Sommario
3 Introduzione
Fra Ferruccio Bortolozzo, ofmcap
4 Saluti iniziali
Mons. Giuseppe Guerrini
Marisa Giai
Fra Mario Durando
Mariella Risso
8 Relazioni
Padre Giuseppe Maria: un’esperienza all’avanguardia
Fra Stefano Campana, ofmcap
17 Gli Istituti secolari: attualità di una vocazione
Dora Castenetto
27 Presentazione del video: «Un cappuccino di frontiera»
Paolo Damosso
30 Padre Giuseppe Maria: un fondatore per i tempi nuovi
Renza Guglielmetti
39 Lettere di amicizia
Introduzione
Fra Ferruccio Bortolozzo, ofmcap
D
iamo inizio a questo nostro incontro-convegno nel quale desideriamo riflettere insieme su una importante figura della nostra Provincia
dei Cappuccini del Piemonte, Padre
Giuseppe Maria (Luciano) Borgia,
comunemente conosciuto come «il
Padre», fondatore dell’Istituto secolare Santa Maria degli Angeli.
Lo facciamo nel ventennale della
sua morte avvenuta il 26 agosto del
1990.
Insieme cercheremo di iniziare una
riflessione su questa figura per comprenderne il percorso, le scelte e, nel
contempo, capire se dal suo messaggio, dalla ricchezza del suo dono,
possiamo individuare qualcosa d’importante per il nostro cammino nel
futuro.
Do il benvenuto a tutti e mi permetto
di lasciare subito la parola ad alcuni
partecipanti che hanno un titolo speciale per portare un loro saluto all’inizio di questo convegno: Mons.
Giuseppe Guerrini, vescovo di Saluzzo, Marisa Giai, Responsabile
generale dell’Istituto secolare “Santa Maria degli Angeli”, Fra Mario
Durando, Ministro provinciale dei
Cappuccini del Piemonte, la dott.ssa
Mariella Risso, Assessore alla Cultura e alla Istruzione del Comune di
Saluzzo.
Come avete potuto vedere dal depliant informativo d’invito, quattro
saranno i momenti che ci aiuteranno
ad approfondire la conoscenza della
figura di P. Giuseppe Maria.
Nel primo contributo Fra Stefano
Campana, ofmcap, ci presenterà il
sorgere dell’esperienza del “Padre”
portando la personale testimonianza
di confratello che lo ha conosciuto.
Nel secondo intervento, la dott.ssa
Dora Castenetto, ci aiuterà ad entrare
più profondamente nella conoscenza
della realtà degli Istituti secolari, una
vocazione sorta nella Chiesa come risposta alle esigenze di un mondo che
camminava attraverso le difficoltà e
le prime forti avvisaglie della secolarizzazione. Per alleggerire un poco il
nostro pomeriggio, sarà poi proiettato
un DVD su Padre Giuseppe Maria,
che ci sarà presentato dal dott. Paolo
Damosso. Chiuderà il convegno l’intervento di Renza Guglielmetti, per
permetterci di entrare più specificamente nella realtà dell’Istituto «Santa
Maria degli Angeli».
Saluti iniziali
Mons. Giuseppe Guerrini, Vescovo di Saluzzo
B
uon pomeriggio a tutti. Non
ho conosciuto personalmente Padre Giuseppe Maria e quindi
non posso dare nessun contributo
per approfondire e cogliere meglio
la sua figura. Ma mi congratulo con
l’Istituto Santa Maria degli Angeli,
con i Padri Cappuccini che hanno
promosso questo convegno, perché
mi pare che a vent’anni di distanza
si possa cogliere meglio il profilo,
la figura umana, la figura culturale,
pastorale di una persona, soprattutto
di una persona che è stata capace di
mettersi in prospettive nuove: una
persona così ricca di iniziativa quale fu Padre Giuseppe Maria.
Personalmente da questo convegno
mi attendo un contributo alla storia
della presenza cristiana, della presenza religiosa nel nostro territorio
piemontese, in modo particolare
nella nostra Diocesi di Saluzzo.
Storia innanzitutto di spiritualità,
cioè di cammino di santità.
Quando nel 1945 con Santina Lancia e alcune “sorelle” inizia a Piasco l’Istituto Santa Maria degli Angeli, non era ancora stata pubblicata
l’Esortazione pontificia di Pio XII
Provida Mater Ecclesia che solo
due anni dopo nel 1947 riconoscerà
gli Istituti secolari.
Si trattava quindi di una modalità
di consacrazione certamente già
sperimentata da anni, ma non ancora ufficialmente strutturata. Ecco,
Padre Giuseppe Maria si inoltra in
questo cammino che intravede ricco di potenzialità, particolarmente
adatto ai tempi. Quindi, dicevo, storia di spiritualità, ma anche storia
della pastorale. Una sua idea, che
è stata nella sua vita quasi un’ossessione, a farsi, a rendersi vicini
alla gente, a conoscerne sensibilità
nei linguaggi, a usare gli strumenti
più innovativi, sempre per proporre
il Vangelo di Gesù.
Anzitutto per informare su Lui!
Questo verbo «informare» che dice
un approccio discreto, rispettoso,
ma dice anche l’urgenza della passione di comunicare, di trasmettere
una buona notizia, quella Buona
Notizia che ha sconvolto e ha dato
speranza al mondo.
Auguri, quindi, di buon lavoro e
grazie!
Marisa Giai, Responsabile generale dell’Istituto Santa Maria degli Angeli
B
envenuti a tutti, io vi porgo il
saluto di tutte le Sorelle di Santa Maria, e vi ringrazio per la vostra
presenza qui oggi, una presenza così
numerosa, per ricordare insieme a noi
la figura del nostro Fondatore Padre
Giuseppe Maria a vent’anni dalla
sua morte. Mi piacerebbe di più dire
vent’anni di vita in Cielo, secondo
una bella espressione di un sacerdote dell’Oratorio di San Filippo Neri
che ha scritto una lettera ricordando,
appunto, i vent’anni di vita in Cielo
di Padre Giuseppe Maria.
In particolare ringrazio il nostro Vescovo Mons. Giuseppe Guerrini che
ha accolto l’invito ad essere oggi
qui con noi e che con tanta premura
segue il cammino dell’Istituto. Ringrazio pure la signora Mariella Risso
che rappresenta il Sindaco della città
di Saluzzo. Ringrazio il P. Provinciale
dei Cappuccini Fra Mario Durando,
anche lui presente a questo incontro,
Padre Oreste nostro Assistente e tutti i Frati della Provincia piemontese
i quali continuano ad occuparsi con
fraterna sollecitudine della nostra formazione spirituale, francescana, secondo il desiderio del Padre, il quale
nel suo testamento scrisse: «L’Istituto
resti sempre sotto l’assistenza religiosa dei Cappuccini». Un altro grande
segno di benevolenza l’abbiamo ricevuto nel 2004 con il dono dell’Af-
filiazione all’Ordine. Di questo noi
siamo molto grate ai Cappuccini.
Il Padre Giuseppe Maria, la cui figura
verrà tratteggiata dai relatori, è stato
non solo per noi, ma anche per quanti
l’hanno conosciuto, l’esempio di un
religioso che ha condotto un progetto
di vita fondato su una fede profonda,
su una intensa preghiera e sempre in
ascolto dello Spirito. La sua dedizione alla evangelizzazione e la fondazione dell’Istituto non si spiegano
altrimenti che con l’accoglienza da
parte sua di una ispirazione divina.
Ma in questo incontro, non possiamo dimenticare Santina Lancia, la
Sorella Maggiore, della quale ricorre
quest’anno, il 9 ottobre, il trentesimo anniversario della morte. Santina
Lancia fu grande collaboratrice del
padre nel periodo di fondazione e prima responsabile generale dell’Istituto.
P. Giuseppe Maria con Santina e sorelle
Nacque a Busca e a Busca conobbe
il Padre; apparteneva al Terz’Ordine
(come si chiamava allora) e frequentava la chiesa dei Cappuccini.
Santina desiderava la vita claustrale,
ma quando comprese che la volontà di Dio la chiamava ad occuparsi
della piccola pianticella francescana
che stava sorgendo a Sant’Orso di
Piasco, rinunciò alla sua aspirazione.
E in un momento di grave difficoltà per il nascente Istituto, ella prese
su di sé la responsabilità del primo
gruppo di Sorelle.
Per suo merito la «meravigliosa avventura di Santa Maria» (sono parole
del Padre) poté avere inizio. A lei, la
Sorella Maggiore, noi di Santa Maria
dobbiamo tanto amore e riconoscenza.
Come pure ne dobbiamo a Padre Barnaba che fu ministro Provinciale negli anni ’50 e dal quale il Padre ebbe
molto aiuto, sostegno e comprensione
nei confronti del nuovo Istituto.
Insieme a Padre Giuseppe Maria
sono considerati i nostri pionieri. Ancora vi ringrazio, auguro a voi buon
ascolto e buon pomeriggio.
Fra Mario Durando, Ministro provinciale dei Cappuccini del Piemonte
A
Sua Eccellenza e alle care Sorelle dell’Istituto «Santa Maria
degli Angeli», ai miei Confratelli
Cappuccini, a tutti voi, un francescano augurio di pace e bene. Noi
Frati Cappuccini, nati da una riforma
del grande Ordine Francescano e approvato nel 1528, siamo presenti in
Piemonte negli anni successivi dal
lontano 1538.
Sant’Ignazio da Santhià nel 1700,
il Servo di Dio Guglielmo Massaja
nell’800, il Venerabile Padre Angelico da None nel ’900 sono le figure
più illustri e conosciute.
Ma non possiamo dimenticare tanti
altri frati, in modo particolare quelli
dell’ultimo secolo scorso: Mons. Egidio Lanzo, pastore di questa dioce
si dal 1943 e morto nel ’73; Mons.
Leone Ossola dichiarato «defensor
civitatis» di Novara per aver salvato
la città dalla distruzione dell’esercito
tedesco in ritirata; Padre Pio Gottin,
missionario in Capo Verde, a Boston
e Padre Giuseppe Maria Borgia.
Ringrazio quindi di questa occasione
per riscoprire un frate che, appena
terminata la guerra, apre intelligenza e cuore per parlare di Cristo al
mondo.
Un mondo bisognoso di fede, non
più lontano, intuisce, ma vicino a noi,
nell’Italia, nell’Europa. Un mondo
che è in una frenetica ricostruzione
di case, ma altrettanto frenetico allontanamento da Dio e dai valori
cristiani. Antesignano di una nuo-
va evangelizzazione, fiducioso nella
Provvidenza come un altro grande
piemontese, San Giuseppe Benedetto Cottolengo.
Non uomo di preghiera, ma uomo
fatto preghiera come San Francesco
d’Assisi secondo la descrizione del
primo biografo Tommaso da Celano.
Grazie, dunque, per l’opportunità di
questo convegno, per le riflessioni
che offrirete a tutti noi per conoscerlo
meglio.
Mariella Risso, Assessore alla Cultura e alla Istruzione del Comune di Saluzzo
I
o non ho assolutamente titolo per
parlare in questa sede ma porto il
saluto del Sindaco e mio personale a
questa Comunità che ha una presenza
forte in città, a Villa Maria Regina,
una presenza in un luogo fisico ma
anche una presenza discreta in tanti luoghi, accanto a molte persone e
a molti cammini in città. Credo che
la riflessione su quelli che sono per
ognuno di noi i nostri maestri sia
sempre un’occasione di arricchimento. C’è un momento in cui ognuno
di noi fa un bilancio, ricerca e studia
quella che è la sua coerenza e ne ricava, diciamo, nuovo entusiasmo, nuova linfa per continuare il cammino su
cui sta procedendo. Auguri a tutti!
Saluto iniziale di Fra Mario Durando, ofmcap
Padre Giuseppe Maria:
un’esperienza all’avanguardia
Fra Stefano Campana*, ofmcap
Introduzione
L’arco della vita terrena di Padre Giuseppe Maria va dal 7 ottobre 1913 (Torino, via Foligno, parrocchia dei Cappuccini, Madonna di Campagna) al 26
agosto 1990 (San Grato - Verzuolo).
Non sto a descrivervi la vita, è sufficiente la lettura della biografia agile
e calzante della sorella Renza Guglielmetti («Cappuccino di frontiera», Effatà Ed., Cantalupa - To, 1998).
Tenterò di offrire una mia chiave interpretativa d’insieme e porrò anche un
accento particolare sulla dimensione
francescana della vita di P. Giuseppe
Maria.
Nella seconda parte, dal titolo «genialità di una fondazione», mi soffermerò
sulla nascita, fisionomia e storia del
suo Istituto secolare «S. Maria degli
Angeli».
1 - La parabola della vita
Di fronte a un P. Giuseppe Maria inabile e muto in un letto negli ultimi anni,
si sarebbe tentati di mettere tra parentesi questa fase della sua vita, come
di una fase che non conta più. Il P.
Giuseppe vero sarebbe quello di prima: attivo, aitante, vigoroso, facondo.
La storia dello Spirito invece include
anche il periodo dell’inattività, dello
svuotamento, della inutilità. Perché è
il periodo in cui Dio prende progressivamente possesso della creatura umana
e, come sacerdote, P. Giuseppe da offerente si trasforma in offerta. Il prima e
il dopo, nonostante l’apparente opposizione, sono correlati l’uno all’altro.
1.2 Il prima
L’impressione immediata su di lui.
P. Giuseppe Maria era una figura possente (anche per la stazza fisica), vigoroso nel corpo e nello spirito, austero.
Aveva un parlare incisivo e vibrante,
quasi alla Savonarola; amava i paradossi, le frasi slogan, i motti fulminanti. La sua era la cultura versatile,
geniale, vasta, pur con gli azzardi tipici
di uno che sostanzialmente è stato un
autodidatta. E trascinava. Perché aveva
una foga, un fuoco dentro. Non era un
intellettuale asettico o avulso dal reale:
partiva sempre dal reale, ma teso costantemente verso l’ideale. Ti schiodava dalla quotidianità; non riposava lui
e non lasciava riposare chi gli capitava
tra i piedi con la velleità di esserne o
discepolo o discepola.
Di questa prima fase della sua vita riscontro due sentimenti dominanti. Mi
correggo. Per P. Giuseppe Maria non
si può parlare di sentimenti (troppo
tenue), ma di passioni: tutto in lui si
caricava di impeto.
La prima passione è stata la ricerca
di Dio nel volto di Cristo, con una
tensione continua verso la santità. «Vi
voglio sante» ripeteva alle ragazze del
suo Istituto. Oppure esortava a far uso
durante il giorno della chiavetta: «Dio
solo; o Dio o niente!»
La seconda passione era quella di portare Cristo al mondo, in particolare ai
“lontani”; negli ambienti più disparati
e disperati, ai crocicchi della società e
là dove di Dio non si è mai parlato.
P. Giuseppe Maria nel 1947
La prima passione è stata per lui prima di tutto un cammino di vita, uno
sforzo instancabile. Ma è stata anche
occasione per una riflessione su metodi, tecniche, vie di santità.
Negli anni ’50 -’60 fiorivano i trattati
e le analisi in merito. Padre Giuseppe
saccheggiava a tutto spiano gli scritti dei maestri di spirito del tempo (v.
Marmion, Pollien, Tanquerey, ecc.) e
rielaborava il tutto in una visione personalissima, sintetica, praticabile. Si
soffermava sui metodi di meditazione,
sui gradi dell’ascesa spirituale; dalla via
purgativa fino a quella unitiva; disquisiva sul rapporto grazia e volontà umana,
sull’assegnazione dei meriti, ecc.
Frutto di queste riflessioni sono il breve «Trattato di Teologia ascetica» (che
noi studenti di teologia abbiamo usato
e di cui ho avuto l’onore di una delle
tante revisioni assieme a P. Ermanno
Sibona) e le «Meditazioni attive».
Le due operette si rivelarono subito
geniali e accattivanti, ma l’impressione
di adesso (e devo confessare: anche di
allora) era che il Padre Giuseppe si sia
lasciato prendere la mano da un eccesso
di schematismi o di tecnicismi che, con
una materia così fluida e inafferrabile
quale la santità, stridono un poco. Sottesa a quelle pagine è che la santità sia
conquista, grinta e buona volontà da parte dell’individuo. Più ascesi che mistica.
Metodologia più gesuitica che francescana. Ma in quegli anni P. Giuseppe
camminava così lungo la strada del Signore: con il vigore della sua maturità
e la radicalità del suo temperamento.
Senza risparmiare se stesso; quello che
pretendeva dagli altri lui lo viveva per
primo e in misura superiore.
Che si trattasse delle ore di preghiera,
anche notturne (con un corpo che recalcitrava per il sonno), delle austerità,
degli strapazzi per i viaggi e fatiche di
ogni genere. Un esempio per tutti (cito
dalla mia fonte quasi unica: R. Guglielmetti, «Cappuccino di frontiera»):
si racconta che una volta fece un bel
capitombolo perché si era addormentato… sul manubrio della bicicletta, che
chiamava “marescialla” (pare nel tratto
di strada Busca – Piasco).
Una vita sulla corda tesa, un impegno a
muso duro potrebbe indurre all’impressione di un frate rude e burbero con gli
altri (ero io piccolino che lo vedevo
così e scappavo gambe all’aria quan-
do lo vedevo spuntare nei corridoi del
convento di Busca!). Invece no; tutte le
testimonianze (anche la mia una volta
uscito dall’infanzia) concordano nel
vedere in P. Giuseppe generosità, delicatezza e cortesia e grande attenzione
verso l’altro. Tutte le ore, del giorno
e della notte, erano adatte se c’era
da portare aiuto. Sapeva vivere tale
disponibilità con una punta di umorismo tipicamente cappuccino, come
quella volta che uno studente di teologia, scambiandolo per un compagno di
corso, gli salì sulla groppa, le gambe a
cavalcioni, per scendere le scale con il
minore dispendio di energia. Arrivati in
fondo, il P. Giuseppe deposita a terra il
dolce peso dello studente che, smarrito,
si accorge di essere salito in groppa al
guardiano del convento; P. Giuseppe,
P. Giuseppe Maria con la fraternità di Busca
10
con tono birbone, gli domanda: «Ti
basta così o vuoi altro?»
parola di troppo, aveva sempre l’umiltà
di chiedere perdono.
P. Giuseppe ha vissuto la quotidianità di
vita fraterna più con le Sorelle di Santa
Maria che con i confratelli cappuccini.
Eppure il suo senso di fraternità verso i confratelli era vivo e sentito. Ho
parlato della sua cortesia, disponibilità, interessamento. Voglio aggiungere:
non parlava mai male, non criticava
i frati, neppure i superiori (che negli
anni ’45-’46 l’avevano fatto penare).
Ho un ricordo mio personale quando
stava per nascere la nostra fraternità di
quartiere in via Calandra…
1.3 Il dopo
E la stima dei confratelli si esternò
ripetutamente nell’affidargli incarichi
di fiducia: quasi appena ordinato sacerdote gli venne dato l’insegnamento della Teologia ai giovani chierici,
giovanissimo guardiano a Busca, più
volte Definitore Provinciale e per ben
ventidue anni assistente regionale OFS
(allora si chiamava Commissario del
TOF). Difficilmente i frati danno fiducia a un confratello se non lo sentono
come “uno dei nostri”. P. Giuseppe
Maria molta parte della sua attività la
svolse in Santa Maria, ma non dimenticò mai né si emarginò dalla Provincia
cappuccina. E del frate vero conservò
lo stile: francescanamente povero e
dimesso nello stile di vita, sciolto dai
legami con le cose e le cariche, libero,
attraversato dalla costante inquietudine
della ricerca di Dio. E se il suo carattere impulsivo gli faceva dire qualche
Intendo ora parlare della seconda e ultima fase di vita di P. Giuseppe, quella
apparentemente “inutile”. Ne parlo per
il poco che si può dire di quel progressivo silenzio e inabilità.
Le prime avvisaglie nel 1976: viene
ricoverato alle Molinette di Torino per
serie complicazioni dovute al diabete.
Ma è dal 1982 in avanti che P. Giuseppe diventa progressivamente inabile, la
parola si fa difficoltosa e gli stati di
coscienza si alternano tra lucidità normale e torpore. Le Sorelle di Santa
Maria si prodigano nei suoi confronti
come non si potrebbe fare meglio. A
loro va la lode e il grazie.
Per P. Giuseppe è giunta la fase dell’abbandono e dello svuotamento di sé
rispetto alla prima fase, quella del vigore e dell’impegno. Mi vengono quasi
le vertigini a fare questa lettura ossimorica della sua vita, eppure occorre farla
per penetrare almeno un poco nel misterioso piano di Dio. Durante gli anni
della inattività e della dipendenza dagli altri, mi piace immaginare un Gesù
che sussurra al suo cuore: «Ho sempre
apprezzato la tua ricerca del volto di
Dio e della santità, ma era una ricerca
tua; adesso ti voglio liberare dalle tue
tecniche, dai tuoi metodi; sono stati
utili, ma ora ti voglio far respirare in
uno spazio infinito, nello spazio infinito dell’abbandono, dove non ci sono
11
più metodi né scuole di ascetica, perché c’è una scuola unica, quella del
Cristo che ti trasforma in se stesso»
(P. Stefano Campana, dal Discorso ai
funerali, Busca, 28 agosto 1990). Così
pure la malattia getta altra luce sullo
stesso Istituto da lui fondato. Proseguo
il dialogo immaginario di Gesù con lui:
«Ecco, adesso entro io alla guida del
tuo movimento; tu non verrai messo
da parte, ma collaborerai con Me in
maniera diversa da prima; prima eri
tu che dicevi, che dirigevi, che t’imponevi; adesso diventerai il seme che
germina, sepolto, la vita nuova; adesso
diventerai l’ostia immolata come vero
mio discepolo» (Ivi).
Ci si potrebbe domandare: ma come ha
vissuto questa fase difficile, lui, abituato tutta la vita a ben altro piglio, a ben
altra allure?
C’era già in lui una disponibilità a
monte. In un corso di Esercizi in anni
lontani (Saluzzo, 1946) aveva anticipato una presa di coscienza: «La nostra
vita: un foglio firmato in bianco, su cui
il Signore può scrivere ciò che vuole»
(R. Guglielmetti, p. 33).
Sappiamo che altro è prevedere, altro
è trovarsi stretti nella morsa del male.
Penso si sia progressivamente preparato perché la malattia gli mandava degli
anticipi, lo tormentava con i suoi pungiglioni. Nel marzo 1982 gli viene comunicato che il processo è irreversibile: anche i tessuti cerebrali si stanno irrimediabilmente logorando a causa del
diabete. Il 22 marzo 1982 P. Giuseppe
Maria scrive: «La sentenza è tremen12
da... Ebbene, sì, accetto. Ho lavorato
tanto… sino alla fine, ora il Signore
faccia quello che vuole» (R. Guglielmetti, p. 105). Non è un’accettazione
morbida; trapela da questa frase: «Il
Signore da tre anni a questa parte mi
sta sterminando» (R. Guglielmetti, p.
108). Sempre sulle ali dell’immaginazione: ma quando il P. Giuseppe Maria
il 26 agosto 1990 ritornò alla casa del
Padre, vi tornò nella piena vigoria del
suo spirito.
2 - Genialità di una fondazione
La seconda passione di P. Giuseppe
era, come già detto, portare Cristo e il
Vangelo al mondo, ai cosiddetti “lontani”, là dove non si è mai parlato di
Dio. «La maggior parte dei cristiani
non va più ai luoghi pii ed è necessario cercarli con ansia» (la lettera è del
5 settembre 1945: pensate ora! V. R.
Guglielmetti, p. 49).
Tenterà anni dopo un dialogo a distanza con i lontani, scrivendo il volumetto
«Teologia apologetica». Ma la sua risposta pratica è l’invenzione dell’Istituto delle contemplative nel mondo: ragazze consacrate a Dio con i consigli evangelici, ma testimoni di Cristo
fra i secolari, vivendo come loro negli
uffici, nelle fabbriche, vestite come le
altre signorine.
Non sono “suore”; sono altro. Si fuoriesce dagli schemi tradizionali della vita
religiosa. Il 2 agosto 1945, festa di Santa
Maria degli Angeli, il primo nucleo di
ragazze coraggiose trovano sistemazione
a Sant’Orso, sulla collina sopra Piasco.
Troveranno poi una dimora stabile, dal
1950, a San Grato di Verzuolo.
Dopo il 1947 la “novità” di queste
ragazze troverà l’occasione per essere
incanalata nell’alveo istituzionale della Chiesa con il riconoscimento della
nuova forma di vita religiosa sotto il
nome di Istituti secolari ad opera di
Pio XII («Provida Mater Ecclesiae»,
1947). Farà seguito il percorso giuridico dell’approvazione delle Costituzioni, del riconoscimento dell’Istituto
a livello diocesano.
Degna di nota è anzitutto la coraggiosa
caparbietà del Padre nel sostenere le
fatiche e gli imprevisti di tutta la trafila giuridico-istituzionale e nel tenere
sempre ritta la prua verso l’ideale di
novità che si era proposto (e non mi
nascondo l’impegno anche di tutte le
Sorelle in questo lungo iter); e poi, altrettanto degna di nota è la dedizione
totale, paterna e paziente di P. Giuseppe nel formare e nell’accompagnare le
Sorelle di Santa Maria nel cammino
inedito e impegnativo di consacrate
nel mondo.
Più una istituzione religiosa è immersa
nella società o nella cosiddetta realtà
mondana più subisce le spinte e i contraccolpi dei continui mutamenti. La
realtà degli Istituti secolari deve essere
quindi sempre molto attenta e duttile.
Ciò determina confronti continui, aggiustamenti, variazione delle forme di
inserimento nella società da parte degli
Istituti stessi.
Con Mons. Lanzo e P. Barnaba Ferrero a Saluzzo
13
Queste dinamiche, che comportano anche valutazioni e autocritica, non devono spaventare né creare tensioni.
Come prova dei mutamenti continui e
per restare in ambito ecclesiale, già negli anni ’50 l’iniziativa di P. Giuseppe
Maria veniva sopravanzata da una proposta senza precedenti: sacerdoti e religiosi stessi dovevano entrare in fabbrica
e lì, con il lavoro e la testimonianza
personale, fermentare la massa. P. Giuseppe Maria non era contrario al movimento, ma non lo considerava suo.
Molti di voi sanno le vicissitudini dei cosiddetti preti-operai: l’avvio
travagliato, la condanna della Chiesa
ufficiale, la ripresa, ecc. Cito questo
movimento per due motivi: l’istanza
di aprirsi al mondo, quello soprattutto
del lavoro, consapevolmente o no, era
avvertita un po’ ovunque; il progetto
di P. Giuseppe rispondeva pertanto ad
un’ansia diffusa nella Chiesa come comunità dei credenti; inoltre l’iniziativa
preti-operai, pur con tutte le diatribe
che si trascinò dietro, per la legge del
meno che ci sta anche nel più, comportò una più facile legittimazione dei
movimenti di inserimento, quali gli
Istituti secolari.
In ordine poi ai mutamenti della società coi quali più che mai gli Istituti
secolari devono fare i conti, («più ti
immergi in una realtà più ne avverti
i mutamenti»), dobbiamo considerare
un’altra grossa trasformazione della società attuale. Il riconoscimento ufficiale o erezione canonica di Santa Maria
14
avviene il 21 giugno 1963 (Decreto di
Mons. E. L. Lanzo, vescovo di Saluzzo). Sono passati 47 anni da allora,
tanti per una società dai rapidissimi
mutamenti. Allora l’idea sottesa era
quella di andare ai “lontani”, come se
ci fossero due mondi in faccia l’uno
dell’altro: i credenti da una parte e i
non credenti dall’altra. Le cose non
stanno più così; il mondo dei credenti
si sta sfrangiando, molti sono credenti
solo per l’anagrafe; la categoria tipicamente mazzolariana di “lontani” non si
sa più a chi attribuirla. Portare il Vangelo e far conoscere il Cristo può e
dev’essere un’istanza a tutto campo, da
includere anche i cosiddetti “credenti”.
Occorre fare i conti non tanto con un
ateismo teorico quanto con l’indifferenza e la non-significanza per molti,
anche anagraficamente cristiani, della
fede e del discorso religioso.
E aggiungo un’altra responsabilità (ma
queste sono mie convinzioni personalissime): quella di proporre il Vangelo e la
centralità di Cristo di fronte alle derive
cui ci si sta affidando un po’ troppo per
ripristinare la fede; parlo degli apparizionismi, dei miracolismi e del ruolo eccessivo dato a Satana. C’è troppa indulgenza, anche da parte della gerarchia,
verso questo discutibile dilagare.
L’annuncio del Cristo deve inoltre, se
non vuol essere una forma di fondamentalismo, tenere nel dovuto conto chi
cristiano o cattolico non è; la nostra sta
diventando una società multietnica e perciò con varie appartenenze religiose. Il
riferimento al Vangelo deve essere ritradotto in tale contesto, sviluppando forme
di dialogo e di rispetto reciproco.
Ma i mutamenti non giungono solo
dall’esterno. È l’Istituto stesso che attraversa fasi per le quali può variare il
tipo di inserimento nella società. Come
negli Ordini religiosi, anche l’Istituto Santa Maria sta prendendo atto di
due fattori molto importanti: carenza
di vocazioni e innalzamento notevole
dell’età. A molte Sorelle non è più permesso stare in fabbrica o nell’impiego,
perché in età di pensionamento. Bisogna dunque pensare ad altre modalità
d’inserimento nel mondo, ad es. una
maggiore partecipazione ad iniziative o
movimenti di volontariato, oppure intensificare e vivacizzare ulteriormente
il settore dell’informazione religiosa:
l’attuale società si sta progressivamente
analfabetizzando nel campo della fede.
L’Associazione Informazione su Cristo
(grande intuizione anch’essa di P. Giuseppe Maria) sta svolgendo e può ulteriormente svolgere un buon lavoro.
Poi, la soluzione delle Cooperative interne all’Istituto non sta comportando
forse un eccesso di gravami giuridico-fiscali e non riduce la presenza del
singolo in un contesto di lavoro più
diretto, più testimoniale?
Queste e altre problematiche premono
sull’Istituto cammin facendo. In contesti nuovi, davanti a problematiche inedite: come essere fedeli al fondatore e
al suo proposito di vita codificato nelle
Costituzioni?
Ci vuole una fedeltà dinamica che sap-
Campagna pubblicitaria di InformaCristo
15
pia coniugare fedeltà alla ispirazione di
fondo, ma tradotta e variata secondo i
mutamenti della società.
Non ci si può appellare a gesti, parole,
scelte che P. Giuseppe aveva fatto in altri
contesti e sotto l’influsso anche della sua
tipica personalità, della sua formazione.
Per quanto P. Giuseppe Maria sia stato
un sant’uomo, un appassionato di Dio
e del mondo, non è il caso di canonizzare tutte le sue scelte o reazioni. Erano legate a lui come persona e al suo
tempo. Ad es. l’indubbia novità delle
consacrate nel mondo, novità che giustamente sostenne fino alla fine, venne
però in certa misura risucchiata entro il
modello di vita religiosa che lui aveva
introiettato, quello che diciamo delle
“suore”. Aggiungo un altro rilievo di
fondo, che riguarda l’analisi della società e del mondo del lavoro. Padre
Giuseppe ha vissuto la ricerca di Dio
– e di Dio solo – in maniera così assoluta e massimalista da non considerare
a sufficienza le mediazioni storiche; mi
pare di avvertire in lui carenza di analisi
della società, delle dinamiche del mondo operaio o impiegatizio; con la conseguente impreparazione ad affrontare
tensioni, conflitti, lotte che, per quanto
a volte criticabili, hanno fatto evolvere
il mondo del lavoro. P. Giuseppe Maria
vedeva il mondo del lavoro, con tutte
le sue complesse dinamiche, esclusivamente sub specie Dei. Ciò ha avuto,
credo, una ricaduta sull’atteggiamento
di fondo delle Sorelle verso la società.
Ritorno (e concludo) sul tema della
fedeltà al fondatore.
16
Fonte di ispirazione per il cammino nei
tempi attuali sono sicuramente le Costituzioni dell’Istituto Santa Maria. Con
esse c’è la garanzia di poter adeguare ai
tempi nuovi l’ispirazione primaria dell’Istituto e del suo fondatore. Ma gesti,
parole, scelte di P. Giuseppe, ossia di
una figura così possente e trascinatrice,
possono ingenerare una fedeltà che rasenta l’imitazione, soprattutto in coloro
che con lui hanno condiviso molto.
Il problema c’è e non è soltanto delle Sorelle: ne abbiamo ad es. una eco
presso l’Ordine francescano rileggendo
le Fonti. Mi pare ci possa illuminare un
pensiero di Pavel Florenskij: «L’unicità
di ciascuna persona e la sua assoluta
insostituibilità esigono che la persona
stessa sia di esempio a se stessa… Gesù
non è una regola morale ambulante e
nemmeno un modello da copiare. Egli
è il principio della nuova vita che, una
volta accettata da Lui, si evolve secondo
leggi proprie. L’uomo riceve una vita
nuova conservando la libertà e l’unicità
che gli sono proprie» (P. Florenskij, La
colonna e il fondamento della vita, Ed.
San Paolo, pp. 248-49).
Alle Sorelle di Santa Maria: in queste
incertezze proprie di ogni cammino
sia sempre lo Spirito del Signore ad
accompagnarvi e a modellarvi come
consacrate nel mondo, sulla scia del P.
Giuseppe Maria. Grazie dell’ascolto!
* Più volte Ministro Provinciale del Piemonte,
era giovane studente quando ebbe inizio l’Istituto «Santa Maria degli Angeli».
Gli Istituti secolari:
attualità di una vocazione
Dora Castenetto
docente di Teologia spirituale - Facoltà Teologica di Milano
Un saluto cordiale a tutti.
Devo subito dire che sono qui più in
veste di ospite che di relatrice. Infatti,
quando ho ricevuto l’invito da Marisa,
non sapevo di dover partecipare a un
Convegno tanto solenne né conoscevo il Fondatore Padre Giuseppe M.
Borgia, dell’Istituto di cui Marisa è
responsabile.
Sono contenta di essere qui. E sono
contenta di aver imparato a conoscere
una realtà così viva e apprezzabile.
Il mio intervento, per chi appartiene
all’Istituto Secolare, non sarà nuovo.
Riprenderò cose già dette, ma con
l’amore di sempre, che nutro per una
vocazione come questa.
E mi scuso per quanti
già la conoscono.
Mi pare di poter dire
che è una vocazione
ancora molto avvincente: capace di suscitare consenso tra
i giovani e di stupire
quanti ancora non la
conoscono.
Gli Istituti Secolari
sono «dono» alla e nella Chiesa, fin dall’inizio del secolo scorso.
Sono nati in vari Paesi del mondo e,
tra i primi, in Italia. Sono sorti per
ispirazione dello Spirito santo, come è
stato più volte dichiarato dai Papi. Cioè
nella Chiesa alcune persone, illuminate
dallo Spirito, hanno sentito la necessità
di realizzare una consacrazione a Dio
restando nel mondo, per offrire non
solo una testimonianza cristiana, ma
per operare da laici consacrati, nelle
realtà temporali.
Caratteristica degli Istituti Secolari è
quindi una totale consacrazione a Dio
con l’osservanza dei consigli evangelici vissuti nella condizione secolare,
laicale.
Prof.ssa Dora Castenetto
17
Il primo riconoscimento è venuto dalla
«Provida Mater Ecclesia», Costituzione Apostolica del 1947, cui è seguito
nel 1948 il Motu Proprio «Primo feliciter».
Tali documenti contengono sia riflessioni teologiche, sia norme giuridiche,
con elementi già chiari e sufficienti per
una definizione dei nuovi Istituti.
Il Concilio Vaticano II menziona gli
Istituti Secolari con le loro caratteristiche essenziali nel decreto «Perfectae
Caritatis» (n. 11). Li definisce «una
vocazione e una forma di vita originale», caratterizzata dalla consacrazione
a Dio, con la professione dei consigli
evangelici vissuti nella secolarità. Perciò la peculiare indole di questi Istituti
è la secolarità.
Di conseguenza «solo la fedeltà a questa fisionomia potrà loro permettere di
esercitare quell’apostolato che li quali-
fica, cioè nel mondo, nella vita secolare e a partire dal di dentro del mondo,
avvalendosi delle professioni, attività,
forme, luoghi, circostanze rispondenti
alle condizioni secolari» (Primo Feliciter).
Dal Concilio Vaticano Il gli Istituti Secolari hanno avuto indicazioni molto
chiare per approfondire la loro realtà
teologica (consacrazione nella e della
secolarità) e per chiarire la loro linea
di azione (santificazione dei membri e
presenza trasformatrice nel mondo).
Vorrei aggiungere a queste note alcune
espressioni di una giovane:
«Quello che mi piace, quello che credo
essere il cuore della consacrazione secolare, è che mi chiede di impastare la
mia vita con quella del mondo. E in un
modo che dice sempre responsabilità
e abbandono, volontà e fede, passione
per gli uomini e cuore libero…»
L’Oasi di San Grato a Verzuolo
18
Queste espressioni possono essere
considerate un compendio della vocazione.
Vi è tutto il valore della consacrazione, come dedicazione totale al Signore
Gesù, nella scelta della verginità, povertà, obbedienza per il Regno.
Lo sguardo e il cuore sono rivolti al Signore, di cui si seguono le orme per le
strade del mondo, condividendo la sorte
delle donne e degli uomini del proprio
tempo, in ascolto dei problemi e dei
bisogni emergenti, assumendo responsabilità personali e istituzionali, con la
sola visibilità di una coerenza cristiana
a qualunque costo, fino ai limiti di un
radicalismo evangelico, che conduce a
non trattenere nulla per sé, per un dono
totale. È un farsi davvero carico delle
situazioni umane, a qualunque livello.
L’anima e la storia degli Istituti Secolari dice e intende testimoniare questo
impegno: confermando l’intuizione
originaria, in cui la tensione a vivere
la conformità a Gesù Cristo morto e
risorto si coniuga con (e determina)
la radicalità del servizio ai
fratelli, dentro la quotidianità
e nel contesto delle strutture
professionali, economiche,
politiche, sociali, ecclesiali,
con responsabilità diverse,
senza sottrarsi e senza mettersi al riparo dagli eventi
della storia, sempre in obbedienza alla Parola che rinnova, feconda, converte i gesti
e gli impegni.
E ciò al modo del lievito (Mt 13,33),
del sale (Mt 5,13), cioè senza segni
esteriori, immersi nella realtà della
gente comune.
Sta qui, in questa sintesi sempre ricercata e amata, la cifra più significativa
di una vocazione accolta come dono
dello Spirito anche per il nostro tempo,
dentro la complessità di una trasmigrazione culturale, che richiede attenzione
profonda e puntuale alle problematiche
che si accavallano, nel mondo del lavoro, dell’economia, della politica, della
Chiesa stessa.
È come un «navigare a mare aperto»,
con speranza e fiducia, senza cadere
nella lamentosità o con lo sguardo
rivolto al passato, per assumere piuttosto la parresia degli apostoli, anche
portando il linguaggio del mondo alla
Chiesa, alla Gerarchia, perché si faccia
carico di un magistero sapiente.
Così, dentro il tessuto intricato delle
vicende, dentro l’inconsistenza e l’arbitrarietà di eventi, che sembrano eludere ogni valore etico, i laici consacrati
Un «crocicchio» a Torino - Bar Lagrange
19
negli Istituti Secolari intendono essere
anche oggi, come alle origini, testimoni «imbarazzanti» di Gesù di Nazareth,
che si china sui poveri e sui piccoli,
che sconfigge ogni logica di potere e
di sopraffazione, che proclama la giustizia e la pace, dettando leggi di prossimità e di solidarietà.
Si capisce, allora, il significato del restare dentro le professioni, dentro le
istituzioni sociali e politiche, con il
desiderio e l’impegno di spendere totalmente la vita, di donarla senza trattenere nulla per sé, anzi rinunciando a
«case o fratelli, o sorelle, o padre, o
madre, o figli, o campi....» per il Regno
(Mt 19,29). E questo è possibile, perché dentro lo svolgersi di un quotidiano apparentemente banale o all’interno
di impegni gravidi di responsabilità, il
contatto ininterrotto con la Parola, con
il Vangelo di Gesù sostiene la fatica,
corrobora la passione per la città dell’uomo, consente di accettare il consumarsi e il morire del «fermento», inderogabile condizione per dare frutto.
È questo il significato autentico di una
vocazione riconosciuta dalla Chiesa a
partire dalla Provida Mater Ecclesia
e successivamente resa esplicita e apprezzata nella sua singolare novità dal
Magistero di Paolo VI, di Giovanni
Paolo II, che ha riconfermato ai membri degli Istituti Secolari una incoraggiante consegna:
«Voi siete per vocazione e per missione
al punto di incrocio tra l’iniziativa di
Dio e l’attesa della creazione: l’iniziativa di Dio, che portate al mondo
attraverso l’amore e l’intima unione
con Cristo; l’attesa della creazione,
che condividete nella condizione quotidiana e secolare dei vostri simili» (28
agosto 2000).
Negozio di pettinatrice a Torino
20
Un invito, questo, ad affrontare anche
le situazioni più di frontiera dell’esistenza cristiana, senza contrapporsi
agli altri doni presenti nella Chiesa,
ma piuttosto con l’impegno ad essere
«strumenti» del Regno, in semplicità
e verità, nella scelta di una presenza
capillare nella storia, apparentemente
anonima, ma in realtà molto esigente,
radicata nell’irrinunciabile assenso ai
valori cristiani, testimoniati e proclamati con passione e intelligenza.
«Essere al punto d’incrocio tra l’iniziativa di Dio e l’attesa della creazione»
comporta la tensione a farsi davvero carico delle situazioni umane, dei problemi ricorrenti, penetrando nella «massa»
e fermentandola dal di dentro, spesso
senza risultati «misurabili» e tuttavia
evangelicamente efficaci, perché affidati alla Sapienza, che viene dall’Alto.
Vi è dunque ancora una parola che i
membri degli Istituti Secolari possono
dire. E possono dirla con la sfida «a
diventare operatori di una nuova sintesi tra il massimo possibile di adesione
a Dio e il massimo possibile di partecipazione alle gioie e alle speranze,
alle angosce e ai dolori del mondo, per
volgerli verso il progetto di salvezza
che Dio Padre ci ha manifestato in
Cristo», come riaffermava Giovanni
Paolo II nel celebrare il 50° anniversario della Provida Mater.
È questa la «sfida» che le laiche e i laici
consacrati intendono vivere, dentro gli
accadimenti della storia, delle vicende
negative e positive, che si pongono
come interrogativi alla fede: qui ed ora,
in questo mondo e per questo mondo,
in questo tempo e per questo tempo,
superando la tentazione di sfuggirne gli
aspetti faticosi o crocifiggenti.
Questo con l’umiltà del «servo inutile»
(Lc 17,19), che tuttavia non rinuncia
a servire, nella consapevolezza che
«Deus autem incrementum dat» (1 Cor
3,6-9).
I membri degli Istituti Secolari ritrovano così, anche oggi, le ragioni fondative della secolarità consacrata: che,
paradossalmente, separa ed accomuna,
«mette a parte» per il Vangelo e rende
totalmente solidali con l’umanità del
proprio tempo. Senza paura, pur nella fragilità umana: perché nel Signore
Gesù c’è un Alleato formidabile.
È come se gli prestassimo la voce, la
parola: pronti a farci in disparte, quando Lui interviene direttamente.
La fiduciosa certezza di saperci oggetto
dell’iniziativa di una Misericordia, di
un’Alleanza, apre ad orizzonti nuovi,
senza tentare scorciatoie fallaci, per
intraprendere vie rigorose di ricerca;
senza supponenza e senza ostentazione
di un perbenismo spirituale.
Mescolati tra la folla, «nel mondo ma
non del mondo», cerchiamo di operare mediazioni e sintesi, consapevoli di quanto ci diceva Paolo VI: «Voi
camminate sul fianco di un piano inclinato, che tenta il passo alla facilità
della discesa e lo stimola alla fatica
dell’ascesa» (Discorso di Paolo VI al
primo Convegno degli Istituti Secolari, settembre 1970).
21
Sono tante le parole incoraggianti dei
Papi, tutte di sorprendente attualità.
È impossibile citarle tutte. Ne richiamiamo solo alcune. Il testo che, a mio
avviso, esplicita in modo particolare la
ricchezza e la peculiarità di questa vocazione è quello di Paolo VI:
«Voi siete ad una misteriosa confluenza
tra le due poderose correnti della vita
cristiana, accogliendo ricchezze dall‘una e dall‘altra. Siete laici consacrati
come tali dai sacramenti del battesimo
e della cresima, ma avete scelto di accentuare la vostra consacrazione a Dio
con la professione dei consigli evangelici, assunti come obblighi con un vincolo stabile e riconosciuto. Restate laici,
impegnati nei valori secolari propri e
peculiari del laicato (LG 3 1), ma la vostra è una «secolarità consacrata»…
Pur essendo “secolare”, la vostra
posizione in certo modo differisce da
quella dei semplici laici, in quanto
siete impegnati negli stessi valori del
mondo, ma come consacrati: cioè non
tanto per affermare l’intrinseca validità delle cose umane in se stesse, ma
per orientarle esplicitamente secondo
le beatitudini evangeliche; d’altra parte non siete religiosi, ma in certo modo
la vostra scelta conviene con quella dei
religiosi, perché la consacrazione che
avete fatto vi pone nel mondo come
testimoni della supremazia dei valori spirituali ed escatologici, cioè del
carattere assoluto della vostra carità
cristiana, la quale quanto più è grande
tanto più fa apparire relativi i valori
del mondo, mentre al tempo stesso ne
22
aiuta la retta attuazione da parte vostra e degli altri fratelli.
Nessuno dei due aspetti della vostra
fisionomia spirituale può essere sopravvalutato a scapito dell’altro. Ambedue sono coessenziali. “Secolarità”
indica la vostra inserzione nel mondo.
Essa però non significa soltanto una
posizione, una funzione, che coincide
col vivere nel mondo esercitando un
mestiere, una professione “secolare”.
Deve significare innanzitutto presa di
coscienza di essere nel mondo come
“luogo a voi proprio di responsabilità cristiana”. Essere nel mondo, cioè
essere impegnati nei valori secolari, è
il vostro modo di essere Chiesa e di
renderla presente, di salvarvi e di annunziare la salvezza. La vostra condizione esistenziale e sociologica diventa
vostra realtà teologica, è la vostra via
per realizzare e testimoniare la salvezza. Voi siete così un’ala avanzata della
Chiesa “nel mondo”; esprimete la volontà della Chiesa di essere nel mondo per plasmarlo e santificarlo “quasi
dall’interno a modo di fermento” (Lumen gentium, 31), compito, anch’esso,
affidato precipuamente al laicato. Siete una manifestazione particolarmente
concreta ed efficace di quello che la
Chiesa vuol fare per costruire il mondo
descritto ed auspicato dalla Gaudium
et spes» (Paolo VI, Discorso ai responsabili generali degli Istituti Secolari, 20
settembre 1972).
Gli ha fatto eco suasiva la parola di Benedetto XVI, nel discorso rivolto agli
Istituti Secolari nel 60° anniversario
della Provida Mater:
«Siete qui, oggi, per continuare a tracciare quel percorso iniziato sessant’anni fa, che vi vede sempre più appassionati portatori, in Cristo Gesù, del
senso del mondo e della storia. [....]
Viene così delineato con chiarezza il
cammino della vostra santificazione:
l’adesione oblativa al disegno salvifìco manifestato nella Parola rivelata,
la solidarietà con la storia, la ricerca
della volontà del Signore iscritta nelle vicende umane governate dalla sua
provvidenza [....]
Fa inoltre parte della missione secolare l’impegno per la costruzione di
una società che riconosca nei vari
ambiti la dignità della persona e i
valori irrinunciabili per la sua piena
realizzazione: dalla politica all’economia, dall’educazione all’impegno per
la salute pubblica, dalla gestione dei
servizi alla ricerca scientifica. Ogni
realtà propria e specifica vissuta dal
cristiano, il proprio lavoro e i propri
concreti interessi, pur conservando la
loro relativa consistenza, trovano il
loro fine ultimo nell’essere abbracciati dallo stesso scopo per cui il Figlio
di Dio è entrato nel mondo: sentitevi,
pertanto, chiamati in causa da ogni
dolore, da ogni ingiustizia. Così come
da ogni ricerca di verità, di bellezza
e di bontà, non perché abbiate la soluzione di tutti i problemi, ma perché
ogni circostanza in cui l’uomo vive e
muore costituisce per voi l’occasione
di testimoniare l’opera salvifica di Dio.
È questa la vostra missione».
Questo richiamo del Papa si può cogliere come un invito a «prendersi
cura», «avere a cuore», che è molto di
più della competenza. «Prendersi cura»
significa l’espansione più alta, più radicale, quindi più evangelica, dell’etica
della responsabilità.
Allora, qualunque attività si eserciti,
si può prendersi cura del mondo attraverso l’esercizio responsabile di ogni
professione, vivendo il dialogo, che
sconfessa ogni forma di individualismo
e di privatismo.
Questa vocazione si colloca in questa
consapevolezza: la totale dedicazione a
Dio non sottrae dalla storia, non esime
da una presenza operosa e dinamica
dentro di essa, dentro le maglie intri-
23
cate e complesse di una società, come
quella attuale, in cui domina la cultura dell’immagine, del consumismo,
dell’aggressività, dell’individualismo,
ma dove pure è forte il bisogno della
verità, della giustizia, della solidarietà,
della speranza.
Proprio qui, in questa operosa presenza, i membri degli Istituti Secolari intendono non sottrarsi al «rischio cristiano» di chi, leggendo i «segni dei
tempi» e il divenire dei fenomeni, accetta il divenire della storia, facendo
proprio il mistero dell’Incarnazione,
del Figlio di Dio che non ha disdegnato
di farsi uomo. Si tratta di un’esperienza che testimonia come l’essere avvinti
dal Signore Gesù fa amare il mondo,
ritrovando in esso la presenza di Dio.
Il rimando è sempre a un testo di Paolo
VI, il quale, dopo aver detto che «secolarità indica la vostra inserzione
nel mondo», soprattutto una «presa di
coscienza di essere nel mondo come
luogo a voi proprio di responsabilità
cristiana», aggiunge: «La vostra condizione esistenziale e sociologica diventa
vostra realtà teologica, è la vostra via
per realizzare e testimoniare la salvezza» (20 settembre 1972).
La profondità di questa affermazione
è stata ripresa e ribadita da Benedetto
XVI:
«A rendere il vostro inserimento nelle
vicende umane luogo teologico è, infatti, il mistero dell’Incarnazione».
È un modo esplicito e puntuale per riaffermare il compito dei laici nel mondo,
fortemente sottolineato dal Vaticano II.
24
Lo aveva affermato a chiare lettere anche
Giovanni Paolo II, il 2 febbraio 1997:
«La forma di vita degli Istituti Secolari oggi, più che mai, si mostra come
una provvidenziale ed efficace modalità di testimonianza evangelica nelle
circostanze determinate dall’odierna
condizione culturale e sociale nella
quale la Chiesa è chiamata a vivere e
ad esercitare la propria missione».
«Portatori umili e fieri della forza trasformante del Regno di Dio e testimoni coraggiosi e coerenti del compito e
della missione di evangelizzazione delle culture dei popoli, i membri degli
Istituti Secolari sono, nella storia, segno di una Chiesa amica degli uomini,
capace di offrire consolazione per ogni
genere di afflizione, pronta a sostenere
ogni vero progresso dell’umana convivenza, ma insieme intransigente contro ogni scelta di morte, di violenza,
di menzogna, di ingiustizia...
Segno e richiamo per i cristiani del
compito di prendersi cura, in nome di
Dio, di una creazione che rimane oggetto dell’amore e del compiacimento
del suo Creatore, anche se segnata dalla contraddizione della ribellione e del
peccato, e bisognosa di essere liberata
dalla corruzione e dalla morte...».
«La Chiesa oggi attende uomini e donne che siano capaci di una rinnovata
testimonianza del Vangelo e delle sue
esigenze radicali, stando dentro alla
condizione esistenziale della maggior
parte delle creature.
I membri degli Istituti Secolari sono
per vocazione e per missione al punto di incrocio tra l’iniziativa di Dio e
l’attesa della creazione […] (Con l’impegno) di operare la sintesi di fede e
vita, di Vangelo e di storia umana, di
integrare dedizione alla gloria di Dio
e incondizionata disponibilità a servire
la pienezza della vita dei fratelli e delle
sorelle in questo mondo.
Con l’impegno di assumersi con coraggio il rischio e la responsabilità
del discernimento epocale... in tempi
di grandi rivolgimenti culturali e sociali».
È indubitabile la puntualità di questi
interventi, che mettono in luce l’impegno operativo dei laici consacrati.
Di qui dunque la passione per il mondo, per la storia, accettando le sfide di
un tempo che ci interroga e che interroghiamo; cercando, con intelligenza e
sapienza, le risposte cristiane, con la
profonda consapevolezza che proprio
questa realtà, questi tempi, sono come
un libro da decifrare, da leggere, da
interpretare; senza restare neutrali; accettando forse l’impopolarità e l’emarginazione, diventando «soggetti» attivi
nella ricerca di risposte o di soluzioni,
che richiedono una forte responsabilità
e corresponsabilità.
È l’essere compagni di viaggio, nella
brevità o lunghezza del percorso, condividendo l’incertezza della strada, con
l’impegno del ricercatore umile, che
«si converte» al mondo (cioè si volge
Libreria a Bra
25
al mondo così com’è, come lo ama il
Signore), senza distogliere lo sguardo
da Dio.
Vorrei concludere mettendo in luce la
necessità di una «duplice conversione»:
1. «Convertirsi a Dio»: alla sua Parola, assimilata, «cullata», come cosa
preziosa di cui non si può fare a meno;
vivendo l’Eucaristia, per imparare ad
essere «pane spezzato e donato»…;
non abbandonando mai la dimensione
contemplativa, che è il tenere lo sguardo del cuore rivolto a Dio, al Figlio
Gesù Cristo, per essere come Lui «miti
e umili di cuore», capaci di perdono,
amanti di ogni persona, misericordiosi
verso tutti.
Al valico del Monte Bianco
26
2. «Convertirsi al mondo», nel senso
detto: perché il Regno venga, si realizzi, oggi.
Penso che le Fondatrici e i Fondatori
degli Istituti Secolari abbiano consegnato un carisma che, in quanto tale,
contiene in sé un dinamismo, da coltivare e vivere. Infatti, la vitalità di un
carisma è come un germe che si rinnova nel tempo, in un processo continuo
che ha il sapore della vita. Ed evolve
positivamente nella storia.
Solo così, mi pare, possiamo essere
compagni di viaggio delle sorelle e
dei fratelli del nostro tempo, leggendo
gli stessi cartelli indicatori, ma sapendo
che la Via è certa, perché Gesù ha detto: «Io sono la Via, la Verità, la Vita»
(Gv 14,6).
Essere figlie e figli del nostro tempo,
vivere lo spazio della storia e della
geografia che ci è dato, è imparare a
«sapere» che la nostra identità, ancora
oggi, è questa. E ci è data per «nutrire»
un pensiero cristiano forte nel contesto
delle molte ideologie.
Ogni fondatore o fondatrice ci direbbe
che il Gesù del vangelo sceglie, anche
oggi, di farsi prossimo di tutti i tipi di
umanità, senza emarginare alcuno.
È il compito o la missione, o la vocazione che è data a tutti i cristiani e,
particolarmente, a chi intende vivere la
vocazione agli Istituti Secolari.
Una vocazione attuale, proprio per
questo.
Presentazione del DVD
«Un cappuccino di frontiera»
Paolo Damosso
regista «Nova-T»
Vi ringrazio per essere qui, mi sento a
casa, in famiglia perché prima di tutto ho visto tanti Frati Cappuccini che
sono gli animatori, i proprietari di questa realtà che si chiama «Nova-T» la
quale vive da 28 anni questa esperienza, questa avventura nel mondo della
comunicazione. E dall’altro lato, le Sorelle che fanno parte di questa famiglia e che hanno sempre mostrato una
grande vicinanza ai Frati Cappuccini,
quindi, di conseguenza, anche a questa creatura dei Frati che è «Nova-T»:
centro di produzione, voce televisiva
dei Frati Cappuccini.
Ci tenevo a dire che mi sento a casa
e che quindi mi fa molto piacere presentare questo breve filmato che è un
ricordo di quello che è visivo di P.
Giuseppe Maria. Penso che adesso ci
sarà l’esigenza, dopo aver sentito tutte
queste parole, di vederlo.
Le Sorelle di «Santa Maria» hanno
sempre mostrato, da quando le conosco, una grande sensibilità al mondo
della comunicazione. Questa ansia di
comunicare nel mondo di oggi, anche
attraverso i mezzi di comunicazione, è
una cosa che ho sempre letto nei vostri cuori. Questo mi ha molto colpito,
perché è la mia stessa ansia che quo-
tidianamente ho ogni volta che, ogni
giorno, entro in «Nova-T» e col nostro
gruppo di lavoro ci interroghiamo su
come comunicare i valori condivisi.
Questo lavoro in qualche modo è stato
anche un po’ autogestito dalle Sorelle:
«Nova-T» è anche stata la vostra casa;
ve l’abbiamo aperta quando avete presentato la scrittura di questo progetto,
come era pensato, come ve lo eravate
immaginato. E qui ho scoperto che tra
le Sorelle ci sono delle registe, delle
colleghe vere e proprie che si sono sedute al tavolo di montaggio. Si sono
impegnate tanto per questo lavoro. Noi
abbiamo fatto una sorta di supervisione,
ci siamo confrontati su come affrontare
le tematiche che potevano abbracciare questo percorso visivo che è fatto
da due cose fondamentali: un viaggio
di testimonianze che io personalmente
avevo raccolto non molto tempo fa, su
volontà delle Sorelle di «Santa Maria»,
le quali mi avevano chiesto di raccogliere tutta una serie di testimonianze
di chi aveva ancora conosciuto P. Giuseppe Maria. E quindi mi ero messo
in viaggio.
Le devo anche ringraziare perché queste testimonianze sono diventate particolarmente preziose, anche per diversi
27
motivi. Ne cito uno che ho molto a
cuore: vedrete che anche qui sarà presente P. Cesare Vittonatto che è una
figura storica per i Cappuccini e, grazie
alle Sorelle di «Santa Maria» ho potuto
fare una lunga chiacchierata con lui il
quale ha detto delle cose molto interessanti del vostro Istituto.
E poi c’è il vostro repertorio, molto
grande: repertorio audio, repertorio video; perché questa tensione alla comunicazione fa parte della vostra storia.
Abbiamo messo insieme questi due
elementi in questo lavoro: l’unione tra
queste testimonianze e il grandissimo
repertorio di immagini, molto prezioso.
Non solo immagini del Padre ma di
tutto lo sviluppo delle vostre iniziative
in questi decenni fanno parte di questo
lavoro.
La tensione della comunicazione. Qui
ci tengo ancora a fare una riflessione:
A San Marino
28
abbiamo in comune questa cosa e devo
dire che efficacemente voi vi siete così
lanciate in questo mondo della comunicazione e della pubblicità. Parlo in
particolar modo della «Associazione
InformaCristo». Quando io parlo della
vostra esperienza a persone che non
vi conoscono come nome ufficiale, io
dico sempre: hai presente quei cartelli
con la scritta grande: «Dio» cancellata?
Ah, sì ho presente! Ecco, sono loro.
Non mi è mai capitato che ci fosse una
persona che mi dicesse: non l’ho presente. Sto parlando chiaramente dell’ambito del nostro Piemonte, ma non
solo. Direi che ad alcuni era arrivata
anche oltre questi confini. Sicuramente
nelle nostre comunità non c’è nessuno
vicino o lontano al nostro mondo che
non abbia presente questa che secondo
me è un griffe, è una vostra firma che è
frutto di una intuizione. Una intuizione
profetica di P. Giuseppe
Maria che aveva intuito,
potremmo dire, usando un
termine un po’ consunto,
in tempi non sospetti, che
la pubblicità sarebbe stata un elemento dominante di questa società. L’ha
intuito quando la pubblicità era ancora garbata,
quando la pubblicità era
ancora in punta di piedi, quando la pubblicità
era ancora «Carosello»,
insomma, quando aveva una sua umanità. Ma
aveva intuito che buttar-
si in quel mondo era una cosa su cui
riflettere perché effettivamente aveva
previsto, in qualche misura, che la
pubblicità sarebbe stata poi la vera e
propria fonte di dominio della comunicazione.
Da un lato una grande intuizione: la
pubblicità sarà il centro, il cuore, il motore della comunicazione. E questa è
una grandissima cosa. Però questa comunicazione è in continuo evolversi e
bisogna aggiornarsi costantemente, bisogna camminare con strumenti nuovi.
E qui mi riaggancio anche ad alcune
provocazioni di P. Stefano nella sua relazione perché voglio ancora ricordarvi
una piccola cosa che effettivamente è
simbolica di un mondo che cambia.
La frase famosissima di P. Giuseppe
Maria che spesso è citata in merito è:
«Lanciare Dio come si lancia una saponetta». In questa frase c’è l’intuizione
che bisogna in qualche modo entrare
nel mondo della pubblicità. Questo è
vero, però è vero anche che se negli
anni in cui lui ha avuto questa intuizione uno dei prodotti merceologici più
importanti che veniva reclamizzato era
proprio l’oggetto saponetta, oggi, nel
2010, sostanzialmente questo oggetto
non è più reclamizzato. Se ci fate caso,
l’oggetto merceologico saponetta non
c’è più. E non è solo una considerazione banale, ma è secondo me un indicatore. La saponetta si è trasformata in
saponi liquidi, saponi in mille versioni.
Se ai nostri figli chiediamo della saponetta, è quasi un oggetto misterioso,
almeno per alcuni.
Questo vuol dire che non soltanto
l’oggetto merceologico si trasforma,
ma anche i mezzi con cui si racconta.
La pubblicità oggi, non soltanto perché non c’è più la saponetta, non è più
quella di «Carosello» ed è vissuta nelle
forme più diverse; non è sicuramente quella garbata che diceva: scusate,
vorrei dirvi una cosa… Adesso questo
garbo è sparito.
C’è la violenza della comunicazione e
in mille modi: internet, telefonini con
sms di pubblicità. Tutto questo non
c’era all’epoca del Padre. Secondo me
la cosa fondamentale che vedo negli
occhi, nel cuore delle Sorelle è questa
curiosità di capire questi nuovi strumenti, di cavalcarli e di interpretarli
in qualche modo.
Penso che questo sia fondamentale. In
questi giorni è uscita la nuova campagna di «InformaCristo» e molte di
voi l’avranno vista nelle vie della città. Il mio invito è questo: proseguire
sicuramente con alcune cose consolidate che sono segno di una continuità
con la volontà del P. Giuseppe Maria,
però cercare di interrogarsi, come io
mi interrogo nel mondo della comunicazione visiva e televisiva, a come
aggiornarsi, a come manipolare, come
maneggiare, come – uso un termine
che non è negativo – contaminarsi nel
modo più fattivo e anche più utile per
proporre i valori condivisi.
E con questo chiudo, vi auguro buona visione; penso che a questo punto
vogliamo davvero vedere le immagini
che riguardano il Padre, grazie!
29
Padre Giuseppe Maria:
un fondatore per i tempi nuovi
Renza Guglielmetti
I.S. «Santa Maria degli Angeli»
I. Padre Giuseppe Maria, fondatore
dalle idee di frontiera
P. Giuseppe Maria si può definire “di
frontiera” per due aspetti che sono
entrambi fortemente legati con il suo
carisma di fondatore dell’Istituto secolare «Santa Maria degli Angeli»: 1. la
sua idea di consacrazione femminile;
2. l’uso della tecnica pubblicitaria per
la missione tra i lontani dalla fede.
1 - La sua idea di consacrazione
femminile
Santa Maria è un Istituto che, come
ogni altro, è sorto in un determinato contesto storico-culturale e il cui
carisma di fondazione è pienamente
comprensibile a partire dalla situazione dell’immediato
dopoguerra. Siamo nel 1945
quando la questione della consacrazione laicale era
ancora in fase di stallo (si
sarebbe sbloccata due anni
dopo con la Provida Mater
Ecclesia).
La domanda è: per il Padre
Giuseppe Maria che genere
di consacrazione femminile
era quella adatta al momen30
to storico che egli stava vivendo? Che
idea si andava facendo in quegli anni
a partire dall’esperienza maturata attraverso i suoi numerosi contatti con
varie congregazioni di suore sia di
clausura che di vita attiva mediante la
predicazioni di ritiri, esercizi spirituali,
accompagnamento spirituale, ecc.? Conosceva bene quel mondo e lo stimava.
Molte vocazioni alla vita religiosa sono
fiorite con il suo aiuto e la sua guida.
Tuttavia sentiva che le forme tradizionali non erano più sufficienti ai tempi
nuovi. Stava emergendo il fenomeno
dell’affievolimento della fede, soprattutto nei grandi centri urbani e il Padre sentì l’ispirazione di formare delle persone che potessero raggiungere
ogni ambiente e lì diventare presenza
di testimonianza e, secondo opportunità, di evangelizzazione. Queste persone dovevano essere sì consacrate ma
mantenere uno stile di vita tipicamente laicale, senza distinzione di abito,
esercitando comuni attività lavorative
e impegnandosi nell’apostolato, con
una attenzione particolare al fenomeno dell’ateismo, della non credenza,
dei cosiddetti “lontani”.
Il P. Giuseppe era certo a conoscenza dell’esperienza di Padre Gemelli e
degli altri movimenti simili. Tuttavia,
questo progetto con queste caratteristiche, in quel preciso momento storico e
in quell’ambiente poteva essere considerato un qualcosa di inedito, un’idea
di frontiera, considerato in particolare
il tipo di missione a cui le consacrate
avrebbero dovuto dedicarsi.
Per la realizzazione poté contare sulla
collaborazione di Santina Lancia, insegnante di stenografia, che divenne la
prima responsabile del nascente Istituto. Con lei un primo gruppo di sorelle
iniziò così un’autentica avventura di
fede a Sant’Orso di Piasco il 2 agosto
1945, in vita fraterna; nel 1950 si unirono altre sorelle desiderose di vivere
il medesimo ideale di consacrazione
a Dio e di apostolato ma scegliendo
di restare in famiglia o di vivere per
conto proprio. Un fatto questo che già
rispecchiava le diverse modalità di vita
approvate poi dal Codice di Diritto Canonico del 1984, rispettando il cammino di pluriformità vissuto nel frattempo
dai diversi Istituti secolari.
2 - Il DNA di «Santa Maria»
P. Giuseppe, in quanto fondatore, ha
impresso all’istituto alcune caratteristiche di fondo che ne esprimono il
carisma: la secolarità, il primato della
vita spirituale, la spiritualità francescana, la missione tra coloro che si sono
allontanati dalla fede.
2.1 - La secolarità
Come già accennato, nel primo dopoguerra comincia a diventar palese quella disaffezione per la fede cristiana che
dal dopoguerra diventerà un fenomeno
in progressiva espansione, soprattutto
tra le giovani generazioni. Come incontrare questa gioventù e parlare loro
di Cristo? Ecco il tormento del Padre.
Ogni volta che va a celebrare la Messa
a Sant’Antonio di Piasco, affidata in
Santina Lancia
31
quegli anni alla cura dei Cappuccini,
deve passare accanto a una fabbrica di
tessuti, la Wild, dove vi lavorano parecchie ragazze della zona. Ogni volta
che il Padre vi passa davanti, ferma
la bicicletta, mormora una preghiera e
pensa: «Dobbiamo entrare nella fabbrica!» Teniamo conto che lui stesso
aveva fatto una breve esperienza di
lavoro in fabbrica prima di entrare in
convento.
Ma chi avrebbe la possibilità di condividere la stessa esperienza di lavoro,
di durezza, di sacrificio per guadagnarsi da vivere e nello stesso tempo avere
l’opportunità di spendere una parola di
aiuto, di incoraggiamento, di raccogliere
una confidenza, un’amarezza? Non lo
potrebbe un Cappuccino e neppure una
suora. Solo una ragazza «come loro».
Una motivazione che sarebbe comparsa due anni dopo nel testo della «Provida Mater» quando al n. 10 si parla
dell’utilità degli Istituti secolari per
l’esercizio di un apostolato multiforme
e per svolgere altri ministeri in luoghi,
tempi e circostanze in cui i Sacerdoti e
i Religiosi o non potrebbero esercitarli
affatto o molto difficilmente.
La fabbrica è stato infatti l’ambiente di
lavoro in cui si sono inserite le sorelle
per almeno i primi vent’anni.
2.2 - Il primato della vita spirituale:
contemplative nel «groviglio della vita
moderna»
Scriveva il Padre nel 1963, presentando le prime Costituzioni: «Ecco il
perché fondamentale di «Santa Maria»:
“Questa è la vita che conoscano Te
solo”. L’Istituto risponde così alla necessità sentita dalla Chiesa di portare
dei contemplativi sui passaggi obbligati delle masse. Dobbiamo credere alla
chiamata alla contemplazione pur nel
groviglio di una vita moderna».
E prosegue: la sorella di «Santa Maria»
dovrà essere «contemplativa come la
trappista, la benedettina, la carmelitana, la cappuccina... ma parlare di Cristo dove non se ne parla mai... nella
scuola, nell’ufficio, nel commercio,
nella lotta sindacale e politica...»
Sembra un contrasto
parlare di vocazione
contemplativa e di
groviglio della vita
moderna. Eppure il
Padre è convinto che
per la sorella di Santa
Maria la contemplazione può, anzi deve
essere vissuta nell’ordinarietà
della vita, in
In Germania con le operaie della ditta Ferrero
32
una piena immersione nelle realtà di
questo mondo. Anzi, precisa meglio
il suo pensiero quando afferma che
condizione necessaria per la contemplazione è l’impegno quotidiano nel
proprio ambiente con le sue lotte, le
sue durezze, le sue tentazioni.
Lui stesso ne dà l’esempio. Per un verso egli è il Cappuccino dalla preghiera
lunga, fedele, profonda, costante. Colui
che nell’esempio e nella predicazione
sa trasfondere il gusto, l’amore, il desiderio forte per la vita interiore, per
«l’a tu a tu con Dio», per i tempi di
silenzio dove il Signore si fa presente
ed avvolgente. Per altro verso il Padre
affronta ritmi sostenuti di lavoro, dovuti sia ai suoi impegni nell’Istituto, sia
alla sua attività di scrittore (fascicoletti e dépliants) per l’informazione sulla
fede; tutta questa operosità sarà anche
la causa della malattia che lo consumerà fino alla morte.
Il cammino verso la santificazione, vocazione di ogni cristiano, passa attraverso il dono incondizionato di sé.
2.3 - La spiritualità francescana
Don Maurino, parroco di Piasco ai tempi della fondazione, durante una visita
all’Istituto aveva paragonato il Padre,
in quanto fondatore, al «discepolo del
regno» il quale «è simile a un padrone
di casa che estrae dal suo tesoro cose
nuove e cose antiche (Mt 13,52).
Tra le cose “vecchie” da vivere in
modo nuovo c’è senz’altro quell’anima francescana in cui «Santa Maria»
ha mosso i primi passi ed è stata fatta
crescere configurandosi come un virgulto della grande famiglia del Santo
di Assisi.
Padre Giuseppe Maria, francescano
Cappuccino, era imbevuto, come diceva lui, di “cappuccineria” ed è logico
comprendere come di questo sapore
abbia impregnato anche l’Istituto ed
abbia voluto affidarlo alla cura spirituale dei Cappuccini.
2.4 - La sua idea originale di evangelizzazione: far pubblicità a Dio
Sempre nel 1963 il Padre scriveva: «Anche l’Italia, la Francia, la Germania, gli
Stati Uniti, sono terra di missione».
Qui emerge il secondo aspetto del
Padre per cui può essere definito “di
frontiera”, frutto di una vera passione
apostolica e dove ha speso fino in fon33
do tutto se stesso: l’informazione sulla
fede. La condizione di chi non crede era
il suo assillo quotidiano: «Mi butterò
sempre più nell’informazione perché è
il mio ministero, senza badare a niente,
né alla salute né ad altro. Informare,
informare, informare per la più grande
carità: il pane della fede». Per lui la
prima, più importante forma di carità
era quella verso i poveri di fede.
Insisteva: «Bisogna dire a tutti che Dio
c’è». La gente non viene in chiesa?
Ebbene, si parlerà di Dio dove tutti
passano e proprio là dove nessuno si
sognerebbe di parlarne.
Il Padre ha intuito che per raggiungere l’uomo d’oggi, sempre di fretta e
sovraccarico di mille preoccupazioni e
problemi, bombardato dalla pubblicità
e dai media, occorrevano messaggi rapidi che risvegliassero la domanda su
Dio, su Cristo, sul senso della vita, sul
destino umano. E questi messaggi non
dovevano essere lanciati in chiesa dove
molta gente risultava ormai introvabile
Il gruppo esperti di InformaCristo
34
ma per le strade, nei negozi, dove la
gente quotidianamente vive, lavora, si
diverte.
In collaborazione con un gruppo di
sorelle dell’Istituto che si occupavano
dell’aspetto grafico ed editoriale sono
nati così prima i giornali murali, ispirati da fatti di cronaca e fatti interamente
a mano, poi i cartelloni e, successivamente, i manifesti. Questa pubblicità
doveva essere «rapida, mordente, intelligente», capace di fermare il passante
frettoloso e indurlo a pensare.
I messaggi dei manifesti venivano da
lui ripresi in dépliant dove l’argomento
era sviluppato in quattro paginette con
alcune informazioni e piste di riflessione, scritte con il suo caratteristico
stile portato alla sintesi, alla battuta,
alla risposta rapida.
Si dedicò poi a comporre opuscoli sui
fondamenti del cristianesimo dove in
poche decine di pagine aveva concentrato i grandi temi dell’esistenza di Dio,
della storicità e divinità di Cristo, del
male e della sofferenza,
del perché della Chiesa.
Voleva che tutti i tipi di
stampati fossero distribuiti in modo assolutamente
gratuito «perché – diceva
– il pane della fede non si
fa pagare».
L’obiettivo del Padre non
era certo quello di operare conversioni attraverso
un manifesto o un ragionamento quanto piuttosto
nel cercare di risvegliare
il bisogno di Dio, di provocare la riflessione sul senso della vita e sul suo
futuro, informare sui contenuti essenziali della fede. Si trattava né più né
meno di creare occasioni di riflessione,
nell’assoluto rispetto per l’agire di Dio
e della libertà delle persone.
È qui importante sottolineare che, pur
desiderando che «tutti i mezzi siano
usati, sperimentati, inventati per una
sempre più ardente e precisa tecnica
pubblicitaria su Gesù», tuttavia egli è
sempre rimasto profondamente convinto che in questa missione «il 5%
è tecnica ma il 95% è grazia» e che
«i lontani si aiutano con la parola dell’informazione ma si salvano con le
ginocchia». E poiché i lontani si incontrano in quelli
che il Padre chiamava i passaggi obbligati come la strada, il negozio, il bar,
il ristorante, l’ambiente turistico, qui si
rivela un’altra delle sue idee geniali: i
crocicchi. Un «crocicchio» è un luogo
dove si incrociano
le persone, dove si è obbligati a passare
e dove il passaggio
della gente è consistente e veloce.
I crocicchi sono nati
intorno agli anni ’70:
attività commerciali
(bar, ristoranti, copisterie, librerie, acconciature, pensionati per studentesse)
che in parte conti«L’angolo di
nuano ancora oggi, gestite da gruppi
di sorelle di «Santa Maria». Lo scopo
era da una parte garantire la fisionomia
secolare delle consacrate e la loro testimonianza di fede dentro le strutture
della odierna società, senza sconti per
quel che riguarda problemi e precarietà di ogni genere. Dall’altra, aprire
concrete possibilità di apostolato tra la
gente in modo esplicito se pur discreto
mediante l’allestimento dell’angolo di
Cristo, posto nel punto migliore, più
visibile del locale, dove da una bacheca si affacciano il manifesto, i dépliant
e gli opuscoli. Stanno lì a interpellare
i clienti nel tentativo di provocare, di
risvegliare coscienze sopite. Anche un
gesto, una parola di rifiuto per il Padre
era un segnale positivo: significava che
il messaggio in qualche modo aveva
toccato la persona.
Cristo» in un crocicchio di Torino
35
L’Associazione Informazioni su Cristo
Per gestire l’attività di informazione
sulla fede, il Padre ritenne opportuna la
creazione di un organismo a sé stante,
distinto dall’Istituto secolare ma che, in
sostanza costituisce la modalità operativa della missione specifica dell’Istituto. Nacque nel 1974 l’Associazione Informazioni su Cristo di cui il Padre fu
il presidente e l’instancabile animatore
finché la salute glielo permise. Oltre ai
crocicchi, il Padre pensò alle vetrinette
pubblicitarie delle strade per diffondere
questi messaggi.
Ancora lui vivente cominciarono ad affiancarsi dei collaboratori che, convinti
di questa missione, davano una mano
a creare e diffondere i messaggi. Una
realtà, quella dei Collaboratori dell’Associazione che continua: alcuni aiutano
con la propria competenza professionale, altri con l’entusiasmo di trovare
nuovi “punti-luce” ove collocare manifesti e dépliant.
Iniziava pure, lui vivente, l’attività dei
Centri di ascolto, prima a Torino poi a
Genova e Cuneo, con la possibilità del
dialogo personale.
II - Il percorso dell’Istituto
1. Un cammino di attualizzazione: le
nuove Costituzioni del 2005
Tutti questi “ingredienti” fanno di
«Santa Maria» un Istituto che ha una
sua propria fisionomia perché così è
stata pensata e voluta dal fondatore e
così è stata approvata dalla Chiesa. Lo
36
stile di vita, la spiritualità e la missione
di un Istituto non sono mai riducibili a
quelli di un altro, tentare di farlo significherebbe la dissoluzione del carisma.
Tuttavia, un carisma cammina nella
storia e con la storia. Il Padre stesso
ha sviluppato l’idea primigenia, intuita
nel ’45, realizzata in una certa forma
con il primo gruppo di sorelle e poi
fatta evolvere a seconda delle esigenze
dei tempi e del presentarsi di determinati eventi.
Se alcuni elementi caratterizzanti una
forma di consacrazione diversa dalla
tradizione furono presenti da subito, es.
l’assenza di un abito particolare, lavoro
e apostolato tipico es. di una ragazza di
Azione Cattolica, altri, come l’amministrazione dei beni, vennero a realizzarsi
via via che l’Istituto vedeva come appropriata alla propria fisionomia la collocazione tra gli Istituti secolari. La nascita
del gruppo di sorelle viventi in famiglia
è stato uno dei primi evidenti segnali.
È da sottolineare qui la preoccupazione costante del Padre affinché la
consacrazione secolare non diventasse
una consacrazione “debole”, una donazione non totalitaria, a motivo di una
libertà mal intesa che si trasforma in
individualismo, assenza di confronto o di qualsiasi legame. Per questo
motivo voleva che il dono di sé fosse
autenticato attraverso un concetto di
obbedienza dove la mediazione delle
Responsabili dell’Istituto veniva considerata un elemento determinante.
L’Istituto ha rinnovato le Costituzioni
già due volte dopo il primo testo scritto
dallo stesso fondatore e approvato nel
1963, quando «Santa Maria» fu eretta
a Istituto secolare di diritto diocesano.
E ogni volta ciò è stato fatto per far
vivere il carisma in un mondo in continuo cambiamento.
Le Costituzioni attuali, approvate nel
2005, vogliono venire incontro alla mutata sensibilità del tempo presente e ai
suoi nuovi linguaggi, in particolare per
quanto concerne il modo di proporre il
Vangelo all’uomo d’oggi che oscilla tra
indifferenza religiosa e nuovi ateismi;
attente a suggerire comportamenti che
oggi possano essere letti come autentica testimonianza evangelica.
Anche gli strumenti per l’annuncio del
Vangelo hanno vissuto e vivono tuttora
un’evoluzione. Oggi, in un tempo di
multimedialità, l’Associazione InformaCristo ai messaggi cartacei affianca
altri strumenti: cicli di conferenze a
partire da temi attuali, mostre itineranti sulle origini cristiane, spot, brevi
video da lanciare tramite TV, internet e le vetrine, spot pubblicitari che
usano nuove tecnologie. Sia l’Istituto
che l’Associazione sono ormai in rete
con un proprio sito e ci si è affacciati anche in Facebook. Oggi il mondo
della comunicazione, con il crescere e
l’evolversi dei media, apre molteplici
possibilità a questa missione.
2. Il Gruppo Amici di Santa Maria
Una realtà nuova, di tutto rilievo,
emersa in anni recenti riguarda la nascita dell’Associazione Amici di Santa
Maria degli Angeli. Essa ha visto l’inizio nel 2006 e si sta ben sviluppando.
Come già accade in molti altri Istituti,
anche qui si tratta di persone sposate
o no che vogliono condividere con noi
spiritualità e missione. Alcuni di loro
Il Gruppo Amici di Santa Maria
37
collaborano alle nostre iniziative di
apostolato con entusiasmo e convinzione. Qui c’è davvero qualcosa che sta
crescendo con buone prospettive.
3. Interrogativi per una fedeltà al carisma nei mutevoli scenari di questo
tempo
Oggi il mondo è molto cambiato anche
solo rispetto a vent’anni fa. Per es. i
giovani di oggi – è stato scritto di recente – non hanno più “antenne” per
Dio, per la fede e per la Chiesa. Sono figli di una cultura, la post-modernità, che
è divenuta estranea al cristianesimo.
Ora, sappiamo che un carisma vive
quando è in grado di affrontare le nuove domande che la storia pone. Non per
nulla in Vita Consecrata si parla in proposito di fedeltà creativa (VC, 37).
Una prima questione si pone: come intercettare il bisogno di Dio che affonda
pur sempre nel cuore umano e che fatica ad emergere poiché oggi sentiamo la
mancanza di una rinnovata inculturazione della fede? Credo si debba partire da
quel mosaico di inquietanti interrogativi
sul futuro, sul senso della vita, sul destino del mondo che sono resi ancor più
acuti dall’attuale clima di incertezza e
insicurezza che investe il mondo di oggi
e proporre dei cammini ove sia possibile comunicare la bellezza e la portata
innovativa del Vangelo. Questo, comunque, è un cantiere aperto.
Una seconda domanda: come una laica
consacrata deve stare nel mondo che
«Dio ha tanto amato da dare il Figlio
unigenito» (Gv 3,16)? In obbedienza
38
al Vangelo, la vocazione-missione di
«Santa Maria» chiama ogni sorella a
rimanere in sua compagnia, in atteggiamento di simpatia e di solidarietà,
ricordando che come laica consacrata
ha il compito di animare cristianamente
le realtà di questo mondo, di costruire
la «città dell’uomo a misura d’uomo»,
secondo un’espressione molto cara a
Giuseppe Lazzati. Si amano le realtà
umane, quelle che sono per il bene dell’uomo, perché sono segno dell’amore
di Dio, inizio del suo Regno.
Da molti anni l’Istituto ha vissuto e
vive tuttora l’esperienza dei «crocicchi». Sono un’opportunità, un’occasione per coloro che non cercano Dio ma
non sanno che Dio non ha mai smesso
di cercarli. Il «crocicchio», così come
il manifesto che parla di Dio, possono
essere lo strumento per un incontro, un
incontro decisivo per la loro vita. Di
fatto, di questi incontri ne accadono
veramente.
La domanda che oggi si pone è: quale futuro per essi? È una realtà con i
suoi contorni precisi e originali che
il Padre ha ideato e potrà proseguire
finché la Provvidenza ne darà la possibilità, anche cambiando la tipologia
delle attività.
Occorre comunque ricordare che c’è
il «crocicchio» formale ma c’è quello
informale perché lo spirito del «crocicchio» è vivibile ovunque: ovunque la
testimonianza di fede di una sorella di
«Santa Maria» è vissuta in un incontro
tra persone, nella ferma fiducia che lì
lo Spirito è all’opera. Grazie.
Lettere di amicizia
in occasione del Convegno
Roma, 14 ottobre 2010
Gentilissima Sorella Marisa Giai, il Signore doni pace.
Ringrazio di cuore Lei e le sorelle per l’invito a partecipare al Convegno
che ricorda a vent’anni dalla morte il confratello fr. Giuseppe M. Borgia,
Fondatore del vostro Istituto.
Le devo comunicare che mi sarà impossibile essere presente di persona perché
impegnato nella partecipazione al Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente.
Desidero attraverso di Lei far pervenire il mio saluto ai relatori e ai partecipanti. Per tutti assicuro la mia preghiera ed il mio ricordo nel Signore.
Il Padre Buono benedica Lei e tutte le sorelle che con fedeltà e ardore testimoniano nel mondo la Carità di Cristo.
Fraternamente
Fr. Mauro Jöhri, Ministro generale, ofmcap
14 ottobre 2010
Care Sorelle di Santa Maria,
ho ricevuto il vostro gentile invito a partecipare al Convegno commemorativo
del caro Padre Giuseppe il 23 prossimo a Saluzzo. Purtroppo non potrò essere
presente perché impegnato a Vercelli per una celebrazione. Mi unisco volentieri
spiritualmente, sempre ricordandovi con affetto. Vi benedico di cuore tutte.
Sebastiano Dho, Vescovo emerito di Alba
Carissime,
non ci è possibile partecipare di persona ma ci uniamo in spirito ai lavori
del vostro Convegno in occasione dei vent’anni di vita in Cielo di Padre
Giuseppe. Il Signore arricchisce la sua Chiesa di tanti doni, ognuno con la
sua bellezza e preziosità: ringraziamolo!
P. Andrea,
segretario della Congregazione dell’Oratorio di S. Filippo Neri, Genova
39
Gentile, cara Sorella Marisa,
Pace e Bene!
Ho ricevuto con sorpresa la tua lettera del 4 c.m.: mi ha portato gioia, sofferenza e speranza.
Gioia per il ricordo così ancora vivo dell’amato carissimo padre Giuseppe
Maria Borgia a vent’anni dalla sua morte; sofferenza per non aver potuto
accogliere l’invito al Convegno del 23 ottobre, in quanto convalescente per
un intervento chirurgico dal quale mi sto rimettendo; speranza perché il vostro Istituto continua con la vivacità di sempre, impressagli dal carissimo
confratello.
Naturalmente mi sono unito spiritualmente alla vostra preghiera e ho richiamato alla mia memoria momenti di incontro, in particolare per esercizi spirituali animati dal padre anche alle nostre comunità cappuccine.
Immagino che saranno raccolti i testi dei vari interventi al Convegno e ho la
fiducia di poterne avere copia.
Ti ringrazio vivamente per avermi ricordato, perché anche in me è sempre
vivo l’affettuoso interesse per voi, per il vostro cammino ecclesiale e spirituale.
Spero che ci possano essere altre occasioni per vederci e conversare insieme
sulle meraviglie che il Signore va operando in voi e attraverso di voi.
Saluto te e tutte le sorelle dell’Istituto, mentre vi assicuro il mio ricordo nella
preghiera e chiedo, fraternamente, il vostro.
Con un fraterno abbraccio e una cordiale Benedizione.
Aff.mo
P. Flavio Roberto Carraro, Vescovo
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