AL PORTALETTERE: in caso di mancato recapito inviare all’Ufficio Poste di Cesena-Centro per la restituzione al mittente, che si impegna a pagare la relativa tassa. NOTIZIARIO «AMICI DI BENEDETTA» Anno XXX - n. 1 - Maggio 2015 Semestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. abbon. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 - DCB di Forlì - Aut. Trib. Forlì n. 18/86 Dir. Resp.: Gianfranco Amati - “Amici di Benedetta” Casella postale n. 62 - 47013 Dovadola (FC) - Amm.: Via Benedetta Bianchi Porro, 4 - Dovadola (FC) Tel. 0543 934676 - c.c.p. 1000159051 - Taxe perçue (tassa riscossa) - Stampa Stilgraf Cesena «… Poi gli accordi di una melodia «solfeggiata da una rosa bianca «che tua madre scorse per prima «aprirsi d’inverno cantando il tuo segreto «al soffio divino dell’alba». Anna Laura Conti Fabio Aguzzi, Rosa sola, 1998 (particolare) 2 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 Pagine di diario • Il 14 novembre a Dovadola Manuela Bianchi Porro ha incontrato i seminaristi di Bologna e don Enrico Casadei Garofani per parlare di Benedetta. • Nel pomeriggio dello stesso giorno era invece a Coriano, in provincia di Forlì nella chiesa di San Giovanni Battista per l’inaugurazione del portone di bronzo in cui appare anche Bene- a cura di ROBERTA BÖSSMANN segnanti di religione coordinato dalla professoressa Iolanda Zanetti. • Il 22 gennaio 2015 è apparso, su “il momento” un bell’articolo di Giovanni Amati per il 51º anniversario di morte di Benedetta. Veniva ricordato l’appuntamento di domenica 25 gennaio alla Badia di Dovadola con la Santa Messa presieduta dal cardinale Giuseppe Versaldi di cui riportiamo la parte dell’omelia relativa alla nostra Venerabile. Il tema dell’incontro, dell’accettazione della Croce, la carità verso gli altri che la fanno diventare apostola e testimone dell’Amore di Dio sono i temi sviluppati in modo efficace dal cardinale e motivo di riflessione per tutti noi. • Il 23 gennaio gli Angeli dell’Annunziata di Ascoli hanno presentato un recital sulla vita di Benedetta. Riportiamo una bellissima cronaca dell’evento che permette a tutti noi di essere tra quei bimbi della scuola elementare di Ascoli Piceno. L’articolo di Mary P., fatto con grande delicatezza, dona a tutti i nostri lettori l’emozione vissuta dalle “formichine di Dio” e dai loro spettatori. Gianfranco ed io abbiamo avuto il privilegio di poter vedere un filmato artigianale della recita e, vi assicuro, più volte ci siamo ritrovati con le lacrime agli occhi! • Il 24 gennaio 2015 Manuela era a Dovadola per un incontrotestimonianza con il gruppo della parrocchia di San Giovanni Battista di Monte Colombo (Rimini). detta. Il parroco, don Enzo Scaioli ha chiesto a Emanuela di portare la sua testimonianza. • Lunedì 1 dicembre 2014 esce su “l’Osservatore Romano” l’articolo Fiore d’inverno di Lucinda M. Vardey. Racconta la vita di Benedetta che Lucinda ha conosciuto attraverso un libro trovato nella chiesa di Sant’Anna a Sirmione. È stata colpita dalla foto di copertina che rappresenta una «elegante e giovane donna sorridente, che porta alle orecchie le boccole che andavano di moda negli anni ’60 del Novecento. I suoi occhi scuri non guardano verso la macchina fotografica, ma sembrano fissare qualcosa che va ben oltre la comprensione razionale, ovvero le gioie dell’amore sperimentato percorrendo la via dolorosa sotto il peso di una croce molto gravosa». Così inizia l’articolo. Dell’autrice doniamo ai nostri lettori un altro scritto inviato in inglese, che le amiche di Ostuni hanno tradotto. È molto bello. È la storia di un incontro. • L’11 dicembre 2014 c’è stata a Dovadola l’inaugurazione del corso di alta formazione. Ne parliamo in un articolo. • A Sirmione sono continuati, nel 2014, gli incontri mensili promossi da mons. Evelino Dal Bon. In questo numero pubblichiamo ancora due meditazioni che sono molto belle. Spero davvero che questa tradizione possa essere ripresa, almeno qualche volta, anche in futuro. • L’11 gennaio 2015, a Forlì, don Giovanni Amati, Responsabile dell’Ufficio Diocesano delle Comunicazioni sociali di ForlìBertinoro, espone una relazione sulle figure religiose più significative del territorio, Benedetta è una di esse, all’interno del programma di pastorale della scuola e di formazione degli in- • Il 25 gennaio il gruppo “Amici di Benedetta” dell’Alto Maceratese ha ricordato a Pieve Torina il 51º della sua morte. L’amica Federica ci ha inviato una breve cronaca della giornata. La troverete in questo numero. È molto bello che quell’incontro sia diventato anche un momento per raccogliere offerte per l’ospedale in Uganda fondato da Piero e Lucille Corti, grandi amici di Benedetta. Quando Lucille contrasse il virus dell’Aids lavorando in situazione di guerra, continuò intrepida il suo lavoro; il marito, sconvolto, scrisse al fratello: «Lucille, dall’inizio di questa prova, è semplicemente magnifica... l’ho messa sotto la protezione di Benedetta Bianchi Porro. È pensando a lei che abbiamo cominciato a lavorare come medici missionari in Africa». Ho voluto fare dono di queste parole scritte da Elio Guerriero su “Avvenire” di mercoledì 8 ottobre 2014, a p. 4, perché penso possano essere per voi un incentivo a continuare il vostro generoso sostegno. • Sabato 31 gennaio in preparazione alla Giornata per la vita, a Cassano Magnago (Va), nella chiesa di San Giulio, Emanuela Bianchi Porro ha portato la sua testimonianza su Benedetta partendo dal suo pensiero: «Io penso che cosa meravigliosa è la vita anche nei suoi aspetti più terribili; e la mia anima è piena di gratitudine e di amore verso Dio per questo». • L’associazione “Gli Elefanti” ha pubblicato il calendario del 2015 - Un anno d’arte per una vita di solidarietà. Per il mese di febbraio l’artista Bruna Turchi ha fatto il ritratto di Benedetta. Vederlo è stata una bella sorpresa! • Domenica 8 marzo si è svolto a Sirmione il consueto “Concerto di primavera” promosso dall’associazione “Amici per Benedetta Bianchi Porro”, dal Comune e dalle Terme di Sirmione. L’amico Maurizio Toscano ha fatto per noi un resoconto della serata. l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 3 • Sabato 21 marzo il Comune di Zelo Surrigone, in collaborazione con la Biblioteca dell’Orologio ha presentato il libro I dolci volti di Dio di Maria Grazia Bolzoni Rogora, alla presenza dell’autrice e di Carmen Bianchi Porro Spinelli, sorella di Benedetta. 6$%$7 $720 0$5=2 25( '$//(2 '(// /,%52 ==HOR6XUULJRQH 35(6(17$ 7$=,21(' HOR6XUULJRQH '2/&,9 92/7 ©,' /7,' ',' ',2ª /$ &21//·$875,&(6 6,*5$5 52*25$((/ &$ 50(1% %,$1&+, 3 3$ $57(&,3$=,21(' ',& 325526 63,1(//, 35(662//$9 9,//$' ',9 9,$ =(/2 3529,1&,$/( $ $= 6855,*21( FFRPXQHGL RPXQHGL %,%/,27(&$ %,%/,27(&$ • Il 28 marzo la cara amica Giuliana Pecolatto ha scritto un ricordo di Anna Cap' (//·252/2*,2 '(//·252/2*,2 pelli e di Benedetta, con la sua consueta capacità di testimoniare, pur nella sofferenza, il tanto amore che ha da donare. Definisce Anna e Benedetta «due stelle della stessa costellazione, fuoco entrambe dell’Amore di Dio». Grazie, Giuliana, per questo splendido pensiero! • Il 31 marzo, Manuela, al mattino, ha parlato a Busto Arsizio alla scuola primaria “Chicca Gallazzi” alle quarte e quinte classi. Il pomeriggio è tornata a Cassano Magnago (VA), parrocchia di San Giulio, per incontrare 130 ragazzi di tre parrocchie che hanno preparato un cartellone da portare a Benedetta a Dovadola. • Il 3 aprile l’Hospice di Dovadola ha ottenuto sulle pagine della stampa locale un pubblico riconoscimento per la competenza e la sensibilità dimostrate nell’accompagnamento dei suoi pazienti. È una struttura che svolge un servizio davvero importante: chi vi lavora non si limita ad impegnarsi nei protocolli medici nei confronti di coloro che si affidano alle cure, ma sostiene anche i familiari con grande professionalità e tanta umanità nei momenti difficili che la vita richiede di affrontare. Il sindaco di Dovadola, Gabriele Zelli, con l’associazione “Amici dell’Hospice” e con il dottor Marco Maltoni, intende sensibilizzare i cittadini con appuntamenti culturali, previsti per il prossimo autunno, al fine di sostenere la struttura anche finanziariamente. • Il 13 aprile viene invece affrontato il tema: La morte nella cultura odierna: bambini adolescenti di fronte alla morte. Relatore è don Erio Castellucci. Un grazie alla coordinatrice che ci invia il variegato programma ricco di iniziative interessanti. • Domenica 19 aprile, a Sirmione, si sono incontrati nella stanza di Benedetta un gruppo di Peschiera del Garda e di Verona, affiliati a CL, che fanno capo a Bruno Maffezzoli. • Sabato 25 aprile. Manuela era a Dovadola con un gruppo di Bologna della Parrocchia di Santa Teresa del Bambino Gesù, accompagnato da don Massimo Ruggiano che ha scritto un bel profilo di Benedetta, analizzando il suo cammino psicologicospirituale e la trasformazione interiore che la sofferenza opererà nella sua vita. Nel prossimo numero pubblicheremo questo lavoro nel nostro periodico. Ringrazio anche Manuela che puntualmente ci informa sui suoi incontri per far conoscere la nostra Benedetta. Sono davvero tanti e se qualche notizia ci sfugge chiedo perdono a lei e alle altre persone che ho dimenticato di ricordare. Qui siamo sommersi dalle carte e qualche volta vado in confusione! È bello sapere che tanti desiderano conoscere Manuela o altri testimoni per avere notizie di prima mano di Benedetta; credo che questi incontri possano davvero aiutarci a farci sentire Benedetta un po’ sorella anche nostra e a farcela sentire una persona a cui rivolgersi per farsi aiutare e per trovare in lei una testimone del Vangelo vicina ai nostri giorni. Non mi resta che augurare a tutti una buona preparazione al Giubileo della Misericordia indetto da papa Francesco a partire dall’8 dicembre prossimo. Il tema della misericordia è la cifra del nostro Papa e Benedetta ci può certo aiutare ad arrivare a comprendere questo concetto così grande da essere la proprietà fondamentale di Dio, quando vuole comunicare a noi la sua stessa essenza, la sua fedeltà alla sua alleanza e la sua incrollabile pazienza con noi uomini. «Dio perdona tutto, e Dio perdona sempre» ci ha ricordato papa Francesco e Benedetta con la sua vita è stata un continuo richiamo a questo pensiero. Spero che queste pagine, che siamo riusciti a mettere insieme grazie all’aiuto di tanti amici, possano aiutarci a vivere bene questi mesi di attesa. Chiediamo allo Spirito Santo di starci vicino e di fortificare il legame che c’è tra noi e Benedetta e, ovviamente, anche quello tra di noi! Buona estate a tutti! Dovadola, 25 aprile 2015 - Gruppo della parrocchia di Santa Teresa del Bambino Gesù di Bologna. 4 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 La magia di un incontro A DOVADOLA La magia dell’incontro si rinnova sempre a Dovadola nei giorni di festa di Benedetta. Lo vediamo anche il 25 gennaio 2015 per il 51º anniversario della nascita al cielo di Benedetta. Alcuni pellegrini arrivano da lontano, come gli scout di Taranto, confermando una fedele presenza di lunga data, altri invece sono nuovi, come alcune famiglie di Verona e Peschiera, venuti a scoprire Dovadola, dove Benedetta nacque e dove sono conservate le sue spoglie alla Badia. Da Sirmione è arrivato un pullman con un gruppo di pellegrini, accompagnati da mons. Evelino Dal Bon e da don Riccardo Alawatom, originario del Togo. C’era anche Luigi Sansoni, dell’Amministrazione Comunale di Sirmione, nel segno del gemellaggio tra le due località nel ricordo di Benedetta. Vediamo giovani, le ragazze e ragazzi di Monte Colombo (Rimini), animati da don Massimo Sarti, impegnati già da sabato in una full immersion spirituale, con meditazioni, con un incontro-testimonianza con Emanuela Bianchi Porro, con una veglia di preghiera, con confessioni, partecipazione alla liturgia, visita al Museo della Fondazione Benedetta Bianchi Porro. Rivediamo i familiari di Benedetta, con le sorelle Emanuela e Carmen, accompagnata dal marito Carlo Spinelli. Rivediamo la prof. Valeria Baccanelli, insegnante di Benedetta al ginnasio negli anni 1950-1951, gli amici di Forlì, di Ravenna, e quelli di Dovadola, che sono, in certo modo i custodi locali di Benedetta, a partire da don Alfeo Costa, che fa gli onori di casa durante la celebrazione alla Badia. Liliana Fabbri Selli, presidente dell’“Associazione per Benedetta Bianchi Porro” e Jolanda Bianchini, presidente della Fondazione Benedetta Bianchi Porro, fanno gli onori di casa, accogliendo gli Amici anche nel tradizionale apprezzato incontro conviviale alla “Rosa Bianca”. Tutti si ritrovano, è un ampio campionario di umanità, e ciascuno porta a Benedetta delle situazioni di vita ed una domanda di conforto e di speranza. Benedetta ha incontrato il Signo- Dovadola - Gruppo di amici di Peschiera e di Verona venuti a Dovadola per pregare per una bambina che ha la stessa malattia di Benedetta (Foto Conficoni) re e indica con chiarezza quel Signore che in lei mostra la Sua luce anche per coloro che la incontrano. Il Signore è gioia e speranza. È questa la Buona Novella che Benedetta, per grazia di Dio, fa scoprire nella sua drammatica vicenda. Quando le persone colgono questo, trovano un grandissimo conforto e diventano naturalmente dei “Passaparola” di quanto avviene nel loro cuore. Sono questi gli Amici di Benedetta. E allora gli incontri sono un dono reciproco, di conforto, di speranza, di rinnovato impegno. E ritrovarsi attorno all’altare significa riscoprire ancora una volta, nell’amore di Gesù che si rinnova nell’Eucaristia, la fonte di gioia che Benedetta ha sperimentato dentro di sé. Questo hanno vissuto coloro che si sono ritrovati a Dovadola il 25 gennaio 2015, ma anche coloro che attorno all’altare si sono ritrovati il 25 gennaio a Pieve Torina e ad Ostuni, e il 23 gennaio, a celebrare l’anniversario di Benedetta a Sirmione. In tutte queste iniziative si realizza quella magia del Signore che è presente laddove due o più si riuniscono nel suo nome. Dovadola, 25 gennaio 2015 - Gruppo di Sirmione (Foto Conficoni) Dovadola l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 5 La scoperta dell’Amore OMELIA DEL CARD. GIUSEPPE VERSALDI La liturgia del rito eucaristico nella Badia di Dovadola del 25 gennaio 2015, nel 51º della nascita al cielo di Benedetta si è svolta con una concelebrazione presieduta dal cardinale Giuseppe Versaldi, con il vescovo di Forlì-Bertinoro Lino Pizzi, mons. Dino Zattini, don Alfeo Costa, mons. Evelino Dal Bon, don Riccardo Alawatom, don Massimo Sarti. Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo (Mc 1, 15). Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini (Mc 1, 17). Nella sua omelia il Cardinale ha, tra l’altro, sottolineato che è importante capire questa stretta connessione che Gesù fa tra conversione e fede per non dare per scontata la fede intesa come semplice adesione intellettuale all’esistenza di un Dio. La fede implica e favorisce nello stesso tempo un cambiamento della nostra vita. Come diceva Papa Benedetto XVI nella lettera con cui indiceva l’anno della fede, si entra nella fede «quando il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma» (La porta della fede, 1). Per questo Benedetto XVI parlava di un «cammino che dura tutta la vita» e che consiste nel camminare per uscire dal deserto ed entrare nel luogo della vita che è comunione con Dio che è Amore. Questo cammino hanno percorso quei discepoli che hanno seguito Gesù e, nella fede in Gesù misericordioso, hanno trovato la forza di lasciarsi perdonare, dopo averlo anche abbandonato e tradito. In questo contesto, il Cardinale mette a fuoco la figura di Benedetta. Riportiamo integralmente la parte dell’omelia a lei dedicata. Di fronte a questi richiami della liturgia odierna ci dobbiamo sentire nello stesso tempo confortati nella nostra adesione di fede, ma anche stimolati ad un serio esame di coscienza per togliere gli eventuali ostacoli ad una fede matura, a cui non si è mai definitivamente pervenuti. Ma la Parola proclamata oggi è anche la miglior chiave di lettura e di comprensione della vita della Venerabile Benedetta Bianchi Porro che questa Chiesa locale ha generato e di cui vuole conservare giustamente viva la memoria celebrando le sue virtù eroiche nel suo stesso paese natale. Documentandomi sulla breve, ma esemplare vita di questa giovane donna ho potuto leggervi alcune caratteristiche che vanno proprio ad incarnare il messaggio della Parola di Dio proclamata in questa domenica dell’anno liturgico. Infatti, è lampante nella vita della venerabile Benedetta la consapevolezza di una chiamata alla conversione ad una fede sempre più matura. Conversione nel senso più profondo che Gesù intendeva e non solo come abbandono di uno stato di peccato. Benedetta in un momento di sincerità confessava di non trovare nella sua esistenza traccia di alcun peccato mortale e tuttavia ammetteva che c’è stata una conversione nella sua vita. L’incontro con Nicoletta le ha permesso di dare una svolta alla sua vita cristiana, tanto da ringraziare l’amica di averle dato il “dono della fede” nel senso proprio di poter passare da una concezione moralistica della vita cristiana ad una fede come incontro personale con l’Amore di Dio a cui ab- bandonarsi. Addirittura definisce “pagana” la sua vita cristiana basata su una morale «con cui sempre ho tutto misurato», mentre dall’incontro con l’Amore si sente cambiata perché confessa: «Ora con me c’è Dio». Ed è da notare che questa conversione è avvenuta mentre Benedetta era ancor abbastanza in salute e frequentava l’Università, anche se erano già presenti i segni della sua progressiva infermità. Il Signore l’ha guidata a scoprire l’amore prima di arrivare alla sommità del suo Calvario. Così Benedetta può scrivere alla mamma: «Quanto a me sto come sempre, ma da quando so che c’è Chi mi guarda lottare, cerco di farmi forte: come è bello così! Mammina, io credo all’Amore disceso dal Cielo, a Gesù Cristo e alla sua Croce gloriosa!! Sì io credo all’Amore» (1961). Solo attraverso questa conversione ad una fede personale in un Dio che è Amore, è stato possibile a Benedetta percorrere la via del Calvario delle crescenti sue sofferenze. E qui sta l’eroicità della sua testimonianza di fede: credendo all’Amore, Benedetta può accettare il mistero della Croce che per lei si fa sempre più pesante, ma che non la scandalizza anche se rimane un mistero perché, come scriveva, «non c’è spiegazione alla croce» (1964). Benedetta non sottovaluta la difficoltà di questa accettazione della Croce perché è consapevole che «nel mondo si apprezzano le virtù cristiane, ma appena arriva Gesù Cristo, la sua croce, tutti si dileguano, tutti tacciono... cioè, cristianesimo in fondo sì, ma Cristo no, al più ni». Lei, invece, ha detto un forte e pieno sì alla Croce di Cristo: «Le mie giornate sono lunghe e faticose, però con l’aiuto divino riesco a riposarmi abbandonata sulle spalle di Cristo. Con Lui mi pare di essere in una cella chiusa ma in cammino verso un porto dove la pace è sicura ed eterna. E mi sciolgo in tenerezza trasalendo quando mi pare di essere da Lui presa per mano» (1963). Ne sono testimonianza anche i due pellegrinaggi a Lourdes da dove torna senza aver ottenuto alcun miglioramento fisico, ma rafforzata nella sua fede e comunione con Cristo tanto da scrivere: «Dalla città della Madonna si ritorna nuovamente capaci di lottare, con più dolcezza, pazienza e serenità. Ed io mi sono accorta più che mai della ricchezza del mio stato e non desidero altro che conservarlo. È stato questo per me il miracolo di Lourdes» (1963). E quando è testimone di una guarigione miracolosa avvenuta a favore di una ragazza vicino a lei, Benedetta esulta, ma non si lamenta di essere rimasta inferma: «Nel nostro pellegrinaggio c’è stata una miracolata: un’umile ragazza di 22 anni che da due anni non camminava: che bellezza! Ne sono rimasta scossa» (1962). A lei basta l’esperienza della presenza dell’amore di Dio in lei, una presenza che dà significato anche alla sua sofferenza: «Dio mi aiuterà, per- 6 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ché sa che io esisto» e «Se si ama l’Amore, si finisce per vivere di Amore» (1962). Da questa esperienza nasce l’ulteriore passo nella vita della Venerabile: la sofferenza accettata per amore, diventa occasione di carità verso gli altri. Benedetta anziché ritirarsi nel suo dolore e farsi compassionare dagli altri, si trasforma in apostola dell’amore di Dio nella sue relazioni con tante persone. A coloro che vanno per consolarla, lei fa dono della va crollato, salute, studio, sogni, lavoro... Come vorrei che anche lei trovasse un po’ di quella pace che io posseggo» (1963). Da questi brevi accenni biografici risulta evidente come Benedetta abbia in pieno realizzato quanto la Parola di Dio oggi proclamata indicava. Sì, veramente la nostra Venerabile si è convertita e ha creduto al Vangelo! Ha abbandonato la via di una religiosità mediocre e moralistica che pure l’aveva Veramente Benedetta è vissuta in questo mondo “come se non” vivesse in questo mondo, gustando le cose belle e buone, ma senza porre in esse la sorgente della sua felicità; e soprattutto ha accettato le crescenti e pesanti sofferenze nella consapevolezza che “passa la scena di questo mondo” perché la Croce non è l’ultima parola, ma, unita a quella di Cristo, apre le porte alla vittoria nella vita eterna. Solo con questa certezza nel cuore poteva quelli che vivono o vengono attorno al mio letto, e mi danno e domandano l’aiuto di una preghiera» (1963). Cari fratelli e sorelle, ringraziamo il Signore per il dono che ha fatto alla Chiesa di quest’anima eletta e veramente benedetta! Ma non limitiamoci ad ammirarla ed invocarla. Dobbiamo impegnarci ad imitarla, perché tutti siamo chiamati sulla stessa via che Lei ha percorso, anche se per ognuno di noi i modi sono diversi e stabiliti dalla misteriosa Provvidenza divina. Specialmente voi, cari giovani, che avete davanti ancora gli anni più lunghi ed impegnativi della vostra vita, non accontentavi di una fede mediocre e vissuta come rendita di un Battesimo sempre più lontano. Ognuno di voi è chiamato a crescere fino alla maturità della fede che passa attraverso la stessa conversione che ha cambiato la vita di Benedetta. Non accontentatevi di evitare il male, ma cercate Cristo e trovate Colui che vi ha amato per primo perché solo così sarete attratti dal Bene e vi sentirete chiamati a dare agli altri l’amore che continuamente ricevete. Al sarcofago di Benedetta, da sinistra a destra: don Alfeo Costa, mons. Lino Pizzi, il card. Giuseppe Versaldi e il diacono Ariano Baccarini (Foto Conficoni) sua sofferenza vissuta come testimonianza della sua fede nell’Amore divino. Così scrive: «Dal mio letto vi seguo tutti, io così inoperosa, e vi tengo vicino al cuore, sotto le coltri, mentre voi camminate col tempo» (1963). Così è in grado di consigliare e di incoraggiare chi è nella prova proprio condividendo la sua esperienza: «Anch’io ho passato tanti dolori, agitazioni, e nella lotta cercavo Lui — Lui solo — da sempre. E Lui è venuto, mi ha consolata, mi ha accarezzata nei momenti di paura e di dolore più forte, proprio quando tutto mi pare- mantenuta sulla strada del bene, per intraprendere l’esperienza esaltante e misteriosa dell’abbandono a Cristo scoperto come l’Amore che chiama a seguirlo ovunque vada nella assoluta fiducia che ci conduce al definitivo Bene in cui trovare la gioia che non tramonta. Per questa fede matura Benedetta ha accettato di abbandonare ogni sua aspirazione ed è stata condotta dall’Amato a salire con Lui sulla Croce fino a staccarsi anche fisicamente da ogni esperienza mondana: sorda, cieca ed immobilizzata fino alla morte. scrivere così: «Io, in questi ultimi giorni, sono peggiorata di salute. Spero perciò che la chiamata non si faccia troppo attendere... Le dirò che ho già sentito la Sua voce: la voce dello Sposo» (1963). Veramente Benedetta, come i primi apostoli, ha risposto alla chiamata ad essere missionaria diventando, pur nella enorme restrizione della malattia, “pescatrice di uomini” con la testimonianza di vita come apostolato verso tutti coloro che poteva raggiungere: «Il mio compito non è solo quello di scrutarmi dentro, ma di amare le sofferenze di tutti Avvertiamo nella fede la vicinanza di questa Venerabile che vuole rimanere tra i suoi, specialmente tra quella della sua terra perché era convinta che «il mio spirito vivrà, tra i miei, tra chi soffre e non avrò neppure io sofferto invano» (1963). Seguendo il suo esempio, ognuno di noi non vivrà invano perché troverà l’Amore che sazia ogni desiderio umano e sarà capace di diffonderlo attorno a sé per edificare già qui in terra quel Regno di Dio che è vicino ad ogni creatura. E si realizzerà quella nuova evangelizzazione necessaria per rianimare questa vecchia Europa che sembra voler lasciare la sua preziosa eredità di fede per far rifiorire una Chiesa missionaria e presente con la Buona notizia che consola e porta la salvezza a tutti, specialmente ai poveri. A colloquio con il Card. Giuseppe Versaldi l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 7 D. Lei ha affrontato Benedetta nei suoi scritti ed è stato immerso per qualche ora in questo ambiente dovadolese. Quali sono le sue impressioni a seguito di questo incontro con Benedetta? R. Come già detto nell’omelia, la conoscenza più approfondita di questa Venerabile mi ha permesso di capire ancora meglio il suo cammino di crescita: mentre il suo fisico era indebolito dalla malattia, il suo spirito era invece rafforzato dalla sua esperienza dell’unione con Dio, con Cristo, culminata alla fine, in una forma, direi, di alto misticismo. Non mi ha stupito quanto la sua memoria e la sua testimonianza siano penetrate qui tra la gente che l’ha conosciuta e perdurino nel tempo, oltre cinquant’anni dopo la sua morte. Questo è un segno di un seme piccolo che dà frutti copiosi nel tempo. Spero che Benedetta, con il riconoscimento da parte della Chiesa nell’emozione all’altare, possa dare ancora frutti più copiosi specialmente per i giovani. D. In cosa consiste il suo attuale incarico di Cardinale “Prefetto degli Affari economici della Santa Sede”? R. Sono come nel controllo della Corte dei conti negli affari civili, il mio dicastero non gestisce direttamente, ma controlla i bilanci, vigila perché venga fatta una buona amministrazione. a cura di GIANFRANCO AMATI do, l’uso di questi beni che si sono anche accumulati nel tempo, grazie appunto alla generosità dei cristiani che vedevano legata alla fede anche la carità. E così l’Eucaristia è D. Cosa può dire una figura come Benedetta rispetto agli “affari economici”? R. Ci aiuta anche la liturgia di oggi. San Paolo ci dice di vivere in questo mondo come se non fossimo destinati a rimanere sempre in questo mondo. Anche i mezzi, pure necessari per la vita della Chiesa e delle comunità, sono strettamente legati a una finalità soprannaturale. Si tratta quindi di usare i beni terreni per favorire il Regno di Dio con quell’oculatezza del buon padre di famiglia, ma anche ben sapendo che non possiamo lasciarci vincere da una mentalità mondana basata sul profitto e sull’accumulo delle ricchezze. Lo scopo dei beni terreni nella Chiesa è quello di potere evangelizzare e di testimoniare nella carità, soprattutto verso i poveri, come la Chiesa sta facen- momento di unione con Dio, ma è anche attenzione ai più poveri che mancano dei beni di sostentamento. È la predicazione che sta facendo in maniera specifica, come già stavano facendo i pontefici precedenti, papa Francesco. Egli vuole una Chiesa che combatta contro le disuguaglianze, contro le emarginazioni e che dia, nell’immediato, la risposta contro le emergenze, ma poi risolva anche le cause delle diseguaglianze e delle povertà che ci Dovadola INTERVISTE AL VOLO AI RAGAZZI E ALLE RAGAZZE DI MONTE COLOMBO (RN) Domanda – Cosa hai ricavato dall’incontro con Benedetta in queste giornate? Risposte Andrea – «A me è piaciuta la fede con cui Benedetta ha affrontato la malattia, fede che le ha dato la forza di riuscire a combatterla nel migliore dei modi». Diego – «La figura di Benedetta mi ha aiutato a capire che prima di amare se stessi è meglio amare gli altri. Questo è molto importante nella vita perché anche in molte parti della sua vita Benedetta ha potuto dimostrarlo». Veronica – «Ho ricavato la forza di credere da Benedetta e anche la semplicità». Beatrice – «Mi ha dato speranza e l’immenso desiderio di poter condividere qualsiasi cosa». sono nel mondo. Quindi la Chiesa vive anche dei beni materiali, ma sempre con questa attenzione. D. Mi ha colpito molto il fatto che in Benedetta sia cresciuta la fecondità spirituale, la sua comunicazione di Vangelo, di buona notizia, proprio quando diminuiva la sua capacità di comunicare. R. Questo è un messaggio che va tradotto anche a livello generale. L’anima spirituale deve permeare tutte le attività, anche quelle materiali perché veramente si possa servire Cristo che, pur essendo ricco, si è fatto povero per fare ricchi noi della sua grazia. Questo è l’ideale e la testimonianza incarnata nella Venerabile Benedetta. Ringraziamo molto il Cardinale Giuseppe Versaldi per il tempo che ci dedicato. Abbiamo avuto la netta impressione che si sia trovato bene con noi. Lo ringraziamo per la sua affabilità e gli auguriamo ogni bene per l’espletamento del nuovo incarico come Prefetto della Congregazione per l’Educazione cattolica, che gli è stato affidato il 31 marzo 2015 da papa Francesco. Dovadola, 25 gennaio - I ragazzi di Monte Colombo con don Massimo Sarti davanti al Museo della Fondazione. Su quei gradini si sedeva anche Benedetta bambina, che guardava quelli che giocavano in piazza. 8 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 Dovadola: etica in economia? Sta crescendo bene, secondo la prof. Sofia Bandini che lo dirige assieme alla prof. Rebecca Levy Orelli, il Corso di Alta Formazione “Benedetta Bianchi Porro” dell’Università di Bologna-Campus di Forlì. Si tratta del Corso di economia e management delle organizzazioni non profit a movente ideale. Che ci sia bisogno delle competenze necessarie per tutti coloro che dirigono e operano nelle associazioni impegnate in settori culturali, sanitari, educativi, religiosi non c’è dubbio. Avere nobili intenti e Docenti e autorità all’inaugurazione del Corso hanno o mostrano di avere nel loro operare. A dirla in modo spiccio, anche il mercato capisce che con le ruberie, alla lunga, si va soltanto verso un disastro, anche economico. E questo gli economisti attenti lo capiscono. E l’attenzione all’etica, anzi all’opzione etica, fa allora parte, in un certo modo, del DNA del corso. La prof. Bandini, che ha potuto contare sulla fattiva collaborazione dell’“Associazione per Benedetta Bianchi Porro” e della Fondazione intestata a Benedetta e di altri enti e istituzioni per il sostegno dell’inizia- (Foto Conficoni) tiva, è sicuramente soddisfatta che più della metà delle lezioni si svolgerà a Dovadola, nel Museo della Fondazione “Benedetta Bianchi Porro”. Anche il recente restauro del loggiato, del Palazzo della Fondazione stessa, a cura del Comune, può essere un positivo richiamo per i visitatori. Ci auguriamo che i corsisti riescano a vincere la scommessa etica che sono chiamati ad affrontare. Il 1º giugno avrà luogo al Museo la cerimonia a conclusione del corso. G. Museo della Fondazione “Benedetta Bianchi Porro”, 11 dicembre 2014. Inaugurazione del corso 20142015: Da sinistra a destra: la prof. Rebecca L. Orelli e la prof. Sofia Bandini (Foto Conficoni) gestire le iniziative in modo dilettantistico è, oltre che difficile, spesso anche controproducente se nobili intenti non vengono messi in pratica con razionali modalità progettuali, organizzative e gestionali. Uno scorcio della sala (Foto Conficoni) Sappiamo anche che non basta il riferimento generale a moventi ideali, perché le cronache purtroppo mostrano quasi quotidianamente non rari esempi di management, che sono un vero e proprio “mangement” che porta a notevole lucro personale con devastanti conseguenze di immagine e di sperpero di denaro, possibilmente pubblico. La prof. Bandini è consapevole di questo. Sa che proprio oggi c’è bisogno diffuso, di pulizia, di legalità, di comportamenti eticamente ispirati. Per questo il corso CBBP è stato intestato a Benedetta, che ebbe nel rigore morale una delle cifre significative della sua vita e del suo comportamento. Una figura come la sua può richiamare l’attenzione anche di coloro che sono abituati a occuparsi di organizzazione aziendale ed economica, perché possano domandarsi sul senso di quello che fanno e sui valori che, in un modo o nell’altro, La sede della Fondazione "Benedetta Bianchi Porro" dopo il recente restauro del loggiato (Foto Solmona) Da Ascoli Piceno l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 9 Il 23 gennaio 2015, in una scuola elementare di Ascoli Piceno, gli angeli dell’Annunziata hanno presentato il recital sulla vita di Benedetta … LA BELLA STORIA VERA DI BENEDETTA! Una giornata ricca di emozioni. Un po’ alla volta il teatro si popola. Uno dopo l’altro arrivano gli attori, gli autori, i tecnici… sono bambini, ragazzi, e sono genitori: sono gli Angeli dell’Annunziata e le loro famiglie. Già. Ad accendere le luci, a preparare le scene, a muovere il sipario ci sono mamme e papà, non altri. I nostri Angeli lanciano un nuovo modo di lavorare con Dio per i bambini. «Buongiorno bambini!» – esclama allegro il “capo” (degli Angeli) al suo arrivo. E tutto a un tratto si raccolgono tutti intorno a lui, come una chioccia e i suoi pulcini. Chiediamo a Dio di benedire il nostro piccolo, semplice lavoro, condito di tanto amore, perché possiamo far conoscere a tutti i bambini che verranno a vederci, la bella storia (anzi… come dicono i bambini, “la bella storia vera”) che Gesù ha scritto con la vita di Benedetta. Ci troviamo nella scuola elementare “Don Giussani” nel quartiere di Monticelli ad Ascoli Piceno. La direttrice dell’istituto, la dott.ssa Agnese Ivana Sandrin, ci ha permesso di portare a scuola il recital su Benedetta. E di questo le siamo tanto grati. Lo abbiamo preparato con gioia in questi mesi, per l’anniversario dei 50 anni dalla sua Scalata al Cielo. Ecco, ci siamo! In alto le porte del teatro si aprono: compaiono le prime testoline. Arrivano gli spettatori! Non posso descrivervi l’emozione che provo mentre li guardo scendere i gradoni e ordinatamente prendere posto coi loro grembiulini blu e colletti bianchi. Una luce. D’improvviso mi sembra di attraversare il tempo e rimango investita d’un colpo di tutta la grandezza nascosta e la specialità velata della missione che il Signore ci ha affidato, offrendoci l’opportunità di preparare questo spettacolo per loro. «A chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli» (Mt 19,14). Riempire il loro CUORE e i loro OCCHI di cose belle, le cose di Dio, far respirare a questi bimbi il profumo della vita santa dei santi... i profumi di quei fiori che Benedetta ha coltivato fin da piccola: i fiori della carità, della fede e del sacrificio. Questo è grande, questo è impensabile! Solo Dio poteva trovare un modo tanto fantasioso per far passare ai piccoli la bellezza del Vangelo, che quando entra nella vita e la cambia, la trasforma, inondando di luce e di pace anche i momenti più bui. pazione” alle vicende dei personaggi che interpretano, commoventi. Mentre la rappresentazione scorre, alle mie spalle delle vocine giungono a sciogliermi il cuore. Alcuni bambini di 1ª e di 2ª elementare non riescono a tacere ciò di cui i loro cuoricini sovrabbondano. E così, anche quando i bambini sul finir del recital iniziano a piangere, qualcuno addirittura singhiozza. Mai come questa volta ho avuto la netta sensazione di essere nel bel mezzo di un’opera di Dio, circondata da ogni lato da un Dio magnificamente, potentemente, teneramente all’opera, con delicatezza, nelle piccole anime Sue. Davanti, i miei piccoli attori, di lato e alle spalle, questo pubblico di eccezione. Dio lavora e io sto in mezzo che ammiro. Che grande è il Signore! La croce di Benedetta ha scavato, i nostri Angeli hanno buttato il seme. I nostri bambini-attori, nascosti fino a quel momento dietro il sipario, escono allo scoperto. Non resistono alla curiosità di vedere queste “formichine di Dio” scendere incolonnate mentre un discreto brulichio va riempiendo la sala. L’emozione cresce, ma dai loro dolci visetti agitati un sorriso si allarga, nella confidente certezza che tutto andrà bene, che dall’alto Benedetta dovrà pur suggerire! E hanno ragione... La loro speranza è ben riposta! Dentro, ora, resta la pace che suscita l’intima gioia della sicura speranza che infonde la fede, che quel seme un giorno porterà il suo frutto. Come è stato per Benedetta. E così speriamo e preghiamo affinché anche di loro un giorno potremo dire ciò che abbiamo detto di Benedetta. Lo spettacolo ha inizio. I nostri piccoli attori ci mettono il cuore. Sono straordinari. Il loro impegno responsabile e la “parteci- Mary … “Benedetta ha dato tutto e tutta la sua vita si è trasformata in oro prezioso per tutti noi”. 10 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 A Sirmione C’è una musica anche per te «Si dice che la musica sia la voce di Dio. E allora non è certo un caso che Benedetta, pur essendo sorda, suonasse il pianoforte, chiudendo la sua vita terrena cantando la canzone Rondinella pellegrina». È uno dei passaggi più significativi dell’intervento con il quale Emanuela Bianchi Porro, sorella della nostra amata Venerabile, ha introdotto lo spettacolo tradizionale che la locale associazione Amici per Benedetta allestisce l’8 marzo in omaggio alla giovane che a Sirmione visse e morì. Significativo, si diceva, perché Emanuela Bianchi Porro qualcuno, rivolgendosi alla stessa Emanuela, ha chiesto perché si onori Benedetta con un concerto, piuttosto che con un convegno o un’altra iniziativa. Ebbene, in quella parola, “musica” per l’appunto, «sono racchiuse sette lettere dell’alfabeto» ha affermato sempre Emanuela al foltissimo pubblico del PalaCreBerg che ha ospitato il concerto C’è una… Musica anche per te, «che trasmettono sempre e ovunque le stesse emozioni: malinconia, dolcezza, allegria, e anche preghiera». Tiziana Scacìga Della Silva e Simone Mugnaini Questo il Walter Rubboli breve prologo al concerto tenutosi grazie al contributo del Comune, di Terme SpA, della Fondazione della Comunità Bresciana e del Consorzio Albergatori e Ristoratori e un altro stuolo di amici e fedeli di Benedetta. Lo spettacolo, diretto e condotto dal noto musicologo e autore di spettacoli teatrali Daniele Rubboli, ha visto l’esibizione del soprano Tiziana Scacìga Della Silva, del tenore Simone Mugnaini e del basso Walter Rubboli, accompagnati dal pianista Luca Gorla. Lo spettacolo ha entusiasmato il pubblico della cittadina termale, nel quale erano presenti fra gli altri rappresentanti del Comune e delle parrocchie di Sirmione, con a capo mons. Evelino Dal Bon, e una delegazione giunta da Forlì, guidata dalla presidentessa Liliana Fabbri Daniele Rubboli Spettacolo caratterizzato, come ha spiegato il regista nella sua presentazione, da una coinvolgente e originale colonna sonora che, attraverso musiche di ogni genere, ha sottolineato i gusti artistici della giovane Benedetta, e ha inoltre dedicato un omaggio a due grandi ricorrenze in calendario quest’anno: le memorie della Grande Guerra e l’evento dell’Expo di Milano. Maurizio Toscano Meditazioni su Benedetta nella chiesa di Santa Maria della Neve Si è conclusa nel dicembre 2014 l’esemplare iniziativa del parroco di Sirmione mons. Evelino Dal Bon, che ha colto l’occasione del 50º anniversario dell’ascesa al cielo di Benedetta, promuovendo per tutto l’anno una serie di meditazioni su testi di Benedetta, commentati al termine della Messa, ogni 23 del mese, da laici, sacerdoti e religiosi. In questo numero pubblichiamo gli interventi del 23 ottobre e del 23 novembre. Il primo è di Monica Zuccotto che commenta una lettera di Benedetta ad Anna Conti. Il secondo è di Donatella Garlaschi Marconi che esplora la corrispondenza di Benedetta con Paola Vitali. Monica Zuccotto Cara Anna, grazie molto della tua cartolina e del tuo ricordo. Anch’io non mi sono scordata di te e ti voglio sempre tanto bene. Io, però, sono molto cambiata. Ora con me c’è Dio e sto bene. Come sto bene! «Voi mi avete segnata col fuoco del Vostro Amore» – dice una preghiera. Io vivo in un deserto silenzioso, ma con la luce della preghiera, del resto presto suonerà la campana e Lui, finalmente, ci verrà incontro. Noi siamo la «terra» che spera sotto la neve – perché tutte le cose stanno dove devono stare e vanno dove devono andare, nel luogo assegnato da una Sapienza che non è la nostra. E se in qualche attimo mi sento timorosa, io dico coi discepoli: «Resta con me, Signore, perché si fa sera!». Nei miei incontri col Signore ti ricordo, e in particolare tua mamma, che mi è tanto cara. Sono cieca, sorda, quasi muta perché a fatica mi faccio capire, ma io dico con San Giovanni nel Vangelo: «In principio… era la Luce, e la Luce era la vita degli uomini, risplendé tra le tenebre, ma le tenebre non l’hanno ricevuta» […] Benedetta Mi farebbe piacere ripercorrere con voi alcuni passi della lettera che Benedetta scrisse ad Anna, sua amica d’infanzia, nel maggio del 1963. Il mio non sarà, né vuole essere, un commento esaustivo sulla figura di Benedetta o sulla sua vita: spero che le mie parole possano, però, suscitare in voi la curiosità di approfondire la figura di Benedetta od offrirvi spunti per la riflessione su una persona davvero speciale. La lettera presenta tratti ed argomenti che sono comuni ai diari (che scrisse da bambina e da ragazzina su consiglio della mamma), alle lettere ad amici e conoscenti (che dettò alla mamma quando le divenne impossibile scrivere) ed ai pensieri che Benedetta annotò negli ultimi anni della sua vita e che, in brevi frasi, racchiudono la sua visione della vita, la sua luminosissima fede, il suo immenso amore per tutte le creature. La lettera inizia con un “grazie”. Per Benedetta l’amicizia è gratitudine, è donarsi agli altri con generosità e carità. Ella non si limitò ad intendere l’amicizia come comprensione e reciprocità; la intese come un illuminarsi vicendevole, come un l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 11 donarsi sostegno e conforto. Per Benedetta l’amicizia è “fare la strada insieme” (come ha testimoniato l’amica Paola). Per questo scrive ad Anna «Ti voglio sempre tanto bene». Benedetta aggiunge poi: «Ora con me c’è Dio e sto bene. Come sto bene!». A differenza delle ultime pagine dei diari (in cui Benedetta sembra spesso lottare da sola) nelle lettere Dio appare come sua guida e luce rivelatrice del senso più vero della sua vita. Assistiamo ad una trasformazione: ciò che era incerto diventa personale e vicino, ciò che era dubbio diventa incrollabile certezza: Benedetta si spoglia da ciò che è terreno, caduco, temporaneo e si abbandona all’amore di Dio. Benedetta scrive poi: «Io vivo in un deserto silenzioso, ma con la luce della preghiera», una preghiera che è incontro, dono, inno di lode a Dio. Benedetta scrisse: «La preghiera è il respiro dell’anima» e «Il Santo Rosario è l’aiuto della Madonna ai suoi figli». Paradossalmente il dolore, anziché isolare Benedetta dalla vita, da chi la circondava e da Dio, fu lo stimolo che la portò ad abbandonare i propri criteri umani per affidarsi ad una sapienza superiore: Benedetta prosegue infatti scrivendo «tutte le cose... vanno... nel luogo assegnato da una Sapienza che non è la nostra». Benedetta giunse a conformarsi ad ogni manifestazione della volontà divina: non sapeva dove l’amore di Dio l’avrebbe portata Benedetta sente che la sua vocazione può essere utile e feconda per chi le sta intorno; dimentica se stessa per donarsi agli altri con generosità e carità. Nel corso della sua breve vita terrena Benedetta dapprima si ribella al dolore, poi lo accetta (non con rassegnazione, bensì come un dono che Dio e la Provvidenza le hanno riservato), infine innalza a Dio il ringraziamento per la vocazione tanto dolorosa, ma tanto preziosa, che le è stata affidata. In alcuni pensieri Benedetta scrisse infatti: «Bisogna dare Dio agli altri», «La carità è abitare gli uni negli altri», «La carità è chinarsi sui dolori dei nostri fratelli per amore di Dio». La carità fu per Benedetta la guida nel cammino verso la pienezza della fede: ne fece parte costituente della propria vita, la testimoniò attraverso la propria esistenza. L’amica Maria Grazia scrisse a Benedetta: «Nessuno di noi è solo; ... siamo tutti insieme nella carità, una cosa sola con gli altri». E proprio a Maria Grazia Benedetta scriveva: «San Paolo dice che “la carità è il vincolo della perfezione”». L’amico Roberto ha detto, in una sua testimonianza: «Benedetta è l’unica persona con cui ho avuto la sensazione di una presenza reale di Dio». Benedetta è davvero Vangelo vivente: come disse San Giovanni Calabria «dobbiamo rinnovarci, e ci rinnoveremo se vivremo in pratica il santo Vangelo, se saremo Vangeli viventi. O si crede o non si crede; e se non si crede, si stracci il Vangelo!». Benedetta non solo non stracciò il Vangelo, né si limitò a viverne gli insegnamenti: Benedetta divenne Vangelo. Alla madre scrisse: «Io credo all’Amore disceso dal cielo, a Gesù Cristo e alla sua croce gloriosa... ora so che il Regno di Dio è in noi». Benedetta si abbandonò al disegno della Provvidenza e si conformò al sacrificio di Cristo sulla Croce. Ella scriveva: «Valore del dolore: senza il Calvario non è possibile alcuna cosa», «La Santa Croce al cielo è stata sollevata per tutti noi», «La Provvidenza divina è l’aiuto in tutti i momenti». Benedetta non si limitò a soffrire con Gesù, bensì ringraziò Dio per averle concesso di soffrire con Suo Figlio; non si limitò a pregare per la redenzione dei suoi fratelli in Cristo, bensì ringraziò Dio per averle permesso di cooperare a tale redenzione; non si limitò a vivere nella grazia, bensì ringraziò Dio per averle concesso di accostarsi alla Sua grazia. o cosa le avrebbe chiesto, ma si abbandonò a quell’amore. In una lettera alla mamma scrisse: «Il Signore, mamma, vuole da noi grandi cose. Ho sofferto tanto e ho domandato al Signore di essere una pecorella nelle Sue mani». L’abbandono a Dio non deve farci credere che il cammino verso la fede piena sia stato facile: Benedetta si sentiva talvolta confusa, incapace di capire i motivi del suo dolore e perfino della sua felicità. Nella lettera ad Anna leggiamo infatti: «E se in qualche attimo mi sento timorosa, io dico coi discepoli: ‘Resta con me, Signore, perché si fa sera!’». Come per i discepoli di Emmaus, così per Benedetta affidarsi a Dio ed alla sua misericordia dona serenità. Nei suoi pensieri Benedetta scrisse ad esempio: «Signore, tu sei misericordia», «Dio è bontà immensa». In una lettera all’amica Nicoletta, Benedetta scrisse: «Grande è la Sua misericordia. In Lui confido, in Lui vivo, a Lui innalzo il mio osanna». La lettera ad Anna prosegue con queste parole: «Sono cieca, sorda; quasi muta... ma io dico con San Giovanni nei Vangelo: “In principio era la Luce, e la Luce era la vita degli uomini”». E se Dio (come scrisse Benedetta) «manda gli angeli ad ispirarci», Benedetta è sicuramente uno di questi angeli. Donatella Garlaschi Marconi Donatella, prima di commentare le lettere di Benedetta a Paola Vitali, “la cara Paolina”, ricorda che «la figura di Benedetta ha sempre fatto parte della mia famiglia. Tra noi, mio padre è stato, se così si può dire, uno dei primi a credere nella sua santità e ricordo che sin da bambina me ne parlava e, nel 1975, a Forlì, per l’inizio del processo di beatificazione, ero presente anch’io, in cattedrale; insieme ad altri sirmionesi si era organizzato un pullman per presenziare alla cerimonia. Perciò non è una persona a me così estranea, anche se mi accorgo di quanto potrebbe essere più profonda la mia conoscenza della sua spiritualità, dei suoi scritti». *** Paola è un’amica che lei conosce prima di partire per Lourdes il 24 giugno 1963 e con cui intrattiene un’affettuosa corrispondenza e che incontra di persona a Sirmione e a Milano. Continua a pag. 12 L’urlo di Dio 12 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 di ROBERTA BÖSSMANN * Entrare in una piccola chiesa per salutare Gesù, accorgersi che la chiesa è vuota, che Gesù è solo. Forse è Lui che non parla più agli uomini di oggi o siamo noi, uomini e donne che non vogliamo più ascoltare l’urlo del suo amore? È partendo da un’esperienza reale che il card. Angelo Comastri decide di dare voce a quell’urlo di Dio, e lo fa con questo libro. Il testo è diviso in quattro parti. Nella prima viene ripreso il racconto dei Vangeli in cui si dice che Gesù, prima di morire, gridò a gran voce, «per scuoterci, per svegliarci, per richiamarci all’attenzione» (p. 11). E proprio in seguito a quel grido qualcuno dei presenti si accorse che quell’Uomo era davvero il Figlio di Dio, un giusto. Con quel grido, Gesù aveva portato a termine la sua missione: ci aveva amati sino alla fine e così facendo ha fatto capire agli uomini di ogni tempo che Dio è amore, niente altro che amore. Facendosi inchiodare sulla croce, Dio ci lascia questo messaggio fondamentale, ma noi siamo pronti ad ascoltare questo messaggio? Tutto quello che Gesù ha fatto, lo ha fatto per amore, fino a diventare Egli stesso vittima per i nostri peccati. Li ha fatti propri, è diventato, per farlo, «l’opposto di Dio, il contrario di se stesso», come dice J. M. Descalzo nel suo Gesù di Nazaret. Vita e mistero (p. 26). Ci rendiamo conto di che cosa voglia dire questo anche nella nostra vita? È un grido d’amore rivolto a ciascuno di noi! Benedetta questo grido ha saputo sentirlo, accoglierlo, farlo proprio. Nella terza parte del libro, il card. Comastri parla di lei, partendo da un suo pensiero fondamentale: «La Croce è il senso di tutto». Da qui nasce la sua esperienza della gioia. «Benedetta è un canto di gioia, è un inno alla vita, è un Magnificat intonato nello sfacelo del corpo devastato dalla malattia». Lei è stata capace di cogliere l’urlo dell’amore di Cristo sulla croce ed è stata contagiata di gioia anche in mezzo a prove tremende sino a riuscire ad esclamare: «Che bello vivere!». Sì, se la vita, qualunque prova ci riservi, riesce a farci cogliere l’Amore che Dio ha per ciascuno di noi, è bello vivere e «il Mondo non merita la fine del mondo», come dice uno splendido verso della poetessa Wisława Szymborska. Nel libro il card. Comastri ripercorre con grande sensibilità e attenzione la vita di Benedetta: la spensierata fanciullezza, l’adolescenza con i dubbi, le paure, il senso di vuoto e poi l’incontro e l’accettazione della Croce come incontro con l’Amore vero, assoluto e «la gioia trovata e incarnata dentro l’esperienza del dolore che le fa sperimentare la felicità che inebria e le dà “attimi di vera estasi spirituale» (p. 89). Benedetta, inondata d’amore, scopre che può vincere anche il dolore e che il dolore può fiorire, diventare accoglienza, dono da restituire. Sì, Benedetta è diventata lei stessa dono per tutti coloro che a lei si avvicinano. Ci ha insegnato che ogni vita è una vita importante, insostituibile agli occhi di Dio. Ci ha gridato, con un filo di voce quasi incomprensibile, che Dio è amore e solo amore. Impariamo a cogliere il suo grido, è solo un debole soffio, ma può insegnarci a spostare le montagne. «Così era Benedetta – scrive Comastri – pronta a prendere la croce di tutti, ma desiderosa di portare tutto il peso della propria senza scaricarla sugli altri» (p. 104). Sì, da lei abbiamo davvero molto da imparare. * ANGELO COMASTRI, L’urlo di Dio. Perché non lo senti?, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2015. Continua da pag. 11 Sono pubblicate sei lettere a Paola che ben sottolineano il suo cammino spirituale che diviene sempre più convinto e cristallino. Nella lettera del 5 luglio 1963, tenendo ben presente la sua infermità fisica, i patimenti e i dolori che sopportava, scrive di come sia ritornata da Lourdes rinfrancata dallo spirito, convinta e capace di lottare, e testualmente afferma: «Ed io mi sono accorta, più che mai, del mio stato, e non desidero altro che conservarlo. È stato questo per me il miracolo di Lourdes, quest’anno». Una strabiliante accettazione totale e cosciente del suo stato arrivando a desiderare che non cambi la sua sofferenza continua, che non cambi il suo stato di grazia. Il 17 novembre 1963 scrive ancora come se non soffrisse abbastanza e dovesse essere comunque serena per chi la conosce: ha raggiunto un più alto gradino nel suo ascendente cammino spirituale e ribadisce la sua volontà, come dice San Paolo di “piangere con chi piange”, farsi carico delle sofferenze altrui e scrive: «A volte penso di quali dolcezze infinite si priva chi non riesce a stare fedelmente vicino al Signore! E rattristata prego tanto per i deboli. Voglia Lui chinarsi sino a me per ascoltarmi». Siamo al 2 dicembre 1963 e Benedetta ringrazia Paola per le belle parole scritte, per l’emozione ricevuta, tanto da avere la sensazione che il Signore le parli davvero tramite l’amica e comunque si prodiga ancora per l’amica e scrive: «Mi ha detto [Maria Grazia] che tu le cose le prendi con troppa serietà – Sì Paola – ma la tua serietà sia piena di allegria. Il Signore ama chi soprattutto dona con gioia – con fatica – ma con gioia. Anche coi tuoi monelli. Pazienza, fortezza, amore: queste sono le cose che vincono il mondo». Quindi, non è abbastanza donare, ma bisogna donare con gioia. 19 dicembre 1963. È incredibile. Benedetta si scusa per il ritardo nello scrivere, come se fosse cosa semplice, e perché Benedetta è effettivamente ai piani superiori dello Spirito: ricorda Paola quotidianamente al Signore, non ha dubbi che Dio la guidi e non la abbandoni ogni istante e le scrive: «Ti dirò anche che in questi giorni mi sento spesso piena di Spirito Santo; mi pare di essere, anche in mezzo alle mie sofferenze, piena di una gioia che non è terrena. È vero... il Signore dà tante sofferenze, quante ne possiamo portare: non di più, non di meno». Ormai è a un livello soprannaturale e l’opera dello Spirito Santo è palpabile. 11 gennaio 1964. Rincuora l’amica per come andrà il suo esame e la invita ad accettare con gioia la volontà del Signore delle cose gradite e sgradite. È veramente eclatante come possa scrivere: «è perché il Signore si ricorda di me, ed io non ho alcun merito. […] coraggio, Paola: la nostra Fede deve essere fatta di pace, di luce: fede vera». Con semplicità afferma quello a cui ognuno di noi dovrebbe aspirare nel proprio cammino cristiano di fede, una fede vera capace di gioire di quello che si ha a 360°, nel bene, nel male e per questo vorrei citare uno stralcio della lettera a Natalino quasi fosse il suo testamento: «Io so che in fondo alla via, Gesù mi aspetta prima nella poltrona, ora nel letto che è la mia dimora ho trovato una sapienza più grande di quella degli uomini. Ho trovato che Dio esiste ed è amore, fedeltà, gioia, fortezza fino alla consumazione dei secoli». Ecco cosa ci lascia Benedetta: un amore grande, una gioia immensa per la vita, assicurandoci che Dio esiste! l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 13 Da Ostuni UNA VITA… TANTI INCONTRI «Contro la cultura dello scarto e dell’esclusione è necessario promuovere la cultura dell’incontro e dell’inclusione per costruire un mondo più giusto e fraterno, un mondo migliore» (Papa Francesco) «La carità è abitare gli uni negli altri» (Benedetta) Su questo tema si è sviluppato l’itinerario formativo 2014-2015 del Gruppo degli Amici di Benedetta di Ostuni. È stato bellissimo cogliere la “cultura dell’incontro” nella vita e negli scritti di Benedetta, ci dice Teresa Legrottaglie, una delle animatrici del Gruppo. Siamo partiti dal Magistero di papa Francesco e poi abbiamo seguito Benedetta nei suoi “incontri” con i famigliari, leggendo, meditando e dialogando su alcune sue Lettere (Ai Genitori, Natale 1947; Al Padre, 28 novembre 1955; A Leonida, 21 dicembre 1959; Alla Mamma, 28 novembre 1961; A Emanuela, 13 maggio 1963). In esse lei diventa punto d’incontro per tutti, con grande semplicità e profondità di sentimenti, nella pace e nella letizia. Teresa ci dice: «In un’altra riunione abbiamo goduto dell’incontro di Benedetta con i suoi amici, considerando le sue lettere a Roberto nell’aprile del 1963, a Franci nel gennaio del 1964, e la lettera scritta a lei da Maria Grazia nell’ottobre del 1963: “Era solo questo che volevo dirti: il Signore non poteva darti una vita più bella, più ricca. Sei importante per me; sei la cosa più bella e più cara che io abbia. Sei il volto stesso della speranza”. Nicoletta poi scrive così a Benedetta: “Grazie per quello che sei, grazie per tutto quello che ci dai… grazie di tutto”. Come ci siamo ritrovati in queste parole!». Teresa prosegue: «Dal Libro di Maria Grazia I dolci volti di Dio, abbiamo letto del suo pri- mo incontro con Benedetta, del suo primo incontro con Anna Cappelli, e quindi del cammino che l’amicizia continua a fare con coloro che hanno la gioia di incontrarla. La nostra riflessione: il Signore entra nella Storia attraverso le persone, come è entrato nella Storia umana attraverso Gesù che si è incarnato. Benedetta ha toccato la vita dei suoi amici ed essi hanno toccato la sua. Questa reciproca comunicazione è arrivata ad altre vite, ad altri amici, fino a noi». E ancora: «Anna Cappelli dà vita all’Associazione Amici di Benedetta, dà vita a “l’annuncio”. Che cos’è “l’annuncio” se non un’occasione importante per diffondere la cultura dell’incontro e promuovere legami di vera amicizia?». E così aggiunge: «Durante l’incontro è cresciuta la consapevolezza che, grazie a Benedetta, il nostro stare insieme si colora di verità e di bellezza». Non c’è da stupirsi allora che Teresa dica: «Alla fine dell’incontro tutti dicevamo: anche noi siamo stati raggiunti e anche per noi è forte l’invito a raggiungere altri. Qualcuno aggiungeva. Ce ne andiamo così contenti, così aperti al sorriso, così disponibili verso tutti, perché abbiamo ricevuto una carica di umanità, di verità nell’amicizia e di profondità negli affetti. Sentiamo che davvero lo Spirito santo ci guida». L’incontro con il Signore nella testimonianza di Benedetta rende tutti portatori di una buona notizia che desidera essere spontaneamente comu- nicata. Quando poi accenniamo a Teresa come Benedetta fosse più capace di “dire” mentre riusciva a parlare sempre meno, Teresa subito aggiunge, con immediato riferimento a temi attuali: «Nel nostro incontro mettevamo in evidenza come fino agli ultimi giorni della sua esistenza, Benedetta era attenta a tutti, chiedeva notizie: come sta la mamma? come va la tua scuola? [...]. Le premure verso tutti e la tenerezza con cui si esprimeva sono veramente profetiche. Pa- pa Francesco parla della “Chiesa in uscita” e di una vita cristiana gioiosa. Il prossimo Convegno della Chiesa italiana, che si terrà a Firenze, ci aiuterà a vivere in pienezza la nostra umanità, ci proporrà una nuova antropologia, non fatta di grandi discorsi, ma di attenzione alla vita di ciascuno, di gesti di condivisione e di tenerezza. Tutto questo noi lo abbiamo colto in Benedetta e il nostro cuore è colmo di gratitudine a Colui che ce l’ha donata». 14 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 Dall’Alto Maceratese Il gruppo degli “Amici di Benedetta” dell’Alto Maceratese si è ritrovato a Pieve Torina domenica 25 gennaio per ricordare il 51° dalla morte della venerabile. La giornata è iniziata nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta con la recita del rosario e la celebrazione della S. Messa presieduta da mons. Nello Tranzocchi, che ha ricordato Benedetta durante la sua omelia e nelle preghiere. L’incontro è poi proseguito con un’agape fraterna durante la quale sono state lette le parole preziose di Roberta Bössmann, prese dall’ultimo numero de “l’annuncio”, che hanno dato spunto a delle riflessioni e testimonianze. Con l’occasione ringraziamo i coniugi Amati che, con la loro dedizione nella stesura del giornalino, ci aiutano ad approfondire sempre più la spiritualità di Benedetta e ci fanno scoprire tanti altri fratelli con le loro personalità e storie ricche di fede. Scopo dell’incontro è stato anche l’ormai consueta raccolta di fondi a favore del progetto “Un letto in Uganda”, che sostiene i fratelli più bisognosi e lontani ospitati e curati nell’ospedale del Lacor fondato da Piero e Lucille Corti; questa importante iniziativa ci fa sentire vicini a Benedetta, ai suoi desideri ed ideali e ci rende ancor più uniti come gruppo. È stato bello ritrovarsi ancora una volta per condividere dei momenti dove la fraternità e l’amicizia hanno avuto un significato speciale. Grazie Benedetta per averci dato questa opportunità. Federica «La mia amica Benedetta Bianchi Porro, che perse tutto per trovare Tutto» Da www.tempi.it del 24 gennaio 2015 pubblichiamo l’intervista di Benedetta Frigerio a Francesca Romolotti, un’amica molto cara a Benedetta. Benedetta Frigerio 24 gennaio 2014 La figura della venerabile di cui ricorre il cinquantenario della morte, malata e sofferente catalizzò intorno a sé l’ammirazione e l’amicizia di molti giovani È difficile trovare persone che abbiano sofferto come Benedetta, ma è quasi impossibile conoscerne di così serene, accoglienti, in pace. Benedetta Bianchi Porro, morta cinquant’anni fa, fu dichiarata venerabile nel 1993 e domani sarà celebrata una Messa solenne nella sua città natale, Dovadola (Forlì), dal cardinal Angelo Comastri, membro per la Congregazione per la causa dei santi. Nata l’8 agosto del 1936, morì il 23 gennaio del 1964 lasciando numerosi scritti e lettere che testimoniano una vita interiore profonda e una forza d’animo che fanno a pugni con una fragilità fisica estrema e con una vita piena di sconfitte e umiliazioni. Benedetta rischiò di morire alla nascita, poi si ammalò di poliomielite e, mentre studiava medicina, si autodiagnosticò una malattia gravissima, la neurofibromatosi, o morbo di Recklinghausen, che lentamente la privò dell’udito, poi della vista, dell’olfatto e del tatto. Eppure Benedetta passò gli ultimi anni a letto circondata dagli amici che facevano la fila per entrare nella sua stanza e passare del tempo con lei: «Ancora adesso mi domando come si facesse a stare così bene in una situazione che ora mi rendo conto essere la più drammatica che abbia mai visto», spiega Francesca Romolotti Crema, fra le amiche più care della ragazza. Benedetta era bella, intelligente, piena di risorse. Lentamente venne meno tutto. Come poté non ribellarsi a questa situazione? Era sensibile, sveglia, con una cultura profonda, tanto che andò all’università pri- ma del tempo. Eppure, dopo diverse umiliazioni, subì sconfitte anche negli studi: fu frenata da un professore che la cacciò dall’esame a causa della sua malattia. Ricordo commentò così: «Non mi ha rovinato il libretto con un brutto voto». Ma non mollava, era tenace e dopo ogni sconfitta rialzava la testa e ci riprovava. Scrisse che, se non fosse stato per Dio, avrebbe subito mollato tutto. Non riuscì a diventare medico né a realizzare alcuna delle sue aspirazioni. «Non ebbi nulla di tutto quello che avevo chiesto, ma ebbi tutto quello che avevo sperato», scrisse. Arrivò a vivere come imprigionata in un muro: praticamente aveva contatti con il mondo solo attraverso la mano destra, che miracolosamente aveva conservato un po’ di sensibilità, e con questa comunicava attraverso l’alfabeto muto. Eppure era in pace. Scrisse alla madre che la sua disperazione si era acquietata solo con la scoperta di Dio. Parlava delle sue fatiche, ma anche della dolcezza dell’amore di Dio. Ed è questo secondo aspetto che a noi ragazzi balzava all’occhio. Come nacque la sua amicizia con Benedetta? Avevamo un’amica in comune che partì missionaria e che desiderava non lasciare Benedetta senza un rapporto intenso come l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 15 il loro. Così, questa ragazza decise di affidarmela. Nacque un grande affetto. Mi chiamava “Francin d’oro”, mi commuovo ancora a pensarci. Ecco, dopo che la incontrai, portai tutti i miei amici di Gioventù Studentesca da lei. Cosa accadeva nella sua stanza? Si traevano conforto e speranza da una malata. Benedetta aveva delle doti che non ho visto più tutte insieme. Giudicava ogni fatto, ma mai le persone. Su ciascuna aveva uno sguardo di amore e accoglienza. Invece che lamentarsi, come fa chi soffre, riusciva a uscire da sé. Ricordo una ragazza con le mani fredde e Benedetta che le scaldava fra le sue. Eravamo tutti attratti dalla sua capacita di donarsi. Ci sentivamo accolti e privilegiati. Capita raramente di vedere una persona annullarsi per mettere al centro solo te. Lei lo faceva con tutti. Intuiva i crucci e i dispiaceri delle persone che incontrava. E se le perdeva di vista, chiedeva notizie per sapere come andava. Abitava veramente negli altri. Mai un cedimento? Era umana, non nascondeva le sue fragilità, lo sconforto, la paura a chi le era in stretta confidenza. Non faceva la stoica, non si atteggiava. Era trasparente, era quella che vedevi. Però non recriminava mai. Anzi, era autoironica, sui sogni non realizzati ci rideva su: «Che sogni che fai Benedettina!», si diceva. Di lei si è scritto che aveva anche un carattere forte. Aveva ricevuto un’educazione cristiana seria, nel senso che su quello fondava la vita e quella seguiva. Perciò obbediva a sua madre, ed era di ferro se si trattava di fare obbedire i fratelli più piccoli. Nello stesso tempo, in quella casa si respirava una grande allegria. Erano romagnoli chiassosi, tutti diversi: una sorella faceva la ballerina alla Scala, un fratello diventò giornalista, uno primario. Più si ammalava più si addolciva. Ripeteva che il Signore le aveva dato moltissimo, che la amava. «Ma come?», ti chiedevi. Ed era pure piena di voglia di vivere. Si dice che, grazie a lei, è avvenuta una guarigione miracolosa. Ha fatto il miracolo di testimoniarci l’amore di Dio e la speranza. Ma forse si riferisce a quello che accadde a Lourdes. Ti affidiamo, Signore, tutti i nostri cari Partì per chiedere la guarigione, ma con lei c’era una ragazza gravissima e disperata. Benedetta la esortò a non smettere di pregare, perché i miracoli avvengono. Così fu e la ragazza si alzò in piedi. Benedetta era felicissima anche se lei non era guarita. Sembra ricordarla come fosse passato un giorno e non 50 anni. Benedetta le ha cambiato la vita? Direi che me la segna tuttora. Io a Benedetta ho voluto e voglio molto bene. Mi accorgo che allora ero una ragazzina decisa e radicale, forse un po’ spigolosa, ma capace, con Benedetta, di un’amicizia grande. Dopo 9 anni di sterilità nel matrimonio ebbi la grazia di concepire un figlio: la mia bambina nacque l’8 di agosto, lo stesso giorno in cui nacque la mia amica Benedetta. Ma non posso dire che mi ha cambiato la vita in una volta sola, perché mi ha accompagnata e guidata in ogni passo e mi accompagna ancora. È così presente che sono ancora gelosa di lei. E quando prego il Signore e la Madonna con loro, in cima a tutti i Santi e defunti che mi sono più cari, c’è Benedetta. (dipinto di Aliza Mandel) Ricordiamo in particolare Anna Cappelli nel 10º anniversario della sua nascita al cielo Benedetta, Anna e gli artisti 16 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 a cura di ROBERTA BÖSSMANN ANGELO RANZI suo simbolo per tutti noi che siamo affascinati dalla sua figura di credente. Tra i tanti artisti conosciuti da Anna c’è un vero amico di Benedetta: Angelo Ranzi, di Forlì. Con Anna ha collaborato per anni all’allestimento delle varie iniziative promosse per far conoscere il nome di Benedetta e ha donato con generosità molte opere per la stessa finalità. Nel quadro che vi voglio presentare in questo numero Benedetta esce dal sarcofago, nel quale era stata collocata, per salire in cielo. In mano ha ancora la rosa bianca che forse vuol donare alla Madonna. Accanto al sarcofago c’è la fedele amica che ha dedicato la vita per farla conoscere a tutto il mondo: Anna Cappelli. Ciò che colpisce nei suoi lavori è la sua capacità di esaltare luci ed ombre che danno alle opere un’intensità drammatica che però non è fine a se stessa, ma apre ad una serenità e ad un’armonia superiori. Il nostro sguardo viene così elevato verso altre mete che resterebbero nascoste in una visione priva di contrasti. È un’Anna piena di gioia quella raffigurata, una giovane donna, bellissima, avvolta anche lei dalla luce. Le sue preghiere hanno trovato piena realizzazione. Forse questo quadro è un invito a tutti noi a continuare l’opera di Anna perAngelo Ranzi, La tensione spirituale presente nei ché Benedetta, che in cielo è già santa, Storia di un’anima, 2014 (Foto Liverani) suoi lavori si rivela anche nelle opere depossa diventarlo anche per la Chiesa ed dicate a Benedetta dove lei appare dolceessere sempre più quell’immagine di lumente melanconica, ma con una grande forza e con un infinito ce per le tante persone che ancora portano la loro croce sulle amore che pare trasmettere alla rosa bianca che è diventata il spalle. Cara Anna, IN RICORDO DI ANNA CAPPELLI, DIECI ANNI DOPO sono passati dieci anni da quando te ne sei andata. Sembra un tempo brevissimo, perché tu, in verità, sei sempre con noi anche ora che vivi accanto alla nostra Benedetta. Forse ora ti sento, anzi, più vicina di prima. Capisco meglio sia le tue fragilità che le tue certezze. Sapevi andare sempre avanti malgrado qualche parere contrario, qualche critica che inevitabilmente arrivava, malgrado le difficoltà quotidiane che dovevi affrontare e che, forse, alla fine non sei più stata capace di sopportare. La malattia è arrivata come un fulmine a ciel sereno e ti sei ritrovata con problemi enormi che non potevi più affrontare con la giusta serenità. Ma anche nella malattia non hai smesso di credere nell’opera che avevi iniziato tanti tanti anni prima: far conoscere a tutto il mondo Benedetta. Tu, che avevi sempre deciso da sola, pur chiedendo il parere di amici e di esperti, ti sei trovata a dover dipendere in tutto dagli altri; specialmente Lucia ti è stata vicino sino alla fine e con lei eri capace di tornare spensierata e serena. Mi piaceva sentirvi ridere e cantare come due ragazzine, anche perché ti avevo conosciuto sempre seria, indaffarata e preoccupata a far quadrare i conti per portare avanti le tante iniziative che sempre avevi avviato. Ricordo come eri contenta quando cercavo di sistemare le tue montagne di carte quando eri ancora a Forlì, quando ritrovavo l’immagine di un fiore per “l’annuncio” che avevi cercato tanto, invano. Senza quella fotografia non si poteva mandare in stampa il periodico perché, per te, ogni cosa fatta per Benedetta doveva essere perfetta. Quando il tuo male ti ha lasciato poche forze, hai chiesto a Gianfranco e a me di continuare a occuparci de “l’annuncio”. Quando ho scritto i miei primi articoli su Benedetta e su Annalena Tonelli, ricordo che mi avevi chiesto tu di farlo, io te li ho letti per telefono per sapere se andavano bene. Sei stata commovente mentre mi ringraziavi. Non lo dimenticherò mai. Ora siamo in tanti a proseguire il lavoro che tu hai svolto per una vita intera. Forse, tutti insieme non riusciamo a fare quanto facevi tu da sola, ma facciamo del nostro meglio, come possiamo, e sono certa che dal cielo ci guardi e ci guidi per evitarci di fare troppe sciocchezze. Spero tu sia, comunque, orgogliosa di noi Amici che vogliamo tanto bene a Benedetta e anche a te che ci hai permesso di conoscerla, di amarla, di sentirla nostra sorella. Ciao, Anna, con affetto Roberta l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 17 1967 Una professoressa di filosofia, Anna Cappelli, mi ha invitata a casa sua, a Forlì, per conoscermi, dopo aver letto il libro di padre Turoldo: Siate nella gioia. Vuol scrivere di Benedetta. Io non sono entusiasta di questa sua decisione: ammiro troppo padre David per non diffidare di chi “osa” parlare di Benedetta dopo che lui l’ha già fatto. Credo di essere gelosa di Anna, tanto che, quando mi apre la porta, la guardo con fastidio: abito da collegiale, collettino di trina sulle 23. Mi chiedo chi sia e cosa voglia da me. Lei mi guarda come se già mi conoscesse, mi chiama per nome e sorride, con un’espressione d’incredula, infantile felicità! Fu amicizia, per sempre. Negli anni seguenti fui spesso sua ospite a Forlì, in via Pedriali, 18. Con Anna abitavano ancora un fratello, Idio, e la madre. La madre di Anna era una personcina minuta, fragile, ma lucidissima e arguta: ricordo una sua espressione curiosamente profetica: «Quando non ci sarò più – mi disse con il suo forte e delizioso accento romagnolo, – in questa casa si vedranno i polli andare in bicicletta!». Alludeva, credo, all’attività di Anna, già allora frenetica, e al suo culto dell’ospitalità, che le faceva aprire il cuore e la casa a chiunque bussasse alla sua porta. Anna, infatti, si prodigava per tutti, e non solo per la mamma e il fratello, che copriva di premure. Chiunque riceveva da lei attenzioni materne, e benché avesse una personalità fortissima e una volontà ferrea aveva sempre un atteggiamento di totale sottomissione ai desideri e perfino ai capricci altrui. Io ne ero irritata, indignata addirittura, e una volta le dissi: «Perfino il Vangelo comanda: “Ama il prossimo tuo come te stesso”, come, e non di più! E invece tu non ti curi minimamente della tua salute, delle tue necessità, della tua fatica!». Sapevo che trasportava su e giù dalle scale grandi pacchi di libri e d’altro, specialmente in occasione delle mostre, che organizzava per far conoscere Benedetta. Con l’aiuto della fe- dele Lucia e di pochi altri, tra cui lo stesso don Alfeo Costa, parroco di Dovadola, arrivava a “traslocare” quadri, statue, oggetti pesanti e perfino mobili! «Troppe persone approfittano di te!». Lei mi rispose: «Ciò che si fa per amore non pesa. Se una persona mi chiedesse di percorrere a piedi un miglio con lei, ne farei venti in ginocchio!». Così continuava serena, invincibile, a seguire la propria natura e le proprie convinzioni: lei era davvero la tenerezza di Dio fatta persona. Ricordo che una volta, entrando in una chiesa, a Forlì, – era giugno – vidi su un altare, davanti alla statua di S. Luigi, dei bellissimi gigli, che appunto vengono chiamati “di S. Luigi”: quelli dal lungo stelo e dal profumo intenso, che fioriscono solo per poco tempo, negli orti e nei giardini, ma ben difficilmente si trovano nei negozi dei fioristi. Dissi, ridendo: «I fiori non si offrono agli uomini, ma alle signore: non è giusto che li offrano a lui e non a me!». Anna sorrise e si allontanò con una scusa. Quando tornò reggeva in una mano uno splendido giglio, nell’altra un cartoccio con un “bombolone” gigante, ancora caldo, sapendomene ghiottissima. Lei era davvero attenta alle piccole grandi cose di ogni giorno. Era sempre per amore che preparava per me, o per altri suoi ospiti, un delizioso minestrone di verdura, anche se la sua preparazione richiedeva un grande sacrificio di tempo, a lei che ne aveva pochissimo. E fu proprio al mercato delle erbe di Forlì, mentre Anna ed io ci aggiravamo tranquille tra la folla, fermandoci poi a una bancarella, per scegliere gambi di sedano e cipolle odorose, che Anna maturò “la grande decisione”: «È ormai tempo di iniziare la causa di beatificazione di Benedetta». La ricordo così, Anna: l’anima e lo spirito rivolti a Dio, gli occhi, le mani, il cuore attenti ai fratelli, per dar loro conforto, appoggio e gioia. Da MARIA GRAZIA BOLZONI ROGORA, I dolci volti di Dio, Stilgraf, Cesena 2014, pp. 135-137 Torino, 28 marzo 2015 Cara Anna, è tanto tempo che non sei fisicamente accanto a noi, sorella tenerissima, con le tue dolci parole e carezze dell’anima che in te e Benedetta trovava conforto, amore, luce. Eppure sei qui, VIVA in mezzo a noi, con la tua santa amica, alla quale hai dedicato la vita. Sei qui a sussurrarci le sue parole, che sono anche le tue, a spronarci a vivere la Croce con gioia, poiché ci conduce alla Risurrezione. Con il tuo lavoro infaticabile di messaggera dell’annuncio Pasquale, hai diffuso, mediante i pensieri di Benedetta, un alleluja che non avrà mai fine. Anna carissima, non dimentichiamo, siete due stelle della stessa costellazione, fuoco entrambe dell’Amore di Dio. Grazie, Anna. Anna Cappelli nel 1999 (Foto Amati) Vi prego, rendete anche noi, piccoli “amici di Benedetta”, fuoco divino d’Amore, Croce risplendente d’Amore Eterno. Giuliana 18 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 Benedetta e le altre a cura di ROBERTA BÖSSMANN MARIE NÖEL E BENEDETTA vera modernità. Anzitutto per il suo comprendere lo scandalo del male e della sofferenza, che è uno dei temi più importanti della sua esistenza. Solo l’amore per Dio riuscì a farle superare ogni timore. Marie Nöel Il Diario intimo di Marie Nöel, pubblicato nel 1961, con la traduzione di Adriana Zarri, ha richiamato la mia attenzione per l’articolo Marie Nöel, sorella delle «anime turbate» dedicatole da Ferdinando Castelli su “La Civiltà Cattolica”, del 16 luglio 2011, (CLXII), n. 3866, pp. 107-118. È quella di Marie, un’opera poetica che scende negli abissi dell’anima che oscilla tra «l’oscurità della fede e la sua amorosa accettazione». (F. Castelli, op. cit., p. 107). Nata ad Auxerre nel 1883, Marie crebbe in una famiglia borghese in cui fece presto l’esperienza della solitudine. Si è trovata sull’orlo dell’abisso, angosciata e quasi desiderosa di uccidersi. Si salvò grazie alla consapevolezza che Dio non l’avrebbe abbandonata mai. Nel 1913 lo spettro della negazione la insidiò per tre giorni e ogni tanto ritornerà facendola vivere in una “grande angoscia”. Solo l’incontro con Gesù Cristo e la forza della Grazia le permisero di lasciarsi possedere dalla pace cristiana. È una storia drammatica la sua, che ha però aspetti di «Credo nell’Amore» – diceva – e nell’Amore di Dio si è gettata come un bambino tra le braccia della madre. Un altro aspetto di modernità è la sua esigenza di libertà totale. Non tollerava alcuna restrizione, alcuna barriera. Se l’uomo è stato creato libero, sosteneva, come si può tollerare una Chiesa istituzionale, «piena di leggi e prescrizioni che legano i fedeli e li obbligano a procedere con “ordine”»? Marie paragona la legge della Chiesa a quella che la suocera «impone alla nuora» (p. 112). Capisce che «frequentare troppo degli uomini “infallibili” è un pericolo per il giudizio, per il pensiero, persino per le semplici opinioni» (Diario intimo, p. 61). Un terzo aspetto di modernità sta nel fatto che Marie ci ricorda che «la verità divina non deve restare chiusa nei termini in cui fu espressa» (F. Castelli, op. cit., p. 113) perché è qualcosa di vivo, che si muove, si evolve e porta sempre nuovi frutti. Anche quella di Marie Nöel, come quella di Benedetta, fu soltanto una piccola voce discreta, un semplice filo di voce, capace però di dire delle verità che colpiscono il cuore. Entrambe ci permettono di incontrare la parte più profonda di noi, il mistero di Dio, la difficoltà di accettazione del male e della sofferenza e l’abbandono amoroso tra le braccia dell’Amore, della preghiera, del canto. Forse gli itinerari percorsi da Marie e da Benedetta sono molto differenti, ma entrambe hanno conosciuto l’angoscia, l’incubo del suicidio prima di arrivare alla certezza dell’amore di Dio, che è per sempre. Non mi sono mai ripresa dal soffio di Dio, quando Egli si è chinato sul mio fango, dirà Marie, e anche quando lo scandalo del male la tormenterà, lei resterà ancorata alla fede in Dio e si getterà come un bambino tra le braccia di Dio, incurante dei suoi dubbi. È quanto ha fatto anche Benedetta che di Dio si è sempre fidata, anche quando tutto nel suo corpo sembrava isolarla sempre più e allontanarla da ogni cosa del mondo. Marie Nöel e Benedetta non hanno concepito Dio “come una gabbia” riducendolo al livello della nostra intelligenza e rendendo finito il Dio infinito. Entrambe hanno voluto donare alla loro anima la libertà di incontrare Dio dove e come desidera, sempre però in umiltà e obbedienza. Hanno compreso che la loro esistenza doveva diventare Vangelo vivente e che erano chiamate ad un’unica cosa, a “gridare” al mondo, con il loro filo di voce, che Dio Benedetta ama le sue creature. Lo hanno fatto in modo meraviglioso e hanno trovato la pace. «La pace non è che in Dio», «L’amore è Dio» ci testimonia Nöel, e Benedetta arriva a dire le stesse parole con la stessa intensità. Entrambe ci insegnano che il cristianesimo non è una religione comoda e facile, ma un cammino verso la luce che attraversa il buio delle notti e che per vivere la fede bisogna avere il coraggio di scelte impegnative. Ci dicono anche che la vera libertà fiorisce sull’umiltà e sull’amore e che ciò che può apparire quanto di più negativo può trasformarsi in grazia. Marie Nöel è morta il 23 dicembre 1967, pochi anni dopo la morte di Benedetta. È incredibile vedere come queste due creature che non si sono mai conosciute in vita, siano arrivate a sperimentare, negli stessi anni, il medesimo modo di vivere la propria fede: come abbandono, come dono, come compito. Dalla vita alla vita? l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 19 Da gennaio 2014 tutti i mesi hanno visto a Dovadola e Forlì un susseguirsi di manifestazioni per il 50º della salita al cielo della Venerabile Benedetta. Con esse la Diocesi ha concentrato in certo modo la sua vita pastorale attorno alla sua grande figura. Il Vescovo ha mobilitato la Diocesi perché Benedetta fosse meglio conosciuta proprio dove è nata e dove è vissuta per metà della sua vita. Un ciclo di cinque incontri, tra febbraio e maggio 2014, in ricordo di Benedetta, su Fede, speranza, scienza ai confini della vita è stato organizzato dalla Consulta Diocesana per la Cultura, diretta da don Enrico Casadei Garofani. Sono stati coinvolti esperti in varie discipline, dalla psichiatria e psicanalisi alla teologia, dalla filosofia morale alla medicina, dalle cure palliative alla pastorale ospedaliera, con l’apporto di alcune testimonianze. L’intento – come ha spiegato don Enrico Casadei – è quello di fornire strade di riflessione che aiutino ad affrontare in profondità le problematiche della malattia, della sofferenza e della morte. Benedetta Bianchi Porro ne è il riferimento ideale: una giovane donna che, trovandosi a vivere il dramma di una grave malattia, non è fuggita ma si è interrogata, ha lottato, ha sofferto, ha sperato, ha amato. Oggi troppo spesso si tende, invece, a lasciarsi sopraffare dalla paura, a nascondere il problema o a delegarlo ad altri. Rischiando, inevitabilmente, di trovarsi impreparati di fronte ad una delle tappe ineludibili della vita, e rischiando, nel contempo, di non essere in grado neppure di stare accanto ai propri cari che si incamminano verso la morte. Lo psicanalista mostra che, nel terzo stadio, si sviluppa nel paziente la consapevolezza che possono sussistere, nel dolore per la propria malattia, anche spazi liberi dalla sofferenza, che consentono, per così dire, di pensare anche ad altro e di comunicare con altre persone. In altri termini si possono aprire dei meccanismi di speranza, se la malattia viene in qualche modo pensata e circoscritta nella mente. Si possono aprire cioè degli spazi di quotidianità non ossessivamente occupati soltanto dalla paura della morte. Così esprime la sua posizione Moressa: «Aprire il pensiero alla speranza significa offrire spazio agli affetti, che continuano a far parte della persona anche di fronte alle devastazioni della malattia inguaribile. La realizzazione di un pensiero sul male e sul dolore riduce l’invadenza angosciosa di entrambi, così da rendere la morte una presenza meno incombente. La fine viene collocata nella sua naturale dimensione di sfondo per i pensieri quotidiani, di linea che circoscrive l’esistenza dell’uomo. In questo passaggio, il giorno della morte si rivelerà per tutti come una parte della vita; a esso potremo arrivare impegnandoci ad accogliere gli inevitabili malesseri, continuando a desiderare e ad amare, a sognare e a sperare». A questo punto il discorso dello psicologo finisce, nel senso che si apre il discorso sui motivi per amare, sognare e sperare. E qui si apre lo spazio per altre competenze. Questa pluralità di approcci è documentata, tanto per fare alcuni esempi, da due relazioni forniteci da don Enrico Casadei e che possiamo vedere nel testo integrale sul nostro sito www.benedetta.it. Nella seconda relazione, il teologo mons. Franco Giulio Brambilla, parla proprio su Il tempo della sofferenza: una sfida per lo spirito. Egli è perfettamente consapevole che la sofferenza ha generato atteggiamenti che nascono da una sorta di fuga dell’uomo moderno dal significato del soffrire. Per un orientamento di fondo il teologo mette al centro, dal punto di vista cristiano, non la croce (che resta il patibolo con cui gli uomini tolgono di mezzo Gesù), ma il Crocifisso!, e considera che «la morte di Gesù è il luogo dell’universale riconciliazione. In Gesù il Padre ci ha dato tutto se stesso, la sua stessa vita, lasciandola in balìa del tradimento, dell’abbandono, della morte violenta e della sopraffazione degli uomini. Gesù muore “per noi”, dice la tradizione biblica, in un duplice senso: “a causa” del peccato e “a vantaggio” dei peccatori. C’è da domandarsi come si sviluppi la speranza nel contesto di malattie incurabili o di situazioni verso la fine della vita. Assumendo e portando il nostro rifiuto, lo riconcilia nel luogo stesso dove abbiamo chiuso le porte a Dio, trascendendolo nel suo gesto d’amore incondizionato. Lo Spirito di comunione, che tiene uniti il Padre e il Figlio anche nel momento della massima separazione, trasforma anche la distanza peccaminosa trasfigurandola in una vicinanza risorta […]. La liberazione della croce toglie il male fin nel cuore dell’uomo, fin nelle profondità di tutta l’umanità, dal primo uomo sino alla fine dei tempi. La comunione donata scolpisce i tratti del figlio di Dio, del discepolo credente e della comunità fraterna». Moressa fa vedere come, in questi casi, le persone passino solitamente attraverso tre distinti stadi, indicati come 1. smarrimento, 2. rabbia, 3. dolore e speranza. In questa prospettiva si è certo ritrovata Benedetta, nel suo abbandono al Signore e, su questa base, nel dono ai fratelli che incontrava. È necessario rompere il tabù, riflettere a tutto campo su queste questioni, indicando anche concrete modalità operative per stare positivamente accanto al malato e offrire un accompagnamento che tenga conto di una pluralità di dimensioni: psicologica, socio-culturale, medica, religiosa. La prima relazione Alla fine dei giorni: la mente dell’uomo di fronte al dolore e alla speranza è incentrata sul problema della morte, delle sofferenze che la precedono, del lutto. Questa tematica è trattata dallo psichiatra e psicanalista dott. Pierluigi Moressa che, nell’ultimo paragrafo, parla di Benedetta, definendola così: «figura di elevata intensità spirituale che ha mostrato un percorso intriso di dolore e di speranza verso la fine dei propri giorni». 20 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 Angelina Pirini (Sala di Cesenatico, 30 marzo 1922 Sala di Cesenatico, 2 ottobre 1940) è una giovane romagnola, morta a 18 anni, dopo tre anni di malattia. Il suo cammino di fede diventa: «salita al Calvario, sulla croce salvifica redentrice, patibolo ed altare per l’anima desiderosa solo di immolarsi come Ostia, a perfetta e totale imitazione di Cristo, termine fisso, culmine del cammino di fede della nostra Serva di Dio, Angelina di Gesù, come amava firmarsi in molte lettere del suo straordinario epistolario». Così Luigi Riceputi considera in un suo scritto, redatto in vista dell’anno della fede del 2012-2013, la testimonianza esemplare di questa giovane, di cui è in corso la causa di beatificazione presso la Congregazione per le cause dei santi. In queste po(Foto Amati) che battute si intravede un nesso tematico con la vicenda di Benedetta che l’Autore poi esplicita partendo proprio da un segnalibro su Benedetta trovato ne Il volto della speranza. Dopo un titolo redazionale, pubblichiamo un ampio estratto del testo di Riceputi, che ringraziamo per il contributo. Cammini di fede convergenti: Angelina e Benedetta [Ne Il volto della speranza] […] si trova ancora come segnalibro – il più bello e prezioso tra tutti quelli che “segnano” i miei libri – un ricordino (un santino) della ragazza beata di Dovadola, volto di quella “virtù provata” che è la speranza, generatrice di fede, in atto di ricevere dalle mani di un sacerdote (si vedono solo quelle, il resto rimane fuori dal nostro campo visivo) l’estrema comunione, con sotto, nella parte inferiore di quella foto straordinaria, la scritta: «Io so che attraverso la sofferenza il Signore mi conduce verso una strada meravigliosa» – e sul retro, scritto a mano (mano fatta più per essere scritta che per scrivere, come le avveniva, offerta ai suoi visitatori-interlocutori, sul letto della sua lunga agonia) con scrittura incerta, infantile, che contrasta col proposito fermo, saldo della sua anima ancorata alla fede: «Il dolore è stare con la Madonna ai piedi della Croce». Due frasi – due aforismi – di pretto stampo cristiano, dettate dal suo spirito mistico, cristico-eucaristico, si- mile alle tante che circolano negli scritti di Angelina – Lettere Diari Resoconti spirituali –, dove parole come sofferenza, dolore, croce sono di casa e frequente è il nome della Madonna, via maestra per arrivare a Cristo. Per Mariam ad Jesum, secondo il motto impresso sulla facciata della chiesasantuario di Sala dedicata proprio alla Vergine, che è il programma della vita spirituale di Angelina, presenza assidua in quella chiesa con la sua “preghiera continua” di “pellegrina della fede” in questa “valle di lacrime”, come è chiamata la terra nella preghiera mariana per eccellenza (che un grande poeta del nostro tempo chiama splendidamente “valle del fare anima”). Una chiesa risorta più bella dopo la distruzione della guerra, che Angelina non fece in tempo a vedere, morta agli inizi di essa, vittima immolata – ostia – per la riparazione del peccato immane – del Male – di essa! Le trovo accostate le figure – i volti – di queste due ragazze beate e sante – avviate a diventarlo grazie al processo di beatificazione in corso, foriero di quello futuro di santificazione – nella pagina del “Corriere cesenate” che dà notizia di questo nostro incontro su Angelina qui a Sala e contemporaneamente di quello su Benedetta a Dovadola, degli amici rispettivamente dell’una e dell’altra: bella, non casuale, provvidenziale coincidenza. Noi con “Angelina verso l’anno della fede”, loro con “Benedetta testimone della Divina Misericordia”. Un orientamento, un cammino simile: “Il cammino verso la luce”. Così suona il titolo di un piccolo illuminato libro di don Divo Barsotti – un grande “intellettuale della fede” e grande mistico del nostro tempo, scomparso di recente – dedicato proprio a Benedetta. Il cammino verso la luce della fede. Scrive don Divo, quasi a compendio di quel cammino di luce, in modo conciso, epigrafico, che ci pare intonato anche alla vita e allo spirito della nostra Angelina (tutte le persone mistiche si assomigliano, somiglianti in Cristo, di cui tendono ad assumere le sembianze; simili Angelina e Benedetta a due gocce d’acqua nell’oceano dell’amore del Signore, per usare una immagine della piccola Santa Teresa di Lisièux, di cui entrambe erano molto devote): «Conobbe momenti di buio e di angoscia, momenti di tentazione e di rivolta, ma nulla poté soffocare la sua gioia, nulla sopprimere il suo canto». Nelle pagine del Diario, dell’Epistolario e dei Resoconti di Angelina – che formano “la storia della sua anima”, per citare il titolo del libro della succitata Teresa del Bambin Gesù – si trovano a profusione, come fiori di un ricco, variopinto giardino, un vero e proprio tripudio e trionfo, parole come gioia, dolore (gioia e dolore in così stretta, intima relazione, un vero e proprio rapporto di filiazione l’una dall’altro: “la gioia che nasce dal dolore”, secondo il linguaggio dei mistici) e, naturalmente, fede, il cui dono Angelina chiede nella sua preghiera per sé e per tutti noi. Come si vede, si sente in questa sua pagina di dia- l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 21 rio, del 31 marzo 1938, giorno del suo sedicesimo anno (quello del suo voto di vittima – di ostia – emesso di lì a poco, il 16 giugno, festa del Corpus Domini): «Eucarestia, nutrimento dell’anima mia, fortifica quest’anima, perché possa affrontare qualunque battaglia, e dammi la fede! Fede e amore dei santi, perché come loro voglio santificare questa mia anima e salvare quelle altrui». La fede lampada ai piedi nel cammino della vita, come recita un versetto biblico. La fede dono divino e conoscenza dell’amore di Dio per l’anima di Angelina assetata di Lui, come scrive in un’altra pagina del Diario di quello stesso anno straor- dinario, il 16 aprile: «Ti sei compiaciuto di farti conoscere a questa povera anima mia ed io, che sento in Te il mio conforto, il mio ristoro in questa valle di lacrime, dove cammino pellegrina, voglio riposarmi in Te, per imparare come debba camminare in Te, che per trentatré anni hai vissuto in mezzo a noi per la tua grande bontà». Una “scienza della fede” (così la chiama un grande teologo e filosofo cattolico, che fu anche sacerdote, Romano Guardini in un libretto con quel titolo), che è nel contempo “scienza della Croce”, per dirla con una filosofa ebrea, Edith Stein, convertita al Cristianesimo, divenuta suora carmelitana, morta ad Auschwitz e salita agli onori degli altari negli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, grande lettore dei testi della sua “filosofia crocifissa”, come è stata chiamata. Ma torniamo ad Angelina, ai passi del suo “cammino verso la luce”. «Voglio la luce! Voglio la luce» è il refrain che ricorre nelle sue pagine, che sono un canto di vita e di morte. La morte mistica dell’anima anelante a morire per risorgere in Cristo, vita vera, tutt’una con Lui. I passi del suo Diario e degli altri suoi scritti si possono considerare passi delle stazioni del suo Calvario, un’ascesa e discesa insieme verso quella “cima abissale” di luce che è Cri- sto. Una fede provata, quella della Serva di Dio, generatrice di speranza, di cui la fede, ripetiamolo, è sostanza. Fede pasquale, gioiosa, passata per la porta o via stretta della “notte oscura” purificatrice. Notte dello spirito che, come suona un verso del nostro grande poeta cattolico da poco scomparso, Mario Luzi, “lava la mente” (cioè l’anima). E man mano che si approssima l’appuntamento col Signore, di cui tutta la vita della Nostra è attesa (Attesa di Dio si intitola un libro della grande filosofa e scrittrice francese, ebrea voltasi al Cristianesimo, Simone Weil, innamorata di Cristo e della sua Croce, morta trentatreenne a poca distanza dalla morte di Angelina), brilla come una stella di redenzione nella notte dello spirito, camera oscura dove si sviluppa gradualmente, nell’assenza salutare per il travaglio della sua “nascita eterna”, la luce, in tutta la sua profondità ed estensione, penetrata nell’anima. («Non esiste altro peccato – ha sentenziato la succitata Simone Weil – che non lasciarsi attraversare dalla luce»). La luce di cui Clizia-Angelina, come il girasole della celebre poesia di Montale, era “impazzita”: lei, la “folle di Dio”: il Dio che è Luce, di cui la Serva di Dio fu portatrice. («Il Dio che tutti portiamo», come dice il grande poeta spagnolo Antonio Machado, e specialmente, non solo genericamente, i santi, portato fino alla fine come una croce gloriosa sulle loro spalle). Luigi Riceputi 22 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 Intervista a Roberto Corso di GIANFRANCO AMATI Roberto Corso è una figura importante tra le persone che hanno frequentato Benedetta. Nel 1963 Benedetta sta vivendo i momenti più duri del suo calvario, sorda e cieca e in buona parte paralizzata. Proprio con queste difficoltà comunicative Benedetta sta vicina in modo importante ad un liceale diciassettenne che vive le inquietudini della sua età. D. C’è una tua lettera a Benedetta del 2 gennaio 1964, pochi giorni prima che morisse. Forse capivi che stava per finire la possibilità di comunicare su questa terra con lei. Con la consapevolezza che avevi in quell’anno, hai fatto una specie di bilancio del tuo rapporto con lei. Così le scrivevi: «Conoscerti mi ha richiamato a parecchie cose: innanzitutto all’essere autenticamente Cristiani, a pregare, a meditare, ad accettare di essere soli a noi stessi, perché Dio possa plasmarci a suo piacimento. Mi hai richiamato a superare i sensi e a fare del bene. Prega ora perché con la Grazia riesca ad attuare tutto ciò, perché mi è estremamente duro: io in cambio pregherò per la tua serenità, che è la cosa che più mi sta a cuore. Grazie Benedetta, di tutto». Cosa diresti adesso? R. Adesso non direi nulla a Benedetta. Penso che sia arrivato il momento del silenzio, almeno per me. È un momento in cui è necessario ascoltarsi e ascoltare. Proprio in questi giorni stavo pensando a due cose. Alla Parola e all’Incarnazione. Abbiamo ascoltato spesso la Parola di Dio e molto spesso in modo distratto, lontano, perché, in genere, viviamo questa Parola come qualcosa fuori dalla nostra vita. Il fatto invece che Dio si sia incarnato penso voglia dire anche a noi che è necessario fare un passo in più, e cioè non essere soltanto ascoltatori della Parola, ma essere noi stessi Parola incarnata. Pensavo che Benedetta è stata proprio questo. È stata proprio una Parola incarnata, che ha potuto essere ascoltata, ha potuto parlare perché non è stata una cosa isolata, ma centro di vita e di vite. In quel periodo a comunicare c’ero io, c’era Lucio, c’erano altri ragazzi, c’era Nicoletta, Franci, Paola, Maria Grazia, tante persone. Questo ha permesso uno scambio che non si è limitato alla Parola, ma è diventato per ciascuno di noi vita. Una vita molto diversa, a volte, da quella che pensavamo. Sono passati cinquantun anni dalla morte di Benedetta. Benedetta è morta a 27 anni. Io ne avevo 17. C’è stato tempo per me di vivere, tempo per fare cose belle e anche per fallimenti, sofferenze, lontananze. Per me questo momento è quello in cui bisogna fare silenzio. Cerco di capire che, in fondo, siamo nelle mani di Dio, per cui quello che dobbiamo fare in gran parte lo abbiamo fatto, giusto o sbagliato che sia. Ciò che è sbagliato ci penserà il Signore a raddrizzarlo, e quel poco di buono che abbiamo fatto, speriamo che a qualcosa e a qualcuno sia servito. È il momento non tanto di guardare al passato. Possiamo guardare il passato proprio con il senso di abbandono e il futuro che abbiamo, io me lo vedo davanti molto sereno, molto tranquillo, perché capisco che niente è andato perduto, neanche quello che sembra lontano. Benedetta c’è, secondo me. Ci è vicina, non solo lei, ma è insieme a tante persone che lungo la strada si sono perse, sono mancate, ma la cui presenza, in qualche modo, ha permesso a noi di essere quello che siamo. Quindi davvero il libro Vivere è bello ha un titolo che a me piace molto, perché credo che sia proprio così. Capirlo è una grande cosa. Benedetta, secondo me, l’aveva capito benissimo perché già prima della malattia il suo amore per la vita, per la musica, per il disegno, per le persone, per gli incontri, sicuramente l’ha arricchita. Poi c’è stato certamente il momento della prova, della paura, dello smarrimento. Quello che poi in lei è cresciuto è questo senso della nascita, il rendersi conto che la sua vita non finiva. C’era un incontro, una festa, un nascere proprio nuovo che l’aspettava e non solo nell’ambito personale, ma in un ambito più ampio, di comunione, di vita, che è molto più ampio di quello che riusciamo a cogliere. D. Credo che Benedetta testimoniasse, dopo un percorso di maturazione, anche il senso dell’amore di Dio che diventa misericordia per tutti e quindi diventa momento di speranza, di consolazione, di fiducia nella vita che ci capita appunto di vivere. R. Penso che ciascuno di noi sia capace di comunicare qualche cosa. Non siamo sempre attenti a raccogliere quello che ci viene dato, che ci viene offerto. Credo che questo dipenda dai tempi di ciascuno e dai tempi di Dio. Anche lì quello che uno fa, che venga accolto o che non venga accolto, che venga recepito, o che non venga recepito, secondo me non ha molta importanza. Io sento invece, capisco Benedetta quando ha voluto spogliarsi delle cose che aveva, comprese quelle tipiche di una ragazza. L’unica cosa che aveva voluto tenere, come segno, diciamo così della sua dignità di persona, era stato un anello d’oro. Lo si vede in una foto che le avevo fatto mentre fa la comunione. Era solo questo il motivo per cui aveva tenuto questo anello. Tutto il resto l’aveva voluto dare via. Anche gli oggetti più cari, materiali o spirituali, per me è bene che si sia capaci di lasciarli, non perché non siano significativi, ma perché il significato o uno ce l’ha nel cuore, altrimenti non ce l’ha. D. Questa è una lezione molto importante di Benedetta. Credo che ciò faccia bene, nel senso che una certa ricchezza, che da un certo punto di vista perdi, … R. Mi veniva da pensare che la vera “reliquia” a cui uno deve fare attenzione è la sofferenza degli altri, il bisogno dell’altro, l’attesa che l’altro ha di qualche cosa, di qualche cosa che non conosce neanche e che, se sei attento, riesci a dare. Per esempio, mi ha molto colpito oggi, la lettera che Benedetta ha scritto alla signora Grecchi, quella che aveva perso il bambino. D. Proprio tu avevi segnalato il caso a Benedetta. R. La risposta di Benedetta è stata secondo me bellissima, veramente di una delicatezza, di una bellezza e di una profondità uniche perché va veramente oltre l’episodio in sé drammatico, per trovare, per suggerire un senso a questa cosa e anche una conciliazione perché questa signora potesse superare i sensi di colpa che, tra l’altro, le venivano scaricati addosso. l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 23 Questi sono accadimenti che certamente ci mettono di fronte a dei grandi misteri. Sono certamente grandi misteri la sofferenza, la morte, però ci invitano anche ad andare al di là. Oggi, nel Credo, che abbiamo recitato durante la Messa, si è accennato alle cose visibili e alle cose invisibili. Questa è veramente una cosa invisibile, qualcosa che ci sfugge ma che non ci è estranea. Per questo è importante avere occhi che ci portino proprio a vedere oltre, anche nel buio, … D. Vedere la sofferenza può essere un’occasione per trovare la luce… R. Credo che alla fine ci aspetti essenzialmente la felicità. Non credo che ci sia altro. La felicità è la comunione. Io credo molto al fatto che ci sarà un incontro. Quel telegramma mandato a Benedetta – quel: Congregavit – nos in unum Christi amor exultemus non è un modo di dire. Era ed è anche oggi una cosa molto vera. Per questo sono certo che rincontreremo chiunque abbia attraversato la nostra vita, anche se l’abbiamo perso da anni, da decenni. Non ha alcuna importanza, anche se ci sono state incomprensione, sofferenza, ricevute o date, ma sono sicuro che tutto questo sarà superato. D. La conoscenza con Benedetta che hai avuto, aveva alcune variabili, che almeno dalla corrispondenza appaiono. R. Avevo problemi tipici dell’adolescenza, problemi di definire la mia strada, il mio vivere, le mie pulsioni, tante cose messe insieme. D. Era più che altro il disagio di non riuscire a trovare la propria strada… R. Sentivo molto all’epoca la differenza tra un ideale di perfezione e l’esperienza delle debolezze umane, questo contrasto, abbastanza forte, a quell’epoca mi sconcertava molto. D. Poi c’era un altro tema ricorrente. Era quello dei tuoi fratelli, di un fratello più piccolo che era all’estero… R. Ho tre fratelli: Piero, Claudio e una sorella, Ada, più grande di me. Il rapporto con i miei fratelli, con la mia famiglia è stato molto particolare. Mio padre aveva perso una gamba durante la guerra. È stato per parecchi anni in ospedale. Mia padre proveniva da una famiglia di contadini, era il sedicesimo figlio di una famiglia di contadini. Mia mamma era venuta dal Sud Italia. Mia nonna era vedova, anche lei. Mia madre ha iniziato a lavorare a 13 anni. Erano due famiglie molto povere. Mia mamma: è stata lei a portare avanti la famiglia. Proprio perché era in difficoltà, non ce la faceva, ho fatto tutte le elementari e le medie in collegio. Per questo anche i fratelli li ho avuti vicino praticamente solo negli anni del liceo. E neanche tanto, perché in quegli anni mio fratello Claudio era stato mandato negli Stati Uniti, anche se molto piccolo perché ha sei anni meno di me, a dieci anni a studiare. Mia sorella era già andata in Germania a studiare. Ha poi sposato un tedesco di Monaco di Baviera. Anche lei era abbastanza lontana. Certamente il rapporto in qualche modo era rimasto, ma non era mai stato emotivamente denso. Sotto questo aspetto ognuno di noi ha vissuto la sua vita senza parteciparla molto ai fratelli, proprio perché c’è stata questa lontananza. Un po’ Piero, due anni più giovane rispetto a me, ha vissuto un pochino di più con me. Per il resto… Conoscono di Benedetta, sanno di Benedetta, ma non l’hanno conosciuta. D. Mi pare che il contesto più vivo… R. È stato quello di Gioventù Studentesca. D. Volevo sapere come la vedevi e come la vedi oggi. R. Gioventù Studentesca è nata benissimo. È nata all’inizio degli anni ’60. Io l’ho frequentata praticamente nel ’63-’64, per un paio d’anni, neanche tanti. È nata molto bene, ma, a mio avviso, non ha avuto un’evoluzione… Non l’ho più sentita mia. Allora i ragazzi erano divisi in “Raggi”, gruppi della singola scuola o di alcune classi di liceo che avevano un responsabile o una responsabile che, in genere, era un’universitaria o un universitario. Ci si incontrava settimanalmente, si andava in “Bassa”. Ciò voleva dire prendere la domenica il pullman per andare nella periferia di Milano. Si facevano giocare i ragazzini, si avvicinavano le persone… C’erano poi degli incontri un pochino più allargati soprattutto a Varigotti. La cosa lì si è un po’ rotta, una volta che volevo portare un amico che però era un po’ critico. Non l’hanno voluto. Questo rifiuto mi ha dato molto fastidio. Ho avuto la netta sensazione che si stessero chiudendo in se stessi. E la cosa non ha più corrisposto al mio modo di sentire. Per questo ho lasciato Gioventù Studentesca, che poi ha avuto un’evoluzione in CL. Molti suoi esponenti li ho conosciuti all’epoca. Con molti di loro sono in ottimi rapporti dal punto vista personale, però per me è rimasto un ambiente troppo chiuso in se stesso. D. Nelle tue lettere fai riferimento a Nicoletta e a qualche altro che era in Brasile. R. Ricordo di essere andato all’aeroporto quando Nicoletta è partita per il Brasile. Era un andare verso terre, verso persone lontane, con sostanziale serenità. Benedetta sicuramente sognava di diventare medico. Nicoletta era una sua compagna di università che poi ha portato avanti questa cosa. Maria Grazia poi era una compagna di università che non ha finito medicina ed è stata vicina ai malati soprattutto spiritualmente… Anche questa è una medicina importante. D. Nella tua esperienza quale tipo di spiritualità ti ha aiutato un po’ o ti ha fatto vedere maggiormente la distanza tra ideale e reale? R. Mi ha aiutato Benedetta prima e poi l’incontro con la figura di Charles de Foucauld. La sua spiritualità, che non sono riuscito a vivere in modo particolare, per me è stata un grande richiamo. D. Mi ha colpito molto che Benedetta ti considerasse un giovane che aveva dei problemi a trovare la sua strada, e che, per questo, ti pensava e pregava per te tutti i giorni. Il rapporto con te testimoniava proprio la sua capacità di entrare in un rapporto profondo con le persone, proprio di “abitare” negli altri. R. Per me Benedetta è stata senz’altro una sorella, come mi è stato fratello anche Corrado e un po’ sorellina anche Carmen che allora era piccolina, aveva otto anni. Forse anche perché mi aiutavano nel dialogo con Benedetta, perché facevo fatica a capirla per il fatto che le avevano tolto i denti. Io le parlavo attraverso la mano. Poi lei parlava, ma io non la capivo, in genere. Se non c’erano Corrado o la Carmen a tradurre quello che Benedetta diceva, facevo fatica a capirla. 24 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 La profezia di Mario Pomilio a cura di ROBERTA BÖSSMANN Secondo Mario Pomilio, vi sono due modi di considerare la profezia. Il primo modo è quello dei profeti che anticipano la venuta di Cristo; il secondo è quello del cristiano che si trova permanentemente raggiunto da Cristo. Nel primo caso si trattava di parlare di Cristo, nel secondo di parlare con Cristo. Tra i due momenti c’è una bella differenza, come è facile intuire. Il cristiano sperimenta che a parlare nella sua stessa vita sia ormai proprio il Cristo. Il profetismo biblico riceve così la sua piena attuazione e diviene una vera e propria testimonianza mistica: non solo parlare stiano si riconosce dall’attitudine a situarsi all’interno del proprio tempo portando comunque la disposizione alla speranza»2. Il Vangelo non è finito, questa è la verità. Ogni volta che un innocente è chiamato a soffrire, Cristo torna a crocifiggersi con lui. Può sembrare un pensiero terribile quello di un Dio disarmato che non può fare altro, davanti al nostro dolore, che rinnovare il proprio sacrificio, ma «che cosa c’è, riflettendoci bene, di più consolante che questa solidarietà, non di forza e di giustizia, ma di compassione e d’amore? E in verità è questo semplicemente […]: la croce di Dio ha voluto essere il dolore di ciascuno; e il dolore di ciascuno è la croce di Dio»3. In questa prospettiva Cristo non ci ha dettato una verità, ma ci ha lanciati in un’avventura e il profeta non è chi parla come un oracolo, ma «chi si mette in ascolto delle parole del mondo con le stesse orecchie di Dio e si accorge che anche le bestemmie si svelano preghiera»4. Il cristiano, ogni cristiano, già in forza del suo essere tale, è profeta. Il santo è il testimone per eccellenza della Parola perché trasforma la propria esistenza in un tentativo di reinterpretazione vissuta delle fonti evangeliche. Ciò perché la sua non è “cultura”, bensì “profezia” e porta a compimento il dirsi di Dio. La profezia cristiana, nella forma più compiuta, che è la santità, non è dunque preveggenza, ma rapporto personale con il Cristo, esperienza mistica per la forza dello Spirito Santo. Questa la convinzione di Pomilio: il Vangelo va continuamente riscritto nella carne di ogni epoca. Si comprende allora perché egli abbia voluto intestare lo studio dedicato a Benedetta così: A ogni santo che nasce è un nuovo vangelo che si scrive. «Tutto quello che ci è rimasto di lei è una specie di lunga benedizione della vita», dice M. Pomilio di Benedetta5. Non si è lamentata di ciò che le stava capitando, ma si è sempre occupata degli altri e preoccupata per loro. È, il suo, un essere per gli altri. «D’una vita che ebbe a vivere così poco per sé, essa fece dono agli altri»6. «L’amore per Dio, in lei, passa tutto attraverso il mondo […]. La vita amata e non respinta, la vita sentita come miracolo e come gioia» le farà dire “si dona come si ama” e qui troviamo «il senso della sua missione, c’è il suo insegnamento, c’è la ragione della sua gioia e del suo inno alla vita»7. Grazie, Mario Pomilio, per avercelo ricordato. su Dio, ma appartenergli ormai così radicalmente, tramite il Cristo, da essere perciò “parlati da Dio”. Il cristiano diventa contemporaneo di Cristo e scopre di essere chiamato non solo a fare il profeta, ma a “essere profezia”. E questo avviene senza dimenticare il “proprio tempo”, ma anzi partecipando pienamente agli eventi che vive1. La profezia ha dunque a che fare con la storia, con i suoi fatti ed i suoi accadimenti. Il profeta vede ciò che c’è, ma vede anche ciò che altri non vedono. Questo è possibile perché Gesù Cristo si rende sempre presente nella storia personale dei suoi discepoli e dei suoi testimoni e questi, a loro volta, diventano suoi contemporanei. Il quinto Evangelio, scritto da Pomilio non è dunque un nuovo Vangelo da aggiungere a quelli che già ci sono, ma è piuttosto l’unico vangelo di Cristo, rivissuto da ciascun credente. «Il cri- Cfr. MASSIMO NARO, Contemporaneità di Cristo e profezia. Una lettura di Mario Pomilio, in MARIO POMILIO, Pellegrino dell’Assoluto, Ed Feeria, 2010. 1 2 MARIO POMILIO, Il quinto Evangelio, Rusconi, Milano 19756, p. 16. ID., op. cit., pp. 126-127. Cfr. DIVO BARSOTTI, La religione di Giacomo Leopardi, Morcelliana, Brescia 19755. 3 4 5 In Abitare negli altri, Stilgraf, Cesena 1984, p. 222. 6 Ivi, p. 223. 7 Ivi, p. 224. l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 25 La mia vita accanto a Benedetta 1985 L’anno cominciò con una ondata di gelo eccezionale. Il 20 gennaio siamo andati a Colombare di Sirmione per l’anniversario di Benedetta. Colombare è la parrocchia di Emanuela Bianchi Porro. Anna Cappelli aveva questo desiderio, di celebrare le date di Benedetta in luoghi sempre diversi. Io le facevo presente che era giusto stare a Dovadola, dove è il suo sarcofago, ma da quell’orecchio non ci sentiva. Tuttavia lo celebrammo qui alla Badia il giorno giusto, il 23, ma in forma molto ridotta, quasi privata con l’incoraggiamento di un fedele amico di Benedetta, Nando Pulzoni, concessionario Fiat a Forlì. Queste le caratteristiche di questo anno: la triennale in settembre, organizzata tramite Comitato di difficile gestibilità, improntato quasi più alla laicità che alla religione: dovevo quasi lottare per ricavare i tempi religiosi. È questo il guaio principale dei dovadolesi: domina un senso laico; la religione deve avere sempre una presentazione “debole” perché venga almeno accettata. La promessa di aiuto fattami dal Vicario Fabiani si era concretizzata con i cappellani, prima di Rocca San Casciano, don Giovanni Amati, poi di Castrocaro, don Rino Giunchi. Ma la cosa non poté durare e allora mi mandò il cappellano per Dovadola: don Luigi Casamenti. La cosa mi emozionò parecchio: non avevo avuto mai un cappellano. Non so quanta parte potesse avere l’orgoglio, l’ambizione o cose così, però l’esperienza mi piacque. Solo che la parte positiva durò troppo poco. Il cappellano era affiliato a CL. Andava ogni giorno a Forlì per l’insegnamento della religione (motivo di sostentamento), si fermava anche a (parte XII) di don ALFEO COSTA pranzo e tornava quando… CL gli dava il “discessit”. Questo fatto mi metteva un po’ in difficoltà. Nell’autunno di quell’anno feci eseguire il restauro dei banchi della Badia. Un lavoro notevole che offrì anche l’occasione di rinnovare i nominativi di dedica. Consultai i vecchi intestatari, ne sorsero di nuovi e si cercò di sostenerne la spesa: ogni banco veniva a Allora spiegai che l’intestazione era sì occasione di un’offerta alla chiesa, per perpetuare la memoria del nominativo (specialmente se defunto), ma non di proprietà. In maniera finalmente abbastanza pacifica si arrivò a coprire tutti i 26 banchi con offerenti. Anch’io volli dedicarne uno alla memoria dei miei genitori. Il lavoro riuscì molto bene; anzi, in un no di ragazzo-padre. Infatti quando conobbe e sposò Elsa Giammarchi aveva già un figlio da una precedente relazione, di nome Leonida, che però la madre aveva abbandonato e affidato a lui. Era un uomo che aveva avuto successo. Era stato direttore delle Terme di Sirmione. Spessissimo veniva in auto con Elsa da Benedetta. Negli ultimi anni però non era più in grado di condurre l’auto. Il particolare che una volta mi raccontò è che la malattia di Benedetta lo aveva fortemente angustiato e portato alla ribellione vera e propria a Dio, perché vedeva la purezza, la “santità” di sua figlia, e considerava la malattia come una punizione, e diceva: ma perché! se non lo merita lei di essere ben voluta da Dio con la salute! Certamente sentiva tutta l’umiliazione di un padre ricco che però non poteva ottenere nulla per la salute della figlia. Ma un giorno in cui c’era stata una celebrazione in Badia di una data di Benedetta, terminato tutto, non c’era più nessuno, io uscivo di sagrestia e trovai ancora in chiesa l’ingegnere. Mi disse: «Non credevo che Iddio avesse un progetto così su mia figlia». Aveva molto corretto il suo rapporto con Dio. costare più che a farlo nuovo. Si dovette affrontare il concetto di proprietà: l’intestatario si considerava proprietario e quindi esclusivo utente. Praticamente un’altra persona poteva inserirsi in quel banco solo col consenso dell’intestatario. Trattandosi di una chiesa in cui vengono spesso persone esterne, specialmente per Benedetta, mai più poteva sussistere una simile maniera: che un forestiero potesse essere allontanato per lasciare il posto al “proprietario” (cosa che era avvenuta in un lontano passato). banco comparve perfino la data di costruzione: 1826. Al che feci lasciare in evidenza quella data, come anche i fori di alcuni banchi nella destra, perché causati da schegge di guerra entrate (mi si disse) dalla porta aperta perché una bomba era scoppiata davanti alla chiesa. In autunno morì a Sirmione il papà di Benedetta, Guido Bianchi Porro. Da quando conobbi l’ingegnere Guido mi accorsi che era una persona intelligente e anche umile, considerando il suo abbigliamento sempre dimesso. Deve essere stato un antesigna- 1986 Mi trascinavo la situazione di difficile collaborazione col cappellano. E dire che mi fece effetto sapere che quando lui nacque io ero già sacerdote. In ogni anno nuovo ci si trova subito con la data dell’anniversario di Benedetta. Quell’anno lo celebrammo in modo abbastanza… casalingo. Era un giovedì e prima di tutto venne celebrato a San Mercuriale alle 17.30, poi alle 20 alla Badia, con alcuni nostri sacerdoti limitrofi. Continua a pag. 26 26 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 Continua da pag. 25 Altro avvenimento riferito a Benedetta fu la celebrazione dei cinquant’anni dalla nascita. Anna scelse anche questa volta la data del 25 aprile. A dare lustro a questa data venne il cardinale Carlo Maria Martini arcivescovo di Milano. A chi gli rivolse l’invito disse: «Non ho ancora visitato tutta la mia diocesi, ma per Benedetta verrò. Mi interessai presso la sua segreteria per sapere se fosse venuto anche a Dovadola, ma il tempo ristretto non glielo consentì. La celebrazione fu fatta in cattedrale: l’arrivo solenne e la S. Messa con tanti sacerdoti, trasmessa da TeleRomagna. Nel pomeriggio ci fu anche l’incontro degli amici a Dovadola alle 16, fatto di preghiere e testimonianze. Intanto si avvicinava la emozionante venuta del papa Giovanni Paolo II in Romagna, cominciando da Forlì. Fu una cosa veramente storica. Il programma papale prevedeva la visita a tutte le diocesi della Romagna: Forlì, Cesena, Imola, Faenza, Ravenna e Cervia. L’8 maggio era il primo giorno e iniziava da Forlì. Preparativi incredibili. Arrivo in elicottero, incontro con la città nel piazzale della Vittoria, percorso in auto fino al duomo. Con un gruppo di persone, anche di Dovadola. Ci ritrovammo nella piazza del Duomo. Io ero con le classi della Scuola Media. Secondo momento: la Messa in piazza Saffi nel pomeriggio. Il programma prevedeva che a Forlì il Papa amministrasse il battesimo ad alcuni bimbi, mentre nelle altre diocesi avrebbe amministrato gli altri sacramenti. Ero anch’io fra i concelebranti, non quelli che salirono sul palco, ma i tanti sistemati in piano davanti all’altare. Cosa particolare per me fu questa: terminata la Messa, e scesi tutti dal palco, il Papa era andato nella Sala Albertini, per il cambio di abiti. Io ero salito sul palco, non ricordo perché. Mentre ero su, il Papa passò sotto e alzò lo sguardo verso di me. Io gli tesi la mano ed egli me la diede: io dall’alto, il Papa dal basso; la cosa mi fece effetto. Il pranzo al Papa fu servito nell’Istituto delle Suore Dorotee, mentre i pernottamenti sono stati tutti all’Abbazia del Monte di Cesena. All’indomani ci fu il raduno dei sacerdoti di Romagna col Papa all’Abbazia di Cesena. Anche in quella occasione potei dargli la mano. Durante i giorni della visita papale, una sera a Ravenna hanno offerto la cena al Papa. Questa cena venne preparata della ditta faentina Gemos, che gestiva anche la Casa del Portuale a Dovadola. Il gestore capo Donati mi chiese una sedia degna del Papa (si vede che là non l’avevano). Io gli diedi una di quelle della Badia, non la grande perché non si riusciva a caricarla in auto. Sicché mi sono trovato ad avere anche qui un ricordo di Giovanni Paolo II, per cui misi sulla sedia un biglietto in memoria. I cinquant’anni di Benedetta furono organizzati anche a Ostuni di Brindisi e fummo invitati anche noi. Andammo in quattro con la mia auto Volkswagen Jetta: io come autista, Alessandro Riva, mamma Elsa e Anna Cappelli. Laggiù ci ospitarono in un palazzo principesco, ancora proprietà di Rosetta Sansone, amica di Benedetta. La celebrazione fu fatta la domenica 20 luglio con la partecipazione dell’arcivescovo di Bari mons. Mariano Magrassi, grande ammiratore di Benedetta, che già era venuto a Dovadola. In quei pochi giorni che rimanemmo laggiù, io volli fare un po’ di turismo. Infatti all’indomani, insieme ad Alessandro, mi ripromisi di fare il giro del Salento. Sosta a Brindisi, poi a Lecce. Qui però non potemmo visitare le famose chiese del barocco pugliese perché arrivammo a mezzogiorno, ed erano tutte chiuse. Dopo la sosta logistica del pranzo, ci rimettemmo in marcia per raggiungere Calimera. Mi premeva quella puntata per visitare un amico di Benedetta, il quale scriveva molto spesso e desiderava tenere corrispondenza. Giunti che fummo, cercai il recapito e quando suonammo alla casa di Renato Gabrieli, io avevo in mano la busta di una lettera non spedita. Gli chiesi, mostrando l’indirizzo suo: «Sei tu questo?». Risposta: «Sì. Ebbene, io sono quest’altro». E gli mostravo il mittente. Al che mi si gettò al collo con una effusione incredibile e commosso fino alle lacrime. Notai che soffriva di depressione e che aveva molto bisogno di effusioni. Ci fermammo un poco, ma il viaggio era ancora lungo e quindi al momento di doverci congedare mi chiese: «Scrivimi qualcosa in un foglio di carta perché possa poi rendermi conto che questo non era un sogno, ma una realtà». Breve sosta anche a Otranto e poi giù lungo la litoranea. Paesaggio veramente bello, con tante grotte sulla costa del mare. Finalmente arrivammo a Santa Maria di Leuca. Mi sono sentito emozionato sul piazzale del santuario affacciato sui due mari. Quello il tacco d’Italia, oltre c’è il Medioriente. Il ritorno era di molti chilometri e dovetti andare sollecito senza pensare a soste. Fortuna che le strade laggiù sono belle larghe e non tanto trafficate. Nel viaggio dell’indomani di ritorno verso casa facemmo sosta al Santuario dell’Incoronata di Foggia. Intanto si faceva vicino la data esatta del 50° compleanno di Benedetta, cioè l’8 agosto. Era giusto solennizzare più del solito quella data, e venne fatto degnamente con l’apposizione della lapide sulla casa natale in Dovadola via Rio Castello n° 2 e lo scoprimento solenne della medesima. Quel pomeriggio si svolse così: celebrazione della Messa davanti alla casa natale, occupando tutta la via. In alto venne posizionato l’altare e giù tutta la gente. Presiedeva mons. Giovanni Proni nostro vescovo e con lui il Vicario episcopale di Verona, poi don Mario Forani, don Marino Tozzi, don Giovanni Amati, don Otello Valmori (segretario del vescovo), don Ernesto Leoni, don Luigi Casamenti (mio cappellano). Erano intervenuti anche alcuni seminaristi di Rimini. Al termine della Messa lo scoprimento della lapide per mano del vescovo. Fu una cosa senz’altro degna. Io mi occupai della… regia. Sempre nel programma del 50° compleanno, Anna fece innalzare una grande croce a Marzano, in posizione prospiciente il paese di Dovadola, illuminata di notte, cosicché si poteva vedere da lontano. Il 14 settembre facendo l’inaugurazione di quella croce io feci la benedizione. In quell’anno volemmo anche dare rilievo, perché si stabilisse una consuetudine, al 23 di ogni mese. Lo facemmo la prima volta il 23 di ottobre, io dissi la Messa alle 20 presso il sarcofago di Benedetta. Continuava anche la Giornata dell’Ammalato, presso Benedetta quale esempio mirabile di come si porta la croce del dolore: il 26 ottobre, ci fu molta partecipazione. Dovetti prendere di petto la questione del cappellano, che non era quasi mai presente. Al Vicario Generale mons. Giuseppe Fabiani feci questo ragionamento: «Preferisco esser da solo sapendolo, che dovermici trovare pensando di essere in due». E fu così che venne trasferito nella parrocchia di Coriano assieme ad un altro ciellino, chissà che l’intesa potesse essere più piena. Esperienza molto breve (undici mesi) quella del cappellano. Nel dicembre, poco prima di Natale morì don Afro Leoni, parroco di Villa Renosa, nel nostro circondario, all’età di 66 anni, così diminuiva anche sulla carta il numero dei sacerdoti locali: rimanevamo io e don Zauli, più i frati di Montepaolo. (continua) Grazie Benedetta! l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 27 Situazioni clinicamente disperate, positivamente risolte dopo la richiesta al Signore della grazia con l’intercessione di Benedetta: ne racconta una Giuseppa P. nella testimonianza, pubblicata nel numero precedente de “l’annuncio”, su una imprevista straordinaria guarigione di un parente. La famiglia ha raccolto la documentazione medica, che è stata trasmessa al P. Postulatore ed al Vice Postulatore per una prima valutazione del caso. Così iniziano quegli approfondimenti che, con vari passaggi, potrebbero portare la Chiesa a riconoscere come miracoloso il fatto, passaggio fondamentale perché Benedetta possa essere riconosciuta dalla Chiesa come beata e poi, con un altro miracolo riconosciuto, come santa. Per questo è importante raccogliere le testimonianze che indicano anche la continuità delle richieste di Preghiera per la glorificazione di Benedetta Bianchi Porro Padre nostro, noi ti ringraziamo per averci donato in Benedetta una cara sorella. Attraverso la gioia e il dolore di cui hai riempito la sua breve giornata terrena, Tu l’hai plasmata quale immagine viva del tuo Figlio. Con Benedetta al nostro fianco ti chiediamo, Padre, di poterci sentire più vicini a te e ai fratelli, nell’amore, nel dolore e nella speranza. In una accettazione piena e incondizionata del tuo disegno. Fa’ che la sua testimonianza così radicale della potenza salvifica della croce c’insegni che il dolore è grazia e che la tua volontà è gioia. Concedi, o Padre, la luce del tuo Spirito alla Chiesa, affinché possa riconoscere Benedetta fra i testimoni esemplari del tuo amore. Questa grazia ...... che per sua intercessione umilmente ti chiedo, possa contribuire alla glorificazione della tua serva Benedetta. Amen. con approvazione ecclesiastica grazie con l’intercessione specifica di Benedetta e così il lavoro del Postulatore e del Vice può andare avanti. Molti lettori si chiedono a che punto sia la Causa di beatificazione, visto che il 17 marzo 2014 il P. Postulatore aveva già portato alla Congregazione vaticana competente il materiale su un presunto miracolo avvenuto a Genova il 3 settembre 1986. Le novità sono le seguenti. La documentazione, corredata anche da un Summarium, una specie di indice ragionato di tutto il materiale consegnato, è stata acquisita regolarmente agli atti e viene esaminata dalla Congregazione che ne verifica l’autenticità. Dopo la verifica, se con esito positivo, essa sarà consegnata a tempo debito, rispettando eventuali precedenze, a due periti, scelti dalla Congregazione, che la esamineranno. Se il parere dei due periti, o almeno di uno, sarà favorevole, il plico sarà trasmesso ad una Commissione di cinque medici di alto livello che esprimeranno un parere sull’inspiegabilità medica della guarigione. Dopo il superamento anche di questo passaggio, sarà convocata la Consulta medica formata da sette medici che esprimerà, a maggioranza di almeno quattro su sette, un parere. Se anche questo sarà favorevole, la causa andrà avanti presso la Commissione teologica che valuterà se il fatto straordinario di cui parlano i medici sia attribuibile all’intercessione di Benedetta. Se sarà superato anche questo esame, si riunirà in sessione la cosiddetta “Ordinaria”, una commissione di una decina di persone, formata da Cardinali, Vescovi, con un Arcivescovo, con un “officiale” come segretario, per stilare per il Papa il definitivo parere sul presunto miracolo per intercessione di Benedetta. Al Papa spetterà la decisione finale. A quel punto si saprà se Benedetta sarà beata per la Chiesa. Tutti questi passaggi richiedono tempo, nel contesto di un processo serio e documentato. Seguiamo con la preghiera l’attività del Postulatore e del Vice e anche quella delle Commissioni e degli esperti che lavorano alla Causa. Importante, non ci stanchiamo di ripeterlo, è anche la segnalazione di nuove grazie ottenute con l’intercessione di Benedetta. Le relative testimonianze vanno inviate a: Postulatore della Causa di Beatificazione P. GUGLIELMO CAMERA Nuovo Indirizzo: Missionari Severiani Viale San Martino, 8 43123 PARMA Tel. 0521-920511 cell. 333-2902646 E-mail: [email protected] Vice Postulatore della Causa di Beatificazione Don ALFEO COSTA Via Benedetta Bianchi Porro, 6 47013 DOVADOLA (FC) Tel., Fax e Segreteria tel. 0543- 934676 E-mail: [email protected] 28 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 Testimonianze Una nuova amica ci racconta il suo incontro con Benedetta ed alcuni importati sviluppi. Dal Canada a Dovadola e poi… di Lucinda Mary Vardey (Toronto) Ho incontrato Benedetta tre anni fa, dopo la celebrazione della Messa, in un antico Eremo Francescano di Montecasale, su una collina vicina a Sansepolcro. Tra i vari libri di San Francesco, Santa Chiara e San Pio si evidenziava la foto di una giovane donna, moderna. Chi era? Il libro parlava di lei. Mio marito che conosce l’italiano mi ha tradotto ogni pagina in inglese, e mentre si lavorava insieme, giorno dopo giorno, nella nostra casa toscana, questa straordinaria storia di sofferenza, fede e gioia, vissuta nell’abbandono assoluto alla volontà del Signore, ha cominciato a toccarmi profondamente. Benedetta era entrata nella nostra vita. In un assolato giorno d’estate, ho raccolto dei boccioli di rose da portare alla sua tomba e siamo andati in macchina a Dovadola, attraversando colline e strade di campagna. Arrivati alla Abbazia di Sant’Andrea, abbiamo parcheggiato e, prendendo le rose, grande è stata la nostra sorpresa: le rose erano tutte sbocciate. Ci è sembrato un segno. Ho deposto le rose sul suo sarcofago, mi sono inginocchiata ed ho pregato, prima di visitare la sua stanza col suo letto. Abbiamo incontrato don Alfeo Costa che, dopo averci cordialmente salutati, ci ha accompagnati nella stanza di Benedetta e poi ci ha fatto visitare anche il Museo che si trova in paese. Ci ha dato dei libri, tra cui quello scritto da Timothy Holme [Benedetta o la percezione della gioia; N.d.R.] che più tardi ho letto con grande interesse. Leggendo le lettere di Benedetta e le esperienze dei suoi amici, ho conosciuto attraverso di esse anche le grandi premure e la grande intelligenza con cui Elsa, sua madre, l’ha amata e seguita. Benedetta ha scoperto lo scopo della sua vita nella saggezza dei Vangeli e nelle Lettere di San Paolo. Ho cominciato a capire come lei mi stava aiutando a sopportare non solo le mie sofferenze, ma mi stava indicando la strada per amare e vivere con una malattia debilitante. È stato per me un messaggio di grande speranza. Ho cominciato a vivere la sua storia tanto singolare come un dono, un grande dono insieme alle altre figure eroiche del suo periodo, Etty Hillesum, Edith Stein e Simon Weil. Le sue parole le coglievo mano a mano in tutta la loro autenticità e teologica originalità. Sebbene sostenuta dall’esempio di tanti Santi, la Via Dolorosa di Benedetta non era come tutte le altre. La sua era la risposta di una persona combattuta e vinta, tormentata dal dolore e dalla sofferenza, e tuttavia purificata, nella luce, nella serenità e nella bellezza. La purezza della sua anima era il segno inconfondibile di quello che il Signore voleva che Lei diventasse. Sono stata colpita dalle sue parole «il mio spirito continuerà a vivere qui tra coloro che soffrono così che anch’io non avrò sofferto invano» ed ho sentito la responsabilità di tenere vivo il suo esempio, in modo che altri fossero toccati dalla sua vita e trovassero la loro strada per arrivare al Signore, specialmente … Reading Benedetta’s letters and the stories of her friends, learning about her mother, Elsa’s care and the intelligence with which Benedetta loved and discovered the purpose of her life in the wisdom of the gospels and the epistles of St. Paul, I began to realize how she was not only helping me cope with my own sufferings, but was showing how to love in severe suffering - in short how to love and live with a debilitating ill-ness. Therein her message of hope. And so I began to write her story as one unique and as powerfully present as those other heroic icons of her age, Etty Hillesum, Edith Stein and Simone Weil. As I noted her words I began to gauge not only their authenticity but their theological originality. nella sofferenza. Sono certa che Benedetta ci guiderà in questo cammino che si sta sviluppando in Canada dove vivo durante i mesi invernali. Come responsabile di una nascente comunità a Toronto, chiamata “Le donne contemplative di Sant’Anna”, ho invitato a studiare le donne sante e consacrate della nostra Chiesa, in modo da scoprire e definire una teologia specifica per le donne. Attualmente ci stiamo documentando sul breve percorso di Santa Teresa di Lisieux, leggendo la sua autobiografia, le sue lettere e le massime. Ci sembra giusto terminare i nostri studi con “l’Offerta all’Amore Misericordioso” che ha ispirato Benedetta negli ultimi momenti della sua vita. E naturalmente, presteremo la dovuta attenzione all’amorevole figlia di Santa Teresa, Benedetta Bianchi Porro, per cominciare a scoprire una donna del nostro tempo. Una donna che certamente ci ispirerà, ma soprattutto ci insegnerà come vivere, come amare e come accogliere la volontà del Signore in tutta la sua pienezza. In Canada pregheremo per il riconoscimento ufficiale della santità di Benedetta e, possiamo dire, perché sia proclamata “Dottore della Chiesa”? (Traduzione dall’inglese di Maria Epifani che ringraziamo) Testimonianze l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 29 La mia vita è stata molto difficile e sofferta, il Signore comunque ha avuto per me sempre un’infinita misericordia. […] tra tutte le anime in odore di santità, per me la Venerabile Benedetta è la prediletta. Giorgio C. Celano (AQ), Natale 2014 Dovadola 9 gennaio 2015 - Il vescovo di Senigallia mons. Giuseppe Orlandoni con un gruppo di sacerdoti è accolto dal vescovo Lino Pizzi alla Badia di Dovadola (Foto Conficoni). Durante un viaggio verso Milano, il vescovo di Senigallia mons. Giuseppe Orlandoni, accompagnato da un gruppo di sacerdoti, ha fatto una piccola deviazione per pregare alla Badia di Dovadola, accolto dal vescovo di Forlì-Bertinoro mons. Lino Pizzi e da don Alfeo Costa, che ha fatto da guida agli ospiti nella breve gradita visita. Dovadola, 24 maggio 2015 - Rappresentanti del folto gruppo degli Amici di Bassano, con don Alfeo Costa, al centro, e con la nostra presidente Liliana Fabbri Selli, a destra della signora con la ceramica (Foto Conficoni). A Benedetta Dovadola, 25 gennaio 2015 L’emozione coglie il mio cuore, mentre seguo i preparativi per la Santa Messa. Ascolto il coro che sta provando il tuo canto, il mio pensiero corre a te: ti vedo ancora, quando nel tuo letto di sofferenza davi coraggio e forza a chi veniva per confortarti ed usciva confortato da quella stanza. Guardo il Cristo in Croce e vedo una celestiale fanciulla ai piedi della Croce, ed il mio pensiero corre a te, che, diafana come la madreperla rilucente, giacevi nel tuo letto di sofferenza. Sofferenza materiale, corporea, fisica, ma non spirituale, perché da te usciva una luce vivida, colma di energia ultraterrena che trasmettevi a tutte le persone che erano venute per portarti un saluto. Sei qui con noi, ed io sento la tua presenza più che mai. Il mio cuore palpita fortemente, sono emozionata, emozionata di essere qui perché l’anno passato non ho potuto essere presente al tuo 50º, però la tua grandezza era nel mio cuore, piena d’amore e libera come un volo di colomba portatrice di pace amicizia. “Ciao Benedetta” accompagnaci sempre, non lasciarci a noi stessi, tendici la tua mano e noi ti seguiremo con fede. Ines Micucci 30 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 Benedetta in Internet • Ho colto occasionalmente qualche battuta di un dialogo tra alcune nonne, non proprio minorenni, che parlavano delle foto dei nipoti che mandavano e ricevevano sui loro telefonini, usando con apparente disinvoltura “Whatsapp”, un’applicazione che facilita queste operazioni. Mi sono detto allora che forse si era aperta una breccia tecnologica nel muro tra bambini, ragazzi, “nativi digitali”, e gli adulti. D’altra parte, pensavo ai ragazzi e, ahimè, anche ai non ragazzi, esposti spesso a pesanti dipendenze dal mezzo tecnologico. Mi pare che il modo più facile per cadere in queste dipendenze sia la convinzione che esse capitino soltanto “agli altri”, mentre noi siamo naturalmente superiori e vaccinati per queste malattie. Mi ha fatto riflettere su questo fenomeno un breve articolo su cui vale la pena di riflettere: «Ormai è difficile essere qui e adesso. L’impressione è che tutti siano/siamo fisicamente in un posto, ma con la testa ed il cuore altrove; c’è sempre un altrove che dovrebbe essere mi- gliore, più interessante e più urgente che l’adesso e qui. Anche quando si parla con un vicino la precedenza l’ha la notizia, l’informazione che si intrufola, il bip del telefonino; una telefonata ha normalmente la priorità su quel che si sta facendo, anche fra noi. Noi teniamo nelle mani i cellulari ma sono loro che tengono in mano noi. Ma non è che ora l’abbondanza, la facilità, l’onni- a cura di Gianfranco A. presenza, l’invadenza delle comunicazioni impediscono di comunicare veramente? La facilità non impedisce forse di avere rapporti umani, cioè veri rapporti con un numero magari limitato di persone e diluisce in una mutevole molteplicità di conoscenze intercambiabili quella misura di amore, non infinita, che ciascuno di noi, nei suoi limiti può dare? Stare dove si è, fare quel poco che ci è dato da fare oggi, anzi adesso e qui, donare quel che ci è dato di donare, non disperdersi, coscienti che per quanto facciamo, un giorno il mondo farà a meno di noi» (da ”Comunicare e condividere”, n. 392, marzo 2015, cfr. pp. 5-6). A questo proposito, dobbiamo scoprire tutti l’attualissimo richiamo all’essenziale di Benedetta, quando dice, quasi rivolgendosi al nostro quotidiano rumore comunicativo: «Nel mio deserto, mentre cammino Lui è qui, mi sorride, mi precede, m’incoraggia a portarGli qualche briciola d’amore». C’è un silenzio che dobbiamo quotidianamente scoprire per ascoltare il Signore e coloro che ci ha messo sul nostro cammino. Accompagnati da questa consapevolezza, che ogni giorno si rinnova, è bellissimo pensare alla comunicazione in rete e alle possibilità oggi offerte. Gli Amici di Benedetta si possono sentire e vedere anche a distanza di centinaia o di migliaia di chilometri e possono comunicare in modo interattivo. C’è chi lo fa con successo, come abbiamo potuto vedere in una pagina di facebook dedicata a Benedetta Bianchi Porro, con vari interventi, commenti e immagini. Esploratela e vedete chi la anima. La pagina è arrivata a 1041 contatti con la valutazione “Mi piace”. Se son rose bianche, fioriranno ancora… • Guardate anche il nostro sito www.benedetta.it. Troverete anche il testo integrale della relazione dello psichiatra e psicanalista dott. Pierluigi Moressa Alla fine dei giorni: la mente dell’uomo di fronte al dolore e alla speranza e quella del teologo mons. Franco Giulio Brambilla, su Il tempo della sofferenza: una sfida per lo spirito. Il nuovo Consiglio direttivo della Fondazione “Benedetta Bianchi Porro” La Fondazione “Benedetta Bianchi Porro” ha un nuovo Consiglio direttivo, allargato, a seguito di una modifica statutaria, a 7 membri, per inserire un/una rappresentante dell’“Associazione per Benedetta Bianchi Porro” e un/una rappresentante della famiglia Bianchi Porro. Il Consiglio, nominato con decreto del vescovo di Forlì-Bertinoro mons. Lino Pizzi, è formato da: mons. Dino Zattini, vicario emerito della Diocesi di Forlì-Bertinoro (presidente); don Alfeo Costa (vicepresidente); Caterina Gorlani, componente in rappresentanza della Famiglia Bianchi Porro (segretaria); Jolanda Bianchini (componente); Carlo Giannelli (tesoriere); Alvaro Ravaglioli (componente); Gaspare Cremonesi (componente in rappresentanza dell’“Associazione per Benedetta Bianchi Porro”). Auguriamo buon lavoro al nuovo Direttivo che deve affrontare una onerosa gestione degli adempimenti statutari previsti. Per un opportuno orientamento dei lettori elenchiamo gli scopi della Fondazione, ricavati dal primo articolo dello Statuto vigente. «L’Ente di religione “Fondazione Benedetta Bianchi Porro”, istituita con decreto vescovile dell’08.12.1986 e con sede in Vescovado, Piazza Dante 1, 47100 Forlì, ha come scopo: – la valorizzazione del messaggio di fede di Benedetta Bianchi Porro dato con una vita esemplarmente cristiana e con scritti di alta spiritualità, per una catechesi rivolta specialmente ai giovani, agli ammalati e a chi non riesce a trovare un senso religioso alla sua vita; – lo studio e l’approfondimento degli scritti di Benedetta; – la diffusione della sua conoscenza, con la promozione e il sostegno di tutte le iniziative atte a questo scopo: stampa, conferenze, pellegrinaggi, manifestazioni religiose ad altre attività volte allo scopo anzidetto in collegamento con Enti ed Istituzioni Pubbliche e Private; – la promozione di giornate di ritiro spirituale per giovani e adulti dei diversi movimenti, gruppi, associazioni ecclesiali, ammalati; – la prosecuzione della causa di beatificazione di Benedetta; – la custodia del suo monumento sepolcrale nell’Abbazia di Dovadola, la celebrazione con Sante Messe dell’anniversario della sua nascita e della sua morte, la gestione del museo sito in Dovadola e di tutte le altre proprietà mobiliari ed immobiliari inventariate in data 1/10/06». l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 ■ 31 Prossimi appuntamenti DOVADOLA – ABBAZIA DI SANT’ANDREA DOMENICA 9 AGOSTO 2015 ore 10,30 per il 79º anniversario della nascita al cielo di BENEDETTA Solenne Concelebrazione Eucaristica mons. presieduta da ANDREA TURAZZI Vescovo di San Marino-Montefeltro con la partecipazione di S. E. mons. LINO PIZZI Vescovo di Forlì-Bertinoro ore 12,30: pranzo insieme nel Ristorante Albergo “Rosa bianca” di Dovadola Durante la S. Messa sarà ricordata anche l’indimenticabile ANNA CAPPELLI nel 10º anniversario della sua nascita al cielo Sabato 8 AGOSTO 2015 alle ore 18 nella chiesa di SAnTA MARiA dELLA nEvE al centro storico di Sirmione una S. Messa sarà celebrata da mons. PAOLO RAbiTTi arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio nell’anniversario della nascita della venerabile benedetta bianchi Porro AvviSi dA SiRMiOnE 32 ■ l’annuncio (XXX) maggio 2015 – n. 79 L’ annuncio è sostenuto soltanto con le offerte degli Amici. Un grazie di cuore a tutti i benefattori che, con il loro aiuto e la loro generosità, ci permettono di continuare la diffusione del messaggio di Benedetta nel mondo. IMPORTANTE Chi desidera partecipare al “pranzo insieme” di domenica 9 agosto 2015 alla “Rosa bianca” è pregato di rivolgersi a “Amici di Benedetta”, Casella Postale 62 – 47013 Dovadola, o telefonando a Don Alfeo Costa, parroco di Dovadola, (0543 934676: tel., fax e segreteria telefonica) entro il 5 AGOSTO 2015. Chi avesse bisogno di alloggiare presso la “Rosa Bianca” è pregato di interpellare direttamente il gestore Moreno Pretolani allo 349 8601818 in lingua straniera «bEYOnd SiLEnCE» («Oltre il Silenzio» in inglese) «Amici di Benedetta» Forlì «MAS ALLA dEL SiLEnCiO» («Oltre il Silenzio» in spagnolo) «Amigos de Benedetta» Bilbao «MAS ALLA dEL SiLEnCiO» («Oltre il Silenzio» in spagnolo) Ed. Claretiana - Buenos Aires «AU dELÀ dU SiLEnCE» («Oltre il Silenzio» in francese) Editions de l’Escalade - Paris «UbER dAS SCHWEiGEn HinAUS» («Oltre il Silenzio» in tedesco) Freundeskreis «Benedetta» - Hamburg «CUdO ZivOTA» («Il Volto della Speranza» in croato) a cura di Srecko Bezic - Split «ObLiCZE nAdZiEi» («Il Volto della Speranza» in polacco) Romagrafik - Roma «ALÉM dO SiLÊnCiO» («Oltre il Silenzio» in portoghese) Ed. Loyola - San Paulo «TRAnS LA SiLEnTiO» («Oltre il Silenzio» in esperanto) Cesena - Fo «dinCOLO dE TACERE» («Oltre il Silenzio» in rumeno) Chisinau, Rep. Moldava «SESSiZLiGin IÇINDEN» («Oltre il Silenzio» in turco) Iskenderun «TÙLA CSEndEn» («Oltre il Silenzio» in ungherese) Budapest, 1997 «OLTRE iL SiLEnZiO» in giapponese - Tokio «OLTRE iL SiLEnZiO» in arabo - Beirut «OLTRE iL SiLEnZiO» in ebraico «OLTRE iL SiLEnZiO» in russo - Bologna «OLTRE iL SiLEnZiO» in cinese - Taipei «OLTRE iL SiLEnZiO» in maltese - La Valletta «OLTRE iL SiLEnZiO» in slovacco - Trnava «OLTRE iL SiLEnZiO» in swahili - Nairobi «bEnEdETTA» M.G. Dantoni, opuscoli in inglese, francese, spagnolo, russo, tedesco, thailandese, ucraino, bulgaro «bEnEdETTA» opuscolo in indonesiano, a cura di Fr. Antonio Carigi Per conoscere benedetta SiATE nELLA GiOiA - Diari, lettere, pensieri di Benedetta Bianchi Porro, a cura e con introduzione di David M. Turoldo - Cesena «Amici di Benedetta» - Villanova del Ghebbo (Ro) - pp. 255. iL vOLTO dELLA SPERAnZA - Note biografiche. Lettere di Benedetta e lettere di amici a Benedetta. Testimonianze di amici che l’hanno conosciuta, a cura di Anna Cappelli - Cesena - «Amici di Benedetta» pp. 480. OLTRE iL SiLEnZiO - Note biografiche. Diari e lettere di Benedetta. Lettere degli Amici a Benedetta. Testimonianze di chi l’ha conosciuta, a cura di Anna Cappelli - «Amici di Benedetta» - pp. 168. TESTiMOnE di RESURREZiOnE - Pensieri di Benedetta disposti seguendo il suo itinerario spirituale, a confronto con passi della Sacra Scrittura, presentazione di Enrico Galbiati - Cesena - «Amici di Benedetta» - pp. 152. PEnSiERi 1961 - Pensieri autografi di Benedetta, tratti dal suo diario Forlì - «Amici di Benedetta» - pp. 180. PEnSiERi 1962 - Pensieri autografi di Benedetta, tratti dal suo diario Ravenna - «Amici di Benedetta» - pp. 200. bEnEdETTA biAnCHi PORRO - I suoi volti - Gli ambienti - I documenti, a cura di P. Antonino Rosso - «Amici di Benedetta» 2006 - pp. 255. vivERE È bELLO - Appunti per una biografia di benedetta bianchi Porro, di Emanuela Ghini, presentazione del Card. A. Ballestrero - Cesena - «Amici di Benedetta» - pp. 200. bEnEdETTA - Sintesi biografica a cura di Maria G. Dantoni - Stilgraf Cesena - pp. 32. bEnEdETTA di Alma Marani - Stilgraf - Cesena - “Amici di Benedetta” pp. 48. bEnEdETTA biAnCHi PORRO di Walter Amaducci - Stilgraf - Cesena, 2012 - pp. 30. bEnEdETTA biAnCHi PORRO di Walter Amaducci - Stilgraf Cesena, 2014 - pp. 30 (in lingua inglese). bEnEdETTA biAnCHi PORRO di Andrea Vena. Biografia autorizzata Ed. S. Paolo - pp. 221. SCRiTTi COMPLETi di Benedetta Bianchi Porro, a cura di Andrea Vena Ed. San Paolo - pp. 815. AbiTARE nEGLi ALTRi - Testimonianze di uomini di oggi su Benedetta, lettere, discorsi, studi, meditazioni - Cesena - «Amici di Benedetta» - pp. 416. LA STORiA di bEnEdETTA - Narrata ai bambini, di Laura Vestrucci con illustrazioni di Franco Vignazia - «Amici di Benedetta» - pp. 66. diO ESiSTE Ed È AMORE - Veglia di preghiera sulla vita di Benedetta di Angelo Comastri - «Amici di Benedetta» - pp. 33. OGGi È LA MiA FESTA - Benedetta Bianchi Porro nel ricordo della madre, di Carmela Gaini Rebora - Ed. Dehoniane - pp. 144 - Ristampato. bEnEdETTA biAnCHi PORRO - LETTERA vivEnTE - Scritti di sacerdoti e di religiosi alla luce della parola di Benedetta - Cesena «Amici di Benedetta» - pp. 256. bEnEdETTA O LA PERCEZiOnE dELLA GiOiA - Biografia di Timoty Holme - Gabrielli Editore, Verona - pp. 230. APPROCCiO TEOLOGiCO AL MiSTERO di bEnEdETTA biAnCHi PORRO del Card. Giacomo Biffi - Cesena - «Amici di Benedetta». bEnEdETTA biAnCHi PORRO di Piero Lazzarin, Messaggero di Sant’Antonio - Padova 2006 - pp. 221. iL SAnTO ROSARiO COn bEnEdETTA a cura della Parrocchia di Dovadola. L’AnELLO nUZiALE - La spiritualità “sponsale” di benedetta bianchi Porro, di E. Giuseppe Mori, Quinto Fabbri - Ed. Ave, Roma 2004 pp. 107. CASSETTA REGiSTRATA dELLE LETTERE di bEnEdETTA a cura degli «Amici di Benedetta». CARO LibRO - Diario di Benedetta, illustrato con 40 tavole a colori dagli alunni di una IV elementare di Lugo (Ra) con presentazione di Carlo Carretto e Vittorio Messori - pp. 48 formato 34x49 Ed. Morcelliana. ERO di SEnTinELLA di Corrado Bianchi Porro. La lettera di benedetta nascosta in un libro - Ed. S. Paolo. QUALCHE COSA di GRAndE di Walter Amaducci - Ed. Stilgraf, Cesena 2009 - pp. 120. i dOLCi vOLTi di diO di Maria Grazia Bolzoni Rogora - Ed. Stilgraf, Cesena 2014 - pp. 156. FiLMATO SU bEnEdETTA (documentario) in videocassetta. dvd bEnEdETTA biAnCHi PORRO - Testimonianze (filmato in Dvd). L’AnnUnCiO - semestrale a cura degli «Amici di Benedetta». LETTERA A nATALinO di Benedetta Bianchi Porro. Illustrazioni di Roberta Bössmann Amati - Ed. Stilgraf Cesena - pp. 24. bEnEdETTA biAnCHi PORRO Un cammino di luce di Piersandro Vanzan, Prefazione del Card. Angelo Comastri, Editrice Velar, Gorle (BG), 2011 - pp. 48. QUAdERni di bEnEdETTA 1 - benedetta bianchi Porro. il cammino verso la luce, di don Divo Barsotti, Fondazione Benedetta Bianchi Porro e Associazione per Benedetta Bianchi Porro, 2007 - pp. 46. QUAdERni di bEnEdETTA 2 - benedetta bianchi Porro. dio mi ama, di Angelo Comastri, Fondazione Benedetta Bianchi Porro e Associazione per Benedetta Bianchi Porro, 2008. Postulatore della Causa di Beatificazione Padre GUGLIELMO CAMERA Missionari Saveriani - Viale S. Martino, 8 - 43123 PARMA tel. 0521 9200511 - cell. 333 2902646 - e-mail [email protected] Vice Postulatore della Causa di Beatificazione Don ALFEO COSTA Via Benedetta Bianchi Porro, 6 - 47013 Dovadola (FC) tel. e fax e segreteria 0543 934676 - e-mail [email protected] Per comunicare con noi, per richiedere libri o altro materiale potete rivolgervi a: AMiCi di bEnEdETTA Casella postale 62 - 47013 Dovadola (FC) - Tel. 0543 934676 E-mail: [email protected] oppure [email protected] – http: //www.benedetta.it c/c postale 1000159051 (Codice IBAN IT 88 Y 07601 13200 001000159051) intestato a Fondazione Benedetta Bianchi Porro Forlì D. Lgs 196/03 “Codice in materia di protezione dei dati personali” - Il suo indirizzo fa parte dell’archivio de “l’annuncio”. In virtù di questo, nel pieno rispetto di quanto stabilito dal D.Lgs 196/03 “Codice in materia di protezione dei dati personali” lei ha l’opportunità di ricevere la nostra rivista. 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