Saggi
Quintino Sella: uno scienziato statista
ED un Italiano Europeo *
1. L’attualità di Quintino Sella meritava di essere valorizzata
nell’ambito delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità nazionale
italiana. E così ha fatto l’Accademia Nazionale dei Lincei nel convegno «Quintino Sella scienziato e statista per l’Unità d’Italia» e
nella mostra «Quintino Sella Linceo», resi possibili anche grazie al
supporto del Comitato per le Celebrazioni dei 150 anni dell’Unità
d’Italia e della Fondazione Sella.
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha presenziato alla giornata inaugurale di entrambi gli eventi nell’ambito
dell’impegno straordinario ch’egli ha profuso per rinnovare e rinforzare l’Identità Italiana, nella continuità degli ideali del Risorgimento riaffermati con la nascita della nostra Repubblica, innestata nella civiltà e nelle istituzioni europee dopo la tragedia della
guerra e della dittatura fascista. Per tutto ciò e per la sua presenza lo ringrazio sentitamente a nome di tutti i Lincei, in particolare
del Presidente Lamberto Maffei, che non ha potuto essere presente a causa di altri impegni accademici negli Stati Uniti.
Con questa celebrazione l’Accademia Nazionale dei Lincei
conclude solennemente le sue manifestazioni dedicate al 150° anniversario dell’Unità d’Italia, idealmente iniziate già nel febbraio
del 2010 con la conferenza presso la nostra Accademia del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sul tema «Verso il
* Questo saggio è premessa sia al presente catalogo sia al volume «Quintino Sella, scienziato e statista per l’Unità d’Italia», in corso di pubblicazione negli Atti dei
Convegni Lincei.
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150° dell’Italia unita: tra riflessione storica e nuove ragioni di impegno condiviso».
Noi leggiamo nell’apprezzamento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per l’Accademia Nazionale dei Lincei,
così come in quello dei suoi predecessori, da Einaudi a Ciampi,
la valorizzazione del ruolo di una istituzione dove dalla scienza
si passa al sapere e dove entrambi si fondono nella saggezza che
trae dalla storia senso di responsabilità e di discernimento per capire ed affrontare il presente e il futuro. In questa prospettiva la
figura di Sella assume una grande attualità. Se, infatti, è vero che
Sella non fu uno scienziato che portò a scoperte galileiane, è altrettanto vero che egli fu uno scienziato statista che diede un contributo determinante al progresso istituzionale delle scienze e del
sapere, delle tecniche e dell’economia, della modernizzazione italiana in Europa.
2. Per questo la personalità di Sella rappresenta ancora nel
2011, a centoventisette anni dalla sua morte, un paradigma al quale l’Accademia Nazionale dei Lincei deve ispirarsi nello svolgere
la sua missione nel rafforzamento dell’Unità d’Italia per l’incivilimento e per il bene comune nel contesto europeo. In questi centoventisette anni valutazioni autorevoli su Sella non lasciano dubbi
sulla rilevanza della sua personalità e della sua azione.
Nel 1928, cento anni dopo la nascita di Sella, che visse solo
cinquantasette anni (1827-1884), un grande linceo, Benedetto Croce, scrisse che la destra storica, della quale Sella fu una delle personalità di maggiore spicco, era una «eletta di uomini […] da considerare a buon diritto esemplari per la purezza del loro amore di
patria […] per la serietà e dignità del loro abito di vita, per l’interezza del loro disinteresse, per il vigore dell’animo e della mente».(1) Quanto a Sella egli scrisse che fu «l’eroe che impersonò la
lotta per il pareggio [di bilancio, ndr …] con tenacia pari solo al
(1) B. Croce, Storia d’Italia. Dal 1871 al 1915, a cura di G. Talamo, Napoli
2004, p. 13 (prima edizione 1928).
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coraggio di superare ogni sorta di ostacolo […]».(2) Nel 1984, a
cento anni dalla morte di Sella, Rosario Romeo, un grande storico
linceo, affermò che se gli Italiani «vorranno trarre ispirazioni dal
passato per il loro avvenire, potranno […] riandare al suo progetto
[di Sella, ndr] di un’Italia più seria e più solida, più moderna e più
fiduciosa in sé stessa e nel suo ruolo in Europa e nel mondo».(3)
Giungendo al 2011, intendiamo sintetizzare la riflessione su
Sella con quanto ci ha scritto il Presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi: «È con profondo rammarico che mi
vedo costretto a mancare l’appuntamento che l’Accademia Nazionale dei Lincei dedica alla straordinaria personalità di Quintino Sella: statista, politico, economista, scienziato, amministratore e organizzatore lungimirante, dalla cui vicenda pubblica l’Italia
contemporanea può ancora trarre insegnamento».(4)
Questa è anche la nostra visione di Quintino Sella, la cui poliedrica e straordinaria personalità è stata esaminata, valutata e presentata in occasione del convegno e della mostra negli scritti di
tanti illustri collaboratori e relatori, ai quali va il nostro più sentito ringraziamento, che si esprime innanzitutto nel richiamare qui
il loro nome e il loro ruolo non come atto formale ma come apprezzamento convinto e sostanziale.
3. Il Convegno «Quintino Sella, Scienziato e statista per l’Unità d’Italia» ha avuto un Comitato d’Onore costituito dal Presidente Emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, dal Presidente
del Comitato dei Garanti per le celebrazioni del 150° anniversario dell’unità nazionale, Giuliano Amato, dai Presidenti Emeriti
dell’Accademia Nazionale dei Lincei, Giovanni Conso, Giorgio
Salvini ed Edoardo Vesentini, dal Presidente in carica, Lamberto Maffei. Ad essi è stato affiancato Luigi Sella, in rappresentan(2) Ivi, p. 52.
(3) R. Romeo, Quintino Sella, in Quintino Sella, Giornata Lincea indetta in occasione del I Centenario della morte, Roma 1984, p. 27.
(4) Lettera del Senatore Carlo Azeglio Ciampi indirizzata ad Alberto Quadrio
Curzio, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, Archivio.
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za della famiglia quale discendente diretto della personalità celebrata.
Il Comitato ordinatore del convegno è stato costituito da Alberto Quadrio Curzio, linceo e coordinatore dello stesso, e dai soci
lincei Michele Caputo, Maria Bianca Cita Sironi, Carlo Doglioni, Franco Gallo, Annibale Mottana, Antonio Pedone, Alessandro
Roncaglia. Il Comitato Ordinatore, del quale sono stati chiamati a far parte anche Giovanni Paoloni (studioso che tante volte ha
collaborato con i Lincei) e Lodovico Sella (Presidente della Fondazione Sella), ha intensamente lavorato alla progettazione, condividendo, al di là della singola specializzazione scientifica, la valutazione della figura di Sella, così sinteticamente e unitariamente
presentata:
Il Convegno intende rivisitare l’eccezionale figura di Quintino Sella nei
suoi diversi ruoli di statista, scienziato, tecnologo, personalità di alta cultura e di grande etica civile che ha contribuito alla Unificazione nazionale italiana e alla configurazione istituzionale di Roma come capitale
del nuovo Stato. È raro nella storia dei 150 anni dello Stato italiano trovare una personalità che, muovendo da una rigorosa mentalità scientifica, abbia saputo mettere la stessa al servizio istituzionale della nuova
Nazione coronando la sua opera anche con la rifondazione della Accademia dei Lincei. Quella che Sella volle ricongiunta agli ideali dei primi fondatori che agli inizi del XVII secolo promossero l’affermarsi della nuova scienza soprattutto per opera del principe Federico Cesi e del
genio di Galileo Galilei.(5)
Nel volume degli Atti inerenti al convegno compaiono ben diciannove saggi che confermano la serietà e il rigore con il quale l’iniziativa è stata progettata e realizzata. Ne daremo conto nel seguito, ricordando qui che il convegno è stato aperto e chiuso dallo
scrivente, mentre le quattro sessioni sono state presiedute da Tullio Gregory, Edoardo Vesentini, Maria Bianca Cita Sironi, Franco Gallo.
La Mostra «Quintino Sella Linceo» è stata promossa e curata
(5) Si veda il programma del convegno.
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da Tullio Gregory (coordinatore), da Giovanni Ferraris, da Giovanni Paoloni, da Ludovico Sella e da Marco Guardo, che si sono avvalsi anche della collaborazione di Alessandro Romanello. Il presente catalogo, segnato dalla sequenza storico-logica di tre sezioni
(Sella scienziato, Sella statista, Sella Linceo), comprende diversi
saggi che toccano più aspetti. La mostra, allestita nella splendida cornice della Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei
e Corsiniana sotto lo sguardo vigile di Sella (il cui busto, opera di
Emilio Dies, è stato restaurato per l’occasione e posto in apertura del percorso espositivo) si è tradotta in un catalogo di straordinaria efficacia.
Purtroppo non potremo intrattenerci, come vorremmo, su tutti gli scritti, perché questo non si addice ad una premessa. Verso
ogni autore, tuttavia, sentiamo un dovere di riconoscente e convinto apprezzamento, così come l’abbiamo in particolare verso Maurizio Sella (il quale pubblica negli Atti del convegno un interessante
saggio che ripercorre tutti gli aspetti della personalità di Quintino Sella, che fu anche imprenditore innovatore) e verso Lodovico
Sella, che nel presente catalogo figura con un contributo sulla documentazione archivistica della Fondazione Sella, determinante ai
fini del successo della mostra. Cercheremo allora di dare un profilo della personalità, degli ideali e dell’opera di Sella rinviando
agli Atti del convegno e ai contributi del catalogo.
4. Da ogni saggio emerge che Sella da un lato diede un contributo forte alla costruzione dell’Unità d’Italia e dall’altro esprime paradigmi di perdurante attualità per il progresso istituzionale, sociale, economico, scientifico e tecnologico dell’Italia. Nella
relazione di apertura del convegno Rosario Villari ha argomentato che Sella, nella costruzione dello Stato unitario nell’ambito della Destra storica
ha acquistato e mantiene una permanente attualità storica nella coscienza civile del nostro Paese per la profonda convinzione della necessità di
superare lo squilibrio tra l’Italia e le nazioni più sviluppate, per la subordinazione della fortuna politica personale all’interesse della comunità na-
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zionale, per la disposizione a verificare alla luce dei fatti la validità delle
dottrine, per la novità dell’impegno sulla questione romana e sul rapporto tra lo Stato e la Chiesa, per la concezione universalistica del ruolo di
Roma capitale, per il tentativo di collegare la riforma politica alle grandi tradizioni scientifiche della prima età moderna, per la considerazione
non soltanto repressiva, infine, della emergente questione sociale.
Per comodità espositiva diamo un profilo della personalità di
Sella sotto due aspetti: quello di scienziato e quello di statista. La
distinzione è convenzionale in quanto egli fu uno scienziato statista e uno statista scienziato. Talvolta nella sua vita prevaleva un
aspetto sull’altro.
Come scienziato statista, dopo la laurea in Ingegneria idraulica a Torino nel 1847, si perfezionò in Francia, in Germania e in
Inghilterra, dove si interessò anche della manifattura. Da qui verrà
la sua attenzione anche alla tecnoscienza e all’economia, nonché la
sua costante apertura europeista. Ritornato a Torino nel 1852, divenne docente al Regio Istituto tecnico e poi professore alla Università.
La sua dedizione alla scienza e alle sue applicazioni, dov’egli
diede importanti contributi anche in matematica, mineralogia, cristallografia (di cui tratta Ferraris nel convegno) fu anche nella politica della scienza e della tecnica. Egli infatti contribuì in vari
modi diretti o indiretti anche alla nascita dei due Politecnici di Torino e di Milano (si vedano i contributi di Mario Alberto Chiorino
e Andrea Silvestri nel convegno) nonché al riordino della Facoltà di Scienze a Roma (si rinvia agli interventi Mottana e Doglioni
nel convegno). Così come suo fu il merito dell’impostazione di un
corpo tecnico statale e della Carta geologica d’Italia (di cui discutono Giorgio Vittorio Dal Piaz e Pietro Corsi nel convegno). Egli
aveva della scienza una visione non settoriale ma generale, ovvero istituzionale, ritenendo che solo facendo leva sulla stessa l’Italia potesse recuperare rispetto alle altre nazioni europee più avanzate, come emerge da quasi tutti i saggi prima menzionati.
In definitiva Sella concepì la scienza sia quale strumento di unificazione e progresso nazionale sia per una politica del territorio e
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delle risorse (come argomenta Dal Piaz) sia verso entità politicoamministrative circoscritte (come governatore del Friuli: si veda a
riguardo la relazione di Bruno Londero presentata al convegno).
Ma è interessante constatare come per Sella l’Italia si costruisse anche con lo sviluppo della lingua italiana, con l’avvicinamento della lingua scritta a quella parlata intesa come «lingua di tutti» gli Italiani, come argomenta Valeria Della Valle nel contributo
edito nel presente catalogo.
Come statista-scienziato, Sella (la cui vita politica iniziò da deputato al Parlamento subalpino nel 1860, dov’egli sedeva accanto
a Giuseppe Verdi, ch’ebbe per lui grande stima) divenne cruciale come Ministro delle Finanze per ben tre volte (marzo - dicembre 1862, settembre 1864 - dicembre 1865, dicembre 1969 - luglio
1873). Fu in quel ruolo che Sella assunse la caratura riconosciuta
dello statista, determinante in quel periodo di enormi sfide e scelte
dello Stato Unitario. Nel governo dell’economia il suo contributo
al pareggio di bilancio, sia pure raggiunto dopo di lui, fu cruciale
per il consolidamento dello Stato che, pur unificato, a giudizio di
molti, in Italia e all’estero, si sarebbe squalificato o disintegrato
sulla finanza.(6) La sua politica fu innovativa e si caratterizzò per
il taglio della spesa corrente e per l’aumento delle entrate senza
penalizzare gli investimenti necessari al nuovo Stato. Questi portarono, anche a causa degli interessi e fino al 1870, a un aumento del debito pubblico sul PIL, che poi fu ridotto di 15 punti percentuali già nel 1874.
La sua politica fiscale, che improntò per un secolo il sistema
tributario italiano, si fondò su varie (e talvolta nuove) imposte, tra
le quali quella di ricchezza mobile e quella sul macinato, per la cui
applicazione egli impiegò anche gli ingegneri. Tassò anche i titoli del debito pubblico, allora in gran parte di benestanti. Sella era
ben consapevole della complessità della materia fiscale, tant’è che
in un discorso parlamentare del 1874 sulla riforma alle leggi d’imposta disse: «Spero anch’io che si ritocchino in guisa che ciascuno
(6) B. Croce, Storia d’Italia, cit., p. 51.
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abbia le minori noie possibili, e paghi ciò che deve pagare, e ne
abbia vantaggio tanto la giustizia come l’erario […]».(7)
Sella vendette beni demaniali a finalità non pubblica e beni
confiscati all’asse ecclesiastico, dando anche in concessione privata taluni servizi. Riuscì però a finanziare, con selettivo rigore,
investimenti infrastrutturali per la crescita ed ebbe grande attenzione all’istruzione pubblica del nuovo Stato. La stessa gli fu sempre presente sino a spingerlo ad assumere l’interim del Ministero
dell’istruzione tra il maggio e l’agosto del 1872, tra le dimissioni di Cesare Correnti e la nomina di Antonio Scialoja, anch’egli
Linceo. In questo egli ebbe una chiara concezione dello sviluppo,
traen­do le sue convinzioni dall’essere anche uno scienziato che faceva del sapere la base dello sviluppo.
Di questi temi, che vanno dalla politica tributaria a quella di
bilancio a quella dello sviluppo economico, trattano con diversa
enfasi nel convegno Giovanni Marongiu, Antonio Pedone, Franco
Reviglio, Pierluigi Ciocca, mentre Alessandro Roncaglia mostra
come non sia facile collocare Sella nella cultura economica del secondo Ottocento, essendo appunto Sella non un economista ma uno
scienziato statista. Infine le sue caratteristiche di scienziato statista e statista scienziato culminarono con la rifondazione dei Lincei, che va vista anche quale conseguenza della sua determinazione a portare la capitale del Regno a Roma. Il suo grande prestigio
gli consentirà infatti di rifondare nel 1874 e di presiedere fino alla
sua morte, nel 1884, l’Accademia dei Lincei in Roma capitale, che
nella scienza doveva trovare un suo forte carattere distintivo.(8)
Su questo tema si intrattiene in particolare Tullio Gregory, che
nel saggio di apertura del presente catalogo (Quintino Sella, Roma,
l’Accademia dei Lincei) inizia la sua trattazione muovendo proprio
dal discorso di Sella del 14 marzo 1881, nel quale lo statista scienziato ricorda un incontro del 1871 con Theodor Mommsen, poco
dopo il trasferimento del Governo Italiano a Roma. Scrive Sella:
(7) Q. Sella, Discorsi parlamentari, V, Roma 1890, p. 877 (18 ottobre 1874).
(8) B. Croce, Storia d’Italia, cit., p. 11.
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Una sera, nel calore della conversazione, dopo parlato di Roma antica, di Roma papale, di idealismo, di realismo e di non so quante cose,
il fiero teutonico si alza e mi dice in tono concitato: ma che cosa intendete di fare a Roma? Questo ci inquieta tutti; a Roma non si sta senza
avere dei propositi cosmopoliti. Che cosa intendete di fare? Io cercai di
tranquillarlo (e credo che oggi si sarà tranquillato, visto che non abbiamo
neppure la virtù di soffrire un tantino per arrivare a maggiore grandezza).
Ma io gli dissi: sì, un proposito cosmopolita non possiamo non averlo a
Roma: quello della scienza. Noi dobbiamo renderci conto della posizione che occupiamo davanti al mondo civile, da che siamo a Roma.(9)
Da qui Gregory dimostra la determinazione, la coerenza e la concretezza di Sella per fare di Roma la capitale non solo del nuovo
Stato Italiano ma anche della scienza e del pensiero moderno, una
volta cessato il potere temporale e teocratico.(10)
Non più Ministro, Sella dedicò dunque alla rifondazione dei
Lincei (di cui tratta Paoloni nel convegno, anche in rapporto alla
accademia dei XL ed a quella Pontificia) il suo ingegno per ricostruire in Roma l’Accademia sui principi fissati agli inizi del 1600
da Federico Cesi e Galileo Galilei (si veda il saggio di Marco Guardo nel Catalogo). Egli volle inoltre che a fianco della Classe di
Scienze fisiche, matematiche e naturali dell’Accademia dei Lincei
vi fosse anche la Classe di Scienze morali, storiche e filologiche,
denominazione complessa che in parte richiama l’impostazione di
John Stuart Mill e una impostazione induttiva (come argomenta
Raffaella Simili nel contributo presentato al convegno) e in parte
richiama la grande cultura umanistica italiana. Della nuova Classe
fu Presidente, durante il primo decennio di vita dell’Accademia,
Terenzio Mamiani della Rovere, prestigioso letterato, grande figura del nostro Risorgimento, che vedeva nell’istruzione e nella cultura una componente fondamentale dell’incivilimento.
L’apertura europea ed internazionale di Sella, condivisa da Mamiani, portò anche all’istituzione presso i Lincei della categoria dei
(9) Q. Sella, Discorsi parlamentari, cit., I, Roma 1887, p. 292.
(10) Ivi, p. 302.
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soci stranieri (si veda il già citato contributo della Simili), tra i primi Charles Darwin e Theodor Mommsen, verso i quali Sella nutriva una profonda ammirazione. In tal modo si confermava l’impostazione cesiana e galileiana.
5. In conclusione. Abbiamo sottolineato in questa prefazione
l’impostazione risorgimentale di Quintino Sella per rilevare in particolare il suo contributo all’Unità d’Italia nella ricorrenza dei 150
anni dell’Unità Nazionale. Ma l’insegnamento di Sella va oltre e
risuona in questa sua affermazione tratta da un discorso pronunciato ai Lincei nel 1880: «La grandezza e la prosperità d’un Paese è indubbiamente una conseguenza diretta, o come i matematici direbbero, una funzione del progresso morale, intellettuale ed
economico dei cittadini».(11) Questa «funzione» fu allora possibile perché parte rilevante della classe politica del tempo pose l’interesse nazionale sopra quello di parte e di partito, coniugando rigore civile e competenza professionale.
Alberto Quadrio Curzio
(11) Q. Sella, Discorso del Presidente Quintino Sella (seduta del 19 dicembre
1880), «Atti della Reale Accademia dei Lincei. Transunti», V (1881), p. 39.
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Note sulla documentazione archivistica
di uno dei fautori della nuova Italia
Nel celebrare i centocinquanta anni dell’Unità d’Italia l’Accademia Nazionale dei Lincei ha ravvisato in Quintino Sella il restauratore delle sue sorti (secondo l’espressione di Rosario Romeo),
lo scienziato acquisito alla politica, da molti ritenuto il principale uomo di Stato della generazione rinnovatrice dell’Italia postunitaria.
Il convegno Quintino Sella scienziato e statista per l’Unità
d’Italia e la mostra Quintino Sella Linceo del dicembre 2011 a
Roma hanno dato occasione alla Fondazione Sella di esporre nella Biblioteca accademica una parte cospicua della documentazione utile a evidenziare la tensione ideale, il percorso e le circostanze che condussero alla rinascita dell’Accademia, divenuta con la
Presidenza Sella punto d’incontro cosmopolita in un’epoca di eccezionale sviluppo culturale, scientifico ed economico.
A Sella non mancarono consensi pubblici e privati come pure
attacchi ed opposizioni fortissimi, seppur attenuati nelle caricature
del tempo, che lo raffigurano erto su simbolici scarponi da montanaro. Egli fu autore di opere scientifiche, storiche, politiche, finanziarie ed economiche, molte delle quali tradotte in diverse lingue. Poco dopo la sua scomparsa furono dati alle stampe, in 5
volumi, i Discorsi Parlamentari di Quintino Sella raccolti e pubblicati per deliberazione della Camera dei Deputati e la biografia
di Alessandro Guiccioli, segno di una stima affettuosa. Seguirono
saggi di eminenti studiosi e altri scritti, editi nel 1927 in occasione
del centenario della nascita. Nel 1984, per il centenario della morte, Biella gli dedicò un’esaustiva mostra documentaria corredata
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da un catalogo; Torino, a Palazzo Carignano, promosse un Convegno Nazionale di Studi, al quale seguì la pubblicazione degli Atti;
Roma, infine, una Giornata Lincea con interventi di Germano Rigault su La figura scientifica di Quintino Sella e di Rosario Romeo su Quintino Sella uomo di Stato. Nel 1980, nella collana storica dell’Istituto della Storia del Risorgimento Italiano, fu stampato
il primo volume (a cura di Guido e Marisa Quazza) dell’Epistolario di Quintino Sella, oggi giunto all’ottavo, opera insigne per la
consistenza numerica delle testimonianze epistolari contenute e per
l’ampiezza e il rigore dell’apparato di note. Le ricerche sottese per
anni allo studio dell’epistolario resero possibile a Guido Quazza
un ulteriore, significativo, contributo: L’Utopia di Quintino Sella.
La politica della scienza, volume edito nel 1992 dal Comitato di
Torino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano e caratterizzato da un approfondito esame della formazione della personalità e dell’opera di Sella.
La sua memoria fu onorata altresì da cospicue vestigia monumentali: Biella, Torino, Iglesias e Roma innalzarono al grande statista monumenti commemorativi, così come gli furono dedicati numerosi busti e lapidi.
Inaugurata dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la mostra lincea del 2011 ha riconsiderato con ampia prospettiva storica gli anni trascorsi dall’Unità del nostro Paese, avvalendosi di una cospicua messe di documenti originali, principalmente
conservata presso la Fondazione Sella a Biella e la Biblioteca e
l’Archivio dell’Accademia Nazionale dei Lincei.
Per quanto attiene al corpus delle carte di Sella mette conto rilevare che esse sono custodite dalla Fondazione Sella accanto ad
altri documenti aviti, risalenti a un lontano passato, chiara testimonianza del valore ad essi ascritto: Sella stesso, infatti, si era premurato di riporre nell’archivio di famiglia i suoi diplomi di nomina
e di benemerenza. Si può supporre che ciò rispondesse a un’inclinazione propiziata sin dagli anni della giovinezza: da ragazzo,
infatti, egli ebbe modo di occuparsi dell’archivio familiare, svolgendo uno dei primi incarichi di norma richiesti da una famiglia
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di imprenditori tessili. Tale consuetudine, irrobustita dall’habitus
scientifico acquisito durante gli studi e dall’ausilio della statistica, sarà destinata a tradursi in un metodo di fondamentale importanza per conoscere, progettare e, infine, agire. Giova menzionare
alcune serie delle sue carte, oltre a quelle «personali e di studio».
Citiamo a titolo di esempio: «carteggio» (ventisettemila lettere ricevute da ben cinquemilacinquecento corrispondenti, ordinate alfabeticamente); «attività scientifica»; «attività politica»; «Ministero
Rattazzi, 1862»; «Ministero La Marmora, 1864-1865»; «Commissario Straordinario del Re, Udine 1866»; «Ministero Lanza-Sella, 1869-1873»; «Casse Postali di risparmio, 1870-1875» (queste
ultime in un volume rilegato e corredato da un indice di suo pugno); «Accademia dei Lincei»; infine «originario», eloquente definizione che si riferisce a una raccolta di documenti medievali di
comuni biellesi e non solo, che Sella custodiva nel suo studio per
le ricerche in campo storico. L’insieme è cospicuo e conta circa
duecento faldoni.
Una così vasta silloge di documenti consente di individuare il
filo conduttore per conoscere gli ideali che ispirarono Sella nel corso di tutta la vita. Un’indicazione preziosa può trarsi, ad esempio,
dal Diario parigino del 1848, nel quale leggiamo: «Il mio scopo,
salvo le eccezioni straordinarie, è ora ben fisso davanti a me, ed è
quello di cercare in ogni modo di formare la mia educazione prima per riescire atto alla specialità a cui mi sono dedicato, e quindi
per poter servire al bene dell’Italia dedicandomi all’insegnamento.
Infatti il miglior modo di far risorgere l’Italia, e di renderla virtuosa e grande è senza dubbio quello di educare bene i figli».
La sua opera di scienziato, inoltre, emerge assai chiaramente
dagli appunti, ricchi di disegni di cristalli, contenuti nelle Note di
mineralogia e litologia, vergate in una grafia fitta e minuta durante il corso seguito all’École des Mines di Parigi. In una lettera alla
madre del dicembre 1851 leggiamo: «Una passione sola mi cagiona talvolta qualche conforto, è quella delle pietre. Ho qua occasione di studiare delle bellissime pietre, e ciò mi fa passare qualche
ora felice. Non avrei mai creduto che lo studio della natura fos15
se così allettevole». Riguardo al fondatore del Club Alpino commuove ancora oggi il taccuino di appunti, nel quale il testo che descrive le escursioni, vergato a lapis, è giustapposto al disegno del
profilo dei monti.
L’uomo di industria, d’altra parte, è ben rappresentato dal taccuino Patrimonio di Quintino Sella e Clotilde Rey sua moglie, nel
quale egli annota anno per anno la variazione dell’ammontare del
patrimonio di famiglia dal 1846 al 1881. All’indicazione delle cifre
si affiancano annotazioni puntuali e talora toccanti, stese, ad esempio, in occasione della morte di suoi cari (il padre, la madre, il fratello) o della donazione ai figli di quote del lanificio di famiglia.
Una indagine analoga può essere condotta attraverso l’esame
dei suoi libri. Anche in questo caso occorre prendere le mosse dalla biblioteca di famiglia, della quale rimangono elenchi, divisi nelle classificazioni bibliografiche proprie dell’epoca che precedette
gli anni di Sella: sono circa seicento le opere di «Botanica», pubblicate tra il 1750 e il 1850; duemila le opere di «Medicina», comprendenti le scienze mediche, naturali e fisiche; tremilacinquecento
le opere alla voce «Letteratura», che annoverano i classici latini e
greci, Dante e la letteratura moderna, i viaggi, le scoperte geografiche, la geografia universale, la storia, la religione, l’arte, la musica. Grazie alla donazione, disposta da Sella e dal fratello Giuseppe Venanzio, i volumi di questa biblioteca contribuirono a formare
negli anni Settanta del XIX secolo il primo nucleo della Biblioteca
Civica di Biella. Il catalogo della biblioteca personale di Sella non
è pervenuto, tuttavia possiamo congetturarne il contenuto tramite i
libri giunti sino a noi, come ad esempio i quaranta tomi della Biblioteca dell’Economista, pubblicata da Pomba a Torino dal 1854,
e la raccolta dei Bullettini del Club Alpino (dal 1864), insieme alle
prime annate della Rivista Alpina Italiana (dal 1875), che Sella
ebbe la gioia di vedere. Il genere delle letture consigliate dall’illustre statista emerge poi con chiarezza dai libri donati alla Società
Operaia di Mutuo Soccorso di Tollegno nel Biellese: essi appartenevano tutti alla Raccolta di letture scientifiche popolari in Italia.
La scienza del popolo, edita da Treves a Milano.
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Non possiamo inoltre trascurare i volumi conservati nella sua
casa natale alla Sella di Mosso e appartenuti a sacerdoti di famiglia, dalle cinquecentine di contenuto religioso alle opere di stampo giansenista: sia l’episodio della lettura dell’Imitazione di Cristo (summa di etica cristiana leggibile anche in chiave laica), fatta
al fratello Giuseppe Venanzio in fin di vita, sia gli accenni a questioni religiose e morali, testimoniate negli scritti e nei discorsi,
attestano il profondo rilievo di quel fondo librario.
Spicca in modo assai significativo, anche sotto il profilo metodologico, la Miscellanea di opuscoli e manoscritti a cura di Sella e oggi custodita presso la Biblioteca Civica di Biella: seicentosessanta corposi volumi (inerenti a sezioni dello scibile umano da
lui stesso ideate), contenenti opuscoli e manoscritti, talora impreziositi da annotazioni autografe. Essi danno origine a una raccolta
concepita quale strumento essenziale per approfondire ricerche e
progetti volti al consolidamento e al progresso dell’Italia nei primi anni dell’Unità.
Da questo pur breve contributo emerge durante la vita di Sella
una sostanziale coerenza tesa allo scopo prefissato sin dalla giovinezza, come quando, neo direttore del Gabinetto di Mineralogia
dell’Istituto Tecnico di Torino, egli ricevette l’incarico di riordinarne la collezione di minerali: in quell’occasione, infatti, Sella non
mancò di incrementarla con il dono della sua collezione personale
di più di settemila esemplari, in modo da potenziarne la fruibilità.
Un eguale sentire condusse altresì all’acquisizione del manoscritto
del Codex Astensis detto di Malabayla dall’imperatore d’Austria,
a Vienna, che Sella stesso pubblicò negli «Atti della Reale Accademia dei Lincei». Successivamente egli donava il prezioso volume ad Asti, a testimonianza della ricca storia medievale di quella
città, dimostrando in tal modo di non essere mosso dalla passione
del collezionista bensì dal desiderio di diffondere maggiormente
tali antiche memorie.
In considerazione di tutto ciò, la mostra Quintino Sella Linceo
ha inteso porre in luce le più significative tappe della sua vita e
illustrare l’opera svolta per unire gli Italiani in una coscienza na17
zionale. A tale scopo nei suoi ultimi anni Sella farà assurgere al
ruolo di coordinatore la Reale Accademia dei Lincei, palestra di
confronto tra i migliori ingegni dell’epoca in quella Roma capitale d’Italia, modello ideale di un passato comune.
Lodovico Sella
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QUINTINO SELLA,
ROMA, L’ACCADEMIA DEI LINCEI
In un memorabile discorso come relatore del disegno di legge
per il concorso dello Stato nelle opere edilizie in Roma, il 14 marzo 1881, Quintino Sella ebbe a ricordare di un suo incontro con il
grande storico Theodor Mommsen del 1871, «poco dopo l’effettiva venuta del Governo Italiano a Roma:
Una sera, nel calore della conversazione, dopo parlato di Roma antica,
di Roma papale, di idealismo, di realismo e di non so quante cose, il fiero teutonico si alza e mi dice in tono concitato: ma che cosa intendete di
fare a Roma? Questo ci inquieta tutti; a Roma non si sta senza avere dei
propositi cosmopoliti. Che cosa intendete di fare? Io cercai di tranquillarlo (e credo che oggi si sarà tranquillato, visto che non abbiamo neppure la virtù di soffrire un tantino per arrivare a maggiore grandezza).
Ma io gli dissi: sì, un proposito cosmopolita non possiamo non averlo a
Roma: quello della scienza. Noi dobbiamo renderci conto della posizione che occupiamo davanti al mondo civile, da che siamo a Roma.(1)
Roma, restituita all’Italia unita, capitale della scienza: promuovere la ricerca, confrontarsi con le altre nazioni sul piano del pensiero e del progresso scientifico; questa la missione della Terza
Roma. L’idea di Roma, che aveva animato i sogni e l’azione di
mazziniani e garibaldini, di giobertiani e moderati, si concretizza
per Sella in una Roma come capitale del pensiero moderno, rea­
lizzando gli ideali di una cultura laica e positiva, unica alternativa
alla Roma dei Papi, una volta messo fine non solo al potere tem(1) Q. Sella, Discorsi parlamentari, I, Roma 1887, p. 292.
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porale, ma alla «teocrazia papale», all’«imposizione della fede con
la spada».(2)
È noto come Sella fosse uno degli uomini politici della destra più fermi nel richiedere, dopo il 20 settembre, l’immediato
trasferimento a Roma della capitale, con il governo, il parlamento, la monarchia. Contro quanti, anche alla Camera, sostenevano
che «l’idea di Roma è un concetto rettorico, da antiquari istillato
in menti puerili»,(3) la posizione di Sella è fermissima:
O signori io vi devo confessare […] che nella debole mia mente la questione di Roma capitale, sin dai primi tempi in cui ebbi facoltà di pensare ai casi nostri, mi si è sempre affacciata in questi precisi termini: ‘o
l’unità d’Italia sarebbe riuscita ad uccidere il potere temporale, o il potere temporale avrebbe distrutta l’unità d’Italia’ […] io inoltre non ho
mai capito come si potesse ritenere abolito il potere temporale, qual’ora
Roma non fosse la capitale civile d’Italia.
Così nel discorso pronunziato in Senato il 24 gennaio 1871,
discutendo il disegno di legge per il trasferimento della sede del
Governo in Roma.(4)
Tale trasferimento è strettamente connesso alla questione romana, al rapporto della nuova Italia con la curia e il Pontefice, che,
come è noto, con l’Enciclica Respicientes ea omnia (1 novembre
1870), aveva scomunicato il re e quanti con lui avevano voluto e
attuato l’occupazione, ovvero «la sacrilega spogliazione» di Roma
e la sua annessione all’Italia: (5) se tale questione doveva trovare
per Sella la sua soluzione nella legge delle guarentigie, della quale era deciso sostenitore, anche a costo di subire l’accusa di essere
troppo debole e generoso nei confronti del papato, il problema di
Roma capitale si poneva per lui in termini diversi e più ampi. Una
volta assicurate alla Chiesa cattolica la sua autonomia e la sua li(2) Ivi, p. 302.
(3) Ivi, p. 208.
(4) Ivi, pp. 208-209.
(5) Pio IX, Respicientes ea omnia, trad. it. in Tutte le encicliche dei Sommi Pontefici, Milano 1940, pp. 348-351.
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bertà nell’esercizio della sua missione spirituale, non essendo più
Roma la capitale dello Stato Pontificio, essa doveva assumere una
missione nuova, facendosi interprete e maestra del pensiero scientifico, contrassegno della modernità: al cosmopolitismo della religione cattolica doveva sostituirsi il cosmopolitismo della scienza
positiva. Compito della Terza Roma era assicurare all’Italia quel
primato europeo che aveva conquistato nell’età del Rinascimento e
della rivoluzione scientifica, riprendere la strada aperta da Galilei,
interrotta per la «violenza clericale» che ha «atrofizzato lo sviluppo scientifico».(6) Era necessario fare di Roma il «cervello» della
nuova Italia. Tutte le strutture di ricerca andavano rinnovate nella
Capitale del Regno. Significativo già il suo impegno, come ministro ad interim della Pubblica Istruzione, per assicurare adeguati
laboratori scientifici all’Università di Roma. Discutendo il bilancio
della Pubblica Istruzione il 9 giugno 1872, sottolineava come
le scienze sperimentali, per essere vantaggiosamente insegnate, debbano essere munite di grandi laboratorii dove i giovani possano accorrere
in parecchi e starci gran tempo per impratichirsi e acquisire tutte le cognizioni che occorrono per seguitare fortemente i loro studi; (7) mi pare
che tutti gli italiani devono capire – insisterà nel discorso del 18 giugno 1872 – come si abbia una ragione suprema di fare dell’università di
Roma qualche cosa di molto elevato, di splendido e speciale […]. Credo però che ogni uomo, il quale pensi alle condizioni attuali di Roma,
sentirà che qui deve essere un centro scientifico di luce, una università
principalissima, informata soprattutto ai principii delle osservazioni sperimentali che sono sempre imparziali e senza idee preconcette. Ora questi principii si insegnano soltanto laddove sono i necessari laboratorii di
chimica, di fisica e fisiologia.(8)
Era un momento di grande sviluppo, in Europa, delle scienze pure e applicate, con prestigiosi centri di ricerca soprattutto in
Francia, in Inghilterra e in Germania, al cui modello si volgevano
molti uomini di cultura e politici italiani. Era il trionfo della filoso(6) Q. Sella, Dell’Accademia dei Lincei, Bologna 1879, p. 15.
(7) Q. Sella, Discorsi parlamentari, cit., p. 82.
(8) Ivi, p. 220.
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fia positiva legata al metodo sperimentale che sembrava assicurare
progressi infiniti e si presentava come essenziale per l’incivilimento delle nazioni. Il metodo positivo si configurava altresì capace di
unificare tutte le scienze, dalla geologia alla fisiologia, dalla chimica alla psicologia, dalla linguistica alla storiografia, dall’antropologia alla sociologia. Il fascino dei successi e delle promesse della
filosofia positiva ispira la politica culturale di Sella e la sua idea
di Roma come città della scienza capace, per il suo cosmopolitismo, di gareggiare con la città dei Papi. Tornando sull’argomento,
il 21 giugno 1876, diceva:
io credo che il migliore contrapposto al papato sia proprio la scienza
come scienza. Roma, signori è un gran nome, un nome terribile, noblesse
oblige; in Roma vi è un formidabile retaggio di nobiltà, io non so esprimere quello che sento in me davanti a questo nome […] non è soltanto
per portarvi dei travet che siam venuti in Roma, signori.(9)
In questa prospettiva, ove le scienze sono indicate come il motore dello sviluppo civile ed economico del paese, si configurava
il ruolo che doveva assumere l’Accademia dei Lincei. Diventatone socio corrispondente nel 1870, ordinario nel 1872, ne fu eletto presidente nel 1874, appena lasciati gli incarichi di governo,
e a lui si deve la rinascita dell’Accademia, che lungo l’Ottocento aveva avuto alterne vicende sotto il regime pontificio, legata
com’era all’ambiente romano – culturalmente periferico – e limitata alle sole discipline scientifiche. In un banchetto offerto il 22
marzo 1874 alla presenza del Presidente del Consiglio Minghetti
e di altri esponenti del governo e del Parlamento, Sella deli­nea­va
con estrema chiarezza la sua idea dei Lincei, della loro missione
nella nuova Italia e ne proponeva una riforma che è ancora oggi
alla base della nostra Accademia. Questi i punti nodali: il carattere non più locale, romano, ma nazionale dell’Accademia, la sua
estensione alle scienze morali, storiche, filologiche, escluse dagli statuti pontifici, infine il carattere cosmopolita dell’Accademia
(9) Ivi, pp. 229-230.
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con l’elezione di soci stranieri equiparati nei lori diritti ai nazionali. Libera dai compiti pratici, formativi e didattici delle Università, l’Accademia dei Lincei sembra incarnare per Sella gli ideali
di una città della scienza, centro propulsore della ricerca e baluardo laico della nuova filosofia positiva, assicurando a Roma il suo
posto nel consorzio internazionale. Condizione prima era l’estensione dell’Accademia a tutto l’universo delle scienze, riprendendo
quelle che erano le iniziali prospettive di Federico Cesi, fondando
i Lincei agli inizi del Seicento e che di recente erano state riproposte da Terenzio Mamiani.
Può l’Accademia delle scienze di Roma, della capitale del Regno, essere circoscritta alle scienze fisiche, matematiche e naturali? […] puossi
dubitare dell’opportunità delle Accademie di scienze morali e politiche?
Forse il dubbio reggerebbe presso chi non credesse che il metodo seguito anche in queste scienze non si andasse ognor più accostando a quel
metodo di osservazione e di induzione che fece la fortuna delle scienze
naturali. Quante scienze morali e politiche non procedono oggi come le
naturali? Quanta analogia nel modo d’indagine fra gli geologi e gli archeologi, fra i filologi e i botanici o zoologi? (10)
Ove andrà sottolineata l’ampia concezione prospettata da Sella del sapere scientifico, inteso anzitutto come metodo unificante le varie discipline, «metodo d’osservazione e di induzione», rifiutando quindi ogni contrapposizione fra scienze della natura e
scienze dello spirito: «quante scienze dei due campi che sembravano separate da abissi, ed ora con il progredire delle osservazioni, si congiungono con saldi anelli?».
Sono temi cari alla filosofia positivistica di quegli anni che
contribuì, in Italia, a far uscire la nostra cultura dalle fumose metafisiche di tanti pii predicatori, legando anche le discipline storiche, filologiche, politiche a un metodo di ricerca attento al particolare concreto, alle condizioni reali, alle varianti linguistiche e
testuali. Del nuovo indirizzo positivo fu manifesto e quasi iniziato-
xx;
(10) Cfr. «Atti della R. Accademia dei Lincei», s. 2a, II (1871-1875), pp.
ivi, p. xx, il testo che segue.
xviii-
23
re da noi il saggio su La filosofia positiva e il metodo storico pubblicato da Pasquale Villari sul «Politecnico» nel gennaio 1866. Si
definiva un positivismo metodologico assai fecondo, fuori da sistematiche costruzioni speculative: un metodo di ricerca analogo
al metodo sperimentale galileiano, impegnato a cogliere le idee,
scriveva Villari, come qualche cosa di concreto e di vivente, in un
«mondo sensibile, reale, che voi potete osservare, studiare, esaminare, classificare, come fate di tutte le opere della natura»; (11) è
uno studio «del mondo ideale che diventa reale», collocando «l’uomo […] nella storia». Il metodo sperimentale si configurava così
come metodo storico:
il positivismo […] si riduce all’applicazione del metodo storico alle
scienze morali, dando ad esso l’importanza medesima che ha il metodo
sperimentale nelle scienze naturali.(12) La filosofia positiva rinunzia, per
ora, alla conoscenza assoluta dell’uomo, anzi a tutte le conoscenze assolute, senza però negare l’esistenza di ciò che ignora e ne studia solo
i fatti e le leggi sociali e morali. Il positivismo è un metodo, che vuol
condurci a studiare i fatti, a trovare le relazioni che passano fra il nostro
spirito e la società umana;
si compie così nelle scienze umane una nuova rivoluzione gali­
leiana, unendole strettamente alle scienze naturali: nasce «la scienza dell’uomo e delle sue idee».(13) Di qui un nuovo senso della storia, una nuova metodologia che si impone alle ricerche filologiche
e linguistiche, alla storia dei popoli e delle arti.
È una tematica che si ritrova anche fuori dalle più definite posizioni positivistiche per la sensazione diffusa che lo spirito positivo – anima del progresso delle scienze – è come l’espressione e
la conquista della modernità. Così l’economista Angelo Messedaglia, amico di Sella e fra i primi soci lincei nella classe di scienze morali, nella sua prolusione all’università di Padova del 1873,
(11) P. Villari, La filosofia positiva e il metodo storico (1866), in Saggi di storia, di critica e di politica, Firenze 1868, p. 21.
(12) Ivi, pp. 28-29.
(13) Ivi, pp. 31-33.
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pubblicata l’anno seguente, Della scienza nell’età nostra, ossia dei
caratteri e dell’efficacia dell’odierna cultura scientifica, insisteva
con forza sui fecondi progressi del metodo positivo nelle discipline
storiche, dall’architettura alla linguistica, dalla filologia alla storia,
indicando altresì nella scienza «la molla maestra di ogni civile progresso».(14) Temi che tornano anche in uomini di altra cultura filosofica, come Francesco De Sanctis, che era stato maestro di Villari; discorrendo nel 1877 del realismo moderno scriveva:
il nostro è un realismo scientifico, succeduto agli idealismi ideologici e
metafisici, da’ quali si è scarcerato motteggiando il pensiero più adulto.
Il secolo decimonono cominciò con la risurrezione dell’ideale da quella
fossa dove lo tenevano chiuso materialismo e scetticismo […]. L’ideale ha la stessa vita dell’umanità, e non muore se non con essa. Non c’è
di mutato se non questo, che oggi non viene dal prete, e non dal filosofo, viene dalla scienza;
la scienza, dirà in Senato, è «il cammino stesso del pensiero umano».(15) Di qui anche la funzione politica della «scienza fondata
sull’osservazione e sul reale» come forza di progresso, capace di
determinare grandi eventi storici; in apertura dell’anno accademico
del 1872-73 nell’Ateneo napoletano De Sanctis poteva affermare:
«la scienza ha prodotto presso di noi due grandi cose, l’unità della patria e la libertà. Dico la scienza, perché è lei che ha scosso le
alte cime della società, e le ha messe in movimento, tirandosi appresso e galvanizzando la restante materia».(16)
La scienza, la storia come progresso della ragione nell’assidua
opera di ricerca sperimentale, ove ciascuno porta il proprio contributo per costruire un sapere positivo che rifiuta ogni tentazione metafisica («per combattere la metafisica, non si diventi meno
(14) Testo citato da C. Dionisotti, Ricordo di Quintino Sella (1985), ora in Appunti sui moderni, Bologna 1988, p. 386.
(15) F. De Sanctis, Il realismo moderno (1877), in I partiti e l’educazione della nuova Italia, a cura di N. Cortese, Torino 1970, pp. 157-158; Il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (1880), ivi, p. 339.
(16) F. De Sanctis, La scienza e la vita (1872), in L’arte, la scienza e la vita, a
cura di M. T. Lanza, Torino 1982, p. 333.
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metafisici di quelli i quali si vogliono oppugnare») e che costituisce un bene supremo: «la lotta, scrive Sella, contro l’ignoto colle
armi della osservazione e della deduzione sia scopo costante degli studiosi».(17)
Di qui la necessità di un’Accademia Nazionale delle Scienze
(nel linguaggio di Sella spesso questo sintagma prevale sui Lincei)
che mobiliti «un vero esercito di studiosi», ne promuova e diffonda i lavori, li renda noti al mondo intero; solo questo garantisce il
«progresso del sapere». Rivolto agli uomini di governo e ai parlamentari che l’ascoltavano, «i quali militano a prò della scienza
non meno che della patria», concludeva perentorio:
Non ci può essere dissenso intorno all’opportunità di un sodalizio scientifico completo nella capitale del Regno, intorno all’utilità di eccitare,
di far vibrare le intelligenze italiane […]. L’uomo politico sarà, io credo, facilmente d’accordo collo scienziato, giacché niuno di noi teme la
libertà»; «avanti adunque nella scienza, ora che le grandi questioni politiche sono risolute, a ciò il gelo dell’immobilità, della morte non ci
ricolga.(18)
Esortazione che non ha perduto la sua attualità.
Emanato il nuovo Statuto dell’Accademia (1875), ampliato il
numero dei soci, costituita la classe delle scienze morali, chiamati i più eminenti studiosi italiani e stranieri, infittito il ritmo delle
pubblicazioni, Sella si batte costantemente per un progressivo aumento del bilancio dell’Accademia trovando, malgrado i tempi difficili, larghi appoggi nella classe politica sia della destra che della
sinistra. Sella s’impegnerà anche sul problema della sede, allora ancora in modesti spazi, già concessi dal Governo Pontificio in Campidoglio. Contemporaneamente si trova a dover respingere, in Parlamento e fuori, le accuse di centralismo, di prepotenza nel volere
accentrare a Roma gli investimenti per grandi e nuove strutture di
ricerca e per un’accademia nazionale. A chi gli farà notare che nel
(17) Q. Sella, «Atti della R. Accademia dei Lincei», cit., p.
(18) Ivi, pp. xviii, xxi.
26
xix.
difendere gli stanziamenti per la scuola, l’università, l’accademia,
sembrava dimenticato il ministro delle finanze, grande e rigoroso
risparmiatore, Sella rispondeva che in questo caso era in gioco la
missione dell’Italia nel mondo e che gli investimenti di volta in
volta richiesti erano ancora insufficienti per dotare il paese di moderne strutture scolastiche e di ricerca. Evidentemente non si era
ancora scoperta la teoria dei tagli lineari!
In polemica con quanti, spesso per difendere interessi localistici, non vedevano con favore l’aumentato prestigio dell’Accademia dei Lincei, il suo riconoscimento di Accademia Nazionale,
l’appoggio ottenuto dai vari governi, Sella tenne a Bologna, presso l’Associazione costituzionale delle Romagne, il 30 marzo 1879,
un discorso che costituisce come il manifesto della sua politica
culturale. Ancora una volta sono l’Italia e Roma, la loro missione che giustifica, anzi impone, la creazione di un luogo ove i risultati delle più avanzate ricerche trovassero spazio, una libera discussione, una pronta pubblicazione e diffusione. Questo luogo è
l’Accademia dei Lincei:
desideriamo stimolare l’alto movimento scientifico in Italia in guisa di
portarlo all’altezza che si addice alla grandezza della Patria nostra, e
dell’ingegno dei suoi abitanti. Una ragione particolare vi fu perché si
desiderasse in Roma un grande istituto scientifico, e tutti ne apprezzassero certamente la importanza. Davanti al Vaticano doveva la società
civile e liberale star contenta a contrapporre nulla più che un insegnamento in molta parte professionale quale oggi quello delle università italiane o doveva anche aprire una palestra nella quale si agitassero le più
alte questioni in ogni campo dello scibile umano?». «In Roma – insiste
– hanno sede il Governo e il Parlamento. Giova ad essi, giova al Paese, giova alla scienza, giova agli scienziati che vi siano aule nelle quali raccogliendosi le più recenti pubblicazioni scientifiche e radunandosi
gli scienziati a dare conto delle loro scoperte, si crei e si costituisca nella capitale del Regno un ambiente di alta scienza il quale abbia sull’ambiente politico, legislativo e amministrativo quella parte d’azione che
meritatamente gli spetta.(19)
(19) Q. Sella, Dell’Accademia dei Lincei, cit., pp. 2-3.
27
Si profila così quello che sarà un tema centrale del piano per
gli investimenti edilizi nella capitale con il contributo dello Stato:
«l’Accademia dei Lincei ha ora una sede anche troppo gloriosa,
giacché può datare i suoi atti ex aedibus capitolinis, ma talmente
esigua da essere ormai impossibile. Noi facciamo perciò vive e ripetute istanze, a ciò anche Roma abbia il suo palazzo dell’Accademia delle scienze come lo hanno le metropoli delle nazioni civili».(20)
La discussione del disegno di legge (1881) per il concorso dello
Stato nelle opere edilizie e di ampliamento della capitale (presentato da Agostino Depretis come ministro degli Interni) permetterà
a Sella, che ne era relatore, di diffondersi a lungo sull’Accademia
dei Lincei e sulle altre infrastrutture scientifiche e culturali assolutamente necessarie per rispondere ai doveri dell’Italia di fronte
al mondo contemporaneo. Proprio questo interessa qui sottoli­nea­
re, al di là dei limiti – messi in evidenza da storici dell’urbanistica e dell’architettura – di quella legge speciale per Roma e del
piano regolatore che ne seguì nel 1883: la riconosciuta priorità di
un’edilizia destinata ad attività di ricerca e di cultura – il Palazzo delle Scienze come il Palazzo di belle arti – nella prospettiva
di una politica che non fu solo di Sella ma di tutta una classe politica laica – di destra e di sinistra – che di Roma voleva fare una
capitale non solo amministrativa ma culturale, aperta alle grandi
esperienze europee.
La relazione di Sella e il discorso con il quale egli chiude l’amplissimo dibattito sono di eccezionale importanza per la loro ampiezza, per la gamma di problemi affrontati, e ci riporta ai tempi
nei quali i lavori parlamentari erano una palestra di grandi personalità della cultura e della politica, toccando temi che in tempi a
noi più vicini sembrerebbero eco di una lontana utopia, forse di
un’ideale repubblica di Platone.
Sella difende con forza la necessità di un intervento dello Stato
per avviare a soluzione i problemi urbanistici e edilizi in una città
(20) Ivi, p. 9.
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arretrata, quasi dimentica del suo passato, senza attività industriali
né commerciali di rilievo, con una classe impiegatizia modesta e
una piccola borghesia provinciale, un’aristocrazia nera aggrappata alla Curia, un clero burocraticamente scettico. Ancora nel 1895
Carducci – che a Roma era circondato di ogni attenzione, con proposte e incarichi importanti – dava un quadro forse troppo duro,
ma significativo:
una borghesia di affittacamere, di coronari, di antiquari, che vendono tutto, coscienza, santità, erudizione, reliquie di martiri, false reliquie di Scipioni, e donne vere; un ceto di monsignori e abati in mantelline e fogge
di più colori, che anch’esso compra e vende e vive di tutto; un’aristocrazia di guardiaportoni; una società che in alto e in basso, nel sacro
e nel profano, nel tempio e nel tribunale, nella famiglia e nella scuola
vive […] come la più impudicamente scettica, la più squisitamente immorale, la più serenamente incredula e insensibile a tutto che di sublime, di virtuoso, d’umano possono credere, vagheggiare, adorare o sognare le altre genti.(21)
E tuttavia città culturalmente vivace negli anni Ottanta dell’Ottocento (basterebbe pensare all’ambiente e al successo di «Cronaca bizantina»), ma senza rapporti con le istituzioni che Sella cercava di restaurare e promuovere; peraltro, pur amante delle lettere
classiche, egli guardava con qualche diffidenza verso possibili forme di nuove Arcadie.
Cosa abbiamo fatto, si domandava Sella, perché Roma «corrisponda all’alto ufficio a cui la storia […] le più alte ragioni di
progresso […] fatalmente la chiamavano?». Il quadro delineato da
Sella è impietoso: fognature da rifare, un sistema viario arretrato
(21) G. Carducci nella Prefazione a U. Pesci, Come siamo entrati a Roma. Ricordi, Milano 1895, cit. in V. Vidotto, Roma contemporanea, Roma-Bari 2001, p. 36;
qui anche pagine precise sul piano regolatore di cui si tratta; significativo che, secondo la convenzione fra il Comune e lo Stato del 14 novembre 1880, fra le opere pubbliche che dovevano essere realizzate, al secondo posto, dopo il Palazzo di Giustizia,
fosse previsto il Palazzo dell’Accademia delle scienze (ivi, p. 78). Per i rapporti di
Carducci con gli ambienti romani, cfr. Carducci e Roma, Roma 2001 (a cura dell’Istituto Nazionale di Studi Romani).
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e incompleto, «difetto assoluto di ospedali», i tribunali in una situazione «assolutamente intollerabile» «materialmente ma soprattutto moralmente», un aumento ingiustificato del costo delle abitazioni, squallide condizioni delle case operaie.(22) Sono campi di
intervento prioritario, ma di pari valore e urgenza sono per Sella, e
per la Commissione che egli presiedeva, gli interventi per l’università, l’Accademia, il policlinico, le biblioteche, il Palazzo di belle
arti. L’università di Roma, pur dotata recentemente di nuovi istituti e laboratori scientifici, resta estremamente arretrata: «quanto
manca ancora per portarla all’altezza delle esigenze delle scienze
odierne, al punto in cui sono le primarie università d’Europa per
non parlare degli Stati Uniti ove tutto è gigantesco!»; soprattutto
forte l’insistenza sulla
necessità di una sede per la reale Accademia dei Lincei [che] non ha
d’uopo di parole presso un Parlamento il quale, elevandone all’unanimità la dotazione, dimostrò che vuole in Roma, come esiste in tutte le capitali degli stati civili, un istituto il quale promuova ed incoraggi in tutto il Regno l’indagine scientifica e la ricerca della verità.
Oggi manca di spazi adeguati per le sue attività e soprattutto
per il ricco materiale bibliografico che è venuta accumulando attraverso gli scambi con le altre accademie del mondo: «sarebbe delitto di lesa civiltà il mantenere una siffatta biblioteca in una sede
gloriosa, ma poco meno che inaccessibile al pubblico».(23)
Così nella relazione, ma nell’intervento conclusivo del dibattito (14 marzo 1881) Sella svolge assai più ampiamente il suo pensiero, riassumendo i temi fondamentali di tutta la sua lunga carriera e il senso della sua lotta politica:
io vi confesso, o signori, che nel 1861, quando votavo l’ordine del giorno che acclamava Roma capitale d’Italia; quando nel 1867 […] fui credo il primo a presentare al banco della Presidenza un ordine del giorno
per confermare il voto del 1861 […] quando nel 1870 in tutti i modi mi
(22) Q. Sella, Discorsi parlamentari, cit., pp. 233, 283, 248, 284, 246.
(23) Ivi, p. 248.
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adoperai perché l’Italia venisse a Roma e vi portasse la sua capitale, ho
sempre pensato non solo a dare all’Italia la sua eterna capitale, ma agli
effetti che nell’interesse della nazione e dell’umanità sarebbero derivati dall’abolizione del potere temporale e dalla creazione in Roma di un
centro scientifico.(24)
Non è un accentramento che danneggi altri istituti scientifici,
altre accademie, altre università, ma Roma ha una missione particolare e «fatale»: «la scienza, ma volete la scienza municipale?
A Roma poi?». Non sono spese voluttuarie, come qualcuno insinua, ma assolutamente necessarie: «non è una spesa voluttuaria,
onorevoli colleghi, la spesa per un edificio ad uso di accademia
per le scienze; è una spesa dettata dai più alti interessi nazionali ed umanitari».
Il discorso di Sella non si limita a difendere i singoli aspetti
del disegno di legge, bensì – con una lunga digressione della quale chiede venia agli ascoltatori – affronta il problema che più gli
stava a cuore: la posizione di Roma, dell’Accademia dei Lincei, di
fronte alle attese del mondo civile. L’Accademia dei Lincei deve
«aiutare […] il movimento scientifico in tutto il Paese», non solo
per riconquistare un perduto primato, ma per contribuire al progresso delle nazioni. In polemica con la non dimenticata condanna
roussoiana, Sella torna ad affermare la sua illimitata fiducia nelle
arti, nelle lettere, nelle scienze «uno dei più efficaci mezzi per rialzare il morale delle nazioni», per alleviare «le sofferenze dell’umanità», per il progresso della vita politica, poiché «le scoperte della
scienza vanno soprattutto a vantaggio della democrazia».(25)
Non siamo qui di fronte a problemi puramente amministrativi,
insiste Sella, che amplia il suo discorso ai grandi temi dei rapporti fra scienza e fede, fra creazionismo ed evoluzionismo, fra Stato
(24) Ivi, p. 304. Sella prosegue affermando di essersi dedicato alla creazione di
questo centro scientifico soprattutto una volta che, lasciato il governo, era stato eletto
presidente dell’Accademia dei Lincei: «non ho creduto che vi fosse ufficio più alto, al
quale consacrarmi, se non quello dello sviluppo della scienza in Roma. Credo che questo sia un grande dovere non solo verso la mia patria, ma anche verso l’umanità».
(25) Ivi, pp. 293-296.
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laico e Curia romana, polemizzando con l’onorevole Oliva «il quale disse che lo spettro del cattolicesimo teocratico è sparito».(26)
Sella ha così modo di riproporre temi cari alla cultura positivistica dell’età sua, insistendo sul valore della scienza nel suo continuo progresso: «a misura che si avanza la scienza dell’osservazione, il Dio della religione deve per forza ritirarsi», senza però
scomparire perché resta sempre un ignoto, «l’infinito, il fine delle cose», Dio che «non cade sotto la osservazione dei naturalisti».
Dunque pieno rispetto del sentimento religioso e delle sue pratiche,
ma insieme affermazione del primato della scienza e della libertà
di ricerca. In questo campo si deve contrastare ogni forma di teocrazia papale: «per lunga pezza la curia romana credette di poter
tenere la direzione del movimento scientifico, fu torturato Galilei
[…]». Oggi, caduto il potere temporale, la Chiesa ha accentuato
la sua polemica contro il pensiero moderno: non solo assistiamo
al sempre più radicale divaricarsi fra il progresso scientifico e le
posizioni della Chiesa («la scienza […] cammina così rapidamente in un senso ed una grande religione […] cammina fin’ora non
meno rapidamente nell’altro»), ma soprattutto vediamo un chiaro irrigidimento della «teocrazia papale» con la proclamazione di
nuovi dogmi, la moltiplicazione di eventi miracolosi;
dopo che il potere temporale venne in pericolo, l’immacolata concezione, l’infallibilità del papa, il sillabo, l’apparizione delle vergini, le acque
miracolose, tutto questo si è visto […] l’onorevole Oliva dice che lo spirito cattolico teocratico è spirato. Ma è proprio vero? […] Noi vediamo
anzi che l’influenza del pontefice è in realtà maggiore oggi nel mondo
di ciò che lo fosse quando aveva il potere temporale.(27)
Per questo non basta limitarsi a ripetere «libera Chiesa in libero Stato» perché, una volta assicurata la piena autonomia della
Chiesa cattolica nell’esercizio della sua missione spirituale con la
legge delle guarentigie, uno Stato laico, moderno, l’Italia non può
(26) Ivi, pp. 296, 295.
(27) Ivi, pp. 299, 300-302.
32
rinunciare al compito di una «istruzione civile» fondata sulla ragione e sulla scienza:
ora in questa situazione io credo, o signori, che l’Italia non solo è interessata per sé come nazione, ma ha un debito d’onore verso l’umanità: essa
deve adoperarsi in tutti i modi perché appaia bene la verità, la quale risulta incontestabile dalle indagini scientifiche; la scienza per noi a Roma
è un dovere supremo. Fuori i lumi! Fari elettrici anzi devono essere; imperocché abbiamo a fare con gente che si chiude gli occhi e si tappa le
orecchie; abbiamo a fare con gente che vuol pigliare i giovani fino dalla
infanzia, avviarli alle proprie scuole secondarie, e poi vuol dare a costoro i più alti uffici che si possono affidare all’umanità, come la direzione
delle coscienze e dell’educazione della gioventù. Dunque io dico: fuori i
lumi. Questo deve essere il nostro intendimento, né solo a Roma, ma in
tutto il Paese» […]. Non si tratta qui di accentramento o decentramento, di piccole questioni; ma si tratta, signori, dei più grandi problemi che
dalla loro origine affaticano l’umanità; problemi a cui, essendo a Roma,
io non credo che ci possiamo interamente disinteressare.
Per questo «proprio a Roma ci ha da essere un grande istituto
di insegnamento superiore, ci hanno da essere biblioteche, laboratorii, musei ed Accademia delle scienze […]; è necessario questo
per la nostra missione».(28)
Impegno culturale, passione civile che raramente troveranno
nel nostro Parlamento, nella sua lunga e tormentata storia, una pari
intensità e dignità, forse solo in alcuni momenti solenni dell’Assemblea Costituente repubblicana.
Ricorrente in tutto il discorso – che è, si ricordi, sulle opere
pubbliche da realizzare in Roma, con il concorso dello Stato in collaborazione con il Comune – la particolare funzione dell’Accademia dei Lincei: luogo ove i cultori delle scienze, naturali e morali,
potessero portare i risultati delle loro ricerche perché venissero discussi, pubblicati e portati a conoscenza di un più ampio pubblico,
delle altre accademie, delle università, degli istituti scolastici, indirizzandosi soprattutto ai giovani, sempre presenti nei programmi
(28) Ivi, pp. 303-304.
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di Sella come i destinatari primi dei risultati delle ricerche scientifiche. Di qui anche l’insistenza di Sella sull’importanza delle varie serie di pubblicazioni che non solo documentavano le ricerche
scientifiche in corso, ma che erano venute costituendo un reticolato di rapporti internazionali – con le accademie di tutti i paesi
del mondo – nella precisa convinzione che il sapere si costituisce
con la collaborazione di tutti, tutti operai, tutti muratori, che portano la loro opera individuale al progresso comune.
L’Accademia dei Lincei si configura così, per Sella, come il
luogo della modernità, centro propulsore del nuovo sapere positivo, laico e cosmopolita.
Il discorso di Sella fu subito oggetto di un durissimo attacco
da parte della «Civiltà cattolica» che coinvolgeva tutta la politica
della classe liberale di governo: i liberali, scrive l’articolista, figli del giudaismo, «settari», «egoisti», «piaga e flagello di Dio»,
«avendo voluto scuotere il pio diritto divino e della chiesa» sono
venuti a Roma non per compiere l’unità d’Italia ma «per distruggere la fede della religione»; sono i «sacerdoti pagani» seguaci di
Giuliano l’Apostata, i «giulianelli della Camera» che hanno riaperto le antiche persecuzioni contro la Chiesa. Da queste premesse discende l’analisi del discorso di Sella: «espressissima professione non solo di ateismo e di incredulità, ma di un odio vatiniano
e giulianesco da vero apostata contro la religione e la fede cattolica»: confonde con il cattolicesimo le altre confessioni cristiane «le quali sono religioni false»; alla fede oppone «le armi della
scienza, cioè dell’incredulità e dell’ateismo» e propone di «demolire Roma papale e cristiana» e «fabbricare al più presto una nuova
Roma antipapale». «Per questo solo, prosegue l’articolista, il Sella vuole il Palazzo della Scienza; quasi come arsenale e università del diavolo».(29)
Alla «Civiltà cattolica» faceva eco «La scuola cattolica» di Milano: «la scienza voluta [da Sella] è puramente e semplicemente la
(29) G. Oreglia, La scienza di Sella e l’ignoranza romana, «Civiltà cattolica»,
VI (1881), pp. 141-156.
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negazione del cristianesimo» ed è l’esito necessario della «rivoluzione», cioè del Risorgimento italiano, «che per sua essenza è anticristiana». È la scienza «degli scolaretti degli enciclopedisti» che
abusa «della licenza conceduta alla sfrenata negazione dalla rivoluzione che governa» e che diffonde – come nelle altre università
europee – l’ateismo; scienza che, scrive l’articolista memore del
Sillabo, è «flagello della società civile», «causa di rovina dei popoli e degli stati come fonte di disordine sociale e civile»: «è obbligo di Roma [della Roma dei pontefici] combatterla e nuovamente condannarla».(30)
Al di là della violenza polemica, gli articolisti vedevano con
chiarezza che la sfida lanciata da Sella per fare di Roma una capitale europea della scienza era l’esito di tutta l’epopea risorgimentale e che solo sulla strada di una cultura laica, moderna e cosmopolita poteva veramente consumarsi la teocrazia papale. Di lì a poco,
Silvio Spaventa dirà che
l’abolizione del potere temporale, che noi siamo stati capaci di compiere, è il segno incancellabile, è il suggello della modernità del nostro pensiero e dell’attitudine degli italiani a partecipare allo sviluppo della vita
europea […]. Ora l’Italia è rientrata, si suol dire, come un elemento di
civiltà nella vita europea […]. Sta a noi di provare che ne siamo degni
e che ne sapremo adempiere i doveri.(31)
Il dibattito sulle opere pubbliche per Roma capitale fu amplissimo: vi parteciparono, fra i molti, Guido Baccelli, Francesco Crispi, Ferdinando Martini, per ricordare solo alcuni dei più impegnati sugli aspetti culturali del programma selliano.
In tutto il dibattito quel che è significativo è il ritorno costante
dell’idea e della missione di Roma, contro certo riaffiorante campanilismo regionalistico: Roma come conclusione vera del Risorgimento. Noi non possiamo, non dobbiamo rinunciare alle «grandi
(30) P. Balan, La Roma delle scienze e la trasformazione di Roma capitale, «La
scuola cattolica», XVII (1881), pp. 306-311.
(31) S. Spaventa, Potere temporale e l’Italia nuova (1886), in La politica della
Destra, scritti e discorsi raccolti da B. Croce, Bari 1910, pp. 198-199.
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idee senza le quali non saremmo insorti», afferma Crispi, per questo «noi dobbiamo costituire l’Italia in Roma se vogliamo restare
in Roma, in modo che la terza vita di questa grande città sia degna del suo passato»; appoggiando con molta decisione il disegno
di legge e le proposte di Sella, Crispi insiste sulla centralità di una
politica della scienza per fare di Roma una città moderna e collocarla degnamente nel consesso delle grandi capitali europee. Guido Baccelli, ministro alla Pubblica Istruzione, afferma:
Noi abbiamo il debito di costituire fermamente la nuova grandezza di
Roma […]. Ecco la terza Roma: difatti è impossibile non avvedersi che,
cessate una volta per sempre le guerre conquistatrici, le scienze sole costituiranno da oggi in poi l’unica aristocrazia possibile tra le nazioni. Né
la terza Roma, né la Roma vostra può ambire gloria diversa; né voi altra
corona dovrete indurle sul capo che non sia la corona della scienza.
E anche Ferdinando Martini, pur contrario a un Palazzo delle belle arti (perché «Roma non è un grande centro d’arte») non
si sottrae all’esortazione «fate una Roma grande, fatela degna del
nuovo Regno!».(32)
Del Palazzo delle scienze – ove insieme ai Lincei sarebbero dovuti confluire altri istituti e musei scientifici – non se ne fece nulla, pur essendo stata individuata la sua collocazione nella zona di
via Panisperna, già sede di alcuni laboratori scientifici e più tardi
divenuta celebre per le ricerche di Fermi. Ma l’assidua insistenza di Sella per assicurare una sede degna all’Accademia dei Lincei trovò infine un esito inatteso e felice: l’acquisto da parte dello
Stato di Palazzo Corsini alla Lungara (marzo 1883) e la sua assegnazione all’Accademia dei Lincei alla quale il principe Tommaso
Corsini donava la storica biblioteca «Corsiniana» con la ricchissima collezione di stampe. Allo Stato donava la celebre Pinacoteca.
Auspici di tutta l’operazione, attentamente seguita da Sella, furo(32) Per i testi citati: F. Crispi, in Atti parlamentari - Camera dei Deputati, tornata del 10 marzo 1881, pp. 4252, 4254; G. Baccelli, in Atti parlamentari - Camera
dei Deputati, tornata del 15 marzo 1881, p. 4371; F. Martini, in Atti Parmamentari Camera dei Deputati, tornata del 12 marzo 1881, p. 4312.
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no, nel governo, il presidente del Consiglio Agostino Depretis e il
Ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli.
Dell’esito di una lunga battaglia per l’Accademia Sella potrà
ringraziare il Governo con un messaggio letto nella seduta del 1°
aprile del 1883, ancora nella sede del Campidoglio: il Governo ha
assegnato all’Accademia, scrive Sella, «un palazzo di cui non poteva attenderne altro più magnifico, il quale anche al suo aspetto
mostra il culto della nazione per la scienza […]. Un tempio il quale per la sua postura afferma come a lato della tradizione religiosa
si sia oggi fatta grande e sicura la libera scienza».(33)
È l’ultimo messaggio di Sella che riassume tutto il suo lungo impegno politico e culturale per l’Accademia, riaffermandone
la centralità, nella prospettiva di una nuova missione cosmopolita della Terza Roma come maestra di sapere scientifico, intrinsecamente laico, capace di rispondere alle grandi aspettative del Risorgimento e collocare la capitale del Regno nel grande contesto
della scienza europea.
Sarà il suo successore, il presidente Francesco Brioschi, a inaugurare la nuova sede dell’Accademia, con la solenne seduta dell’11
giugno 1885, alla presenza dei sovrani: seduta idealmente dedicata a Quintino Sella (scomparso l’anno precedente), «restauratore»
dell’Accademia dei Lincei, unito al ricordo del suo fondatore Federico Cesi, lungo una linea di continuità costituita – secondo uno
schema storiografico forse semplicistico, ma non per questo meno
significativo – dal metodo scientifico promosso da Galileo Galilei,
eletto nel 1611 socio dell’Accademia:
il carattere speciale del genio di Galileo – diceva Francesco Brioschi – è
la critica dei fatti, l’opera sua la filosofia scientifica. Non dobbiamo stancarci di ripeterlo perché il carattere del suo spirito non fu ben compreso,
Galileo non fu solamente un geometra, un astronomo, un fisico; ma egli
fu il riformatore della filosofia naturale, alla quale diede per base l’osservazione, l’esperienza, l’induzione e nella quale introdusse per primo
(33) Q. Sella, «Atti dell’Accademia dei Lincei, 1882-1883, s. III, transunti»,
VII, Roma 1883, p. 178.
37
lo spirito geometrico e la misura. Ecco, Maestà, ecco signori, le nostre
gloriose origini. La mente eletta di Quintino Sella intravide tosto che il
portentoso movimento scientifico del nostro secolo era immediata conseguenza di quella libertà d’esame e di critica, era conseguenza della applicazione feconda di quel metodo di osservazione, di esperienza, di induzione, dalle quali nessuna scienza e forse nessuna arte può sottrarsi, e
che pel trionfo di questa nuova filosofia naturale era stata creata da Federico Cesi e dai suoi amici l’Accademia dei Lincei.(34)
Brioschi confermava la fedeltà all’ideale di Sella, al suo modo
di concepire la funzione dell’Accademia dei Lincei nella nuova
Italia, come centro promotore di un sapere legato tutto al metodo
scientifico, all’esercizio della ragione critica, nella fondamentale
unità di tutte le forme del sapere.
Nel decennio della presidenza Sella, l’Accademia si era trasformata da locale in nazionale, ampliandosi alle scienze storiche, filosofiche, giuridiche, aveva acquisito una sede nobilissima, si era
conquistata la stima di tutta la classe politica, di destra e di sinistra,
si era affermata come luogo di dibattiti, di pubblicazioni, d’incontro, di promozione della ricerca. In questa prospettiva assumevano per Sella particolare significato i premi per pubblicazioni originali che l’Accademia conferiva periodicamente: sei istituiti dal
Ministro Coppino della Pubblica Istruzione e due, i più prestigiosi, istituiti nel 1878 da re Umberto di 10.000 lire ciascuno, quando il bilancio dell’Accademia era di 100.000 lire annue.
Realizzata la riforma del 1875, furono eletti soci Lincei studiosi fra i più significativi della cultura italiana ed europea, con un
cospicuo numero di stranieri che costituivano per Sella la nota essenziale del carattere cosmopolita del sodalizio accademico e della
nuova Roma. Fra gli stranieri, già nei primi anni, Charles Darwin
e Hermann Helmholtz, Rudolf Virchow e Thomas Huxley, Ferdinand Gregorovius e Theodor Mommsen, Ernest Renan e Herbert
Spencer, Paul Janet e Hyppolite Taine. Fra gli italiani Ersilia Cae(34) F. Brioschi, «Rendiconti delle Sedute della Reale Accademia dei Lincei»,
11 giugno 1885, p. 392.
38
tani Lovatelli e Domenico Comparetti, Bertrando Spaventa e Ruggero Bonghi, Antonio Scialoja e Giuseppe Ferrari, Michele Amari
e Pasquale Villari, Giosuè Carducci, Pasquale Stanislao Mancini,
Carlo Boncompagni, Pietro Blaserna, Francesco Brioschi, Camillo Golgi.
«Voi – aveva scritto a Sella Pasquale Stanislao Mancini, sempre vicino all’Accademia di cui divenne socio – uno de’ rarissimi
uomini di Stato, che in Italia credono, non a parole, ma sul serio,
al potente impulso della Scienza su’ destini della Nazione».(35)
Sella era riuscito ad assicurare all’Accademia un’universale stima presso tutta la classe politica in forza della propria personalità
che aveva accompagnato i decenni decisivi del processo unitario.
Significativa una lettera a lui indirizzata da Agostino Depretis, presidente del Consiglio, quando si ebbe sentore che Sella, ritenendosi sgradito al governo di sinistra, volesse rassegnare le dimissioni
da presidente dell’Accademia:
io sono convinto della necessità di fondare in Roma un grande istituto
scientifico – scriveva Agostino Depretis il 4 dicembre 1877 – che sono
disposto a farne una questione personale, lasciatemi un po’ di tempo,
questo solo vi chieggo. […] Voi dovete conoscermi, e stimarmi abbastanza per accordarmi una tregua quando vi offro la mia alleanza a vantaggio della scienza.(36)
Ancora una volta Roma e la scienza, un ideale rapporto, una
missione della Terza Italia accumunava uomini di diversa tendenza
politica, ma ancora uniti da una forte eredità risorgimentale.
Pure, proprio lungo gli anni Ottanta, l’idea di Roma maestra di
civiltà andava rapidamente declinando: Sella moriva il 14 marzo
1884 e non dovette assistere al progressivo disfacimento dell’idea
di Roma – sua e degli uomini che avevano fatto l’unità d’Italia –
che da centro di progresso scientifico e civile si volgeva al recupero di sogni di potenza e di imperialismo colonialistico, mentre
(35) Lettera di P. S. Mancini, in P. Ziliani, Quintino Sella e la cultura napoletana. I Lincei nell’Archivio della Fondazione Sella, Napoli 2000, p. 30.
(36) Ivi, p. 83, n. 19.
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nella realtà della vita politica diversi fenomeni di corruzione indeboliranno anche il mito di Roma capitale. Con la morte di Sella
tramontava la generosa utopia di fare di Roma la città della scienza
capace di competere con le grandi capitali europee: vennero meno
gli uomini – malgrado la presenza di forti personalità sia presso i
Lincei sia all’università e in Parlamento – mutarono le prospettive politiche, mancarono le risorse economiche; non v’era a Roma
un retroterra istituzionale, non una società civile in grado di supportare grandi progetti culturali.(37)
L’Accademia dei Lincei proseguirà sulla strada indicata da Sella, pur in modi diversi secondo i tempi, e in mutate condizioni politiche, accentuandosi la distanza fra istituzioni culturali e classe
politica. Della sua posizione eminente nella cultura italiana sarà ancora significativo riconoscimento l’incarico che ebbe dal ministro
del Tesoro Paolo Carcano nel dicembre 1909 di preparare – in vista del primo cinquantennio unitario – un’opera che «esponga quali progressi abbia fatto nel cinquantennio la nostra Italia, in ogni
campo dell’umana attività. Venga qui messo in piena luce il cammino percorso fin qui, e si additi quello da percorrere […]».(38)
Ne vennero tre volumi di grande formato pubblicati dall’Accademia nel 1911 che non coprono tutti gli aspetti della storia del
cinquantennio, presentando notevoli squilibri fra i vari capitoli e
gravi omissioni (soprattutto nei settori dello sviluppo industriale):
tuttavia comprendono saggi significativi per il realismo con il quale
sono messi in luce la crisi del parlamentarismo, l’esito catastrofico
(37) Sull’idea di Roma negli anni post-unitari, si ricordino le classiche pagine di
F. Chabod, in Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, II capitolo della
I parte, Roma-Bari 1990, in partic., per i cenni qui fatti, pp. 282-283 e pp. 289 sgg.
Cfr. anche A. Giardina, A. Vauchez, Il mito di Roma. Da Carlo Magno a Mussolini,
Roma-Bari 2000, in partic. pp. 189 sgg. Sull’ambiente culturale romano, A. Petrucci, Cultura ed erudizione a Roma fra 1860 e 1880, «Il Veltro» (Cent’anni di Roma
capitale), XIV, 4-6 (1970), pp. 471-483; A. Asor Rosa, A. Cicchetti, Roma, in Letteratura italiana - Storia e geografia, III, L’età contemporanea, Torino 1989, in partic. pp. 547-570.
(38) Cinquanta anni di storia italiana, Milano 1911, I-III; per il testo cit. cfr.
I, p. 4.
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della politica colonialista, l’aggravarsi della questione meridionale, l’assenza di una programmazione economica capace di fermare la sempre più forte divaricazione fra Nord e Sud, l’arretratezza
delle strutture scolastiche, il persistente analfabetismo.
Soggiacente a molti saggi la sensazione che di fronte a imprevisti gravissimi problemi politici, finanziari, strutturali e psicologici,
il paese, soprattutto le varie classi politiche succedutesi negli anni,
si fosse come ripiegato su se stesso, con la caduta della tensione
ideale che aveva animato il Risorgimento. Quella caduta di tensione, persino d’immaginazione, era avvertita da Quintino Sella (non
meno che da Crispi) nel corso del lungo dibattito sull’intervento
dello Stato per le opere pubbliche in Roma, nel secondo decennio
unitario. Sella sentiva una frattura fra gli uomini che avevano fatto l’Italia, ancora presenti in Parlamento, e i giovani, frattura che
si verificava proprio nel diverso atteggiamento di fronte al modo e
alla necessità di affrontare i problemi di Roma capitale. Per i primi
era stata Roma a ispirare e catalizzare ogni azione patriottica, ogni
impegno politico: «chi ci ha dunque fatto quali siamo – chiedeva
Sella – chi ci insegnò a volere una patria? Roma, niente altro che
Roma». I giovani, invece, nella nuova condizione post-unitaria, più
attenti a particolari problemi di ordine pratico, anche alle difficoltà e alle sofferenze, hanno forse perduto «quei grandi concetti che
commossero noi […]. Noi eravamo pronti a bruciare mezza Italia
pur di averla una e libera; voialtri che l’avete trovata bella e fatta, vi occupate, e avete tutte le ragioni, di renderla più prospera».
Ma non è il calcolo economico che muove la storia, sono i sentimenti, le attese, gli ideali: «non crediamo che una trasformazione
come quella di Roma sia, come fu detto, soltanto materiale; giacché essa è soprattutto morale […]. Questo sentimento ha importanza enorme per Roma stessa […]. Non dimentichiamo che siamo italiani per virtù di Roma».
Di qui la preoccupazione di Sella, rivolto ai più giovani parlamentari che non avevano vissuto le tensioni ideali del Risorgimento: «nella discussione è parso a taluni che l’ideale vostro fosse un po’ meno elaborato del nostro. Ma se quelli che verranno
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dopo di voi avranno un ideale più depresso, dove si va?».(39) Interrogativo inquietante – riconosce Sella, – ma ineludibile. Tale forse resta anche per noi.
Tullio Gregory
(39) Q. Sella, Discorsi parlamentari, cit., pp. 310, 308-309. Nel corso dello stesso dibattito Crispi aveva detto: «È un fatto che più noi ci allontaniamo dai giorni della
grande rivoluzione e più gli animi diventano gelidi e meschini, quasi antipatriottici» e
proseguiva concludendo, fra gli applausi dei deputati: «Ritorniamo alle nostre origini,
a quei concetti, a quelle grandi idee senza le quali non saremmo insorti, senza le quali non avremmo mai atterrato i setti principi, non avremmo atterrato il papato, non saremmo a Roma» (Atti parlamentari, tornata del 10 marzo 1881, cit., pp. 4253-54).
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La «lingua di tutti» di Quintino Sella
Secondo un pregiudizio di antica data, gli esempi di buona lingua e di lingua modello sono rappresentati, nella storia della lingua italiana, esclusivamente da testi letterari, in prosa e in poesia.
A contrastare questo luogo comune basterebbero gli esempi della
prosa di altissimo livello rintracciabili in molti trattati scientifici.
Filologi e storici della lingua italiana hanno avviato già da tempo
una revisione che ha contribuito a collocare tra i grandi scrittori
della lingua italiana non solo gli scienziati,(1) ma anche storici della letteratura e dell’arte, filosofi, economisti.(2)
Quintino Sella, noto agli specialisti come studioso di matematica, cristallografia e mineralogia, ma conosciuto dagli italiani solo
come temibile ministro delle Finanze in tre governi fra il 1862 e
il 1873, non è mai citato nelle storie della lingua e della letteratura italiana per gli aspetti linguistici dei suoi scritti, né è stato mai
preso in considerazione dai lessicografi nei repertori novecente(1) M. L. Altieri Biagi, L’Avventura della mente. Studi sulla lingua scientifica, Napoli 1990 e Ead., Fra lingua scientifica e lingua letteraria, Pisa-Roma-Venezia-Vienna 1998.
(2) Sulla lingua di Francesco De Sanctis, Benedetto Croce, Giovanni Gentile si
veda G. Contini, Letteratura dell’Italia unita (1861-1968), Firenze 1968, pp. 3-61;
423-426; 486. Sulla lingua di Croce anche D. Colussi, Tra grammatica e logica. Saggio sulla lingua di Benedetto Croce, Pisa-Roma 2007; su Roberto Longhi cfr. G. Contini, Altri esercizi (1942-1971), Torino 1972, pp. 111-122 e P. V. Mengaldo, Il Novecento, Bologna 1994, pp. 185-190; su Raffaele Mattioli si veda M. Corti, I vuoti del
tempo, Milano 2003, p. 106; su Luigi Einaudi, P. Zolli, Luigi Einaudi e la lingua italiana, «Lingua Nostra», XLI (1980), 1, pp. 89-99; V. Della Valle, La lingua di Lui­
gi Einaudi fra classicismo e pathos, in Luigi Einaudi: libertà economica e coesione
sociale, a cura di A. Gigliobianco, Roma-Bari 2010, pp. 138-154. Osservazioni sulla
lingua di Michele Lessona, di Antonio Labriola, di Graziadio Isaia Ascoli, in L. Se­
riann
­ i, Il secondo Ottocento, Bologna 1990, pp. 121-125 e 220-225.
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schi.(3) In realtà, la produzione dell’«operoso tessitor di Biella»,(4)
come testimoniato dai documenti esposti nella mostra oggetto di
questo catalogo, è vastissima e copre gli ambiti più disparati: dalla matematica alla cristallografia e alla mineralogia, dall’econo
mia all’istruzione pubblica, fino alla manifattura e all’alpinismo.
Di fronte a una pratica di scrittura tanto vasta e caratterizzata da
interessi così diversi, è legittimo chiedersi di quale lingua italiana si servisse lo statista, piemontese di nascita ma vissuto anche a
Parigi, a Londra, in Germania, e poi trasferito a Roma per gli incarichi governativi. Per affrontare e valutare le sue scelte di scrittura e di stile è necessario ricordare preliminarmente le posizioni
di Quintino Sella sulla questione della lingua. A testimoniarle è la
prefazione di Giovan Battista Giorgini al Novo Vocabolario della
lingua italiana secondo l’uso di Firenze.(5) La riforma linguistica
manzoniana aveva avviato il progressivo processo di riduzione della distanza tra scritto e parlato e di diffusione di un tipo linguistico unitario,(6) ma non tutti avevano condiviso col Manzoni i modi
e le strategie attraverso le quali avrebbe dovuto raggiungersi l’unità della lingua nazionale. Secondo Sella, diversamente da Manzoni, sarebbe stata sufficiente l’unità politica,(7) dalla quale sarebbe
(3) Sella non compare tra gli autori presi in considerazione dal Grande Dizionario della Lingua Italiana diretto da S. Battaglia e poi da G. Bàrberi Squarotti, Torino 1961-2002 (d’ora in poi GDLI), ove viene nominato solo s.v. sèlla ‘tipo di sigaro’, con la citazione della voce ripresa dal Nòvo Dizionàrio Universale della lingua
italiana di P. Petrocchi, Milano 1887-1891. Nel dizionario di Petrocchi viene registrata anche la voce del minerale sellaite «chiamata così in onore del Sella». Il GDLI,
s.v. economia, 2, per documentare l’espressione «economia all’osso», cita A. Panzini,
Dizionario moderno. Supplemento ai dizionari italiani, Milano 1905, in cui l’espressione era stata registrata come «economie fino all’osso: frase di Quintino Sella, ministro, pronunciata alla Camera (15 dicembre 1869): divenuta dell’uso e familiare», in
seguito riprodotta da tutti i dizionari della lingua italiana.
(4) Così Carducci definiva ironicamente Sella nel v. 7 di Roma (Odi barbare,
1881). Cfr. Serianni, Il secondo Ottocento, cit., pp. 139-140.
(5) G. B. Giorgini - E. Broglio, Novo vocabolario della lingua italiana secondo
l’uso di Firenze, rist. anastatica dell’ed. 1870-97, I-IV, Firenze 1979.
(6) Cfr. L. Serianni, La prosa, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Se­
rian­ni e P. Trifone, I, I luoghi della codificazione, Torino 1993, p. 561.
(7) Cfr. M. Vitale, La questione della lingua, Palermo 1984, p. 448.
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scaturita anche l’unità linguistica della nazione. E Giovan Battista Giorgini concepì la prefazione al Novo Vocabolario come una
lunga lettera indirizzata proprio all’amico Quintino. È singolare
che il vocabolario più innovativo dell’Ottocento, al quale spetta un
posto importante nella storia della lessicografia italiana,(8) si apra
con uno scritto nel quale Giorgini, partendo dal ricordo di una lite
tra Sella e Manzoni («Ti ricordi d’una gita, che facesti l’autunno
passato a Brusuglio, e della lite sulla lingua, che attaccasti subito
col Manzoni, quel terribile attaccalite che tutti sanno in materia di
lingua?») (9) espone le proprie idee, contrapposte a quelle di Sella.
Il resoconto dell’episodio fu utilizzato da Giorgini per chiarire i
principi manzoniani sui quali si fondava il Novo Vocabolario, ma
è prezioso anche per ricostruire attraverso una testimonianza sicura le idee di Quintino Sella in ambito linguistico. Giorgini, infatti,
rivolgendosi all’amico ricorda:
Tu sostenevi una tesi nova e curiosa. Dicevi, mi pare, che l’unità della lingua, impossibile finché l’Italia era divisa in più Stati, con poche relazioni
tra loro, e l’uno all’altro poco meno che ignoti, sarebbe ora venuta naturalmente, da sé, e come una conseguenza della riunione di tutti questi Stati
in uno solo. Dalla mescolanza delle tante Diverse lingue, orribili favelle (10)
che in Italia si parlano, si formerà, dicevi, una lingua nova, una lingua media, che non sarà né il Piemontese, né il Lombardo, né il Romagnolo, né
il Toscano (sebbene tu assegni anche in questa il primo luogo al Toscano),
ma sarà un po’ di tutto, e diventerà col tempo la lingua di tutti.
Attraverso il racconto della gita alla villa manzoniana di Brusuglio, la posizione di Quintino Sella risulta dunque diversa da quella condivisa dall’illustre ospite e dall’amico Giorgini: più vicina,
nella sostanza, a quella di Carlo Cattaneo,(11) e soprattutto a quella
(8) Cfr. V. Della Valle, La lessicografia, in Storia della lingua italiana, a cura di
L. Serianni e P. Trifone, I, I luoghi della codificazione, Torino 1993, pp. 83-84 e C. Marazzini, L’ordine delle parole. Storia di vocabolari italiani, Bologna 2009, p. 305.
(9) Giorgini - Broglio, Novo vocabolario, cit., p. i.
(10) La citazione dantesca (Inferno, III, v. 25) è in corsivo nel testo.
(11) Secondo il quale «il patrimonio della lingua deve raccogliersi da tutti i libri, da tutti i labbri, senza distinzione di secoli e di Provincie». Si veda C. Catta-
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di Graziadio Isaia Ascoli, il maggior linguista italiano dell’Ottocento, secondo il quale l’unità della lingua sarebbe stata raggiunta
soltanto attraverso il «moto complessivo delle menti» conseguente allo scambio e all’organizzazione culturale raggiunta dalla nuova società civile della nuova nazione.(12) La sostanziale coincidenza
tra le idee di Ascoli e quelle di Sella trova conferma in una lettera del ministro al glottologo, che gli aveva inviato una copia del
famoso Proemio all’Archivio glottologico italiano.(13) Sella lo ringraziò con queste parole:
Le sono gratissimo dell’onore che mi volle fare col Suo Archivio veramente interessante. Duolmi che le troppe occupazioni d’ufficio dalle quali sono ora sequestrato mi impediscano di studiare attentamente i concetti che Ella svolge. La formazione della lingua è problema che interessa
tutti, anche i naturalisti, e da quanto ne intesi sfogliando rapidamente la
prefazione (ché nulla più potei fare) mi pare che io mi trovi molto più
coll’ordine delle Sue idee che non con quelle che mi permisi di combattere a Brusuglio non ostante la venerazione immensa di cui è meritevole chi le professava.(14)
Le idee sulla lingua di Quintino Sella, pur non affidate a scritti di
argomento propriamente linguistico, si possono rintracciare, olneo, Scritti letterari, a cura di A. Bertani, Firenze 1948, II, p. 174, cit. da M. Corti,
Il problema della lingua nel romanticismo italiano, in Ead., Metodi e fantasmi, Milano 1969, p. 178.
(12) Cfr. M. Dardano, G. I. Ascoli e la questione della lingua, Roma 1974, p. 3.
Sulla questione si veda ora quanto scrivono i curatori in A. Manzoni, Dell’unità della
lingua e dei mezzi per diffonderla. Edizione critica del ms. Varia 30 della Biblioteca
Reale di Torino, a cura di C. Marazzini e L. Maconi, Roma 2011, p. 19: «Manzoni e
Ascoli, messi a confronto, mostrano dunque di appartenere a due diverse Italie: Manzoni si colloca nella fase eroica del Risorgimento, impegnato nella creazione di una
coscienza comune animata dalla passione per gli ideali unitari; Ascoli è invece impegnato nella modernizzazione delle strutture burocratiche […] Per questa generazione
di tecnici, le differenze sociali, economiche, strutturali diventavano l’oggetto principale di intervento: la lingua risultava la conseguenza, non più la premessa, del processo unitario».
(13) G. I. Ascoli, Scritti sulla questione della lingua, a cura di C. Grassi, Torino 1975.
(14) Lettera spedita da Roma il 1° febbraio 1873, in Epistolario di Quintino Sella, a cura di G. e M. Quazza, Roma 1995, IV, p. 387.
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tre che in questo accenno indirizzato all’Ascoli, importante per la
conferma dell’identità di vedute con il glottologo goriziano, anche in osservazioni sparse presenti nei discorsi del ministro. Per
esempio, in quello pronunciato nel 1862 a proposito degli istituti
tecnici,(15) Sella insisteva sull’importanza di una buona conoscenza della lingua italiana anche per gli iscritti agli istituti tecnici e
alle facoltà scientifiche:
quanto a me, io ve lo dico chiaramente: vorrei che coloro i quali vengono ad un’Università per seguitare il corso di matematica avessero studiato per bene il latino, l’italiano, e, se si crede, anche il greco […] datemi giovani che sappiano bene l’italiano ed il latino.
E in un discorso pronunciato nel 1864 (16) ribadiva con forza la base
linguistica e letteraria unitaria sulla quale si fondava la nazione:
L’Italia non era più una espressione geografica, cioè mi correggo: questa
Italia ha la ventura di essere stata fatta una dalla natura, con quei nettissimi limiti che son le Alpi ed il mare: di essere stata creata una nella sua
lingua da quei nostri poeti, che per noi furono veramente vati divini
La conferma delle convinzioni linguistiche del ministro, così ben
descritte, come s’è visto, da Giovanbattista Giorgini nella prefazione citata al Novo Vocabolario, è contenuta, inoltre, in un discorso del 1876, nel quale Sella affronta la questione della continuazione del Vocabolario della Crusca.(17) Sorprendono, per modernità
e acutezza, le sue osservazioni sull’inevitabilità della trasformazione della lingua italiana, diretta conseguenza del cambiamento della società del tempo, e la definizione del vocabolario come
specchio della società contemporanea. Per di più, l’esempio citato da Sella a proposito dei tre termini differenti in uso per indica(15) Passaggio degli istituti tecnici al Ministero di agricoltura, industria e commercio, Discorso pronunziato nella Camera dei Deputati il 27 gennaio 1862, in Discorsi parlamentari di Quintino Sella, raccolti e pubblicati per deliberazione della camera dei deputati, Roma 1887, I, p. 52.
(16) Discorso d’apertura del congresso dei naturalisti in Biella pronunciato nella tornata del 3 settembre 1864, in Discorsi parlamentari, cit., I, p. 675.
(17) Discorsi parlamentari, cit., I, pp. 97-98.
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re un unico referente è in totale sintonia, questa volta, con le idee
manzoniane,(18) e richiama immediatamente alla memoria la critica rivolta da Manzoni a Giacinto Carena nella famosa lettera del
1847, che costituisce la prima pubblica esposizione del pensiero
linguistico manzoniano,(19) nella quale l’autore dei Promessi Sposi
sosteneva la necessità di eliminare i geosinonimi.(20) Sella si sofferma sulla stessa questione con queste parole:
anche la lingua si va trasformando nei tempi odierni; certe parti rimarranno per avventura immutabili, ma per parecchie altre una trasformazione è inevitabile, quando mutano tanto le condizioni della vita. Allorché una nazione civile in una data epoca compila un vocabolario, essa
ha per obbietto di stereotipare, fotografare la sua lingua in quel dato periodo […] se il vocabolario avesse potuto essere ultimato più presto, io
dico che anche negli stessi primordi in cui le varie parti d’Italia si sono
fuse, il vocabolario stesso avrebbe contribuito all’unificazione della lingua. Se ciò fosse, o signori, io tengo per fermo che non avverrebbe, a
cagione di esempio, ciò che vede uno straniero che viene oggidì in Italia, nelle diverse stazioni: qua sortita, là egresso, in un altro luogo usci(18) L’adesione alle idee manzoniane è rintracciabile, del resto, anche in altri
passi dei discorsi parlamentari. In quello pronunciato il 12 giugno 1860, per esempio,
Sella dichiarava: «Se vi debbo dire la mia opinione, da Siena vorrei ci venissero quelli
che debbono insegnare la lingua italiana. Questa è l’opinione mia, che forse non sarà
divisa da altri, ma è evidente che Siena, per esempio, ha un elemento suo proprio di
vita, che rispetto a Sassari non esiste, giacché non ho mai sentito celebrare la purezza del dialetto sassarese». Cfr. Discorsi parlamentari, cit., I, p. 19.
(19) Cfr. L. Serianni, Il primo Ottocento, Bologna 1989, p. 138.
(20) A proposito dei quali Manzoni scriveva: «cosa ci giova, in questo caso,
d’avere un’abile e esperta guida, se ci conduce a un crocicchio, e ci dice: prendete per
dove vi piace?». Cito il passo della lettera pubblicata nella Parte seconda del Vocabolario metodico d’arti e mestieri, Napoli, Stamperia e cartiere del Fibreno, 1854, p. xx.
Del resto, le sintonie tra Sella e Manzoni in materia di scelte linguistiche superavano
le divergenze. Ne era consapevole il Giorgini, che in un passo della prefazione citata
scriveva a Sella: «L’unità politica non è dunque una causa che possa operare da sé, o
che ci dispensi dall’obbligo di volere, di cercare, di scegliere. Se poi tu intendi dire
che questa unità renderà la scelta più facile; che la lingua parlata nella città, dove avrà
sede il governo, o, se vuoi il miscuglio che si farà dentro le mura, la lingua insomma
della capitale, più o meno alterata, prenderà vantaggio su tutte l’altre, e a lungo andare
diventerà la lingua comune della nazione (quanto è possibile avere una lingua comune
tra persone, che avendone molte per nascita, devono acquistare quest’una per isforzo
d’elezione e di studio), allora dirai cosa, che non ti sarà in tutto contradetta dal Manzoni, né da altri». Cfr. Prefazione al Novo Vocabolario, cit., p. iv.
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ta; come se fossimo incerti del come si debba indicare la porta per cui
si esce dal recinto della stazione.(21)
Queste, dunque, le convinzioni linguistiche di Quintino Sella.
Quanto alla sua prassi scrittoria, la moderata patina arcaizzante
presente nei suoi scritti è pienamente riconducibile entro i confini
delle abitudini linguistiche della prosa del tempo. Tra gli arcaismi
sintattici, basti citare (22) l’enclisi pronominale, ancora in uso nel secondo Ottocento (abbiansi 13, debbansi 66, devesi 72, havvi 17,
puossi 77, siansi 12, trovasi 8, voglionsi 30, vuolsi 18, ecc.); (23) rientrano nella tradizione aulica anche i casi di proposizioni infinitive latineggianti («egli pensa esser meglio sopprimere l’Università
di Sassari» 6; «cominciò il relatore della Sotto-Commissione legale
a dire essere tante le innovazioni» 7; «io non credo essere necessario» 19; «il ministro delle finanze afferma essere uno scandalo»
11, ecc.). Sella sembra mostrare qualche resistenza nell’accogliere la prima persona dell’imperfetto indicativo in -o, e infatti ricorre più frequentemente al tipo etimologico tradizionale io desiderava 78, io diceva 202, io non dubitava 135, io era 93, io poteva
155, io ricordava 204, io mi trovava 107, ecc.,(24) ma si serve anche del tipo analogico in -o: io ignoravo 160; io gli chiedevo 815.
Sopravvive qualche raro caso di variante sintetica della preposizione articolata pel rispetto alla forma analitica per il (pel nuovo
regno 144; pel fianco sinistro 568; pel culto del bello 149) (25) e di
(21) Discorsi parlamentari, cit., I, pp. 97-98.
(22) D’ora in poi i singoli prelievi con le indicazioni di pagina dai Discorsi parlamentari senz’altra indicazione si riferiscono all’edizione citata. L’esemplificazione
non intende essere sistematica: si rimanda, nel riportare le citazioni, solo ad alcune
delle ricorrenze utili rinvenute negli scritti di Quintino Sella.
(23) Sull’enclisi pronominale, tratto presente, nel secondo Ottocento, nella sintassi giornalistica e nella lingua letteraria più sostenuta, cfr. Serianni, Il secondo Ottocento, cit., pp. 36-37.
(24) Le forme etimologiche in -a erano decisamente prevalenti all’inizio del secolo, mentre nella seconda metà dell’Ottocento, pur essendo in regresso, godevano
tuttavia di qualche diffusione. Cfr. L. Serianni, Le varianti fonomorfologiche dei Promessi Sposi 1840 nel quadro dell’italiano ottocentesco, in Id., Saggi di Storia Linguistica Italiana, Napoli 1989, pp. 199-200.
(25) Per questa microvariante fonetico-ortografica Sella mostra di preferire la
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prostesi di i davanti a s complicata (per iscopo 90; nell’interesse
istesso 215; in istato sì triste 10).(26) La presenza di toscanismi è
moderata, rappresentata dall’abitudine all’uso di codesto con valore anaforico (codesti monumenti 67; codesti esperimenti 79; codeste determinazioni 107; codesta esposizione 152).(27) Altri tratti
arcaizzanti rientranti nella tradizione scrittoria ottocentesca sono
l’uso costante della congiunzione imperocché e dell’avverbio fattamente.(28) In altri casi, invece, Sella sembra incerto tra la variante antiquata e quella più moderna, oscillando, per esempio, tra quistione e questione,(29) niuno (30) e nessuno, sieno (31) e siano. Ma si
tratta di oscillazioni «libere» nella prosa ottocentesca,(32) del tutto
usuali sia in testi letterari sia in testi settoriali. Allo stesso modo,
la preferenza per le varianti ripetute chieggo e veggo non fanno
che confermare un’abitudine ampiamente diffusa nell’Ottocento,
priva di connotazioni letterarie.(33) Più interessanti, per valutare i
caratteri della lingua di Sella, altri aspetti dei Discorsi parlamentari. Scritti per essere pronunciati, essi si basano su un’orditura
forma sintetica, mentre Manzoni preferiva la variante analitica per il, per la, ecc. Si
veda Serianni, Le varianti, cit., pp. 176-177.
(26) La prostesi vocalica davanti a s complicata, quando la parola precedente terminasse per consonante, era la regola nell’italiano letterario ottocentesco. Cfr. Serianni, Il secondo Ottocento, cit., p. 170.
(27) Sull’uso di codesto «considerato la quintessenza della toscanità, e dunque
dell’italiano modello» negli scritti dell’Ottocento, cfr. L. Serianni, Gli epistolari ottocenteschi e la storia della lingua, in La cultura epistolare nell’Ottocento. Sondaggi sulle lettere del CEOD, a cura di G. Antonelli, C. Chiummo, M. Palermo, Roma
2004, pp. 62-63.
(28) Imperocché e imperciocché erano già registrate nel Giorgini-Broglio come
appartenenti all’uso letterario. Per le forme imperocchè e fattamente, non do i numeri
delle pagine perché frequentissime e ricorrenti nei Discorsi parlamentari.
(29) Sull’oscillazione tra quistione e questione nell’Ottocento e sul passaggio alle
forme con e protonica nell’edizione quarantana dei Promessi Sposi si veda Serianni,
Le varianti fonomorfologiche, cit., p. 154, n. 24, e pp. 177 e 207.
(30) Niuno era estraneo all’uso manzoniano, ma ancora largamente presente nella
prosa ottocentesca. Cfr. Serianni, Le varianti fonomorfologiche, cit., p. 195.
(31) Variante ancora molto comune nell’Ottocento. Cfr. Serianni, Il secondo Ottocento, cit., p. 233, n. 15.
(32) Così le definisce Serianni in Le varianti, cit., p. 161.
(33) Per le varianti fonomorfologiche verbali chiedo/chieggo e vedo/veggo rinvio a Serianni, Le varianti, cit., pp. 203-204.
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sintattica generale caratterizzata da un indice non troppo elevato di subordinazione, che conferisce ai testi un’elevata leggibilità.
Pur mantenendosi fedele agli ideali di decoro espressivo condivisi
dall’oratoria, dalla pubblicistica, dalla saggistica del tempo, Sella
introduce nei suoi discorsi, con moderazione, anche modi colloquiali. Qualche esempio: «non andrò cercando il pelo nell’uovo»
16; «un ministro interinale non deve metter molto la mano in pasta» 74; «io ne avrò certo fatto delle crude» 76; (34) «facciamo questo, facciamo quello»; «l’hanno ripetuta [la risoluzione] da Tizio, a
Caio, a Martino» 209. Rientrano nelle movenze colloquiali anche
le interrogative didascaliche e i segnali discorsivi tipici dell’oralità, come quelli che seguono: «E perché questo?» 134; «Ma perché?» 135; «ma che volete mai?»109; «Figuratevi!» 281; «no, no,
meglio non farne nulla!» 342, ai quali possono essere aggiunti anche i frequenti e informali intercalari come «o che so io» 15; «mainò» 98; «ma via» 228. Nei Discorsi parlamentari Sella concede
davvero poco al lessico aulico e alla retorica tribunizia, stemperata dall’uso di suffissi alterativi («adagino adagino» 23; «mi sono
un tantino fermato» 75; «Scusate, un momentino» 202; «lasciate
fare un pochino al tempo» 117), talvolta anche con funzione tra lo
scherzoso e il sarcastico («in qualche comunello […] fui sorpreso di trovare una quantità di pergamene e di codici» 66; «damine
contente anche di fare una marcia faticosa» 134; «il progettino di
quattro articoli che il ministro delle finanze ci ha presentato» 144).
Quasi del tutto assenti i forestierismi: nonostante la buona conoscenza di tre lingue straniere, Sella rifugge dall’esibizione di parole non italiane, tanto che nei suoi discorsi s’incontrano solo bazar
305; monstre 221; spleen 11; travet 230, e l’espressione noblesse
oblige 229,(35) più qualche termine d’ambito economico-finanzia(34) È qui evidente il richiamo all’espressione «farne di cotte e di crude». Cfr.
GDLI, s.v. cotto.
(35) Le forme bazar, monstre, spleen e noblesse oblige erano di ampia circolazione nell’Ottocento, condannate dai puristi e proprio per questo attestate nei loro repertori (al contrario, A. Panzini, nel Dizionario moderno cit., registra spleen e noblesse
oblige senza alcun tipo di condanna). Più interessante il caso di travet, diffuso grazie
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rio che sarà citato più avanti. Altrettanto raro e misurato è il ricorso alle similitudini: «il chiasso fatto per esempio attorno ad un ministro […] è labile come l’onda prodotta dal tonfo di una pietra»
831; «carte aride e fastidiose come il polverio che infesta le strade» 567; «cervelli schiacciati a modo di fogli, le cui caselle siano distribuite a scacchiere, monotoni, direi, come le vie di Torino» 31. Lontano per formazione e gusto personale dalle soluzioni
metaforiche, il vocabolario di Sella è caratterizzato da una ricerca
generale di precisione e da un uso molto scarso di tecnicismi, anche negli scritti di contenuto economico e finanziario. Nei discorsi sull’istituzione delle Casse di risparmio postali, per esempio, i
tecnicismi sono ridotti al minimo: decentramento 350; (36) vaglia
postale 351; (37) capitali infruttiferi 357; casse ordinarie 395; e i
due anglicismi self government 350 (38) e legal tender 545.(39) Anche quando l’argomento si concentra sulle questioni legate all’organizzazione del risparmio e degli istituti di credito, Sella tende a
detecnicizzare il discorso, mantenendolo su un piano discorsivamente persuasivo, come nel brano che segue:
Dunque, tornando alla questione del pericolo che possa correre lo Stato per questa legge, mi pare che si è detto abbastanza per tranquillare la
Camera, e indurla a permettere l’esperimento; se ci si dovrà tornare sopra, ci si tornerà. […] Un paese di molto buon senso non ha tanta paura di andare avanti e, quando vede inconvenienti ragionevoli, ci torna
sopra e vi mette rimedio con piena tranquillità, riservando le lotte alle
al successo della commedia Le miserie di Monsù Travet di Vittorio Bersezio (1862) e
attestato per la prima volta da P. Petrocchi nel Nòvo dizionàrio universale della lingua italiana, Milano 1887-1891. Grazie al discorso pronunciato da Sella il 21 giugno
1876 per l’alienazione dell’orto botanico di Roma è ora possibile retrodatare la voce
di qualche anno, a testimonianza della sua larga diffusione nell’uso comune.
(36) Decentramento era voce di introduzione recente (1862). Cfr. il nuovo Etimologico di M. Cortelazzo e P. Zolli, Bologna 1999 (d’ora in poi, DELI ), s.v. decentrare, e bibliografia ivi indicata.
(37) Anche vaglia postale era espressione di recente introduzione, attestata solo
dal 1862. Cfr. DELI, s.v. vaglia 2.
(38) Self government ha una prima attestazione nel 1852. Cfr. DELI s.v. auto- 1.
(39) L’anglicismo legal tender per ‘corso legale’ non ha avuto fortuna e non è
registrato nei repertori lessicografici italiani.
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grandi occasioni, le quali sono quelle che realmente decidono dell’indirizzo politico del paese.(40)
A testimoniare il tono discorsivo e poco magniloquente, più che
il prelievo di singole forme, può essere utile la lettura di qualche passo. Per esempio, quello nel quale, per convincere i parlamentari della necessità di un’Accademia delle scienze a Roma, il
ministro racconta un aneddoto che ha per protagonista Theodor
Mommsen:
Mi sia lecito di comportarmi come un cittadino molto libero, e quindi di
ricordare un aneddoto. Nel 1871, poco dopo l’effettiva venuta del Governo italiano a Roma, io aveva l’onore di ospitare un uomo illustre, un
grande storico […] Una sera, nel calore della conversazione, dopo parlato di Roma antica, di Roma papale, di idealismo, di realismo e di non
so quante cose, il fiero teutonico si alza e mi dice in tuono concitato: ma
che cosa intendete fare a Roma? Questo ci inquieta tutti; a Roma non
si sta senza avere dei propositi cosmopoliti! Che cosa intendete di fare?
Io cercai di tranquillarlo (e credo che oggi si sarà tranquillato, visto che
non abbiamo neppure la virtù di soffrire un tantino per arrivare a maggiore grandezza). Ma io gli dissi: sì, un proposito cosmopolita non possiamo non averlo a Roma; quello della scienza. Noi dobbiamo renderci conto della posizione che occupiamo davanti al mondo civile, dacché
siamo a Roma. Ebbene, signori, un palazzo per l’Accademia delle scienze non è un lusso inutile … (41)
Il modo in cui l’episodio viene raccontato, grazie alla sintassi segmentata in periodi uniproposizionali, e al lessico semplice, quasi
del tutto privo di arcaismi,(42) rappresenta bene l’andamento parlato e discorsivo dei discorsi ufficiali di Sella. Andamento e stile
testimoniati anche nel brano che segue, che ha per oggetto la co(40) Discorso del 23 aprile 1875, in Discorsi parlamentari, cit., I, p. 548.
(41) Il brano è tratto dal discorso del 14 marzo 1881 sulle opere edilizie a Roma.
La citazione è tratta da Discorsi parlamentari, cit., I, p. 292.
(42) Il verbo tranquillare, segnalato nel GDLI come ant. e letter., era normalmente usato non solo da Manzoni e Verga, ma anche, nel Novecento, da scrittori come Giani Stuparich e Mario Soldati. Quanto alla variante letteraria dittongata tuono, si tratta
di forma ancora usata da Roberto Longhi. Cfr. Contini, Letteratura, cit., p. 529.
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struzione del Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale a Roma,
nel quale Sella commenta ironicamente l’attacco di una parte del
Parlamento al progetto:
Si parla di un modesto palazzo, che sarà poi una piccola cosa, per l’esposizione permanente di belle arti. Ebbene, qualche giovane esordiente avrà
occasione di fare conoscere più presto qualche sua opera, qualche suo
genere. La venuta di qualche artista in Roma sarà la distruzione dell’arte
italiana? No, no, no. Tranquilli votiamo, e v’invitiamo a votare tranquilli. Non sarà il palazzo dell’esposizione di belle arti che potrà far danno
all’arte italiana. Signori, ho finito, ed in tutt’i casi voglio finire; ma prima di chiudere il mio discorso desidero sottoporvi un’altra osservazione
da naturalista. Questa discussione ha dato luogo ad un fatto curioso, ad
un conflitto tra i vecchi ed i giovani. Non parlo di tutt’i giovani; perché
vi sono giovani che, per la loro condotta in questa discussione, dovrei
dire invecchiati […] Non meravigliatevi se, quando si parla di Roma, le
nostre vecchie ossa si elettrizzano.(43)
Tono diverso hanno, ovviamente, i discorsi fatti in occasione di
commemorazioni ufficiali, nei quali il dettato si fa più sostenuto,
e Sella ricorre a stilemi tipici della tradizione oratoria e del gusto
classicistico, come le dittologie e le terne: «Un lavoro accuratissimo e coscienzioso» 167; (44) «un consiglio sempre sereno, sempre
nobile, sempre benevolo» 170; (45) «l’instancabile operosità, il singolare acume, la profonda erudizione» 171; (46) «l’amicizia, la devozione, l’abnegazione» 171. La maggiore elevatezza del registro
è presente nei discorsi che trattano temi particolarmente cari a Sella, per esempio quello pronunciato per l’allargamento della sfera
d’azione dell’Accademia dei Lincei, «sia dandole maggiori mez(43) Cito sempre dal discorso del 14 marzo 1881, cfr. Discorsi parlamentari,
cit., I, pp. 307 e 309.
(44) Commemorazione del deputato Cesare Valerio, discorso del 17 marzo 1873,
in Discorsi parlamentari, cit., I, p. 167.
(45) Commemorazione del senatore Luigi Des Ambrois, discorso del 4 dicembre 1874, in Discorsi parlamentari, cit., I, p. 169.
(46) Questo e l’esempio successivo sono tratti dalla commemorazione del deputato Matteo Raeli, discorso del 27 novembre 1875, in Discorsi parlamentari, cit.,
I, p. 171.
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zi per le scienze naturali, sia estendendola alle scienze morali e
politiche»,(47) in cui Sella esibisce più del solito le procedure retoriche tipiche della tradizione letteraria, come l’accumulo, attraverso le terne («eccitare … far vibrare … appassionare»; «e muova, e
vibri, e viva»; «e immobile, e inerte, e morto») e le riprese simmetriche («Si direbbe … Si direbbe …») ricorrendo insolitamente
a immagini di forte presa ed effetto («acciò il gelo dell’immobilità, della morte non ci ricolga»):
Non ci può esser dissenso intorno all’opportunità di un sodalizio scientifico completo nella capitale del Regno, intorno all’utilità di eccitare,
di far vibrare le intelligenze italiane, di appassionare i cuori per il vero
ed il bello. A qualunque parte dello scibile noi ci dedichiamo, per quella
tale connessione che si va ogni dì stringendo fra le scienze, siamo certo tutti convinti che l’uomo è tanto più potente nelle singole parti, quanto più completo esso è. Nell’uomo, nelle nazioni noi vediamo periodi in
cui tutto si accascia, altri in cui è grande la forza materiale, l’operosità, l’acume dell’ingegno, la virtù morale. Si direbbe che ci ha concomitanza, armonia nell’esercizio di tutte le facoltà; si direbbe che tutto ad
un tempo e muova, e vibri, e viva, ovvero tutto sia ad un tempo e immobile, e inerte, e morto. Avanti dunque nella scienza, ora che le grandi quistioni politiche sono risolute, acciò il gelo dell’immobilità, della
morte non ci ricolga.
Sullo stesso tema Sella pronunciò nel 1880 un discorso appassionato, pur se formalmente contenuto nei toni, di fronte a Umberto
e Margherita di Savoia, nel quale esaltava il progresso scientifico della nazione e il ruolo dell’Accademia delle scienze, ricorrendo non a citazioni, a immagini figurate, a moduli retorici, ma
all’espressione «funzione di», tratta dal linguaggio dei matematici, a lui familiare: (48)
(47) Il brano è tratto dal discorso pronunciato da Sella nella Sessione straordinaria tenuta in Comitato segreto nei giorni 24 e 25 gennaio 1875, estratto dagli «Atti
della R. Accademia dei Lincei», s. 2, vol. II, 1875, p. xxi, e ristampato in Discorsi
parlamentari, cit., I, pp. 811-812.
(48) Discorso del 19 dicembre 1880, estratto dagli «Atti della R. Accademia dei
Lincei», s. 3, Transunti, V (1881), p. 39, ripubblicato in Discorsi parlamentari, cit.,
I, p. 833.
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Ora lo scopo pratico, l’ideale nostro è quello che determinò il Padre della Patria, nel suo primo discorso reale dopo la liberazione di Roma: fare
grande e felice l’Italia. A conseguire questo nobile scopo, per altri ostacoli non meno arduo, grandemente giova l’Accademia delle scienze; imperocché la grandezza e la prosperità d’un paese è indubbiamente una
conseguenza diretta, o come i matematici direbbero, una funzione del
progresso morale, intellettuale ed economico dei cittadini. Non v’è ormai chi non vegga, come senza un’alta coltura scientifica, scarso riesca
lo sviluppo della ricchezza di un paese.
E in un lungo discorso pronunciato il 14 marzo 1881 colpiscono i
toni accesi con i quali Sella parla del difficile rapporto tra scienza e chiesa, ricorrendo all’esclamazione ripetuta «fuori i lumi!»,
alla ripetizione ad effetto dell’espressione sprezzante «abbiamo a
fare con gente … abbiamo a fare con gente …»,(49) e al crescendo volutamente enfatico rappresentato da «Fari elettrici anzi devono essere»:
l’Italia […] ha un debito d’onore verso l’umanità: essa deve adoperarsi
in tutti i modi perché appaia bene la verità, la quale risulta incontestabile dalle indagini scientifiche; la scienza per noi a Roma è un dovere supremo. Fuori i lumi! Fari elettrici anzi devono essere; imperocché abbiamo a fare con gente che chiude gli occhi e si tappa le orecchie; abbiamo
a fare con gente che vuol pigliare i giovani fino dalla infanzia, avviarli
alle proprie scuole secondarie, e poi vuol dare a costoro i più alti uffici
che si possono affidare all’umanità, come la direzione delle coscienze e
l’educazione della gioventù. Dunque io dico: fuori i lumi! Questo deve
essere il nostro intendimento, né solo a Roma, ma in tutto il paese».(50)
Ma una lettura degli scritti di Quintino Sella deve tener conto anche di altre pratiche di scrittura, rintracciabili in testi meno legati alle situazioni ufficiali dei discorsi parlamentari o lincei o delle
(49) Sella si serve del costrutto «avere a fare con», variante ancora in uso nell’Ottocento rispetto all’incombente e poi trionfante «avere a che fare con». Sul modulo
e sulla sua evoluzione si veda O. Castellani Pollidori, A proposito di un’a di troppo: «Avere a che fare», «Studi linguistici italiani», XI (1985), pp. 27-49, ora in Id, In
riva al fiume della lingua. Studi di linguistica e filologia (1961-2002), Roma 2004,
pp. 425-450.
(50) Discorso del 14 marzo 1881, in Discorsi parlamentari, cit., I, p. 303.
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commemorazioni pubbliche. Mi riferisco alla testimonianza offerta dai sei volumi dell’Epistolario. Anche nella comunicazione epistolare, che abbraccia quasi quarant’anni (dal 1842 al 1881) sono
presenti gli stessi caratteri di sobrietà e di rigore linguistico già
osservati finora, con pochissime concessioni all’enfasi e alla retorica. Le lettere di Sella rispettano le convenzioni della «grammatica epistolare» che nell’Ottocento «regolavano i rapporti tra corrispondenti, anche quelli improntati a cordiale spontaneità»,(51) e
nello stesso tempo rivelano, com’è prevedibile, una maggiore libertà linguistica, una scrittura caratterizzata da un tasso più alto
di espressività e colloquialità. Pur essendo andate purtroppo perdute le lettere che più avrebbero rivelato la lingua usata da Sella
nella quotidianità e nella vita affettiva,(52) possiamo estrarre qualche esempio dalle lettere scritte ad alcuni degli amici più cari, nelle quali affiorano con maggiore intensità, nella dimensione privata
dello scambio epistolare, i modi colloquiali già notati nei discorsi
ufficiali. Tra i destinatari delle lettere occupa un posto importante
proprio l’amico Giorgini ricordato prima, il «carissimo Bista» al
quale Sella scrive abbandonandosi a toni confidenziali:
Quanto a me sono proprio felice del congedo avuto, ché mi atterriva non
la prospettiva di rimanere alle finanze se mi fossero dati i mezzi occor(51) L. Serianni, Spigolature linguistiche dal carteggio “Verdi-Ricordi”, in Id.,
Viaggiatori, musicisti, poeti, Milano 2002, p. 167. Sulla grammatica epistolare nell’Ottocento si veda La cultura epistolare nell’Ottocento, cit.
(52) I curatori dell’Epistolario cit., nell’Avvertenza, p. v, scrivono: «Fra le lacune più dannose alla conoscenza dei sentimenti dell’uomo, l’assenza della maggioranza delle lettere alla moglie Clotilde Rey, le quali, conservate in parte a Torino presso
la figlia Sita (altre erano state distrutte per disposizione testamentaria), si perdettero per un bombardamento aereo durante la seconda guerra mondiale». Ciononostante, anche le pochissime lettere sopravissute indirizzate a Clotilde presenti nel vol. I
dell’Epistolario cit. permettono qualche notazione sul crescendo nel tempo delle formule d’apertura e di chiusura delle lettere: da «Amatissima Clotilde mia» 154 a «Carissima Moglie» 177, 179, fino a «Cara mogliuccia!» 186. E, nei saluti finali, da «Il
tuo bersagliato amico e fidanzato» 155, «Il tutto tuo» 178, «Il tuo caro marito» 187,
fino a «Ti bacia teneramente il tuo» 230. Sulla «prossemica epistolare» e sulle formule di esordio e congedo nei carteggi ottocenteschi rinvio ancora a Serianni, Spigolature, cit., p. 167 e G. Antonelli, La grammatica epistolare nell’Ottocento, in La cultura epistolare, cit., pp. 31-38.
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renti, ma quella di rimanere bandiera ad una barca il cui timone non era
in mano mia, ma nella mano di altri irresponsabili. Potrò così tornare a
qualche studio diletto, a qualche lettura geniale. Quanto mi duole non
vivere in luogo dove ti avessi a tiro! Quanto desidererei leggere e gustare teco qualche classico! (53)
Era scritto che non ci vedessimo … direbbe un Musulmano. Mentre tu
frugavi nella mia camera all’albergo io ero … al camerino adiacente.
Qualche mezzo minuto dopo il cameriere correva giù per le scale, ed in
piazza Maria Novella onde agguantarti, ma invano. Ti mando una lettera [di] Cerri come elemento per il tuo dizionario. Le distinzioni di mulini a gorile, a guedoccio, a gora, a margone tu le saprai fare meglio del
Carena.(54) A Biella trovai bene mia Madre mio fratello e tutti quanti, cosicché me ne tornai contento con Clotilde ed i figli che costituiscono la
mia capitale amministrativa e politica.(55)
Diverso tasso di letterarietà presentano le lettere indirizzate a personalità della politica e della cultura del tempo. Particolarmente
interessanti, per il contenuto, il tono, la lingua usata, le due lettere
scritte a Giosue Carducci su un tema che stava particolarmente a
cuore a Sella, e che aveva visto il poeta schierato sul fronte opposto: il trasferimento a Roma della capitale del regno. Nella lettera
spedita da Biella il 31 dicembre 1879 (56) Sella scriveva:
Certo siamo piccini e deboli, e soprattutto poco virtuosi. Ma bassi e vili
come ci fa il vostro carme, no di certo. Ned è per vendere i sacri resti
(53) Lettera del 26 giugno 1873, in Epistolario, cit., IV, pp. 508-509. Proprio il
26 giugno di quell’anno Giovanni Lanza aveva comunicato alla Camera che il re aveva accettato le dimissioni presentate dal suo governo.
(54) Sella fa qui riferimento a Faustino Cerri, autore di scritti sulla tassa sul macinato. I termini legati alla terminologia dei mulini segnalati all’amico Giorgini sono
stati effettivamente registrati in buona parte s.v. mulino nel Novo Vocabolario, cit. Sella allude scherzosamente a Giacinto Carena, autore del già citato dizionario metodico
pubblicato tra il 1846 e il 1853.
(55) La lettera, in Epistolario, cit., IV, pp. 564-565, è datata 6-1874, senza indicazione del mese.
(56) La lettera, in Epistolario, cit., VI, pp. 136-137, si riferiva alla pubblicazione a Berlino di dieci poesie di Carducci (la prima delle quali è il Canto dell’Italia
che va in Campidoglio), tradotte in tedesco da Theodor Mommsen e Ulrich von Wilamowitz-Mollendorff.
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di un glorioso passato che si applicava, e si sostiene impavidi … persino
il macinato!!! A meno che da vero vate voi prevedeste vicino il dominio dei progressisti!! Ma lasciamo correre. Lapidati dai poeti e dai prosatori cademmo, e siamo morti, ed io sono abbastanza protervo da non
domandare neppure il parce sepultis. Io torno al solito argomento … ed
è del male immenso che fate alla gioventù. Si va a Roma dopo un millennio e mezzo di schiavitù, e la vostra Musa non vi ispira altri concetti
che quelli del vostro carme? Ed io baggiano che entravo in Roma vivamente commosso, pieno la fantasia ed il cuore del passato del presente
del futuro, e tanti minchioni come me della generazione la quale se ne
va, e che in gioventù piena la mente di un alto ideale aveva appreso ad
amare fortemente e santamente la patria.
Colpisce, nella lettera, la coesistenza di due registri diversi: da una
parte la quasi parodistica connotazione aulica (che fa sospettare una
voluta imitazione dei toni prosastici carducciani), ottenuta col forte arcaismo («ned» (57)), con la struttura binaria («piccini e deboli»; «fortemente e santamente») e ternaria («del passato del presente del futuro»); con gli accusativi di relazione («pieno la fantasia
ed il cuore»; «piena la mente»); con i termini volutamente elevati «vate» e «carme», con la citazione latina; dall’altra l’abbassamento del registro diafasico in funzione ironica («Ed io baggiano»;
«tanti minchioni»), completato dall’uso espressivo dei punti esclamativi intenzionalmente ripetuti e dei puntini di sospensione.(58) E
nella lettera scritta a Carducci da Roma il 4 aprile 1880 (59) Sella
tornava sullo stesso argomento, anche se con toni critici ma bonari e colloquiali («l’ha proprio fatta grossa»):
Non c’è che dire: l’ha proprio fatta grossa nel dipingere l’entrata a Roma
come fece nella sua poesia […] Se i vati che elevar dovrebbero la vita, e
(57) Proprio quel ned per ‘né’ davanti a vocale fa trasparire il tono ironico dello scrivente. Su ned «anticaglia grammaticale» di «sapore libresco» si veda Serianni,
Il secondo Ottocento, cit., pp. 122 e 132.
(58) Sull’uso del punto esclamativo triplicato come «marca di un’intonazione»
e dei puntini “di esitazione” «per preparare il lettore a un motto di spirito, a un doppio senso, a un gioco di parole» si veda B. Mortara Garavelli, Prontuario di punteggiatura, Roma-Bari 2003, pp. 131 e 113.
(59) Epistolario, cit., VI, p. 189.
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trattare gli ideali a cui ispirar si debbe vanno anche al di sotto della prosaica realtà, a quali nobili propositi si dedicherà la nostra gioventù?
Modello di equilibrio linguistico bilanciato tra sobrietà e colloquialità sono gli scritti dedicati all’alpinismo, tema sfiorato anche nei
discorsi parlamentari, in uno dei rari riferimenti personali («parlo
come un alpinista solitario, il quale va pensando e fantasticando
sulle cose del mondo»).(60) Anche in questo caso Sella scrive pagine
linguisticamente esemplari, senza ricorrere a nessun tipo di compiacimento letterario. Nella lettera all’amico Bartolomeo Gastaldi (61) si alternano parti descrittive e parti di narrazione fluida, dal
tono poco libresco, quasi giornalistico. Ecco, in successione, due
esempi delle diverse modalità con le quali Sella riferisce la propria esperienza: nella prima, pur dichiarandosi estraneo alla scienza della botanica, riferisce l’esperienza vissuta con precisione da
naturalista,(62) nella seconda si abbandona a una descrizione autoironica della scalata del Monviso:
In fatto di botanica, ti dirà il conte Saint Robert, che è botanico di molta
vaglia, e che ha per giunta molto attentamente e lungamente erborizzato
attorno al Monviso, quanto ci sia di particolare in queste vallate. Come
estraneo a questa scienza, soltanto ti dirò come la valle della Varaita sia
una delle valli alpine che il viaggiatore percorre con maggiore piacere.
Infatti se il suo fondo venne recentemente depauperato dei noci colossali di cui andava altero, esso è tuttavia quasi ovunque verdeggiante di
prati perennemente irrigati dalle acque della Varaita e dei torrenti laterali. La costa settentrionale è meno doviziosa di vegetazione, perché i cereali vi sono coltivati fino a grande altezza, ma il fianco meridionale è
ricco di bellissime foreste di larici, le quali danno alla valle un aspetto
verdeggiante fatto a bella posta per riposare l’occhio stanco dall’aridità
che oggi travaglia l’Italia settentrionale.
(60) Discorso del 14 marzo 1881, in Discorsi, cit., I, p. 303.
(61) La lettera è riportata nell’Appendice ai Discorsi parlamentari, cit., I, pp.
567-596 col titolo “Una salita al Monviso”.
(62) Lo stesso tipo di osservazioni è presente nella descrizione della salita sul
Vesuvio, nella lettera da Napoli alla madre Rosa Sella del 19 agosto 1861 (Epistolario, cit., I, p. 328).
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Dormimmo quindi sotto le tende. Taluno di noi aveva spinto il sibaritismo fino al farsi trasportare un materasso a soffietto! Io trovo che stendendo sulla terra un pastrano impermeabile all’umidità, ponendo come
origliere il sacco a martelli da geologo, e gettando sul corpo un paio di
coperte, si può dormire con tutto il confort desiderabile. Però io esagererei di molto quando dicessi di aver fatto una buona nottata. Il passaggio dalle discussioni parlamentari e dalla snervante vita sedentaria a questi faticosi esercizi era stato forse troppo repentino, ed il sangue aveva
ricevuta una scossa subitanea, che mi dava una agitazione febbrile. Ma
il mio amico Barracco,(63) che era presso a poco sulla nuda terra, sebbene allevato in mezzo alle delizie di Napoli e fra tutti gli agi compatibili
con una delle più grandi fortune d’Italia, dormì saporitissimamente tutta
la notte. E poi si discorra della mollezza dei meridionali!
Anche attraverso questi primi prelievi dai vari scritti è possibile osservare la generale uniformità della lingua usata da Sella. A
rendere sostanzialmente omogenea la sua prosa concorrono, come
s’è visto, alcuni caratteri: mancanza di enfasi, scarsissima presenza di figuralità retorica, aggettivazione sobria, prudente moderazione dei toni nell’oratoria politica, cautela e misura nell’uso del
lessico. Si tratta degli stessi caratteri che connotano anche la prosa
di Cavour, di D’Azeglio (64) e che caratterizzeranno, mezzo secolo
dopo, quella di Giolitti.(65) Se la tendenza antideclamatoria di Sella conferma l’esistenza di una linea linguistica ottocentesca mino(63) Giovanni Barracco, deputato e senatore calabrese, fu collezionista d’arte e
mecenate, fondatore del Museo di scultura antica Barracco a Roma. Dopo aver scalato il Monte Bianco, scalò il Monviso con Quintino Sella, col quale fondò, nel 1863, il
Club Alpino Italiano. Si veda C. Mulè, Giovanni Barracco, un barone calabrese. Alpinista, parlamentare, mecenate, Soveria Mannelli 2005.
(64) La prosa di Massimo D’Azeglio aveva impressionato molto il giovane Sella, che in una lettera scritta il 7 maggio 1846 da Torino al fratello Giuseppe Venanzio
(Epistolario, cit., vol. I, p. 36), a proposito del libro Degli ultimi casi di Romagna.
Riflessioni, colpito dalla censura, scriveva: «se per caso si vendesse a Biella ti prego
caldamente a mandarmelo almeno una copia, perché vorrei farlo leggere ai miei amici, giacché è libro importantissimo ed interessante a leggersi».
(65) Sul linguaggio di Cavour, D’Azeglio, Giolitti si vedano E. Leso, Momenti
di storia del linguaggio politico, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni
e P. Trifone, II, Scritto e parlato, Torino 1994, pp. 723-736 e R. Gualdo, Il linguaggio politico, in Lingua e identità. Una storia sociale dell’italiano, nuova edizione, a
cura di P. Trifone, Roma 2009, pp. 237-246.
61
ritaria lontana dagli eccessi del lessico religioso mazziniano e della retorica risorgimentale, le sue predilezioni sintattiche e lessicali
rappresentano, nonostante le prese di distanza rispetto alla soluzione manzoniana, un buon esempio del progressivo avvicinamento
della lingua scritta a quella parlata, e la miglior dimostrazione che
la lingua italiana si avviava davvero a diventare nel futuro, secondo le convinzioni lungimiranti del Presidente dell’Accademia dei
Lincei, «la lingua di tutti».(66)
Valeria Della Valle
(66) L’espressione «la lingua di tutti» è ripresa dalla lettera-prefazione di Giorgini al Novo Vocabolario, cit., p. i.
62
Nel solco della tradizione.
Da Federico Cesi a Quintino Sella
La breve esistenza della prima Accademia dei Lincei (16031630) (1) ebbe termine con la morte, prematura, del suo fondatore,
Federico Cesi,(2) ma ciò non impedì che l’ordo Lynceorum infondesse in varie opere, manoscritte e stampate, gli ideali contenuti
nello statuto del sodalizio, il Lynceographum.(3) Lo studio della sa(1) Per la storia della prima Accademia dei Lincei cfr. B. Odescalchi, Memorie istorico critiche dell’Accademia dei Lincei, Roma 1806; D. Carutti, Breve storia
della Accademia dei Lincei, Roma 1883; G. Gabrieli, Contributi alla storia della Accademia dei Lincei, I-II, Roma 1989 (i due volumi raccolgono gli scritti che Gabrieli,
bibliotecario dell’Accademia dal 1903 al 1942, dedicò allo studio dei primi Lincei), Il
carteggio linceo, a cura di G. Gabrieli, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1996
(il volume ristampa gli scritti pubblicati, tra il 1938 e il 1942, nelle «Memorie della
Classe di Scienze morali, storiche e filologiche»), I. Baldriga, L’occhio della lince.
I primi Lincei tra arte, scienza e collezionismo (1603-1630), Roma 2002; D. Freedberg, L’occhio della lince. Galileo, i suoi amici e gli inizi della moderna storia naturale, traduzione e cura di L. Guerrini, Bologna 2007.
(2) Il sodalizio non fu in grado di sopravvivere a Cesi per una serie di ragioni: in
primo luogo esso perdette progressivamente il necessario appoggio curiale e il cardinale Francesco Barberini, nipote del pontefice Urbano VIII, non succedette a Cesi nel
ruolo di Lynceorum Princeps. Poco tempo dopo, inoltre, veniva condannato il più illustre sodale, Galileo Galilei. A ciò si aggiungano, infine, le sempre più gravi difficoltà finanziarie, dovute all’immediata decisione di Isabella Salviati (consorte di Cesi) di
alienare le collezioni librarie e museali dell’Accademia per provvedere le figlie di beni
dotali. La vendita era stata propiziata dall’assenza di un testamento. Si veda a riguardo la lettera che il linceo Francesco Stelluti invia a Galilei per comunicargli la «perdita fatta del nostro Sig.r Principe […]; più mi duole che non ha disposto delle cose
dell’Accademia, alla quale voleva lasciare tutta la sua libraria, museo, manoscritti et
altre belle cose, le quali non so in che mani capiteranno. Era il povero Signore tanto
afflitto del male c’haveva, del quale non sperava liberarsene, che non sentiva più gusto di cosa alcuna, né è stato possibile di persuaderlo a fare testamento». Cfr. Il carteggio, cit., n. 1011, p. 1217.
(3) Il testo, alla cui stesura Cesi e alcuni sodali attesero dal 1603, rimase mano-
63
pientia presupponeva l’attenta osservazione dei fenomeni naturali,
della terra e del cielo, puntualmente accompagnata dall’illustrazione, che si considerava necessario corredo iconografico di ogni testo scientifico. All’observare dei sodali dovevano seguire lo scribere, l’imprimere e l’edere, come stabiliscono le Praescriptiones
Lynceae, stampate nel 1624 a cura del Cancelliere dell’Accademia
Joannes Faber: In Sapientiae autem pio semper et in Dei Optimi
Maximi laudes studio, observationi primum et contemplationi, post
scriptioni ac inde tandem editioni incumbendum.(4)
Sin dal 1605 il linceo olandese Joannes van Heeck, con il trattato De nova stella,(5) inaugurò la felice stagione dei libri impressi
scritto per quasi quattrocento anni. L’edizione critica del volume, resa possibile grazie alla trascrizione di Ada Alessandrini e Armando Petrucci, fu stampata nel 2001 e
inaugurò la nutrita serie delle pubblicazioni edite nell’ambito delle celebrazioni per
il quarto centenario della fondazione dell’Accademia dei Lincei. Cfr. Lynceographum
quo norma studiosae vitae Lynceorum philosophorum exponitur, a cura di A. Nicolò
Ricci, Roma 2001. Il testo statutario è all’interno del manoscritto miscellaneo Archivio Linceo IV conservato presso la Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei
e Corsiniana. Cfr. I. Baldriga, Lynceographum quo norma studiosae vitae Lynceorum philosophorum exponitur, in Il trionfo sul tempo. Manoscritti illustrati dell’Accademia Nazionale dei Lincei, a cura di A. Cadei, Modena 2002, pp. 71-73 (catalogo
della mostra omonima, tenutasi a Roma, presso Palazzo Fontana di Trevi, dal 27 novembre 2002 al 26 gennaio 2003) e M. Guardo, La sapientia e il suo specchio nella libraria di Federico Cesi: nota su una particula del Lynceographum, in Le mille
e una cultura. Scrittura e libri fra Oriente e Occidente, a cura di M. C. Misiti, Bari
2007, pp. 25-39.
(4) Cfr. J. Faber, Praescriptiones Lynceae Academiae, Terni 1624. Il volume fu
ristampato a Roma nel 1745. Quest’ultima edizione fu riprodotta in anastatica in Celebrazioni per il IV centenario della fondazione dell’Accademia dei Lincei, a cura di
V. Pirro, Arrone (Tr) 2003, pp. 21-32. Per la citazione cfr. p. 22.
(5) Cfr. G. Finocchiaro, Intorno a due libri ‘Lincei’: il ‘De nova stella’ di Ioannes Heckius emendato dall’autore e il ‘Compendium’ di Cristophorus Clavius già
della Biblioteca cesiana, «Rendiconti dell’Accademia dei Lincei. Classe di Scienze
morali, storiche e filologiche», XIV (2003), pp. 89-97 e M. Guardo, Caelestia e naturalia nel segno della lince, in Favelleran di te sempre le stelle. Galileo, i primi Lincei e l’astronomia, a cura di E. Antetomaso, A. Romanello, A. Trentini, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2012, pp. 13-20, in particolare p. 16: «il volume trae
origine dalla nova che nel 1604 attraversa il cielo nella costellazione del Sagittario,
causando accesi dibattiti e sollecitando la pubblicazione di molteplici libelli. Il sodale
d’oltralpe aveva osservato e descritto il fenomeno sotto il cielo di Praga […]». Molto opportunamente S. Ricci, Federico Cesi e la nova del 1604. La teoria della fluidità del cielo e un opuscolo dimenticato di Joannes van Heeck, «Atti dell’Accademia
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nel segno della lince, che darà i suoi frutti più maturi dopo l’ascrizione del sodale forse più illustre, Galileo Galilei. Nel 1613 seguirono le Macchie solari e, dieci anni più tardi, Il saggiatore,
volume, quest’ultimo, studiatamente dedicato al pontefice Urbano VIII.(6) Uomo di scienza e di lettere, ma anche abile diplomatico ed esperto di strategia editoriale, il Lynceorum Princeps comprese che il giubileo urbaniano del 1625 avrebbe potuto costituire
una grande occasione per il proprio sodalizio, alla costante ricerca di appoggi e di patroni. Ne sortì un trattato entomologico dello stesso Cesi, l’Apiarium: (7) nello scritto, in folio magno espanso, per citare l’espressione di Leone Allacci,(8) l’ape trascendeva
l’emblema araldico del potentato barberiniano per divenire simbolo di collaborazione tra gli studiosi e, nel contempo, di una nuova
scienza, fortificata da strumenti nuovi e straordinari, quali il telescopio e il microscopio.(9)
Nel 1630 il Persio tradotto in verso sciolto del linceo Francesco Stelluti concludeva l’attività editoriale accademica; il cosiddetto Tesoro messicano, monumentale volume sui naturalia messicani, impreziosito da circa ottocento immagini xilografiche, sarebbe
Nazionale dei Lincei. Rendiconti della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche», s. VIII, XLIII (1988), pp. 111-133, p. 115, rileva che i Lincei «uscirono per la
prima volta allo scoperto con una pubblicazione che affrontava uno scottante problema di astronomia e di cosmologia, scienze che non entrarono, quindi, nell’Accademia, solo nel 1611, con Galileo».
(6) La lettera dedicatoria, redatta dal linceo Virginio Cesarini, contiene nella chiusa la supplica dei sodali al neoletto pontefice: «[…] la supplichiamo a mantener favoriti i nostri studi co’ cortesi raggi e vigoroso calore della sua benignissima protezzione». Cfr. Il carteggio, cit., n. 690, p. 822.
(7) F. Cesi, Apiarium. Testo e traduzione, I, a cura di L. Guerrini, traduzione di
M. Guardo, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2005. Sul sito dell’Accademia
Nazionale dei Lincei (www.lincei.it) è disponibile l’edizione digitale del documento,
promossa nel 2005 dalla suddetta Accademia in collaborazione con l’Istituto e Museo
di Storia della Scienza di Firenze (oggi Museo Galileo). Cfr. anche G. Finocchiaro,
Dall’Apiarium alla ΜΕΛΙΣΣΟΓΡΑΦΙΑ. Una vicenda editoriale tra propaganda scientifica e strategia culturale, «Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Rendiconti della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche», s. IX, XV (2004), pp. 767-779.
(8) L. Allacci, Apes urbanae, Roma 1633, p. 90.
(9) Cfr. M. Guardo, L’Ape e le Api: il paratesto linceo e l’omaggio ai Barberini, «Paratesto», 1 (2004), pp. 121-136.
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stato pubblicato nella sua interezza solo nel 1651,(10) oltre vent’anni dopo la morte di Cesi, e dedicato al monarca spagnolo Filippo IV.
Frammentari ed episodici i tentativi di fare risorgere l’Accademia, a cominciare da quello del medico riminese Giovanni Bianchi,
il quale nel XVIII secolo fu per brevissimo torno di tempo Lynceorum restitutor.(11) Miglior fortuna non arrise a coloro che nei primi anni del secolo successivo tentarono di consolidarne le sorti.(12)
Occorrerà attendere l’Unità d’Italia e la breccia di Porta Pia, quando avrà assunto la Presidenza Quintino Sella,(13) lo statista piemontese che nell’arco di un decennio (1874-1884) darà all’Accademia
dei Lincei la riforma che ancora oggi ne costituisce la base.(14)
Fin dal discorso pronunciato durante il banchetto offerto il 22
marzo 1874 alla presenza del Presidente del Consiglio Marco Min(10) I naturalia riguardano la botanica, la zoologia e la mineralogia del Nuovo Mondo. La silloge naturalistica prende le mosse dalle ampie relationes manoscritte di Francisco Hernández, protomedico di Filippo II, il cui testo fu compendiato dal
successore del medico spagnolo, Nardo Antonio Recchi di Montecorvino (presso Salerno). Il manoscritto del compendio, ereditato dal nipote di Recchi, il giurista-bibliofilo Marco Antonio Petilio, fu acquisito da Cesi nel 1610 circa. Nel 1992 l’Accademia Nazionale dei Lincei ha riprodotto (per i tipi dell’Istituto Poligrafico e Zecca
dello Stato) l’esemplare del Tesoro messicano conservato presso la propria Biblioteca con segnatura Archivio Linceo 31 (si tratta dello stampato appartenuto a Cesi, il
quale vergò diverse carte del libro con postille di argomento botanico); la riproduzione ha visto la curatela del linceo G. B. Marini Bettòlo, autore del commentario (Una
guida alla lettura del Tesoro messicano). Cfr. anche El Tesoro mexicano. La Accademia dei Lincei y las maravillas del Nuevo Mundo. Catálogo de la exposición a cargo
de E. Antetomaso, A. Romanello y A. Trentini, coordinación científica de M. Guardo, Roma 2010 (cfr. in particolare la bibliografia alle pp. 91-94) e Il Tesoro messicano. Libri e saperi tra Europa e Nuovo Mondo, a cura di M. E. Cadeddu e M. Guardo,
in corso di stampa (Atti del convegno tenutosi a Roma presso l’Accademia Nazionale dei Lincei, 30-31 maggio 2011).
(11) Cfr. A. Fabi, Bianchi, Giovanni, in Dizionario Biografico degli Italiani,
Roma, 10, 1968, pp. 104-112.
(12) D. Carutti, Breve storia, cit., pp. 104-132.
(13) Cfr. I Lincei nell’Italia unita. Mostra storico-documentaria sotto l’alto Patronato del Presidente della Repubblica (Roma, 22 novembre 2003-10 gennaio 2004),
a cura di G. Paoloni e R. Simili, Roma 2004, pp. 13-24.
(14) Cfr. T. Gregory, Quintino Sella, Roma, l’Accademia dei Lincei, saggio contenuto nel presente catalogo.
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ghetti e di altri esponenti del governo e del Parlamento,(15) Sella,
come rileva Tullio Gregory, «delineava con estrema chiarezza la
sua idea dei Lincei, della loro missione nella nuova Italia», ponendosi in una linea di continuità con il fondatore del sodalizio.(16)
Con altrettanta «estrema chiarezza» Cesi, nel corso di un celebre
banchetto romano tenutosi sul colle del Gianicolo il 14 aprile del
1611 (la «filosofica ragunata, che fu fatta nel Janicolo, che durò
dalle 20 hore sino alla mezza notte, tutta consumata in dispute e
colloquii dottissimi […] col Principe Cesi»),(17) aveva delineato assai efficacemente la sua idea dell’Accademia. Quella sera Galilei,
al cospetto di scienziati, di alti prelati e di un ristretto novero di
sodali, aveva dimostrato le straordinarie potenzialità del telescopio, consentendo al Lynceorum Princeps di spiegare nel modo più
immediato il senso della missione lincea, legata alla «lettione del
libro dell’universo» e ai saperi della nuova scienza.(18) Due settimane più tardi Galilei era linceo.
Nella sua prolusione Sella sostiene in primo luogo che «in questi anni la face del sapere italiano non brillò di tutta la luce che si
vorrebbe» a causa di «taluni fatti transitorii», quali l’«educazione
sotto gli antichi reggimenti; le necessità o le utilità della patria, le
quali distolsero troppi sapienti dagli studi», e conclude che «la libertà e la sicurezza della patria sono le prime condizioni per l’incremento della scienza». Cinque anni dopo egli insisterà ancora
pp.
(15) Cfr. «Atti della Reale Accademia dei Lincei», s. II, vol. II (1874-1875),
xvii-xxii.
(16) Cfr. Gregory, Quintino Sella, cit.
(17) Cfr. Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana, Archivio
Linceo IV, c. 347v. La fonte è attestata nel fascicolo che riguarda la biografia del linceo Antonio Persio. Cfr. G. Gabrieli, Notizia della vita e degli scritti di Antonio Persio
Linceo, in Id., Contributi, cit., I, pp. 865-887, p. 877. Una lettera del linceo d’oltralpe Marco Welser a Paolo Gualdo informa che nel corso del banchetto Galilei mostrò
ai convitati, «diversi theologi, filosofi, matematici ed altri […] quei compagni di Giove, con parecchie altre meraviglie celesti» e «fece vedere col suo stromento la loggia
della Beneditione di S. Giovanni in Laterano, con le lettere dell’inscrittione di Sisto
V, espressissimamente […]». Cfr. Il carteggio, cit., n. 61, p. 157.
(18) Cfr. M. Guardo, Galilei e il Tesoro messicano, «L’Ellisse», VI (2011), in
corso di stampa.
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una volta sugli studi talora impediti dalle «necessità della patria»,
pur senza delineare una figura di scienziato avulso dalla politica:
La generazione nostra e quella che ci precedette, furono molto distratte da
un grande compito, quello di fare l’Italia. Ora che l’Italia è fatta, possono i fortissimi ingegni rivolgersi agli studi. Non è che io consigli ai cultori del sapere l’abbandono della cosa pubblica: ciò sarebbe la decadenza della nazione: anzi quanto più cresce la civiltà dei popoli, di tanto, e
così fattamente si aumentano i compiti e le difficoltà del governo, infatti ovunque oggidì si lamenta la insufficienza dei governanti. Ma quando un giovane senta spirare nell’animo suo il fuoco sacro della indagine
dell’ignoto […] aggredisca impavido le altezze della scienza.
Il Presidente, inoltre, non mancava di rammentare ai «giovani»
l’antitesi tra la vanitas dell’attività politica e la fama eterna del
grande scienziato:
[…] ricordino i giovani, che la gloria di chi fa salde scoperte scientifiche
non è piccola presso i contemporanei, e dura nel tempo, giacché la scienza non è ingrata, ed ha altari eterni per i suoi benemeriti; mentre il chiasso fatto per esempio attorno ad un ministro, salvo pochissime straordinarie eccezioni, è labile come l’onda prodotta dal tonfo di una pietra.(19)
Cesi, a sua volta, nel suo discorso istituzionale e programmatico Del natural desiderio di sapere, aveva esordito affermando che
l’«ordinarie brighe e faccende» e i «molti negotii» contribuiscono
a spegnere il «nativo desiderio» di sapere e per tale ragione intendeva che la sua Accademia fosse «provista di quanto e per il vitto e per la professione l’è necessario, scarica et esente d’ogni altra
cura, ambitione o interesse».(20) Anche il Lynceographum, d’altra
(19) Q. Sella, Dell’Accademia dei Lincei, Bologna 1879, pp. 19-20. Lo scritto
di Sella è ristampato integralmente nel presente catalogo.
(20) F. Cesi, Del natural desiderio di sapere et Instituzione de’ Lincei per adempimento di esso, in Galileo e gli scienziati del Seicento, II. Scienziati del Seicento, a
cura di M. L. Altieri Biagi-B. Basile, Milano-Napoli 1980, pp. 39-70, in particolare
pp. 42 e 70. Il discorso di Cesi fu edito per la prima volta da G. Govi, Intorno alla
data di un discorso inedito pronunciato da Federico Cesi fondatore dell’Accademia
de’ Lincei e da esso intitolato: Del natural desiderio di sapere et Instituzione de’ Lincei
per adempimento di esso, «Atti della R. Accademia de’ Lincei. Memorie della Clas-
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parte, sanciva nettamente la distanza dei Lincei dalla sfera politica (Politicam numquam aut scriptis aut factis profiteantur), divieto ribadito nelle Praescriptiones Lynceae (Politicas controversias,
immo rixas omnes et adversus alios verbosas contentiones praesertim spontaneas, et quae simultatem, odium et inimicitias movere posse videbuntur, alto silentio prateribunt […]).(21)
Cesi e Sella, successivamente, toccano l’argomento della religione: il Lynceographum, con abile prudenza tattica, esorta: Colatur Theologia in ecclesiasticis viris sacerdotibusque, a quibus
necessaria ad salutem bonosque mores dogmata in nos emanare poterunt, non enim ad hanc divinam Scientiam Lynceos in Lyceis viventes incumbere opus erit, pur ammettendo che un sodale
particolarmente versato nel campo teologico sarà degno di lode e
di stima.(22) Sella, invece, con tono più assertivo sostiene che «le
religioni certo non entrano nel programma delle Accademie», ma
per specificare subito dopo che «ove le discussioni filosofiche si
estendessero a quistioni di comune dominio […] niuna discussione sarebbe da un lato più libera, dall’altro più innocua di quelle
delle Accademie».
Sia Sella sia il fondatore dell’Accademia, inoltre, esaltano il
ruolo dell’osservazione diretta sottesa all’indagine scientifica e al
«vero»: il primo pone più volte l’accento sulle «innumerevoli osservazioni», indirizzando lo studioso alla «coscienziosa osservazione e indagine di ciò che ancora non si conosce». «La lotta contro
l’ignoto colle armi dell’osservazione e della deduzione sia scopo
costante degli studiosi» (23) esorta il Presidente, convinto che il «sose di scienze morali, storiche e filologiche», s. III, vol. V (1879-1880), pp. 244-261.
Sella al momento del suo discorso del 1874 non conosceva il testo cesiano, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli (segnatura XII E 4).
(21) Lynceographum, cit., p. 69 e Faber, Praescriptiones Lynceae, cit., p. 25.
(22) Lynceographum, cit., pp. 68-69.
(23) Nella decorazione a tempera dell’attuale Sala di lettura della Biblioteca
dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana (un tempo Salone delle Adunanze
solenni), al primo piano di Palazzo Corsini, un cartiglio del soffitto reca un’iscrizione che cita parzialmente la frase di Sella («La lotta contro l’ignoto sia scopo costante degli studiosi»), indicandone l’autore sul margine inferiore. La suddetta decorazio-
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dalizio scientifico completo nella capitale del Regno» deve «appassionare i cuori per il vero».
In modo analogo Cesi si soffermava sull’«acuta e profonda contemplatione» e sull’«essercitio universale di contemplatione e prattica», così che i sodali potessero «appigliarsi al bramato vero».(24)
Un’eguale analogia si rileva non solo sotto il profilo concettuale,
ma anche sotto quello terminologico: al «vero esercito di studiosi», che secondo Sella ha il compito di attendere a un «paziente e
scrupoloso lavoro», corrisponde nel discorso cesiano la metafora
della «militia filosofica»,(25) peraltro già apparsa in una celebre lettera scritta dal fondatore dell’Accademia a Galilei nel maggio del
1612: «habbiamo bisogno di capitani e anco di soldati nella nostra
filosofica militia, se ben molto meno de’ primi, poiché abbiamo gli
ottimi, e pochi bastano a guidar grand’esercito».(26)
Anche Sella, sul solco di Cesi, che alla fase dell’observatio faceva seguire quella dell’editio, nutre il fermo convincimento che le
«pubblicazioni accademiche sono il vero archivio di codeste nuove coscienziose severe osservazioni». Ancora: il Presidente, giudicando l’«efficacia» dell’Accademia dalla capacità di «illustrare
con stampe gli oggetti che si descrivono», conferma la sua fedeltà
a un dettato cesiano attestato sin dalle origini, allorché il fondatore
dell’Accademia sosteneva il binomio testo scritto-immagine sia nel
carteggio («Utilissimo sarà il disegnatore in rame per il nostro ordine, poiché nel stampar i componimenti delli Lyn­caei la maggior
spesa sarebbe nelle figure, onde avanzeremo questo et potremo figurare ogni nostra osservazione et capriccio») sia nel Lynceographum, che afferma la necessità di un pictor ad naturalia observata effingenda et figuras delineandas ad impressiones all’interno
dell’ordine linceo.(27)
ne è opera del perugino Domenico Bruschi, firmata e datata 1885 (cfr. E. Borsellino,
Palazzo Corsini, Roma 2002, p. 89).
(24) Cesi, Del natural desiderio, cit., pp. 44, 54, 46.
(25) Ivi, p. 53.
(26) Il carteggio, cit., n. 352, p. 353.
(27) Ivi, n. 34, pp. 67-68 e Lynceographum, cit., p. 91. A riguardo si veda altre-
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Il Presidente dell’Accademia e il Lynceorum Princeps affrontano di seguito il tema delle Università: Cesi, con notevole sincerità
di accenti, muovendo dalla necessità dell’osservazione diretta dei
naturalia, rivolgeva un atto di accusa alla «laurea». Infatti essa:
indifferentemente corona tutti quelli che finiscono il corso senza riguardo alcuno né dell’arrivare né del zoppicare o andar dritto […]. Così il
dottorato suole a molti troncar la via del sapere […] si serve all’autorità di questo e quello dell’antichi, si sostiene questa e quella setta. Onde,
mentre solo s’apprendono le cose filosofate d’altri e si godono i frutti
dell’intelletti altrui, con la pigritia e sterilità de’ nostri propri, ben si riduciamo ad esser filodossi invece de filosofi.
La causa di tutto ciò, secondo Cesi, andava individuata nell’operato degli «aristotelici», i che impediscono «non solo la necessaria
lettione del libro dell’universo, ma anco di qualsivoglia libro che
non sia uscito dalla favorita setta e da’ cari maestri».(28)
Sella, dal canto suo, ritiene che le accademie segnino una tappa precedente rispetto a quella delle università: le une, infatti, rappresentano lo stadio delle «prime osservazioni», mentre le altre
quello delle «leggi»:
In generale solo quando le novelle osservazioni si poterono collegare con
una nuova legge o con una correzione alle antiche se ne può discorrere
dalla cattedra. Solo quando si giunse a conclusioni generali le quali interessino quante occorrono ad un giornale, se ne può trattare nei periodici ordinari. Ora la registrazione delle prime osservazioni importa che
sia fatta indipendentemente dall’interesse che possa eccitare nell’uditorio scolastico o nei lettori del diario. Giova grandemente alla severa verisì il seguente invito che lo statuto rivolge ai sodali (p. 71): Quia vero fugax occasio
est, stilo et pugillaribus numquam careant ut scripto arripere omnia servareque possint quae ad quascumque Scientias et Lyncea studia ac officia pertinentia viderint observaverintque […].
(28) Cesi, Del natural desiderio di sapere, cit., p. 47. Cfr. anche E. Vesentini, Federico Cesi, Quintino Sella, Vito Volterra. Il ruolo delle Accademie nella storia d’Italia, in corso di stampa (il contributo sarà pubblicato negli Atti del Convegno
«Le Accademie nazionali e la Storia d’Italia», Napoli, Accademia Pontaniana, 9-10
dicembre 2011). Il video della conferenza di Vesentini è disponibili in rete (www.lincei.it, sezione focus).
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tà delle osservazioni il non essere quasi astretti a trarne conclusioni premature, onde aver mezzo di farle conoscere.
Cantiere di «osservazioni», dunque, l’accademia, «bello e duraturo edificio» l’università. Secondo Sella nella prima opera il «cultore serio delle scienze», il quale «deve sapersi rassegnare alla parte dell’operaio e preparare i materiali, i mattoni», nella seconda
«esso stesso o altro più felice architetto» potrà elevare il palazzo
dell’università: il Presidente è infatti consapevole che «i momenti felici in cui le leggi si scoprono non sono molti» e che «l’indispensabile lavoro quotidiano è più arduo».
Fissati compiti e funzioni dell’Accademia in un ambito non più
romano, ma nazionale, Sella concepisce un programma di espansione universalistica, guardando con favore al moltiplicarsi degli
Istituti scientifici d’oltreoceano:
importanti Accademie hanno […] gl’inglesi nell’India, nell’Australia,
senza parlare degli Stati-Uniti, ove, tutto essendo gigantesco, vi sono
Accademie scientifiche ed annessi Osservatorii, Musei […] in scala letteralmente colossale. Egli è che questi popoli energici hanno molto bene
inteso quale indescrivibile utilità si ritragga per il progresso intellettuale e materiale della Nazione, eccitando nell’individuo lo spirito di osservazione e di indagine.
Più di tre secoli prima lo statuto della prima Accademia esortava i
sodali a diffondere i «Licei» oltre l’Urbe, nell’ottica di un medesimo spirito di osservazione e di indagine (Construamus […] Lycea
(ita Lynceorum domos appellantes) in maioribus Mundi civitatibus,
in quibus plurimi maneant ac conveniant studiosi doctique; plura
praebeantur physicis speculationibus apta; plurima innotescant ad
scientias attinentia; propinqua multa et adiacentia observari queant) che coinvolgesse, oltre Roma Roma igitur olim Orbis domina Lyceum habeat, quod medium obtineat Italiae) città italiane e
straniere come Napoli (In Neapolitana deinde urbe Lyceum orientalem Itliae partem habeat, quae studiorum commoditatibus optimis praedita est et antiquo ac recenti philosophiae splendore illustris), Padova, Vienna, Colonia, Parigi, ma anche l’Asia, l’Africa
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e le Indie ([…] poterunt et alia plura studiis et Naturae inspectionibus deligi loca in ipsa etiam Asia, Aphrica Indiisque pro ut res
et occasio tuberi […]).(29)
Muovendo dal programma universalistico, sia Sella sia Cesi ritengono che l’«esercito di studiosi» e la «filosofica militia» debbano annoverare i cultori delle humanae litterae. A proposito del
Presidente ottocentesco, che nel 1875 riforma lo statuto accademico, istituendo la Classe di Scienze morali, storiche e filologiche,(30)
Gregory sottolinea «l’ampia concezione […] del sapere scientifico,
inteso anzitutto come metodo unificante le varie discipline, metodo d’osservazione e di induzione, rifiutando quindi ogni contrapposizione fra scienze della natura e scienze dello spirito».(31) Sella, infatti, nel discorso del 1874 pone una serie di domande, frutto
del pensiero positivistico:
Può l’Accademia delle scienze di Roma, della capitale del regno, essere circoscritta alle scienze fisiche, matematiche e naturali? […] ammessa la utilità delle Accademie per le scienze naturali, non puossi dubitare dell’opportunità delle Accademie di scienze morali e politiche? Forse
il dubbio reggerebbe presso chi non credesse che il metodo seguito anche in queste scienze non si andasse ognor più accostando a quel metodo
d’osservazione e di induzione che fece la fortuna delle scienze naturali.
Quante scienze morali e politiche non procedono oggi come le naturali? Quanta analogia nel modo d’indagine fra i geologi e gli archeologi,
fra i filologi ed i botanici o zoologi? […] Quante scienze dei due campi che sembravano separate da abissi, ed ora col progredire delle osser(29) Lynceographum, cit., pp. 86-87. Cesi riuscì a istituire solo il liceo di Napoli: cfr. G. Gabrieli, Il «Liceo» di Napoli. Lincei e linceabili napoletani. Amici e corrispondenti della vecchia Accademia dei Lincei nel Mezzogiorno d’Italia, in Contributi, cit., II, pp. 1497-1548.
(30) Cfr. Carutti, Breve storia, cit., pp. 139 ss. e 237 ss.
(31) Gregory, Quintino Sella, cit. Spia degli interessi umanistici di Sella è la
sua curatela dell’edizione del Codex Astensis qui de Malabayla communiter nuncupatur, «Atti della R. Accademia dei Lincei. Transunti», s. II, 1880-1887, iniziata durante la sua Presidenza. Cfr. Carutti, Breve storia cit., pp. 143-144: «S. M. l’Imperatore d’Austria-Ungheria avendo con regia munificenza fatto dono all’on. Sella, andato a
Vienna in missione diplomatica, dell’antico Codice Astense Malabayla, il nostro Presidente […] presentò il prezioso manoscritto all’Accademia, e questa ne deliberò la
stampa a benefizio degli studi storici».
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vazioni si congiungono con saldi anelli! Chi avrebbe detto pochi anni fa
che gli archeologi, i geologi e i paleontologi avrebbero trovato un campo comune nei trogloditi?
Egualmente nella prima Accademia si esortavano alcuni «soldati» del drappello linceo a dedicarsi agli studi filologici e antiquari:
Philologiam deinde nullo pacto spernant, sed ex ea et antiquitatum eruditionibus se exornari sibi persuadeant, ammonisce infatti
una particula del Lynceographum. Anche la lettera cesiana a Galilei sopra menzionata non esclude lo studio della filologia in seno
al sodalizio, «dove molti saranno dediti alle profonde speculazioni
fisiche e matematiche, nostre più proprie, ve ne starà molto bene
e utilmente alcun filologo, non però puro»; qualche anno dopo, il
discorso Del natural desiderio di sapere insiste in più punti sulle
«filologiche e poetiche erudizioni», «sul buono et utile della filologia» e sull’«ornamento della filologia»; infine, anche le Praescriptiones Lynceae invitano i sodali a congiungere la conoscenza delle discipline naturali e matematiche con quelle umanistiche: […]
disciplinis naturalibus praesertim ac mathematicis se dedant […]
non neglectis interim amoeniorum Musarum et Philologiae ornamentis, usque ad instar elegantissimae vestis reliquum totum scientiarum corpus condecorent […].(32) Di conseguenza il Lynceorum
Princeps ammetteva lo studio della poesia, che sosteneva sin dal
1604, un anno dopo la fondazione dell’Accademia, scrivendo a
Stelluti: «Lodo anco grandemente lo studio della poesia, quale essendo per se stessa vagabonda, sarà necessario che il suo Saturno
l’ingravischa, che non più un verso in qua et uno in là (come è solito delli altri poeti), ma si bene qualche operetta eseguita di materie lincee o pur di successi lincei ordisca».(33)
(32) Lynceographum, cit., p. 69, Il carteggio, cit., n. 238, p. 353, e Cesi, Del natural desiderio, cit., pp. 49, 53, 70, Faber, Praescriptiones, cit., pp. 21-22.
(33) Il carteggio, cit., n. 15, pp. 39-40. L’ideale di gravitas stilistica nella poesia
di stampo didascalico-scientifico spiega la presenza del poema lucreziano nella biblioteca di Cesi: cfr. M. T. Biagetti, La biblioteca di Federico Cesi, Roma 2008, p. 249.
A riguardo rileviamo, infine, le poco benevole osservazioni di Cesi su Omero, poeta
«lodatissimo», ma nel quale a suo giudizio «non vi si scorge né bella tessitura, né de-
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La prima Accademia metteva dunque in campo un poeta che
versificasse in modo scientifico e didascalico, mentre la res antiquaria lincea sottendeva l’osservazione del reperto archeologico,
diretta o filtrata attraverso le fonti letterarie. Non stupisce, allora,
l’ascrizione di Josse de Ricke (Iustus Riquius), il filologo «non
però puro» del sodalizio cesiano, giunto a Roma sul volgere del
1624. Proprio quest’ultimo celebra l’ape barberiniana nelle Apes
Dianiae, un’elegia che accoppia novità filologiche e numismatiche (il titolo del carme è infatti De apibus Dianiis in veterum monimentis noviter observatis), corregge e lima l’incerta prosa latina
dei sodali (34) e, infine, ha il compito di stendere con elegantiae Latinae le biografie degli accademici defunti, consuetudine, quest’ultima, ripresa dall’Accademia nel XIX secolo.(35)
Stabilito il programma universalistico e compiuta la riforma
del 1875, rileva Gregory, «furono eletti soci Lincei studiosi fra i
più significativi della cultura italiana ed europea, con un cospicuo
numero di stranieri che costituivano per Sella la nota essenziale
del carattere cosmopolita del sodalizio accademico e della nuova
Roma»: tra essi citiamo almeno Charles Darwin, Fernand Gregorovius, Theodor Mommsen ed Herbert Spencer. Non diversamente,
anche Cesi aveva ascritto all’ordo Lynceorum scienziati d’oltralpe,
coro, né ornamenti, né molta varietà, ma solo come primo, come pieno d’inventioni,
come ricco di materie e fecondo di lingua, viene celebrato». A questo proposito Gabrieli chiosa: «Questo giudizio su Omero non ispira lusinghiera impressione sul gusto, o cultura poetica del giudicante; che del resto non nascondeva la sua scarsa sensibilità o coltura poetica». Cfr. Il carteggio, cit., n. 760, p. 896.
(34) Faber, che aveva propiziato il soggiorno romano di Riquius, a servizio del
Lynceorum Princeps, scriveva a quest’ultimo che il poeta doctus belga non avrebbe avuto rivali nel «mettere in essere tutte le compositioni Lyncee et abbellirle». Lo
stesso Faber riteneva che i propri scritti avessero bisogno di una «strupicciata bona»,
in particolare per ciò che concerneva «le molte parole greche et altre d’eruditione,
che ricevono qualche lima o spongia» Cfr. Il carteggio, cit., n. 808, p. 976, n. 858, p.
1055, n. 886, p. 1084.
(35) Cfr. A. Gallottini - M. Guardo, Le Apes Dianiae di Iustus Riquius. Poesia e
antiquaria nella prima Accademia dei Lincei, «L’Ellisse», III (2008), pp. 51-83. Cfr. anche Giuseppe Gabrieli, Giusto Ricchio Belga: i suoi scritti editi ed inediti, in Id., Contributi cit., II, pp. 1133-1164 e Id., Ancora di Josse Rycke (Giusto Ricchio) panegirista
o encomiatore ufficiale dei Lincei defunti nella prima Accademia, Ivi, II, pp. 1165-1175.
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quali, ad esempio, Joannes van Heeck, uno dei fondatori della prima Accademia, Joannes Faber e Joannes Schreeck, il Terrentius, al
quale dobbiamo il primo lavoro linceo sul Tesoro messicano.(36)
Un ultimo aspetto, infine, accomuna i due protagonisti della fondazione e della rinascita dell’Accademia: l’attenzione nei
confronti della biblioteca, pur se nel pensiero cesiano essa assolve a un ruolo meramente strumentale rispetto agli studi dell’ordine linceo: l’ideale del publicum commodum ne è infatti escluso, e
ciò contribuisce a spiegare la dispersione del corpus librario della prima Accademia alla morte del suo istitutore.(37) Diversi passi
del Lynceographum si soffermano sulla biblioteca e sul ruolo del
bibliotecario,(38) in primo luogo Lynceorum studio rum ac laborum
[…] adiutor ac praeses. Egli, infatti, oltre a curare la stesura del
duplice indice, per autori e per materie, offre il proprio aiuto ai sodali, giovando loro consilio et monitis che in senso lato attengano
alla scribendi methodus. Il bibliotecario è altresì censor librorum,
giacché ha il compito di studiare se l’aspetto contenutistico delle
pubblicazioni risponda al dettato dello statuto linceo, ed è infine
esperto nell’arte tipografica.
D’altra parte il discorso Del natural desiderio di sapere menziona entusiasticamente le «biblioteche che ci danno tutti i libri letti
e giudicati, o li vogliamo per ordine dell’autori, o delle materie»,
annoverando i molteplici e importanti strumenti bibliografici («le
belle e buone comodità del XVII secolo») dei quali si può disporre e privilegiando l’impiego della tavola sinottica in virtù della sua
evidentia piegata ai fini della persuasione scientifica:
Ci sono gl’indici e repertori copiosissimi, dittionari, lessici di tutte le
professioni, sono digesti li migliori scrittori in luoghi comuni. Vi sono
le raccolte di fiori, di sentenze, d’attioni, e theatri e poliantee e giardini
(36) Cfr. Gabrieli, Contributi, cit., II, cap. IV, interamente dedicato alle figure e
agli scritti dei Lincei stranieri.
(37) Cfr. Biagetti, La biblioteca di Federico Cesi, cit.
(38) Lynceographum, cit., pp. 125-130 e pp. 158-160. Cfr. M. Guardo, Il «ristretto» delle Costituzioni lincee del 1612: fonti, stile e funzioni, «Studia Borromaica», 19 (2005), pp. 491-517, pp. 501-505.
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et officine varie […]; vi è il metodo e l’arte stessa sinoptica che, con i
suoi tipi, ci rappresenta insieme e le materie tutte e le loro dipendenze,
congiontioni, divisioni, et unioni et condizioni tutte […].(39)
A sua volta Sella, pur ritenendo «anche troppo gloriosa» la sede
dell’Accademia in Campidoglio, rileva l’esigenza di un nuovo palazzo per più ragioni, una delle quali è il recente accumulo del patrimonio librario. Sella, infatti, muove «vive e ripetute istanze, acciò anche Roma abbia il suo palazzo dell’Accademia delle scienze
come lo hanno le metropoli delle nazioni civili», in ansia per «il
doviziosissimo materiale scientifico che rapidamente si accumula
nella nostra biblioteca, e che non può utilizzarsi se acconciamente non si dispone».(40) Con l’acquisto, nel 1883, di Palazzo Corsini alla Lungara,(41) destinato a ospitare l’Accademia dei Lincei, ad
essa giungeva per donazione la biblioteca Corsiniana: la preziosa
«libraria», che trae la sua denominazione dalla famiglia toscana dei
Corsini, era stata aperta al pubblico il 1 maggio 1754 dal cardinale Neri Corsini junior, nipote del pontefice Clemente XII (17301740). La raccolta libraria, ricca di manoscritti (molti dei quali miniati), incunaboli, cinquecentine, disegni e stampe, sin dal XVIII
secolo aveva costituito, assieme alla quadreria, uno dei vanti della
«regione transtiberina» e aveva ricevuto illustri visitatori: per citare un solo esempio, Benedetto XIV, papa bibliofilo per eccellenza,
successore di Clemente XII, che vi si recò tre volte.(42)
Sella, spentosi in quell’anno, non avrebbe assistito all’inaugurazione della nuova sede, avvenuta il giorno 11 giugno 1885 alla
presenza di re Umberto I e della regina Margherita.(43)
(39) Cesi, Del natural desiderio di sapere, cit., p. 48.
(40) Sella, Dell’Accademia dei Lincei, cit., p. 9.
(41) Cfr. E. Borsellino, Palazzo Corsini alla Lungara. Storia di un cantiere,
Fasano (Br) 1988.
(42) Cfr. M. Guardo, La «sceltissima biblioteca» e il «grandioso palazzo»: libri e luoghi della Biblioteca corsiniana, in La collezione del Principe da Leonardo a
Goya. Disegni e stampe della raccolta Corsini, a cura di E. Antetomaso e G. Mariani, Roma 2004, pp. 2-15.
(43) Cfr. la parte iniziale della relazione del Presidente Brioschi in «Atti della Reale Accademia dei Lincei», 1884-1885, s. IV, Rendiconti, I, p. 391: «Sire, Gra-
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Giustamente il discorso commemorativo pronunciato dal suo
successore, il Presidente Francesco Brioschi, dopo aver esordito
con la «grave sciagura che colpiva la nostra Accademia colla inaspettata perdita del suo illustre Presidente», ricordava in primo
luogo la rettitudine di Sella, che non aveva speso «un centesimo
[…] nel procacciare all’Accademia alcun lustro esteriore».(44) Inoltre egli rammentava l’instancabile attività del predecessore, legata
alla stampa delle pubblicazioni accademiche e all’incremento della
Biblioteca lincea, «sia col favorire i cambi fra le nostre pubblicazioni e quelle delle più cospicue Accademie del mondo sia coll’acquisto diretto di quelle che difficilmente possono rinvenirsi in altre
biblioteche»: grazie al suo operato la biblioteca aveva «triplicato
in questo decennio il numero dei suoi volumi e dei suoi opuscoli».(45) Brioschi, allora, a ragione ne elogiava il «materiale prezioziosissima Regina, l’Accademia dei Lincei onorata e lieta della vostra presenza nella
propria sede, Vi è sommamente grata. Essa commemora oggi il restauratore delle sue
sorti, inaugura la novella residenza che la sollecitudine di lui ed il favore del Governo e del Parlamento le hanno assegnato. Questa nostra Accademia […] ha un carattere
speciale, tutto suo e degno di nota, mentre essa può considerarsi siccome la più antica quanto la più moderna fra le Accademie scientifiche d’Europa. Fra i busti di uomini illustri che adornano questa sala, voi potete scorgere collocati l’uno accanto all’altro in prossimità di una stessa parete, quelli dei due uomini i quali fanno ora a noi,
e lo faranno ai nostri successori, testimonianza di questo carattere: i busti di Federico Cesi e di Quintino Sella». Il busto marmoreo di Sella, opera dello scultore Emilio
Dies (1884) è stato restaurato in occasione della mostra accademica. Cfr. il saggio di
E. Antetomaso nel presente catalogo.
(44) Cfr. A. Saitta, Il cammino umano, Firenze, III, 1975, p. 274 e ss.: «Si trattava di un gruppo politico-dirigente insigne per disinteresse personale, per dedizione alla
cosa pubblica, per scrupolosa onestà, quale purtroppo la successiva storia d’Italia non
conoscerà più: soprattutto negli uomini della destra, quali un Ricasoli, un Farini, un
Silvio Spaventa, tali qualità toccarono il sublime e l’eroico, sì che il loro disinteresse
politico rende meno odioso o meno gretto il loro conservatorismo, che non era sfruttamento cosciente delle classi popolari, ma solo il limite oggettivo di una classe politica
fondamentalmente borghese […]. Al Ministero delle Finanze stava […] Quintino Sella,
un ingegnere minerario ed industriale di Biella, inflessibile tassatore, ma non meno deciso assertore della necessità di uno stato economo e di un bilancio in equilibrio; sotto
le sue esperte mani il problema finanziario, che minacciava di corrodere il regno d’Italia, poteva essere avviato a rapida soluzione». Cfr. anche A. Quadrio Curzio, Il fisco
rigoroso di Quintino Sella, «Il Corriere della sera», 21 feb­braio 2012, p. 47.
(45) Cfr. «Atti della Reale Accademia dei Lincei», 1883-1884, s. III, Transunti, VIII, pp. 247-250.
78
sissimo, che permette allo studioso di tenersi al corrente del progresso in ormai tutti i rami delle scienze». A riguardo delle unità
documentarie, connesse con la Presidenza di Sella e attualmente
conservate presso la Biblioteca accademica, senz’altro «preziosissimo» è il manoscritto Archivio Linceo 60 che, come scrive nel
1902 Giuseppe Gabrieli, «contiene il Linceografo moderno ideato
dal Sella e proseguito con molte lacune fino all’anno 1886 in cui
fu sospeso, rifiutandosi molti Soci di sottoscrivere la formula di
sottoscrizione del Sella e […] la stessa di Galileo nel Linceografo antico».(46) Pertanto non soltanto le costituzioni di Sella «ritraevano interamente i concetti delli antichi Lincei sotto il principato di Federico Cesi»,(47) ma anche la facies grafica dell’albo linceo
confermava nel Presidente la volontà di rinnovare l’Accademia,
durante il decennio del suo mandato, seguendo da presso le tracce del fondatore.
Marco Guardo
(46) Cfr. G. Gabrieli, Inventario dei manoscritti esistenti nella Biblioteca dell’Accademia dei Lincei, 1902. L’inventario, manoscritto, si conserva presso la Biblioteca
dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana (la citazione è in corrispondenza
del numero 60). Si vedano le schede nn. 50 e 51 del presente catalogo.
(47) Carutti, Breve storia, cit., p. 140.
79
Quintino Sella: una storia per immagini.
Testimonianze tra celebrazione e satira
La mostra «Quintino Sella Linceo», promossa dall’Accademia
Nazionale dei Lincei, è stata un’occasione preziosa di studio e di
approfondimento sull’opera dello statista e dello scienziato piemontese. L’iniziativa offre, già dalla scelta del titolo e del logo (il
busto di Emilio Dies del 1884), alcuni spunti di riflessione.
Se con il termine «Linceo» si è inteso sottolineare la particolare
attenzione al ruolo svolto da Sella nell’ambito della storia dell’Accademia, il sottotitolo «mostra storico-documentaria» indica la natura dell’esposizione, necessariamente orientata verso un certo genere di materiali e impreziosita da molti cimeli. Accanto alle lettere,
alle relazioni e ad appunti vari, tuttavia, una ricca sezione è dedicata alle immagini, o meglio all’immagine di Sella, celebrato come
politico, oggetto di satira irriverente quale Ministro delle Finanze,
inserito tra i protagonisti di storici avvenimenti, ricordato, infine,
come alpinista. La necessità di dare un volto e fattezze precise a
un nome associato alla storia del nostro Risorgimento e alle vicende economiche dei primi decenni dell’Unità fu presente fin dall’inizio, e tale necessità è costante in ogni mostra documentaria, laddove le immagini e i ritratti dei protagonisti molto contribuiscono alla
comprensione e alla chiarezza dei percorsi espositivi.
È nata così l’idea di lavorare intorno alle immagini di Sella
che avevano arricchito la mostra, senza dubbio parte di una storia
più ampia e articolata, che coinvolge l’intera Penisola. Solo alcuni esempi: il monumento in piazza Duomo a Biella (1) (1888), quel(1) Realizzato dallo scultore Antonio Bortone (1844-1938), raffigura lo statista
81
lo eretto a Torino (1894),(2) il busto dello statista posto su un basamento roccioso con la statua di un minatore nella Piazza Quintino
Sella ad Iglesias (1885),(3) il noto monumento romano concepito
per il Ministero delle Finanze (1893) e poi spostato in via Cernaia
nel 1927,(4) tutti frammenti di una volontà celebrativa, fiorita perlopiù dopo il 1884, l’anno della morte.
Più intima (e meno retorica) è d’altra parte l’immagine del
quadro di Domenico Morelli (Museo Nazionale del Risorgimento, Torino),(5) che ritrae un uomo sobrio, vestito con semplicità, al
lavoro, tra le carte, forse in una stanza del Ministero, e quella del
dipinto (esposto in mostra) che Francesco Folli dipinge nel 1884
su commissione dell’Industria Laniera Italiana (Fig. 1).(6)
Ancora più suggestive, né poteva essere altrimenti, le fotografie. Intense quelle scattate in età più giovanile, come quella che lo
ritrae nel 1857, a trent’anni, in una posa disinvolta, con un cilindro in mano,(7) e quella fatta dal fratello Giuseppe Venanzio tre anni
più tardi (cfr. scheda n. 9 del presente catalogo).
in piedi su un alto basamento con le figure allegoriche della Politica e della Scienza.
Su Bortone cfr. R. Battaglini Di Stasio, in Dizionario biografico degli italiani, XIII,
Roma 1971, pp. 152-153.
(2) La statua privilegia il ricordo dello scienziato. Sella è raffigurato dallo scultore Cesare Reduzzi mentre osserva attentamente e studia un minerale. Il monumento
venne inaugurato nella sede universitaria del castello del Valentino e poi spostato nel
1932 all’interno del parco. Su Cesare Reduzzi (1857-19119 cfr. Enciclopedia Italiana
Treccani, XXVII, Roma 1935, p. 975
(3) Opera dello scultore Giuseppe Sartorio (1854-1922), fu inaugurato nel 1885
e poi spostato nell’odierna posizione nel 1909. Su Giuseppe Sartorio cfr. A. De Gubernatis, Dizionario degli artisti italiani viventi, Firenze 1906, p. 456.
(4) Cfr. A. Ricci, Il monumento Sella in Roma, in Quintino Sella tra politica e
cultura 1827-1884. Atti del Convegno Nazionale di Studi, Torino, Palazzo Carignano, 24-26 Ottobre 1984, pp. 321-333, e L. Berggren - L. Sjostedt, L’ombra dei Grandi. Monumenti e politica monumentale a Roma (1870-1895), Roma 1996, in part. pp.
111-117 e 211-214.
(5) Su Domenico Morelli (1826-1901) esiste una ricca bibliografia. Per le notizie essenziali cfr. Dizionario enciclopedico Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani,
VIII, Torino 1975, pp. 10-12.
(6) Su Francesco Folli (1843-1921) cfr. A. M. Comanducci, I pittori italiani
dell’Ottocento, II, Milano 19623, p. ••••
(7) La foto, proprietà privata, è pubblicata in Quintino Sella. 1827-1884. Mostra
documentaria, Vercelli 1984, p. 38.
82
Fig. 1
83
Ricca e varia, quindi, questa storia da cui si è scelto di trarre solo alcune immagini, pochi ma significativi fotogrammi. Non
solo esigenze di completezza ed esaustività (un censimento delle
memorie di Sella, tra busti, statue, lapidi, ritratti non è studio lieve) o pratiche (il solo materiale presente in mostra) hanno indirizzato la scelta, ma anche una precisa volontà di approfondire ruoli
e momenti della vicenda privata e pubblica del personaggio: testimone di episodi precisi, bersaglio di satira nel suo operare, protagonista di omaggi e commemorazioni, con particolare riferimento al suo ruolo di Presidente dei Lincei. E proprio all’Accademia
dei Lincei termina questo breve percorso, alla memoria dedicata a
Sella Presidente, alle modalità, ai tempi, alle intenzioni che ruotano intorno a questo ricordo.
Le novità che emergono sia dai documenti consultati sia dai
materiali ritrovati (entrambi conservati presso Palazzo Corsini) e
le riflessioni sull’immagine di Sella nelle sale di via della Lungara – il busto di Ettore Dies ma anche gli inediti bozzetti – riportano l’attenzione proprio sull’aggettivo «Linceo» e sul busto voluto dagli Accademici per omaggiare il loro Presidente: la parola
e l’immagine che hanno caratterizzato e pubblicizzato la mostra e
che insieme contribuiscono a raccontare e documentare un breve
ma intensissimo periodo della vita accademica.
«Stupendi avvenimenti che passano sotto i nostri occhi»: l’immagine di Sella tra i testimoni di una nuova epoca
Quando nell’autunno del 1870 Sella giunge a Roma (dopo un
breve soggiorno nel 1864) comincia un lungo lavoro diplomatico
di avvicinamento, mediazione, integrazione, costruzione e ricostruzione di una città annessa all’Italia politicamente ma ancora lontana e diffidente.(8)
(8) Cfr. F. Bartoccini, Quintino Sella e Roma: idea, mito e realtà in Quintino
Sella tra politica e cultura 1827-1884., cit., pp. 245-265.
84
Fig. 2
Il 2 luglio del 1871 Vittorio Emanuele II fa il suo ingresso trionfale ed ufficiale in città, insediandosi al Quirinale. La tela del pittore Luigi Serra (9) (Fig. 2), datata al 1875 circa, conserva la memoria
di quell’avvenimento. In questo quadro Quintino Sella, a dispetto
dei sostegni documentari oggi disponibili e più oltre menzionati,
figura inaspettatamente, testimone attento di un avvenimento im(9) Sul pittore Luigi Serra cfr. L’artista e l’amico. Ritorno a Luigi Serra. Opere e documenti dalla raccolta di Enrico Guizzardi, a cura di S. Pezzoli - O. Piraccini, Bologna 2008 (Catalogo della mostra dedicata a Luigi Serra, Bologna, Biblioteca
dell’Archiginnasio, dicembre 2008 - marzo 2009). La tela misura cm. 181 × 192 ed è
oggi conservata presso la Fondazione Sella a Biella.
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portante. In realtà il sovrano aveva già visitato Roma in forma privata in occasione della rovinosa piena del Tevere nel dicembre del
1870. Sella, come apprendiamo dall’epistolario, in quell’occasione si trovava a Roma.(10) Il soggetto della tela è stato generalmente riferito proprio a quella visita. Una lettura attenta delle fonti e
considerazioni di carattere generale, soprattutto sull’opportunità di
ricordare in queste forme un avvenimento non ufficiale, consentono tuttavia di riferire la scena agli avvenimenti dell’estate 1871.(11)
Inoltre il dipinto fa parte di un ciclo di opere tutte dello stesso Serra e tutte oggi conservate presso la Fondazione Sella di Biella, rappresentanti l’ingresso di Vittorio Emanuele in altre città, tra le quali Venezia, Firenze, Napoli.(12)
La cronaca dell’episodio attraverso i resoconti ufficiali e le parole dello stesso Sella suggeriscono alcune considerazioni sull’iconografia del dipinto. Nelle lettere al fratello Giuseppe Venanzio
e alla sorella Lucrezia cogliamo un’idea dell’atmosfera festosa e
trionfale che accompagna l’evento. Scrive Sella il 1 luglio: «Eccomi a Roma col Ministero nelle Camere del Santo Uffizio dell’Inquisizione» e poi ancora il 3 luglio alla sorella:
Ci volle tutto il tuo affetto per me onde ricordare in questi giorni la mia
cooperazione agli stupendi avvenimenti che passano sotto i nostri occhi. Se le cose andassero male molto probabilmente se ne ricorderebbero tutti, e sarei forse il solo responsabile od almeno il capro emissario.
Invece le cose vanno bene e quindi … ben pochi si ricordano di me […]
L’accoglienza al Re non poteva essere più splendida e più cordiale. Si
vede nella facce dei Romani, si vede alla bandiera di ogni casipola che
la grande massa dei cittadini è contenta.(13)
(10) Epistolario di Quintino Sella, a cura di G. e M. Quazza, Roma 1991, III, p.
330, telegramma a Giuseppe Giacomelli del 30 dicembre 1870.
(11) Il quadro è riferito a questa visita in Quintino Sella: 1827-1884, cit., tav.
n.n. tra p. 112 e p. 113. Già in occasione della mostra «Quintino Sella linceo» il Comitato scientifico e i curatori hanno riferito l’immagine all’ingresso ufficiale di Vittorio Emanuele II a Roma il 2 luglio 1871.
(12) Devo alla cortesia del dottor Andrea Pivotto della Fondazione Sella e del
dott. Ludovico Sella le immagini e le notizie su queste tele.
(13) Epistolario, cit., pp. 439-443.
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L’atmosfera descritta è quella rappresentata nella tela, cronaca
dunque di un avvenimento solenne. Dalla lettera trapela invece
un’amarezza non troppo celata.
Dalla Gazzetta Ufficiale del 1 luglio 1871 apprendiamo inoltre
il percorso del corteo reale: dalla stazione, lungo via di Santa Susanna, piazza Barberini, via del Tritone, via Due Macelli, piazza di
Spagna, via Condotti, fino al Corso, poi via delle Muratte, via SS.
Vincenzo e Anastasio, via della Dataria, fino al Quirinale. La stessa fonte, il 2 luglio, ci informa sulla composizione del Corteo reale
e sugli occupanti della carrozza che insieme a Vittorio Emanuele
giungevano in una piazza del Quirinale festante ed affollata:
Apriva il Real corteo uno squadrone della Guardia Nazionale a cavallo
di Roma ed un altro delle Cento guardie del Re. Con S.M. stavano, alla
sinistra S.E. il Principe Pallavicini, sindaco di Roma, di fronte S.E. il
Presidente del Consiglio dei Ministri e il Generale De Sonnaz.(14) S.A.R.
il principe Umberto cavalcava alla destra della carrozza di S.M., alla sinistra il Comandante generale della Guardia Nazionale di Roma.
Seguivano altre quattro carrozze, con varie personalità, tra cui i
Ministri, i Presidenti del Senato e della Camera, i sindaci di Firenze, Milano, Napoli. Tra ali di folla festanti, scortato da militari a cavallo, Vittorio Emanuele II attraversa la piazza antistante al
Palazzo seduto in carrozza insieme a tre personaggi. La cronaca
appena citata, unitamente a un confronto con le immagini dei personaggi nominati, ci consente di riconoscere il Principe Francesco
Pallavicini (1828-1887), sindaco di Roma tra il maggio e l’ottobre
1871, e Giovanni Lanza (1810-1882), Presidente del Consiglio dei
Ministri tra il 1869 e il 1873. Sull’identità del terzo personaggio
che siede in carrozza con il Re è possibile avanzare alcune ipotesi. Stando a quanto riportano le cronache si tratterebbe del Generale Giuseppe Gerbaix De Sonnaz (1828-1905), militare di valore nelle campagne del 1848-49 e nella Guerra di Crimea, aiutante
di campo del Principe Umberto I, senatore del Regno dal 1884. In
(14) Si tratta del Generale Giuseppe Gerbaix De Sonnaz (1828-1905).
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realtà nel quadro in mostra il personaggio seduto di fronte al Re è
con ogni verosimiglianza Quintino Sella.(15)
Il quadro è oggi conservato presso la Fondazione Sella e proviene dalla collezione privata dell’avvocato Pietro Paolo Trompeo
(1824-1897), amico e compagno di studi di Sella, con il quale entrerà tuttavia in conflitto quando nell’ottobre del 1876 sostituirà
Lamarmora nella canditura al collegio elettorale di Biella, schierandosi però con Dèpretis.(16) Trompeo prenderà parte attiva alle
celebrazioni di Sella dopo la morte, a testimonianza di un forte legame: nella seduta commemorativa tenuta presso l’Accademia dei
Lincei il giorno 11 giugno 1885 consegna al Presidente Brioschi
due medaglie, in argento e in bronzo, coniate in onore dell’illustre
scomparso (Fig. 3).(17)
Fig. 3
La lettura stilistica dell’opera consente di riconoscere molto
del linguaggio figurativo di Luigi Serra. Innanzitutto il taglio teatrale della composizione: il Palazzo del Quirinale come fondale, il
gruppo scultoreo dei Dioscuri con l’obelisco a destra e il palazzo
(15) Molto indicativo è, ad esempio il confronto con l’immagine presente nell’archivio Alinari, datata al 1870 (Archivio storico Alinari, ACA-F-00140M-0000 9).
(16) Epistolario, cit., pp. 298-299.
(17) «Atti della Reale Accademia dei Lincei», s. IV (1885), p. 400.
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a sinistra, quinte di un palcoscenico, il corteo con la carrozza del
Re che attraversa la scena, da destra a sinistra, il gruppo di persone con le bandiere a sinistra, quasi in un immaginario proscenio.
Con il tema delle scenografie teatrali del resto Luigi Serra si
era confrontato negli anni tra il 1872 e il 1875, quando decora il
sipario del teatro di Fabriano, realizzando una composizione articolata con edifici imponenti sullo sfondo, una colonna e un basamento a destra, figure in primo piano.(18)
La folla rappresentata in forma indistinta in un’ambientazione cittadina, spesso romana, è presente anche in una serie di disegni oggi conservati a Bologna.(19) In particolare quello che raffigura La folla in Piazza del Gesù in occasione dell’illuminazione
della Chiesa […] ricorda molto l’impostazione generale del quadro, con gli edifici sullo sfondo e sui lati, mentre la folla al centro riempie il vuoto.(20)
Il tema della rappresentazione di avvenimenti storici è poi affrontato nell’Entrata dell’esercito cattolico a Praga nell’abside
della Chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma: maestoso e
imponente corteo di cavalieri, popolo con bandiere, soldati, dove
la folla non è così indistinta e dove è possibile riconoscere anche
alcuni volti simili (nelle fisionomie, nell’impostazione generale,
nelle espressioni) a quelli del quadro con Vittorio Emanuele II:
l’uomo con la barba scura a sinistra in basso, la donna con il copricapo bianco che ricorda le popolane praghesi.(21)
Nel quadro esposto in mostra gli occupanti della carrozza sembrano quasi essere in posa, rivolti come sono, in modo innaturale,
verso lo spettatore. In particolare proprio la figura di Sella è effigiata di fronte, con lo sguardo rivolto verso sinistra: il volto, la
foggia della capigliatura, la barba è quella che conosciamo dalle
(18) Per la vicenda artistica di Luigi Serra cfr. Il segno e il colore. Nell’atelier
di Luigi Serra, a cura di C. Poppi, Cinisello Balsamo, 2003.
(19) Ivi, cat. 28, cat. 41.
(20) Ivi, cat. 39.
(21) Cfr. A. Zacchi, Temi sacri storici ed allegorici in Il segno e il colore, cit.,
pp. 109-111.
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fotografie. L’occasione è senza dubbio ufficiale e l’immagine, nel
contesto dell’evento rappresentato, è sommaria e alquanto fredda:
Sella a questa data ha quarantaquattro anni e il suo ruolo è quello di un testimone, di un’icona (la fissità e la rigidità della figura
sono evidenti) che prende parte a un avvenimento storico, come
comprimario del sovrano.
Quintino Sella nella letteratura e nella ritrattistica satirica
Molto più vivaci, briose e caratterizzate le immagini di Quintino Sella, non più muto e compassato testimone, ma oggetto di
satira pungente, soprattutto in relazione alla sua attività di ministro delle Finanze. Casimiro Teja (22) (1830-1897), importante scrittore, disegnatore satirico e giornalista, tra il 1869 ed il 1871 dedica al tema delle imposte volute da Sella alcune tavole pubblicate
nella rivista «Pasquino. Rivista umoristica delle settimana», fondata dallo stesso Teja.
Nei disegni del 1869 un neonato urla disperato perché desidera un giocattolo (il neonato rappresenta la tassa sul macinato, da
poco introdotta, e il giocattolo è il contatore, che serve a calcolare l’importo in denaro). Nei panni della balia del neonato, che lo
zittisce severamente, con ogni verosimiglianza riconosciamo Giovanni Lanza. La madre, infine, agita il giocattolo, mentre in secondo piano il padre (un riconoscibile Sella) passeggia fumando
un sigaro (Fig. 4).
Nelle due tavole, intitolate Carnevale e Quaresima e pubblicate
nel 1871, l’Italia, nei panni di una giovane donna, balla spensierata
con alcune maschere della tradizione italiana durante il Carnevale,
ma viene sorpresa durante la Messa quaresimale da un prete questuante (Sella che reclama le imposte), mentre un predicatore dal
pulpito (ancora Giovanni Lanza) arringa la folla (Fig. 5).
(22) Su Casimiro Teja cfr. A. M. Comanducci, I pittori italiani, II, Milano 1934,
p. 354.
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Fig. 4
Fig. 5
91
Una litografia del 1876, su disegno di F. Bianco, rappresenta Sella in tenuta d’alpinista, circondato da vette che hanno nomi
eloquenti e significativi: monte del macinato, tassa di successione, catena di ricchezza mobile, picco di registro e bollo, terreni e
fabbricati. Sullo sfondo le Alpi Selliche (Fig. 6).
Elementi comuni alla rappresentazione satirica del Ministro
delle Finanze sono la lunga e fluente barba e, soprattutto, gli immancabili scarponi chiodati da montanaro che accompagnano la tenuta elegante (con cilindro e cappotto) del padre del neonato, spuntano dalle sottane del prete, trionfano in primo piano nella tenuta
da alpinista. Il linguaggio satirico dunque caratterizza la figura di
Sella in pochi ma evidenti tratti che illustrano la sua personalità:
la caparbietà da vero montanaro che usa anche nelle azioni di governo, la caratteristica fisionomia barbuta, severa e sobria.
«Ottimo lavoro è quello dello scultore Dies»: storia di una committenza lincea
Il breve percorso documentario che si propone di intraprendere nei due seguenti paragrafi ha lo scopo di rintracciare, nelle carte d’archivio, ma anche negli ambienti, più o meno noti del palazzo Corsini di via della Lungara, i modi e i luoghi della memoria di
Sella. Un piccolo viaggio, dunque, alla ricerca del materiale documentario, nelle stanze che lo stesso Sella (23) aveva voluto cornice
della rinascita lincea e che hanno visto non la sua azione e il suo
pensiero ma il suo ricordo, la sua muta presenza nel corso dei decenni che seguirono la morte il 14 marzo 1884.
Appena due giorni dopo, nella solenne riunione accademica del
16 marzo, l’accademico Domenico Carutti, a nome del Consiglio
di Presidenza propone di dedicare al defunto Presidente un busto
(23) Su Palazzo Corsini e in particolare sulle modifiche e sui lavori di adattamento ottocenteschi cfr. E. Borsellino, Palazzo Corsini alla Lungara. Storia di un cantiere. Fasano 1988, in part. pp. 109-139 e il ricchissimo apparato documentario.
92
Fig. 6
93
da collocare in Accademia, dove già si trova quello del fondatore Federico Cesi: (24) il busto dovrà essere il frutto di un contributo spontaneo da parte di tutti i soci. La proposta viene approvata all’unanimità e comunicata alla vedova di Sella nel telegramma
di condoglianze del 20 marzo.(25) Nell’adunanza del 15 giugno il
Presidente Francesco Brioschi comunica che il Consiglio ha scelto l’opera dello scultore Emilio Dies,(26) incaricandolo di eseguire
un busto in marmo entro la fine del mese di ottobre.(27)
Nei tre mesi intercorsi tra la morte di Sella e l’annuncio della commissione a Dies si registra in ambiente accademico un certo fervore di iniziative per rendere omaggio al defunto Presidente.
La lettura di alcune carte d’archivio e dei verbali delle riunioni accademiche consente di seguire in parte questo fenomeno e di proporre alcune considerazioni.(28) La volontà di celebrare la memoria
dell’illustre statista scomparso non riguarda solo l’ambiente accademico, ma coinvolge anche altri luoghi romani nei mesi del 1884
che seguirono la morte. Le notizie dei quotidiani dell’epoca, di seguito riportate, aiutano a descrivere questo clima.
Il 21 marzo il pittore Enrico Capocci scrive al Segretario del
Consiglio di Amministrazione della Reale Accademia dei Lincei,
proponendo di eseguire a fronte di «un modesto compenso» un ritratto ad olio dell’illustre scomparso. La lettera cita la delibera(24) Di una scultura raffigurante Cesi oggi in Accademia non vi è traccia. L’esistenza di un busto dedicato al fondatore del sodalizio linceo è costantemente ricordata nei documenti ottocenteschi che riguardano l’immagine di Sella. Mi riservo ulteriori approfondimenti a riguardo.
(25) «Atti della Reale Accademia dei Lincei», s. III, Transunti, VIII (1883-1884),
pp. 183-184.
(26) Su Emilio Dies cfr. L. Marti, in Dizionario Biografico degli Italiani, 39,
Roma 1991, pp. 790-791.
(27) Atti della Reale Accademia dei Lincei», s. III, Transunti, VIII (1883-1884),
p. 351.
(28) I documenti citati a proposito di questo fervore d’iniziative che si registra
nella primavera del 1884 sono conservati a Roma, Archivio storico dell’Accademia
Nazionale dei Lincei, Archivio della Reale Accademia dei Lincei, titolo 3, busta 1,
fascicolo 10. I verbali delle riunioni accademiche sono contenuti in tre volumi, ordinati cronologicamente. Di seguito si farà rifermento alle riunioni con l’indicazione della data.
94
zione accademica di eseguire un busto (evidentemente già nota
ampiamente nell’ambiente artistico romano, a pochi giorni dalla
morte di Sella e dalla seduta del 16 marzo) e specifica che il ritratto sarebbe destinato ad «adornare convenientemente la biblioteca». Dunque un primo cenno a un luogo indicato per celebrare
la memoria di Sella, la biblioteca accademica. Ci si riferisce, con
ogni verosimiglianza, agli ambienti di Palazzo Corsini che gli Accademici non abitano ancora, ma nel quale si trasferiranno nel dicembre del 1884.
Enrico Capocci è a questa data Professore onorario del Reale
Istituto di Belle Arti di Napoli e nella sua lettera ricorda di aver
lavorato a Firenze, a Napoli, a Roma, in varie sedi istituzionali. Egli inoltre è figlio di un accademico, studioso di astronomia,
come apprendiamo anche dalla missiva a Pietro Blaserna, nella
quale il suo nome e la sua proposta vengono caldamente appoggiate dal Prof. Annibale De Gasparis.(29) Nel complesso i toni della lettera sono improntati a retorica ed autocelebrazione, ma per
noi alcune circostanze risultano interessanti: l’esplicito riferimento alla biblioteca,(30) luogo che veniva sentito più degno per celebrare la memoria del Sella scienziato, e l’accenno alla necessità
di «tramandare vera e inalterata la memoria dell’estinto». Il pittore scrive esplicitamente di aver conosciuto Sella e di essere quindi in grado di eseguire un ritratto molto somigliante.
La richiesta di Capocci ha un riscontro immediato. Nella riunione del Consiglio di Presidenza del 31 marzo 1884 si discute delle onoranze da rendere al defunto presidente e il segretario Domenico Carutti presenta due domande pervenute in Accademia, una
per eseguire un ritratto «in grande formato» (è la lettera di Capocci), l’altra per un busto. Le domande sono messe agli atti.
Il 10 aprile lo scultore F. Ferraresi, con studio e domicilio a
Roma, in Piazza Campitelli 10, scrive al Presidente dell’Accade-
ca.
(29) La lettera è datata 19 marzo.
(30) Anche nella citata lettera di De Gasparis si allude alle sale della Bibliote-
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mia di aver eseguito un busto di Sella (una certa urgenza traspare
dalle parole dell’artista, ansioso di fare buona impressione ed aggiudicarsi la commissione) da sottoporre agli Accademici, del quale invia una riproduzione fotografica, oggi dispersa.
Un altro busto viene precipitosamente eseguito per essere sottoposto al giudizio degli Accademici da Adolfo Pantaresi, che acclude alla sua lettera del 20 aprile una fotografia (Fig. 7) ed un
ritaglio del giornale «L’Opinione», dove si dà notizia dell’esposizione del busto «riuscito somigliantissimo» ed «egregiamente modellato» nell’Ufficio annunci della Gazzetta d’Italia.
Nella riunione accademica del 3 maggio, esaminate le sottoscrizioni dei soci che ammontano a novantasette (ne mancano ventitré), si delibera l’esecuzione del busto e «siccome gli scultori Guglielmi, Dies e Pantaresi hanno fatto conoscere di aver già eseguito
un busto del Sella, si dà incarico al sig. Blaserna e all’amministratore Tommasini di vedere se uno d’essi convenga e di prendere essi
gli opportuni accordi per ordinarlo ad altri in caso contrario». Il
busto sarà poi inaugurato solennemente con una commemorazione di Quintino Sella da parte del socio Luigi Cossa.
La lettera di Pantaresi è quella citata, mentre non è presso l’archivio accademico quella di Guglielmi; (31) nessuna menzione, invece, della lettera di F. Ferraresi.
La lettera di Dies è in realtà datata 30 maggio: egli scrive al
Presidente dell’Accademia per invitarlo nel suo studio, a Roma
in via delle Quattro Fontane 154, a vedere il modello di un busto, «una volta e mezzo il vero», raffigurante Sella. Nella lettera
si legge che diverse persone, che furono vicine a Sella e lo conobbero, hanno già visto la scultura, dando parere favorevole soprattutto sulla somiglianza. Tra i nomi elencati figurano molti politici
vicini allo statista scomparso (Costantino Perazzi, Camillo Ferrati, Cesare Rosmini, Giuseppe Boitani), scienziati e professionisti
(Lamberto De Marchi, l’alpinista e geologo Felice Giordano, i ma(31) Si tratta probabilmente dello scultore Luigi Guglielmi (1834-1907). Cfr. A.
De Gubernatis, Dizionario degli artisti, cit., pp. 243-244.
96
Fig. 7
97
tematici Giuseppe Battaglini e Luigi Perozzo, l’ingegnere Leopoldo Mansueti) e, infine, forse decisivi per il successo di Dies, gli
accademici Oreste Tomassini, Pietro Blaserna e Filippo Ma­riot­ti.
Ancora una volta, come nel caso del pittore Capocci e dello scultore Pantaresi, si sottolinea la somiglianza delle sculture con le fattezze del defunto.
Nella riunione del 31 maggio 1884 Blaserna e Tommasini riferiscono di aver visto tre busti di Sella e convengono di aver scelto quello di Dies (Fig. 8). Lo scultore ha chiesto un compenso di
2500 lire e allora viene deciso, su richiesta dei due soci, che si farà
una controproposta per l’esecuzione del busto in marmo «ridotto a
5/4 per il prezzo di 1500 lire».
Fig. 8
98
Nella riunione del 9 giugno «constatatosi che il busto del compianto Presidente Sella, eseguito dal Dies, è perfettamente rassomigliante e migliore di quanti altri furono finora eseguiti, il Consiglio incarica il Segretario Blaserna a commetterne l’esecuzione in
marmo per il prezzo di 1600 lire». Qualche giorno più tardi Brioschi incarica ufficialmente Dies e nella riunione del 16 giugno si
comunica che il contratto è stato stipulato e che si darà un anticipo di 600 lire.
Nella primavera del 1884, a poche settimane dalla morte, la
volontà di ricordare Sella coinvolge anche altre istituzioni e palazzi romani. Dal quotidiano «L’Opinione» del 22 aprile 1884 apprendiamo che in Campidoglio, nella Sala degli Arazzi a Palazzo dei Conservatori, viene scoperto un busto «somigliantissimo»,
opera dello scultore Odoardo Tabacchi. Dalla stessa fonte apprendiamo che la Sezione romana del Club Alpino Italiano il 29 marzo ha deciso di collocare permanentemente nella sua sede un’effigie di Quintino Sella.
Torniamo ai Lincei. In ottobre il socio Cossa chiede notizie
sulla data di inaugurazione del busto commissionato a Dies. Si
prevede che esso sarà pronto per la metà di gennaio e per quella
data dovrebbero tenersi la solenne seduta di inaugurazione della
nuova sede e la commemorazione di Sella.(32) In realtà il busto era
già terminato nell’autunno del 1884. Un articolo del 25 novembre sul quotidiano «L’Opinione» informa infatti che Dies ha portato a termine la scultura e che è possibile ammirarla fino alla fine
del mese nello studio dell’artista, da dove sarà portata nel Palazzo
a via della Lungara. Qui, il 14 dicembre del 1884, si trasferiranno definitivamente i Lincei per dare inizio al nuovo anno accademico.
A concludere la storia di questa committenza cogliamo un’eco
della passione per l’evento commemorativo in quei giorni del 1884.
La decisione di affidare a Dies una commissione tanto prestigiosa
(32) Riunione del 27 ottobre.
99
viene confermata anche dal successo che l’artista riscuote nell’autunno del 1884, quando partecipa ad una «specie di concorso» proprio per la realizzazione di un busto di Sella da destinare al Palazzo del Ministero delle Finanze, un altro edificio romano coinvolto
nel rito della celebrazione cittadina di Sella.
Ancora dal quotidiano «L’Opinione» del 18 novembre 1884
apprendiamo che
Trovasi in questi giorni esposti al Ministero delle Finanze e precisamente all’ingresso del 1° piano vari busti di Quintino Sella. È una specie di
concorso al quale hanno preso parte i signori Benini, Dies, Genua e Tabacchi. Ci siamo recati a visitare questi busti; non vogliamo parlare particolarmente di uno di essi per non cadere in facili critiche su ciò che si
riferisce alla somiglianza col compianto Sella. È giustizia però riconoscere che veramente ottimo lavoro è quello dello scultore Dies, che in
modo felicissimo ha superato l’ardua questione delle somiglianze esponendo due busti dei quali il più grande a questo primo pregio aggiunge
quello di un insieme veramente artistico.
Grande successo, dunque, per Dies, che nello stesso periodo esegue i busti di Sella per il Ministero delle Finanze e per i Lincei,
entrambi esposti al giudizio del pubblico e della critica, espresso in
termini lusinghieri, sia per il valore artistico sia per la somiglianza, del resto già ricercata e lodata dagli Accademici che gli accordano, proprio per questo motivo, la loro preferenza.(33)
In quel mese di novembre del 1884 infine un altro busto di
Sella viene collocato nella Sala Gialla della Camera dei Deputati,
opera dello scultore Riccardo Grifoni.(34)
(33) Dies eseguirà otto repliche di questa scultura oltre a quella per il Ministero
delle Finanze. Sappiamo che un busto in bronzo viene eseguito sul modello di Dies dal
Reale Comitato Geologico per destinarlo al Museo dell’Ufficio Geologico, cfr. «Bollettino del Reale Comitato Geologico d’Italia», XV (1884), p. 141 e XVIII (1886), p. 30.
Un altro busto raffigurante Sella, eseguito da Dies, si trova oggi nell’atrio di palazzo
Antonini Belgrado ad Udine, sede dal 1891 dell’Amministrazione provinciale.
(34) «L’Opinione», 6 novembre 1884. Su Grifoni cfr. E. Bianchi in Dizionario
biografico degli Italiani, 59, Roma 2003, pp. 407-409.
100
Palazzo Corsini: la storia e i luoghi dell’omaggio linceo a Quintino Sella
Individuati l’esecutore materiale e le modalità per l’omaggio
al defunto Presidente, tracciare una breve panoramica dei luoghi
che, all’interno del monumentale Palazzo Corsini, avrebbero ospitato questo omaggio, ci sembra degno di interesse.
L’attività dei Lincei è ormai nel 1885 stabilmente svolta nella nuova sede di via della Lungara e per la solenne Adunanza di
chiusura dell’anno accademico, in giugno, si intende commemorare Sella alla presenza del re Umberto I e della Regina Margherita. Nella riunione del 5 maggio il Presidente Brioschi osserva che
è opportuno collocare nella Sala per le Sedute Reali solo i busti
del Re, di Cesi e di Sella, spostando gli altri «nelle sale esterne».
Si provvede in quel periodo all’allestimento della sala: le sculture di Cesi e di Sella sono più grandi delle altre e per prendere una
decisione si aspetta di avere un’idea più completa della sistemazione generale.(35)
Finalmente, il giorno 11 giugno 1885, Brioschi, alla presenza
del Re, parla nel Salone al primo piano di Palazzo Corsini (ambiente che da allora verrà denominato «Salone delle Adunanze solenni»); accanto a diversi busti di uomini illustri che adornano la sala,
anche quelli di Cesi e di Sella, «collocati l’uno accanto all’altro, in
prossimità di una stessa parete».(36) Si era scelto evidentemente di
non spostare gli altri busti, come proposto in un primo momento:
un articolo de «L’Opinione» riporta che nella grande sala
Ad una delle parete minore sta il busto del Re Umberto e presso la parete opposta su due piedistalli di marmo sono collocati i busti del principe F. Cesi e di Quintino Sella, quest’ultimo opera pregevolissima dello
(35) Siamo alla vigilia della solenne inaugurazione dell’11 giugno e fervono i
preparativi per la decorazione del grande ambiente al primo piano che la ospiterà: nel
verbale della stessa seduta si discute se sostituire il nome di Muratori a quello di Tacito sotto l’allegoria della Storia nella volta.
(36) «Atti della Reale Accademia dei Lincei» s. 4 (1885), pp. 391-400.
101
scultore Dies. Alle pareti laterali stanno altri busti di accademici e precisamente quelli di Galileo, Della Porta, Boschovich, Cavalieri, Calandrelli e Scarpellini.(37)
Si tratta delle sculture oggi poste nel corridoio d’accesso al secondo piano di Palazzo Corsini: omogenee per caratteri stilistici e dimensioni, esse raffigurano i più celebri tra i Lincei, da quelli della
prima Accademia cesiana (Galileo Galilei e Giovambattista Della
Porta) ai protagonisti della scienza matematica (Ignazio Calandrelli, Ruggiero Giuseppe Boschovich, Feliciano Scarpellini, quest’ultimo restitutor dei Lincei); si aggiunge, infine, l’effigie di Nicola
Cavalieri di San Bertolo. Una galleria di busti, pertanto, tra i quali sicuramente avrebbe spiccato per dimensioni e monumentalità
quello dedicato a Sella. In questo contesto comprendiamo l’osservazione di Brioschi sull’opportunità di differenziare le sculture di
Cesi e Sella da quelle degli altri accademici.
La scelta di collocare l’immagine di Sella all’interno di questa
ideale galleria di glorie accademiche, non solo lincee, nella sala
che avrebbe visto da allora in poi i momenti più solenni della vita
accademica, sembrerebbe indicativa di una volontà celebrativa tesa
a sottolineare la memoria di Sella scienziato e studioso, rispetto
all’uomo politico. In questo senso la «geografia» dei luoghi dedicati all’omaggio acquista significato e in questa direzione sembra che vada anche l’iconografia del busto realizzato da Dies. Nel
particolare dei libri sovrapposti che sorreggono la scultura e del
ramo d’alloro – non presente nella replica della scultura realizzata
per il Ministero delle Finanze (Fig. 9) – è possibile leggere infatti
ancora un riferimento al valore della cultura e della scienza, campi nei quali si intende sottolineare il ruolo del personaggio effigiato.
Un paio di mesi dopo la solenne cerimonia si provvede a un
basamento per i busti di Sella e di Cesi. Ancora una volta alle due
sculture si pensa in uno stesso momento: non solo similitudine nel(37) «L’Opinione», 11 giugno 1884.
102
le dimensioni, ma anche, con ogni verosimiglianza, chiaro legame
ideologico tra il fondatore del sodalizio accademico e il Presidente appena scomparso.
Fig. 9
Il Consiglio superiore dei Lavori pubblici, con parere dell’11
settembre 1885, affida al signor Emanuele Bruni il lavoro di riduzione di una colonna di granito in due rocchi per servire da base
ai due busti di Sella e di Cesi. Nella documentazione si legge che
i due busti sono da collocarsi nel Palazzo dell’Accademia dei Lincei, senza specificare dove. Il contratto con la ditta Bruni per questo lavoro risale al 3 agosto 1886. Un anno dopo, il 19 luglio 1887,
l’architetto Podesti chiede al Ministero di concedere al Bruni un
103
aumento di 450 lire rispetto alla somma preventivata di 812 lire in
seguito alle difficoltà incontrate.(38)
Le difficoltà incontrate dalla ditta Bruni potrebbero verosimilmente riferirsi alla sistemazione dei due rocchi di colonna nel «Salone delle Adunanze solenni», dove non solo considerazioni estetiche, ma anche strutturali, ne sconsigliavano il posizionamento, che
venne però, nonostante tutto, realizzato. In un inventario di arredi
e suppellettili stilato cinquanta anni dopo, il 30 settembre 1935,(39)
nel «Salone delle Cerimonie» al primo piano (si tratta del «Salone
delle Adunanze solenni» che aveva ospitato la cerimonia del giugno 1885) sono presenti nove busti in marmo (privi di indicazione specifica).
Cinque anni più tardi, nell’estate del 1940, si provvede ad
adattare il grande salone alle esigenze della biblioteca, con la costruzione degli scaffali lignei destinati ad ospitare i volumi della
Fondazione Caetani: in quell’occasione, ancora una volta, la movimentazione delle due pesanti colonne di granito dal primo piano
all’atrio crea problemi e fa aumentare il preventivo di spesa.(40) Nello scarno elenco di mobili e suppellettili del 1935 vengono menzionate nella Sala delle Adunanze al secondo piano (l’odierna Sala
per le adunanze della classe di scienze fisiche) una «statua in gesso
di Quintino Sella» e una «cornice con quadro ad olio di Federico
Cesi». Su questo gesso che raffigura Sella si tornerà tra poco.
Occorre poi allargare il discorso sulle celebrazioni dedicate alla
memoria di Sella al resto della città, e in particolare al monumen(38) Roma, Archivio Centrale dello Stato (d’ora in avanti citato con la sigla ACS),
Ministero dei Lavori pubblici, Segretariato generale Opere governative ed edilizie per
Roma, busta 157, fascicolo 449. Per il contratto di Bruni cfr. Roma, Archivio Storico
Capitolino, Piano regolatore, Pos. 5 B. 46, fasc. 2 E
(39) Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, Archivio storico, Reale Accademia
dei Lincei, Economato, busta 2, fascicolo 5.
(40) Roma, Archivio della Reale Accademia d’Italia, Ufficio Tecnico, Busta 3,
fasc. 15. Di fronte al busto di Sella, nel corridoio che conduce al giardino di Palazzo
Corsini, sulla mezza colonna destinata presumibilmente ad ospitare il busto di Cesi è
oggi sistemata una scultura antica rappresentante una testa di Heracles del tipo Farnese. Cfr. G. De Luca, I monumenti antichi di Palazzo Corsini in Roma, Roma 1976,
I, p. 25.
104
to inaugurato nella primavera del 1893 davanti al Ministero delle
Finanze, citando una fonte inedita del 1894.
La storia del monumento di Ettore Ferrari, ampiamente nota
e documentata,(41) certamente esula dalle finalità di questo contributo, ma proprio in margine ad un argomento così studiato, anche
recentemente, troviamo notizie decisamente rilevanti nel quadro di
quella «geografia» dei luoghi dell’omaggio a Sella all’interno di
Palazzo Corsini che ci siamo proposti di approfondire.
Tra i documenti della Commissione istituita dal Governo per
seguire i lavori del monumento è attestato un verbale di consegna
ai Lincei inerente a due bozzetti.(42) Esso è datato 9 aprile 1894 e
documenta la consegna ai Lincei, nella persona dell’ingegner Ernesto Mancini, segretario d’ufficio dell’Accademia, di due bozzetti in
gesso, uno del monumento completo, l’altro solo della statua, entrambi di Ferrari. L’ingegner Mancini dichiara che i bozzetti sono
delle seguenti misure: quello completo del monumento ha altezza
di m. 1,65 e base di m. 1,05 × 0,95, quello della statua ha altezza
di m. 1,06, compreso il basamento.
Per il nostro percorso nelle stanze di Palazzo Corsini è molto interessante quanto si legge in seguito: «Tutti e due i bozzetti
come sopra specificato sono stati collocati al 2° piano, quello del
monumento nella sala che precede il grande salone delle sedute ordinarie che si tengono all’Accademia e quello della statua nel precitato salone delle Adunanze, dietro il banco della Presidenza».(43)
Quest’ultimo, il bozzetto in gesso della sola statua, si trovava ancora al suo posto nel 1935, quando viene ricordato nell’inventario
citato,(44) mentre dell’altro, sistemato nel 1894 «nella sala che precede il grande salone delle sedute ordinarie» (l’odierna sala del(41) Cfr. nota 4.
(42) ACS, Presidenza Consiglio dei Ministri, Commissione reale per il monumento a Q. Sella 1884-1894, fascicolo 7.
(43) Il «grande salone» è la sala dove avvengono le riunioni della Classe di
Scienze Fisiche, mentre l’ambiente che lo precede potrebbe essere la sala per le riunioni della Classe di Scienze Morali.
(44) Cfr. nota 40.
105
le adunanze di Scienze Morali) nel 1935 non c’era più traccia. Si
trattava di una scultura abbastanza grande, se, come credo, dalla
descrizione del verbale ottocentesco citato dobbiamo congetturare un’altezza complessiva (la statua poggiata sul basamento con le
due statue della Legge e del Genio della Finanza) di m. 1,65.
Dunque, quando nel 1894 le due statue in gesso giungono a
Palazzo Corsini, i luoghi del ricordo di Sella nell’edificio si moltiplicano: dal primo piano, dove poco meno di dieci anni prima il
Re aveva ammirato il busto di Dies al secondo, nelle aule che vedono l’attività ordinaria, quotidiana degli scienziati e dei letterati che si riuniscono e lavorano qui; dalla celebrazione nel grande
e imponente salone, sull’onda dell’emozione della morte e del solenne discorso di Brioschi un anno dopo, al ricordo vero e proprio,
forse più intimo ed attento, nelle stanze del secondo piano, dove
dopo un decennio vengono posti i due bozzetti.
La celebrazione, voluta dai Lincei con il busto commissionato a Dies, è fin dall’inizio legata all’accostamento simbolico con
Cesi in una vicinanza fisica e concettuale (il discorso di Brioschi,
ma anche la semplice lettera circolare (45) nella quale il segretario
Tommasini il 20 marzo 1884 chiede a tutti i soci di contribuire alla
sottoscrizione e dove si accostano esplicitamente il busto di Sella, non ancora realizzato, a quello di Cesi) che dà sostanza e significato al linguaggio e al codice di comunicazione delle immagini.
Il ricordo, che ci parla attraverso i due bozzetti sistemati al
secondo piano, nelle stanze di lavoro, è probabilmente mosso da
un’iniziativa esterna, quella del ministro della Pubblica Istruzione, il quale in una lettera al Presidente del Consiglio scrive che
«in nessun altro luogo meglio che nelle sale dell’Accademia stessa possa essere collocato e conservato il bozzetto del monumento
eretto testé in Roma dallo scultore Ercole Ferrari». La lettera continua con la richiesta del ministro di «farne consegna al senatore
(45) Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, Archivio storico, Reale Accademia
dei Lincei, Economato, busta 2, fascicolo 5.
106
Francesco Brioschi, Presidente dell’Accademia dei Lincei, al quale io farò subito conoscere questo mio desiderio».(46)
La celebrazione e il ricordo sono dunque caratterizzati da cambiamenti, spostamenti e migrazioni. Se infatti il busto di Dies viene spostato dal luogo originario, non subiscono una diversa sorte
i due bozzetti. Quello dell’intero monumento, oggi non rintracciabile, viene spostato dal primo luogo di collocazione in un momento imprecisato prima del 1935, mentre l’altro, più piccolo, è ancora al suo posto a questa data (Fig. 10).(47) Lo spostamento e la
sostituzione con una statua in bronzo di quest’ultimo rappresentano una storia molto più recente (Fig. 11).
Nella riunione accademica del 24 giugno 1969 il Presidente dell’Accademia Beniamino Segre informa il Consiglio che il
socio Giulio Cesare Pupilli (1893-1973) ha proposto di sostituire con una statua di Quintino Sella in bronzo quella in gesso esistente (si allude al bozzetto della statua collocato al secondo piano
del Palazzo nel 1894). Segre aggiunge anche la proposta di utilizzare per la fusione in bronzo un «calco diverso dall’attuale», pertanto non quello in gesso di Ferrari, ma uno nuovo appositamente
realizzato (Fig. 12).(48) Il proposito viene realizzato e nell’Inventario dei mobili dell’Accademia dei Lincei, al numero 3417, si legge «Statua in bronzo raffigurante Quintino Sella alta circa un metro». La scultura, con un valore stimato di 400.000 Lire, viene presa in carico con verbale del 30 /11 /1970 e si trova oggi nella Sala
di Scienze Fisiche.
Ancora una sorpresa per il nostro percorso nei luoghi della memoria di Sella riserva la lettura del verbale del Consiglio di Presidenza del 31 ottobre 1969: dopo l’approvazione di un preventivo
(46) ACS, Presidenza Consiglio dei Ministri, Commissione reale per il monumento a Q. Sella 1884-1894, fascicolo 7.
(47) Oggi il bozzetto di gesso si conserva al secondo piano di Palazzo Corsini («Sala verde»).
(48) Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, Archivio, Verbale dei Consigli di
Presidenza del 1969. Il gesso utilizzato per il calco si conserva nei depositi di Villa Farnesina.
107
Fig. 10
108
Fig. 11
109
Fig. 12
110
di 600.000 Lire per la riproduzione in bronzo dei busti in gesso dei
Presidenti Eugenio Beltrami, Francesco Brioschi e Angelo Messedaglia, si legge anche dell’intenzione di «collocare nel fondo della sala di Scienze Fisiche la statua in marmo di Quintino Sella».(49)
Si tratta del busto di Dies (a quella data collocato al piano terra),
l’unica statua «in marmo» di Sella. Si pensò forse ad uno spostamento dalla galleria di accesso al giardino, in seguito non realizzato presumibilmente per motivi logistici.
La lacunosità della documentazione non consente risposte precise, ma resta comunque la testimonianza di una memoria celebrativa e di un ricordo ancora vivi, della necessità di comprendere
l’effigie di Sella tra i numi tutelari ed ispiratori dei lavori e delle fatiche lincei, nelle sale dove i Soci si riuniscono, come già nel
lontano 1884 aveva vagamente intuito il pittore Capocci con la sua
proposta di un quadro ad olio per la biblioteca, altro luogo di lavoro per gli studiosi. L’intento non era stato ottenuto con il busto di
Dies, monumentale, somigliante, celebrativo, ma, per una serie di
ragioni, soprattutto pratiche, non adatto a quello scopo, raggiunto
alla fine solo quasi cento anni dopo, quando i Lincei, ormai pienamente ambientati nel Palazzo di via della Lungara, ne abitano gli
spazi e ne interpretano i luoghi più consapevolmente.
Ancora un’osservazione, per concludere un ideale cerchio che
va dalla memoria romana in Via XX settembre (collocazione originariamente decisa e posta in essere) al cortile di Palazzo Corsini, dove secondo le intenzioni di alcuni deputati, nel dibattito che
accompagnò la stesura e l’approvazione del progetto di legge, il
monumento avrebbe dovuto essere collocato fin dall’inizio.(50)
Quasi un ideale incrocio di intenzioni e di intenti sembra guidare il dipanarsi di questa «storia per immagini». Il bozzetto dell’opera di Dies (e poi la sua successiva versione in bronzo, più grande e monumentale, promossa dalla Presidenza Segre), immagine
(49) Ivi, 31 ottobre 1969.
(50) L’intera questione è stata studiata e documentata in L. Berggren - L. Sjostedt, L’ombra dei Grandi, cit., pp. 111-117.
111
dell’uomo di stato, offerta all’omaggio pubblico nell’ambiente urbano di Roma, è collocata all’interno del Palazzo, nelle stanze di
lavoro al secondo piano, in una dimensione «privata», poco accessibile dall’esterno.
D’altra parte il busto di Dies, per il quale molti aggettivi ne
sottolineano l’eccezionalità («grande più del vero», «somigliantissimo»), ricordo dello scienziato (la presenza dei libri che fanno da
base) voluto dai Lincei, fu offerto fin dall’inizio alla vista del pubblico, negli spazi aperti del Salone delle Adunanze Solenni, visibile dalla stampa periodica (fin dal giorno 11 giugno 1885) e poi
collocato in posizione tale da essere notato anche da chi sostava
nell’atrio del Palazzo.
L’immagine del politico (voluta e finanziata dallo Stato) che
abita e caratterizza i luoghi dello scienziato, le stanze che l’avrebbero visto lavorare se una morte tutto sommato prematura e inaspettata non l’avesse fermato, la figura dello scienziato (commissionata da altri studiosi) che si offre alla vista e al ricordo di un
pubblico più vasto: singolare e forse non casuale commistione di
pubblico e privato per una figura così significativa come quella di
Quintino Sella.
Ebe Antetomaso
112
Le ragioni di una mostra
Il 5 dicembre 2011 si apriva a Palazzo Corsini, nell’ambito delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’Unificazione del Paese, il convegno «Quintino sella scienziato e statista per l’Unità D’Italia»: nel corso di due fitte giornate, numerosi
interventi di economisti, scienziati, storici insigni hanno dimostrato l’interesse profondo che ancora suscitano nella migliore cultura italiana la figura e l’operato dello scienziato e statista biellese.
Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno, alla presenza del Capo
dello Stato, veniva inaugurata negli splendide sale della Biblioteca
accademica la mostra storico-documentaria «Quintino Sella Linceo», realizzata in collaborazione con la Fondazione Sella di Biella e altre Istituzioni. Quali dunque le ragioni di questa esposizione,
al di là della ricorrenza celebrativa? Non è superfluo sottolineare
che l’Accademia dei Lincei non poteva festeggiare in modo più appropriato il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia se,
come vedremo, l’Accademia fu di fatto rifondata durante la Presidenza Sella (1874-1884), in una Roma ormai annessa al Paese
grazie in primo luogo alla sagacia politica dello statista piemontese.
Tale motivazione sarebbe più che sufficiente ma ritengo che
l’importanza e l’attualità della lezione di Sella, lungo una carriera
complessa e multiforme ma di rara coerenza, siano già state sottolineate in modo magistrale nel 1985 da Carlo Dionisotti nel suo
Ricordo di Quintino Sella:
Il Sella capì l’urgenza di una riforma scientifica dell’alta cultura italiana, promossa e diretta dallo Stato. Non c’era rischio che in Italia si esaurisse il flusso poetico e retorico a uso interno; c’era invece, che venisse
113
meno l’informazione del progresso scientifico altrui e con ciò la collaborazione italiana a quel progresso.(1)
Queste parole di Dionisotti lumeggiano a mio avviso l’intera
carriera di Sella, dagli studi giovanili alla presidenza dell’Accademia dei Lincei. E proprio tale mirabile carriera costituisce l’oggetto di questa mostra. Costante fu in lui, fin dai primi bilanci delle
esperienze fatte a Parigi attorno al 1848, una preoccupazione: evitare l’eccessiva influenza francese sulla politica e la cultura italiana e, allo stesso tempo, rendere l’Italia partecipe dell’impressionante progresso tecnico e scientifico che aveva luogo allora in
Inghilterra e soprattutto in Germania, paesi ammirati e visitati da
Sella nei suoi giovanili anni di peregrinazione e di apprendistato
(1851-52). Fin dal 1849 infatti il suo giudizio sulla Francia e sui
Francesi è severo:
Gli scienziati e i letterati per la massima parte non hanno altro idolo che
i posti, e le rendite […]. Giammai io vidi la dignità umana tanto abbassata quanto in questa Parigi che pur ha la pretensione d’essere la capitale d’ogni umano progresso. Quindi è che noi italiani siamo ben semplici, anzi minchioni e stolti assai quando aspettiamo aiuto e soccorso
dalla Francia per liberarci.(2)
Quella Francia che, almeno dalla seconda metà del XVII secolo, era stata il veicolo privilegiato della cultura moderna per l’Italia, finiva per essere pesantemente ridimensionata già nel pensiero
giovanile di Sella e associata, in ultima analisi, a un’idea di cultura retorica, letteraria, intimamente corrotta e decadente, assai simile a quella cultura deteriore, «arcadica», che egli si proponeva
di combattere in Italia: si avvertono già in nuce le considerazioni
che lo avrebbero portato a perorare la neutralità italiana nella guerra franco-prussiana durante la fatale estate del 1870.
(1) Carlo Dionisotti, Ricordo di Quintino Sella (1985), in Appunti sui moderni. Foscolo, Leopardi, Manzoni e altri, Bologna 1988, p. 379.
(2) Quintino Sella a Giuseppe Venanzio Sella [Parigi, luglio 1849], in Epistolario di Quintino Sella, a cura di Guido e Marisa Quazza, vol. I, 1842-1865, Roma
1980, p. 108.
114
Muovendo da questo assunto, è possibile individuare la profonda coerenza sottesa all’intera carriera di Sella, una coerenza che
ha ispirato a Guido Quazza il titolo della sua monografia maggiore: L’utopia di Quintino Sella. La politica della scienza.(3) Già, la
politica della scienza: un ideale regolativo che Sella formula compiutamente piuttosto tardi, negli anni della Presidenza dell’Accademia dei Lincei, ma che in fondo è già presente in un appunto
del 24 maggio 1848 conservato a Biella presso la Fondazione Sella ed esposto nella mostra lincea: «[…] Il mio scopo, salvo le eccezioni straordinarie, è ora fisso davanti a me, ed è quello di cercare in ogni modo di formare la mia educazione prima per riescire
atto alla specialità a cui mi sono dedicato, e quindi per poter servire al bene dell’Italia dedicandomi all’insegnamento»: (4) il bene
del Paese passa dunque attraverso l’insegnamento, la diffusione e
la promozione della scienza. Ed è questo lo scopo al quale tende
già tutta la prima fase della carriera di Sella, dalla laurea in ingegneria idraulica a Torino (1847) al suo ingresso in politica, dopo
non pochi ripensamenti, nel 1860. In fase di allestimento della mostra ci si è inoltre resi conto di come la carriera dello statista biellese potesse essere idealmente suddivisa in tre fasi, che sembrano
corrispondere ai momenti cardine della dialettica hegeliana (un’altra forma di «scienza» ottocentesca, se vogliamo, e soprattutto se
consideriamo la semantica storica delle parole): a una «tesi» (il
giovanile impegno scientifico e universitario) segue un’«antitesi»,
un calarsi nel «negativo» della realtà concreta (l’impegno politico
dal 1860 alla caduta del ministero Lanza-Sella nel 1873), e infine una «sintesi», un’Aufhebung, ossia un «superamento» dialettico
di entrambe le posizioni precedenti (la presidenza dell’Accademia
dei Lincei, dal 1874 alla morte, e la connessa «utopia» della «politica della scienza», tesa a trasformare Roma in un centro scientifico di rilievo internazionale e a promuovere in tutto il Paese il
(3) Guido Quazza, L’utopia di Quintino Sella. La politica della scienza, Torino 1992.
(4) Cfr. la scheda n. 5 del presente catalogo.
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progresso tramite la diffusione delle competenze tecnico-scientifiche).
Questa tripartizione ha consentito di suddividere agevolmente la mostra in tre sezioni cronologiche e tematiche, denominate
appunto «Sella scienziato», «Sella statista» e «Sella Linceo», alle
quali è stata aggiunta una piccola sezione iconografica (caricature,
dipinti, documenti, giornali d’epoca ecc.) a conclusione del percorso espositivo. Fin dalla prima sezione è evidente lo straordinario
impegno di Sella in ambito scientifico e culturale: eminente studioso di mineralogia, e in particolare di cristallografia, egli fece suo
da subito un ideale educativo che comprendesse, secondo l’esempio degli amati classici, la cura strenua del corpo. Il Sella alpinista e futuro fondatore del Club Alpino Italiano (5) fa infatti tutt’uno
con il Sella studioso, docente e organizzatore di cultura lato sensu
(si potrebbe quasi affermare che egli intuisca e prefiguri in qualche modo la moderna organizzazione del leisure time, propria delle società capitalistiche avanzate).
Di fronte alla richiesta rivoltagli da Cavour ai primi del 1860
di entrare nella vita politica attiva, il professor Sella dapprima vacilla, preda di dubbi e incertezze: «Del resto io mi terrei per venturato se le cose si aggiustassero in guisa che non venissi punto
proposto a candidato. […] Le occupazioni politiche mi trascinerebbero poco a poco lungi dallo studio, e questo è ciò che più mi
spaventa».(6) Eppure, superate le prime titubanze, Sella seppe rivelarsi politico risoluto e dalle idee chiare e distinte: il rigore etico consustanziale alla sua formazione scientifica lo portò sempre
ad assumere posizioni nette, rigorose, dalle proverbiali «economie
fino all’osso» alla costruzione – provvista di alto valore simbolico – del palazzo del Ministero delle Finanze,(7) solo per citare, tra
(5) Quazza, L’utopia di Quintino Sella, cit., pp. 339-345.
(6) Quintino Sella a Giuseppe Venanzio Sella (Torino, 28 febbraio 1860), in
Epistolario, cit., I, pp. 248-249. Si veda anche, per un approfondimento, la scheda n.
31 del presente catalogo.
(7) Quintino Sella, Discorsi parlamentari, I, Roma 1887, p. 313: «Io prendo la responsabilità della costruzione del palazzo per il Ministero delle finanze […]
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i tanti possibili, due esempi preclari del suo operato politico. Ma
l’ora topica di Quintino Sella, il suo momento più alto, doveva arrivare in quell’estate del 1870, quando l’antica diffidenza (e disistima) verso i Francesi, l’acquisita esperienza politica, il prestigio
personale, l’ammirazione per il mondo scientifico e istituzionale tedesco dovevano contribuire tutti a quel capolavoro politico e diplomatico che fu la neutralità italiana nella guerra franco-prussiana,(8)
alla quale seguì l’annessione di Roma allo Stato unitario. A questo trionfo personale succedettero tuttavia varie delusioni politiche
(il ritardato ingresso in Roma del sovrano,(9) la caduta del governo Sella-Lanza nel giugno del 1873, proprio a causa del rigore finanziario da lui perseguito), alle quali Sella seppe reagire moltiplicando il suo impegno per l’Accademia dei Lincei.
E proprio nell’ultimo decennio della sua vita Sella combatté
la sua battaglia più impegnativa: la «nuova» Accademia dei Lincei, provvista dopo la riforma dello statuto del 1875 anche di una
Classe di Scienze Morali, avrebbe dovuto trasformarsi in un centro
di propagazione della cultura nazionale, che promuovesse il sapere in tutto il Paese e contribuisse a trasformare Roma in una «città
della scienza», ove l’universalismo laico avrebbe dovuto competere con quello dell’autorità pontificia.(10) Generosa utopia, sorretta dall’eccezionale energia e dalla tenacia di Sella, ma destinata a
scontrarsi da subito con la difficoltà a reperire finanziamenti adeguati da parte dei Ministeri della Sinistra, che sentiva a lui personalmente ostili,(11) come pure con l’oggettiva arretratezza culturale di Roma e del Paese tutto. Ciò nonostante, le nomine a socio
Una volta decisa la costruzione del Ministero, per parte mia mi limitai a fissarne la
capacità, la disposizione […]. Insomma determinai la pianta dell’edificio ed il genere di costruzione […]. Ma quanto alla decorazione esterna, all’architettura, siccome
è il Ministero dei lavori pubblici che s’incarica degli edifizi demaniali, io non volli mai vedere nulla».
(8) Cfr. la scheda n. 38 del presente catalogo.
(9) Cfr. la scheda n. 41 del presente catalogo.
(10) Cfr. in merito i saggi di Tullio Gregory e di Marco Guardo in questo catalogo.
(11) Cfr. la scheda n. 61 del presente catalogo.
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di Charles Darwin o di Herbert Spencer nel biennio 1875-76 testimoniano in modo eloquente la direzione auspicata da Sella per
la scienza italiana. Ormai sfibrato dalle troppe fatiche e delusioni, nell’ultima fotografia Sella ha l’aspetto di un vecchio; il 28 dicembre 1883 egli scrive da Biella a Luigi Blaserna: «Quando si
comincia ad essere in uggia alla gente, è proprio meglio togliersi
d’innanzi immediatamente. Si sta subito meglio tutti, e chi va e chi
resta».(12) Quintino Sella moriva a Biella il 14 marzo 1884: come
ebbe a dire Dionisotti, «certo visse e morí nella fede di una pacifica e civile competizione internazionale, aperta anche alla nuova
Italia. Morí prima che questa Italia scegliesse l’altra via, retorica
piuttosto che scientifica, del nazionalismo, del colonialismo e della guerra».(13) Non saprei trovare miglior epitaffio per la figura di
Quintino Sella, nei confronti del quale questa mostra storico-documentaria intende essere rispettoso e deferente omaggio.
Alessandro Romanello
(12) Cfr. Quazza, L’utopia di Quintino Sella, cit., p. 568. Questa lettera di Sella a Blaserna è conservata presso la Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei
e Corsiniana, Archivio Linceo 134, Carteggio Blaserna.
(13) Dionisotti, Ricordo di Quintino Sella, cit., p. 388.
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