Anno V, Numero 1
Marzo 2008
Au to ri z. T rib. Ord . T o rin o N. 5816 del 1 1/1 1/2 004
D i r et to re r e sp o n s a b i l e A l b e r to Me l o t to
AMICI
P e r s u p e r a r e l ’e m a r g i n a z i o n e e i p r e gi u d i z i c a u s a t i d a l l a m a l a t t i a m e n t a l e
P e ri o d i c o d e l l ’ A s s o c i a z i on e A m i c i P o rt a P a l a t i n a O N L U S a Reda zio n e Pia zza Co rp us Domi ni, 20 a 10122 T ori no
La lampadina
Il Mandante
È ancora molto radicata nella mentalità
corrente la connessione tra il disturbo
psichiatrico e la cronaca nera. Sicuramente contribuisce a ciò la leggerezza
con la quale i mezzi di comunicazione
insinuano la presenza di problemi psichici
ogni qual volta ci sia da presentare un
episodio di cronaca nera, anche se poi
spesso queste si rilevano pure illazioni.
Ma non voglio qui affrontare il problema di
quanto sia vero o meno questo legame,
tentando di convincere dell’estraneità
della malattia mentale con gli episodi di
violenza presentando statistiche o studi di
criminologia. Voglio invece soffermarmi a
ragionare sulle cause che, in alcuni casi,
fanno sfociare la sofferenza psichiatrica in
episodi di cronaca.
Utilizzando la terminologia della cronaca
nera, voglio cercare di ragionare su chi
sono i mandanti e non accontentarmi di
condannare il disagio psichiatrico come
esecutore del fatto.
Chi è che spinge la mano di una madre
Che la Pasqua di Cristo
sia segno di rinnovamento
e di rinascia per tutti
ad uccidere la figlia disabile, o chi è che
ordina ad un ragazzo disturbato di dirigersi con la sua auto tra i tavolini di un bar in
una tranquilla serata di agosto?
Non la follia, ma qualcosa che ha armato
la follia. Qualcosa che ha portato queste
persone a un punto di non ritorno, a un
punto in cui si rompe il sottile filo che tiene ognuno all’interno dei labili binari del
lecito.
“...i fatti di cronaca trovano le proprie
radici nell’indifferenza e nella
mancanza di aiuto...”
Dietro a questi fatti se andiamo a ben
cercare, troviamo sicuramente fatica,
solitudine, paura. La fatica di reggere
da soli il peso della malattia di un famigliare che diventa incomprensibile, totalizzante e che toglie la vita a chi gli sta vicino. La solitudine di chi, chiedendo aiuto,
si trova davanti solo rifiuti, disattenzione e
superficialità. Paura per un futuro che
non si riesce a vedere che nero, per il
buio interiore che tiene legati, e che fa
nascere l’angoscia di chi si sente messo
all’angolo senza altre vie di fuga.
In quest’ottica i fatti di cronaca trovano le
proprie radici nell’indifferenza e nella
mancanza di aiuto a chi soffre.
La cura costa. Trovare e sconfiggere i
mandanti costa in termini di impegno per
ciascuno di noi ma anche per lo stato che
dovrebbe instaurare politiche di supporto
alle famiglie, di aiuto concreto per affrontare la malattia. Quando sui giornali appaiono queste notizie di cronaca un po’ in
sordina, ma non troppo, si sente parlare
di riapertura dei manicomi.
Questa non è sicuramente la soluzione.
Soprattutto perché la reclusione comunque è una soluzione barbara a un problema e la limitazione della libertà non può
far altro che far crescere la violenza.
La cura è sicuramente più complessa e
articolata. Consiste in una vera attenzione
alla persona, alla famiglia.
Attenzione attuabile solo con un reale e
convinto investimento in termini di risorse
umane e di strutture. Strutture in grado di
accogliere e curare nei momenti di crisi
senza ghettizzare e traumatizzare. Cura
realizzabile attraverso un’organizzazione
capillare che veda la collaborazione di
tutte le realtà coinvolte, dai centri di salute
mentale, ai medici di base, all’associazionismo e alle altre strutture che insistono
sul territorio (penso alla scuola, alle parrocchie, ai circoli sportivi).
Un reale coordinamento di tutte queste
realtà renderebbe più facile e più efficace
l’aiuto alle famiglie e agli individui. Invece
questi aiuti quando ci sono risultano isolati, sporadici e qualche volta addirittura
controproducenti a causa della mancanza
di coordinamento.
Soltanto con un’attenzione alla persona
malata, nella sua interezza, inserita nella
sua realtà sociale e familiare si può sperare di colpire i “mandanti”.
Mandanti che anche quando non portano
ad avvenimenti degni di finire sulle pagine
dei giornali sono causa di drammi silenziosi e fratture insanabili nelle famiglie e
nelle persone.
Diego Suino
Suggestioni
Vivevi tenendo un mondo nel cuore
fatto di sogni, ricordi e parole.
Sogni che gli altri non hanno capito
ricordi nascosti e fuggiti lontano.
Di noi nessuno capiva davvero
come potevi temere ed amare
la vita e il ricordo
il bene e il dolore.
Forse hai vissuto quasi sognando
ma i sogni spesso facevano male.
Partito d’un tratto senza parlare
da ciò che cercavi di raccontare.
Dal tuo sorriso capiamo davvero
cosa vedevi dalla finestre
di un mondo interiore
S t a mpa to p res so l a t ipo g ra f i a AGB, vi a D ru ent o 28 b is , Pi an ez za ( TO)
Gregorio
PAGINA 2
AMICI
ANNO V , NUMER O 1
Le parole per dire...
digeriti,
per dolori divenuti “insoppor-tabili”. È anche grande il numero di coloro che trovano nell’alcool una
strada abbreviata per rinunciare alla vita,
per non prendersi cura di se stessi, per
affrettare la morte.
I poveri li avrete sempre con voi
Come molti di voi sanno da più di 28 anni
sono un cappellano ospedaliero. Passo
cioè la mia giornata tra coloro che
“soffrono” nelle più svariate modalità.
Dopo 15 anni trascorsi al Regina Margherita di Torino il mio campo di lavoro per sette anni è stato l’Amedeo di
Savoia. Da cinque anni sono a Villa
Cristina ad accompagnare il cammino
di chi stenta a vivere e di chi fa fatica
a progettare il domani in modo sereno
e positivo. In questa casa di cura, non
incontro più né la morte straziante dei
piccoli e dei giovani, come è avvenuto
all’Infantile dove ne ho visto morire
1500, né il dolore senza limiti di genitori e parenti, impotenti e disperati di
fronte alla cronicità, all’handicap, alla
terminalità dei loro figli. E neppure mi
è dato di accompagnare, come succedeva all’ospedale per le malattie infettive,
persone che spesso sono andate incontro alla morte segnate dalla droga, dall’Aids, dagli ictus, dalla vecchiaia.
“...Ora sto con coloro che troppe volte
non sanno dove stare, dove andare, dove
vivere...”
Ora sto con coloro che troppe volte non
sanno dove stare, dove andare, dove
vivere. Alcuni di loro vengono da storie di
ordinaria follia vissute in famiglia, figli di
violenze perpetrate loro in vari modi, non
ultima la violenza sessuale. Altri ad un
certo punto della vita hanno perso l’orientamento e non hanno più saputo dirigersi
da nessuna parte, lasciati andare alla
deriva da coloro con cui prima condividevano la vita. Non manca chi non è in sé a
causa di traumi, di incidenti o di malattie
specifiche. A Villa Cristiana c’è chi non
ha saputo o non potuto superare i nodi
che l’esistenza inevitabilmente ci fa incontrare e la cui soluzione non possiamo
delegare ad altri. Quanti infatti sono qui
per lutti non elaborati, per abbandoni mai
Amo tanto il mio ministero qui, in questa
Villa che da più di 150 anni è un punto di
riferimento per chi sta male ed un luogo
di rifugio per chi da troppo tempo ha dimenticato cosa significhi lavorare, avere
una casa, vivere in una famiglia. Penso
che questi sono “i poveri che avremo
sempre tra noi”, come ci assicura il Vangelo in Gv 12,8. La medicina potrà fare
grandi progressi, l’educazione potrà anche migliorare e la società potrà avere
maggiore attenzione agli “ultimi”, ma non
mancheranno mai sulle nostre strade
questi esseri umani preda dei propri fantasmi “mentali”, questi sofferenti nel cui
animo sembrano aver preso stabile dimora le frustrazioni mal sopportate e i rancori non digeriti, i sogni infranti e i rimpianti
accumulati.
È questo il mondo di Villa Cristina. Un
mondo non di malati, ma di sofferenti. Un
mondo in cui la parola Dio è quasi sempre associata all’idea di castigo, di giudizio, di condanna, di esclusione, di scomunica. Un mondo in cui tutti sembrano
dare più credito alla perfida astuzia di
satana che alla perenne e vincente misericordia del Padre. Quanti pochi di loro
hanno avuto la possibilità di avere con
Dio e la religione un approccio sereno e
rasserenante! Per la maggior parte degli
utenti di Villa Cristina, Dio ha il volto di
chi manda le malattie, non di chi ci sostiene nella malattia, di chi ci ha messo
su questa terra per soffrire e per
”scontare” oscure colpe, non per gioire
dei suoi doni e della sua tenerezza.
Sembra che del catechismo ricordino
solo Mt 25,41. “Andate via, maledetti,
nel fuoco eterno” mentre nessuno di
loro sa che è di Gesù la frase:
”Condividete quello che c’è nel vostro
piatto ed ecco, tutto per voi sarà puro” (Lc 11,41). Qui a Villa Cristina pochi
sembrano aver sentito proclamare la
parola di Gesù che “si fa più festa per
un peccatore pentito che per 99 giusti
che non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7). Abituati a sentirsi emarginati e disprezzati dai più, spesso vedono la loro situazione come una specie di
maledizione divina e si sentono da Lui
abbandonati. Giudicati e sovente condannati per partito preso, anche in famiglia,
diventano incapaci di credere nel Suo
amore e di vedere nei propri disturbi
mentali niente altro che una delle manifestazioni della fragilità umana e una conseguenza delle ferite che fin dall’infanzia
condizionano la nostra crescita umana.
Tra questi sofferenti è il mio ministero
pastorale, fatto di celebrazioni tre volte la
settimana e di Eucaristia alla domenica,
trascorso quotidianamente incontrando e,
a volte, confessando chi ha bisogno di
esprimere a qualcuno il proprio dolore
interiore e la propria disperazione, intessuto spesso di solidarietà spicciola che
diventa opportunità di rendere meno oppressivo e monotono il terribile quotidiano. Certo, i problemi quasi sempre rimangono. Difatti in questi cinque anni ho visto
ritornare tante volte le stesse persone e
di quelli che non ho più rivisto quanti sono quelli che si sono suicidati…. Ma questo è il mio “ovile” ed io considero un vero
dono di Dio essere qui.
Don Sergio Messina
Un libro… per amico
Vittorino Andreoli
Vittorino Andreoli è professionista nello
studio della psiche umana da diversi decenni, noto anche per le sue numerose
apparizioni in programmi televisivi che
trattano di salute e medicina. Nel corso
della sua multiforme e intensa attività
Andreoli ha spesso esplorato il lato oscuro della mente umana, trattando delle
patologie che si nascondono dietro i delitti compiuti da persone apparentemente
“normali”, come il diciannovenne Pietro
Maso.
Nei due libri che trattiamo in questo numero, lo studioso si pone invece alla ricerca di quei comportamenti e di quelle
riflessioni che possano accompagnarci
verso una condizione di armonia nei confronti di noi stessi e degli altri.
Nel volume “Istruzioni per essere normali” Andreoli ci fa partecipi delle più recenti
scoperte della neuro-biologia. Vi è una
parte del nostro cervello che egli defini-
sce “determinata”, che obbedisce ad una
serie di stimoli inviati dal codice genetico.
Una seconda parte è strutturata sulla
base degli stimoli che provengono dalla
realtà esterna, dall’esperienza personale
di ciascuno di noi. Questa parte del nostro cervello è dunque aperta in qualunque momento al cambiamento, può plasmarsi e modificarsi infinite volte. L’insegnamento che ne deriva a livello terapeutico consiste nell’evitare cure che si limiti(Continua a pag 3)
PAGINA 3
AMICI
(Continua da pag 2)
no a fornire un solo genere di aiuto a chi
soffre. Il farmaco e il discorso della terapia sono strumenti complementari che
possono e devono accompagnarsi al fine
di migliorare lo status della persona.
Prima di poter operare una diagnosi occorre poi conoscere a fondo l’ambiente
che il malato trova intorno a sé nella vita
di ogni giorno.
Andreoli si volge a considerare la figura di
Freud e ne loda quella che considera la
sua più geniale intuizione: la seduta psicoanalitica. La relazione terapeutica permette l’instaurarsi di una comunicazione
che nei secoli passati era considerata
superflua. Lo sbaglio dello psicoanalista
viennese fu quello di codificare in termini
troppo rigidi e angusti questo scambio,
questo confronto che dovrebbe invece
essere impostato in termini il più possibile
paritari e umani. Ad esempio, parlando
dei comportamenti ossessivi Andreoli ci
spiega come in questi casi la persona
tenda a restringere sempre più i confini
del proprio mondo, sulla base di un complicato sistema di riti che, se non compiuti
correttamente, implicano una punizione e
un conseguente, progressivo ritrarsi dal
reale. Ebbene, la presenza del terapeuta
deve farsi tangibile, spezzare questo
schema pernicioso anche attraverso il
contatto fisico. Un abbraccio può permettere di stabilire un primo contatto che faccia percepire al sofferente la presenza di
una persona amica e solidale.
“Elogio della normalità”, invece, è la raccolta degli editoriali scritti per il quotidiano
Avvenire. Da non credente, Andreoli si
interroga su quali siano i valori condivisibili da chi ha orientamenti diversi in materia di fede, al fine di coltivare la propria
spiritualità, ma anche esercitare una cittadinanza più matura e consapevole. In più
di un’occasione, egli ribadisce come il
dolore sia una delle esperienze più inten-
ANNO V , NUMER O 1
se e formative che un individuo possa
sperimentare durante il suo cammino
terreno. Per questo, è necessario non
anestetizzare il senso di perdita che ci
coglie alla morte di una persona cara. Egli
distingue la “spettacolarizzazione” della
morte che si affaccia ogni giorno dagli
schermi televisivi, dalla necessità di guardare in faccia la brevità del nostro cammino sulla terra.
Molti altri sono i suggerimenti che Andreoli ci offre, dall’importanza di ridare senso e
prestigio all’ubbidienza, rapporto basato
sulla fiducia e sul rispetto. Infine, un’ultima menzione per la tendenza tra i giovani
a desiderare soltanto oggetti materiali,
laddove, ci spiega saggiamente Andreoli,
un pieno appagamento può nascere soltanto da una tensione verso obiettivi di
lungo termine, che comportino sacrifici e
fatica e si aprano al rapporto con i propri
simili.
Alberto Melotto
La lente d’ingrandimento
Salute mentale e diritti:
unica al mondo e quanto
sia importante l’associazionismo per la difesa
dei diritti dei malati mentali ed il raggiungimento della salute. È
poi intervenuto il neuropsichiatra Carmine
Munizza (una delle anime di questo Convegno) che ha elencato i diritti di cui si
voleva discutere: di cittadinanza, di poter
sviluppare la propria soggettività, di ricostruire l’identità del soggetto malato, che
le persone malate siano incluse ed accettate: l’associazionismo permette la partecipazione più ampia possibile, favorendo
questi meccanismi.
Molto partecipato e stimolante l’intervento
del Cardinale di Torino Severino Poletto,
colpito dal numero sempre più alto di malati psichici (nel 2006, circa 50.000 cartelle!). La Chiesa deve testimoniare amore
per tutte le sofferenze ed in questo campo
è stato attivato il Tavolo Diocesano Salute
Mentale che vuole intervenire allargando
il più possibile la conoscenza di questa
malattia ed aiutando la comunità a diventare la vera “comunità che guarisce”: per
fare questo ha prodotto un opuscolo dal
titolo “Scacco Matto…al pregiudizio”, che
verrà diffuso il più ampiamente possibile
nella comunità religiosa.
Occorre un cambiamento di mentalità,
una visione antropologica perché il disagio psichico non è solo di competenza
medica, ma anche sociale. L’emarginazione di queste persone è inaccettabile, noi
tendiamo ad emarginare chi ci fa paura,
ma dobbiamo invece riconoscere che
queste sono persone malate a cui occorre
la nostra vicinanza, il nostro ascolto, un
coinvolgimento continuativo, la carità come amore e condivisione. E l’associazionismo, il volontariato sia un “appoggio”
alle cure, che non supplisce ma collabora
Il ruolo dell’associazionismo
Questo è il titolo di un Convegno che si è
tenuto a Torino il 14 gennaio scorso, nella
Aula Magna delle Molinette. Sono intervenuti relatori di alto livello, ad iniziare dal
Cardinale di Torino Severino Poletto e dal
Ministro della Salute Livia Turco, insieme
con giuristi e neuropsichiatri di chiara
fama, a testimoniare l’importanza che sta
sempre più assumendo il problema della
malattia mentale.
“...il volontariato sia un “appoggio” alle
cure, che non supplisce ma collabora in
modo responsabile...”
Già all’apertura dei lavori il Presidente
della SIP piemontese Rocco Picci ha indicato come fondamentale la lotta agli stereotipi e pregiudizi che circondano questo tipo di malattia, provocando isolamento e stigma per i malati; e l’Assessore alla
Sanità Eleonora Artesio ha sottolineato
come l’associazionismo rappresenti i diritti
della persona malata e debba acquisire
potere nell’organizzazione dei servizi e
nella gestione, con compiti di vigilanza
complessiva. Parere condiviso dal Presidente della Società Italiana di Psichiatria
Mariano Bassi, che ha inoltre sottolineato
come occorra garantire a questi malati,
oltre alla terapia, delle prospettive di vita
nella società.
Il prof. Furlan ha assicurato che la facoltà
di medicina è molto attenta ai problemi
della psichiatria, mentre il direttore ASL
Giulio Fornero ha ricordato come la situazione della Sanità psichiatrica italiana sia
in modo responsabile e che va coinvolto
nella progettazione. Dobbiamo riconoscere a questi malati la loro dignità di persone, farli sentire accettati dalla società e
far ritornare la persona risanata nella comunità: quindi vicinanza, relazione, accompagnamento, dialogo. E che non sia
“un dolore disabitato”.
Opuscolo realizzato dal Tavolo Diocesano
Il Ministro della Salute Livia Turco ha di
nuovo sottolineato il fatto che l’Italia è un
punto di riferimento per l’Europa per le
decisioni in psichiatria. Ognuno ha delle
responsabilità, ciascuno ha anche risorse
ed occorre credere che il cambiamento
sia possibile. Ha suggerito di incrementare la rete di scambi di esperienze fra le
associazioni, ha rilevato l’importanza dello
(Continua a pag 4)
“Tuttinsieme”
Anche quest’anno è arrivata la festa di
carnevale.
Come al solito la maggioranza dei volontari sono arrivati un po’ prima, questo è
positivo perchè ci si riesce a coordinare
meglio. I ruoli sono ben definiti e ognuno
sa cosa fare. Secondo me è positivo che
i volontari abbiano un momento di scambio all'arrivo, anche se non riguarda prettamente la festa che
sta per iniziare. I volontari chiaccherando un attimo fra di loro
creano un’atmosfera familiare e
amicale che sicuramente non
può nuocere alla festa. A volte,
essere troppo concentrati sulle
cose da fare, rende tutto più
arido. Si deve ricercare, nei momenti comuni, l'armonia che si
manifesta anche con lo scambio
relazionale tra volontari. L'importante è che non si perdano di
vista gli obiettivi della giornata e
che ci sia l'attenzione necessaria
per gli Amici che arrivano.
L’accoglienza è andata bene: c'è
come al solito attenzione nei
confronti di chi arriva, che si sente inserito subito con affetto. Un'accoglienza particolare è stata riservata ai nuovi Amici
che sono in difficoltà nel superare l'arrivo
in un luogo ancora in parte sconosciuto.
Lo svolgimento della festa è allietato dal
suono della fisarmonica di Bruno: il ballo
funziona sempre, e sono carini i balli di
gruppo, a volte è anche piacevole ascoltare la musica e guardare gli altri ballare,anche se è importante coinvolgere
tutti, anche i più pigri.
(Continua da pag 3)
l’inserimento lavorativo di questo tipo di
malati e del problema dell’abitazione ed
ha concluso con un messaggio per l’apertura all’altro.
Molto incoraggiante l’intervento di Ferrannini di Genova, che fa risaltare l’importanza della relazionalità, del coinvolgimento,
della continuità della relazione con un
lungo periodo di sostegno, ma soprattutto
del “dare fiducia”: i servizi non devono
essere pessimistici, il futuro non deve
essere visto come minaccia, ma anche
come speranza.
La signora Inger Nilsson, svedese, è la
presidente dell’EUFAMI, che è la Federazione Europea delle Associazioni dei
familiari di persone con patologie psichiatriche: ha presentato una serie di diaposi-
tive che illustravano i concetti di diritti
umani e di cittadinanza, l’attuale situazione in questi campi e l’intervento della
Federazione suddetta.
La parte giuridica rivolta ai diritti dei malati psichici ha visto gli interventi del procuratore Laudi, dell’avv. Zancan e del GIP
Gianfrotta, che hanno fatto notare la delicatezza e la complessità del contemperare le esigenze della legge con la tutela
dei diritti del malato mentale, dell'equilibrio fra autonomia e necessità di controllo sociale, di valutare quale sia veramente l’imputabilità della persona: e qui un
apporto può essere dato dai servizi psichiatrici collaborando coi giudici attraverso i periti del tribunale.
Il pomeriggio è stato riservato alle Associazioni, che si sono presentate al tavolo
per illustrare il loro impegno e le loro mo-
I giochi con la penitenza continuano a
piacere, a volta si fa fatica ad aspettare
che chi è stato colpito dalla sorte rifletta
un attimo sulla risposta, è necessaria un
pò di pazienza per dare la possibilità a
tutti di esprimersi, comunque introducendo le punizioni a chi suggeriva è riportato
l'ordine: Messaggio recepito!
Il pranzo è come solito il momento più
atteso della festa: Complimenti alle cuoche! Il servizio è andato bene senza intoppi, né discussioni. Avevamo solo scordato le costine che sono arrivate
un po’ in ritardo....., ma non se
n’è accorto quasi nessuno!! Siamo umani!!
È stato suggestivo il momento nel
quale ci si esprimeva al microfono.
Epilogo: Ho trovato molto positivo
il momento di dialogo finale: non
siamo fuggiti via subito e l'intuizione di cogliere al volo questa
occasione, ha fatto prolungare la
festa in un momento di scambio
proficuo su argomenti importanti:
politica, leggi ,malattia mentale,
tavoli diocesani ...
Dobbiamo favorire questi momenti che ci arricchiscono e ci
fanno sentire più uniti e in condivisione. Un grazie speciale a chi si è occupato di andare a prendere don Piero, la
sua presenza è sempre fondamentale.
Ida Graglia.
dalità di intervento: si tratta in grandissima parte di gruppi di familiari e di utenti,
che cercano di supplire alle carenze di
assistenza e di fornire quell’appoggio
sociale che è una delle più importanti
terapie per migliorare le situazioni dei
malati psichici.
Un colpo d’ala al termine del Convegno
l’ha portato la signora Inger Nilsson, che
ha voluto ancora intervenire per ringraziare, per dire la sua meraviglia nel vedere quante fossero le Associazioni operanti in questo campo e per esortare a sperare: HOPE è stata la parola ripetuta più
volte perché lei, madre di una ragazza
sofferente di questi tipi di disturbo, ha
potuto raccontarci che ora sua figlia è
guarita e le ha regalato un bel nipotino.
Emilia Bellando Graffi
COME CONTATTARCI
Sede: Piazza Corpus Domini, 20 ~ 10122 ~ Torino ~ Tel/Fax 011 4366031~ Cel. 340 2200360
E-mail: [email protected]
Sito internet: www.amiciportapalatina.it
Chiamando in sede il martedì dalle ore 16.30 alle ore 18.30 potrete parlare con i nostri
volontari che saranno a vostra disposizione per informazioni e chiarimenti.
È possibile sostenere l’Associazione tramite bonifici bancari sul c/c ABI 01025 CAB 1100
1200/56194 presso la filiale S. Paolo via Monte di Pietà Torino
Scarica

Marzo 2008 - Associazione Amici Porta Palatina