Rivista della Pro Civitate Christiana Assisi 70 ANNO periodico quindicinale Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post. dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Perugia € 2.70 20 15 ottobre 2011 Medio Oriente nuovo ruolo della Turchia Confindustria chiede ricerca la scienza prova la discriminazione l’interlocuzione cattolica il neutrino superveloce Einstein in archivio? Io e Noi di fronte a Dio dialogo con Vito Mancuso inserto religioni in ascolto del grido dei popoli e delle coscienze rabbia leghista TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE – 06081 ASSISI – ITALIE ISSN 0391 – 108X CONVEGNO IN ASSISI 11-13 novembre la scuola nell’era della tecnologia digitale RICONOSCIMENTO DEL MIUR (Decreto 3 agosto 2011) con diritto all’esonero dal servizio del personale della scuola che partecipa e rilascio di attestato per gli usi consentiti dalla legge Chi sono i «nativi digitali»? Sono solo i ragazzi nati quando già esistevano i computer, internet, i telefoni cellulari, gli iPod, gli iPad, gli MP3 e che hanno bisogno, rispetto ai loro padri, solo di qualche nozione tecnologica in più per utilizzare i nuovi strumenti elettronici? O sono portatori di una «nuova intelligenza» e, quindi di un «nuovo modo di apprendere» di cui la scuola deve tener conto? A partire dalle nuove conoscenze su mente e cervello e sull’interazione tra questi e le nuove tecnologie elettroniche, occorre modificare le forme di trasmissione del sapere per una generazione che vive in un mondo di relazioni, di comunicazione e di conoscenza completamente diverso da quello di ogni altra generazione passata? Come devono porsi gli insegnanti di fronte allo scarto crescente tra il modello tradizionale di apprendimento e di insegnamento e l’impatto delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) sugli stili cognitivi dei loro allievi? Esiste oggi un nuovo pensiero pedagogico o almeno una nuova direzione di ricerca? Quali sono gli aspetti di «attivazione» delle capacità e delle risorse personali e relazionali che le nuove tecnologie sembrano favorire e quali sono gli aspetti da «disabilitare» per un’educazione attenta e consapevole? NORME DI PARTECIPAZIONE Iscrizione € 60,00 (IVA inclusa) € 50,00 (IVA inclusa) per gli abbonati a Rocca inviare a Rocca tramite c.c.p. 15157068 oppure con bonifico bancario: UniCredit - IBAN: IT 26 A 02008 38277 000041155890 comunicare codice fiscale o partita Iva per rilasciare ricevuta soggiorno in Cittadella (posti limitati) vitto e alloggio (IVA compresa) dalla cena dell’11 al pranzo del 13 novembre (pasti serviti a menù fisso, acqua minerale e vino compresi) € 116,00 in camera doppia o tripla € 136,00 in camera singola la quota complessiva non prevede detrazioni per pasti e/o pernottamenti non effettuati prenotare presso Cittadella Ospitalità e-mail: [email protected] tel. 075/813.231; 075/812.308; fax 075/812.445 e inviare a conferma caparra di € 50,00 a Pro Civitate Christiana tramite c.c.p. 10467066 oppure con bonifico bancario: UniCredit - IBAN: IT 65 G 02008 38277 000041156105 PER INFORMAZIONI rivolgersi a [email protected] tel. 075/813641 fax 075/3735197 vedi programma a p. 64 Rocca 4 7 sommario 11 13 14 16 19 20 23 24 27 15 ottobre 2011 40 43 44 20 46 49 Ci scrivono i lettori 52 Anna Portoghese Primi Piani Attualità Vignette Il meglio della quindicina 54 Raniero La Valle Resistenza e pace L’interlocuzione cattolica 57 Maurizio Salvi Medio Oriente Nuovo ruolo della Turchia 58 Roberta Carlini Il manifesto di Confindustria L’inizio di quel che verrà dopo 58 Romolo Menighetti Oltre la cronaca Severo quando esige, pigro quando paga 59 Ritanna Armeni Politica italiana Rabbia leghista 59 Tonio Dell’Olio Camineiro Il prezzo della crisi 60 Fiorella Farinelli Donne Un nuovo padrone in casa 60 Inserto Religioni In ascolto del grido dei popoli e delle coscienze Tavola rotonda 61 62 Giovanni Sabato Ricerca La scienza prova la discriminazione Oliviero Motta Terre di vetro Tanto rumore per niente Claudio Cagnazzo L’era di internet L’impavida resistenza della pagina scritta Pietro Greco Il neutrino superveloce Einstein in archivio? Stefano Cazzato Maestri del nostro tempo Il Circolo di Vienna Una concezione scientifica della scienza 63 Carlo Molari Teologia Io e Noi di fronte a Dio In dialogo con Vito Mancuso Lilia Sebastiani Il concreto dello spirito Dignità Paolo Vecchi Cinema Carnage Roberto Carusi Teatro Le voci del Salento Renzo Salvi Rf& Tv Sostiene Bollani Mariano Apa Arte Somaini Alberto Pellegrino Avventura Emilio Salgari Enrico Romani Musica La leggenda Eric Clapton Giovanni Ruggeri Siti Internet Google Shopping Libri Carlo Timio Rocca Schede Paesi in primo piano Germania Luigina Morsolin Fraternità Yambo:un saluto dal Burundi Numero 20 – 15 ottobre 2011 70 ANNO Gruppo di redazione GINO BULLA CLAUDIA MAZZETTI ANNA PORTOGHESE il gruppo di redazione è collegialmente responsabile della direzione e gestione della rivista Progetto grafico CLAUDIO RONCHETTI Fotografie Andreozzi B., Ansa-LaPresse, Associated Press, Ballarini, Berengo Gardin P., Berti, Bulla, Carmagnini, Cantone, Caruso, Cascio, Ciol E., Cleto, Contrasto, D’Achille G.B., D’Amico, Dal Gal, De Toma, Di Ianni, Felici, Foto Express, Funaro, Garrubba, Giacomelli, Giannini G., Giordani, Grieco, Keystone, La Piccirella, LaPresse, Lucas, Luchetti, Martino, Merisio P., Migliorati, Natale G. M., Oikoumene, Pino G., Riccardi, Raffini, Robino, Rocca, Rossi-Mori, Turillazzi, Samaritani, Sansone, Santo Piano, Scafidi, Scarpelloni, Scianna, Zizola F. Redazione-Amministrazione Via Ancaiani, 3 - 06081 ASSISI tel. 075.813.641 e-mail redazione: [email protected] e-mail ufficio abbonamenti: [email protected] www.rocca.cittadella.org - www.cittadella.org http://procivitate.assisi.museum Fax Redazione 075/3735197 Fax Uff.abbonamenti 075/3735196 conto corrente postale 15157068 Bonifico bancario: UniCredit - Assisi intestato a: Pro Civitate Christiana - Rocca IBAN: IT 26 A 02008 38277 000041155890 (Paese IT Cin 26 Cin A Abi 02008 Cab 38277 n. 0000 41155890) dall’estero IBAN: IT 26 A 02008 38277 000041155890 BIC (o SWIFT) UNCRITM1J46 Quote abbonamento 2011 Annuale: Italia € 60,00; estero 130,00 Europa; 160,00 Africa, Asia e Americhe; 200,00 Oceania; € 85,00 abb. online (per email); Sostenitore: € 150,00 Semestrale: per l’Italia € 35,00 una copia € 2,70 - numeri arretrati € 4,00 ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Spedizione in abbonamento postale 50% Fotocomposizione e stampa: Futura s.n.c. Selci-Lama Sangiustino (Pg) Responsabile per la legge: Gesuino Bulla Registrazione del Tribunale di Spoleto n. 3 del 3/12/1948 Numero di iscrizione al ROC: 5196 Codice fiscale e P. Iva: 00164990541 Editore: Pro Civitate Christiana Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica sono riservati. Manoscritti e foto anche se non pubblicati non si restituiscono Questo numero è stato chiuso il 8/10/2011 e spedito da Città di Castello il 11/10/2011 4 ci scrivonoi lettori quindicinale della Pro Civitate Christiana La scuola dei figli, unica certezza di un papà rom Gli interventi qui pubblicati esprimono libere opinioni ed esperienze dei lettori. La redazione non si rende garante della verità dei fatti riportati né fa sue le tesi sostenute Scrivo mentre sono in vacanza con i miei figli. Il maggiore, 10 anni, sta scrivendo una cartolina ad un compagno di scuola. Mi ricordo di averne scritte tante alla sua età su quello stesso tavolo. Penso a chi le vorrei scrivere oggi, parenti, amici. Nell’era di internet di molti non saprei neppure l’indirizzo. Una, di certo, la manderei a Florin, di lui un indirizzo ce l’ho, ma la cartolina non arriverebbe. Florin è rom, papà anche lui di tre figli che vanno a scuola, la maggiore Alexandra è già alle medie. Non ha un indirizzo vero perché ha subìto numerosi sgomberi in questi ultimi due anni; a quello del novembre 2009 nel mio quartiere, Rubattino, ne sono seguiti tanti altri. Ogni volta è così: lui trova un accordo con qualcuno per collocare il suo camper, pagando un modico affitto con il lavoro che ha, part time, all’Amsa. Poi dura poco, chiamano la polizia per mandarli via perché vedono che sono in tanti, lì dentro, lui coi figli e la moglie, il fratello con la sua altrettanto numerosa famiglia. Florin mi ha spiegato perché preferiscono stare insieme così numerosi. Hanno paura, vivono nell’insicurezza. Di sera non ci sono luci e tornare al camper, soprattutto per le donne, fa paura. Meglio essere in tanti, meglio che ci siano più uomini insieme, se lui fa tardi sul lavoro, a «casa» c’è il fratello o il nipote maggiore. Si è più sicuri, così, in tanti. Mi sorprende sempre come la parola «sicurezza» possa essere percepita diversamente a seconda di chi la pronuncia, oggi che è così tanto (ab)usata nei programmi elettorali o televisivi. In questa situazione una certezza Florin ce l’ha. I suoi Forse nel nuovo anno scolastico amplieremo il progetto e, magari nella prossima estate – se la politica comunale avrà abbandonato la logica degli sgomberi dissennati e intrapreso soluzioni più lungimiranti, concertate, mirate all’integrazione – potrò inviare una cartolina a Florin ad un indirizzo sicuro. Chi volesse aiutare e sostenere questi progetti o ricevere informazioni può mettersi in contatto via e-mail all’indirizzo santegidio. [email protected] Roccalibri Guido Maffioli Milano L’elemento umano nella macchina Martedì 12 luglio 2011 la Camera ha approvato il disegno di Legge sul «fine vita». In Autunno, con un passaggio finale al Senato, potrebbe diventare Legge dello Stato. Farsi ben curare quando si è ammalati, è un diritto. Ma se non si è d’accordo sulla terapia, occorre dire «no!» Non lasciarsi torturare! Perché quando si accetta di calpestare la libertà di scelta dell’individuo allora tutto è possibile: la frode, lo sfruttamento, l’estorsione, il plagio, lo stupro e la tortura. Una legge che obbliga all’idratazione e alimentazione forzata è l’opposto del rispetto. Mantenere le funzioni fisiologiche di una persona calpestando la sua volontà non è un servizio alla vita, è offrire sull’altare dell’ideologia la sofferenza degli altri. Un atto pagano. Che venga approvato dall’attuale maggioranza parlamentare è assolutamente coerente, ma che il principale promotore sia la Gerarchia Vaticana, che si dichiara depositaria del messaggio di Gesù Cristo liberatore, questo è per me semplicemente incomprensibile. Mi si deve spiegare perché, se io non lo voglio, un medico mi debba mettere le mani Giancarlo Zizola FEDI E POTERI nella società globale INDICE La verità perplessa Il dialogo inter-religioso nella complessità mediterranea Utilizzazione ansiogena della religione: le politiche della paura La Chiesa e la guerra Il Papato e l’Impero La Sede Apostolica e le relazioni con gli Stati Teocon Crocifisso di Stato? Il IV Convegno della Chiesa italiana. Incertezze di una transizione Le élites della Chiesa cattolica in Italia Silenzi di Dio, silenzi dell’uomo La lezione dell’infortunio di Regensburg Un nuovo patto laico Un’etica per Faust incontri e interviste con Pier Paolo Pasolini Emmanuel Lévinas Sergio Quinzio Massimo Cacciari ROCCA 15 OTTOBRE 2011 figli continuano ad andare nelle loro scuole, quelle del quartiere Feltre vicino a via Rubattino, dove andavano già tre anni fa, iscritti dalla Comunità di Sant’Egidio. Conoscono le maestre, le prof, i compagni, le mamme. È complicato arrivare puntuali, ad ogni sgombero ridefinire gli orari, i mezzi pubblici necessari per raggiungere la scuola, ma – mi dice – ci tengo io e ci tengono loro, anche Marius, il più piccolo, in terza elementare il prossimo anno, con quello sguardo attento e curioso che gli ho visto quando l’ho salutato insieme al papà. Conosco Florin grazie alla voglia di andare a scuola dei suoi figli. Ricevono una borsa di studio attraverso un progetto per l’integrazione scolastica della Comunità di Sant’Egidio. Loro si impegnano a frequentare la scuola con costanza – anche impiegando ogni mattina più di un’ora per arrivarci – e ricevono un contributo mensile per coprire le varie spese (abbonamenti pubblici, materiale scolastico, etc.). Questi progetti funzionano coinvolgendo le maestre dei bambini e qualcuno che vede il genitore per sapere come va, se ci sono difficoltà. Con Florin quel qualcuno sono io, una volta al mese, ci incontriamo brevemente e mi aggiorna. Nel secondo quadrimestre dell’anno scolastico appena concluso la borsa è stata coperta con l’aiuto dell’Associazione Genitori della scuola dei miei figli. È stata approvata la proposta, dato che incentivare l’integrazione scolastica è negli scopi dell’Associazione. Ne sono stato felice, non tanto per il piccolo aiuto dato ai figli di Florin, ma per ciò che può significare questa azione, cioè che si possano fare cose concrete, senza esibizione, con il fine di far progredire tutta la comunità a cominciare dai bambini e dalle bambine, e dal garantire a tutti loro un diritto importante e basilare come andare a scuola. pagg. 224 - € 25,00 speciale PER I LETTORI DI ROCCA € 18,00 anziché € 25,00 Richiedere a ROCCA cas. post. 94 – 06081 Assisi e-mail: [email protected] - c.c.p. 15157068 5 CI SCRIVONO I LETTORI ROCCA 15 OTTOBRE 2011 DOCUMENTI 6 addosso. E che nel far questo si senta, oltre che obbligato dalla legge, il mandante della Chiesa e del suo Dio. Perché altrimenti si rischia l’eutanasia? Perché la vita è dono? E se ricevo un dono, non ne divento io il responsabile? E se la mia vita è di Dio, perché la devo affidare ad un medico? Chi mi dice che egli stia facendo veramente la volontà di Dio? Capisco che la Chiesa voglia essere materna e, come scrive il quotidiano «Avvenire» quasi tutti i giorni, «favor vitae» cioè fare scelte a favore della vita. Ma sembra un po’ come quelle madri che, anche quando i figli sono diventati adulti, vogliono continuare a scegliere per loro. Non accettano la loro autonomia, come se questa fosse una forma di mancata riconoscenza verso il ruolo materno. Spesso, in questi casi, subentra il padre che, con autorevolezza, taglia il legame di dipendenza psicologica del figlio dalla propria madre e lo lancia nel mondo. In questo bellissimo mondo dove, per vivere con autenticità, bisogna imparare a scegliere. Vivere è scegliere, in autonomia di giudizio. Quando qualcuno vuole decidere al posto mio su qualcosa che riguarda la mia vita, allora mi rivolto. Non è una battaglia in difesa di un egoistico concetto del tipo «devo fare tutto ciò che voglio». È una battaglia che si rivolta a chi dice «Adesso ti faccio quello che voglio io». Speriamo che, insieme ai padri, i primi a rivoltarci siano i medici. E che dai corridoi degli ospedali si alzino le voci di tutti coloro che non sono d’accordo, uniti a cantare la strofa di una bella canzone di Jovanotti: «Noi siamo l’elemento umano nella macchina e siamo liberi sotto le nuvole». L’eco di questo motivo giunga fino a Roma, nelle stanze del Vaticano e del Parlamento. Per mantenere in vita una persona, in certi casi, non è sufficiente il sondino che alimenta. Se c’è un cuore che non lo vuole, per motivi che a noi non è dato giudicare, allora la volontà prevale sull’aspetto biologico. Credo sia comprensibile che molte persone, giunte ad uno stadio di certe malattie, desiderino solo accomiatarsi dai propri cari e dal mondo nel modo più intimo, profondo e umano. Questo il Servizio Sanitario di un Paese civile dovrebbe cercare di garantire, non il «sondino di Stato» imposto per legge. Restare aggrappati ad una macchina o ad una pratica medica solo per vivere qualche giorno o qualche settimana in più può non avere senso. In particolare modo per chi continua a sentire dentro di sé il respiro dell’eternità. Ed eternità, mi piace pensare che non sia un caso, fa rima con libertà. E la libertà è il cibo che alimenta l’anima. Giovanni Tognana Padova Accade a Livorno Una docente di religione di ruolo della scuola elementare, beneficiaria di una particolare legge, ha prestato saltuario servizio nello scorso anno scolastico per cui la classe assegnatale solo molto sporadicamente ha potuto ricevere l’insegnamento. I genitori di fronte a tale disservizio non giustificato da parte sia dell’amminsitrazione scolastica che della Curia in quanto responsabile delle nomine, hanno deciso quest’anno di «non avvelersi» dell’insegnamento della religione cattolica. Questo è accaduto a Livorno. Il caso è grave per le conseguenze educative che sono state sottratte a venti bambini e merita di essere segnalato e posto all’attenzione di chi di dovere. Mario Lorenzini Livorno Usa Steve Jobs quasi un’epopea Perugia-Assisi la Marcia dei 200mila per la pace Steve Jobs, il cofondatore di Apple che ha rivoluzionato l’informatica, è morto a 56 anni il 5 ottobre. Il suo «magico clic» è stato capace di cambiare la vita quotidiana di milioni di persone e il suo Apple (con la Mela disegnata dal socio Wayne che si ispirò a Newton) ha creato una vera e propria cultura industriale. Tutta la sua vita, tra successi fenomenali e sconfitte cocenti, intuizioni folgoranti e sonore batoste, è degna di un romanzo. Parlando agli studenti dell’Università di Stanford e ricordando la sua malattia, dirà: «Il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun’altro. Non rimanete intrappolati nei dogmi che vi porteranno a vivere secondo il pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui zittisca la vostra voce interiore. E, ancora più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione: loro vi guideranno in qualche modo nel conoscere cosa veramente vorrete diventare». Per Steve, tutto iniziò in un garage nel 1976, con un amico e con i soldi ricavati dalla vendita di un furgoncino. Ufficialmente Apple nacque nel 1976 con tre soci (oltre a Jobs, Wosniak e Wayne). Poi l’impresa mediatica si ingrandì (1977 AppleII e 1984 MacIntosh). Nel 1995 Steve Jobs, sconfitto lascia forzatamente Apple per riprendere nel 1991 con Powerbook. Nel 1994 Apple ricompra Next, società già fondata da Jobs. Diventa padrone di Apple nel 1997; nel 2001 crea il nuovo sistema OS X e PoD. Seguono i Tunes Store (2003), iPhone (2007), la tavoletta iPad (2010). Già dal 2004 Jobs conosce la gravità del suo cancro. Ma il messaggio lasciato è «Siate insaziabili, siate folli». La Marcia per la pace e la fratellanza dei popoli Perugia-Assisi, ideata cinquant’anni fa dal filosofo perugino Aldo Capitini, celebrazione della nonviolenza e del risveglio, è apparsa anche oggi a chi l’ha seguita, l’avvio di una speranza critica che conduce a guardare oltre, che apre a una visione ulteriore della storia, indicando prospettive a prima vista quasi impossibili. Sulle colline del percorso Perugia-Assisi si è mosso il 25 settembre il lunghissimo, coloratissimo fiume di duecentomila marciatori in gran parte giovani, con le bandiere della pace, i gonfaloni dei Comuni, gli striscioni più diversi. Si sono sentite tante parole controcorrente, gridi contro l’ingiustizia, slogans arditi di richiamo alle situazioni oppressive concrete, messaggi che rivelavano un cammino iniziato nella mente prima ancora che sulla strada, aperto su un orizzonte anche politico di possibilità. Ecco l’elenco (i titoli, per ragioni di spazio) delle proposte e degli impegni assunti al termine della Marcia: 1) Garantire a tutti il cibo e l’acqua; 2) Promuovere un lavoro dignitoso per tutti; 3)Investire sui giovani, sull’educazione e la cultura; 4) Disarmare la finanza e costruire un’economia di giustizia; 5)Ripudiare la guerra, tagliare le spese militari; 6) Difendere i beni comuni e il pianeta; 7) Promuovere il diritto a un’informazione libera e pluralista; 8) Fare dell’Onu la casa comune dell’umanità; 9) Investire sulla società civile e sullo sviluppo della democrazia partecipativa;10) Costruire società aperte e inclusive. Occorre che la Marcia continui. I marciatori sono avvertiti: «Queste priorità devono essere portate avanti da ogni persona, a livello locale, nazionale e globale, in Europa come nel Mediterraneo». Colombia le donne trofeo di guerra Nel quadro del conflitto armato che ha attraversato la Colombia, le violenze sessuali compiute dagli attori militari, paramilitari, guerriglieri, poliziotti nei confronti delle donne sono rimaste in gran parte impunite. Amnesty international, in un suo nuovo rapporto dal titolo «Noi donne chiediamo che giustizia sia fatta» pubblicato il 21 settembre, denuncia il fenomeno, chiedendo l’intervento dello Stato, come promesso il nuovo presidente Juan Manuel Santos. È per farle tacere, per farle fuggire, per terrorizzarle o vendicarsi, che i combattenti di ogni rango abusano sessualmente delle donne. «In Colombia, come altrove, esse sono spesso un trofeo di guerra», dice sospirando Susan Lee, responsabile di Amnesty per l’America latina. In Colombia, per ottenere qualche diminuzione di pena i paramilitari hanno confessato 57mila crimini. E solo 86 violenze sessuali. ROCCA 15 OTTOBRE 2011 a cura di Anna Portoghese primipiani ATTUALITÀ 7 a cura di Anna Portoghese primipiani ATTUALITÀ New York il movimento degli «indignati» avanza Innsbruk il vescovo tenta il dialogo Bahrein una repressione silenziosa Il movimento degli «indignati» statunitensi ha trovato uno slogan: «Siamo il 99%»per significare che il loro unico avversario è l’1% dei ricchi e delle loro lobbies, quelle che deviano la democrazia. Ispirati dalle manifestazioni avvenute in varie città dei Paesi arabi e in Europa, migliaia di giovani hanno voluto pacificamente dimostrare la loro insoddisfazione nei confronti del modo con cui Wall Street ha retto i fili dell’economia statunitense, trasformando quest’ultima in una «multinazionalcrazia» e creando milioni di disoccupati. A New York il 2 ottobre circa 700 manifestanti del movimento ‘Occupy Wall Street’ erano stati fermati per aver bloccato per alcune ore il ponte di Brooklyn. I disordini avevano richiamato la polizia, questo intervento era stato ripreso dai media e la sera stessa l’interesse mediatico aveva mobilitato un gran numero di persone.1500 giovani si sono accampati nei pressi di Wall Street. Certamente nella Chiesa cattolica sono necessarie delle riforme, anche se ci sono posizioni molto differenti sul modo di realizzarle. Nel numero scorso (pag. 7) scrivemmo delle «nuvole» che si agitano nell’ambito della Chiesa austriaca e di un appello di preti alla disobbedienza. Il vescovo di Innsbruk mons. Manfred Scheuer tenta di allontanare la nuvolaglia tenendo separate le questioni del dissenso. Ha ammesso che sulla questione dei divorziati risposati vi è davvero bisogno di un cambiamento da parte della Chiesa, come c’è da riflettere sul fatto se, da un punto di vista pastorale, non debba essere permesso ai laici di predicare durante la Messa. Quanto all’ordinazione sacerdotale delle donne e al matrimonio in chiesa dei divorziati ha dichiarato essere «questioni che non possono essere risolte a livello diocesano». Contrario è invece, alle celebrazione della Messa senza sacerdoti, sia pure in forme private. Nel piccolo regno del Barhein continua una repressione silenziosa, dopo le proteste del 14 febbraio. L’intera società civile avverte il bisogno di riforme, ma finora le richieste sono rimaste inascoltate. Anzi, secondo Amnesty International, da febbraio gli oppositori imprigionati sono un migliaio, molti dei quali hanno già subìto un processo, con condanne fino alla pena di morte. Tra gli arrestati, i primi due parlamentari che avevano criticato la repressione. Il Re ha annunciato elezioni del 1° ottobre per rimpiazzare i 18 parlamentari appartenenti all’opposizione, dimessisi. Il partito di opposizione le ha dichiarate «una farsa», anche perché le intenzioni del monarca sono chiare: ha dispiegato i carri armati nella piazza della Perla, epicentro delle manifestazioni della capitale. I radicali, che vorrebbero la repubblica e i moderati la monarchia costituzionale, continuano a lottare. La primavera araba non è finita. Israele incendiata una moschea in Galilea ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Il presidente israeliano Shimon Perez (nella foto) ha definito il 3 ottobre «esecrabile gesto» l’incendio di una moschea in un villaggio di beduini della Galilea nord del Paese, compiuto da estremisti della destra israeliana. Gli autori hanno inteso vendicare Asher Palmer, un colono israeliano morto il 23 settembre in Cisgiordania con suo figlio, in un incidente provocato da una sassaiola palestinese. Incendiare un simbolo che non è solo politico, ma soprattutto religioso, è un impressionante, anche se si sa il contesto violento nel quale si pone. Il Presidente, accompagnato dai due grandi rabbini Yona Metxgere e Shlomo Amar, ha dichiarato di voler visitare i resti della moschea dicendosi «pieno di vergogna davanti a tale gesto». «È un atto contrario ai valori dello Stato d’Israele» ha aggiunto il primo ministro Benyamin Netanyau. 8 notizie seminari & convegni Per la pubblicazione in questa rubrica occorre inviare l’annuncio un mese prima della data di realizzazione dell’iniziativa indirizzando a: a.portoghese@ cittadella.org RECAPITI UTILI DELLA PRO CIVITATE CHRISTIANA BIBLIOTECA tel. 075/813231 e-mail: [email protected] CENTRO EDUCAZIONE PERMANENTE – SCUOLA DI MUSICOTERAPIA tel. 075/812288; 075/813231 e-mail: [email protected] CITTADELLA EDITRICE tel. 075/813595; 075/813231 e-mail: ufficio.stampa@cittadella editrice.com CITTADELLA OSPITALITÀ tel. 075/813231 e-mail: [email protected] CONVEGNI tel. 075/812308; 075/813231 e-mail: [email protected] FORMAZIONE tel. 075/812308; 075/813231 e-mail: [email protected] GALLERIA D’ARTE CONTEMPORANEA tel. 075/813231 e-mail: [email protected] MISSIONI tel. 075/813231 e-mail: [email protected] ROCCA tel. 075/813641; 075/ 813231 [email protected] (redaz.) [email protected] (uff. abbonam.) Torino. Inizia in quest’anno accademico il Master Universitario «Scienza e Fede» che intende mettere in dialogo fede e scienza, due aree culturali decisive per la nostra contemporaneità. Rivolto a docenti, medici, giornalisti, uditori interessati, si articola in lezioni frontali e seminari. Informazioni: Segreteria della Facoltà teologica, via XX settembre 83 Torino, tel. 011 360249, [email protected]. Barcellona. I Matador gettano la spada. La corrida del 25 settembre è stata l’ultima della Catalogna: una legge approvata dal Parlamento autonomo di Barcellona nel luglio del 2010 mette al bando il controverso spettacolo. L’arena Monumental per l’ultima corrida ha registrato 20mila spettato- ri e 400 giornalisti presenti. Europa. Il cardinale Peter Erdo, primate d’Ungheria, è stato riconfermato il 30 settembre presidente del Consiglio delle Conferenze europee. Vice-presidenti sono il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana e Joseph Michalik, presidente della Conferenza episcopale polacca. 16 ottobre. Magnano (Bi). Al Monastero di Bose «Ricordo di papa Giovanni e del Concilio» con mons. Loris Capovilla. Ore 10,30. Informazioni: [email protected] tel 015 679185. 18 ottobre-6 dicembre. Firenze. Corso di Storia del Cinema organizzato dall’Istituto Stensen su: «Il cinema di Federico Fellini», docente Marco Luceri. Martedì di serate e di incontri nell’auditorium Stensen, viale don Minzioni 25/c Firenze. Iscrizioni presso la sede del Quartiere 2, piazza Alberti 1/a. Firenze. 19 ottobre 2011-4 aprile 2012. Bari. Corso di Ebraico Biblico diretto dal prof. Cesare Grasso, 20 lezioni, ogni mercoledì dalle ore 20,00 alle 21,30. Di natura introduttiva vuole giungere allo scopo di leggere, trascrivere e tradurre testi semplici. Informazioni: Comunità di Gesù, via san Tommaso d’Aquino 10, 7014 Bari (Poggiofranco); Antonio Calisi, cell. 338 1049424; e-mail: [email protected] 26 ottobre. Assisi. (Pg). Come in ogni Diocesi, preghiera vigiliare per l’incontro di Benedetto XVI con i leader delle grandi religioni. In Assisi, nella cattedrale di san Rufino, alle 17.00, riflessione di Enzo Bianchi sul tema dell’incontro: «Pellegrini della verità, pellegrini della pace». Seguiranno sulla piazza antistante, a cura del gruppo «Rondine» una testimonianza, e «The tablet of silence», una performance artistica. Alle 21 la veglia. 3-5 novembre. Assisi (Pg). La Sezione Musica della Cittadella cristiana organizza tre seminari autunnali. Il primo sul tema: «Essere nel corpo per affrontare ansie e paure», workshop di Danza/Movimento/Terapia aperto a tutti, rivolto in particolare a terapeuti, medici, educatori (docente Maria Elena Garcia, contatto telefonico previo: 06 39727654, 340 6356 297; [email protected]). Il secondo seminario riguarda la «Musicoterapia nella pratica clinica» (docente Ferdinando Suvini). Si propone, tra l’altro, come lavoro di esplorazione e riflessione sulla propria identità musicale per inserire un’attività clinica con il suono e la musica nei diversi ambiti applicativi. Il terzo seminario è su «La Percezione» (docente Bernardino Streito), viaggio interdisciplinare propedeutico fra il segno e il senso nell’esperienza uditiva e visiva. Informazioni: Sezione Musica Pro Civitate Christiana, Via Ancaiani 3, 06081 Assisi tel/fax 075812288 fax 373 5194. Per ospitalità. 075 813231. Programmi dettagliati anche nel sito http: www.musicoterapiassisi.it. 4-5 novembre. Piacenza. Seminario «Leadership e conflitti. Per creare connessioni organizzate», condotto da Paolo Ragusa e Fabrizio Lertora, rivolto a responsabili, dirigenti, coordinatori, formatori e consulenti. Informazioni: Centro Psicopedagogico per la pace e la pace e la gestione dei conflitti, via Campagna 83, 29121 Piacenza, tel. e fax 0523 498 594; e-mail: [email protected] 7-8 novembre. Avigliana (To). Primo laboratorio sul ruolo culturale delle reti di famiglie «Vedere la generatività delle reti». È organizzato dal Gruppo Abele e finalizzato alla costruzione di spazi sociali leggeri per tessuto sociale di accoglienza, solidarie- tà e mutualità. Relazioni, gruppi di lavoro, letture problematizzanti, approfondimenti critici. Informazioni: certosagruppoabele@gruppo abele.org, tel. 0113841083, fax 011 3641091. 16-19 novembre. Roma. Congresso internazionale «L’uomo dell’età moderna e la Chiesa», organizzato dalla Pontificia Università Gregoriana. Quattro giorni di confronto fra filosofi, teologi, storici e giuristi sulla questione delle radici della ragione moderna, del suo allontanamento dalla Chiesa e del ritrovamento della modernità da parte della Chiesa stessa. A conclusione, relazioni di mons. Peter Henrici e del card. Gianfranco Ravasi. Iscrizioni: www.unigre.it. Informazioni: Ufficio Promozione e Comunicazione Univ. Gregoriana Piazza Pilotta 4 – 00187 Roma tel. 06 6701 5634; 342 540 18 98. 18-20 novembre. Rimini. Convegno internazionale sul tema: «La qualità dell’integrazione scolastica e sociale» con la direzione scientifica di Andrea Canevaro e Andrea Ianes. Tra i relatori: Tullio De Mauro, Luigi Ciotti, Brian Butterworth, Michele Marzano, James Swanson Lorella Terzi. Informazioni: Segreteria Erickson via del Poppeto 24 -38121 Gardolo (Tn), tel. 0461 950747, fax 0461 956733; [email protected] 19 novembre. Borgonuovo (Bo). Convegno di studio su Maria presso il centro di spiritualità Cenacolo Mariano sul tema: «Figlio, perché ci hai fatto così?». Informazioni: Missionarie dell’Immacolata Padre Kolbe, Viale Giovanni XXIII, 19, Borgonuovo, 40037 Sasso Marconi, tel. 051 845002, fax 051 678 4489, e-mail: [email protected] ROCCA 15 OTTOBRE 2011 ATTUALITÀ 9 ROCCA 15 OTTOBRE 2011 a cura di Anna Portoghese primipiani ATTUALITÀ 10 Napolitano la politica siamo tutti noi Erfurt il Papa nei luoghi di Lutero I discorsi che il nostro Capo dello Stato Giorgio Napolitano ha pronunciato nelle due giornate di visita a Napoli a fine settembre sono stati come sempre puntualissimi. Ma questa volta anche duri, come quando hanno affrontato il tema della secessione: «Nell’ambito della Costituzione e delle leggi, ha detto, non c’è spazio per una via democratica alla secessione». «È chiaro, ha aggiunto, il popolo padano non esiste, si discute di federalismo fiscale, si chiede un livello più alto di partecipazione delle Regioni... Tutto questo è lecito, ma ove dalle chiacchiere si passasse ad atti preparatori di qualcosa che va verso la secessione, tutto cambierebbe. Nella Costituzione e nelle leggi non c’è una via democratica alla secessione». Ancora: «Divisa l’Italia finirebbe ai margini del l’Europa e del mondo moderno». Quanto alla vera sfida che è data dalla crescita, un monito: «O questo Paese cresce insieme o non cresce», con un nuovo appello: «L’Italia non crescerà se non tutti insieme, dal Nord al Sud, se non metterà a frutto le risorse e le potenzialità della nostra gente», rispondendo così anche a quelli che gli chiedono se lo sviluppo dell’Italia possa prescindere da quel che accade nel sud del Paese. Perché un giovane dovrebbe credere nello Stato? Chiede un ragazzo al Presidente: «Lo Stato appartiene a tutti. Non è solo Parlamento o istituzioni locali, ma un insieme la cui funzione fondamentale è tenere unito il Paese». Ha poi fatto riferimento all’antipolitica: «Si impreca molto contro la politica, ma attenzione, la politica siamo tutti noi». Tappa importante del viaggio di Benedetto XVI in Germania è stata ad Erfurt, il 23 settembre, l’antico convento agostiniano, luogo carico di simboli e di memorie, dove nel 1507 Martin Lutero fu ordinato sacerdote mentre dieci anni dopo, con l’affissione a Wittenberg delle 95 tesi, ruppe con Roma e dette avvio alla Riforma. Il discorso del Papa nell’incontro con i rappresentanti di vertice della Chiesa evangelica tedesca ha rivelato una profonda apertura verso gli interrogativi posti 500 anni fa da Lutero. Benedetto XVI si è detto «sempre nuovamente colpito» dal fatto che la «forza motrice» di tutto il cammino di Lutero sia stata la domanda: «Come posso avere un Dio misericordioso?». «Chi, infatti – ha chiesto –, si preoccupa oggi di questo, anche tra i cristiani? Che cosa significa la questione su Dio nella nostra vita? Nel nostro annuncio?». Seguono su questa scia altri interrogativi che evidenziano la passione per Dio di Lutero e la portata teologica delle sue domande. Riferendosi al compito ecumenico, papa Benedetto aggiunge: «In questo dovremmo aiutarci a vicenda: a credere in modo più profondo e più vivo. Non saranno le tattiche a salvarci, a salvare il cristianesimo, ma una fede ripensata e rivissuta in modo nuovo, mediante la quale Cristo, e con Lui il Dio vivente, entri in questo nostro mondo». Il pastore luterano Nikolaus Schneider, presidente della Chiesa evangelica tedesca, in vista del 31 ottobre del 2017, quando verrà celebrato il Cinquecentenario della Riforma ha invitato il Papa, in quanto «fratello in Cristo» alla memoria comunionale dell’evento. Secondo Schneider, è giunta l’ora di guarire le memorie dalle ferite reciproche e percorrere finalmente «concrete vie di riconciliazione». Arabia Saudita re Abdullah «magnanimo» con le donne Il Re è stato magnanimo. Le dieci frustate destinate alla signora Shaima Shassaniya per aver osato guidare in luglio una macchina nella città di Gedda le sono state condonate. Abdullah bin Abdulaziz al-Saud, che ha 88 anni e governa da 6, il 25 settembre ha fatto una cauta apertura sulle riforme. Ha infatti annunciato per le donne saudite il diritto di candidarsi alle elezioni e di votare, anche se solo dal 2015. Tra quattro anni le donne potrebbero essere ammesse anche nel Consiglio della Shura (Majlis al-Shura), organo consultivo composto da 150 membri nominati dal re. Uno spiraglio, in una società ultraconservatrice. Alle saudite, infatti, non è concesso viaggiare, lavorare o sottoporsi a un’operazione medica senza il permesso di un uomo, e neanche guidare. Il 17 giugno scorso ci fu la protesta di migliaia di donne al volante. A quel punto, anche centinaia di intellettuali e di attivisti sauditi decisero di movimentarsi e boicottare le prossime elezioni. Il Re ora ha pensato di non ignorarli. il meglio della quindicina vignette ATTUALITÀ da L’UNITÀ, 2 ottobre da L’UNITÀ, 6 ottobre da L’UNITÀ, 2 ottobre da LA REPUBBLICA, 6 ottobre da L’UNITÀ,1 ottobre da IL CORRIERE DELLA SERA, 5 ottobre ROCCA 15 OTTOBRE 2011 da IL CORRIERE DELLA SERA, 1 ottobre da IL CORRIERE DELLA SERA, 6 ottobre 11 cittadella convegni 2011 7-11 novembre esercizi spirituali per presbiteri, suore, laici libertà sulle Tavole: il libro dell’Esodo con don Daniele MORETTO, monaco di Bose L’Esodo è il «lieto annuncio» dell’Antico Testamento, la «lettera» in cui dobbiamo entrare per cercare il volto di Dio e il volto dell’uomo. Nella storia di un pugno di uomini Dio ha scelto di svelarsi, di dare le coordinate del suo agire verso tutti, di offrire una relazione. Conoscere Dio, me stesso, il mondo, la storia per rispondere ad un appello di comunione nella libertà. Un tuffo nell’Esodo, relativizzandolo in nome dell’oggi, attenti all’azione di Dio che è in atto (cf. Is 43,16-21). inizio: lunedì 7, ore 18,30 indice tematico: promesse di Dio e desideri dell’uomo (1,1-22); storie di donne: salvezza attraverso l’umano (2,1-22); paura di guardare: rivelazione, vocazione, missione (2,23-4,17); lascia partire...: un cuore che resiste (4,18-11,10); che significa questo?: liturgia che celebra (12,1-15,21); stare sulla roccia: la difficile libertà (15,22-18,27); se vorrete ascoltare: alleanza (19,1-20; 24,118); tutte queste parole: la strada insegnata (20,1-23,33); se ho trovato grazia ai tuoi occhi: alleanza nella misericordia (32,134,35); una dimora secondo quanto ti mostrerò: presenza di Dio e obbedienza dell’uomo (25,1-31,19); come il Signore aveva ordinato a Mosè: presenza di Dio e obbedienza dell’uomo (35,1-39,43); seguire una nuvola (40,1-38). Una liturgia eucaristica sarà celebrata a San Masseo, antica abbazia benedettina, nuova sede della fraternità monastica di Bose in Umbria. 17 dicembre convegno abilità di Counselling diritto ai diritti alla ricerca del valore perduto: il rispetto dei diritti della pesona… diritti umani disattesi, violati, negati – come promuovere una cultura dell’accoglienza e della solidarietà; – come creare una rete sociale che coinvolga in modo attivo le famiglie, la scuola, le istituzioni; – come seguire percorsi informativi/formativi di sensibilizzazione, rispetto ai bisogni e ai temi emergenti che riguardano l’infanzia, l’anzianità, la disabilità; – diritti riconosciuti e interventi adottati per garantirli ROCCA 15 OTTOBRE 2011 intervengono: Roberto SEGATORI, sociologo; Tullio SEPPILLI, antropologo; Andrea BRAMUCCI, psicologo e psicoterapeuta; Rosella DE LEONIBUS, psicologa e psicoterapeuta testimonianze; laboratorio artistico-espressivo per creare un’immagine per ogni diritto negato e/o rispettato. Il convegno si svolgerà dalle ore 9 alle ore 14; Decreto di riconoscimento MIUR 03-08-2011. Viene rilasciato Attestato di partecipazione. La Pro Civitate Christiana prosegue nell’attivazione di Corsi di Formazione anche grazie al Riconoscimento del MIUR con Decreto 3 agosto 2011. Il Corso triennale per l’acquisizione di ABILITÀ di COUNSELLING volto a valorizzare competenze trasversali: saper comunicare, costruire relazioni, gestire conflitti, offre l’occasione per una crescita personale, per migliorare la propria professionalità a servizio delle relazioni di aiuto. Il Corso si svolge a cadenza modulare, per 160 ore di aula, 10 ore di supervisione, 40 ore di tirocinio e 50 ore di integrazione culturale. L’iscrizione è prevista entro il 15 gennaio 2012 completa di curriculum. Si rilascia attestato di qualifica professionale Il Corso triennale di Formazione in ARTETERAPIA, già al 2° anno di vita, favorisce, attraverso la pratica di diverse tecniche espressive, la capacità di facilitazione delle relazioni, recupero e potenziamento della identità e creatività personale. Si svolge in otto moduli mensili a fine settimana per 150 ore di aula; termina con una valutazione finale e un attestato di frequenza con profitto. La domanda di iscrizione munita di curriculum personale scade il 15 gennaio 2012. Informazioni iscrizioni soggiorno CITTADELLA OSPITALITA’ - via Ancajani 3 – 06081 ASSISI PG - tel.075/812308-075/813231 - fax 075/812445; [email protected]; [email protected] - http://ospitassisi.cittadella.org; www.cittadella.org 12 RESISTENZA E PACE Raniero La Valle H a detto mons. Crociata, segretario generale della Cei, che «la Chiesa non fa i governi né li manda a casa». Non è sempre stato così, ma è giustissimo oggi affermarlo. Tuttavia quando la Chiesa vuol mandare un messaggio forte dovrebbe evitare di farlo in modo che ciascuno ci possa vedere quello che vuole. Ad esempio è stato evidente a tutti che quando nella sua prolusione al Comitato permanente dei vescovi il cardinale Bagnasco ha denunciato i comportamenti contrari al pubblico decoro e intrinsecamente tristi e vacui su cui «si rincorrono» doviziosi racconti, quando ha lamentato la mancanza di misura, sobrietà, disciplina ed onore e i comportamenti licenziosi e le relazioni improprie di «attori della scena pubblica» che la collettività guarda con sgomento e che fiaccano pericolosamente l’immagine del Paese all’esterno, si riferiva al presidente del Consiglio: perché, per quanto ci siano peccatori, non ci sono oggi altri «attori della scena pubblica» che sono guardati con sgomento dalla collettività, che sono capaci di umiliare l’immagine del Paese all’estero, e sui quali «si rincorrono racconti» che rivelano «stili di vita difficilmente compatibili con la dignità delle persone e il decoro delle istituzioni e della vita pubblica»; né c’è altri che, per rimediare a tutto ciò, potrebbe essere «chiamato a comportamenti responsabili e nobili», ossia ad andarsene, ciò di cui la storia stessa prenderebbe atto. Naturalmente in questo identikit mancava il nome di Berlusconi, ma tanto è bastato ai patiti del premier per dire che l’accusa del cardinal Bagnasco riguardava tutti, e non poteva essere usata contro il presidente del Consiglio. C’è stata anche una citazione infedele – questa sì strumentale – delle parole del cardinale da parte di alti esponenti cattolici del Pdl, da Formigoni a Lupi a Quagliarello, che in una lettera all’Avvenire attribuiscono a Bagnasco una critica ai giudici per un’eccessiva attività investigativa «nei confronti di un’unica persona quando altri restano indisturbati», mentre il riferimento personale nel discorso del cardinale non c’era ed egli non aveva parlato di singoli imputati, ma dei diversi «versanti» su cui non ugualmente si eserciterebbe l’azione punitiva della magistratura. La vicenda è incresciosa, perché troppo alta era la posta (rispondere all’«attonito sbigottimento del Paese», all’«oscuramento della speranza collettiva», al «cinismo» rassegnato di «un Paese disamorato, quasi in attesa dell’ineluttabile») per lasciare spazio alle ambiguità e al gioco interessato degli equivoci. Meglio sarebbe stato il «sì sì, no no» dell’ evangelo e dire che l’innominato coincideva con la presidenza del Consiglio. Del resto non si capisce perché la Chiesa ha il coraggio di dire nome e cognome dei preti pedofili, e ha perfino deposto vescovi dai comportamenti censurabili, ma poi non osa sollevare il velo che nasconde l’impuro sacrario del potere politico. Un’altra cosa importante ha detto il cardinale Bagnasco in quel consiglio della Cei: che ai fini di una presenza riconoscibile ed «efficacemente organizzata» dei cattolici nella società, si sta lavorando a un nuovo «soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica»: cioè, se non si tratta di una Fondazione come quella di D’Alema, un partito. Ma quale partito? Nei partiti i cattolici ci sono già, a destra e a sinistra, e sono riconoscibilissimi (basta guardare la Televisione); se poi si tratta di fare un partito tra destra e sinistra, di fattura quasi esclusivamente cattolica, questo partito c’è già, ed è inutile che i vescovi ci lavorino: è il partito di Casini e forse, se riesce a portarsi dietro un po’ di parlamentari del Pdl, di Pisanu. Se la Cei vuole ora un altro partito (o un’altra «interlocuzione» con la politica) di marca cattolica, non può trattarsi che di un partito confessionale; i suoi membri sarebbero infatti lì riuniti in forza della loro confessione, e non delle loro idee politiche, e i suoi contenuti sarebbero anzitutto quelli che la Chiesa presenta loro come «non negoziabili», che però un partito o dovrebbe negoziare o dovrebbe imporre, scordandosi democrazia e laicità. Ma questo non va troppo d’accordo con il monito che negli stessi giorni Benedetto XVI rivolgeva ai cattolici tedeschi, quando diceva loro che il vero problema della Chiesa è di «distaccarsi dalla mondanità del mondo» e che questo riguarda anche i discepoli di una Chiesa «demondanizzata» e «liberata dal suo fardello materiale e politico». Ciò vuol dire che il problema di una efficace presenza dei cattolici «per rendere politicamente più operante la propria fede», si pone in tutt’altro modo. Prima di tutto nel pluralismo, perché pluralistica è la società e molteplici sono le percezioni del bene comune e le vie per conseguirlo. Poi con responsabilità propria e senza rinvii ad autorità superiori; ma tutto questo è già spiegato nella Gaudium et Spes. C’è però un problema specifico per l’Italia: questo pluralismo, e perciò anche quello dei cattolici, non è possibile nell’attuale sistema bipolare. Se tale sistema dovesse perpetuarsi, la Chiesa mal sopporterebbe che i cattolici non stiano tutti dalla stessa parte; e quelli che non ci stanno, nella riaffiorante tentazione dell’unità politica dei cattolici, soffrirebbero di una emarginazione come cristiani. Ci vuole invece pluralismo, sistema rappresentativo e proporzionale; allora i cattolici ci potrebbero essere, in vari modi, perfino con una «Sinistra cristiana». ❑ 13 ROCCA 15 OTTOBRE 2011 l’interlocuzione cattolica MEDIO ORIENTE nuovo ruolo della Turchia Maurizio Salvi ra i tanti segnali ambigui, e a volte sconfortanti, che provengono dal Medio Oriente, e più in generale dal Grande Arco di crisi che va dal Marocco all’Iran, ce n’è uno nuovo, interessante, e vorremmo dire incoraggiante, costituito dal crescente ruolo che in questa regione sta giocando la Turchia. Ankara continua ad avere numerosi problemi interni, primo fra tutti la dolorosa questione curda che resta la principale preoccupazione nazionale, ma una serie di fattori nazionali ed internazionali hanno spinto i dirigenti turchi a ritenere che sia giunto il momento di formalizzare una ambizione a contare di più a livello regionale ed internazionale. L’anno di svolta per questo è stato il 2010, con la grave crisi di relazioni con Israele legata all’uccisione di nove cittadini turchi a bordo di una nave turca che nel maggio si dirigeva verso Gaza. Evento a cui è seguita la decisione di farsi entusiasta propugnatrice del diritto dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) di presentare all’Onu la questione del riconoscimento della Palestina come Stato, nonostante l’avversione di Tel Aviv, degli Usa e dell’Unione europea (Ue). la forte crescita economica, seconda solo a quella di Cina e India che ha trasformato la Turchia nella 17/a potenza del mondo e membro rispettato del G20, ha convinto il premier ad innestare una marcia superiore nella politica estera turca, allontanandosi da una linea conciliante con l’Occidente e legata all’ingresso nell’Unione europea (Ue). Incoraggiato in questo anche dalla principale formazione di opposizione, il Partito repubblicano del popolo (Chp), fondato da Mustafa Kamal Ataturk, espressione della media borghesia colta, e più laico ed aperto alle libertà individuali dell’Akp. Forte della favorevole congiuntura e dimenticando una Europa sempre più presa dai suoi problemi economici interni, Erdogan ha realizzato un simbolico viaggio attraverso i tre paesi (Tunisia, Egitto e Libia) che hanno segnato la stagione ancora in corso delle rivolte arabe, e che devono però chiaramente indicare se le esigenze di democrazia, pluralismo e rispetto dei diritti umani espresse nelle piazze saranno realmente recepite dai governi chiamati in un futuro prossimo ad assumere il potere. il viaggio di Erdogan L’attivismo diplomatico internazionale turco ha messo in fibrillazione le diplomazie mondiali, per le conseguenze che potrebbe avere un mutamento dei rapporti di forza nella regione mediorientale, dove Israele è in evidente difficoltà di fronte a quanto accade e si aggrappa ad uno statu quo che assomiglia sempre di più ad una paralisi che visibilmente nessuno più vuole mantenere. Quello che maggiormente teme il premier Benyamin Netanyhau è la saldatura di un’alleanza turco-egiziana che romperebbe gli equilibri esistenti e rimetterebbe in discussione quanto raggiunto a livello diplomatico da decenni (sì, proprio decenni) di negoziati guidati da Stati Uniti ed Europa che sostanzialmente non hanno portato a nulla F ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Saggiamente il premier Recep Tayyip Erdogan, prima di affermare l’avvento di una nuova era nelle relazioni fra la Turchia e la regione mediorientale e nord-africana, ha atteso una conferma elettorale, puntualmente avvenuta con la vittoria del suo Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) nelle elezioni legislative di giugno con quasi il 50% dei voti. Ricorderemo che si è trattato della terza vittoria consecutiva dell’Akp, un risultato questo molto significativo ed un 1-2-3 ottenuto per la prima volta da un partito turco dall’introduzione del multipartitismo avvenuta nel 1946. Questo successo, naturale conseguenza del14 garanzie sulla terra ai palestinesi sostegno ai Fratelli Musulmani Essa comporta la segnalata rottura politica e militare (ma non economica) con Israele, ed una strategia della porta aperta con tutti i governi della regione, compresi quelli isolati (Iran) o in difficoltà (Siria), ed un non tanto nascosto sostegno a formazioni politiche come i Fratelli Musulmani. Che, a giudizio di Ankara, hanno maturato nel corso degli anni un sufficiente grado di accettazione del pluralismo politico ed economico da farne partner non più preoccupanti per il futuro assetto istituzionale del mondo arabo ed islamico. Un’intesa con questa forza è per Erdogan necessaria per contrastare i pericoli insiti in una possibile offensiva elettorale, e non solo, di movimenti e partiti integralisti islamici o, peggio, con ambizioni nazionaliste e contrarie all’economia di mercato che esistono e si agitano in molte nazioni della regione in esame. un neo Impero Ottomano? Come era possibile immaginare il nuovo attivismo turco ha sollevato numerose cri- tiche legate a quello che sarebbe il rilancio di una sorta di neo-ottomanesimo per imporre una leadership turca su una regione che in passato fece parte appunto dei fasti dell’Impero Ottomano. Fra quanti hanno criticato questo ruolo turco vi è stato il presidente siriano Bashar al Assad, che ha respinto un suggerimento turco di associare al potere i Fratelli Musulmani (illegali in Siria) e sostenuto di essere contrario a che «l’Ottomanesimo possa sostituire l’Arabismo e che Ankara diventi il centro delle decisioni del mondo arabo». «Ma che neo-Ottomanesimo!», ha ribattuto Suat Kiniklioglu, vice-presidente del Dipartimento internazionale del partito di Erdogan. «Non siamo andati là per ricreare l’Impero Ottomano – ha assicurato – ma per mettere a profitto il più possibile l’influenza in una regione che sta accogliendo positivamente la nostra leadership». una gestione regionale? Ma è stato il ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, a svelare l’ambizioso piano che si nasconde dietro l’offensiva internazionale turca. In una recente intervista ha spiegato che la Turchia vuole facilitare una integrazione della regione, grazie anche alla fortissima espansione commerciale registrata in essa dalla Turchia dal 2002 ad oggi. In sintesi il capo della diplomazia turca immagina per il Medio Oriente ed i paesi limitrofi una sorta di Unione simile a quella europea degli inizi, «con una integrazione economica ed un coordinamento politico» che, date le circostanze, richiederà un certo coinvolgimento anche delle sfere militari. «Ma il processo – ha insitito – dovrà avere una gestione solo dei paesi della regione. Una gestione non turca, non araba, né iraniana, ma assolutamente regionale». Con la speranza in definitiva che un boom economico possa aiutare a risolvere non solo il problema israelo-palestinese, ma tutte le numerose crisi che affliggono l’area. «È un fatto che le vecchie politiche sono fallite e che ce ne vuole una nuova», ha osservato al riguardo il professor Ersin Kalaycioglu, docente di Scienze Politiche dell’Università di Istanbul. Secondo lui «la visione di una regione ispirata dalla Turchia, prospera e stabile, è non molto di più di una promessa impalpabile nel mezzo delle rivolte». «L’immagine è bella – ha concluso – se poi porterà anche dei frutti, sta a ciascuno immaginarlo. Per ora dietro questa immagine non è ancora nato nulla di veramente importante». ROCCA 15 OTTOBRE 2011 di tangibile per il popolo palestinese. Bisognerà ricordare, di fronte al nuovo slancio e disponibilità dimostrata in queste settimane dal Quartetto (Usa, Unione europea, Russia e Onu) e all’attivismo del presidente Barack Obama che in passato si era detto favorevole all’esistenza di due Stati vicini (Israele e Palestina), che quello stesso Quartetto nella prima metà del decennio scorso aveva proposto una Road Map che prevedeva la costituzione di uno Stato palestinese entro la fine del 2005. E che di fronte al mancato appuntamento, l’Amministrazione statunitense (a quell’epoca condotta da George W. Bush) aveva convocato i Grandi del mondo ad Annapolis per ribadire lo stesso obiettivo, ma per la fine del 2008. Successivamente Obama aveva assicurato che la costituzione di tale Stato sarebbe stata la priorità del suo primo mandato che sta per concludersi. Ora la Turchia, che pure è alleato fedele degli Usa nella Nato, ha deciso che è giunto il momento di praticare altre vie per ottenere quello che è un obiettivo assolutamente non più procrastinabile, ed ha adottato una strategia a tutto campo per raggiungere il suo obiettivo, ponendosi in un certo senso a garante del fatto che la soluzione che sarà trovata per dare ai palestinesi la terra che loro spetta godrà della garanzia della storia di democrazia e pluralismo che Ankara si è storicamente conquistata. Maurizio Salvi 15 IL MANIFESTO DI CONFINDUSTRIA l’inizio di quel che verrà dopo ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Roberta Carlini 16 l diciottesimo anno e al quarto governo dell’era Berlusconi, gli imprenditori italiani paiono definitivamente decisi a scendere dal carro del Cavaliere. Dopo l’estate più pazza dell’economia italiana, quella in cui la parola «spread» è entrata nei titoli dei Tg della sera a raccontarci che eravamo nei guai con i mercati finanziari di tutto il mondo, e il nostro debito pubblico è cresciuto per puro effetto della sfiducia che si spargeva verso la nostra possibilità di ripagarlo; dopo settimane e settimane a fare e disfare manovre, fare e disfare governatori di Bankitalia, con tutto il mondo a precipizio intorno e il governo tutto centrato sui problemi personali con la giustizia di ministri e assistenti di ministri; al termine di tutto ciò, e in vista d’un autunno caldissimo, Confindustria ha virtualmente licenziato il governo. Ha dettato un manifesto in cinque punti, chiedendone la realizzazione immediata; ha alzato la voce contro il tempo perso e le promesse mancate; ha addirittura ritirato gli inviti ai membri del governo alla prestigiosa passerella di Capri: quei meeting nel corso dei quali ogni anno i giovani imprenditori – che sarebbe meglio chiamare «i figli degli imprenditori», visto che sono affollati di rampolli di buona famiglia più che di emergenti inventori di geniali startup – criticano per due giorni il governo di qualunque colore per poi spellarsi le mani quando, alla fine del week-end, il ministro dell’economia o il presidente del consiglio di qualunque colore salgono sul palco per omaggiarli e arringarli. A Chi legge potrebbe non concordare con l’ironia di queste righe. Di fronte alla gravità del momento, è bene che si faccia finalmente fronte comune per affrontare seriamente la situazione mettendo anche tra parentesi divisioni vecchie e rancori umorali – si potrebbe dire, e auspicano in molti. le richieste Senonché, quel che è in discussione in questi giorni, dopo la pubblicazione della lettera con la quale il governatore uscente della Bce Trichet e quello entrante Draghi dettano al governo italiano quel che deve fare, e dopo le uscite pubbliche dei rappresentanti del mondo produttivo italiano, non è la fine dell’era di Berlusconi e – nel campo economico – della «Berlusconomics»; ma l’inizio di quel che verrà dopo: sarà una politica nuova, orientata alla discontinuità con gli ultimi vent’anni, o una continuazione presentabile del ventennio? Il manifesto presentato da Confindustria (insieme alle associazioni degli artigiani, a quella dei banchieri, a quelle delle cooperative, dei commercianti e delle assicurazioni: tutto il mondo produttivo organizzato, insomma) ripropone in cinque punti un programma per gran parte già visto: spesa pubblica e riforma delle pensioni (tagliare la prima, riducendo le seconde); cessione del patrimonio pubblico (privatizzazioni dei servizi pubblici locali e vendita di immobili); liberalizzazioni e semplificazioni; rilancio delle infrastrutture e investimenti nell’energia (aprire i cantieri delle grandi opere, riportare l’energia alla competenza nazionale e non regionale). Il concorrenza o nuovi affari? Tutti punti che in teoria un governo di destra non dovrebbe aver problemi a sottoscrivere, e che infatti – salvo la patrimoniale – ha sempre dichiarato di voler attuare, ma senza farlo o comunque senza riuscirci. Ma su ciascuno di questi punti, l’attuale leadership degli industriali è ancor meno credibile del governo Berlusconi-Tremonti. Prendiamo la parola più in voga, la mitica riforma a costo zero: le liberalizzazioni. Liberalizzare vuol dire aumentare il grado di concorrenza nell’economia. Ma quanti dei nostri imprenditori lo vogliono davvero? Quanti si sono stracciati le vesti, o hanno almeno comprato mezza pagina di pubblicità sui giornali, quando il governo ha chiuso spazi di concorrenza anziché aprirne? Se si va sui libri sociali dell’Alitalia e si guarda la composizione dell’azionariato, si trova un bel 0,8% alla Marcegaglia Spa: e infatti la presidente di Confindustria entrò, con pochissimi soldi ma molto clangore mediatico, nella cordata che doveva «salvare» Alitalia dagli stranieri. Per benedire la quale il governo sospese d’imperio la concorrenza tra gli operatori del traffico aereo tra Roma e Milano. Sappiamo poi com’è andata a finire: una montagna di soldi pubblici spesi per evitare un esito (la vendita di Alitalia ai francesi di Air France) al quale stiamo arrivando comunque. In quel caso la concorrenza non era da difendere. Così come non lo era per i grandi appalti delle grandi opere deci- ROCCA 15 OTTOBRE 2011 quinto punto è l’unico che ha dentro una proposta inedita per gli industriali: parlando della necessità di riforma fiscale e lotta all’evasione, ipotizzano l’introduzione di un’imposta patrimoniale dell’1,5 per mille. 17 IL MANIFESTO DI CONFINDUSTRIA se nelle consorterie dei «general contractor» (tutto lo stato maggiore di Confindustria); né per l’assegnazione delle frequenze tv liberate dal digitale; né in tanti altri casi nei quali magari la Confindustria non è entrata mani e piedi con il nome e la faccia del suo presidente – come è successo per Alitalia – ma si è ben guardata dal far sentire la sua voce di protesta. Viene il sospetto allora che più che le «liberalizzazioni» – parola alla quale sarebbe meglio sostituire la più semplice «concorrenza» – a Confindustria stia a cuore la cessione sul mercato di attività adesso gestite dal pubblico. E infatti ne parla nel punto riguardante le dismissioni, tornando alla carica sui comuni e i servizi pubblici locali. Un settore di business nel quale molti imprenditori vogliono entrare, anche perché spesso è – e potrebbe restare – protetto dalla concorrenza, dunque appetibile: come sono stati appetibili per i Benetton, i Ligresti, i Romiti, etc i monopoli privatizzati negli anni ’90, dalle autostrade agli aeroporti, nei quali i privati sono entrati senza migliorare la qualità e la quantità del servizio ma rimettendo a posto non di poco i loro bilanci e i loro profitti. Insomma si ha l’impressione che – come è sempre successo nella storia italiana, caratterizzata da una cronica carenza di una borghesia autenticamente produttiva – più che chiedere al governo presente o futuro un clima e uno spazio più favorevoli alle iniziative d’impresa, si stiano chiedendo nuove occasioni d’affari, nella solita area grigia tra politica ed economia che a parola tutti dicono di voler illuminare ma che invece rimane sempre assai oscura. A proposito di zone grigie: nel capitolato delle imprese si parla di lotta all’evasione e di ritorno alla tracciabilità dei pagamenti, ma non si trova traccia di alcuna dichiarazione pubblica di critica quando, all’esordio del suo quarto mandato, Berlusconi con Tremonti abolì le misure di Visco in proposito, anzi allora si festeggiò. si cambia cavallo con patrimoniale al seguito ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Ciononostante, alcune novità ci sono nel manifesto delle imprese. E la prima è proprio nel fatto che il manifesto è stato fatto. Sia pure con ritardo gravissimo e colpevolissimo, l’élite economica si è resa conto che con questa classe dirigente politica non si va da nessuna parte, neanche il piccolo cabotaggio del tirare a campare riesce più. Dunque, si cambia cavallo. Ma i nuovi «ca18 valli» – le cui redini stanno più o meno dalle parti del centrosinistra – prima di farsi ammaliare dai punti delle imprese dovrebbero forse fare un esercizio di memoria, e ricordare ai nuovi arrivati nel club dell’opposizione le colpe passate. La seconda novità, l’unica proposta che anche i nuovi «cavalli» potrebbero recepire con soddisfazione, è nella prima timida apertura sul fronte fiscale: l’imposta patrimoniale, prima considerata una parolaccia o uno spauracchio, è finalmente entrata a pieno titolo nel dibattito pubblico. In un paese nel quale il 45% della ricchezza è in mano al 10 per cento più ricco della popolazione, e nel quale ci si appresta a un periodo di manovre fiscali dolorosissime, il pensare di prendere i soldi dove stanno, ossia in quel 10% più ricco, dovrebbe essere normale non solo per la sinistra ma anche per i liberali. Finalmente se ne parla, forse si arriverà a una proposta compiuta: per dire, andando oltre quel che Confindustria dice, che si può pensare a risanare il bilancio pubblico compiendo allo stesso tempo una buona azione di redistribuzione; e senza deprimere ulteriormente i salari e l’economia. Sarebbe il primo segnale di quella discontinuità di cui si parlava all’inizio. Una discontinuità che è un’esigenza politica, ma anche economica. Affidarsi alla sola linea tagli-privatizzazioni-dismissioni, infatti, è in questo momento rischioso e potenzialmente suicida. Perde di vista il fatto che, se un’emergenza del debito c’è in questo momento, è dovuta all’aumento degli interessi e al calo della produzione, più che all’aumento della spesa pubblica. Cosa succederebbe se attuassimo in pieno la linea che va da Draghi a Confindustria, passando per quella parte del partito democratico che si è adesso invaghita del banchiere Profumo? Dov’è la domanda che dovrebbe sostenere la crescita, in questo contesto? Per chi dovranno produrre le imprese finalmente «liberate» (non si sa bene da cosa, visto che erano state finora quantomeno benevole col proprio aguzzino)? Chi chiede queste cose viene spesso tacciato di volere un keynesismo fuori tempo massimo, o una anacronistica lotta di classe. Dimenticando che forse fuori tempo massimo è ormai arrivato il sistema economico sul quale abbiamo modellato le nostre politiche nell’ultimo ventennio; e che la lotta di classe già c’è, e il programma di Confindustria ne è uno splendido esemplare. Roberta Carlini OLTRE LA CRONACA Romolo Menighetti dello stesso Autore LE IDEE CHE DIVENTANO POLITICA linee di storia dalla polis alla democrazia partecipativa pagg. 112 - € 13,00 (vedi Indice in RoccaLibri www.rocca.cittadella.org) per i lettori di Rocca € 10,00 anziché € 13,00 spedizione compresa richiedere a Rocca - Cittadella 06081 Assisi e-mail [email protected] o Stato si manifesta sempre più solerte e implacabile esattore quando deve riscuotere, ma continua a prendersela comoda quando deve pagare i suoi creditori, cioè i cittadini. Ne sono ulteriore conferma le nuove procedure di riscossione che il Governo garantisce all’Agenzia delle Entrate (più precisamente al suo braccio armato Equitalia), con le disposizioni entrate in vigore il primo ottobre. In forza di queste Equitalia dovrebbe ricupere 13 miliardi: tale è la cifra che la manovra di Tremonti gli impone di racimolare. Questo provvedimento pare non sia sufficientemente recepito in tutte le sue conseguenze dall’opinione pubblica. Ma i cittadini aventi pendenze con lo Stato se ne accorgeranno quanto prima, al momento delle notifiche. Veniamo ai fatti. Dall’1 ottobre le cartelle esattoriali sui mancati pagamenti Irpef, Ires, Irap, Iva relativi al 2007, 08, 09 diventeranno immediatamente esecutive già dopo 60 giorni dalla notifica. Cioè chi non paga subito ha fino a 60 giorni di tempo per pagare. In caso contrario, entro 180 giorni, essendo l’avviso di accertamento immediatamente esecutivo, può succedere, nell’ordine: iscrizione ipotecaria con comunicazione alla Centrale rischi di Banca Italia, pignoramento del conto corrente bancario e dei crediti verso terzi, o le ganasce fiscali sui veicoli. Dopo c’è l’esecuzione forzata. Scompare la vecchia iscrizione a ruolo con i suoi tempi allungati. Morale: se prima la procedura per il ricupero crediti durava 1518 mesi, ora dura solo 8 mesi. Certo, entro 60 giorni dall’avviso di accertamento è possibile ricorrere, ma si deve depositare un terzo della cifra oggetto di contestazione. Ora, tenuto conto che il nostro sistema tributario produce il 40 per cento di cartelle non veritiere – afferma Pietro Giordano, segretario generale dell’Adiconsum – e perciò destinate a essere annullate dal giudice, succede che molti cittadini possano essere gravati da un onere improprio, cioè il congelamento di somme che altrimenti potrebbero essere investite nell’azienda. Se questa procedura si applicasse solo ai L grandi evasori saremmo d’accordo. In realtà queste norme mettono nel mirino le medie e piccole imprese, nonché i singoli cittadini, anche, ad esempio, per una rata non pagata a causa della crisi, per uno sbaglio nella dichiarazione dei redditi o per una multa causata da infrazione al Codice della strada. È illuminante il caso della Sardegna, dove pastori, muratori, piccoli costruttori, partite Iva, si sono visti recapitare 80 mila cartelle, il che ha provocato una clamorosa protesta. Altro che favorire la crescita, qui si soffoca quel poco che c’è! Ora, a fronte di questo zelo esattoriale dello Stato non si nota un’adeguata sollecitudine quando è lo Stato a dover pagare i suoi creditori, cioè i cittadini. Secondo calcoli di Abi-Confindustria, sul finire del 2010 lo Stato doveva alle imprese circa 70 miliardi di euro. Secondo Confcooperative, considerando tutti i tipi di forniture e tutte le amministrazioni pubbliche debitrici, compresi Comuni e Province, tale cifra sale a 200 miliardi. A rendere più drammatica per le imprese la situazione ci sono poi i tempi di pagamento. Il Centro studi di Confindustria calcola un ritardo medio di 52 giorni nel 2009, e di 86 nel 2010. Peggio di Portogallo (84), Grecia e Spagna (65). Nel Sud Italia, poi, sono 400 i giorni di ritardo dei pagamenti della Pubblica amministrazione. È noto che negli altri paesi europei in media i pagamenti vengono fatti entro 30 giorni. Siamo dunque lo Stato europeo che paga con più ritardo i suoi debiti ai fornitori. Si tratta di una notevole zavorra allo sviluppo – secondo la Cgia di Mestre tale situazione pesa sulle imprese per circa 10 mila miliardi l’anno – che rallenta gli investimenti, quando non affonda le aziende. Siamo all’assurdo: le aziende creditrici sono costrette, loro malgrado, e pur essendo in difficoltà, a far da banca allo Stato. Almeno fosse possibile compensare le pendenze fiscali con i crediti verso gli enti pubblici! La legge c’è (n. 122 del 30 luglio 2001) ma manca il decreto attuativo del Ministro dell’Economia. Tremonti evidentemente teme il conseguente mancato gettito, con buona pace dei fantomatici «decreti sviluppo» e delle aziende in crisi. ❑ 19 ROCCA 15 OTTOBRE 2011 severo quando esige, pigro quando paga POLITICA ITALIANA rabbia leghista ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Ritanna Armeni 20 uel dito medio di Bossi continuamente mostrato davanti alle telecamere. Quel turpiloquio usato senza remore. Quelle frasi sprezzanti e autoritarie usate nei confronti dei «sottoposti» e delle massime autorità. Quelle offese continue all’Italia e al tricolore. Che cosa c’è dietro i comportamenti «esagerati» del grande capo della Lega nord? Fino a qualche tempo si poteva pensare – e i cronisti lo hanno pensato – che in quel modo il senatur volesse mostrare una vicinanza con il suo popolo. Un popolo semplice che lavorava sodo, amava le osterie, i canti, la battuta volgare e odiava i fannulloni, le tasse, «Roma ladrona». Un popolo esasperato perché una parte della sua ricchezza andava al sud (questo almeno crede) e il nord era invaso dagli immigrati. Oggi non è più così. Quel dito medio continuamente alzato indica altro, segnala al- Q meno altre due cose. dissenso della base La prima si può chiamare semplicemente sconfitta. Il partito di Umberto Bossi è oggi un partito sconfitto. Non ancora elettoralmente (anche se le ultime elezioni hanno mostrato pericolosissimi cedimenti proprio nelle roccaforti della Lega) ma politicamente. L’alleanza su cui ha puntato tutte le sue carte, quella con Silvio Berlusconi, gli fa perdere consensi, provoca contestazioni a dir poco vivaci anche negli appuntamenti «sacri» per la Lega nord, quelli che ogni anno a Pontida, sulle rive del Po o nella laguna veneta rinsaldano in nome della Padania il patto fra dirigenti e militanti. Quest’anno quelle feste sono stati il luogo del malcontento verso il capo, e per la prima volta contro un partito, il partito del nord, che è diventato con i suoi mini- una maggioranza. I leghisti hanno l’impressione che ormai i loro capi hanno tradito, anche loro sono diventati «romani», anche loro per motivi oscuri e sicuramente personali non mantengono fede agli impegni. Ma quel dito medio continuamente alzato non indica solo la sconfitta nel rapporto con la base e, quindi, una divisione fra base e vertice che potremmo definire verticale. Essa indica anche una rottura orizzontale che dai vertici del partito è vissuta appena un po’ più diplomaticamente. Fra le due divisioni, quella orizzontale e quella verticale ci sono ovviamente nessi strettissimi, ma quest’ultima, contrariamente alla prima, ha dei volti e dei nomi. Primo fra tutti quello di Roberto Maroni, ministro dell’interno, leghista moderato, colui è stato indicato più volte come il successore di Umberto Bossi, che ha raccolto qualche tempo fa in un sondaggio del quotidiano la Padania alla domanda «chi vor- ROCCA 15 OTTOBRE 2011 stri troppo romano, si è adeguato peccaminosamente agli equilibri del governo. La rabbia è stata tanta soprattutto contro un’alleanza di governo che non da più ai leghisti quel volevano. E contro quel premier la cui condotta è in aperto contrasto con i valori di un popolo «pulito e lavoratore» a cui i dirigenti leghisti volevano garantire il federalismo. I voti in parlamento che hanno salvato Marco Milanese, accusato di corruzione, rivelazione di segreti d’ufficio e associazione per delinquere e il ministro Saverio Romano, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, non sono per niente piaciuti al popolo del senatur. Anche in quei voti hanno visto la volontà di mantenere a tutti i costi in piedi un governo che non ha mantenuto le promesse, un rapporto fra Bossi e Berlusconi che non riesce più a tener conto dei motivi veri per cui «il popolo del nord» è entrato a far parte di 21 POLITICA ITALIANA resti come nuovo leader della lega nord» il 35 per cento dei consensi. il nemico del cerchio magico Maroni oggi si muove con grande prudenza. Da una parte cerca di rappresentare e di gestire gli umori di una base che evidentemente non riconosce più l’assolutismo del vecchio capo, pensa che abbia perduto nei suoi rapporti con Berlusconi e vorrebbe la conclusione di un’alleanza ormai deleteria. Dall’altro cerca di costruire a Roma un cambiamento del quadro politico e del centrodestra che facilitino la successione nel governo e nella Lega. A Maroni è chiaro che il cavaliere e il senatore sono uniti ormai da un patto indissolubile e che solo il ritiro del premier può cambiare la situazione sia all’interno dei partiti dell’attuale maggioranza sia nei rapporti fra di loro. Per questo con passi felpati tesse relazioni, dialoga con Alfano e Casini, si muove in una prospettiva di cambiamento generale. Facendo questo non rinuncia a dare qualche segnale importante. Quando si è trattato di votare per l’arresto di Vincenzo Papa indagato nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta P4 di fronte ai tentennamenti di Umberto Bossi i voti dei maroniani sono stati decisivi. Ma sono segnali appunto, all’interno di un atteggiamento tanto prudente quanto ambizioso. Che però non passa inosservato. Così il ministro degli Interni è diventato il nemico principale del famoso «cerchio magico» il gruppo che protegge anche fisicamente il senatur, che lo accompagna dappertutto e che – si dice – ne determini le scelte principali formato dai capigruppo in Parlamento Reguzzoni e Bricolo, il tesoriere Belsito, la vicepresidente del Senato Rosi Mauro, dal figlio il Trota, e dalla moglie. la rivolta dei sindaci del nord ROCCA 15 OTTOBRE 2011 L’inimicizia del «circolo magico» non si rivolge solo contro Maroni, ma anche contro gli altri protagonisti della crisi leghista, i sindaci del nord capeggiati da Flavio Tosi, primo cittadino di Verona. Certamente Flavio Tosi è un maroniano, certamente anche lui come il ministro degli Interni è ormai convinto che l’alleanza con Berlusconi oggi sia nefasta, certamente come Maroni non apprezza le uscite estremiste del senatur, ma la spinta di Tosi a distinguersi dalle posizioni di Bossi ha anche altre motivazioni. Esse stanno nel federalismo tradito e nella manovra economica che hanno deluso profondamente i citta22 dini del nord amministrati dalla Lega. Le misure economiche che hanno colpito tutti hanno creato nel nord del paese una delusione particolarmente cocente. In questi anni la Lega aveva costruito la sua identità come partito del nord che nel nord avrebbe mantenuto e allargato ricchezza. La manovra economica ha scalfito questa identità e ha provocato uno sconquasso che potrebbe portare da un momento all’altro alla implosione. I segnali ci sono tutti anche negli organismi dirigenti di periferia. La lotta politica fra maroniani e bossiani spesso capovolge gli equilibri nei congressi provinciali e mette in difficoltà Bossi. Maroni, prudente a livello nazionale, appare più deciso in periferia dove i suoi uomini contendono ai bossiani i posti dirigenti senza esclusione di colpi. Oggi è la periferia più che il vertice il luogo della crisi leghista. È qui che finiscono fraternità ostentate e diplomazie ormai logore. È stato il sindaco di Verona a dire una frase che certamente a Bossi e al cerchio magico è indigeribile, ma che rappresenta pienamente gli umori leghisti. «Un ciclo è concluso. La cosa migliore sarebbe che Silvio Berlusconi decidesse di farsi da parte. Non nel 2013, ma il prima possibile». Una presa di posizione netta, che aveva scatenato la dura replica di alcuni fedelissimi di Bossi, tra cui il ministro Calderoli e se non ha portato, come in un primo momento si era pensato ad alcun provvedimento nei confronti di Tosi, ha costretto i vertici leghisti a vietare la partecipazione dei propri militanti e dirigenti ai cortei contro la manovra. un nodo che può essere solo tagliato Fino a che punto potrà continuare un braccio di ferro che non è solo fra Bossi e Maroni ma fra il capo della Lega e la sua base, fra i suoi collaboratori più stretti e la sua famiglia, e il partito, i militanti e gli elettori del nord? Anche il risultato di questa battaglia appare legato alla figura di Silvio Berlusconi, alla crisi ormai irrimediabile del suo governo al deterioramento della sua figura pubblica. Bossi e Berlusconi sono davvero stretti da un nodo che non può essere sciolto, ma solo tagliato. È certo che in questa situazione non servono né i diti medi alzati, né le parolacce, né gli inviti alla secessione in nome della Padania. Oggi non segnalano rabbia e aggressività, ma grande impotenza e l’imminente crollo di una leadership. Ritanna Armeni CAMINEIRO il prezzo della crisi L gli indignados di Wall Street Finché si protesta a Madrid è un conto, ma quando il dissenso scende nelle strade di New York a ridosso della Borsa mondiale è tutta un’altra storia! «Siamo il 99%» è lo slogan che ha convocato gli «indignados» statunitensi sin dal 17 settembre scorso e che ora dallo Zuccotti Park ha contagiato anche Los Angeles, Boston, Chicago, Kansas City, Tampa e St. Louis fino a espatriare in Canada. È il tentativo di non delegare più il proprio destino ai maghi della fi- nanza che hanno già mostrato di sbagliare i conti oppure di saperli fare solo a proprio vantaggio. Si tratta di una contestazione che va oltre il lamento della crisi e individua il bacillo del malessere in un sistema economico che non funziona per tutti. Si rivendica la necessità di individuare un’altra terapia che aggredisca i fattori e non le parti inconsapevoli dell’organismo. È un brivido che percorre il pianeta e che vuole «cacciare i mercanti dal tempio». ricette anticrisi Sembra una crisi senza ricette. Non voglio improvvisarmi chef dell’economia ma ritengo che in qualunque ricetta di questo tipo non possa mancare la revisione dei nostri stili di vita. Continuano a predicare l’incentivo dei consumi per far circolare l’economia. Presto ci si renderà conto che i consumatori saranno sempre meno consumatori quando non avranno soldi da spendere. Uno stile di sobrietà ci aiuta a riscoprire l’essenziale. In ogni senso. È un ingrediente che non sostiene soltanto l’economia ma dà sapore anche alla qualità della vita. Se invece pensiamo al pentolone della politica allora la ricetta dovrebbe comprendere la lotta all’evasione fiscale che, secondo le stime più prudenti elaborate dall’Istat, dalla Corte dei Conti e dalla Banca d’Italia ammonta a 120 miliardi di euro. «Sommando evasione tributaria, lavoro nero, economia sommersa, riciclaggio e altre nefandezze – scrive Eugenio Occorsio sulle colonne di Affari&Finanza –, il risultato è da choc: 560 miliardi». Infatti il costo della corruzione è calcolato in 60 miliardi, la contraffazione in 7,5 miliardi (sottrae all’economia legale 18,5 miliardi all’anno) ed il lavoro nero (52,5 miliardi). Nel computo non è inserita la spesa folle di 20 miliardi per la costruzione degli aerei da combattimento F35. Infine una tassazione per le transazioni finanziarie (Tobin Tax) non sarebbe soltanto un versamento considerevole ma il giusto contributo al risanamento da parte di chi ha provocato i danni. 23 ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Tonio Dell’Olio a tragedia di Barletta è il paradigma della crisi. Icona perfetta dei giorni che viviamo. Le macerie hanno restituito i corpi senza vita di donne che – a detta dei parenti – lavoravano oltre le otto ore consentite per meno di quattro euro all’ora. L’impresa forse non aveva soldi per contratti normali, le donne si sottoponevano a quei ritmi e a quelle paghe perché il mercato del lavoro non offre di meglio. Forse anche il Comune ha archiviato frettolosamente la pratica della messa in sicurezza o lo sgombero dell’edificio perché i tagli... Tutta colpa del denaro che non c’è? Responsabilità di speculatori senza scrupolo che hanno finanziarizzato l’economia rapinandole l’anima e forse anche il corpo? Irresponsabilità dei timonieri della politica nazionale e internazionale che hanno diretto la barca verso la tempesta senza darsi conto del bollettino meteo o sottovalutandone l’entità? O l’incoscienza di chi non ritiene di avvertire per tempo i passeggeri? Molto più semplicemente la cultura del profitto ad ogni costo ha chiesto il sacrificio di altre vite umane? Ed è solo un caso che questo sacrificio sia stato chiesto a cinque donne? Maria di 14 anni, Matilde, Tina, Antonella, Giovanna. Pronto a scommettere che la vicenda scivolerà rapidamente fuori dalle notizie di cronaca per diventare cicatrice insanabile solo per i superstiti e i familiari delle vittime. Per il resto sarà un fascicolo raccolto con l’elastico per gli uffici del tribunale competente. DONNE un nuovo padrone in casa Fiorella Farinelli gni nuovo libro un successo. Ma anche l’occasione di furiose discussioni tra donne. Elisabeth Badinter, filosofa e femminista francese, ci riesce anche questa volta. Il suo ultimo saggio «Il conflitto. La donna e la madre», 200.000 copie vendute in Francia, uscito in questi giorni da noi col titolo fuorviante di «Madri cattivissime» (1), sta già scatenando sul web una tempesta di polemiche, confronti, prese di distanza. A parlarne non sono solo voci autorevoli della cultura femminista, critiche o consensi vengono anche da donne non note, segno che il tema interroga, inquieta, fa pensare. Merito anche della sperimentata capacità di Badinter – approccio diretto, analisi affilate, sguardo impietoso – di mettere a nudo i paradossi della condizione femminile. Si tratta, questa volta, di una libertà che rischia, nel passaggio dalle generazioni che l’hanno conquistata a quelle che l’hanno ereditata senza colpo ferire, di rovesciarsi nel suo contrario. O non solo donne non solo madri ROCCA 15 OTTOBRE 2011 È della maternità che si parla, e delle sue trasformazioni da quando da destino obbligato è diventata oggetto di libera scelta. Sceglierla liberamente doveva significare anche la libertà di non volerla, ma soprattutto quella di tener conto delle tante facce del desiderio femminile di maternità e dei tanti modi diversi con cui possono viverla donne diverse per età, esperienza, cultura, condizione sociale. Una liberazione, in effetti, per le giovani donne degli anni settanta che si trovavano nelle mani, grazie ai contraccettivi e alle numerose trasformazioni di identità de24 terminate dall’accesso all’istruzione lunga e a nuove prospettive professionali, diversi modelli possibili di autorealizzazione. Il sogno dell’autonomia e della parità. Essere donne senza necessariamente essere madri. Essere madri senza necessariamente essere «solo» madri. E senza dover incorrere per questo in colpevolizzazioni di sorta. È ancora così? Certo, per molte – le più istruite, le più realizzate nel lavoro e in altri ruoli sociali – è certamente così. Ma c’è anche dell’altro, un’insidia che è venuta poco a poco materializzandosi, l’imporsi di nuovo un modello unico, che si può solo accettare o rifiutare. Il rischio, proprio quando le donne (almeno quelle occidentali) si sono sbarazzate del patriarcato, di «trovarsi un nuovo padrone in casa». Non il marito né il capo (che peraltro continuano, se pure in modi un po’ diversi dal passato, a ripercorrere i ruoli tradizionali) ma il bambino, il loro bambino. Cosa è successo? Secondo Badinter, c’è stato, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, un vero e proprio «testacoda» della cultura femminista. Una brusca torsione del pensiero delle donne, che riscopre la femminilità non solo come differenza ontologica ma come «una virtù di cui la maternità è il cuore». Una nuova generazione di femministe, insomma, che torna a considerare la maternità come l’esperienza cruciale della femminilità, a partire dalla quale si può costruire un mondo più umano e più giusto. A idealizzare la maternità, e a proporne un modello unico, con connotazioni unicamente biologiche e naturaliste. Che si può solo accettare o rifiutare. Quali sono le conseguenze? Sarà per questo, anche per questa idea della maternità retorica della maternità «Mamme cattivissime» non sostiene che all’origine di questa idea di maternità ci sia solo il femminismo «della differenza». Mette in evidenza, anzi, come a questa torsione della cultura femminile contribuiscano le politiche neoconservatrici, il peggioramento del welfare, le crisi economiche che tendono ad espellere le donne dal mercato del lavoro o a mantenerle comunque in una condizione di subalternità. Vorrà dire qualcosa, per esempio, che dagli anni Ottanta, lo scarto tra le retribuzioni maschili e femminili non accenni più a diminuire, che le donne siano sempre più frequentemente colpevolizzate dai datori di lavoro e dall’ambiente sociale per i congedi di maternità e per le richieste di conciliazione tra ruolo familiare e ruolo professionale, che non solo nell’Europa meridionale siano così forti le preclusioni a includere le donne nei livelli di massima responsabilità professionale e politica. Un contesto che oggettivamente favorisce la fuga delle donne nei loro ruoli tradizionali. Ma nella descrizione che viene fatta della «retorica della maternità» e del modello che ne viene veicolato dai media, è evidente che Badinter vede una corresponsabilità diretta, o almeno un coinvolgimento, anche fem- minile. Una condiscendenza pericolosa a tutti i messaggi – e a tutte le politiche – che considerano l’allattamento al seno, che implica una dedizione e una disponibilità totale e full time, sempre e comunque preferibile al biberon affidabile anche al padre o ad altre persone. Una diffusa interpretazione «sacralizzante» dei bisogni, anche i più minuti, del bambino, a cui «si deve» dare sempre piena soddisfazione, con puntualità e prontezza assolute. Un’interpretazione dell’amore materno come vicinanza fisica, come fatto essenzialmente biologico, fatto di pelle, di odori, di calore corporeo, di nutrimento. La donna, ancora una volta, nel ruolo ancestrale di nutrice. Che non può e non vuole condividere con nessuno i compiti dell’accudimento. I padri di nuovo relegati ai margini delle responsabilità genitoriali. Il bambino che «divide» la coppia. Il bambino che obbliga al part time, e perfino all’uscita dal lavoro. C’è del vero, indubbiamente, in questa rappresentazione del modo con cui oggi viene vissuta sempre più diffusamente la maternità. E nei rischi di nuove colpevolizzazioni, questa volta dall’interno stesso del mondo femminile, delle donne che si sottraggano a questo modello. Il bambino al centro. «L’impero del bambino». «Il bambino despota». Dietro – riflette Badinter – c’è, paradossalmente, proprio la maternità come scelta, di cui oggi si decide il quando, il come, le repliche. Dato che un figlio oggi non capita più per caso, non si può essere madri per caso. Il figlio è un’autorealizzazione, che non si può fare a metà o con l’occhio talora distratto altrove. È un «progetto» di sé che bisogna essere in grado di assolvere pienamente. Perfettamente. Tanto ROCCA 15 OTTOBRE 2011 come funzione totalizzante in cui la donna, per essere una buona madre, deve dedicarsi interamente al suo bambino, con la massima disponibilità a tutti i compiti dell’accudimento, in una simbiosi totale non solo nei primi giorni ma nei primi anni della nuova vita, che in tutto il mondo occidentale si fanno sempre meno figli? 25 è uscito il volume che raccoglie gli articoli pubblicati su Rocca DONNE più oggi, una fase storica «in cui l’individualismo, la passione di sé, il narcisismo non sono stati mai così potenti». amore e autonomia Tensioni di ogni giorno e squarci improvvisi violenze invisibili e trappole nascoste ci fanno così vicini e così lontani… Dove siamo? Chi siamo? Tra i sogni e la routine nel pianeta coppia ci si muove insieme eppure ognuno ha propri passi equilibri timbri emozioni e differenze energie e ferite. ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Forse solo una la certezza: non si rimane mai identici a se stessi. pagg. 264 – € 18,50 per i lettori di Rocca € 15,00 (spese di spezione comprese) Richiedere a Rocca c.c.p. 15157068 o bonifico bancario: IBAN ITA 02008 38277 n. 000041.15.58.90 26 Non c’è da meravigliarsi che molte donne rifiutino con rabbia queste analisi. Che respingano bruscamente le considerazioni, di natura anche psicologica e pedagogica, che mettono in evidenza come questi modi di intendere la maternità – e di allevare i bambini – siano rischiosi, oltre che per le madri, per la sopravvivenza delle coppie e per i bambini stessi. Che possono crescere fragili, dipendenti, con difficoltà di relazione, egocentrici se nei primi anni di vita sono avvolti da troppe ansie, troppe protezioni, troppe cure. Se il rapporto esclusivo con la madre fa sbiadire tutti gli altri. Se nessuno gli dice mai di no, se tutti gli evitano perfino il disturbo di desiderare. Ma ci sono anche donne, invece, che all’ironia con cui Badinter racconta delle inutili fatiche cui tante mamme si sottopongono perché i loro figli abbiano tutte le specialissime cure raccomandate da un esercito di pediatri, psicologi, nutrizionisti, esperti di giochi, animatori, mercanti di ogni genere di prodotti per l’infanzia, reagiscono bene. Con animo lieve e parole di buon senso. Con il sollievo di vedere riconosciuta l’ambivalenza del loro desiderio e della loro esperienza di madri. L’amore ma anche il bisogno di autonomia, la cura ma anche l’esigenza di una vita altra, l’identificazione nel ruolo ma anche la paura di perdervisi. E la ricerca, mai definitivamente conclusa, di un equilibrio tra le diverse parti di sé. Donne e madri, donne non solo madri. Elisabeth Badinter, del resto, è un buon esempio. Di quelli che rassicurano. Tre figli, un buon numero di nipoti, una vita fatta anche di soddisfazioni professionali e di impegno politico, tanti interessi e esperienze diverse. È stata una buona madre? È stata sempre adeguata al compito? Lei dice, bonariamente, di avere fatto «quello che poteva». E consiglia di avere un atteggiamento analogo. È un buon consiglio, da tenere a mente. Madri e non madri. Fiorella Farinelli Nota (1) E. Badinter, Mamme cattivissime, Milano, Corbaccio 2011. RELIGIONI in ascolto del grido dei popoli e delle coscienze tavola rotonda al 69° Corso di Studi di Assisi Izzedin Elzir imam di Firenze, presidente Unione Comunità Islamiche d’Italia Elizabeth Green teologa, pastora della Chiesa battista, Grosseto Tanaka Hiromasa buddhista, giapponese, della Risso Kosei Kai, Roma Giuseppe Laras rabbino, pres. emerito dell’Assemblea Rabbinica Italiana, Milano Dipak Raj Pant antropologo nepalese, docente Università Liuc di Castellanza, (Va) Domenico Sorrentino ROCCA 15 OTTOBRE 2011 vescovo di Assisi, Nocera Umbra, Gualdo Tadino coordinatore Raffaele Luise giornalista Rai, Roma 27 RELIGIONI C ROCCA 15 OTTOBRE 2011 redo che nello sporgerci sull’abisso siamo sempre ingenui (chi mai ne può misurare la profondità), anche quando pervicacemente il mondo, le società e le chiese insistono ad autocelebrarsi e addirittura si impennano sul ciglio del burrone. E l’abisso si profila all’orizzonte di questo terzo millennio con l’avvicinarsi contemporaneo di tre catastrofi: quella economica, tanto più evidente dalla crisi finanziaria globale del 2008, e che oggi si incrudelisce; quella ecologica, sempre più intrecciata a quella economica nel doppio grido dei poveri e della terra schiacciati dal medesimo strapotere idolatrico di un mercato capitalistico che sembra trionfare quale unica religione di un mondo globalizzato; e infine la catastrofe psichica, anch’essa avviluppata alle prime due, che ci frantuma dentro, di cui si parla poco ma che è sempre più nitida allo sguardo attento di chi ha caro il destino dell’uomo. Ecco, questa mi pare – sulla scorta di Raimon Panikkar – la forma che assume nel nostro tempo il male che – scandisce il sottotitolo del Corso – sfida uomini e religioni. Noi lo decliniamo in questa tavola rotonda come «ascolto del grido dei popoli e delle coscienze». L’attenzione è centrata sull’uomo, ma noi terremo sempre presente sullo sfondo il grido della terra e delle creature, perché sono due grida frutto del medesimo perverso dinamismo, quello di un’ingiustizia che attenta all’armonia costitutiva della Realtà: armonia sociale, tra gli uomini; armonia cosmica con la natura, e armonia spirituale con la Divinità. Giustizia – diceva Panikkar – è il rispetto di quest’armonia che intesse la Realtà. E questo è il bene, il cui statuto ontologico è molto superiore a quello del male, e il cui fascino siamo chiamati a riscoprire. L’ingiustizia, di converso, è distruzione di quest’ordine, e dunque si pone come massimo esempio di male, quel male che è soltanto distruzione e che alla fine distrugge anche se stesso. E allora è proprio questo il compito «divino» dell’uomo, trasformare i contrasti laceranti in polarità creative, togliendo cioè il pungiglione al male. Oggi sentiamo farsi più forte e aspro questo pungiglione nel grido dei popoli e delle coscienze, a tutte le latitudini. Ma, a quel grido di dolore sempre più va mescolandosi in questi ultimi tempi un grido di risveglio, che registriamo un po’ dappertutto: tra i giovani internauti del periplo della riva sud e orientale del Mediterraneo... il grido tuttora desto di piazza Tahrir al Cairo, in Libia, in Siria, in Tunisia, che fa piazza pulita di quel comodo mito dell’inconciliabilità dei paesi musulma- 28 ni con la democrazia e che reca in sé la possibilità di mettere in crisi i parametri jihaidisti della lotta politico-religiosa. Più che le armi e gli embarghi, sono questi giovani che possono decretare la fine del terrorismo. Questo grido di risveglio è anche quello dei giovani indignados in Spagna e che cresce in diversi Paesi d’Europa, che serpeggia sotto la cenere dall’Iran alla Cina; ed è il grido delle donne stanche del giogo paternalismo in Italia come in molte altre parti del mondo. Allora, se questo è lo sfondo, come le religioni possono raccogliere questa sfida complessa? il grido dei popoli Izzedin Elzir – Il male esiste da quando esiste l’uomo su questa terra. Dipende da noi se vogliamo affrontarlo, eliminarlo, conviverci o aumentarlo. Oggi certamente in diverse realtà nel mondo arabo islamico c’è un risveglio. Questi popoli hanno vissuto per una quarantina, una cinquantina di anni senza libertà, uno dei mali più gravi, senza dignità per l’uomo, ma hanno lottato in maniera pacifica fino a che è giunto il momento storico di riuscire, a mettere il male da parte e a lavorare per l’interesse comune. In tutti questi anni abbiamo avuto purtroppo tantissimi pregiudizi verso il mondo islamico, come se l’Islam non fosse compatibile con la democrazia. Come se noi occidentali fossimo un tipo di essere umano e quello islamico un altro tipo. Abbiamo dimenticato che siamo un’unica famiglia umana, tutti siamo da Adamo, tutti crediamo in unico Dio, in arabo si dice Allah, in italiano Dio, in inglese God, ma è lo stesso. Se dobbiamo combattere il male, ognuno di noi deve cercare di avere la sua fede religiosa, almeno di avere un principio ideale o morale. Oggi dilaga il male perché purtroppo non ci sono più i principi, non ci sono più le fedi, ognuno di noi fa i suoi interessi, vince l’egoismo. E allora questo risveglio nell’altra sponda del Mediterraneo, aiuta anche noi che viviamo in Italia, in Occidente, a risvegliarci a nostra volta per non dimenticare che abbiamo combattuto 60 anni fa per avere una Costituzione così bella, che permette a tutti la libertà religiosa, la democrazia, la dignità e i diritti dell’essere umano. Valori che purtroppo oggi, a causa di questa crisi economica o ecologica e di altre crisi, stiamo dimenticando. Per tutti questi motivi credo che il ruolo delle religioni, in questo caso dell’Islam, è molto importante. Noi abbiamo bisogno di tornare a noi stessi, e cercare di fare jihad, che nel linguaggio cristiano come in arabo significa conversione e non guerra santa, perché le guerre sono sporche. Questo jihad dob- nel Cristo, Dio che soffre con loro «gustando la morte per tutti». Gesù diventa la vittima per eccellenza con la quale le vittime di ogni ingiustizia si possono identificare. Ma non per questo la sofferenza di Cristo legittima l’ingiustizia e le sue vittime. Su questo punto bisogna insistere, perché nel cristianesimo imperialista e maschilista la croce ha avvalorato la vittimizzazione di donne e uomini. Il Cristo crocefisso può permettere protagonismo femminile alle donne vittime di violenza di riconosceElizabeth Green – In primo luogo, i po- re un Dio che non le abbandona ma s’idenpoli il cui grido vorremmo ascoltare sono tifica col proprio obbrobrio ma non deve composti di uomini e donne. Mentre le voci essere usata per mantenere nessuno nella degli uomini si fanno sentire, a volte biso- posizione di vittima perenne. gna stare fermi, in silenzio per captare il In secondo luogo, attraverso la croce il crigrido delle donne. Non ho dubbi che lad- stianesimo sfida il male. Gesù, infatti, viene dove gli uomini gridano, a maggiore ragio- crocefisso perché ha sfidato il male, sfidando ne avrebbero da gridare le donne in quanto tutto ciò che rendesse la vita di uomini e donspesso vittime due volte di un ordine eco- ne disumana, malattie, malformazioni, discrinomico ingiusto e di culture maschiliste. minazioni, emarginazione religiosa e sociaChe cosa sto dicendo? Semplicemente che le, le catastrofi psichiche della sua epoca. Vieil grido stesso dei popoli è declinato secon- ne crocifisso per avere sfidato norme e pratiche disumanizzanti e per aver aperto nella do la diversa condizione dei generi. Pensiamo alla violenza maschile contro le vita di uomini e donne un orizzonte di spedonne sulla quale avete già riflettuto. Se guar- ranza capace di recare trasformazioni reali diamo solo il nostro paese, le donne che han- nel mondo. Viene crocifisso per aver annunno subìto violenza provano enorme difficoltà ciata e operata la guarigione di tutta una sea gridare, a rompere il silenzio, a procedere rie di relazioni ammalate e per aver affrancaalla denuncia. Per ascoltare il grido delle don- to l’essere umano dal potere del male. Possiane, quindi, bisogna tendere bene le orecchie. mo dire che tramite la croce, Dio raccoglie la Eppure, la sopravvivenza delle famiglie spes- sfida del male e la vince. La croce, come sapso grava sulle spalle delle donne; il lavoro di piamo, non è la fine della storia. Se lo fosse cura verso bambini, anziani e ammalati, e Gesù sarebbe stato uno dei tanti poveri cristi quindi il nostro essere attaccate alla trama crocefissi dal potere imperiale. La croce è crocorporea della vita ci rende, in secondo luo- ce in quanto vi è resurrezione. È la potenza della resurrezione ad operare go, protagonisti nella sfida al male. Una sfida portata avanti giorno per giorno ai nella vita di Gesù e a permettergli di sfidare il pozzi come ai supermercati, a volte nei pa- male, fare camminare gli zoppi e vedere i cielazzi del governo come nelle associazioni, chi, trasformare il grido dei popoli in inno di assunta nelle piazze a suon di casseruole. Non gioia. Ed è la potenza della resurrezione a pera caso al centro del movimento «Se non ora mettere donne e uomini oggi di sperare conquando» vi è la materialità dell’esistenza, il tro speranza e a sfidare il male. Non è un caso corpo delle donne, la maternità, il lavoro, la che a fare da collante a questa storia sono le rappresentanza ovvero la possibilità di fare donne che «lo avevano seguito e servito da sentire nello spazio pubblico il grido dei po- quando egli era in Galilea e che erano salite poli: uomini e donne, bambini e bambine, con lui a Gerusalemme». Presenti alla croce, presenti alla sepoltura, testimoni della resurgiovani e anziani. cristianesimo chetraggo raccoglie la sfiIl cristianesimo come raccoglie laorrei sfidacominciare del rezione. conUn una citazione che dall’Auto da del ponendo al suo centro Gesù male? Parlo da un punto di vista protestante biografia, scritta nelmale 1997, di Norberto Bobbio, unoCridei sto e lui rinuncièall’uso ideologico mettendo, insieme all’apostolo Paolo, al cennostri rari maestri dicrocefisso civiltà: «L’Italia sempre stata un croce, ascolti il grido delle donne, valotro del mio breve pensiero Gesù Cristo lui della paese etragico, nonostante che le nostre maschere, attra rizzi il protagonismo femminile. crocefisso. Dal mio punto di vista verso la croce fa le quali siamo conosciuti dagli stranieri, siano madue cose. In primo luogo, la sfida schereraccoglie comiche: il servo contento e il padrone gabbato. Un paese del male. In Cristo Dio condivide il male, lo i disastri tragico anche se la maggior parte deglidopo italiani non lo sa o finge di «prende su di sé», lo abita, lo assume. Fa sue non saperlo. O meglio, non vuole saperlo» (1). Hiromasa le conseguenze del male cosicché Rispondere Non so se ciil grido sono dei paesi Tanaka non tragici, dato il –modo in cuialè grido fatta ela popoli: «Dio mio Diostoria mio, perché ci hai abal dolore delle persone colpite dalle catastroumana, in ogni caso questa frase ha uno spiccato sapore di bandonato?» diventi il suo. che oggi vorrei indagare fi non ècon semplice. verità, voi. L’11 marzo di questo anno Gesù soffre come vittima del male cosicché i grandi terremoti e le successive serie di tsuLa tragedia che si sta consumando oggi nel nostro paese passa increle vittime di tutti i tempi, di tutti i soprusi nami hanno colpito il Giappone e hanno didibilmente inosservata, e questo passare inosservata ha molto a che non siano abbandonati e reietti ma trovino strutto infrastrutture, case, uffici. biamo farlo in ogni momento, per vivere la retta via, e non secondo gli interessi personali. Sarà difficile farlo da soli, dobbiamo cercare di farlo insieme. In un mondo diventato un piccolo villaggio è molto difficile lottare contro il male chiuso ognuno nel suo ghetto, che sia ghetto fatto di muratura o che sia ghetto mentale, che è ancora peggio. INSERTO testo integrale della relazione tenuta alla Cittadella di Assisi al 69° Corso di studi cristiani Roberta De Monticelli ROCCA 15 OTTOBRE 2011 V 29 RELIGIONI ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Soprattutto, l’acqua del mare ha portato via tutto. Questa calamità ha provocato problemi anche alla centrale nucleare come sapete. È difficile trovare una parola per consolare chi ha perso tutto e sta in profondo dolore, è ancora più difficile capire il senso di questo male, di questa tragedia. E d’altra parte, dopo il terremoto, dal momento della prima scossa fino ad oggi, di fronte ad un disastro così grande, tutta la gente del Paese si è unita nell’aiuto reciproco tra persone rifugiate, che ancora stanno nei rifugi, tra le zone più colpite e quelle non colpite. Abbiamo conosciuto una forte presenza di solidarietà con persone di ogni parte del mondo, anche dall’Italia. E per questo ringrazio tutti voi per la vostra preghiera, la vicinanza e per ogni vostro atto. Oggi vorrei parlare proprio in questa chiave, del legame cioè e della relazione nelle diverse dimensioni: con la natura, con la persona e con il divino. Oltre al rapporto con le persone, questa calamità ci ha indotto a ripensare il rapporto tra l’uomo e la natura, dal momento che ha distrutto anche la nostra illusione di poterne controllare totalmente le forze. Infatti la terra in cui viviamo è oikos, una casa, in cui convivono tante altre forme di vita, che ha risorse limitate. Se viviamo con uno stile di vita consumistico, danneggiando così sia gli abitanti che la nostra casa, è chiaro che favoriamo noi stessi questa crisi. Anche se sappiamo che una centrale nucleare rappresenta lo sforzo per rendere compatibile lo sviluppo della nostra vita con il risparmio delle risorse naturali, si è però manifestata la debolezza del nucleare di fronte a un fatto così imprevisto. Nella visione metafisica buddhista, si insiste con particolare forza sui legami che esistono tra tutti gli esistenti, sulla loro connessione e dipendenza reciproca. In parole semplici, abbiamo bisogno degli altri animali, dei vegetali, e anche dei minerali per mantenere la nostra vita, e non possiamo rimanere egoisti sfruttando gli altri. Il Buddhismo ci richiama ad essere più coscienti del legame con tutti gli altri esseri senzienti nel mondo e più responsabili nell’abitare la nostra casa. Anche nelle attività economiche, quando il rapporto sulla distribuzione dei beni è fondato soltanto su desideri egoistici e sulla sfiducia degli uni verso gli altri, i ricchi diventano sempre più ricchi sfruttando i poveri, che diventano sempre più poveri. Questo crea un rapporto di ingiustizia in cui uno non può ricevere ciò che deve ricevere. Sempre nella prospettiva di essere responsabili nelle relazioni con gli altri, in questo terremoto tante persone del mondo e la maggior parte della popolazione giapponese non colpita direttamente, hanno mandato le cose necessarie, hanno offerto danaro e prestato 30 aiuto secondo la capacità di ciascuno. Questa relazione nella comunione dei beni in modo disinteressato, nella piena solidarietà e compassione, è stata come luce nel buio e sicuramente questo terremoto è stato una forte scossa anche a livello psicologico per il popolo giapponese. Naturalmente c’è stata tanta paura, e si è levato un alto grido di angoscia di fronte alla distruzione della vita e alla perdita delle persone care, ma è anche stata una scossa che ci sveglia, che ci chiama a riflettere sul senso della nostra vita. Molti sono diventati più generosi di quanto fossero prima, riconoscendo la contingenza e il limite della nostra vita. Abbiamo riflettuto sulla morte e sulla vita, e sulla fonte della nostra vita. Nella tradizione buddhista il fiore di loto simboleggia il modello di vita buddhista: il fiore di loto cresce nel fango e diventa più grande quando l’acqua è più sporca, ma il fiore non viene mai sporcato. Nello stesso modo, uno più conosce il dolore più diventa bello, più maturo, e se vive bene diventa più virtuoso senza essere sporcato. Nel «Sutra del loto» si insegna che il Buddha utilizza ogni mezzo possibile per il nostro risveglio, per la nostra salvezza, e che lui è con noi sempre, in ogni luogo, desiderando il compimento della nostra via. Dunque, se tante volte a noi è difficile comprendere il senso del male, sappiamo che il male non rimane in quanto male, ma è anche un mezzo per la nostra salvezza. il male come assenza Dipak Raj Pant – Grazie per avermi dato l’occasione di condividere alcune idee, o più che idee perplessità. Io non rappresento nulla, non faccio parte di nessuna associazione, non vado a nessun tempio, non frequento nessun circolo religioso, io rappresento me stesso. Sono nato in una vecchia aristocrazia dell’Himalaya centrale, di antica tradizione, che è costituita da un mix di induismo, buddhismo e di un po’ di sciamanesimo. A questo primitivo insegnamento in sanscrito, si sono poi aggiunti l’università in India, l’Accademia militare, il lavoro in giro per il mondo. Ma venendo al discorso del male, e partendo proprio dalla parola, dico subito che se dovessi cercare un equivalente in sanscrito, in nepalese o in tibetano, non lo trovo perchè non è traducibile. È traducibile soltanto con un prefisso. Limitandomi al mio Nepal – il continente indiano è troppo vasto per me – e parlando linguisticamente dal cuore dell’Asia che non è mai stata colonizzata, e che non è mai stata conquistata neanche dai musulmani, – ci troviamo a est del Kashmir, tra Tibet, Nepal e Sikhim – ecco, in questa zona per dire «male» bisogna sempre usare qualche aggettivo. Il male motivi di speranza? Giuseppe Laras – Vorrei dire che io non so se siamo alla vigilia di una triplice catastrofe come diceva Panikkar. Ci sono nel mondo, nella società, sufficienti elementi di speranza e risorse spirituali nonostante le apparenze, che ci fanno ben sperare; non siamo votati alla catastrofe, non siamo quelli che dicono «tanto le cose sono sempre andate così, continueranno così, oppure, quando sarà il momento le cose cambieranno» perchè questa è la religione del fatalismo. Cristiani, ebrei, islamici, forse anche altri, non professiamo questa religione, perché la religione del fatalismo è la religione in generale dei pagani. Noi pensiamo che sicuramente siamo condizionati da alcuni elementi frenanti nella vita, però possediamo la libertà che è la connotazione che ci avvicina e ci fa assomigliare a Dio. L’immagine divina è la libertà, e la libertà di fare delle scelte buone. Credo che parlando di giustizia noi dobbiamo pensare a queste cose. Vorrei citare un passo famoso della Genesi, in cui Abramo parla con Dio del destino degli abitanti di Sodoma. A un certo punto si usa la parola mishpat, che vuol dire giustizia, anche se in ebraico la parola giustizia si esprime anche con un'altra parola zedakà. Ebbene Abramo, a un certo punto, rimprovera Dio di voler distruggere anche degli innocenti per punire dei colpevoli: forse che il Dio della giustizia non farà giustizia? Se ci pensate è un concetto di giustizia, quello che emerge da questo confronto, molto importante: qualche volta per rendere giustizia bisogna non rendere giustizia secondo i criteri ordinari, perché se c’è un colpevole deve essere punito, ma la punizione di alcuni colpevoli può implicare la punizione ingiusta di persone innocenti e allora in questo caso si mitiga il concetto di mishpat ed entra in gioco quel concetto che è espresso con la parola zedakà da cui deriva il sostantivo zadik e lo zadik è il giusto. Mentre dalla parola mishpat deriva il sostantivo shophet il giudice. Si tratta di spunti importanti perché ci devono fare riflettere. Quindi noi dobbiamo combattere l’ingiustizia che è soprattutto il rifiuto dell’alterità, il rifiuto dell’altro. Se noi insistiamo nel non riconoscere la presenza dell’altro, stiamo commettendo ingiustizia e questo è molto importante, qui sì che ci vuole molta forza, perché istintivamente noi siamo portati a considerare solo noi stessi, chi c’è più importante di noi? Però l’alterità esiste come te, e ha il diritto di esistere e quindi noi dobbiamo misurarci in questo confronto e non considerare l’alterità come un qualcuno che vuole attentare alla tua libertà, alla tua stessa presenza, perché se fossimo soltanto noi, se fossimo soli, che cosa saremmo? C’è quel passo famoso del ROCCA 15 OTTOBRE 2011 è quindi una realtà riflessiva, assenza di qualcosa e non presenza di qualcosa. Però – e questa è la mia seconda considerazione – il male come esperienza viene raccontato. La malattia, la malformazione, i disastri naturali, le ingiustizie, gli sfruttamenti – lacrime degli innocenti, noi le chiamiamo così – tutte queste cose esistono, come dato esperienziale. Questa esperienza viene spiegata prima con una teoria della imperfezione: tutto ciò che è esistente è per forza imperfetto, se fosse perfetto non esisterebbe, sarebbe già dissolto nel cosmo, sarebbe in stato di nirvana. Quando qualcosa concretamente si manifesta, prende corpo, è già un essere finito, imperfetto, collocato nel tempo e nello spazio, con contorni, con volume, con una certa caratteristica. Quando uno viene in esistenza si crea già intrinsecamente l’imperfezione. La seconda spiegazione, invece, è quella della danza cosmica. Siccome non c’è male, concettualmente, non c’è neanche diavolo, tutto l’apparato mito-teologico, non c’è il diavolo, ci sono dei e dei, e altri dei ancora e di queste varie divinità c’è un substrato comune, quello che qualcuno in una concezione ancora più etica chiama Dio o Allah. E qui nascono molte complicazioni. Dal punto di vista metafisico, l’estremo oriente è molto maturo, è adulto. Il mondo abramico, cristiano, islamico e giudaico è visto dal nostro punto di vista come abbastanza infantile. Dio è Dio e basta. Nella danza di Dio, questa danza di Shiva, ci sono diversi momenti, alcuni tremendi, alcuni che fan girare la testa, altri che non sono tollerabili e sopportabili. Quindi è nella nostra esperienza di esseri particolari, piccoli, gettati là che questo diventa male; il male è un dato esperienziale. Male è una assenza, non è presenza, non esiste il diavolo, esistono vari demoni che sono dentro di noi. Il male è dentro, è la paura, è il dubbio, è la diffidenza verso l’altro, è la non tranquillità, mali e demoni sono dentro. Quindi la perfezione nelle arti, yoga o arti marziali, è riconoscere di dover sempre neutralizzare questi demoni interni. Al di fuori dell’interno, non esiste demone. Al di fuori di sé esistono solo il maestro, le armi, il combattere, e nel neutralizzare il male c’è una gerarchia. La più nobile arma è il pensiero, calmare se stesso e far cessare l’ostilità, questo alla fine si traduce nello strumento politico dell’ahimsa, la non violenza. La seconda arma un po’ meno nobile è lo sguardo, un po’ meno nobile è la parola, un po’ meno nobile sono le mani e i piedi nudi, un po’ meno nobile è l’accetta o la spada, l’arma da pugno, ancora meno nobile la lancia. Puoi immaginare cosa sarà il cannone o il bombardiere da questo punto di vista! 31 RELIGIONI Trattato di Avot che dice: se io non sono per me, chi è per me? Ma quando io sono per me, che cosa sono io? E poi finisce chiedendosi: se non adesso, quando?, (che è stato recuperato e adoperato oggi, e ne sono molto contento). Ma vorrei venire all’attualità. Abbiamo visto che c’è questo vento di ribellione, di riscatto, animato da masse giovanili, che scuote i paesi del sud del Mediterraneo e questo è il sintomo molto positivo di una realtà sociale, politica, religiosa, in via di cambiamento. Ecco, in un contesto di questo tipo, si potrebbero manifestare condizioni nuove per porre le problematiche mediorientali non più in un’ottica di contrapposizione e di scontro ma di incontro e di discussione, in un approccio nuovo che tenga maggiormente conto della vita umana e del rispetto dovuto a qualunque persona, qualunque sia la sua nazionalità, la sua religione, la sua cultura. Vorrei dire che noi dovremmo cercare di risalire a una posizione che precede la posizione o la contrapposizione religiosa. Prima di essere musulmani, ebrei, cristiani, siamo figli della stessa famiglia. Ecco, il concetto di famiglia umana secondo me in questi contesti dovrebbe essere energicamente ricercato e recuperato. Perché le religioni, con tutto il rispetto, anche loro sono attraversate da due tendenze, la tendenza all’apertura e la tendenza alla chiusura, perché chi è persuaso di detenere la verità in generale diventa un po’ intollerante. di fronte alle ambiguità ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Domenico Sorrentino – Io vorrei parlarvi proprio con la gioia e la responsabilità di un vescovo, che essendo il successore di quel Guido che ebbe la ventura di accogliere Francesco e di coprirlo con il suo manto, poi ha imparato e cerca ogni giorno anche di mettersi alla scuola di Francesco e comincia le sue giornate, come ho fatto anche stamattina, cantando il Cantico, «laudato sie mi’ Signore cun tucte le tue creature», ed ora lo lodo anche «cun tucti» questi amici che sono qui, da diverse sponde, da diverse matrici religiose, con le quali veramente possiamo dialogare ritrovando tanto bene e anche tanto di comune su cui poggiare, anche con chi ha detto cose che apparentemente, almeno a prima battuta, possono sembrare distantissime, come chi ci ha dato dell’infantile. In realtà mentre il nostro amico nepalese parlava, facendo questo sforzo di lodare il Signore con tutte le sue creature, io vedevo che, per esempio, anche nella nostra visione cristiana delle cose, la metafisica del male è una metafisica della privazione. E così è anche per quell’idea della danza di Dio che nella spiritualità orientale è sentita in modo particolare. Sant’Agostino diceva che Dio è infinitamente 32 distante nella sua infinità ma è infinitamente intimo, più intimo a me di me stesso e dunque questo sentirci dentro il respiro di Dio, senza essere Dio, ma chiamati ad esserlo per grazia, questo è proprio della visione cristiana. E ringrazio anche la Pastora, mi ha anticipato e tolto delle cose che volentieri lascio alla sua testimonianza quando ci ha raccontato e ricordato che questo «Dio Amore» non sta soltanto dentro di noi e diffuso dentro il cosmo, ma in un atto di follia e di amore, perché è Dio Amore, si è fatto carne e si è messo sulla nostra croce a portarla con noi. Grazie Pastora. Il problema dell’ascolto, del grido dei popoli e delle coscienze, è realmente una sfida e anche una grande pagina di speranza. Avevamo bisogno di quest’ultima ventata dal mondo orientale, perché ci eravamo forse un pochino assestati dentro un clima di rassegnazione. E questo naturalmente può essere applicato a tante altre cose, a tanti altri gridi. Ecco io qui vorrei dire, perché il discorso sia serio e perchè sia poi un discorso fruttuoso, che è necessario «disambiguare» (voglio usare questa parola brutta ma ormai per i wikipediani abbastanza corrente) questo concetto, perché se pure importantissimo, non deve essere idealizzato, in quanto dentro il grido dei popoli c’è tanto bene, c’è tanta speranza, ma al tempo stesso ci sono tante ambiguità. Quanto sta succedendo in questo periodo nel mondo arabo in rivolta, appartiene sicuramente a quella storia della libertà che somiglia tanto a ciò che l’Occidente ha vissuto, in diversi periodi della sua storia, e come tale non può che essere salutato da noi come segno dei tempi. Offrendo dunque solidarietà che significa stima, partecipazione, accoglienza, coinvolgimento. Non sono tuttavia sicuro che l’appoggio armato che abbiamo dato a questa rivolta in Libia sia stato il modo più corretto di operare solidarietà. Mi chiedo se ciò non convalidi la tendenza all’uso delle armi sofisticate della guerra moderna nella soluzione dei conflitti sociali di libertà: ecco, qui c’è una ambiguità da chiarire all’interno di una pagina di grande speranza. Altro esempio, la situazione della fame nel mondo. In questi giorni se ne parla per regioni speciali del pianeta e a causa dei dissesti ecologici, tutte cose che esigono una vicinanza, come lo esige la crisi occupazionale, l’accoglienza dei profughi, l’integrazione degli immigrati. E anche qui è necessario un ascolto, senza se e senza ma. Ma questo grido chiama a una solidarietà che non si può risolvere in elemosina, deve diventare un’autocritica severa del nostro modo di vivere, deve farsi politica globale della solidarietà, deve ricondurre l’economia a principi etici di giustizia e di garanzia per i più deboli, deve farsi rispet- eclissi dell’etica Raffaele Luise – Finisce così il primo giro, nella seconda tornata veniamo all’etica che vive un’eclissi drammatica nella nostra società della gratificazione istantanea. E questo è un fatto grave, perché per rispondere al grido dei popoli e delle coscienze, c’è proprio bisogno di un tessuto etico di riferimen- to, di un’etica forte e condivisa. Nelle società contemporanee – lo sperimentiamo tutti i giorni – domina il disorientamento, per cui i punti di riferimento che sostenevano l’esistenza si offuscano, si offusca la distinzione tra bene e male, si perde il concetto stesso del bene comune e si instaura la dittatura dell’edonismo, del consumismo e della voglia immediata. L’esperienza etica, anche se non è identificabile con il fatto religioso in quanto tale (dal momento che esiste ed ha pari dignità anche l’etica laica), è comunque costitutivamente collegata con la religione, nel senso che ogni confessione e ogni cultura ha una sua forte coloritura etica fondamentale. E allora, come individuare i criteri e le esperienze attraverso i quali si può ricostituire un tessuto etico, in grado di far fronte al grido dei popoli e delle coscienze? Elizabeth Green – Rispondo raccontantovi una storia. Gesù sta a tavola invitato da un certo Simone. Mentre stanno mangiando irrompe nella casa una donna che ha con sé un contenitore di profumo. Senza tanti complimenti, interrompendo il pasto, rompe il vaso di olio profumato e si mette a ungere Gesù, versandogli l’olio sul capo, sui piedi, asciugandoli con i capelli. È un vero scandalo che investe sia Gesù che la donna. Non solo Gesù si lascia toccare da una donna di cattiva reputazione mettendo in gioco la sua stessa reputazione, ma la donna stessa viene accusata di aver sprecato un olio costosissimo che se fosse stato venduto avrebbe aiutato molti poveri. Altro che profumo, la casa è piena di indignazione! Che cosa fa Gesù? Innanzitutto, davanti ai suoi detrattori Gesù si schiera dalla parte della donna, difende ciò che ha fatto e rende esplicito il senso della sua azione. In tutti i casi, dall’azione della donna Gesù trae una lezione che vale per tutti! Che cosa possiamo dire a proposito? In primo luogo Gesù porta alla luce la motivazione dell’azione: il gesto della donna è un gesto d’amore: «ha molto amato». Ma perché ha molto amato? Ha amato perché Gesù l’ha amata per primo – «Dio mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo, che mentre eravamo ancora peccatori Cristo è morto per noi» (Rm 5,8).Lei si sa accolta, accettata, amata da Gesù e risponde come può, come crede meglio. La sua è una risposta all’amore di Dio nei suoi confronti. La sua è una risposta al fatto che Dio le ha condonato i suoi debiti. Così Gesù licenzia la donna: «La tua fede ti ha salvata, va’ in pace». Salvati per grazia, mediante la fede, creati in Cristo Gesù per fare le opere buone. Ecco il fondamento dell’etica protestante. «Per Lutero – leggiamo – l’etica trova il suo ROCCA 15 OTTOBRE 2011 to incondizionato per la natura. Altro esempio di disambiguazione: l’arroganza della illegalità che emerge in maniera eclatante nelle varie mafie, che semina urla di dolore, chiede una forte mobilitazione delle coscienze e della solidarietà. E anche qui una domanda: quanta coscienza c’è in noi di fronte a questa cultura che semina sangue? Perché c’è la grande mafia, la grande camorra, ma c’è anche una cultura dell’interesse personale che naviga per vie talvolta insospettabili ma che appartiene alla stessa cultura. Altro versante di esemplificazione, il grido di una stuprata, costretta ad abortire, a subire dentro le mura domestiche ogni sorta di sopruso, o il grido di una persona omosessuale che, al di là di una valutazione etica (e voi conoscete la posizione della Chiesa di fronte alla pratica omosessuale) per il fatto stesso di avere una tendenza si ritrova poi perseguitato, osteggiato, discriminato. Questo grido di dolore va ascoltato con grande senso di partecipazione, di vicinanza. E poi c’è dentro di noi, lasciate che lo dica anche se mi rendo conto che questo diventa sempre più difficile testimoniarlo, la fatica di dover dire profeticamente quello che pur va detto: chi ascolta più alcuni gridi soffocati che non si udranno mai? Chi ascolta più il grido del popolo immenso dei non nati? Il pianto dei bambini espiantati dal grembo materno? Questo ormai può essere sentito solo negli ultrasuoni di una coscienza coraggiosa della solidarietà che non si lascia, in qualche modo, travolgere dal luogo comune. E infine, altro grido di dolore le famiglie dissestate. Meritano anch’esse un ascolto. In questi giorni sto andando nelle case, e incontro sofferenze, vecchietti, che stanno lì e mi mostrano quel bambino: «Guardi ho un nipotino, sta a Firenze», e quel nipotino diventa tutta la loro speranza quando lì in casa non c’è più nessuno, perché dei due figli che hanno, uno sta solo e chissà dove, l’altro ha un figlio e chissà dov’è. Tutto questo ci interroga, che società stiamo costruendo? Che futuro ci stiamo dando? Questo è realmente un problema di discernimento critico, di profezia, che richiede a noi un grande atto di verità a partire dai nostri principi messi insieme dialogicamente, per dare speranza e soprattutto per cominciare una grande mobilitazione dell’amore. 33 RELIGIONI fondamento nella giustificazione ed è interamente rivolta verso il prossimo» (Mehl, pp. 14s). Così arriviamo al secondo punto: «Per mezzo dell’amore servite gli uni gli altri», scrive Paolo; la risposta all’amore divino è l’amore verso l’altro. Nella nostra storia Gesù stesso diventa l’oggetto d’amore della donna, non solo è oggetto di tutte le attenzioni che un buon anfitrione avrebbe dovuto riservare al suo ospite ma in lui la donna vede oltre le apparenze, crede laddove i discepoli non sono che increduli. La donna, infatti, vede in Gesù l’inerme per eccellenza ovvero la vulnerabilità costitutiva, secondo Adriana Cavarero, dell’essere umano. Che cosa fa? Compie un gesto di pietas verso di lui anticipando l’unzione del suo corpo per la sepoltura. Se il protestantesimo fa partire l’etica dall’essere una nuova creatura in Cristo ovvero dal sapersi accolti e amati da Dio, liberati dalle proprie paure e angosce, i criteri e le esperienze per ricostituire un tessuto etico non possono che essere, in terzo luogo, l’annuncio del vangelo stesso, raccontare con parole e gesti la storia di Gesù. Perciò l’episodio che vi ho raccontato di una donna che unge Gesù entra a fare parte del kerygma cristiano: «In verità vi dico che in tutto il mondo, dovunque sarà predicato il vangelo, anche quello che costei ha fatto sarà raccontato in memoria di lei» (Mc 14,9). A questi tre punti ne aggiungerei un quarto. La donna non esita a fare ciò che viene giudicato da tutti, tranne Gesù, scandaloso. In altre parole, la sua azione sconfina dal socialmente accettabile, non serve a confermare l’esistente ma lo mette in questione, non è volto alla conservazione di un ordine sociale ingiusto ma lo interroga, vi introduce del nuovo. Partecipa, cioè, allo scandalo della croce. Domenico Sorrentino – Non ci vuole molta ROCCA 15 OTTOBRE 2011 filosofia per ricordare che l’età moderna si è caratterizzata da una riscoperta dell’uomo, appunto si è parlato di umanesimo. Sì, noi dobbiamo rimettere al centro l’uomo, questo ce lo chiede Dio, un Dio che si è fatto Uomo. Occorre però essere chiari e capire. Quando il cristianesimo parla di uomo, questa espressione è stata come integrata, valorizzata e approfondita da un’altra espressione, la parola persona. Persona umana, che nella sua prima espressione veniva dal mondo drammaturgico, la persona era la maschera, in qualche maniera voleva dire il ruolo, voleva dire chi sei tu in un dramma. È molto significativa poi per quello che ha assunto dal punto di vista metafisico, teologico, quando ci ha ricordato che la nostra umanità non è soltanto quella struttura per cui noi, ad esempio rispetto al mondo animale e materiale, abbia34 mo determinate cose in più, dall’intelligenza che spazia sull’infinito, alla volontà che si slancia verso l’infinito e via dicendo. Certo, noi condividiamo anche la materialità e la corporeità con gli altri esseri. Ma c’è qualcosa di più, quel quid per cui tu sei unico, e dunque con questa unicità stai di fronte al Tu, che è il tu di origine, il Tu di Dio, ed è ogni altro tu con il quale ti confronti, dunque sei unico ma non in maniera individualistica, sei unico ma non semplicemente a partire dalle tue qualità, dalla tua natura. Ti riconosci un unico, ma un unico che è frutto di amore, del Tu divino, che è inoltre impegnato a riconoscersi nell’io-tu che lo relaziona agli altri, per cui non è possibile che si sia pienamente uomini e dunque pienamente persone, uomini e donne, se non in questa percezione di dialogicità, nel principio dialogico, come lo ha definito Buber, il principio Amore. Allora si tratta davvero di fare i conti con l’umanesimo. Ma in questo confronto dobbiamo riprendere il concetto di persona e riconoscere all’umanità, non in generale, ma all’uomo concreto che sei tu Domenico, Francesco, Maria, Maddalena, ad ogni persona umana una dignità in qualche modo sacra, perché deriva dal Tu divino e si impegna a ritornare ad esso attraverso tutti i tu umani, con i quali si mette in relazione. Questo tipo di messa al centro dell’uomo non è fatto per distruggere la natura, per spadroneggiare sulla natura, al contrario, è fatto per sentire la relazione universale. Qui ad Assisi non posso non ricordare che lo stesso Francesco nel Cantico delle creature chiama tutte le cose fratello e sorella, per cui ogni creatura diventa veramente bella. Finisce l’uomo despota, l’uomo che spadroneggia e comincia l’uomo dell’amore, che Dio ha voluto e che ha costituito venendo a morire per noi, a incarnarsi per noi. Giuseppe Laras – Vi voglio raccontare una storia. Una storia drammatica che troviamo nella letteratura antica dell’ebraismo e che ha come protagonisti due persone che si chiamavano quasi allo stesso modo, Kamsa e Bar Kamsa. Kamsa è un signore, un gran signore che aveva deciso di dare una grande festa a cui aveva invitato tutti i suoi amici, i suoi conoscenti più cari. Il suo cameriere, però, nel portare gli inviti, fa confusione a causa del nome quasi identico e lo consegna anche ad una persona che non solo non era amica del suo padrone ma ne era nemica. Per cui, Bar Kamsa, che era un tipo un po’ picchiatello, il giorno della festa si presenta in questa grande villa piena di gente, piena di gioia, di voglia di festeggiare. Ma quando il padrone Kamsa vede Bar Kamsa ordina ai suoi servi di cacciarlo via. A que- Izzedin Elzir – Certamente oggi tutti quanti noi abbiamo bisogno di creare il tessuto di un’etica condivisa, come le nostre fedi religiose ci invitano a fare. Lo stesso Profeta Muhammad, la pace sia con lui, in uno dei suoi detti afferma: «Sono venuto per completare le cose belle dell’etica, della morale che voi avete». Egli insomma riconosce che c’è una etica del cittadino, quella che in Occidente chiamiamo etica laica, che la fede religiosa, in questo caso l’islamica, è venuta a completare. Oggigiorno noi siamo lontani nel rapporto con il nostro Creatore, con il Clemente, con il Misericordioso. Ma se noi siamo lontani dall’amore verso Dio, certamente saremo ancora più lontani dall’ amore verso il prossimo. Allora abbiamo tutti bisogno di superare la timidezza che ci impedisce di riandare alle nostre origini, al Corano per chi è musulmano, o ai detti del Profeta Muhammad, la pace sia con lui, alla Bibbia per gli ebrei, al Vangelo per i cristiani, al suo libro sacro per chi è buddhista, e così via per ognuno: tornare ai libri sacri, all’origine, prenderli e leggerli nel 2011, e metterli in pratica. Credo stiamo vivendo un momento storico molto difficile proprio perché ci siamo allontanati da questi valori, da un’etica e da una fede religiosa che ci conduce verso Dio e verso il prossimo. Le preghiere, il digiuno, le elemosine che facciamo in questo periodo santo del Ramadan ci aiutano in quanto musulmani a tornare, a scoprire questi valori, a scoprire questa etica comune che permetta a noi di rivivere i momenti salienti di una grande civiltà. Il mondo islamico con questa primavera araba ha cercato di tornare a scoprire la sua grande civiltà, ma certamente non per cadere nell’estremismo religioso o nell’estremismo laico. Credo dobbiamo imparare dalla storia italiana e europea, dove abbiamo vissuto il medio evo ma anche dove abbiamo vissuto l’antireligione. Dobbiamo avere equilibrio e l’equilibrio non possiamo trovarlo se non l’abbiamo all’interno di noi stessi, tra il materiale e lo spirituale: non dobbiamo dare più spazio al materiale o più spazio allo spirituale, i due momenti devono cercare di convivere in maniera equilibrata. Credo che gli strumenti che Dio ha dato a noi musulmani, le cinque preghiere durante il giorno, il digiuno, l’elemosina e così via, ci aiutano a educare la nostra anima e il nostro corpo a vivere una dimensione di umiltà, perché abbiamo bisogno di umiltà, di equilibrio per cercare di vivere una etica condivisa che permetta di creare un tessuto sociale, un tessuto culturale di crescita per tutti. Tanaka Hiromasa – L’etica buddhista ci insegna come comportarci con le azioni, le parole e la mente. Esistono numerosi insegnamenti e precetti morali non solo per i monaci ma anche per i laici come me. Praticando le azioni buone e sviluppando una mente sana e concentrata il buddhista cerca di ottenere una sapienza metafisica, spirituale e morale. Per i laici buddhisti, insieme con i cinque precetti fondamentali, ci sono altri dieci precetti che si usano soprattutto in Giappone: aste- ROCCA 15 OTTOBRE 2011 sto punto Bar Kamsa si avvicina a Kamsa e gli dice: «Per favore non mi fare questo, davanti a tutta questa gente, non mi mandare via». Kamsa insiste: «Tu devi andare via perché noi non siamo amici, anzi siamo nemici». A questo punto Bar Kamsa gli propone di pagare quello che lui consumerà in quel festino ma la risposta è assolutamente negativa. Di nuovo Bar Kamsa insiste, proponendo di pagare la metà di tutte le spese, che dovevano essere infinite, ma Kamsa è irremovibile. «Pago tutto, ma non mi fare questo, non mi umiliare davanti a tutta questa gente», propone ancora Bar Kamsa, ma Kamsa non ascolta e i suoi servi lo sbattono fuori. Un elemento che è sottolineato nel brano è che a questa scena terribile erano presenti delle personalità importanti, personalità religiose e civili, che non avevano detto una parola, restando zitte. Allora Bar Kamsa che cosa decide di fare? Va dai Romani e dice loro che gli Ebrei stavano tramando per scrollarsi di dosso il dominio romano. Il testo tiene però a sottolineare che a questa decisione Bar Kamsa perviene a causa di quello che aveva visto e perché non era stato ascoltato da queste grandi personalità che erano state in silenzio. Perché in fondo – il brano non lo dice, ma lo dico io – Bar Kamsa aveva pensato che Kamsa era un brutto soggetto, ma stava a casa sua ed era lui ad averlo disturbato anche se non per sua responsabilità. Però, il fatto che questa ingiustizia si sia potuta consumare alla presenza di chi aveva il dovere di intervenire, di alzarsi e dire basta a un trattamento disumano, questo lo induce ad andare e ciò, secondo il racconto, determinò la causa della seconda distruzione del secondo tempio, della seconda società. Nei testi si era già messo in evidenza che la causa della prima distruzione era dovuta alla mancanza di fede da parte delle persone, che non erano abbastanza religiose e che la seconda distruzione era avvenuta per l’odio verso le persone. Nella prima distruzione abbiamo un rapporto diciamo verticale, in cui è il rapporto uomoDio quello che determina la distruzione; nel secondo episodio il rapporto è di tipo orizzontale, dell’uomo verso l’altro uomo, e questo determina la fine dell’indipendenza e l’inizio della sofferenza e dell’esilio. È quindi un racconto molto drammatico, che mantiene però tutta la sua attualità. 35 RELIGIONI ROCCA 15 OTTOBRE 2011 nersi dall’uccidere, dal rubare e da una condotta sessuale ingiusta, astenersi dall’uso della bugia, dal colloquio volgare, offensivo e ipocrita, astenersi dall’avidità, dalla rabbia e dalla falsa opinione che, come è stato accennato dal prof. Raj Pant, derivano dalle nostre imperfezioni. Il fine dell’etica buddhista, è il Nirvana, che significa estinzione o spegnimento di avidità e di rabbia dalla nostra anima e approdo alla sapienza metafisica, spirituale e morale. È vero che è un’etica che riguarda le virtù di ogni individuo, e tuttavia è chiaro che questi precetti riguardano fondamentalmente la relazione con le altre persone, perché se rimaniamo egoisticamente chiusi in noi stessi non possiamo realizzare il Nirvana. Proprio a questo punto la figura del Bodhisattva, che rinuncia al suo compimento per la salvezza degli altri, si pone come il nostro modello, perché lui è fuori dall’individualismo. Ogni persona umana, come è stato detto da mons. Sorrentino, ogni ente di fronte a me è in relazione con me e nella metafisica buddhista consideriamo che nessun ente contingente è indipendente, incausato, ma è mutabile e dipendente. In questa dinamica di relazione l’ente contingente muta in ogni momento e la relazione si volge verso qualcosa altro; una relazione che è sempre reciproca se è reale. Da questa dinamica di rapporto e mutazione degli enti contingenti, ivi compresi noi esseri umani, si arriva infine al punto fondamentale e fondante di ogni atto buddhista, racchiuso nei principi del non-sé e dell’impermanenza che derivano, secondo il buddhismo mahayana, dallo stesso Buddha. Dunque, in questa dinamica relazionale, tutte le persone, la natura e la totalità del mondo non sono estranei a me, ma sono con me e anzi io sono con loro. E sono in loro e sono grazie a loro. E dunque, in questa prospettiva noi siamo tutti fratelli universali, anche gli animali e i vegetali sono «fratelli». Per questo l’etica buddhista non può rimanere circoscritta all’interno dell’individuo, ma si estende all’esistenza universale, a tutti i compagni della nostra vita con i quali siamo chiamati a compiere azioni buone, e a condividere pensieri buoni, parole buone, anche per la loro salvezza, come fa il Bodhisattva. La «sei paramita», detta anche perfezione delle pratiche buddhiste, comincia proprio dal donare e dal donarsi agli altri senza aspettare risposta o ricompensa dagli altri, perché senza questo donarsi i buddhisti, non possono arrivare al Nirvana. Secondo la visione del Sutra del Loto, noi abbiamo una certa vocazione per la felicità degli altri, siamo nati per essere strumenti per la salvezza degli altri, e siamo strumenti per la pace. Dunque agire bene per gli altri è secondo la natura umana, e su questa prospet36 tiva poggiano diverse morali tese alla giustizia sociale. Ne sono esempi la protesta dei monaci in Birmania per la democrazia e i diritti umani, così come la resistenza dei monaci in Tibet, le numerose attività per i poveri in Thailandia e anche diversi appelli per la riconciliazione dei conflitti come quello in Sri Lanka. Anche dopo il terremoto in Giappone, tante persone del nostro movimento, la Rissho kosei kai, pur avendo perso i familiari o la casa, hanno offerto aiuto per chi era più bisognoso. E questo è l’autentico atteggiamento etico del buddhismo, la compassione per tutti gli esseri senzienti. Anche se sappiamo che non basta, perché abbiamo bisogno di imparare dalle altre religioni, giacché tutti noi siamo in cammino e tutti abbiamo bisogno di apprendere da tutte le persone di buona volontà. etica relazionale Raj Pant – Per noi dell’Asia centrale è la stessa cosa più o meno, la nostra etica tradizionale è l’etica buddhista, l’etica verso tutti gli esseri senzienti e viventi e non solo umani, è un’etica nella quale si pone al centro una visione cosmobiologica dell’universo, dove anche altri elementi, manifestazioni finite, limitate (e ogni essere esistente è limitato) meritano compassione, «Karuna», perché tutti sono in un cammino verso qualche forma di redenzione. Tutti dunque in attesa di redenzione, e tutti meritano compassione, anche la formica, anche la farfalla. Questa è la prima differenza fondamentale: l’etica orientale induista, buddhista, scintoista, taoista, anche confuciana, è etica non antropocentrica e non teocentrica, è cosmocentrica. Io mi ritrovo abbastanza in questo. Ma bisogna dare spazio anche alle altre etiche. Io ho seguito dieci-quindici anni fa un dibattito sul relativismo e sulla relatività in etica. Quindi se la vacca è molto sacra in Nepal, la vacca è molto grassa in Italia e si mangia bene, tranquillamente; e se un nepalese vuole imporre al piemontese o al toscano di mangiarne la carne, insinuando: «Stai attento, non cucinare la bistecca fiorentina, perché è una cosa cattiva», ebbene, questo non funziona. C’è dunque spazio per il relativismo, perché no? Non dobbiamo aver paura del relativismo come tale, perché il relativismo etico non è un male, quanto piuttosto un rispetto relazionale. Ma, se questo relativismo lo riduciamo a un mero «per te va bene così, per me va bene cosà», allora ci portiamo dietro un conflitto, una tensione. Se, invece, guardiamo al lato positivo del relativismo, quello fondato sulla relatività delle posizioni e sulla relazione, ci accorgiamo che in questa epoca abbiamo bisogno di una etica relazionale, che è l’unica in gra- l’incontro interreligioso Raffaele Luise – La domanda a questo punto per i sei relatori è questa: come contribuire perché il prossimo incontro interreligioso di Assisi, che muove tante speranze, abbia successo e porti frutti di conoscenza e comprensione reciproca, di rinnovata fiducia e di cooperazione, per dare insieme ascolto al grido dei popoli e delle coscienze e per aiutare il cammino della pace nella nostra civiltà in cui il mondo delle macchine sembra limitare sempre più la libertà umana? Elizabeth Green – Dal mio punto di vista deve accadere una cosa sola. Marta e Maria sono due sorelle, e Gesù è ospite a casa loro. Marta è tutta affaccendata, presa con la preparazione del pranzo, con tutti i lavori che le competevano. Deve organizzare, deve eseguire, deve fare una cosa perfetta. Man mano che prosegue la giornata diventa, però, sempre più arrabbiata perché la sua bella sorellina, Maria, sta lì seduta senza fare niente. Così si rivolge irritatissima a Gesù: «Signore, non t’importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?». «Marta, Marta, le risponde Gesù, tu ti affanni e sei agitata per molte cose, ma una sola cosa è necessaria». Che cosa è la sola cosa necessaria? Che cosa stava facendo Maria? Stava seduta ai piedi di Gesù e ascoltava la sua parola. Che cosa deve accadere perché l’incontro abbia successo? Che ci si ascolti davvero. Credo che sia la sola cosa necessaria. Ma non per questo è così facile. Perché? Perché per ascoltare davvero bisogna uscire dal ruolo, dai ruoli che abbiamo assunto, dai ruoli che ci hanno attribuito. Ancora una volta bisogna attraversare un confine, quello che avrebbe tenuto la donna fuori della casa di Simone, quello che dice che cosa deve e non deve fare una donna. Maria l’ha attraversato, invece di occuparsi dell’ospitalità, invece di essere di molte cose affaccendate, si è semplicemente seduta come un discepolo davanti al suo maestro ad ascoltare. Marta, invece, è pienamente inserita nel suo ruolo. È nel pieno esercizio delle sue funzioni! Secondo lei, l’esito dell’incontro con Gesù dipende dal suo attivismo, dalla sua organizzazione, se volete anche dal potere che detiene nel suo ambito. È così centrata su di sé che si lamenta di essere lasciata sola dalla sorella. Nei nostri incontri interreligiosi non tendiamo a cadere nella dinamica di Marta? Ad essere centrati su noi stessi e non su l’altro, sul nostro interlocutore? Non siamo forse così pieni di noi stessi, delle nostre prerogative che abbiamo difficoltà a rinunciarvi, anche solo per un secondo, a sottrarci ai nostri doveri di rappresentanti di una certa religione, convinti come siamo delle nostre verità, attenti come siamo a difendere i nostri confini, pronti a difenderli ad ogni costo? Maria ha saputo sottrarsi a tutte le dinamiche che ci tengono inchiodati al nostro ruolo, si è seduta e stava ascoltando Gesù. Una sola cosa è necessaria, che all’incontro si mettano da parte presunte prerogative e si ascoltino davvero gli altri. Soprattutto, oso dire, si ascolti chi di voce non ne ha mai avuto o ne ha avuta poca. Coltivare l’ascolto di Dio e del prossimo è sempre la cosa necessaria. Ma c’è anche qualcos’altro. Deve accadere come nel grido dei popoli, che le voci da ascoltare non siano sempre e solo quelle degli uomini perché a raccogliere la sfida del male, ad adoperarsi per la pace in tutto il mondo, in tutte le fedi e non fedi, ci sono donne e uomini insieme. ROCCA 15 OTTOBRE 2011 do di offrire qualche forma di convergenza morale e non di conversione culturale. Nella convergenza morale che si crea con l’etica relazionale, e non con il mero relativismo morale, sta forse, secondo me, il punto chiave del nuovo umanesimo planetario, di cui sono piuttosto fiducioso. Se uno comincia a dire, invece: «per me è così come è scritto nei miei libri sacri, e questa è la parola finale», non ci siamo proprio. Io vedo le civiltà come le età delle persone. C’è l’adultità culturale, e vi appartengono i taoisti e gli induisti, che per me sono come adulti di 50 anni, sono abbastanza calmi. Poi ci sono i buddhisti, che sono come 26-27enni, già maturi, adultoni maturi. Seguono gli ebrei, che sono come 3035enni, abbastanza maturi; e infine i musulmani, che sono come quattordicenni: faranno un po’ di baccano, è normale, hanno solo 1.400 anni di storia. Quindi c’è una adultità delle civiltà, dobbiamo solo aspettare, con una attesa fiduciosa, perché esiste una senior civilization, ci sono senior e junior anche dal punto di vista cronologico. Questo significa che dobbiamo comunque accettare ogni cosa, che c’è perché c’è, ogni cosa che si aggiunge, che sopraggiunge perché c’era bisogno di quella cosa. Se concepiamo la nostra civiltà come una civiltà cumulativa, là dove non ci si deve rimpiazzare l’un l’altro, allora scaturisce la teoria della convergenza morale e di un’etica relazionale, e questa, secondo me, potrebbe essere la chiave per un nuovo umanesimo planetario. Raj Pant – Francamente non lo so. L’unica cosa che mi viene in mente per il dialogo è questo concetto di ecumene, da cui ecumenismo, e cioè questo stare accanto, vale a dire il confronto privo di ostilità. Questo secondo me è il principio generale, perchè le differenze ci sono, è inutile nasconderle, ma le 37 RELIGIONI similitudini sono forse di più, perché se io vado a cercare i principi etici dell’Islam o del Cristianesimo o del Giudaismo, o del Buddhismo, io trovo che al 99% siamo abbastanza simili. Non è che ci siano molte differenze, possono essere l’1%, ma non devono essere messe sotto il tappeto come la polvere fastidiosa. L’etica relazionale vuol dire tener conto delle differenze. La differenza è un mistero. Perché siamo così diversi? Anche figli degli stessi genitori sono diversi. Quindi accettare questa differenza, non solo per dialogo interreligioso, ma per qualsiasi dialogo, direi per qualsiasi confronto. Un’altra cosa è che se noi siamo in un contesto determinato, siamo in Italia e stiamo parlando in italiano, prima di tutto dobbiamo dare la precedenza alla cultura e alla legge del luogo. Io, buddhista-induista dell’Himalaya che sono arrivato in Italia, mi debbo adattare, integrare e non urtare. L’onere è su di me, non sui locali, non sugli indigeni, sono io che devo essere più bravo. Come quando vado in Amazzonia, dove devo entrare in empatia con gli indigeni della immensa foresta e mi devo opporre alla costruzione di grandi dighe, alla distruzione della foresta pluviale e all’avvelenamento dei fiumi. Io direi che in ogni luogo si deve dare la precedenza alla cultura e alla legge del posto, e poi a livello privato e del piccolo circuito sociale, si possono anche fare delle riunioni di preghiera, club, incontri sportivi, anche una radio, però non dobbiamo pretendere che questo sia accettato a tutti i costi dalla cultura della comunità ospitante. Tanaka Hiromasa – Sì, dialogo interreli- ROCCA 15 OTTOBRE 2011 gioso per la pace, questo è veramente un tema importante. Mi ricordo della risposta che il mio maestro Niwano dette a un giornalista che gli chiedeva: «Lei si occupa del dialogo interreligioso per la pace, ma ancora assistiamo a tanti conflitti tra le religioni. E dunque questo cammino di dialogo non funziona?»: «Certo, ancora non siamo arrivati alla pace, ma proprio per questo sto facendo questo dialogo!». Sì, siamo ancora in cammino, ci sono tanti problemi, ma dobbiamo fare uno sforzo per la realizzazione della pace. Io sono un buddhista, ma leggendo il messaggio del Papa Benedetto XVI per la Giornata della Pace di quest’anno, dove ha affermato che la libertà religiosa è uno strumento cruciale per la pace, e ricordando le parole del primo Angelus di quest’anno, in cui ammoniva: «la pace non si raggiunge con le armi, né con il potere economico, politico, culturale e mediatico, la pace è opera di coscienze che si aprono alla verità e all’amore», non si può non riconoscere che è veramente forte questa prospettiva, 38 questa speranza di pace, nonostante ci siano diversi conflitti tra le religioni. Questa libertà religiosa, come ha accennato il Papa, richiede anzitutto di non violare la natura e la dignità umana di ciascuno, nella ricerca del vero e del bene, e nella sua scelta. Soltanto a questa condizione si apre una autentica convivenza delle diversità, che rifiuti sia l’esclusione degli altri sia il relativismo delle differenze, ma invitando ciascuno a una ricerca sincera con il massimo rispetto reciproco. Infatti la conoscenza degli altri ci aiuta ad ottenere nuove conoscenze, per approfondire ulteriormente il nostro cammino verso Dio, la verità e l’amore. Nella mia esperienza di dialogo interreligioso qui in Italia, dove all’università pontificia San Tommaso d’Aquino studio la filosofia cattolica, io mi trovo sempre in ascolto anzitutto degli altri che sono diversi da me, però allo stesso tempo devo ascoltare la mia voce interiore, e allora mi domando: «Cosa penso io? Cosa posso fare in quanto buddhista? E sempre scopro la ricchezza che io non ho e che altri hanno, e mi accorgo che in questa prospettiva tutti noi siamo sempre in ricerca del bello, del vero e del bene. In quanto siamo uomini di religioni diverse dobbiamo situarci in questa prospettiva, e sperimentare la forza del cammino del dialogo. Izzedin Elzir – Dio nel Corano dice: «O gente vi abbiamo creati da un maschio e da una femmina, abbiamo fatto di voi popoli e tribù affinché vi conosciate a vicenda». Allora si comprende come la conoscenza dell’altro, il dialogo con l’altro inizi all’interno delle nostre famiglie, quando marito e moglie dialogano, quando genitori e figlioli dialogano. Se noi facciamo questo dialogo all’interno delle nostre famiglie, sarà più facile farlo al di fuori. Sappiamo che il dialogo all’interno della famiglia è difficile, sia fra marito e moglie che fra genitori e figlioli, figuriamoci quanto è difficile al di fuori. Parlo così perché mi piacerebbe che il dialogo fosse sincero, non dialogo di facciata, non dialogo di diplomazia, che è anche utile, non lo nego. Il dialogo autentico è un cammino lungo ma anche difficile, dove si registrano momenti di crisi, ma dobbiamo sapere che quando ci sono tali momenti il dialogo deve avere il suo livello più alto. Non dobbiamo romperlo quando c’è crisi, anzi dobbiamo trovare un linguaggio più efficace, le parole migliori cercare di non ferire la sensibilità dell’altro. C’è bisogno di essere realisti e sapere che ci sono delle diversità che devono essere rispettate. Abbiamo bisogno, credo, di non sentirci delle minoranze religiose, non vivere nel vittimismo o nella chiusura. Dovremmo sentirci cittadini di questo paese, e ricordando padre Balducci e il suo Giuseppe Laras – La domanda è difficile e mi voglio brevemente soffermare sul dialogo interreligioso, ma soprattutto ebraico-cristiano, di cui io da alcuni anni mi occupo. Ebbene, questo dialogo che continua a svolgersi, da un po’ di tempo è un po’ in crisi, non soltanto dal punto di vista numerico, nel senso di persone che si coinvolgono in esso, ma da quello del convincimento della sua utilità. Sta serpeggiando un crescente dubbio che da questa esperienza, che è già difficile e complicata di per sé, possa continuare a derivare come in passato un contributo di progresso, di avanzamento, di fiducia, per quanto riguarda il nostro stare insieme, il nostro cercare di andare avanti. Forse sta indebolendosi la fiducia reciproca nei partecipanti o forse no. Sto parlando da un punto di vista esperienziale, non ho certezze su questo fronte, prevale soltanto forse un po’ di stanchezza o di pessimismo. Personalmente io resto convinto, nonostante queste difficoltà, anzi direi proprio per queste difficoltà, dell’utilità del dialogo e che convenga quindi tenere duro e andare avanti. Il dialogo è il baluardo fondamentale contro l’antisemitismo, che purtroppo continua a serpeggiare sempre più apertamente e minacciosamente nel mondo. Se per alimentare e rafforzare il dialogo noi scaviamo nella nostra memoria, purtroppo troviamo eventi di segno opposto che ci parlano di persecuzione e di morte o talvolta anche di collaborazione, ma sporadica, episodica. E allora, secondo me, noi dobbiamo cercare dove collocare in futuro il dialogo, e quindi oserei dire che non dobbiamo situarlo nella memoria ma nella nostra volontà, cioè nella volontà che ognuno di noi sarà capace di esprimere, con umiltà ma anche con passione e perseveranza. Domenico Sorrentino – Sapete che Benedetto XVI per questo incontro di ottobre ha dato uno slogan: «pellegrini della verità, pellegrini della pace». Credo che ci sia molto da riflettere intorno a questo slogan, che è anche un tracciato, un percorso. Il Papa ha voluto riproporre il tema del dialogo non dimenticando che esso non può assolutamente sorvolare sul tema della verità, perché altrimenti sarebbe soltanto di facciata, più che dialogo sarebbe una organizzazione della convivenza, più o meno tollerante. La realtà è che per noi tutti quanti credenti, nella misura in cui lo siamo, dunque più siamo credenti più questo è vero, l’esperienza religiosa non è un’idea che teniamo in un cassetto, per cui ne possiamo anche fare volentieri a meno, ma è qualche cosa di così vitale che se è tale, non possiamo non parteciparla, almeno come proposta, notizia, suggerimento. Dobbiamo entrare dentro questa logica di verità dialogica, se vogliamo uscir fuori da questo vicolo cieco. Benedetto XVI ha avuto il coraggio di porre il problema in questi termini inserendo il concetto di pellegrinaggio, un concetto metaforico, ma estremamente importante. Cosa ha detto in sostanza il papa? Di fronte a una società che dice, se vogliamo star bene tra di noi, se vogliamo convivere, allora facciamo in questa maniera, nessuno ha ragione o almeno nessuno dice di aver ragione, salvo poi crederlo, e così ognuno più o meno si fa i propri affari, ritagliandoci i nostri territori, e alla fine le nostre riserve mentali rimangono lì. Benedetto XVI sostiene invece che non è questo il tracciato, che esso consiste nel prendere coscienza che il problema della verità ci tocca tutti, e ci tocca in quanto pellegrini, che insieme credono che a un traguardo si possa arrivare. Ma perché siamo pellegrini? Perché questo traguardo che tocca il divino, è il traguardo che riguarda l’infinito e dunque anche chi tra di noi ritiene di aver avuto la notizia dell’infinito e dunque di starci dentro, sa che per quanto la notizia gli sia arrivata, lui non la possiede, al massimo ne è posseduto come è posseduta una goccia d’acqua dall’oceano. Per cui, di fronte a questo traguardo, pur avendo una certezza di verità che non dobbiamo dismettere, dobbiamo anche avere la capacità di metterci in dialogo perché ciascuno possa riconoscere anche il brillare della verità sul volto dell’altro. A me sembra un discorso di grande importanza, certamente non facile da acquisire e da organizzare. Ma se ci pensiamo bene forse questa è una via per riprendere con coraggio il cammino di un dialogo autentico. Raffaele Luise – La nostra tavola rotonda non poteva essere conclusa meglio, siamo tutti alla ricerca della verità, e su questi tracciati si impostano poi le etiche. Non è relativismo, è relatività delle ricerche e delle esperienze, che attendono di fecondarsi reciprocamente. Questo ci pare il cammino fondamentale per affrontare anche il problema del male. Via dura, difficile – Panikkar diceva addirittura rischiosa – però è la via obbligata. Non si tratta di turismo, né è un lusso, ma una necessità. Prezioso quanto è stato affermato da tutti i rappresentanti delle grandi religioni, una preziosità che è rifulsa in particolare nelle ultime parole, anticipate ancora qualche giorno fa dal papa: la verità ci possiede, noi non la possediamo, non siamo installati in essa, siamo in pellegrinaggio, per fare più giusta, più buona e più bella la nostra vita. ❑ Tavola Rotonda tenuta alla Cittadella di Assisi al 69° Corso di studi cristiani, ripresa dal registratore da Giovanni B. Ardissone, e non rivista dagli autori. ROCCA 15 OTTOBRE 2011 «uomo planetario», cercare di sentirci parte di questa realtà mondiale, consapevoli dei diritti e dei doveri che ci competono. 39 RICERCA la scienza prova la discriminazione Giovanni Sabato ono più stupidi, come afferma un libro di straordinario successo in Germania? O sono meno volenterosi nel lavoro, o restii a integrarsi, o svantaggiati da qualche altro aspetto del loro modo di vivere e della loro cultura? Insomma, se gli immigrati musulmani in Europa restano tendenzialmente indietro nella scala sociale, è per effetto di pregiudizi e discriminazioni nei loro confronti, o in fin dei conti devono biasimare solo se stessi? Uno studio pubblicato su Pnas alcuni mesi fa dà una risposta sconcertante, almeno per il versante lavorativo. In Francia, a parità di qualifiche, esperienza professionale, età e ogni altro elemento, un musulmano ha meno della metà delle opportunità di essere prescelto per un lavoro. Meno della metà non rispetto a un francese doc – un bianco di famiglia francese da generazioni – ma a un concittadino della stessa ascendenza etnica africana, solo di religione cristiana. Non è certo la prima segnalazione di discriminazioni simili. Ma stavolta la prova viene da uno studio scientifico congegnato in modo da misurare con precisione la differenza di opportunità legata alla religione e, soprattutto, da individuarne senza ombra di dubbio la ragione nella discriminazione, senza lasciare molti spazi a ipotesi alternative. S esiti differenti ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Quasi non passa settimana senza che una rivista medica non segnali come tra i cittadini Usa, dal punto di vista sanitario, i neri e altre minoranze se la passino peggio dei bianchi. Che si tratti dei tassi di guarigione da una malattia, della frequenza di un controllo preventivo, dell’incidenza di complicazioni dopo un intervento, o di qualsiasi altra esigenza sanitaria, a pa40 rità di situazione clinica gli esiti sono quasi invariabilmente peggiori, al punto che ad aprile il Ministero della salute Usa ha lanciato un «Piano d’azione per ridurre le disparità razziali ed etniche». Differenze analoghe a svantaggio di certi gruppi etnici o religiosi si registrano in Europa come negli Usa negli ambiti del lavoro, del successo scolastico, delle opportunità abitative e via dicendo. Per trovare rimedi efficaci alle disparità, è ovvio, occorre prima di tutto chiarirne le cause. Le differenze possono discendere da obiettivi svantaggi di partenza, come le peggiori condizioni economiche, o la scarsa padronanza della lingua. Oppure possono essere causate, o molto inasprite, da una discriminazione deliberata. Come distinguere le due evenienze? Un caso caldo che ci riguarda da vicino è il rapporto tra l’Europa e l’Islam. Un rapporto senza dubbio tormentato, ma difficile da definire anche perché i segnali sono contrastanti. Svariate inchieste – dal Pew Global Attitudes Project del 2006 a uno studio dell’Open Society Institute del 2009 – segnalano che la gran parte dei musulmani immigrati nel Vecchio Continente non si sente particolarmente discriminata dalla popolazione locale, dalla polizia o dalla politica. D’altra parte, il dibattito sul velo in Francia, le forti opposizioni all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea o alla costruzione delle moschee, o gli scontri seguiti alle vignette danesi su Maometto, segnalano che l’accettazione è tutt’altro che scontata. E nello stesso studio dell’Open Society Institute del 2009, oltre metà dei musulmani avvertiva un’ostilità contenuta, sì, ma comunque crescente rispetto a 5 anni prima. Senza dubbio, le statistiche segnalano che le condizioni sociali ed economiche dei musulmani restano al di sotto della media della popolazione, anche in paesi come la misurare la discriminazione Misurare la discriminazione non è semplice, rimarcava nel 2001 il National Resear- 41 ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Francia dove l’immigrazione è vecchia di decenni e ci sono comunità consolidate da almeno due generazioni. Si ripropone quindi il dilemma: le disuguaglianze persistenti sono solo il riflesso duro da cancellare di uno svantaggio economico iniziale, o sono perpetuate da meccanismi attivi tutt’oggi? E questi meccanismi includono solo i fattori oggettivi che spesso sono chiamati in causa, come il declino dell’industria a bassa qualificazione in cui le classi meno agiate trovavano lavoro, o il mancato investimento dei musulmani nel loro capitale umano femminile? O il divario è perpetuato, in misura considerevole, da una esplicita discriminazione? «Nonostante il gran dibattere, la questione resta insoluta. Quel che manca è una risposta basata su dati solidi, che riesca a individuare e misurare adeguatamente il successo o il fallimento dell’integrazione economica dei musulmani in Europa» dichiaravano su Pnas Marie-Anne Valfort, economista della Sorbona a Parigi, e gli scienziati politici Claire Adida della University of California a San Diego e David Laitin di Stanford, come premessa allo studio che ha dato, per la prima volta, una risposta netta. ch Council statunitense in un approfondito rapporto. Tutti i metodi hanno pregi e debolezze. Osservare che in un certo ambito c’è un divario, come faceva gran parte degli studi fin lì realizzati, è utile a descrivere la situazione, ma non ne chiarisce le cause al di là di ogni dubbio: per quanto si cerchi di confrontare gruppi omogenei per ogni fattore eccetto l’etnia (o quale che sia la causa della presunta discriminazione), non si può mai essere certi che non ci sia una variabile non considerata che motiva le discrepanze riscontrate. Anche gli esperimenti in condizioni controllate – in cui per esempio si studiano le reazioni cognitive, emotive o elettrofisiologiche a foto manipolate per assumere tinte diverse – hanno i loro limiti, perché non sempre i risultati si possono tradurre in comportamenti reali, e perché i soggetti quando sanno di partecipare a un esperimento tendono a comportarsi diversamente che in situazioni naturali (il cosiddetto effetto Hawthorne). Questi limiti non affliggono gli studi sul campo, cioè gli esperimenti condotti in contesti reali, dove però sorge il problema opposto: è difficile manipolare le variabili che voglio studiare. Come faccio a sapere che, se lo stesso soggetto fosse stato bianco anziché nero, l’esito del suo colloquio di lavoro sarebbe stato migliore? Perciò il National Research Council proponeva metodi integrati che combinassero i punti di forza dei vari approcci. Come il classico esperimento del curriculum, dimostratosi uno dei più efficaci. In risposta a offerte di lavoro, i ricercatori sottopongono due curriculum identici per età e altri dati personali, formazione, esperienze professionali e ogni altro aspetto. Cambiano solo il nome ed eventualmente qualche altro dettaglio irrilevante ai fini del lavoro, ma che rivela la variabile che si vuole studiare, come l’etnia o il sesso del candidato. I risultati sono stati spesso scioccanti: in parecchie casistiche, i curriculum femminili ottenevano molte meno risposte positive degli omologhi maschili, o i nomi tipici dei bianchi garantivano un successo superiore del 50% ai nomi da neri. In questi casi, i dubbi svaniscono: l’esito non può che essere attribuito a una discriminazione, conscia o inconscia. «Abbiamo quindi scelto questo metodo per misurare se i musulmani di seconda generazione abbiano le stesse opportunità sul mercato del lavoro francese, il nostro criterio per valutare l’integrazio- RICERCA ne economica» spiegano Valfort, Adida e Laitin. etnia e religione ROCCA 15 OTTOBRE 2011 I tre avevano però una difficoltà in più: come distinguere i pregiudizi religiosi da quelli etnici. «In ciascuno dei grandi stati europei, gran parte dei musulmani proviene da uno stesso paese o regione: in Germania dalla Turchia, nel Regno Unito dalla regione indiana e in Francia dal Magreb» spiegano. «Se troviamo che i figli degli immigrati musulmani in Francia hanno uno svantaggio economico, come facciamo a sapere se è a causa della loro religione o di altri aspetti che li accomunano in virtù della comune origine, come il sistema educativo o politico o la lingua?». Lo stesso dubbio riguarda l’eventuale stigma. Almeno quattro studi con il test del curriculum, infatti, avevano già dimostrato una discriminazione lavorativa verso gli immigrati in Francia, ma lasciavano irrisolto il dilemma: è contro i magrebini o contro l’islam? Per distinguerlo, gli studiosi hanno condotto un’attenta ricerca fino a individuare due distinte etnie del Senegal, gli Joolas e i Serers, che includono una componente cristiana e una musulmana, giunte in Francia insieme. Hanno quindi preparato due curriculum di una cittadina francese 24enne, nata in Francia ma dal chiaro cognome senegalese, Diouf. I curriculum erano identici in tutto e per tutto salvo il nome, tipico dell’una o dell’altra religione, e due dettagli irrilevanti ai fini lavorativi che rafforzavano l’identificazione: Marie Diouf aveva lavorato con Secours Catholique e fatto volontariato fra gli scout cattolici; Khadija Diouf aveva lavorato con Secours Islamique e fatto la volontaria tra gli scout islamici francesi. Una terza versione del curriculum era intestata ad Aurélie Ménard, francese doc con esperienze in aziende e associazioni senza connotazione religiosa. I curriculum sono stati inviati in risposta a qualche centinaio di offerte di lavoro di segreteria o di contabilità. Le inserzioni sono state abbinate a due a due per regione geografica, settore d’attività e dimensioni dell’azienda e posizione offerta; in ciascuna coppia, un’azienda ha ricevuto i curriculum di Aurélie Ménard e di Marie Diouf, l’altra quelli di Aurélie Ménard e di Khadija Diouf (per non insospettire i selezionatori con due curriculum di senegalesi quasi identici, e per misurare anche la discriminazione puramente etnica verso un’immigrata cattolica). 42 meno della metà I risultati, come si è detto, sono impressionanti: un musulmano, a parità di qualifica, esperienza e ogni altro elemento, ha 2,5 volte meno probabilità di superare questa prima fase della selezione ed essere convocato per il colloquio orale. Se infatti Marie è stata chiamata al colloquio dal 21% delle aziende, Khadija ha avuto solo l’8% di risposte positive. Aurélie Ménard ha ottenuto circa il 26% di successi in ambo i gruppi, indicando che la propensione generale delle ditte verso quel curriculum non differiva, e che una certa discriminazione esiste per il solo fatto di essere senegalese (26% contro 21%). «La realtà probabilmente è ancora peggiore» rimarcano gli autori. «In Francia i neri dell’Africa occidentale non sono percepiti come ‘veri musulmani’, perché non parlano arabo e la loro comunità di riferimento è quella dei concittadini della regione, a prescindere dalla religione. Con ogni probabilità, per gli arabi del Magreb emergerebbe uno svantaggio ancora più forte. Inoltre può esserci un’ulteriore discriminazione nella scelta finale: può darsi che alcune ditte per correttezza chiamino a colloquio i musulmani, ma poi finiscano comunque per preferire i cristiani». La discriminazione, hanno appurato gli autori, ha ripercussioni tangibili nella vita reale. Lo rivela l’esame di oltre 500 senegalesi musulmani e cristiani giunti in Francia negli anni ’70 nella stessa ondata migratoria, e con una distribuzione iniziale di redditi, condizioni sociali e livello educativo simile tra le due religioni. Nel 2009, dopo circa trent’anni, le loro condizioni economiche si erano diversificate secondo la fede religiosa. I fattori decisivi nel determinare il reddito nel 2009 risultavano infatti il livello d’istruzione che aveva l’antenato giunto in Francia, il genere e il livello d’istruzione del capofamiglia attuale (sono più ricche le famiglie guidate da un maschio istruito), e la religione: una famiglia cristiana guadagnava in media 400 euro al mese in più (il 15%) di una musulmana. «Abbiamo ottenuto due risultati importanti» concludono gli autori. «Abbiamo dimostrato che almeno in ambito lavorativo c’è una forte discriminazione verso i musulmani, con ripercussioni concrete sul loro stato economico al punto da poter spiegare il loro minor successo. E abbiamo trovato un metodo per studiare questi fenomeni, isolando la componente religiosa dalle altre fonti di discriminazione». Giovanni Sabato TERRE DI VETRO Oliviero Motta erte volte, in qualità di padre, ti toccano delle cose che daresti un braccio per poter schivare. I saggi e le recite scolastiche rientrano spesso tra queste: le prime volte ci vai con l’entusiasmo di vedere all’opera i tuoi cuccioli davanti a un pubblico. Ecco, appunto, poi ti può capitare che proprio quel pubblico, fatto di padri e madri adoranti, di fratellini schiamazzanti e di espressioni forzatamente entusiaste, non lo reggi davvero più. Ma ci sono eventi che, almeno per me, sono ancora peggio delle recite e dei saggi, e questa sera è proprio uno di quelli: la corrida. No, dico, la Corrida; quella di Corrado buonanima, non so se mi spiego: debuttanti allo sbaraglio e semaforo, barzellette scollacciate e stonature leggendarie e, sopra tutto e tutti, quei mestoli e tegami usati come chiassosa espressione del dissenso nei confronti di chi si butta nell’arena con poca consapevolezza dei propri – scarsi – mezzi. Eccomi qua, la Corrida dell’oratorio, al seguito di mia figlia. Portato in catene in mezzo all’umidità di questa sala devastata dall’inquinamento acustico di decine di pentole e coperchi percossi con foga. In attesa che il supplizio inizi. Eppure, in fondo in fondo, certe cose le puoi cogliere solo qua. Infatti, prima dell’agognato intervallo, viene invitato sul palco un gruppo di giovani africani, «ospiti d’onore» annuncia il presentatore. Non ci spiega chi siano e perché siano lì, dice solo che vengono dal Mali. Poche battute di saluto e poi parte una canzone africana dal ritmo inconfondibile. I ragazzi, venti-venticinque anni al massimo, cantano e poi si muovono a tempo e alla fine ballano. Eccoli, i famosi profughi dalla Libia, quelli che avrebbero messo a repentaglio il nostro Paese, gli invasori che C «noi da soli non ce la possiamo fare» e «prendeteveli voi». Eccoli qua, sul palco, a trascinarci nei suoni di un Paese lontano, con le pentole che, in questo caso, si prestano così bene a battere il tempo. Alla fine grande boato di applausi e pentolame vario e «Grazie a tutti gli italiani» in un francese che più chiaro non si può. Che coincidenza: solo tre ore prima, in una riunione tra direzione dell’Azienda sanitaria e terzo settore si era parlato di loro. E il Direttore sociale aveva apertamente ringraziato Comuni, cooperative e volontariato per l’accoglienza e la generosità dimostrata quest’estate di fronte alle richieste della Prefettura. Dallo scorso luglio è infatti partito un gran movimento impercettibile – ma non clandestino – che ha visto collaborare diversissime agenzie, pubbliche e private, per «distribuire» in questo territorio del nord ovest milanese 240 profughi provenienti dal Mediterraneo. Viceprefetti, Sindaci, operatori sociali, volontari, parrocchie: un movimento intelligentemente concertato per dare un tetto a queste persone. E poi, appena sistemati, via a organizzare corsi per cominciare a conoscere l’Italia e l’italiano; l’accompagnamento per le formalità in Prefettura, la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiati e poi ancora le borse lavoro per non sprofondare nell’inedia. Il tutto senza clamori o sbrodolate retoriche. Decine di comunità civili che si arrotolano le maniche e decidono che si può fare. E si fa. Che distanza tra questa concreta collaborazione tra Istituzioni e gente comune e lo scomposto vociare allarmistico dei giorni degli sbarchi; pignatte e padelle percosse solo per fare rumore nell’arena asfittica della nostra politica. Tanto rumore per nulla. 43 . ROCCA 15 OTTOBRE 2011 tanto rumore per niente L’ERA DI INTERNET l’impavida resistenza della pagina scritta ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Claudio Cagnazzo 44 . nternet come un tornado. Nel senso che, secondo opinione comune, sta spazzando via i vecchi Media. Cominciando dai libri, che Media erano già quando i media stessi non erano neppure concepibili. Il libro innanzi tutto può stare in Internet, quest’ultima non può stare in un libro, se non magari sotto forma di opuscolo tecnico. Sembra una banalità, ma le gerarchie si fondano anche su questi usi multipli. Ovvero il libro è fine a se stesso e non tollera intrusioni, Internet è intrusivo per eccellenza e lascia che tutto lo pervada. Leggere un libro sul Web ha dunque un altro significato da quello tradizionale. È parte di qualcosa che lo riceve, ma non gli appartiene. È un estraneo in terra straniera. La sensazione, infatti, è di una lettura quasi asettica con quelle pagine girate elettronicamente, come se la scansione di parole e sentimenti conseguenti non dipendesse da noi. Ecco, in Internet il libro è una sorta di passatempo, in «carta ed ossa», invece, è una ricognizione all’interno di noi stessi, come se le parole, qualsiasi sia il genere del libro, scavassero dentro. Se leggi in iPod ad esempio è come se lo schermo, i colori, l’attrezzatura tecnologica fossero più importanti del contenuto. Lo sguardo degli altri poi è indicativo: se tu leggi un libro in treno, si fa intorno a te come una sorta di silenzio complice. Si crea un’aura quasi magica che circonda il lettore e gli sguardi degli astanti entrano quasi di soppiatto in quell’aura. Si ovattano per non disturbare. I lettura complice Con la lettura elettronica gli sguardi non si soffermano più di tanto su lettore e mezzo tecnologico. Il libro cartaceo isola, quello internettizzato ti tiene comunque collegato con il mondo, secondo le regole della società informatizzata. Del resto letteratura e film sono pieni di storie nate con la complicità di un libro. Una donna che legge e un passeggero che resta come folgorato dal suo fascino silenzioso. Dietro la lettura digitale non c’è invece mistero. Come non c’è mistero nella lettura di un giornale, sia in Internet sia, però, nel cartaceo. Una sorta di omologazione, sembrerebbe, tra i due mezzi, che invece non esiste in assoluto. La lettura del giornale di carta è l’iniziazione ai problemi della giornata. Esso t’introduce nei problemi del mondo e fa sì che tu ti possa sentire all’altezza della realtà da affrontare. Senza contare che la pagina scritta e odorosa del foglio conserva una autorevolezza che il web non può avere, considerando che, quasi sempre, il giornale, comprato in edicola, rivela una sorta di vicinanza morale ed estetica con l’acquirente, mentre la lettura elettronica, fatta magari nello stesso tempo da migliaia di persone, è come se ti spossessasse dalla notizia e dalla sua narrazione per portarti nel campo della leggerezza e della superficialità. Insomma, con il giornale, come con il libro, si riflette, con la lettura automatica, ci si sente spesso spinti a voltare letteralmente e meccanicamente pagina. La carta impegna, la tastiera invita alla fuga, al passaggio di fiore in fiore, anzi di file in file. lettura e globalizzazione Al dunque, la lettura su Internet è prevalentemente informativa. Un processo rapido di informazione simultanea che specialmente i giovani apprezzano inevitabilmente molto. Un processo utilissimo per tenersi legati alla cronaca e per capire come ci sia, in ogni caso, un legame interspaziale e temporale fra tutti noi. La globalizzazione non è, volente o nolente, uno scherzo o un’invenzione di qualche burlo- ne. Solo la lettura cartacea, però, ha il merito di formare anche quando passa per il giornale, tenendo fede alla semantica appunto dell’in-formare. Il libro e il giornale garantiscono una sorta di appartenenza psicologica che incide sulle coscienze, facendoci parte di quel mondo di notizie, approfondimenti, storie e sentimenti che preformano, formano e magari addirittura deformano la sostanza spirituale dell’individuo (non tutto è edificante e di qualità tra le pagine). Certo nessuno in fondo può prevedere quali effetti avrà, a lungo termine, il nuovo rapporto con la lettura fatta attraverso Internet, come nessuno sa quale vero esito avrà la rivoluzione del linguaggio già in atto. Ma è giusto che, di là dagli addetti ai lavori, anche i semplici fruitori si chiedano cosa ne sarà del libro ed in fondo di se stessi, affezionati come sono all’oggetto ed ai suoi «valori». Anche se, riflettendoci bene, questo tipo di dialettica critica è forse, anch’essa, figlia della storia sedimentata dai libri e dalla loro lettura nei secoli. Vale a dire, è probabile, che i problemi che ci poniamo, siano figli della nostra cultura, intesa in senso lato, e che le prossime generazioni non si porranno neppure il problema. E che forse siamo come i vecchi cow boy, i quali vedevano sfrecciare il treno sulla ferrovia e credevano che il cavallo avrebbe alla lunga vinto. Anche se, a ben pensarci, il cavallo è sempre lì e la sua bellezza, che è legata alla sua unicità, di fronte ai treni, continua a non sfigurare. Anzi. ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Senza contare gli odori che sono in fondo sentimento. La carta scritta ne manda di particolarissimi. Il giornale, ogni giornale ha il proprio, come se la visione politica e morale che lo guida ne impregnasse l’anima. I libri poi, persino secondo l’ora del giorno, odorano diversamente. E quelli inscatolati nella libreria addirittura danno all’ambiente un tocco di odorosa riservatezza che invita appunto alla riflessione. In fondo, a pensarci bene, Internet è perfetta per comunicare una sensazione repentina, come per diffondere una notizia all’istante. Da una notizia all’altra, da una mail all’altra, da un messaggio all’altro (il telefonino esiste!) per sentirsi collegato con il mondo, per fuggire all’idea della solitudine, che invece è il dato strutturale dell’uomo alla tastiera, solo, seppur collegato con una rete infinita. Mentre con libri e giornale non si è soli, ma solitari, in altre parole temporaneamente scollegati con il mondo, ma non con la realtà che, invece, la lettura rende sempre più comprensibile dalla nostra testa e dal nostro cuore. Claudio Cagnazzo 45 . ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Pietro Greco 46 rano anni che non accadeva un fatto eclatante e inatteso in fisica. Un fatto, vogliamo dire, in contrasto con i modelli teorici più consolidati. Capace di ridisegnare nel medesimo tempo la visione che del mondo hanno i fisici e quella che abbiamo noi. Un fatto come la scoperta del «quanto elementare d’azione», realizzata da Max Planck nel 1900, che ci ha restituito una visione dell’universo non più caratterizzata dalla continuità, ma dalla discontinuità. Oppure come l’elaborazione della teoria della relatività ristretta, realizzata nel 1905 dal giovane Albert Einstein, che in un colpo solo propone la formula (E = m c2) destinata a diventare la più famosa del mondo; che dimostra la sostanziale uguaglianza tra materia ed energia e abbatte la concezione del tempo e dello spazio assoluti, contenitori ineffabili delle vicende cosmiche, che Isaac Newton aveva eletto a fondamento del mondo fisico e Immanuel Kant a fondamento della nostra visione del mondo fisico. Qualcosa di altrettanto «rivoluzionario» potrebbe – e sottolineiamo potrebbe – essere successo nelle scorse settimane con la misura della velocità dei neutrini che, in viaggio da Ginevra al Gran Sasso, hanno superato la velocità della luce. Si tratta di una misura eclatante e inattesa. Sia perché è la prima volta che viene individuato una particella o un qualsiasi oggetto che supera la velocità della luce. Sia perché proprio la teoria della relatività ristret- E ta di Einstein impone che nulla possa viaggiare a una velocità superiore a quella della luce. Non nel nostro universo, almeno. Se la misura verrà confermata il quadro teorico della fisica non sarà probabilmente sconvolto. Ma certo dovrà essere significativamente adeguato. Anche se, in questo momento, non sappiamo dove e non sappiamo come. l’eroe del momento Ma andiamo con ordine. E, in primo luogo, vediamo cosa è successo. Da tre anni è attivo, tra il Cern di Ginevra e il Gran Sasso in Italia, un gruppo di ricerca che studia un particolare comportamento – chiamato «oscillazione» – di una particella molto particolare, il neutrino. Si tratta di una particella particolare perché interagisce davvero molto poco sia con le altre particelle materiali sia con i fotoni (le particelle prive di massa che «trasportano» l’energia elettromagnetica). In pratica è come se l’universo fosse quasi completamente trasparente per i neutrini. Uno di loro potrebbe attraversare un muro di piombo lungo quanto l’intero sistema solare senza essere né bloccato né deviato nella sua corsa. In realtà i neutrini sono di tre tipi. E, secondo un modello elaborato quasi mezzo secolo fa da Bruno Pontecorvo – uno dei «ragazzi di Via Panisperna» salito agli onori delle cronache politiche durante la «guerra fredda» per essere stato uno dei pochi IL NEUTRINO SUPERVELOCE Einstein in archivio? conta e riconta il neutrino va più veloce I neutrini sparati dal Cern Ginevra e diretti sotto il Gran Sasso non hanno bisogno di alcun tunnel e di alcuna guida. Perché, come abbiamo detto, essi attraversano la materia senza alcun problema. Noi stessi ogni secondo siamo attraversati da miliar- di di neutrini e non ce ne accorgiamo (né i neutrini si accorgono di noi). Tuttavia la distanza tra Ginevra e il Gran Sasso è piuttosto rilevante: 730 chilometri. Cosicché anche la luce impiega un tempo misurabile – qualche millesimo di secondo (2,4 millisecondi per la precisione) – per percorrerla. Insomma, tre anni fa il gruppo Opera ha iniziato a misurare il tempo impiegato dai neutrini per viaggiare da Ginevra al Gran Sasso. E non voleva credere ai propri occhi. Perché quel tempo risultava di 20 parti per milione inferiore al tempo che avrebbe impiegato la luce. I neutrini compivano il percorso tra Ginevra e il Gran Sasso in circa 60 nanosecondi (miliardesimo di secondo) in meno della luce! Il gruppo Opera non voleva credere ai propri occhi. E ai propri strumenti. E ai propri calcoli. Così, come racconta Antonio Ereditato, per tre anni ha accumulato dati su dati, sottoponendoli alle più svariate analisi e ai più rigorosi controlli. L’incertezza sulla distanza tra Ginevra e il Gran Sasso è stata ridotta a soli 20 centimetri. Quella sui tempi a soli 10 nanosecondi. Niente da fare, facendo e rifacendo i conti, accumulando un numero sempre crescente di eventi, per tre anni il dato resta immutato: i neutrini sembrano viaggiare più veloci della luce. A questo punto Ereditato e il suo gruppo, formato da circa 160 fisici, si sono arresi e hanno deciso di rendere pubblica l’eclatante misura. ROCCA 15 OTTOBRE 2011 occidentali a «fuggire» in Unione Sovietica – i tre tipi di neutrini «oscillano», ovvero si trasformano l’uno nell’altro. Se questo avviene, contrariamente a quanto previsto dal Modello Standard della Fisica delle Alte Energie, i neutrini hanno una massa, sia pure piccolissima. Da tre anni il gruppo di ricerca, chiamato opera e coordinato da Antonio Ereditato, un fisico napoletano che insegna all’università di Berna, cerca di misurare le «oscillazioni» dei neutrini. In pratica ha impiantato a Ginevra, presso il Cern, un generatore di neutrini del tipo muonico che li spara in direzione dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, i più grandi laboratori sotterranei al mondo realizzati sotto la montagna abruzzese dall’Infn (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare). Lì c’è un rivelatore capace di rilevare il passaggio di alcuni neutrini tra i tantissimi prodotti a Ginevra e verificare se hanno «oscillato». In realtà il gruppo Opera ha rilevato almeno 16.000 neutrini tau, fornendo al mondo la prima prova diretta dell’oscillazione dei neutrini muonici e confermando la previsione di Pontecorvo. 47 IL NEUTRINO SUPERVELOCE dello stesso Autore BIOTECNOLOGIE scienza e nuove tecniche biomediche verso quale umanità? pp. 124 - i 15,00 ROCCA 15 OTTOBRE 2011 (vedi Indice in RoccaLibri www.rocca.cittadella.org) per i lettori di Rocca i 10,00 anziché i 15,00 spedizione compresa richiedere a Rocca - Cittadella 06081 Assisi e-mail [email protected] 48 Con quali sviluppi? Gli sviluppi sono di due diverse dimensioni. Da un lato occorrerà verificare l’esattezza della misura alla ricerca di eventuali errori, casuali o sistematici. Dall’altra occorrerà ripetere la misura, per averne una conferma indipendente. Si sono già attivati a questo scopo due gruppi – uno in Giappone e l’altro negli Stati Uniti – e si spera che, nel giro di un paio di anni, ci sarà una risposta. Occorre ricordare che, finora, nessuno aveva «visto» i neutrini viaggiare a velocità superiore a quella della luce. Anche nel corso dell’esplosione di una supernova (evento cosmico che comporta un forte rilascio di neutrini) non era stata rilevata questa performance dei neutrini. Ma, ripetiamo, ora occorre solo una verifica indipendente. di «gravità quantistica». Diverse possibilità risiedono in teorie altrettanto esotiche, come quelle delle stringhe o come quelle che prevedono l’esistenza di tachioni, ovvero di particelle che viaggiano a velocità superluminali. Solo che finora la teoria dei tachioni prevedeva due universi diversi – quello popolato da particelle che viaggiano necessariamente a velocità inferiori a quelle della luce e quello popolato da particelle superliminali – ma impossibilitati a comunicare. Se viaggi più veloce della luce non puoi stare in questo universo. Se sei più lento della luce non puoi andare nell’altro universo. Come fanno allora i neutrini superluminali a scarrozzare da un universo all’altro? sarà vera rivoluzione? I fisici tendono, giustamente, a ricordare che le rivoluzioni nella scienza sono piuttosto rare. Che in genere le novità teoriche consistono nell’elaborazione di modelli più generali, che non abbattono i precedenti ma li inglobano. È quanto avvenuto con la stessa relatività generale di Einstein, che ha inglobato non sostituito la teoria della gravitazione universale di Newton. Per cui anche il neutrino più veloce della luce non porterà ad alcuna rivoluzione. Semmai a un nuova teoria più generale. Ma qui siamo nell’universo, è il caso di dirlo, della discussione nominalistica (cosa dobbiamo intendere per rivoluzione intellettuale)? La verità è che se davvero il neutrino confermerà di saper viaggiare a velocità superiore a quella della luce i fisici dovranno allestire una serie di tali aggiustamenti che il quadro della fisica ne risulterà modificato. E, con esso, la percezione che noi tutti abbiamo del mondo fisico. Quando, nel 1905, Albert Einstein decretò la fine dei concetti di spazio e di tempo assoluti nelle scienze fisiche, pochi mesi dopo e in maniera del tutto indipendente, Pablo Picasso completò un quadro, Le damigelle di Avignone, che secondo i critici dell’arte pose fine ai concetti di spazio e di tempo assoluti nelle arti figurative. Iniziamo a guardarci intorno, forse qualcuno sta già lavorando a un’opera d’arte – un quadro, un romanzo, un film – in cui ci viene offerta la nuova visione di un cosmo, il tutto armoniosamente ordinato dei greci, in cui la velocità della luce non è più un limite invalicabile. E il rapporto tra causa ed effetto seguirà nuove leggi. L’altra dimensione è il quadro teorico. La velocità della luce e l’impossibilità di superarla sono parte fondante non solo della relatività, ristretta e poi generale, ma anche della teoria classica dell’elettromagnetismo, dell’elettrodinamica quantistica e della teoria elettrodebole (che unifica due delle quattro forze fondamentali della natura, l’interazione elettromagnetica e l’interazione debole). L’interazione debole è proprio la forza responsabile del decadimento radioattivo dei nuclei e della generazione dei neutrini. A questo punto le possibilità sono svariate. In primo luogo può essere modificata la teoria della relatività, attribuendo alla velocità dei neutrini invece che alla velocità della luce il ruolo di valore soglia invalicabile. Ma non basta questo esercizio di trasposizione. Occorrerebbe spiegare perché particelle materiali, dotate di massa, viaggiano a velocità superiore a quella dei fotoni, particelle prive di massa, nel vuoto. E come fanno, viaggiando a velocità prossime a quelle soglia a non veder aumentare la propria massa fino a dimensioni infinite, come prevede la teoria della relatività. Altri sostengono che la spiegazione non risiede tanto nella relatività, quanto nella meccanica quantistica. E, in particolare nella possibilità che alcune particelle scavino dei tunnel nello spaziotempo (tunnel molto diversi da quelli immaginati dal Ministro Gelmini) e trovino sostanzialmente delle scorciatoie, in modo tale che la loro «velocità apparente» risulta inferiore a quella della luce. Questa possibilità è prevista nell’ambito dei modelli cosiddetti una nuova visione del cosmo Pietro Greco MAESTRI DEL NOSTRO TEMPO il Circolo di Vienna una concezione scientifica del mondo N concezione scientifica del mondo (che contiene una fiducia incrollabile nella ragione umana e nella sua capacità di rischiarare le cose) si capì immediatamente che la filosofia avrebbe subìto una svolta significativa. Questi filosofi non intendevano solo opporsi al vecchio e alla tradizione, come tante volte era successo nella storia del pensiero, ma rinnovare le basi epistemologiche del filosofare introducendo la positività dei fatti contro il mondo confuso delle idee e delle fantasie. La scienza era chiamata a prendere il posto che un tempo era stato della metafisica. Alle credenze di pochi iniziati dovevano subentrare le evidenze che sono alla portata di tutte le menti razionali. Iniziava così, in continuità con il positivismo ottocentesco, con la filosofia di Russell, di Frege e del primo Wittgenstein, una delle stagioni più interessanti e controverse del pensiero occidentale: quella dell’empirismo logico. Nella vecchia e fumosa mitteleuropa, teatro un secolo prima della cultura idealistica e romantica, lungo l’asse Vienna-Berlino, città che divenne centro di un altro importante circolo neopositivista, molti filosofi della scienza, riuniti attorno alla rivista Erkenntnis, osarono sfidare con un programma ambizioso il modo di pensare dell’uomo occidentale. quanto può dirsi, può dirsi in modo chiaro Il programma era quello di far chiarezza in un campo in cui, più che certezze oggettive, dominavano opinioni discutibili. E quello di fare piazza pulita di pseudoproblemi filosofici, frutto di una logica imperfetta e di un linguaggio ambiguo, per aprirsi a nuovi problemi, problemi che non erano mai stati posti e concepiti. La filosofia poteva vedere lontano se solo si fosse liberata dalle nebbie della non conoscenza. Era necessario guardare al futuro con occhi nuovi, non deformati da pregiudizi senza 49 ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Stefano Cazzato ella scienza non si dà profondità alcuna; ovunque è superficie. Tutto è accessibile all’uomo e l’uomo è la misura di tutte le cose. In ciò si riscontra un’affinità con i sofisti, non con i platonici; con gli epicurei, non con i pitagorici; con tutti i fautori del mondano e del terreno. La concezione scientifica del mondo non conosce enigmi insolubili». Quando, alle soglie degli anni ’30, gli esponenti del circolo di Vienna formularono la senso, e il futuro era la scienza. La scienza come metodo da imitare e la scienza come atteggiamento, come vocazione critica, come attitudine esistenziale a mettere in dubbio quanto, pur radicato nella tradizione del pensiero e venerato da secoli, non era sufficientemente chiaro e giustificato. Autorità come Platone, Tommaso, Kant, Schelling e Hegel caddero sotto i colpi di questo metodo. La raccomandazione, espressa da Wittgenstein nel Tractatus, di dire in modo chiaro quello che si può dire e di tacere quello che non si può dire, divenne, per i primi empiristi logici, un imperativo teorico e morale. Ma c’era bisogno di un’arma più solida e aggressiva delle suggestioni di Wittgenstein per dissolvere il passato, e quest’arma venne individuata nel principio di verificazione. Per Rudolf Carnap (nella foto) la verificazione è un criterio di demarcazione tra gli enunciati metafisici, ascrivibili alla poesia e quindi inverificabili, e gli enunciati empirici, che esprimono verità di fatto e sono quindi verificabili. Per Moritz Schlick il significato di una proposizione è il metodo della sua verificazione, anche se sono possibili differenti metodi per verificarla. Secondo La concezione scientifica del mondo, il manifesto del neopositivismo firmato da Carnap, Hahn e Neurath, è un errore ritenere che il pensiero possa arrivare a delle conoscenze prescindendo dall’esperienza o andando oltre l’esperienza. La verificazione cominciava a segnare i paletti della conoscenza, le sue possibilità e i suoi limiti, a stabilire cos’era scienza e cosa non lo era. Forse lo faceva in modo restrittivo e intransigente ma lo scopo era quello di mettere ordine, di eliminare i dello stesso Autore detriti concettuali che frenavano il cammino della filosofia. MAESTRI DEL NOSTRO TEMPO ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Stefano Cazzato Giuseppe Moscati MAESTRI DEL NOSTRO TEMPO pp. 240 - i 20,00 il lavoro collettivo Pur con sfumature diverse, tutti gli empiristi logici sottoscrissero questo empirismo verificazionista che faceva sperare nelle progressive sorti della scienza e dell’uomo. (vedi Indice Ciò che li teneva insieme, però, era qualin RoccaLibri www.rocca.cittadella.org) cosa di più profondo di una teoria o di una dottrina. Non era una tesi filosofica o scienper i lettori di Rocca tifica particolare ma una prospettiva di rii 15,00 anziché i 20,00 cerca, un «orientamento di fondo». spedizione compresa Hahn, Carnap, Schlik e Neurath ma anche Reichenbach e gli altri di Berlino averichiedere a vano il senso della comunità scientifica e Rocca - Cittadella pensavano che la scienza fosse un bene 06081 Assisi comune. Rappresentavano se stessi non e-mail [email protected] come pensatori isolati, in cerca di un suc50 cesso personale, ma come una scuola, impegnata in un lavoro collettivo di tipo illuministico. Non si consideravano delle autorità da idolatrare ma dei servitori «della verità dei fatti» in un’epoca in cui i modi della legittimazione filosofica diventavano più democratici e intersoggettivi. Da qui l’idea di organizzarsi in circoli, di fondare una rivista di dialogo e di sintesi teorica e di proporre opere firmate a più mani. Da qui l’ambizione «dell’unificazione della scienza per collegare e coordinare i risultati dei singoli ricercatori nei vari ambiti scientifici». E da qui, soprattutto, la ricerca di un linguaggio universale nel quale tutti gli uomini di scienza potessero parlare e capirsi, al di là delle barriere della storia. Purtroppo furono proprio le barriere della storia a dividerli. Con l’avvento del nazismo molti di loro, i più fortunati, presero la strada degli Stati Uniti portando con sé non solo lo spirito illuminista e la nuova concezione del mondo ma anche i suoi nodi irrisolti tra cui un latente dogmatismo scientista e una scarsa considerazione per quei campi del sapere e dell’agire umano legati alla valutazione etica ed estetica e irriducibili alla fondazione empirica. Con questi nodi si sarebbero confrontati i filosofi della scienza delle generazioni successive, facendo tesoro della rivoluzione empirista ma criticandola e rifondandola a partire dall’interrogazione radicale sul significato dell’esperienza e della ragione. Stefano Cazzato per leggere l’empirismo logico R. Carnap, La costruzione logica del mondo, Utet, Torino 1997. H. Hahn, R. Carnap, O. Neurath, La concezione scientifica del mondo, Laterza, Roma-Bari 1979. M. Schlick, Sul fondamento della conoscenza, La Scuola, Brescia 1983. O. Neurath e all., Neopositivismo e unità della scienza, Bompiani, Milano 1973. sull’empirismo logico J.O. Urmson, Storia dell’analisi, in G. Gava, R. Piovesan, La filosofia analitica, Liviana, Padova 1972. O. Neurath, Il circolo di Vienna e l’avvenire dell’empirismo logico, Armando, Roma 1977. H. Feigl, Il circolo di Vienna in America: la filosofia americana contemporanea, Armando, Roma 1980. G. Giorello, Introduzione alla filosofia della scienza, Bompiani, Milano 1996. F. D’Agostini, Filosofia analitica, Paravia, Torino 1997. Rocca? grazie ad un amico l’ho conosciuta un 40% dei lettori risponde così al questionario 2011 è un’idea da incentivare ROCCA 15 OTTOBRE 2011 presenta anche tu Rocca a un amico procura un abbonamento annuale e Rocca ti ringrazia inviandoti a scelta o il cd-rom Rocca 2011 o il libro «Pianeta coppia» di Rosella De Leonibus 51 TEOLOGIA Io e Noi di fronte a Dio in dialogo con Vito Mancuso ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Carlo Molari 52 I l nuovo libro di Vito Mancuso, (Io e Dio. Una guida dei perplessi, Garzanti, 2011) merita una lettura attenta. Chi si interrogava sulle ragioni del successo dei suoi libri, credo abbia in questo ultimo volume una risposta chiara. Traspare una autenticità che da sapore di verità a ciò che è scritto; un rigore di riflessione che affascina anche coloro che avanzano riserve sulle conclusioni. È un testo di teologia fondamentale, originale per il metodo esperienziale, ricco per i contenuti ampi e documentati, concreto per l’impostazione orientata ad un rinnovamento della Chiesa. L’analisi si svolge nell’orizzonte di fede cristiana perché parte dall’esperienza personale dell’autore, dichiaratamente religiosa (non ricordo un solo istante della mia vita in cui abbia dubitato di Dio p. 393; in questo senso definisco la mia identità cristiana p. 446). Mancuso cerca con passione i fondamenti della fede in Dio, come è vissuta nella tradizione cristiana, ne analizza con chiarezza le dinamiche e ne dichiara con sincerità i limiti. Egli sembra scrivere prima di tutto per se stesso, per rendere chiare le impostazioni di vita, per giustificare le scelte quotidiane e per motivare la dichiarata appartenenza alla Chiesa. Convinto che la sua esperienza possa essere «una guida dei perplessi» come precisa il sottotitolo. Per questo la riflessione procede con argomenti di ragione. Sono scelte consapevoli e dichiarate: «in queste pagine rendo pubblica la mia visione della fede in Dio e del suo fondamento» (p. 194); «ho voluto vagliare la solidità di ciò che pretende di essere il punto fermo per costruire la mia identità» (p. 445). «Il mio obiettivo è contribuire a far sì che la mente contemporanea possa tornare a pensare insieme Dio e il mondo, Dio e Io, come un unico sommo mistero, quello della generazione della vita, dell’intelligenza, della libertà, del bene, dell’amore». «Vorrei che questo libro e in genere il mio lavoro intellettuale risveglino e rafforzino negli esseri umani l’amore per il bene e per la giustizia e il senso di solidarietà e fratellanza» (p. 184-185). «Desidero in particolare promuovere un cambiamento di paradigma: il passaggio dal principio di autorità al principio di autenticità» (p. 194). Sarebbe presunzione da parte mia in poche righe anche solo elencare i molti temi esaminati con dovizie di informazioni, le prove addotte con rigore logico e le conclusioni a cui perviene in dissenso a volte con le opinioni diffuse nelle comunità cattoliche. Vorrei piuttosto sviluppare un dialogo su due punti che considero qualificanti e che mi pare meritino una riflessione: l’Io/Noi nel cammino di fede e il carattere personale del Dio cristiano. Una certa perplessità suscita la scelta di considerare l’io come soggetto esclusivo del rapporto con Dio. Una scelta insistita e intenzionale precisata anche nell’uso grafico del pronome personale «io/Io»: «minuscolo intende lo scrivente, maiuscolo il soggetto umano» (p. 10). Egli è convinto che «se non si vuole pronunciare invano il nome «Dio» anche come nome comune di persona, si impone una precisa, inderogabile, condizione: parlare in prima persona singolare. Credo che oggi si possa parlare di Dio in modo veridico solo dicendo consapevolmente «io», e proprio a partire dall’Io» (p. 387). Riferendosi ai dubbi e riserve sulla storicità di molti racconti biblici Mancuso scrive: «La potenza della profezia e la profondità dei libri sapienziali rimangono intatte, ma a questo riguardo non si tratta di un ingresso di Dio nella storia, quanto di ispirazione nella singola anima. Ovvero, non ‘noi e Dio’, bensì sempre e solo ‘Io e Dio’» (p. 268). La conclusione del libro sembra porre il sigillo alla scelta: «Quanto a me il punto fermo che costituisce la mia vera identità di uomo non mi deriva da nulla di esteriore... Ciò che mi definisce come uomo è qualcosa di interiore a me stesso. Questa interiorità è lo spirito, il medesimo che è all’origine del bene morale dentro di me e del mondo fisico allo stesso modo dentro di me perché anch’io sono mondo... Per ogni uomo che viene sulla terra la partita della vita è sempre tra Io e Dio» (p. 446). Con queste affermazioni Mancuso intende prima di tutto affermare che l’esperien- della somma energetica delle persone, in modo da richiamare e riassumere la storia intera della comunità. Dal punto di vista del metodo di riflessione è giusto partire dall’esperienza personale, ma nella consapevolezza che essa è donata, implica le relazioni e che il cammino autentico di fede si realizza solo nel Noi. A questo proposito vorrei richiamare alcune riflessioni proposte da Benedetto XVI il 24 settembre scorso nel colloquio improvvisato con i seminaristi di Friburgo. Egli ha detto: «Soltanto nel ‘noi’ possiamo credere... Fa parte della fede il ‘tu’ del prossimo, e fa parte della fede il ‘noi’. ...Quando diciamo: ‘Noi siamo Chiesa’, sì, è vero: siamo noi, non qualunque persona. Ma il ‘noi’ è più ampio del gruppo che lo sta dicendo. Il ‘noi’ è l’intera comunità dei fedeli, di oggi e di tutti i luoghi e tutti i tempi. E dico poi sempre: nella comunità dei fedeli, sì, lì esiste, per così dire, il giudizio della maggioranza di fatto, ma non può mai esserci una maggioranza contro gli apostoli e contro i santi: ciò sarebbe una falsa maggioranza. Noi siamo Chiesa: siamolo! Siamolo proprio nell’aprirci e nell’andare al di là di noi stessi e nell’esserlo insieme con gli altri!». Una verifica della insufficienza della prospettiva prevalentemente individuale viene dal fatto che Mancuso ha difficoltà a valorizzare la liturgia come luogo comunitario dell’incontro con Dio e a considerare la storia come ambito privilegiato della rivelazione divina. Egli ammette: «lo statuto comunitario della liturgia non si concilia bene con la mia attenzione privilegiata all’Io nella sua singolarità» (p. 190 sottolineature mie). La liturgia infatti non è semplice dovere bensì è il luogo dove la struttura teologale dell’esistenza cristiana si esercita, si verifica e si alimenta nello scambio di doni reciproci. La pratica liturgica autentica sviluppa in tutti la capacità di amare. Quanto alla storia Mancuso riferisce puntuali e informate conclusioni di autorevoli storici ed esegeti circa il carattere e le ragioni delle narrazioni Bibliche (pp. 245344). Ma altro è negare la storicità di racconti altro è negare che la storia sia l’ambito necessario della rivelazione e dell’esperienza del divino in modo da realizzare quella «verifica concreta e assoluta» di ogni religione, che giustamente, secondo Mancuso, consiste nel «volersi bene, volere il bene, nient’altro che il bene» (p. 190). (continua) dello stesso Autore CREDENTI LAICAMENTE NEL MONDO pp. 168 - i 20,00 (vedi Indice in RoccaLibri www.rocca.cittadella.org) per i lettori di Rocca i 15,00 anziché i 20,00 spedizione compresa richiedere a Rocca - Cittadella 06081 Assisi e-mail Carlo Molari [email protected] 53 ROCCA 15 OTTOBRE 2011 za di fede suppone la piena consapevolezza personale e si sviluppa solo nella libertà. In questo ha pienamente ragione. Due dubbi vorrei illustrare. Il primo a proposito dell’autosufficienza del singolo. La libertà infatti è donata dagli altri, il cammino di fede si svolge solo per induzione altrui e suppone quindi un campo permanente di testimonianza. Mancuso stesso elenca i testimoni che l’hanno guidato ed educato alla fede ( ad es. pp. 191 ss). Questa condizione non riguarda solo l’origine dell’esperienza religiosa bensì anche lo sviluppo maturo della vita spirituale e resta un suo statuto permanente. La vita spirituale individuale è immersa o avvolta da un campo energetico più ampio a cui continuamente attinge. Mancuso infatti accoglie quella «visione dell’uomo e della vita» secondo cui «non c’è prima un Io isolato, una monade monacale che poi, in un secondo momento, ha delle relazioni». Ma, al contrario «prima ci sono le relazioni» «e in base alla natura di tali relazioni il soggetto di volta in volta si forma: l’Io non ha relazioni, l’Io è relazioni» (p. 401). Egli stesso d’altra parte confessa: «vado scoprendo che non so rispondere con certezza al perché della mia fede» (p. 393) e riconosce nello stesso tempo: «la fede in Dio è radicata in me come un patrimonio ideale di cui sono felice e di cui vivo» (ib). Anche la tradizione sapienziale si alimenta attraverso l’intreccio delle esperienze personali in un unico orizzonte di fede. Coerentemente non si dovrebbe concludere che il processo interiore come è derivato ora è sostenuto dagli altri? Perché allora «io» e non «noi» se le relazioni costituiscono e condizionano la nostra vita di fede? In secondo luogo il rapporto con Dio nella storia si concretizza quando la sua azione è accolta e resa visibile. Ma ciò avviene non solo a livello individuale bensì anche e soprattutto in forma sociale e storica. Ci sono qualità umane che possono fiorire solo in ambienti vitali ampi e in comunità con vincoli intensi. L’intreccio delle relazioni costituisce uno spazio di sviluppo spirituale più ampio e profondo della somma delle dimensioni personali. Una comunità di vita non è la semplice somma delle potenzialità vitali delle persone ma il risultato esponenziale della energia creatrice che attraverso l’intreccio dei rapporti può sviluppare un campo energetico più profondo e intenso. In tale modo anche le ricchezze della storia possono esprimersi in forme più ricche. Per cui non solo il Noi è prima dell’Io perché lo precede e lo fonda ma costituisce un soggetto più ampio e ricco IL CONCRETO DELLO SPIRITO dignità Lilia Sebastiani ggi se ne parla molto, forse più che in ogni altra epoca, e il linguaggio dei mass-media non sempre è attento a distinguere. Così accade di rafforzare un’ambivalenza che è in qualche modo presente nell’idea – e nel termine, e nel suo uso – fin dal principio. La dignità come l’intendiamo noi, ambiguità comprese, è un’acquisizione piuttosto moderna. Prima del cristianesimo, anche nelle culture classiche, il concetto di dignità umana, benché non sconosciuto, era inteso in modo assai diverso da quello che può esserci familiare, e tendeva a identificarsi con il ‘ruolo’ sociale della persona. O due significati – o forse più ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Nel mondo antico, soprattutto nel mondo romano, almeno a partire da quando un’espressione quale ‘dignità dell’uomo’ diventa interessante per i filosofi, la parola viene impiegata in due accezioni diverse. Da un lato si riferisce alla posizione unica e speciale dell’essere umano nell’universo; dall’altro, alla posizione che egli occupa fra i suoi simili. Nel primo significato la dignità è un dato assoluto, nel secondo è del tutto relativa. Le due accezioni diverse hanno conosciuto un’evoluzione nel tempo ma si sono in sostanza conservate fino a oggi. In latino la dignitas, concetto forse più pubblico che privato, presuppone la virtus, cioè si fonda sui meriti che un uomo può avere (e anche non avere); oppure riguarda il ruolo o il rango sociale. In ogni caso il concetto di dignità sembra sempre subordinato a un riconoscimento dall’esterno. Se si eccettuano alcune intuizioni filosofiche, talvolta intensamente suggestive ma anche, dal nostro punto di vista, incomplete, non sembra diffusa l’idea che tutti gli esseri umani abbiano la stessa dignità ‘proprio’ e ‘solo’ in quanto umani. In ambito giuridico e filosofico le teorie antiche e moderne sulla dignità umana vengono abitualmente distinte in due categorie: quelle che legano la dignità a un dato ontologico, facendone un principio trascenden54 tale legato alla specie umana (teorie ‘della dotazione’), e quelle che la collegano a fattori progressivi, in divenire (teorie ‘della prestazione’). Nel primo caso la dignità è qualcosa che non si acquista né si perde; nel secondo invece è legata al comportamento e alle scelte dei singoli, e anche a fattori che possono non dipendere dalla volontà. Nell’antichità il discorso sulla dignità dell’uomo è stato sviluppato e diffuso dallo stoicismo (e in parte, in modo un po’ diverso, dal neoplatonismo). Il logos umano è partecipe di quello divino, perciò gli uomini da un certo punto di vista hanno tutti la stessa ‘virtù’, a prescindere dalla condizione in cui si trovano. Non possiamo non rilevare la somiglianza che passa tra questa idea e quella cristiana dell’uomo immagine di Dio. la dignità nella Scrittura Una grande differenza si riscontra nella tradizione ebraico-cristiana, per cui la dignità diventa un elemento specifico della condizione di uomo, della sua natura. Nella prospettiva biblica la dignità non risiede primariamente nell’uomo stesso – cioè nel suo comportamento, nella sua natura spirituale, nella sua libertà... Viene invece dal legame che lo unisce al suo creatore. Si fonda nella somiglianza con Dio, nell’essere creato a sua immagine, per cui nella creatura risplende un riflesso della stessa gloria di Dio. Se Protagora diceva che «l’uomo è misura di tutte le cose», il messaggio emergente dalla Scrittura sembra quasi opposto: la misura di tutte le cose è Dio, ed è anche la suprema realizzazione e il fine dell’uomo. L’uomo, dal canto suo, non è Dio, ma è coinvolto e trasformato dal suo amore, dalla sua intenzionalità creatrice, è costituito da Dio come essere responsabile, cioè capace di risposta. Vi è un passo del secondo Isaia che colpisce sempre per l’intensa vibrazione affettiva, il Signore conforta in suo popolo minacciato ricordandogli la propria indefettibile vicinanza: «Non temere, perché io ti ho salto il ruolo unico dell’essere umano nei confronti della realtà creata e il suo essere culmine nel progetto di Dio. La visione cristiana dell’essere umano, fondata nella teologia del Primo Testamento, acquista connotati nuovi e originali alla luce dell’evento di Gesù. Attraverso l’uomo Gesù di Nazaret, attraverso i due pilastri dell’evento cristiano, l’Incarnazione e la Resurrezione, Dio iscrive qualcosa di realmente nuovo nella natura e nel destino dell’essere umano. La Parola si è fatta carne, la carne può farsi parola: la nostra stessa dimensione fragile, relativa, ferita, può mediare per noi stessi e per altri la salvezza di Dio nel concreto della storia umana. I miracoli di guarigione, che tanto rilievo hanno nei vangeli, non sono solo segni di potenza né solo una specie di pronto soccorso celeste a beneficio di alcuni sfortunati (peraltro abbastanza fortunati da trovarsi sul cammino di Gesù nel momento giusto); ma segni del nuovo di Dio, annuncio di una nuova dignità e libertà dell’essere umano. Questa dignità nuova riguarda tutti in ogni tempo, i risanati come gli altri. Le persone che Gesù guarisce non risultano semplicemente rimesse a posto laddove la funzionalità di un organo risultava compromessa, ma ricostituite solennemente nella loro dignità. (Anche per questo in molti casi l’attenzione di Gesù si rivolge a quelli che nel loro tempo e nel loro ambiente erano discriminati o veramente ‘ultimi’, se non esclusi). Le guarigioni rivelano la dignità straordinaria di ogni essere umano dinanzi a Dio: dignità che è uguale per ognuno e, nello stesso tempo, infinitamente differenziata. E nello stesso tempo ricordano la responsabilità umana derivante da questa stessa dignità. ROCCA 15 OTTOBRE 2011 riscattato, / ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni.(...) Io do l’Egitto come prezzo per il tuo riscatto, /l’Etiopia e Saba al tuo posto. / Perché tu sei prezioso ai miei occhi,/ perché sei degno di stima e io ti amo,/ do uomini al tuo posto / e nazioni in cambio della tua vita...» (Is 43,1-4 passim: corsivi nostri). Forse la nostra sensibilità moderna, cristiana o comunque filtrata attraverso il cristianesimo, sentirebbe il bisogno di una lettura più universale della sollecitudine di Dio e della dignità umana; ma è importante che in questo passo – scritto al tempo dell’esilio in Babilonia – un popolo politicamente quasi annientato e asservito dai nemici pagani abbia attraverso le parole del profeta la certezza di essere ‘ancora’ scelto da Dio, di contare molto ai suoi occhi: non certo in base alla forza, che non esiste più, ma in virtù della chiamata e dell’Alleanza. Le parole sull’Egitto, l’Etiopia e Saba (tutti regni ricchi e potenti) non esprimono disprezzo o aggressività verso questi paesi, ma attenzione privilegiata verso il popolo di Dio, impoverito e oppresso, ma sempre «prezioso ai (suoi) occhi». Il salmista si chiede, e chiede a Dio: come è possibile che l’uomo, così piccolo e trascurabile, sia importante ai tuoi occhi? «Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,/ la luna e le stelle che tu hai fissate,/ che cosa è l’uomo perché te ne ricordi / e il figlio dell’uomo perché te ne curi?». E risponde nei termini del racconto di creazione: «... Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli,/ di gloria e di onore lo hai coronato:/ gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,/ tutto hai posto sotto i suoi piedi...». Nella Bibbia l’essere umano conosce la propria grandezza per mezzo della rivelazione di Dio, e nella certezza che Dio si cura di lui acquisisce anche la coscienza della propria dignità. Il fondamento dell’antropologia biblica si trova in primo luogo nei due racconti di creazione (risalenti a tradizioni diverse) nei capp. 1 e 2 della Genesi. Nonostante le diversità, da entrambi i racconti acquista ri- la Chiesa, il Concilio e la dignità umana La bimillenaria storia della chiesa si può leggere anche come lungo itinerario di riflessione sulla persona umana e la sua dignità, itinerario certo non lineare né paci55 IL CONCRETO DELLO SPIRITO fico. Si trovano contraddizioni nella dottrina, ma anche e soprattutto tra la dottrina e la prassi. Tuttavia il cammino percorso è di importanza fondamentale. La grande novità del secolo XX è il personalismo: si afferma negli anni Trenta e intorno agli anni del Concilio viene in sostanza accolto anche dal magistero della chiesa, esercitando una particolare influenza sulla costituzione Gaudium et Spes. Il personalismo non è semplicemente una ‘corrente filosofica’: è una visione dell’uomo che ne sottolinea la dignità, il giusto bisogno di autorealizzazione, la vocazione alla libertà; e difende con forza i diritti della persona, sempre in vitale connessione con i doveri. Nella dichiarazione Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa (7 dicembre 1965) il Concilio afferma che «il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana» (n. 2), e sottolinea la confluenza di diritti e doveri nella questione della libertà religiosa. Più avanti (n. 3) aggiunge che la verità «va cercata in modo rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale» e qui si riafferma – come nel n. 16 della Gaudium et Spes, benché in termini meno originali e profondi – la centralità della coscienza. Nel 2005 fu pubblicato a cura del Pontificio Consiglio per la giustizia e per la pace il Compendio della dottrina sociale della chiesa: un documento che, sebbene non originale (è infatti un collage di citazioni da documenti magisteriali dell’ultimo mezzo secolo), riesce a fondere apporti disparati in una sintesi piuttosto efficace. All’interno del cap. III, «La persona umana e i suoi diritti», una trattazione fra le più attente e articolate di tutto il Compendio è dedicata ai diritti umani, e vi si afferma che la radice di essi «è da ricercare nella dignità che appartiene ad ogni essere umano» (n.153), fondata non su quanto ‘ha’ o ‘fa’, ma su ciò che è; dignità uguale in tutti e comprensibile per mezzo della ragione. dignità come ‘dato’ e come ‘lavoro’ ROCCA 15 OTTOBRE 2011 La dignità della persona viene solennemente proclamata nel preambolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948): «Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti uguali e inalienabili costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo». L’articolo 1 afferma che «tutti gli esseri umani nascono liberi e eguali in dignità e diritti». Tra parentesi la Dichiarazione del 1948 è il primo 56 fra i grandi documenti ‘laici’ dello stesso genere ad essere recepito in modo pienamente favorevole dalla voce ufficiale della chiesa cattolica. Ci piace molto che nella Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea dell’anno 2000 (dal 2007 a questo testo viene riconosciuto lo stesso valore giuridico dei Trattati) dedichi un intero capitolo al principio della dignità umana, presentandola insieme come un valore universale e trascendente da cui scaturiscono i diritti e come la sintesi dei diritti stessi. Oggi di dignità si parla spesso e volentieri, ma le idee al riguardo non sembrano più chiare – le idee correnti, almeno. La dignità viene facilmente confusa con concetti che, quantunque non estranei ad essa, rimangono ‘altri’: autostima, orgoglio, anche prestigio; perfino con lo star bene. Spesso l’opinione pubblica viene colpita da comportamenti che sembrano contraddire – per la dissennatezza, per la gratuita ferocia, per lo squallore – la dignità dell’essere umano. Ma non si perde la dignità fondamentale, così come, parlando da credenti, non si perde l’essere immagine di Dio. Semmai si offusca, questo sì, la ‘somiglianza’. In realtà la dignità è qualcosa che nello stesso tempo si possiede e si deve conquistare: bisogna sempre diventare ciò che si è. La dignità viene scossa, nel duplice senso del termine (non rispetto della dignità di altri, comportamento proprio non dignitoso) dalla sistematica mancanza di riflessione in chiave etica e dalla progressiva diffusa perdita di un proprio centro interiore unificante. Il paradosso della persona umana sta proprio nel far riferimento insieme alla vulnerabilità (tutto ciò che la Scrittura esprime parlando di ‘carne’), alla natura sociale dell’essere umano e alla sua sacralità inviolabile. Gabriel Marcel affermava che il carattere sacro dell’essere umano appare anche più chiaro quando ci si accosta «all’essere umano nella sua nudità e nella sua debolezza, all’essere umano disarmato, così come lo incontriamo nel bambino, nell’anziano, nel povero». Non avviene forse mai di attingere il senso (non filosofico, ma vissuto e creativo), della propria dignità, come quando ci si coinvolge attivamente nel rispetto della dignità di un altro, come quando si lavora, nei limiti delle proprie possibilità, per far risplendere la dignità nascosta o dimenticata di un altro. Lilia Sebastiani CINEMA C arnage, sostantivo che troviamo sia in inglese che in francese, può essere tradotto con carneficina ma anche carnaio. Quest’ultimo significato non compare nel titolo della pièce da cui il film è tratto, «Il dio del massacro» di Yasmina Reza, che fa comunque riferimento a una situazione cruenta ed esasperata, anche se tutto, in quello che si avvierà fatalmente a diventare un «quartetto per cannibali», almeno alle prime apparenze, sembra svolgersi all’insegna dell’educazione e del fair play. Nel corso di una lite l’undicenne Zachary ha rotto due denti al coetaneo Ethan dandogli una bastonata in faccia. I genitori di Zachary, Alan, avvocato di grido, e Nancy, consulente finanziaria, fanno visita al padre e alla madre di Ethan, Michael, venditore di casalinghi, e Penelope, che sta scrivendo un libro sul Darfur, per una risoluzione pacifica della controversia. È stilato un documento che ricostruisce l’accaduto smussando ogni angolo polemico, viene servita una torta, si beve scotch di pregio ma, tra le numerose telefonate di lavoro di Alan e quelle altrettanto frequenti della madre di Michael, cresce spasmodicamente la tensione. Sul tema Polanski aveva già realizzato Il coltello nell’acqua e Cul-de-sac, cioè un capolavoro e un film che al capolavoro va abbastanza vicino. Nel primo il luogo chiuso è uno yacht in crociera lacustre, l’intruso un giovane autostoppista che mette in crisi l’equilibrio precario di una coppia della «borghesia socialista»; nel secondo sono dei gangster a sconvolgere l’esistenza di due coniugi, installati in un castello che le maree separano quatidianamente dal- Carnage la terraferma. Se Il coltello nell’acqua ha le movenze della commedia nera, Culde-sac declina tutte le tonalità del grottesco. Anche senza mettere in conto lo sgangherato Luna di fiele, Carnage, per argomento e temperatura emozionale, si inserisce dunque con tutta evidenza in una linea d’autore. Come detto all’inizio, il film ha origine da un lavoro teatrale. Di solito in questi casi è preoccupazione del regista attuare quello che tecnicamente si chiama opening up, ossia l’apertura verso l’esterno, in modo da superare la staticità connaturata ai testi scritti per il palcoscenico. Se si eccettuano il prologo e l’epilogo, Polanski procede qui in maniera opposta, segregando i quattro protagonisti della vicenda tra le mura di un appartamento, a sottolinearne la natura di kammerspiel. In funzione di alleggerimento e fluidità del racconto, si concentra piuttosto sulla frammentazione delle inquadrature, sulla precisione dei movimenti di macchina, sulla dinamicità delle scansioni di montaggio. Adattando la comme- dia per il cinema insieme alla sua autrice, analizza le dinamiche di coppia attraverso una serie di scomposizioni e ricomposizioni in cui giocano la psicologia, le appartenenze – di classe e di sesso – e il tasso etilico. Ed è qui che vengono fuori i limiti della pellicola. Pur non conoscendo la pièce, abbiamo la sensazione che dipendano soprattutto dalla sua intrinseca debolezza, da una progressione abbastanza prevedibile in quasi tutti i suoi segmenti, da un uso a tratti fastidioso degli stereotipi di comportamento, finanche delle allusioni simboliche (il libro su Bacon in bella evidenza sul tavolo, a indicare una sia pur geniale sgradevolezza neoespressionista, che verrà poi ulteriormente sottolineata dal vomito di Nancy); conseguentemente, da una tendenza all’esasperazione, un andare sopra le righe che si riflette anche nelle prove degli attori, che molti hanno celebrato ma che, a parte il misurato ed efficace John C. Reilly, a noi sono parsi al di sotto delle loro abituali carature. Al di là della commedia della Reza, il problema ci sem- bra ancora una volta l’atteggiamento, forse esistenziale prima ancora che artistico, di Polanski. Cioè uno dei maggiori talenti espressi dal cinema nel secolo scorso, ma anche uno di quelli che il proprio talento lo hanno buttato via con pervicace disinvoltura. Geniale enfant prodige nei corti realizzati nell’ambito di quella fucina che è stata la scuola di Lodz (valga per tutti il magnifico La caduta degli angeli), originale innovatore nei lungometraggi realizzati in patria e in Inghilterra (i già citati Il coltello nell’acqua e Cul-desac, Repulsion) e al primo impatto con Hollywood (Rosemary’s Baby ovviamente più di Per favore non mordermi sul collo), il regista, forse anche per le ben note tragedie che ne hanno funestato l’esistenza, si è da allora consegnato a una routine talvolta sontuosa (Chinatown, L’inquilino del terzo piano), talaltra irritante (e qui non c’è che l’imbarazzo della scelta), in un abbandono ai venti del caso che ci sembra in ogni modo coerente con una tradizione di avventurismo cinico e disperato tipicamente polacca. Carnage, grazie anche a contributi professionali di alto livello come la scenografia di Dean Tavoularis (Apocalypse Now!), i costumi di Milena Canonero (Barry Lyndon), la musica di Michel Desplat (Hereafter; ma qui è data col contagocce, nel prologo e nell’epilogo) e la fotografia di Pawel Edelman (gli ultimi film di Polanski a partire da Il pianista), è certo un prodotto di alta confezione ma non un giro di vite nella filmografia da tempo declinante del suo autore. In ogni caso, non il capolavoro al quale molti hanno gridato all’ultimo festival di Venezia. ❑ 57 . ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Paolo Vecchi RF&TV TEATRO Roberto Carusi Renzo Salvi Le voci del Salento ROCCA 15 OTTOBRE 2011 N el Salento confluiscono non solo i due mari (Adriatico e Ionio) che si mischiano intorno al Capo di Santa Maria di Leuca, estrema propaggine della penisola italiana, ma anche tradizioni millenarie. Premessa indispensabile, questa, per capire e far capire quello che mi è accaduto – nella scorsa estate – di vedere e ascoltare in scena, Sguardi sul Mediterraneo è – per così dire – una antologia multimediale ideata e curata da Paolo Rausa che l’ha adattata e messa in scena nel suggestivo Parco archeologico dei guerrieri – in località Santi Stefani – a Vaste di Poggiardo. «Miti, leggende, storie» è il sottotitolo di questo recital a più voci. Rausa infatti, autore autoctono ancorché residente in provincia di Milano, ha affidato a una quindicina di giovani attrici e attori amatoriali versi e prose di scrittori sia classici sia contemporanei. Attraverso i testi che riprendono in scena corpo e voce si va da Euripide a Vittorio Bodini, da Ovidio a Maria Corti, per non citare tutti gli altri delle cui testimonianze il regista si è avvalso per dar vita al ritratto del «suo» mare. Fra le voci si è distinta – come attrice e cantante – quella di Lucia Minutello. Ma va anche ricordato il contributo musicale di P40 e Andrea Vadrucci, nonché quello coreografico della Scuola Kalimba e di un gruppo folkloristico marocchino. Un’operazione impegnativa e apprezzabile cui non sempre hanno giovato la «troppa carne al fuoco» e l’inserimento di spezzoni video che hanno talora so- 58 Sostiene Bollani vrastato le voci dei lettori. Di altro spessore e più convincente lo spettacolo che i Cantieri Teatrali Koreja hanno portato in scena sul Piazzale delle Terme di Santa Cesarea. Si tratta di un monologo in cui il protagonista (impersonato da Fabrizio Saccomanno, che ha scritto il testo insieme a Francesco Niccolini, con la regìa di Salvatore Tramacere) rievoca i momenti – ora angoscianti, ora sorridenti – della vita di un bambino in un piccolo paese del Salento, più di trent’anni fa. Nel candore solare dell’apparato scenico – firmato da Lucio Diana – e dell’abbigliamento dell’attore, forte è il coinvolgimento del pubblico grazie alla gestualità colorita dell’interprete e al tono volutamente concitato con cui egli riesce a rendere comprensibile anche a chi non sia del posto il dialetto salentino. Un affresco sociale che Saccomanno compone entrando e uscendo con multicolre vocalità da numerosi personaggi. In linea con questi due spettacoli anche il recital tenuto a Martano da Daniele Durante. Con l’apporto di Francesca Della Monaca (tamburello e voce cantante) e di Luigi Pubbico alla tastiera, Durante ha musicato e interpretato testi – oltre che suoi – di Bodini e di Rina Durante. Quanto a lui, la sua bella e poliedrica espressività si traduce nella capacità di evidenziare una vasta gamma di intonazioni. A ciò si aggiungano – come cornice al quadro – le gradevoli affabulazioni con cui l’artista introduce ogni pezzo del suo trio. ❑ I niziamo con un consiglio al (neo)ri-nominato direttore di RaiTre: mentre ancora sta tornando dagli Stati Uniti, decida di prendere questo programma, portarlo ad un numero superiore di puntate rispetto alle sei attuali e di dargli una collocazione di palinsesto meno infelice; ché ora inizia alla mezzanotte della domenica: Sostiene Bollani è una delle proposte di miglior esito tra i tentativi recenti della rete. È un raccontone di musica e musiche affidato alla narratività orale, alle mani sulla tastiera e alla capacità di dialogare (soprattutto con le note) di un musicista/pianista di gran livello – Stefano Bollani, appunto – non nuovo a queste prestazioni in figura ibrida e però mai approdato a questi livelli di qualità tv. Intanto è diretta televisiva di uno spettacolo complesso e non teatralizzato (magari per comodità di ripresa); risulta a scaletta costruita sia per svolgere una sequenza di temi che per tener l’attenzione: parrebbe un copione, ma questo non si dà nel genere musica in Tv; si propone in onda da studi indicati col nome della via Mecenate che son periferici in tutti sensi: per quel che resta della Rai a Milano e per l’esser dispersi nelle brughiere sud del confine metropolitano. Bollani conduce e racconta ed esemplifica e rimbalza di note tra il piano e un contrabbasso e alcune voci: su cosa sia l’incipit, come si sia costituito il repertorio che è «classico» rispetto a ciascuna contemporaneità, ai temi della cover, in musica e non solo per la leggera, alla vexata quaestio – per specialisti e profani – su quale sia la funzione ed il mestiere del direttore d’orchestra, soprattutto quando non è il compositore stesso... Il tono è lie- ve, la competenza evidente perchè non esibita, l’entrare e uscire delle esecuzioni sempre scorrevole: Bach, il jazz, Rota, Bernstein, cantanapoli... Un ruolo di co-conduttrice, un po’ spalla (c’è da esser bravi...) un po’ a giocar da interlocutore consente a Sabina Guzzanti di leggere in vocalizzi testi di Micheal Jackson, annunciare a sberleffo, chiedere, fare da appoggio a battute (attenuasse un po’ un sotto/sotto romanesco...), a sostenere inquadrature: a uscire – insomma: ed era tempo – dal fluire di quella sinistra comica (anche un po’ di famiglia: il padre in politica non meno buffo) che è stata generata per contrasto, ma anche per reciproco sostegno, da due decenni di politiche volte all’apparire e all’annunciar meraviglie. Qui a far da contenuto è l’insieme della trasmissione: il contesto scenico ed i sui oggetti, la grafica e le cromatizzazioni, la fotografia (che significa idea di illuminazione e competenze di illuminotecnica), la mano di regìa che non si sente e proprio per questo vale e pesa nel comporre un progetto di comunicazione. A far la trasmissione è la riscoperta del nero come colore che consente di costruire i rossi, i gialli, i blu, i verdi sempre bilanciati di luci e controluce. E nessun ospite è stato intervistato – sino ad oggi – nessuno ha presentato il libro o il disco (o lo spettacolo o il film o qualsivoglia «marchetta»: termine gergale): ciascuno si è inserito apportando le proprie righe o la propria pagina allo spartito generale di una programmazione colta e per tutti. Farlo si può. Che si tratti di servizio pubblico? ❑ AVVENTURA ARTE Mariano Apa Alberto Pellegrino Somaini strindberghiano ‘teatro da camera’, stretto tra un infinito di mare e un pugno di rinfrescanti pini, scendendo sul litorale da Grosseto a Orbetello si accarezza e si vola via – se non la si conosce – Fonteblanda. Invece a saperlo, ci si ferma e ci si inoltra in una alterità di spazio dove arte e natura edificano il loro felice spartito. Questa località custodisce un inedito quartiere da anni Sessanta che dalla Scandinavia il committente volle edificare in quell’agro etrusco cara ai regnanti Norvegesi e Svedesi. E dentro ancora a quell’insieme di ordinate e moderne strade e case di residenza – dove l’Estate e l’Inverno si confondono – un cuore giovane si apre ad un ritmo che ci invita a sostare e a rimeditarci. Come nella chiesa di Madonna della Virtù e come nella chiesa di S. Nicola dei Greci in questa Matera, così nella chiesa di Santa Maria sull’Osa vicino Grosseto, è un gioiello del pensiero dell’arte nato dal di dentro del vissuto esistenziale di una spiritualità sinceramente partecipe della radicalità dell’Evangelo. Così Ico Parisi e Francesco Somaini hanno pensato ed edificato un luogo del tempo dove la sincerità della loro cultura e del linguaggio che compete loro, così che l’incontro o lo scontro di ciascuno di noi con quello spazio, è un reale dialogo con la verità che ne giustifica i segni e le forme, gli spazi localizzati e i tempi decantati nel vissuto esistenziale. La grande Croce di fuoco di Somaini o la vetrata di Radice di lato, mette in evidenza lo scarno ambone e l’altare a mensola, incastrati in una articolazione spaziale che mimetizza percorsi e dimensioni di direzionalità orizzontali e verticali. ❑ C ento anni fa scompariva suicida Emilio Salgari (Verona 1864Torino 1911) che, nonostante avesse scritto decine di romanzi pubblicati a puntate sui quotidiani o editi in volume, malgrado godesse di una vasta notorietà, si era sempre dibattuto in ristrettezze economiche e non era mai stato accolto con favore dalla cultura ufficiale italiana. A distanza di un secolo le sue opere sono studiate nelle università e hanno visto una revisione critica che ha portato a riconoscere nel suo autore il maestro del romanzo d’avventura e di viaggio nella letteratura italiana, uno scrittore che ha contribuito a diffondere la lingua nazionale, ad avvicinare alla lettura generazioni di giovani, che ha indirettamente contribuito a diffondere attraverso le figure dei suoi eroi i valori del nostro Risorgimento. Particolarmente importanti appaiono oggi i romanzi del Ciclo dei Corsari (con personaggi disegnati a tutto tondo come il Corsaro Nero e sua figlia Jolanda) e del Ciclo dei Pirati della Malesia con il personaggio di Sandokan in eterna lotta contro i colonizzatori inglesi, Lady Marianna la Perla di Labuan, Tremal Naik e Yanez de Gomera. Senza dimenticare decine di eroi che lottano per la libertà e contro le ingiustizie, comprese due protagoniste femminili in Capitan Tempesta (una donna veneziana sposata ad un turco) e in Fiori di perla (una guerrigliera filippina). I romanzi di Salgari si fanno apprezzare per l’accurata e acuta strutturazione degli intrecci, per l’originalità dello stile, per la capacità di delineare la personalità, i sentimenti, la psicologia dei personaggi. A questo bisogna aggiungere lo studio approfondito delle fonti geografiche, naturalistiche e zootecniche, narrative e iconografiche necessarie all’ambientazione delle sue storie, un fatto questo assolutamente straordinario per un uomo che non aveva mai lasciato le città di Verona e di Torino per compiere dei viaggi. Altro aspetto da sottolineare è la puntuale e rigorosa ambientazione storica basata non solo sulla conoscenza degli aspetti politici, sociali ed economici del periodo storico affrontato, ma anche dei costumi e degli usi, dell’abbigliamento e degli arredi, dell’architettura e della religione. Un approccio enciclopedico e sistematico reso possibile da lunghe frequentazioni nelle biblioteche, da una accurata documentazione attraverso riviste specializzate e quotidiani con il risultato di far uscire, anche attraverso un abile gioco della fantasia, il lettore fuori dagli angusti confini nazionali, di sprovincializzare le sue conoscenze attraverso un’opera di divulgazione culturale favorita dal fascino di avventure affascinanti ed esotiche, dimostrando di avere una capacità di penetrazione in vasti strati sociali che successivamente avranno il fumetto, il cinema e, attualmente, la televisione. ❑ 59 . ROCCA 15 OTTOBRE 2011 F rancesco Somaini riceve l’omaggio delle Chiese Rupestri di Matera – per la cura di Giuseppe Appella e di Luisa Somaini, fino a ottobre, catalogo edizioni della Cometa – ed è come rivivere la Como di Franco Ciliberti e del Primordialismo. Somaini è nato a Lomazzo, vicino Como, nel 1926, ed è morto a Como, nel 2005 –. E in riferimento alle chiese rupestri di Matera, viene a memoria la chiesa edificata da Ico Parisi entro cui Somaini ha realizzato la Croce e gli interventi che, qui in mostra e in catalogo, si verificano nella memoria di quella piccola ma significativa personale che ebbe nel 1990 a Pescara, nella quarta Biennale di Arte Sacra, dove con Fabio Mauri e Piero Dorazio, veniva ad informare il trittico della Concettualità dell’Astrattismo e dell’Informale da cui partiva l’italico padiglione di quella esposizione. Così con lo strepitoso «Grande Martirio» del 1960, la bellissima «Grande Croce quadrata 1961», la «Croce bifronte del 1965» e la Croce a Fonteblanda, ci ricordano nel sacro del sodalizio con Dominioni e con Parisi, nella unione di linguaggi volti nella propria identità a forgiare tempo e spazio del sacro vissuto. Infatti se ne scrisse di Somaini anche per una rassegna in quel di Paganico, tra Grosseto e Monte Amiata – si veda il catalogo e poi il libro: «Lignum Vitae», del 1996, e «Lignum Vitae. Pater Noster» del 1999, per la cura di don Roberto Santi, volumi editi dalla parrocchia di S. Michele a Paganico, con scritti e documentazioni fotografiche –. E davvero tra Fonteblanda e le chiese rupestri la analogia è sincera. Come in uno Emilio Salgari MUSICA SITI INTERNET Enrico Romani Giovanni Ruggeri La leggenda Eric Clapton ROCCA 15 OTTOBRE 2011 R itrovarsi a parlare di tanto in tanto di Eric Clapton è giocoforza; l’ultima di Slowhand è il disco uscito recentemente con incise (e da lui interpretate) le prime canzoni sulle quali il chitarrista del Surray si esercitava ad imparare lo strumento. Il titolo è Run Back To Your Side, e il disco è un regalo di Clapton ai fans che vogliono imparare i rudimenti della sei corde elettrica sulle stesse strade battute da lui. Su quella manciata di standard blues, swing e folk pop di cui è composto il disco, bellissimo spaccato oltretutto della musica che andava per la maggiore nell’immediato secondo dopoguerra, Clapton ha costruito la sua leggenda in vita. Infatti Slowhand è l’unico musicista in tutta la storia del rock ad essere entrato ben tre volte nella Rock’n’Roll Hall Of Fame, la prestigiosa ed esclusiva accademia del rock, che premia annualmente durante una fastosa cerimonia alcuni artisti e gruppi cui siano trascorsi venticinque anni o dall’incisione del primo disco o dalla formazione, facendoli entrare nel novero dei padri del rock, come ex membro fondatore degli Yardbirds, come ex membro dei Cream e da ultimo come se stesso. Eric Clapton ha consolidato la sua fama poi a partire dagli anni ’90 con l’Unplugged per MTV e da lì in poi non ha sbagliato mai un colpo, sia che si trattasse di suonare con J.J. Cale o con B.B. King, sia che si rispolve- 60 rasse la gloriosa sigla dei Cream con una reunion che ha partorito concerti straordinari, sia che da solo cantasse le canzoni di Robert Johnson. Primo guitar hero della storia del rock, Eric Clapton può vantare nel suo curriculum anche la scritta «Clapton Is God» apparsa nel 1966 su un muro di Londra quando ancora l’inarrivabile Jimi Hendrix doveva sbarcare nella metropoli inglese. Aveva appena inciso l’album con John Mayall e i suoi Bluesbreakers e aveva di nuovo lasciato all’apice della fama dopo gli Yardbirds anche lo stesso Mayall, inseguendo l’idea propostagli dal batterista Ginger Baker del trio con anche Jack Bruce al basso, ovvero i Cream, la formazione che lo consacrò a livello mondiale. Ma Clapton era anche un grosso membro della Swingin’ London anni ’60. Amico fraterno di George Harrison (l’assolo in While My Guitar Gently Weeps, canzone di Harrison incisa dai Beatles, è di Slowhand), Clapton accompagnò nel 1963 con i suoi Yardbirds il grande armonicista blues Sonny Boy Williamson III nel tour di questi in lungo e in largo per la Gran Bretagna, trovandosi subito a suonare con grandi musicisti. Era anche amico di Jimi Hendrix, Slowhand, e Clapton racconta volentieri che quando i due si trovavano in America, se ne andavano a suonare insieme nel Village di New York, e non ce n’era per nessuno. C’è da crederci. ❑ Google Shopping I l commercio elettronico, cioè la compravendita di prodotti e servizi mediante Internet, conosce in Italia volumi relativamente contenuti ma segnala una tendenza alla crescita di tutto rispetto. Se nel 2006 il mercato dell’e-commerce di casa nostra valeva 2,9 miliardi (quello europeo 135), la crescita lineare e a due cifre che – in aperta controtendenza rispetto alla crisi economica – si è registrata negli anni successivi ha portato nel 2010 il fatturato a 14 miliardi di euro, evidenziando in primo piano acquisiti legati a turismo, tecnologia e tempo libero. La tendenza è peraltro condivisa con il resto dell’Unione Europea, dove lo scorso gennaio il 75% degli europei ha visitato un punto vendita online, trascorrendovi in media 52 minuti. L’abbondanza di prodotti e offerte presenti sul web offre non di rado buone occasioni di acquisto ma, non meno raramente, può creare anche confusione. Così, alla necessità di orientarsi nel gran mare di Internet, viene in soccorso Internet stesso mediante siti destinati alla comparazione di prodotti e servizi, non di rado anche con commenti degli utenti. L’ultimo arrivato in questo settore, ancora in modalità sperimentale ma già utilizzabile, viene nientemeno che da Google (cosa non si stanno inventando!) e si chiama Italia Google Shopping (lo si trova tra le voci del menu quando si entra nel portale). Il funzionamento è molto semplice: si scrivono all’interno del campo di ricerca le parole – in tal caso gli oggetti – cui si è interessati e Google offre una serie di risultati che rimandano direttamente o al negozio online che vende quel determinato prodotto o a un’altra sezione dove si può continuare la ricerca sull’oggetto in questione. L’utilità di un tale servizio è evidente tanto per chi compra quanto per chi vende. L’acquirente, infatti, può visionare tra le vetrine promozionali quello che gli interessa, potendo quindi contare sul sistema che trova e riporta le offerte migliori e i prezzi più competitivi, consentendo infine di accedere al sito del venditore per verificare prezzi e altre informazioni e concludere l’acquisto. Chi vende, a sua volta, ha grazie a Google un’ovvia visibilità: questo potente motore di ricerca, infatti, consente di incrementare il traffico di visite al proprio sito da parte di una utenza mirata e motivata ad acquistare il prodotto offerto/cercato. Siti dedicati a questo tipo di servizi – ricerca e comparazione prodotti/prezzi – sono presenti da tempo in rete, con profilo sia generalista (si vedano ad esempio www.trovaprezzi.it e www.kelkoo.it) sia specializzato per settori, così come sono noti i grandi negozi on line di Amazon (www.amazon.com) o la funzionale asta di Ebay (www.ebay.it). Nel caso di Google, però, oltre al formidabile bacino di utenza che questo potente motore è in grado di aggregare, non meno rilevante è il fatto che l’inserimento di un venditore nella lista dei negozi virtuali è gratuito, né sono previste commissioni sulle vendite, come invece accade nel caso di altri operatori. Gli addetti ai lavori stanno testando applicazioni ancora più agguerrite: ad esempio, quando si passa vicino a determinati negozi, la segnalazione tramite cellulare di sconti e promozioni in corso. Pubblicità mirata in loco. Interessante. Ma farà venire il mal di testa? ❑ LIBRI Come bene recita il sottotitolo di questo libretto di poesie Il balsamo dei cuori, siamo davanti all’intensità e alla delicatezza dei versi di Hafida Faridi, versi che ruotano intorno al concetto di Amore, un Amore per tutto: amore per la natura, amore per la propria terra, amore per i propri figli, amore per la propria casa... Amore universale: «leggere non è altro che passioni ed emozioni che ti prendono», scrive la stessa Faridi e «ora le mie parole volano. Attento, soltanto la forma dei cuori mirano, direttamente nel tuo colpiranno! Il loro colpo è, però, semplicemente carezza, brezza, benedizione!» (p. 14). Hafida Faridi è di Marrakech e vive in Italia, in Puglia, col marito e i tre figli dal 1996. Si occupa da anni di mediazione culturale e progetti didattici, nonché di tematiche d’immigrazione, mondo arabo, identità territoriali, religione e immigrazione. Quando il silenzio parla è – come bene scrive Silvia Godelli (assessore al Mediterraneo della Regione Puglia) – come avere tradotto la nostalgia in poesia. Un dare vita ad una nuova visione del mondo nonché ad un mondo nuovo «complesso e contraddittorio ma armonico, intriso di musicalità e dolcezza» (p. 4). Le poesie di Hafida sono accompagnate dalle belle illustrazioni di Mario Pugliese, il quale ha tradotto in immagini e colori i componimenti. «Se solo sapessi/quanto non sia muto il silenzio!/È il discorso più ampio/di quello con le parole espresso./Se solo sapessi/quanto sia profondo il silenzio!/Non ha ali per volare/ma ha il potere prodigioso di avvolgerti», e questo silenzio che parla, che parla molto più della voce, non è che gratitudine. Gratitudine per gli amici, per l’unione in amicizia di due culture, di due mondi: l’Oriente di Hafida ed il nostro Occidente. Due mondi che s’incontrano e che senza tante parole – spesso inutili – fanno parlare le emozioni: «Viaggio io, viaggi tu/ siamo tutti nomadi!/[...]/E che cos’è il viaggio/se non è amicizia/incontrata nel sentiero/verso una foresta sperduta?/e che cos’è il viaggio/ se non è amore seminato/tra le montagne/di una catena inaccessibile?» (p. 166). Ilenia Beatrice Protopapa peraltro il solo in grado di sviluppare le cosiddette «intelligenze», in una realtà tutta all’insegna della corsa frenetica al traguardo. Eppure è questa la sfida che nel loro concreto lavoro con i ragazzi, i docenti devono affrontare giorno per giorno e che in questo libro hanno semplicemente scelto di tradurre in parole. Uomini e donne che con la loro sensibilità, professionalità, emotività, si impegnano nel compito tanto complesso quanto delicato di educare, «alchimisti» di quell’apprendimento, in cui il risultato che si otterrà non è meno prezioso dell’oro. Una lama di luce nel buio sociale. Elena Goricchi Tullio De Mauro - Dario Ianes (a cura di) Giorni di scuola Erickson, Trento 2011 pp. 140 – € 15,00 Libro di una passione tenace e corale, scritto per chi vuole conoscere la scuola di oggi, questa bella pubblicazione presenta esperienze di insegnanti e gente che lavora nella scuola, raccolte da Tullio De Mauro, notissimo linguista ed ex Ministro della Pubblica Istruzione, e da Dario Ianes, pedagogista dell’Università di Bolzano. Mai mi stancherò di ritenere la professione docente un privilegio di pochi, vantaggio non certo economico beninteso, quanto piuttosto la strada maestra per «entrare» in punta di piedi nell’anima e, se possibile, nel cuore di tante creature. Spesso ciò che non è chiaro ai molti è quanto sia difficile fare «accoglienza» in una società che allontana e teme il diverso, parlare di «sinergia» in un mondo fortemente competitivo, spiegare l’esigenza di un concetto di tempo per così dire «lento», Aa.Vv. Le ragioni di Antigone. L’autorità e il potere Cittadella Editrice, Assisi 2011, pp. 120, € 11,80 Il volume è davvero intenso a dispetto dell’agilità delle sue pagine. Ma a colpire non sono solo i contenuti e i temi affrontati, c’è anche da fare tutto un discorso sulla metodologia della ricerca che, rigorosa e fertile di risultati teorici significativi, ha fornito un comune terreno ai cinque autori. Come scrive nell’introdurre il libro Daniele Libanori, il diritto cessa di essere vincolante nel momento in cui si lega a un potere ingiusto. E vediamo subito, allora, come Giovanni Cucci tratta il rapporto tra pensiero filosofico e questione del potere dal punto di vista dell’analisi filosofico-politica di un Norberto Bobbio lettore dei classici e insieme lucido interprete del mondo sociopolitico contemporaneo: la definizione bobbiana della democrazia rimanda all’idea di un esercizio pubbli- co di un potere visibile (cfr. p. 28). In un altro saggio, conclusivo del volume, lo stesso Cucci interpella poi Paul Ricoeur per chiarire la natura del perennemente delicato intreccio di etica e politica a partire da un serrato confronto tra filosofia e tragedia. Luciano Larivera concentra la sua attenzione sui giochi di potere, sul fenomeno della «guerra delle valute» e sulle dinamiche politiche che contraddistinguono le attività del G20, che non dovrebbe limitarsi ad agire solo «sotto lo spettro di emergenze catastrofiche globali» (p. 84); Pietro Bovati, invece, approfondisce il tema della «critica profetica al potere» attraverso una rimeditazione delle parole di Samuele, Ezechiele, Michea, Sofonia, Isaia, Geremia, Abacuc e in generale di tutta quella letteratura profetica che si è fatta denuncia degli abusi e dei soprusi di questo o quel potente. In sintonia con la lettura che Cucci propone delle posizioni ricoeuriane, Francesco Occhetta insiste sul rapporto tra coscienza politica e bene comune, ma non prima di aver valutato a dovere l’eventualità di un recupero della ricerca antropologica all’interno della scienza giuridica. La questione della legittimazione del potere, attorno alla quale in realtà ruota un po’ tutto l’impianto di questo libro a più voci, torna al centro del saggio di Ottavio de Bertolis, convinto che il sapere della politica e quello del diritto – vivendo tra loro una reciproca osmosi – sono come caselle di un alveare, «nel complesso dei valori di riferimento» (p. 56) dell’esperienza umana. Ma al loro fianco si intravedono bene anche l’etica e le religioni, le scienze e la tecnica e l’economia. ROCCA 15 OTTOBRE 2011 Hafida Faridi Quando il silenzio parla. Il balsamo dei cuori Stampa Sud, Mottola (Ba) 2011, pp. 171, € 15,00 Giuseppe Moscati 61 paesi in primo piano Carlo Timio Germania ROCCA 15 OTTOBRE 2011 S tato membro dell’Unione europea situato nell’Europa centro-occidentale, la Germania è delimitata a nord dalla Danimarca, dal mar del Nord e dal mar Baltico, a est dalla Polonia e dalla Repubblica ceca, a sud dall’Austria e dalla Svizzera e a ovest dalla Francia, Lussemburgo, Belgio e Paesi Bassi. Con la dissoluzione dell’impero carolingio nell’ 843 prese corpo un agglomerato politico che dal 962, in seguito all’incoronazione a imperatore di Ottone I di Sassonia, assunse il nome di Sacro Romano Impero germanico. Ciò dette inizio a una fase in cui si susseguirono imperatori appartenenti a diverse dinastie tra cui quella di Sassonia, Franconia, Svevia, Asburgo e Lorenese. Il 1517 marca un segno indelebile nella storia dell’unità religiosa cristiana. Con l’affissione delle 95 tesi sul portone della cattedrale di Wittenberg ad opera del monaco Martin Lutero prese avvio la riforma protestante che, sfidando le pratiche della Chiesa cattolica di Roma, cominciò a radicarsi in diversi paesi europei. La pace di Westfalia del 1648 pose fine alla guerra di religione durata trent’anni, le cui conseguenze furono disastrose per il Sacro Romano Impero: la popolazione si ridusse del trenta per cento, mentre lo smembramento dell’Impero determinò una frammentazione territoriale che comprendeva trecentocinquanta Stati. Tutto ciò provocò profonde rivalità tra prìncipi, indebolendo oltremodo il potere centrale. La dualità più accesa si sviluppò tra la monarchia austriaca asburgica 62 e il Regno di Prussia, le cui tensioni accentuarono ancor di più l’agonizzante fase dell’Impero. Finché, nel 1806 l’ultimo imperatore Francesco II rinunciò alla corona del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica. E così, anche sotto i colpi della Francia di Napoleone, dopo otto secoli e mezzo, scomparve il primo grande Reich. Durante il Congresso di Vienna del 1814 si delineò la Confederazione tedesca formata da trentanove Stati. Con la nomina di Otto Von Bismarck a nuovo Primo Ministro della Prussia, nel 1862 iniziò un periodo di rapidi successi militari, prima contro la Danimarca a poi contro l’Austria (1866), permettendo in un secondo momento la nascita della Confederazione tedesca del Nord, che escludeva l’Impero austriaco. Sconfitta la Francia a Sedan nel 1870, l’anno successivo la Germania venne unificata divenendo uno Stato nazionale (secondo Reich) e il re di Prussia Guglielmo I di Hohenzollern venne proclamato imperatore tedesco. A partire dal 1884 iniziò anche un periodo di espansione coloniale. La Conferenza di Berlino assegnò alla Germania alcuni territori in Africa quali il Togo e il Camerun. Dopo la pesante sconfitta subìta nella prima guerra mondiale, nel 1918 Guglielmo II fu costretto ad abdicare. La firma del Trattato di Versailles l’anno successivo impose condizioni piuttosto dure per il Paese. Oltre a ciò, la grande depressione degli anni Trenta, l’elevato tasso di disoccupazione, la diffusa povertà e la rabbia tra la gente facilitarono l’ascesa al potere del nazionalsocialista Hadolf Hitler, eletto cancelliere nel 1933. Instaurata una dittatura e autoproclamatosi Führer, Hitler dette avvio a una spietata eliminazioni degli oppositori, epurando anche membri del proprio partito. Ciò degenerò negli orrori dell’olocausto, nelle deportazioni e nello sterminio di milioni di vite umane. Persa la guerra contro le forze alleate, la Germania fu divisa in due zone: la Repubblica federale di Germania e la Repubblica democratica tedesca, mentre la città di Berlino fu divisa in due parti: Berlino Ovest, alleata degli Stati Uniti e Berlino Est sotto l’influenza dell’Unione Sovietica. Le tensioni tra le due Germanie vennero smorzate agli inizi degli anni Settanta grazie all’ostpolitik di Willy Brandt. Con il crollo del muro di Berlino nel 1989, si concluse la riunificazione della Germania che avvenne l’anno successivo. Popolazione: con un numero di abitanti che si avvicina agli ottantatré milioni, la Germania risulta il Paese più popoloso dell’Unione europea. Gli stranieri ormai residenti nel Paese sono circa sette milioni. La comunità più ampia è quella dei turchi con quasi tre milioni di abitanti. Seguono i serbi, gli italiani, i greci, i croati e i polacchi. L’alto numero di immigranti rende la Germania il terzo paese al mondo per presenze di stranieri. La confessione principale è il cristianesimo, equamente divisa tra protestanti e cattolici. L’Islam è la seconda religione più seguita con quattro milioni di musulmani, duemila e cinquecento moschee e trecento asso- rocca schede ciazioni. I buddhisti rappresentano un esigua minoranza, mentre gli ebrei costituiscono la terza comunità nell’Europa occidentale. Economia: con uno dei tassi di produttività più elevati in assoluto, l’economia tedesca è la prima in Europa e la quarta al mondo in termini di Pil. Il settore economico prevalente è quello dei servizi che contribuisce alla formazione del Pil per circa il settanta per cento. Segue il comparto dell’industria che si sviluppa nei settori automobilistico, siderurgico, chimico, elettronico e meccanico. L’agricoltura svolge un ruolo del tutto marginale. Importante è anche la produzione di carbone e di gas naturale. Elevato è l’uso di energie rinnovabili che coprono il venti per cento del fabbisogno nazionale. Obiettivo è arrivare entro il 2030 a produrne il cinquanta per cento. Situazione politica e relazioni internazionali: il governo di Berlino si trova a dover fronteggiare importanti dossier su temi economici quali la crescente disoccupazione, l’aumento del deficit e le difficoltà sui fronti scolastici e sanitari. Delicata è anche la situazione in politica estera a causa della mancata votazione nel Consiglio di sicurezza dell’Onu della risoluzione che ha dato inizio alle operazioni militari in Libia e delle tensioni all’interno dell’Unione europea in merito ai problemi finanziari di alcuni stati membri. Solida rimane invece l’alleanza con la Russia con cui sta costruendo il gasdotto Nord Stream e con la Polonia per trovare sbocchi nell’est Europa. Con la Cina invece la cancelliera Angela Merkel ha ribadito che alle grandi opportunità economiche presenti nel Sol Levante si devono anteporre il rispetto dei diritti umani e la salvaguardia per l’ambiente. K raccontare proporre chiedere Fraternità Yambo un saluto dal Burundi È restia, gli amici di Fraternità hanno inviato offerte che assommano a 5250,00 euro. Come a dire la copertura della spesa per la mensa (costo vitto e gestore) per poco più di un mese e mezzo, confermando in € 3375,00 mensili i costi relativi al pasto giornaliero per i mille bambini delle nove scuole dell’infanzia. Perché basta un contributo di 33,00 euro per offrire a 10 bambini un mese di mensa scolastica... Ora, Amici di Fraternità, non siamo molto distanti dall’obiettivo di assicurare per tre mesi la mensa a tutti i piccoli frequentanti... se continueranno ad arrivare contributi per il Progetto. Luigina Morsolin Flash su Haiti Port-au-Prince. Cité Militaire. Dalla scuola delle Suore Salesiane arrivano notizie di «ordinario coraggio», segni di una volontà educativa precisa di accompagnare i/le ragazzi/e e giovani in un cammino di qualificazione professionale che li/le prepari a svolgere attività lavorative specifiche. Intanto, qui da noi, l’ultimo aggiornamento contabile delle Poste sulle offerte, giunte a Fraternità, finalizzate agli arredi nell’aula di informatica ricostruita ad Haiti fa salire a quota 3600,00 euro l’importo ad oggi raggiunto. Chi desidera sostenere il Progetto Haiti e/o il Progetto Burundi, sopra aggiornati, può inviare contributi con assegni bancari, vaglia postali o tramite il ccp 10635068 – Coordinate: Codice IBAN IT76J 076 0103 0000 0001 0635068 intestato a «Pro Civitate Christiana – Fraternità – Assisi». Per comunicazioni, indirizzo e-mail: [email protected]. 63 . ROCCA 15 OTTOBRE 2011 da metà settembre che è ripresa regolarmente l’attività nelle 9 scuole dell’infanzia (garderieres communitaires), presenti in sei province del Paese, quelle che sono gestite dall’Abs (Associazione Scout Burundesi) con l’aiuto dell’Associazione italiana «Eccomi». La dott.ssa Maccone – referente italiana del Progetto che viene regolarmente monitorato – riporta a Fraternità che anche nell’anno scolastico appena cominciato il numero delle richieste di iscrizione in queste scuole supera quello dei posti disponibili (massimo 50 bambini per sezione): sono scuole che accolgono i bambini (età 3/5 anni) dei villaggi, di famiglie che vivono di un’agricoltura povera, che non riesce a garantire nemmeno la sussistenza a causa dei periodi di siccità prolungata, sempre più frequenti negli ultimi anni e che si ripetono con particolare durezza in questo 2011. Per il migliaio di piccoli burundesi che partecipano alle attività educative, trovando a scuola pure la possibilità di consumare un pasto anche in periodo di ca- per insegnanti, genitori, operatori sociali rivista della Pro Civitate Christiana promuove un convegno in Assisi, 11-13 novembre 2011 per affrontare con massimi esperti del settore le problematiche inerenti l’apprendimento e il linguaggio della nuova generazione tecnologica, l’insegnamento nella scuola e la comunicazione tra le generazioni la scuola nell’era della tecnologia digitale RICONOSCIMENTO DEL MIUR (Decreto 3 agosto 2011) Programma VENERDÌ 11 NOVEMBRE - ore 16-20 Pietro Greco giornalista scientifico e scrittore - Fondazione Idis-Città della Scienza Condirettore Scienzainrete Le nuove grammatiche della fantasia Fiorella Farinelli esperta di Scuola e Formazione Gli insegnanti tra metodo tradizionale e una pedagogia alternativa SABATO 12 ore 9 Paolo Ferri docente di Tecnologie didattiche e Teoria tecnica dei nuovi media Università Bicocca, Milano Storia evolutiva di una specie in via di apparizione ore 11 Mario Fierli tecnologo. Membro del Comitato di Direzione di Education 2.0 Nuove tecnologie per l’educazione dei nativi digitali Interventi del pubblico e confronto con i relatori DCOER0874 ore 15-20 Giuseppe O. Longo professore emerito - Dipartimento di Elettrotecnica Elettronica Informatica Università di Trieste Uomo-macchina: dall’intelligenza collettiva all’intelligenza connettiva Interventi del pubblico e confronto con i relatori ore 21-24 Esperienze in atto DOMENICA 13 - ore 9-13 Chiara Giaccardi ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi Università Cattolica di Milano I nuovi media tra “capacitazione” e “disabilitazione” Interventi del pubblico e confronto con i relatori Conclusione dei lavori Iscrizione € 60,00 (IVA inclusa) € 50,00 (IVA inclusa) per gli abbonati a Rocca inviare a Rocca tramite c.c.p. 15157068 oppure con bonifico bancario: UniCredit - IBAN: IT 26 A 02008 38277 000041155890 soggiorno in Cittadella (posti limitati) vedi p. 2