Sommario 3 Introduzione Fra Ferruccio Bortolozzo, ofmcap 4 Saluti iniziali Mons. Giuseppe Guerrini Marisa Giai Fra Mario Durando Mariella Risso 8 Relazioni Padre Giuseppe Maria: un’esperienza all’avanguardia Fra Stefano Campana, ofmcap 17 Gli Istituti secolari: attualità di una vocazione Dora Castenetto 27 Presentazione del video: «Un cappuccino di frontiera» Paolo Damosso 30 Padre Giuseppe Maria: un fondatore per i tempi nuovi Renza Guglielmetti 39 Lettere di amicizia Introduzione Fra Ferruccio Bortolozzo, ofmcap D iamo inizio a questo nostro incontro-convegno nel quale desideriamo riflettere insieme su una importante figura della nostra Provincia dei Cappuccini del Piemonte, Padre Giuseppe Maria (Luciano) Borgia, comunemente conosciuto come «il Padre», fondatore dell’Istituto secolare Santa Maria degli Angeli. Lo facciamo nel ventennale della sua morte avvenuta il 26 agosto del 1990. Insieme cercheremo di iniziare una riflessione su questa figura per comprenderne il percorso, le scelte e, nel contempo, capire se dal suo messaggio, dalla ricchezza del suo dono, possiamo individuare qualcosa d’importante per il nostro cammino nel futuro. Do il benvenuto a tutti e mi permetto di lasciare subito la parola ad alcuni partecipanti che hanno un titolo speciale per portare un loro saluto all’inizio di questo convegno: Mons. Giuseppe Guerrini, vescovo di Saluzzo, Marisa Giai, Responsabile generale dell’Istituto secolare “Santa Maria degli Angeli”, Fra Mario Durando, Ministro provinciale dei Cappuccini del Piemonte, la dott.ssa Mariella Risso, Assessore alla Cultura e alla Istruzione del Comune di Saluzzo. Come avete potuto vedere dal depliant informativo d’invito, quattro saranno i momenti che ci aiuteranno ad approfondire la conoscenza della figura di P. Giuseppe Maria. Nel primo contributo Fra Stefano Campana, ofmcap, ci presenterà il sorgere dell’esperienza del “Padre” portando la personale testimonianza di confratello che lo ha conosciuto. Nel secondo intervento, la dott.ssa Dora Castenetto, ci aiuterà ad entrare più profondamente nella conoscenza della realtà degli Istituti secolari, una vocazione sorta nella Chiesa come risposta alle esigenze di un mondo che camminava attraverso le difficoltà e le prime forti avvisaglie della secolarizzazione. Per alleggerire un poco il nostro pomeriggio, sarà poi proiettato un DVD su Padre Giuseppe Maria, che ci sarà presentato dal dott. Paolo Damosso. Chiuderà il convegno l’intervento di Renza Guglielmetti, per permetterci di entrare più specificamente nella realtà dell’Istituto «Santa Maria degli Angeli». Saluti iniziali Mons. Giuseppe Guerrini, Vescovo di Saluzzo B uon pomeriggio a tutti. Non ho conosciuto personalmente Padre Giuseppe Maria e quindi non posso dare nessun contributo per approfondire e cogliere meglio la sua figura. Ma mi congratulo con l’Istituto Santa Maria degli Angeli, con i Padri Cappuccini che hanno promosso questo convegno, perché mi pare che a vent’anni di distanza si possa cogliere meglio il profilo, la figura umana, la figura culturale, pastorale di una persona, soprattutto di una persona che è stata capace di mettersi in prospettive nuove: una persona così ricca di iniziativa quale fu Padre Giuseppe Maria. Personalmente da questo convegno mi attendo un contributo alla storia della presenza cristiana, della presenza religiosa nel nostro territorio piemontese, in modo particolare nella nostra Diocesi di Saluzzo. Storia innanzitutto di spiritualità, cioè di cammino di santità. Quando nel 1945 con Santina Lancia e alcune “sorelle” inizia a Piasco l’Istituto Santa Maria degli Angeli, non era ancora stata pubblicata l’Esortazione pontificia di Pio XII Provida Mater Ecclesia che solo due anni dopo nel 1947 riconoscerà gli Istituti secolari. Si trattava quindi di una modalità di consacrazione certamente già sperimentata da anni, ma non ancora ufficialmente strutturata. Ecco, Padre Giuseppe Maria si inoltra in questo cammino che intravede ricco di potenzialità, particolarmente adatto ai tempi. Quindi, dicevo, storia di spiritualità, ma anche storia della pastorale. Una sua idea, che è stata nella sua vita quasi un’ossessione, a farsi, a rendersi vicini alla gente, a conoscerne sensibilità nei linguaggi, a usare gli strumenti più innovativi, sempre per proporre il Vangelo di Gesù. Anzitutto per informare su Lui! Questo verbo «informare» che dice un approccio discreto, rispettoso, ma dice anche l’urgenza della passione di comunicare, di trasmettere una buona notizia, quella Buona Notizia che ha sconvolto e ha dato speranza al mondo. Auguri, quindi, di buon lavoro e grazie! Marisa Giai, Responsabile generale dell’Istituto Santa Maria degli Angeli B envenuti a tutti, io vi porgo il saluto di tutte le Sorelle di Santa Maria, e vi ringrazio per la vostra presenza qui oggi, una presenza così numerosa, per ricordare insieme a noi la figura del nostro Fondatore Padre Giuseppe Maria a vent’anni dalla sua morte. Mi piacerebbe di più dire vent’anni di vita in Cielo, secondo una bella espressione di un sacerdote dell’Oratorio di San Filippo Neri che ha scritto una lettera ricordando, appunto, i vent’anni di vita in Cielo di Padre Giuseppe Maria. In particolare ringrazio il nostro Vescovo Mons. Giuseppe Guerrini che ha accolto l’invito ad essere oggi qui con noi e che con tanta premura segue il cammino dell’Istituto. Ringrazio pure la signora Mariella Risso che rappresenta il Sindaco della città di Saluzzo. Ringrazio il P. Provinciale dei Cappuccini Fra Mario Durando, anche lui presente a questo incontro, Padre Oreste nostro Assistente e tutti i Frati della Provincia piemontese i quali continuano ad occuparsi con fraterna sollecitudine della nostra formazione spirituale, francescana, secondo il desiderio del Padre, il quale nel suo testamento scrisse: «L’Istituto resti sempre sotto l’assistenza religiosa dei Cappuccini». Un altro grande segno di benevolenza l’abbiamo ricevuto nel 2004 con il dono dell’Af- filiazione all’Ordine. Di questo noi siamo molto grate ai Cappuccini. Il Padre Giuseppe Maria, la cui figura verrà tratteggiata dai relatori, è stato non solo per noi, ma anche per quanti l’hanno conosciuto, l’esempio di un religioso che ha condotto un progetto di vita fondato su una fede profonda, su una intensa preghiera e sempre in ascolto dello Spirito. La sua dedizione alla evangelizzazione e la fondazione dell’Istituto non si spiegano altrimenti che con l’accoglienza da parte sua di una ispirazione divina. Ma in questo incontro, non possiamo dimenticare Santina Lancia, la Sorella Maggiore, della quale ricorre quest’anno, il 9 ottobre, il trentesimo anniversario della morte. Santina Lancia fu grande collaboratrice del padre nel periodo di fondazione e prima responsabile generale dell’Istituto. P. Giuseppe Maria con Santina e sorelle Nacque a Busca e a Busca conobbe il Padre; apparteneva al Terz’Ordine (come si chiamava allora) e frequentava la chiesa dei Cappuccini. Santina desiderava la vita claustrale, ma quando comprese che la volontà di Dio la chiamava ad occuparsi della piccola pianticella francescana che stava sorgendo a Sant’Orso di Piasco, rinunciò alla sua aspirazione. E in un momento di grave difficoltà per il nascente Istituto, ella prese su di sé la responsabilità del primo gruppo di Sorelle. Per suo merito la «meravigliosa avventura di Santa Maria» (sono parole del Padre) poté avere inizio. A lei, la Sorella Maggiore, noi di Santa Maria dobbiamo tanto amore e riconoscenza. Come pure ne dobbiamo a Padre Barnaba che fu ministro Provinciale negli anni ’50 e dal quale il Padre ebbe molto aiuto, sostegno e comprensione nei confronti del nuovo Istituto. Insieme a Padre Giuseppe Maria sono considerati i nostri pionieri. Ancora vi ringrazio, auguro a voi buon ascolto e buon pomeriggio. Fra Mario Durando, Ministro provinciale dei Cappuccini del Piemonte A Sua Eccellenza e alle care Sorelle dell’Istituto «Santa Maria degli Angeli», ai miei Confratelli Cappuccini, a tutti voi, un francescano augurio di pace e bene. Noi Frati Cappuccini, nati da una riforma del grande Ordine Francescano e approvato nel 1528, siamo presenti in Piemonte negli anni successivi dal lontano 1538. Sant’Ignazio da Santhià nel 1700, il Servo di Dio Guglielmo Massaja nell’800, il Venerabile Padre Angelico da None nel ’900 sono le figure più illustri e conosciute. Ma non possiamo dimenticare tanti altri frati, in modo particolare quelli dell’ultimo secolo scorso: Mons. Egidio Lanzo, pastore di questa dioce si dal 1943 e morto nel ’73; Mons. Leone Ossola dichiarato «defensor civitatis» di Novara per aver salvato la città dalla distruzione dell’esercito tedesco in ritirata; Padre Pio Gottin, missionario in Capo Verde, a Boston e Padre Giuseppe Maria Borgia. Ringrazio quindi di questa occasione per riscoprire un frate che, appena terminata la guerra, apre intelligenza e cuore per parlare di Cristo al mondo. Un mondo bisognoso di fede, non più lontano, intuisce, ma vicino a noi, nell’Italia, nell’Europa. Un mondo che è in una frenetica ricostruzione di case, ma altrettanto frenetico allontanamento da Dio e dai valori cristiani. Antesignano di una nuo- va evangelizzazione, fiducioso nella Provvidenza come un altro grande piemontese, San Giuseppe Benedetto Cottolengo. Non uomo di preghiera, ma uomo fatto preghiera come San Francesco d’Assisi secondo la descrizione del primo biografo Tommaso da Celano. Grazie, dunque, per l’opportunità di questo convegno, per le riflessioni che offrirete a tutti noi per conoscerlo meglio. Mariella Risso, Assessore alla Cultura e alla Istruzione del Comune di Saluzzo I o non ho assolutamente titolo per parlare in questa sede ma porto il saluto del Sindaco e mio personale a questa Comunità che ha una presenza forte in città, a Villa Maria Regina, una presenza in un luogo fisico ma anche una presenza discreta in tanti luoghi, accanto a molte persone e a molti cammini in città. Credo che la riflessione su quelli che sono per ognuno di noi i nostri maestri sia sempre un’occasione di arricchimento. C’è un momento in cui ognuno di noi fa un bilancio, ricerca e studia quella che è la sua coerenza e ne ricava, diciamo, nuovo entusiasmo, nuova linfa per continuare il cammino su cui sta procedendo. Auguri a tutti! Saluto iniziale di Fra Mario Durando, ofmcap Padre Giuseppe Maria: un’esperienza all’avanguardia Fra Stefano Campana*, ofmcap Introduzione L’arco della vita terrena di Padre Giuseppe Maria va dal 7 ottobre 1913 (Torino, via Foligno, parrocchia dei Cappuccini, Madonna di Campagna) al 26 agosto 1990 (San Grato - Verzuolo). Non sto a descrivervi la vita, è sufficiente la lettura della biografia agile e calzante della sorella Renza Guglielmetti («Cappuccino di frontiera», Effatà Ed., Cantalupa - To, 1998). Tenterò di offrire una mia chiave interpretativa d’insieme e porrò anche un accento particolare sulla dimensione francescana della vita di P. Giuseppe Maria. Nella seconda parte, dal titolo «genialità di una fondazione», mi soffermerò sulla nascita, fisionomia e storia del suo Istituto secolare «S. Maria degli Angeli». 1 - La parabola della vita Di fronte a un P. Giuseppe Maria inabile e muto in un letto negli ultimi anni, si sarebbe tentati di mettere tra parentesi questa fase della sua vita, come di una fase che non conta più. Il P. Giuseppe vero sarebbe quello di prima: attivo, aitante, vigoroso, facondo. La storia dello Spirito invece include anche il periodo dell’inattività, dello svuotamento, della inutilità. Perché è il periodo in cui Dio prende progressivamente possesso della creatura umana e, come sacerdote, P. Giuseppe da offerente si trasforma in offerta. Il prima e il dopo, nonostante l’apparente opposizione, sono correlati l’uno all’altro. 1.2 Il prima L’impressione immediata su di lui. P. Giuseppe Maria era una figura possente (anche per la stazza fisica), vigoroso nel corpo e nello spirito, austero. Aveva un parlare incisivo e vibrante, quasi alla Savonarola; amava i paradossi, le frasi slogan, i motti fulminanti. La sua era la cultura versatile, geniale, vasta, pur con gli azzardi tipici di uno che sostanzialmente è stato un autodidatta. E trascinava. Perché aveva una foga, un fuoco dentro. Non era un intellettuale asettico o avulso dal reale: partiva sempre dal reale, ma teso costantemente verso l’ideale. Ti schiodava dalla quotidianità; non riposava lui e non lasciava riposare chi gli capitava tra i piedi con la velleità di esserne o discepolo o discepola. Di questa prima fase della sua vita riscontro due sentimenti dominanti. Mi correggo. Per P. Giuseppe Maria non si può parlare di sentimenti (troppo tenue), ma di passioni: tutto in lui si caricava di impeto. La prima passione è stata la ricerca di Dio nel volto di Cristo, con una tensione continua verso la santità. «Vi voglio sante» ripeteva alle ragazze del suo Istituto. Oppure esortava a far uso durante il giorno della chiavetta: «Dio solo; o Dio o niente!» La seconda passione era quella di portare Cristo al mondo, in particolare ai “lontani”; negli ambienti più disparati e disperati, ai crocicchi della società e là dove di Dio non si è mai parlato. P. Giuseppe Maria nel 1947 La prima passione è stata per lui prima di tutto un cammino di vita, uno sforzo instancabile. Ma è stata anche occasione per una riflessione su metodi, tecniche, vie di santità. Negli anni ’50 -’60 fiorivano i trattati e le analisi in merito. Padre Giuseppe saccheggiava a tutto spiano gli scritti dei maestri di spirito del tempo (v. Marmion, Pollien, Tanquerey, ecc.) e rielaborava il tutto in una visione personalissima, sintetica, praticabile. Si soffermava sui metodi di meditazione, sui gradi dell’ascesa spirituale; dalla via purgativa fino a quella unitiva; disquisiva sul rapporto grazia e volontà umana, sull’assegnazione dei meriti, ecc. Frutto di queste riflessioni sono il breve «Trattato di Teologia ascetica» (che noi studenti di teologia abbiamo usato e di cui ho avuto l’onore di una delle tante revisioni assieme a P. Ermanno Sibona) e le «Meditazioni attive». Le due operette si rivelarono subito geniali e accattivanti, ma l’impressione di adesso (e devo confessare: anche di allora) era che il Padre Giuseppe si sia lasciato prendere la mano da un eccesso di schematismi o di tecnicismi che, con una materia così fluida e inafferrabile quale la santità, stridono un poco. Sottesa a quelle pagine è che la santità sia conquista, grinta e buona volontà da parte dell’individuo. Più ascesi che mistica. Metodologia più gesuitica che francescana. Ma in quegli anni P. Giuseppe camminava così lungo la strada del Signore: con il vigore della sua maturità e la radicalità del suo temperamento. Senza risparmiare se stesso; quello che pretendeva dagli altri lui lo viveva per primo e in misura superiore. Che si trattasse delle ore di preghiera, anche notturne (con un corpo che recalcitrava per il sonno), delle austerità, degli strapazzi per i viaggi e fatiche di ogni genere. Un esempio per tutti (cito dalla mia fonte quasi unica: R. Guglielmetti, «Cappuccino di frontiera»): si racconta che una volta fece un bel capitombolo perché si era addormentato… sul manubrio della bicicletta, che chiamava “marescialla” (pare nel tratto di strada Busca – Piasco). Una vita sulla corda tesa, un impegno a muso duro potrebbe indurre all’impressione di un frate rude e burbero con gli altri (ero io piccolino che lo vedevo così e scappavo gambe all’aria quan- do lo vedevo spuntare nei corridoi del convento di Busca!). Invece no; tutte le testimonianze (anche la mia una volta uscito dall’infanzia) concordano nel vedere in P. Giuseppe generosità, delicatezza e cortesia e grande attenzione verso l’altro. Tutte le ore, del giorno e della notte, erano adatte se c’era da portare aiuto. Sapeva vivere tale disponibilità con una punta di umorismo tipicamente cappuccino, come quella volta che uno studente di teologia, scambiandolo per un compagno di corso, gli salì sulla groppa, le gambe a cavalcioni, per scendere le scale con il minore dispendio di energia. Arrivati in fondo, il P. Giuseppe deposita a terra il dolce peso dello studente che, smarrito, si accorge di essere salito in groppa al guardiano del convento; P. Giuseppe, P. Giuseppe Maria con la fraternità di Busca 10 con tono birbone, gli domanda: «Ti basta così o vuoi altro?» parola di troppo, aveva sempre l’umiltà di chiedere perdono. P. Giuseppe ha vissuto la quotidianità di vita fraterna più con le Sorelle di Santa Maria che con i confratelli cappuccini. Eppure il suo senso di fraternità verso i confratelli era vivo e sentito. Ho parlato della sua cortesia, disponibilità, interessamento. Voglio aggiungere: non parlava mai male, non criticava i frati, neppure i superiori (che negli anni ’45-’46 l’avevano fatto penare). Ho un ricordo mio personale quando stava per nascere la nostra fraternità di quartiere in via Calandra… 1.3 Il dopo E la stima dei confratelli si esternò ripetutamente nell’affidargli incarichi di fiducia: quasi appena ordinato sacerdote gli venne dato l’insegnamento della Teologia ai giovani chierici, giovanissimo guardiano a Busca, più volte Definitore Provinciale e per ben ventidue anni assistente regionale OFS (allora si chiamava Commissario del TOF). Difficilmente i frati danno fiducia a un confratello se non lo sentono come “uno dei nostri”. P. Giuseppe Maria molta parte della sua attività la svolse in Santa Maria, ma non dimenticò mai né si emarginò dalla Provincia cappuccina. E del frate vero conservò lo stile: francescanamente povero e dimesso nello stile di vita, sciolto dai legami con le cose e le cariche, libero, attraversato dalla costante inquietudine della ricerca di Dio. E se il suo carattere impulsivo gli faceva dire qualche Intendo ora parlare della seconda e ultima fase di vita di P. Giuseppe, quella apparentemente “inutile”. Ne parlo per il poco che si può dire di quel progressivo silenzio e inabilità. Le prime avvisaglie nel 1976: viene ricoverato alle Molinette di Torino per serie complicazioni dovute al diabete. Ma è dal 1982 in avanti che P. Giuseppe diventa progressivamente inabile, la parola si fa difficoltosa e gli stati di coscienza si alternano tra lucidità normale e torpore. Le Sorelle di Santa Maria si prodigano nei suoi confronti come non si potrebbe fare meglio. A loro va la lode e il grazie. Per P. Giuseppe è giunta la fase dell’abbandono e dello svuotamento di sé rispetto alla prima fase, quella del vigore e dell’impegno. Mi vengono quasi le vertigini a fare questa lettura ossimorica della sua vita, eppure occorre farla per penetrare almeno un poco nel misterioso piano di Dio. Durante gli anni della inattività e della dipendenza dagli altri, mi piace immaginare un Gesù che sussurra al suo cuore: «Ho sempre apprezzato la tua ricerca del volto di Dio e della santità, ma era una ricerca tua; adesso ti voglio liberare dalle tue tecniche, dai tuoi metodi; sono stati utili, ma ora ti voglio far respirare in uno spazio infinito, nello spazio infinito dell’abbandono, dove non ci sono 11 più metodi né scuole di ascetica, perché c’è una scuola unica, quella del Cristo che ti trasforma in se stesso» (P. Stefano Campana, dal Discorso ai funerali, Busca, 28 agosto 1990). Così pure la malattia getta altra luce sullo stesso Istituto da lui fondato. Proseguo il dialogo immaginario di Gesù con lui: «Ecco, adesso entro io alla guida del tuo movimento; tu non verrai messo da parte, ma collaborerai con Me in maniera diversa da prima; prima eri tu che dicevi, che dirigevi, che t’imponevi; adesso diventerai il seme che germina, sepolto, la vita nuova; adesso diventerai l’ostia immolata come vero mio discepolo» (Ivi). Ci si potrebbe domandare: ma come ha vissuto questa fase difficile, lui, abituato tutta la vita a ben altro piglio, a ben altra allure? C’era già in lui una disponibilità a monte. In un corso di Esercizi in anni lontani (Saluzzo, 1946) aveva anticipato una presa di coscienza: «La nostra vita: un foglio firmato in bianco, su cui il Signore può scrivere ciò che vuole» (R. Guglielmetti, p. 33). Sappiamo che altro è prevedere, altro è trovarsi stretti nella morsa del male. Penso si sia progressivamente preparato perché la malattia gli mandava degli anticipi, lo tormentava con i suoi pungiglioni. Nel marzo 1982 gli viene comunicato che il processo è irreversibile: anche i tessuti cerebrali si stanno irrimediabilmente logorando a causa del diabete. Il 22 marzo 1982 P. Giuseppe Maria scrive: «La sentenza è tremen12 da... Ebbene, sì, accetto. Ho lavorato tanto… sino alla fine, ora il Signore faccia quello che vuole» (R. Guglielmetti, p. 105). Non è un’accettazione morbida; trapela da questa frase: «Il Signore da tre anni a questa parte mi sta sterminando» (R. Guglielmetti, p. 108). Sempre sulle ali dell’immaginazione: ma quando il P. Giuseppe Maria il 26 agosto 1990 ritornò alla casa del Padre, vi tornò nella piena vigoria del suo spirito. 2 - Genialità di una fondazione La seconda passione di P. Giuseppe era, come già detto, portare Cristo e il Vangelo al mondo, ai cosiddetti “lontani”, là dove non si è mai parlato di Dio. «La maggior parte dei cristiani non va più ai luoghi pii ed è necessario cercarli con ansia» (la lettera è del 5 settembre 1945: pensate ora! V. R. Guglielmetti, p. 49). Tenterà anni dopo un dialogo a distanza con i lontani, scrivendo il volumetto «Teologia apologetica». Ma la sua risposta pratica è l’invenzione dell’Istituto delle contemplative nel mondo: ragazze consacrate a Dio con i consigli evangelici, ma testimoni di Cristo fra i secolari, vivendo come loro negli uffici, nelle fabbriche, vestite come le altre signorine. Non sono “suore”; sono altro. Si fuoriesce dagli schemi tradizionali della vita religiosa. Il 2 agosto 1945, festa di Santa Maria degli Angeli, il primo nucleo di ragazze coraggiose trovano sistemazione a Sant’Orso, sulla collina sopra Piasco. Troveranno poi una dimora stabile, dal 1950, a San Grato di Verzuolo. Dopo il 1947 la “novità” di queste ragazze troverà l’occasione per essere incanalata nell’alveo istituzionale della Chiesa con il riconoscimento della nuova forma di vita religiosa sotto il nome di Istituti secolari ad opera di Pio XII («Provida Mater Ecclesiae», 1947). Farà seguito il percorso giuridico dell’approvazione delle Costituzioni, del riconoscimento dell’Istituto a livello diocesano. Degna di nota è anzitutto la coraggiosa caparbietà del Padre nel sostenere le fatiche e gli imprevisti di tutta la trafila giuridico-istituzionale e nel tenere sempre ritta la prua verso l’ideale di novità che si era proposto (e non mi nascondo l’impegno anche di tutte le Sorelle in questo lungo iter); e poi, altrettanto degna di nota è la dedizione totale, paterna e paziente di P. Giuseppe nel formare e nell’accompagnare le Sorelle di Santa Maria nel cammino inedito e impegnativo di consacrate nel mondo. Più una istituzione religiosa è immersa nella società o nella cosiddetta realtà mondana più subisce le spinte e i contraccolpi dei continui mutamenti. La realtà degli Istituti secolari deve essere quindi sempre molto attenta e duttile. Ciò determina confronti continui, aggiustamenti, variazione delle forme di inserimento nella società da parte degli Istituti stessi. Con Mons. Lanzo e P. Barnaba Ferrero a Saluzzo 13 Queste dinamiche, che comportano anche valutazioni e autocritica, non devono spaventare né creare tensioni. Come prova dei mutamenti continui e per restare in ambito ecclesiale, già negli anni ’50 l’iniziativa di P. Giuseppe Maria veniva sopravanzata da una proposta senza precedenti: sacerdoti e religiosi stessi dovevano entrare in fabbrica e lì, con il lavoro e la testimonianza personale, fermentare la massa. P. Giuseppe Maria non era contrario al movimento, ma non lo considerava suo. Molti di voi sanno le vicissitudini dei cosiddetti preti-operai: l’avvio travagliato, la condanna della Chiesa ufficiale, la ripresa, ecc. Cito questo movimento per due motivi: l’istanza di aprirsi al mondo, quello soprattutto del lavoro, consapevolmente o no, era avvertita un po’ ovunque; il progetto di P. Giuseppe rispondeva pertanto ad un’ansia diffusa nella Chiesa come comunità dei credenti; inoltre l’iniziativa preti-operai, pur con tutte le diatribe che si trascinò dietro, per la legge del meno che ci sta anche nel più, comportò una più facile legittimazione dei movimenti di inserimento, quali gli Istituti secolari. In ordine poi ai mutamenti della società coi quali più che mai gli Istituti secolari devono fare i conti, («più ti immergi in una realtà più ne avverti i mutamenti»), dobbiamo considerare un’altra grossa trasformazione della società attuale. Il riconoscimento ufficiale o erezione canonica di Santa Maria 14 avviene il 21 giugno 1963 (Decreto di Mons. E. L. Lanzo, vescovo di Saluzzo). Sono passati 47 anni da allora, tanti per una società dai rapidissimi mutamenti. Allora l’idea sottesa era quella di andare ai “lontani”, come se ci fossero due mondi in faccia l’uno dell’altro: i credenti da una parte e i non credenti dall’altra. Le cose non stanno più così; il mondo dei credenti si sta sfrangiando, molti sono credenti solo per l’anagrafe; la categoria tipicamente mazzolariana di “lontani” non si sa più a chi attribuirla. Portare il Vangelo e far conoscere il Cristo può e dev’essere un’istanza a tutto campo, da includere anche i cosiddetti “credenti”. Occorre fare i conti non tanto con un ateismo teorico quanto con l’indifferenza e la non-significanza per molti, anche anagraficamente cristiani, della fede e del discorso religioso. E aggiungo un’altra responsabilità (ma queste sono mie convinzioni personalissime): quella di proporre il Vangelo e la centralità di Cristo di fronte alle derive cui ci si sta affidando un po’ troppo per ripristinare la fede; parlo degli apparizionismi, dei miracolismi e del ruolo eccessivo dato a Satana. C’è troppa indulgenza, anche da parte della gerarchia, verso questo discutibile dilagare. L’annuncio del Cristo deve inoltre, se non vuol essere una forma di fondamentalismo, tenere nel dovuto conto chi cristiano o cattolico non è; la nostra sta diventando una società multietnica e perciò con varie appartenenze religiose. Il riferimento al Vangelo deve essere ritradotto in tale contesto, sviluppando forme di dialogo e di rispetto reciproco. Ma i mutamenti non giungono solo dall’esterno. È l’Istituto stesso che attraversa fasi per le quali può variare il tipo di inserimento nella società. Come negli Ordini religiosi, anche l’Istituto Santa Maria sta prendendo atto di due fattori molto importanti: carenza di vocazioni e innalzamento notevole dell’età. A molte Sorelle non è più permesso stare in fabbrica o nell’impiego, perché in età di pensionamento. Bisogna dunque pensare ad altre modalità d’inserimento nel mondo, ad es. una maggiore partecipazione ad iniziative o movimenti di volontariato, oppure intensificare e vivacizzare ulteriormente il settore dell’informazione religiosa: l’attuale società si sta progressivamente analfabetizzando nel campo della fede. L’Associazione Informazione su Cristo (grande intuizione anch’essa di P. Giuseppe Maria) sta svolgendo e può ulteriormente svolgere un buon lavoro. Poi, la soluzione delle Cooperative interne all’Istituto non sta comportando forse un eccesso di gravami giuridico-fiscali e non riduce la presenza del singolo in un contesto di lavoro più diretto, più testimoniale? Queste e altre problematiche premono sull’Istituto cammin facendo. In contesti nuovi, davanti a problematiche inedite: come essere fedeli al fondatore e al suo proposito di vita codificato nelle Costituzioni? Ci vuole una fedeltà dinamica che sap- Campagna pubblicitaria di InformaCristo 15 pia coniugare fedeltà alla ispirazione di fondo, ma tradotta e variata secondo i mutamenti della società. Non ci si può appellare a gesti, parole, scelte che P. Giuseppe aveva fatto in altri contesti e sotto l’influsso anche della sua tipica personalità, della sua formazione. Per quanto P. Giuseppe Maria sia stato un sant’uomo, un appassionato di Dio e del mondo, non è il caso di canonizzare tutte le sue scelte o reazioni. Erano legate a lui come persona e al suo tempo. Ad es. l’indubbia novità delle consacrate nel mondo, novità che giustamente sostenne fino alla fine, venne però in certa misura risucchiata entro il modello di vita religiosa che lui aveva introiettato, quello che diciamo delle “suore”. Aggiungo un altro rilievo di fondo, che riguarda l’analisi della società e del mondo del lavoro. Padre Giuseppe ha vissuto la ricerca di Dio – e di Dio solo – in maniera così assoluta e massimalista da non considerare a sufficienza le mediazioni storiche; mi pare di avvertire in lui carenza di analisi della società, delle dinamiche del mondo operaio o impiegatizio; con la conseguente impreparazione ad affrontare tensioni, conflitti, lotte che, per quanto a volte criticabili, hanno fatto evolvere il mondo del lavoro. P. Giuseppe Maria vedeva il mondo del lavoro, con tutte le sue complesse dinamiche, esclusivamente sub specie Dei. Ciò ha avuto, credo, una ricaduta sull’atteggiamento di fondo delle Sorelle verso la società. Ritorno (e concludo) sul tema della fedeltà al fondatore. 16 Fonte di ispirazione per il cammino nei tempi attuali sono sicuramente le Costituzioni dell’Istituto Santa Maria. Con esse c’è la garanzia di poter adeguare ai tempi nuovi l’ispirazione primaria dell’Istituto e del suo fondatore. Ma gesti, parole, scelte di P. Giuseppe, ossia di una figura così possente e trascinatrice, possono ingenerare una fedeltà che rasenta l’imitazione, soprattutto in coloro che con lui hanno condiviso molto. Il problema c’è e non è soltanto delle Sorelle: ne abbiamo ad es. una eco presso l’Ordine francescano rileggendo le Fonti. Mi pare ci possa illuminare un pensiero di Pavel Florenskij: «L’unicità di ciascuna persona e la sua assoluta insostituibilità esigono che la persona stessa sia di esempio a se stessa… Gesù non è una regola morale ambulante e nemmeno un modello da copiare. Egli è il principio della nuova vita che, una volta accettata da Lui, si evolve secondo leggi proprie. L’uomo riceve una vita nuova conservando la libertà e l’unicità che gli sono proprie» (P. Florenskij, La colonna e il fondamento della vita, Ed. San Paolo, pp. 248-49). Alle Sorelle di Santa Maria: in queste incertezze proprie di ogni cammino sia sempre lo Spirito del Signore ad accompagnarvi e a modellarvi come consacrate nel mondo, sulla scia del P. Giuseppe Maria. Grazie dell’ascolto! * Più volte Ministro Provinciale del Piemonte, era giovane studente quando ebbe inizio l’Istituto «Santa Maria degli Angeli». Gli Istituti secolari: attualità di una vocazione Dora Castenetto docente di Teologia spirituale - Facoltà Teologica di Milano Un saluto cordiale a tutti. Devo subito dire che sono qui più in veste di ospite che di relatrice. Infatti, quando ho ricevuto l’invito da Marisa, non sapevo di dover partecipare a un Convegno tanto solenne né conoscevo il Fondatore Padre Giuseppe M. Borgia, dell’Istituto di cui Marisa è responsabile. Sono contenta di essere qui. E sono contenta di aver imparato a conoscere una realtà così viva e apprezzabile. Il mio intervento, per chi appartiene all’Istituto Secolare, non sarà nuovo. Riprenderò cose già dette, ma con l’amore di sempre, che nutro per una vocazione come questa. E mi scuso per quanti già la conoscono. Mi pare di poter dire che è una vocazione ancora molto avvincente: capace di suscitare consenso tra i giovani e di stupire quanti ancora non la conoscono. Gli Istituti Secolari sono «dono» alla e nella Chiesa, fin dall’inizio del secolo scorso. Sono nati in vari Paesi del mondo e, tra i primi, in Italia. Sono sorti per ispirazione dello Spirito santo, come è stato più volte dichiarato dai Papi. Cioè nella Chiesa alcune persone, illuminate dallo Spirito, hanno sentito la necessità di realizzare una consacrazione a Dio restando nel mondo, per offrire non solo una testimonianza cristiana, ma per operare da laici consacrati, nelle realtà temporali. Caratteristica degli Istituti Secolari è quindi una totale consacrazione a Dio con l’osservanza dei consigli evangelici vissuti nella condizione secolare, laicale. Prof.ssa Dora Castenetto 17 Il primo riconoscimento è venuto dalla «Provida Mater Ecclesia», Costituzione Apostolica del 1947, cui è seguito nel 1948 il Motu Proprio «Primo feliciter». Tali documenti contengono sia riflessioni teologiche, sia norme giuridiche, con elementi già chiari e sufficienti per una definizione dei nuovi Istituti. Il Concilio Vaticano II menziona gli Istituti Secolari con le loro caratteristiche essenziali nel decreto «Perfectae Caritatis» (n. 11). Li definisce «una vocazione e una forma di vita originale», caratterizzata dalla consacrazione a Dio, con la professione dei consigli evangelici vissuti nella secolarità. Perciò la peculiare indole di questi Istituti è la secolarità. Di conseguenza «solo la fedeltà a questa fisionomia potrà loro permettere di esercitare quell’apostolato che li quali- fica, cioè nel mondo, nella vita secolare e a partire dal di dentro del mondo, avvalendosi delle professioni, attività, forme, luoghi, circostanze rispondenti alle condizioni secolari» (Primo Feliciter). Dal Concilio Vaticano Il gli Istituti Secolari hanno avuto indicazioni molto chiare per approfondire la loro realtà teologica (consacrazione nella e della secolarità) e per chiarire la loro linea di azione (santificazione dei membri e presenza trasformatrice nel mondo). Vorrei aggiungere a queste note alcune espressioni di una giovane: «Quello che mi piace, quello che credo essere il cuore della consacrazione secolare, è che mi chiede di impastare la mia vita con quella del mondo. E in un modo che dice sempre responsabilità e abbandono, volontà e fede, passione per gli uomini e cuore libero…» L’Oasi di San Grato a Verzuolo 18 Queste espressioni possono essere considerate un compendio della vocazione. Vi è tutto il valore della consacrazione, come dedicazione totale al Signore Gesù, nella scelta della verginità, povertà, obbedienza per il Regno. Lo sguardo e il cuore sono rivolti al Signore, di cui si seguono le orme per le strade del mondo, condividendo la sorte delle donne e degli uomini del proprio tempo, in ascolto dei problemi e dei bisogni emergenti, assumendo responsabilità personali e istituzionali, con la sola visibilità di una coerenza cristiana a qualunque costo, fino ai limiti di un radicalismo evangelico, che conduce a non trattenere nulla per sé, per un dono totale. È un farsi davvero carico delle situazioni umane, a qualunque livello. L’anima e la storia degli Istituti Secolari dice e intende testimoniare questo impegno: confermando l’intuizione originaria, in cui la tensione a vivere la conformità a Gesù Cristo morto e risorto si coniuga con (e determina) la radicalità del servizio ai fratelli, dentro la quotidianità e nel contesto delle strutture professionali, economiche, politiche, sociali, ecclesiali, con responsabilità diverse, senza sottrarsi e senza mettersi al riparo dagli eventi della storia, sempre in obbedienza alla Parola che rinnova, feconda, converte i gesti e gli impegni. E ciò al modo del lievito (Mt 13,33), del sale (Mt 5,13), cioè senza segni esteriori, immersi nella realtà della gente comune. Sta qui, in questa sintesi sempre ricercata e amata, la cifra più significativa di una vocazione accolta come dono dello Spirito anche per il nostro tempo, dentro la complessità di una trasmigrazione culturale, che richiede attenzione profonda e puntuale alle problematiche che si accavallano, nel mondo del lavoro, dell’economia, della politica, della Chiesa stessa. È come un «navigare a mare aperto», con speranza e fiducia, senza cadere nella lamentosità o con lo sguardo rivolto al passato, per assumere piuttosto la parresia degli apostoli, anche portando il linguaggio del mondo alla Chiesa, alla Gerarchia, perché si faccia carico di un magistero sapiente. Così, dentro il tessuto intricato delle vicende, dentro l’inconsistenza e l’arbitrarietà di eventi, che sembrano eludere ogni valore etico, i laici consacrati Un «crocicchio» a Torino - Bar Lagrange 19 negli Istituti Secolari intendono essere anche oggi, come alle origini, testimoni «imbarazzanti» di Gesù di Nazareth, che si china sui poveri e sui piccoli, che sconfigge ogni logica di potere e di sopraffazione, che proclama la giustizia e la pace, dettando leggi di prossimità e di solidarietà. Si capisce, allora, il significato del restare dentro le professioni, dentro le istituzioni sociali e politiche, con il desiderio e l’impegno di spendere totalmente la vita, di donarla senza trattenere nulla per sé, anzi rinunciando a «case o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi....» per il Regno (Mt 19,29). E questo è possibile, perché dentro lo svolgersi di un quotidiano apparentemente banale o all’interno di impegni gravidi di responsabilità, il contatto ininterrotto con la Parola, con il Vangelo di Gesù sostiene la fatica, corrobora la passione per la città dell’uomo, consente di accettare il consumarsi e il morire del «fermento», inderogabile condizione per dare frutto. È questo il significato autentico di una vocazione riconosciuta dalla Chiesa a partire dalla Provida Mater Ecclesia e successivamente resa esplicita e apprezzata nella sua singolare novità dal Magistero di Paolo VI, di Giovanni Paolo II, che ha riconfermato ai membri degli Istituti Secolari una incoraggiante consegna: «Voi siete per vocazione e per missione al punto di incrocio tra l’iniziativa di Dio e l’attesa della creazione: l’iniziativa di Dio, che portate al mondo attraverso l’amore e l’intima unione con Cristo; l’attesa della creazione, che condividete nella condizione quotidiana e secolare dei vostri simili» (28 agosto 2000). Negozio di pettinatrice a Torino 20 Un invito, questo, ad affrontare anche le situazioni più di frontiera dell’esistenza cristiana, senza contrapporsi agli altri doni presenti nella Chiesa, ma piuttosto con l’impegno ad essere «strumenti» del Regno, in semplicità e verità, nella scelta di una presenza capillare nella storia, apparentemente anonima, ma in realtà molto esigente, radicata nell’irrinunciabile assenso ai valori cristiani, testimoniati e proclamati con passione e intelligenza. «Essere al punto d’incrocio tra l’iniziativa di Dio e l’attesa della creazione» comporta la tensione a farsi davvero carico delle situazioni umane, dei problemi ricorrenti, penetrando nella «massa» e fermentandola dal di dentro, spesso senza risultati «misurabili» e tuttavia evangelicamente efficaci, perché affidati alla Sapienza, che viene dall’Alto. Vi è dunque ancora una parola che i membri degli Istituti Secolari possono dire. E possono dirla con la sfida «a diventare operatori di una nuova sintesi tra il massimo possibile di adesione a Dio e il massimo possibile di partecipazione alle gioie e alle speranze, alle angosce e ai dolori del mondo, per volgerli verso il progetto di salvezza che Dio Padre ci ha manifestato in Cristo», come riaffermava Giovanni Paolo II nel celebrare il 50° anniversario della Provida Mater. È questa la «sfida» che le laiche e i laici consacrati intendono vivere, dentro gli accadimenti della storia, delle vicende negative e positive, che si pongono come interrogativi alla fede: qui ed ora, in questo mondo e per questo mondo, in questo tempo e per questo tempo, superando la tentazione di sfuggirne gli aspetti faticosi o crocifiggenti. Questo con l’umiltà del «servo inutile» (Lc 17,19), che tuttavia non rinuncia a servire, nella consapevolezza che «Deus autem incrementum dat» (1 Cor 3,6-9). I membri degli Istituti Secolari ritrovano così, anche oggi, le ragioni fondative della secolarità consacrata: che, paradossalmente, separa ed accomuna, «mette a parte» per il Vangelo e rende totalmente solidali con l’umanità del proprio tempo. Senza paura, pur nella fragilità umana: perché nel Signore Gesù c’è un Alleato formidabile. È come se gli prestassimo la voce, la parola: pronti a farci in disparte, quando Lui interviene direttamente. La fiduciosa certezza di saperci oggetto dell’iniziativa di una Misericordia, di un’Alleanza, apre ad orizzonti nuovi, senza tentare scorciatoie fallaci, per intraprendere vie rigorose di ricerca; senza supponenza e senza ostentazione di un perbenismo spirituale. Mescolati tra la folla, «nel mondo ma non del mondo», cerchiamo di operare mediazioni e sintesi, consapevoli di quanto ci diceva Paolo VI: «Voi camminate sul fianco di un piano inclinato, che tenta il passo alla facilità della discesa e lo stimola alla fatica dell’ascesa» (Discorso di Paolo VI al primo Convegno degli Istituti Secolari, settembre 1970). 21 Sono tante le parole incoraggianti dei Papi, tutte di sorprendente attualità. È impossibile citarle tutte. Ne richiamiamo solo alcune. Il testo che, a mio avviso, esplicita in modo particolare la ricchezza e la peculiarità di questa vocazione è quello di Paolo VI: «Voi siete ad una misteriosa confluenza tra le due poderose correnti della vita cristiana, accogliendo ricchezze dall‘una e dall‘altra. Siete laici consacrati come tali dai sacramenti del battesimo e della cresima, ma avete scelto di accentuare la vostra consacrazione a Dio con la professione dei consigli evangelici, assunti come obblighi con un vincolo stabile e riconosciuto. Restate laici, impegnati nei valori secolari propri e peculiari del laicato (LG 3 1), ma la vostra è una «secolarità consacrata»… Pur essendo “secolare”, la vostra posizione in certo modo differisce da quella dei semplici laici, in quanto siete impegnati negli stessi valori del mondo, ma come consacrati: cioè non tanto per affermare l’intrinseca validità delle cose umane in se stesse, ma per orientarle esplicitamente secondo le beatitudini evangeliche; d’altra parte non siete religiosi, ma in certo modo la vostra scelta conviene con quella dei religiosi, perché la consacrazione che avete fatto vi pone nel mondo come testimoni della supremazia dei valori spirituali ed escatologici, cioè del carattere assoluto della vostra carità cristiana, la quale quanto più è grande tanto più fa apparire relativi i valori del mondo, mentre al tempo stesso ne 22 aiuta la retta attuazione da parte vostra e degli altri fratelli. Nessuno dei due aspetti della vostra fisionomia spirituale può essere sopravvalutato a scapito dell’altro. Ambedue sono coessenziali. “Secolarità” indica la vostra inserzione nel mondo. Essa però non significa soltanto una posizione, una funzione, che coincide col vivere nel mondo esercitando un mestiere, una professione “secolare”. Deve significare innanzitutto presa di coscienza di essere nel mondo come “luogo a voi proprio di responsabilità cristiana”. Essere nel mondo, cioè essere impegnati nei valori secolari, è il vostro modo di essere Chiesa e di renderla presente, di salvarvi e di annunziare la salvezza. La vostra condizione esistenziale e sociologica diventa vostra realtà teologica, è la vostra via per realizzare e testimoniare la salvezza. Voi siete così un’ala avanzata della Chiesa “nel mondo”; esprimete la volontà della Chiesa di essere nel mondo per plasmarlo e santificarlo “quasi dall’interno a modo di fermento” (Lumen gentium, 31), compito, anch’esso, affidato precipuamente al laicato. Siete una manifestazione particolarmente concreta ed efficace di quello che la Chiesa vuol fare per costruire il mondo descritto ed auspicato dalla Gaudium et spes» (Paolo VI, Discorso ai responsabili generali degli Istituti Secolari, 20 settembre 1972). Gli ha fatto eco suasiva la parola di Benedetto XVI, nel discorso rivolto agli Istituti Secolari nel 60° anniversario della Provida Mater: «Siete qui, oggi, per continuare a tracciare quel percorso iniziato sessant’anni fa, che vi vede sempre più appassionati portatori, in Cristo Gesù, del senso del mondo e della storia. [....] Viene così delineato con chiarezza il cammino della vostra santificazione: l’adesione oblativa al disegno salvifìco manifestato nella Parola rivelata, la solidarietà con la storia, la ricerca della volontà del Signore iscritta nelle vicende umane governate dalla sua provvidenza [....] Fa inoltre parte della missione secolare l’impegno per la costruzione di una società che riconosca nei vari ambiti la dignità della persona e i valori irrinunciabili per la sua piena realizzazione: dalla politica all’economia, dall’educazione all’impegno per la salute pubblica, dalla gestione dei servizi alla ricerca scientifica. Ogni realtà propria e specifica vissuta dal cristiano, il proprio lavoro e i propri concreti interessi, pur conservando la loro relativa consistenza, trovano il loro fine ultimo nell’essere abbracciati dallo stesso scopo per cui il Figlio di Dio è entrato nel mondo: sentitevi, pertanto, chiamati in causa da ogni dolore, da ogni ingiustizia. Così come da ogni ricerca di verità, di bellezza e di bontà, non perché abbiate la soluzione di tutti i problemi, ma perché ogni circostanza in cui l’uomo vive e muore costituisce per voi l’occasione di testimoniare l’opera salvifica di Dio. È questa la vostra missione». Questo richiamo del Papa si può cogliere come un invito a «prendersi cura», «avere a cuore», che è molto di più della competenza. «Prendersi cura» significa l’espansione più alta, più radicale, quindi più evangelica, dell’etica della responsabilità. Allora, qualunque attività si eserciti, si può prendersi cura del mondo attraverso l’esercizio responsabile di ogni professione, vivendo il dialogo, che sconfessa ogni forma di individualismo e di privatismo. Questa vocazione si colloca in questa consapevolezza: la totale dedicazione a Dio non sottrae dalla storia, non esime da una presenza operosa e dinamica dentro di essa, dentro le maglie intri- 23 cate e complesse di una società, come quella attuale, in cui domina la cultura dell’immagine, del consumismo, dell’aggressività, dell’individualismo, ma dove pure è forte il bisogno della verità, della giustizia, della solidarietà, della speranza. Proprio qui, in questa operosa presenza, i membri degli Istituti Secolari intendono non sottrarsi al «rischio cristiano» di chi, leggendo i «segni dei tempi» e il divenire dei fenomeni, accetta il divenire della storia, facendo proprio il mistero dell’Incarnazione, del Figlio di Dio che non ha disdegnato di farsi uomo. Si tratta di un’esperienza che testimonia come l’essere avvinti dal Signore Gesù fa amare il mondo, ritrovando in esso la presenza di Dio. Il rimando è sempre a un testo di Paolo VI, il quale, dopo aver detto che «secolarità indica la vostra inserzione nel mondo», soprattutto una «presa di coscienza di essere nel mondo come luogo a voi proprio di responsabilità cristiana», aggiunge: «La vostra condizione esistenziale e sociologica diventa vostra realtà teologica, è la vostra via per realizzare e testimoniare la salvezza» (20 settembre 1972). La profondità di questa affermazione è stata ripresa e ribadita da Benedetto XVI: «A rendere il vostro inserimento nelle vicende umane luogo teologico è, infatti, il mistero dell’Incarnazione». È un modo esplicito e puntuale per riaffermare il compito dei laici nel mondo, fortemente sottolineato dal Vaticano II. 24 Lo aveva affermato a chiare lettere anche Giovanni Paolo II, il 2 febbraio 1997: «La forma di vita degli Istituti Secolari oggi, più che mai, si mostra come una provvidenziale ed efficace modalità di testimonianza evangelica nelle circostanze determinate dall’odierna condizione culturale e sociale nella quale la Chiesa è chiamata a vivere e ad esercitare la propria missione». «Portatori umili e fieri della forza trasformante del Regno di Dio e testimoni coraggiosi e coerenti del compito e della missione di evangelizzazione delle culture dei popoli, i membri degli Istituti Secolari sono, nella storia, segno di una Chiesa amica degli uomini, capace di offrire consolazione per ogni genere di afflizione, pronta a sostenere ogni vero progresso dell’umana convivenza, ma insieme intransigente contro ogni scelta di morte, di violenza, di menzogna, di ingiustizia... Segno e richiamo per i cristiani del compito di prendersi cura, in nome di Dio, di una creazione che rimane oggetto dell’amore e del compiacimento del suo Creatore, anche se segnata dalla contraddizione della ribellione e del peccato, e bisognosa di essere liberata dalla corruzione e dalla morte...». «La Chiesa oggi attende uomini e donne che siano capaci di una rinnovata testimonianza del Vangelo e delle sue esigenze radicali, stando dentro alla condizione esistenziale della maggior parte delle creature. I membri degli Istituti Secolari sono per vocazione e per missione al punto di incrocio tra l’iniziativa di Dio e l’attesa della creazione […] (Con l’impegno) di operare la sintesi di fede e vita, di Vangelo e di storia umana, di integrare dedizione alla gloria di Dio e incondizionata disponibilità a servire la pienezza della vita dei fratelli e delle sorelle in questo mondo. Con l’impegno di assumersi con coraggio il rischio e la responsabilità del discernimento epocale... in tempi di grandi rivolgimenti culturali e sociali». È indubitabile la puntualità di questi interventi, che mettono in luce l’impegno operativo dei laici consacrati. Di qui dunque la passione per il mondo, per la storia, accettando le sfide di un tempo che ci interroga e che interroghiamo; cercando, con intelligenza e sapienza, le risposte cristiane, con la profonda consapevolezza che proprio questa realtà, questi tempi, sono come un libro da decifrare, da leggere, da interpretare; senza restare neutrali; accettando forse l’impopolarità e l’emarginazione, diventando «soggetti» attivi nella ricerca di risposte o di soluzioni, che richiedono una forte responsabilità e corresponsabilità. È l’essere compagni di viaggio, nella brevità o lunghezza del percorso, condividendo l’incertezza della strada, con l’impegno del ricercatore umile, che «si converte» al mondo (cioè si volge Libreria a Bra 25 al mondo così com’è, come lo ama il Signore), senza distogliere lo sguardo da Dio. Vorrei concludere mettendo in luce la necessità di una «duplice conversione»: 1. «Convertirsi a Dio»: alla sua Parola, assimilata, «cullata», come cosa preziosa di cui non si può fare a meno; vivendo l’Eucaristia, per imparare ad essere «pane spezzato e donato»…; non abbandonando mai la dimensione contemplativa, che è il tenere lo sguardo del cuore rivolto a Dio, al Figlio Gesù Cristo, per essere come Lui «miti e umili di cuore», capaci di perdono, amanti di ogni persona, misericordiosi verso tutti. Al valico del Monte Bianco 26 2. «Convertirsi al mondo», nel senso detto: perché il Regno venga, si realizzi, oggi. Penso che le Fondatrici e i Fondatori degli Istituti Secolari abbiano consegnato un carisma che, in quanto tale, contiene in sé un dinamismo, da coltivare e vivere. Infatti, la vitalità di un carisma è come un germe che si rinnova nel tempo, in un processo continuo che ha il sapore della vita. Ed evolve positivamente nella storia. Solo così, mi pare, possiamo essere compagni di viaggio delle sorelle e dei fratelli del nostro tempo, leggendo gli stessi cartelli indicatori, ma sapendo che la Via è certa, perché Gesù ha detto: «Io sono la Via, la Verità, la Vita» (Gv 14,6). Essere figlie e figli del nostro tempo, vivere lo spazio della storia e della geografia che ci è dato, è imparare a «sapere» che la nostra identità, ancora oggi, è questa. E ci è data per «nutrire» un pensiero cristiano forte nel contesto delle molte ideologie. Ogni fondatore o fondatrice ci direbbe che il Gesù del vangelo sceglie, anche oggi, di farsi prossimo di tutti i tipi di umanità, senza emarginare alcuno. È il compito o la missione, o la vocazione che è data a tutti i cristiani e, particolarmente, a chi intende vivere la vocazione agli Istituti Secolari. Una vocazione attuale, proprio per questo. Presentazione del DVD «Un cappuccino di frontiera» Paolo Damosso regista «Nova-T» Vi ringrazio per essere qui, mi sento a casa, in famiglia perché prima di tutto ho visto tanti Frati Cappuccini che sono gli animatori, i proprietari di questa realtà che si chiama «Nova-T» la quale vive da 28 anni questa esperienza, questa avventura nel mondo della comunicazione. E dall’altro lato, le Sorelle che fanno parte di questa famiglia e che hanno sempre mostrato una grande vicinanza ai Frati Cappuccini, quindi, di conseguenza, anche a questa creatura dei Frati che è «Nova-T»: centro di produzione, voce televisiva dei Frati Cappuccini. Ci tenevo a dire che mi sento a casa e che quindi mi fa molto piacere presentare questo breve filmato che è un ricordo di quello che è visivo di P. Giuseppe Maria. Penso che adesso ci sarà l’esigenza, dopo aver sentito tutte queste parole, di vederlo. Le Sorelle di «Santa Maria» hanno sempre mostrato, da quando le conosco, una grande sensibilità al mondo della comunicazione. Questa ansia di comunicare nel mondo di oggi, anche attraverso i mezzi di comunicazione, è una cosa che ho sempre letto nei vostri cuori. Questo mi ha molto colpito, perché è la mia stessa ansia che quo- tidianamente ho ogni volta che, ogni giorno, entro in «Nova-T» e col nostro gruppo di lavoro ci interroghiamo su come comunicare i valori condivisi. Questo lavoro in qualche modo è stato anche un po’ autogestito dalle Sorelle: «Nova-T» è anche stata la vostra casa; ve l’abbiamo aperta quando avete presentato la scrittura di questo progetto, come era pensato, come ve lo eravate immaginato. E qui ho scoperto che tra le Sorelle ci sono delle registe, delle colleghe vere e proprie che si sono sedute al tavolo di montaggio. Si sono impegnate tanto per questo lavoro. Noi abbiamo fatto una sorta di supervisione, ci siamo confrontati su come affrontare le tematiche che potevano abbracciare questo percorso visivo che è fatto da due cose fondamentali: un viaggio di testimonianze che io personalmente avevo raccolto non molto tempo fa, su volontà delle Sorelle di «Santa Maria», le quali mi avevano chiesto di raccogliere tutta una serie di testimonianze di chi aveva ancora conosciuto P. Giuseppe Maria. E quindi mi ero messo in viaggio. Le devo anche ringraziare perché queste testimonianze sono diventate particolarmente preziose, anche per diversi 27 motivi. Ne cito uno che ho molto a cuore: vedrete che anche qui sarà presente P. Cesare Vittonatto che è una figura storica per i Cappuccini e, grazie alle Sorelle di «Santa Maria» ho potuto fare una lunga chiacchierata con lui il quale ha detto delle cose molto interessanti del vostro Istituto. E poi c’è il vostro repertorio, molto grande: repertorio audio, repertorio video; perché questa tensione alla comunicazione fa parte della vostra storia. Abbiamo messo insieme questi due elementi in questo lavoro: l’unione tra queste testimonianze e il grandissimo repertorio di immagini, molto prezioso. Non solo immagini del Padre ma di tutto lo sviluppo delle vostre iniziative in questi decenni fanno parte di questo lavoro. La tensione della comunicazione. Qui ci tengo ancora a fare una riflessione: A San Marino 28 abbiamo in comune questa cosa e devo dire che efficacemente voi vi siete così lanciate in questo mondo della comunicazione e della pubblicità. Parlo in particolar modo della «Associazione InformaCristo». Quando io parlo della vostra esperienza a persone che non vi conoscono come nome ufficiale, io dico sempre: hai presente quei cartelli con la scritta grande: «Dio» cancellata? Ah, sì ho presente! Ecco, sono loro. Non mi è mai capitato che ci fosse una persona che mi dicesse: non l’ho presente. Sto parlando chiaramente dell’ambito del nostro Piemonte, ma non solo. Direi che ad alcuni era arrivata anche oltre questi confini. Sicuramente nelle nostre comunità non c’è nessuno vicino o lontano al nostro mondo che non abbia presente questa che secondo me è un griffe, è una vostra firma che è frutto di una intuizione. Una intuizione profetica di P. Giuseppe Maria che aveva intuito, potremmo dire, usando un termine un po’ consunto, in tempi non sospetti, che la pubblicità sarebbe stata un elemento dominante di questa società. L’ha intuito quando la pubblicità era ancora garbata, quando la pubblicità era ancora in punta di piedi, quando la pubblicità era ancora «Carosello», insomma, quando aveva una sua umanità. Ma aveva intuito che buttar- si in quel mondo era una cosa su cui riflettere perché effettivamente aveva previsto, in qualche misura, che la pubblicità sarebbe stata poi la vera e propria fonte di dominio della comunicazione. Da un lato una grande intuizione: la pubblicità sarà il centro, il cuore, il motore della comunicazione. E questa è una grandissima cosa. Però questa comunicazione è in continuo evolversi e bisogna aggiornarsi costantemente, bisogna camminare con strumenti nuovi. E qui mi riaggancio anche ad alcune provocazioni di P. Stefano nella sua relazione perché voglio ancora ricordarvi una piccola cosa che effettivamente è simbolica di un mondo che cambia. La frase famosissima di P. Giuseppe Maria che spesso è citata in merito è: «Lanciare Dio come si lancia una saponetta». In questa frase c’è l’intuizione che bisogna in qualche modo entrare nel mondo della pubblicità. Questo è vero, però è vero anche che se negli anni in cui lui ha avuto questa intuizione uno dei prodotti merceologici più importanti che veniva reclamizzato era proprio l’oggetto saponetta, oggi, nel 2010, sostanzialmente questo oggetto non è più reclamizzato. Se ci fate caso, l’oggetto merceologico saponetta non c’è più. E non è solo una considerazione banale, ma è secondo me un indicatore. La saponetta si è trasformata in saponi liquidi, saponi in mille versioni. Se ai nostri figli chiediamo della saponetta, è quasi un oggetto misterioso, almeno per alcuni. Questo vuol dire che non soltanto l’oggetto merceologico si trasforma, ma anche i mezzi con cui si racconta. La pubblicità oggi, non soltanto perché non c’è più la saponetta, non è più quella di «Carosello» ed è vissuta nelle forme più diverse; non è sicuramente quella garbata che diceva: scusate, vorrei dirvi una cosa… Adesso questo garbo è sparito. C’è la violenza della comunicazione e in mille modi: internet, telefonini con sms di pubblicità. Tutto questo non c’era all’epoca del Padre. Secondo me la cosa fondamentale che vedo negli occhi, nel cuore delle Sorelle è questa curiosità di capire questi nuovi strumenti, di cavalcarli e di interpretarli in qualche modo. Penso che questo sia fondamentale. In questi giorni è uscita la nuova campagna di «InformaCristo» e molte di voi l’avranno vista nelle vie della città. Il mio invito è questo: proseguire sicuramente con alcune cose consolidate che sono segno di una continuità con la volontà del P. Giuseppe Maria, però cercare di interrogarsi, come io mi interrogo nel mondo della comunicazione visiva e televisiva, a come aggiornarsi, a come manipolare, come maneggiare, come – uso un termine che non è negativo – contaminarsi nel modo più fattivo e anche più utile per proporre i valori condivisi. E con questo chiudo, vi auguro buona visione; penso che a questo punto vogliamo davvero vedere le immagini che riguardano il Padre, grazie! 29 Padre Giuseppe Maria: un fondatore per i tempi nuovi Renza Guglielmetti I.S. «Santa Maria degli Angeli» I. Padre Giuseppe Maria, fondatore dalle idee di frontiera P. Giuseppe Maria si può definire “di frontiera” per due aspetti che sono entrambi fortemente legati con il suo carisma di fondatore dell’Istituto secolare «Santa Maria degli Angeli»: 1. la sua idea di consacrazione femminile; 2. l’uso della tecnica pubblicitaria per la missione tra i lontani dalla fede. 1 - La sua idea di consacrazione femminile Santa Maria è un Istituto che, come ogni altro, è sorto in un determinato contesto storico-culturale e il cui carisma di fondazione è pienamente comprensibile a partire dalla situazione dell’immediato dopoguerra. Siamo nel 1945 quando la questione della consacrazione laicale era ancora in fase di stallo (si sarebbe sbloccata due anni dopo con la Provida Mater Ecclesia). La domanda è: per il Padre Giuseppe Maria che genere di consacrazione femminile era quella adatta al momen30 to storico che egli stava vivendo? Che idea si andava facendo in quegli anni a partire dall’esperienza maturata attraverso i suoi numerosi contatti con varie congregazioni di suore sia di clausura che di vita attiva mediante la predicazioni di ritiri, esercizi spirituali, accompagnamento spirituale, ecc.? Conosceva bene quel mondo e lo stimava. Molte vocazioni alla vita religiosa sono fiorite con il suo aiuto e la sua guida. Tuttavia sentiva che le forme tradizionali non erano più sufficienti ai tempi nuovi. Stava emergendo il fenomeno dell’affievolimento della fede, soprattutto nei grandi centri urbani e il Padre sentì l’ispirazione di formare delle persone che potessero raggiungere ogni ambiente e lì diventare presenza di testimonianza e, secondo opportunità, di evangelizzazione. Queste persone dovevano essere sì consacrate ma mantenere uno stile di vita tipicamente laicale, senza distinzione di abito, esercitando comuni attività lavorative e impegnandosi nell’apostolato, con una attenzione particolare al fenomeno dell’ateismo, della non credenza, dei cosiddetti “lontani”. Il P. Giuseppe era certo a conoscenza dell’esperienza di Padre Gemelli e degli altri movimenti simili. Tuttavia, questo progetto con queste caratteristiche, in quel preciso momento storico e in quell’ambiente poteva essere considerato un qualcosa di inedito, un’idea di frontiera, considerato in particolare il tipo di missione a cui le consacrate avrebbero dovuto dedicarsi. Per la realizzazione poté contare sulla collaborazione di Santina Lancia, insegnante di stenografia, che divenne la prima responsabile del nascente Istituto. Con lei un primo gruppo di sorelle iniziò così un’autentica avventura di fede a Sant’Orso di Piasco il 2 agosto 1945, in vita fraterna; nel 1950 si unirono altre sorelle desiderose di vivere il medesimo ideale di consacrazione a Dio e di apostolato ma scegliendo di restare in famiglia o di vivere per conto proprio. Un fatto questo che già rispecchiava le diverse modalità di vita approvate poi dal Codice di Diritto Canonico del 1984, rispettando il cammino di pluriformità vissuto nel frattempo dai diversi Istituti secolari. 2 - Il DNA di «Santa Maria» P. Giuseppe, in quanto fondatore, ha impresso all’istituto alcune caratteristiche di fondo che ne esprimono il carisma: la secolarità, il primato della vita spirituale, la spiritualità francescana, la missione tra coloro che si sono allontanati dalla fede. 2.1 - La secolarità Come già accennato, nel primo dopoguerra comincia a diventar palese quella disaffezione per la fede cristiana che dal dopoguerra diventerà un fenomeno in progressiva espansione, soprattutto tra le giovani generazioni. Come incontrare questa gioventù e parlare loro di Cristo? Ecco il tormento del Padre. Ogni volta che va a celebrare la Messa a Sant’Antonio di Piasco, affidata in Santina Lancia 31 quegli anni alla cura dei Cappuccini, deve passare accanto a una fabbrica di tessuti, la Wild, dove vi lavorano parecchie ragazze della zona. Ogni volta che il Padre vi passa davanti, ferma la bicicletta, mormora una preghiera e pensa: «Dobbiamo entrare nella fabbrica!» Teniamo conto che lui stesso aveva fatto una breve esperienza di lavoro in fabbrica prima di entrare in convento. Ma chi avrebbe la possibilità di condividere la stessa esperienza di lavoro, di durezza, di sacrificio per guadagnarsi da vivere e nello stesso tempo avere l’opportunità di spendere una parola di aiuto, di incoraggiamento, di raccogliere una confidenza, un’amarezza? Non lo potrebbe un Cappuccino e neppure una suora. Solo una ragazza «come loro». Una motivazione che sarebbe comparsa due anni dopo nel testo della «Provida Mater» quando al n. 10 si parla dell’utilità degli Istituti secolari per l’esercizio di un apostolato multiforme e per svolgere altri ministeri in luoghi, tempi e circostanze in cui i Sacerdoti e i Religiosi o non potrebbero esercitarli affatto o molto difficilmente. La fabbrica è stato infatti l’ambiente di lavoro in cui si sono inserite le sorelle per almeno i primi vent’anni. 2.2 - Il primato della vita spirituale: contemplative nel «groviglio della vita moderna» Scriveva il Padre nel 1963, presentando le prime Costituzioni: «Ecco il perché fondamentale di «Santa Maria»: “Questa è la vita che conoscano Te solo”. L’Istituto risponde così alla necessità sentita dalla Chiesa di portare dei contemplativi sui passaggi obbligati delle masse. Dobbiamo credere alla chiamata alla contemplazione pur nel groviglio di una vita moderna». E prosegue: la sorella di «Santa Maria» dovrà essere «contemplativa come la trappista, la benedettina, la carmelitana, la cappuccina... ma parlare di Cristo dove non se ne parla mai... nella scuola, nell’ufficio, nel commercio, nella lotta sindacale e politica...» Sembra un contrasto parlare di vocazione contemplativa e di groviglio della vita moderna. Eppure il Padre è convinto che per la sorella di Santa Maria la contemplazione può, anzi deve essere vissuta nell’ordinarietà della vita, in In Germania con le operaie della ditta Ferrero 32 una piena immersione nelle realtà di questo mondo. Anzi, precisa meglio il suo pensiero quando afferma che condizione necessaria per la contemplazione è l’impegno quotidiano nel proprio ambiente con le sue lotte, le sue durezze, le sue tentazioni. Lui stesso ne dà l’esempio. Per un verso egli è il Cappuccino dalla preghiera lunga, fedele, profonda, costante. Colui che nell’esempio e nella predicazione sa trasfondere il gusto, l’amore, il desiderio forte per la vita interiore, per «l’a tu a tu con Dio», per i tempi di silenzio dove il Signore si fa presente ed avvolgente. Per altro verso il Padre affronta ritmi sostenuti di lavoro, dovuti sia ai suoi impegni nell’Istituto, sia alla sua attività di scrittore (fascicoletti e dépliants) per l’informazione sulla fede; tutta questa operosità sarà anche la causa della malattia che lo consumerà fino alla morte. Il cammino verso la santificazione, vocazione di ogni cristiano, passa attraverso il dono incondizionato di sé. 2.3 - La spiritualità francescana Don Maurino, parroco di Piasco ai tempi della fondazione, durante una visita all’Istituto aveva paragonato il Padre, in quanto fondatore, al «discepolo del regno» il quale «è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche (Mt 13,52). Tra le cose “vecchie” da vivere in modo nuovo c’è senz’altro quell’anima francescana in cui «Santa Maria» ha mosso i primi passi ed è stata fatta crescere configurandosi come un virgulto della grande famiglia del Santo di Assisi. Padre Giuseppe Maria, francescano Cappuccino, era imbevuto, come diceva lui, di “cappuccineria” ed è logico comprendere come di questo sapore abbia impregnato anche l’Istituto ed abbia voluto affidarlo alla cura spirituale dei Cappuccini. 2.4 - La sua idea originale di evangelizzazione: far pubblicità a Dio Sempre nel 1963 il Padre scriveva: «Anche l’Italia, la Francia, la Germania, gli Stati Uniti, sono terra di missione». Qui emerge il secondo aspetto del Padre per cui può essere definito “di frontiera”, frutto di una vera passione apostolica e dove ha speso fino in fon33 do tutto se stesso: l’informazione sulla fede. La condizione di chi non crede era il suo assillo quotidiano: «Mi butterò sempre più nell’informazione perché è il mio ministero, senza badare a niente, né alla salute né ad altro. Informare, informare, informare per la più grande carità: il pane della fede». Per lui la prima, più importante forma di carità era quella verso i poveri di fede. Insisteva: «Bisogna dire a tutti che Dio c’è». La gente non viene in chiesa? Ebbene, si parlerà di Dio dove tutti passano e proprio là dove nessuno si sognerebbe di parlarne. Il Padre ha intuito che per raggiungere l’uomo d’oggi, sempre di fretta e sovraccarico di mille preoccupazioni e problemi, bombardato dalla pubblicità e dai media, occorrevano messaggi rapidi che risvegliassero la domanda su Dio, su Cristo, sul senso della vita, sul destino umano. E questi messaggi non dovevano essere lanciati in chiesa dove molta gente risultava ormai introvabile Il gruppo esperti di InformaCristo 34 ma per le strade, nei negozi, dove la gente quotidianamente vive, lavora, si diverte. In collaborazione con un gruppo di sorelle dell’Istituto che si occupavano dell’aspetto grafico ed editoriale sono nati così prima i giornali murali, ispirati da fatti di cronaca e fatti interamente a mano, poi i cartelloni e, successivamente, i manifesti. Questa pubblicità doveva essere «rapida, mordente, intelligente», capace di fermare il passante frettoloso e indurlo a pensare. I messaggi dei manifesti venivano da lui ripresi in dépliant dove l’argomento era sviluppato in quattro paginette con alcune informazioni e piste di riflessione, scritte con il suo caratteristico stile portato alla sintesi, alla battuta, alla risposta rapida. Si dedicò poi a comporre opuscoli sui fondamenti del cristianesimo dove in poche decine di pagine aveva concentrato i grandi temi dell’esistenza di Dio, della storicità e divinità di Cristo, del male e della sofferenza, del perché della Chiesa. Voleva che tutti i tipi di stampati fossero distribuiti in modo assolutamente gratuito «perché – diceva – il pane della fede non si fa pagare». L’obiettivo del Padre non era certo quello di operare conversioni attraverso un manifesto o un ragionamento quanto piuttosto nel cercare di risvegliare il bisogno di Dio, di provocare la riflessione sul senso della vita e sul suo futuro, informare sui contenuti essenziali della fede. Si trattava né più né meno di creare occasioni di riflessione, nell’assoluto rispetto per l’agire di Dio e della libertà delle persone. È qui importante sottolineare che, pur desiderando che «tutti i mezzi siano usati, sperimentati, inventati per una sempre più ardente e precisa tecnica pubblicitaria su Gesù», tuttavia egli è sempre rimasto profondamente convinto che in questa missione «il 5% è tecnica ma il 95% è grazia» e che «i lontani si aiutano con la parola dell’informazione ma si salvano con le ginocchia». E poiché i lontani si incontrano in quelli che il Padre chiamava i passaggi obbligati come la strada, il negozio, il bar, il ristorante, l’ambiente turistico, qui si rivela un’altra delle sue idee geniali: i crocicchi. Un «crocicchio» è un luogo dove si incrociano le persone, dove si è obbligati a passare e dove il passaggio della gente è consistente e veloce. I crocicchi sono nati intorno agli anni ’70: attività commerciali (bar, ristoranti, copisterie, librerie, acconciature, pensionati per studentesse) che in parte conti«L’angolo di nuano ancora oggi, gestite da gruppi di sorelle di «Santa Maria». Lo scopo era da una parte garantire la fisionomia secolare delle consacrate e la loro testimonianza di fede dentro le strutture della odierna società, senza sconti per quel che riguarda problemi e precarietà di ogni genere. Dall’altra, aprire concrete possibilità di apostolato tra la gente in modo esplicito se pur discreto mediante l’allestimento dell’angolo di Cristo, posto nel punto migliore, più visibile del locale, dove da una bacheca si affacciano il manifesto, i dépliant e gli opuscoli. Stanno lì a interpellare i clienti nel tentativo di provocare, di risvegliare coscienze sopite. Anche un gesto, una parola di rifiuto per il Padre era un segnale positivo: significava che il messaggio in qualche modo aveva toccato la persona. Cristo» in un crocicchio di Torino 35 L’Associazione Informazioni su Cristo Per gestire l’attività di informazione sulla fede, il Padre ritenne opportuna la creazione di un organismo a sé stante, distinto dall’Istituto secolare ma che, in sostanza costituisce la modalità operativa della missione specifica dell’Istituto. Nacque nel 1974 l’Associazione Informazioni su Cristo di cui il Padre fu il presidente e l’instancabile animatore finché la salute glielo permise. Oltre ai crocicchi, il Padre pensò alle vetrinette pubblicitarie delle strade per diffondere questi messaggi. Ancora lui vivente cominciarono ad affiancarsi dei collaboratori che, convinti di questa missione, davano una mano a creare e diffondere i messaggi. Una realtà, quella dei Collaboratori dell’Associazione che continua: alcuni aiutano con la propria competenza professionale, altri con l’entusiasmo di trovare nuovi “punti-luce” ove collocare manifesti e dépliant. Iniziava pure, lui vivente, l’attività dei Centri di ascolto, prima a Torino poi a Genova e Cuneo, con la possibilità del dialogo personale. II - Il percorso dell’Istituto 1. Un cammino di attualizzazione: le nuove Costituzioni del 2005 Tutti questi “ingredienti” fanno di «Santa Maria» un Istituto che ha una sua propria fisionomia perché così è stata pensata e voluta dal fondatore e così è stata approvata dalla Chiesa. Lo 36 stile di vita, la spiritualità e la missione di un Istituto non sono mai riducibili a quelli di un altro, tentare di farlo significherebbe la dissoluzione del carisma. Tuttavia, un carisma cammina nella storia e con la storia. Il Padre stesso ha sviluppato l’idea primigenia, intuita nel ’45, realizzata in una certa forma con il primo gruppo di sorelle e poi fatta evolvere a seconda delle esigenze dei tempi e del presentarsi di determinati eventi. Se alcuni elementi caratterizzanti una forma di consacrazione diversa dalla tradizione furono presenti da subito, es. l’assenza di un abito particolare, lavoro e apostolato tipico es. di una ragazza di Azione Cattolica, altri, come l’amministrazione dei beni, vennero a realizzarsi via via che l’Istituto vedeva come appropriata alla propria fisionomia la collocazione tra gli Istituti secolari. La nascita del gruppo di sorelle viventi in famiglia è stato uno dei primi evidenti segnali. È da sottolineare qui la preoccupazione costante del Padre affinché la consacrazione secolare non diventasse una consacrazione “debole”, una donazione non totalitaria, a motivo di una libertà mal intesa che si trasforma in individualismo, assenza di confronto o di qualsiasi legame. Per questo motivo voleva che il dono di sé fosse autenticato attraverso un concetto di obbedienza dove la mediazione delle Responsabili dell’Istituto veniva considerata un elemento determinante. L’Istituto ha rinnovato le Costituzioni già due volte dopo il primo testo scritto dallo stesso fondatore e approvato nel 1963, quando «Santa Maria» fu eretta a Istituto secolare di diritto diocesano. E ogni volta ciò è stato fatto per far vivere il carisma in un mondo in continuo cambiamento. Le Costituzioni attuali, approvate nel 2005, vogliono venire incontro alla mutata sensibilità del tempo presente e ai suoi nuovi linguaggi, in particolare per quanto concerne il modo di proporre il Vangelo all’uomo d’oggi che oscilla tra indifferenza religiosa e nuovi ateismi; attente a suggerire comportamenti che oggi possano essere letti come autentica testimonianza evangelica. Anche gli strumenti per l’annuncio del Vangelo hanno vissuto e vivono tuttora un’evoluzione. Oggi, in un tempo di multimedialità, l’Associazione InformaCristo ai messaggi cartacei affianca altri strumenti: cicli di conferenze a partire da temi attuali, mostre itineranti sulle origini cristiane, spot, brevi video da lanciare tramite TV, internet e le vetrine, spot pubblicitari che usano nuove tecnologie. Sia l’Istituto che l’Associazione sono ormai in rete con un proprio sito e ci si è affacciati anche in Facebook. Oggi il mondo della comunicazione, con il crescere e l’evolversi dei media, apre molteplici possibilità a questa missione. 2. Il Gruppo Amici di Santa Maria Una realtà nuova, di tutto rilievo, emersa in anni recenti riguarda la nascita dell’Associazione Amici di Santa Maria degli Angeli. Essa ha visto l’inizio nel 2006 e si sta ben sviluppando. Come già accade in molti altri Istituti, anche qui si tratta di persone sposate o no che vogliono condividere con noi spiritualità e missione. Alcuni di loro Il Gruppo Amici di Santa Maria 37 collaborano alle nostre iniziative di apostolato con entusiasmo e convinzione. Qui c’è davvero qualcosa che sta crescendo con buone prospettive. 3. Interrogativi per una fedeltà al carisma nei mutevoli scenari di questo tempo Oggi il mondo è molto cambiato anche solo rispetto a vent’anni fa. Per es. i giovani di oggi – è stato scritto di recente – non hanno più “antenne” per Dio, per la fede e per la Chiesa. Sono figli di una cultura, la post-modernità, che è divenuta estranea al cristianesimo. Ora, sappiamo che un carisma vive quando è in grado di affrontare le nuove domande che la storia pone. Non per nulla in Vita Consecrata si parla in proposito di fedeltà creativa (VC, 37). Una prima questione si pone: come intercettare il bisogno di Dio che affonda pur sempre nel cuore umano e che fatica ad emergere poiché oggi sentiamo la mancanza di una rinnovata inculturazione della fede? Credo si debba partire da quel mosaico di inquietanti interrogativi sul futuro, sul senso della vita, sul destino del mondo che sono resi ancor più acuti dall’attuale clima di incertezza e insicurezza che investe il mondo di oggi e proporre dei cammini ove sia possibile comunicare la bellezza e la portata innovativa del Vangelo. Questo, comunque, è un cantiere aperto. Una seconda domanda: come una laica consacrata deve stare nel mondo che «Dio ha tanto amato da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16)? In obbedienza 38 al Vangelo, la vocazione-missione di «Santa Maria» chiama ogni sorella a rimanere in sua compagnia, in atteggiamento di simpatia e di solidarietà, ricordando che come laica consacrata ha il compito di animare cristianamente le realtà di questo mondo, di costruire la «città dell’uomo a misura d’uomo», secondo un’espressione molto cara a Giuseppe Lazzati. Si amano le realtà umane, quelle che sono per il bene dell’uomo, perché sono segno dell’amore di Dio, inizio del suo Regno. Da molti anni l’Istituto ha vissuto e vive tuttora l’esperienza dei «crocicchi». Sono un’opportunità, un’occasione per coloro che non cercano Dio ma non sanno che Dio non ha mai smesso di cercarli. Il «crocicchio», così come il manifesto che parla di Dio, possono essere lo strumento per un incontro, un incontro decisivo per la loro vita. Di fatto, di questi incontri ne accadono veramente. La domanda che oggi si pone è: quale futuro per essi? È una realtà con i suoi contorni precisi e originali che il Padre ha ideato e potrà proseguire finché la Provvidenza ne darà la possibilità, anche cambiando la tipologia delle attività. Occorre comunque ricordare che c’è il «crocicchio» formale ma c’è quello informale perché lo spirito del «crocicchio» è vivibile ovunque: ovunque la testimonianza di fede di una sorella di «Santa Maria» è vissuta in un incontro tra persone, nella ferma fiducia che lì lo Spirito è all’opera. Grazie. Lettere di amicizia in occasione del Convegno Roma, 14 ottobre 2010 Gentilissima Sorella Marisa Giai, il Signore doni pace. Ringrazio di cuore Lei e le sorelle per l’invito a partecipare al Convegno che ricorda a vent’anni dalla morte il confratello fr. Giuseppe M. Borgia, Fondatore del vostro Istituto. Le devo comunicare che mi sarà impossibile essere presente di persona perché impegnato nella partecipazione al Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente. Desidero attraverso di Lei far pervenire il mio saluto ai relatori e ai partecipanti. Per tutti assicuro la mia preghiera ed il mio ricordo nel Signore. Il Padre Buono benedica Lei e tutte le sorelle che con fedeltà e ardore testimoniano nel mondo la Carità di Cristo. Fraternamente Fr. Mauro Jöhri, Ministro generale, ofmcap 14 ottobre 2010 Care Sorelle di Santa Maria, ho ricevuto il vostro gentile invito a partecipare al Convegno commemorativo del caro Padre Giuseppe il 23 prossimo a Saluzzo. Purtroppo non potrò essere presente perché impegnato a Vercelli per una celebrazione. Mi unisco volentieri spiritualmente, sempre ricordandovi con affetto. Vi benedico di cuore tutte. Sebastiano Dho, Vescovo emerito di Alba Carissime, non ci è possibile partecipare di persona ma ci uniamo in spirito ai lavori del vostro Convegno in occasione dei vent’anni di vita in Cielo di Padre Giuseppe. Il Signore arricchisce la sua Chiesa di tanti doni, ognuno con la sua bellezza e preziosità: ringraziamolo! P. Andrea, segretario della Congregazione dell’Oratorio di S. Filippo Neri, Genova 39 Gentile, cara Sorella Marisa, Pace e Bene! Ho ricevuto con sorpresa la tua lettera del 4 c.m.: mi ha portato gioia, sofferenza e speranza. Gioia per il ricordo così ancora vivo dell’amato carissimo padre Giuseppe Maria Borgia a vent’anni dalla sua morte; sofferenza per non aver potuto accogliere l’invito al Convegno del 23 ottobre, in quanto convalescente per un intervento chirurgico dal quale mi sto rimettendo; speranza perché il vostro Istituto continua con la vivacità di sempre, impressagli dal carissimo confratello. Naturalmente mi sono unito spiritualmente alla vostra preghiera e ho richiamato alla mia memoria momenti di incontro, in particolare per esercizi spirituali animati dal padre anche alle nostre comunità cappuccine. Immagino che saranno raccolti i testi dei vari interventi al Convegno e ho la fiducia di poterne avere copia. Ti ringrazio vivamente per avermi ricordato, perché anche in me è sempre vivo l’affettuoso interesse per voi, per il vostro cammino ecclesiale e spirituale. Spero che ci possano essere altre occasioni per vederci e conversare insieme sulle meraviglie che il Signore va operando in voi e attraverso di voi. Saluto te e tutte le sorelle dell’Istituto, mentre vi assicuro il mio ricordo nella preghiera e chiedo, fraternamente, il vostro. Con un fraterno abbraccio e una cordiale Benedizione. Aff.mo P. Flavio Roberto Carraro, Vescovo 40