Cenni sulla spiritualità di Chiara d’Assisi 1 I. Esperienza di Dio 3 I.1 Nelle mani del Padre. 3 a) Il Donatore. 3 b) Il Padre delle misericordie. 4 c) La dignità dei figli di Dio. 4 d) Il principio. 5 e) Nella forma vivendi di Francesco. 5 I.2 Chiamate dallo Spirito del Signore. 6 a) Spose dello Spirito Santo. 6 b) Lo Spirito Santo scenderà su di te. 6 c) Lo Spirito del Signore chiama a vivere il Vangelo. 6 d) L’adesione alla sua santa operazione. 7 e) )I frutti dello Spirito. 7 f) Non estinguere lo Spirito. 8 g) Abitazione dello Spirito. 8 h) Contemplazione. 9 I.3 L’ardente desiderio del Crocifisso povero. 9 1.3.1 La mediazione di Francesco. 10 I.4 La sequela di Cristo povero e umile. 11 I.4.1 Il dilettissimo Bambino. 12 I.4.2 Il Crocifisso risorto. 13 I.4.3 Lo Specchio. 13 II Due cardini: altissima povertà – unità di spiriti 13 II.1 L’altissima povertà. 14 a) Consegna alla Provvidenza. 14 b) Lasciarsi espropriare dallo Spirito. 14 b.1) la verginità. 14 II.1.1 Via della sapienza. 15 a) La beatitudine dei poveri 15 b) Il tesoro. 16 c) la via stretta. 17 d) La lotta. 17 II.1.2 Pellegrine e forestiere. 18 II.1.3 Il non avere possessioni 18 a) L’obbedienza al Vangelo. 18 b) Senza possesso. 19 c) Scelta di classe (minorità) 19 d) Il fare penitenza. 19 e) La grazia di lavorare. 20 II.1. 4 Obbedienza. 20 a) Ricevute all’obbedienza. 20 b) All’abbadessa. 20 c) servizio materno. 20 II.1.5 L’abitare rinchiuse. 21 II.2 L’unità della scambievole carità. 21 a) L’unità degli spiriti 21 b) Il perdono. 21 c) Fonte nella Trinità. 22 d) Comunione eucaristica. 22 e) Liturgia delle Ore. 22 f) La carità di Cristo. 22 g) Corresponsabilità nel cammino sororale. 23 h) Sorelle povere. 23 II.3 Il silenzio. 23 III Dimensione ecclesiale 24 a) Obbedienza alla Chiesa: 24 b) Missione ecclesiale. 24 c) Collaboratrici di Dio. 24 *** Premessa: ci basiamo soprattutto sugli Scritti di Chiara, con qualche accenno al Processo di canonizzazione e uno sguardo agli Scritti di Francesco. I. Esperienza di Dio Parlare della spiritualità, significa rifarsi all’esperienza di Dio, al vissuto di una persona che manifesta la sua fede: decentramento da sé che pone in Dio solo la fonte dell’essere e dell’agire. Questo vale in modo speciale per Chiara. Lo sintetizzano mirabilmente queste parole di Enzo Bianchi: «Per Chiara, come per Francesco, il primato è quello della signoria di Dio su tutta la vita e su tutte le cose: la centralità di tutto il vivere, il volere e l’operare è costituita da Cristo; la dinamica della vita di penitenza o di conversione è data e dev’essere cercata soltanto nello Spirito Santo»[1]. Nella vita di questa donna il rapporto con Dio assume una caratteristica totalizzante, tale da investire l’intera esistenza nelle sue varie espressioni, come è tipico della vita di contemplazione, da lei abbracciata con sfumature particolari. Ascoltiamo ancora il priore di Bose: «E’ proprio e specifico di Chiara l’aver dato alla contemplazione una dimensione propriamente evangelica…, era atteggiamento quotidiano nello spazio dell’umile realtà quotidiana»[2]. I.1 Nelle mani del Padre La centralità di Dio porta con sé la consapevolezza che tutto ci è donato da lui, l’umile e riconoscente accoglienza dalle sue mani di ogni persona, avvenimento e circostanza. Le parole rivolte da Chiara alla sua anima alla fine della vita manifestano l’atteggiamento che sempre l’ha accompagnata: va’ sicura in pace, perché avrai buona scorta; perché colui che ti creò, innanzi ti santificò; e dopo che ti ebbe creata, mise in te lo Spirito Santo e sempre ti ha guardata come la madre il suo figliolo che ama[3]. Ripensando al cammino percorso ella scopre di essere stata guardata, custodita dalla tenerezza materna del Padre attraverso la guida sicura dello Spirito Santo. Questo vivere nello Spirito, lasciare che sia lui l’ispiratore delle scelte e delle opere dell’amore, è il senso della vita cristiana. Il prenderne coscienza stabilisce in una pace interiore che nulla può distruggere. Nell’esprimere il suo affidarsi al Padre, Chiara predilige alcune caratteristiche peculiari del suo prendersi cura di noi figli: a) Il Donatore Dall’esperienza della cura amorosa del Padre scaturisce il rendimento di grazie del povero, che non vanta diritti e dal Donatore sommo accoglie con gratitudine la vita, la fede, gli avvenimenti, il pane quotidiano, i fratelli e le sorelle, le ore liete e le tristi, e ancor più la grazia che consente di vivere alla sua presenza compiendone la volontà: rendo grazie al donatore della grazia[4], dal quale, come crediamo, scaturisce ogni bene sommo e ogni dono perfetto (Gc 1,17), perché ti ha ornata con così numerosi titoli di virtù e ti ha decorata con le insegne di una così grande perfezione, che, resa amorosa imitatrice (cf. Ef 5,1) del Padre perfetto (cf. Mt 5,48), meriti di divenire a tua volta perfetta, così che i suoi occhi non vedano in te nulla di imperfetto (cf. Sal 138,16)[5]. Le parole di Chiara rivelano come attraverso il dono della grazia ci è dato di vivere la parola evangelica: siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli (Mt 5,48). Dal seguito della lettera si comprende che tale perfezione si compie nella sequela di Cristo povero, vissuta concretamente attraverso la povertà - umiltà e la carità. Allora s’illumina l’espressione del Salmo 138 richiamata da Chiara: lo sguardo del Padre è sempre su di noi, non come giudice implacabile, ma con tenerezza materna che ci guida sulla via del bene. Si diviene per lui fonte di consolazione lasciandosi condurre dallo Spirito, perché si seguono i passi del Figlio. Certo, Dio non ha bisogno di noi! Ma, amandoci infinitamente e gratuitamente, desidera la nostra felicità, che è camminare sulla sua via. Perciò Chiara considera dono per eccellenza la vocazione cristiana e in essa la chiamata specifica di ciascuno: tra gli altri doni, che ricevemmo ed ogni giorno riceviamo dal nostro Donatore, il Padre delle misericordie (2Cor 1,3), per i quali dobbiamo maggiormente rendere grazie allo stesso glorioso Padre, c’è la nostra vocazione[6]. b) Il Padre delle misericordie Nelle parole del Testamento appena citate è inserita pure l’espressione Padre delle misericordie, a lei particolarmente cara, che manifesta la consapevolezza di una peccatrice perdonata, sempre bisognosa di accogliere la smisurata misericordia divina. La ritroviamo più volte nei suoi scritti: dopo che l'altissimo Padre celeste, per sua misericordia e grazia…[7]. A motivo di ciò lo stesso Padre delle misericordie, non per i nostri meriti, ma per la sola misericordia e grazia del donatore, effuse il profumo della buona fama su quelli che sono lontani, come sui vicini (cf. 2 Cor 1,3; 2,15) [8]. Vi benedico in vita mia e dopo la mia morte, come posso e più di quanto posso, con tutte le benedizioni, con le quali il Padre delle misericordie benedisse e benedirà in cielo e in terra i figli e le figlie (cf. 2Cor 1,3; Ef 1,3)[9]. Il sentirsi nelle mani di un Padre misericordioso, di cui ogni giorno si sperimenta la bontà infinita stabilisce in una fiducia senza limiti, mentre conferma nell’umile sentire di sé, anzi nella gioia per la propria piccolezza amata gratuitamente, rendendo capaci di effondere misericordia sul proprio cammino. c) La dignità dei figli di Dio Il battesimo ci costituisce figli, tempio della Trinità. La vita di unione con Dio ci dona l’esperienza filiale, rendendoci consapevoli in modo esperienziale di essere dimora della Trinità. Avendolo vissuto nella mistica comunione con Dio, Chiara introduce la sua corrispondente Agnese in questa meraviglia: ecco, è ormai chiaro che per la grazia di Dio la più degna tra le creature, l’anima dell’uomo fedele, è più grande del cielo, poiché i cieli con tutte le altre creature non possono contenere (cf. 2Cr 2,6) il Creatore, mentre la sola anima fedele è sua dimora (cf. Gv 14,23) e sede, e ciò soltanto grazie alla carità di cui gli empi sono privi, come afferma la Verità stessa: «Chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò, e verremo a lui e faremo dimora presso di lui»(Gv 14,21.23)[10]. Abitati dalla Trinità, noi siamo più grandi di ogni altra creatura e dell’intero universo, e tutto questo per grazia, per dono ineffabile dell’amore divino, che al cristiano (qui detto anima fedele) chiede in cambio soltanto amore. Chiara fa riferimento al Vangelo di Giovanni, da cui appare chiaramente come noi andiamo al Padre attraverso Gesù, che c’introduce nel mistero della Trinità. In questa stessa lettera ella aveva esortato Agnese: e lasciate completamente da parte tutte quelle cose che in questo fallace mondo inquieto prendono ai lacci i loro ciechi amanti, ama con tutta te stessa colui che tutto si è donato per amore tuo (cf. Gal 2,20)[11]. La passione ardente e mistica, che unisce al Crocifisso povero in una donazione senza riserve, fa entrare con lui nella comunione trinitaria, nella dinamica di un amore che s’effonde nella gratuità, traboccando in ogni gesto della vita. d) Il principio Per Chiara, come nella Scrittura, il Padre è il principio, colui che ha l’iniziativa della salvezza, ed è pure l’origine di tutto il suo cammino personale e sororale: dopo che l'altissimo Padre celeste, per sua misericordia e grazia, si degnò di illuminare il mio cuore perché, per l'esempio e l'insegnamento del beatissimo padre nostro Francesco facessi penitenza, poco dopo la sua conversione, unita alle poche sorelle che il Signore mi aveva donate poco dopo la mia conversione, volontariamente gli promisi obbedienza, così come il Signore aveva riversato in noi la luce della sua grazia attraverso la sua vita mirabile e il suo insegnamento[12]. Queste parole del Testamento, che ricordano gli inizi della chiamata di Chiara, manifestano lo sguardo della donna, la quale, giunta al termine della corsa, si volge indietro e vede l’agire di Dio, primo protagonista della sua storia. Con la luce della sua grazia egli ha operato nell’intimo e attraverso Francesco, giovane penitente che da poco con i primi compagni si è lanciato nell’avventura evangelica. Il principio, il fondamento che dà senso all’adesione alla chiamata divina, va tenuto presente per tutta la vita, come la madre delle sorelle povere dice ad Agnese: memore del tuo proposito, come una seconda Rachele[13] sempre vedendo il tuo principio, ciò che hai ottenuto, tienilo stretto, ciò che stai facendo, fallo e non lasciarlo (cf. Ct 3,4)[14]. Dall’insieme della lettera si comprende come tale principio consista nell’imitare il Padre abbracciando Cristo povero, con un impegno che coinvolge tutta la vita e ogni atteggiamento nello sguardo della fede. e) Nella forma vivendi di Francesco La dimensione trinitaria, che ha nel Padre il suo principio, emerge anche nella sintesi carismatica della forma vivendi data da Francesco agli inizi di San Damiano, che Chiara ha inserito al cuore della sua forma di vita: poiché per divina ispirazione vi siete fatte figlie e ancelle dell’altissimo sommo Re, il Padre celeste, e vi siete sposate allo Spirito Santo, scegliendo di vivere la perfezione del santo Vangelo…[15]. L’essere figli/e di Dio è la meravigliosa realtà della vita cristiana, tuttavia dicendo: vi siete fatte figlie e ancelle, nella condizione filiale il poverello mette in luce la scelta vocazionale, quale atteggiamento fondamentale della sequela del Figlio, che si apprende dal Vangelo. Con il termine ancelle egli pensa poi all’ancella del Signore, che è Maria: è a lei che rimanda in questo breve testo, le cui espressioni sgorgheranno ancora dal cuore di Francesco qualche anno più tardi in un’antifona mariana: Santa Maria Vergine, nel mondo tra le donne non è nata alcuna simile a te, figlia e ancella dell'altissimo sommo Re, il Padre celeste, madre del santissimo Signore nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo; prega per noi con san Michele arcangelo e con tutte le potenze angeliche dei cieli e con tutti i santi, presso il tuo santissimo diletto Figlio, nostro Signore e Maestro[16]. I.2 Chiamate dallo Spirito del Signore Abbiamo messo in luce il rapporto con il Padre nella forma vivendi data da Francesco, ora cercheremo di approfondire quello con lo Spirito Santo. a) Spose dello Spirito Santo Chiara e le sorelle sono chiamate spose dello Spirito Santo come Maria. La dimensione mariana rimanda alla consegna totale di sé insita nell’essere ancelle: serve in senso cultuale, cioè totalmente appartenenti a Dio come la Vergine Maria, vivendo come lei la disponibilità senza riserve alla santa operazione dello Spirito, ponendosi di fronte al Dio trino con l’apertura totale al suo disegno, che la caratterizza. È la povertà di chi riconosce di ricevere tutto da Dio e si pone nella disposizione di accogliere incessantemente il suo dono: un vuoto riempito dal Tutto. Tale dinamica, che caratterizza il cristiano nel vivere il suo battesimo, ha nella Madre di Dio l’esemplare più completo, come la madre delle sorelle povere sottolinea: come dunque la gloriosa Vergine delle vergini lo portò materialmente, così anche tu, seguendo le sue orme (cf. 1Pt 2,21), specialmente quelle di umiltà e povertà, senza alcun dubbio lo puoi sempre portare spiritualmente nel tuo corpo (cf. 1Cor 6,20) casto e verginale, contenendo colui dal quale tu e tutte le cose sono contenute (cf. Sap 1,7), possedendo ciò che si possiede più saldamente rispetto agli altri possessi transitori di questo mondo[17]. Maria è vista da Chiara come discepola del Figlio, infatti parla sempre di lei a proposito della sequela di lui povero e umile. Nel passo della Terza lettera citato sopra il seguire le sue orme si presta a due diverse traduzioni: di lui o di lei. Forse l’ambiguità è voluta, perché si tratta di entrambi: seguire lui (Cristo) fino alla nudità della croce con un’adesione totale alla Parola simile a quella di lei (Maria). Tutto questo ha il suo luogo più specifico nella celebrazione eucaristica, dove tutta la Trinità ci accoglie nella consegna del Figlio, da cui scaturisce la salvezza. Nel fare questo in memoria di lui, uniamo la nostra consegna alla sua per divenire capaci, in forza del suo farsi pane per noi, di trasmettere con la vita l’amore di Dio riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (Rm 5,5) nel battesimo e in ogni celebrazione eucaristica. b) Lo Spirito Santo scenderà su di te Il racconto di sora Agnese di Oportulo ci fa scoprire un’altra angolatura della consegna della sorella povera allo Spirito, simile a quella di Maria: vide un altro splendore tutto rosso, in modo che pareva gettasse fuori certe scintille di fuoco e circondò tutta la predetta santa, e coprì tutto il suo capo. E dubitando essa testimonia che cosa fosse, le fu risposto, non con la voce, ma le fu detto nella mente sua: Spiritus Sanctus superveniet in te (Lc 1,35)[18]. Lo Spirito Santo scenderà su di te è un’espressione dell’annuncio a Maria, riferita a Chiara nell’ambito di una visione che richiama la Pentecoste. Lo splendore tutto rosso infatti rimanda al fuoco, le scintille poi portano immediatamente alle lingue infuocate scese in quel giorno sui discepoli. Le parole, che la testimonia ode nella mente sua (si tratta perciò di una visione interiore), chiariscono la modalità di questo effondersi dello Spirito: prende carne in Chiara, come in Maria. c) Lo Spirito del Signore chiama a vivere il Vangelo Lo stesso Spirito, infatti, è l’autore della chiamata. Lo rivela chiaramente questo passo della Seconda lettera: a nessuno credendo, a nessuno acconsentendo che volesse richiamarti indietro da questo proposito, che ti ponesse un ostacolo (cf. Rm 14,13) sulla via, per impedirti di rendere all’Altissimo i tuoi voti (Sal 49,14) in quella perfezione alla quale ti chiamò lo Spirito del Signore[19]. Vedremo in seguito che la perfezione è la sequela di Cristo povero. Per ora ci basta sapere che è lo Spirito a chiamare a viverla, mentre dona la possibilità di attuarla con la propria debolezza. Lo stesso concetto viene espresso nella forma di vita di Chiara: se qualcuna per divina ispirazione verrà a noi volendo ricevere questa vita…[20], a proposito di chi intende iniziare lo stesso cammino di Chiara e delle sue compagne. La divina ispirazione infatti viene dallo Spirito Santo. Lo stesso vale per l’inizio delle parole di Francesco citate sopra: poiché per divina ispirazione vi siete fatte figlie…, confermando quanto abbiamo detto circa la loro valenza vocazionale. d) L’adesione alla sua santa operazione Il dono dello Spirito, la sua ispirazione hanno come conseguenza l’adesione alla sua santa operazione, secondo le parole della forma di vita: attendano a ciò che sopra tutto devono desiderare: avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione[21]. Per comprendere il senso dell’espressione ascoltiamo la preghiera di Francesco: onnipotente, eterno, giusto e misericordioso Iddio, concedi a noi miseri di fare, per tuo amore, ciò che sappiamo che tu vuoi, e di volere sempre ciò che a te piace, affinché, interiormente purificati, interiormente illuminati e accesi dal fuoco dello Spirito Santo, possiamo seguire le orme del tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, e con l'aiuto della tua sola grazia giungere a te, o Altissimo, che nella Trinità perfetta e nella Unità semplice vivi e regni e sei glorificato, Dio onnipotente per tutti i secoli dei secoli. Amen[22]. La santa operazione dello Spirito agisce attraverso tre passaggi, che non sono necessariamente successivi, ma possono compiersi contemporaneamente, oppure alternarsi senza un ordine logico. Seguendo le parole di Francesco scopriamo che innanzi tutto lo Spirito purifica, conduce ad abbandonare quanto allontana da Dio: l’abitudine al peccato, il cattivo uso della libertà, il lasciarsi andare alle passioni, e molto altro; poi illumina, guida nella conoscenza di Dio, che non è soltanto un atto intellettuale, ma ancor più è esperienza di lui. Francesco lo esprime così nel commento al Padre nostro: che sei nei cieli, negli angeli e nei santi, e li illumini alla conoscenza, perché tu, Signore, sei luce; sia santificato il tuo nome: si faccia luminosa in noi la conoscenza di te[23]. Ma non basta! La luce dello Spirito porta anche alla conoscenza di sé, della propria realtà di creatura che riceve tutto da Dio: la bellezza di essere formato a immagine del suo Figlio diletto secondo il corpo e a similitudine di lui secondo lo spirito[24], unita alla consapevolezza che non appartengono a noi se non i vizi e i peccati[25]. Infine lo Spirito accende con il fuoco dell’amore, come si comprende dal commento al Padre nostro, che stiamo citando: infiammandoli all’amore, perché tu, Signore, sei amore… affinché possiamo conoscere l’ampiezza dei tuoi benefici, l’estensione delle tue promesse, la sublimità della tua maestà e la profondità dei tuoi giudizi[26]. Nell’ultima espressione riportata la conoscenza ha per oggetto l’amore. Ci troviamo infatti di fronte a un riferimento paolino: siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio (Ef 3,18-19). I quattro sostantivi, che richiamano i punti cardinali, indicano l’incommensurabilità dell’amore di Dio, manifestato in Gesù Cristo, superiore alla più alta esperienza di lui che qualsiasi creatura umana possa vivere sulla terra. La santa operazione dello Spirito infine rende capaci di seguire i passi di Gesù Cristo. e) )I frutti dello Spirito Il passo della forma di vita, che stiamo esaminando, si riferisce poi ai frutti dello Spirito. L’adesione stessa alla santa operazione è frutto dello Spirito, perché ha il suo vertice nell’amore e: il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5,22), come dice Paolo, e Chiara riprende: quando si amano le realtà temporali, si perde il frutto della carità[27]. L’unico frutto, che si manifesta in molteplici modi, presuppone un’adesione totale alla santa operazione dello Spirito, che libera da ogni attaccamento alle realtà di questo mondo. La forma di vita, dopo la menzione dell’unico desiderio, che il frate minore e la sorella povera sono chiamati ad avere, cioè lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, prosegue: pregarlo sempre con cuore puro, ed avere umiltà, pazienza nella tribolazione e nell’infermità ed amare quelli che ci perseguitano, ci rimproverano e ci correggono[28]. Traspare ancora l’ottica del passo paolino appena citato, con l’indicazione della preghiera continua scaturita dall’adesione alla santa operazione dello Spirito, che fa vivere stabilmente alla sua presenza, senza l’ostacolo dell’attaccamento a qualcosa o a qualcuno, da cui deriva appunto il cuore puro. Il testo della forma di vita insiste in modo speciale sulla pazienza, virtù attiva attinta continuamente da Gesù Crocifisso, mite e umile di cuore (Mt 11,29). f) Non estinguere lo Spirito Impegno quotidiano poi deve essere quello di non estinguere lo Spirito nell’intimo, per vivere in ogni attività della giornata quella preghiera continua alla quale abbiamo accennato sopra. Per questo la forma di vita indica le modalità, che consentono di stare alla presenza di Dio nel lavoro quotidiano: le sorelle alle quali il Signore ha dato la grazia di lavorare, dopo l’ora terza lavorino con fedeltà e devozione e di un lavoro onesto e di comune utilità, in modo che, bandito l’ozio, nemico dell’anima, non estinguano lo spirito (1Ts 5,19) della santa orazione e devozione, al quale tutte le altre cose temporali devono servire[29]. C’è quindi unità tra preghiera e lavoro. Lo spirito della santa orazione e devozione infatti unifica l’atteggiamento costante di preghiera, che è lo spirito della santa orazione, con la dedizione di sé: l’assiduità nel lavoro secondo il significato latino del termine devozione. Il lavoro è grazia, perciò compiuto con tale tensione manifesta la santa operazione dello Spirito, il lasciarsi condurre da lui in tutto il cammino della vita. g) Abitazione dello Spirito Tutto questo rende consapevoli della meravigliosa realtà del battesimo, che ci ha resi abitazione dello Spirito: ecco, è ormai chiaro che per la grazia di Dio la più degna tra le creature, l’anima dell’uomo fedele, è più grande del cielo, poiché i cieli con tutte le altre creature non possono contenere (cf. 2Cr 2,6) il Creatore, mentre la sola anima fedele è sua dimora (cf. Gv 14,23) e sede, e ciò soltanto grazie alla carità di cui gli empi sono privi, come afferma la Verità stessa: «Chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò, e verremo a lui e faremo dimora presso di lui»(Gv 14,21.23)[30]. La dimensione trinitaria della vita interiore del cristiano, già evidente nelle parole della forma vivendi data da Francesco, assume qui la dinamica di una vita nell’amore, di cui lo Spirito è l’agente primo, donando la consapevolezza di essere dimora di Dio in forza della Pasqua di Gesù, nella quale veniamo immersi al momento del battesimo. Il riferimento giovanneo introduce nel mistero della mistica comunione che la Trinità vive dentro di noi, di cui si diviene consapevoli attraverso quell’adesione alla santa operazione dello Spirito, i cui tratti stiamo cercando di delineare. E’ la splendida realtà del nostro essere figli/e, come traspare anche da queste parole di Francesco: riposerà su di essi lo Spirito del Signore, e farà presso di loro la sua abitazione e dimora (Ef 2,22; Gv 14,23); e sono figli del Padre celeste del quale compiono le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo (Mt 12,30)[31]. Lo Spirito del Signore ci riporta ancora nella dinamica della Pasqua: si tratta infatti dello Spirito del Risorto, da lui donato a noi come a figli/e. Protesi verso il volere del Padre siamo perciò strettamente uniti a Gesù Cristo, fino ad essere per lui sposi, fratelli e madri. Questa meravigliosa realtà del cristiano per Chiara è elemento specifico della vocazione. Ne svela il senso ad Agnese di Praga: siete sposa e madre e sorella (Mt 12,50) del Signore mio Gesù Cristo; avete meritato di essere chiamata sorella, sposa e madre (Mt 12,50) del Figlio dell’altissimo Padre e della gloriosa Vergine[32]. h) Contemplazione Parlando dell’inabitazione della Trinità, ci siamo introdotti nel tema della contemplazione, che è pure opera dello Spirito, come si comprende dal seguente brano della Terza lettera di Chiara: trasformati tutta, attraverso la contemplazione, nell’immagine (cf. 2Cor 3,18) della sua divinità, per sentire anche tu ciò che sentono gli amici gustando la dolcezza nascosta (cf. Sal 33,9; 30,20; 1Pt 2,3) che Dio stesso fin dall’inizio ha riservato ai suoi amanti(cf. 1Cor 2,9)[33]. L’invito pressante della madre delle sorelle povere ad Agnese di Praga fa riferimento ad un’espressione paolina, che ci consente di penetrare nel significato profondo delle sue parole: e noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore (2Cor 3,18). Scopriamo quindi che non siamo noi a trasformarci per azione diretta: il nostro è un lasciare operare lo Spirito, che richiede tutto il nostro impegno e dedizione. Perché veniamo trasformati ad immagine del Signore, che è il Risorto, dalla santa operazione dello Spirito. Così possiamo vivere alla sua presenza, entrando misteriosamente in quella gloria che è la vita dei risorti, di quanti seguendo i passi del Crocifisso, morendo a se stessi e a tutto quello che non è lui, hanno compiuto il passaggio alla vita nuova, a quella pace interiore che nulla può togliere e Francesco chiama vera letizia dello Spirito. Allora l’esperienza di Dio diventa gustare una dolcezza, che non ha paragone con le gioie di questo mondo. Il salmo tante volte pregato continua ad accendere il desiderio di quanto egli riserva ai suoi amici e diviene realtà in chi, lasciate completamente da parte tutte quelle cose che in questo fallace mondo inquieto prendono ai lacci i loro ciechi amanti, risponde al pressante richiamo di Chiara: ama con tutta te stessa colui che tutto si è donato per amore tuo (cf. Gal 2,20)[34]. I.3 L’ardente desiderio del Crocifisso povero Questo desiderio, che accompagna tutta la vita, perché nasce da quello di avere lo Spirito del Signore, ci riporta al punto di partenza, all’essere stati afferrati da Gesù Cristo, che conduce alla sequela di lui. Scrivendo la sua Prima lettera, Chiara fa leva proprio sull’esperienza dell’incontro con il Crocifisso, che sta alla base della sua decisione e di quella di Agnese: rafforzatevi nel santo servizio del Crocifisso povero., che avete intrapreso con ardente desiderio; egli per noi tutti sostenne il supplizio della croce (Eb 12,2), strappandoci dal potere del principe (cf. Gv 12,31) delle tenebre (Col 1,13), e riconciliandoci con Dio (cf. Col 1,20.22; 2Cor 5,18; Rm 5,10) Padre. Perché vogliate rafforzarvi nel suo santo servizio, crescendo di bene in meglio, di virtù in virtù (cf. Sal 83,8), affinché colui che servite con tutto il desiderio dello spirito si degni di elargirvi la ricompensa bramata[35]. L’ardore del desiderio spinge alla sequela; dall’amoroso sguardo alla croce viene la forza di abbandonare tutto per Gesù, come appare evidente dalle parole di Chiara spontaneamente intessute della Parola pregata. Il cuore della sua contemplazione è l’amore per noi, manifestato dal Figlio nel dono totale di sé. La madre l’ha scoperto scrutando il Crocifisso, come appare evidente dal passo biblico che ha in mente: tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli, in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio (Eb 12,2). In realtà la contemplazione del Crocifisso abbraccia in un unico sguardo l’intera dinamica pasquale, visibile nel versetto appena citato, come pure negli altri echi biblici presenti nello stesso testo di Chiara. Ella ha infatti nel cuore l’inno della Lettera ai Colossesi, che canta tutto il mistero di Cristo. Il versetto qui affiorante ci vede in quel regno che Gesù ha inaugurato con la Pasqua, in cui siamo già entrati con lui, pur vivendo nell’attesa di partecipare alla sua gloria: è lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto (Col 1,13). Chiara è pienamente consapevole della nostra condizione di peccatori riconciliati con il Padre nella Pasqua di Gesù, salvati perché partecipi della Vita del Risorto: ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita (Rm 5,10). Questa donna povera non si nasconde la realtà del male, che domina nel mondo e tenta di prevalere anche nei cuori dei credenti, ma l’esperienza della fede le dà la certezza, che il principe di questo mondo è vinto nella morte di Gesù, già gloriosa, e dal suo attirarci a sé: ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me (Gv 12,31-32). Il senso della vocazione cristiana è racchiuso nel lasciarsi attrarre dal Crocifisso risorto, nell’abbandonare in lui tutte le paure, le false sicurezze, l’attaccamento a persone e cose, per l’unico desiderio di essergli simili. Tale ardore non può però rimanere una prerogativa dello slancio iniziale, deve anzi crescere per tutta la vita. 1.3.1 La mediazione di Francesco L’ardente desiderio di seguire Gesù Cristo nasce nell’intimo innanzi tutto attraverso l’orazione fiduciosa mossa dalla volontà di aderire al disegno del Padre, alimentata dalla Parola pregata nella liturgia, ma anche dall’aiuto delle mediazioni umane. Per Chiara è stato decisivo l’incontro con Francesco, come ricorda nel suo Testamento: per noi il Figlio di Dio si è fatto via (cf. Gv 14,6), che ci mostrò ed insegnò con la parola e con l'esempio (cf. 1Tm 4,12) il beatissimo padre nostro Francesco, di lui vero amante e imitatore[36]. La via da seguire, che è il Figlio di Dio, si è fatta visibile per la primogenita di Favarone e per le sue prime compagne nelle parole e nella vita di un concittadino convertito da qualche anno. Non dobbiamo pensare al san Francesco, che abita la nostra mente, ma ad un penitente vestito come i più poveri del suo tempo, che vuole seguire Gesù Cristo prendendo alla lettera il Vangelo. Il giovane convertito non è un personaggio famoso, in Assisi è anzi oggetto di molte critiche, ma Chiara si fida di lui, sente che la sua vita e la sua parola sono trasparenza del volto di Gesù Cristo. E’ difficile dire se sia stata presente fin dall’inizio la consapevolezza espressa alla fine del cammino, quando rileggendo la propria storia la madre delle sorelle povere vede l’agire di Dio, la sua presenza nella trama del quotidiano e specialmente in Francesco. In genere è difficile per noi renderci conto del passaggio di Dio nel suo accadere, l’importante è vivere nella certezza di questa Presenza. Lo sguardo al passato, come storia dell’agire di Dio nella propria vita, è fonte di pace interiore e di continuo rendimento di grazie. Chiara lo manifesta nel seguito del Testamento: dobbiamo, quindi considerare[37], sorelle dilette, gli immensi doni di Dio a noi elargiti, ma tra gli altri, quelli che Dio si è degnato di operare in noi per mezzo del suo servo diletto, il beato Francesco nostro padre, non solo dopo la nostra conversione, ma anche quando eravamo nella misera vanità del mondo. Dopo che l'altissimo Padre celeste, per sua misericordia e grazia, si degnò di illuminare il mio cuore perché, per l'esempio e l'insegnamento del beatissimo padre nostro Francesco facessi penitenza, poco dopo la sua conversione, unita alle poche sorelle che il Signore mi aveva donate poco dopo la mia conversione, volontariamente gli promisi obbedienza, così come il Signore aveva riversato in noi la luce della sua grazia attraverso la sua vita mirabile e il suo insegnamento[38]. L’operare di Dio attraverso Francesco è dimensione costitutiva della chiamata, in cui il Signore aveva riversato in noi la luce della sua grazia. Si comprende perciò come ne sia conseguita l’adesione alla vocazione. Il poverello mette subito alla prova le prime sorelle povere, ma gioisce vedendo la loro fedeltà nella sequela del Crocifisso povero: poi Francesco, osservando attentamente che, pur essendo deboli e fragili nel corpo, non ricusavamo nessuna indigenza, povertà, fatica, tribolazione, o ignominia e disprezzo del mondo, anzi, al contrario li ritenevamo grandi delizie sull’esempio dei santi e dei suoi fratelli, avendoci esaminato frequentemente, molto se ne rallegrò nel Signore. Da qui deriva l’impegno del poverello a prendersi una cura delle donne di San Damiano uguale a quella che ha verso i fratelli: e mosso ad affetto verso di noi, si obbligò verso di noi, per sé e per la sua religione[39], ad avere sempre diligente cura e speciale sollecitudine di noi come dei suoi fratelli. E così, per volontà di Dio e del beatissimo padre nostro Francesco, andammo ad abitare accanto alla chiesa di San Damiano[40]. I.4 La sequela di Cristo povero e umile La cura di Francesco per Chiara e le sue compagne si manifesta in modo speciale nella forma vivendi da lui data, sulla quale ci stiamo soffermando: poiché per divina ispirazione vi siete fatte figlie e ancelle dell’altissimo sommo Re, il Padre celeste, e vi siete sposate allo Spirito Santo, scegliendo di vivere la perfezione del santo Vangelo…[41]. Ora dobbiamo prendere in considerazione la scelta fondamentale di vivere la perfezione del santo Vangelo. Queste parole inserite in una formula evidentemente trinitaria coniata da Francesco, confrontate con la sua antifona mariana dallo stesso andamento, in cui al posto dell’espressione in esame troviamo: madre del santissimo Signore nostro Gesù Cristo[42], ci dicono che proprio di lui si parla: «Il riferimento al Figlio è evidente nella perfezione del santo Vangelo, inteso come la presenza del Signore che parla oggi»[43]. Il cammino di sequela è mirabilmente sintetizzato da Chiara nel suo Testamento: per amore di quel Dio, che povero fu posto nella mangiatoia (Lc 2,12), povero visse nel mondo e nudo rimase sul patibolo, al suo piccolo gregge (cf. Lc 12,32), che il Signore e Padre generò nella sua santa Chiesa con la parola e l’esempio del beatissimo padre nostro Francesco, per seguire la povertà e l'umiltà del suo Figlio diletto e della gloriosa vergine, sua Madre[44]. Lo sguardo all’abbassamento del Figlio di Dio, dall’umiltà dell’incarnazione fino alla nudità della croce, indica come per Chiara il Vangelo è Gesù nel suo donarsi sino alla fine. In forza dell’amore di lui ella osa chiedere alla Chiesa di aiutarla a vivere la propria vocazione. E’ infatti consapevole di essere stata generata dal Padre con le sue sorelle come gregge di piccole, di povere, con una missione specifica dentro la Chiesa, che è il piccolo gregge in senso proprio. Si tratta della chiamata a seguire, anzi inseguire, correndo come la sposa del Cantico, il Figlio diletto povero e umile. Così la parola del Vangelo diviene la scuola di vita, da cui si apprende giorno dopo giorno a calcare le orme di Gesù in una progressiva spoliazione e consegna nelle mani del Padre. La Parola che la Chiesa prega ogni giorno viene interiorizzata e contemplata con uno sguardo sempre più profondo al mistero dell’abbassamento di Cristo, dove Chiara si colloca prevalentemente sulla croce: vedi che egli si è fatto per te spregevole e seguilo, fatta per lui spregevole in questo mondo (cf. Gv 12,25; 1Gv 4,17). Guarda, o regina nobilissima, il tuo sposo, il più bello tra i figli degli uomini (Sal 44,3), divenuto per la tua salvezza il più vile degli uomini, disprezzato (cf. Is 53,3), percosso e in tutto il corpo più volte flagellato, morente tra le angosce stesse della croce: guardalo, consideralo, contemplalo, desiderando di imitarlo[45]. In questo passo della Seconda lettera si cela un itinerario di contemplazione mistica, basato su diverse sfumature del vedere: per la madre è espressione della fede, che consente di andare oltre quanto è visibile agli occhi del corpo, per guardare dentro la realtà con l’occhio interiore e scoprire nell’intimo, poi nelle celebrazioni, negli avvenimenti, nelle sorelle e nei fratelli, nelle realtà create, la presenza di Dio e i segni del suo agire nella storia. Gli imperativi che si succedono sollecitano a penetrare sempre più nel Cristo povero, che è il Crocifisso. Il vedere come egli si è fatto per te spregevole, ignobile, oggetto di disprezzo e di rifiuto come gli ultimi della società, quelli che non contano, anzi sono bollati come infami e spesso condannati a morte per colpe che non hanno commesso, ha come prima conseguenza la sequela. Questa comporta il farsi come lui, che per la nobile Chiara e ancor più per la principessa Agnese è scelta di classe, una discesa nella scala sociale – molto ben definita nel medioevo – fino all’ultimo gradino, quello dei servi della gleba, dei minores dei liberi comuni italiani. Il guardare si fa più interiore[46] e chiarisce il perché di tanta bassezza: il tuo sposo, il più bello tra i figli degli uomini, colui che tu ami in risposta al suo indicibile amore, la cui bellezza va molto al di là dei canoni di quella terrena, è divenuto per la tua salvezza il più vile degli uomini. L’ha fatto per amore tuo, come tu fossi l’unica, per ogni uomo e donna come de fosse l’unico/a. Ha accettato con amore di diventare il più misero, il più basso degli uomini, attraverso il disprezzo, lo scherno, gli schiaffi, i flagelli, fino a morire sulla croce. Chiara ha un’idea molto reale della crocifissione, non ha ancora fatto l’abitudine alle nostre croci, magari dorate, e parla dell’angoscia di tale morte, in cui Gesù ha assaporato fino in fondo la sofferenza della condizione umana. Su quella croce vede la bellezza dell’Amore che si dona ed è vittorioso proprio nel supplizio più infamante. Così il suo guardare dentro diventa considerare, riflettere profondamente sul senso della passione, sui sentimenti del Figlio diletto, confrontando nella mente i passi biblici che parlano della Passione, per abbandonarsi poi al silenzio che contempla, che lascia all’Amore la possibilità di attirare a sé. La contemplazione è dono al quale ci si prepara con i passaggi indicati da Chiara. La sua autenticità si misura dal frutto, che è il desiderio ardente di imitare Gesù, per essere come lui. Così l’immergersi in Cristo rimanda alla vita quotidiana, alla relazione con le sorelle e i fratelli, in cui si svela l’autenticità della sequela. I.4.1 Il dilettissimo Bambino Chiara fissa lo sguardo prevalentemente sul Crocifisso, ma ha pure vivo e presente il mistero dell’incarnazione, la piccolezza del Bambino: per amore del santissimo e dilettissimo Bambino, avvolto in poveri pannicelli e adagiato nella mangiatoia, e della sua santissima Madre, ammonisco, prego caldamente ed esorto le mie sorelle a indossare sempre vesti spregevoli[47]. Guardando il Figlio di Dio incarnato, la pianticella si sofferma specialmente sulla povertà, sulla scelta di appartenere agli ultimi come sua Madre, alla quale fa abitualmente riferimento parlando della sequela di Cristo povero. Ed è il desiderio di somigliargli a convalidare la volontà d’indossare indumenti simili a quelli dei poveri contadini dell’epoca. A prima vista può sembrare che questo versetto della forma di vita contenga una premessa teologica troppo forte, per un argomento di poca importanza come i vestiti. In realtà nel medioevo l’abito indica precisamente la persona e la scelta di classe appare evidente proprio dall’abbigliamento. Per Chiara l’avere vesti senza pregio è in linea con una sequela che richiede di farsi spregevoli come lui. Ritroviamo lo stesso tema, con il riferimento al medesimo passo di Luca, nella Quarta lettera, in cui la madre contempla il cammino terreno di Gesù con uno sguardo nello specchio, che è lui stesso, Sapienza piccolina e crocifissa: guarda con attenzione – dico – il principio di questo specchio, la povertà di colui che è posto in una mangiatoia e avvolto in pannicelli (cf. Lc 2,12). O mirabile umiltà, o povertà che dà stupore! Il Re degli angeli, il Signore del cielo e della terra (cf. Mt 11,25) è reclinato in una mangiatoia (cf. Lc 2,7)[48]. Chiara è pervasa da indicibile stupore per la grandezza del Re degli angeli, il Signore del cielo e della terra, che si fa piccolezza in un Bambino bisognoso di tutto e povero per condizione sociale. Ella associa abitualmente povertà e umiltà, perché pensa alla condizione di bassezza del povero, vissuta volontariamente, che non invidia il ricco ma si affida interamente nelle mani del Padre. I.4.2 Il Crocifisso risorto Dall’eucaristia Chiara attinge la linfa vitale per un cammino che si colloca stabilmente ai piedi del Crocifisso, per assumere totalmente in sé la dimensione di morte accolta per amore, da cui scaturisce lo splendore della gloria, la gioia della risurrezione che è già di questo oggi e attende di svelarsi in pienezza. Ella è rapita dalla bellezza e la contempla soprattutto dove umanamente se n’è perduta ogni traccia: nel corpo sfigurato morente tra le angosce della croce, al quale si riferisce con le parole del Salmo 44. Vede il Crocifisso risorto: la cui bellezza ammirano il sole e la luna, le cui ricompense sono di preziosità e grandezza senza fine (Sal 144,3)[49]; la cui bellezza ammirano incessantemente tutte le beate schiere dei cieli, il cui affetto appassiona, la cui contemplazione ristora[50]. Il Crocifisso di San Damiano, luogo della contemplazione delle sorelle povere, che ha senz’altro presente quando parla della bellezza dell’amore che si dona, presenta i lineamenti del Risorto, che sono visibili nelle sue lettere quando parla di Cristo povero. I.4.3 Lo Specchio Il culmine della contemplazione mistica di Chiara è la carità del Crocifisso: alla fine dello stesso specchio contempla l’ineffabile carità, per la quale volle patire sull’albero della croce e su di esso morire della morte più vergognosa[51]. La pianticella penetra nelle profondità dello specchio, dentro nell’ora in cui il suo dono d’amore ha raggiunto il grado massimo, quando dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (Gv 13,1). Come abbiamo già accennato, questo specchio è la Sapienza. Al culmine del suo inno a Cristo, nella stessa Quarta lettera alla quale ci stiamo riferendo, la madre fa riferimento esplicito al libro della Sapienza, nel punto dove è personificata, e vi associa l’inizio della Lettera agli Ebrei, che contempla il farsi carne del Figlio: e poiché egli è splendore della gloria (Eb 1,3), candore della luce eterna e specchio senza macchia (Sap 7,26), guarda ogni giorno questo specchio. In questo specchio rifulgono la beata povertà, la santa umiltà e l’ineffabile carità, come potrai contemplare, con la grazia di Dio, su tutto lo specchio[52]. Agnese è invitata a guardare se stessa nello specchio, per vedere in lui la via da seguire attraverso la povertà umiltà indissolubilmente unita alla carità. Queste virtù costituiscono il modo tipico con cui Chiara s’immerge nella vita di Gesù. Dalla Sapienza crocifissa, centro del suo lasciarsi continuamente amare dal Figlio diletto, Chiara apprende il senso della vita per sé e per la sua sororità: perciò lo stesso specchio, posto sul legno della croce, ammoniva i passanti a riflettere su queste cose, dicendo: «O voi tutti che passate per via, fermatevi e guardate se c’è un dolore simile al mio dolore» (Lam 1,12); rispondiamo con una sola voce, con un solo spirito, a lui che grida e si lamenta (cf. Ez 27,30): «Sempre l’avrò nella memoria e si struggerà in me l’anima mia» (Lam 3,20)[53], La Sapienza parla, non ai crocicchi delle strade, ma dall’alto della croce, ed esorta a immergersi nella sofferenza del condannato e nella sua ineffabile carità. Da tale contemplazione scaturisce la risposta di sorelle, che sono unite dall’Amore e insieme lo seguono senza cessare di fare memoria della Passione. La celebrazione della Pasqua nell’eucaristia quotidiana si traduce così nella vita, dove il mistero prende carne nel servizio, nell’accoglienza fraterna, nel dono umile di sé, nella concretezza della povertà vissuta nella comunione sororale. II Due cardini: altissima povertà – unità di spiriti Nell’introduzione alla forma di vita di Chiara, Innocenzo IV sintetizza così la richiesta di approvazione inoltrata dalla madre delle sorelle povere: da parte vostra ci fu presentata umile supplica di corroborare con l’autorità apostolica la forma di vita secondo la quale dovete vivere insieme in unità di spiriti e con voto di altissima povertà consegnatavi dal beato Francesco e da voi spontaneamente accettata. Il cardinale Rainaldo, nella lettera inglobata nello stesso testo, si muove nella medesima linea: perciò mossi dalle vostre pie implorazioni… confermiamo la forma di vita e il modo di santa unità e altissima povertà che il vostro padre san Francesco con la parola e con lo scritto vi consegnò da osservare[54]. La specificità del carisma di Chiara si presenta con due facce dell’unica sequela di Cristo, strettamente interdipendenti. Nel documento la santa unità precede, perché la carità supera tutto. Secondo la logica tipica della vita nello Spirito preferiamo partire dall’altissima povertà che compendia l’intero il cammino spirituale. II.1 L’altissima povertà In ultima analisi l’altissima povertà è sequela di Cristo povero fino alla nudità della croce, da cui deriva una mistica della povertà. Nell’andare quotidiano la vita dei poveri è sorretta e nutrita dalla celebrazione dell’eucaristia, in cui la propria povertà si unisce a quella del Povero che si dona. a) Consegna alla Provvidenza Chi ha in Dio tutto il bene trova la gioia e la pace nell’abbandono confidente dei figli nelle mani del Padre, che provvede ogni giorno al pane per oggi e si prende cura amorosa del vero bene dei suoi poveri, alimentato dalla preghiera dei salmi, canti dei poveri del Signore. Tale fiducia, che è certezza di fede, costituisce la sostanza del Privilegio di povertà: certamente colui che nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo (Mt 6,26-28), non vi farà mancare il vitto e il vestito, finché nella vita eterna passerà davanti a voi e vi somministrerà se stesso (cf. Lc 12,37)[55]. La dinamica, trasparente dal testo, è quella evangelica, che per Chiara e le sorelle diviene stile del quotidiano, vissuto nella mancanza di sicurezze terrene e aspettando dal Padre il pane per oggi, perché il domani è nelle sue mani e prepara la festa senza fine nel regno dei cieli. b) Lasciarsi espropriare dallo Spirito Il consegnarsi alla santa operazione dello Spirito, che è il padre dei poveri, dona di penetrare sempre più nella prima beatitudine (Mt 5,3), lasciandosi espropriare dallo stesso Spirito da tutto quello che allontana da Dio. Si tratta di un cammino progressivo, in cui la luce della grazia consente di vedere via via nuove sfaccettature dei possessi interiori da abbandonare senza riserve, per lasciare tutto lo spazio del cuore, dell’anima, allo Spirito, come dice Francesco: nella santa carità, che è Dio, prego tutti i miei frati…, che allontanato ogni impedimento e messa da parte ogni preoccupazione e ogni affanno, in qualunque modo meglio possono, si impegnino a servire, amare, onorare e adorare il Signore Iddio, con cuore mondo e con mente pura, ciò che egli stesso domanda sopra tutte le cose. E sempre costruiamo in noi un’abitazione e una dimora permanente a lui, che è il Signore Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo[56]. L’operazione dello Spirito agisce con noi per togliere gli impedimenti, gli affanni, purificando mente e cuore per consentire di dedicarci al compito che il Creatore ci assegna: quello di adorare lui solo. Per questo Francesco parla di preparare la dimora dentro di noi, per divenire consapevoli del dono, di cui abbiamo già parlato, e farne esperienza. b.1) la verginità Una dimensione dell’espropriazione compiuta dallo Spirito, fino alla purità che vede Dio[57], perché libera e vuota di sé, è la verginità, identificata da Chiara con la povertà: rigettando tutto ciò avete scelto piuttosto, con tutto l’animo e l’affetto del cuore, la santissima povertà e la penuria corporale, prendendo uno sposo di stirpe più nobile, il Signore Gesù Cristo, che custodirà la vostra verginità sempre immacolata e intatta. Amandolo siete casta, toccandolo sarete più pura, lasciandovi possedere da lui siete vergine; la sua potenza è più forte, la sua nobiltà più elevata, il suo aspetto più bello, l’amore più soave e ogni favore più fine. Ormai siete stretta nell’abbraccio di lui, che ha ornato il vostro petto di pietre preziose e ha messo alle vostre orecchie inestimabili perle, e tutta vi ha avvolta di primaverili e scintillanti gemme e vi ha incoronata con una corona d’oro, incisa col segno della santità. Insignita con grande splendore del vessillo della verginità inviolabile e della povertà santissima[58]. Questa è la perfezione per la quale il Re stesso ti unirà a sé nell’etereo talamo, dove siede glorioso su un trono di stelle: poiché tu, stimando vili le grandezze del regno terreno e sdegnando le offerte di nozze imperiali, divenuta emula della santissima povertà in spirito di grande umiltà e ardentissima carità, hai ricalcato le orme (cf. 2Re 18,6; 1Pt 2,21) di colui al quale meritasti di essere unita in sposa[59]. La nuzialità, molto presente in Chiara, è in definitiva una dimensione della sequela di Cristo povero. Nei testi citati la verginità è strettamente legata alla povertà, perché vuol dire non avere altro bene all’infuori dello sposo, Gesù Signore. Tale termine non indica tanto un fatto fisico, quanto un carattere interiore frutto di un lungo cammino, che comporta le seguenti conseguenze: il non disporre di sé; il non avere continuità di vita nella discendenza; la trasparenza della gratuità dell’Amore; la totale appartenenza a Dio (il Signore). In definitiva la donna povera, totalmente consegnata nelle mani del Padre, dilatata nell’amore verso tutti perché libera da ogni attaccamento a se stessa, lieta e riconoscente raggiunge quella verginità che segue l’Agnello dovunque vada[60]. II.1.1 Via della sapienza La santa povertà è la sintesi della vocazione di Chiara e delle sorelle povere, modalità specifica del vivere il santo Vangelo indissolubilmente unita a sua sorella la santa umiltà. E’ la linea spirituale, contemplativa, mistica; nocciolo della sequela; sapienza quotidiana; cammino ascetico… Cercheremo di indicarne le diverse espressioni, senza la pretesa di esaurirle: a) La beatitudine dei poveri Nella sua Prima lettera il soffermarsi della madre sulla beatitudine dei poveri (di spirito: strettamente legata all’ascolto dello Spirito) diviene un inno alla povertà, che è la sapienza: o santa povertà: a chi la possiede e la desidera è promesso da Dio il regno dei cieli (cf. Mt 5,3) ed è senza dubbio concessa gloria eterna e vita beata![61] Si tratta del cammino del Figlio di Dio sulla terra in una spoliazione progressiva che conduce alla nudità della croce. Chiara poi spiega perché i poveri, resi tali dallo Spirito, contenti di avere in Dio l’unico bene, sono beati nel regno dei cieli: il regno dei cieli è promesso e donato dal Signore solo ai poveri (cf. Mt 5,3), perché quando si amano le realtà temporali, si perde il frutto della carità e che non si può servire a Dio e a mammona, poiché o si ama l’uno e si odia l’altro, o si serve l’uno e si disprezza l’altro (Mt 6,24)[62]. La brama delle ricchezze, degli onori, del potere, la sete di possesso, anche verso le persone, conducono a vivere secondo la carne e fanno perdere il frutto dello Spirito, che è amore (Gal 5,22) di Dio e dei fratelli. Il vivere con ansia, cercando di avere sempre di più, allontana il cuore da Dio, trasformato in un idolo, dal quale si pretende la soddisfazione del proprio egoismo. Rende pure estranei ai fratelli, divenuti potenziali nemici dai quali difendersi, perché possono sempre sottrarci qualcosa. Allora non si conosce più l’amore che è gratuità, gioia di donare e di donarsi senza aspettarsi nulla in cambio. Perciò la sapienza divina, misteriosa (2Cor 2,7), di cui parla Paolo, si apprende guardando Gesù nel suo agire e nel suo donare la vita sulla croce: in ultima analisi il Povero è lui e la prima beatitudine, che contiene in sé tutte le altre, si apprende da lui. b) Il tesoro Di conseguenza la scelta di seguire Cristo povero scaturisce dall’aver trovato il tesoro, che è la sapienza. Nella sua Terza lettera Chiara ne insegna le modalità: ti vedo infatti soppiantare in modo terribile e impensato le astuzie dello scaltro (cf. Gen 3,1) nemico, la superbia che è rovina dell’umana natura e la vanità che infatua i cuori degli uomini, sostenuta, per così dire, da una mirabile prerogativa di sapienza della bocca di Dio stesso; e ti vedo abbracciare con l’umiltà, la forza della fede e le braccia della povertà, il tesoro incomparabile, nascosto nel campo (cf. Mt 13,44) del mondo (cf. Mt 13,38) e dei cuori umani, col quale si compra colui che dal nulla fece tutte le cose (cf. Gv 1,3)[63]. La madre afferma che il lasciarsi condurre dalla sapienza porta a vincere la tentazione, dalla quale dobbiamo continuamente guardarci. Ella rende capaci di non farsi dominare dalla superbia e dalla vanagloria, che è ricerca del successo, della fama, dell’apparire importanti, belli, potenti davanti agli uomini. Ancor più, seguendo il Vangelo si abbandona tutto per acquistare il tesoro che è la sapienza. Per stringerlo, occorre essere liberi da ogni possesso e presunzione di grandezza, guidati dalla fede che è porre tutta la propria fiducia in Dio. Allora la sapienza ci svela il volto della Parola fatta carne, quella stessa per la quale furono fatti i cieli e la terra. Il tesoro, abbracciato come condivisione del cammino di Gesù povero, è anticipazione della vita eterna, dove non occorre difendere le ricchezze dai ladri o dall’usura del tempo, perché s’identificano con l’unico Bene che nulla può distruggere: poiché avendo voi preferito il disprezzo del mondo agli onori, la povertà alle ricchezze temporali e nascondere i tesori in cielo più che in terra, là dove né la ruggine consuma (Dt 28,42), né il tarlo distrugge né i ladri rovistano e rubano (Mt 6,19-20)[64]. Per comprendere come la povertà di Chiara è la Sapienza ci viene in aiuto il Saluto delle virtù scritto da Francesco: Ave, regina sapienza, il Signore ti salvi con tua sorella, la santa, pura semplicità. Signora santa povertà, il Signore ti salvi con tua sorella, la santa umiltà… La santa sapienza confonde Satana e tutte le sue malizie. La pura santa semplicità confonde ogni sapienza di questo mondo e la sapienza della carne. La santa povertà confonde la cupidigia e l'avarizia e le preoccupazioni del secolo presente. La santa umiltà confonde la superbia e tutti gli uomini che sono nel mondo, e similmente tutte le cose che sono nel mondo[65]. Il poverello rivolge il suo saluto alla regina sapienza. E’ regina, non solo perché si addice particolarmente ai regnanti, ma soprattutto perché è attributo dell’unico Re, che è Dio, come si comprende bene pregando i salmi. Francesco, come Chiara, la riferisce più esplicitamente a Gesù Cristo, in cui ella si rende visibile sulla nostra terra. Le altre virtù nominate dal serafico padre sono manifestazioni della sapienza. Il che appare chiaro, se si riflette su quanto esse confondono: si tratta sempre della sapienza del mondo nelle sue varie espressioni. Quella della sapienza è una via. La madre delle sorelle povere lo mette in luce nel suo Testamento sintetizzando la parola evangelica: per noi il Figlio di Dio si è fatto via (cf. Gv 14,6)[66]. L’espressione giovannea: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me»(Gv 14,6), centrale per comprendere chi è Gesù per Francesco e Chiara, in questo passo della pianticella viene vista come via che conduce alla vita, come modalità dell’andare che è il senso del cammino evangelico. Perciò lo sguardo a lui consente di vivere il quotidiano, condotti dalla sapienza evangelica. Chiara insiste: ammonisco ed esorto nel Signore Gesù Cristo tutte le mie sorelle, che sono e che verranno, che si studino sempre di imitare la via della santa semplicità, dell'umiltà e della povertà, ed anche l'onestà del loro santo tenore di vita, come dall’inizio della nostra conversione fummo ammaestrate da Cristo e dal beatissimo padre nostro Francesco[67]. Questa via, appresa da Cristo attraverso l’esempio di Francesco fin dagl’inizi di San Damiano, comporta alcune caratteristiche che abbiamo già incontrato. La santa semplicità infatti è sorella della sapienza, perché il Padre ha tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le ha rivelate ai piccoli (cf. Mt 11,25). La sapienza secondo Dio è umile, non cerca se stessa, è lontana da ogni doppiezza. Confidando solo nel Signore è libera dal giudizio degli uomini e non teme di perdere la fama, la stima altrui. Così il povero secondo il Vangelo è anche semplice proprio perché non s’impossessa di nulla. La madre mette ancora in luce l’onestà del loro santo tenore di vita. Si tratta dello stile del quotidiano, in cui l’onestà non è soltanto il comportarsi correttamente negli scambi di natura economica, ma ancor più è lealtà, fedeltà alla parola data, rettitudine morale, e altro ancora che costituisce la modalità spicciola di una sapienza vissuta nella realtà di ogni giorno. c) la via stretta Occorre poi tenere presente che la via è stretta, come si apprende dalla sapienza del Vangelo: avete gettato via le vesti, cioè le ricchezze temporali, per non soccombere in nulla all’avversario nella lotta ed entrare per la via stretta e la porta angusta nel regno dei cieli (cf. Mt 7,13-14)[68]. Bisogna gettare i fardelli inutili per passare per questa via, perché è quella della croce, l’unica che ci fa discepoli di Gesù. Occorre poi vigilare, perché non basta cominciare a camminare sulla via, è necessario restarci sino alla fine, senza deviare su strade più spaziose e comode: e poiché stretta è la via e il sentiero, ed angusta la porta per la quale si va e si entra nella vita e sono pochi quelli che vi camminano ed entrano per essa (cf. Mt 7,14); e se vi sono alcuni che per un certo tempo vi camminano, sono pochissimi quelli che perseverano in essa. Beati davvero quelli ai quali è dato di camminare in essa e di perseverare sino alla fine! (Sal 118,1; Mt 10,22)[69]. d) La lotta La perseveranza sulla via rende necessaria la lotta, quella che i maestri di spirito chiamano combattimento spirituale. Per non soccombere nella lotta Chiara insegna la via della povertà, usando l’immagine dell’uomo nudo che non offre appigli all’avversario, perché non è appesantito da nulla: sapete pure che un uomo vestito non può lottare con uno nudo, perché più presto è gettato a terra chi ha dove essere afferrato e che non si può stare con gloria nel mondo e regnare lassù con Cristo[70]. C’è il rischio di scendere a compromessi nella quotidiana battaglia, che si gioca dentro di noi tra l’uomo vecchio che cerca se stesso, il piacere, l’onore, il possesso e l’uomo nuovo che vuol seguire Gesù Cristo, affidarsi alla volontà del Padre, lasciandosi condurre dallo Spirito in relazioni che lasciano traboccare l’amore di Dio nella gratuità. Allora non si può trascurare il cammino ascetico: una traccia di tale itinerario è presente nel passo della Terza lettera, già commentato a proposito del tesoro. Per questo occorre vigilanza continua, tenendo presente giorno dopo giorno la parola evangelica: se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua (Mt 16,24). Dove si tratta di rinnegare, cioè non lasciar prevalere, tutto quello che allontana da Dio: l’attaccamento a se stessi, la paura di riconoscere la propria miseria per essere guariti dalla divina misericordia, l’abitudine al vizio, per scegliere la gioia di seguire il Signore, la vera letizia nel passaggio dalla morte alla vita. Un itinerario sapienziale nella linea della povertà francescana è tracciato nelle Ammonizioni di Francesco. A queste fa eco Chiara: e lasciate completamente da parte tutte quelle cose che in questo fallace mondo inquieto prendono ai lacci i loro ciechi amanti, ama con tutta te stessa colui che tutto si è donato per amore tuo (cf. Gal 2,20); Chi non avrebbe in orrore le insidie del nemico dell’uomo, che attraverso il fasto di beni momentanei e glorie fallaci tenta di ridurre a nulla ciò che è più grande del cielo?[71]. La volontà di lasciar da parte quello che il mondo ama deriva dall’aver trovato l’Amore che supera ogni amore, dalla certezza di essere stati amati e di esserlo continuamente, prima di ogni nostro movimento di risposta. Ancora, il resistere alla tentazione è animato dalla consapevolezza della propria dignità come figli di Dio, che conduce ad una gloria infinitamente più grande di quella che il mondo presenta in modo seducente. La vigilanza poi per non offendere l’Amore e gli amici di Dio, per non ledere la comunione della Chiesa in cui siamo una cosa sola, dove il bene che si compie va a vantaggio di tutti e il male danneggia ogni membro, impegna incessantemente al fine di evitare quanto può far deviare dalla via. Chiara afferma che non solo la colpa, ma anche l’ignoranza è in grado di allontanare dal Vangelo, che siamo chiamate a conoscere e a meditare, perché diventi vita in noi: se siamo entrate nella via del Signore, vigiliamo dunque di non allontanarci mai in nessun modo da essa, per nostra colpa o ignoranza, per non recare offesa a così grande Signore, alla Vergine sua madre, al padre nostro beato Francesco, alla Chiesa trionfante ed anche militante. Sta scritto, infatti: Maledetti quelli che si allontanano dai tuoi comandamenti (Sal 118,21)[72]. II.1.2 Pellegrine e forestiere L’andare per la via del Signore, senza lasciarsi appesantire da nulla, richiede come atteggiamento di fondo il sentirsi di passaggio sulla terra, abitandola con tutto l’impegno e la gratitudine per il dono della vita e della comunione con Dio, ma come pellegrine e forestiere in questo mondo, servendo il Signore in povertà e umiltà…[73] . Lo sguardo alla vita che non ha fine, capace di dare senso e spessore al quotidiano, traspare anche nel Privilegio di povertà, come abbandono fiducioso alla provvidenza del Padre, preludio del godimento di lui nella visione del suo Volto: certamente colui che nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo (Mt 6,26-28), non vi farà mancare il vitto e il vestito, finché nella vita eterna passerà davanti a voi e vi somministrerà se stesso (cf. Lc 12,37), cioè quando la sua destra vi abbraccerà con felicità più grande, nella pienezza della sua visione (Ct 2,6)[74]. II.1.3 Il non avere possessioni Il Privilegio di povertà, avendo indicate le motivazioni evangeliche della scelta, è concesso in questi termini: corroboriamo con l’approvazione apostolica, il vostro proposito di altissima povertà, accordandovi con l'autorità della presente lettera di non poter essere costrette da nessuno a ricevere possessioni[75]. Cercheremo ora di specificarne il senso, per comprenderne la portata nella spiritualità di Chiara. a) L’obbedienza al Vangelo La chiamata alla povertà è adesione all’esperienza della misericordia del Padre rivelata in Gesù Cristo, che si fa sequela di lui nell’ascolto della Parola evangelica: se qualcuna per divina ispirazione verrà a noi volendo ricevere questa vita…le si dica la parola del santo Vangelo, che vada e venda tutto quanto è suo e procuri di distribuirlo ai poveri (Mt 19,21). Se non potrà farlo basta la buona volontà[76]. Il primo passo della risposta alla chiamata è l’obbedienza al Vangelo, che chiede di liberarsi dei beni materiali: desiderando dedicarvi al solo Signore, avete respinto la brama delle cose temporali. Perciò, venduto tutto e distribuitolo ai poveri (cf. Lc 18,22), vi proponete di non avere assolutamente alcuna possessione, aderendo in tutto alle orme (cf 1Pt 2,21) di colui che per noi si è fatto povero (cf. 2Cor 8,9), e via e verità e vita (Gv 14,6)[77]. Resta perciò fermo che la povertà è aderire alle orme di Cristo. b) Senza possesso Così il non avere possessioni assume la sua forza nella mistica comunione con il Crocifisso povero: in tale proposito non vi spaventa la mancanza di beni: perché la sinistra dello sposo celeste è sotto il vostro capo (cf. Ct 2,6), per sostenere la debolezza del vostro corpo, che con carità ordinata avete assoggettato alla legge dello spirito. Certamente colui che nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo (Mt 6,26-28), non vi farà mancare il vitto e il vestito, finché nella vita eterna passerà davanti a voi e vi somministrerà se stesso (cf. Lc 12,37), cioè quando la sua destra vi abbraccerà con felicità più grande, nella pienezza della sua visione (Ct 2,6). Secondo la vostra supplica, quindi, corroboriamo con l’approvazione apostolica, il vostro proposito di altissima povertà, accordandovi con l'autorità della presente lettera di non poter essere costrette da nessuno a ricevere possessioni[78]. Cioè nel non ricevere né avere possessioni o proprietà né da sé né per interposta persona e nemmeno quanto ragionevolmente si può dire proprietà[79], se non quel tanto di terra richiesto dalla necessità per l’onestà e all’isolamento del monastero e quella terra si coltivi soltanto ad orto per le loro necessità[80]. Per Chiara si tratta di un elemento imprescindibile, che la condurrà a lottare fino alla fine della vita. L’assenza di sicurezze ha una forte valenza spirituale, perché conduce all’atteggiamento del povero che confida interamente nel Padre celeste. E’ un cammino di progressiva spoliazione che arriva fino alla nudità della croce. Ci troviamo perciò di fronte allo specifico del carisma clariano. c) Scelta di classe (minorità) La povertà, proprio perché guidata dallo Spirito, si vive nella concretezza quotidiana. Comporta pure una scelta di classe, che si traduce nell’appartenenza allo stato sociale dei minores, gli ultimi della società del tempo, i quali non hanno sicurezze e vivono alla giornata. Il povero volontario è così chiamato a fare dell’insicurezza la chiave di una consegna totale nelle mani del Padre. d) Il fare penitenza Il cammino di progressiva spoliazione e consegna di sé si protrae per l’intero cammino terreno, attuando il facere poenitentiam, la chiamata alla conversione che caratterizza il cristiano, abbracciata da Francesco e Chiara come stato di vita entrando nell’ordine dei penitenti. Per comprendere il significato del fare penitenza ascoltiamo l’esortazione di Francesco: tutti coloro che amano il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima e la mente e con tutte le forze e amano i loro prossimi come se stessi, e hanno in odio i loro corpi con i vizi e i peccati, e ricevono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e fanno frutti degni di penitenza[81]. La conversione consiste perciò essenzialmente nel vivere il comandamento dell’amore. Amare Dio, con tutto il nostro essere, esclude ogni forma di attaccamento fuori di lui; allontanando dal possesso di cose e persone porta a un rapporto fraterno vissuto dentro il suo amore; infine conduce a non preferire l’uomo vecchio che c’è in noi, vincendo il rischio dell’idolatria che crea un dio a misura delle proprie passioni. Nel cammino quotidiano la forza viene dall’eucaristia, che trasforma il cuore nella comunione con il Dio trino, mentre rende un unico corpo con i fratelli, portando al dono di sé unito a quello del Povero. La penitenza può assumere anche la caratteristica di privazione ed essere accompagnata da gesti materiali ritenuti penitenziali. Tutto questo prende senso soltanto dentro un atteggiamento di costante conversione alla mentalità evangelica. Francesco e Chiara, come figli del loro tempo, sono stati dei grandi penitenti, che hanno considerato tale aspetto come un modo per somigliare a Gesù Cristo. e) La grazia di lavorare Nella condizione di vita dei poveri dobbiamo considerare anche il lavoro. Tuttavia Chiara, come Francesco, non lo compie al fine di guadagnare, ma lo reputa una grazia che consente di stare uniti al Signore, di non estinguere lo Spirito, di essere fedeli alla vocazione umana nella dedizione di sé, a vantaggio di chi vive accanto o di chi è più povero: le sorelle alle quali il Signore ha dato la grazia di lavorare, dopo l’ora terza lavorino con fedeltà e devozione e di un lavoro onesto e di comune utilità, in modo che, bandito l’ozio, nemico dell’anima, non estinguano lo spirito (1Ts 5,19) della santa orazione e devozione, al quale tutte le altre cose temporali devono servire[82]. II.1. 4 Obbedienza a) Ricevute all’obbedienza Il vertice della povertà è l’obbedienza, nella quale si consegna quanto c’è di più personale: la volontà propria. Perciò il sì alla chiamata si concretizza nell’essere ricevute all’obbedienza: finito l’anno della prova sia ricevuta all’obbedienza, promettendo di osservare in perpetuo la vita e la forma della nostra povertà[83]. Tenendo presente che si obbedisce a Dio, attraverso le ispirazioni dello Spirito, la Parola e l’insegnamento della Chiesa, il consegnare la propria volontà nelle mani di una persona umana prende senso dalla chiamata evangelica, che si rivolge tanto a chi ha il servizio dell’autorità come a chi obbedisce, inserendosi nella comunione fraterna in cui ci si presta reciprocamente obbedienza. Cercheremo di dire brevemente le caratteristiche di questa dimensione fondamentale della consacrazione a Dio, come Chiara l’ha intesa. b) All’abbadessa Tale obbedienza si rivolge innanzi tutto all’abbadessa, che nella spiritualità di Chiara è serva di tutte le sorelle: le sorelle suddite si ricordino che per Dio hanno rinnegato le proprie volontà. Quindi siano fermamente tenute ad obbedire alle loro abbadesse in tutte le cose che hanno promesso al Signore di osservare e che non sono contrarie all’anima e alla nostra professione[84]. Inoltre le sorelle che sono suddite, si ricordino che per Dio rinunciarono alla propria volontà. Perciò voglio che obbediscano alla loro madre, come spontaneamente promisero al Signore[85]. La radice dell’obbedienza è posta nell’evangelico rinneghi se stesso, fondamento di un cammino di sequela. Non è detto di misconoscere la propria realtà più profonda, che anzi va portata a pienezza, né di rinunciare a pensare e a progettare, tanto meno di non far fruttare i doni che costituiscono la persona nelle sue caratteristiche uniche. Si tratta invece di non cercare se stesse, si non voler far prevalere le proprie idee, di consentire a chi ha il servizio dell’autorità di decidere quali compiti affidare a ciascuna nella vita fraterna, di operare scelte nell’ambito di quanto promesso secondo la forma di vita, facendo dei propri desideri, anche buoni, un’offerta a Dio[86]. c) servizio materno Da parte sua la madre, conformandosi a Cristo, è chiamata a vivere così il suo servizio: l’abbadessa abbia tanta familiarità nei loro riguardi, che possano parlarle e trattare con lei come le padrone con la propria serva: perché così deve essere, che l’abbadessa sia la serva di tutte le sorelle[87]. Qui l’atteggiamento di Gesù servo, che ogni sorella è chiamata a fare proprio, è vissuto in modo più marcato. Per la mentalità dell’epoca si tratta di un vero capovolgimento nello stile dell’autorità, che porta la madre a stabilire rapporti familiari con le sorelle, a confrontarsi con loro come una sorella tra le altre, senza venir meno al compito di esortare, correggere e, se necessario, di dare un comando[88]. II.1.5 L’abitare rinchiuse Per Chiara anche l’abitare rinchiuse è una dimensione della scelta di povertà. Perciò nella forma di vita conclude così le indicazioni sul modo di ricevere una nuova sorella: dopo non le è più lecito uscire dal monastero senza un utile, ragionevole, manifesto e provato motivo[89]. Nella pianticella è l’unico riferimento esplicito e originale alla clausura. Tuttavia posto a questo punto appare in parallelo con la Regola bollata: e in nessun modo sarà loro lecito uscire da questa Religione, in conformità al comando del signor papa; poiché, secondo il santo Vangelo, «nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio» (Lc 9,62)[90]. E’ chiaro perciò che si tratta della perseveranza nella vocazione, richiamata da Chiara all’inizio del cammino, mentre Francesco la evidenzia al momento in cui si assume la responsabilità di procedere sulla via, quando il nuovo fratello, finito l’anno della prova, è ricevuto all’obbedienza, attraverso una promessa. Per la madre delle sorelle povere la perseveranza consiste nell’osservare in perpetuo la forma della nostra povertà, di cui l’abitare rinchiuse è un aspetto, mentre è, allo stesso tempo, scelta di contemplazione. Per comprenderla, occorre tenere presente la chiave mistica. A dare senso all’abitare rinchiuse è infatti l’amorosa sequela di Cristo povero, in una vita dedicata alla contemplazione del suo volto. II.2 L’unità della scambievole carità Non si tratta però di un cammino solitario, ma vissuto insieme come sorelle unite dall’unica chiamata evangelica, dalla passione d’amore per il Crocifisso povero. a) L’unità degli spiriti La forma di vita parla di unità degli spiriti: siano in verità sempre sollecite di conservare reciprocamente l’unità (Ef 4,3) della mutua carità che è il vincolo della perfezione (Col 3,14)[91]. Quello che conta non è l’uniformità dei gesti, l’essere insieme nello stesso luogo, ma l’unità nell’amore che è opera dello Spirito, come ricorda il riferimento alla Lettera agli Efesini, ed è armonia nella diversità di pensiero, di personalità, di storia, di provenienza sociale. Tale unità è dono, ma vivendo insieme si è chiamate a conservarla. Nella Lettera ai Colossesi l’ultimo richiamo paolino inserito da Chiara: al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione (Col 3,14), conclude una lunga serie di atteggiamenti ,di cui il cristiano è chiamato a rivestirsi, dei quali la carità è come il cingolo che tiene unita la veste. In concreto, se non si è attenti a conservare questo dono, ci si illude di essere cristiani. b) Il perdono La carità poi si edifica sul perdono reciproco, perché la realtà della nostra debolezza ci conduce a gesti e atteggiamenti che feriscono. Chiara ne è ben consapevole, così traduce il Vangelo nella concretezza del quotidiano, indicando praticamente come ogni Parola trova la sua attualità nel cammino di ogni giorno, in cui occorre essere attenti e delicati nei rapporti fraterni: se accadesse – non sia mai! – che tra una sorella e l’altra per una parola o un gesto talvolta nascesse occasione di turbamento o di scandalo, quella che sarà stata causa di turbamento, subito, prima di offrire davanti al Signore il dono della sua orazione, non solo si prostri umilmente ai piedi dell’altra domandando perdono, ma anche la preghi con semplicità di intercedere per lei presso il Signore affinché sia misericordioso (cf. Mt 5,23)[92]. L’altra poi, memore di quella parola del Signore: «se non perdonerete di cuore, nemmeno il Padre vostro celeste perdonerà a voi» (Mt 6,15; 18,35), perdoni generosamente alla sua sorella ogni offesa fattale[93]. Per Chiara l’offerta da presentare all’altare, di cui parla Mt 5,23-24, è il dono dell’orazione, con cui intende la preghiera liturgica e quella personale, silenzioso colloquio con Dio[94], che è dono perché viene dallo Spirito, il quale attira all’incontro, alla comunione con il Padre in Cristo Gesù. Allo stesso tempo è dono di sé unito all’unica offerta del Figlio. Se si è separati anche da un solo fratello o sorella, il rapporto con Dio non è autentico, perciò occorre camminare sulla via della riconciliazione, secondo il Vangelo. c) Fonte nella Trinità L’unità della mutua carità ha la sua fonte nella Trinità. E’ quindi elemento costitutivo della chiamata delle sorelle povere, come appare evidente nella forma vivendi data da Francesco, di cui ci siamo già occupate e che ora richiamiamo brevemente mettendo in luce la dimensione fraterna. Il farsi figlie del Padre, nel suo aspetto vocazionale comporta il vivere da sorelle, quali figlie di un unico Padre. Allo stesso modo l’adesione totale all’operazione dello Spirito, conseguente all’essere spose sue nel senso già chiarito, porta con sé la comunione nella carità, che è il frutto dello Spirito. Infine la perfezione del santo Vangelo, sequela di Cristo povero, conduce ad amare ogni sorella e fratello nel dono totale di sé. Ancor più, l’esperienza contemplativa della dimora della Trinità nell’intimo si traduce in un traboccare dell’amore trinitario, che innanzi tutto si riversa sulle sorelle, chiamate alla stessa vocazione. d) Comunione eucaristica Il luogo per eccellenza in cui questo si compie è la celebrazione eucaristica, che edifica la Chiesa e ogni assemblea, assumendo un’accentuazione particolare in chi vive la vocazione cristiana con una specifica dimensione sororale. Per quanto riguarda l’unità della mutua carità, il momento culminante della Cena del Signore è la comunione eucaristica, in cui cibandoci di un unico pane diventiamo un solo Corpo. e) Liturgia delle Ore La giornata delle sorelle povere è ritmata dalla Liturgia delle ore. Da qui Chiara e le sorelle traggono la conoscenza della Scrittura, che si attua attraverso la stessa preghiera. L’interiorizzazione della Parola è la fonte della loro contemplazione, la guida sapienziale nel cammino quotidiano. Poiché è celebrata insieme, fa circolare la stessa linfa vitale nella sororità, mentre costruisce la comunione fraterna e la manifesta nell’armonia delle voci e dei cuori. L’essere sorelle, che insieme attingono alla sorgente, lodando, rendendo grazie, supplicando e chiedendo perdono, fa crescere l’unione con Dio e la mutua carità. f) La carità di Cristo Quello che dà forza all’amore reciproco è la carità di Cristo, da lui testimoniata ed effusa in modo eminente sulla croce. L’ardente desiderio di ogni sorella è teso a rispondere a tanto amore, perciò nel cammino sororale il cemento che unisce è l’esperienza di tale ineffabile carità e il suo traboccare, come si comprende da queste parole del Testamento: e amandovi a vicenda nella carità di Cristo(cf. Rm 12,10; Ef 3,19), dimostrate al di fuori con le opere (cf. Gc 2,18) l’amore che avete nell’intimo, in modo che, provocate da questo esempio, le sorelle crescano sempre nell'amore di Dio e nella mutua carità. Il manifestarsi dell’amore che abita nell’intimo fa crescere la mutua carità, mentre alimenta l’adesione all’amore di Dio, che si diffonde nella reciproca accoglienza sororale. Nel cammino spirituale vissuto in San Damiano si può veramente parlare di una mistica della sororità. g) Corresponsabilità nel cammino sororale L’unità degli spiriti si attua pure nella corresponsabilità di un cammino vissuto insieme, nella condivisione dell’esperienza, che dà origine ad uno stile di vita. Per questo: almeno una volta alla settimana l’abbadessa sia tenuta a convocare a capitolo le sue sorelle…e riguardo alle cose che devono essere trattate per l’utilità e l’onestà del monastero, ne conferisca lì con tutte le sorelle; spesso infatti il Signore rivela ciò che è meglio al più giovane[95]. Il convenire insieme, in cui ciascuna dona umilmente quello che lo Spirito le ha suggerito, porta a decisioni che rispecchiano la comune ricerca di una concretizzazione del Vangelo. Così la forma di vita, che Chiara stenderà alla fine dei suoi giorni, è venuta crescendo lungo il cammino attraverso gli incontri settimanali, che hanno via via stabilito quanto si andava sperimentando insieme. h) Sorelle povere L’essere sorelle scaturisce dal dono dello Spirito, perciò dà origine a un vincolo più forte di quello della carne: e se la madre ama e nutre la sua figlia carnale, con quanto maggiore amore la sorella deve amare e nutrire la sua sorella spirituale[96]. Poiché è la chiamata dello Spirito a costituire sorelle, tale dimensione è indissolubilmente unita alla sequela di Cristo povero. Da qui deriva il nome sorelle povere, parallelo a frati minori, che mette in risalto come delle povere volontarie, che non hanno possessi da difendere, possano essere libere di amarsi come sorelle che non cercano qualcosa per sé, ma si donano liberamente l’una all’altra il Bene sommo che non subisce detrimento, anzi cresce quando è condiviso. II.3 Il silenzio Il silenzio è dimensione essenziale di una scelta di contemplazione, luogo dell’incontro con Dio. Non è tanto un’osservanza, quanto l’esigenza profonda di una vita incentrata sul rapporto con lui, perciò Chiara ne parla nella sua forma di vita. Tale aspetto rientra a pieno titolo nello stile di Francesco, come si comprende dalla Regola di vita negli eremi: e sempre recitino compieta del giorno subito dopo il tramonto del sole, e cerchino di conservare il silenzio e dicano le ore liturgiche e si alzino per il mattutino, e prima di tutto ricerchino il regno di Dio e la sua giustizia (Mt 6,33). E dicano prima ad un'ora conveniente e dopo terza sciolgano il silenzio e possano parlare e recarsi dalle loro madri[97]. Il silenzio va conservato come bene prezioso, perché crea il clima del colloquio con Dio, consente di stabilire relazioni sororali che non si nutrono di chiacchiere, ma del dono reciproco. La parola non è esclusa, ma non è fine a se stessa: quando essa è importante per crescere nella conoscenza di Dio, nella vita evangelica e nella mutua carità, non lede il clima di silenzio, anzi lo favorisce. Il silenzio infatti non è semplice assenza di parole, ma uno stare alla presenza del Signore che custodisce la comunione con lui e l’accoglienza sororale, in cui l’eloquenza dei gesti concreti opera l’unità più di tante parole.. III Dimensione ecclesiale Chiara manifesta una consapevolezza costante di vivere nella Chiesa e per la Chiesa, come traspare dai pochi scritti che ci ha lasciato. Cerchiamo di indicarne brevemente alcuni tratti caratteristici. a) Obbedienza alla Chiesa: Chiara conclude così la sua forma di vita, quasi ad esprimerne il senso: affinché suddite sempre e soggette ai piedi della stessa santa Chiesa, salde nella fede cattolica, osserviamo in perpetuo la povertà e l’umiltà del Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre e il santo Vangelo, come abbiamo fermamente promesso. Amen[98]. L’obbedienza al Vangelo si vive nella fede della Chiesa, in un’adesione allo Spirito che si pone dentro la realtà concreta di un cammino ecclesiale, accettando le direttive del Papa, non supinamente ma in dialogo, ritenendo importante ottenere il riconoscimento ecclesiale del carisma, per riceverlo dalla stessa Chiesa. Questo per Chiara ha portato con sé una lotta di tutta la vita, per non separare quello che interiormente lo Spirito le manifestava unito: la sequela di Cristo povero e l’obbedienza alla Chiesa. b) Missione ecclesiale Chiara è consapevole di una missione sua e delle sorelle povere nella Chiesa: per amore di quel Dio, che povero fu posto nella mangiatoia (Lc 2,12), povero visse nel mondo e nudo rimase sul patibolo, al suo piccolo gregge (cf. Lc 12,32), che il Signore e Padre generò nella sua santa Chiesa con la parola e l’esempio del beatissimo padre nostro Francesco, per seguire la povertà e l'umiltà del suo Figlio diletto e della gloriosa vergine, sua Madre, faccia sempre osservare la santa povertà, che promettemmo al Signore e al beatissimo padre nostro Francesco, e si degni di sostenerle sempre e di conservarle in essa[99]. Ella ha la certezza che il Padre stesso ha generato nella Chiesa questo gregge di piccole evangeliche per seguire la povertà e l'umiltà del suo Figlio diletto e della gloriosa vergine, sua Madre. Correndo dietro il Figlio diletto povero e umile, si rende visibile nella Chiesa la scelta di Cristo, anzi si rende presente egli stesso. c) Collaboratrici di Dio Ancora Chiara non teme di tradurre al femminile un’espressione paolina, collaboratori di Dio, che si riferisce agli apostoli, applicandola alla sua corrispondente Agnese e di conseguenza ad ogni sorella povera: e, per usare propriamente le parole dell’Apostolo, ti considero collaboratrice di Dio (cf. 1Cor 3,9) stesso e colei che rialza le membra cadenti (cf. Qo 4,10) del suo corpo ineffabile[100]. Una vita per la Chiesa la sostiene nelle membra cadenti, le più sofferenti nel corpo e nello spirito, le smarrite e le lontane, perché, appartenendo ad uno stesso corpo, quando si rimane uniti a Cristo e si porta a maturazione il suo dono nella comunione fraterna, si conferisce linfa vitale a tutto l’organismo. [1] E. Bianchi, La contemplazione in Francesco e Chiara d’Assisi, Magnano (BI), Qiqajon 1995, 15. [2] E. Bianchi, La contemplazione…, 17; il sonno di Chiara, Proc 3,25: FF 2991. [3] Proc 3,20: FF 2986; 11,3: FF 3082. [4] Largitor gratiae, espressione radicata nella letteratura patristica (cf. Agostino, De natura et origine animae 4,11,16), insieme a Padre delle misericordie è uno degli appellativi di Dio prediletti da Chiara (cf. TestsC 2.58). [5] 2LAg 3-4: FF 2872. [6] TestsC 2: FF 2823. Il plurale misericordie viene dall’uso ebraico e ha valore di superlativo: misericordiosissimo. Vuol dire che ci troviamo di fronte a una misericordia infinita e incomprensibile per noi, deboli e limitati. [7] TestsC 24.31: FF 2831.2834. [8] TestsC 58: FF 2846. [9] BensC 11-12: FF 2856. [10] 3LAg 21-23: FF 2902. [11] 3LAg 15: FF 2889. [12] TestsC 24-26: FF 2831. [13] Il nome Rachele secondo le etimologie di san Girolamo (Liber interpretationis de nominibus ebraicis, 8,7; 9,25) significa «colei che vede il principio» o «il principio contemplato», tradizione passata nella spiritualità medievale grazie soprattutto agli scritti di Gregorio Magno (Moralia 6,16; Omelie su Ezechiele 2,2,10-11). [14] 2LAg 11: FF 2875. [15] RsC 6,3: FF 2788. [16] Uffpass: FF 281. [17] 3LAg 24-26: FF 2893. [18] Proc 10,8: FF 3076. [19] 2LAg 14: FF 2876. [20] RsC 2,1 [21] RsC 10,9: FF 2811; Rb 10,8: FF 104. [22] LOrd 50-52: FF 233. [23] Pater 2.3.: FF 267-268. [24] Am V,1: FF 153. Nell’espressione tipica di Francesco l’essere a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26) si compie essenzialmente nel Figlio, che lo comunica a noi, poiché siamo una cosa sola in lui. [25] Rnb 17,7: FF 48. [26] Pater 3.2: FF 268.267. [27] 1LAg 25: FF 2867. [28] RsC 10,10-11: FF 2811. [29] RsC 7,1-2: FF 2792. [30] 3LAg 21-23: FF 2902. [31] 1Lf 5-7: FF 178/2. [32] 1LAg 12.24: FF 2863.2866. [33] 3LAg 13-14: FF 2888-2889. In latino Sal 30,20 suona: O quam magna multitudo dulcedinis tuae Domine, quem abscondisti timentibus te; in fine 1Cor 2,9 è formato da Is 64,3 e Ger 3,16. [34]3LAg 15: FF 2889. [35] 1LAg 13-14.31-32: FF 2863.2869. [36] TestsC 5: FF 2824. [37] Questo verbo è particolarmente importante per Chiara: esprime una caratteristica della sua contemplazione mistica, che si attua in uno sguardo via via sempre più profondo e riguarda l’agire di Dio nella storia, specialmente nell’incarnazione, passione e risurrezione del Figlio diletto; la sua presenza nella vicenda personale di ciascuno, negli avvenimenti e circostanze; si volge poi ad uno sguardo su di sé e sui fratelli, alla luce della misericordiosa bontà divina. [38] TestsC 6-8.24-26: FF 2825.2831. [39] Il termine religio all’epoca significa anche ordine religioso. [40] TestsC 27-30: FF 2832-2734. [41] RsC 6,3: FF 2788. [42] Cf. nota 16. [43] C. Vaiani, Francesco e Chiara d’Assisi, Milano, Glossa 2004, 40. [44] TestsC 46: FF 2841. [45] 2LAg 19-20: FF 2879. Il riferimento a Sal 44,3, che immerge Chiara nel clima nuziale, ci fa comprendere come ella lo prega avendo sempre davanti agli occhi il Crocifisso. [46] Intuere, dice il testo latino, cioè entrare dentro. [47] RsC 2,25: FF 2765: [48] 4LAg 19-21: FF 2904. [49] 3LAg 16: FF 2890. [50] 4LAg 10-11: FF 2901. [51] 4LAg 23: FF 2904. [52] 4LAg 14-15.18: FF 2902.2903. [53] 4LAg 24-26: FF 2904. [54] RsC bolla 3-6.15-16: FF 2745.2749. [55] Priv 6: FF 3279. [56] Rnb 26-27: FF 60-61. [57] Cf. Am XVI: FF 168: Beati i puri di cuore perché essi vedranno Dio (Mt 5,8). Veramente puri di cuore sono coloro che disprezzano le cose terrene e cercano le cose celesti, e non cessano mai di adorare e vedere sempre il Signore Dio, vivo e vero, con cuore e animo puro. [58] 1LAg 6-11.13: FF 2861-2863. [59] 2LAg 5-7: FF 2873. [60] 4LAg 3: FF 2899. [61] 1LAg 16: FF 2864. [62] 1LAg 25-26: FF 2867; Ammonizioni. [63] 3LAg 6-7: FF 2885. [64] 1LAg 22-23: FF 2866. [65] Salvir 1-2.9-12: FF 256.258. [66] TestsC 5: FF 2824. [67] TestsC 56-57: FF 2845. [68] 1LAg 29: FF 2867. [69] TestsC 71-74: FF 2850. [70] 1LAg 27: FF 2867. [71] 3LAg 15.20: FF 2889.2891. [72] TestsC 74-76: FF 2851. [73] RsC 8,2: FF 2795. [74] Priv 6: FF 3279. [75] Priv 7: FF 3279. [76] RsC 2,1.8-9: FF 2754.2787. [77] Priv 2-3: FF 3279. [78] Priv 4-7: FF 3279. [79] Queste parole acquistano ancora più forza se si pensa che seguono di pochi anni la Ordinem vestrum (1245), bolla papale che attribuiva ogni proprietà dei frati minori alla Sede apostolica, consentendo loro di possedere per interposta persona. La ferma volontà di Chiara di essere fedele al carisma ricevuto da Francesco appare con ogni evidenza. [80] RsC 6,12-14: FF 2791. [81] 1Lf 1-4: FF 178/1; 2Test 1-3: FF 110. [82] RsC 7,1-2: FF 2792. [83] RsC 2,14: FF 2760; Rnb 2,9: FF 7; Rb 2,11: FF 80. [84] RsC 10,2-3: FF 2807; Rb 10,2: FF 101; Rnb 4,3: FF 13. [85] TestsC 67-68: FF 2849. [86] Cf. Rm 12,1; Am III,5: FF 148-149. Vedere l’intera Ammonizione, mirabile sintesi del significato evangelico dell’obbedienza, vertice della povertà e della carità. [87] RsC 10,4-5: FF 2808. [88] Cf. RsC 10,1: FF 2806. [89] RsC 2,13: FF 2759. Urbano parla di inevitabilis, et periculosa necessitas, che precisa con incendio, inondazione, ecc. Leggendo il Processo si comprende che l’abitare rinchiuse è vissuto in San Damiano come dimensione della contemplazione e aspetto della povertà altissima. Siamo lontani da una mentalità giuridica. Chiara non aveva bisogno di prescrizioni per vivere rinchiusa, ma le ha accolte come obbedienza alla Chiesa. Ora sappiamo che questo è avvenuto circa nel 1225. Nel periodo precedente lo stile di vita si stava precisando attraverso il cammino percorso insieme, partendo dalla scelta iniziale di una vita eremitica fraterna, alla quale erano naturali la stabilità, con la solitudine e il silenzio, unite alla santissima povertà e a un’intensa comunione fraterna. [90] Rb 2,12-13: FF 80. [91] RsC 10,6: FF 2810. [92] RsC 9,7-9: FF 2803. [93] RsC 9,10-11: FF 2803. [94] Nel suo tempo tale forma di preghiera è chiamata orazione, più tardi precisata con l’aggettivo mentale, cioè della mente. Per Chiara si tratta soprattutto del cuore, in senso biblico, come sede della volontà e delle decisioni. [95] RsC 4,15-18: FF 2780. [96] RsC 8,16: FF 2798 [97] Rer 3-4: FF 137. L’opuscolo, datato da Esser nel 1217, secondo gli studiosi ha come modello lo stile di vita degli inizi di San Damiano, quando Chiara non aveva ancora assunto il governo delle sore. Lo stile di vita ivi indicato si ritrova in modo speciale nel cap. V della forma di vita di Chiara, ma un’attenta lettura di tutto il testo rende visibili altri rimandi all’opuscolo in questione. [98] RsC 12,13: FF 2820. [99] TestsC 46: 2841. [100] 3LAg 8: FF 2886.