Linee di Ricerca Massimo Mugnai LOGICA MODALE E MONDI POSSIBILI Versione 1.0 - 2006 Linee di Ricerca SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia Rivista elettronica di filosofia - Registrazione n. ISSN 1126-4780 Linee di Ricerca SWIF Coordinamento Editoriale: Gian Maria Greco Supervisione Tecnica: Fabrizio Martina Supervisione: Luciano Floridi Redazione: Eva Franchino, Federica Scali. AUTORE Massimo Mugnai [ [email protected]]. Professore ordinario di Storia della Logica alla Scuola Normale dal 2002, si è laureato in Filosofia allUniversità di Firenze. E stato borsista DAAD presso il Leibniz Archiv di Hannover e ricercatore presso il Lessico intellettuale europeo per i secoli XVII e XVIII del CNR (Roma). E stato inoltre borsista della Fondazione Alexander von Humboldt (ha lavorato presso la Leibniz-Forschungsstelle di Münster, contribuendo anche alledizione critica delle opere di Leibniz) ed ha lavorato in un gruppo di ricerca sulle controversie filosofiche presso lInstitute for Advanced Studies di Gerusalemme, di cui è fellow. E membro della Leibniz Gesellschaft di Hannover, delleditorial Board di History and Philosophy of Logic, del Comitato scientifico di Studia Leibnitiana, del Comitato scientifico della Rivista di storia della filosofia e del comitato scientifico della Leibniz Review. Ha insegnato nelle università di Bari e di Firenze. I suoi interessi di ricerca riguardano la filosofia di Leibniz, la storia della logica, logica e metafisica. Tra le sue pubblicazioni più significative si ricordano: Leibnizs Theory of Relations, Stuttgart, Steiner Verlag, 1993; Introduzione alla filosofia di Leibniz, Milano, Einaudi, 2001; Traduzione e cura (con E. Pasini) degli Scritti filosofici di G. W. Leibniz presso la Casa editrice UTET (3 volumi), Torino, 2000. LdR è un e-book, inteso come numero speciale della rivista SWIF. È edito da Luciano Floridi con il coordinamento editoriale di Gian Maria Greco e la supervisione tecnica di Fabrizio Martina. LdR - Linee di Ricerca è il servizio di Bibliotec@SWIF finalizzato allaggiornamento filosofico. LdR è un e-book in progress, in cui ciascun testo è un capitolo autonomo. In esso l'autore o l'autrice, presupponendo solo un minimo di conoscenze di base, fornisce una visione panoramica e critica dei temi principali, dei problemi più importanti, delle teorie più significative e degli autori più influenti, nell'ambito di una specifica area di ricerca della filosofia contemporanea attualmente in discussione e di notevole importanza. Il fine è quello di fornire al pubblico italiano un'idea generale su quali sono gli argomenti di ricerca di maggior interesse nei vari settori della filosofia contemporanea oggi, con uno stile non-storico, accessibile ad un pubblico di filosofi non esperti nello specifico settore ma interessati ad essere aggiornati. Tutti i testi di Linee di Ricerca sono di proprietà dei rispettivi autori. È consentita la copia per uso esclusivamente personale. Sono consentite, inoltre, le citazioni a titolo di cronaca, studio, critica o recensione, purché accompagnate dall'idoneo riferimento bibliografico. Per ogni ulteriore uso del materiale presente nel sito, è fatto divieto l'utilizzo senza il permesso del/degli autore/i. Per quanto non incluso nel testo qui sopra, si rimanda alle più estese norme sui diritti dautore presenti sul sito Bibliotec@SIWF, www.swif.it/biblioteca/info_copy.php. Per citare un testo di Linee di Ricerca si consiglia di utilizzare la seguente notazione: AUTORE, Titolo, in L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2006, ISSN 1126-4780, p. X, www.swif.it/biblioteca/lr. SWIF – LINEE DI RICERCA LOGICA MODALE E MONDI POSSIBILI MASSIMO MUGNAI Versione 1.0 PREMESSA Durante l’antichità e il medioevo e poi ancora fino all’Ottocento, la logica è sempre stata considerata, nella cultura occidentale, una disciplina riconducibile all’ambito della filosofia. Nella seconda metà dell’Ottocento, le opere di George Boole (18151864) (The Mathematical Analysis of Logic [1847]) e di Gottlob Frege (1848-1825) (Begriffsschrift [Ideografia: 1879]), avviano un processo di profonda trasformazione della logica in una prospettiva che, in pieno Seicento, era stata prefigurata da Leibniz. Con le opere di Boole e Frege, la logica non solo prende a svilupparsi ricorrendo a un linguaggio e a strumenti desunti dalla matematica, ma progressivamente, a partire dai primi anni del Novecento, si propone essa stessa strumento per l’indagine matematica. La “matematizzazione” della logica induce a guardare ai rapporti tra logica e filosofia con rinnovato ottimismo: l’indagine filosofica può finalmente dotarsi di uno strumento rigoroso, dal quale è auspicabile attendersi la soluzione di antichi problemi. In anni più recenti, lo straordinario sviluppo della logica matematica e il conseguente, alto grado di specializzazione che ne ha investito tutti gli aspetti, hanno reso più complesso il rapporto tra logica e filosofia. Molte delle originarie speranze hanno subito un ridimensionamento: nondimeno, una buona conoscenza di base della logica continua a esser considerata, M. Mugnai, Logica e Mondi possibili, in L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6, pp. 673-711. Sito Web Italiano per la Filosofia – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 676 dalla maggior parte dei filosofi contemporanei, un requisito essenziale per svolgere seriamente l’attività filosofica. Conoscere la logica permette di dar forma rigorosa alle argomentazioni, consente di evitare fallacie e, in generale, mette a disposizione un potente strumento di analisi concettuale. La logica, tuttavia, non ha nei confronti della filosofia un rapporto, per così dire, puramente propedeutico. Un ampio settore della logica, caratterizzato ormai col nome di logica filosofica, si applica all’indagine di tematiche filosofiche più o meno tradizionali. Tra queste figurano: la ricerca concernente i vari significati dei concetti di necessità e possibilità; il tentativo di caratterizzare logiche della conoscenza; la ricerca di leggi generali capaci di dar conto del nostro discorso riguardo al realizzarsi di mutamenti o di alternative; la costruzione di una logica che tratti con concetti “imprecisi”; l’indagine volta a individuare logiche temporali, ecc. È bene tener presente, tuttavia, che il carattere “filosofico” della logica filosofica non consiste nell’uso di strumenti diversi da quelli della logica matematica “non filosofica”. Un forte legame con la tradizione logica, a partire almeno da Aristotele, ce l’hanno le cosiddette logiche modali, delle quali verranno illustrati in quel che segue la genesi e alcuni caratteri fondamentali. 1. LOGICA MODALE: SIGNIFICATO DELL'ESPRESSIONE. ANTECEDENTI STORICI Con buona approssimazione, possiamo caratterizzare la logica modale come quella branca della logica che studia il comportamento di enunciati nei quali sono coinvolte le espressioni: possibile, impossibile, necessario, contingente e altre ad esse affini. La qualificazione espressa dal termine “modale” deriva dalla tradizione della logica scolastica, secondo la quale le espressioni appena richiamate designavano “modi Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili 677 d'essere” o di “presentarsi” degli enunciati ai quali si riferiscono (oppure, come vedremo, modi d'essere delle proprietà che venivano attribuite a un soggetto). I logici scolastici riconoscevano che le modalità degli enunciati sono molteplici. “Sapere”, per esempio, riferito a un enunciato (“sapere che p” – dove “p” è un enunciato qualsiasi) era pensato anch'esso come un “modo d'essere” o una proprietà dell'enunciato in questione (“esser saputo”, in tal caso). Un chiaro riconoscimento della pluralità dei modi delle proposizioni si trova nella Summa logicae di Ockham: Modale è quella proposizione nella quale viene posto il modo [...] E bisogna sapere che, sebbene tutti i filosofi siano pressoché concordi sul fatto che soltanto quattro modi - vale a dire ‘necessario’, ‘impossibile’, ‘contingente’ e ‘possibile’ - rendono modale una proposizione [...] - parlando in senso più generale, si può dire che i modi che rendono modali le proposizioni sono più di questi quattro. [...][I]nfatti, come una proposizione è necessaria, un’altra impossibile, un'altra possibile, un’altra ancora contingente, così una proposizione è vera, un’altra falsa, un’altra conosciuta, un’altra ignota, un’altra proferita, un’altra scritta, un’altra ancora concepita, un’altra creduta, un’altra opinata, un’altra dubitata, e così via. Perciò, come viene detta modale la proposizione nella quale è posto il modo ‘possibile’ o ‘necessario’ oppure ‘contingente’ o ‘impossibile’, oppure un avverbio corrispondente a uno di questi modi, è altrettanto ragionevole che si possa dire modale una proposizione nella quale vien posto qualcuno dei modi predetti1. In questo brano l'ammissione dell'esistenza di molteplici modalità si accompagna all'implicito riconoscimento del carattere esemplare delle quattro modalità costituite da possibile, necessario, contingente e impossibile. In maniera analoga, nell'ambito Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 678 della logica contemporanea, sebbene venga riconosciuta l'esistenza di differenti tipologie di modalità, quelle definite da possibilità e necessità mantengono sulle altre una sorta di posizione preminente: sono considerate, in certo senso, le modalità per antonomasia. Attualmente, tra i vari tipi di modalità si usano distinguere: modalità assertorie (le modalità di enunciati che si limitano a descrivere o asserire un mero stato di cose); modalità aletiche (si tratta di quelle modalità che specificano il modo di esser vero di un enunciato, vale a dire se è necessariamente, possibilmente o contingentemente vero); modalità deontiche (relative a ciò che è obbligatorio, vietato o permesso); modalità epistemiche (come sapere); modalità doxastiche (come credere). Si parla anche di modalità temporali, in relazione allo sviluppo di logiche che trattano di enunciati la cui verità è legata al tempo; e di logiche dinamiche, legate all’esecuzione di programmi in ambito informatico. La preminenza delle modalità aletiche si spiega col fatto che la cosiddetta semantica a mondi possibili ha consentito - a partire all'incirca dagli anni cinquanta - una trattazione di queste modalità che si applica con successo anche al caso di altri tipi di modalità. Sebbene la logica modale abbia avuto ampio sviluppo in epoca medievale e, soprattutto, tardo-medievale, un interesse verso di essa è documentato già nelle opere logiche di Aristotele. Negli Analitici primi vengono introdotte come segue le inferenze sillogistiche con premesse che includono modalità: 1 Guillelmi de Ockham, Opera philosophica et theologica. Opera philosophica I, Summa logicae, New York, St. Bonaventure, 1974, pp. 242-43. Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili 679 Poiché sono differenti tra loro l’appartenere, l’appartenere di necessità e altro ancora l’esser possibile appartenere (molte cose infatti appartengono, non però di necessità, mentre altre né appartengono di necessità…né appartengono affatto, ma è possibile che appartengano), è chiaro che diverso sarà il sillogismo in ciascuno di questi casi ... [An Pr. I, 8, 29b 29] Negli stessi Analitici primi, Aristotele dedica ampio spazio all'analisi dei sillogismi modali, elaborando una complessa teoria che, sotto molti aspetti, costituirà uno dei punti di riferimento per le speculazioni modali in epoca scolastica e oltre. Nel capitolo IX del De interpretatione Aristotele affronta questioni relative alla contingenza o necessità di certi enunciati; e le analisi contenute in questo capitolo alimenteranno discussioni e controversie che saranno alla base delle dispute scolastiche sui futuri contingenti. In termini piuttosto schematici, la problematica dei futuri contingenti può esser presentata nel modo seguente. Dato che, secondo la teologia cristiana, Dio è onnisciente, prevede gli eventi futuri del mondo da lui stesso creato: Dio sa, per esempio, che Adamo mangerà il frutto proibito. Sotto tale ipotesi, però, com'è possibile affermare che il fatto di mangiare il frutto da parte di Adamo è contingente, se condizione per considerare contingente un evento è che, pur verificandosi, avrebbe potuto non verificarsi? Detto altrimenti: come si concilia la prescienza di Dio, il quale vede che Adamo agirà in un certo modo, con l'affermazione che Adamo potrebbe agire nel modo contrario? Non è difficile rendersi conto che, sul piano teologico, si ha a che fare con una problematica delicata, che investe non soltanto questioni relative alla concezione delle modalità, ma anche questioni riguardanti la libertà dell’agire. Le discussioni scolastiche su questo argomento, e su altri di natura Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 680 analoga, determinarono approfondite analisi delle modalità che, unendosi alle trattazioni della logica modale contenute nei manuali o nelle “dispense” destinate all'insegnamento della logica, dettero corpo a un dottrina assai raffinata e complessa - tanto da giustificare il detto “De modalibus non gustabit asinus (Un asino non potrà accostarsi allo studio delle modalità)”. Il lungo brano che segue - tratto da un opuscolo attribuito a Tommaso d'Aquino - può esser considerato esemplare per la capacità di esprimere alcune acquisizioni centrali della logica modale medievale. Poiché la proposizione modale è chiamata così dal modo, per sapere cosa sia una proposizione modale bisogna sapere innanzitutto cosa sia il modo. Ora, il modo è una determinazione che accompagna una cosa, e lo si ha quando un nome aggettivo viene aggiunto a un sostantivo, così da determinarlo, come quando si dice: “uomo è bianco”; oppure come quando viene aggiunto un avverbio che determina il verbo, come quando si dice: “uomo corre bene”. Bisogna anche sapere che il modo è triplice: ora infatti determina il soggetto della proposizione, come in “uomo bianco corre”; ora determina il predicato, come in: “Socrate è uomo bianco”, oppure “Socrate corre velocemente”; ora determina la composizione stessa del predicato col soggetto, come quando si dice: “che Socrate corra è impossibile", ed è da questo solo modo che la proposizione è detta modale. Le altre proposizioni, invero, che non sono modali, sono dette de inesse. I modi che determinano la composizione sono sei, vale a dire: vero, falso, necessario, impossibile, possibile, contingente. Tuttavia il vero e il falso non aggiungono niente ai significati delle proposizioni de inesse. Infatti viene significato lo stesso quando si dice: “Socrate non corre” e “Socrate corre è falso”; oppure: “Socrate corre” e “Socrate corre è vero”. Ciò però non accade con gli altri quattro modi, poiché non viene significato lo stesso, quando si dice “Socrate corre” e “Socrate corre è possibile”. Pertanto, lasciati da parte il vero e il falso, consideriamo gli altri quattro [modi]. Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili 681 Dal momento che il predicato determina il soggetto e non viceversa, affinché una proposizione sia modale è necessario che i quattro modi predetti vengano predicati e che il verbo che implica la composizione sia posto in luogo di soggetto: la qual cosa si verifica se al posto del verbo indicativo della proposizione si pone l'infinito e al posto del nominativo l'accusativo, e si chiama il tutto dictum della proposizione. Così il dictum di questa proposizione: “Socrates currit [Socrate corre]” è “Socratem currere [che Socrate corre]”. [...] Delle modali, alcune sono de dicto, altre de re. La modale de dicto è quella nella quale tutto il dictum funge da soggetto e il modo viene predicato, come in “Socratem currere est possibile [che Socrate corra è possibile]”. La modale de re è quella nella quale il modo si interpone al dictum, come in “Socrate è possibile che corra”. [...] Bisogna anche sapere che una proposizione modale è detta affermativa o negativa, a seconda dell'affermazione o negazione del modo e non del dictum. Per cui, questa: “Socratem non currere est possibile [che Socrate non corra è possibile]” è affermativa. Mentre questa: “Socratem currere non est possibile [che Socrate corra non è possibile]” è negativa. Bisogna anche notare il fatto che il necessario ha somiglianza col segno universale affermativo [“Tutti”, “Ogni”], poiché ciò che è necessario è sempre; l'impossibile ha somiglianza col segno universale negativo [“Nessuno”], poiché ciò che è impossibile non è mai. Il contingente, invero, e il possibile hanno somiglianza col segno particolare [“Qualche”], poiché ciò che è contingente e possibile, talvolta è e talvolta non è [...] [Pseudo-Tommaso, De propositionibus modalibus [Sulle proposizioni modali], sec. XIII circa]2. In questo brano è messa in luce in primo luogo la differenza tra enunciati assertori, o de inesse, ed enunciati modali; quindi viene introdotta la distinzione, canonica in epoca medievale, tra modalità de dicto e modalità de re. Secondo tale distinzione, un enunciato modale è de dicto se il modo che lo qualifica si riferisce al Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 682 dictum intero - vale a dire se “agisce” su tutto l'enunciato al quale viene riferito; è invece de re se specifica il modo nel quale il predicato inerisce al (o si predica del) soggetto. Così “Necessariamente (Socrate è saggio)” è de dicto, in quanto afferma che l'enunciato “Socrate è saggio” è necessario o necessariamente vero; mentre “Socrate è necessariamente saggio”, oppure “Socrate è saggio necessariamente” sono de re, in quanto asseriscono che una “cosa” (res in latino: Socrate nel nostro esempio) ha una certa proprietà necessariamente (asseriscono, cioè, che l'esser saggio è una qualità necessaria di Socrate). Com'è evidente, il modo in cui è presentata la distinzione scolastica de dicto/de re presuppone che la struttura fondamentale di ogni enunciato sia nella forma “soggetto-copula-predicato"; e la discussione se il modo debba riferirsi alla copula o al predicato continuerà a lungo in ambito scolastico e tardo-scolastico, fino a tutto il secolo XVII, in particolare tra i logici di cultura tedesca. La distinzione de dicto/de re si è mantenuta nella logica modale contemporanea con lo stesso significato, sebbene venga applicata in maniera diversa a causa del fatto che la struttura di base dell’enunciato non è più concepita nei termini di soggetto, copula e predicato3. 2 Thomae Aquinatis, Reportationes, in Sancti Thomae Aquinatis Opera Omnia, (Indicis Thomistici Supplementum), frommann-ho1zboog, Stuttgart, 1980, pp. 579-80. 3 Da Frege in poi, l’analisi logica dell’enunciato, ai fini della costruzione di un efficace linguaggio artificiale, viene svolta sulla base della distinzione tra funzione e argomento, non più nei termini di soggetto, copula e predicato. Con un’inversione della concezione tradizionale, la copula viene, per così dire, assorbita entro il predicato. Mentre nella tradizione i verbi venivano “scomposti” in copula e participio (“Socrate corre” diventava: “Socrate è corrente”), con l’analisi fregeana è come se ciascun predicato fosse ricondotto a un verbo. Così, nel linguaggio logico artificiale post-fregeano, l’enunciato “Socrate è saggio” diventa: “P(s)” – con “P” = esser saggio e “s” = Socrate (analogamente a f(x), con “f” designante una funzione e “x” un suo argomento). La scomparsa della copula rende difficile un’immediata trascrizione della distinzione scolastica de dicto - de re all’interno degli attuali linguaggi formalizzati. In termini contemporanei, un criterio grossolano ma efficace per stabilire se un enunciato modale è de dicto è quello di vedere se l’operatore modale precede i quantificatori; è de re, invece, se tra di esso e la formula cui si riferisce non è interposto alcun quantificatore. Rispetto alla tradizione scolastica, a essere rilevante non è più il rapporto tra espressione modale da un lato, e soggetto, copula e predicato dall’altro. Così, formule come “ (Pa)”, ∀x (Px), ∀x◊(Qx) sono de re; mentre formule come ∀x(Px), ◊∀x ∃y(Qxy) sono de dicto. Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili 683 Un'altra importante precisazione che compare nel brano che stiamo considerando concerne i rapporti tra negazione ed espressioni modali: l'autore osserva che, per “p” enunciato qualsiasi, la negazione di “possibile p” è “non possibile p” e non “possibile non-p”. Lo stesso vale, ovviamente, per le altre modalità. Infine, si ha una precisazione che appare assai significativa, soprattutto se la si considera tenendo presenti gli sviluppi a noi più vicini della logica modale: l'autore coglie una somiglianza [similitudo] tra il necessario e il “segno” di quantità universale “Tutti” (“Ogni”), da un lato, e il possibile e il segno di quantità particolare “Alcuni” (“Qualche”), dall'altro. La somiglianza si fonda sul fatto che se un enunciato è necessario, allora è vero in tutte le circostanze; mentre se è possibile, allora è vero in qualche circostanza. Per l'esattezza, nel brano che stiamo esaminando, si dice che “il necessario è sempre”, mentre l'impossibile non è “mai” e il possibile (col contingente) “talvolta è e talvolta non è”: il necessario sembra concernere in questo caso tutti i tempi (tutti gli istanti temporali), l'impossibile nessun tempo (nessun istante); il possibile e il contingente qualche tempo (qualche istante o periodo di tempo), senza che venga fatto esplicito riferimento al concetto di “circostanza”. Ciò non toglie che sia comunque notevole l'intuizione dell’esistenza di un nesso che lega tra loro i quantificatori “Tutti” (“Ogni”) e “Alcuni” (“Qualche”) con le espressioni modali, rispettivamente, necessario e possibile. Con la fine del medioevo e la reazione degli umanisti contro i logici “barbari” della scolastica, l'interesse per la logica modale, nei secoli XV e XVI si affievolisce. Sebbene la manualistica logica continui a conoscere un certo sviluppo, lo studio delle modalità decade nettamente, rispetto agli standard raggiunti nei secoli precedenti. Nel secolo XVII si assiste a un certo fervore di studi intorno alla logica Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 684 modale, soprattutto in Germania e nei paesi nei quali si è affermata la Riforma protestante. La cultura di osservanza cattolica - principalmente in Spagna e Portogallo - continua a produrre una manualistica logica di buon livello, nella quale sovente sono affrontate questioni di logica modale. Nel secolo XVIII, con l'impoverirsi della trattatistica logica, si assiste a un pressoché definitivo accantonamento della logica modale. Tra le varie cause che contribuiscono a questo risultato figurano anche gli espliciti inviti, rivolti dai gesuiti agli insegnanti, a non soffermarsi sulle modalità per evitare di turbare le coscienze con i problemi riguardanti la predestinazione e la prescienza divina. La rinascita della logica e il sorgere della forma matematica di logica, a partire dalla seconda metà del secolo XIX, con le opere di G. Boole [1847] e G. Frege [1879] non furono accompagnate da una ripresa di interesse per la logica modale. Sebbene il logico e matematico Bernard Bolzano (1781-1848) tratti esplicitamente questioni di logica modale nella sua monumentale Dottrina della scienza, è soltanto con i contributi di Hugh McColl (1837-1909) che le modalità ricompaiono in un ambito centrale della logica. McColl, pur muovendosi nell'ambito della tradizione dell'algebra della logica, solleva il problema dell'interpretazione del condizionale “se ..., allora ...". Per illustrare questo punto e, soprattutto, per preparare adeguatamente dal punto di vista storico l'effettiva ripresa della logica modale nel Novecento, sarà opportuno fare una breve parentesi, tornando alle origini della speculazione logica occidentale. Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili 685 2. CONDIZIONALE FILONIANO E CONDIZIONALE STRETTO Nell'antichità, accanto alla scuola logica fondata da Aristotele si era affermato l'insegnamento della cosiddetta scuola “megarico-stoica”. Mentre la logica aristotelica si fondava prevalentemente sull'analisi dell'inferenza sillogistica e poneva perciò al centro dei propri interessi il rapporto tra termini (oggi diremmo: “classi” o insiemi di oggetti), gli stoici erano interessati soprattutto ai nessi reciproci tra enunciati o proposizioni. In maniera un po' sommaria, ma sostanzialmente fedele, si può rappresentare il ragionamento sillogistico come un'inferenza che, date tre classi di oggetti A, B e C, sulla base della conoscenza dei rapporti che intercorrono, rispettivamente, tra A e C da un lato e tra B e C dall’altro, cerca di determinare la natura dei rapporti che sussistono tra A e B. Questo schema generale risulta evidente nel sillogismo di prima figura: “Tutti gli uomini sono mortali; Tutti i Greci sono uomini; dunque, Tutti i Greci sono mortali” (si ponga “uomini” = “C”, “Greci” = “A”, “mortali” = “B”). I megarico-stoici, invece, in quanto hanno maggiore interesse per l'analisi dei rapporti tra enunciati, rivolgono la propria attenzione al comportamento delle espressioni linguistiche che legano tra loro, o connettono, gli enunciati stessi. In conseguenza di ciò, definiranno le regole che governano gli usi logici di espressioni come (i corrispondenti in greco delle espressioni italiane) “e”, “o”, “se ..., allora ...”, ecc. Un tipico esempio di argomento (non sillogistico nel senso aristotelico) studiato dagli stoici è: “Se è giorno, c'è luce; è giorno; dunque c'è luce”, che corrisponde allo schema (per “p” e “q” enunciati qualsiasi): “Se p, allora q; p; dunque q”. Ora, è proprio relativamente all'interpretazione del "comportamento" logico del connettivo Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 686 “se..., allora ...” che, nell'ambito della scuola megarico-stoica, si ebbero divergenze che si fissarono in tre posizioni distinte. Filone di Megara, secondo quanto riporta Sesto Empirico, aveva proposto le seguenti condizioni di verità per il condizionale: Filone diceva che la connessione [il condizionale] è vera quando non accade che cominci col vero e finisca col falso. Secondo lui ci sono perciò tre modi per ottenere una connessione vera e uno solo per ottenerne una falsa. E' vera infatti se comincia col vero e finisce col vero, come per esempio: “se è giorno, c'è luce”; se comincia col falso e finisce col falso, come, per esempio: “se la terra vola, la terra ha le ali”; analogamente per quella che comincia col falso e finisce col vero, come, per esempio, “se la terra vola, la terra esiste”. E' falsa soltanto quando, cominciando col vero, finisce col falso, come ad esempio: “se è giorno, allora è notte”. 4 Alle posizioni di Filone si contrapposero quelle di Diodoro Crono e di Crisippo. Anche se la critica testuale non ha ancora raggiunto sufficiente chiarezza su questo punto, sembra che Diodoro legasse la verità del condizionale al tempo: probabilmente riteneva vero un condizionale della forma “Se p, allora q” se, per ogni istante temporale t, non si dava il caso che p fosse vero a t e q falso a t. Secondo Crisippo, invece, un condizionale è falso se sussiste un rapporto di incompatibilità tra antecedente e conseguente. È ancora Sesto a illustrare la concezione di Crisippo: È vera una connessione nella quale l'opposto del conseguente è incompatibile con l'antecedente, come ad esempio: “se è giorno, c'è luce”. Essa è vera perché “non c'è luce”, opposto del conseguente, è incompatibile con “è giorno”.5 4 Il testo è tratto da I. M. Bochenski, La logica formale, vol. I, Dai presocratici a Leibniz, Einaudi, 1972, p. 159 5 Ivi, p. 161. Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili 687 Secondo l'impostazione filoniana, un condizionale della forma "se p, allora q” (per p e q enunciati qualsiasi) risulta falso soltanto se l'antecedente (“p”, nel nostro esempio) è vero e il conseguente (“q”) falso. Perché un condizionale sia vero ci si limita a richiedere che non si verifichi questa situazione. Diodoro e Crisippo, invece, chiedono che siano soddisfatte condizioni ulteriori: Diodoro in rapporto al tempo e Crisippo riguardo alla compatibilità tra antecedente e conseguente. Quasi certamente a sollevare l'ostilità nei confronti del condizionale filoniano era il fatto che per la sua verità non si richiede altro rapporto tra antecedente e conseguente, se non quello determinato dai valori di verità. Così, secondo Filone, un condizionale del tipo “se è notte, allora 2 + 2 = 4” risulterebbe vero anche se fosse giorno, dal momento che ha il conseguente vero. Con ogni probabilità, Crisippo aveva cercato di dare condizioni di verità per il condizionale che rispecchiassero più da vicino quelle dell'uso “comune”, che presuppone quasi sempre un nesso di tipo semantico tra antecedente e conseguente. L'incompatibilità tra antecedente e opposto del conseguente della quale parla Crisippo va intesa nel senso che un condizionale è falso se è impossibile che l'antecedente sia vero e il conseguente falso. Con la fine dell'antichità e l'affermarsi di uno stile eclettico in filosofia, tendente a mescolare tra loro le varie posizioni filosofiche, diventa sempre meno chiaro il confine tra logica di impianto aristotelico e logica di ispirazione megaricostoica. Già i manuali di logica del primo o del secondo secolo dopo Cristo presentano una dottrina ibrida: il più delle volte innestano elementi stoici su una base prevalentemente sillogistico-aristotelica. Nel passaggio dall'antichità al Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 688 medioevo, si perde così il senso della distinzione tra i differenti tipi di condizionale: addirittura, il condizionale viene pressoché identificato col cosiddetto sillogismo ipotetico - il sillogismo aristotelico espresso in forma condizionale. Sarà Boezio (470 - 525 d. C.), proprio col De syllogismis hypotheticis, a tramandare nella cultura logica scolastica una quantità considerevole di concetti e spunti tratti dall'ormai estinta tradizione megarico-stoica. Durante il medioevo, la logica conosce una progressiva fioritura, che la porterà a sviluppi straordinari, per certi versi affini a quelli che avrà nel secolo XIX. Sembra però che i logici medievali debbano riscoprire da soli gran parte della dottrina logica elaborata nell'antichità, della quale si era perduta quasi completamente ogni traccia. Nonostante si applichino allo studio dei connettivi logici (chiamati sincategoremi [syncathegoremata]), non giungono tuttavia a recuperare con chiarezza e, soprattutto, consapevolezza, il significato della distinzione tra i vari tipi di condizionale. Il condizionale di tipo “crisippeo” sembra prevalere negli usi e nelle teorizzazioni dei principali autori scolastici. Difficile è trovare istanze di condizionale filoniano. Questa difficoltà è aggravata dal fatto che, in esposizioni informali - prive cioè del riferimento a un apparato simbolico rigoroso - il linguaggio ordinario si presta ad ambiguità. Così, quando un autore medievale scrive che un condizionale è vero quando “è impossibile che l'antecedente sia vero e il conseguente falso”, è difficile stabilire se la locuzione “è impossibile” debba intendersi come un semplice “se non si dà (di fatto) il caso che...”, oppure se sia veramente l'espressione di una modalità. Le stesse difficoltà di determinare in maniera non equivoca la natura del condizionale si incontrano presso la maggioranza dei logici che operano nel periodo Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili 689 che va, all'incirca, dalla fine del medioevo alla seconda metà del secolo XIX. In molti autori il condizionale viene usato senza che ne venga specificato in modo chiaro il significato e, in ogni caso, senza che si abbia la percezione chiara delle differenti interpretazioni messe a fuoco dagli stoici. Sotto questo riguardo, perciò, è del tutto eccezionale la consapevolezza storica di Charles Sanders Peirce (18391914), il quale afferma: Filone sosteneva che la proposizione "se lampeggia, allora tuonerà” è vera se non lampeggia o se tuonerà, mentre è falsa se lampeggia e non tuona. Diodoro non era d'accordo: o gli storici dell'antichità non hanno compreso Diodoro o lui stesso si spiegava male. In realtà, nessuno è stato in grado di formulare chiaramente la sua concezione, nonostante siano stati in molti a provarci. La maggior parte dei logici migliori sono stati seguaci di Filone, mentre i più scadenti hanno seguito Diodoro. Per quel che mi concerne, io sono un seguace di Filone, anche se penso che non sia mai stata resa giustizia a Diodoro. […] è completamente irrilevante quel che accade nel linguaggio ordinario. L'idea medesima di logica formale comporta che siano costruite certe forme canoniche di espressione, i cui significati vengono governati da regole inesorabili [...] Tali forme canoniche devono esser definite senza alcun riguardo all'uso […]6. Pur essendo consapevole del fatto che nell'antichità venivano attribuiti differenti significati al condizionale, Peirce dichiara di non riuscire a comprendere il condizionale diodoreo, e si schiera a favore, nell'ambito della “logica formale”, del condizionale filoniano. Interessanti sono le motivazioni di questa scelta: lo studio 6 C. S. Peirce, Reasoning and the Logic of Things, Harvard University Press, Harvard, 1992, pp. 125 26. Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 690 scientifico della logica non deve uniformarsi agli usi del linguaggio ordinario. Peirce ritiene che il condizionale filoniano sia, per certi versi, quello che meglio si adatta alle esigenze dell'algebra della logica come era stata pensata da Boole. Tuttavia, si deve proprio a un logico appartenente al filone algebrico la riscoperta e la valorizzazione, alla fine dell'Ottocento, di un condizionale non filoniano (analogo a quello di Crisippo). Nel 1880, Hugh McColl (1837-1909) presenta sulla rivista “Mind” un calcolo logico, nel quale definisce un condizionale facendo riferimento a nozioni modali; e nel Symbolic Logic del 1903 introduce un condizionale “p ⇒ q” che: 1) non può esser definito mediante il semplice ricorso ai soli valori di verità; e 2) equivale, da un punto di vista logico, a “è impossibile (p e non-q)”. È con Clarence Irving Lewis (1883-1964) che si ha l'effettiva ripresa della logica modale ai primi del Novecento. In un celebre articolo comparso su “Mind” nel 1912, Lewis contesta la centralità del condizionale filoniano, o “materiale” (com'era - ed è ancora oggi - chiamato), e propone di elaborare un calcolo logico che si fonda sull'implicazione stretta. Lewis chiama “implicazione stretta” il condizionale che risulta vero quando è impossibile che l'antecedente sia vero e il conseguente falso: sotto questo riguardo, il condizionale filoniano, o materiale, non stabilisce un nesso stretto tra antecedente e conseguente, dal momento che, per la sua verità si richiede semplicemente che di fatto non si dia il caso che l'antecedente sia vero e il conseguente falso. Naturalmente, “impossibile” o “non possibile” sono espressioni modali; e dire di qualcosa che non è possibile (è impossibile) che non si verifichi, equivale a sostenere che si verifica necessariamente: il condizionale stretto Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili 691 equivale dunque ad asserire la necessità del condizionale - cioè che il condizionale in questione è necessariamente vero. Lewis non si limita a sostenere la superiorità del condizionale stretto rispetto a quello materiale, ma - in opere successive al saggio menzionato - costruisce anche una serie di calcoli modali, alcuni dei quali rimarranno in seguito "canonici". Nel capitolo VI del volume intitolato Symbolic Logic (1932), scritto in collaborazione con Cooper H. Langford, Lewis assume come primitivo l’operatore di possibilità e sviluppa due sistemi assiomatici che chiama, rispettivamente, “S1” e “S2”; in appendice al volume accenna quindi ad altri sistemi: S3, S4, S5. I nomi di questi sistemi rimarranno inalterati fino ad oggi nella letteratura sulla logica modale. I calcoli di Lewis privilegiano una concezione non-filoniana del condizionale e vengono concepiti dal loro autore in alternativa ai calcoli dei sistemi formali non modali come quello dei Principia Mathematica di Whitehead e Russell (1910-13, in 3 volumi). Nel 1918, il logico polacco Jan Lukasiewicz, in un saggio che diverrà celebre, in quanto getta le basi per la costruzione di logiche a infiniti valori, propone di uscire dalle strettoie del determinismo (che ritiene affligga la logica di origine aristotelica), introducendo, oltre ai due valori vero (= 1) e falso (= 0), anche un terzo valore di verità (= 1/2). Lukasiewicz caratterizza come "possibile" tale valore di verità, ma poi, nel sistema logico corrispondente (che esprime appunto la possibilità mediante 1/2), considera valida l'inferenza da “possibile p e possibile q” a “possibile (p e q)”: un passaggio questo difficilmente accettabile secondo le più comuni accezioni di possibile (da “è possibile che Socrate sia in piedi e è possibile che Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 692 Socrate sia seduto” non è legittimo inferire “è possibile che Socrate sia in piedi e che Socrate sia seduto” – cioè che Socrate sia seduto e in piedi simultaneamente). Nel 1930 un importante contributo allo sviluppo della logica modale in una prospettiva vicina a quella di Lewis viene dato dal lavoro di Oskar Becker (18891964), seguito poi da altri saggi dello stesso autore nel 1951 e nel 1952. In un breve saggio pubblicato nel 1933: Eine Interpretation des intuitionistischen Aussagenkalküls [Una interpretazione del calcolo enunciativo intuizionistico], Kurt Gödel mostra come i sistemi di logica modale scoperti da Lewis possano essere generati estendendo con opportuni assiomi modali una base del calcolo enunciativo standard (come quello presente nei Principia di Russell e Whitehead). Nel 1951 Georg H. von Wright pubblica An Essay on Modal Logic (ed. North Holland, Amsterdam) e un lavoro dedicato alla logica deontica (Deontic Logic, in "Mind", 60, pp. 1-15), nei quali la logica modale è concepita come base per indagare una pluralità di modi o atteggiamenti conoscitivi, quali il credere, il conoscere, ma anche l'essere obbligato, l'assumere come norma, ecc. I calcoli di Lewis, e poi gli altri che ad essi seguirono, ponevano però il problema di trovare una semantica che fosse in grado di render conto delle differenti concezioni modali che stavano alla loro base. In ciascun sistema modale, poste certe formule iniziali (assiomi) venivano dedotte mediante regole una serie di conseguenze o teoremi caratteristici di quel sistema: a fronte di tale sviluppo sintattico, quel che mancava era un correlato semantico adeguato, un'interpretazione plausibile dei teoremi ottenuti e delle differenze tra i vari sistemi. Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili 693 3. MONDI POSSIBILI La storia che porta all'elaborazione di una semantica per la logica modale è abbastanza recente: risale all'incirca alla fine degli anni Cinquanta. Una delle idee fondamentali sulle quali tale semantica si basa si spinge tuttavia ancora più indietro nel tempo, almeno fino a Leibniz. Si tratta dell'idea di mondo possibile. Vediamo di richiamarne per sommi capi l'evoluzione. Che quello che chiamiamo “mondo attuale”, vale a dire il complesso insieme di oggetti e situazioni nel quale ci troviamo a vivere, avrebbe potuto essere diverso, è un'ovvia riflessione che già i filosofi antichi avevano fatto. Tuttavia è soltanto con l'affermarsi dell'idea di un Dio creatore che si fa strada la concezione di una pluralità di “mondi possibili” tra i quali Dio sceglie quello da chiamare all'esistenza. I Padri della Chiesa, prima ancora dei pensatori medievali, paragonano Dio a un saggio architetto che, per creare il mondo, esamina una serie di modelli ideali dei possibili candidati tra i quali far cadere la propria scelta. I mondi che non verranno creati saranno possibili non attuati. I filosofi medievali affronteranno una serie di sottili questioni riguardo ai mondi possibili: quale sia la loro natura ontologica - se cioè esistano (in un qualche senso di “esistere”) nella mente divina; fino a che punto ammettano leggi di natura completamente diverse da quelle che regolano il nostro mondo, ecc. Naturalmente, l'idea di “mondo possibile” che è implicita in questa tradizione presuppone che i mondi non attuati dei quali si parla siano, più o meno, variazioni del “macroscopico ammasso di oggetti” che ci circonda e del quale facciamo parte. Per tutto il periodo post-medievale e fino alla seconda metà del Seicento, il riferimento ai “mondi possibili” continua a trovare la propria sede naturale nelle discussioni di teologia. Durante il secolo XVII un rinnovato interesse Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 694 per questo tema si registra nella cultura teologico-filosofica spagnola; è con Leibniz tuttavia, che viene affrontato in una luce nuova. Leibniz ritiene che, se si vuol preservare la libertà divina in relazione alla scelta di creare il mondo attuale, è indispensabile riconoscere che Dio ha scelto sulla base non di un solo modello, ma di una molteplicità - addirittura un numero infinito - di modelli di mondo. Ciascun modello di mondo, specificato nei minimi dettagli, è un “mondo possibile”. L'insieme dei mondi possibili dà luogo a quello che Leibniz chiama il paese dei possibili, vale a dire a uno spazio logico “situato” nella mente di Dio. L'aspetto innovativo della concezione leibniziana consiste nel collegare esplicitamente la valutazione degli enunciati modali alla metafisica dei mondi possibili. Secondo una consolidata tradizione, risalirebbe a Leibniz la definizione di enunciato necessariamente vero come quell'enunciato che è vero in tutti i mondi possibili. È stato osservato, tuttavia, che in nessuno scritto leibniziano si troverebbe tale definizione esattamente negli stessi termini. Questa osservazione è corretta, perlomeno se consideriamo i testi leibniziani finora editi. Bisogna riconoscere però, da un lato, che l'accettazione di siffatta definizione segue direttamente dalle assunzioni teorico-dottrinali del pensiero di Leibniz; dall'altro, che almeno in un testo Leibniz asserisce che la classe delle verità eterne (necessarie) coincide con la classe degli enunciati che rimarrebbero veri anche se Dio avesse creato il mondo in maniera diversa. Il che sembra soltanto un modo alternativo di dire che le verità necessarie sono enunciati veri di ogni mondo possibile. Resta da sottolineare che Leibniz non riesce a fare un uso coerente delle proprie intuizioni riguardo alle modalità. Se può esser considerato il padre della moderna semantica a mondi Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili 695 possibili, lo è fondamentalmente per avere avuto l'idea di esprimere le modalità usando la quantificazione su un dominio di mondi possibili. Quest'idea viene ripresa nel 1947 da Rudolf Carnap (1891-1970) in Meaning and Necessity7. In questo stesso periodo tale idea viene arricchita dall'introduzione di una “relazione di accessibilità” tra mondi che - già prefigurata in alcuni lavori di Alfred Tarski (1902-1983) (composti in collaborazione, rispettivamente, con J. C. Mc Kinsey e B. Jonsson) - viene sviluppata da Arthur N. Prior (1914-1969) in rapporto alle logiche temporali e articolata infine, con diversi gradi di chiarezza, da Stig Kanger, Jaakko Hintikka e Saul Kripke. E’ ormai consuetudine attribuire proprio al filosofo e logico americano S. Kripke il merito di aver dato compimento alla “semantica a mondi possibili” (o, appunto, “semantica kripkeana”) con l’elaborazione esplicita della nozione di “relazione di accessibilità” tra mondi. 4. CALCOLO DEGLI ENUNCIATI E CALCOLO DEI PREDICATI. SINTASSI E SEMANTICA. Di solito si distinguono due momenti nella costruzione di un sistema formale: un momento sintattico e un momento semantico. Il momento sintattico si incentra essenzialmente nella specificazione di un apparato simbolico e di regole per manipolare i simboli, senza porre il problema della loro interpretazione. L’approccio assiomatico allo studio di un certo tipo di sistema logico presuppone, in primo luogo, che venga individuato un alfabeto sul 7 In realtà Carnap parla di "descrizioni di stato" (state-descriptions) e afferma che «the statedescriptions represent Leibniz' possible worlds or Wittgenstein's possible state of affairs» (R. Carnap, Meaning and Necessity. A Study in Semantics and Modal Logic, University of Chicago Press, Chicago and London, 1947, p. 9. Per la definizione di state-description, cfr. ibidem). La connessione tra mondi possibili e descrizioni di stato è resa esplicita nei termini seguenti (p. 10 della stessa edizione): «Since our state-descriptions represent the possible worlds, this means that a sentence is logically true if it holds in all state-descriptions». Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 696 quale si costruisce un linguaggio, fornendo opportune regole di formazione delle espressioni. Tali regole dicono quali successioni di simboli debbano essere accettate come espressioni ben formate e quali no. Vengono quindi specificati: a) un insieme di formule del linguaggio che sono dette assiomi (talvolta date nella forma di schemi di assiomi8); b) un insieme di regole che consentono di operare trasformazioni sugli assiomi e sulle espressioni ben formate ottenute dagli assiomi. Gli assiomi stessi e le espressioni ben formate che si ottengono dagli assiomi per applicazione delle regole, sono detti teoremi. Nella considerazione sintattica, la nozione di “esser teorema” nel senso di “derivare dagli assiomi in base alle regole di inferenza” svolge un ruolo predominante. Il momento semantico, invece, coinvolge il significato dei simboli descrittivi (e quindi delle espressioni) del sistema formale e la nozione di verità: dato il linguaggio del sistema, si conferisce un significato alle espressioni ammesse, per cui diventa sensato stabilire se quel che viene affermato da siffatte espressioni è vero o no. Oltre alla distinzione appena richiamata tra sintassi e semantica, un’altra distinzione che si usa fare è quella tra calcolo enunciativo e calcolo dei predicati. Nel calcolo enunciativo viene affrontato lo studio dei rapporti di connessione logica tra enunciati qualsiasi: vengono specificate regole per la costruzione di enunciati complessi a partire da enunciati semplici, e le lettere enunciative che denotano gli enunciati semplici, o “atomici”, designano tali enunciati senza che sia 8 Uno schema di assiomi è un’espressione che rappresenta un numero infinito di assiomi; per esempio, la formula α→(β→α) è uno schema di cui p→(q→q), (p & q)→((r → s) → (p & q)) sono istanze particolari. Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili 697 possibile ricostruire le differenze anche strutturali che, per esempio, sussistono tra enunciati come “piove”, “Tutti gli uomini sono mortali”, “Socrate è un filosofo”, ecc. Il calcolo dei predicati, invece, si interessa, per così dire, della “grana fine” degli enunciati. Mentre infatti nel calcolo enunciativo un’asserzione del tipo: “Se tutti gli uomini sono mortali e tutti i Greci sono uomini, allora tutti i Greci sono mortali” viene semplicemente ricondotta alla forma: “((p & q) → r)”, nel calcolo predicativo si cerca di rendere il carattere specifico delle singole asserzioni componenti e di dar conto della loro diversità, mettendo a punto un trattamento rigoroso della quantificazione. Di conseguenza, sia il linguaggio sia la strumentazione logica del calcolo predicativo risulteranno più ricchi e complessi di quelli del calcolo degli enunciati. Momento sintattico e momento semantico fanno parte tanto del calcolo enunciativo quanto del calcolo predicativo. Nel caso del calcolo enunciativo il momento semantico consiste nello specificare il significato dei simboli che denotano i vari enunciati e, a questo riguardo, si assume che l’unica informazione rilevante concerna il loro esser veri o falsi. Naturalmente “2 + 2 = 4” e “Tutti gli uomini sono mammiferi” sono due enunciati con differente “contenuto semantico”; abbiamo visto però che il calcolo enunciativo non si spinge in profondità nell’analisi, e quindi nella differenziazione, degli enunciati. Quel che conta è il loro valore di verità. Così si assume, in certo senso, che allo stesso modo in cui Socrate è il significato del nome “Socrate”, il vero sia il significato di “2 + 2 = 4” e di “Tutti gli uomini sono mortali”. Si ha a che fare, in tale circostanza, con una semantica “povera”, ridotta ai minimi termini. Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 698 Nel caso del calcolo predicativo, il momento semantico prevede una procedura più complessa. Poiché, come si è detto, in esso si cerca di specificare com’è fatto ogni singolo enunciato, si ha un apparato simbolico più ricco di quello del calcolo enunciativo: si hanno simboli per designare individui, simboli per predicati, per funtori e per esprimere la generalità (“Per ogni…”; “Esiste…”). L’attribuzione di un significato ai simboli descrittivi del linguaggio comporta che ciascun simbolo descrittivo venga interpretato su un insieme non vuoto di “oggetti”, che costituiscono le “cose” intorno alle quali verte il discorso. Sebbene il calcolo enunciativo abbia minor potere espressivo rispetto al calcolo dei predicati, questo “difetto” è compensato dal fatto che ad esso è applicabile un metodo effettivo per determinare se una qualsiasi formula è una formula valida o no (un teorema o no). Una maniera per attuare tale metodo è quella di far ricorso all’uso delle cosiddette “tavole di verità”. 5. POSSIBILE, NECESSARIO E I CONNETTIVI VERO-FUNZIONALI Le tavole di verità forniscono un metodo per definire il significato dei connettivi logici (di espressioni cioè come “non”, “e”, “o”, “se…allora…”, ecc.). Le tavole di verità, infatti, descrivendo il comportamento dei connettivi, ci informano riguardo a come debbano essere intesi. Poiché in questo modo il significato dei connettivi è determinato dall’uso logico che di essi viene fatto, si è soliti parlare di “significato come uso”. Si consideri, per esempio, il connettivo “non”; se usiamo il simbolo “¬” per rappresentarlo, e indichiamo con “p” un enunciato qualsiasi, possiamo descriverne il comportamento mediante la seguente tavola: Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili p ¬p 0 1 1 0 699 La tavola mostra che, se un dato enunciato p è vero, qualora gli venga preposta la particella “non” diventa falso e che, viceversa, “non-p” diventa vero se p è falso. La verità o falsità dell’enunciato composto “¬ p” dipende dalla verità o falsità dell’enunciato componente p. Il non è un connettivo unario, in quanto si applica a un solo enunciato alla volta, ma lo stesso metodo può essere applicato agli altri connettivi binari corrispondenti a e, o, se…allora…ecc. La tavola di verità della e (resa col simbolo “&”), per esempio, è la seguente: p q p&q 1 1 1 1 0 0 0 1 0 0 0 0 Anche in questo caso, la verità dell’enunciato complesso dipende dalla verità o falsità degli enunciati componenti. Lo stesso meccanismo si può applicare ai restanti connettivi. Vediamo ancora quella del condizionale filoniano o materiale (“se…, allora…” lo rappresentiamo col segno “→”; per cui lo schema di enunciato condizionale “se p, allora q”, lo rappresenteremo con “p → q”): Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 700 p→q p q 1 1 1 1 0 0 0 1 1 0 0 1 Quando si valuta un condizionale non vogliamo che nel passaggio dall’antecedente al conseguente si abbia una “diminuzione” nel valore di verità; perciò accettiamo i casi in cui si passa dal vero al vero o dal falso al vero o dal falso al falso, mentre rifiutiamo quello che ci fa inferire il falso dal vero. I connettivi il cui comportamento può essere determinato in questo modo, vale a dire semplicemente tenendo conto delle condizioni di verità degli enunciati ai quali si applicano, vengon detti “verofunzionali”. Non verofunzionali sono invece gli operatori modali come necessario, possibile, impossibile, ecc.: per determinarne il comportamento, cioè, non è sufficiente considerare le condizioni di verità degli enunciati ai quali si applicano. Poniamo infatti che, al solito, “p” designi un enunciato qualsiasi, e che “◊” e “ ” significhino, rispettivamente, “possibile” e “necessario”; affrontiamo quindi il problema di come costruire una tavola di verità per “possibile p” e “necessario p”: Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili p ◊p 1 1 0 ? p 701 p 1 ? 0 0 Se “p” è vero, allora è certamente possibile (è possibile che sia vero: si rammenti il detto degli scolastici «ab esse ad posse valet consequentia (è valido il passaggio dall’essere al possibile)»). Se invece “p” è falso, cosa inferire riguardo al suo essere possibilmente vero? Dal fatto che è falso che vi sia oggi un unico vaccino efficace contro ogni forma di tumore non segue che tale vaccino sia impossibile. Se quindi “p” è falso, da ciò non possiamo concludere che anche “◊ p” lo sia. Possiamo concludere allora che “◊ p” è vero? Anche in questo caso l’informazione circa la falsità di “p” non ci è di aiuto: se un enunciato “p” risulta falso del nostro mondo, non è detto che, sotto certe condizioni, non sia possibile che sia vero; ma non è neppur detto che non sia impossibile (nell’esempio precedente, l’esistenza di un vaccino per ogni tipo di tumore potrebbe essere impossibile). Un discorso analogo ma, per così dire, inverso rispetto a quanto accade col possibile, accade col necessario. Se “p” è falso, certamente non può essere un enunciato necessario, dal Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 702 momento che un enunciato necessariamente vero è vero in ogni circostanza; ma se “p” è vero, non è detto lo sia necessariamente (dal fatto che adesso il mio gatto muove la coda non è legittimo inferire che l’enunciato “il mio gatto muove la coda” sia necessariamente vero). Certamente, se sappiamo per certo che un determinato enunciato è necessario, allora sappiamo anche che è vero, ma il viceversa non vale. Le tavole di verità dunque non bastano, da sole, a valutare gli enunciati modali: occorre ricorrere a un metodo più complesso. Con buona approssimazione possiamo pensare siffatto metodo come ottenuto sfruttando tre elementi: 1) l’analogia tra operatori modali (necessario e possibile) e quantificatori (“per ogni x” e “esiste almeno un x”); 2) il riferimento a un insieme di “oggetti” detti mondi possibili; 3) la relazione di accessibilità tra mondi. Abbiamo visto sopra che già i logici scolastici si erano accorti dell’esistenza di un’affinità tra operatori modali e quelli che all’epoca erano chiamati “segni di quantità” (in italiano: “Tutti/Ogni”, “Alcuni/Qualche”). Lo Pseudo-Tommaso, come si ricorderà, aveva assimilato il possibile al “vero in qualche istante” e il necessario al “vero in ogni istante”. Leibniz, in seguito, farà il passo di considerare il necessario come il “vero in ogni mondo possibile”. In un certo senso possiamo pensare al ricorso ai mondi possibili come a una strategia che consente di ricondurre il trattamento di concetti sfuggenti come quelli di necessario e possibile, all’ambito più familiare della logica quantificata. Così, “è possibile p” e “è necessario p” vengono interpretati, rispettivamente, come: “esiste un mondo w tale che a tale mondo p è vero” e “per ogni mondo w, a tale mondo p è vero”. La relazione di accessibilità ci permette infine di determinare le condizioni sotto le quali da un dato Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili 703 mondo si possono avere informazioni riguardo a quel che si verifica in un altro. Il fatto rilevante è che, mediante la relazione di accessibilità, si è in grado di specificare opportuni assetti tra mondi che forniscono differenti modelli per i vari sistemi modali. Per avere un’idea di cosa si intenda con tale relazione, si pensi, per esempio, che ciascuno di noi può immaginare un individuo del tutto identico a se stesso che vive in una situazione (in un mondo) differente da quella nella quale egli attualmente si trova. È plausibile ritenere che questo alter ego non abbia alcuna consapevolezza della situazione nella quale si trova colui che fa l’atto di immaginare. Si tratta di un caso in cui la relazione di accessibilità da un mondo all’altro è asimmetrica: noi concepiamo il mondo col nostro alter ego, ma il nostro alter ego non ha idea del mondo nel quale noi ci troviamo. Oppure si pensi a un’innovazione tecnologica che non può realizzarsi nel nostro mondo, in quanto mancano in esso certe risorse materiali (poniamo una struttura atomica della materia completamente diversa dalla nostra). Dal nostro mondo w1, nel quale quell’innovazione non è realizzabile, possiamo pensare a un mondo w2 con struttura della materia differente dal nostro: da quel mondo sarebbe senz’altro concepibile una situazione – un mondo w3 - nel quale l’innovazione viene realizzata. Così, dal nostro mondo w1 abbiamo accesso al mondo w3, nel quale viene realizzata l’innovazione, “passando” attraverso il mondo w2: abbiamo a che fare, in tal caso, con una relazione di accessibilità transitiva. Al fine di dare un correlato intuitivo alla relazione di accessibilità, si è soliti chiamare in causa l’atto di vedere: un mondo ha accesso a un altro se dal primo si “vede” quel che si verifica nel secondo. Quindi se, per esempio, da un mondo wi si “vede” quel che accade in un mondo wk e se da wk si vede wi, tra i due mondi Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 704 sussiste una relazione di accessibilità simmetrica. Sia la nozione di “esser concepibile” sia quella di “vedere” sono nozioni ausiliarie, da impiegare per dare un’idea di come funziona la relazione binaria (che vale cioè tra due mondi) di accessibilità. Il punto importante è che tale relazione gode di proprietà quali, per esempio, quelle appena menzionate della simmetria e della transitività, che possono essere specificate in modo matematicamente rigoroso. Riassumendo, gli strumenti di cui disponiamo, da un punto di vista strettamente logico, per analizzare gli enunciati modali sono i seguenti: a) un opportuno linguaggio formale L, nel quale siano stati definiti in modo rigoroso: un alfabeto di riferimento; cos’è una formula ben formata; quali sono i connettivi logici impiegati; quali sono le regole ammesse per passare da una o più formule a un’altra, ecc.; b) un insieme non vuoto W i cui membri vengono chiamati mondi possibili; c) una relazione binaria R su W (detta di accessibilità); d) una funzione v, chiamata valutazione su <W, R>, che associa a ciascuna coppia costituita da una formula enunciativa pi di L e da un elemento wi di W, un elemento nell’insieme {0, 1} (0 e 1 è naturale pensarli come equivalenti, rispettivamente, al falso e al vero). Detto altrimenti: la funzione v determina se una data formula enunciativa pi di L è vera o falsa sul mondo wi. 6. MODELLI E TELAI. ALCUNI ESEMPI NOTEVOLI La tripla ordinata <W, R, v> costituisce il modello M; la coppia <W, R> può esser chiamata “telaio” – termine italiano corrispondente all’espressione inglese frame; di M si dice che “è basato” sul telaio <W, R>. Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili 705 Gli strumenti sommariamente richiamati permettono di definire, per qualsiasi formula enunciativa pi di L, la relazione di vero rispetto al mondo wi nel modello M. Questa relazione viene utilizzata a sua volta per determinare in modo naturale cosa significa che una formula enunciativa pi è necessariamente vera: pi risulta necessariamente vera rispetto a un mondo wi in un modello M basato sul telaio <W,R> se e soltanto se pi è vera in ogni mondo wk che appartiene a M e tale che sta con wi nella relazione R. Senza entrare in ulteriori dettagli tecnici, che sarebbe inopportuno affrontare in questa sede, converrà mettere in rilievo alcuni aspetti filosoficamente rilevanti della trattazione fin qui svolta. In primo luogo emerge l’idea di una sorta di relativizzazione del concetto di necessario (e quindi di possibile: fin dall’antichità è noto infatti che necessario e possibile sono inter-definibili (“necessario p” equivale a “non possibile non-p”; “possibile p” equivale a “non necessario non-p”)). Sebbene l’intuizione fondamentale rimanga quella di considerare necessariamente vero un enunciato che è vero in tutti i mondi possibili, il concetto di “vero in tutti i mondi possibili” viene limitato dalla relazione di accessibilità: un dato enunciato p è necessario se è vero in tutti i mondi possibili accessibili a un dato mondo (il mondo dal quale p risulta appunto necessariamente vero). Per dare un’idea di come funzioni il meccanismo della necessità condizionata dalla relazione di accessibilità, vediamo alcuni esempi. A tale scopo adotteremo un modo di argomentazione “semi-formale”, ricorrendo ai simboli introdotti sopra: “ ” per necessario e “◊” per possibile. In primo luogo bisogna tener presente che, se si vuol preservare un senso alla logica modale, tra i teoremi dei vari sistemi modali non deve figurare il seguente enunciato: Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 (*) p → 706 p, ossia: “se p è vero, allora p è necessariamente vero”. L’accettazione di questo principio porterebbe infatti a equiparare vero e necessariamente vero, dando luogo a quello che viene chiamato “collasso delle modalità”. Bisogna stare attenti perciò a non confondere (*) con il seguente enunciato che invece è un teorema caratteristico del sistema modale solitamente contraddistinto con la lettera T: (1) p → p: se p è necessario, allora p è vero. (1) è un teorema – e quindi risulta valido, vale a dire sempre vero – in ogni modello M basato su un telaio <W, R> in cui R è una relazione riflessiva – tale cioè che per qualsiasi mondo wi appartenente a M vale: wiR wi . Una maniera per rendersi conto di ciò è la seguente. (1) ha la forma di un condizionale; ora, un condizionale è vero se vale uno dei due casi: a) l’antecedente è falso oppure b) il conseguente è vero. Supponiamo che “ p” sia falso a un qualunque mondo wi nel modello M: dal momento che ciò verifica il caso (a), è ovvio che (1) risulterà vero a wi. Supponiamo invece che “ p” sia vero al mondo wi nel modello M: per definizione di enunciato necessario, ciò significa che “p” è vero in tutti i mondi accessibili a wi ; ma poiché R è una relazione riflessiva (wi è accessibile a se stesso), ciò implica che p è vero a wi , Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili 707 dunque (1) è vero a wi. In ogni caso segue perciò che (1) è sempre vero in un qualunque mondo wi del modello. Possiamo aumentare le proprietà della relazione di accessibilità e considerare, oltre alla proprietà riflessiva, anche la proprietà transitiva: dati tre mondi wi, wk, wj, se wi R wk e wkRwj , allora wiRwj. In questa situazione, un enunciato che risulta valido è (2) p→ p: se un enunciato p è necessario, allora è necessario che sia necessario. Supponiamo di avere, al solito, un modello M basato su un telaio <W, R > in cui R è riflessiva e transitiva. Facciamo l’ipotesi che (2) sia falso: in tal caso (per la tavola di verità del condizionale), l’antecedente “ p” deve esser vero e il conseguente “ falso. Poniamo che “ p” sia vero a un mondo qualsiasi wi e che “ p” p” sia falso a wi: da questa supposizione segue che in W deve esistere un mondo wk, che si relaziona a wi secondo R, in cui “ p” è falso. Se però “ p” è falso a wk, ciò significa che deve esistere un mondo wj accessibile a wk nel quale “p” è falso (per la definizione di enunciato necessario: poiché un enunciato necessario è vero in tutti i mondi accessibili a un dato mondo, se è falso che un enunciato è necessario, tale enunciato deve essere falso a un mondo accessibile a quel mondo). Dunque “ p” è vero a wi, mentre “p” è falso a wj: la relazione di accessibilità tra wi, wk e wj è però transitiva e ciò significa che wj è accessibile da wi, il che a sua volta significa che si ottiene una contraddizione (perché sia vero a wi che p è necessario, bisogna che p sia Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 708 vero in tutti i mondi accessibili da wi; ma wj è uno di tali mondi e in esso p è falso: ciò contraddice l’assunzione che “ p” sia vero a wi). Siccome la transitività è un requisito necessario perché sia vero (2), è evidente che in modelli basati su telai in cui la transitività non vale viene anche meno (2). Il sistema logico modale di cui (2) è l’assioma caratteristico è solitamente chiamato “S4”. Oltre alle proprietà riflessiva e transitiva, dotiamo adesso la relazione di accessibilità anche della simmetria: otteniamo un modello M fondato su un telaio <W, R>, in cui R si comporta così: a) per qualunque wi appartenente a W, vale wiRwi; b) per wi e wk qualsiasi, appartenenti a W, se wiRwk allora wkRwi; c) per wi ,wk e wj qualsiasi, appartenenti a W, se wiRwk e wkRwj allora wiRwj. Nel modello basato su questo telaio, risulta valido il principio: (3) ◊ p → ◊ p. Non è difficile argomentare a favore della validità di (3) lungo le linee dei ragionamenti che si sono svolti finora per i princìpi (1) e (2). Affinché “◊ p” risulti vero a un dato mondo wi bisogna che p sia vero a un mondo wk accessibile a wi; e siccome wk vede se stesso (proprietà riflessiva di R), anche a wk è vero “◊p”; inoltre, wi medesimo vede che “◊p” è vero a wi. (sempre per la riflessività). D’altra parte, un qualunque altro mondo wj correlato a wk vede che “p” è vero a wk (per la simmetria): dunque “◊p” è vero anche a wj. Per la proprietà transitiva di cui gode R, però, wi vede quel che accade a wj e qui “◊p” è vero. Dunque, poiché in tutti i mondi Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili 709 accessibili da wi “◊p” è vero, vale (per definizione di enunciato necessario) che a wi “ ◊ p”. Si noti che a wj “p” potrebbe essere falso: in tal caso, per la riflessività, ciò porterebbe ad affermare che a wj è vero sia “◊p” sia “◊¬p”. Questa situazione sarebbe tuttavia del tutto compatibile con la conclusione per cui vale “ ◊p”: come si è osservato sopra, non bisogna confondere “◊¬p” con “¬◊p”. A essere in conflitto con “ ◊p” è “¬◊p”, non “◊¬p”. Di solito (3) viene indicato come caratteristico del sistema logico modale S5. Quelli menzionati finora sono soltanto alcuni tra i sistemi modali più noti e studiati nell’ambito della logica modale enunciativa. Naturalmente è possibile sviluppare anche la dimensione predicativa della logica modale, introducendo nel linguaggio di riferimento variabili individuali (x, y, z…) e quantificatori (i simboli “∃” (“esiste”) e “∀” (“per ogni”)). La moderna teoria della quantificazione richiede tuttavia che venga fissato un dominio di oggetti su cui variano, appunto, le variabili. Per dare un significato a espressioni del tipo “esiste un x tale che gode della proprietà P” oppure “tutti gli y hanno la proprietà Q”, è opportuno sapere qual è l’insieme di oggetti x o di oggetti y di cui si sta parlando. Nel caso di una semantica a mondi possibili sembra naturale che il passaggio alla teoria della quantificazione (alla logica predicativa) avvenga associando a ciascun mondo un certo dominio di oggetti. Tale associazione, tuttavia, solleva problemi filosofici non indifferenti. Si può pensare, per esempio, che i nostri ragionamenti sul possibile coinvolgano comunque gli individui appartenenti al nostro mondo – che in altri mondi avranno proprietà differenti da quelle di cui godono nel nostro – senza però tirare in ballo individui possibili, in aggiunta, per così dire, a quelli del nostro mondo. Oppure si Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2003-6 710 può assumere che esistano individui possibili, che costituiscono di volta in volta il dominio di oggetti che caratterizza un determinato mondo. Non tutti però sono disposti ad accettare un siffatto dominio di individui possibili. Un problema che infatti si pone immediatamente, se si accetta un’ontologia di individui possibili, è come identificarli, e quindi distinguerli gli uni dagli altri. La logica modale quantificata dà luogo a numerosi problemi filosofici, che coinvolgono questioni di ontologia (cos’è propriamente un individuo e come lo si identifica; cosa significa che un medesimo individuo è in due mondi diversi; come “è fatto” un mondo possibile, ecc.) e di “metafisica” nel senso della tradizione analitica anglo-sassone. Si tratta per lo più di problemi che, all’interno di un apparato tecnico completamente nuovo rispetto a quello della tradizione (che si basava essenzialmente sulla logica aristotelico-scolastica) si ricollegano ad argomenti classici della filosofia occidentale. [ Linee di Ricerca – SWIF – ISSN 1126-4780 – www.swif.it/biblioteca/lr Massimo Mugnai – Logica e Mondi possibili 711 BIBLIOGRAFIA Aquinatis T., Reportationes (1980), in Sancti Thomae Aquinatis Opera Omnia, (Indicis Thomistici Supplementum), frommann-holzboog, Stuttgart, pp. 579-80. Becker O. 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