Safe Social Media
Focus group di esperti e parti interessate
26 maggio 2011 c/o Associazione Davide.it
Durata: h. 15.00 – 17.45
Partecipanti:
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Italo Losero – Esperto di contenuti educativi e multimediali, genitore
Vittorio Pasteris – Giornalista esperto di nuovi media, docente universitario
Sergio Chiarla - Esperto uso sicuro di Internet, docente universitario
Manuela Comoglio – Educatrice, esperta di attività educative rivolte ai ragazzi
Marco Frattini – Genitore di famiglia numerosa
Michele Botta – Operatore nel settore ICT, genitore, organizzatore di attività di
sensibilizzazione nelle scuole
Marco Rebecchi – Studente, 18 anni
Valentino Valente – Grafico, 21 anni
Ida Petrone – Insegnante di scuola secondaria di primo grado.
Moderatore: Laura Rolle, docente di Semiotica, Università degli studi di Torino.
Assistente: Francesca Ranni, esperta di comunicazione.
Trascrizione:
Francesca Ranni (ass.): Buon giorno a tutti, vi ringrazio per essere qui, vi dò il
benvenuto. Per chi non mi conosce, sono Francesca Ranni e lavoro per l’associazione
Davide.it nell’area comunicazione, vi farò una breve introduzione sul progetto per
capire appunto perché siete qui, e perché abbiamo chiesto la vostra collaborazione e
un po’ del vostro tempo. Poi, invece Laura Rolle si presenterà un attimo, farà
presentare voi sarà poi lei a condurre, con il mio aiuto, questo focus group. Il progetto
a cui stiamo partecipando si chiama Safe Social Media, ed è un progetto biennale che
è partito questo gennaio e durerà per due anni, finanziato dalla Unione Europea
nell’ambito DaphneIII che, per chi non è tanto avvezzo ai programmi europei, è un
programma che finanzia tutta una serie molto ampia di prevenzione e lotta alla
violenza di diverso tipo, noi in particolare ci inseriamo in una direttiva che riguarda più
l’uso dei media e in particolare abbiamo presentato questo progetto, che è un
progetto educativo in patnership con Intermedia Consulting che è di Roma e Cece che
è una confederazione di scuole, che rappresenta tutta una serie di scuole sul territorio
spagnolo, e quindi questo intervento educativo verrà fatto su due paesi in Italia e in
Spagna, mira a coinvolgere venticinque scuole in Italia e venticinque in Spagna con
diverse attività che nel frattempo verranno sviluppate e che si basano, su una parte
iniziale, che abbiamo già avviato di questo progetto che in sostanza è una ricerca
quantitativa e poi qualitativa che ci servirà anche per monitorare, che cosa stiamo
facendo e i risultati che poi si spera di ottenere alla fine, da queste attività nelle
scuole. Quindi c’è stata una prima parte di elaborazione soprattutto da parte di questo
nostro patner di Roma, intermedia, abbiamo avviato una serie di raccolte di buone di
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Safe Social Media – www.safesocialmedia.eu
Progetto di sensibilizzazione all'uso sicuro e consapevole dei social media
Associazione Davide.it Onlus Via Emilia, 1 – 10078 Venaria Reale (TO) – tel.0114530900 – www.davide.it
pratiche perché in questo campo è stato fatto già molto in passato, anche e non solo
in Italia ma un po’ in tutta Europa e non potevamo ignorare ciò che era stato fatto, per
vedere come potevamo fare una cosa anche migliore. Ovviamente cerchiamo di
valutare che cosa è andato bene e che cosa invece non ha funzionato e cerchiamo
appunto di migliorare. In particolare a questo punto siamo arrivati ad aver iniziato ad
elaborare un questionario che verrà somministrato ai ragazzi, nelle scuole, sia prima
che dopo l’intervento educativo, e in particolare in questa fase del progetto abbiamo
pensato di coinvolgere voi e più in generale verrà attivato un focus group on line per
poter coinvolgere persone che vivono un po’ più distante e quindi ci veniva complicato
portare qui a Torino e quindi coinvolgere le parti interessate per vedere un po’ le
aspettative e anche un po’ le opinioni, che hanno in merito a questo progetto che
stiamo portando avanti. Perché ci pareva appunto interessante tentare di fare questo
programma educativo in maniera un po’ partecipata, coinvolgendo le parti interessate,
che sono sì i ragazzi, perché il target a cui ci riferiamo sono i ragazzi dai dieci ai sedici
anni, ma sono anche i loro genitori, i loro insegnanti e le persone che vivono nella
comunità dei ragazzi e per questo che abbiamo pensato di attivare questi focus group.
Possiamo dire che , abbiamo appena messo on line un sito web, troverete tutti i
riferimenti in quella busta lì, che chi va via prima pregherei poi di prendere, dove c’è
un piccolo omaggio per ringraziarvi, ma soprattutto c’è una lettera in cui vi
spieghiamo un po’ i nostri contatti e questo sito dove potrete trovare ovviamente
maggiori informazioni sul progetto e poi man mano anche i risultati che abbiamo
ottenuto sia dalla giornata di oggi, sia man mano col focus group on line . E’ un sito
web che comunque ha l’obiettivo di seguire il progetto passo passo, per tenere
informati tutti gli interessati.
Laura Rolle (mod.): E’ importante capire entro quale cornice, si collocano poi le cose
che ci raccontate, come vengono utilizzati i dati, perché se uno restituisce qualcosa,
vuol anche sapere dove va a finire, che di cosa se ne fa, giustamente. Io invece, sono
in veste di “persona informata dei fatti”, è giusto dire questo perché mentre l’esperta
del progetto è Francesca qui sono come conduttrice di focus group perché la mia
attività è quella di svolgere ricerche e analisi strategiche in forma di consulenza per le
aziende che molto spesso in queste analisi e ricerche utilizzano anche i focus group,
avendo esperienza di focus group su ricerche sociali e non solo aziendali sono di
supporto tecnico a Francesca. Come avete capito l’argomento si focalizza su Internet e
sui social media in particolare. Facciamo un giro di presentazione molto rapida, così
capiamo un po’ l’ambito in cui …
Sergio Chiarla: Sergio Chiarla ho partecipato inizialmente al progetto Davide nel
2001, di mestiere mi occupo di tecnologia , insegno Informatica alla facoltà di
Economia di Torino e sono qui in veste di genitore.
Vittorio Pasteris: Mi chiamo Vittorio Pasteris, giornalista ho lavorato negli ultimi
dodici anni a La Stampa, redazione Internet, sono andato via a dicembre dello scorso
anno,
fondando “Il quotidiano piemontese” che è un giornale on line sul Piemonte
che è partito lo scorso sette di Marzo . Faccio anche altre cose, ho un blog, insegno
anch’io all'Univerzità, Editoria multimediale alla facoltà di Scienze della
comunicazione, mi occupo anche del master di giornalismo dell'Università di Torino
per quanto riguarda gli internautici.
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Marco Rebecchi: Mi chiamo Marco collaboro con Don Ilario e con un gruppo di
ragazzi per promuovere le giornate mondiali della gmg, sono qua perché mi hanno
chiamato per questa intervista.
Italo Losero: Mi chiamo Italo Losero ho una ditta che si chiama Linkom e che si
occupa di informatica, mi sono sempre occupato di informazione e del rapporto tra
tecnologia e didattica.
Michele Botta: Sono Michele Botta e sono il papà di due bambine nella fascia di età
10/16 anni, mi occupo di tecnologie nel mio lavoro e nella scuola delle mie figlie ho
iniziato a collaborare in alcuni progetti, tra cui uno in quest’anno, che spieghi ai
genitori il mondo della rete per capire che cosa sta succedendo e adesso nel cercare
di portarlo un po’ di più nella scuola, tra gli insegnanti.
Marco Frattini: Io sono Frattini Marco collaboro da una decina di anni con l'ateneo
pontificio Regina Apostolorum a Roma, mi occupo di formazione permanente. In
questo momento collaboro con Don Ilario nella creazione del nuovo portale
cattholic.net e sono qui in veste di genitore di quattro bambini.
Valentino Valente: Sono Valentino Valente, sono webdesigner e grafico, sono qui in
veste di giovane.
Manuela Comoglio: Io sono Manuela Comoglio, sono laureata in scienze della
formazione triennale, e mi sono occupata e mi occupo di educazione al patrimonio ed
educazione museale da moltissimi anni. Il mio contatto con la tecnologia è perché
abbiamo anche sviluppato un progetto on line europeo di piattaforma di condivisione
di esperienze sull’educazione museale a livello europeo.
Ida Petrone: Io mi chiamo Ida Petrone, sono un’insegnante di Lettere, scuola media
Marconi di Torino, non saprei dire tutte le cose … comunque ho fatto progetti europei,
Torino duemila, per fortuna ho una L.I.M. (lavagna interattiva multimediale, ndr) in
classe e per sfortuna non ho una linea Internet in classe, sono quasi alle soglie della
pensione e quindi un po’ di esperienza con i ragazzi ce l’ho.
Laura Rolle (mod.): Allora, questo ci introduce alla questione, visto che tutti per
qualche ragione vi occupate di ragazzi o perché vi occupate di tecnologia, o di
entrambe le cose, probabilmente avete toccato con mano il fatto che ormai l’età si è
molto abbassata e alcune ricerche importanti in ambito europeo ci confermano,
dovendo fare una media, una statistica, che ci sono addirittura bambini di nove anni
che navigano in assoluta autonomia e che addirittura e, qui arriviamo un po’ al punto,
e parliamo di ricerche grandi, tipo Byron Review, se qualcuno la conosce,
o la
ricerca di Save the children, EU kids online, che confermano il dato, ma la cosa
significativa è che ciascuno di loro elabora in modo autonomo e anche un po’ fai da te
delle tecniche, degli escamotage di difesa, di filtro, rispetto a quello che possono
essere dei contenuti a rischio per loro. E questo a dimostrazione, forse del fatto, che
c’è un po’ un vuoto rispetto a come relazionarsi coi contenuti, ma mi sembra poi,
forse, che qualche ragione qualcuno di voi abbia toccato con mano, anche solo come
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genitore queste cose e non so se vi trovate d’accordo con questa affermazione o se vi
sembra esagerata o se vi sembra strano, volevo anche capire come primo impatto, se
un dato del genere vi stupisce o se lo trovate assolutamente credibile …
Italo Losero: Bambini di nove anni, io ho due figli, diciannove e vent’anni, sono nati
con Internet in casa, io ho sempre avuto la rete in casa e loro hanno sempre
navigato… mi sembra più che credibile, anzi si può abbassare ancora di più. Alla fine
dipende dal genitore l’età di inizio ad Internet, non dipende dal ragazzino, forse noi
veniamo da una generazione dalla quale il poter navigare su Internet era legato ad
alcune competenze. Se vi ricordate l’informatica di una volta, era l’informatica dei
camici bianchi, poi è diventata l’informatica per gli impallinati , poi per quelli che
vogliono avere il computer, adesso chiunque abbia un telefono in tasca, non è più
legato a questa soglia di ingresso , se un bambino gli metti davanti un ipad … io mi
sono molto stupito la prima volta che ho comperato l’ iphone, l’ ho dato alla mia
nipotina di due anni, lei sfogliava le foto e le ingrandiva senza spiegare nulla. Perché il
meccanismo dell’apertura di una foto è tremendamente umano, quindi le tecnologie
sono diventate così, accessibili che parlare di soglia di inizio mi sembra quasi poco
utile.
Laura Rolle (mod.): l’altro dato interessante, che non so dirvi esattamente come
l’hanno rilevato, é il fatto che ci sono delle strategie di difesa spontanea perché il
bambino poi riesce abbastanza, però è sempre un po’ una modalità fai da te, si è
visto che non arriva mai da un’indicazione ma è una cosa che loro sviluppano
autonomamente, questo è un altro aspetto…
Vittorio Pasteris: Io sono perfettamente d’accordo con lui, ed ho più o meno la
stessa esperienza nel senso che, la nostra generazione cioè la mia generazione, in
effetti avendo insegnato cose legate alla rete da ormai quattordici anni, ho visto dei
salti di avvicinamento all’oggetto anzi, dei salti di allontanamento all’oggetto, perché
per me vuol dire avvicinarsi a qualcosa di nuovo, a loro non importa nulla perché è la
vita. In questi giorni va di moda raccontare le rivoluzioni dei paesi del Nord Africa, con
l’uso dei social network da Twitter a Facebook che sono… è come se quando si è fatta
la rivoluzione in Ungheria si disse si usa il telefono, siamo perfettamente d’accordo,
magari si sono telefonati, ma era dato per scontato. Questi bambini qua,
probabilmente son nati con quello. Quello che però non riesco a capire, e chiedo, però
questi bambini che elaborano un sistema auto difensivo quasi immunitario in base a
quali valori e quali parametri se lo producono .
Laura Rolle (mod.): Infatti questo è in modo abbastanza casuale, lo dimostra il fatto
che nonostante ci sono alcuni Paesi, vedremo, che hanno già sviluppato delle
maggiore attenzione all’educazione, rispetto agli strumenti della rete, un po’ come
quando uno inizia parlare, è una cosa spontanea dialoga con i media, però poi vai a
scuola ed impari ad usare il linguaggio in un certo modo a comprenderlo. Quindi c’è
una sorta di educazione all’uso. La cosa che viene fuori è che sono ancora abbastanza
allo stato brado, c’è chi è più capace, chi decide, ognuno usa parametri propri,
rispetto a questo forse è qui che si pone il lavoro, è quello di capire quali sono i rischi,
quali sono gli elementi che entrano in gioco nella fruizione dei social media, non solo
quale strumento positivo di incontro ma anche come luogo privilegiato perché aperto,
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facile, all’esposizione a contenuti violenti, ovviamente come violenza non intendiamo
solo la violenza agita, vista in senso stretto, ma in un termine più ampio che vuol dire
atteggiamenti di vario genere critici, trasgressivi, devianti addirittura. E quindi il primo
punto è secondo voi in effetti… intanto se siete d’accordo sul fatto che, non tanto la
rete, ma i social media, perché il fatto che la rete esponga a dei rischi ormai non è
neanche tanto il caso di discuterne, dà dei plus ed espone anche a dei rischi, ma che i
social media possano essere perché luogo di scambio di relazione, un luogo come
dire… che espone più facilmente a dei pericoli, a dei rischi. Siete d’accordo? Non siete
d’accordo, non la vedete così…
Ida Petrone: Ormai non è però solo un luogo nel quale loro sono esposti a rischi, ma
è anche il luogo in cui offendono, cioè creano rischi agli altri … da poco ci troviamo ad
affrontare a scuola questo problema con i ragazzi ..
Laura Rolle (mod.): In che senso?
Ida Petrone: Ci sono bambini di undici anni che usano..invece che dare un pugno ad
un compagno che sta antipatico, usano fare il blog finto con il nome del compagno
mettendo certi contenuti su …
Sergio Chiarla: Oppure il video su You Tube.
Manuela Comoglio: Il cyberbullismo, e secondo me la radice in generale è la totale
mancanza in generale di educazione alla relazione umana, poi questo deriva da
quello, il problema dei social media è che rendono a livello esponenziale questo tipo
di atteggiamento. Se prima il bullismo era consumato fisicamente in presenza quindi
c’era una rete fai da te, perché non è che i genitori insegnassero a dare un pugno al
compagno, in realtà quello che facevi era andare a chiamare il fratello più grande o il
fratello del tuo amico più grande e regolavi i conti internamente in moltissime realtà. Il
problema è la diffusione e che la portata non sia più locale, ristretta e controllabile,
ma è la portata dimensionale di scala che secondo me aprono i social media per cui
non c’è più il pugno ma la diffamazione.
Vittorio Pasteris: Che dal punto di vista legale è tutto un altro reato, però non
capisco… un termine, globalizzazione del fenomeno. Cioè il tipo che si “mena”
virtualmente con il tipo che sta in Australia o ho capito male io …
Manuela Comoglio: No. E’ secondo me, semplicemente una velocizzazione e
moltiplicazione dell’effetto, per cui la portata è più grande. Se io dò un pugno in
presenza di tre persone nel momento in cui combino qualche cosa attraverso un social
media ho un impatto più esteso. E questo tira dentro, lo sguardo degli adulti, tira
dentro tutta una serie di cose che forse portano la bravata ad un livello molto più
serio, non che la bravata sia più seria.
Vittorio Pasteris: La bravata in quel momento è anche probabile, dal punto di vista
giurisprudenziale in maniera direi implicita, perché l’hai scritta, diciamo così, almeno il
pugno…
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Ida Petrone: Si ma la caratteristica di queste generazioni, su tutti i piani , non solo
quando usano i social network è quella di non valutare mai qual è la responsabilità…
cioè bisogna capire che c’è una responsabilità di ciò che si fa…
Vittorio Pasteris: C’è una generazione di anziani che glielo ha insegnato per anni …
Ida Petrone: Sì certo, però possiamo fare tutte le analisi che vogliamo ma di fatto
non è che loro siano consapevoli... io non so se proprio possiamo parlare di bullismo ,
a me non piace questo termine tra l’altro …
Vittorio Pasteris: Mi definite il fenomeno del cyberbullismo, perché quelli che
prendono a pugni un compagno di banco, lo riprendono e lo mettono su You Tube o su
Internet è demenza non è cyberbullismo, lì la componente cyber, invece di scrivere
Rita ti amo sul muro di fronte, fai l'upload… ma è difficile …
Manuela Comoglio: ma è tutto un modo di relazionarsi, io devo dire avevo più il
polso sui forum che sui social media, un modo molto aggressivo, appunto, l’arma
diventa diffamatoria ed è assolutamente cyber, perché non passa attraverso una
relazione diretta.
Italo Losero: Io mi trovo veramente in difficoltà, ma sinceramente. Sarò abbastanza
confuso da non farvi capire nulla, ma spero che qualcosa serva a costruire un concetto
da comunicarvi. Capita spesso che i genitori chiedano aiuto ai docenti perché non
sanno cosa fare con i ragazzi, mio figlio va su Facebook, … io sono capace a fare il
pane, non sono capace ad andare su Facebook. Allora i genitori chiedono ai docenti
dateci qualche arma per poterli incontrare, dateci qualche punto di contatto. Io faccio i
corsi per i docenti, i docenti mi dicono ma io sono capace ad insegnare non sono
capace, ad andare su Facebook , mi dia qualche arma per riuscire a dare qualche
arma…, cioè il concetto fondamentale secondo me è questo: noi non possiamo
fermarci alle condizioni del tempo attuale per trovare gli strumenti che ci aiutino.
Quattro mila anni fa i greci dicevano le stesse cose che diciamo noi, con i ragazzi che
abbiamo, come facciamo a riuscire ad insegnargli qualcosa che sono così diversi da
noi. Ora, è vero che sono cambiati i mezzi, è verissimo, certo, ma l’unica cosa che ci
può salvare è amare i nostri figli. Fare in modo che, nel momento in cui loro hanno un
atteggiamento pericoloso in rete, oppure nella vita frequentando amici che non sono
così frequentabili , dov’è che sta la capacità del genitore a capire che quelle persone
non sono frequentabili, (magari andando a vedere chi sono , informandosi ecc. ) e
quindi dando una mano ai propri figli o ad uscirne fuori oppure ad affrontare con
cognizione di causa la questione. La stessa cosa capita con le tecnologie, noi faremmo
errori tremendi se oggi dessimo ai genitori degli strumenti, Facebook si affronta così,
un forum cosà, Second life in quest’altro modo… perché gli diamo strumenti che
valevano ieri, neanche oggi. L’unica cosa che può essere utile è insieme costruire un
atteggiamento di attenzione verso le tecnologie finalizzato all’amore verso i nostri
figli, forse solo questo ci può aiutare ad andare avanti, tutti gli altri strumenti, lo
stesso Davide, secondo me diventano strumenti fermi se non ci aiutano ad andare
avanti. Semplicemente sono delle mutande di tolla che ci mettiamo, come era stato
detto alla presentazione di Davide alla galleria d’arte Moderna qualche anno fa...
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Francesca Ranni (ass.): posso interromperti… perché alcuni di loro non sanno…
Davide è un filtro per la navigazione e quindi blocca contenuti attraverso il browser.
Italo Losero: Noi rischiamo di delegare i consigli che noi daremo a questa rete di
scuole e di persone, noi rischiamo di delegare a questi consigli, i giudizi, la capacità di
crescita nei confronti dell’attenzione verso le tecnologie, perché oggi si chiama
Facebook, ieri Second life, l’altro ieri web, tre ieri fa erano i forum ecc. ma domani?
Dopodomani? Dopodomani ancora? Ma voi li vedete i giochi che usano i ragazzi, vi
rendete conto della capacità che ha Facebook nella gestione dei profili, può fare quello
che vuole, Vittorio saprai molto bene che è stato hackerato il network della
Playstation, ma santo cielo… questa è la violenza a cui siamo tutti quanti soggetti e
non ce ne rendiamo conto. Quando tutti quanti guardiamo Sky e abbiamo dentro un
firmware proprietario per cui qualcuno decide cosa voi guardate, e il caso di Carra è
veramente emblematico. Questa è violenza che viene fatta su tutti quanti noi, forse
qui sono uscito un po’ dall’ambito dei ragazzi, però secondo me, è lì che un’azione
educativa deve andare a sollecitare la discussione.
Sergio Chiarla: Sono d’accordo con quello che dice lui, però manca la base di tutta la
conoscenza, mi spiego. Moltissimi adesso cominciano a sapere che cosa è Facebook,
Second life solo i tecnici sono riusciti ad andare avanti perché era troppo difficile,
Twitter sta prendendo piede pian pianino, però discutevamo prima che Twitter non
dico che ha fatto eleggere un Presidente, adesso hanno tirato fuori quello che era il
caso di studio di “sucate” dell’altro giorno che è stato una cosa spaventosa, cioè tu
butti veramente una miccia ed esplode …
Vittorio Pasteris: Deo gratias, però, passa in segmenti di età al di sopra di quelli di
cui stiamo parlando qua.
Sergio Chiarla: In un intervento non so più chi, aveva fatto questo signore la
piramide di Maslow 2.0, nel senso che tutti quelli che erano i bisogni umani si sono
rispecchiati in prodotti informatici che sono stati messi in commercio, il discorso di
relazionarsi Facebook, piuttosto che You Tube, in fatto di far vedere chi sei, Linkedin
la sicurezza del lavoro quindi la possibilità di colloquiare con gli altri, creare un
network sociale che ti mette in una certa logica, fa sì che alla base di tutto ci siano i
bisogni di Maslow e quindi è un qualcosa che ha successo perché risponde ad una
nostra esigenza. Io penso che prima di tutto bisogna informare, perché come diceva
Italo abbiamo fatto la presentazione di Davide, a dicembre del duemila ed è dal
duemilauno che io, Italo, altri andiamo in giro a parlare ai genitori, ai ragazzi, agli
educatori su tutto quello che è questo mondo, cercando ovviamente di cogliere quelli
che possono essere degli aspetti positivi sostanzialmente, per fare in modo che i
ragazzi possano utilizzare questi strumenti nel miglior modo possibile e possano
crescere con essi. Perché questo è inevitabile, il bambino di due anni ha la manina sul
mouse e si muove in una certa maniera, quindi per forza di cose noi dobbiamo essere
di supporto a chi è vicino a questi ragazzi e ai ragazzi stessi, proprio per dare
informazioni e vedere e valutare. E’ chiaro che il discorso dei valori e tutta un’ altra
serie di cose devono essere trasmesse per forza in maniera tradizionale e non ci sarà
nessuno che te lo trasmetterà in maniera cibernetica, se non valori che non sono
compatibili con quello che tendenzialmente noi utilizziamo come quieto vivere e buon
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vivere. Questo è secondo me il punto su cui noi dobbiamo lavorare, stare vicini a
questi ragazzi e farli sentire seguiti. Banale, ma mio figlio che adesso ha vent’anni, in
casa, il computer lo usava solo quando c’eravamo noi e solo a diciotto anni gli
abbiamo lasciato libero… fai quello che vuoi. Allora presenza o non presenza è un
modo comunque di stargli vicino, è un modo per stare con loro tutt’e due siamo iscritti
a Facebook, quindi io so che cosa lui scrive, lui sa che cosa io scrivo, quindi c’è anche
un modo comportamentale di stare vicini, quindi non è io non ci sono e tu ci sei … ci
sono anch’io. Io ti vedo, ma anche tu , se faccio il furbo e se metto le cavolate che
non vanno bene.. deve esserci questo tipo di rapporto che abbiamo sempre detto, di
collaborazione di stare vicino e quello che diceva Italo , di voler bene ai nostri figli ma
un po’ a tutti ragazzi che è quello di dare la nostra professionalità, la nostra
conoscenza in modo tale che possano crescere sereni .
Vittorio Pasteris: Tutto sarebbe molto se non esistessero questi oggetti (telefono
cellulare smartphone, ndr) se tu parli della fruizione del social network come un
computer in una dimensione casalinga, è tutto molto facile. Io invece che quando
prendo la metropolitana, invece di pensare ai cavoli miei guardo i telefoni degli altri, lo
faccio per ragioni di mestiere, vedo sostanzialmente i giovani che una volta
mandavano sms, su Facebook, Twitter un po' meno e lì non c’è genitore che tenga.
Nel senso che lì loro sono soli con l’aggeggio e il social network del caso.
Marco Rebecchi: Io mi riallaccio un attimo al discorso della professoressa, che faceva
sui ragazzi delle medie io lo vedo anche sui ragazzi delle superiori. Anche i miei
compagni di classe che dietro ad uno schermo comunque si fanno più coraggio ad
insultare altre persone considerate minori. Non so, andiamo a fare un blog, un profilo,
per insultare quella persona. Lo facciamo dietro ad uno schermo, nessuno ci può dire
niente, tanto c’è una password nessuno può sapere chi è stato a creare quel profilo, e
questo coinvolge, perché quando vedi che quella persona ha creato il profilo e
nessuno lo ha beccato e quindi ti senti figo, ti senti libero, anche invogliato a farne un
altro di profilo falso, perché poi ci prendi gusto e gli altri fanno gruppo insieme a te e ti
aiutano in questo, tanto dicono… non ci beccano è come se fosse una seconda vita. E'
gratuito, non paghi niente non devi neppure alzarti dalla sedia, perché sei seduto lì
digiti delle cose sulla tastiera e insulti le persone e tu secondo le “leggi“ della
gioventù, risalti di più, sei più figo, a me non piace questa idea. Invece per quello che
dicevi tu sui telefonini, che vai su internet così, in giro per la città , anch’io sono in
possesso di un Iphone , quindi con un clic sei su Internet fai quello che vuoi, è anche
utile…
Vittorio Pasteris: Sul fatto che sia utile, sono perfettamente d’accordo, per il fatto
che sia molto più pericoloso che l’utilizzo del vecchio, simpatico browser.. mmm
Marco Rebecchi: Più pericoloso perché accessibile a tutti, perché tutti possono
scrivere quello che vogliono, quindi essendo facile è anche più comodo …
Vittorio Pasteris: moderazione o parlo meno, moderazione culturale secondo da
genitore a genitore…
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Ida Petrone: C’è un altro pericolo, perché non vivono mai niente. Perchè dato che
uno vive lì non vive qua dove siamo noi che giochiamo, chiacchieriamo… , c’è solo
quella vita lì non ce ne un’altra. Io sono stata costretta ,per esempio a volte , ad
imparare ad andare su Messanger e vivere su Messanger con gente, con i miei allievi
che ormai comunicavano solo così, non avevano più un altro modo di comunicare, io
ho imparato e anch’io beccavo questa gente così… però il rischio è questo che non si
viva più nulla. Infatti le competenze relazionali nella realtà io adesso non mi sono
messa a fare una statistica, però noi abbiamo delle tabelle con tutte le capacità dei
nostri allievi quelle generali e quelle trasversali ecc. le competenze relazionali stanno
scendendo in maniera preoccupante.
Vittorio Pasteris: Le mie statistiche le faccio sempre sulla metro, che però per
definizione è un tempo morto, in cui uno si ascolta la musica, l’altro si legge un libro...
però poi io non ho l’esperienza della vita normale poi dei giovani, quindi lei dice, che
anche probabilmente a scuola questi passano il giorno così …
Ida Petrone: Sì, se andiamo da qualche parte loro lo fanno, ed è una bella soluzione
per i problemi di disciplina, perché noi avevamo il problema sul pullman adesso
ognuno ha il suo “ cosetto “, noi da anni non abbiamo più nessun problema… Però lo
dico con tristezza, perché dice tanto questo.
Manuela Comoglio: Forse, però io la riporterei sulla qualità della relazione reale, poi
che lo strumento sia virtuale, però la relazione è reale nel senso che secondo me
manca davvero una educazione alla relazione e ad un confronto civile e urbano con
l’altro, ad un confronto che sappia emotivamente coinvolgerti senza che questo ti
spaventi. La mia esperienza dei ragazzi è soprattutto degli adolescenti che io ho visto
soprattutto negli ultimi anni di attività professionale all’interno del museo soprattutto
perché facendo laboratori utilizzando le collezioni di arte contemporanea, spesso si
andavano a toccare gli elementi emotivi. Abbiamo fatto per tantissimi anni un
laboratorio che coinvolgeva direttamente il corpo e questi ragazzi mi sembrano
incredibilmente fragili nel rapportarsi con gli altri. Secondo me, al di là del fatto che lo
schermo ti crei una sicurezza, forse ti rinforzi, e quindi renda più facile la relazione, ma
è una questione non tanto di quantità e modalità della relazione, ma di qualità, che
viene totalmente a mancare e questa come diceva giustamente lei si costruisce nel
rapporto in primis coi genitori e poi con la comunità di riferimento, lì siamo davvero
molto carenti come adulti.
Ida Petrone: Tenete presente che li 70% dei ragazzi, io insegno in un quartiere del
ceto medio, ha una famiglia mono genitore, e quindi li vede pochissimo perché il
genitore deve lavorare, quindi il discorso del guardiamo insieme facciamo non può…
se io provo a fare un po’ di pressione su questi elementi con un genitore, giustamente
mi dice , ma di cosa mi sta parlando, io devo portare a casa i soldi a fine del mese.
Oppure mi dice, io fa carriera mio marito, perché io devo rinunciare. Oppure qualcuno
mi dice davanti ai figli qualche volta, io mi voglio rifare una vita questo ce l’ho tra i
piedi non so cosa fare… ci sono queste situazioni , che rendono una bella teoria
pensare che si possa stare lì …
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Francesca Ranni (ass.): Volevo solo infatti, sottolineare un punto. Perchè questo
sembra proprio tanto teoria, nel senso che spesso si dice , i rischi sono questi…
conosciamo ci sono i rischi, è importante il dialogo, è importante stare vicino ai figli,
poi in realtà uno tira sempre su le indagini così, però si vede spesso che in realtà i
genitori non lo fanno di star vicino ai figli. Soprattutto, forse un po’ per la carenza di
conoscenza come diceva prima Sergio e a volte invece no, nel senso che per altri
motivi questo rapporto, questo dialogo non c’è. Quindi l’idea è appunto, uno dice ci
vuole il dialogo ma come? Questo ci interessa capire, come possiamo fare per
incentivare questo dialogo. Abbiamo detto che, dire , le regole così: serve il dialogo,
serve che mi faccia amico su Facebook così si sente più controllato, poi invece si
scopre che quello si fa un altro profilo e naviga liberamente col cellulare in
metropolitana.
Michele Botta: Io volevo solo un attimo capire, perché diciamo tante cose bellissime,
magari ci sono tante domande che riprendono …
Laura Rolle: Però in questo momento mi interessava capire intanto così a caldo la
relazione che, l’idea che voi avete rispetto… qui mi sembra che ognuno ha posto delle
posizioni simili alcune, altri diverse e soprattutto ha fatto emergere delle sfaccettature
di questi rischi diverse cioè … usa il mezzo per insultare l’altro, però è anche un luogo
di pericolo dove in realtà il pericolo è perché perde di significato la relazione, sono
cose diverse… forse è più un pericoloso perdere il senso della realtà, che non l’insulto
di per sè o le due cose sono collegate. Questa fase qui , avevo un po’ gettato sul
tavolo questo tema perché volevo un po’ capire qual è la vostra visione, dopodiché
saremmo arrivati un po’ alla richiesta però intanto capire se queste ricerche che ci
dicono attenzione i bambini già da piccoli, come tutti noi sperimentiamo, chi ha dei
figli, hanno già nel dna quasi una memoria per riconoscere un oggetto tecnologico ed
utilizzarlo, e quindi come dire … oh mamma mia bambini … è un dato di fatto, come ci
possiamo muovere …
Ida Petrone: dobbiamo dire, oh mamma mia ma cosa ne facciamo di una scuola
dove non c’è Internet , non ci siamo, noi non ci siamo, la scuola su questo non c'è.
Laura Rolle:
Non c’è la scuola, i genitori per alcuni aspetti non hanno una
preparazione, forse è una preparazione umana prima che tecnica, le due cose forse
vanno insieme. Quindi l’idea era, dato di fatto che i bambini ad un’età molto tenera,
già a nove anni, ma probabilmente anche prima sono predisposti, famigliarizzano,
comprendono intuitivamente di pancia, senza dover comprendere il funzionamento, è
un dato di fatto. Sappiamo che la rete è un luogo di incredibili opportunità, di stimoli,
di raccolte di informazioni, di buone relazioni, cioè non si vuol demonizzare, però
sappiamo che come in tutte le cose c’è il rovescio della medaglia , d ‘altra parte
quando uno esce può trovare dei pericoli anche per strada, però stiamo parlando di
questo. In particolare il fenomeno dei social media e per social media intendiamo cose
non solo come Twitter e Facebook, ma banalmente qualcuno aveva citato dei giochi,
che magari hanno la logica del social media cioè che in qualche modo creano …
l’Internet delle relazioni e in qualche modo ancora di più , come dire.. esposto a
possibili rischi , non è che i ragazzi poi sono sprovveduti, possono usare lo strumento
in modo violento anche e possono invece crearsi loro delle difese dei filtri, delle
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soluzioni. Questa era un po’ la base di partenza sulla quale volevo fare un giro di
opinioni, perché uno può dire, no, secondo me si esagera non ci sono dei rischi,
qualcuno di voi potrebbe dire, in effetti bisogna stare molto attenti, perché i rischi
sono molti di più di quelli che pensiamo. Come è avvenuto, poi vi avrei sottoposto ad
un serie di domande, una delle quali è quella che ha anticipato Francesca, cioè alla
fine ci ritroviamo forse su dei luoghi comuni, di dire sì è pericoloso però se il genitore
gli sta vicino e sono buone prassi che qualcuno riesce ad attuare qualcuno meno, la
scuola si rende conto di certe cose, dei professori vorrebbero fare qualche cosa ma
non hanno poi, magari gli strumenti per farlo, però a questo punto allora al di là delle
buone regole, delle buone norme, nella pratica come si potrebbe come dire.. agire per
offrire degli strumenti sui tre livelli . Un livello è quello dei ragazzi, un livello è quello
dei genitori, un livello è quello degli educatori chiamiamoli in senso generale, coloro
che in qualche modo si trovano a relazionarsi. Prima si diceva, io faccio corsi a dei
professori, poi i professori dovrebbero fare corsi ai genitori, poi i genitori dovrebbero in
qualche modo non dico fare i corsi, ma in qualche modo dare delle regole in una sorta
di corsi a cascata. Questo discorso è molto pedagogico, funziona e poi cosa pensiamo
ad un buon discorso, pensiamo a degli strumenti, cioè è anche un po’ discutere le
soluzioni soprattutto. E il fatto di partire da un discorso generale era per il fatto di
partire da una vostra adesione, qui vorremmo poi , ed era la fase due, discutere delle
soluzioni reali, perché il progetto è un progetto educativo, l’idea è quella partecipativa
creare dei modelli nuovi che possano veramente coinvolgere su tutti i piani in modo
forse un po’ nuovo. Non solo dire è il bisogno… oppure del manualetto delle buone
regole per stare su Facebook.
Michele Botta: Mentre tu parlavi , mi sembra che i tre piani quello dei ragazzi, quello
dei genitori, quello degli insegnanti potrebbero essere un po’ paragonati a quello
etico, relazionale, dell’istruzione. Secondo me, qui non c’è nulla di nuovo sotto il sole.
In pratica è se un ragazzino di nove anni può crearsi lui dei filtri o dei modi per
proteggersi, ma usa quelli che ha imparato a casa sua, perché se vede uno che gli dà
uno schiaffo su internet non è diverso dal fato se lo vede per strada. Per me è la
stessa cosa, solo che lì c’è un accesso rapido continuo, velocissimo, per la strada è
difficile essere in tanti posti contemporaneamente, in tante situazioni è il discorso
dell’amplificazione. Il piano etico è la famiglia che deve fare qualcosa, allora secondo
me i movimenti stanno tirando fuori il problema che se non si è educati, quindi fanno
quello che vogliono o si creano loro.. è il concetto del teatro con le poltrone vuote, se
non c’è qualcuno occupa quel posto lì, se non hanno idee se occupano da soli oppure
se le fanno occupare da altri, sul piano della relazione c’è da lavorare moltissimo
perché..., quello che dicevi tu prima, ai genitori bisogna far capire che non siamo su
un altro pianeta, sono sempre le solite cose solo che sono su una marcia diversa.
Dobbiamo portare anche i genitori che si spaventano io l’ho visto nell’esperienza della
scuola, a capire questo mondo che molti non conoscono, da cui sono spaventati che
non è così fantasmagorico e che bisogna cercare di capire, sennò i figli creano sempre
più la distanza. Il terzo punto è quello della scuola che deve istruire al di là di Internet,
per dare un esempio concreto, io con le mie figlie faccio degli esperimenti sui testi,
inizio a leggere magari una favola difficile, loro dopo due righe che dovrebbero
ascoltare e cercare di capire e di comprendere, dopo due righe ti chiedono già come
va a finire, perché fa quello.., cioè non c’è più la capacità di ascolto. Questo è anche la
conseguenza di un modo pizzicare.. che chiaramente ci offrono, la capacità di leggere
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in modo continuativo i ragazzi ce l’hanno ancora? La capacità di scrivere, di rileggersi i
testi , di farsi le brutte e di rivederle ce l’hanno ancora? Ecco, questi sono i anni che
vedo, concreti al di là di dire quello ha fatto il bullo, bullo magari ce n'è uno su dieci,
ma su dieci nove hanno questi problemi.
Ida Petrone: Però bisogna fare delle analisi profonde per capire questi fenomeni che
sono abbastanza complessi …
Manuela Comoglio: Di trasformazione cognitiva profonda, le trasformazioni cognitive
ci sono sempre state in tutte le epoche, non è una cosa che si può assolutamente
arrestare è quella modalità che più volte viene descritta come quella del ragno
d’acqua, cioè di esplorazione assolutamente superficiale, vediamo che cosa porterà,
più che insistere sul fatto che, oh dio .. adesso cambiamo tecniche . Noi non siamo più
capaci di tenere a memoria un libro come facevano nel 1500, noi abbiamo le
biblioteche , abbiamo Wikipedia, forse bisogna entrare nel concetto di che cosa deve
essere l’approfondimento oggi, sono molto d’accordo su quello che lei diceva
dell’ascolto, tantissime volte il problema non è tanto un’incapacità di
approfondimento, ma è una incapacità di ascolto, se io non ascolto non do la giusta
attenzione sulla cosa e la cosa non la posso fermare, se non la fermo e non la faccio
mia non la posso rielaborare criticamente . Forse l’unica difesa non sono le mutande di
tolla o i filtri, ma è sviluppare uno spirito critico e come farlo è tutta un’altra questione
perché mi rendo conto di essere parecchio in alto sulla teoria, perché lo spirito critico
dovresti avercelo tu per poterlo trasmettere in qualche modo a qualcuno e non è una
reazione chimica, non è un enzima per cui so che se catalizzo quel determinato tipo di
reazione avrò quell’altro tipo di risultato. Purtroppo questo fa parte del mondo umano,
tu butti là un qualche cosa e vedi che cosa succede..
Michele Botta: Però tu devi buttarlo in determinate condizioni gli riduci il tempo.. non
so a scuola io vedo, … questa foga a volte di finire i programmi, non è web, non è
Internet ma è la stessa cosa …
Ida Petrone: Ne possiamo dire tanto.. tanti esempi ..
Michele Botta: Quindi non siamo sul fatto la scuola ha internet, non ha internet per
esempio. Ma a volte dei paralleli dei modi di fare della scuola, abbastanza tradizionali
che però vanno a rispecchiare queste modalità che non favoriscono la profondità,
l’ascolto, la riflessione, il fatto di farlo tuo e di elaborarlo, è il concetto, una volta forse
avevamo un’azione che partiva da dentro, ora l’azione è una reazione alla
provocazione. Ti arriva un imput e tu rispondi, digerisci un attimo, fallo tuo, e poi lo
rielabori e lo riproponi con magari una tua posizione... si sentono un po’ disorientati.
Ida Petrone: Quanto tempo ci diamo noi adulti? questo è il primo quesito, secondo:
qualcuno racconta ancora qualche storia ai figli? o siamo tutti di fretta, perché le basi..
insegnano che te le crei quando sei piccolo e ascolti la fiaba che racconta mamma o il
papà ecc., poi quanto tempo stai ad ascoltarli e ad ascoltarci, poi i telefilm che
vedono alla televisione hanno una trama? Son battute!, E poi ha una trama lo scambio
di messaggi su Twitter piuttosto che su Messanger, su Facebook? non so sono una
serie di elementi? Ed è molto complessa come cosa … io qualche idea su cosa fare
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dopo quarant’anni ce l’ho … tant’è che qualche volta me li porto via per dieci giorni e
qualche cosa inizio a fare, però non è quello..non è quella la soluzione, bisognerebbe
che ripensassimo a tutti questi fattori..
Michele Botta: La domanda è, come passiamo attraverso
mantenendo l’attenzione su quello che è importante per loro.
queste novità,
Ida Petrone: Comunque, questi sono mezzi di una potenza eccezionale, che io trovo
per altro eccezionali, per cui a me piacciono moltissimo e se si riesce a capire che loro
hanno la struttura del pensiero che è cambiata, perché noi eravamo abituati a scuola,
io ho fatto il liceo classico, c’erano le premesse ..poi c’era l’insegnante di matematica
che … faceva tutto il procedimento e poi .. come volevasi dimostrare, invece
ovviamente è cambiato questo modo..ma tutto lo ha portato a cambiare, noi ci
dobbiamo star dentro, noi dove stanno loro dobbiamo stare anche noi, dobbiamo
capire. Ma come? Io sono scettica sui filtri.
Marco Frattini: Io mi sento legato al “vecchio testamento”, nel senso che ho sette
fratelli, quattro figli, ventitre nipoti, tutta una rete relazionale che è molto, molto
importante. Secondo me la vera differenza tra vecchio testamento e nuovo
testamento è che oggi ci sono famiglie mono-genitore, ci sono figli unici, non c’è
relazione, secondo me ciò che manca e su questo dovremmo ragionare, dovremmo
vedere come fare per cambiare, sono i fratelli, sono gli zii, sono i cugini, sono i nonni,
anche se ce ne sono tanti e a volte ne hanno quattro, i miei nipoti ne hanno 0,.. un tot
per ogni nonno, ci sono un nipote per sei nonni, secondo me è questa la vera
differenza, ed è questa la nostra miseria e su questo noi dovremmo piangere e
dovremmo vedere come cambiare questo aspetto. Un bambino che non ha fratelli.. io
vedo i miei nipoti che sono su Facebook, molti di noi sono su Facebook, beh, lì c’è un
filtro, ci sono venti persone che controlliamo e ci controlliamo perché ci vogliamo bene
e perché siamo relazionati, questa è la vera differenza fra il vecchio mondo.
Questo è un mondo che abbiamo voluto disgregare. Perché eravamo troppi, oggi forse
siamo troppo pochi e allora siamo delle isole che vaghiamo. Ed è difficile… fare… cioè,
il mono genitore che deve lavorare e deve portare a casa il grano e come farà a… i
due genitori che hanno figli devono lavorare entrambi e come fanno a… in realtà ci
sono politiche familiari in altri Paesi d’Europa che sono molto più adeguate di quelle
dell’Italia e della Spagna. Io vi voglio dare soltanto un dato, il tasso di natalità più
bassa in Europa oggi ce l’ha la Polonia, fino all’altro ieri ce l’aveva la Spagna, l’altro
ieri ancora ce l’aveva l’Italia.
Vittorio Pasteris: … sono arrivati gli immigrati …
Marco Frattini: No, no, poca roba, il tasso di natalità oggi in Italia, per gli Italiani è
sotto l’uno per cento grazie agli stranieri siamo all’uno e tre circa, uno e trentasette. Il
tasso di natalità per mantenere lo status quo è di 2.1. Tutti i Paesi d’Europa, la Svezia
negli anni ’70, si sono resi conto di questo deficit e hanno messo in piedi politiche
familiari per ottenere perlomeno il ricambio generazionale qui nei Paesi cattolici
sembra che la politica abbia agito in modo diametralmente opposto. Secondo me, il
vero problema è che in famiglie così come le intendiamo oggi di uno, due, tre persone
se noi abbiamo un minore, il minore sarà veramente allo sbando.
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Ida Petrone: Oggi è vietato andare nei cortili a giocare con i compagni, i cani
possono, i bambini dan fastidio.
Marco Frattini:
fratelli…
Nel “Vecchio Testamento” era diverso, io non so voi se avevate
Vittorio Pasteris: Io sono figlio unico e vi devo dire che mio malgrado devo molto
condividere quello che tu dici. Però, però… Punto primo- la discontinuità cognitiva che
noi tutti abbiamo e che io chiamo multitascking è un dato di fatto che dobbiamo
portarci con noi da X a sempre, l’aveva già la mia generazione e quelli di oggi ce
l’hanno “embedded” come si dice in informatica… ovvero calato dentro. Che sia un
vantaggio o uno svantaggio ce l’ho dirà qualcuno che fa degli studi seri su queste cose
fra quindici anni, perché poi alla fine della fiera è un fenomeno direi del cervello,
percorso del cervello, che ahimè molto probabilmente i Paesi anglosassoni tipo gli
Stati Uniti hanno già vissuto… cioè per capirci, noi abbiamo tutti i problemi che
abbiamo dal punto di vista della formazione, ma è un dato direi anche scientifico oltre
che epidermico quando noi andiamo all’estero, negli Stati Uniti che gli americani sono
molto più ignoranti di noi, mediamente su certi criteri di conoscenza standard. Hanno
una formazione che è molto più piluccante di quella che è la nostra, perché comunque
sono già anche loro nati embedded in questo percorso dentro. Comunque questo è un
punto di partenza, cioè il vecchio o meglio il precedente, perché vecchio sembra già
un giudizio bello o brutto, modo di comprendere, approcciarsi alle cose approcciarsi
agli altri è andato. Quello che c’è adesso è qualcosa di estremamente più dispersivo.
Per esempio i social network, Facebook per tutti, perché poi arrivo ad un primo spunto
di consolidamento, parlare in maniera onnicomprensiva e tutto logica dei social
network, social media in un unico contenitorone è come dire “Internet” oppure “tutti
gli italiani”. Quei cosi lì, per strutturazione, organizzazione, engagement delle persone
all’interno sono totalmente diversi. Poi torno al fattore italiano, per varie ragioni
recentemente ho frequentato studentesche, e si parla di Twitter. E per quello che è la
mia conoscenza è veramente qualcosa che non esiste già non esiste in Italia per
definizione, ma poi in quelle generazioni non esiste. Il caso di Messenger è un altro
discorso perché ci dimentichiamo che a molti non piace Microsoft. La generazione di
Messenger è quella di sette, otto anni fa, che ha un certo target. Però questi social
media hanno la capacità di amplificare al massimo quel fenomeno della
destrutturazione del rapporto della conoscenza, cioè nel caso di Facebook, in due
secondi scrivo una qualsiasi stupidata e gli altri cominciano ad andargli dietro come il
famoso cagnone di Pavlov, schiacciando infinitamente e poi determinando tutta una
serie di processi in tempo reale che secondo me è un manicomio è l’implementazione
paro, paro, di questo modo di essere che è di noi tutti. E questo è un altro dato di fatto
ed è difficile fare delle valutazioni bello, brutto, buono, cattivo. L’altro aspetto della
cosa è che se in effetti l’approccio Davide like era ai suoi tempi molto utile adesso è
tutto cambiato e la soluzione siamo davvero tra virgolette noi. Non so se ha un senso
dividere una tripartizione operativa genitore, docente e ragazzi, perché siamo tutti
sulla stessa barca.
Michele Botta: Con posizioni diverse… ci sono livelli diversi …
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Vittorio Pasteris: Un po’ diverse , ma la barca è quella.
Laura Rolle (mod.): Adesso vorrei sentire un po’ tutti …
Valentino Valente: Io, parto dal presupposto che uso Facebook e non Twitter,
diciamo che lo uso perché è stato usato comunque un mezzo per trovare amici vecchi,
che uno non trovava più … cioè è nato in una maniera e adesso è usato in un’altra
maniera. Quindi lo uso per sapere degli eventi, per trovare persone che non avrei più
sentito se non avessi facebook. Mi rendo conto che diventa una dipendenza, se uno gli
dà molta importanza e quindi da un po’ di tempo comincio a stare un po’ alla
larga,perché diventa una dipendenza. Uno non lo fa apposta ma se lasci un commento
da una parte, devi poi andare a vedere la risposta il giorno dopo. E quindi ora faccio
attenzione da questo punto di vista. E per rimediare un po’ il problema io, non darei
Internet subito ai bambini, ai ragazzini, magari dai sedici anni in su perché se prima si
diceva che non si va a giocare nei cortili… ormai la vita se uno inizia a vivere con
internet a dieci anni, non vedi neanche cosa c’è fuori. Uno deve farsi prima la sua
esperienza da ragazzino di 10/11 anni, vai a giocare… fino a quindici anni non gli dai
Internet neanche per fare le ricerche perchè ci sono le biblioteche ed io anche lì...,
magari utilizzo le biblioteche e prendo io il materiale mentre adesso trovi tutto già
fatto. Se uno lo dà a sedici anni, ha già fatto la sua infanzia… sa cosa c’è fuori. Se uno
nasce dentro entri in un mondo che…
Manuela Comoglio: Per quanto riguarda la mia esperienza, io ricordo che da
piccolina i miei genitori mi davano molta libertà per poter uscire, ed io mi sono
svegliata perché ho sbagliato e mi sono beccata le porte in faccia e ho capito come
funzionava il mondo e grandi casini non me ne sono mai successi. Quelle recluse in
casa fino a ventun anni quando uscivano combinavano dei disastri assurdi perché
erano socialmente delle handicappate, per cui quindi farei attenzione all’aspetto
proibire, perchè come li tieni? Cosa li tieni fuori da quello che sta succedendo? Perché
quello è un pezzo di realtà. Oppure si comprano il cellulare di nascosto e lo fruiscono
comunque. E’ un po’ come: non andare in moto! Sempre andata in moto. Quando mi
beccavano mi redarguivano, ma sempre salita su una moto. Ho smesso quando ho
capito che in moto mi potevo fare male. Ma ci sono dovuta passare io, perché alla fine
non si può sostituirci noi alla loro esperienza. Loro l’esperienza la devono fare, bisogna
dare loro gli strumenti ed è questo secondo me l’aspetto più difficile.
Sergio Chiarla: Esatto
Laura Rolle (mod.): Non solo domanda, intanto io ne approfitto perché sono emerse
due cose molto interessanti, almeno per quanto mi riguarda quando mi sono
confrontata con l’argomento di oggi. La prima la dico perché è strettamente legata a
questa, cioè la grande domanda che vi propongo perché poi prima di andare via mi
piacerebbe provare insieme a voi trovare qualche risposta. Mi fa piacere che abbiamo
assodato le cose, che è un dato di fatto. E’ inutile che ci mettiamo a dire non dovrebbe
essere così, è meglio così era meglio prima è meglio dopo, ma come possiamo
intervenire? Perché molti interventi, diciamo educativi non hanno sortito grandi effetti,
sennò non saremmo qua ad elencare tutta una serie di problemi esistenti. Come dire
forse i mezzi, i modi, gli strumenti non sono stati ancora utilizzati nel modo corretto,
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forse non sono stati individuati, forse alcune volte non hanno raggiunto la scuola,
nemmeno come tentativo. Ma la cosa che mi ha colpito molto che io mi aspettavo, lo
dico proprio come stimolo e anche da non esperta sapendo che c’erano esperti di tanti
aspetti,che venissero fuori a…, ma…, bisogna dare gli strumenti di educazione,
parlavo con lei, del fatto che ho avuto esperienza di fare una consulenza a Vodafone
del digital divide e quindi mi sono confrontata con il loro modo di vedere questa cosa,
che era un modo problem solving, per cui diamo il decalogo ai genitori, pronto uso,
dieci regole non più di una riga dove se vuoi verificare questo fai questo, che può
essere discutibile ma loro avevano quell’impostazione proprio di stile aziendale. E
quindi molto diversa da quella di Telecom che avevamo studiato in confronto. Quindi,
ognuno aziende, enti hanno cercato di dare delle risposte con strumenti educativi.
Invece mi ha molto colpito e vorrei capire questa cosa, sia come risultato sia come
invece pensare degli elementi pratici, quelli che ho appena elencato, e credo che sia
significativo forse due anni fa, tre anni fa, fare la stessa riunione non avrebbe dato lo
stesso risultato che tra tutti in qualche modo state sostenendo, che non è tanto
l’aspetto tecnologico, cioè non è tanto la competenza tecnologica che probabilmente
ci fa meno paura rispetto a una volta, che comunque abbiamo forse tutti capito che
non è poi la vera, il vero digital divide da compensare ma è invece una dimensione più
profonda che si cala nella società, qualcuno la raccontata in modo proprio sui valori,
sulla struttura famigliare, qualcuno ha parlato di capacità di ascolto. Però mi sembra
che si ritorni molto all’individuo. Non tanto all’incompetenza, all’incapacità alla non
conoscenza dei genitori dello strumento, quanto invece tutta la parte educativa che il
genitore deve recuperare prima, molto prima dello strumento tecnologico, che forse
può essere il vero filtro, che qualcuno anche spontaneamente ha posto già dei dubbi,
dei punti interrogativi sui filtri, sì può essere utile ma non è la soluzione. Anzi, ci sono
abbastanza criticità su questo, vedo delle facce e da quello che avete detto… e quindi
mi sembra interessante perché io, solo neanche un anno fa mi trovavo di fronte a
questa idea di come deve essere fatto il manuale d’uso del genitore, allora voi credete
e così torniamo anche alla domanda, che una soluzione possa essere un manuale
d’uso, qualche altro strumento di informazione, possa essere un modo diverso di
pensare i programmi scolastici tradizionali. Forse, invece va ripensata completamente
la società e lì è molto più impegnativo, perché poi alla fine il nostro progetto ci chiede
di immaginare un progetto educativo su venticinque scuole, allora sarebbe bello poter
sperimentare anche qualcosa di diverso dal solito librettino, dal solito laboratorio,
secondo me, abbiamo anche un’occasione eccezionale di poter lanciare su un progetto
europeo, forse qualcosa di veramente diverso. Che non è la solita video-guida, o il cd o
il filtro che spiega... Non lo so, poi magari invece alla fine, pensando veramente alla
realtà ci riduciamo a dire, no … dobbiamo fare un sito per i genitori. Quindi la
domanda … noi alla fine con tutti i limiti e anche con un dato di fatto che abbiamo
detto, ormai la realtà è questa, avendo quest’opportunità grandissima, ma anche
facendo veramente tesoro delle cose che sono venute fuori che devo dire, vi ringrazio
perché mi fanno molto riflettere. Su alcune cose , ritengo che forse possiamo anche
spingerci a proporre qualcosa di diverso. Non so se vi viene in mente… avete nel
concreto un’idea dei linguaggi, de mezzi, degli strumenti o del tipo di azioni che si
potrebbe fare?
Sergio Chiarla: io vorrei dare un piccolo contributo, in un mio precedente progetto
per la Regione Piemonte, che andava a toccare oltre che Internet tutti gli strumenti di
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comunicazione, perché parliamo di Internet ma giustamente parliamo di cellulare,
parliamo di tutta una serie di cose… Abbiamo fatto un ambito che abbiamo chiamato
esperienziale dove le cose le facevamo fare dai ragazzi, mi spiego, rivoltare quello che
è il discorso. Nel senso che noi abbiamo una mentalità di un certo tipo e siamo rigidi
su certe cose, facciamo parlare loro, nel senso che creare dei gruppi… noi abbiamo
utilizzato le strutture del comune di Torino quelle di via Parma e di via Mille lire che
sono delle strutture bellissime, dove sostanzialmente hai la possibilità di avere una
regia, hai la possibilità di fare dei filmati hai la possibilità di fare… dove facevano il
telegiornale dei ragazzi tanto per intenderci. Abbiamo dato questi stimoli e sono
venute fuori delle cose veramente carine.
Laura Rolle (mod.): quindi dici: non diamo noi delle soluzioni ma chiediamo a loro...
Sergio Chiarla: cioè coinvolgiamoli, questo è sostanzialmente il concetto.
Laura Rolle (mod.): E tu?
Manuela Comoglio: Faccio una brevissima premessa per ricollegarmi a questo
discorso. Secondo me quello che prima c’ è sfuggito è quello dell’effetto Andy Warhol
cioè “fifteen minutes on stage”, cioè bisogna stare quindici minuti sul palcoscenico
quello che Andy Warhol diceva già negli anni sessanta che ci stavamo evolvendo in
questo senso, bisognerebbe domandarsi perché questo tipo di desiderio e anche
capire come utilizzare questo nuovo bisogno, se davvero bisogno è. E un’ idea
potrebbe essere quella di, intercettando i loro bisogni, farli magari riflettere su quali
sono i loro bisogni e partendo dai bisogni non soddisfatti dagli attuali social, provare a
progettare, attraverso tutta una serie di modalità che passano secondo me, anche
attraverso la dimensione del laboratorio perché il laboratorio è un ottimo strumento
educativo e magari rimbalzare la palla a loro e dire : ma voi come progettereste il
vostro social? Cioè qual è il social network ideale … qual è il vostro bisogno che non è
soddisfatto dall’ attuale parterre di offerte?
Vittorio Pasteris: sono d’accordo però: uno, la percezione che tutti devono avere è
che stiamo parlando di un mondo costituito dalle imprese, Facebook è un’azienda che
ha sede degli Stati Uniti, Twitter ha sede negli Stati Uniti sono tutte aziende …
Italo Losero: aziende di Advertising
Vittorio Pasteris: aziende che hanno un fine assolutamente economico e qui non
voglio dire che il produrre dei profitti sia un male, però … anzi non solo, visto come
gira l’economia di quelle cose in cui haimè sono immerso pure io, che si basa poi
essenzialmente sulla quotazione in borsa, insieme delle cose dei prodotti che loro
fanno. Questo deve essere chiaro. Quanto detto da te, Marco, che ritengo perfetto, mi
hai fatto venire in mente un’esperienza di vita che vi racconto. Io sono nato a Torino,
ma sono vissuto per anni… dove ho ancora una casa, in un paese che si chiama
Villareggia è un paese che si trova a quarantadue Km da Torino che fino a tre anni fa
era assolutamente distal diviso, ho coinvolto tutto il mondo dalla regione ecc. e sono
riuscito a far arrivare il wirless. Quindi al momento zero di villareggesi sui social
network ce n’era due, tre. Nel momento in cui hanno aperto il “bocchettone”... tutti.
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Per connettersi a Internet, in quattro o cinque mesi … tutti su. E poi che cosa è
successo, si è ricostruita in quei tempi lì cinque, sei, sette mesi, la rete sociale del
paese, più gli annessi, quello va fuori Ivrea l’altro va a scuola a Vercelli … io mi son
trovato chiamate dai villareggesi dai dieci ai quarant‘anni, tra cui una persona di una
certa età che il giorno di Natale cominciò a chiedere l’amicizia a tutti, perché
evidentemente per Natale gli avevano regalato la connessione. E lì in effetti si è
traslata la rete sociale degli uomini sulla rete con papà, mamme, zie, cugini in una
maniera omogenea, per cui è nata un’attività pazzesca… per cui il comune su
Facebook… però è stato proprio il traslarsi in maniera abbastanza indolore vedo per il
momento e anche molto positiva Perchè poi secondo me, di una cosa che dobbiamo
anche capire è la diversità dell’utilizzo di queste cose in contesti metropolitani rispetto
a contesti non metropolitani che è un percorso decisamente diverso. Io ad esempio mi
auguro di andare a Villareggia dove, ho una casa che ormai sembra una specie
termonucleare con antenne dappertutto, perché alla fine della fiera la rete di per sé è
una grandissima opportunità e questo lo abbiamo detto tutti. Però, in realtà una volta
crescere a Villareggia era un handicap, adesso non so per quanto sarà ancora un
handicap, perché comunque la rete rende a disposizione una capacità di connetterti.
Difatti la generazione dei quindici -trentenni Villareggesi ha delle risorse in mano che
io non ho mai visto. Quindi è totalmente diverso, e anche questo utilizzo del social
network nelle dimensioni “meno urbane“ è meno intenso e più ponderato e ha traslato
molto la vita sociale di un paese che poi è devo dire come tutti i paesi della periferia di
una città industriale come Torino diventano con il tempo dei dormitori, dei paesi di
anziani e devo dire, adesso me ne sono reso conto da quello che dicevi tu e da quello
che avete detto voi.
Laura Rolle (mod.): perché c’è una struttura solida … in quello che dice lui …
Vittorio Pasteris: Beh, o Dio, Si potrebbe anche discutere… probabilmente in un
paese del genere sì, però io penso che quello che ha aiutato in questo caso è la
partenza assieme, che ha portato tutti di colpo…
Michele Botta: persone che si conoscevano già?
Vittorio Pasteris: persone che assolutamente si conoscevano già.
Laura Rolle (mod.): scusate,visto che lui ci deve lasciare ed è il più giovane, volevo
sapere rispetto a quello che potevano essere delle soluzioni, che cosa noi possiamo
proporre, tu hai un’idea che progetto educativo che non sia tradizionale, vista
l’opportunità, nelle scuole per favorire la partecipazione, per favorire il dialogo in
modo forse più consapevole dell’uso della rete.
Marco Rebecchi: sicuramente porterei internet a scuola, e la rete insieme a noi
come anche modo di insegnare, per esempio, ci sono le vacanze diamo i compiti
attraverso le mail…
Manuela Comoglio: Moodle, negli Stati Uniti lo utilizzano dalle elementari.
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Marco Rebecchi: sì, cioè utilizziamo un social network che ci permette di comunicare
con gli allievi, con gli insegnanti, così se io ho bisogno di qualcosa da un mio
professore di matematica, lo contatto su Facebook quello che faccio adesso. E lui mi
aiuta mi viene incontro mi manda soluzioni, cose del genere. Cioè, comunque stare
collegati insieme a noi ragazzi, sulla rete, comunicare anche sulla rete…
Vittorio Pasteris: perché sentite la mancanza della figura?
Marco Rebecchi: no, ma dai pareri che ho sentito oggi sembriamo pecore allo
sbando… allora dico venite anche voi nella mandria e metteteci un po’ a posto…
Italo Losero: sarebbe bello che voi esterni foste insieme a noi…questo è bello.
Laura Rolle (mod.): Questa cosa che dici tu è interessante, anche perché forse
indirettamente stai dicendo in modo da forse mostrare anche più usi di questo
strumento.
Marco Rebecchi: Sì, come diceva lui prima con Villareggia, la comunità virtuale.
Vittorio Pasteris: Ma come vi sentite voi? Come in Afganistan o come a New York? In
un posto sperduto dove non vi viene a rompere nessuno e potete fare cosa volete voi,
oppure in un posto bellissimo dove c'è tutto il mondo?
Marco Rebecchi: Dove c’è tutto il mondo e tu sei libero di fare quello che vuoi e dove
hai tutte le cose possibili.
Ida Petrone: Però quello è uno strumento che loro padroneggiano, e lì tra l’altro è
divertente perché gli insegnanti non padroneggiano come loro, io lo uso, mandano i
compiti ed è molto bella questa cosa …
Laura Rolle (mod.): Sui video giochi?
Marco Rebecchi: Io non ho mai giocato sui videogiochi on line, ho giocato solamente
ad un videogioco stupidissimo, che poi ho smesso dopo un mese perché mi accorgevo
che era solo un’ossessione una droga. Il gioco era Travian, un gioco dove devi partire
con il tuo esercito alla conquista degli altri, devi combattere e ogni tot ore devi andare
su Internet per dare l’alimentazione al tuo esercito, fornire di armi …
Italo Losero: Un tamagotchi.
Marco Rebecchi: Sì, però su Internet, un’Internet dipendenza, devi andare sempre
lì… devi stare a casa per il video gioco con la paura di essere distrutto nel giro di
cinque secondi, ti prendeva perché tu eri nella vita virtuale…
Laura Rolle (mod.): nella tua esperienza, sentendo i tuoi compagni, questo discorso
dei videogiochi, che non è solo la relazione tra te e il gioco, ma giochi in cui invece la
reazione… è molto diffuso prende molto?
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Marco Rebecchi: Sì, ci sono videogiochi dove prende molto, e dove si fa in fretta a
fare gruppo, dove si comincia per scherzo si forma il gruppo e non ti stacchi più e ti
tieni in comunicazione anche con Facebook, Skype, con questi social network che ti
permettono di comunicare anche fuori del gioco, così in questo modo allarghi anche le
conoscenze. Io conosco compagni che quando siamo andati in gita a Firenze, avevano
amici perchè conosciuti su Meetic e cose del genere oppure altri che giocano a giochi
on line inglesi per imparare meglio l‘inglese… cioè comunque ci sono anche delle
utilità su queste cose.
Italo Losero: Nel suggerire qualcosa di effettivo da fare in un progetto di questo tipo,
in questo tipo di esperienza, suggerirei tre cose: luogo, tempo e silenzio. Il primo, il
luogo, mi piacerebbe obbligare un test group, le persone che vogliono sottoporsi a
questo, ad essere su un social network obbligatoriamente con le persone di un certo
luogo fisico. Si è parlato di Villareggia, io pure a La Cassa, che è un paesino in cui tra
famiglie ci ritroviamo proprio a discutere di queste cose che sono francamente
all’ordine del giorno. Se tutti quanti nello stesso luogo dovessero parlare tra di loro,
ecco che verrebbero fuori tutte quante le persone anche non legate da legami di
amicizia Internet, ma solo perché sono fisicamente vicini, ci si conoscerebbe tra vicini
con cui magari non si parla.
Per quanto riguarda il tempo, è più un’esperienza secondo me, da genitori, da
educatori. Fare in modo che , quando un genitore si interroga che cosa posso fare io,
di riuscire a trovare dei tempi nei quali parlare in assenza di media. L’esempio che
faccio molto spesso è togliete la televisione dal luogo in cui mangiate, in questo modo
siete obbligati a parlare con i vostri figli. E’ un mezzo potente perché lo fate tutti
quanti i giorni, in altri Paesi non c’è più si mangia separati in tempi separati noi c ‘è
l’abbiamo, usiamo questo tempo. Il terzo suggerimento è il silenzio, cioè con questi
test group, fare in modo che tutti volontariamente per una settimana, dieci giorni per
quanto si vuole siano tutti volontariamente assenti dai media, che lo scelgano come il
silenzio degli esercizi spirituali, una scelta con l’obbiettivo di capirli meglio, perché
tutti quanti voi lo sapete che tirandosi fuori da un oggetto, lo si riesce a vedere. Forse
dopo questi dieci giorni, si riesce a capire meglio l’oggetto. Secondo me, con questi tre
oggetti nel cuore si potrebbe costruire una bella esperienza significativa.
Laura Rolle (mod.): Quindi, la cosa del luogo…. La puoi ripetere velocemente…
Italo Losero: obbligare il test group a stare sui social network, tra persone che
insistono sullo stesso luogo fisico, in modo da instaurare relazioni tra persone che poi
si vedono anche di faccia. Si scoprono cose bellissime, abbiamo fatto questo
esperimento nella nostra piccola comunità, effettivamente…
Francesca Ranni (ass.): però, riguardo a questo, dipende forse dall’uso che si fa dei
social network, perché se vogliamo, io non faccio parte del target, sono un’adulta…
però per me, questo è l’uso che faccio di Facebook. Le persone che ho, sono le
persone con cui bene o male condivido lo spazio e quindi non mi dovrebbe obbligare a
fare nulla.
Italo Losero: Vero, però i social network non sono Facebook, se cominciate a
condividere Flickr che è un altro social network, che fa tutte altre cose, condivide
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immagini con tutte quante le persone che fanno fotografie del vostro paese scoprite
cose bellissime. Se allo stesso modo trovate un altro social network qualsiasi, Scribd
consente di comunicare scritti oppure Slideshare che consente di comunicare
presentazioni, Delicious per i libri, cioè un focus group che vuole fare quest’azione,
non lo stiamo imponendo a persone che non ne vogliono sapere nulla.
Laura Rolle (mod.): Però probabilmente in una classe tu puoi anche dare l’occasione
di far vedere che … non è solo Facebook ma …
Italo Losero: Condividere la vita sociale elettronica, telematica con i propri vicini
fisici.
Francesca Ranni (ass.): Sì, questo sì, però per l’esperienza che abbiamo avuto
anche con i vari progetti passati, in realtà bisogna andare forse dove i ragazzi sono,
nel senso che… proviamo quella cosa e scoprono anche delle piccole grandi cose
mentre sono lì a fare questo esercizio forse un po’ scolastico, però poi di fatto
ritornano ad utilizzare quello che molto probabilmente tra tutte le cose emerse è
emerso benissimo da Marco prima, del gioco, di tutto, quindi capisci proprio la
dimensione di come il ragazzo vede queste cose, come usa questi mezzi. Quindi uno
può anche dire o.k. ti faccio sperimentare una serie di altre cose così riusciamo…
magari si riesce a capire delle cose insieme. E’ anche vero che tutti questi nomi per la
mia esperienza sono cose che di fatto i ragazzi non usano.
Ida Petrone: Il gruppo classe sta mediamente nello stesso posto a periodi, c’è il
periodo in cui stanno tutti su Facebook, c’è il periodo dei videogiochi o del
videogioco…
Francesca Ranni (ass.): E' questo. Ci sono un sacco di social network bellissimi,
utilissimi ma che i ragazzi non usano, e quindi siamo di nuovo punto e a capo. Uno
dice o.k. confrontiamoci con questi mezzi dove sono loro, poi però al di là di
Facebook…
Manuela Comoglio: Ma inverti il polo, la nostra suggestione era proprio quella di
partire bottom up no top down, cioè se io arrivo, trentacinquenne e dico simpatici
tutti, quanto è bella questa roba, “mmm che buoni gli spinaci, mangia tutti gli spinaci
del piatto”, è la stessa identica cosa, è il vertice, invece secondo me, appunto, in
un’ottica di ascolto ribaltare e sviluppare qualcosa bottom up, bisogna rimbalzare la
palla a loro… tu gli offri degli strumenti. Si può anche partire da un test group non di
tutte le scuole …
Vittorio Pasteris: voi avete già provato a farvi raccontare dai soggetti la loro
esperienza d’uso della rete sociale, mi spiego. Io una volta ho avuto un’esperienza
interessante. Stavo prendendo il trenino che va dalla stazione Dora a Caselle, e con
me ore del mattino presto, di solito prendo qualcuno per la scuola, è salita
un’ammucchiata di studenti che evidentemente andavano a Caselle.. non so… a
Lanzo, che hanno passato dieci minuti a raccontarsi quello che avevano fatto il giorno
prima su Facebook, che per me è stata un’esperienza un po’ traumatica, perché alcuni
erano fuori da quel giro che aveva operato su Facebook quel giorno, qualcuno c’era
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dentro qualcuno era fuori per cui si stavano raccontando… telecronaca diretta del…
ecco, io non ho mai avuto esperienza del… chiedo a voi se può servire
all’approfondimento, di chiedere a qualcuno in quella fascia d’età direi, bassa: -scusa,
fammi capire… come quando ti arriva il figlio a casa e chiedi, cosa hai fatto oggi
all’asilo? Cosa hai fatto a scuola? Cosa hai fatto quando sei andato a giocare a pallone,
avete vinto? Ecco , chiedere a loro, scusa sei stato su Facebook?, cosa hai fatto?
Michele Botta: Secondo te cosa …? Lo dicono?
Vittorio Pasteris: Non so, chiedo, sto pensando a mia figlia chiedo… cosa hai fatto?
Bisogna avere la volontà di aprire un dibattito… anche per capire il report che hanno
sul loro essere …
Francesca Ranni (ass.): Quanti amici hai su Facebook o su…
Vittorio Pasteris: Allora è un rapporto quantitativo? Oggi ne ho quattordici in più …
Francesca Ranni (ass.): Però da lì si ricavano tante cose, noi quando andiamo nelle
classi questa domanda la facciamo sempre, quando iniziano a dire mille e
cinquecento, da lì riesci a capire che di sicuro tutte queste persone non le conoscono
davvero. Quindi quante persone in realtà hanno amici…
Vittorio Pasteris: Però, anche lì, la domanda che sorge spontanea com’è che sono
riusciti ad accaparrarsi questo numero, sono andati a casaccio?
Francesca Ranni (ass.): Da amico in amico… giochiamo allo stesso videogioco
quindi da lì ovviamente… tutti i pericoli che immagino esserci …
Vittorio Pasteris: Però leggendo con l’occhio cattivo… sono le classiche
segmentazioni di marketing che si vengono a creare, ci sono quelli che giocano col
gioco Pippo, quelli che gli piace la Nike, quelli che guardano la sera… ditemi un
programma a scelta, perché io non guardo la tele, non perché io sia chic ma… ho una
mia teoria. Però hai capito? Sono segmentazioni e su quelle segmentazioni tu poi le
spalmi e le moltiplichi, però sui grossi istituti… a me fanno paura quelli che vanno a
raccattare amici per la rete… in cui c’è da un lato una potenzialità di esperienza di
conoscere l’altro che è un’altra cosa non banale, dall’altro, i rischi che possiamo
facilmente comprendere e dire ma dietro lì chi c’è? L’amico Pippo o il drago …
Ida Petrone: Ma anche l’illusione di conoscere, quando non conosci niente.
Francesca Ranni (ass.): E' quello…
Manuela Comoglio: E' anche il problema della non identificazione con sé stessi, cioè
noi stiamo parlando di persone e spesso invece quello che rimane di un profilo non è il
lato persona ma, pur avendo la stessa etimologia è il lato maschera, cioè quanti di
questi ragazzini hanno un profilo proprio e poi tutta una serie di alias che permette
loro di sperimentare vite diverse. Anche qui, negativo, positivo, io sarei cauta nel dare
un giudizio di valore, perché è stato un gioco di tutti, io sono stata Clotilde Broferio per
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un paio di anni della mia vita, era il mio alias l’avevo reale non avevo bisogno di avere
una pagina.
Vittorio Pasteris: Tutto bene adesso?
Manuela Comoglio: Tutto bene… anzi, benissimo anche allora. Era semplicemente la
possibilità di essere qualcosa di completamente diverso.
Ida Petrone: Vengono tante belle pensate a sentire queste cose.
Manuela Comoglio: Si vanno a toccare delle cose molto delicate…, si vanno a
toccare delle corde che è molto difficile gestire in un’attività educativa con cinquanta
scuole, cioè si rischiano di aprire delle porticine che è meglio non andare ad aprire se
uno poi non ha gli strumenti per poter intervenire…
Laura Rolle (mod.): Oltretutto, noi parliamo di un progetto educativo che deve
comunque,…. sono d’accordo di dare la palla a loro, ma che comunque deve
coinvolgere gli insegnanti, e quindi nell’idea che noi vorremmo proporre dobbiamo
capire i ruoli, dobbiamo capire ma in questo progetto educativo gli insegnanti hanno
una parte precedente, sono spettatori, devono essere preparati prima …
Manuela Comoglio: Lo spunto di entrare nella mandria era molto interessante da
questo punto di vista, perché lì c’era davvero il desiderio… e secondo me è un
desiderio generalizzato non soltanto dei giovani che appunto loro, sono la generazione
del co-sourcing, cioè iniziamo a discutere su chi dovrebbe produrre il significato, chi
costruisce il significato. Cioè, finchè noi imponiamo dall’alto un significato già
costruito, non daremo mai gli strumenti a questi ragazzi per costruire un significato ,
quindi la mia idea di partecipazione, lo stimolo che davo io prima, derivava proprio dal
fatto che, è importante all’interno di una comunità interpretativa condividere la
creazione, la negoziazione di significato. Loro non possono arrivare a vent’anni
scoprendo improvvisamente che il loro background culturale,che quello che si discute
sui giornali è un qualche cosa di assolutamente prodotto quasi per emanazione divina
e non è invece il frutto di una negoziazione umana e di un prodotto di scelte che
hanno alle spalle tutta una serie di presupposti, e che generalmente vengono
negoziati.
Vittorio Pasteris: No, scusa mi hai toccato su un dente inconsciamente con la parola
giornali. Però questa generazione di cui stiamo parlando, è una generazione che i
giornali li ha bypassati, come dire… modello Kalashnikov, nel senso che proprio non li
considera un punto di riferimento come la generazione precedente, sia le persone che
ci lavorano. I giornalisti di cui io faccio indebitamente parte, sono sempre convinti nel
loro cervello megalomane che esista un’agenda delle informazioni, cioè che esista una
agenda virtuale secondo cui ogni giorno esistono dei valori, per cui l’informazione A e
più importante dell’informazione B. Le avanguardie della generazione nativa digitale,
quindi siamo fuori dal target, ormai ragionano secondo quest’approccio in una
maniera totalmente diversa. Il discorso per cui gli editori fanno edizioni perPad etc. per
i loro giornali, con risultati economici pari a zero sbarrato è dovuto al fatto che i
giovani e quelli che sono nativi digitali sono come dire, intrinsecamente infedeli al
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brand editoriale. Non sono nati come noi, io, Sergio e altri anziani del gruppo , che si
comperavano il giornale, oggi il giornale non se lo comprano più e vanno a piluccare
dappertutto … questo è il loro sale che poi si trasla, nel senso che poi nell’esperienza
Facebook del caso anche loro cominciano fanno disfano giochettano ….
Manuela Comoglio: Allora la questione è se, vogliamo farci dettare l’agenda da
Google allora, cioè forse la questione è iniziamo a capire che c’è un’interessante
letteratura scientifica
sulla produzione del sapere e sul rating di valore e di
importanza del sapere attraverso la selezione di Google. Anche questa è una domanda
importante, quindi di nuovo tirandoci fuori dallo strumento l’unica cosa è iniziare a
capire quali sono i meccanismi che portano alla produzione del significato, poi dopo,
che uno decida di seguire diecimila blog da Blonde salad a non so che cosa, o che
viceversa decida di comprarsi il giornale poco importa, quello che secondo me è
interessante è che si capisca come si costruisce quel contenuto, e quanto sia
importante la relazione tra quel contenuto e la forma.
Laura Rolle (mod.): Il dibattito è interessantissimo e tra l’altro meriterebbe, secondo
me un approfondimento. Ma una cosa che ho lanciato su un altro tema difficilissimo,
che è la responsabilità sociale d’impresa, alla fine le persone hanno creato una rete e
si è continuato a dibattere dopo il focus, perché comunque vengono fuori
ragionamenti interessantissimi, il livello è molto alto, e vi chiedo scusa se vi ho
interrotti, ma purtroppo poi il risultato… e mi rendo conto che banalizzo, perché in
realtà è proprio questo il livello su cui bisogna ragionare però ero curiosa di sentire
loro due che avevano fatto degli interventi particolari, lui addirittura dicendo fino a
sedici anni… ed è interessante che sia un giovane a dirlo… lui invece aveva proposto
quella riflessione all’origine, come vedete voi questo eventuale programma, intervento
che si può fare.
Sergio Chiarla: Forse non tutti sanno che Facebook è vietato ai minori di tredici
anni… e uno dei dibattiti è: visto e considerato che i nostri ragazzi bluffano sull’età per
entrare, allora tanto vale o costruirgliene uno o comunque renderlo disponibile a tutti
proprio per avere una valutazione su quanti sono perché le ultime statistiche sono
allucinanti, dai nove ai dieci anni in su sono tutti iscritti …
Marco Frattini: Riallacciandomi alla creazione di senso, volevo dire una cosa: in
ambito ecclesiastico, dopo l’esperienza di quaranta e passa anni dopo il Concilio, oggi
si dice dobbiamo tornare ad insegnare ai sacerdoti la filosofia, bisogna insegnare la
metafisica, la metafisica è quella scienza che magari non dà da mangiare ma che
insegna...non posso mettermi ora a spiegare, però bisogna tornare alle radici, alle
fondamenta, io prima parlavo dei fratelli secondo me da lì si inizia perché tutto è
relazione tra pari, perché da solo non puoi far nulla
Michele Botta: Ma nel concetto di fratello non c’è solo …
Marco Frattini: Ma c’è anche quello, che bisogna riscoprire, scusatemi ma i figli unici
hanno un grave handicap da superare e lo stato dovrebbe mettere in condizioni i
genitori di fare un figlio in più.
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Francesca Ranni (ass.): Io sono figlia unica. Non ho neanche più la mamma, non ho
praticamente mai avuto nonni, sono una situazione un po' anomala, sono io la mia
famiglia. Credo che anche la vita, anche i comportamenti, si conformi un po’ a quello
che a uno capita di vivere, e secondo me è lì che bisogna lavorare con la situazione
che si ha, come facciamo? Io non ho fratelli di sangue ma ho carissime amiche, una
famiglia allargata, che per me sono più che sorelle, mentre mio padre ha tanti fratelli
che non sente mai, quindi secondo me bisognerebbe lavorare su questo, il concetto di
fratellanza non è per forza l'essere fratelli di sangue.
Marco Frattini: No, non è per forza, però aiuta molto…
Manuela Comoglio: Io penso alle politiche di alcuni paesi scandinavi, perché nelle
famiglie bisogna vedere chi sta a casa ad allevarli, bisogna dividersela questa palla.. ci
sono dei desideri anche legittimi quelli dell’affermazione personale è trovare un
giusto equilibrio …
Marco Frattini: Gli italiani vogliono 2,8 figli a testa poi ne fanno 0,9, dall’ideale alla
realtà passa … non so …
Manuela Comoglio: Passa la contingenza di cui parlava prima Francesca. Io mi sono
ritrovata in classe all’università questa ragazza, un mese fa di cui parlavo prima a loro,
con un bambino di nove mesi con la baby sitter ammalata e lei la mattina non ha
potuto frequentare perché altri docenti differentemente da me non gli hanno dato il
permesso di rimanere in classe col pupo e io le ho dato il permesso, il bambino non ha
minimamente disturbato, c’era la possibilità di uscire dalla classe nel caso in cui il
bambino avesse iniziato a piangere ed ho lanciato l’idea con alcuni
dell’amministrazione, visto che l’università di Bologna è una di quelle virtuose, a
realizzare un asilo per chi lavora e per chi ad un certo livello frequenta l’università…mi
hanno guardato come se fossi pazza.
Laura Rolle (mod.): Con tutto che io condivido il discorso... il fatto è poi riuscire
effettivamente ad incidere giustamente… con le carte che abbiamo in mano io penso
sia necessario un ripensamento di modelli, più ad alto livello. Però purtroppo qui,
probabilmente il tipo di intervento che abbiamo a disposizione è l’intervento chirurgico
della medicina tradizionale che perde di vista l’individuo, guarda il fegato, il
polmone, voglio dire con tutti i limiti della visione specialistica, tanti benefici ma anche
tantissimi limiti. Se noi guardiamo all’individuo io sono la prima a essere propensa alla
visione olistica. Purtroppo qui la richiesta è una richiesta specifica, su venticinque
classi… perché sarebbe molto facile produrre scritti, cd, sperimentazioni così, un po’
ricalcate, da cose fatte, nella pratica l’idea è, visto che abbiamo molto presente quali
sono i limiti, perché se andiamo dai ragazzi a dire – adesso andiamo a fare la lezione
di internet … visto che loro ne sanno più di te, allora mettiamo la connettività nelle
scuole, basta quello? Allora quando si insegna storia si sta tutti sul computer…
banalizzo ma… però almeno, sembriamo tutti più attuali e l'idea di scambiare è una
buona idea, basta questo o questo giustamente è il primo canale da attivare, per
avere un riscontro, perché poi mi sembra che il progetto prevede una parte di
sperimentazione e poi si vanno a vedere i risultati, se veramente la sperimentazione
ha fatto cambiare qualcosa. Tra l’altro la divulgazione di questi dati dovrebbe
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diventare uno strumento di comunicazione e di diffusione di questa pratica, tornando
molto al concreto, non dico che sia facile… visto che siete tutte persone veramente di
livello, se in qualche modo riusciamo a tirare fuori insieme… al di là della suggestione
che è colta e metabolizzata, cioè capire questa cosa che dal basso che io condivido e
credo che sia giusta, se c’è qualche altro spunto che potrebbe essere uno spunto di
cosa fare, sia di quali strumenti privilegiare …
Vittorio Pasteris: Voi quali strumenti potete usare… strumenti a disposizione
possibili …
Francesca Ranni (mod): Tutto. E’ una cosa da costruire non ci siamo messi dei
vincoli se non, appunto quelli economici, sicuramente c’è una parete che non riguarda
l’intervento educativo con i ragazzi, ma è una cosa che segue il progetto, però con i
ragazzi ci si è posto il problema… perché, cosa faccio? Faccio dei video molto veloci
che magari possano andare su Youtube perché magari abbiamo visto anche in
passato, perché in realtà questo progetto ha già esaminato tutte le cose già fatte in
Italia e non solo, negli anni scorsi incentrate su internet che non sui social media,
perché i social media sono argomenti di oggi e quindi che cosa si è fatto, come posso
migliorare, che cosa non ha funzionato e perché… anche questa è una cosa che
dovremmo far venire fuori. Dicevamo prima che, forse dare un foglio, un decalogo
un’impostazione troppo pedagogica impostata dall’alto, è una cosa che potrebbe non
essere efficace o almeno non più rispetto a prima, e adesso cosa diciamo? Facciamo
dei video che possano andare su Youtube che loro possano condividere e attraverso
Facebook, partire per una diffusione per i loro amici. L’idea è appunto di sfruttare
questi mezzi un po’ anche per noi, per arrivare più lontano. Facciamo invece, un
supporto classico cartaceo che sia destinato magari agli insegnanti, e che poi siano gli
insegnanti a confrontarsi con i ragazzi, questo intervento educativo lo facciamo
congiunto genitori, insegnanti, ragazzi, facciamo degli incontri tutti insieme.
Ovviamente noi delle idee di base le abbiamo, però degli spunti magari su delle idee
che già abbiamo come poterle correggere, ad esempio mi è piaciuta molto quella di
Marco, provate a venire insieme a noi. Un po’ di suggestioni, di suggerimenti su
queste cose da chi viene da noi considerata parte interessata, non sono solo i ragazzi,
ma sono proprio i loro educatori, i loro genitori i loro insegnanti e chi vive insieme a
loro.
Manuela Comoglio: La suggestione in realtà è un altro progetto. Ed è un progetto
che ho fatto in Calabria ed ho utilizzato l’educazione al patrimonio per instaurare un
inizio di processo di educazione alla cittadinanza attiva. Io avrei voluto… il titolo
dell’iniziativa era Snap shooting utilizzando il gioco di parole tra snap e shoot,
istantanea e shooting sparatoria, l’idea era quella di mandare i ragazzi nel territorio, di
riappropriarsi del territorio attraverso il mezzo della fotografia, ovviamente fotografia
a bassa definizione, quindi istantanee, cellulari, qualsiasi strumento loro avessero a
disposizione. Lì si coinvolgevano, chiaramente i genitori, perché l’età dei ragazzi era
intorno ai dieci, undici anni, con una dimensione davvero di esplorazione del territorio
che presupponeva l’accompagnamento da parte di qualcuno. L’idea era quella di
costruire il patrimonio di domani, patrimonio che loro avrebbero dovuto lasciare poi in
eredità alle generazioni future, il progetto l’ho dovuto poi limitare perché in realtà,
negli incontri che ho fatto con gli insegnanti… perché la mia conclusione era poi
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creare una schedatura di questo patrimonio sulla falsa riga della scheda OA, che è
quella che viene fornita dall’istituto del catalogo per la conservazione e utilizzare
questo strumento mettendolo su Flickr . Ogni ragazzo aveva la possibilità di uploadare
con le sue fotografie con un commento come fosse un reperto. Il grande ostacolo che
ho avuto sono state le insegnanti, perché appena ho cominciato a parlare di Flickr,
hanno cominciato a dire che i ragazzi non avevano la connessione a casa, che loro
erano terzo mondo e che tutto questo non esisteva e probabilmente non avevano
neanche l’idea di che cosa Flickr fosse. Ve la lancio come suggestione anche se in
realtà, anche senza la parte del social l’esperimento ha funzionato moltissimo, loro
hanno poi fatto una mostra fisica all’interno della scuola e quest’esperimento è
funzionato abbastanza perché molto era delegato, cioè la parte della scelta era molto
delegata ai ragazzi. Era “metteteci il vostro”, coinvolgendo anche noi, sono
assolutamente convinta che la responsabilità parta dalla possibilità di gestire una
libertà.
Michele Botta: Forse noi adulti in tutto questo siamo un po’ imbarazzati, perché loro
ci vedono fuori dal branco… non insieme, non possiamo però entrare e confonderci tra
di loro, è quel discorso dei livelli. Noi in questo mondo dobbiamo entrarci come adulti,
come loro insegnanti, come loro fratelli maggiori o come loro padri e madri, questo è il
principio educativo, non possiamo venir meno. Quando parliamo di rete,è tutta una
cosa sullo stesso livello, attenzione perché questa è la base per far venire fuori, sennò
i quarantenni diventano quindicenni …
Ida Petrone: Sì, ma come lo gestisci? Io, non sono su Facebook, forse per questo
motivo, penso che comunque ci si può stare, se tu sei capace di mantenere il tuo ruolo
anche nel momento in cui sei lì, Perché se invece , anche tu ti fai il profilo finto e
scrivi, ho tredici anni…
Michele Botta: Ma anche vero, però, se fai girare cretinate, tu sei il peggiore degli
insegnanti, ma non perché fanno quello, potrebbero farlo anche per un momento di
leggerezza loro a casa, ma il problema è che sei lì davanti a tutti, i tuoi allievi, ma
anche i tuoi figli. Devi capirlo. Allora, il nostro imbarazzo è di entrare in questo mondo,
tenendo il nostro ruolo giusto.
Ida Petrone: E’ imbarazzante questo discorso, fatto ad un insegnante, perché
praticamente mi scontro con i ragazzi ogni giorno, su questo discorso. Tutti i giorni
sono costretta a dire, guardate, qui c’è un ruolo io ho un ruolo, sia chiaro!
Michela Botta: Io, volevo fare questa premessa per le proposte, l’altra cosa invece,
sono d’accordo nel portare la rete sul territorio. Io abito in un paesino con settemila
abitanti, io ho capito una cosa… io sono un immigrato, digitale ma anche anagrafico,
vengo da una città più grande e sono arrivato lì e sono riuscito a conoscere molta
gente, grazie a mia moglie che ho trovato là e poi grazie ai tanti amici. Ma i nomi delle
persone… io vedo le persone , le conosco di volto ma, a volte non so i nomi, ho
imparato i nomi attraverso Facebook. Ora saluto la gente e so anche il nome. Mi ha
aiutato, cioè ha creato un legame tra il territorio e la virtualità. Il reale è entrato nel
virtuale. In questo, io credo tantissimo che il futuro della rete sia questo, quello del
silenzio mi è piaciuto tantissimo. Domanda all’insegnante: il linguaggio che c’è sulla
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rete attraverso i social network, ma anche può essere Skype il messaggio istantaneo
ecc. si può a scuola fare un esercizio, prenderlo come gioco, ma fare un esercizio di
analisi linguistica, testuale …
Ida Petrone: E’ previsto dai programmi, ma nelle grammatiche…
Michele Botta: Partire da lì, dalle conversazioni, e far vedere che a volte la
comunicazione in un certo modo non funziona bene tu, volevi dire una cosa e il tuo
amico ne ha capita un’altra, si potrebbe?
Ida Petrone: Nelle grammatiche, i capitoli ci sono, dove si analizzano i linguaggi che i
ragazzi usano per scambiarsi i messaggi. Comunque loro, nei componimenti scritti
tendono a riprodurre. Non so, io che lavoro con la L.I.M. ho la possibilità di manipolare
il testo dal vivo immediatamente. Primo, perché mi fanno già un file e non un
protocollo, e secondo perché ho questa fortuna di avere la lavagna in classe, e subito
vado a lavorare su questa cosa, cioè loro usano le stesse abbreviazioni, che io molto
spesso non conosco, non so. Perché, io faccio i messaggi ma, ovviamente non uso il
linguaggio che usano loro. E quindi questo dà la possibilità… Sono cose che si fanno
tranquillamente. Io comunque sono una persona che non mi sento adatta ad usare
quel linguaggio, però penso sia importante parlarne con loro, renderli consapevoli,
vedere quanto significato si perde usando certi stilemi.
Vittorio Pasteris: Perché dice si perde, è proprio convinta? Facendo una domanda
così aggressiva ora sembra che abbia già la risposta ma non ce l’ho.
Ida Petrone: Sì. Io adesso mi sono fatta una bibliografia per l’estate ho questo
compito. Loro hanno il loro, io ho il mio. Ci sono una serie di pubblicazioni di studiosi
americani, proprio su questo punto, sulla difficoltà seguendo Internet, seguendo anche
questo modo anche di scrivere, perché il modo in cui noi costruiamo il messaggio
corrisponde ad una struttura mentale ad un ragionamento e loro dicono che si è persa
la capacità di elaborazione… c’era un articolo su Tuttolibri, quest’estate leggerò …
Laura Rolle (mod.): Ci stiamo un po’ confrontando sulle cose che sono emerse, e la
cosa che stavamo notando è che tra i rischi della relazione, non è mai emerso il fatto
di poter incontrare persone poco rassicuranti.
Manuela Comoglio: Alla cappuccetto rosso …
Francesca Ranni (ass.): Ma non è da sottovalutare, perché uno di questi problemi,
sono una delle prime situazioni che magari i ragazzi incontrano e non capiamo come
l’affrontano.
Manuela Comoglio: Questo secondo me è molto allarmismo di noi adulti,
bisognerebbe prendersi tutti un po’ meno sul serio, perché il molestatore, quello che ti
seguiva di notte, ti faceva vedere cose strane in macchina c’è sempre stato, gli
spacciatori fuori dalla scuola ci sono sempre stati, se non erano spacciatori erano
forse, turlupinatori di altro genere, però il rischio di incontrare il lupo, davvero da mia
nonna che abitava a San Giusto, e camminava con gli zoccoli, a me, io l’ho visto come
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costante, molto amplificato. Ma è molto allarmismo, per cui non si portano i bambini al
parco, non si lasciano giocare fuori nei cortili e invece bisognerebbe lasciarli anche un
po’ da soli, perché… oh, mio Dio si spacca la testa… andiamo a guardare le
statistiche, si spaccano molto più la testa cadendo dal letto.
Ida Petrone: Io ho una percentuale più alta di allievi che hanno subito violenze gravi
in famiglia , che non in Internet.
Sergio Chiarla: I dati dicono che oltre il 75% dei fenomeni di pedofilia avviene in
ambito familiare o stretta cerchia.
Vittorio Pasteris: Io temo che ci possa essere un contributo assolutamente negativo
da parte dei media e che potrebbe essere parte del progetto perché periodicamente…
un po’ di anni fa l’adescamento avveniva con la mail, poi hanno cominciato con gli
sms, ora si sparano Facebook, e quello è un grosso problema.
Laura Rolle (mod.): Quindi secondo voi su questi contenuti non vale la pena di fare
un intervento?
Italo Losero: Bisogna rispondere alla domanda, il ragazzo in pericolo di fronte a
questo, i mezzi che ha a disposizione sono mezzi culturali o tecnologici? Se la risposta
è tecnologico, allora dobbiamo insistere in quella direzione, se la risposta sono i mezzi
culturali non è qui che dobbiamo agire ma sono altri i livelli.
Laura Rolle (mod.): Quindi ritorniamo ai discorsi che facevate voi, i valori, la
famiglia, l’educazione …
Vittorio Pasteris: Ma con un problema, se nel web aperto in cui intervenne a suo
tempo Davide, c’era la necessità di intervenire forse con un elemento esterno, nelle
aziende Facebook, Twitter ecc. che gestiscono delle reti chiuse sui quali hanno un
certo tipo di responsabilità, banalmente, bisogna che siano in un certo senso loro a
“Davidarsi”.
Sergio Chiarla: Un intervento di servizio, visto che questo discorso, secondo me è
stato molto interessante e ci ha coinvolto, noi dalla prossima settimana facciamo
partire focus group su Linkedin. Le persone che interverranno sono diverse da voi,
quindi è un altro panel, per cui vi invito a partecipare però vi chiedo la cortesia di non
partecipare alla discussione, se volete intervenire scrivete a me, a Francesca in modo
tale che il vostro contributo venga accettato, però visto che sono poi due discorsi
diversi, alla fine li mettiamo insieme e li condividiamo.
Manuela Comoglio: Farete un focus anche con i ragazzi?
Sergio Chiarla: Può essere… il concetto del focus è appunto quello, oggi lavoriamo
due ore e mezza, su Internet sarà un po’ più lungo perché faremo le domande…
durerà una settimana, dieci giorni, secondo me è arricchente per tutti perché vediamo
anche… ad esempio, ci saranno gli specialisti dei video giochi. Cosa che oggi, peccato
che non ne abbiamo portato uno.
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Vittorio Pasteris: Quello che dicevano loro, era la ricostruzione visiva delle reti
sociali non solo, ma una ricostruzione visiva delle reti affettive, mi spiego, Facebook, ti
permette sostanzialmente di correlarti rispetto alle persone, madri, marito, amante. Vi
racconto un aneddoto. Io, su Facebook ci sto dall’inizio, conobbi, lo spunto… sposato,
qualcuno mi fece i complimenti pensando che mi fossi sposato quel giorno… Però
questo pezzo della rete sociale è spesso buttato un po’ lì, (qualcuno avrà anche le sue
buone ragioni). Gli americani ad esempio che vanno alla ricerca delle loro radici, sui
discorsi delle genealogie, ci hanno costruito dei soldoni, ricostruendo genealogie
transoceaniche. La percezione anche visiva della tipologia/ topologia anche visiva di
queste reti, tante volte non ce l’abbiamo. Ci sono dei modi per ricostruirla invece…
Manuela Comoglio: Tipo un planisfero, una mappatura delle relazioni.
Vittorio Pasteris: Una percezione tangibile, tattile, visiva delle relazioni che si
creano… quello che dicevano sempre loro che era: il social network e il social media,
perché poi alla fine della fiera, la rete distruggiamola come fattore negativo, ma poi
proponiamola come fattore sociale positivo, in effetti c’è, se questo sia su Facebook è
discutibile, però la rete è un fattore produttivo, non in senso economico. Quindi,
insegnategli a fare qualcosa insieme, come si fa a scuola.
Manuela Comoglio: La cosa bella, sarebbe, riuscire a portare sul virtuale una
negoziazione dell’interrelazione che è reale, quindi come se la dimensione classe
potesse essere declinata su tutti e due i livelli, perché forse prima sono stata fraintesa,
ma io non intendevo “avviamoci dentro tutti allo stesso livello”, perché è impossibile
spogliarsi in realtà del proprio vissuto e diventa altrettanto importante dichiararlo e
riesci a dichiararlo nel momento in cui sei all’interno della relazione virtuale. Però, se
non gli si fa fare questo corto circuito, reale-virtuale come fanno a esserne
completamente consapevoli. Perché questo è il punto, loro utilizzano questi strumenti,
li utilizzano meglio di noi, ma sono consapevoli quanto noi di cos’è questa roba?
Questo è il punto… E il discorso del proteggere, non siamo in grado di proteggere
nessuno perché il caso esiste e siamo esseri umani con dei limiti.
Michele Botta: Ogni esperienza va vissuta all'età giusta, prendere un bambino e
metterlo in mezzo ad un’autostrada… perché così impari… tutti dobbiamo sapere
quando è il momento di fare un’esperienza…
Vittorio Pasteris: E’ la questione della leadership, all’interno della tribù, che è un
percorso che nella rete c’è, ed è molto più dinamico di quanto fosse un tempo. Le
strutture tribali erano molto ben definite su dei parametri
(anche divertenti).
Oggi , invece, la tribalità delle relazioni, della generazione digitale è definita e scritta,
attraverso altre cose di cui tra l’altro sarebbe piacevole che avessero coscienza gli
stessi attori della rete, i ragazzi, anche per quei valori che si “embeddano” lì dentro e
che poi sono in parte quelli che costruiscono la dimensione quali-quantitativa della
rete in cui si trovano.
Ida Petrone: Io non ho chiaro dove vogliamo andare… io ho questo modo di lavorare
dell’insegnante è forse un po’ fuori moda, ma quando faccio qualcosa voglio capire
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quale obiettivo sto perseguendo, cioè l’obiettivo è fare una cosa interessante per fare
un’osservazione parziale o produrre un qualcosa che possa essere utilizzato, o
semplicemente giungere ad una riflessione su un aspetto dei social media.
Francesca Ranni (ass.): L’obiettivo è molto più concreto, e qui cerco di fare un
attimo un sunto di tutto, perchè come dicevo prima noi abbiamo toccato moltissimi
aspetti dei social media, in realtà per cosa ci dovremo occupare noi, riguarda
soprattutto quella che noi abbiamo definito violenza, perché viene dal progetto, che è
in inglese, “Stop violence on social media”, quindi in realtà un concetto forse un po’
più ampio che non la violenza che magari noi abbiamo inteso come termine in italiano,
e l’intervento educativo deve essere proprio quello che forse dicevamo prima, fornire
delle armi, degli strumenti in modo congiunto, quindi, ragazzi , genitori, insegnanti,
ognuno per quello che gli serve, ovviamente magari ai ragazzi servirà rendersi conto
del fatto che forse non hanno tutti gli strumenti cognitivi per riuscire ad interpretare
che cosa hanno di fronte, però hanno gli strumenti informatici, l’abilità di usare questi
strumenti. Teniamo conto che questo è un gruppo privilegiato, persone che ne
masticano, che stanno dentro a queste cose da sempre. Quando noi facciamo gli
incontri con i genitori, veramente ci sono genitori che non hanno idea di che cosa
stiamo parlando, sentono Facebook, sentono social network, videogioco pensano
ancora alla sala giochi con i gettoni e lì dobbiamo anche andare a vedere come poter
fare. Quindi a loro, non possiamo prescindere dal dare degli strumenti pratici, di che
cos’è una rete sociale su Internet, che cosa tenta di fare una rete sociale su Internet,
perché qui tutta una serie di cose sono date per scontate per poi toccare argomenti
ricchi di spunti, ma forse un po’ alti per quello che dovremmo poi andare a fare in
concreto nelle scuole è anche un aspetto chenoi non possiamo tralasciare anche
perché forse lasceremo poi da parte quasi tutti i genitori. Lo stesso molti insegnanti,
per quello che… in realtà mi spiace che qui ci sia solo un’insegnante. Il problema è
proprio questo, perché quando andiamo nelle scuole gli insegnanti ci dicono un po’ di
difficoltà pratiche: non ci sono le ore adatte, gli incontri la sera non si possono fare …
Ida Petrone: Mentre voi parlavate io pensavo a quali reazioni avrebbero i miei
colleghi di fronte ad una cosa del genere.
Francesca Ranni (ass.): Quindi noi dovremmo arrivare nelle scuole e attraverso le
scuole, perché è forse il mezzo più semplice per arrivare ai genitori, quindi educatori e
ragazzi e riuscire a dare questi strumenti, queste armi.
Michele Botta: Più che armi non sarebbe giusto chiamarle, ambienti, esperienze
positive …
Francesca Ranni (ass.): Certamente. Un’altra domanda che faccio, da cui però,
rispetto alle indagini che abbiamo, e mi spiace fare quella che dà una visione di
allarme, però da cui non possiamo prescindere e chiedo anche a voi uno spunto,
perché le ricerche è una cosa che tirano fuori spesso: un aspetto concreto, il fatto che
molti contenuti di violenza cruenta, brutta, che di sicuro non passano un messaggio
positivo, siano così facilmente accessibili e di contro ad esempio contenuti
pornografici, che è vero c’erano anche prima, ma prima era un giornaletto che chissà
quando riuscivo a pescare, adesso invece con un clic, non sono anche queste violenze,
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modi in cui il ragazzo molto presto rispetto a prima si trova di fronte a cose che non sa
come interpretare o non riesce a dare spiegazioni.
Manuela Comoglio: E cosa c'è di diverso tra web e web 2.0 da questo punto di vista?
Vittorio Pasteris: Ci sono cose molto grosse, la prima è che Davide, inteso come
filtro, non c’è su Facebook e l’abbiamo già detto, per cui la moderazione dei contenuti
sui social network è fatta da un’azienda, la cui azienda ragiona con le sue tassonomie
e anche con le sue metodiche, tipo su certi social network il primo warning è la
segnalazione da parte di… poi a volte segnalano cose corrette a volte segnalano dei
putiferi che non finiscono più. Nel senso che sul social network l’approccio alla
violenza/pornografia è molto più difficile, e qui abbiamo la fortuna che stiamo parlando
di aziende (social network), se l’azienda “si sputtana” viene beccata in castagna con…
come è successo invece con agenzie Internet tradizionali una è purtroppo a Torino:
Bacheca.it è un’azienda che fa annunci , con un modello di business che non stava in
piedi si creavano delle aree di annunci, che potete ben immaginare, a pagamento
ovviamente, che dopo un po’ di tempo hanno creato problemi dal punto di vista
penale. Se invece in un social network si scopre che…
Francesca Ranni (ass.): Ma non stiamo parlando solo di pedo-pornografia, che è
vietata. Il mio è un concetto di violenza allargata, in realtà doveva emergere, secondo
voi quale erano le forme di violenza. Che secondo me sono anche queste. Una è quella
relativa a tutti i giochi online, il gioco d'azzardo, è anche questo fare violenza ai
ragazzi.
Ida Petrone: Però loro questa violenza la ricevono attraverso Internet, la ricevono
attraverso la televisione, la ricevono attraverso la famiglia. Allora la cosa su cui
riflettere è come noi gliela facciamo elaborare.
Francesca Ranni (ass.): Ecco, è questo che noi dobbiamo andare a fare. Perché,
ovviamente, se loro poi vanno su Internet e c'è Totti o non so chi che in tv ti dice “vai,
collegati lì e gioca a questo” e loro si prosciugano la ricarica del cellulare in questo
meccanismo. E come entri tu a dirgli no?
Vittorio Pasteris: Quello che mi permettevo di dire prima è che l'appartenenza
aziendale di questi social network, se da certi punti di vista è un disastro ecologico,
però è un aiuto perché l'azienda non si può “sputtanare”. Anche perché poi lo stesso
social network rivale fa automaticamente da amplificatore di qualsiasi “porcata”
voluta o non voluta che il social network competitor ha combinato. Questo determina
poi anche degli effetti correlati sulla libertà espressiva che a volte i social network
tagliano delle cose o bannano della gente per delle cose da poco.
Manuela Comoglio: E' un po' come avere le cocotte nella parte letti e camere da
letto di Ikea, di sicuro Il Mercatone sfrutterebbe la cosa.
Vittorio Pasteris: Il problema è che, l'hanno detto tutti prima e mi aggrego, dare la
colpa alla tecnologia, pardon, ribaltare il problema come problema tecnologico è molto
facile ma non è la verità. In questo momento, ahimé, i social network sono la società,
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con tutti i mali e i beni che da questa derivano. Don Rolle ha avuto una grande idea
nel fare quello che ha fatto (la navigazione filtrata, ndr) però purtroppo quello che
stiamo vedendo adesso è tutto un altro mondo. Stiamo passando da un mondo che
era “media” a un mondo che è “social”.
Quello che dici tu è giusto. Noi siamo “competenti” e forse sarebbe anche utile che
questi discorsi, che mi ricordano una via di mezzo fra i focus group e la presentatrice
Avon venissero fatti con dei genitori in cui il presentatore Facebook racconta la sua
esperienza Facebook un pochino evoluta al genitore passivo.
Laura Rolle (mod.): Scusa se ti interrompo, questa cosa ad esempio è molto
interessante.
Vittorio Pasteris: Ma è una roba di una spesa di tempo devastante.
Laura Rolle (mod.): Io dico sempre che i modellisi ripetono. L'esempio della
responsabilità sociale di impresa. Gli enti, le regioni hanno speso soldi per depliant,
cose, impegno dell'impresa, impegno nel territorio, la sensibilizzazione verso le donne,
la flessibilità, il recupero, l'ecologia e nessuno ascoltava niente. Cosa ha fatto l'Emilia
Romagna? Una cooperativa ha iniziato a prendere due imprenditori che hanno
guadagnato dal fatto di applicare logiche di responsabilità sociale di impresa e hanno
detto: “guardate noi usiamo materiale di recupero e non è che solo facciamo bene
all'ambiente ma facciamo bene all'ambiente, siamo più contenti ma ragazzi, stiamo
facendo i soldi, perché siamo più competitivi degli altri e quindi questo rende l'impresa
sostenibile. Sostenibile nel senso di sostenibile per la società. E gli hanno raccontato la
loro buona prassi. E qusti gli hanno detto, aspetta allora raccontamela un attimo.
Perché tu, che paghi le tasse come me, che hai i miei stessi problemi, etc.
Quello che proponi tu è un modello interessante. Forse è il genitore che deve parlare a
un genitore perché banalmente è meglio di un opuscolo. Perché il genitore dice senti,
io ho due figli e sai come l'ho risolta? L'ho risolta così. Se vuoi io te lo spiego. E tra
l'altro vuol dire costruire una relazione. La cosa che sta dicendo lui è molto
interessante, anche modello. La logica del “testimonial” è molto più credibile
dell'opuscolo, del sito Internet. Io genitore ho risolto così, guarda che questa cosa non
è vera... alla fine è molto più importante questa cosa o quest'altra. 1, 2, 3
testimonianze, soluzioni diverse. Anche far parlare i genitori, perché a volte i genitori
neanche si parlano, neanche si conoscono. Perché se tu fai la solita riunione di classe
forse non viene nessuno e allora forse il lavoro deve esere ragionare come costruire
anche questa cosa qua non sia la riunione di classe su Internet che nessuno ci va
probabilmente.
Vittorio Pasteris: Aggiungo, c'è un particolare. Che quello che stiamo tirando fuori
non è il buco della Rete ma il buco della società.
Michele Botta: Certo, e poi se vuoi arrivare agli adolescenti, l'altro lavoro è sulla
famiglia. Perché l'adolescente ascolta te che sei l'insegnante, che sei anche il
formatore, che sei anche il cantante ma intanto un occhio alla famiglia lo dà per
vedere se dice sì o se dice no.
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Vittorio Pasteris: Questo approccio molto social non è la Bibbia ma è un modo molto
diverso che ritorna alle origini. Ad esempio i nostri simpatici politici tra un po' se lo
troveranno come una spada di Damocle oppure come un boumerang che gli arriverà
con una botta piazzata qua. Tra poco mi spiego. I politici hanno scelto, che hanno i
prestigiosi consulenti che gli hanno detto che era molto figo fare così, di non più il sito
che in effetti lasciava un po' il tempo che trova però giustamente di mettersi nei social
network, in mezzo alla gente. Il problema è che poi quando ci sei, in mezzo alla gente,
non ti puoi togliere. La precedente moda dei politici era “mi faccio il sito Internet”,
entro lì, tiro dentro gente.Non lo faccio per ragioni politiche ma per ragioni empiriche.
Quando è stata presentata la candidatura ufficiale di Coppola come candidato sindaco
del Pdl io, in tempo reale, sono andato a cercare Coppola su Google e sono stato
lanciato sul suo sito che era congelato il giorno dopo le votazioni regionali in cui era
stato eletto. Questa era la percezione classica della campagna elettorale, come ti
riempio la buca di santini, ti mando pubblicità ovunque, il giorno dopo che mi hanno
eletto, spero, non mi hanno eletto, mi è andata male, ti saluto. Mi caccio nel social
network? Ammetti che tu vinci e sei eletto? Il giorno dopo due mesi ti viene lì uno che
dice: buongiorno caro Dott. Consiglier Paperino, l'hai fatto quello che tu mi avevi
promesso? E probabilmente può averlo non fatto. E il simpatico cittadino comincerà a
dire al suo vicino di casa, come farebbe nella vita reale, solo che nella vita reale sta lì
a suonare tutti i campanelli, mentre lì a suonare tutti i campanelli ci metti tre minuti...
guardate che Paperino non ha fatto quello che doveva. Quindi questi qua che hanno
pensato che i social network siano la panacea...
Ida Petrone: Io la vedo ancora più complicata. Pensa a quando diranno che l'hanno
fatto invece non l'hanno fatto. Non se ne viene più fuori.
Laura Rolle (mod.): Io vi ringrazio perché è stato davvero molto interessante. Avrei
voluto dire più cose, proprio partecipare, gli stimoli erano molti e certe cose che voi
avete detto io le ho potute verificare anche io da insegnante nella relazione con gli
studenti ma non volevo sottrarre del tempo a nessuno. Credo che valga veramente la
pena di integrare i due lavori quello web e questo.
Francesca Ranni (ass.): Certo io ho i contatti di tutti e vi mando una breve
comunicazione.
Laura Rolle (mod.): Quando si fanno questi incontri in cui si chiedono delle soluzioni
non è mai semplice in quattro e quattro otto proporre delle cose. E' sempre molto
difficile perché uno focalizza la sfaccettatura del problema qui e quindi poi trovare la
soluzione del problema se fosse così banale... Se vi viene in mente qualunque idea,
suggerimento, qualunque cosa, potrete comunque proporla. Rimane aperto il canale
per ora e quindi tutti i suggerimenti relativi a come comunicare il progetto, come farlo,
come potrebbe essere più interessante coinvolgere i genitori, gli insegnanti, i ragazzi,
insieme, separati, noi li raccogliamo molto volentieri.
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