UNIVERSITÀ DELLA TERZA ETÀ SESTO SAN GIOVANNI
Allegato al Notiziario N. 51 del 9/12/09
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Prefazione
Ho fatto gli studi universitari tra la fine degli anni cinquanta e i
primi anni sessanta presso Università di antica tradizione (Catania
fondata a metà del 1400 e Padova fondata nel 1222), ove ai miei
tempi la Goliardia era ancora molto radicata e molto in voga. Io in
quegli anni, come tutti gli studenti, sono stato un “goliarda”. Così
quando la nostra U.T.E. fu fondata e cominciava a crescere, dicevo
scherzosamente che la nostra Università aveva tutto, le mancava
una cosa soltanto: la Goliardia.
Allora pensai ad una rubrica sul Notiziario, che a puntate ne
raccontasse la storia e quindi le antiche radici e lo spirito che la
animava. Scelsi per me uno pseudonimo: Golia e così mi firmavo .
Il titolo della rubrica “LETTERE DI GOLIA” si ispirava al titolo
del libro di Clive S. Lewis, professore a Oxford, intitolato “LE
LETTERE DI BERLICCHE”, si tratta di 31 lettere scritte dal
diavolo Berlicche al collega Malacoda.
La rubrica è apparsa su tutti i numeri del Notiziario per cinque
anni. Di Golia e della Goliardia qui non dico nulla, è tutto sulle
“lettere di Golia”, scritte proprio per i “clerici vagantes” della nostra
U.T.E., e raccolte oggi in ordine cronologico in un opuscolo edito
nell’occasione della ricorrenza del decennale della fondazione del
“giornalino”. Agli anziani dell’U.T.E. propongo di rileggerle, ai
nuovi corsisti di leggerle.
Andrea Alfieri
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Anno Accademico 2001-2002 - NOTIZIARIO n. 8 - 20 novembre 2001
Cari studenti,
per il momento Vi apostrofo così, studenti, poi lo farò in un altro modo.
Devo presentarmi, io sono Golia, il personaggio biblico, quel giovanottone forte e robusto, un
po’ smargiasso, che ha cessato di vivere per mano del giovane Davide, colpito, ahimè,
lanciato da lontano con una fionda. Da quell’episodio è iniziata la carriera di Davide, divenuto
poi un grande Re.
Dopo la conclusione della vita terrena, la mia anima dannata è naturalmente finita all’inferno e
lì ho intrapreso anch’io una carriera che mi ha portato a diventare “diavolo”: Golia il diavolo,
signore della sregolatezza e protettore dei dissoluti. Nel Medio-Evo, con questo ruolo godetti
di fama e considerazione, i miei seguaci dovevano dedicarsi al mangiare, al bere, alle belle
donne e alle burle. Gli studenti delle allora neonate Università (la prima a Bologna fondata nel
1089, la seconda a Padova fondata nel 1222, poi Pavia, la Sorbona, Salamanca, Hidelberg,
ecc.) ufficialmente chiamati “Clerici vaganti”, consideravano se stessi come appartenenti alla
famiglia di Golia, e come tali Goliardi.
A questo punto sarò chiaro che espressioni come, Goliardia, Goliardico provengono dal mio
nome.
Ci sono due motivi che mi spingono a scrivervi; il primo è che voglio emulare un diavolo più
importante e famoso di me, Berlicche, autore delle arcinote “Lettere di Berlicche”, il secondo
che, venuto a sapere dell’esistenza della Vostra Università, desidero diffondere tra Voi la
mentalità e lo spirito di Golia, appunto la “goliardezza”. Una boccata di sano edonismo, e,
perché no, di spirito burlesco.
Concludo invitandovi a far parte della mia famiglia e a scrivermi. Arrivederci al prossimo
numero del notiziario.
Golia
Anno Accademico 2001-2002 - NOTIZIARIO n. 9 - 27 febbraio 2002
Cari studenti,
innanzi tutto Vi chiedo scusa per qualche refuso di stampa nella mia lettera precedente, refusi
che non stravolgono per fortuna il senso del mio scritto. La colpa è anche della mia calligrafia
un po’ diabolica (del resto cosa Vi aspettate da un diavolo come me?) ad ogni modo la parola
“goliardezza” se l’è propria inventata la redazione, io parlo sempre di “Goliardìa” (con l’accento
sulla seconda, i).
ed ora vediamo di capire cosa siete Voi per me. Espressioni come: “studenti”, “allievi”,
“discenti”, per me sono pressoché incomprensibili…!
Alle mie orecchie di diavolo del medioevo suona molto meglio l’espressione “Clerici vagantes”,
ed è così che vorrei sempre apostrofarvi. Ma perché “clerici” e perché “vaganti”? vi chiederete.
Seguite con pazienza il mio racconto.
Nel pieno del Medioevo, periodo di confusione culturale e religiosa, di lotte non solo
ideologiche fra Papato e Impero, per gli uomini di cultura era difficile destreggiarsi fra le due
opposte correnti manifestatesi in seno alla Chiesa: una di decisa ostilità verso l’arte e la
sapienza dei pagani, l’altra di attrazione (dovuta principalmente all’opera di noi diavoli) per
cose che riguardavano la cultura degli autori classici.
In quella situazione per essere liberi di coltivare gli interessi culturali della seconda corrente si
doveva far parte dell’”ordo clericalis”. Questa appartenenza implicava la “tonsura”, col
sacrificio di una parte dei capelli ma anche lo status di “liberi uomini di lettere”.
Dopo la cerimonia di investitura, che non comportava particolari obblighi morali e religiosi, i
“Clerici” potevano dedicarsi a qualunque attività, sotto l’egida della Chiesa.
Protetto da questo “Status” i “Clerici” viaggiavano in continuazione per l’Europa da una città
all’altra alla ricerca di nuovi maestri e di novità culturali. Da questo girovagare l’aggettivo
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“vagantes” e fu così che gli studenti universitari del Medioevo venivano chiamati “Clerici
vagantes”.
Un caro e diabolico saluto ai “Clerici vagantes” del XXI secolo.
Vostro affezionato Golia
Anno Accademico 2001-2002 - NOTIZIARIO n. 10 - 7 maggio 2002
Cari “Clerici vagantes” del XXI secolo,
nell’ultima mia lettera ho spiegato perché gli studenti medioevali delle neonate Università
venivano chiamati “Clerici vagantes”. Erano “Clerici” solo nella forma, nella sostanza erano
tutt’altro, era solo un modo di camuffare le trasgressioni culturali cui erano avvezzi.
E veniamo a noi studenti dell’U.T.E.; nel vostro tempo non avete bisogno di qualificarvi
“Clerici” per essere culturalmente liberi, questo a me piace molto.
Però, ad essere sincero, ad uno come me, diavolo protettore dei dissoluti e degli scanzonati, i
fondatori della vostra U.T.E. non è che piacciono moltissimo; per i miei gusti i Lions sono
troppo seri, troppo diligenti e compassati…ma, per il momento, anche se sono diavolo porto
pazienza.
E va bene “Clerici” non siete e non avete bisogno di esserlo, ma “vagantes” a me pare di sì.
Anche se non come nel Medioevo, in modo diverso, vagate tanto anche voi. Con la scusa di
approfondire gli argomenti, solo negli ultimi mesi siete andati a: Castione della Presolana
(Astronomia), a Menaggio - Villa Vigoni, a Ferrara (Storia dell’arte), al “Corriere della Sera”
(Comunicazione) e quante volte al teatro degli Arcimboldi (ARCIMBOLDI, che bel nome! E
come evoca i tempi mieie!). e poi alcuni di voi si trasferiscono da una U.T.E. all’altra, altri
vengono da fuori Sesto: Monza, Cologno Monzese, Cinisello Balsamo, Segrate, Greco, Città
Studi ed una signora persino da Abbiategrasso. (Come faccio a sapere queste cose? Bene,
un diavolo riesce a sapere di tutto!).
Chi erano i “Clerici vagantes” dei miei tempi? I più importanti e famosi: Abelardo, letterato (sì,
proprio a quello di “Abelardo ed Eloisa” storia tragica di un grande Amore), Serlone di Wilton,
abate, Pietro di Blois, alto dignitario, Gualtiero di Chatillon, letterato, Ugo d’Orleans, poeta e
poi l’Archipoeta, misterioso menestrello di Colonia, etc.
Per questa volta mi fermo qui, ho finito la cartapecora. Tanti saluti e arrivederci.
Vostro affezionato Golia.
P.S. gradisco che il mio nome sia scritto e pronunciato con l’accento sulla i e poi … non
confondetemi con una marca di caramelle.
Anno Accademico 2001-2002 - NOTIZIARIO n. 11 - 2 dicembre 2002
Cari “Clerici vagantes” del XXI secolo,
finalmente è finita la lunga pausa estiva, e nonostante si sia sempre detto: “L’estate è la
vendemmia del diavolo”, vi confesso che non ho fatto alcuna vendemmia e anzi mi sono
annoiato. Riprendono tutte le attività universitarie. Nel mese di Ottobre ho assistito, non visto
come di solito, alle inaugurazioni dell’anno accademico presso diverse U.T.E., fra cui la
Vostra. Non vi dico come io sia andato in brodo di giuggiole nel sentire la musica e le parole
dell’inno medioevale della Goliardìa:
Gaudeamus Igitur
invenes dum sumus
post iucundam juventutem,
post molestam senectutem
Nos habebit Humus…
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(è la prima di sette strofe)
È stato per me un vero e proprio “trasecolare” (state cominciando a rendervi degni di me!).
Consentitemi però una critica benevola (…come può essere quella di un diavolo): non siete
stati voi a cantare ed eseguire la musica, ma ne avete affidato l’esecuzione ad una cassetta e
a un mangianastri; per questa volta passi, ma mi raccomando per l’avvenire!
Riprendiamo adesso il discorso su Abelardo e compagni.
Questo ricevette dai “Clerici vagantes”, inglesi, curiosi di sapere di più sulla Goliardìa del
continente e di Parigi in particolare una missiva, alla quale Abelardo rispose con un “Carmen”,
in seguito considerato il manifesto programmatico dei Clerici vagantes. Ne riporto di seguito la
prima strofa in latino con la traduzione sotto:
ORDO VAGORUM
CUM IN ORBEM UNIVERSUM
DECANTATUR 2ITE2
SACERDOTES AMBULANT
CURRUNT CENOBITE
ET AB EVANGELICO
IAM SURGUNT LEVITE
SECTAM NOSTRAM SUBEUNT
QUE SALUS EST VITAE
ORDINE DEI CLERICI VAGANTI
POICHE’ IN TUTTO L’UNIVERSO,
VIEN CANTATO “ITE”,
CAMMINANO I PRETI
CORRONO I MONACI
PRONTA LA BIBBIA
LASCIANO I DIACONI
PER SEGUIRE LA SETTA NOSTRA
CHE E’ LA SALVEZZA DELLA VITA.
Prossimamente vi manderò il testo completo non in latino, ma in “vulgari eloquentia”.
Attendo vostre missive, oltre che leggermi, scrivete al più simpatico dei diavoli.
Sempre vostro affezionato Golia
Anno Accademico 2002-2003 - NOTIZIARIO n. 12 - 5 febbraio 2003
Miei cari Clerici vagantes del XXI secolo,
il tempo natalizio è finalmente passato e si sta dissipando la cortina d’incenso che si diffonde
nelle chiese in questo periodo e capirete bene che l’incenso è poco gradito al mio fine olfatto
di diavolo.
Così ho ascoltato con disappunto tutte quelle cose edificanti che vi hanno detto e vi siete detti,
tutti argomenti ovviamente sgraditi alle orecchie del diavolo protettore degli scanzonati e dei
dissoluti di tutte le epoche!
Ho avuto però qualche consolazione, vi ho ammirato intorno a tavole imbandite di ogni ben di
Dio, intenti a praticare ogni genere di trasgressione alimentare. Avete brindato generosamente
a tutto …non proprio tutto, vi siete dimenticati solo di brindare alla salute di Golia, vostro
ispiratore…!
Ma torniamo ad Abelardo ed al suo programma in versi della Goliardìa, scritto come ho già
detto, in latino, ma che adesso vi trascrivo nella vostra lingua:
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Poiché in tutto l’universo
Vien cantato “Ite”
trottano i preti
corrono i monaci
pronto la Bibbia
lasciano i diaconi
per seguire la setta nostra
che è salvezza della vita.
(…)
Dice il testo della setta:
“Tutto sperimentare,
Di questa nostra vita
I vantaggi apprezzate;
I clerici perversi
Sempre perseguitate
Quando non sono larghi
A farvi caritate.
(…)
La nostra setta accoglie
Gli onesti ed i furfanti
Gli zoppi e i macilenti,
I forti ed aitanti;
quei, che fioriscon giovani
o languon per vecchiezza,
i frigidi e gli ardenti,
nell’amorosa ebbrezza.
(…)
Il nostro ordine vieta
di uscir tosto dal letto
E appena alzati, andiam
in un fresco angoletto.
Là ci facciam portare
il vino e le galline
e solo vi temiamo
del gioco le rovine.
(…)
Annunciate a coloro
presso i quali andate
Perché voi la condotta
di ognuno esaminate.
“Venimmo noi a dividere
gli agnelli dai caproni
a riprovare i reprobi
ed approvare i buoni”
Vi trasferisco anche un commento di un vostro quasi contemporaneo, C. Privitera:
“La poesia goliardica dei Clerici è ricca di motivi giocosi e di entusiasmo per la vita libera,
libertina e sensuale, per un godimento che non ha limiti, rotti i freni della morale. Essa canta,
in ritmi agili e flessuosi le donne, il vino, il gioco, con un senso gaio e giocondo della vita…”.
Il mio commento: Privitera aveva proprio capito. A presto:
vostro affezionato Golia
Anno Accademico 2002-2003 - NOTIZIARIO n. 13 -31 marzo 2003
Cari Clerici vagantes del XXI secolo,
mi pare giunto il momento di raccontarvi qualche cosa di più di quanto non abbia già fatto a
proposito di Abelardo. Pietro Abelardo di Nantes fu certamente il più illustre dei Chierici
Vaganti, fu filosofo, teologo, poeta, esperto di logica. Voi oggi, col vostro linguaggio, lo direste
un intellettuale. Il canonico Fulberto lo scelse come precettore e maestro di sua nipote, la
giovane e bella Eloisa. Pietro Abelardo ed Eloisa non coltivarono solo la cultura, ma anche dei
forti sentimenti: si innamorarono perdutamente e furono amanti. A seguito della denuncia dello
zio di Eloisa (il canonico Fulberto), Abelardo fu pubblicamente processato e condannato
all’evirazione.
Di Pietro Abelardo ci restano una autobiografia e l’epistolario che i due amanti, separati
forzatamente e per sempre, si scambiarono dai rispettivi conventi, fino alla morte.
Egli fu uno dei bersagli preferiti delle invettive dei predicatori e moralisti dell’epoca, che lo
chiamarono il “Golia di Nantes”. Con questo titolo, e con sprezzo verso i suoi avversari, usava
firmare le invettive di replica. Questo vezzo fu ripreso successivamente da altri Chierici
Vaganti.
Lo studente seguace di Abelardo, per questo motivo, venne chiamato, nel francese
medioevale, “goliard”; secondo alcuni, l’espressione potrebbe derivare dalla contrazione di
Golia e Abelardo.
E’ un fatto che, nei documenti goliardici dell’epoca, compariva sempre “Goliae Abelardi
fratres” (i fratelli di Golia Abelardo).Prima di concludere, voglio complimentarmi con voi per
come avete interpretato alla lettera l’essere “vagantes”, continuate in effetti a girare: Mantova,
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Veleia Romana, quasi tutte le settimane il Teatro degli Arcimboldi, e un gruppo ha persino
fatto un giro nella lontana Trinacria! Sono contento per voi!
Arrivederci a presto, vostro
Golia
Anno Accademico 2002-2003 - NOTIZIARIO n. 14 - 5 Maggio 2003
Cari Clerici Vagantes del XXI secolo,
nelle Università del Medioevo gli studenti, oltre allo studio serio e profondo, si dedicavano alla
vita allegra, spensierata e dissoluta trascorrendo le lunghe serate dell’epoca a comporre e
cantare canzoni dedicate alle belle donne, al vino, al cibo buono ed abbondante.
Questi versi spesso si ispiravano a poeti latini e quindi vi appariva sempre di più la derivazione
pagana (naturalmente ero io ad ispirare questa tendenza). A questa esplosione di pagana
allegria, la Chiesa da principio aveva guardato con indulgenza, ma questo poteva durare a
lungo? Vi riporto dei versi famosi: “Vincit amor quemque, sed numquam vincit ipse non est
crimen Amor, quia, si scelus est amare nollet Amore Deus etiam divina legare”. L’amore vince
ogni cosa e non è mai sconfitto; amare non è peccato, perché se l’amore fosse un delitto, Dio
non avrebbe legato con l’Amore anche le cose divine.
Col passare del tempo i Goliardi, non si limitarono a versi come quelli riportati sopra,
cominciarono ad allineare irriverenti satire anticlericali, riprendendo temi già in voga nei secoli
precedenti e parafrasando espressioni sacre: “Pater noster qui es in shipis”, Padre nostro che
sei nei bicchieri, “Confiteor Reo Bacco Onnipotanti”, Confesso al colpevole Bacco
onnibevente.
“Evangelium secundum Marcos argenti”, Vangelo secondo i pezzi d’argento, “Missa de
potatoribus”, la messa dei bevitori, etc…
I “Carmina” dei Clerici Vagantes diventavano sempre più irriverenti e sempre più aggressivi,
cominciarono a essere considerati come germi di una rivolta ideologica e religiosa. Il
predicatore Agostino da Beta tuonava contro Abelardo, apostrofandolo “Novello Golia”.
Abelardo e gli altri goliardi non si tirarono indietro e scrissero dei poemetti in latino:
“Apocalipsis Goliæ” (sorta di Divina commedia in cui Pitagora accompagna un Clerico nell’Ade
per vedere preti e suore dannati), “Metamorphises Goliæ episcopi”, “Golias in Romanam
Curiam”, etc…
La pazienza della Chiesa stava finendo…
Vostro affezionato
Golia
Anno Accademico 2003-2004 - NOTIZIARIO n. 15 - 22 Ottobre 2003
Cari Clerici Vagantes del XXI secolo,
ben tornati dopo la lunga e tanto calda pausa estiva (per inciso, dalle mie parti fa molto, ma
molto più caldo)! Eccovi a riprendere la vita universitaria, e con questa anche le mie lettere.
Stavo dunque dicendo della Chiesa, che dei Goliardi, della Goliardia e dei seguaci di Abelardo
cominciava a non poterne più. Mentre ancora nel 1200 il Papa Innocenzo II riconosceva la
“Universitas magistrorum et scholarorum Parisiis Studentium”, l’Università di Parigi,
assicurando tranquillità e protezione a tutti i suoi membri, in gran parte “Clerici”, vale a dire
studenti con la tonsura dei capelli, nel 1227 un editto sancì “… omnes sacerdotes non
permittant trutannos et alios vagos scholaros aut Goliardos cantare versos super sanctus et
Agnus Dei in omissis vel in divinis officiis” (i sacerdoti tutti non permettano ai vaganti ed ai
Goliardi di cantare versi sui santi e l’Agnus Dei nelle messe e negli Uffizi Divini). Io, da quel
buon diavolo allegro e scanzonato che ero, cominciai ad intristire, ma era solo l’inizio. Il
Concilio di Salisburgo del 1231 stabilì che i “Clerici ribaudi, maxime qui dicuntur de famiglia
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Goliae” (i Clerici ribaldi, specialmente i seguaci di Golia) non venissero più tonsurati affinché
l’Università rimanesse “sine scandalo et pericolo”. Io cominciai a sentirmi male, il mio regno
stava andando in crisi, ma ancora non era finita: i Goliardi furono apertamente accusati di
essere “scurriles, maledicos, blasphemos, quia in furnis iacent, tabernas, ludos et meretrices
frequentant” (scurrili, maledetti, blasfemi, poiché giacciono sotto i portici, frequentano taverne,
giochi e prostitute). Siccome siamo nel secolo in cui compaiono le prime cronache scritte in
lingua volgare, vale a dire non in latino, e quindi comprensibili da chiunque sappia leggere,
certi eccessi prima tollerati devono essere condannati insieme ai loro autori.
Che ne sarà dei Goliardi, dei miei liberi, allegri e scostumati seguaci? Cambieranno mestiere!
L’amore per il sapere senza vincoli, l’indipendenza intellettuale dei “Clerici Vagantes” finiranno
per trasformarsi in un mezzo di sostentamento: i Clerici, che avevano suscitato sospetto,
timore ed ira nella Chiesa, diventeranno una sorta di menestrelli, che passando di corte in
corte allieteranno la vita monotona dei castelli e dei castellani. La Goliardia a poco a poco
scomparve. I “Carmina blasphema”si dispersero dimenticati negli archivi di vecchie Abbazie e
per cinque secoli non si parlò più di me. Ma…..
Vostro affezionato
Golia
Anno Accademico 2003-2004 - NOTIZIARIO n. 16 - 8 Dicembre 2003
Carissimi Clerici Vagantes del XXI secolo,
concludevo l’ultima mia lettera con molta tristezza per la grave crisi della Goliardia nel XIII
secolo e la sorte toccata ai “Carmina blasphema”, quel ricco e vario insieme di canti, poesie,
poemetti inneggianti a me e al mio stile, dispersi e dimenticati negli archivi di vecchie Abbazie.
Ma…come ricorda il vecchio modo di dire, “il diavolo ci ha messo la coda”, e questa volta, ve
lo posso confidare, la coda in questione è proprio la mia. Accadde che un Vescovo, si proprio
un Vescovo, rimasto anonimo (…non per me), rovistando negli archivi, si imbattè nei
“Carmina blasphema”, ne raccolse più che potè, li ordinò al meglio, li ricopiò con diligenza e
con passione, più pagana che cristiana e ne costituì un voluminoso codice che giacque per
secoli nel monastero di BENEDICT BUEREN (Abbazia benedettina dell’VIII secolo, ritenuta
nel medio evo un importante “scrittorio benedettino” ancora oggi esistente nell’Alta Baviera nei
pressi di Garmish).
Nel 1803, quando, come si sa, imperversava Napoleone, fu emesso il decreto che sopprimeva
i conventi. Cacciati i monaci, gli archivi furono manomessi e questo codice manoscritto, opera
dell’anonimo religioso, venne trasferito nella biblioteca di Berlino, ove rimase per qualche
decennio e infine “scoperto”; così iniziò ad essere noto negli ambienti accademici. Il critico
letterario J. A. Schmeller ne curò la prima edizione, pubblicata nel 1847 col titolo di “Carmina
Burana”, da Bueren, il luogo dove l’antico testo era stato rinvenuto. La diffusione e la
conoscenza dei “Carmina Burana” stimolò la curiosità del mondo accademico sulla storia
minore delle Università medioevali.
Ma la cosa più importante per me, fu che si iniziò a riscoprire la Goliardia, prima nelle
Università tedesche, poi via via in tutta Europa ed anche in Italia; naturalmente solo nelle città
allora (oltre 150 anni fa) sedi universitarie. Pensate che in tutta la Lombardia l’unica sede era
Pavia (i milanesi pensavano ad altro), in tutto il Triveneto l’unica sede era Padova, ecc. Era
finalmente finito l’oscuro “Medioevo” goliardico, per me fu il “Rinascimento” e sul mio volto
tornò un sorriso angelico.
Augurandovi un Natale di libagioni e gozzoviglie,
vostro affezionato
Golia
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Anno Accademico 2003-2004 - NOTIZIARIO n. 17 - 26 gennaio 2004
Carissimi Clerici Vagantes del XXI secolo,
mi accingo ad iniziare una nuova fase del mio racconto: la rinascita della Goliardia nell’era
moderna, con precisi richiami e collegamenti con lo spirito e la tradizione medioevali, suscitati
in gran parte dalla scoperta e pubblicazione dei “Carmina Burana”. Questo nuovo corso della
storia goliardica durerà abbondantemente oltre un secolo, con alti e bassi nonché traversie.
Partiamo dalla situazione nella prima metà dell’ottocento. Le sedi universitarie erano molto
poche, pertanto gli studenti, (la parola “studentesse” era un’espressione priva di senso), salvo
eccezioni dovevano vivere gli anni di studio lontano dalle famiglie, con tanta libertà, tanto
entusiasmo, pochi soldi e pochi o punto controlli, salvo quelli imposti dalle esigenze degli studi
per lo più seri e fortemente selettivi; di sicuro ne combinarono di tutti i colori (ad Heidelberg,
storica sede universitaria tedesca, un collegio universitario dell’epoca, oggi museo, descrive
abbastanza realisticamente la vita universitaria di allora).
Le Università sono sempre state ligie alle tradizioni, ai cerimoniali ufficiali: toghe, ermellini,
l’uso del latino nei documenti ufficiali, le”prolusioni”, le “proclamazioni” dei nuovi “dottori”,
ecc…Il neo “dottore” veniva ufficialmente “Laureato”, vale a dire cinto con la “Laurea” (corona
di alloro o lauro). Il riferimento al lauro dell’antichità classica, come simbolo di gloria, è
evidente. In alcune Università storiche la corona di alloro è ancora in uso.
L’inizio ufficiale del ritorno in auge della Goliardia in Italia viene indicato nell’anno 1848: i moti
del ’48 e la prima guerra di indipendenza. Due date: la prima, 8 febbraio, una sommossa di
studenti contro l’occupazione austriaca a Padova, con morti e feriti; la data diventerà
emblematica e una ricorrenza ancora oggi ricordata. La seconda, 29 maggio, battaglia di
Curtatone e Montanara, nella quale avrebbero (il condizionale non è casuale) combattuto
eroicamente gli studenti universitari di Pisa. Con questi due episodi gli universitari vengono
fatti entrare nella storia patria della prima guerra di indipendenza. Ecco spiegato perché il
1848 venne assunto come anno di rinascita della Goliardia italiana.
Adesso permettetemi di smettere gli stretti panni dello storico e di riprendermi quelli più
comodi di Golia, affermando che a me questa faccenda della retorica risorgimentale
mescolata con la Goliardia non è mai andata giù: vi pare possibile che i seguaci di un antieroe
come me, uno che si fa sconfiggere da quel ragazzino di Davide con un sassolino lanciato con
la fionda, possano venire celebrati come eroi di guerre patrie? Con tutto il rispetto per gli eroi, i
miei seguaci devono essere glorificati per grandi vittorie nelle burle, nelle battaglie amorose e
gastronomiche.
Avrei ancora tanto da dirvi, ma la Redazione mi lesina la cartapecora!
Arrivederci presto dal vostro affezionato
Golia
Anno Accademico 2003-2004 - NOTIZIARIO n. 18 - 26 febbraio 2004
Carissimi Clerici Vagantes del XXI secolo,
il mio accenno, nell’ultima lettera, alla battaglia di Curtatone e Montanara (29/5/1848) non è
piaciuto a tutti ed uno di voi ha avuto l’ardire di scrivermi indignato e di impartirmi una lezione
di storia patria: “Gli studenti universitari toscani, nella battaglia in oggetto, non solo si
batterono eroicamente contro le truppe di Radetzky, ma evitarono col loro sacrificio
l’aggiramento dell’esercito piemontese, consentendone la salvezza. A riprova della verità
storica, da allora gli studenti universitari pisani portarono il cappello goliardico con la punta
mozza, proprio in ricordo della eroica battaglia…”.
Io, cari miei seguaci (potrei dire: cari i miei venticinque lettori, ma direste che mi do arie
manzoniane), a Curtatone e Montanara non c’ero; capirete che dopo la infausta zuffa con
Davide, ho sempre avuto buone ragioni per tenermi alla larga da qualunque battaglia, però i
documenti storici, ripuliti dalla retorica, dicono ben altro.
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Lo storico Arrigo Petacco, nella biografia di Cristina di Belgioioso (pag. 185), afferma: “Dal
diario di guerra dell’esercito austriaco risulta infatti che a fermare le truppe di Radetzky furono
i volontari napoletani. Quelli toscani si sarebbero dispersi alle prime fucilate”. Ed ancora, lo
storico Piero Pieri nella “Storia militare del Risorgimento” afferma che a fronteggiare 20.000
austriaci erano schierati 5.400 volontari, tra i quali il battaglione studenti pisani, comandati dal
prof. Giuseppe Montanelli (sì…proprio un antenato del, per voi, più famoso Indro) in tutto 270
uomini, tenuti quasi tutto il giorno nella riserva, e impegnati solo poco prima della ritirata
generale. Il perché gli storici sabaudi preferirono attribuire tutti i meriti agli studenti
dell’università di Pisa non è materia per un diavolo come me, interessato solo alle cose
goliardiche. E a proposito di queste resta il fatto che gli studenti pisani da allora hanno sempre
portato il cappello goliardico con la punta mozza, in ricordo della partecipazione alla storica
battaglia. Ma perché la punta mozza? Il cappello goliardico è sostanzialmente il copricapo dei
menestrelli medioevali, stretto e lungo e terminante a punta dalla quale pende una piccola
nappa. Pare che la nappa e la punta ostacolassero nel corso della battaglia il prendere la
mira; la soluzione fu il cappello mozzo.
Il cappello goliardico, un copricapo che prende il nome da me, merita una trattazione a parte.
Ve ne parlerò la prossima volta.
Vi saluta il vostro affezionato
Golia
Anno Accademico 2003-2004 - NOTIZIARIO n. 19 - 29 marzo 2004
Cari Clerici Vagantes del XXI secolo,
concludevo la mia ultima lettera con un cenno al cappello goliardico, derivato dal copricapo
dei menestrelli, con una lunga tesa anteriore e terminante a punta. Questo tipico cappello
medioevale lo ritroviamo in varie rappresentazioni pittoriche ed in epoche diverse.
Nella prima metà dell’ottocento, con la riscoperta e la rinascita della goliardia, torna in auge tra
gli studenti universitari questo copricapo di antica foggia. Assunse presto diversi significati:
certamente quello di segno di distinzione e di appartenenza, ma anche manifestazione di una
precisa identità, in un’epoca in cui il modo di vestire individuava la propria classe sociale o
addirittura la professione. Ma ascoltiamo Checco Danovaro, un capo goliarda dell’epoca, che
ci spiega il forte valore simbolico del cappello goliardico: “Quando un giovane copriva il suo
capo del berretto goliardico, il mondo gli apparteneva. Il berretto goliardico era la sua potenza.
Guai a chi avesse osato oltraggiarlo…Il berretto era un emblema goliardicamente sacro della
personalità dello studente che aveva l’onore di indossarlo. Per nessuna ragione perciò poteva
essere deturpato”. Insomma, il cappello goliardico per i goliardi era come il cappello con la
penna per gli alpini.
Poteva essere indossato solo dagli studenti universitari regolarmente iscritti,
indipendentemente dall’andamento degli studi. Le occasioni per portarlo erano molteplici:
cerimonie ufficiali, come l’inaugurazione dell’anno accademico, manifestazioni pubbliche,
anniversari goliardicamente significativi, feste goliardiche, come ad esempio la “festa della
matricola”, ecc…I cappelli goliardici di distinguevano per il colore, ad ogni colore
corrispondeva una facoltà; il rosso per Medicina, il verde per le Scienze, il nero per
Ingegneria, il blu per Giurisprudenza, il bordò per Farmacia, ecc…L’anzianità dello studente
veniva messa in evidenza con filetti dorati posti inclinati sul lato destro della tesa, uno per ogni
anno di corso. I laureandi dovevano bordare il lato destro del cappello, fino alla punta della
tesa, con una frangia dorata. Agli studenti del primo anno era fatto obbligo di portarlo
completamente nudo, a quelli del secondo anno era consentito adornarlo al massimo con
sette elementi, a quelli del terzo fino dodici elementi, solo gli anziani, dal quarto anno in su,
non avevano restrizioni. I fuori corso lo adornavano con una penna di pavone, ma solo i Gran
Maestri di ordini goliardici potevano piumarli a piacimento. A causa della taccagneria della
redazione mi fermo qui.
Arrivederci alla prossima volta
12
Golia
Anno Accademico 2003-2004 - NOTIZIARIO n. 20 - 3 maggio 2004
Cari Clerici Vagantes del XXI secolo,
tanti complimenti da parte mia per il vostro intenso e vario girovagare di questi ultimi mesi:
dalle visite al “Corriere della Sera”, agli spettacoli del Teatro degli Arcimboldi, poi due comitive
in visita a Torino…una menzione a parte merita la comitiva che è andata a Rovereto e a
Trento perché in questa città, da alcuni decenni sede universitaria, si è per combinazione
trovata coinvolta nelle manifestazioni goliardiche che seguono alle proclamazioni ufficiali delle
lauree. I neolaureati, con indosso la corona di alloro appena ricevuta, non essendo più
studenti, erano oggetto dei rituali goliardici a base di angherie, scherzi e lazzi vari. Questi
scherzi significano per i neolaureati la fine di una fase della vita, e per me la perdita di
seguaci, che da quel momento entrano nella categoria dei seri e compassati e lasciano per
sempre la Goliardia.
Ma torniamo al vostro girovagare: un nutrito gruppo, più ardito, ha trascorso una settimana in
Sicania…cioè in Trinacria…già, ma voi dite Sicilia, ed ha osato salire sul Mongibello (da voi
chiamato Etna) ed avvicinarsi al cratere, che altro non è che una delle porte di comunicazione
con l’infuocato mondo mio e dei miei colleghi.
Anche io ho vagato, o meglio, ho divagato rispetto al racconto che sono solito narrarvi.
Desidero descrivervi il particolare “status” di cui godevano gli studenti universitari nelle città
ospitanti, prestigiose sedi accademiche. La tradizione tacitamente imponeva alle forze
dell’ordine un atteggiamento più che tollerante nei confronti dei comportamenti non del tutto
ligi, come canti più o meno trasgressivi, affissioni di proclami e “papiri” dal tono piuttosto
licenzioso, schiamazzi notturni, anche sotto le finestre del Magnifico Rettore, con allusioni non
proprio lusinghiere all’indirizzo del medesimo, abbigliamenti poco ortodossi nelle calde
giornate estive, tutte cose chiaramente non consentite ai comuni cittadini, tuttavia tollerate con
un misto di comprensione e, sotto sotto, di complicità. In parecchie di queste città, in
occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico e della festa della matricola, era
consentito l’ingresso gratuito ai vari spettacoli, certi negozi esentavano gli studenti dal fare la
fila. Lo storico caffè Pedrocchi, a Padova, permetteva fino a qualche decennio fa agli studenti
di sostare a piacimento nella cosiddetta “Sala bianca” (arredata con sedie e poltroncine
foderate di tela bianca), senza l’obbligo di consumazione. In questo caffè non era raro
assistere ad esibizioni varie, estemporanee ed insolite, di studenti, fra l’assoluta indifferenza
dei camerieri, l’aria di intesa compiaciuta degli avventori padovani e lo stupore tra il divertito e
l’incredulo dei clienti “foresti”.
Vi auguro vacanze divertenti e trasgressive e vi attendo trepidante all’inizio del 10° Anno
Accademico della vostra U.T.E.
Il vostro affezionato
Golia
Anno Accademico 2004-2005 - NOTIZIARIO n. 21 - 18 ottobre 2004
Carissimi Clerici Vagantes del XXI° secolo,
da parecchie settimane siete tutti tornati dalle vacanze e avete ripreso la vita consueta. Anche
la vostra Università ha riaperto i battenti (a proposito, che ridere! La mattina del 13 settembre,
inizio delle iscrizioni, tutto era confuso, non funzionava niente, qualcuno aveva parlato di
scherzo da prete, a voi lo confido: il vostro Golia aveva messo la sua coda di diavolo nel
computer) e si prepara ad inaugurare solennemente il X° anno della fondazione.
Nella tradizione universitaria l’anno accademico aveva inizio l’11 novembre, festa di San
Martino, antica ricorrenza dedicata a spillare il vino novello; questa circostanza implicava
13
ovviamente generose libagioni nel corso di abbondanti mangiate. Naturalmente i goliardi vi
aggiungevano le loro allegre e boccaccesche esibizioni canore. Nei barbari tempi presenti di
queste tradizioni si è persa la memoria.
Vi ho già parlato, a proposito del cappello goliardico, di una sorta di gerarchia fra “Clerici
Vagantes” in funzione dell’anzianità di studente; ebbene, con la riscoperta nel 1800 delle
tradizioni, tornano in auge antiche espressioni utilizzate per designare i vari livelli gerarchici. Il
livello più basso è quello dello studente del I° anno, livello infimo, quello del paria, detto
“matricula”(derivato dal fatto di essere registrato con l’assegnazione di un numero, appunto la
matricola), parola accompagnata sempre dall’aggettivo “fetentissima”. La matricola dovrà
massimo rispetto agli anziani, essere molto servizievole, subire angherie varie, offrire da bere,
ecc.....Tutto questo, si sostiene, è necessario per fargli perdere il “fetore” tipico del liceale.
Queste cose, sotto sotto, fino ad alcuni decenni fa avvenivano col non dichiarato, ma
sottinteso consenso delle autorità accademiche. La matricola non poteva adornare il cappello
goliardico e non poteva portare barba e baffi; alla domanda di un anziano “chi sei?”, doveva
rispondere “fetentissima matricula sum” e alla domanda “quanto vali?”, doveva rispondere
“minus quam merdam”.
Finita la sessione d’esami di ottobre gli anziani si svagavano con la caccia alle matricole, che
iniziava nelle prime settimane di novembre di ogni anno. I luoghi dell’agguato: l’uscita dalle
aule dei corsi del primo anno di giorno, e alla sera i collegi universitari. La caccia consisteva
nell’individuare la “vittima” e sottoporla a burle, che il più delle volte restavano nei limiti del
sano buon gusto.
Questo “status” della matricola, di evidente sudditanza, durava fino alle “matricularum feriae”,
festa della matricola, nel corso della quale veniva celebrato un simbolico processo, con
assoluzione rituale della medesima ed il suo accesso ai diritti civili.
La prossima volta vi parlerò del “papirus”, del “latinus macheronicus” e di altro.
Vostro affezionatissimo
Golia
Anno Accademico 2004-2005 - NOTIZIARIO n. 22 - 15 Novembre 2004
Cari Clerici Vagantes del XXI secolo,
il periodo nero delle matricole andava dall’inizio dell’anno accademico (11 novembre S.
Martino), alla Festa della matricola, nel periodo di Carnevale, tre mesi abbondanti. Fu così fino
alla prima guerra mondiale, durante la quale fu istituita provvisoriamente la sessione di esami
di febbraio, con lo scopo di favorire gli studenti che prestavano servizio militare al fronte. Essa
fu poi istituita di nuovo con lo scoppio della seconda guerra mondiale e da allora non fu più
abbandonata. Come vedete, in Italia “nulla è più definitivo del provvisorio”, come diceva
Longanesi. Questa sessione di esami ebbe l’effetto di dimezzare il periodo della “caccia alle
matricole”, che così si esauriva entro la prima metà di dicembre.
Il momento d’oro del “papirus” era proprio in questo periodo. Quando fu istituito? Certamente
in tempi remotissimi, ha l’età della Goliardia, sono rimaste tracce storiche evidenti di
quell’epoca. Che cos’era? Un documento rilasciato alla matricola, sul quale si dichiarava che
la stessa aveva assolto il dovere di pagare il conto di una sostanziosa consumazione ad un
gruppo di anziani, i quali con questo documento certificavano l’avvenimento e si impegnavano
a difendere la matricola da qualunque altra pretesa del genere. Il papiro era in sostanza un
lasciapassare con cui si affermava che “ha già dato”. Andava redatto nel rispetto di precise
regole che variavano da Ateneo ad Ateneo, ma soprattutto doveva essere scritto in latino,
come del resto tutti i documenti goliardici. Sappiamo che fino al 1700 tutti i documenti, non
solo quelli della Chiesa, erano redatti in latino. Il nostro latino fu chiamato “Latinus
macheronicus”. Non ho esaurito l’argomento, ma lo spazio sì!
Vi saluto caramente.
Vostro affezionato
Golia
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Anno Accademico 2004-2005 - NOTIZIARIO n. 23 - 13 dicembre 2004
Cari Clerici Vagantes del XXI secolo,
riprendo il mio dire sul papiro delle matricole trascrivendo, a titolo di esempio, le precise regole
secondo cui doveva essere redatto per le matricole dell’Università di Milano, in un’epoca in cui
l’unico Ateneo Milanese era il Politecnico, per di più di recente istituzione (anno di fondazione
1863). Pertanto per le faccende goliardiche ci si rifaceva alla tradizione della antica, famosa e
gloriosa Università della vicina Pavia.
Sulla “Magna Charta Goliardica dell’Ordo Spadonis” si legge:
“Dee lo papiro, per esse valido, satisfacere alli seguenti requisiti:
a)
Esse cum calligrafia manualmente redacto in carta pergamena aut in carta de
optima qualitate
b)
Esse exornato cum vaghe fanciulle, acciocché sia piacevole alla vista
c)
Habere superficie totale non inferiore a dmq. 18
d)
Habere numero sex fori passanti per sigaretta et de sectione non superiore a mmq.
69, delli quali fori quattro sieno alli angoli, uno nello centro geometrico dello papiro et uno
peloso ad libitum. (.....)
Lo contenuto indispensabile dello papiro est:
a)
Declarazione dell’acceptazione della fetentissima matricula in Politecnico
b)
Decalogum et sacrae leges in numero non inferiore a 30
c)
Simboli dello Politecnico e della Mediolanese Civitate
d)
Moto perpetuo funzionante
Il linguaggio in cui sono formulate queste regole vi avrà certamente rammentato il parlare di
Brancaleone, il capo dell’omonima armata, a me invece suscita dolci ricordi dei bei tempi
dell’autentica Goliardia medioevale.
Nell’ultima mia lettera avevo allegato copia di un papiro redatto secondo le regole del
“Dogatum Genuense”. Vi sarete chiesti che cosa sia un “Dogatum”, ma andiamo con ordine.
In ogni Università gli studenti “si davano “ un capo, dico così in quanto in ogni sede la
designazione avveniva in un modo diverso, ed in ogni caso non in modo democratico. Le
elezioni per questo tipo di nomine sono un fatto recente (dopo l’ultima guerra). Questo capo in
genere veniva chiamato “Tribuno degli studenti” in quanto rappresentava gli stessi presso le
autorità accademiche ed in tutte le cerimonie e manifestazioni ufficiali. Il riferimento al “Tribuno
della plebe “ dell’antica Roma è evidente. In alcune sedi, per influenze locali, poteva prendere
nomi diversi: a Venezia ed a Genova, città ex Repubbliche marinare si chiamava “Doge”, da
cui “Dogatum”, a Bari “Sultano” e quindi “Sultanato”,.......
Vi lascio con tanti auguri per le feste, che spero vogliate trascorrere felicemente in conformità
ad un importante motto goliardico: “in nomine Bacci, Tabacci Venerisque” (in caso di difficoltà
col latino rivolgetevi al latinista, mio vicino di pagina, Vasco Pasqualini, che mi sopporta da
anni presso la sua coltissima rubrica).
Vi saluta il vostro affezionato
Golia
Anno Accademico 2004-2005 - NOTIZIARIO n. 24 - 1 febbraio 2005
Cari Clerici Vagantes del XXI° secolo,
nelle mie lettere più recenti vi ho parlato diffusamente delle matricole, le “fetentissime
matricole”. Anche se l’argomento non è esaurito, desidero oggi parlarvi delle altre categorie di
studenti universitari.
Lo studente del secondo anno è un “phaseolus”, cioè un fagiolo, un legume e quindi anche un
baccello. Infatti nel Medio Evo i corsi universitari di due anni conferivano il Baccellierato, una
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sorta di “laurea breve” “ante litteram”. Chi lo conseguiva si fregiava del titolo di Baccelliere (ho
già avuto occasione di ricordare che nel Medio Evo il Baccelliere era un aspirante Cavaliere),
non riceveva però la corona di alloro, la laurea. Lascio ai filologi spiegarci cosa centrassero i
legumi con tutto questo. Ma torniamo al nostro studente del secondo anno. Come la parola
matricola era sempre associata al superlativo “fetentissima”, così l’espressione “phaseolus”
era preceduta dall’aggettivo “phamelicus”. Tutti gli studenti del secondo anno erano i “famelici
fagioli”. E’ facile intuire perché erano famelici: in fondo il fagiolo non è che una matricola
appena svezzata, non ha più un pesante onere di regole e di divieti da rispettare, ha una gran
voglia di rifarsi e quindi si impegna con grande zelo nella caccia alle matricole, con tutto ciò
che questo comporta e che ho in parte descritto in altre lettere. Il suo status è un po’
migliorato, ma gli unici che gli devono rispetto sono le matricole. Per quanto riguarda gli
anziani, è ancora lui che deve tributare grande rispetto.
Passiamo adesso allo studente del terzo anno, detto “columna”, parola preceduta
dall’espressione “respectanda”, meritevole di rispetto da parte delle matricole ovviamente, ma
anche dei fagioli. Per inciso, le “colonne” sono menzionate nel ritornello di un canto goliardico
di inizio novecento:
“noi siamo le colonne, noi siamo le colonne dell’Università,
ma se non arriva il vaglia di papà,
noi siamo le colonne del monte di pietà”
canto ripreso in alcuni allestimenti dell’operetta “Addio giovinezza” ambientata nella Torino
universitaria .
Lo studente del quarto anno è “venerandus”, degno di venerazione, ma se il piano degli studi
di laurea prevede quattro anni (lettere, legge , farmacia, ecc.), allora verrà considerato
“venerandissimus laureandus”. Questo onore spetterà al raggiungimento del quinto anno
(ingegneria, chimica, ecc. ) o del sesto (medicina), in relazione alla durata prevista del piano di
studi. Ma non finisce qui: nella gerarchia goliardica il livello più alto spetta allo studente fuori
corso, che viene onorato con l’espressione “sidereus extracursus” (celeste, divino).
Cari studenti dell’UTE di Sesto, adesso siete in grado di stabilire a quale categoria
appartenete, e se vi imbattete negli iscritti al primo anno di anzianità, beh.......turatevi
prudentemente il naso.
Vi saluta il vostro affezionato
Golia
Anno Accademico 2004-2005 - NOTIZIARIO n. 25 - 14 marzo 2005
Cari Clerici Vagntes del XXI secolo,
oggi prendo spunto da un avvenimento di per sé molto marginale, ma molto significativo per
me: il sette o otto gennaio scorso i telegiornali diffusero, attraverso i vostri scatoloni con
schermo magico, la notizia dell’inaugurazione ufficiale dell’Anno Accademico dell’Università
degli Studi di Salerno con la partecipazione, fra le altre autorità, del Presidente Carlo Azeglio
Ciampi. Ma la cosa più importante, che a tutti voi miei cari lettori sarà certamente sfuggita, e
che invece ha accarezzato il mio orecchio ed ha suscitato i miei sentimenti di ispiratore e
protettore della Goliardia, sono state le note, nel sottofondo, del tradizionale storico inno
goliardico, noto come “Gaudeamus igitur”, scritto e tramandato in lingua latina, formato da otto
strofe, di cui vi trascrivo la prima:
“Gaudeamus igitur,
iuvenes dum sumus
post iucundam iuventutem,
post molestam senectutem,
nos habebit humus (bis)
“Rallegriamoci dunque,
giovani ancora siamo,
dopo la gioconda gioventù,
dopo la molesta vecchiaia,
“ci avrà la terra (bis)”
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Questo è considerato, a torto o a ragione, il più antico canto studentesco, genuina
espressione della libera, gioiosa e spensierata vita degli studenti; esso ha avuto ed ha
notorietà internazionale. E’ ancora in uso in parecchie università, sia europee che americane,
ove viene eseguito in cerimonie ufficiali ed accademiche.
Il percorso storico di questo inno dal medioevo ai giorni nostri è complicato e pieno di
incertezze; ne parleremo un’altra volta. La versione definitiva che si conosce oggi, per quanto
riguarda il testo, ha un paio di secoli, mentre per la musica, essendo tramandata per
tradizione orale e pertanto soggetta a modifiche e contaminazioni, bisogna arrivare al 1881,
anno in cui le note vennero riprese e scritte nientemeno che da Brahms, che le inserì nell’”
Akademische Fest-Ouverture” per orchesta; da allora non sarà più un canto prevalentemente
da osteria, ma acquistò dignità e prestigio. Brahms aveva ricevuto la laurea “honoris causa”
dall’Università di Heidelberg, e quindi in segno di gratitudine, trovando ispirazione nelle
tradizioni goliardiche, compose la famosa Ouverture Accademica. Da quel momento la musica
del “Gaudeamus...” non subirà più cambiamenti.
Nel 1924 nasce a Milano l’Università Cattolica, il fondatore padre Agostino Gemelli desidera
collegarla alle tradizioni delle università storiche e perciò favorisce la diffusione del cappello
goliardico e l’uso ufficiale, ma non solo, del “Gaudeamus igitur”. Oggi il richiamarsi alle
tradizioni spetta ad un’altra giovane università,…a Salerno.
Cari saluti dal vostro affezionato
Golia
Anno Accademico 2004-2005 - NOTIZIARIO n. 26 - 11 aprile 2005
Cari Clerici Vagantes del XXI° secolo,
mi auguro che i più diligenti di voi, in senso goliardico, abbiano già imparato a memoria i versi
della prima strofa del “Gaudeamus igitur...”.
Veniamo ora alle origini storiche della canzone in oggetto. La traccia più antica è del
tredicesimo secolo, unico documento un manoscritto in latino del 1287 presso la Biblioteca
Nazionale di Parigi, che riporta parole e musica (come veniva scritta allora) e che ha vaghe
somiglianze col testo e la musica di oggi. Una traccia meno labile la troviamo in un canto
composto nel 1482 da un docente di “Lettere latine”, Antonio Urceo detto il Codro il cui primo
verso è:
“Gaudeamus, io, io” (rallegriamoci, viva, viva)
Di questo inno si conosce una versione musicale stampata nel 1511 a Wittemberg.
Nel 1525, in piena riforma protestante, Martin Lutero sposa l’ex-monaca Katharina Von Bora,
nell’occasione le strofe dell’Urceo vengono riprese e parafrasate dai suoi amici e discepoli. Il
primo verso diventa:
“Gaudeamus cum iubilo”
Nel 1717 Johan C. Gunther traduce in tedesco dal latino un canto goliardico precedente, di cui
vi trascrivo in italiano la prima strofa:
“Fratelli rallegriamoci giacchè la primavera continua e il sole della giovinezza fa scintillare le
nostre foglie; la bara e la tomba non riguardano chi oggi coglie le rose, a lui spetta la corona”
Questa traduzione in tedesco venne data alle stampe, senza la musica, nel 1730 a
Francoforte ed a Lipsia.
La più antica versione conosciuta di un testo in latino si trova in un manoscritto di canzoni
studentesche, compilato tra il 1723 ed il 1750, oggi custodito presso la West Deutsche
Bibliotheke di Marburg. Testo alquanto diverso da quello pervenuto fino a voi, specie la prima
strofa. Bisogna arrivare al 1781 per la prima apparizione dei versi in latino nella forma
definitiva nel libro di Wilhelm C. Kindleben, stampato ad Halle, con traduzione in tedesco.
Kindleben è un prete di Lipsia, che rovistando per mettere ordine nei suoi ricordi di studente,
rinviene materiale a sufficienza per scrivere il libro di cui sopra. Egli stesso dichiara di
intervenire nel testo latino per purgarlo da contaminazioni ed errori vari.
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La prima stampa completa e definitiva delle parole del “Gaudeamus..” la troviamo in un libretto
intitolato “Canzoni per allegra compagnia”, pubblicato a Lipsia nel 1788, con traduzione in
tedesco ed una versione in musica; però il vero debutto ufficiale è nell’Opera lirica “Dottor
Faust” di Ignaz Walter, rappresentata a Brema nel 1797, nella quale gli studenti, nell’osteria di
Auerbach, cantano “Gaudeamus igitur....”.Di quest’Opera lirica è rimasto il libretto, ma è
andata perduta la musica.
Come già sapete, è merito di Brahms elevare l’inno della Goliardia tedesca da canzone
dell’osteria di Auerbach a melodia nella “Akademische Fest-ouverture” per orchestra del 1881.
Dopo questa lunga tirata, un sospiro di sollievo e....”Gaudeamus....”
Vi saluta il vostro affezionato
Golia
Anno Accademico 2005-2006 - NOTIZIARIO n. 28 - 17 ottobre 2005
Cari Clerici Vagantes del XXI secolo,
è con trepidazione che riprendo in mano la penna dopo la lunga pausa degli ozi estivi.
Innanzi tutto, due cose. La prima: debbo un sentito grazie al prof. Dario Cosi per il suo
intervento sull’ultimo notiziario (n° 27), in cui fa delle correzioni e aggiunte al testo del
“Gaudeamus” pubblicato nell’inserto del n° 26, ma soprattutto voglio ringraziarlo per la
traduzione esatta del termine “antiburschius”.
La seconda cosa: una cortese risposta ad un lettore che nei commenti previsti nel
questionario di fine anno accenna ad articoli del Notiziario definendoli “patetici” e porta come
esempio il tema della Goliardia. Caro Signore (o Signora), premesso che patetico significa
malinconico, che desta tristezza, penso che riferito alle mie lettere non sia appropriato. Se Lei
voleva dire che le “Lettere di Golia” non Le piacciono, avrebbe potuto definirle leggere (lo
sono), anacronistiche (lo sono), nostalgiche (ahimè lo sono), noiose (non lo sono),...ma
patetiche proprio no! Se lo venisse a sapere Berlicche (il diavolo del famoso libro “Lettere di
Berlicche” al quale mi sono ispirato), chissà cosa mi succederebbe! E voi lettori, ve lo
immaginate Golia che scrive cose patetiche sulla Goliardia?! Roba da sparire per l’eternità!
Ritornando al filo del mio racconto, mi accorgo che ho spesso citato le burle alle matricole, ma
non ho mai detto in che cosa consistessero. Lo faccio oggi, premettendo subito che burle e
penitenze inflitte alle matricole nulla avevano da spartire col nonnismo delle caserme.
Dovevano piuttosto ispirarsi ad un sano e magari intelligente umorismo, divertivano chi le
ideava, gli eventuali spettatori ed in fondo......anche chi le subiva. Merita di essere riferita una
penitenza a carico delle matricole dell’Ateneo catanese (“Siculorum Gymnasium” fondato dagli
Aragonesi a metà del ‘400 e per secoli unica università della Sicilia). Per comprenderne lo
spirito è necessario un antefatto: la città di Catania fu completamente distrutta dal terremoto
del 1693 e ricostruita, come la vediamo oggi, nella prima metà del ‘700. Sul luogo della
“Platea magna” medioevale fu situata l’odierna Piazza del Duomo, con al centro la celebre
Fontana dell’Elefante, divenuta poi simbolo della città. L’architetto palermitano G.B. Vaccarini
utilizzò alcuni cimeli archeologici, fra i quali un elefante lavico di età romana, popolarmente
detto “Liotru”, che l’ignoto scultore aveva realizzato così come l’elefante è in natura, vale a
dire senza organi genitali esterni. Al momento dell’inaugurazione i catanesi, a causa di questa
mancanza considerata un grave affronto alla loro virilità, per di più perpetrata da un architetto
palermitano, si indignarono fortemente e non vollero sentire ragioni, il torto andava riparato. Il
Vaccarini allora fece apporre dei testicoli posticci, ma, vendicandosi a suo modo, di dimensioni
spropositate. Alle matricole, fino a qualche decennio fa, nelle ricorrenze goliardiche era
affidato il compito di curare l’igiene intima del “Liotru” utilizzando del latte di calce, in modo da
lasciare traccia per giorni dell’evento, in un certo senso riparatore di un affronto di due secoli
prima.
Qualcosa di analogo avveniva a Padova, ove le matricole patavine erano tenute a praticare le
attenzioni riservate al “Liotru” questa volta al monumento a Camillo Benso Conte di Cavour,
nell’omonima piazza del centro storico della città.
18
A presto, vi saluta il vostro affezionato
Golia
Anno Accademico 2005-2006 - NOTIZIARIO n. 29 - 12 dicembre 2005
Carissimi Clerici Vagantes del XXI secolo,
una delle espressioni storiche della Goliardia furono gli “Ordini goliardici”, libere associazioni
presenti numerose in tutte le Università medioevali. Essi prosperarono fino al 1400 circa, poi,
come vi ho già narrato, con la crisi della Goliardia, seguita all’ostracismo della Chiesa verso i
Clerici Vagantes, gli Ordini goliardici scomparvero per alcuni secoli; riapparvero a metà ‘800 e
proliferarono indisturbati fino ad una nuova crisi, con l’avvento del Fascismo. L’ostilità del
regime non era verso la Goliardia in particolare, ma nei confronti di qualunque formazione
giovanile, in quanto il Fascismo in fatto di gioventù voleva avere l’esclusiva. Contrastò o cercò
di assorbire ogni associazione o movimento di giovani (fece eccezione per l’Azione Cattolica,
a patto che ogni sua attività fosse confinata nelle sagrestie) e così fece anche per gli Ordini
goliardici. Non ne contrastò gli aspetti folcloristico-giovanilistici, fatti di esuberanza e
scapigliatura, a condizione che qualunque attività culturale o politica fosse incanalata
nell’alveo del regime. Regime che peraltro cercò di esaltare al massimo la gioventù: ritroviamo
espressioni come “mito della giovinezza”, “regime dei giovani”, “maschia gioventù”,…perfino
l’inno del partito iniziava con la parola “Giovinezza”.
L’associazione “Unione Goliardica Libertà”, tra il 1924 ed il 1927 provò a contrastare queste
tendenze sul piano delle idee; per un certo periodo fu mal sopportata e infine fu sciolta.
Merita di essere ricordata una circolare del segretario nazionale del partito Augusto Turati (da
non confondere col leader socialista Filippo Turati), datata 16/04/1928, rivolta ai “gruppi
universitari”:
“Ho deciso l’istituzione ufficiale della paglietta universitaria e ritengo obbligatoria per ogni
segretario politico un’azione continua ed efficace per la diffusione nell’ambiente goliardico di
questo cappello italiano. La foggia della paglietta universitaria è unica, dalla linea sobria ed
elegante. Il nastro sarà del colore della facoltà e l’interno dei fiocchi sarà dei colori della città
ove l’ateneo ha sede”. La paglietta universitaria si diffuse, ma non riuscì a soppiantare mai il
cappello goliardico.
La Goliardia diventò sempre più folkore, come ampiamente testimoniato da Massimo
Bontempelli, segretario della Federazione scrittori, in “Libro e moschetto” del 1932. Il
Fascismo istituì i “Ludi littoriali” dello sport e del lavoro, una sorte di Olimpiade per la gioventù.
Nel 1933 affiancò a quelli esistenti i “Littoriali della cultura e dell’Arte”, una gara intellettualcelebrativa che il regime aveva voluto riservare agli studenti universitari. I candidati,
selezionati dai Rettori, mettevano alla prova la loro preparazione culturale nei campi più
disparati; naturalmente non mancavano i saggi di “Mistica fascista”. Gli Ordini goliardici
vennero tutti sciolti d’autorità allo scoppio della guerra, nel 1940.
Questo periodo storico, per fortuna breve, fu molto triste per me, anche a causa del tempo che
veniva dedicato alla preparazione militare, e poi quell’accostamento del libro col moschetto
metteva seriamente a disagio un diavolo bonaccione e scanzonato come me, alieno da armi e
violenze; da quando Davide con un colpo di fionda mi spedì al Creatore non riuscii più a
maneggiare neppure i sassolini!
Con i più sentiti auguri di buon Natale e buon anno, vi saluta il vostro affezionato
Golia
ANNO ACCADEMICO 2005-2006 - NOTIZIARIO n. 30 - 30 gennaio 2006
Cari Clerici Vagantes del XXI secolo,
19
come tutte le umane cose, anche la guerra ebbe termine. Tutta la società italiana (e non solo)
nei mesi successivi alla liberazione fu pervasa da un generale risveglio, che caratterizzò
l’atmosfera delle rinnovate libertà dei primi anni del dopoguerra. Tutti, ma specialmente i
giovani, incarnavano un forte spirito di rivincita nei confronti degli anni migliori della gioventù
sprecati. Questo spirito lo troviamo al massimo livello nell’ambiente universitario, quindi in tutti
gli atenei si volle far rivivere le interrotte antiche tradizioni goliardiche. Nei primi anni della
rinascente Goliardia, anni che il paese intero visse nell’euforia del graduale ritorno alla
normalità, negli studenti prevalse un giovanile e spontaneo desiderio di godere la vita e la
gioventù. Riviveva in pieno lo spirito dei “Clerici Vagantes” e il”gaudeamus igitur iuvenes dum
sumus” tornava ad essere il primo precetto. Non si era studiato molto durante la guerra ed
anche in questi anni gli studi venivano posposti a leggendarie baldorie, beffe boccaccesche,
imprese scanzonate. Questo periodo non durò a lungo. Da un lato le esigenze, rifattesi
severe, degli studi universitari, dall’altro un’atmosfera di maggiore stabilità e regolarità che
subentrava al periodo turbolento dei primi anni di pace, misero un freno alle manifestazioni più
estreme della Goliardia.
Al caffè Florian di Venezia, l’8 aprile 1946, si svolse il Congresso nazionale dell’U.G.I. (Unione
Goliardica Italiana), libera associazione di studenti universitari. In sede di congresso si
dichiarano ricostituiti tutti gli “Ordini goliardici” (sciolti d’autorità allo scoppio della guerra) e si
proclama in un documento conclusivo che “la Goliardia è cultura e intelligenza, è amore per la
libertà e coscienza delle proprie responsabilità “. Francamente in questa definizione, buona
per chissà quante altre cose, non mi sono mai riconosciuto, l’ho avvertita come un tentativo
elegante di snaturarla....purtroppo era solo il principio.
Nel dopoguerra avvenne un altro fatto degno di essere ricordato: a Padova, l’8 febbraio 1948,
venne celebrata la prima “festa della matricola” dall’interruzione a causa della guerra, nella
ricorrenza del I° centenario della rifondazione della Goliardia (v. Notiz. n° 17: 8/2/1848
sommossa antiaustriaca degli studenti; 29/5/1848 partecipazione di studenti alla battaglia di
Curtatone e Montanara). All’avvenimento parteciparono goliardi provenienti da tutti gli atenei
italiani. Padova fece una grande accoglienza: offerta di consumazioni agli studenti nei locali
pubblici, canti ed inni, Carosello Storico nei costumi regionali con fanfara e tamburo, il tutto
condito con scherzi e burle di ogni genere. La Goliardia era tornata al posto che le spettava!
Arrivederci presto dal vostro affezionato
Golia
ANNO ACCADEMICO 2005-2006 - NOTIZIARIO n. 31 - 6 marzo 2006
Cari Clerici Vagantes del XXI secolo,
nell’ultima mia lettera spiegavo come nell’atmosfera del dopoguerra, nonostante tutto,
regnasse un grande risveglio e un forte desiderio di libertà. Fra gli universitari riviveva in pieno
lo spirito della Goliardia, soprattutto nelle città sedi universitarie, ma anche in tante città e
cittadine della provincia italiana, sia nel nord che nel sud. In molte di queste sorsero circoli e
associazioni varie, animate dagli studenti universitari con lo scopo di svolgere attività culturali,
ricreative e di intrattenimento. Nei casi più fortunati nascevano, specialmente nel sud, come
costole di circoli preesistenti, fondati dai padri.
Fra tutte queste associazioni ne ho scelta una tra le più importanti, forse la migliore: l’Unione
Goliardica Mantovana. Nel 1945 un gruppo di universitari mantovani, nel clima generale che
caratterizzò quel periodo del dopoguerra, si riunì in libera associazione goliardica con precise
finalità: “Costituire un nucleo di vita associativa che contribuisse a formare negli aderenti una
responsabile coscienza democratica e civica”, far rivivere pienamente le interrotte antiche
tradizioni goliardiche, istituire un centro di unione e un punto di incontro atto a favorire
qualunque scambio di idee fra giovani aventi comuni interessi. Negli anni goliardicamente
gloriosi seguiti alla fine del conflitto mondiale, nella storia dell’U.G.M. avvenne di tutto, o quasi.
Per anni si favoleggiò di epiche cene, feste carnascialesche, mitici pesci d’aprile, burle
boccaccesche ed altre diavolerie di cui rimase il ricordo tramandato a tante generazioni di
20
studenti. Mi limito a citare le imprese più “gloriose”, quelle che hanno lasciato tracce, oltre che
nei ricordi, nelle cronache dei giornali locali e che se non provocarono conseguenze
giudiziarie, fu per merito della tolleranza delle autorità civili e militari di quei primi anni:
-invasione di Verona a bordo dell’automobile del Governatore Militare Alleato, seguita da
furto e
vendita all’asta (non riuscita) di alcuni carri armati americani;
-incendio del Teatro comunale di Desenzano;
-vendita all’asta di un cameriere del Teatro civico di Suzzara;
-esposizione di inusitati ornamenti dai finestrini del pullman durante l’attraversamento di
pacifici
villaggi (n.d.r. conosciamo la natura degli ornamenti appresa in confidenza da un expresidente
dell’U.G.M.)
-visite collettive a pubbliche istituzioni soppresse da un atto legislativo con effetti dal
20/09/1958.
Di queste vicende della cosiddetta “età d’oro” dell’U.G.M. è forse ancora possibile farsi
raccontare particolari e circostanze da testimoni oculari e da protagonisti, successivamente
divenuti seri professionisti ed oggi ottantenni (di alcuni sono in possesso di nomi e cognomi).
L’U.G.M., negli anni cinquanta, si lascia alle spalle gli eccessi della tradizione “eroica”, si dà
una struttura organizzativa e diviene il centro più importante della città in fatto di
manifestazioni culturali, sportive, ricreative, ottenendo gli incoraggiamenti, la stima e la
simpatia di tutta la cittadinanza. Nel febbraio del 1957 viene inaugurata la prestigiosa sede
sociale, destinata a destare l’ammirazione della città e dell’intero ambiente goliardico
nazionale. Nella prima settimana del settembre 1961 (a Mantova furoreggia la Mostra del
Mantegna) l’U.G.M., nonostante i limitati mezzi finanziari, realizza un “Convegno
Internazionale Studentesco”: riesce a far confluire oltre cento studenti universitari dai cinque
continenti, ad ospitarli con l’aiuto di privati cittadini, a tenere e concludere i lavori all’insegna
della pace e la fratellanza dei popoli. Questo avvenimento fu forse il punto più alto della sua
attività. Nei decenni successivi l’U.G.M. visse la fase calante di tutta la Goliardia.
Oggi i vecchi Soci, professionisti in pensione, si ritrovano una volta all’anno per ricordare una
storia comune ed una stagione della vita.
Vi saluta il vostro affezionato
Golia
ANNO ACCADEMICO 2005-2006 - NOTIZIARIO n. 32 - 3 aprile 2006
Cari Clerici Vagantes del XXI secolo,
nel dopoguerra la ritrovata libertà pervade di spirito democratico, tutto e tutti, è la naturale
reazione a quanto avvenuto nel “deprecato ventennio”. E così la neonata Repubblica Italiana
promulga leggi e decreti sull’ordinamento universitario, volti a democratizzare la vita degli
atenei; alcuni di questi atti legislativi prescrivono rappresentanze studentesche in alcuni organi
direttivi delle università (commissioni di assegnazione borse di studio,amministrazione delle
Case dello studente, ecc..).
Le rappresentanze tradizionali come i Tribuni, i Dogi, i Granduchi, i Sultani possono
continuare ad esistere, ma a patto di venire eletti con precise regole. Questo comporta che i
metodi pittoreschi della tradizione goliardica (già da me descritti in passato) per la scelta dei
capi devono essere abbandonati. Il tutto naturalmente avviene non senza contrasti fra:
studenti desiderosi di misurarsi nella vita democratica e studenti tradizionalisti,fedelissimi della
Goliardia, contrari ai cambiamenti. Capitava che coesistessero un tribuno eletto con regolari
votazioni e un antitribuno eletto all’antica. A Padova imperversò lo studente fuori corso Gengi
Cargnel, storico esponente della Goliardia tradizionale per almeno dieci anni (non è noto se si
sia laureato, e quando), lo cito in quanto all’epoca i rotocalchi nazionali gli dedicarono servizi
fotografici e interviste.
21
L’introduzione dei metodi elettivi nelle Università ebbe dei notevoli effetti indotti sulle istituzioni
goliardiche. Le elezioni dovevano riprodurre quelle della neonata Repubblica. In ogni Ateneo
nacque un parlamentino. Assemblea Rappresentativa Studentesca (ARS), questa eleggeva il
“capo del governo” (Tribuno, doge, ecc..) col relativo consiglio.
La nascita di tutto questo segna una profonda linea di discontinuità nella storia della Goliardia.
Prima l’essere goliardi prevaleva nettamente sulle diversità politiche, regionali, religiose,
ecc...gli studenti erano goliardi e niente altro. Dopo col metodo elettivo, basato sulle liste dei
candidati in competizione fra loro e con la prospettiva di esercitare un reale, seppur limitato,
potere nelle istituzioni, introdusse o ingigantì la divisione politica e ideologica.
Si originò in breve tempo un assortimento di formazioni prepolitiche: l’U.G.I. (la già citata
Unione Goliardica Italiana) ispirata a sinistra,il FUAN ed il Nodo (nodo Savoia) ispirate a
destra, la FUCI (cattolica) confluita poi nell’ Intesa ispirata al centro, più alcuni movimenti
minori fra i quali si annidava il movimento dei goliardi conservatori puri contrari al nuovo corso.
Ed io che sono solo un buon diavolo vi posso solo dire che tutto questo, mentre da un lato
giovò alla crescita della coscienza democratica,dall’altro lato ruppe e per sempre l’unità ed il
senso di appartenenza degli studenti alla grande , unica, storica, famiglia goliardica.
A presto, vostro affezionato
Golia
ANNO ACCADEMICO 2005-2006 - NOTIZIARIO n. 33 - 5 maggio 2006
Cari Clerici Vagantes del XXI secolo,
ho avuto già occasione di spiegare come negli anni cinquanta, con la diffusione delle forme
democratiche, gli studenti universitari potevano, per la prima volta nella storia, con il crisma
della legge, partecipare alla vita amministrativa dell’Università, sia pure con tutta una seri di
limiti e vincoli. Nella forma era tutto vero, nella sostanza però le cose andavano diversamente.
Di potere effettivo gli studenti ne esercitavano poco, e per vari motivi: nei diversi organi, ove
ne era prevista la rappresentanza, la durata delle cariche era annuale e di conseguenza lo
studente eletto non raggiungeva mai un grado sufficiente di competenza specifica; poi la
partecipazione degli studenti alle votazioni, in tutti gli Atenei d’Italia, non superò mai il 25%
degli aventi diritto. Questo naturalmente era un fattore di debolezza,che spesso dall’alto
veniva rinfacciato agli studenti; da ultimo il corpo docente era in gran parte costituito da
elementi cresciuti e formati nel ventennio pre-bellico, e di conseguenza poco propensi ad
accettare pienamente simili innovazioni Il loro discorso suonava presso a poco così: “cari
studenti, finché siete giovani, pensate a studiare, alle ragazze, a fare i goliardi, e lasciate a
noi gli oneri e i fastidi del potere, che un giorno toccheranno a voi”.
Questo atteggiamento trovava una valida sponda nei movimenti studenteschi tradizionalisti,
nostalgici delle più pure consuetudini goliardiche, nella sostanza d’accordo con i Docenti, e
assolutamente contrari alla politicizzazione della vita universitaria.
Sulle prime reagirono con ostruzionismi vari,cercando di mantenere, anche con prepotenza, i
vecchi sistemi di conferimento delle cariche. In un secondo momento accettarono il “metodo
democratico”, e quindi di scendere in lizza dando vita a movimenti che partecipavano alle
elezioni con liste da burla, programmi infarciti di ironia, di burlesco, di paradossale, e con
simboli degni dei programmi.
Voglio ricordare come esempio uno di questi movimenti. Nel 1960 venne fondato a Padova
un movimento. Rimasto famoso,col nome di “Rorida Begonia” (l’allusione simbolica sembra
chiara) che svolse la sua opera di opposizione preconcetta a tutto ciò che considerava parodia
della politica, cercò in tutti i modi di tenere in vita tutte le manifestazioni più tipicamente
goliardiche: feste, canti corali, sfilate, il Palio degli Asini, .... Il filo conduttore doveva essere
un costante atteggiamento dissacrante nei confronti della “politica” tra gli studenti, vista come
minaccia e pericolo mortale per la Goliardia.
Gli adepti della “Rorida Begonia” sfilavano in abito scuro, camicia bianca, cravatta a farfalla,
bombetta ed all’occhiello, in assenza di begonia, un garofano rosso. Scrivevano e
22
diffondevano un giornaletto e diedero vita ad una banda musicale poi divenuta l’ “Orchestra
Lenguazza” con un repertorio tipico goliardico.
Vi saluta il vostro affezionato
Golia
ANNO ACCADEMICO 2006-2007 - NOTIZIARIO n. 34 - 16 ottobre 2006
Cari Clerici Vagantes del XXI secolo,
nelle ultime lettere il mio racconto indugia sugli anni cinquanta-sessanta del secolo scorso, sto
quindi parlando dei “vostri tempi”, nel senso della vostra gioventù. Tante cose stanno
cambiando: Mary Quant inventa la minigonna, i Beatles sconvolgono la musica leggera, a
Milano si svolge il processo per il giornalino studentesco “La zanzara”, il nome Matusalemme
diventa Matusa, come epiteto non certo lusinghiero,......non è “ la contestazione”, ma in un
certo senso ne è l’annuncio.
In questo nuovo clima che tutti ricorderete, cosa succede alla Goliardia ed ai suoi riti?
Apparentemente e in particolare presso le Università storiche, tutto continua come sempre.
Ma in un certo anno, a metà dei sessanta, ad anno accademico appena iniziato, tipico periodo
di caccia e scherzi alle matricole, a Padova avviene un fatto, in sé più che banale, ma che
finisce sui giornali: prima sul Gazzettino di Venezia, poi sull’Arena di Verona, poi nella cronaca
del Corriere e di tutti i giornali a tiratura nazionale. Si tratta del “caso Craighero”. Craighero è
uno studente del primo anno, che finisce col trovarsi in un gruppo di “fetentissime matricole”,
oggetto dei lazzi e degli scherzi degli studenti più anziani, secondo la consuetudine; lui però
non sta al gioco, soprattutto non vuol sentirne di salire sul monumento a Cavour, cosa inaudita
e senza precedenti, invocando articoli di legge e principi di libertà. In sostanza contesta la
Goliardia, unico del gruppo. Ad un certo punto giustifica il suo rifiuto, in quanto figlio del
Colonnello Craighero; non l’avesse mai fatto! Poteva la Goliardia fermarsi di fronte ad una
matricola con un argomento del genere? La piazza nel frattempo si riempie di studenti e di
curiosi e il giovane Craighero sale, volente o nolente, sul monumento tra gli applausi, rivolti
non certo a lui , ma alla Goliardia riaffermata.
La cosa sembra a tutti finita lì, in realtà è solo al principio: il Colonnello Craighero sporge
denuncia, gli anziani protagonisti dell’episodio vengono citati in giudizio, ed i giornali
cominciano a parlarne.Viene istruito il processo e il dibattimento si svolge alla Pretura di
Padova. Quando il Giudice capisce di cosa realmente si tratta (non è sequestro di persona,
violenza privata, minaccia grave....e non so cosa altro), esce in buon dialetto padovano:
“cossa chel’ voe sto toso? Sora al Cavour ghe so sta anca mi....!”. Scrosciante applauso del
pubblico! La sentenza di primo grado assolve tutti con formula piena, il ricorso in appello non
ha esito diverso. Il colonnello è cocciuto (buon sangue non mente) e ricorre in Cassazione,
che conferma la sentenza.
Ho citato questo episodio perché, al di là della sua conclusione, rappresenta una svolta
storica: può essere assunto come l’inizio della contestazione alla Goliardia. Le matricole in
seguito saranno sempre meno docili con gli anziani, e questi capiranno che non è più come
prima, si può finire in giudizio per comportamenti fino ad allora considerati assolutamente
normali, ed io mi preoccupo.
Tanti saluti dal vostro affezionato
Golia
ANNO ACCADEMICO 2006-2007 - NOTIZIARIO n. 35 - 11 dicembre 2006
Cari Clerici Vagantes del XXI secolo,
concludevo la mia ultima lettera con preoccupazione fondata sulle sorti della Goliardia.
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La “caccia alle matricole “ finì nella seconda metà degli anni ’60, quando l’Università, diventata
di massa, fu investita dai problemi di una società in via di rapida trasformazione, La Goliardia
venne considerata un passatempo buono per “figli di papà”. Fu un bene, fu un male?
Lasciamo il giudizio alla Storia. A modesto parere del vostro Golia, chi non l’ha vissuta ha
perso qualcosa.
A questo proposito, è emblematico un articolo apparso, qualche tempo dopo il “caso
Craighero” (v. ultimo notiziario), sul giornalino dei goliardi padovani “L’iperbole di sorbole”, e di
cui vi riporto la parte più significativa: “ Addio amico Camillo Benso Conte di Cavour. Addio a
te, addio ad una tradizione, forse l’ultima, di una Goliardia vecchia e sempre nuova. Ora
cerchiamo di non passarti davanti, perché è triste l’autunno senza grappoli di matricole
appese al tuo capace piedistallo. Sei rimasto solo, vecchio mio, anche se la Storia darà
ragione a noi....ti stai allontanando da noi per rientrare nel tuo glorioso passato. E il tuo
aspetto diventa di giorno in giorno sempre più solenne. Sono salito anch’io anni fa, in una
mattina di novembre, dipinto da indiano, ti baciai dove non si dice, feci il mio discorso. Al
tavolo del caffè di fronte c’era mio padre, non lo vidi, ma so che sorrideva. Ricordo che tornai
a casa, a testa alta, anche se per vie nascoste e mi lavai per sette giorni con il detersivo. Tu
eri la tappa necessaria, eri la berlina delle idee false e dei pregiudizi piccoli. Eri la prova di un
coraggio spensierato e di uno spirito aperto. Sopra la tua pietra, anche senza calzoni,
eravamo dei Ciceroni. Quando verrà anche per noi il tempo di cingere l’alloro [ n.d.r. la laurea],
saliremo ancora al tuo petto, baceremo dove non si dice, e grideremo cose senza senso. Ma
sarà triste, perché questo non sarà solo l’ultimo nostro saluto, ma anche l’ultimo di una
generazione che ha sempre avuto il torto di credere nei fantasmi di una giovinezza
intelligente”.
L. Gasperini
Vi è tutta la consapevolezza che si sta concludendo una fase storica.
Dopo qualche anno, a partire dall’Università di Nantes in Francia, scoppiava in tutti gli Atenei
d’Europa la “contestazione studentesca”, che si propagava anche in Italia. Storia vissuta che
tutti ricordano e che imperversò fino alla fine degli anni ’70. Mi limito a ricordare che la
Goliardia, ritenuta avanzo borghese del passato, venne spazzata via; sorte non migliore toccò
alle rappresentanze elettive degli studenti.....
Sul mio animo scese un’immensa tristezza, ma, dopo lunghi anni, nella società italiana si
manifestò quel fenomeno che la stampa battezzò “riflusso”…
Tanti saluti e auguri dal vostro affezionato
GOLIA
ANNO ACCADEMICO 2006-2007 - NOTIZIARIO n. 36 - 22 gennaio 2007
Cari Clerici Vagantes del XXI secolo,
verso la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 si manifestò in tutti i settori della società un senso
di stanchezza e di rifiuto nei confronti di “usi e costumi”, ma soprattutto degli eccessi della
“contestazione”, e fece capolino una certa nostalgia diffusa di “cose” del passato. Si parlò di
“riflusso”, fenomeno ammesso da tutti, anche se giudicato in modi contrastanti. I contestatori
del ’68 occupavano le cattedre dei ginnasi e dei licei, o magari erano assistenti universitari, o
erano quadri aziendali e qualcuno anche dirigente. Un conto è contestare, un altro conto è
essere contestato. E’ bello stare su un lato della barricata, non lo è più dall’altro lato.
Anche la Goliardia si mise a “rifluire”, specialmente nelle sedi di antica tradizione, in
particolare in quelle di origine medioevale: Bologna (1089 d.C.), Padova (1222 ), Pavia (1224
), senza tralasciare Camerino, Urbino, Macerata.....). In queste città le “feste della matricola”
non erano mai state solo feste di studenti, ma della cittadinanza tutta, immagini e racconti
venivano tramandati da una generazione all’altra, venivano spesso organizzate mostre del
“papiro antico”, vale a dire raccolte di papiri di matricole o di laureandi divenuti poi:
Accademici, Rettori, Sindaci, Deputati, Ministri, ecc...per non parlare di burle che ebbero
grande eco, molto spiritose, ma sostanzialmente innocue.
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Ebbene, nelle tre Università citate, a partire dai primi anni ’90 molti riti, cerimoniali, l’uso del
cappello goliardico, tornano in auge, così come le burle storiche. Un esempio: a metà degli
anni ’90, a Bologna, un’importante boutique del centro organizza un evento pubblicitario
imperniato sulla presenza di Claudia Schiffer. Per vie ignote, i goliardi lo vengono a sapere
molto per tempo e quindi pensano di preparare un “evento” a modo loro: scelgono fra le
studentesse una “bellona”, che si sarebbe truccata e vestita in modo da sembrare la Schiffer,
procurano un’auto sportiva di lusso, un autista in livrea, scelgono un gruppetto di studenti alti e
prestanti per fungere da body-guard. Al giorno e all’ora stabiliti organizzano un corteo di auto
che giunge alla boutique poco prima dell’ora ufficiale dell’arrivo della vera Schiffer; il titolare
del negozio, tutto emozionato e compreso, va incontro alla bellona per il benvenuto, ma riesce
solo a dire: “carissima....ma.....non è lei!!”. La scena viene subito animata da un noto canto
goliardico, e investita dai lampi dei flash dei fotoreporter: a tutti risulta chiaro che si tratta di
una burla di studenti. Il titolare della boutique è più spaventato che arrabbiato......poco dopo
arriva la vera Schiffer, si ripete la scena fra applausi scroscianti. La finta modella e i suoi
accompagnatori sono invitati a partecipare al rinfresco, ricevono complimenti e congratulazioni
da tutti, vengono intervistati dalla stampa. La notizia dello scherzo sopravanza tutto il resto, fa
il giro della provincia; la finta Schiffer, sul piano pubblicitario, ottiene un effetto moltiplicatore
rispetto alla vera. Il titolare della boutique è il vero vincitore.
Tanti saluti dal vostro affezionato
GOLIA
ANNO ACCADEMICO 2006-2007 - NOTIZIARIO n. 37 - 26 febbraio 2007
Cari Clerici Vagantes del XXI secolo,
negli anni del cosiddetto “riflusso”, i giornali locali di città sedi di Atenei di antica tradizione,
abituati in passato a dar spazio alla cronaca della vita goliardica, si diedero a rievocazioni di
avvenimenti clamorosi del passato. Questo atteggiamento della stampa interpretava desideri e
nostalgie dei lettori per fatti non dimenticati ed entrati nella leggenda. Mi limiterò ad un paio di
esempi.
Il primo: “Il missile di aprile”, da “Il Resto del Carlino” del 3 febbraio 1978.
“Questo scherzo nacque per far passare un primo aprile diverso alle Forze dell’Ordine.
Campesan [ goliarda, Duca del Bo’, correva l’anno della crisi dei missili a Cuba ] e amici
comperarono un vecchio scaldabagno, lo riverniciarono, gli fecero nel fianco una scritta in
caratteri che sembravano cirillici, lo riempirono di strani congegni dall’aria complicatissima
provenienti dall’Istituto di fisica ed in piena notte andarono ad impiantarlo, a testa in giù, in
un campo presso Albignasego. Si nascosero poi nei pressi per assistere alla reazione
della gente, ma questa superò di gran lunga l’effetto desiderato in quanto non si erano
accorti di aver posto l’ordigno a pochi metri dal muro di cinta di una polveriera. Un’ora
dopo l’alba la zona pullulava già di polizia ed artificieri; intervennero anche gli specialisti
della Direzione di Artiglieria di Venezia. Tra gli altri vennero chiamati degli artiglieri esperti
in missili, ma nessuno riuscì a capirci nulla. Così il missile venne caricato con infinite
cautele su di un camion e portato al Museo degli Artificieri, dove ancora lo si può
ammirare come uno dei più solenni bidoni subiti da quel corpo”.
Il secondo esempio da “Il Gazzettino” del 10 febbraio 1981.
“ Nel 1945, Tribuno ad interim, per così dire, era Sergio Druidi, uno dei più scatenati e che
tra l’altro sapeva benissimo l’inglese [ n.d.r. l’inglese all’epoca era praticamente
sconosciuto ai più in quanto lingua della “perfida Albione”]. Guarda caso all’inaugurazione
ufficiale dell’anno accademico, nell’aula magna, di fianco al Rettore ed al Senato
Accademico, c’era anche il Generale Alexander [Comandante in capo delle forze alleate in
Italia ]. Prima che parlasse Druidi, l’aula era un vero caos: pernacchie, urla, insulti a
Rettore e professori. Poi quando fu il suo turno, silenzio assoluto. Druidi attaccò a parlare
tra ampi cenni di consenso del Senato Accademico che, visto che lui stava parlando in
inglese, non capiva un accidente. Chi capì invece, fu Alexander il quale, dopo due minuti,
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prese su e se ne andò indignatissimo. Druidi gli aveva detto in inglese che, al tempo dei
romani, Londra era un accampamento sul Tamigi e Parigi il centro di smistamento delle
loro....”divagazioni femminili”. Quella volta il comando inglese vietò il proseguimento della
festa degli studenti”.
Sono solo due esempi, fra i tanti che si potrebbero fare, di rievocazioni giornalistiche di
clamorose beffe, aventi lo scopo non dichiarato, secondo me, di fornire alle generazioni
contemporanee ispirazioni per imprese simili. E voi, miei seguaci del XXI° secolo, che ne
direste di inventarvi una bella burla all’indirizzo del Presidente e del Rettore per un futuro
primo di aprile?
Tanti saluti dal vostro affezionato
Golia
ANNO ACCADEMICO 2006-2007 - NOTIZIARIO n. 38 - 2 aprile 2007
Cari Clerici Vagantes del XXI secolo,
questa volta affronto il tema della Laurea. Il conseguimento del titolo di studio è l’elemento di
separazione fra due fasi della vita, la prima da studente, e quindi da goliarda, che si conclude,
e la seconda della professione che si prospetta; come tutti i momenti di passaggio, anche
questo è caratterizzato da gioia, esaltazione,......non privo però di un fondo sottile di
malinconia.
Laurea alla lettera vuol dire “corona d’alloro”, infatti il nuovo Dottore fin dal Medioevo veniva
cinto con la corona d’alloro intorno al capo o con un serto intorno al collo. Questa usanza, di
valore puramente simbolico, si è tramandata nei secoli in alcune università e in qualche caso
è sopravvissuta fino ai giorni nostri. E’ il caso dello storico Ateneo Patavino e delle neonate
università del Triveneto fondate negli ultimi decenni del ‘900 ( Trento, Trieste, Verona,
Vicenza, Udine.....). In molti Atenei il cerimoniale accademico rimane fedele alla tradizione:
docenti in ermellino, discussione della tesi e proclamazione della Laurea svolte in ambienti
ricchi di gloriose memorie. Per esempio a Padova usa ancora utilizzare le aule storiche del
Palazzo del Bo’: per Medicina, l’aula di Anatomia in uso dal 1600, per le Facoltà scientifiche,
l’aula di Galileo ove si può ancora ammirare la cattedra da cui il maestro della fisica impartiva
le sue lezioni. Infine l’ultimo atto del cerimoniale è l’imposizione del serto di alloro al collo del
neo-laureato. Il neodottore viene a questo punto preso in consegna dai goliardi, che gli fanno
vivere gli ultimi momenti di goliardia: deve passare correndo fra due file di studenti che
tentano di assestargli un bel calcio nel sedere, accompagnato da una canzonaccia intesa a
sollecitare la immediata uscita da un mondo che non gli appartiene più. Egli, superata la
prova, si troverà fuori dal Palazzo del Bo’; verrà quindi condotto a vedere e leggere il “papiro”
per lui predisposto, una sorta di manifesto corredato di disegni caricaturali con note
biografiche. Il papiro può ispirarsi alla struttura di un monumento o di una lapide, ma il
messaggio in fondo è sempre quello: in questo giorno finisci di essere studente, di essere
Goliarda, finisce la giovinezza spensierata. Il cerimoniale si conclude sul monumento a
Camillo Benso Conte di Cavour, nell’omonima piazza di Padova, col discorso del neodottore.
Un rinfresco con parenti e amici segnerà il commiato definitivo.
Ricordo che ho inviato la prima delle lettere di Golia per il Notiziario N.° 8 del 20/11/2001,
sono passati oltre cinque anni. Ci siamo fatti compagnia, vi ho raccontato una storia di 900
anni, da Abelardo ai giorni nostri; non so se vi ho divertito e se conserverete un buon ricordo.
Una rubrica, diceva Indro Montanelli, deve finire “prima di averla in uggia”.
Con una vena di commozione e di malinconia prendo congedo da voi tutti:
Vostro affezionato
GOLIA
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UNIVERSITÀ DELLA TERZA ETÀ SESTO SAN GIOVANNI