ospedale. Mia padre proveniva da una famiglia di contadini, era il sedicesimo figlio di una famiglia di contadini. Mia mamma era venuta dal Sud Italia. Mia
nonna era vedova, anche lei. Mia madre ha iniziato a lavorare a
13 anni. Erano due famiglie molto povere.
Mia mamma: è stata lei a portare avanti la famiglia. Proprio
perché era in difficoltà, non ce la faceva, ho fatto tutte le elementari e le medie in collegio. Per questo anche i fratelli li ho avuti
vicino praticamente solo negli anni del liceo. E neanche tanto,
perché in quegli anni mio fratello Claudio era stato mandato negli Stati Uniti, anche se molto piccolo perché ha sei anni meno di
me, a dieci anni a studiare. Mia sorella era già andata in Germania a studiare. Ha poi sposato un tedesco di Monaco di Baviera.
Anche lei era abbastanza lontana.
Certamente il rapporto in qualche modo era rimasto, ma non
era mai stato emotivamente denso. Sotto questo aspetto ognuno di
noi ha vissuto la sua vita senza parteciparla molto ai fratelli, proprio perché c’è stata questa lontananza. Un po’ Piero, due anni
più giovane rispetto a me, ha vissuto un pochino di più con me.
Per il resto… Conoscono di Benedetta, sanno di Benedetta, ma
non l’hanno conosciuta.
D. Mi pare che il contesto più vivo…
R. È stato quello di Gioventù Studentesca.
D. Volevo sapere come la vedevi e come la vedi oggi.
R. Gioventù Studentesca è nata benissimo. È nata all’inizio degli anni ’60. Io l’ho frequentata praticamente nel ’63-’64, per un
paio d’anni, neanche tanti. È nata molto bene, ma, a mio avviso,
non ha avuto un’evoluzione… Non l’ho più sentita mia. Allora i
ragazzi erano divisi in “Raggi”, gruppi della singola scuola o di
alcune classi di liceo che avevano un responsabile o una responsabile che, in genere, era un’universitaria o un universitario. Ci si
incontrava settimanalmente, si andava in “Bassa”.
Ciò voleva dire prendere la domenica il pullman per andare
nella periferia di Milano. Si facevano giocare i ragazzini, si avvicinavano le persone…
C’erano poi degli incontri un pochino più allargati soprattutto a
Varigotti.
La cosa lì si è un po’ rotta, una volta che volevo portare un
amico che però era un po’ critico. Non l’hanno voluto. Questo rifiuto mi ha dato molto fastidio. Ho avuto la netta sensazione che
si stessero chiudendo in se stessi. E la cosa non ha più corrisposto al mio modo di sentire.
Per questo ho lasciato Gioventù Studentesca, che poi ha avuto
un’evoluzione in CL. Molti suoi esponenti li ho conosciuti all’epoca. Con molti di loro sono in ottimi rapporti dal punto vista
personale, però per me è rimasto un ambiente troppo chiuso in se
stesso.
D. Nelle tue lettere fai riferimento a Nicoletta e a qualche altro che era in Brasile.
R. Ricordo di essere andato all’aeroporto quando Nicoletta è
partita per il Brasile. Era un andare verso terre, verso persone
lontane, con sostanziale serenità. Benedetta sicuramente sognava
di diventare medico. Nicoletta era una sua compagna di università
che poi ha portato avanti questa cosa. Maria Grazia poi era una
compagna di università che non ha finito medicina ed è stata vicina ai malati soprattutto spiritualmente… Anche questa è una
medicina importante.
D. Nella tua esperienza quale tipo di spiritualità ti ha aiutato
un po’ o ti ha fatto vedere maggiormente la distanza tra ideale e
reale?
R. Mi ha aiutato Benedetta prima e poi l’incontro con la figura di Charles de Foucauld. La sua spiritualità, che non sono riuscito a vivere in modo particolare, per me è stata un grande richiamo.
D. Mi ha colpito molto che Benedetta ti considerasse un giovane che aveva dei problemi a trovare la sua strada, e che, per
questo, ti pensava e pregava per te tutti i giorni. Il rapporto con
te testimoniava proprio la sua capacità di entrare in un rapporto
profondo con le persone, proprio di “abitare” negli altri.
R. Per me Benedetta è stata senz’altro una sorella, come mi è
stato fratello anche Corrado e un po’ sorellina anche Carmen che
allora era piccolina, aveva otto anni.
Forse anche perché mi aiutavano nel dialogo con Benedetta,
perché facevo fatica a capirla per il fatto che le avevano tolto i
denti. Io le parlavo attraverso la mano.
Poi lei parlava, ma io non la capivo, in genere. Se non c’erano
Corrado o la Carmen a tradurre quello che Benedetta diceva, facevo fatica a capirla.
24 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79
La profezia di Mario Pomilio
a cura di ROBERTA BÖSSMANN
Secondo Mario Pomilio, vi sono due modi di considerare la
profezia.
Il primo modo è quello dei profeti che anticipano la venuta di
Cristo; il secondo è quello del cristiano che si trova permanentemente raggiunto da Cristo.
Nel primo caso si trattava di parlare di Cristo, nel secondo di
parlare con Cristo.
Tra i due momenti c’è una bella differenza, come è facile intuire. Il cristiano sperimenta che a parlare nella sua stessa vita sia
ormai proprio il Cristo.
Il profetismo biblico riceve così la sua piena attuazione e diviene una vera e propria testimonianza mistica: non solo parlare
stiano si riconosce dall’attitudine a situarsi all’interno del proprio
tempo portando comunque la disposizione alla speranza»2. Il Vangelo non è finito, questa è la verità. Ogni volta che un innocente
è chiamato a soffrire, Cristo torna a crocifiggersi con lui.
Può sembrare un pensiero terribile quello di un Dio disarmato
che non può fare altro, davanti al nostro dolore, che rinnovare il
proprio sacrificio, ma «che cosa c’è, riflettendoci bene, di più
consolante che questa solidarietà, non di forza e di giustizia, ma
di compassione e d’amore? E in verità è questo semplicemente
[…]: la croce di Dio ha voluto essere il dolore di ciascuno; e il
dolore di ciascuno è la croce di Dio»3. In questa prospettiva Cristo non ci ha dettato una verità, ma ci ha lanciati in un’avventura
e il profeta non è chi parla come un oracolo, ma «chi si mette in
ascolto delle parole del mondo con le stesse orecchie di Dio e si
accorge che anche le bestemmie si svelano preghiera»4. Il cristiano, ogni cristiano, già in forza del suo essere tale, è profeta. Il
santo è il testimone per eccellenza della Parola perché trasforma
la propria esistenza in un tentativo di reinterpretazione vissuta
delle fonti evangeliche. Ciò perché la sua non è “cultura”, bensì
“profezia” e porta a compimento il dirsi di Dio.
La profezia cristiana, nella forma più compiuta, che è la santità, non è dunque preveggenza, ma rapporto personale con il Cristo, esperienza mistica per la forza dello Spirito Santo.
Questa la convinzione di Pomilio: il Vangelo va continuamente riscritto nella carne di ogni epoca.
Si comprende allora perché egli abbia voluto intestare lo studio
dedicato a Benedetta così: A ogni santo che nasce è un nuovo
vangelo che si scrive.
«Tutto quello che ci è rimasto di lei è una specie di lunga benedizione della vita», dice M. Pomilio di Benedetta5. Non si è lamentata di ciò che le stava capitando, ma si è sempre occupata
degli altri e preoccupata per loro.
È, il suo, un essere per gli altri. «D’una vita che ebbe a vivere
così poco per sé, essa fece dono agli altri»6.
«L’amore per Dio, in lei, passa tutto attraverso il mondo […].
La vita amata e non respinta, la vita sentita come miracolo e come gioia» le farà dire “si dona come si ama” e qui troviamo «il
senso della sua missione, c’è il suo insegnamento, c’è la ragione
della sua gioia e del suo inno alla vita»7.
Grazie, Mario Pomilio, per avercelo ricordato.
su Dio, ma appartenergli ormai così radicalmente, tramite il Cristo, da essere perciò “parlati da Dio”. Il cristiano diventa contemporaneo di Cristo e scopre di essere chiamato non solo a fare il
profeta, ma a “essere profezia”. E questo avviene senza dimenticare il “proprio tempo”, ma anzi partecipando pienamente agli
eventi che vive1. La profezia ha dunque a che fare con la storia,
con i suoi fatti ed i suoi accadimenti. Il profeta vede ciò che c’è,
ma vede anche ciò che altri non vedono. Questo è possibile perché Gesù Cristo si rende sempre presente nella storia personale
dei suoi discepoli e dei suoi testimoni e questi, a loro volta, diventano suoi contemporanei.
Il quinto Evangelio, scritto da Pomilio non è dunque un nuovo
Vangelo da aggiungere a quelli che già ci sono, ma è piuttosto
l’unico vangelo di Cristo, rivissuto da ciascun credente. «Il cri-
Cfr. MASSIMO NARO, Contemporaneità di Cristo e profezia. Una lettura
di Mario Pomilio, in MARIO POMILIO, Pellegrino dell’Assoluto, Ed Feeria,
2010.
1
2
MARIO POMILIO, Il quinto Evangelio, Rusconi, Milano 19756, p. 16.
ID., op. cit., pp. 126-127.
Cfr. DIVO BARSOTTI, La religione di Giacomo Leopardi, Morcelliana,
Brescia 19755.
3
4
5
In Abitare negli altri, Stilgraf, Cesena 1984, p. 222.
6
Ivi, p. 223.
7
Ivi, p. 224.
l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 25
La mia vita accanto a Benedetta
1985
L’anno cominciò con una
ondata di gelo eccezionale.
Il 20 gennaio siamo andati a
Colombare di Sirmione per
l’anniversario di Benedetta.
Colombare è la parrocchia di
Emanuela Bianchi Porro. Anna
Cappelli aveva questo desiderio, di celebrare le date di Benedetta in luoghi sempre diversi. Io le facevo presente che
era giusto stare a Dovadola,
dove è il suo sarcofago, ma da
quell’orecchio non ci sentiva.
Tuttavia lo celebrammo qui alla Badia il giorno giusto, il 23,
ma in forma molto ridotta,
quasi privata con l’incoraggiamento di un fedele amico di
Benedetta, Nando Pulzoni,
concessionario Fiat a Forlì.
Queste le caratteristiche di
questo anno: la triennale in settembre, organizzata tramite
Comitato di difficile gestibilità,
improntato quasi più alla laicità che alla religione: dovevo
quasi lottare per ricavare i tempi religiosi. È questo il guaio
principale dei dovadolesi: domina un senso laico; la religione deve avere sempre una
presentazione “debole” perché
venga almeno accettata.
La promessa di aiuto fattami
dal Vicario Fabiani si era concretizzata con i cappellani, prima di Rocca San Casciano, don
Giovanni Amati, poi di Castrocaro, don Rino Giunchi. Ma la
cosa non poté durare e allora
mi mandò il cappellano per Dovadola: don Luigi Casamenti.
La cosa mi emozionò parecchio: non avevo avuto mai un
cappellano. Non so quanta parte potesse avere l’orgoglio,
l’ambizione o cose così, però
l’esperienza mi piacque. Solo
che la parte positiva durò troppo poco. Il cappellano era affiliato a CL. Andava ogni giorno
a Forlì per l’insegnamento della religione (motivo di sostentamento), si fermava anche a
(parte XII)
di don ALFEO COSTA
pranzo e tornava quando… CL
gli dava il “discessit”. Questo
fatto mi metteva un po’ in difficoltà. Nell’autunno di quell’anno feci eseguire il restauro
dei banchi della Badia. Un lavoro notevole che offrì anche
l’occasione di rinnovare i nominativi di dedica. Consultai i
vecchi intestatari, ne sorsero di
nuovi e si cercò di sostenerne
la spesa: ogni banco veniva a
Allora spiegai che l’intestazione era sì occasione di un’offerta alla chiesa, per perpetuare
la memoria del nominativo
(specialmente se defunto), ma
non di proprietà. In maniera finalmente abbastanza pacifica
si arrivò a coprire tutti i 26
banchi con offerenti. Anch’io
volli dedicarne uno alla memoria dei miei genitori. Il lavoro
riuscì molto bene; anzi, in un
no di ragazzo-padre. Infatti
quando conobbe e sposò Elsa
Giammarchi aveva già un figlio da una precedente relazione, di nome Leonida, che però
la madre aveva abbandonato e
affidato a lui. Era un uomo che
aveva avuto successo. Era stato
direttore delle Terme di Sirmione. Spessissimo veniva in
auto con Elsa da Benedetta.
Negli ultimi anni però non era
più in grado di condurre l’auto.
Il particolare che una volta
mi raccontò è che la malattia
di Benedetta lo aveva fortemente angustiato e portato alla
ribellione vera e propria a Dio,
perché vedeva la purezza, la
“santità” di sua figlia, e considerava la malattia come una
punizione, e diceva: ma perché! se non lo merita lei di essere ben voluta da Dio con la
salute! Certamente sentiva tutta l’umiliazione di un padre
ricco che però non poteva ottenere nulla per la salute della figlia. Ma un giorno in cui c’era
stata una celebrazione in Badia
di una data di Benedetta, terminato tutto, non c’era più
nessuno, io uscivo di sagrestia
e trovai ancora in chiesa l’ingegnere. Mi disse: «Non credevo che Iddio avesse un progetto così su mia figlia». Aveva
molto corretto il suo rapporto
con Dio.
costare più che a farlo nuovo.
Si dovette affrontare il concetto di proprietà: l’intestatario
si considerava proprietario e
quindi esclusivo utente.
Praticamente un’altra persona poteva inserirsi in quel banco solo col consenso dell’intestatario. Trattandosi di una
chiesa in cui vengono spesso
persone esterne, specialmente
per Benedetta, mai più poteva
sussistere una simile maniera:
che un forestiero potesse essere allontanato per lasciare il
posto al “proprietario” (cosa
che era avvenuta in un lontano
passato).
banco comparve perfino la data di costruzione: 1826. Al che
feci lasciare in evidenza quella
data, come anche i fori di alcuni banchi nella destra, perché
causati da schegge di guerra
entrate (mi si disse) dalla porta
aperta perché una bomba era
scoppiata davanti alla chiesa.
In autunno morì a Sirmione
il papà di Benedetta, Guido
Bianchi Porro.
Da quando conobbi l’ingegnere Guido mi accorsi che era
una persona intelligente e anche umile, considerando il suo
abbigliamento sempre dimesso.
Deve essere stato un antesigna-
1986
Mi trascinavo la situazione
di difficile collaborazione col
cappellano. E dire che mi fece
effetto sapere che quando lui
nacque io ero già sacerdote. In
ogni anno nuovo ci si trova subito con la data dell’anniversario di Benedetta. Quell’anno lo
celebrammo in modo abbastanza… casalingo. Era un giovedì
e prima di tutto venne celebrato a San Mercuriale alle 17.30,
poi alle 20 alla Badia, con alcuni nostri sacerdoti limitrofi.
Continua a pag. 26
26 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79
Continua da pag. 25
Altro avvenimento riferito a
Benedetta fu la celebrazione
dei cinquant’anni dalla nascita.
Anna scelse anche questa volta
la data del 25 aprile. A dare lustro a questa data venne il cardinale Carlo Maria Martini arcivescovo di Milano. A chi gli
rivolse l’invito disse: «Non ho
ancora visitato tutta la mia
diocesi, ma per Benedetta verrò. Mi interessai presso la sua
segreteria per sapere se fosse
venuto anche a Dovadola, ma
il tempo ristretto non glielo
consentì. La celebrazione fu
fatta in cattedrale: l’arrivo solenne e la S. Messa con tanti
sacerdoti, trasmessa da TeleRomagna. Nel pomeriggio ci
fu anche l’incontro degli amici
a Dovadola alle 16, fatto di
preghiere e testimonianze.
Intanto si avvicinava la
emozionante venuta del papa
Giovanni Paolo II in Romagna,
cominciando da Forlì. Fu una
cosa veramente storica. Il programma papale prevedeva la
visita a tutte le diocesi della
Romagna: Forlì, Cesena, Imola, Faenza, Ravenna e Cervia.
L’8 maggio era il primo giorno
e iniziava da Forlì. Preparativi
incredibili. Arrivo in elicottero,
incontro con la città nel piazzale della Vittoria, percorso in
auto fino al duomo. Con un
gruppo di persone, anche di
Dovadola. Ci ritrovammo nella
piazza del Duomo.
Io ero con le classi della
Scuola Media. Secondo momento: la Messa in piazza Saffi nel pomeriggio. Il programma prevedeva che a Forlì il Papa amministrasse il battesimo
ad alcuni bimbi, mentre nelle
altre diocesi avrebbe amministrato gli altri sacramenti. Ero
anch’io fra i concelebranti, non
quelli che salirono sul palco,
ma i tanti sistemati in piano
davanti all’altare. Cosa particolare per me fu questa: terminata la Messa, e scesi tutti dal
palco, il Papa era andato nella
Sala Albertini, per il cambio di
abiti. Io ero salito sul palco,
non ricordo perché. Mentre ero
su, il Papa passò sotto e alzò lo
sguardo verso di me. Io gli tesi
la mano ed egli me la diede: io
dall’alto, il Papa dal basso; la
cosa mi fece effetto.
Il pranzo al Papa fu servito
nell’Istituto delle Suore Dorotee, mentre i pernottamenti sono stati tutti all’Abbazia del
Monte di Cesena. All’indomani
ci fu il raduno dei sacerdoti di
Romagna col Papa all’Abbazia
di Cesena. Anche in quella occasione potei dargli la mano.
Durante i giorni della visita papale, una sera a Ravenna hanno offerto la cena al Papa.
Questa cena venne preparata
della ditta faentina Gemos, che
gestiva anche la Casa del Portuale a Dovadola. Il gestore capo Donati mi chiese una sedia
degna del Papa (si vede che là
non l’avevano). Io gli diedi
una di quelle della Badia, non
la grande perché non si riusciva a caricarla in auto. Sicché
mi sono trovato ad avere anche
qui un ricordo di Giovanni
Paolo II, per cui misi sulla sedia un biglietto in memoria.
I cinquant’anni di Benedetta
furono organizzati anche a
Ostuni di Brindisi e fummo invitati anche noi. Andammo in
quattro con la mia auto Volkswagen Jetta: io come autista,
Alessandro Riva, mamma Elsa
e Anna Cappelli. Laggiù ci
ospitarono in un palazzo principesco, ancora proprietà di
Rosetta Sansone, amica di Benedetta. La celebrazione fu fatta la domenica 20 luglio con la
partecipazione dell’arcivescovo di Bari mons. Mariano Magrassi, grande ammiratore di
Benedetta, che già era venuto a
Dovadola. In quei pochi giorni
che rimanemmo laggiù, io volli fare un po’ di turismo. Infatti all’indomani, insieme ad
Alessandro, mi ripromisi di fare il giro del Salento.
Sosta a Brindisi, poi a Lecce. Qui però non potemmo visitare le famose chiese del barocco pugliese perché arrivammo a mezzogiorno, ed erano
tutte chiuse. Dopo la sosta logistica del pranzo, ci rimettemmo in marcia per raggiungere
Calimera.
Mi premeva quella puntata
per visitare un amico di Benedetta, il quale scriveva molto
spesso e desiderava tenere corrispondenza. Giunti che fummo,
cercai il recapito e quando suonammo alla casa di Renato Gabrieli, io avevo in mano la busta
di una lettera non spedita. Gli
chiesi, mostrando l’indirizzo
suo: «Sei tu questo?». Risposta:
«Sì. Ebbene, io sono quest’altro». E gli mostravo il mittente.
Al che mi si gettò al collo
con una effusione incredibile e
commosso fino alle lacrime.
Notai che soffriva di depressione e che aveva molto bisogno
di effusioni. Ci fermammo un
poco, ma il viaggio era ancora
lungo e quindi al momento di
doverci congedare mi chiese:
«Scrivimi qualcosa in un foglio
di carta perché possa poi rendermi conto che questo non
era un sogno, ma una realtà».
Breve sosta anche a Otranto e
poi giù lungo la litoranea. Paesaggio veramente bello, con
tante grotte sulla costa del mare. Finalmente arrivammo a
Santa Maria di Leuca.
Mi sono sentito emozionato
sul piazzale del santuario affacciato sui due mari. Quello il
tacco d’Italia, oltre c’è il Medioriente. Il ritorno era di molti chilometri e dovetti andare
sollecito senza pensare a soste.
Fortuna che le strade laggiù
sono belle larghe e non tanto
trafficate.
Nel viaggio dell’indomani di
ritorno verso casa facemmo sosta al Santuario dell’Incoronata
di Foggia. Intanto si faceva vicino la data esatta del 50°
compleanno di Benedetta, cioè
l’8 agosto.
Era giusto solennizzare più
del solito quella data, e venne
fatto degnamente con l’apposizione della lapide sulla casa
natale in Dovadola via Rio Castello n° 2 e lo scoprimento solenne della medesima. Quel
pomeriggio si svolse così: celebrazione della Messa davanti
alla casa natale, occupando tutta la via. In alto venne posizionato l’altare e giù tutta la gente. Presiedeva mons. Giovanni
Proni nostro vescovo e con lui
il Vicario episcopale di Verona,
poi don Mario Forani, don Marino Tozzi, don Giovanni Amati, don Otello Valmori (segretario del vescovo), don Ernesto
Leoni, don Luigi Casamenti
(mio cappellano). Erano intervenuti anche alcuni seminaristi
di Rimini. Al termine della
Messa lo scoprimento della lapide per mano del vescovo. Fu
una cosa senz’altro degna. Io
mi occupai della… regia. Sempre nel programma del 50°
compleanno, Anna fece innalzare una grande croce a Marzano, in posizione prospiciente
il paese di Dovadola, illuminata di notte, cosicché si poteva
vedere da lontano.
Il 14 settembre facendo l’inaugurazione di quella croce io
feci la benedizione. In quell’anno volemmo anche dare rilievo, perché si stabilisse una
consuetudine, al 23 di ogni
mese. Lo facemmo la prima
volta il 23 di ottobre, io dissi la
Messa alle 20 presso il sarcofago di Benedetta. Continuava
anche la Giornata dell’Ammalato, presso Benedetta quale
esempio mirabile di come si
porta la croce del dolore: il
26 ottobre, ci fu molta partecipazione.
Dovetti prendere di petto la
questione del cappellano, che
non era quasi mai presente. Al
Vicario Generale mons. Giuseppe Fabiani feci questo ragionamento: «Preferisco esser
da solo sapendolo, che dovermici trovare pensando di essere in due». E fu così che venne
trasferito nella parrocchia di
Coriano assieme ad un altro
ciellino, chissà che l’intesa potesse essere più piena. Esperienza molto breve (undici mesi) quella del cappellano.
Nel dicembre, poco prima di
Natale morì don Afro Leoni,
parroco di Villa Renosa, nel
nostro circondario, all’età di 66
anni, così diminuiva anche sulla carta il numero dei sacerdoti
locali: rimanevamo io e don
Zauli, più i frati di Montepaolo.
(continua)
Grazie Benedetta!
l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 27
Situazioni clinicamente disperate, positivamente risolte dopo la
richiesta al Signore della grazia con l’intercessione di Benedetta:
ne racconta una Giuseppa P. nella testimonianza, pubblicata nel
numero precedente de “l’annuncio”, su una imprevista straordinaria guarigione di un parente. La famiglia ha raccolto la documentazione medica, che è stata trasmessa al P. Postulatore ed al Vice
Postulatore per una prima valutazione del caso.
Così iniziano quegli approfondimenti che, con vari passaggi,
potrebbero portare la Chiesa a riconoscere come miracoloso il
fatto, passaggio fondamentale perché Benedetta possa essere riconosciuta dalla Chiesa come beata e poi, con un altro miracolo riconosciuto, come santa. Per questo è importante raccogliere le testimonianze che indicano anche la continuità delle richieste di
Preghiera per la glorificazione
di Benedetta Bianchi Porro
Padre nostro, noi ti ringraziamo per averci
donato in Benedetta una cara sorella.
Attraverso la gioia e il dolore di cui hai
riempito la sua breve giornata terrena, Tu
l’hai plasmata quale immagine viva del tuo
Figlio.
Con Benedetta al nostro fianco ti chiediamo,
Padre, di poterci sentire più vicini a te e ai
fratelli, nell’amore, nel dolore e nella speranza.
In una accettazione piena e incondizionata
del tuo disegno.
Fa’ che la sua testimonianza così radicale
della potenza salvifica della croce c’insegni
che il dolore è grazia e che la tua volontà
è gioia. Concedi, o Padre, la luce del tuo
Spirito alla Chiesa, affinché possa riconoscere
Benedetta fra i testimoni esemplari del tuo
amore.
Questa grazia ...... che per sua intercessione
umilmente ti chiedo, possa contribuire alla
glorificazione della tua serva Benedetta.
Amen.
con approvazione ecclesiastica
grazie con l’intercessione specifica di Benedetta e così il lavoro
del Postulatore e del Vice può andare avanti.
Molti lettori si chiedono a che punto sia la Causa di beatificazione, visto che il 17 marzo 2014 il P. Postulatore aveva già portato alla Congregazione vaticana competente il materiale su un
presunto miracolo avvenuto a Genova il 3 settembre 1986.
Le novità sono le seguenti. La documentazione, corredata anche da un Summarium, una specie di indice ragionato di tutto il
materiale consegnato, è stata acquisita regolarmente agli atti e
viene esaminata dalla Congregazione che ne verifica l’autenticità.
Dopo la verifica, se con esito positivo, essa sarà consegnata a
tempo debito, rispettando eventuali precedenze, a due periti, scelti dalla Congregazione, che la esamineranno.
Se il parere dei due periti, o almeno di uno, sarà favorevole, il
plico sarà trasmesso ad una Commissione di cinque medici di alto livello che esprimeranno un parere sull’inspiegabilità medica
della guarigione. Dopo il superamento anche di questo passaggio,
sarà convocata la Consulta medica formata da sette medici che
esprimerà, a maggioranza di almeno quattro su sette, un parere.
Se anche questo sarà favorevole, la causa andrà avanti presso la
Commissione teologica che valuterà se il fatto straordinario di cui
parlano i medici sia attribuibile all’intercessione di Benedetta. Se
sarà superato anche questo esame, si riunirà in sessione la cosiddetta “Ordinaria”, una commissione di una decina di persone, formata da Cardinali, Vescovi, con un Arcivescovo, con un “officiale” come segretario, per stilare per il Papa il definitivo parere sul
presunto miracolo per intercessione di Benedetta. Al Papa spetterà la decisione finale. A quel punto si saprà se Benedetta sarà
beata per la Chiesa. Tutti questi passaggi richiedono tempo, nel
contesto di un processo serio e documentato.
Seguiamo con la preghiera l’attività del Postulatore e del Vice
e anche quella delle Commissioni e degli esperti che lavorano alla Causa.
Importante, non ci stanchiamo di ripeterlo, è anche la segnalazione di nuove grazie ottenute con l’intercessione di Benedetta.
Le relative testimonianze vanno inviate a:
Postulatore della Causa di Beatificazione
P. GUGLIELMO CAMERA
Nuovo Indirizzo:
Missionari Severiani
Viale San Martino, 8
43123 PARMA
Tel. 0521-920511
cell. 333-2902646
E-mail: [email protected]
Vice Postulatore della Causa di Beatificazione
Don ALFEO COSTA
Via Benedetta Bianchi Porro, 6
47013 DOVADOLA (FC)
Tel., Fax e Segreteria tel. 0543- 934676
E-mail: [email protected]
28 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79
Testimonianze
Una nuova amica ci racconta il suo incontro con Benedetta
ed alcuni importati sviluppi.
Dal Canada a Dovadola e poi…
di Lucinda Mary Vardey (Toronto)
Ho incontrato Benedetta tre anni fa, dopo la celebrazione
della Messa, in un antico Eremo Francescano di Montecasale,
su una collina vicina a Sansepolcro. Tra i vari libri di San
Francesco, Santa Chiara e San Pio si evidenziava la foto di una
giovane donna, moderna. Chi era? Il libro parlava di lei. Mio
marito che conosce l’italiano mi ha tradotto ogni pagina in inglese, e mentre si lavorava insieme, giorno dopo giorno, nella
nostra casa toscana, questa straordinaria storia di sofferenza,
fede e gioia, vissuta nell’abbandono assoluto alla volontà del
Signore, ha cominciato a toccarmi profondamente. Benedetta
era entrata nella nostra vita.
In un assolato giorno d’estate, ho raccolto dei boccioli di rose da portare alla sua tomba e siamo andati in macchina a Dovadola, attraversando colline e strade di campagna. Arrivati alla Abbazia di Sant’Andrea, abbiamo parcheggiato e, prendendo
le rose, grande è stata la nostra sorpresa: le rose erano tutte
sbocciate. Ci è sembrato un segno. Ho deposto le rose sul suo
sarcofago, mi sono inginocchiata ed ho pregato, prima di visitare la sua stanza col suo letto. Abbiamo incontrato don Alfeo Costa che, dopo averci cordialmente salutati, ci ha accompagnati
nella stanza di Benedetta e poi ci ha fatto visitare anche il Museo che si trova in paese. Ci ha dato dei libri, tra cui quello
scritto da Timothy Holme [Benedetta o la percezione della
gioia; N.d.R.] che più tardi ho letto con grande interesse.
Leggendo le lettere di Benedetta e le esperienze dei suoi amici,
ho conosciuto attraverso di esse anche le grandi premure e la
grande intelligenza con cui Elsa, sua madre, l’ha amata e seguita.
Benedetta ha scoperto lo scopo della sua vita nella saggezza
dei Vangeli e nelle Lettere di San Paolo. Ho cominciato a capire come lei mi stava aiutando a sopportare non solo le mie sofferenze, ma mi stava indicando la strada per amare e vivere con
una malattia debilitante. È stato per me un messaggio di grande speranza.
Ho cominciato a vivere la sua storia tanto singolare come un
dono, un grande dono insieme alle altre figure eroiche del suo
periodo, Etty Hillesum, Edith Stein e Simon Weil. Le sue parole
le coglievo mano a mano in tutta la loro autenticità e teologica
originalità. Sebbene sostenuta dall’esempio di tanti Santi, la Via
Dolorosa di Benedetta non era come tutte le altre. La sua era la
risposta di una persona combattuta e vinta, tormentata dal dolore e dalla sofferenza, e tuttavia purificata, nella luce, nella
serenità e nella bellezza. La purezza della sua anima era il
segno inconfondibile di quello che il Signore voleva che Lei diventasse.
Sono stata colpita dalle sue parole «il mio spirito continuerà
a vivere qui tra coloro che soffrono così che anch’io non avrò
sofferto invano» ed ho sentito la responsabilità di tenere vivo il
suo esempio, in modo che altri fossero toccati dalla sua vita e
trovassero la loro strada per arrivare al Signore, specialmente
… Reading Benedetta’s letters and the
stories of her friends, learning about her
mother, Elsa’s care and the intelligence
with which Benedetta loved and discovered the purpose of her life in the wisdom
of the gospels and the epistles of St.
Paul, I began to realize how she was not
only helping me cope with my own sufferings, but was showing how to love in severe suffering - in short how to love and
live with a debilitating ill-ness. Therein
her message of hope.
And so I began to write her story as one
unique and as powerfully present as those
other heroic icons of her age, Etty Hillesum, Edith Stein and Simone Weil.
As I noted her words I began to gauge
not only their authenticity but their theological originality.
nella sofferenza. Sono certa che Benedetta ci guiderà in questo
cammino che si sta sviluppando in Canada dove vivo durante i
mesi invernali.
Come responsabile di una nascente comunità a Toronto, chiamata “Le donne contemplative di Sant’Anna”, ho invitato a studiare le donne sante e consacrate della nostra Chiesa, in modo
da scoprire e definire una teologia specifica per le donne. Attualmente ci stiamo documentando sul breve percorso di Santa
Teresa di Lisieux, leggendo la sua autobiografia, le sue lettere e
le massime. Ci sembra giusto terminare i nostri studi con “l’Offerta all’Amore Misericordioso” che ha ispirato Benedetta negli
ultimi momenti della sua vita. E naturalmente, presteremo la dovuta attenzione all’amorevole figlia di Santa Teresa, Benedetta
Bianchi Porro, per cominciare a scoprire una donna del nostro
tempo. Una donna che certamente ci ispirerà, ma soprattutto ci
insegnerà come vivere, come amare e come accogliere la volontà del Signore in tutta la sua pienezza.
In Canada pregheremo per il riconoscimento ufficiale della
santità di Benedetta e, possiamo dire, perché sia proclamata
“Dottore della Chiesa”?
(Traduzione dall’inglese di Maria Epifani
che ringraziamo)
Testimonianze
l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 29
La mia vita è stata molto difficile e sofferta, il Signore comunque ha avuto per me sempre
un’infinita misericordia. […] tra tutte le anime in odore di santità, per me la Venerabile Benedetta è la prediletta.
Giorgio C.
Celano (AQ), Natale 2014
Dovadola 9 gennaio 2015 - Il vescovo di Senigallia mons. Giuseppe Orlandoni con un gruppo di sacerdoti è accolto
dal vescovo Lino Pizzi alla Badia di Dovadola (Foto Conficoni).
Durante un viaggio verso Milano, il vescovo di Senigallia mons. Giuseppe Orlandoni,
accompagnato da un gruppo di sacerdoti, ha
fatto una piccola deviazione per pregare alla
Badia di Dovadola, accolto dal vescovo di
Forlì-Bertinoro mons. Lino Pizzi e da don Alfeo Costa, che ha fatto da guida agli ospiti
nella breve gradita visita.
Dovadola, 24 maggio 2015 - Rappresentanti del folto gruppo degli Amici di Bassano, con don Alfeo Costa, al
centro, e con la nostra presidente Liliana Fabbri Selli, a destra della signora con la ceramica (Foto Conficoni).
A Benedetta
Dovadola,
25 gennaio 2015
L’emozione coglie il
mio cuore, mentre seguo
i preparativi per la Santa
Messa.
Ascolto il coro che sta
provando il tuo canto, il
mio pensiero corre a te:
ti vedo ancora, quando
nel tuo letto di sofferenza
davi coraggio e forza a
chi veniva per confortarti ed usciva confortato
da quella stanza.
Guardo il Cristo in
Croce e vedo una celestiale fanciulla ai piedi
della Croce, ed il mio
pensiero corre a te, che,
diafana come la madreperla rilucente, giacevi
nel tuo letto di sofferenza.
Sofferenza materiale,
corporea, fisica, ma non
spirituale, perché da te
usciva una luce vivida,
colma di energia ultraterrena che trasmettevi a
tutte le persone che erano venute per portarti un
saluto.
Sei qui con noi, ed io
sento la tua presenza più
che mai.
Il mio cuore palpita
fortemente, sono emozionata, emozionata di essere qui perché l’anno passato non ho potuto essere presente al tuo 50º,
però la tua grandezza
era nel mio cuore, piena
d’amore e libera come
un volo di colomba portatrice di pace amicizia.
“Ciao Benedetta” accompagnaci sempre, non
lasciarci a noi stessi, tendici la tua mano e noi ti
seguiremo con fede.
Ines Micucci
30 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79
Benedetta in Internet
• Ho colto occasionalmente qualche battuta di un dialogo tra alcune nonne, non proprio minorenni, che parlavano delle foto
dei nipoti che mandavano e ricevevano sui loro telefonini,
usando con apparente disinvoltura “Whatsapp”, un’applicazione che facilita queste operazioni. Mi sono detto allora che forse si era aperta una breccia tecnologica nel muro tra bambini,
ragazzi, “nativi digitali”, e gli adulti.
D’altra parte, pensavo ai ragazzi e, ahimè, anche ai non ragazzi, esposti spesso a pesanti dipendenze dal mezzo tecnologico.
Mi pare che il modo più facile per cadere in queste dipendenze sia la convinzione che esse capitino soltanto “agli altri”,
mentre noi siamo naturalmente superiori e vaccinati per queste
malattie. Mi ha fatto riflettere su questo fenomeno un breve articolo su cui vale la pena di riflettere:
«Ormai è difficile essere qui e adesso. L’impressione è che tutti siano/siamo fisicamente in un posto, ma con la testa ed il
cuore altrove; c’è sempre un altrove che dovrebbe essere mi-
gliore, più interessante e più urgente che l’adesso e qui. Anche
quando si parla con un vicino la precedenza l’ha la notizia,
l’informazione che si intrufola, il bip del telefonino; una telefonata ha normalmente la priorità su quel che si sta facendo,
anche fra noi.
Noi teniamo nelle mani i cellulari ma sono loro che tengono in
mano noi. Ma non è che ora l’abbondanza, la facilità, l’onni-
a cura di Gianfranco A.
presenza, l’invadenza delle comunicazioni impediscono di comunicare veramente? La facilità non impedisce forse di avere
rapporti umani, cioè veri rapporti con un numero magari limitato di persone e diluisce in una mutevole molteplicità di conoscenze intercambiabili quella misura di amore, non infinita, che
ciascuno di noi, nei suoi limiti può dare?
Stare dove si è, fare quel poco che ci è dato da fare oggi, anzi
adesso e qui, donare quel che ci è dato di donare, non disperdersi, coscienti che per quanto facciamo, un giorno il mondo
farà a meno di noi» (da ”Comunicare e condividere”, n. 392,
marzo 2015, cfr. pp. 5-6).
A questo proposito, dobbiamo scoprire tutti l’attualissimo richiamo all’essenziale di Benedetta, quando dice, quasi rivolgendosi al nostro quotidiano rumore comunicativo: «Nel mio
deserto, mentre cammino Lui è qui, mi sorride, mi precede,
m’incoraggia a portarGli qualche briciola d’amore».
C’è un silenzio che dobbiamo quotidianamente scoprire per
ascoltare il Signore e coloro che ci ha messo sul nostro cammino.
Accompagnati da questa consapevolezza, che ogni giorno si
rinnova, è bellissimo pensare alla comunicazione in rete e alle
possibilità oggi offerte. Gli Amici di Benedetta si possono sentire e vedere anche a distanza di centinaia o di migliaia di chilometri e possono comunicare in modo interattivo.
C’è chi lo fa con successo, come abbiamo potuto vedere in una
pagina di facebook dedicata a Benedetta Bianchi Porro, con
vari interventi, commenti e immagini. Esploratela e vedete chi
la anima. La pagina è arrivata a 1041 contatti con la valutazione “Mi piace”. Se son rose bianche, fioriranno ancora…
• Guardate anche il nostro sito www.benedetta.it. Troverete anche il testo integrale della relazione dello psichiatra e psicanalista dott. Pierluigi Moressa Alla fine dei giorni: la mente dell’uomo di fronte al dolore e alla speranza e quella del teologo
mons. Franco Giulio Brambilla, su Il tempo della sofferenza:
una sfida per lo spirito.
Il nuovo Consiglio direttivo della Fondazione “Benedetta Bianchi Porro”
La Fondazione “Benedetta Bianchi Porro” ha un nuovo Consiglio direttivo, allargato, a seguito di una modifica statutaria, a
7 membri, per inserire un/una rappresentante dell’“Associazione per Benedetta Bianchi Porro” e un/una rappresentante della
famiglia Bianchi Porro.
Il Consiglio, nominato con decreto del vescovo di Forlì-Bertinoro mons. Lino Pizzi, è formato da: mons. Dino Zattini, vicario
emerito della Diocesi di Forlì-Bertinoro (presidente); don Alfeo
Costa (vicepresidente); Caterina Gorlani, componente in rappresentanza della Famiglia Bianchi Porro (segretaria); Jolanda
Bianchini (componente); Carlo Giannelli (tesoriere); Alvaro Ravaglioli (componente); Gaspare Cremonesi (componente in rappresentanza dell’“Associazione per Benedetta Bianchi Porro”).
Auguriamo buon lavoro al nuovo Direttivo che deve affrontare una onerosa gestione degli adempimenti statutari previsti.
Per un opportuno orientamento dei lettori elenchiamo gli scopi
della Fondazione, ricavati dal primo articolo dello Statuto vigente.
«L’Ente di religione “Fondazione Benedetta Bianchi Porro”,
istituita con decreto vescovile dell’08.12.1986 e con sede in Vescovado, Piazza Dante 1, 47100 Forlì, ha come scopo:
– la valorizzazione del messaggio di fede di Benedetta Bianchi Porro dato con una vita esemplarmente cristiana e con
scritti di alta spiritualità, per una catechesi rivolta specialmente ai giovani, agli ammalati e a chi non riesce a trovare un senso religioso alla sua vita;
– lo studio e l’approfondimento degli scritti di Benedetta;
– la diffusione della sua conoscenza, con la promozione e il
sostegno di tutte le iniziative atte a questo scopo: stampa,
conferenze, pellegrinaggi, manifestazioni religiose ad altre
attività volte allo scopo anzidetto in collegamento con Enti ed Istituzioni Pubbliche e Private;
– la promozione di giornate di ritiro spirituale per giovani e
adulti dei diversi movimenti, gruppi, associazioni ecclesiali, ammalati;
– la prosecuzione della causa di beatificazione di Benedetta;
– la custodia del suo monumento sepolcrale nell’Abbazia di
Dovadola, la celebrazione con Sante Messe dell’anniversario della sua nascita e della sua morte, la gestione del museo sito in Dovadola e di tutte le altre proprietà mobiliari
ed immobiliari inventariate in data 1/10/06».
l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 31
Prossimi appuntamenti
DOVADOLA – ABBAZIA DI SANT’ANDREA
DOMENICA 9 AGOSTO 2015 ore 10,30
per il 79º anniversario
della nascita al cielo di
BENEDETTA
Solenne
Concelebrazione
Eucaristica
mons.
presieduta da
ANDREA TURAZZI
Vescovo di San Marino-Montefeltro
con la partecipazione di
S. E. mons. LINO PIZZI
Vescovo di Forlì-Bertinoro
ore 12,30: pranzo insieme nel Ristorante Albergo “Rosa bianca” di Dovadola
Durante la S. Messa sarà ricordata anche l’indimenticabile ANNA CAPPELLI nel 10º anniversario della sua nascita al cielo
Sabato
8 AGOSTO 2015
alle ore 18
nella chiesa di
SAnTA MARiA dELLA nEvE
al centro storico
di Sirmione
una S. Messa
sarà celebrata da
mons. PAOLO RAbiTTi
arcivescovo emerito
di Ferrara-Comacchio
nell’anniversario
della nascita
della venerabile
benedetta bianchi Porro
AvviSi dA SiRMiOnE
32 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79
L’ annuncio
è sostenuto
soltanto
con le offerte
degli Amici.
Un grazie
di cuore
a tutti
i benefattori
che,
con il loro aiuto
e la loro
generosità,
ci permettono
di continuare
la diffusione
del messaggio
di Benedetta
nel mondo.
IMPORTANTE
Chi desidera partecipare al “pranzo insieme”
di domenica 9 agosto 2015 alla “Rosa bianca”
è pregato di rivolgersi a “Amici di Benedetta”,
Casella Postale 62 – 47013 Dovadola,
o telefonando a Don Alfeo Costa, parroco di Dovadola,
(0543 934676: tel., fax e segreteria telefonica)
entro il 5 AGOSTO 2015.
Chi avesse bisogno di alloggiare presso la “Rosa Bianca”
è pregato di interpellare direttamente il gestore
Moreno Pretolani allo 349 8601818
in lingua straniera
«bEYOnd SiLEnCE» («Oltre il Silenzio» in inglese) «Amici di Benedetta» Forlì
«MAS ALLA dEL SiLEnCiO» («Oltre il Silenzio» in spagnolo) «Amigos de Benedetta» Bilbao
«MAS ALLA dEL SiLEnCiO» («Oltre il Silenzio» in spagnolo) Ed.
Claretiana - Buenos Aires
«AU dELÀ dU SiLEnCE» («Oltre il Silenzio» in francese) Editions
de l’Escalade - Paris
«UbER dAS SCHWEiGEn HinAUS» («Oltre il Silenzio» in tedesco)
Freundeskreis «Benedetta» - Hamburg
«CUdO ZivOTA» («Il Volto della Speranza» in croato) a cura di
Srecko Bezic - Split
«ObLiCZE nAdZiEi» («Il Volto della Speranza» in polacco) Romagrafik - Roma
«ALÉM dO SiLÊnCiO» («Oltre il Silenzio» in portoghese) Ed. Loyola - San Paulo
«TRAnS LA SiLEnTiO» («Oltre il Silenzio» in esperanto) Cesena - Fo
«dinCOLO dE TACERE» («Oltre il Silenzio» in rumeno) Chisinau,
Rep. Moldava
«SESSiZLiGin IÇINDEN» («Oltre il Silenzio» in turco) Iskenderun
«TÙLA CSEndEn» («Oltre il Silenzio» in ungherese) Budapest, 1997
«OLTRE iL SiLEnZiO» in giapponese - Tokio
«OLTRE iL SiLEnZiO» in arabo - Beirut
«OLTRE iL SiLEnZiO» in ebraico
«OLTRE iL SiLEnZiO» in russo - Bologna
«OLTRE iL SiLEnZiO» in cinese - Taipei
«OLTRE iL SiLEnZiO» in maltese - La Valletta
«OLTRE iL SiLEnZiO» in slovacco - Trnava
«OLTRE iL SiLEnZiO» in swahili - Nairobi
«bEnEdETTA» M.G. Dantoni, opuscoli in inglese, francese, spagnolo,
russo, tedesco, thailandese, ucraino, bulgaro
«bEnEdETTA» opuscolo in indonesiano, a cura di Fr. Antonio Carigi
Per conoscere benedetta
SiATE nELLA GiOiA - Diari, lettere, pensieri di Benedetta Bianchi Porro, a cura e con introduzione di David M. Turoldo - Cesena «Amici di Benedetta» - Villanova del Ghebbo (Ro) - pp. 255.
iL vOLTO dELLA SPERAnZA - Note biografiche. Lettere di Benedetta
e lettere di amici a Benedetta. Testimonianze di amici che l’hanno
conosciuta, a cura di Anna Cappelli - Cesena - «Amici di Benedetta» pp. 480.
OLTRE iL SiLEnZiO - Note biografiche. Diari e lettere di Benedetta.
Lettere degli Amici a Benedetta. Testimonianze di chi l’ha conosciuta, a cura di Anna Cappelli - «Amici di Benedetta» - pp. 168.
TESTiMOnE di RESURREZiOnE - Pensieri di Benedetta disposti seguendo il suo itinerario spirituale, a confronto con passi della Sacra Scrittura, presentazione di Enrico Galbiati - Cesena - «Amici di
Benedetta» - pp. 152.
PEnSiERi 1961 - Pensieri autografi di Benedetta, tratti dal suo diario Forlì - «Amici di Benedetta» - pp. 180.
PEnSiERi 1962 - Pensieri autografi di Benedetta, tratti dal suo diario Ravenna - «Amici di Benedetta» - pp. 200.
bEnEdETTA biAnCHi PORRO - I suoi volti - Gli ambienti - I documenti, a
cura di P. Antonino Rosso - «Amici di Benedetta» 2006 - pp. 255.
vivERE È bELLO - Appunti per una biografia di benedetta
bianchi Porro, di Emanuela Ghini, presentazione del Card. A.
Ballestrero - Cesena - «Amici di Benedetta» - pp. 200.
bEnEdETTA - Sintesi biografica a cura di Maria G. Dantoni - Stilgraf Cesena - pp. 32.
bEnEdETTA di Alma Marani - Stilgraf - Cesena - “Amici di Benedetta” pp. 48.
bEnEdETTA biAnCHi PORRO di Walter Amaducci - Stilgraf - Cesena,
2012 - pp. 30.
bEnEdETTA biAnCHi PORRO di Walter Amaducci - Stilgraf Cesena, 2014 - pp. 30 (in lingua inglese).
bEnEdETTA biAnCHi PORRO di Andrea Vena. Biografia autorizzata Ed. S. Paolo - pp. 221.
SCRiTTi COMPLETi di Benedetta Bianchi Porro, a cura di Andrea Vena Ed. San Paolo - pp. 815.
AbiTARE nEGLi ALTRi - Testimonianze di uomini di oggi su Benedetta, lettere, discorsi, studi, meditazioni - Cesena - «Amici di Benedetta» - pp. 416.
LA STORiA di bEnEdETTA - Narrata ai bambini, di Laura Vestrucci
con illustrazioni di Franco Vignazia - «Amici di Benedetta» - pp. 66.
diO ESiSTE Ed È AMORE - Veglia di preghiera sulla vita di Benedetta di Angelo Comastri - «Amici di Benedetta» - pp. 33.
OGGi È LA MiA FESTA - Benedetta Bianchi Porro nel ricordo della madre, di
Carmela Gaini Rebora - Ed. Dehoniane - pp. 144 - Ristampato.
bEnEdETTA biAnCHi PORRO - LETTERA vivEnTE - Scritti di
sacerdoti e di religiosi alla luce della parola di Benedetta - Cesena «Amici di Benedetta» - pp. 256.
bEnEdETTA O LA PERCEZiOnE dELLA GiOiA - Biografia di
Timoty Holme - Gabrielli Editore, Verona - pp. 230.
APPROCCiO TEOLOGiCO AL MiSTERO di bEnEdETTA biAnCHi
PORRO del Card. Giacomo Biffi - Cesena - «Amici di Benedetta».
bEnEdETTA biAnCHi PORRO di Piero Lazzarin, Messaggero di
Sant’Antonio - Padova 2006 - pp. 221.
iL SAnTO ROSARiO COn bEnEdETTA a cura della Parrocchia di
Dovadola.
L’AnELLO nUZiALE - La spiritualità “sponsale” di benedetta bianchi
Porro, di E. Giuseppe Mori, Quinto Fabbri - Ed. Ave, Roma 2004 pp. 107.
CASSETTA REGiSTRATA dELLE LETTERE di bEnEdETTA a cura
degli «Amici di Benedetta».
CARO LibRO - Diario di Benedetta, illustrato con 40 tavole a colori dagli alunni di una IV elementare di Lugo (Ra) con presentazione di
Carlo Carretto e Vittorio Messori - pp. 48 formato 34x49 Ed. Morcelliana.
ERO di SEnTinELLA di Corrado Bianchi Porro. La lettera di benedetta nascosta in un libro - Ed. S. Paolo.
QUALCHE COSA di GRAndE di Walter Amaducci - Ed. Stilgraf,
Cesena 2009 - pp. 120.
i dOLCi vOLTi di diO di Maria Grazia Bolzoni Rogora - Ed. Stilgraf,
Cesena 2014 - pp. 156.
FiLMATO SU bEnEdETTA (documentario) in videocassetta.
dvd bEnEdETTA biAnCHi PORRO - Testimonianze (filmato in Dvd).
L’AnnUnCiO - semestrale a cura degli «Amici di Benedetta».
LETTERA A nATALinO di Benedetta Bianchi Porro. Illustrazioni di Roberta Bössmann Amati - Ed. Stilgraf Cesena - pp. 24.
bEnEdETTA biAnCHi PORRO Un cammino di luce di Piersandro
Vanzan, Prefazione del Card. Angelo Comastri, Editrice Velar, Gorle (BG), 2011 - pp. 48.
QUAdERni di bEnEdETTA 1 - benedetta bianchi Porro. il cammino
verso la luce, di don Divo Barsotti, Fondazione Benedetta Bianchi
Porro e Associazione per Benedetta Bianchi Porro, 2007 - pp. 46.
QUAdERni di bEnEdETTA 2 - benedetta bianchi Porro. dio mi
ama, di Angelo Comastri, Fondazione Benedetta Bianchi Porro e
Associazione per Benedetta Bianchi Porro, 2008.
Postulatore della Causa di Beatificazione Padre GUGLIELMO CAMERA
Missionari Saveriani - Viale S. Martino, 8 - 43123 PARMA
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