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Il movimento armato
di Davide Malacaria
D
i libri sull’eversione ne sono
usciti così tanti che è difficile approcciare una nuova
pubblicazione senza essere attraversati dal timore del già letto. Il libro Per una storia del terrorismo
italiano è, invece, sotto questo
profilo, una felice sorpresa. Il volume di Angelo Ventura, con prefazione di Carlo Fumian, ambedue
professori di Storia contemporanea presso l’Università di Padova
(il primo ora emerito), s’addentra,
infatti, in territori nuovi, accompagnando l’esposizione con una mole di documenti notevole.
L’analisi di Ventura si sofferma
sui diversi movimenti protagonisti
degli anni di piombo. Quelli di
massa, come Potere operaio –
che, nell’agosto del 1973, attraverso un processo di «metamorfo-
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si», diventa Autonomia operaia – e
Lotta continua, più «ambiguo e
oscillante» rispetto alla scelta militarista. E poi le organizzazioni più
prettamente terroristiche quali
Prima linea, «principale braccio
armato di Autonomia», e le Brigate rosse, che assumono un’importanza di primo piano nel terrorismo italiano quando, dopo l’arresto di Curcio e Franceschini
(1974), si costituisce la Direzione
strategica, «nella quale entrano
anche esponenti delle “forze irregolari”, che non vivono cioè nella
clandestinità, presumibilmente
provenienti dal filone di Autonomia». Queste organizzazioni terroristiche hanno «una consistenza
che non consente di confonderle
con le infinite sigle di copertura
usate per depistare gli inquirenti e
Angelo Ventura, Per una storia
del terrorismo italiano, Donzelli,
Roma 2010, 182 pp., euro 26,00
per generare l’immagine artificiosa d’una presunta proliferazione
spontanea di gruppi armati».
In altri studi si distingue tra i
movimenti di contestazione di
Anni Settanta: movimenti giovanili di contestazione
di massa e bande armate caratterizzano una stagione violenta.
Per Angelo Ventura, al di là delle contraddizioni
e delle conflittualità, si tratterebbe di un unico soggetto politico:
il partito della lotta armata
determina in due distinti livelli, secondo la “logica della separazione” che implica anche momenti
di contraddizione: l’“organizzazione di massa” e il “partito d’attacco”. Da una parte l’“organizzazione di massa”, organismo politico-militare definito anche “base rossa”, che pratica tutte le forme di violenza legate alle azioni di
massa: appropriazioni, autoriduzioni, piccoli sabotaggi, pestaggi,
cortei “duri”, lanci di molotov,
ecc. Dall’altra il “partito d’attacco”, definito anche da Toni Negri,
certo non casualmente in uno
scritto del 1974, “brigate rosse
dell’attacco operaio e proletario”, al quale spetta “un’azione
d’attacco, che talora può e deve
essere di terrore rosso”». Il rapporto tra i due livelli di quest’unico
massa e quelli della lotta armata,
nei quali le istanze rivoluzionarie
sono vissute con modalità diverse,
anche in aperta contraddizione.
Per Ventura, invece, tra i movimenti di massa e le bande armate
vi sono convergenze profonde,
tanto da poter parlare di un unico
«partito della lotta armata». Un
partito particolare, fluido, con antagonismi e dialettiche interne anche esasperate, costituito da due
distinti livelli: un livello di massa,
condotto da un’élite «d’intellettuali borghesi che intendono forzare
le masse sulla via della rivoluzione», e uno più ristretto, che ne
rappresenta l’ala militare. Spiega
Ventura: «Come quella di ogni
movimento, e specie dei gruppi
estremistici fortemente ideologizzati, la sua storia è intessuta di lotte di frazione, politiche e di potere, di contrasti ideologici e di rivalità personali, di scissioni e aggregazioni, ma tutti ruotanti attorno a
un asse centrale politico-organiz-
Milano, 14 maggio 1977,
autonomi in via De Amicis
Bologna,
settembre 1970,
Toni Negri,
il secondo da sinistra e,
seduto accanto a lui,
Alberto Magnaghi;
dietro il quale, in piedi, sta
Oreste Scalzone, durante
il convegno organizzativo
di Potere operaio
zativo e nell’ambito di una comune strategia complessiva. Ma l’elemento assolutamente originale è
costituito dal principio strategico
fondamentale su cui è piantato il
processo del partito della lotta armata, che consiste nell’articolazione dialettica tra i diversi livelli.
Ridotta al suo essenziale schema
binario, l’articolazione dialettica si
partito è strategico: «Da una parte
l’“illegalità di massa” serve a radicare nelle masse la pratica e la
“coscienza” della lotta armata, e
ha al tempo stesso funzione di
fiancheggiamento e di vivaio per il
reclutamento e l’iniziazione dei
giovani da avviare per gradi sulla
strada senza ritorno del terrorismo e della clandestinità. È ¬
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quindi importante comprendere
come l’illegalità di massa, la violenza organizzata nelle scuole,
nelle università, nei quartieri e nelle fabbriche è parte integrante,
funzione primaria e vitale del partito armato, non spontanea violenza sociale [...]. D’altra parte il
compito del terrorismo maggiore
è di trainare il movimento, aprirgli
nuovi spazi colpendo gli avversari
e paralizzandoli col terrore, elevare il livello dello scontro per coinvolgere gradualmente le masse
nella lotta armata. Senza l’“illegalità di massa” il terrorismo sarebbe
insensato, senza terrorismo l’“illegalità di massa” non potrebbe
diffondersi e radicarsi». Un partito
fluido, che vive e opera attraverso
un processo dialettico tra diversi
piani, «ai quali corrispondono diversi gradi di “maturità” e d’iniziazione», all’interno di una «contraddizione programmata, promossa
e gestita con lucido cinismo dal
gruppo dirigente, operante, per
così dire, al grado supremo dell’iniziazione».
Spesso nella retorica degli anni
di piombo si è cercato di accreditare l’idea della violenza eversiva
come diretta a rovesciare un regime conservatore, se non autoritario, una sorta cioè di riedizione
della lotta di liberazione contro il
regime fascista. Tesi che Ventura
confuta: «L’antifascismo ha ben
poco a che vedere con la lotta armata, anche se il cosiddetto “anti96
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Roma, marzo 1968,
scontri a Valle Giulia
Roma,
17 febbraio 1977,
autonomi
davanti al cancello
dell’Università
La Sapienza
dopo la cacciata
di Luciano Lama
fascismo militante” poté essere
usato da questi gruppi come strumento di mobilitazione e di reclutamento». E ancora: «La teoria del
terrorismo come risposta intesa a
dare dinamismo a una situazione
bloccata […] può forse applicarsi
ad altri Paesi, ma non all’Italia.
Qui infatti il terrorismo è nato con
le “trame nere” per bloccare il tentativo riformatore del centro-sinistra, volto ad allargare le basi della
democrazia e gli spazi di libertà
[…] ed è proseguito poi nella fase
del terrorismo “rosso” col fine dichiarato di contrastare il crescente
potere dei sindacati e il “compromesso storico”: tendenze, comunque vogliamo giudicarle, volte
bensì a consolidare il sistema politico e sociale italiano, ma non senza modificarlo profondamente».
Il volume si sofferma anche sull’ideologia del partito della lotta armata, snaturamento nichilista del
marxismo: il rifiuto di ogni via
riformista, di ogni mediazione politica e partitica s’accompagna a
un’ideologia per cui il cambiamento passa per la distruzione delle
forme in cui è strutturato lo Stato e
la società. Il bersaglio di questa
«lotta continua», o «guerra civile
permanente», non è più la borghesia o il capitalismo, ma lo Stato in
quanto tale. Allo stesso tempo, la
lotta non è più funzionale all’instaurazione del «socialismo, sprezzantemente rifiutato come “capitalismo di Stato”, anzi, for ma
estrema e più raffinata del dominio del capitale. È il capitalismo
stesso che va distrutto. Toni Negri
giunge a prevedere che la distruzione rivoluzionaria dello Stato dovrà rivolgersi anche contro “scienza, tecnica, macchinario, tutto
l’armamentario del lavoro morto,
le fabbriche esistenti”». Così da arrivare a preconizzare una «stravagante utopia del “rifiuto del lavoro”», per affermare che «“si può vivere senza lavorare, che ci si può
definitivamente liberare dalla
schiavitù del lavoro”». Tale concezione, secondo Ventura, è dovuta
anche alla modalità di ricezione
dell’ideologia marxista in Italia,
che, dopo il periodo fascista, si ripropone «attraverso la mediazione
idealistica crociana e gentiliana,
che ne esaltava le implicite valenze
ideologizzanti, condotte poi alle
estreme conseguenze dagli entusiasmi del ’68». Un’ideologia irrazionale, dove la teoria giunge a
identificarsi con la prassi, e dove
«la forza e la violenza trovano unicamente in sé stesse la propria giustificazione». Così Ventura: «Autonomia operaia è anche ed essenzialmente questo: volontà di potenza illimitata, autonomia della
prassi fondante la violenza, logica
della guerra che non riconosce altra regola che la distruzione del nemico». Idee, umori di fondo, di cui,
secondo l’autore, «da sempre si
nutrono la cultura reazionaria e il
radicalismo di destra». Tanto che
Ventura parla di una convergenza
oggettiva, anche negli obiettivi,
con il radicalismo di destra, dal
momento che anche questo lotta
per la «disintegrazione del sistema». Così che Pino Rauti, leader di
Ordine nuovo, arriva a ipotizzare
«una strategia di lotta comune con
l’estrema sinistra per “l’eversione
del sistema”».
In altra parte, il volume s’addentra nel «labirinto delle connessioni», nel tentativo di analizzare il
fenomeno eversivo nella sua «dimensione internazionale, che si
manifesta sia nella prospettiva internazionalistica dei movimenti
eversivi e nei collegamenti tra organizzazioni di diversi Paesi, sia
nell’uso del terrorismo da parte
degli Stati, come strumento di politica estera». A tale proposito,
Ventura osserva che «il terrorismo
strategico contemporaneo è un
fenomeno internazionale, che ha
origine negli ultimi anni Sessanta,
con impressionante sincronia, in
molti Paesi dell’antico e del nuovo
continente». È nelle cose, quindi,
che le varie formazioni terroristiche intessessero rapporti reciproci, sia a livello strategico che culturale. Diverso, e più controverso, il
rapporto tra il partito della lotta
armata e i servizi segreti, italiani
ed esteri, sul quale Ventura si sof-
ferma in parte del volume. Certo è
singolare il coinvolgimento di funzionari dell’intelligence Usa nell’avventura giornalistica del quotidiano Lotta continua (organo
dell’omonimo movimento) e in
quella editoriale della Tipografia
15 giugno (nata, si legge sul frontespizio del primo libro stampato,
come «strumento per tutte le organizzazioni popolari e i gruppi della
sinistra che trovano una reale difficoltà a produrre giornali, riviste,
opuscoli, libri, manifesti»). Ma è lo
stesso Ventura a spiegare come in
questo «labirinto delle connessioni» ci s’addentri più per deduzioni
che attraverso la via documentale.
Cosa che vale anche per le convergenze parallele tra eversione,
di destra e di sinistra, e i «poteri occulti», in particolare la loggia P2 di
Licio Gelli, cresciuto sotto l’ala
protettrice del «vescovo della
Chiesa gnostica» gran maestro
Giordano Gamberini.
Libro interessante e di certa attualità, che contribuisce a rischiarare un fenomeno complesso e
magmatico come quello dei movimenti giovanili degli anni Settanta, che hanno mosso tante coscienze, e hanno interessato anche parte del mondo cattolico. E a
gettare luce sull’eversione armata, il cui sinistro simbolo, la stella a
cinque punte, presenta nefaste similitudini con il pentacolo usato
nei riti satanici.
q
Sopra, Roma, 1978,
Aldo Moro prigioniero
delle Brigate rosse
Milano,
16 dicembre 1969,
funerali delle vittime
di piazza Fontana
nel Duomo di Milano
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