Cenni storici del culto di
Sant’Antonio Abate a Collelongo
Le prime attestazioni storiche relative al culto di Sant’Antonio Abate a Collelongo risalgono allo scorcio del 1600,
periodo in cui verosimilmente venne eretto l’Altare dedicato al Santo nella chiesa di Santa Maria Nuova. A partire
dalla prima metà del XVII secolo iniziano a comparire le
registrazioni dei nati, dei morti e dei matrimoni dell’arcipretura di Santa Maria Nuova, Chiesa Parrocchiale del
paese. Nel Liber Mortuorum, si fa esplicita menzione della
prassi di seppellire nelle pile cimiteriali poste al di sotto
del piano pavimentale della Chiesa. In un documento del
1640, l’arciprete, Don Andrea Floridi , registrava il decesso di Filippo di Donato Cesta, sepolto sotto il pilastro di
Sant’Antonio. Con molta probabilità il pilastro menzionato
è relativo all’altare su cui è eretta la statua lapidea del Santo. Sul piedistallo di questa si conserva ancora oggi l’incisione di un restauro avvenuto in occasione della visita
del Vescovo Corradini nel 1692: RDBRP-MDCLXXXXII
(Reverendo Don Biagio Rossi Procuratore). La Statua fu
eretta probabilmente dall’ordine Antoniano, in quanto
sul piedistallo compare la Croce di Malta con graffito datato al 1779, simbolo che fa riferimento all’ordine di San
Giovanni o di Malta, al quale, in seguito alla bolla Rerum
humanarum conditio di Pio VI del 16 dicembre del 1775,
venne associato l’ordine Antoniano e tutti i beni ad esso
pertinenti.
S. Antonio Abate – la vita
S. Antonio Abate nacque in Egitto, a Coma, una località
sulla riva sinistra del Nilo, intorno all’anno 250.
Malgrado appartenesse ad una famiglia piuttosto agiata,
mostrò sin da giovane poco interesse per le lusinghe e per
il lusso della vita mondana. Alle feste ed ai banchetti infatti
preferiva il lavoro e la meditazione e alla morte dei genitori
distribuì tutte le sue sostanze ai poveri, si ritirò nel deserto
e li cominciò la sua vita di penitente.
Trascorse molti anni vivendo in un’antica tomba scavata
nella roccia, lottando contro le tentazioni del demonio.
Morì a 105 anni, il 17 Gennaio del 355, nel suo eremo sul
monte Qolzoum.
La Statua
La storia popolare tramanda due versioni circa la realizzazione della statua del Santo attualmente posta nella navata
di destra della Chiesa madre a Collelongo.
La prima racconta di due contadini intenti ai lavori nei
campi che, invocando il Santo, scamparono ad un masso di
pietra precipitato a valle. Dallo stesso masso questi fecero
scolpire la statua, che poi donarono alla Chiesa.
La seconda vuole che la statua fosse stata scolpita da un
masso proveniente dal “Pizzo Morrone” trasportato in
paese, dopo vani tentativi dei più possenti buoi del posto,
da una coppia di giovenche al cui padrone era apparso in
sogno il Santo.
Da sempre la statua viene addobbata durante i giorni della
festa. Una volta venivano usate le “uova fetate”, le salsicce
e le “panette”.
Più di recente la tradizione vuole che ad ornare la statua
vengano usate le arance, unico elemento di colore in un
periodo privo di fiori o altri elementi ornamentali.
Finita la festa le arance vengono portate ai malati del paese
come augurio di pronta guarigione.
Le “cuttore”
Il termine “cuttora” deriva dalla grossa pentola dove si mette a cuocere il granturco che, dopo sei/sette ore di bollitura diventano i “cecerocche” (dal latino cicer crocus – cece
rosso), identifica il focolare che, al rintocco delle campane
dei vespri del giorno 16, con la recita delle litanie: classica orazione di carattere apotropaico volta ad ingraziarsi la
benevolenza del Santo, viene acceso con legna di ginepro.
Ma la “cuttora” è più in generale il locale dove si svolge la
festa per l’intera notte, si ospitano i pellegrini e le bande di
suonatori che girano tutta la notte intonando i versi della
classica canzone. La “cuttora” viene allestita all’interno di
abitazioni private ubicate nelle diverse contrade del paese.
Alcune di queste sono residenze storiche delle famiglie più
altolocate, facultate-obbligate alla preparazione, altre sono
abitazioni caratteristiche del paese ricavate nel banco roccioso, molte sono invece modeste abitazioni che vengono
riqualificate e spesso restaurate per l’occasione.
La “cuttora” era prerogativa, un tempo, del patriarca di una
famiglia che invitava a parteciparvi i parenti più prossimi, i
quali contribuivano con “coppe” di granturco, vino, farina
o salsicce. La festa dentro la “cuttora” proseguiva per tutta
la notte ed era anche il momento in cui venivano pianificate la semina e le altre attività agresti della famiglia. Alla
presenza del Santo erano vietate liti e, pertanto, il momento era propizio per arrivare ad accordi. Nella “cuttora” erano ben accetti i viandanti o i pellegrini ai quali veniva offerto ciò che la “cuttora” aveva, ovvero la “panetta”, qualche
ciambella, un bicchiere di vino e, soprattutto i “cicerocche”
conditi grossolanamente con un po’ di lardo (chi se lo poteva permettere). I “cicerocche” la mattina venivano poi
offerti fuori la chiesa come cibo sacrale per gli animali.
Le conche “Rescagnate”
All’alba del 17 gennaio dalle “cuttore” escono fanciulle vestite con gli abiti tradizionali di Collelongo portando sulla
testa la conca “rescagnata” ovvero addobbata e si dirigono verso la chiesa madre dove sfileranno per decretare la
conca meglio realizzata ed il vestito più bello. Non è molto chiaro la nascita di questa tradizione. Fra le ipotesi vi
è quella che vuole questa sfilata come occasione per far
conoscere le ragazze in età da marito. Il fatto che indossassero il vestito delle grandi occasioni e portassero sul capo
una conca ricolma di confetti e dolciumi in qualche modo
rimanda ai riti nuziali.
Oh che bella devezziòne
tè Chellonghe a Sant’Antone
Quanta festa, quante spese
fa a ji Sante ’ste paese!
Da ji tèmpe chiù lentane,
pe ji colle e pe lle piane,
a chiamà ’ste Sante bèjje
ne levème i cappejje.
Protettore d’ogne llòche, delle vèstie e de jj fòche
a Chellòghe selamènte
se festeggia degnamènte.
Pe ’ste Sante j’antenate
nen chentèvane i decate
e la robba dejj munne
ce ll’offrèvané a zeffunne.
Se mpastèvane a meliune
le panette e ji panune,
se pertevane i peccòzze
a jj prète e a jj pretòzze.
La cuttora nghelmezzata
squacquariéa … la nettata,
fra cenépre e fra marròche
pe ffa còce i ceceròcche.
Pasemèva i callaròne
tra i fume e i breccòne
mentr’appò la peccenara
steva a ffa alla cucucciara.
E la gente peverella,
se rrempièva la mièlla
pe ’sta bella devezziòne
che pertèva a Sant’Antòne.
Sant’Antòne rescagnate,
revestite ’mma ‘n Abbate
mmès’a ttante pertecalle
reguardeva ammònte e abballe.
Mò i tèmpe sò cagnate,
ma pe Sant’Antònnie Abbate ce sta sempre, ce sta ancora
la panetta e la cuttòra.
Trova sempre tanta gente
che ji chiama allegramènte;
le vajjòle rescagnate
ch’lle conche nfrellazzate.
Chi è venute da lentane
tu accarezza ch’lla mane,
da i fiate a jj’arganette
e la voce alle cavètte.
Pretettore bbòne e sante,
vènn’aiuta tutte quante,
j’anemale e le perzone
benedice, o Sant’Antòne.
Benedice quante sònghe
le famije de Chellonghe,
pure tutt’i chellenghèse
che ne stanne a ji paese.
Sant’Antòne, Sant’Antòne
de ji Sante è ji chiù bbone;
mò ch’annù si revenute,
vènn’a dda tanta salute.
Che ‘sse fòche tant’ amore
venn’appiccia dentr’a i còre,
sempre bbòne fanne sta
pe petette recantà.
Appeggiate a ‘sse bbastone,
tu ce guide, o Sant’Antòne.
Su cantème a tutte fiate:
Viva Sant’Antònnie Abbate!
Le “Panette” e le “Paste”
La tradizione di distribuire cibo durante la settimana che
precede la festa di S. Antonio Abate nasce come forma di
remunerazione ai religiosi che officiavano i riti della festa
(come recita la canzone del Santo “se pertevane i pecozze
ai prete e ai pretozze”). Successivamente tali remunerazioni vennero estese come forma di ricompensa a tutti coloro che partecipavano alla recita di rosari o altre preghiere
presso le case. Il capofamiglia ringraziava gli intervenuti
con del cibo: una panetta o un piatto di minestra.
Il fuoco e gli animali
Nel giorno della sua festa liturgica, si benedicono le stalle
e si portano a benedire gli animali domestici; in alcuni paesi di origine celtica, S. Antonio assunse le funzioni della
divinità della rinascita e della luce, LUG, il garante di nuova vita, a cui erano consacrati cinghiali e maiali, così Sant’
Antonio venne rappresentato in varie opere d’arte con ai
piedi un cinghiale o un maialino.
Per millenni e ancora oggi, si usa nei paesi accendere il
giorno 17 gennaio, “torcioni”, “farchie”, “focarazzi”, “ceppi”
o “falò di S. Antonio”, che avevano una funzione purificatrice e fecondatrice, come tutti i fuochi che segnavano il
passaggio dall’inverno alla imminente primavera.
Il “torcione”, caratteristica unica di Collelongo, una volta
era ricavato da un unico esemplare di quercia che abili maestri d’ascia provvedevano a lavorare fino a dargli la caratteristica forma.
Questo successivamente veniva “inzeppato” con “stangoni” ed altra legna ed infine issato nelle piazze principali
del paese.
Particolarmente suggestivo era il “favòre”, falò che i pastori
accendevano in località S. Antonio.
Da questo punto è possibile vedere sia il paese che gli stazzi
di Amplero e la tradizione vuole che al più vecchio ed al
più giovane tra i pastori che tornavano dagli stazzi a far
festa, fosse dato l’onore di accendere il “favòre”.
Menzione meritano le “torcette” le particolari torce che i
bambini di Collelongo utilizzano nella processione del 16
sera.
A differenza delle normali torce che si usano altrove quelle
di Collelongo sono realizzate “torcendo” ovvero avvolgendo su se stesso (da qui il nome) un virgulto di roverella,
cerro o carpine. Questa operazione sfibra il legno permettendo alle abili mani del torcettaro di ricavarne un prodotto unico per la gioia di tanti bambini, i nuovi devoti della
festa di S. Antonio Abate.
Le fonti delle informazioni riportati su questo
opuscolo sono le opere di studiosi locali ed i
racconti dei nostri anziani tra cui il capo torcettaro
Giuseppe Del Turco.
Riproduzione riservata.
Copyright: Associazione
“Sant’Antonio Abate La Cuttora”
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