58 Convegno SUNI
CONVEGNO
venerdì 29 maggio
TAVOLA ROTONDA
COMPLICANZE TARDIVE DELLE NEOVESCHICHE ORTOTOPICHE.
PROPOSTA DI FOLLOW UP
DISTURBI DI SVUOTAMENTO DELLA NEOVESCICA
Dr. U. Ferrando – Dr.ssa G. Cucchiarale
S.C. Urologia 3 – Ospedale S.G. Battista – Molinette Torino
Unità Funzionale di Urologia - Clinica Cellini - Torino
Quali neovesciche : attualmente le tecniche di confezionamento di neoserbatoi vescicali ortotopici prevedono
principalmente l’utilizzo del segmento ileale dell’intestino che ha dimostrato possedere caratteristiche più consone alla
sua destinazione d’uso. Numerosissime sono le tecniche chirurgiche descritte ed utilizzate, tutte mirate al
raggiungimento di quelle che sono le caratteristiche ideali funzionali.
Caratteristiche funzionali ideali della neovescica.
Il neo serbatoio ileale vescicale ideale deve possedere i seguenti requisiti funzionali:
essere a bassa pressione, mantenendo una pressione endoluminale non superiore a 35-40 cmH20.
Questo per preservare l’integrità funzionale renale che potrebbe risentire di reflusso intra-renale.
avere una adeguata capacità, che possa consentire uno svuotamento periodico ogni 4 ore circa
Mezzi per raggiungere tale scopo:
utilizzare un segmento ileale sufficientemente lungo (40 – 60 cm a seconda della tecnica
utilizzata)
detubularizzare il segmento intestinale (è stata fortemente ridimensionata l’importanza della
reconfigurazione del neoserbatoio che non ha in realtà dimostrato vantaggi superiori). La
detubularizzazione determina:
perdita della capacità dell’intestino di contrarsi, generando alte
pressioni endoluminali
incremento significativo della capacità geometrica di un segmento
intestinale tubulare detubularizzato
Tecnica di svuotamento:
Lo svuotamento deve avvenire tramite manovra di Valsala con rilasciamento del piano perineale, preferibilmente in
posizione seduta, ad intervalli regolari di 3-4 ore.
La preservazione della continenza dipende in gran parte dalla conservazione del meccanismo sfinterico esterno.
L’alto livello di continenza nei maschi può derivare, inoltre, dall’adozione della tecnica nerve-sparing nella prostatectomia
che conduce anche ad una migliore identificazione e conservazione dell’apparato sfinterico.
Disturbi di svuotamento.
I disturbi di svuotamento della neovescica possono prevedere l’incontinenza o la ritenzione urinaria.
Incontinenza urinaria.
L’incontinenza urinaria può essere considerata impropriamente un disturbo dello svuotamento della neovescica. Se la
neovescica presenta le corrette caratteristiche volumetriche e pressorie ed il paziente gestisce correttamente la stessa,
questo problema non dovrebbe essere presente.
Incontinenza urinaria diurna può essere determinata da una iperpressione vescicale, non sufficientemente contrastata
dalle pressioni di chiusura sfinteriche, o da una deficitaria funzione uretrale anche in presenza di basse pressioni
endoluminali.
L’enuresi notturna è frequente in tutti gli interventi di neovescica ortotopica, e dipende sostanzialmente da due fattori:
scomparsa del meccanismo sfinterico di reclutamento continuo dallo sfintere esterno (prima attivato dai
riflessi nervosi a partenza dalla vescica nativa)
incremento del volume di urine da aumentato riassorbimento di metaboliti urinari
Il trattamento dell’incontinenza urinaria può prevedere interventi chirurgici finalizzati ad aumentare le pressioni uretrali
(sfinteri artificiali, pro-Act) ma trova indicazione unicamente in pazienti con neoserbatoi a bassa pressione.
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venerdì 29 maggio
TAVOLA ROTONDA
COMPLICANZE TARDIVE DELLE NEOVESCHICHE ORTOTOPICHE.
PROPOSTA DI FOLLOW UP
Ritenzione urinaria.
Una atonia primitiva delle pareti ileali della neovescica o secondaria ad una sovradistensione delle stesse da prolungata
cattiva gestione del neoserbatoio può portare a ipercontinenza con incompleto svuotamento vescicale.
Il residuo vescicale post-minzionale, che tendenzialmente si autoincrementa, può portare a sfiancamento del serbatoio
fino, in casi estremi, alla sua rottura.
Il ristagno di urina in vescica può determinare la formazione di calcoli endoluminali, generalmente su nucleo costituito da
punti metallici delle suturatici utilizzate per il confezionamento del neoserbatoio.
L’iperpressione può essere inoltre causa di reflusso vescico-ureterale con possibile conseguente danno degli emuntori.
In caso di presenza di ristagno post minzionale bisogna verificare che non vi siano cause organiche che sostengano tale
problema (es. ostruzione dell’anastomosi vescico-uretrale, importanti ernie addominali o inguinali).
La ritenzione urinaria cronica prevede la pratica dell’autocateterismo intermittente in misura proporzionale alla quantità di
ristagno sviluppatosi. Il trattamento tempestivo della calcolosi vescicale con litotrissia endoscopica previene la possibilità
di possibile ritenzione acuta d’urina ed il verificarsi di pericolosi episodi di sepsi urinaria.
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venerdì 29 maggio
TAVOLA ROTONDA
COMPLICANZE TARDIVE DELLE NEOVESCHICHE ORTOTOPICHE.
PROPOSTA DI FOLLOW UP
Proposta di follow-up del paziente con neovescica ortotopica.
Dott. P. Destefanis
Divisione Universitaria di Urologia 2
Azienda Ospedaliera Universitaria “San Giovanni Battista – Molinette” - Torino
Le neovescica ortotopica, confezionata dopo cistectomia radicale, può comportare una serie di complicanze
tardive che devono essere prevenute e controllate nel tempo. Tali complicanze sono numerose e complesse e
comprendono sia problemi di tipo chirurgico (quali le stenosi delle anastomosi uretro-neovescicali e ureteroneovescicali, la calcolosi neovescicale e la ritenzione cronica) sia di tipo medico (quali le complicanze
metaboliche). La diagnosi tempestiva di tali complicanze è importante per permetterne un trattamento efficace
e adeguato, senza reliquati per il paziente, come ad esempio il deterioramento della funzione renale.
Abitualmente il paziente sottoposto a cistectomia radicale (effettuata per carcinoma vescicale) deve essere
sottoposto a un follow-up radiologico e ambulatoriale per controllare una possibile ripresa di malattia locoregionale o a distanza. A questi controlli radiologici devono quindi essere associati e coordinati i controlli
necessari per il follow-up della neovescica ortotopica.
Molto importante è il controllo della pervietà delle anastomosi, che può essere effettuato mediante TC delle vie
urinarie con mezzo di contrasto oppure urografia per quanto concerne le anastomosi uretero-neovescicali,
mentre con uretro-neocistoscopia per quanto riguarda l'anastomosi uretrale. Tali indagini consentono altresì di
valutare la presenza di altre complicanze come ad esempio la calcolosi neovescicale. Mentre le indagini
radiologiche sono utili anche per il follow-up della malattia oncologica, l'uretro-neocistoscopia sarebbe indicata
esclusivamente per il controllo della neovescica. Uno dei controlli da eseguire con cadenza regolare è la
valutazione del residuo post-minzionale che può essere effettuato sia con ecografia sovrapubica sia con
cateterismo estemporaneo.
Per quanto concerne le complicanze metaboliche, devono essere correlate in base al tipo di neovescica
confezionata e in particolare al tipo di segmento intestinale utilizzato. Nel caso di neovescica ileale, le
complicanze più frequenti sono l'acidosi metabolica e la deplezione di vitamina B12. Il controllo dell'acidosi
metabolica deve essere programmato da subito, mediante l'esecuzione di emogasanalisi venosa.
Relativamente alla vitamina B12, prima che si verifichino deplezioni significative delle riserve fisiologiche
dell'organismo devono trascorrere molti anni dall'intervento per cui è consigliabile iniziare il controllo della
vitamina B12 sierica a partire dal 4°-5° anno dall'intervento.
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CONVEGNO
venerdì 29 maggio
TAVOLA ROTONDA
CHEMIOPREVENZIONE DEL CARCINOMA PROSTATICO
I termini del problema
Laudi Marco
Nella prevenzione delle patologie neoplastiche viene dato un particolare rilievo alla alimentazione
Questo aspetto riguarda anche la prevenzione del carcinoma prostatico.
Al riguardo del ruolo preventivo della alimentazione nei confronti del carcinoma prostatico, il presupposto è
dato dalla diversa incidenza del carcinoma prostatico nei paesi in cui l’alimentazione è prevalentemente
vegetariana rispetto ad altri Paesi ( bassa incidenza nei Paesi Asiatici; massima incidenza nei neri americani )
Al dì del ruolo nel determinismo del carcinoma prostatico dell’età e di fattori genetici, risulta in base a dati
statistici incontrovertibili come una dieta ricca di grassi, in particolare di grassi animali possa di fatto
rappresentare un possibile meccanismo eziologico.
Unitamente alla alimentazione da tempo viene studiato l’eventuale ruolo preventivo delle vitamine ( in
particolare A e C ), degli antiossidanti e degli omega 3. Al momento attuale non disponiamo di dati conclusivi.
Sono disponibili i risultati dello studio multicentrico ( USA ) riguardati l’attività preventiva della finasteride. Lo
studio è stato ritenuto concluso prima del termine previsto in quanto è risultata una riduzione del 25% di
incidenza del carcinoma prostatico nel gruppo trattato con finasteride rispetto al gruppo non trattato. ( dato
statistico ritenuto significativo )
Nel corso della Tavola Rotonda i vari relatori presenteranno i dati più recenti della letteratura rispetto al
problema della chemioprevenzione, tuttora ancora aperto ed in attesa di ulteriori riscontri.
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venerdì 29 maggio
TAVOLA ROTONDA
CHEMIOPREVENZIONE DEL CARCINOMA PROSTATICO
LE LESIONI PRECANCEROSE DEL TUMORE DI PROSTATA
A. Tizzani, Torino
La high-grade prostatic intraepithelial neoplasia (HGPIN) e la atypical small acinar proliferation (ASAP) sono
ritenute precursori e predittori del carcinoma prostatico.
La HGPIN è una lesione di frequente riscontro alla biopsia prostatica, anche se non è ancora ben definita la
sua incidenza che, in letteratura, varia a seconda degli studi, da 0.7% a 24%. Dal punto di vista anatomopatologico essa è caratterizzata da acini ghiandolari architetturalmente benigni ma rivestiti da cellule di aspetto
maligno; la prostata con aree estese di HGPIN presenta più frequentemente foci di adenocarcinoma associati
mentre la prostata con carcinoma ha un maggior numero di foci di HGPIN rispetto a quella priva di tumore.
Il potenziale preneoplastico di HGPIN è un vero hot topic urologico, tuttora molto dibattuto. In letteratura, il
rischio di trovare un carcinoma ripetendo la biopsia in caso di HGPIN va addirittura dal 22% al 60%. Secondo
recenti analisi, tuttavia, tale rischio sembra essere sovrastimato. In una review del 2006, Epstein afferma che,
comparando studi pubblicati dal 2000 ad oggi, il rischio di individuare un cancro prostatico ad una rebiopsia
eseguita entro 1 anno dalla diagnosi di HGPIN (18%) non è significativamente differente dallo stesso rischio
presente in caso di rebiopsia dopo un primo esame istologico negativo (23%). Sicuramente, un
campionamento bioptico esteso ben eseguito (>10 frustoli ) durante la prima biopsia individua un maggior
numero di tumori associati ad HGPIN: se la prima biopsia è stata eseguita correttamente, dunque, è molto
probabile che la re-biopsia in un paziente con HGPIN ne riconfermi l’esito. Perciò, la ripetizione della biopsia
prostatica entro il primo anno dalla diagnosi di HGPIN, in assenza di altri indicatori clinici di tumore, non è
raccomandata . Un recente studio retrospettivo su 130 pazienti conferma questi dati, rivelando che il rischio di
trovare un tumore di prostata dopo diagnosi di HGPIN (21,5%) non è più elevato di quello riportato dopo
diagnosi di tessuto prostatico benigno (23%). Nello studio si conclude che i pazienti con HGPIN alla diagnosi
non sembrano avere bisogno di una strategia di rebiopsie diversa dai pazienti con semplice ipertrofia
prostatica benigna. In conclusione, dunque, la presenza di HGPIN indica un aumento del rischio tumorale in
zone anche distanti dalla area in cui è presente, dal momento che è ben diverso dal carcinoma in situ. La
ripetizione della biopsia dovrebbe essere individualizzata, a seconda del paziente: non pare infatti esista la
necessità di rebiopsiare i pazienti con HGPIN entro un anno dalla diagnosi, a meno che i dati clinici (PSA ed
esplorazione rettale) non consiglino ulteriore approfondimento.
Diverso è il discorso, invece, per il cosiddetto widespread HGPIN, ovvero un HGPIN presente in 4 o più frustoli
bioptici. Per questo tipo di HGPIN, infatti, è stato riportato in letteratura un rischio (39%) di reperire un tumore
di prostata alla re-biopsia, che pertanto viene raccomandata anche entro tempi brevi.
L’ASAP, invece, è un’entità istologica che sembra essere fortemente correlata al carcinoma di prostata, senza
esserne considerata un precursore. Venne descritta da Bostwick come presenza di ghiandole sospette con
atipie citologiche o architetturali insufficienti per una diagnosi definitiva di cancro.
L’ASAP è dunque una situazione di incertezza diagnostica, rilevabile nel 1.5-9% delle biopsie prostatiche:
Essa è altamente predittiva per il rilevamento di adenocarcinoma nelle successive biopsie essendo il rischio
quantificato intorno al 55%. Tale situazione indica che ad una diagnosi iniziale di ASAP deve seguire
un’ulteriore biopsia prostatica entro breve tempo, riservando una particolare attenzione alla zona in cui era
stato diagnosticato il focolaio di atipie cellulari.
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venerdì 29 maggio
TAVOLA ROTONDA
CHEMIOPREVENZIONE DEL CARCINOMA PROSTATICO
Aspetti epidemiologici e alimentazione
A. Zitella, Torino
Sono stati identificati vari fattori di rischio per il carcinoma della prostata e molti altri sono in fase di valutazione.
Sicuramente gioca un ruolo importante l’eta avanzata: la probabilità di sviluppare un tumore di prostata per un
uomo <40 anni è pari a 1:10.000, ma cresce a 1:103 nella fascia di età 40-59 e 1:8 a 60-79 anni. Il rischio correlato
al tumore varia a seconda dell’appartenenza ai diversi gruppi etnici, come dimostrato negli studi sui migranti: gli
afroamericani hanno un rischio più elevato rispetto ai bianchi, rispetto ai quali presentano anche stadi più avanzati
di malattia alla diagnosi. La spiegazione di questo fenomeno risiederebbe nei livelli di testosterone, più elevati nei
giovani uomini afroamericani del 15% rispetto ai bianchi; anche la 5-a-reduttasi sarebbe più attiva negli
afroamericani. Una anamnesi familiare positiva per carcinoma di prostata è un ulteriore fattore che aumenta il
rischio relativo di tumore. È stato appurato che il rischio è direttamente proporzionale al numero di individui affetti
all’interno della famiglia, e inversamente proporzionale all’età alla quale viene diagnosticato il tumore nel parente.
L’importanza dei fattori genetici è stata dimostrata dagli studi sui gemelli: una metanalisi condotta sui registri dei
gemelli in Svezia, Danimarca e Finlandia ha stimato al 42% la componente tumorale ereditabile tra gemelli
omozigoti. Alcuni geni responsabili di questa suscettibilità genetica sono stati individuati sui cromosomi 1, 8, 17, 20
e X; inoltre, è stata riportata una significativa associazione tra la tumorigenesi e la presenza di polimorfismi
all’interno di geni chiave per lo sviluppo e la funzionalità della prostata. In generale, si pensa che una forte
predisposizione familiare possa essere responsabile del 5-10% dei casi di cancro alla prostata. Non bisogna
trascurare il ruolo svolto dagli androgeni: il testosterone è convertito dalla prostata nella sua forma attiva, il
diidrotestosterone, substrato essenziale per la sintesi proteica e la proliferazione cellulare. È stato dimostrato che
l’ablazione androgenica porta a una regressione del tumore di prostata; come prova indiretta della causa
ormonale, si è visto che gli eunuchi non sviluppano il cancro di prostata. Dal PCPT è emerso che il trattamento con
finasteride, inibitore della 5-areduttasi, ha un effetto chemiopreventivo, riducendo del 24.8% il rischio di tumore
prostatico, pur con una proporzione maggiore di carcinomi di alto grado. Recenti studi hanno suggerito
un’associazione tra il tumore di prostata e lo stile di vita occidentale considerando,in particolare, la dieta ricca di
grassi, di carne e latticini. Gli acidi grassi come l’acido linolenico, infatti, causerebbero un incremento nel rischio di
cancro, così come la carne rossa: in quest’ultimo caso è imputata la cottura ad alte temperature, responsabile della
formazione di amine eterocicliche, cancerogene. Anche vitamina D e calcio, in grande quantità, sarebbero
associate ad un aumento del rischio, che tuttavia deve ancora essere attentamente valutato, per non incorrere in
falsi allarmismi come quelli che hanno condotto a campagne pubblicitarie contro il consumo del latte!. La soia,
invece, sarebbe protettiva, probabilmente per via dell’alto contenuto in flavonoidi, che hanno un effetto profilattico
sul cancro di prostata. Anche altri agenti antiossidanti, quali i licopeni (contenuti nei pomodori), il selenio
(antitumorale e induttore dell’apoptosi) e la vitaminaE (tocoferolo, liposolubile), porterebbero a una riduzione del
rischio tumorale (Tab. II). Il consumo di grandi quantità di cibi grassi porta all’aumento della produzione di insulina,
che a sua volta aumenterebbe la produzione di Insulin Growth Factor (IGF-1), coinvolto nella regolazione di
proliferazione, differenziamento ed apoptosi delle cellule tumorali. Si pensa che proprio l’IGF-1 sia l’anello
mancante tra lo stile di vita occidentale sedentario e le sue cattive abitudini alimentari e la manifestazione del
cancro prostatico. È stato infine dimostrato che altri fattori quali il fumo, l’alcol, la vasectomia e l’attività fisica non
influiscono sul rischio di sviluppare il carcinoma di prostata.
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CONVEGNO
sabato 30 maggio
UP-DATE
I nuovi materiali della chirurgia del prolasso e dell’incontinenza
Elisabetta Costantini.
La terapia chirurgica dell’incontinenza urinaria e del prolasso urogenitale è stata recentemente modificata in
modo sostanziale dall’introduzione delle reti autologhe od eterologhe. Capotistipite di questa rivoluzione è
stata l’introduzione delle sling medio-uretrali, cui è seguita l’applicazione clinica delle protesi in ambito di
prolasso urogenitale. In questo ultimo caso tutto è stato in qualche modo legato alle alte percentuali di
insuccesso della chirurgia riparativa semplice nei prolassi di grado severo ed in pazienti cosiddette a rischio. Il
successo degli innesti sintetici dipende dal materiale e dalle loro caratteristiche. Così ad esempio la rete può
integrarsi nei tessuti o venire incapsulata, può essere soggetta ad un grado maggiore di infezione o di fibrosi,
in base alle dimensioni dei pori ed infine essere accettata in maniera più o meno fisiologica dall’organismo per
le sue caratteristiche di biocompatibilità. In linea generale le reti si distinguono in sintetiche e biologiche. Le
prime sono gravate in maggior misura dal problema delle erosioni, mentre le altre sembrano non garantire nel
tempo la loro tenuta. Attualmente l’intervento di correzione del prolasso pelvico con innesto è al centro di
numerosi lavori di ricerca e numerosi studi stanno dimostrando che i materiali e la loro configurazione sono
determinanti nel tipo di risposta del corpo all’innesto impiantato. Verrà eseguita una disamina dei materiali ad
oggi disponibili ed il loro utilizzo nella pratica uroginecologica.
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Comunicazioni - Laparascopia
PIELOPLASTICA LAPAROSCOPICA ROBOT-ASSISTITA:
VALUTAZIONE DEI RISULTATI DOPO I PRIMI 16 CASI
Claudio Giberti, Maurizio Schenone, Pierluigi Cortese, Fabrizio Gallo.
Dipartimento di Chirurgia, U.O. Urologia,
Ospedale San Paolo
Introduzione: La pieloplastica robot-assistita (RP) sembra fornire gli stessi buoni risultati riportati dalla tecnica
laparoscopica tradizionale con un significativo contributo in termini di accorciamento della curva di
apprendimento, specialmente per i chirurghi con poca esperienza laparoscopica. Presentiamo i nostri risultati
relativi ai primi 16 casi.
Metodi: Dal Marzo 2005 al Luglio 2008, sono state eseguite, presso il nostro istituto, 16 RP (Robot Da Vinci a
3 braccia) per via transperitoneale secondo la tecnica di Anderson-Hynes. 15 pazienti erano affetti da malattia
del giunto pieloureterale primaria mentre un paziente presentava una forma secondaria, in quanto già
sottoposto a giuntoplastica open con successiva endopielotomia. La tecnica prevedeva il posizionamento di
4/5 porte laparoscopiche: tre per le braccia robotiche e una/due per l’assistente. L’anastomosi veniva
confezionata con sutura continua in 4/0, previa posizionamento di stent ureterale. I pazienti venivano seguiti
nel follow-up con pieleografia retrograda e rimozione dello stent dopo 30 giorni dall’intervento, TC con
ricostruzioni urografiche e scintigrafia renale dopo 45 giorni, ecografia dopo 90 giorni e quindi ogni 6 mesi. Il
paziente veniva considerato guarito in caso di risoluzione o deciso miglioramento della sintomatologia e
dell’idronefrosi preoperatorie, confermati da un miglioramento della funzionalità escretoria renale. Il follow-up
medio era pari a 16.8 mese (range 3-44).
Risultati:
Tutte le procedure venivano completate senza necessità di conversione o reintervento a cielo aperto. I tempi
operatori, le perdite ematiche e la degenza medi risultavano pari a 202 minuti (range 105-420), 60 ml (range
25-100) e 5.2 giorni (range 3-14).
15/16 pazienti risultavano guariti riportando, pertanto, una percentuale di successo pari al 94%. Un paziente
(6%), che riportava un’idronefrosi preoperatoria di IV grado, veniva considerato fallito in quanto affetto da
idronefrosi persistente in assenza di alcun miglioramento alla scintigrafia renale postoperatoria anche se la
giunzione pielo-ureterale risultava perfettamente pervia.
Tra le complicanze minori, due pazienti(12%) riportavano modeste algie addominali trattate con i comuni
analgesici. Riguardo alle complicanze maggiori, un paziente (6%) riportava un ileo paralitico probabilmente
dovuto ad un lieve stravaso urinoso a livello della sutura pieloureterale. L’ileo si risolveva spontaneamente in
terza giornata mentre lo stravaso non veniva più documentato alla pielografia di controllo eseguita 30 giorni
dopo l’intervento, permettendo una regolare rimozione dello stent.
Conclusioni:
La RP sembra ormai emergere come il nuovo gold-standard nel trattamento dei pazienti affetti da malattia del
giunto pieloureterale. Infatti, secondo quanto riportato nella nostra esperienza, le innovazioni tecnologiche
fornite dal sistema robotico Da Vinci, permettono ai chirurghi, anche in assenza di alcuna precedente
esperienza laparoscopica, di raggiugere risultati eccellenti già dopo poche procedure.
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Comunicazioni - Laparascopia
BIOPSIA RENALE LAPAROASSISTITA RETROPERITONEALE: UNA METODICA SICURA ED EFFICACE.
Autori: L. Repetto (1), G. Pasquale (2), P. Mondino (1), L. Besso (3), M. Burdese (3), U. Ferrando (4), G.P.
Segoloni (3), A. Tizzani (1).
(1): S.C. Urologia I, Prof. A. Tizzani, Ospedale Molinette, Torino. (2): S.C. Urologia II, Prof. D. Fontana,
Ospedale Molinette, Torino.
(3): S.C. Nefrologia, Prof. G.P. Segoloni, Ospedale Molinette, Torino.
(4): Direttore Servizio Urologia clinica Cellini, già Direttore urologia III Ospedale Molinette.
OBIETTIVI
La biopsia renale rappresenta un’indagine spesso indispensabile per definire dal punto di vista dinamico,
prognostico e terapeutico una patologia glomerulare. Nella maggior parte dei casi essa è eseguibile per via
percutanea sotto controllo ecotomografico. Tuttavia, quando vi siano delle controindicazioni evidenti alla sua
esecuzione, una valida alternativa può essere quella dell’utilizzo di una tecnica laparoassistita con approccio
retroperitoneale, ad invasività nettamente minore rispetto alla tecnica open. Con questa metodica è possibile
procedere alla diagnosi in soggetti obesi, con rene unico, in trattamento cronico con anticoagulanti (se
possibile sospenderlo per brevi periodi), affetti da epatopatie croniche con alterazioni coagulatorie moderate,
con reni multicistici, affetti da ptosi e malformazioni renali. Il vantaggio principale è rappresentato dalla
possibilità di controllo diretto dell’emostasi. La biopsia viene realizzata in anestesia generale e con paziente in
posizione di decubito laterale. Una volta raggiunto il rene con attenta dissezione, sotto controllo visivo
attraverso l’ottica strumentale, si può effettuare la biopsia con ago semiautomatico o automatico a ghigliottina.
METODI
Tra il 2004 e il 2009 sono state eseguite, dal nostro centro, 35 biopsie laparoassistite. Le motivazioni principali
sono state: reni multicistici, reni unici, rischio emorragico aumentato, epatopatie croniche. A tutti i pazienti è
stata fatta profilassi antitrombotica.
RISULTATI
In 34/35 casi non si sono verificate complicanze significative. In un caso si è verificato un sanguinamento nella
via escretrice per puntura accidentale di un calice che ha richiesto l’embolizzazione selettiva del vaso
afferente con risoluzione completa.
Nel post-operatorio, se nulla osta, il drenaggio e il catetere vescicale sono stati rimossi in prima giornata. Già
nelle prime 24 ore i pazienti sono stati mobilizzati e hanno incominciato un’alimentazione leggera.
CONCLUSIONI
La metodica è risultata risolutiva in una serie di casi in cui sarebbe stata impossibile una caratterizzazione
diagnostica e terapeutica. Si tratta di una alternativa sicura ed efficace alle tecniche percutanea e chirurgica,
con un tasso di complicanze assai ridotto considerando il suo utilizzo in pazienti con comorbidità significative.
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Comunicazioni - Laparascopia
IL PRELIEVO LAPAROSCOPICO DI RENE DA DONATORE VIVENTE PER
TRAPIANTO eseguito con tecnica gas-less.
L. Repetto (1), G. Pasquale (2), P. Mondino (1), M. Oderda (1), P. Gontero (1) U. Ferrando (3),
D. Fontana (2), A. Tizzani (1).
(1): S.C. Urologia I, Prof. A. Tizzani, Ospedale Molinette, Torino.
(2): S.C. Urologia II, Prof. D. Fontana, Ospedale Molinette, Torino.
(3): Direttore Servizio Urologia della Clinica Cellini,Torino (già Direttore Urologia III Ospedale Molinette).
Introduzione
Il prelievo laparoscopico di rene aggiunge significativi vantaggi alla donazione di rene da vivente.
La pressione positiva intraddominale (pari a 12mmHg) si applica e si mantiene durante il prelievo
laparoscopico. L’aumento delle resistenze polmonari, il diminuito ritorno venoso, l’assorbimento della
Co2 l’oliguria sono gli effetti collaterali più noti che si osservano nel mantenimento delle pressione
positiva.
Abbiamo attivato pertanto la tecnica di “Prelievo Laparoscopico di Rene da Donatore Vivente
eseguito con Tecnica Gas-less.
Materiali e metodi
Preleviamo di preferenza il rene sinistro per motivi d’ordine anatomico in previsione del trapianto vero
e proprio. La vena renale è più lunga che a destra e il fegato non nasconde parte del campo
operatorio. Abbiamo comunque esperienza anche nel prelievo di rene destro
Posizioniamo il primo trocar in addome (ottica) con tecnica open-laparoscopy e dopo alcune manovre
di sicurezza posizioniamo l’elevatore di parete in sede sottocostale sulla linea ascellare anteriore.
L’elevatore viene ancorato ad un braccio elettrico, solidale con il letto operatorio che alza il “laparolift”
ed assicura una buona visione del campo operatorio. L’incisione necessaria per introdurre l’elevatore
di parete è pari a 10-15 mm
La via d’aggressione al rene è rigorosamente trans-peritoneale.
Dopo aver scollato la doccia parieto-colica evidenziamo il retro peritoneo con la fascia di Gerota.
Esponiamo la vena renale e l’arteria, ambedue sino alla loro congiunzione con la cava e l’aorta.
Proseguiamo l’isolamento dell’uretere sino all’incrocio con i vasi iliaci ed oltre. “clampiamo” l’uretere
solo distalmente e lo sezioniamo.
Posizioniamo in questa sede un trocar da 15 mm ed attraverso lo stesso introduciamo un sacchetto
laparoscopico, che apriamo in addome.
A questo punto “clampiamo “ e sezioniamo, nell’ordine, l’arteria e la vena renale.
Cosi completamente liberato l’organo viene introdotto nel sacchetto ed estratto dall’addome.
Collochiamo il rene in ghiaccio e lo consegniamo immediatamente ad una seconda équipe incaricata
della preparazione del rene prelevato e del successivo trapianto (che avviene contestualmente nella
sala operatoria attigua)
Risultati .
Dal dicembre 2004 eseguiamo il prelievo di rene da vivente unicamente con tecnica laparoscopica.
Sino ad oggi (febbraio 2009) abbiamo eseguito 63 prelievi; di questi, undici furono eseguiti
unicamente con tecnica gas-less.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni - Laparascopia
LA NEFRECTOMIA LAPAROSCOPICA ESEGUITA CON TECNICA GASLESS
L. Repetto (1), G. Pasquale (2), P. Mondino (1), M. Oderda (1), P. Gontero (1) U. Ferrando (3),
D. Fontana (2), A. Tizzani (1).
(1): S.C. Urologia I, Prof. A. Tizzani, Ospedale Molinette, Torino.
(2): S.C. Urologia II, Prof. D. Fontana, Ospedale Molinette, Torino.
(3): Direttore Servizio Urologia della Clinica Cellini,Torino (già Direttore Urologia III Ospedale Molinette).
La nefrectomia laparoscopica, nelle indicazioni dovute, apporta significativi vantaggi
La pressione positiva intraddominale (pari a 12mmHg) si applica e si mantiene durante l’intervento
laparoscopico. L’aumento delle resistenze polmonari, il diminuito ritorno venoso, l’assorbimento della Co2,
l’oliguria sono gli effetti collaterali più noti che si osservano nel mantenimento delle pressione positiva.
Attuiamo la tecnica gas-less nei pazienti dove gli effetti collaterali sopra descritti potrebbero essere causa di
complicanze serie
Materiali e metodi
Posizioniamo il primo trocar in addome (ottica) con tecnica open-laparoscopy e dopo alcune manovre di
sicurezza posizioniamo l’elevatore di parete in sede sottocostale sulla linea ascellare anteriore. L’elevatore
viene ancorato ad un braccio elettrico, solidale con il letto operatorio che alza il “laparolift” ed assicura una
buona visione del campo operatorio. L’incisione necessaria per introdurre l’elevatore di parete è pari a 10-15
mm
La via d’aggressione al rene con tecnica gas-less è rigorosamente trans-peritoneale.
Lo spazio esiguo del retro peritoneo impedisce l’applicazione degli elevatori parete attualmente in commercio.
Con l’accesso misto (retroperitoneale e trans peritoneale) la tecnica è attuabile ma presenta delle riserve che
presenteremo in questo lavoro.
Dopo aver scollato la doccia parieto-colica evidenziamo il retro peritoneo con la fascia di Gerota. Esponiamo
la vena renale e l’arteria, ambedue sino alla loro congiunzione con la cava e l’aorta. Proseguiamo l’isolamento
dell’uretere sino a dove c’è l’indicazione.
Cosi completamente liberato l’organo viene introdotto nel sacchetto ed estratto dall’addome.
Risultati .
Da alcuni anni applichiamo la tecnica gas-less. In un primo momento utilizzavamo tale tecnica solo nei casi
dove il pneumoperitoneo era controindico, ade estendiamo la tecnica anche ad altre laparoscopia dove la
pressione intraddominale di 12 mmHg sarebbe ben tollerata
Abbiamo eseguito 68 nefrectomie con tecnica gasless I vantaggi per il paziente sono assolutamente evidenti
e sono ridotti gli effetti collaterali insiti nella tecnica laparoscopica classica. Sono evidenti, anche alcuni
vantaggi per i chirurghi. Il tempo dell’intervento si è allungato di pochi minuti, giusto il tempo necessario ad
applicare il laparolift. Nei primi casi si presentava a noi un campo operatorio diverso, al quale non eravamo
abituati, ma dopo i primi dieci casi la visione assumeva connotazioni sempre più famigliari.
Conclusioni
Con la tecnica gasless si associano i vantaggi della laparoscopica con i vantaggi della chirurgia aperta senza
associarne gli svantaggi
Bisogna, per contro, sottolineare che la procedura Gas-less secondo noi, in un primo momento, è
tecnicamente più difficile
58 Convegno SUNI
Comunicazioni - Laparascopia
CHIRURGIA CONSERVATIVA RENALE LAPAROSCOPICA RETROPERITONEALE: NOSTRA
ESPERIENZA DOPO I PRIMI 20 CASI
P. Parma, B. Dall’Oglio, A. Samuelli*, C. Bondavalli
Divisione di Urologia Azienda Ospedaliera Carlo Poma Mantova
* Divisione di Urologia Spedali Civili di Brescia
Obiettivi: abbiamo analizzato la nostra esperienza di chirurgia conservativa renale laparoscopica retro
peritoneale per neoplasia.
Materiali e Metodi: dal gennaio 2007 al dicembre 2008 abbiamo eseguito 20 interventi di enucleo resezione di
neoformazioni renali.Il diametro medio delle lesioni era pari a 2.7 cm (range 1.5-6 cm)
La tecnica laparoscopica retroperitoneale prevede il posizionamento di 4 trocar nel retro peritoneo.
Si apre la fascia di Gerota posteriormente , si individua l’uretere e si isola l’arteria renale. A questo punto si
libera il rene dal grasso peri renale e si procede alla asportazione del grasso della capsula. Si espone la
neoformazione renale cercando di mantenere adeso il grasso peri-lesionale. Se necessario si clampa l’arteria
con buldog laparoscopico e si procede alla enucleoresezione della neoformazione con forbici.
Eseguiamo una enucleazione con 1-2 mm di tessuto sano intorno alla neoplasia.L’ emostasi del letto di
resezione viene eseguita con solo Floseal per lesioni piccole. In caso di lesioni più grandi si utilizzano punti
staccati o in continua con Vicryl dell’ 1 , fermati con Hemo-lok XL. In caso di emostasi imperfetta alla
rimozione del buldog l’emostasi viene completata con 1 fiala di FloSeal tra i punti .
Risultati: in tutti i 20 casi la procedura è stata portata a termine con successo. Il tempo operatorio medio è
stato pari a 150 minuti ( range 90-240 minuti). Le perdite ematiche medie sono state pari a 150 ml (50-400 ml).
Nessun caso ha richiesto emotrasfusioni. Nessun caso ha richiesto conversione in chirurgia aperta. Il tempo
medio di ischemia calda è stato pari a 13.5 minuti (range 5-25 min). La
Degenza media post operatoria è stata di 4.5 gg (3-6). Non abbiamo avuto alcuna complicanza intra o post
operatoria. L’esame istologico delle lesioni è risultato in 14 casi carcinoma renale a cellule chiare, in 3 casi
oncocitoma renale, in 2 casi angiomiolipoma, in un caso linfoma di tipo B follicolare. Non abbiamo avuto
margini positivi. Ad un con follow up medio di 15 mesi non sono state riscontrate recidive locali.
Conclusioni: la chirurgia conservativa renale laparoscopica retroperitoneale è risultato un intervento ripetibile,
minimamente invasivo ma che deve essere eseguito da laparoscopisti esperti e che richiede una attenta
selezione dei pazienti nelle prime fasi. I presidi laparoscopici disponibili quali Hemo-lok e FloSeal permettono
di ridurre notevolmente i tempi di ischemia calda e le perdite ematiche.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni - Laparascopia
LA CORREZIONE LAPAROSCOPICA DELLE FISTOLE VESCICO VAGINALI: NOSTRA
ESPERIENZA
P. Parma, B. Dall’Oglio, A. Samuelli*, C. Bondavalli
Divisione di Urologia Ospedale Carlo Poma Mantova
*Divisione di Urologia Spedali Civili di Brescia
Introduzione: Le fistole vescico vaginali sono un evento raro nel mondo occidentale ma rappresentano una
seria complicanza della chirurgia uroginecologica. Le cause sono dovute nell’ 85% dei casi a complicanze di
interventi di isterectomia (1 su 1800 interventi). Altre cause sono la radioterapia per neoplasia ginecologica o
del retto (10%) e nel 5% dei casi cause ostetriche. Per fistole di piccole dimensioni si può eseguire un
approccio di tipo conservativo mediante il mantenimento di un catetere vescicale a dimora per 2 mesi
(successo riportato che va dal 7 al 12.5%). Per fistole larghe o che non rispondono al trattamento
conservativo si deve eseguire un trattamento chirurgico (trans vaginale o per via laparotomico). La correzione
laparoscopica delle fistole vescico vaginali è stata descritta per la prima volta nel 1994 e da allora sono stati
riportati in letteratura 40 casi.
Materiali e Metodi:
dal gennaio 2007 al dicembre 2008 abbiamo eseguito 4 casi di correzione laparoscopica di fistole vescico
vaginali. In tutti i casi si trattava di fistole post isterectomia, in tre casi eseguita per via chirurgica aperta, in un
caso per via laparoscopica. L’età media delle pazienti era pari a 49 anni (range 35-58 anni). La sede della
fistola in tutti i 4 casi era sulla parete posteriore vescicale sopra-trigonale. La diagnosi è stata eseguita
mediante la visita vaginale, una cistografia ed una cistoscopia. Il diametro fistola era compreso tra 1-2 cm. La
tecnica laparoscopica prevede il posizionamento di 5 trocar ad U rovesciata trans peritoneali con il rimo
accesso open trans ombelicale. Contemporaneamente con un cistoscopio introdotto in vescica vengono
incannulati gli osti ureterali ed il tramite fistoloso con cateteri ureterali di colore diverso. Dopo aver lisato le
aderenze intestinali del precedente intervento si incide il peritoneo posteriore tra vescica e vagina. Con l’aiuto
della luce del cistoscopio si apre la parete vescicale posteriore in prossimità della fistola. Si apre quindi la
parete vaginale anteriore, si asporta il tramite fistoloso e si separano per via smussa la parete posteriore
vescicale da quella anteriore vaginale. Si chiude la vagina con sutura in continua con Vicryl-0 e si chiude in
continua lo strato della mucosa vescicale con Monocryl 2-0. Si scolpisce un flap di omento e lo si interpone tra
vescica e vagina mediante due punti sulla parete vaginale anteriore distalmente alla rima di sutura. Si chiude
quindi lo strato siero muscolare della parete vescicale con monocryl 2-0 in punti staccati.
Risultati:in tutti i 4 casi l’intervento è stato portato a termine con successo. Il tempo operatorio medio è stato
pari a 170 minuti (range 140-240 min). Non si sono avute complicanze intraoperatorie né post operatorie. La
degenza ospedaliera media è stata pari a 5 gg (range 4-6). La rimozione del catetere è stata eseguita in 14°
giornata previa l’esecuzione di una cistografia. Ad un follow up medio di 10 mesi le pazienti sono
completamente asciutte.
Conclusioni: la correzione laparoscopica transperitoneale delle fistole vescico vaginali è una tecnica
riproducibile se in possesso di un adeguato training laparoscopico di chirurgia pelvica.
Riteniamo che attualmente rappresenti una valida alternativa alla chirurgia open in funzione della
magnificazione dei dettagli anatomici, della facilità di lavoro in scavo pelvico profondo, della mini-invasività.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni - Laparascopia
ACCESSO LAPAROSCOPICO RETROPERITONEALE : ESPERIENZA DOPO 190 CASI
P. Parma, B. Dall'Oglio, A. Samuelli* , C. Bondavalli
Divisione di Urologia Azienda Ospedaliera Carlo Poma Mantova
* Divisione di Urologia Spedali Civili di Brescia
Obiettivi: dopo l'introduzione della tecnica di Gaur per creare la spazio retroperitoneale per la chirurgia renale
laparoscopica retroperitoneale, questo accesso ha avuto sempre più consensi ed è ora comunemente
utilizzato in diversi centri laparoscopici.
Presentiamo la nostra esperienza di laparoscopica retroperitoneale dopo i primi 200 casi.
Materiali e metodi:dal 01/2006 al 01/2009 abbiamo eseguito un totale di 200 procedure retroperitoneoscopiche
in 199 pazienti di età compresa tra 45 e 82 anni. Si trattava di 110 nefrectomie, 23 enucleoresezioni renali, 20
resezioni di cisti renali, 12 pieloplastiche, 10 nefroureterectomie, 9 surrenalectomie, 4 ureterolitotomie, 2
nefropessi. Lo spazio retroperitoneale è stato creato con tecnica di dissezione digito guidata in 10 casi,
sistema dilatatore con trocar sistem in 15 e negli ultimi 165 casi con sistema formato da guanto montato su
sonda rettale.
Risultati: abbiamo classificato 20 procedure come semplici ( resezione di cisti renali), 135 come difficili
(nefrectomie , surrenalectomie, ureterolitotomie, nefropessi) e 35 molto difficili (pieloplastiche ed enucleo
resezioni renali).
C'è stata una notevole fase di apprendimento nei primi 25 casi, determinando tempi operatori medi più
prolungati e maggior tassi di conversione in chirurgia aperta.
Oltre alla fase di apprendimento i tempi operatori erano dipendenti dalla difficoltà della procedura andando da
un valore medio di 90 minuti per una procedura semplice a 160 minuti per una procedura difficile a 200 minuti
per una procedura molto difficile.
Negli ultimi 50 casi le complicanze, i tassi di conversione e i reinterventi sono risultati accettabili
(rispettivamente 0,5, 2, 0,5 % ) per una applicazione routinaria della procedura.
La laparoscopia retroperitoneoscopica può presentare nella fase di apprendimento notevoli difficoltà per il
ridotto spazio operatorio e per la mancanza di punti di riferimento (tranne il muscolo psoas). Una volta appresa
la tecnica però i vantaggi sono notevoli in quanto la mancata apertura del peritoneo riduce i tassi di
complicanze e permette di avere un accesso diretto sul peduncolo vascolare renale.
Messaggio conclusivo:dopo un'esperienza con 190 casi la tecnica di accesso laparoscopico retroperitoneale è
stata notevolmente semplificata. La procedura è standardizzata , sicura e riproducibile. Utilizziamo tale
accesso come tecnica di scelta per la nefrectomia in caso di neoplasia renale di diametro tra 4 e 10 cm, per la
chirurgia conservativa in caso di neoplasie inferiori a 4 cm parzialmente esofitiche sul versante
posteromediale o posterolaterale renale, per la surrenalectomia , per la pieloplastica.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Urologia Funzionale
NOSTRA ESPERIENZA NELLA TERAPIA DELLE STENOSI VAGINALI.
Giovanni Liguori, Sara Benvenuto, Carlo Trombetta, Antonio Amodeo, Giorgio Mazzon, Giangiacomo
Ollandini, Bernardino de Concilio, Emanuele Belgrano
Clinica Urologica; Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste
OBIETTIVI
Sono state descritte numerose tecniche chirurgiche ricostruttive per la correzione di stenosi o atresia vaginale.
Discutiamo 3 differenti soluzioni tecniche.
METODI
Sono giunte alla nostra osservazione 7 pz affette da stenosi vaginale severa o atresia vaginale: 2 pz erano
affette da stenosi vaginale completa da Lichen sclerosus, 1 pz era affetta da Lichen planus, in 2 pz si era
verificata una stenosi della vagina su base iatrogena, mentre 2 pz erano affette da sindrome di MayerRokitansky-Kuster (MRK).
Per le 2 pz con la sindrome MRK abbiamo optato per la tecnica della trasposizione del peritoneo pelvico.
Dopo avere eseguito un’incisione a livello del fondo cieco dell’abbozzo vaginale è stata ricavata una neocavità
per via smussa tra retto e uretra. Viene preparato uno spazio tra vescica e retto, fino al peritoneo che ricopre
lo sfondato del Douglas. A questo punto il peritoneo viene inciso e vengono posizionati 4 punti di repere sui
margini della breccia peritoneale che vengono poi ancorati all'introito della vagina. La cupola della neovagina
così confezionata viene quindi chiusa con una borsa di tabacco.
Nelle pz con grave stenosi della vagina abbiamo utilizzato una vaginoplastica di ampliamento con anse ileali
detubularizzate e riconfigurate. Dopo aver liberato completamente la volta vaginale un segmento ileale di circa
12 cm viene isolato, detubularizzato e riconfigurato ad “anello”. In seguito la neovagina così formata viene
anastomizzata all’introito vaginale.
Nelle pz affette da patologie infiammatorie croniche che presentavano sclerosi vulvare con conglutinamento
delle piccole e grandi labbra, stenosi vaginale e stenosi del meato uretrale abbiamo eseguito dilatazione
manuale della vagina con escissione delle sinechie e meatoplastica uretrale con ripristino della fisiologia
anatomica.
RISULTATI
Non vi sono state complicanze in tutte le pz. Il risultato estetico a 3 mesi è buono. Dal punto di vista funzionale
non tutte le pz hanno avuto un miglioramento, in particolare le pazienti affette da Lichen probabilmente per la
degenerazione neuro-vascolare causata dalla malattia stessa.
CONCLUSIONI
L'utilizzo di segmenti ileali riconfigurati consente di creare una neovagina ben configurata. D’altro canto
l’utilizzo del peritoneo presenta, in pz selezionate, chiari vantaggi di minore invasività e facilità di esecuzione.
Nei casi di minore gravità resta comunque consigliato un approccio chirurgico mini-invasivo.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Urologia Funzionale
Il sistema Capio ™ : approccio mini-invasivo transvaginale per la fissazione della cupola vaginale al
legamento sacrospinoso.
P.Cortese , F.Gallo , L.Chiono , E.Gastaldi, M.Schenone, C.Giberti
Dipartimento di Chirurgia, U.O. Urologia,
Ospedale San Paolo
Via Genova 38, Savona
Obiettivi: La fissazione al legamento sacro spinoso è un’efficace soluzione per la correzione del prolasso
della cupola vaginale. Tuttavia
essa risulta gravata dalla difficolta’ nell’esposizione dell’anatomia vaginale profonda , dal rischio di
perforazione intestinale e/o vescicale e dalla necessita’ di due assistenti al tavolo operatorio. Il sistema Capio
™ e’ stato progettato per posizionare automaticamente, con il solo aiuto della palpazione digitale , una sutura
sul legamento sacrospinoso previa minima dissezione vaginale riducendo le problematiche sopracitate tipiche
dell’approccio tradizionale.
Riportiamo qui di seguito la nostra esperienza con tale metodica.
Materiali e metodi: il sistema Capio™ (Boston) e’ composto da un insertore di facile uso che permette di
posizionare e recuperare una sutura attraverso il legamento sacro spinoso . La procedura consiste , con la
paziente in posizione litotomica , nell’esecuzione di una colpotomia longitudinale mediana posteriore ,
successivo scollamento della parete vaginale dal setto retto vaginale; isolamento della cupola vaginale,
scollamento della fascia pararettale a dx per permettere l’individuazione mediante palpazione, con associato
controllo trans rettale, del legamento sacro spinoso e successivo passaggio attraverso il legamento di un filo di
sutura in polipropilene intrecciato 0 mediante l’utilizzo del Capio ™ . Si procede quindi all’ancoraggio del filo
alla cupola vaginale e , con nodo a puleggia , ad ancoraggio della stessa al legamento facendo particolare
attenzione a non creare “ponti” tra le due strutture ; si ricostruisce infine il setto retto-vaginale e si effettua la
colporrafia posteriore.
Risultati: La nostra esperienza e’ limitata a sole 5 pazienti (eta’ media di 68 aa) che sono state sottoposte ad
intervento nel periodo compreso tra febbraio 2008 e febbraio 2009 con un follow up medio di 6 mesi .
L’intervento in due casi e’ stato associato alla correzione di concomitante cistocele e in uno a posizionamento
di sling transotturatorio per la correzione di IUS di II tipo .Tutte le pazienti al momento risultano indenni da
recidive e asintomatiche . Una sola paziente ha riferito dischezia risoltasi spontaneamente nel giro di due
mesi.
Conclusioni: nonostante il ridotto numero dei casi trattati la sospensione della cupola vaginale al legamento
sacro spinoso con l’ausilio del device Capio™ appare efficace, facilmente riproducibile , gravata da un basso
rischio di complicanze con una apprezzabile riduzione dei tempi operatori.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Urologia Funzionale
CONFRONTO TRA DUE TIPI DI ANSTOMOSI ILEALI CONFEZIONATE A MANO PER DERIVAZIONE
URINARIA
M. Esposito, A: Simonato,V. Varca, F. Venzano, , L. Chuidjio Kouatang, D: Siatos, G. Carmignani
Clinica Urologica L. Giuliani, Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino
Introduzione:
Dal 2004 nel nostro Istituto tutte le anastomosi intestinali sono state confezionate manualmente per motivi di
surgical skills. Obiettivo di questo lavoro è valutare i risultati funzionali delle anastomosi intestinali ileo-ileali
confezionate nel nostro Istituto per derivazione urinaria dopo cistectomia radicale confrontando quelle
latero-laterali con quelle termino-terminali.
Materiali e metodi:
Sono stati considerati retrospettivamente 150 pazienti di età media 68 + 10 anni sottoposti a cistectomia
radicale e derivazione urinaria per carcinoma uroteliale infiltrante o superficiale resistente alle terapie
conservative eseguite dalla stessa equipe chirurgica. In 87 pazienti è stata confezionata una neovescica
ortotopica tipo VIP2, in 63 una ureteroileocutaneostomia sec. Briker. In 39 pazienti l'anastomosi intestinale è
stata latero-laterale in mono strato con punti PDS 3/0, in 91 termino-terminale in monostrato PDS 3/0 e in 20
termino-terminale in doppio strato di Vicryl 3/0. Per tutti i pazienti è stata valutata la giornata post-operatoria in
cui si è avuta la ricomparsa della peristalsi, la canalizzazione ai gas, la rimozione del sondino naso-gastrico
(SNG) e la ripresa dell'alimentazione, nonché l'eventuale comparsa di complicanze intestinali perioperatorie.
Risultati:
La tabella n° 1 mostra le differenze tra le anastomosi ileali termino-terminali e quelle latero-laterali. Per quanto
riguarda la comparsa di complicanze postoperatorie, ne abbiamo riscontrate il 2,7 % nei pazienti con
anastomosi termino-terminale, e per questi è stata sufficiente una terapia conservativa, mentre il 10,26 % dei
pazienti con anastomosi latero-laterali hanno avuto complicanze e sono stati tutti sottoposti a reintervento, non
essendo stato sufficiente la sola terapia conservativa. Non è stata invece riscontrata alcuna correlazione tra i
parametri analizzati e la derivazione urinaria confezionata.
I risultati indicano che le anastomosi termino-terminali presentano una più precoce ripresa della peristalsi e
della canalizzazione ai gas con un più precoce rimozione del SNG rispetto alle anastomosi latero-laterali. Le
complicanze pur essendo molto ridotte per i due gruppi sono state più gravi per il gruppo con l'anastomosi
latero-laterale. Questo potrebbe essere dovuto sia ad una situazione anatomica più fisiologica che alla minore
manipolazione intestinale richiesta nelle anastomosi termino-terminali.
Conclusioni:
Secondo la nostra esperienza le anastomosi ileali termino-terminali presentano un più rapido recupero
funzionale e meno complicanze perioperatorie.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Urologia Funzionale
RIPARAZIONE TRANS-VAGINALE DI FISTOLA NEOVESCICO-VAGINALE
C. Negro, P. Destefanis, C. De Maria, A. Bisconti, A. Bosio, A. Cugiani, M.T. Carchedi,
F. Liberale, A. Buffardi, C. Schillaci, D. Fontana.
Divisione Universitaria di Urologia 2 - Ospedale San Giovanni Battista “Molinette” - Torino
Introduzione
La fistola neovescico-vaginale è una complicanza della cistectomia radicale con confezionamento di
neovescica ortotopica nelle donne, la cui incidenza è riportata intorno al 5%. Danno iatrogeno durante la
dissezione della parete vaginale, infiammazione locale e recidiva locale di malattia sono ritenute le cause più
frequenti dello sviluppo delle fistole.
Metodi
Presentiamo il caso di una donna di 55 anni con carcinoma vescicale T2G3 sottoposta in Dicembre 2007 a
cistectomia radicale con confezionamento di neovescica ortotopica a Y. In precedenza era stata sottoposta a
3 cicli di chemioterapia neoadiuvante. L’esame istologico definitivo evidenziava carcinoma uroteliale con
aspetti squamosi pT3a N0 G3. La paziente era stata sottoposta nel 2001 ad isterectomia trans-vaginale. La
cistografia retrograda e minzionale eseguita tre settimane dopo la cistectomia, in previsione di rimozione del
catetere vescicale, aveva evidenziato una fistola ad alto flusso tra la vagina e la neovescica ileale, con
completa opacizzazione delle vagina. Inizialmente la paziente è stata trattata conservativamente per 2 mesi.
Sono state eseguite due cistografie retrograde e minzionali con evidenza di riduzione delle dimensioni della
fistola senza però mai completa risoluzione. A tre mesi, quindi, dall’intervento di cistectomia è stata sottoposta
a correzione chirurgica della fistola per via trans-vaginale, con escissione del tragitto fistoloso e chiusura della
neovescica trasversalmente e della parete vaginale longitudinalmente. E’ stato quindi posizionato un catetere
vescicale Foley 20 Ch che è stato mantenuto per 1 mese.
Risultati
La cistouretrografia retrograda e minzionale eseguita dopo 1 mese non ha evidenziato persistenza/recidiva di
fistola, per cui è stato rimosso il catetere vescicale. Alla rimozione del catetere la paziente era completamente
continente durante il giorno, mentre presentava una moderata incontinenza notturna con utilizzo di 2 pads
durante la notte. A 3 mesi dall’intervento la paziente era completamente continente (sia durante il giorno sia
durante la notte) e non vi erano perdite di urina dalla vagina.
Discussione
Lo sviluppo di una fistola neovescico-vaginale è una complicanza importante, seppur poco frequente, della
cistectomia radicale con confezionamento di neovescica ortotopica nelle donne. Poche sono le casistiche in
letteratura circa la gestione, sebbene la maggior parte degli autori hanno riportato buoni risultati utilizzando
tecniche chirurgiche che prevendono l’interposizione tra neovescica e vagina di materiale autologo (lembo di
Martius, muscolo retto dell’addome, muscolo gracile, etc.). Nel caso qui presentato abbiamo utilizzato la
tecnica di riparazione senza interposizione di materiale autologo con buoni risultati; il vantaggio offerto dal
nostro approccio è sostanzialmente la sua maggiore semplicità a fronte di un risultato assolutamente
soddisfacente (sebbene il follow-up breve), che, a nostro giudizio, potrebbe essere utilizzato come primo
approccio in casi di fistole semplici.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Urologia Funzionale
PARAMETRI FUNZIONALI DELL’URETRA FEMMINILE A CONFRONTO:
STUDIO COMPARATIVO TRA ECODOPPLER URETRALE ED URODINAMICA
Dr.ssa Simona Contardo* (1), Dr. Edoardo Ostardo (2) , Dr. Valter Adamo (1), Dr. Stefano Facchin (1),
Dr. Michele Vanin (1), Dr.ssa Elisa Bet, (1)
1Azienda
2 Azienda
ospedaliera S.Maria degli Angeli, Pordenone, S.O.C. di Ginecologia
ospedaliera S.Maria degli Angeli, Pordenone, S.O.C di Urologia
Obiettivi: partendo dal presupposto che la continenza urinaria ha una base multifattoriale ci siamo preposti lo
scopo di validare l’ipotesi eziopatogenetica vascolare alla base dell’incontinenza urinaria da sforzo (IUS)
correlando i parametri urodinamici funzionali dell’uretra con i parametri flussimetrici ricavati dall’ecocolordoppler uretrale e con alcuni dati anamnestici. Scopo secondario è stato quello di validare l’utilizzo del colordoppler quale strumento diagnostico nell’incontinenza urinaria da sforzo in modo complementare
all’urodinamica, sfruttando l’utilizzo di tale strumento diagnostico nella pratica clinica specialistica ginecologica
per ottenere simultaneamente informazioni di carattere morfo-strutturale e funzionale.
Materiali e metodi: fra aprile e settembre 2007 abbiamo sottoposto ad ecografia perineale 62 pazienti di sesso
femminile che avevano effettuato un esame urodinamico presso il Laboratorio di Urodinamica del Reparto di
Urologia dell’Azienda Ospedaliera S.Maria degli Angeli di Pordenone: 41 di esse affette da IUS e 21 affette da
altre problematiche urologiche non riferibili a IUS. Quindi abbiamo correlato i parametri urodinamici funzionali
(PCM: pressione di chiusura massima uretrale ed LF: lunghezza funzionale) con i parametri vascolari ottenuti
dalla flussimetria uretrale (P.I, R.I., S/D) e alcuni dati anamnestici (età, stato menopausale, parità, stato
ipertensivo, gravità dell’incontinenza valutato con questionario strutturato).
Risultati: i valori della velocimetria doppler ottenuti sono risultati paragonabili sia nel gruppo delle
donne continenti che in quello delle incontinenti, mentre abbiamo ritrovato (anche se non
statisticamente significativi) parametri urodinamici funzionali con valori minori nel gruppo delle donne
incontinenti. Non abbiamo ottenuto nessuna correlazione fra i valori urodinamici e quelli flussimetrici,
mentre è emersa una differenza statisticamente significativa dei primi con lo score dell’incontinenza
e fra la lunghezza funzionale e l’età. Nessuna correlazione fra parametri flussimetrici e i dati
anamnestici.
Conclusione: il nostro studio, contrariamente a quanto riportato in letteratura, non ci permette di validare
l’ipotesi fisiopatologica di una alterazione circolatoria od emodinamica quale meccanismo eziopatogenetico
alla base dell’incontinenza urinaria da sforzo. Infatti, dai dati ottenuti, risulta che la profilometria uretrale
rappresenta lo strumento più valido per ottenere dati funzionali in merito al meccanismo dell’incontinenza
urinaria essendo in grado di valutare tutte le componenti ad essa deputate. Il color doppler, invece, ci da delle
informazioni selettive che riguardano solamente la componente vascolare ed emodinamica. Potrebbe essere
comunque utilizzato per individuare quei soggetti in cui si ipotizzi un problema vascolare alla base
dell’incontinenza per poter così sviluppare un iter terapeutico adeguato. Ulteriori studi sono quindi necessari
per raggiungere tale scopo.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Urologia Funzionale
QUALITÀ DELLA VITA IN PAZIENTI CON NEOVESCICA ILEALE ORTOTOPICA (IOB): PROPOSTA DI
QUESTIONARIO SPECIFICO
Siracusano Salvatore, Ciciliato Stefano,.Lampropoulou Nicolitza, Lonardi Cristina*, Niero Mauro*
Clinica Urologica – Università di Trieste,
* Cattedra di Sociologia - Universita di Verona
Obiettivi
E' noto che la realizzazione della neovescica ortotopica comporta l'obbligo dello svuotamento volontario del
neoserbatoio da parte del paziente ad intervalli di tempo regolari causando un grave disagio che si accentua
durante le ore notturne. L'intervento di cistectomia con realizzazione di una IOB può quindi avere un impatto
negativo sulla QoL dei pazienti durante l'adattamento alla quotidianità. Ad oggi la QoL nei pazienti portatori di
IOB è stata valutata con test non specifici: il MOS SF36, FACT-B1, HAD e il QLQ.
Riportiamo i risultati di uno studio multicentrico promosso per lo sviluppo di un questionario specifico per la
valutazione della QoL nel paziente con IOB.
Metodi
La prima fase di valutazione qualitativa ha previsto l'inclusione secondo criteri internazionali armonici con
l'oggetto dello studio. Sono state previste 35 interviste in 35 pazienti (5 per ognuno dei 7 centri coinvolti nello
studio) secondo I seguenti criteri di inclusione: persone sottoposte a ricostruzione IOB e che danno consenso
informato all'intervista.
L'intervista è stata costruita in forma di narrazione, evocando la traiettoria del paziente dalla comparsa dei
sintomi, alla diagnosi fino all'intervento chirurgico ed alla riabilitazione (fisica, mentale sociale). Sono state
analizzate le difficoltà incontrate dal paziente in relazione ai cambiamenti di maggior impatto (previsti,
impreviste ed auspicabili), eventuali vissuti emotivi come la vergogna, l'imbarazzo, il rifiuto, la riorganizzazione
della routine quotidiana, la visione e percezione del proprio corpo (immagine di sé ed autostima), relazioni
affettive, sessuali, amicali, lavorative, di benessere psicologico e comportamentali.
Risultati
Da una prima analisi qualitativa emerge che non tutti i pazienti riescono a riprendere il precedente stile di vita,
il recupero è difficoltoso se non impossibile. Tale condizione ha un forte impatto sulla QoL dei pazienti ed ha
permesso di individuare i domini nei quali è maggiore la compromissione della QoL e per i quali è utile l'analisi
quantitativa.
I domini individuati sono: emotivo, relazionale-sociale, organizzativo, fisico-sessuale e comportamentale con
l'instaurazione di pratiche di occultamento.Nei casi più critici il vissuto impatta negativamente con la nuova
realtà a partire dal livello emotivo.
Negli intervistati che nel lungo periodo riprendono la stessa vita di prima dell'intervento, pur rimanendo
difficoltà nella sfera dell'attività sessuale, la convivenza con la nuova condizione si stabilizza e ciò và
ricondotto alla presenza di una rete sociale e familiare informata e collaborativa.
Conclusioni
La presente fase di interviste si è rilevata estremamente promettente, consentendo di produrre una prima
individuazione degli ambiti di impatto della IOB sulla QoL. Per ciascuna delle dinamiche sopra descritte sono
stati identificati potenziali brani che possono servire per costruire item da inserire operativamente nel
questionario.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Urologia Funzionale
UTILITA’ DELLA PROFILASSI ANTIBIOTICA NELLE PAZIENTI IN ETA' FERTILE ED IN MENOPAUSA
SOTTOPOSTE AD INDAGINE URODINAMICA INVASIVA
Siracusano Salvatore, Ciciliato Stefano, Lampropoulou Nicolitza, Visalli Francesco
Clinica Urologica, Università degli Studi di Trieste
Prof. Salvatore Siracusano
Clinica Urologica, Ospedale di Cattinara, Strada di Fiume, 447, 34100 Trieste
OBIETTIVI
Recenti lavori hanno evidenziato una ridotta incidenza di infezione delle vie urinarie (IVU) nella donne
sottoposte ad indagine urodinamica invasiva. E’ nostra intenzione, con il presente studio, valutare
l’utilità della PRA(profilassi antibiotica) nelle donne in età fertile e in menopausa sottoposte ad esame
urodinamico invasivo.
METODI
Sono state incluse nello studio 324 pazienti di sesso femminile delle quali 62 di età compresa tra 23 e 48 anni
( età media 39 aa) e 262 donne di età compresa tra 34 e 82 anni ( età media 62 aa).
Le pazienti sono state quindi sottoposte mediante un catetere monouso bilume 6 Fr, ad esame
urodinamico invasivo convenzionale. Sia nel gruppo dei soggetti in età fertile e sia in quello in
menopausa è stata effettuata un’ assegnazione randomizzata della PRA con Norfloxacina 400 mg 6 ore
prima dell’esame urodinamico. La positività per la IVU dopo l’esame urodinamico è stata valutata in
seguito alla presenza entro 72 ore, di macroematuria e/o iperpiressia e mediante l’urinocoltura.
RISULTATI
I risultati sono stati riportati nelle tabelle I e II.
Dall’analisi statistica si evince che la differenza dell’incidenza della IVU, tra il gruppo di coloro che ha non
ricevuto la PRA e il gruppo di coloro che invece ha assunto la PRA, non è statisticamente significativa.
Donne con IVU
Donne senza IVU
Totale
PRA
9 (31%)
20 (69%)
29
Non PRA
8 (24%)
25 (76%)
33
Tabella I : incidenza di IVU in 62 donne fertili
Donne con IVU
Donne senza IVU
Totale
PRA
24 (18%)
106 (82%)
130
Non PRA
30 (23%)
102 (77%)
33
Tabella II : incidenza di IVU in 262 in donne in menopausa
CONCLUSIONI
Questo studio dimostra che l’incidenza delle IVU nei soggetti in menopausa è più elevata rispetto ai soggetti
in età fertile e che la PRA, nell’ambito dei due gruppi di pazienti, non
rappresenta un presidio clinico atto a ridurre significativamente la comparsa di IVU dopo esame urodinamico
invasivo.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Urologia Funzionale
"MINI-STATES SOTTOURETRALI AD INCISIONE SINGOLA"
dott Baccichet
E' nota l'evoluzione della chirurgia antiincontinenza che è passata nell'ultimo decennio a sostituire un
intervento invasivo come la Burch con tecniche via via meno invasive che hanno avuto il loro capostipite nella
TVT.
Tale tecnica retropubica ha trovato poi,circa 6 anni fà,la sua ulteriore evoluzione con l'avvento della tecnica
transotturatoria (TOT) che,a fronte di risultati di cura sovrapponibili alla tecnica retropubica,ha saputo ridurre
ulteriormente l'invasaività dell'intervento precedente, consentendo un ancora maggiore contenimento dei
rischi,delle complicanze e dei tempi chirurgici.
Nonostante ciò,esistendo sempre margini di miglioramento,da circa 2 anni è comparsa sul mercato la prima
minisling o sling a single incision. Una nuova tecnica chirurgica che ha saputo esasperare ancor di più le
caratteristiche di mininvasività propie della TOT determinando una eliminazione delle incisioni cutanee, una
riduzione dei tempi chirurgici e della ospedalizzazione con più precoce ripresa dell'attività,una reale possibilità
di eseguire l'intervento in anestesia locale con approccio pressochè ambulatoriale.
Nell'ultimo anno si è assistito alla comparsa di altri 3 nuovi dispositivi di questo tipo ognuno dei quali si
caratterizza per diversi aghi, diverse tape,diverse modalità e sedi di ancoraggio anatomico.
Al di là delle diverse caratteristiche dei devices, allo stato attuale,tenendo debitamente conto della casistica
numericamente limitata e del breve follow-up,i risultati preliminari sembrano evidenziare un cure rate più o
meno sovrapponibile a quello della TOT.
Dato questo elemento,ma anche per motivi concettuali,personalmente penso sia lecito supporre che in un
recente futuro , così come la TOT ha soppiantato nel trattamento chirurgico antiincontinenza routinario la
tecnica retropubica,tali sling single incision possano soppiantare a loro volta la tecnica transotturatoria
diventando il nuovo gold standard chirurgico per il trattamento della stress incontinence femminile.
Dott Roberto Baccichet
U.O.S. di uro-ginecologia
U.O.C. ostetricia-ginecologia
Ospedale civile Conegliano
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Carcinoma Prostatico
LA PROSTATECTOMIA RADICALE DI SALVATAGGIO DOPO FALLIMENTO DELLA
BRACHITERAPIA
E. Gastaldi, L. Chiono, Gallo F, M. Schenone, C. Giberti
Dipartimento di Chirurgia, U.O. Urologia,
Ospedale San Paolo
Via Genova 38, Savona
INTRODUZIONE
La recidiva locale del carcinoma prostatico dopo fallimento della brachiterapia può essere trattata con vigile
attesa, terapia di deprivazione androgenica,prostatectomia radicale (retropubica, laparoscopica, robotassistita), crioterapia, HIFU. I candidati ideali per la prostatectomia radicale di salvataggio devono presentare
un carcinoma prostatico recidivo dopo brachiterapia dimostrato all'agobiopsia, un PSA preoperatorio
preferibilmente < 10 ng/mL, nessuna evidenza di malattia sistemica alla TC ed alla scintigrafia ossea, una
aspettativa di vita > 10 anni. La radiazione induce sui tessuti fenomeni di vasculite, fibrosi ed obliterazione
dei piani tissutali che si possono tradurre in una maggiore percentuale di complicazioni chirurgiche. La fibrosi
invece dopo brachiterapia con impianto transperineale è decisamente inferiore permettendo un intervento di
salvataggio paragonabile a quello standard.
MATERIALI E METODI
Abbiamo considerato il periodo dal maggio 1999 al dicembre 2006 in cui sono state eseguite 145
brachiterapie con follow-up minimo di 2 anni. Il PSA preoperatorio medio 7,8 (range 1,5-11,2), il peso
prostatico medio 30,8 gr. (range 20-60). Il tempo operatorio medio 105 min. (range 80-125 min.) La TC postplanning è stata eseguita in tutti i pazienti dopo un mese a risoluzione dell'edema e la D90 è risultata > 140
Gy (range 145-215). Il follow-up variava da 24 a 115 mesi con il 61,3% dei pazienti che aveva un follow-up
minimo di 5 anni. Un fallimento biochimico si è registrato in 10 pazienti (6,8%) secondo i parametri ASTRO. Il
fallimento del PSA è avvenuto ad una media di 35,6 mesi.
RISULTATI
Nei 10 pazienti (6,8%) in fallimento biochimico dopo brachiterapia, 6 hanno presentato biopsie positive
indicatrici di sicuro fallimento locale e sono stati trattati 4 con prostatectomia radicale retropubica di
salvataggio e 2 con radioterapia esterna a 45 Gy. Riguardo alle complicanze abbiamo osservato un solo
paziente con incontinenza urinaria di grado III° che ha successivamente richiesto l'impianto di uno sfintere
artificiale mentre 3 pazienti su 4 (75%) hanno presentato stenosi dell'anastomosi vescico-uretrale risolta
dopo una uretrotomia in un paziente, mentre negli altri due sono stati necessari due trattamenti.
DISCUSSIONE
Il costante miglioramento del profilo di morbidità della prostatectomia di salvataggio dovrebbe convincere il
clinico a considerare un maggior numero di pazienti come candidati a questo tipo di trattamento. Un ulteriore
vantaggio potrebbe essere raggiunto con la prostatectomia radicale robot-assistita.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Carcinoma Prostatico
RUOLO DELLA BIOPSIA PROSTATICA DI SATURAZIONE NEL RISCONTRO DI NEOPLASIA
PROSTATICA CLINICAMENTE SIGNIFICATIVA: NOSTRA ESPERIENZA.
F. Fontana, M. Sala, A. Rosa, P.C. Bossola e G. Monesi.
S.C. Urologia – Ospedale S. Biagio – ASL VCO Domodossola
Introduzione ed obiettivi
Risulta ormai noto il ruolo della biopsia prostatica di saturazione nel riscontro di neoplasia prostatica
misconosciuta a precedenti riscontri bioptici in pazienti con PSA in constante incremento. Inoltre un pregresso
riscontro di HGPIN o ASAP risulta spesso indicativo di presenza di neoplasia in altre aree di parenchima
prostatico non incluse nei campionamenti bioptici. E’ altresì noto che i pazienti sottoposti a prostatectomia
radicale dopo una diagnosi di neoplasia ottenuta dopo ripetute biopsie presentano un volume tumorale
inferiore e un punteggio di Gleason più basso. Abbiamo valutato in maniera retrospettica la nostra casistica di
pazienti sottoposti a biopsia di saturazione e successiva terapia chirurgica per valutare l’effettiva significatività
clinica della neoplasia riscontrata.
Materiali e metodi
Dal giugno 2005 al febbraio 2009 sono stati sottoposti a biopsia prostatica di saturazione 92 pazienti (età
media 65,5 anni). Lo schema bioptico comprendeva 32 prelievi (24 periferici e 8 transizionali). Il PSA medio è
risultato pari a 9,6 ng/ml (range 2,3-28), il numero medio di biopsie pregresse è risultato pari a 1,8 (1-4). 19
pazienti avevano un pregresso riscontro di HGPIN o ASAP.
Risultati
E’ stata riscontrata una neoplasia prostatica in 34 pazienti (36,9%). Il numero medio di prelievi positivi è
risultato pari a 4,2/32. 28 pazienti presentavano un punteggio bioptico di Gleason pari a 6, 5 pazienti pari a 7,
1 paziente pari a 8. Complessivamente 26 pazienti con riscontro bioptico di neoplasia sono stati sottoposti a
prostatectomia radicale. Lo stadio TMN definitivo è risultato in 4 pazienti T2a, in 8 pazienti T2b, in 12 pazienti
T2c, in 2 pazienti T3a. Il punteggio di Gleason definitivo è risultato 6 in 22 pazienti, 7 in 4 pazienti. Il volume
prostatico occupato dalla neoplasia è risultato in media il 18% (range 4-32%).
Conclusioni
Anche nella nostra casistica la biopsia prostatica di saturazione ha dimostrato avere un ruolo nel riscontro di
carcinoma prostatico non diagnosticato con le biopsie a campionamento standard. All’esame istologico
definitivo nei pazienti sottoposti a terapia chirurgica è stato riscontrato nel 54% dei casi una neoplasia
interessante entrambi i lobi (in 2 casi con estensione extracapsulare). Riteniamo pertanto la biopsia prostatica
di saturazione una metodica utile per il riscontro di neoplasia prostatica clinicamente significativa e
potenzialmente evolutiva qualora misconosciuta.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Carcinoma Prostatico
RIPRESA BIOLOGICA DI MALATTIA DOPO TRATTAMENTO PRIMARIO DEL CARCINOMA
PROSTATICO.
CHIRURGIA DI SALVATAGGIO.
PRIMI RISULTATI E PRIMI INTERROGATIVI.
G.Cucchiarale, G.L. Milan, G. Mascarini, U.Ferrando
S.C. Urologia 3 - Ospedale S.Giovanni Battista – Molinette – Torino
Unità Funzionale di Urologia – Clinica Cellini - Torino
INTRODUZIONE
La ripresa biologica di malattia del carcinoma prostatico è una problematica che dobbiamo affrontare sempre più
frequentemente in una popolazione maschile già sottoposta a trattamento primario per tale patologia.
I percorsi di cura primari del CAP sono diversi rapportati alla impostazione “culturale” delle molteplici scuole urologiche
ed alla stadiazione oncologica: prostatectomia radicale associata o meno a linfoadenectomia di staging effettuata con
diversi approcci chirurgici, RT, brachiterapia, HIFU, BAT.
Tutti i percorsi terapeutici possono essere complicati da ripresa biologica di malattia a breve o a lunga distanza.
In caso di incremento dei valori di PSA possiamo focalizzare in modo sempre piu preciso la sede della secondarietà
oncologica con TC PET con colina, RM con bobina endorettale e spettroscopia, biopsia eco e/o RM guidata.
L’identificazione dei nuovi focolai di malattia tumorale può permettere ulteriori percorsi di chirurgia “radicale” di
salvataggio.
Questa chirurgia di salvataggio non deve essere vissuta come una terapia del PSA ma come un obiettivo di debulking
oncologico per permettere l’inserimento del paziente in nuovi percorsi terapeutici (chemioterapia – immunoterapia) dove
il farmaco si troverebbe a lottare contro un numero più esiguo di cellule con un migliore controllo della malattia stessa.
Seguendo questa nuova impostazione comportamentale abbiamo attivato una chirurgia radicale di salvataggio in
pazienti che avevano evidenziato una ripresa biologica di PSA dopo precedenti E DISOMOGENEI percorsi terapeutici.
MATERIALI E METODI
Dal luglio 2007 sono stati inseriti nel nostro studio sei pazienti. Tutti presentavano ripresa biologica di malattia e ripresa
di malattia evidenziata alla TC PET in sede linfonodale e/o prostatica dopo trattamento primario radioterapico, chirurgico,
ormonale,HIFU.
I pazienti sono stati sottoposti a linfoadenectomia radicale allargata estesa dai vasi renali alle fosse otturatorie ed a
prostatectomia radicale (se prima non effettuata).
In tutti i pazienti l’esame istologico documentava presenza di malattia neoplastica nei tessuti asportati.
RISULTATI
Il gruppo di pazienti in discussione è disomogeneo per i punti di partenza ma è omogeneo nelle finalità e negli obiettivi
preposti: in tutti i pazienti si è verificato, infatti, un azzeramento del PSA post operatorio.
Non si sono verificate significative complicanze chirurgiche.
DISCUSSIONE
I risultati ottenuti, pur con l’esiguità della casistica e la relativa brevità del follow-up, ci incoraggiano nel proseguimento di
questo nuovo percorso.
MESSAGGIO CONCLUSIVO
Alla luce delle nuove tecniche diagnostiche, delle mutate tecniche chirurgiche ed anestesiologiche e degli incoraggianti
studi in campo immunologico ed oncologico ci sembra riduttivo arrendersi di fronte all’incremento di un marcatore.
Riteniamo che, se le condizioni generali del paziente lo consentono, una radicalità chirurgica di salvataggio possa
essere terapeutica e propedeutica ad ulteriori percorsi di contenimento dell’evoluzione tumorale.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Carcinoma Prostatico
PROSTATECTOMIA RADICALE
BENDAGGIO DELL’ANASTOMOSI VESCICO-URETRALE IN PAZIENTI A MAGGIOR RISCHIO DI
INCONTINENZA URINARIA
Cucchiarale G., Milan G.L., Mascarini G., Ferrando U.
S.C. Urologia 3 – Ospedale S.G.Battista-Molinette - Torino
Unità Funzionale di Urologia – Clinica Cellini – Torino
Scopo del lavoro
La chirurgia radicale in pazienti sottoposti a precedente chirurgia disostruttiva o a trattamento primario per Ca
prostaico (radioterapia, HIFU, ..) è gravata da una maggior percentuale di complicanze post chirurgiche in
termini di incontinenza urinaria e di possibile ritardato consolidamento dell’anastomosi vescico-uretrale. La
tecnica chirurgica da noi adottata ci ha consentito di raggiungere ottimi risultati per quanto riguarda questi due
aspetti.
Tecnica chirurgica: Prostatectomia radicale retropubica classica. Nella maggior parte dei pazienti lo
scollamento della ghiandola dai tessuti periprostatici risultata essere più difficoltosa per le aderenze post
chirurgiche o per la diversa consistenza e trofismo tissutale.
Prima della realizzazione della classica anastomosi vescico-uretrale a punti staccati, una benderella di
Intexen® viene posizionata sulla faccia anteriore del retto e stabilizzata in posizione mediana con un punto
riassorbibile subito al di sotto dell’estremo prossimale dell’uretra. Realizzata l’anastomosi la benderella viene
“avvolta” attorno ad essa ed i suoi due estremi solidarizzati tra loro. Una “cravatta” avvolge come un regolare
manicotto circolare la anastomosi vescico-uretrale, rinforzandola ed avvolgendola ab estrinseco.
Materiali e metodi
Dal dicembre 2006 al marzo 2009 sono state da noi eseguite, 36 prostatectomie radicali con bendaggio
dell’anastomosi vescico-uretrale, in pazienti precedentemente sottoposti a trattamenti prostatici..
TURP: 23
Adenomectomia prostatica transvescicale : 7
Radioterapia per Ca 3
Trattamento HIFU 3
Età media: 68.36 (60-73)
PSA: medio 13.78 ng/ml (range 0.35-75).
G.S. pre-operatorio: medio 6.6 (6-8)
G.S. definitivo: medio 7.2 (range 6-9)
La chirurgia radicale è stata eseguita a distanza variabile dal precedente trattamento ed in un range
temporale compreso tra 2 e 144 mesi. In alcuni pazienti era presente, prima del trattamento radicale, una
incontinenza urinaria residuata al precedente trattamento.
Risultati
Infrazione del retto: 1 .Stenosi anastomosi uretrale: 2. Continenza alla rimozione del catetere : 27 pazienti
sono risultati continenti già alla rimozione del catetere vescicale. Di questi 3 hanno necessitato di un periodo di
cateterizzazione più prolungato per la presenza, nell’immediato post operatorio di sintomatologia
districo/ostruttiva.
Discussione.
L’attenzione viene particolarmente rivolta alla continenza urinaria che, nella nostra esperienza, viene raggiunta
più precocemente rispetto a quanto riportato in letteratura (incontinenza dopo chirurgia radicale 6-18 % a
seconda delle casistiche, percentuale ancora superiore dopo precedenti trattamenti prostatici).
Messaggio conclusivo
Il bendaggio perianastomotico con materiale biocompatibile Intexen®, determinando un aumento ab
estrinseco delle resistenze a livello del collo vescicale e del primo tratto dell’uretra, ha consentito di ottenere
un buon consolidamento tissutale ed un precoce raggiungimento della continenza urinaria in una categoria di
pazienti particolarmente a rischio.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi
PROGETTO PREVENZIONE ANDROLOGICA NELLE SCUOLE MEDIE SUPERIORI DELLA PROVINCIA
DI SAVONA: risultati preliminari ed impressioni
Gallo F, Rosso F, Giberti C.
Dipartimento di Chirurgia, U.O. Urologia,
Ospedale San Paolo
Via Genova 38, Savona
Introduzione ed obiettivi:
La recente abolizione del servizio militare obbligatorio, il riscontro di un incremento dei casi di infertilità, di
disfunzioni sessuali e degli effetti tossici derivati dall’abuso di droghe hanno fatto convergere recentemente
l’attenzione degli andrologi nei confronti degli adolescenti e dei giovani adulti.
Il progetto “Prevenzione Andrologica Giovani Adulti (PAGA)”, promosso con il patrocinio dell’ASL2 Savonese e
della SIA, nasce con l’obiettivo di costituire un serio punto di riferimento per tutti i ragazzi, partendo
innanzitutto da una corretta informazione e fornendo le occasioni di diagnosi e trattamento di tutte le
problematiche urogenitali maschili.
Materiali e metodi
Il progetto PAGA si articola attraverso la distribuzione di un opuscolo informativo completo di illustrazioni e
descrizioni semplificate relative alla principali malattie andrologiche, incontri in tutte le scuole medie superiori
della provincia di Savona (25), conferenze con medici di famiglia ed associazioni o circoli giovanili, un
ambulatorio pomeridiano gratuito presso cui i ragazzi possono rivolgersi per la visita e l’eventuale trattamento.
Risultati:
Dal 06/2008 ad oggi sono state visitate tre scuole medie superiori mentre altri due incontri sono in programma
per i prossimi mesi; sono stati eseguiti due incontri con i medici di famiglia della provincia; sono state tenute
due conferenze presso associazioni senza fini di lucro; 5 ragazzi si sono presentati presso l’ambulatorio con
riscontro di varicocele, prostatite, incurvamento congenito. Dagli incontri nelle scuole è emersa una scarsa
conoscenza da parte dei ragazzi delle problematiche andrologiche. I ragazzi hanno accolto favorevolmente il
progetto riconoscendone l’utilità e ponendo molte domande durante e alla fine dei nostri interventi.
Conclusioni
Pur trattandosi di risultati preliminari e quindi poco conclusivi, la nostra impressione in merito al Progetto
PAGA è quella di un’iniziativa molto faticosa a causa delle difficoltà logistiche (necessari incontri mattutini a
piccoli gruppi), relazionali nei confronti dei ragazzi (approccio cauto ma incisivo) e della scarsa collaborazione
da parte del corpo docente. Tuttavia, alla luce dei primi riscontri, il progetto PAGA si conferma come
assolutamente necessario, a causa della disinformazione dei ragazzi in merito alle problematiche
andrologiche e dei crescenti rischi ambientali e sociali a cui i giovani sono quotidianamente esposti.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi
FERTILITA’ NEL TRAPIANTO RENALE: ESPERIENZA DEL CENTRO TRAPIANTI RENALI DI TORINO
Liberale Fabiola, Lasaponara Fedele, Lerda Silvana, Bosio Andrea, Pasquale Giovanni, Sedigh Omidreza,
Fontana Dario.
Ospedale San Giovanni Battista – Molinette, Divisione Universitaria di Urologia 2, Torino.
INTRODUZIONE. Il trapianto renale offre ai pazienti affetti da insufficienza renale cronica (IRC), non solo la
possibilità di svincolarsi dal trattamento dialitico, ma anche di migliorare la Qualità di Vita (QoL) sotto molti
punti di vista. La volontà di riacquistare (e restituire) una vita sessuale attiva, e con essa la fertilità, sta
diventando un endpoint sempre più importante nella riabilitazione post-trapianto.
SCOPO DEL LAVORO. Presentare l’esperienza del Centro Trapianti di Torino nella riabilitazione dei pazienti
sottoposti a trapianto renale, con particolare attenzione alla vita sessuale, alla fertilità in entrambi i sessi.
Revisione della letteratura.
MATERIALI E METODI. Dal 1981 sono stati eseguiti 2250 trapianti di rene. Sono stati rivalutati quei pazienti
che, dopo trapianto, hanno condotto e portato a termine, gravidanza o paternità.
RISULTATI. Venticinque pazienti (10 femmine e 15 maschi) hanno portato a termine: 9 femmine 1 unica
gravidanza, una 2 gravidanze e 2 aborti; 11 maschi hanno avuto 1 figlio, uno 2 figli in 2 diverse gravidanze, 2
una gravidanza gemellare ed uno ben 3 figli.
CONCLUSIONI. Il trapianto renale non mira soltanto a prolungare la vita dei pazienti, ma a migliorarne la
qualità sotto tutti gli aspetti: psico-fisici, sociali, sessuali.
La possibilità di vivere una vita sessuale completa e soddisfacente, che possa condurre alla
maternità/paternità, fa parte di quel complesso concetto che è il miglioramento della qualità di vita, che va ben
al di là della semplice ripresa della funzionalità renale.
Dalla Nostra esperienza e dalla revisione della letteratura, possiamo dedurre che la fertilità nei pazienti
trapiantati è significativamente migliore rispetto ai pazienti in dialisi; l’attesa di 1 o 2 anni dalla normalizzazione
della funzione renale, fornisce un vantaggio sul buon esito di una gravidanza. Da tenere in considerazione è il
ruolo (negativo) della terapia immuno-soppressiva: nell’uomo, il sirolimus, ha dimostrato causare danni
all’assetto ormonale e del quadro spermatico; nella donna, l’immuno-soppressione può portare a complicanze
quali ipertensione, pre-eclampsia, infezioni, diabete, danni al feto.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi
DISTURBI DEL BASSO TRATTO URINARIO DOPO RIASSEGNAZIONE CHIRURGICA DEI CARATTERI
SESSUALI NEL DISTURBO DI GENERE ANDROGINOIDE
Giovanni Liguori, Carlo Trombetta, Maria Dolores Perrone, Laura Scati, Emanuele Belgrano
Clinica Urologica - Azienda Ospealiero-Universitaria di Trieste
Obiettivi
Obiettivo della chirurgia nel disturbo di genere androginoide è di creare un complesso perineale e genitale il
più femminile possibile dal punto di vista estetico e funzionale con la minore invasività chirurgica.
Durante l’intervento, l’uretra viene accorciata ed ampiamente spatolata sino in prossimità dello sfintere striato:
è possibile quindi che si verifichino delle modificazioni nelle abitudini minzionali e nella funzione del basso
tratto urinario.
Metodi
Su un totale di 213 pz sottoposti a RCS androginoide negli ultimi 15 aa, 78 pz (36,6%) hanno accettato di
rispondere ad un questionario telefonico.
Sono stati analizzati diversi aspetti postchirurgici, vita relazionale/sessuale e funzionalità sociale. In questo
studio focalizziamo l’attenzione sulle modifiche nella dinamica minzionale.
Risultati
L'età media all'intervento era di 33,8 anni (ds 8,2, range: 2058). Il follow up medio considerato era di 4,3 anni.
14 pazienti hanno affermato di aver sofferto di disturbi urinari nel periodo immediatamente successivo
all’intervento chirurgico. Nel dettaglio sono stati riferiti: una generica difficoltà alla minzione, una esitazione
nell’inizio della minzione, una minzione interrotta, episodi di cistite severa riportati da una sola paziente, 2 casi
di flusso urinario deviato, 3 di flusso frastagliato, una persistenza del bulbo uretrale, 2 casi di ritenzione
urinaria, una stenosi uretrale e un caso di problema urinario non meglio specificato. Si sono verificati 3 casi di
stenosi uretrale con conseguente sintomatologia di tipo ostruttivo. Inoltre abbiamo rilevato 17 casi di
incontinenza di tipo urinario, (non è stato riferito nessun caso di incontinenza fecale) e 28 pz hanno riferito
insorgenza di pollachiuria dal momento dell’intervento. Perdita di urine con sforzo o tosse è stata riferita da 10
pz. Infine infezioni urinarie si sono verificate in 30 pz. 2 pzi hanno riferito presenza di cistiti recidivanti e 5 di
cistiti comparse solo nel periodo immediatamente successivo all’intervento
Conclusioni
Riteniamo che prima del trattamento i pz dovrebbero essere informati sull’eventualità di insorgenza di disturbi
del basso tratto urinario dopo chirurgia di genere. A spiegazione di questo esistono secondo noi alcune
ipotesi: la possibile lesione del complesso sfinterico e della muscolatura perineale, l’alterazione della normale
statica pelvica, l’accorciamento dell’uretra, il danneggiamento dell’innervazione vescicale.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi
Associazione di tadalafil e afluzosina in pazienti affetti da DE e LUTS: esiste un effetto sinergico?
Giovanni Liguori1, Gioacchino De Giorgi2, Giorgio Pomara3, Giuseppe Maio4, Daniele Vecchio5, Stefano Bucci,
Antonio Amodeo, Giuseppe Ocello1, Sara Benvenuto1, Carlo Trombetta1, Emanuele Belgrano1
1 Clinica Urologia, Azienda Ospedalierouniversitaria di Trieste
2 Clinica Urologia, Azienda Ospedalierouniversitaria di Udine
3 Urologia, Ospedale Santa Chiara, Pisa
4 Urologia, Abano Terme (PD)
5 Urologia, Negrar (VR)
Obiettivi: Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato l’esistenza di una stretta associazione tra LUTS e disfunzioni
della sfera sessuale.
Obiettivo di questo studio è valutare la possibilità, la sicurezza e l’efficacia di una terapia di associazione (afluzosina e
tadalafil) nel trattamento dei pazienti con LUTS affetti da DE.
Metodi: Sono stati arruolati 58 pazienti (età media 61 anni, range 50-75) affetti da LUTS e DE che non avevano mai
ricevuto in passato alcun trattamento. I pazienti sono stati randomizzati in 3 gruppi: gruppo A afluzosina 10 mg 1 cp/die
(18 pazienti); gruppo B tadalafil 20 mg 1 cp a giorni alterni (19 pazienti); gruppo C afluzosina 10 mg 1 cp/die più
tadalafil 20 mg 1 cp a giorni alterni (21 pazienti). Criteri di arruolamento: LUTS moderata o severa; anamnesi di DE di
qualsiasi grado; età 50-75 anni. Criteri di esclusione: controindicazione all’uso del farmaco, residuo
postminzionale>100ml. Tutti i pazienti sono stati valutati all’inizio e dopo 8 settimane di trattamento.
La sintomatologia urinaria soggettiva è stata autovalutata mediante l’International Prostate Symptom Score (IPSS). La
frequenza e la nicturia tramite diario minzionale. Le risposte inerenti la qualità di vita (QoL) ed il numero di levate
notturne sono state valutate separatamente. Inoltre sono stati sottoposti ad uroflussometria con valutazione del flusso
massimo (Qmax), medio (Qave) e valutazione ecografia del residuo postminzionale.
La funzione erettiva è stata autovalutata mediante l’International Index of Erectile Function – Erectile Function Domain
(IIEF-EF, domande 1-5, 15). Le risposte alla domanda 15 sono state valutate separatamente.
Risultati: Abbiamo ottenuto un miglioramento del punteggio IPSS con tutti e 3 i trattamenti, ma è risultato più importante
nel gruppo C che eseguiva terapia di associazione (-42 %, p=0.000) rispetto al gruppo A, solo afluzosina (-27%,
p=0.001)) ed al gruppo B, solo tadalafiland (-8%, p = 0.06). Qmax e Qave sono migliorati significativamente nei 3 gruppi,
ma maggiormente nel gruppo che eseguiva terapia di associazione.
Allo stesso modo il miglioramento dell’IIEF-EF è stato lieve con solo afluzosina (15%), marcato con tadalafil (36%), ma
ancora maggiore con terapia di associazione (38%).
Conclusioni: Studi clinici recenti suggeriscono che i farmaci alfa litici potrebbero avere un effetto benefico sulla DE
grazie ad un’azione diretta di rilasciamento sul corpo cavernoso.
Viceversa diversi autori hanno riportato risultati positivi sui LUTS mediante utilizzo di farmaci inibitori della PDE-5. La
presenza di NO e di isoenzimi PDE-5 sono stati dimostrati nella prostata: l’effetto sui LUTS potrebbe dipendere da un
aumento dell’attività dell’NO con conseguente rilasciamento delle fibrocellule muscolari liscie a livello dell’uretra
prostatica.
Sulla base di queste evidenze è stato recentemente ipotizzato che la somministrazione contemporanea di un α1bloccante e di un inibitore della PDE-5 in pazienti affetti da LUTS e DE associata possa potenziare l’effetto benefico del
singolo farmaco somministrato da solo.
Sulla base dei risultati del nostro studio possiamo concludere che la terapia di associazione con afluzosina 10mg al
giorno più tadalafil 20 mg a giorni alterni è sicura ed più efficace della semplice monoterapia con ciascun singolo
farmaco nel migliorare sia i sintomi urinari che la DE.
Appare del tutto evidente che questi dati preliminari debbano essere confermati da studi placebo-controllati su larga
scala.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi
VALUTAZIONE SESSUOLOGICA A LUNGO TERMINE NEI PAZIENTI OPERATI PER TUMORE DEL
TESTICOLO
Carlo Trombetta, Giorgio Mazzon, Laura Scati, Giovanni Liguori, Giangiacomo Ollandini, Sara Benvenuto,
Stefano Bucci, Emanuele Belgrano
Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste
Obiettivi
Il tumore del testicolo (TT) è il tumore solido più frequente nei maschi tra i 15 e i 45 anni. Scopo di questo
lavoro è valutare la qualità di vita sessuale nei pazienti trattati per TT, indagando tre funzioni sessuologiche
fondamentali: libido, erezione ed eiaculazione. Si è inoltre cercato di valutare come i diversi trattamenti
influenzino la vita sessuale.
Metodi
E’ stato compiuto uno studio retrospettivo su 109 pz sottoposti a orchifuniculectomia (OCT) tra il 1994 e il
2008 (età media 36,2 anni, range 4-85). I dati sono stati raccolti mediante intervista telefonica, con un
questionario appositamente creato. Sono stati confrontati i dati ottenuti tra 4 gruppi: pz solo sottoposti a OCT,
sottoposti anche a linfadenectomia retroperitoneale (RPLND), radiotrattati e chemiotrattati. I dati ottenuti sono
stati valutati mediante test di Fisher.
Risultati
60 pz (55,04% del totale, età media 32 anni, range 18-59 ) hanno risposto al questionario, di questi 15 ( 25%
degli intervistati) sono anche stati sottoposti a RPLND, 27 (45% degli intervistati) a radioterapia e 17 (28,33%
degli intervistati) a chemioterapia. Si sono osservati 21 disturbi sessuologici in 16 pz, di cui 10 (16,66%) cali
della libido, 5 (8,33%) deficit erettili (DE) e 6 (10%) disturbi dell’eiaculazione. Il gruppo di pz sottoposti solo a
OCT accusa meno disturbi (6,25%, p=0,025) rispetto ai pz sottoposti a radioterapia, RPLND o chemioterapia
(18,5%, 20,0%, 35,29% con p=0,222, p=0,238 e p=0,229 rispettivamente). L’età avanzata appare essere un
fattore di rischio per DE (42,6 anni di età media rispetto ai 32 anni dell’ intero gruppo, p=0,05). Circa metà dei
pz con disturbi risolve i propri sintomi entro un anno (21 disturbi nel primo anno, 11 l’anno successivo).8
pazienti dei 16 con disturbi ritengono la propria vita sessuale segnata dalla terapia, e la complicanza che più
influenza la vita sessuale dei pazienti è la DE (5 su 8).
Conclusioni
Il numero di pz con disturbi sessuologici appare modesto, e questo si riduce ulteriormente un anno dopo il
termine della terapia. La chemioterapia è il trattamento che più causa disturbi, seguito da radioterapia e
RPLND. La sfida che si presenta all’urologo risiede nella preservazione di una soddisfacente attività sessuale
in un gruppo di pazienti giovani ed interessati alla guarigione, ma anche alla preservazione di una buona vita
sessuale.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi
TERAPIA DEL LICHEN SCLEROSUS E PLANUS VAGINALE. NOSTRA ESPERIENZA
Sara Benvenuto, Giovanni Liguori, Carlo Trombetta, Giuseppe Ocello, Stefano Bucci, Antonio Amodeo,
Emanuele Belgrano
Clinica Urologica; Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste
Obiettivi
Lichen sclerosus e lichen planus, patologie infiammatorie croniche ad eziologia sconosciuta, causano distrofia
vulvare e atrofia vaginale. In letteratura viene descritta prevalentemente la terapia medica. In alternativa
proponiamo 2 soluzioni chirurgiche.
Metodi
Tre donne, 2 affette da Lichen sclerosus ed 1 affetta da Lichen planus, giungono alla nostra attenzione per
cistiti recidivanti, disuria e disfunzioni sessuali quali disturbi dell’eccitamento, dispareunia e anorgasmia
Obiettivamente si evidenzia la presenza di atrofia completa della vulva, con perdita delle normali papille, delle
grandi e delle piccole labbra, clitoride atrofico e ricoperto da cute fibrosa e pallida. L’introito vaginale è
stenotico, la mucosa vaginale è rigida e scarsamente distensibile. Il meato uretrale appare stenotico e fibroso.
Due pazienti sono state sottoposte ad intervento di meatoplastica e dilatazione vaginale manuale con
incisione delle sinechie vaginali e vulvari al fine di ripristinare una fisiologica anatomia. Una paziente, che
presentava stenosi grave della vagina è stata invece sottoposta a vaginoplastica di ampliamento attraverso
l’utilizzo di due anse ileali detubularizzate ed anastomizzate tra di loro utilizzando il principio della tecnica di
Monti.
In tutti e 3 i casi è stato posizionato un tutore vaginale siliconato. Le 2 pazienti che sono state sottoposte a
trattamento mini-invasivo sono state trattate con medicazioni topiche con testosterone propionato 2%.
Risultati
Il risultato estetico è stato buono in tutti i casi. Le pazienti sottoposte a meatoplastica hanno avuto un
miglioramento della sintomatologia urinaria; l’uroflussometria, a un mese dall’intervento, ha evidenziato valori
al dì sotto della norma ma con trascurabile residuo-post-minzionale.
Dal punto di vista sessuale invece persistono disfunzioni dell’eccitamento con secchezza vaginale,
insensibilità clitoridea, dispareunia all’introito e anorgasmia.
Conclusioni
In letteratura, se la diagnosi avviene nelle prime fasi di manifestazione della malattia sono descritte terapie
con corticosteroidi, uso topico di tacrolimus 0,1% e dilatazioni vaginali che sono in grado di rallentare ma non
interrompere la progressione della patologia. Nei casi qui riportati non è stato possibile una terapia medica a
causa del quadro clinico ormai avanzato pertanto è stato necessario intervenire chirurgicamente con ottimi
risultati estetici ma non funzionali dal punto di vista sessuale.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi
IMPORTANZA DI ETA’ E REFLUSSO VENOSO QUALI FATTORI PREDITTIVI DEL MIGLIORAMENTO DEI
PARAMETRI SEMINALI DOPO SCLEROTIZZAZIONE DEL VARICOCELE
Giovanni Liguori, Carlo Trombetta, Giorgio Pomara1, Paolo Turchi2, Antonio Amodeo, Bernardino de Concilio,
Giangiacomo Ollandini, Giorgio Mazzon, Stefano Bucci, Andrea Lissiani, Emanuele Belgrano
Clinica Urologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste
1. Urologia, Ospedale Santa Chiara, Pisa
2. Andrologia, Prato
Obiettivi.
L’efficacia della correzione del varicocele nel migliorare i parametri seminali è ancora incerta,tanto che i pareri
sull’utilità della sua correzione sono ancora dibattuti.Il nostro studio si pone 2 obiettivi:dimostrare l’utilità della
correzione del varicocele e in particolare come il principale fattore predittivo di un suo maggior beneficio sia la
presenza di un reflusso basale reno-spermatico all’indagine EcoColorDoppler (ECD) preoperatoria; e
dimostrare che la correzione del varicocele risulta utile indipendentemente dall’età dei pazienti trattati.
Materiali e Metodi
Tra il 2002 e il 2007 sono stati selezionati 113 pazienti di età compresa tra 18 e 44 anni(media:32,2) sottoposti
a sclerotizzazione di varicocele sinistro senza alterazioni ormonali o recidive post operatorie. Tra essi 24
>40anni.Tutti i pz sono stati sottoposti a valutazione pre e post operatoria di:esame obiettivo, spermiogramma,
ECD scrotale e valutazione ormonale. In base all’ECD i pz sono stati suddivisi in 5 gruppi secondo Sarteschi:
grado 1 (7 pz), gr 2 (21), gr 3 (38), gr 4 (34) gr 5 (13).I parametri seminali analizzati sono la concentrazione
spermatica, la percentuale di forme mobili e la percentuale di forme morfologicamente tipiche.I risultati ottenuti
sono stati correlati con l’età e con il grado di varicocele secondo Sarteschi, che individua nei gradi 4 e 5 i
pazienti con reflusso basale. L’analisi statistica,eseguita con SPSS 15.0 è stata condotta con i test di
Wilcoxon, U di Mann-Whitney e con la ricerca di una regressione lineare significativa.
Risultati
Il miglioramento dei parametri seminali si è rilevato sia nella popolazione totale sia per ciascun grado della
malattia. Dall’analisi dei raggruppamenti di pazienti in base al grado di varicocele risulta che pazienti senza
reflusso basale (gr 1,2,3) e con reflusso basale (gr 4 e 5) presentano significative differenze di incremento di
concentrazione spermatica: essa per il primo gruppo passa da 15 a 25 milioni/mL (61%) per il secondo da 14
a 34 mil/mL (+139%); p=0,002. L’età dei pazienti non risulta invece essere in alcun modo correlata a una
differente risposta postoperatoria dei parametri seminali.
Conclusioni
Nella nostra casistica la presenza del reflusso basale all’ECD preoperatorio è un fattore predittivo di una
migliore risposta spermatica dopo correzione del varicocele. Tale risposta rimane invariata se correlata all’età
dei pazienti, tanto che risulta utile il trattamento dei pazienti con età anche maggiore ai 40 anni.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi
AVULSIONE DELLA CUTE PENIENA: UN APPROCCIO CONSERVATIVO
Negro Carlo, Destefanis Paolo, Bosio Andrea, Bisconti Alessandro, De Maria Claudia, Cugiani Alberto,
Carchedi Mariateresa, Buffardi Andrea, Schillaci Cristina, Liberale Fabiola, Rolle Luigi, Fontana Dario.
Divisione Universitaria di Urologia 2, Ospedale “San Giovanni Battista – Molinette”, Torino
Introduzione.
L’avulsione della cute dei genitali maschili è una urgenza urologica rara. Sebbene non metta in
pericolo la vita dell’individuo tale lesione ha un impatto fisico e psicologico molto importante. Se non
correttamente trattata in urgenza può portare a conseguenze estetico-funzionali gravi e talora
permanenti.
Materiali e Metodi
Presentiamo il caso di un uomo di 58 anni, che si è presentato presso il Pronto Soccorso del Nostro
Nosocomio per avulsione traumatica della cute peniena causata da una caduta dalla bicicletta.
All’ispezione vi era un degloving quasi completo della cute peniena, con integrità della fascia di Buck
ed una lacerazione della cute scrotale senza coinvolgimento dei testicoli. La cute peniena
traumatizzata era però ancora attaccata, per mezzo di un piccolo flap cutaneo, alla cute dell’angolo
peno-scrotale e presentava una vascolarizzazione conservata. Il paziente è stato quindi sottoposto ad
intervento chirurgico di asportazione delle porzioni necrotiche ed è stato ricoperto con il lembo di cute
attaccato all’angolo peno-scrotale, data la buona vascolarizzazione, attraverso suture in acido
poliglicolico 4/0. La breccia scrotale è stata riparata con acido poliglicolico 4/0.
Risultati
Il lembo cutaneo residuo è stato sufficiente a coprire la soluzione di continuo. Il paziente è stato
sottoposto a terapia antibiotica ad ampio spettro per 1 mese , senza infezioni della cute.
Dalla IV giornata post-operatoria il paziente ha iniziata a lamentare erezioni notturne dolorose, per lo
stiramento delle suture, ed è stato dimesso dopo 5 giorni di degenza.
Dopo 1 settimana si è assistito ad iniziale necrosi circoscritta della porzione più superficiale del flap
cutaneo utilizzato, con estensione della necrosi a tutto il flap entro 2 settimane. Data però la presenza
di tessuto di granulazione al di sotto del tessuto necrotico, non è stato eseguito alcun intervento di
asportazione del lembo cutaneo e sostituzione con altro lembo od innesto. Ad un mese di distanza
dall’intervento si è assistito a completa riepitelizzazione del lembo cutaneo. A 3 mesi il paziente ha
ripreso l’attività sessuale con normale funzione erettile ed assenza di incurvamento penieno.
Conclusioni
Le avulsioni della cute peniena sono rare, ma i risultati estetico-funzionali dipendono strettamente
dall’approccio terapeutico scelto e dalla tempistica di intervento. Purtroppo, data l’esiguità dei casi,
non esistono approcci standardizzabili e universalmente accettati, per cui bisogna individualizzare la
terapia in base al quadro clinico. Punto cruciale dell’approccio è la vascolarizzazione della cute
peniena ed eventualmente del lembo che si decide di utilizzare per coprire la soluzione di continuo.
Nel nostro caso, dato che la vascolarizzazione del lembo di cute peniena risultava buono si è deciso di
utilizzarlo per la ricostruzione con ottimi risultati sia estetici sia funzionali.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi
NEFROLITOLAPASSI PERCUTANEA (PCNL) IN POSIZIONE SUPINA: ESPERIENZA MONOCENTRICA SU
OLTRE 120 CASI
P. Salsi, A. Frattini, S. Ferretti, P. Granelli, F. Dinale, P. Cortellini
U. O. di Urologia – Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma (Direttore: Prof. P. Cortellini)
INTRODUZIONE
La nefrolitolapassi percutanea (PCNL) è tecnica ormai consolidata nella gestione della litiasi renale complessa
e di grosse dimensioni. La procedura eseguita in posizione supina consente il dominio anterogrado e
retrogrado delle vie escretrici aumentando la clearance litiasica complessiva e riducendo il numero di accessi
multipli necessari. Riportiamo la nostra casistica di PCNL supine, confrontandola con i dati “storici” delle nostre
PCNL in posizione prona.
MATERIALI E METODI
Le prime PCNL sono state eseguite presso la nostra Unità Operativa nel 1991, da allora abbiamo effettuato
circa 700 PCNL; dall’aprile 2004 si effettuano procedure in posizione supina e a tutt’oggi abbiamo eseguito
con questa tecnica 129 interventi in 120 pazienti. Dal luglio 2004 abbiamo iniziato l’impiego dell’ureteroscopio
flessibile per effettuare la puntura del calice e la creazione del tramite sotto visione diretta endoscopica
(tecnica “Endovision”) finora utilizzata in 40 pazienti. I parametri considerati sono: le caratteristiche dei pazienti
e dei calcoli, il tempo operatorio medio, il tempo medio di esposizione radiologica, le perdite ematiche e
l’eventuale necessità di emotrasfusione, il tempo medio alla rimozione del drenaggio nefrostomico quando era
presente, il tempo medio di degenza, le eventuali complicanze intra- e postoperatorie e la loro risoluzione, la
percentuale di “stone-free” alla dimissione; tali dati sono stati analizzati statisticamente e confrontati con la
nostra casistica “storica” di oltre 500 PCNL in posizione prona.
RISULTATI
Confrontando i dati con la casistica in posizione prona, abbiamo osservato una significativa riduzione dei
tempi operatori medi (circa 25 minuti) e una riduzione dell’esposizione radiologica, ancor più significativa
considerando il sottogruppo delle procedure eseguite con tecnica “Endovision”; l’entità delle perdite ematiche
e la necessità di emotrasfusione è stata sovrapponibile fra i due gruppi, come pure il tempo medio alla
rimozione del drenaggio nefrostomico e di degenza; non abbiamo avuto alcun decesso e non sono state perse
unità renali per complicanze intra-, peri- o postoperatorie; in nessun caso è stato necessario convertire
l’intervento alla posizione prona o in open. Nettamente ridotto il ricorso ad accessi multipli, anche se in alcuni
casi si è dovuto ricorrere a interventi in più tempi per la complessità della litiasi. È significativamente migliorata
la percentuale di “stone- free” alla dimissione, che considerando il sottogruppo delle procedure “Endovision” è
arrivata a sfiorare il 100%.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
La PCNL in posizione supina permette di affrontare litiasi complesse e di grosse dimensioni
analogamente alla PCNL in posizione prona; è tecnica applicabile, sicura e riproducibile; se coniugata
con la procedura “Endovision” permette di ridurre l’esposizione radiologica, virtualmente azzerandola
se viene effettuata la puntura sotto controllo ecografico e la dilatazione si esegue sotto controllo
diretto endoscopico; la precisione che si può ottenere nella puntura stessa permette di ridurre
significativamente le possibili complicanze emorragiche legate all’incongruità del tramite. Il dominio
contemporaneo anterogrado e retrogrado della via escretrice permette una più rapida e completa
clearance litiasica e riduce la necessità di ricorrere ad accessi multipli, sempre gravati da rischio
emorragico aggiuntivo. La riduzione dei tempi operatori dipende dalla posizione progravitaria del
tramite in supina, che permette con il semplice lavaggio di evacuare parte dei frammenti litiasici.
Inoltre la via escretrice rimane sempre a bassa pressione anche in caso di procedure molto
prolungate, riducendo il rischio di nefropatie da reflusso canalicolare. Non ultimo, la maggiore
clearance litiasica e il ridotto rischio emorragico permettono di effettuare procedure “Tubeless”, che
permettono un migliore comfort postoperatorio del paziente, la riduzione dei tempi di degenza e
l’assenza di rischi emorragici legati alla rimozione postoperatoria del drenaggio nefrostomico, di
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi
sovente causa delle principali complicanze osservate in queste procedure. Per le sue caratteristiche la
PCNL in posizione supina è particolarmente indicata nei pazienti pediatrici.
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CALCOLOSI DI 2,8 – DIIDROSSIADENINA. DESCRIZIONE DI UN CASO CLINICO.
Arancio M., Ranzoni S., Delsignore A., Cammarano R., Landi G., Marcato M., Mina A., Martinengo C.
ASL “NO”. S.C. Urologia. Ospedale SS. Trinità. Borgomanero (NO).
OBIETTIVI: Il deficit di adenina fosforibosil transferasi (APRT) è una patologia autosomica recessiva. APRT è
un enzima di salvataggio che catalizza la sintesi di adenina monofofato a partire da adenina e 5 fosforibosil
pirofosfato. Il deficit di APRT provoca un accumulo di adenina, la quale, in seguito ad ossidazione si trasforma
in 2,8 - diidrossiadenina (2,8 - DHA), composto altamente insolubile, il cui accumulo porta a cristalluria ed alla
formazione di calcoli renali.
MATERIALI E METODI: P.T, 52 anni, maschio, giunge alla nostra osservazione per colica renale sinistra. In
anamnesi vengono riportati numerosi episodi di colica renale bilateralmente, risolti con espulsione spontanea
di materiale litiasico e 2 trattamenti ESWL per calcolosi renale sin. La calcolosi si presentava sempre
radiotrasparente. La chemolitolisi orale, eseguita più volte, non ha mai avuto successo.
Una urografia i.v. dimostrava calcolosi radiotrasparente caliciale inferiore (1,5 cm) ed ureterale lombare
sinistra (0,6 mm). Il calcolo ureterale è stato espulso spontaneamente; il calcolo renale è stato trattato con
successo mediante ESWL.
RISULTATI: L’analisi spettrofotometrica era compatibile con litiasi di 2,8 – diidroadenina. E’ stata instaurata
terapia con Allopurinolo. A 3 mesi dal trattamento il paziente è asintomatico e presenta all’ecografia
addominale minima calcolosi caliciale inferiore sinistra residua ed assenza di idronefrosi.
CONCLUSIONI: La 2,8 – diidrossiadeninuria è una patologia rara. L’incidenza di eterozigosi varia dal 0,4 al
1,2 %. L’unica manifestazione clinica è la calcolosi urinaria. Vengono riconosciuti due tipi di deficit. Tipo I,
osservato nella popolazione caucasica, in cui l’enzima non è rilevabile ed un tipo II, presente nella
popolazione giapponese, in cui l’enzima ha una bassa affinità con il fosforibosilpirofosfato. La terapia medica
consiste in Allopurinolo e dieta povera in purine. L’alcalinizzazione urinaria non risulta efficace. La urolitiasi di
2,8 – diidroadenina, sebbene molto rara, può essere presa in considerazione in caso calcolosi
radiotrasparente recidivante non rispondente alla chemolitolisi orale.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi
La RIRS di necessità con ureteroscopio semirigido e laser ad olmio nel trattamento della calcolosi
ureterale retropulsa .
M. Ruoppolo, M. Gozo, R. Milesi, R. Spina, O. Risi, A. Manfredi
U.O. Urologia,Azienda Ospedaliera “Ospedale Treviglio Caravaggio” (Bg), Direttore: M. Ruoppolo
Introduzione: La RIRL: Retrograde Intra Renal Lithotripsy, attuata con strumenti rigidi e flessibili e con l’ausilio del laser
rappresenta una procedura ormai largamente validata nel trattamento retrogrado della calcolosi pielica e caliciale come
alternativa alla ESWL e alla PCNL o dopo il fallimento di queste. In realtà l’utilizzo estensivo di tale metodica richiede
perizia ed esperienza nell’impiego di strumenti flessibili estremamente sofisticati e facilmente deteriorabili ed è quindi
ristretto, nella pratica quotidiana, a pochi centri. Quando in corso di ureterolitolapassi o ureterolitotrissia effettuata con
strumenti rigidi o semirigidi si verifica la retropulsione dell’urolita si pongono all’operatore molteplici alternative: ESWL o
PCNL immediata, stenting ureterale e successiva ESWL, stenting + PCNL, RIRL con flessibile, RIRL con ureteroscopio
semirigido. Quest’ultima soluzione, quando sia praticabile, rappresenta sicuramente la scelta meno indaginosa per
l’urologo e la più soddisfacente per il paziente.
Casistica: Dal gennaio 2008 abbiamo la disponibilità del laser ad olmio. Nel periodo 1/2008 – 3/ 2009 abbiamo trattato
con ureteroscopia 48 calcoli: 27 dell’uretere pelvico, 13 iliaci e 8 lombari. Una retropulsione accidentale si è verificata in
6 casi di cui 5 calcoli dell’uretere lombare. In 3 casi era stata precedentemente posizionata una nefrostomia per grave
dilatazione e compromissione funzionale del rene o per sepsi urinaria. Per evitare ulteriori migrazioni del calcolo verso il
calice medio o inferiore è stato ridotta l’altezza del tavolo operatorio, istituito un Trendelenburg di 15-20° e basculato il
piano in senso latero-mediale. La litotrissia è stata eseguita mantenendo il laser a bassa frequenza e media potenza.
Risultati: La RIRL con ureteroscopio rigido ha avuto successo in 4 casi su 6. Il calcolo è stato raggiunto nella pelvi o nel
calice superiore e trattato con il laser fino ad ottenere una frammentazione efficace. Abbiamo iniettato, in due casi,
come suggerito da Zehri, un gel di lidocaina per limitare le escursioni del calcolo, mentre la presenza della nefrostomia
ha permesso di mantenere una buona visibilità anche a bassa pressione. I frammenti sono stati completamente eliminati
nei giorni successivi alla rimozione del cateterino lasciato in sede per 24-48 ore..
Discussione: La retropulsione di un calcolo ureterale si verifica nel 3 – 48 % dei casi durante la litotrissia balistica e fino
al 25 % dei casi nella litotrissia con laser ad olmio. Nell’uretere lombare la frequenza della retropulsione à almeno il
doppio che nell’uretere pelvico. Il sito di migrazione del calcolo riportato più frequentemente in letteratura è la pelvi (
60%) seguita dal calice superiore (25%). Relativamente infrequente la migrazione immediata nel calice medio od
inferiore (15%). Il sito di migrazione dipende dalle dimensioni del calcolo, dall’anatomia del sistema collettore, dal
decubito del paziente, dalla pressione di lavaggio e dalla presenza di ostacoli. L’ureterolitolapassi con strumento
semirigido sottile che è considerata come metodica di prima scelta, addirittura comparabile all’espulsione spontanea per
la rapidità di risoluzione del problema (Tasca 2007) si pone come scelta plausibile qualora la retropulsione sia avvenuta
in una sede raggiungibile dallo strumento. Addirittura sono state proposte manovre particolari come il needle renal
displacement di Mugiya per permettere all’ureteroscopio di raggiungere il calcolo orientando il rene dall’esterno. Cosi
come una serie di dispositivi: basket di varie fogge, anse, cateteri a palloncino, il paraschute (Alken), il lithocath
(Denstedt) e lo stone-cone (Maislos) e ancora l’iniezione di polimeri sono state reclamizzate con l’intento di evitare la
dislocazione del calcolo. Nella nostra esperienza si sono comunque dimostrati efficaci sia la nefrostomia che il gel di
lidocaina. Possiamo ritenere la RIRL con ureteroscopio semirigido una metodica rapida, risolutiva, economica e facile da
eseguire anche se ovviamente limitata alle sedi raggiungibili: pelvi e calice superiore e proponibile per calcoli di
dimensioni superiori a 8-10 mm. Necessita comunque di uno strumento di lunghezza adeguata ma consente l’impiego di
qualunque tipo di energia. E’ comunque scevra da complicanze e non pregiudica alcun tipo di procedura successiva.
58 Convegno SUNI
Video - Laparascopia
LA NEFRECTOMIA LAPAROSCOPICA CON ACCESSO RETROPERITONEALE.
L. Repetto (1), G. Pasquale (2), P. Mondino (1), M. Oderda (1), P. Gontero (1) U. Ferrando (3),
D. Fontana (2) A. Tizzani (1).
(1): S.C. Urologia I, Prof. A. Tizzani, Ospedale Molinette, Torino.
(2): S.C. Urologia II, Prof. D. Fontana, Ospedale Molinette, Torino.
(3): Direttore Servizio Urologia della Clinica Cellini,Torino (già Direttore Urologia III Ospedale Molinette).
Introduzione
La chirurgia mininvasiva sta rapidamente assumendo una posizione evidente nell’ambito
dell’assistenza sanitaria. La laparoscopia, anche in urologia, è giunta ad occupare un ruolo
importante come alternativa alla chirurgia a cielo aperto.
Il retro-peritoneo può essere laparoscopicamente raggiunto per via trans-peritoneale e per via retroperitoneale con vantaggi e svantaggi propri di ciascuna tecnica.
Materiali e metodi
La nefrectomia per patologia non neoplastica eseguita con tecnica laparoscopica viene da noi
proposta come prima opzione terapeutica.
Certamente l’accesso retro-peritoneale rende il campo operativo più ridotto, se si confronta con
l’accesso trans-peritoneale ma allo stesso tempo, a nostro avviso, presenta dei vantaggi non
trascurabili.
A livello del peduncolo vascolare l’anatomia topografica presenta prima l’arteria renale e poi la vena
renale. La complessità dell’anatomia topografica laparoscopica è relativamente più semplice ed il
dominio emorragico è quindi relativamente più agevole.
Qualora il paziente avesse subito plurimi interventi addominali l’accesso retro-peritoneale è sempre
perseguibile. Le controindicazioni all’accesso retroperitoneale sono le infezioni croniche renali o
pregressi interventi chirurgici al parenchima stesso.
L’accesso retroperitoneale incide molto meno sulla compressione del muscolo diaframmatici
determinata dalla pressione del gas (pari a 12 mmHg ). Si comprime il lato omolaterale del
diaframma, mentre il controlaterale non subisce pressioni positive. Riteniamo, per altro, che la
compressione sulla vena cava sia sovrapponibile alla stessa compressione che si attua nella tecnica
eseguita per via trans-peritoneale
Siamo soliti posizionare il paziente in decubito lombare con sondino naso-gastrico, catetere
vescicale e modica spezzatura .
Lo spazio retroperitoneale viene creato con apposite manovre e utilizziamo un palloncino reniforme
per aumentare lo scollamento e favorire l’emostasi. Posizioniamo due trocars, rispettivamente a
destra ed a sinistra dell’ottica laparoscopica.
Nell’eventualità si dovesse convertire la tecnica laparoscopica in chirurgia aperta la posizione del
paziente non viene variata.
Risultati
Da alcuni anni attuiamo questa tecnica nelle nefrectomie senza implicazioni tumorali o in
selezionatissimi casi neoplastici (tumorectomie, termoablazione).
Presentiamo un video che descrive la tecnica laparoscopica da noi adottata
58 Convegno SUNI
Video - Laparascopia
IL PRELIEVO LAPAROSCOPICO DI RENE DA DONATORE VIVENTE PER
TRAPIANTO. La nostra esperienza
L. Repetto (1), G. Pasquale (2), P. Mondino (1), M. Oderda (1), U. Ferrando (3), D. Fontana (2),
A. Tizzani (1).
(1): S.C. Urologia I, Prof. A. Tizzani, Ospedale Molinette, Torino.
(2): S.C. Urologia II, Prof. D. Fontana, Ospedale Molinette, Torino.
(3): Direttore Servizio Urologia della Clinica Cellini,Torino (già Direttore Urologia III Ospedale Molinette).
Introduzione
Dati provenienti dal registro dell’United Network for Organ Sharing (U.S.A.) indicano che sia la durata
del rene trapiantato sia la sopravvivenza dei pazienti trapiantati con organo proveniente da donatore
vivente risultano maggiori rispetto a quelle dei pazienti che hanno ricevuto il rene da donatore cadavere.
Il prelievo laparoscopico di rene offre significativi vantaggi.
Il donatore infatti si giova di un breve ricovero ospedaliero, di un pronto ritorno alle normali attività e
all’impiego lavorativo, di una minore necessità di farmaci analgesici e di un miglior risultato estetico.
Inoltre la laparoscopia non compromette né il risultato né la sopravvivenza del trapianto.
Materiali e metodi
Preleviamo di preferenza il rene sinistro per motivi d’ordine anatomico in previsione del trapianto vero e
proprio. La vena renale è più lunga che a destra e il fegato non nasconde parte del campo operatorio.
Siamo soliti usare tre accessi: uno per l’ottica, due per gli strumenti operatori.
La via d’aggressione al rene è rigorosamente trans-peritoneale.
Esponiamo la vena renale e l’arteria, ambedue sino alla loro congiunzione con la cava e l’aorta.
Proseguiamo l’isolamento dell’uretere sino all’incrocio con i vasi iliaci ed oltre. “clampiamo” l’uretere solo
distalmente e lo sezioniamo.
Proseguiamo con lo scollamento del rene dal grasso perirenale e lo isoliamo totalmente mantenendo
integra la vascolarizzazione renale.
Solo a questo punto, in sede sovra-pubica eseguiamo un’incisione secondo la tecnica di Pfannenstiel
della lunghezza di 7 cm sino al peritoneo che manteniamo momentaneamente integro.
Posizioniamo in questa sede un trocar da 15 mm ed attraverso lo stesso introduciamo un sacchetto
laparoscopico, che apriamo in addome.
Solo adesso “clampiamo “ e sezioniamo, nell’ordine, l’arteria e la vena renale.
Cosi completamente liberato l’organo viene introdotto nel sacchetto ed estratto dall’addome.
Risultati .
Dal luglio 2000 eseguiamo il prelievo di rene da vivente unicamente con tecnica laparoscopica.
Sino ad oggi (febbraio 2009) abbiamo eseguito 63 prelievi.
Tutti i reni prelevati sono stati trapiantati e tutti hanno ripreso la loro funzione.
58 Convegno SUNI
Video - Laparascopia
TECNICA DI SURRENALECTOMIA LAPAROSCOPICA RETROPERITONEALE
P. Parma, B. Dall’Oglio, A. Samuelli, C. Bondavalli
Divisione di Urologia
Ospedale Carlo Poma Mantova
Introduzione: la laparoscopia è diventata la tecnica standard per la surrenalectomia data la sua efficacia,
sicurezza e mini invasività,. Dopo la sua iniziale descrizione per via transperitoneale nel 1992
successivamente è stata introdotto anche l’accesso retroperitoneale che a tutt’oggi è tra i due il meno
utilizzato. Nel video descriviamo la tecnica di surrenalectomia laparoscopica retroperitoneale sia per il surrene
destro che per quello di sinistra.
Materiali e Metodi: La nostra tecnica prevede la stessa posizione e la stessa disposizione dei trocars sia a
destra che a sinistra. Il paziente viene posizionato sul fianco a 90°.
Si posizionano 4 trocars nel retroperitoneo. Si esegue il primo accesso open con incisione di 1.5 cm sotto la
punta della XII costa per il posizionamento di un trocar di Hasson per l’ottica zero gradi. Si crea lo spazio nel
retroperitoneo con dito e sistema dilatatore secondo la tecnica di Gaur e si posizionano sotto guida digitale 3
trocar, 2 sulla linea ascellare posteriore (uno da 5 ed uno da 10 mm) ed uno sulla linea ascellare anteriore da
5 mm alcuni cm sopra la cresta iliaca.
Si apre quindi la fascia di Gerota posteriore e si accede al polo renale superiore.
Si distacca il polo superiore dalle aderenze con il peritoneo anteriormente, con il muscolo psoas
posteriormente, con il diaframma cranialmente.
Una volta isolato il polo superiore del rene , lo si spinge caudalmete in modo da esporre la ghiandola
surrenale. Si procede quindi ad isolare il surrene sollevandolo anteriormente e coagulando le piccole
connessioni vascolari e clippando e sezionando la vena surrenalica.
Se non si tratta di feocromocitoma la vena surrenalica viene isolata alla fine della procedura. Nel caso
di feocromocitoma si deve isolare la vena surrenalica all’inizio anche se recenti lavori hanno riportato
casistiche di surrenalectomie per feocromocitoma con la chiusura della vena al termine
dell’isolamento del surrene senza modifiche della pressione arteriosa.. A destra i punti di repere sono
la vena cava ed il peduncolo vascolare renale. La vena surrenalica viene trovata cranialmente al
peduncolo renale. A sinistra la vena surrenalica viene isolata tra la arteria e la vena renale.
Risultati: la procedura di surrenalectomia laparoscopica retroperitoneale risulta una tecnica efficace e ripetibile
sia a destra che a sinistra. Non vi sono differenze sostanziali di lato nell’approccio retroperitoneoscopico. I
tempi operatori medi vanno da 90 a 120 minuti. I vantaggi della tecnica retro peritoneale rispetto a quella
trans peritoneale sono il diretto accesso al surrene, il ridotto rischio di lesione degli organi peritoneali, i ridotti
tempi operatori.
Conclusioni: la surrenalectomia laparoscopica retro peritoneale si è dimostrata una tecnica sicura, efficace e
riproducibile. L’approccio retro peritoneale rispetto a quello trans peritoneale riduce il rischio di lesioni agli
organi intraparenchimali con tempi operatori mediamente più brevi. Non vi sono differenze sostanziali di lato.
58 Convegno SUNI
Video - Laparascopia
CHIRURGIA CONSERVATIVA RENALE LAPAROSCOPICA RETROPERITONEALE PER TUMORE:
NOSTRA ESPERIENZA ED EVOLUZIONE DELLA TECNICA
P. Parma, B. Dall’Oglio, A. Samuelli*, C. Bondavalli
Divisione di Urologia Azienda Ospedaliera Carlo Poma Mantova
*Divisione di Urologia Spedali Civili di Brescia
Introduzione: la nefrectomia parziale laparoscopica sta emergendo come una alternativa possibile alla
nefrectomia parziale chirurgica aperta riducendo la morbidità del paziente. L’intervento laparoscopico deve
essere eseguito in centri con notevole esperienza laparoscopica. Le indicazioni ottimali per l’intervento
laparoscopico sono neoplasie piccole , periferiche ed esofitiche.
Materiali e Metodi: Il video presenta 4 casi in ordine crescente di difficoltà di enucleo resezione renale
laparoscopica retro peritoneale. La tecnica retroperitoneale prevede il posizionamento di 4 trocar. Il primo
accesso open viene eseguito al di sotto della punta della XII costa. Si scolla il peritoneo posteriore con dito e
si crea lo spazio retroperitoneale con sistema dilatatore costituito da una sonda su cui si lega un guanto che
viene riempito con 600 ml di acqua. A questo punto si posizionano gli altri 3 trocar due sulla linea ascellare
posteriore distanziati di 10 cm ed uno da 5 mm sulla linea ascellare anteriore.
Si apre la fascia di Gerota posteriormente , si individua l’uretere e si isola l’arteria renale. A questo punto si
libera il rene dal grasso peri renale e si procede alla asportazione del grasso della capsula nella zona della
neoformazione renale che deve essere esposta ampiamente. Alcuni minuti prima della induzione della
ischemia calda si infondono 12.5 g di mannitolo per ridurre l’edema cellulare.
Una volta isolata la neoformazione renale la si demarca con cauterio, si clampa l’arteria con buldog
laparoscopico e si procede alla enucleazione della neoformazione con forbici.
Eseguiamo una enucleazione con 1-2 mm di tessuto sano intorno alla neoplasia. Si posiziona la
neoformazione in Endo-catch bag che viene lasciata nel retroperitoneo fino alla fine della procedura. Si
procede alla emostasi del letto di resezione e si declampa l’arteria.
In caso di piccole neoformazioni esofitiche l’emostasi sul letto di resezione viene effettuata con FloSeal 1 fiala
che viene compressa per 2 minuti con garza ( caso 1). Per neoformazioni di diametro maggiore utilizzamo
punti staccati in Vicryl dell’ 1 , fermati con Hemo-lok ed iniezione di 1 fiala di FloSeal tra i punti (caso 2).In
alcuni casi l’emostasi è stata eseguita con punti e FloSeal, a cui è stata aggiunto un supporto di surgicel
(emostatico assorbibile di cellulosa ossidata rigenerata) arrotolato e fissato con 2 punti (caso 3). Più
recentemente per ridurre il tempo di ischemiaeseguiamo l’emostasi con una sutura in continua fermata con
Hemolok XL ad ogni passaggio . Al termine della sutura della corticale si rimuove il buldog e si inietta tra i
punti della sutura una o due fiale di FloSeal.
Risultati: abbiamo eseguito 20 casi di chirurgia conservativa renale laparoscopica retroperitoneale. Non
abbiamo avuto alcuna complicanza intra o post operatoria. Tempo operatorio medio 150 min. Nessun caso ha
richiesto emotrasfusioni. Nessun caso ha richiesto conversione in chirurgia aperta.
Il tempo medio di ischemia calda è stato pari a 18 minuti (range 5-22 min). Degenza post operatoria 4 gg.
Conclusioni: la chirurgia conservativa renale laparoscopica retroperitoneale è un intervento ripetibile,
minimamente invasivo ma che deve essere eseguito da laparoscopisti esperti e che richiede una attenta
selezione dei pazienti nelle prime fasi. I presidi laparoscopici disponibili quali Hemo-lok e FloSeal permettono
di ridurre notevolmente i tempi di ischemia calda.
58 Convegno SUNI
Video – Robotica + Andrologia
“NEFROPESSI RETROPERITONEOSCOPICA”
C. Ceruti, P. Destefanis, M.A. Ruffino*, A. Bosio, A. Bisconti, F. Liberale, C. De Maria, A. Cugiani, C. Negro,
M. Carchedi, A. Buffardi, C. Schillaci, D. Fontana.
Divisione Universitaria di Urologia 2 - Ospedale San Giovanni Battista “Molinette” - Torino
*Divisione di Radiologia Diagnostica 6 - Ospedale San Giovanni Battista “Molinette” - Torino
Introduzione
La nefroptosi o rene mobile viene definita l'abbassamento del rene di 5 o più centimetri (due corpi vertebrali) in
ortostatismo. La patologia è più frequente nella donna, generalmente giovane e magra, e interessa più spesso
il rene destro. La paziente lamenta dolore in ortostatismo, che generalmente recede in posizione sdraiata. La
terapia è chirurgica. Riportiamo il caso di una paziente trattata con nefropessi retroperitoneoscopica.
Metodi
Presentiamo il caso di una donna di 25 anni, affetta da dolore lombare destro in ortostatismo comparso da
circa 1 anno, con gravi limitazioni delle normali attività a causa della sintomatologia. La paziente riferiva
multipli accessi in pronto soccorso per “colica renale”, con ripetute ecografie e rx negative per dilatazione e
calcoli. Valutazione ortopedica e RM della colonna lombo-sacrale escludevano patologie osteo-muscolari.
L'urografia e la scintigrafia renale dinamica in ortostatismo documentavano una ptosi del rene destro superiore
a 5 cm, in assenza di patologia della via escretrice e di ostruzione. La paziente è stata sottoposta a
ecocolordoppler renale che documentava una netta riduzione dell'IR (indice di resistività) del rene destro in
ortostatismo (in accordo con quanto descritto da Stohmeyer e coll., Eur Urol 2004). La paziente è stata
dunque sottoposta a nefropessi destra. La procedura è stata effettuata con accesso retroperitonescopico,
mediante l'uso di tre porte. Dopo la liberazione del rene dall'atmosfera adiposa, il rene è stato fissato al
muscolo psoas con tre punti non riassoribili.
Risultati
Il decorso post-operatorio è stato regolare. Non si sono registrate perdite ematiche, né complicanze
perioperatorie. A distanza di un mese dalla procedura la paziente non presenta più la sintomatologia dolorosa
riferita prima dell'intervento. L'ecodoppler eseguito a 1 mese documenta una normalizzazione dell'IR in
ortostatismo del rene destro. Gli esami d'immagine confermano l'assenza di nefroptosi.
Discussione
La ptosi renale sintomatica è una patologia la cui esistenza è stata in passato messa in discussione. In realtà
l'esistenza di tale entità nosologica oggi non viene più messa in discussione, anche se la effettiva incidenza è
stata molto ridimensionata. Le ipotesi circa l'eziologia della sintomatologia dolorosa riferita comprendono
l'ostruzione intermittente della via escretrice, lo stiramento dei vasi renali quale possibile causa di ischemia e
lo stiramento dei nervi perirenali. L'uso dell'ecodoppler, in questo caso ove non era presente ostruzione, ha
permesso di ottenere una conferma diagnostica della causa della sintomatologia. Il trattamento con nefropessi
retroperitoneoscopica mediante fissaggio del rene allo psoas con 3 punti non riassorbili, ha dimostrato di
essere un trattamento efficace, mininvasivo e scevro da complicanze.
58 Convegno SUNI
Video – Robotica + Andrologia
NEFROPESSI ROBOTCA
Baldassarre E, Marcangeli P, Lillaz B, Pone D, Bertolin R, Pierini P
UOC Urologia, Ospedale “Umberto Parini”, Viale Ginevra 3 11100 Aosta
La ptosi renale è relativamente frequente ma le indicazioni chirurgiche sono molto limitate e generalmente
legate alla presenza di dolore incoercibile nel passaggio dalla posizione supina a quella eretta e
frequentemente dopo un calo ponderale considerevole.L’intervento laparoscopico è ben standardizzato da
anni, sia in caso di ptosi dx che sin. L’intervento robotico non è mai stato descritto come isolato e soltanto un
caso recentemente è stato pubblicato su J Laparoendosc Adv Surg Tech da Boylu U et al. per trattamento
contemporaneo di ptosi renale ostruzione del giunto pielo-ureterale.
Nel video descriviamo un caso di nefropessi dx robotica eseguita recentemente nella nostra UOC Urologia in
una ragazza di 30 anni. In decubito laterale dx, vengono posizionati quattro trocars per via trans peritoneale,
utilizzando lo stesso posizionamento descritto comunemente per la nefrectomia laparoscopica. Il rene viene
preparato dal basso verso l’alto, liberando la superficie anteriore del rene e la porzione in contiguità con la
parete addominale, sino ad ottenere un buona motilità del rene. Viene quindi introdotta attraverso un trocar
una rete ParietexTM Composite, precedentemente sagomata. La rete viene posizionata come appare nel video
e quindi fissata al parenchima renale con dei punti staccati di VicrylTM 2/0. La rete viene quindi fissata alla
parete addominale con dei punti di Protrack.
L’intervento è perfettamente realizzabile con l’ausilio del Robot, con il vantaggio, rispetto alla laparoscopia, di
una maggiore semplicità nell’esecuzione dei punti di fissaggio della protesi.
58 Convegno SUNI
Video – Robotica + Andrologia
COLPOPROMONTOFISSAZIONE ROBOTCA - Video
Marcangeli P, Baldassarre E, Talarico E, Vittoria I, Viganò M, Pierini P
UOC Urologia, Ospedale “Umberto Parini”, Viale Ginevra 3 11100 Aosta
La colpopromontofissazione (CPF) è una tecnica messa a punto per la riparazione dei prolassi del
compartimento intermedio sostenendo la cupola vaginale con una rete in polipropilene che viene ancorata al
promontorio sacrale. L’indicazione è generalmente per prolassi gravi, di IV grado, o quando sono falliti in
precedenza interventi per via vaginale, quali la plastica sec. McCall, IVS Posteriore, Apogee, etc.. Secondo le
Raccomandazioni ICI 2004, la CPF dà risultati anatomici migliori e più duraturi nel tempo rispetto alla
fissazione del legamento sacro spinoso per via vaginale, seppur l’intervento per via addominale aumento la
morbidità a breve termine.
Dal 2005 abbiamo introdotto presso il nostro servizio l’intervento di CPF video laparoscopico, con buoni
risultati, sovrapponibili alla stessa tecnica eseguita per via tradizionali, ma con tutti i vantaggi della
laparoscopia, quali mini-invasività, magnificazione dell’immagine, minore dolore postoperatorio e ripresa
precoce. Dal 2007, dopo 4 anni di esperienza in chirurgia robotica abbiamo introdotto la CPF robotica nei casi
in cui l’isterectomia era indicata. Vengono generalmente posizionati sei trocars, due per gli strumenti robotici,
uno per l’ottica e tre di servizio. L’uso della Robotica permette, a differenza della laparoscopia, un migliore
ingrandimento con visione tridimensionale e una grande semplicità nel confezionamento delle suture, in
particolar modo sulla cupola vaginale, nella fissazione della mesh e in fase di riperitoneizzazione.
58 Convegno SUNI
Video – Robotica + Andrologia
NEFROLITOTRISSIA PERCUTANEA SUPINA IN BAMBINO CON RENE A FERRO DI CAVALLO: ASPETTI
TECNICI
A.Frattini, P.Granelli, S.Ferretti, P.Salsi, ,F.Dinale, P.Cortellini
U.O. Urologia Azienda Ospedaliera-Universitaria di Parma – Direttore : P. Cortellini
Introduzione
La PCNL in età pediatrica è una procedura infrequente essendo la patologia litiasica nell’infanzia un evento
raro. La risoluzione endourologica è però da considerarsi di prima scelta sia per la minor invasività sia per
l’elevata frequenza di recidive e quindi di trattamenti ripetuti. In particolare, nelle anomalie morfologiche renali
e vascolari quali il rene a ferro di cavallo, ogni procedura chirurgica risulta più impegnativa con bassa
incidenza di pazienti stone-free. Riportiamo alcuni aspetti tecnici sulla chirurgia percutanea supina nel
bambino.
Materiali e metodi
Il paziente di 9 anni, con calcolosi pielica di 4 cm di diametro sinistra in rene a ferro di cavallo, è posto in
decubito supino con l’arto inferiore controlaterale divaricato in modo tale da consentire l’introduzione
dell’ureteroscopio flessibile. Il corretto accesso percutaneo trans-papillare del calice prescelto,
ecograficamente e radiologicamente, avviene sotto diretto controllo visivo transureterorenoscopico (procedura
Endovision). La dilatazione del tramite è eseguita con dilatazione pneumatica da 20 Fr. La litotrissia si esegue
con laser ad olmio ( fibra 600 micron) in modo da consentire una fine frantumazione del calcolo, mentre il
controllo ureteroscopico consente il continuo monitoraggio/recupero dei frammenti da ogni singolo calice. Al
termine della procedura, si lascia un monoJ 4,8 Fr per 24 ore ed un tubo nefrostomico da 12 Fr.
Risultati
Nessun tipo di complicanza infettivo-emorragica. Paziente stone-free. Il tempo di esposizione radiologica è
stato di 1’35’’. Rimozione della nefrotomia, previa pielografia di controllo, dopo 48 ore.
Discussione
L’accesso percutaneo di calibro ridotto e quindi la minor invasività è certamente da preferirsi, quando
possibile, in età pediatrica. Il controllo dell’accesso con la tecnica Endovision consente la certezza di una
corretta puntura transpapillare garantendo il presupposto più importante per la riduzione di complicanze
emorragiche nonché esposizione radiologica. Quando possibile eseguiamo anche PCNL Tubeless che è da
preferirsi poiché a volte nefrotomie di calibro maggiore sono mal tollerate dai piccoli pazienti. Infine, la
possibilità dell’ureteroscopia contestuale consente il completo dominio della via escretrice aumentando la
percentuale di stone-free.
Messaggio conclusivo
Riteniamo, quindi, che la PCNL supina, con accesso Endovision, sia da considerarsi una valida terapia anche
in età pediatrica.
58 Convegno SUNI
Video – Robotica + Andrologia
58 Convegno SUNI
Video – Robotica + Andrologia
“PENILE DISASSEMBLY POTENCY SPARING” NEI CARCINOMI DEL GLANDE .NOTE DI TECNICA
CHIRIRGICA
Mauro Silvani,Danilo Minocci ,Sabino Quaranta.Cianini Elena,Monica Zacchero*
S.C Urologia ASL 12 Ospedale Infermi di Biella (dir.D.Minocci).
Scuola di Specializzazione in Urologia Università Piemonte Orientale Amedeo Avogadro Novara
(dir:Prof.C.Terrone)*
Introduzione
Il carcinoma squamocellulare del pene rappresenta l’!% di tutti i tumori maligni del sesso maschile.La
stadiazione deve essere accurata :la TAC spirale multistrato dinamica permette, di evidenziare il
grado di estensione delle lesione ai corpi cavernosi ,eventuali secondarismi linfonodali e/o ossei sono
valutati con PET e scintigrafia ossea.La chirurgia e’ conservativa nei primi stadi, demolitiva mutilante
negli stadi avanzati.Si propone la tecnica di Austoni-Perovich con ricostruzione del glande con uretra
distale autologa.
Tecnica chirurgica
L’accesso e’ duplice con accesso sub coronale e peno scrotale.Si esegue preparazione del FVND con
incisione della fascia di Buck in sede peri uretrale.Si procede a disassemblaggio completo degli apici
dei corpi cavernosi dal glande, dall’uretra e dal FVND,quest’ultimo isolato fino al pube e suturato con
emicontinua introflettente.Si esegue glandulectomia con escissione del FVND a scopo di radicalita’
oncologica.Mobilizzata l’uretra dalla doccia dei corpi cavernosi si procede ad esame istologico
estemporaneo degli apici dei corpi cavernosi e dell’uretra distale a scopo di ulteriore radicalita’
oncologica .
La fase ricostruttiva inizia con la plastica degli apici dei corpi cavernosi con punti introflettenti in monofilamento
3/O.L’uretra distale viene spatulata ventralmente e fissata agli apici dei cc con sutura in monofilamento 4/0.La
mucosa eversa garantira’ la sensibilita’ al neoglande ed il neomeato viene configurato ad aspetto
ipospadico.La ricostruzione termina con la cute peniena suturata al bordo del neoglande e della mucosa
uretrale.
Risultati
Il decorso e’ stato libero da complicanze , la rimozione del drenaggio in 3^ gta , la dimissione in 4^ gta
post operatoria e la rimozione del cv in 20 ^ gta.
Il controllo a tre e sei mesi evidenzia buona sensibilità del neoglande, assenza di incurvamenti ,non deficit
erettile.
Conclusioni
Il penile disassembly per lesioni localizzate al neoglande richiede, margini di sezione chirurgica
negativi e la non evidenza
di linfonodi sospetti al fine di garantire
una radicalità
oncologica.L’estensione ai corpi cavernosi e l’alto grado di malignita’ sono il presupposto della
chirurgia radicale di molti carcinomi del pene a prognosi infausta , ma rappresenta un’intervento
altamente mutilante.
58 Convegno SUNI
Video – Robotica + Andrologia
CORPOROPLASTICA GEOMETRICA SECONDO PAULO EGYDIO:NOTE DI TECNICA NEL
RECURVATUM DORSALE E LATERALE
Mauro Silvani , Danilo Minocci,Sabino Quaranta
S.C.Urologia e Andrologica Ospedale Biella
Introduzione
L’obiettivo di tale tecnica per gli incurvamenti penieni acquisiti e’ il ripristino delle dimensioni del pene tramite
un’unica incisione di rilassamento albugineo e innesto di matrice di collagene di pericardio bovino.:La tecnica
è applicabile a tutti i tipi di curvatura purché presente un’erezione pienamente conservata.
Materiali e Metodi
Il primo caso riguarda un pz di 51 anni con recurvatum dorsale > di 45° ed attività erettile pienamente
conservata.Il secondo un pz di 46ann e recurvatum laterale sn di 70° circa.
Caso 1°
L’intervento inizia con un degloving classico e con un isolamento del FVND molto accurato a partenza
periuretrale. Due fili di repere prossimale e distale individuano le due sezioni dalle quali si misurano le due
curvature ventrale dorsale.Si segna con matita demografica la sezione di massima curvatura sede
dell’incisione.La differenza tra curvatura ventrale e dorsale e’ l’altezza teorica del pacth.La larghezza del pacth
invece si calcola con un filo seguendo la sezione di massima curvatura da un punto all’altro della doccia
parauretrale,la larghezza del pacth diviso due si riporta in sede periuretrale prossimalmente e distalmente da
ciascun lato a partire dal punto di maggior curvatura. Si individuano cosi i punti di ancorragio del pacth..Un
quarto dell’ altezza del pacth si riporta a partire dal punto di maggior curvatura sulla zona di maggior
sezione.Questo punto si unisce con quelli di fine pacth e si disegna un triangolo isoscele di tonaca albuginea
che viene escisso.Viene poi incisa l’albuginea da un punto all’altro della doccia parauretrale con risparmio del
tessuto erettile.Le dimensioni del pacth vengpno quindi calcolate e viene innestato con 4 emicontinue
ingavigliate.Al termine dell’intervento si puo’ notare la perfetta correzione del pene rispetto alla curvatura
iniziale
Caso 2.
Incisione sub coronale e degloving classico. Si esegue l’isolamento del FVND e si eseguono con pene in
massima erezione, la misurazione della curvatura maggiore o del lato sano e quella minore sede della
curvatura con due fili di sutura posti all’inizio e fine curvatura.Viene indivuato il punto di maggior curvatura da
un lato e dall’altro in sede periuretrale.La differenza tra le due curvature rappresenta l’altezza del pacth dal
lato della maggior curvatura.Dal lato sano l’altezza del pacth e’ di 1,5 cm.L’incisione dell’albuginea lungo la
sezione di maggior curvatura dal lato sano si arresta sulla superfice laterale del cc sano, lontano dall’uretra.In
tal caso il pacth che si ricava e’ di aspetto trapezoidale isoscele e l’altezza del pacth dal lato della maggior
curvatura, secondo la tecnica originale viene incrementata di un cm..La sutura del pacth e’ fatta con quattro
emicontinue ingavigliate in monofilamento tre zeri. La correzione della curvatura e’ completa.
Conclusioni
Con questa tecnica è possibile correggere ogni tipo di recurvatum ripristinando la lunghezza originale dell’asta
senza il ricorso ad impianti protesici . La curva di apprendimento dell’intervento non e’ rapida ne
agevole.Presupposto indispensabile è la presenza di ottima attivita’ erettile.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Carcinomi Transizionali
VALUTAZIONE METABOLICA E ULTRASTRUTTURALE DELL ATTIVITA DEI GRANULOCITI
NEUTROFILI IN CORSO DI TERAPIA CON BCG
Siracusano Salvatore, Ciciliato Stefano, Lampropoulou Nicolitza, Vita Francesca*, Zabucchi Giuliano*
Clinica Urologica – Università di Trieste
*Dipartimento di scienze della vita – Università di Trieste
Obiettivi
Il meccanismo d'azione del BCG nel trattamento delle neoplasie superficiali della vescica è a tuttoggi non
definito.
Riportiamo i risultati preliminari relativamente all'attività metabolica ed alla morfologia ultrastrutturale dei
granulociti neutrofili (GN) in pazienti sottoposti ad instillazione con BCG.
Metodi
Sono stati analizzati i campioni di urine in 5 pazienti sottoposti a immunoprofilassi con BCG ed in 5 soggetti
sani quale gruppo di controllo.
Nei campioni di urine, dopo opportuno trattamento, è stata misurata l'attività elestasica ed il contenuto
proteico quali indici rispettivamente di attività secretoria dei neutrofili e di aumentata permeabilità endoteliale.
La produzione di radicali liberi (anione superossido), quale indice di attivazione dei polimorfonycleati (PMN), è
stata valutata sui campioni di urine con il metodo della riduzione del citocromo C-superossido dismutasi
sensibile.
La valutazione alla microscopia elettronica a trasmissione ha permesso lo studio ultrastrutturale dei neutrofili
isolati nelle urine.
Risultati
Dai dati ottenuti si evince che i PMN presenti nelle urine vengono attivati e producono radicali liberi in quantità
maggiore rispetto ai GN isolati nelle urine del gruppo di controllo. La concentrazione di PMN ed il loro stato di
attivazione è direttamente correlato con il numero di cellule uroteliali esfoliate (p<0.01).
Conclusioni
L'analisi metabolica ed ultrastrutturale della morfologia dei GN isolati nelle urine dei pazienti dimostra una
notevole degranulazione che rappresenta un indice attività secretoria elevata
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Carcinomi Transizionali
CARCINOMA SQUAMOSO INTRAEPITELIALE DELL’URETRA DISTALE: GLANDECTOMIA DOPO
RECIDIVA SU I° TEMPO DI URETRECTOMIA E URETROPLASTICA CON MUCOSA BUCCALE
P. Gontero, P. Mondino, R. Pedrale, B. Morelli, A. Tizzani.
Urologia I, ASO San Giovanni Battista Molinette, Torino
OBIETTIVI. Approccio chirurgico e follow up di un paziente di 46 anni con carcinoma dell’uretra distale e
metastasi linfonodali inguinali.
METODI e RISULTATI. Descriviamo il caso di un paziente che giunge, per la prima volta, in Pronto Soccorso
con ematuria e disuria. In anamnesi condilomatosi del glande. Si imposta un trattamento sintomatico e si
eseguono biopsie delle vegetazioni uretrali che risultano, all’esame istologico, lesioni squamose intraepiteliali
di alto grado. Si opta per un intervento di uretrectomia più primo tempo di uretroplastica con mucosa buccale.
All’esame istologico del tessuto asportato: carcinoma squamoso moderatamente differenziato con aspetti
basaloidi dell’uretra che infiltra il connettivo sottoepiteliale ed il tessuto muscolare periuretrale pT2Nx. In
accordo con il paziente si decide per follow up ristretto. Dopo 2 mesi comparsa di vegetazione glandulare di 1
cm e riscontro palpatorio, confermato alla TC di linfonodi palpabili a livello inguinale bilaterale. Si opta per
intervento di glandulectomia totale, asportazione completa della mucosa buccale, ricostruzione del glande con
innesto dermico ed exeresi bioptica dei linfonodi inguinali (linfonodo sentinella intraoperatorio negativo):
l’esame istologico dimostra pT2G3 del glande, margini negativi e metastasi linfonodali bilaterali. Si esegue,
quindi, una linfoadenectomia pelvica ed inguinale superficiale e profonda bilaterale. All’esame istologico i
linfonodi inguinali di destra risulteranno 4/5 positivi con superamento capsulare e a sinistra tutti negativi; quelli
pelvici mostreranno una iperplasia reattiva. Il decorso postoperatorio è regolare con lieve linforrea che si
risolve nel giro di 20 giorni. Viene posta indicazione a ciclo di chemioterapia adiuvante con PEB.
CONCLUSIONI. A 5 mesi di follow up il paziente è libero da malattia.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Carcinomi Transizionali
IL RUOLO DELLA LINFADENECTOMIA NEL TRATTAMENTO CHIRURGICO DEL TUMORE DELL ALTA VIA
ESCRETRICE : FOLLOW UP A MEDIO TERMINE IN 71 CASI CONSECUTIVI
Siracusano Salvatore, Ciciliato Stefano, Lampropoulou Nicolitza, Visalli Francesco, Belgrano Emanuele
Clinica Urologica, Università degli Studi di Trieste
Obiettivi
Scopo del presente studio è stato quello di valutare retrospettivamente il ruolo della linfadenectomia sulla
sopravvivenza a medio termine nei pazienti sottoposti a questo tipo di trattamento.
Metodi
Dal 1996 al 2006 sono stati eseguite N°61 nefroureterectomie e N° 10 ureterectomie parziali in pazienti con
diagnosi di neoplasia a cellule transizionali dell'alta via escretrice. I pazienti avevano un età media di 70.4 anni
(range 30-95). 46 (64.8%) erano di sesso maschile e 25 (35.2%) di sesso femminile. In 49/61 (80.4%) la
neoplasia era localizzata esclusivamente nella pelvi renale, in 3/61 (4.9%) a carico della pelvi e dell'uretere
lombare, in 9/61 (14.7%) nell'uretere lombare e in 10 casi a carico dell'uretere pelvico. La linfadenectomia è
stata eseguita in 20/61 (32.7%) nefroureterectomie e in 1/10 (10%) dei soggetti sottoposti a ureterectomia
distale. L'impiego della curva di sopravvivenza sec. Kaplan Meier ha consentito di valutare la sopravvivenza
complessiva tra coloro che sono stati e non sono sottoposti a linfadenectomia.
Risultati
Al follow-up medio di 40 mesi nei pazienti sottoposti a nefroureterectomia la sopravvivenza è stata del 60.7%
(tab.1a) e il decesso da causa specifica del 39.3% (tab. 1b), mentre nei pazienti sottoposti a ureterectomia
distale la sopravvivenza e il decesso da causa specifica sono stati rispettivamente del 40% (tab.2a) e del 60%
(tab.2b). L'analisi della curva di Kaplan Meier non ha mostrato significative differenze tra il gruppo N+ e il
gruppo N0 (p=0.60).
Conclusioni
Nella nostra casistica la linfadenectomia non migliora la sopravivenza complessiva in questa categoria di
pazienti.
Tab 1a: N° 24/61 (39.3%) deceduti
Tab 1b: N° 37/61 (60.7%) soprovissuti
Grado
stadio
N0 (%)
N+ (%)
Nx (%)
Grado
stadio
N0 (%)
N+ (%)
Nx (%)
G1
G2
G3
pTa
pT1
pT2
pT3
pT4
1/17 (5.9)
2/17 (11.8)
1/17 (5.9)
2/17 (11.8)
-
2/17 (11.8)
1/17 (5.9)
1/17 (5.9)
1/17 (5.9)
1/17 (5.9)
-
11/17 (64.7)
1/17 (5.9)*
2/17 (11.8)
3/17 (17.6)
3/17 (17.6)
2/17 (11.8)
G1
G2
G3
pTa
pT1
pT2
pT3
pT4
10/37 (27)
2/37 (5.4)
1/37 (2.7)
6/37 (16.2)
5/37 (13.5)
-
-
1/37 (2.7)
16/37 (43.2)
8/37 (21.6)
3/37 (8.1)
12/37 (32.4)
8/37 (21.6)
2/37 (5.4)
-
tot
3/17 (17.6)
3/17 (17.6)
11/17 (64.7)
tot
12/37 (32.4)
-
25/37 (67.6)
Tab.2a: n° 6/10(60.0%) deceduti
Tab.2b: n° 4/10(40.0%) deceduti
Grado
N0 (%)
stadio
Grado
stadio
N0 (%)
N+ (%)
Nx (%)
G1
G2
G3
1 (1.0)
-
1 (1.0)
3 (3.0)
1 (1.0)
G1
G2
G3
pTa
pT1
pT2
pT3
pT4
1 (1.0)
-
-
2 (2.0)
3 (3.0)
-
pTa
pT1
pT2
pT3
pT4
N+ (%)
Nx (%)
-
-
2 (2.0)
1 (1.0)
1 (1.0)
-
-
3 (3.0)
1 (1.0)
-
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Carcinomi Transizionali
Recidiva uretrale di Ca infiltrante dopo trattamento con BCG per Ca in situ vescicale.
M. Ruoppolo, M. Gozo, O. Risi, R. Milesi, R. Spina, A. Manfredi
U.O. Urologia,Azienda Ospedaliera “Ospedale Treviglio Caravaggio” (Bg), Direttore: M. Ruoppolo
Introduzione: L’efficacia del trattamento topico intravescicale del BCG nel carcinoma in situ della vescica è
universalmente nota e documentata. Tuttavia le tecniche attuali di instillazione non consentono di ottenere un
sufficiente contatto con la mucosa dell’uretra anch’essa a rischio di localizzazione di malattia. E’ ben noto che
la localizzazione uretrale è presente in concomitanza o successivamente all’exeresi della vescica nel 5 – 10 %
delle neoplasie vescicali senza Cis sincrono mentre arriva fino al 30 % qualora vi sia un carcinoma in situ
primitivo o associato ad una forma macroscopica superficiale od infiltrante. Inoltre la localizzazione uretrale
per le caratteristiche anatomiche: assenza di tonaca muscolare sottomucosa e ridotto spessore della lamina
propria è particolarmente a rischio di invasione vascolare e disseminazione a distanza.
Casistica: Nel periodo gennaio 1996 – dicembre 2005, 83 paziente con riscontro di carcinoma in situ della
vescica (primitivo in 25 casi, associato a Ca superficiale in 21 casi e associato a carcinoma infiltrante la
sottomucosa o la muscolare focalmente in 37 casi) sono stati sottoposti a trattamento con BCG: ceppo
Connaught, 81 mg in 50 ml di soluzione fisiologica per 2 ore x 1 volta alla settimana per 6 settimane e
successivo mantenimento. Tutti i pazienti sono stati esaminati con citologia urinaria, urografia e flussometria e
sottoposti a resezione completa delle lesioni macroscopiche e mappaggio vescicale a freddo in anestesia con
associata uretroscopia e palpazione bimanuale. Una biopsia dell’uretra prostatica è stata effettuata in 59 casi
con riscontro di Cis in 5 casi. Il trattamento con BCG è iniziato dalla 10 alla 15° giornata postoperatoria previa
intradermoreazione alla tubercolina. Nei pazienti con carcinoma uretrale l’istillazione è stata estesa anche
all’uretra utilizzando una pinza stringipene.
Risultati: 3 pazienti hanno sospeso il trattamento per una grave reazione tubercolare con febbre persistente e
compromissione sistemica e 7 per intollenza. Sui restanti 73 pazienti 6 sono stati tratti altrove di cui due con
cistectomia e 3 di costoro sono deceduti per neoplasia vescicale disseminata. Su 67 pazienti valutabili
abbiamo osservato progressione di malattia in 27 casi: 2 con solo carcinoma in situ primitivo, 4 con ca
superficiale e 21 con ca invasivo associato. La progressione è avvenuta in vescica esclusivamente in 18 casi,
in uretra e in vescica contemporaneamente in 5 casi mentre 4 pazienti con quadro vescicale negativo hanno
sviluppato una neoplasia infiltrante dell’uretra prostatica in 2 casi e della loggia prostatica ( pregressa TURP)
in due casi. Due di costoro sono stati sottoposti a uretrocistectomia + chemioterapia adiuvante e sono viventi a
60 e 36 mesi di follow-up. Uno è deceduto dopo la cistectomia, effettuata altrove, per l’insorgenza di metastasi
linfonodali mediastiniche e sovraclaveari e metastasi cerebrali dopo 14 mesi. Il quarto paziente che aveva
rifiutato l’intervento e la chemioterapia è deceduto per metastasi polmonari diffuse dopo 18 mesi.
Discussione: Una Cis uretrale è presente nel 2-6 % delle neoplasie superficiali della vescica ma arriva fin al
30 % in caso di neoplasia infiltrante associata a Cis vescicale. Nella vasta casistica della Mayo Clinic del 2002
si riporta un 26 % di Cis uretrale. Inoltre il fallimento di una terapia per Cis vescicale comporta un aumento del
rischio di localizzazione uretrale (Montie). Nella maggior parte dei casi pazienti che non hanno Cis in vescica
non vengono quasi mai biopsiati in uretra per cui la reale incidenza di questa forma neoplastica primitiva è
ancora misconosciuta. La presenza di un ca in situ dell’uretra ( prevalentemente uretra prostatica e
membranosa) è particolarmente a rischio prognostico data la sottigliezza della lamina propria nell’uretra e
l’assenza della muscolaris mucosa. Il superamento della lamina propria espone infatti al rischio di precoce
disseminazione ematica e linfatica in particolare ai linfonodi inguinali. Per tale motivo la presenza di un Cis
uretrale richiede un trattamento topico aggressivo. Alcuni autori raccomandano la TUR del collo vescicale o la
TURP per favorire il contatto fra l’immunoterapico e l’epitelio dell’uretra in concomitanza con l’instillazione
vescicale. Altri suggeriscono l’associazione di chemioterapia di combinazione con platino al BCG topico. E’
comunque uno stretto follow-up è raccomandato.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Carcinomi Transizionali
Carcinoma Neuroendocrino a piccole cellule della vescica; nostra esperienza
M. Ruoppolo, M. Gozo, O. Risi, R. Milesi, R. Spina, A. Manfredi
U.O. Urologia,Azienda Ospedaliera “Ospedale Treviglio Caravaggio” (Bg), Direttore: M. Ruoppolo
Introduzione: A differenza del carcinoma polmonare a piccole cellule che rappresenta una comune variante
istologica, responsabile di circa il 14 % di tutte le forme neoplastiche primitive polmonari, il carcinoma
neuroendocrino a piccole cellule della vescica (SCC) è estremamente raro, con un’incidenza compresa fra lo
0.3 e l’1% di tutti i carcinomi vescicali. Questa forma è stata descritta originariamente solo nel 1981 da Cramer
e si presenta in aggregati di piccole cellule rotonde od ovali con scarso citoplasma separati fra loro da un
delicato stroma fibrovascolare, con cromatina ben evidente, membrana cellulare mal definita e riduzione od
assenza dei nucleoli. Le mitosi sono molto frequenti. La malattia che predilige il sesso maschile con rapporto
4:1, esordisce tipicamente con ematuria persistente e dimostra un pattern estremamente aggressivo con
rapida infiltrazione della parete vescicale e diffusione retroperitoneale. Frequenti le localizzazioni metastatiche
epatiche ed intestinali
Casistica: Nel periodo ottobre 2005 – dicembre 2008 abbiamo osservato 3 casi di neoplasia vescicale con
componente neuroendocrina a piccole cellule su 178 neoplasie vescicali giunte alla nostra osservazione. Si
trattava di maschi con età compresa fra 53 e 78 anni. Un paziente era stato radiotrattato per carcinoma
prostatico 7 anni prima, un altro chemiotrattato per leucemia linfatica cronica. Tutti i pazienti sono giunti alla
nostra osservazione con ematuria persistente da almeno 3 mesi. La diagnosi è stata posta in base ai criteri
fissati dalla WHO che sono identici a quelli del SCC del polmone. Alla stadiazione vi era malattia vescicale
localmente avanzata con compromissione ureterale ed iniziale IRC in 2 casi. Un paziente presentava
metastasi epatiche, il secondo una voluminosa localizzazione sacrale e il terzo infiltrazione del retto.
Disseminazione linfonodale era presente in tutti e tre. In nessun caso vi era evidenza clinica di sindrome
paraneoplastica mentre in un caso vi era un abnorme secrezione di Beta HCG. Due pazienti sono stati
sottoposti a cistectomia e derivazione urinaria esterna. Una chemioterapia con schema di combinazione
basato sul platino è stata istituita nei tre pazienti.
Risultati: La chemioterapia è stata portata a termine soltanto nel più giovane dei pazienti, che presentava la
localizzazione ossea e che ha manifestato una mediana di sopravvivenza migliore degli altri. Tutti i pazienti
sono deceduti a 5,13 e 22 mesi dalla diagnosi per progressione di malattia. In due casi il decesso è avvenuto
per importante compromissione intestinale con emorragia infrenabile dal tratto digerente
Discussione: La diagnosi di carcinoma neuroendocrino con immunofenotipo a piccole cellule della vescica è
basata sul riscontro delle tipiche cellule rotonde e sulla positività alla cromogranina A e alla sinaptofina.
L’eziologia del carcinoma neuroendocrino primitivo della vescica è sconosciuta anche se sono state postulate
diverse teorie sulla sua origine. La presenza di elementi cellulari neuroendocrini in vescica è stata comunque
ben documentata e alcuni autori ritengono che sia possibile una trasformazione in senso maligno di tali cellule.
Hailemariam, similarmente alla nostra casistica, riporta un caso di SCC insorto in paziente già radiotrattato
per carcinoma prostatico. Analogamente altri autori riferiscono di differenzizione neuroendocrina di carcinomi
prostatici dopo terapia ormonale. Alla diagnosi la malattia è quasi sempre ( 75 –99 % dei casi) muscoloinvasiva e localmente avanzata. La compromissione linfonodale è del 68 % nella casistica di Cheng, la più
numerosa riportata in letteratura.
Trattandosi di una neoplasia rara e in assenza di studi controllati randomizzati non vi è accordo fra i vari
autori sul trattamento preferibile nell’ SCC. Un report multi-istituzionale ha confermato che nella malattia
muscolo-invasiva la chirurgia, la radioterapia e la chemioterapia da sole non sono in grado di influenzare la
progressione della malattia. Un recente studio della Mayo Clinic riporta un migliore prognosi nei pazienti
trattati con chemioterapia neoadiuvante e chirurgia rispetto alla sola chirurgia. La prognosi di questa forma di
carcinoma resta estremamente infausta rispetto alle altre forme di carcinoma vescicale.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Carcinomi Transizionali
Risk management in un reparto di urologia.
Preliminare esperienza
Pedalino M.- Di Primio O.G.- Cortese F.C.- Vella R.- Vercesi E.- Marino G
S.C. di Urologia : Marino G .ASL T0 5 Chieri
Riassunto
Introduzione
L’attività di Risk Management in un reparto specialistico di urologia coinvolge operatori sanitari, personale
tecnico ed amministrativo ove il comune denominatore risulta la comunicazione, la semplificazione dei
processi e la qualità della prestazione sanitaria. Gli Autori presentano la loro esperienza sulla gestione del
rischio in urologia riportando in particolare un tentativo di classificazione degli eventi avversi e di disfunzioni
possibili nella gestione clinica in un reparto di urologia.
Materiali e Metodi : Sono stati analizzati gli eventi avversi che si sono verificati dal ottobre 2007 all’ dicembre
2008. Sono stati valutati tutti gli eventi avversi ed in particolare quelli correlabili con la gestione del reparto :
ostruzioni e autotrazione accidentale del catetere, autotrazione accidentale di drenaggi e/o protesi, le ritardate
somministrazione di una terapie, le cadute accidentali dal letto.
Risultati
Complessivamente sono stati individuati 18 eventi avversi su 638 procedure urologiche suddivise per
diagnosi, trattamento e tipologia di ricovero. L’analisi di ciascun evento ha permesso di dedurre che il corretto
passaggio dell’informazione tra gli operatori sanitari e l’attenzione al paziente rimane il principale metodo
preventivo.
Conclusioni. Il passaggio da un sistema unicamente reattivo ad un sistema preventivo rimane la chiave di
volta per apportare al cittadino la migliore prestazione sanitaria in un clima di massima sicurezza. Il
coinvolgimento dei diversi livelli organizzativi e gestionali in un clima sereno in assenza di stress e soprattutto
dell’atteggiamento di colpevolizzazione dell’errore, risulta oggi essere la strategia vincente .
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Carcinomi Transizionali
TRATTAMENTO CONSERVATIVO DI FISTOLA CALICEALE PERSISTENTE
SECONDARIA AD ENUCLEORESEZIONE RENALE.
DESCRIZIONE DI UN CASO E CONSIDERAZIONI CLINICHE.
Chierigo P., Rahmati M., Lazzarotto M., Brotza D., Bernabei M., Franzolin N.
Unità Operativa Complessa di Urologia, Ospedale di Schio (VI) (Direttore: N. Franzolin)
Obbiettivi:descrivere un caso di fistola urinosa cutanea secondaria ad enucleoresezione renale,le cause della sua
genesi e della sua persistenza e le strategie terapeutiche conservative che hanno condotto alla sua
risoluzione,considerando le possibili alternative terapeutiche.Introduzione:l’enucleoresezione renale è ampiamente
accettata come terapia di elezione per neoformazioni renali minori di 4 cm.Una delle sue complicanze più frequenti è la
fistola urinosa cutanea,fonte di notevole disagio per il paziente,la quale può risolversi spontaneamente entro un tempo
molto variabile(da alcuni giorni ad alcune settimane)e può richiedere ulteriori procedure chirurgiche,o miniinvasive o a
cielo aperto.Materiali e Metodi:maschio,72anni,ipertensione lieve,TURP nel 1999,null’altro di rilievo in anamnesi;una
TAC renale con m.d.c. eseguita per migliore definizione morfologica di cisti renali individua incidentalmente una
neoformazione ovale di circa 3,5X3cm,con maggior asse rivolto verso l’ilo renale,lievemente debordante dalla convessità
del rene sinistro,a livello medio-inferiore,dotata di modesto enhancement.Previo posizionamento di uno stent ureterale
6Ch si esegue enucleoresezione in ischemia fredda;esame istopatologico estemporaneo del letto di resezione
negativo.L’ispezione della cavità non individua aperture della via escretrice.Elettrocoagulazione emostatica della cavità
di resezione,poi riempita con FloSeal.Drenaggio retroperitoneale.Esame istologico definitivo:Ca renale papillare
G2,Fuhrman 3,margini di exeresi liberi.In quinta giornata rimuoviamo il catetere per disturbi irritativi.Il drenaggio
retroperitoneale produce circa 100 ml die.La restrizione idrica non risulta efficace.In 10°giornata una pielografia
ascendente mostra una piccola apertura del calice medio.Si affianca allo stent un catetere 5Ch con apice nel calice
aperto e si riposiziona il Foley,ottenendo lieve decremento del leakage.Dopo 4giorni il catetere ureterale si disloca.A lato
dello stent si posiziona un altro stent 6Ch con estremità nel calice aperto,mantenendo il Foley,senza osservare una
diminuzione del leakage.In 22°giornata compare importante episodio urosettico da E.Coli,risolto con ceftriaxone.In 34°
giornata il leakage si arresta.Avendo escluso mediante ecografie una raccolta perirenale,dopo 4giorni togliamo il
drenaggio,continuando a tenere il catetere sempre aperto.I due stent ed il catetere vengono rimossi dopo altri 19
giorni.Una uroTAC esclude raccolte perirenali.Risultati:il drenaggio retroperitoneale ha prodotto una media di 81 ml die
(45-130 ml) per 33 giorni.I volumi maggiori sono stati prodotti nei giorni in cui il paziente è rimasto senza catetere.Il
posizionamento di un catetere ureterale aggiuntivo e poi di un secondo stent non hanno modificato in modo significativo
il decorso clinico.Discussione:una estesa elettrocoagulazione del letto di resezione non agevola la rigenerazione
tissutale,ed anzi provoca un danno ischemico.Può quindi favorire la formazione tardiva di una fistola urinosa o
l’ampliamento di un tramite fistoloso caliceale di ridotte dimensioni.La nostra strategia intraoperatoria di confidare
sull’azione sigillante di un collante a base di fibrina non solo sui vasi ma anche su una eventuale minima apertura della
via escretrice,macroscopicamente non evidente,si è rivelata errata.Del resto la sua composizione chimica ed il suo
meccanismo d’azione non autorizzano ad attendersi un effetto impermeabilizzante o adesivo.L’effetto di un supporto
emostatico biologico in presenza di un leakage urinario potrebbe risultare addirittura ostacolato dall’urochinasi,agente
fibrinolitico presente nell’urina.In Letteratura è descritto l’utilizzo di collanti sintetici (N-butil-2-cianacrilato,glutaraldeide,
polietilenglicole) sia come profilassi intraoperatoria delle fistole urinose sia come terapia(embolizzazione percutanea di
una fistola urinaria caliceale persistente).L’utilizzo di questi prodotti può condurre a complicanze (incollamento del
catetere al tramite fistoloso,reazione infiammatoria da corpo estraneo,infezione),tali da richiedere un ulteriore intervento
chirurgico.In presenza di una fistola,uno stent ureterale se non associato ad un catetere vescicale sempre aperto può
risultare addirittura controproducente,agevolando il reflusso vescicorenale.Conclusioni:al termine di una
enucleoresezione renale è sempre opportuno escludere con certezza la presenza di un’apertura,anche esigua,della via
escretrice;omettere questo controllo può condurre ad una fistola caliceale,la chiusura della quale può richiedere
settimane,con peggioramento della qualità di vita del paziente.Ridurre al minimo necessario la elettrocoagulazione del
letto di resezione agevola la riparazione spontanea di eventuali tramiti caliceali.Il meccanismo d’azione dei collanti
biologici,a base di fibrina,abitualmente utilizzati per perfezionare l’emostasi del letto di resezione,non autorizza a sperare
in un loro effetto sigillante di una eventuale apertura della via urinaria.L’utilizzo di collanti tissutali sintetici può esporre a
serie complicanze.Il trattamento conservativo di una fistola caliceale rappresenta a tutt’oggi una opzione terapeutica
ancora valida,efficace anche in casi apparentemente complessi a patto che venga realmente messo in atto il drenaggio
completo e di lunga durata dell’alta via escretrice con uno stent ureterale ben funzionante ed un catetere vescicale da
tenere sempre aperto.Durante tutto il tempo di permanenza del catetere è necessaria ogni attenzione al fine di prevenire
l’insorgenza di una infezione urinaria,la quale,per la presenza dello stent,può estendersi al rene con facilità,rallentando
la chiusura della fistola.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Rene + Miscellanea
DEGENENERAZIONE MALIGNA DI CISTOADENOMA PAPILLIFERO IN PAZIENTE CON MALATTIA DI
VON HIPPEL-LINDAU. CASO CLINICO E REVISIONE DELLA LETTERATURA
Carlo Trombetta, Giovanni Liguori, Giorgio Mazzon, Rossana Bussani1, Stefano Bucci, Giangiacomo
Ollandini, Emanuele Belgrano
Clinica Urologica - Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste
1Anatomia Patologica - Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste
Obiettivi
La malattia di Von Hippel-Lindau (VHL) è una malattia genetica autosomica dominante caratterizzata dalla
predisposizione a sviluppare diverse neoplasie sia benigne che maligne.
Riportiamo un raro caso di degenerazione maligna di un cistoadenoma papillifero dell’epididimo in uomo con
malattia di VHL e, dopo revisione della letteratura, ne definiamo gli aspetti radiologici, istopatologici,
immunoistochimici.
Case report
Un maschio di 40 anni con malattia di VHL, giunge alla nostra osservazione in seguito a riscontro TC di
multiple formazioni renali bilaterali sospette per eteroplasia. All’E.O. si evidenziano anche epididimi con
tumefazioni di consistenza aumentata. Si esegue ecodoppler (ECD) scrotale che evidenzia teste epididimarie
aumentate di dimensioni, disomogenee, a contorni irregolari e con vascolarizzazione periferica poco
rappresentata.
Il pz viene quindi sottoposto ad intervento di tumorectomia renale bilaterale e escissione bilaterale della testa
dell’epididimo.
L’istologia evidenzia lesioni renali caratteristiche per carcinomi a cellule renali, mentre gli specimen epididimari
vengono refertati come cistoadenomi papilliferi. Tuttavia, nel contesto della cisti epididimaria sinistra si
evidenziano alcuni foci neoplastici ad alto indice proliferativo e infiltranti il tessuto sottostante. Queste aree
vengono quindi etichettate come maligne benché non sia chiaro se si tratti di una lesione maligna primitiva o di
una metastasi di un tumore renale.
Tutti gli specimen chirurgici vengono quindi ritestati con l’anticorpo anti-RCC (Marker delle cellule renali): la
lesione epididimaria non lega l’ anticorpo e la diagnosi viene riformulata come tumore maligno primitivo
dell’epididimo.
Conclusioni
Jn letteratura sono riportati solo 8 casi di tumore maligno primitivo dell’epididimo, nessuno dei segnalati era
però affetto da malattia di VHL. A nostra conoscenza quindi questo è il primo caso segnalato. Tuttavia, non
sappiamo se questa lesione sia destinata a progredire o a rimanere confinata nella cisti, restando così
misconosciuta. Vi è pertanto la possibilità che la vera incidenza di tale complicanza sia sottostimata per una
scarsa attenzione diagnostica. Riteniamo opportuno comunicare alla comunità scientifica la possibilità di
effettuare su questi pazienti ulteriori accertamenti al fine di migliorare le conoscenze in quest’ ambito.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Rene + Miscellanea
RICERCA DI NUOVI MARCATORI TUMORALI NEL CARCINOMA A CELLULE RENALI
P. Destefanis1 , Barbero G. 2, A. Bosio1, A. Bisconti1, C. De Maria1, A. Cugiani1, C. Negro1, M.T. Carchedi1, A.
Buffardi1, C. Schillaci1, Mandili G. 2, Khadjavi A. 2,Giribaldi G. 2, C. Ceruti1, Turrini F. 2, D. Fontana1
1
2
Divisione Universitaria di Urologia 2 - Ospedale San Giovanni Battista “Molinette” - Torino
Dipartimento di Genetica, Biologia e Biochimica, Università degli Studi di Torino
Introduzione:
Il carcinoma a cellule renali, la neoplasia più frequente del rene nell’adulto, rappresenta circa il 3% di tutti i
tumori. La sua incidenza è in aumento e la mortalità raggiunge valori del 40%. Lo studio dell’espressione
genica e l’analisi proteomica vengono oggi utilizzati per la scoperta di nuovi marcatori tumorali. Scopo del
presente studio è l’identificazione di nuovi potenziali marcatori nel carcinoma a cellule renali mediante l’analisi
proteomica.
Metodi
Sono stati utilizzati campioni di carcinoma a cellule renali (5-10 mg) e campioni di parenchima sano ottenuti da
pazienti sottoposti a nefrectomia radicale. Le proteine estratte da questi tessuti venivano solubilizzate e
separate mediante elettroforesi bidimensionale. Le mappe bidimensionali di tessuto tumorale venivano
confrontate con le mappe di tessuto sano portando all’individuazione di proteine differenzialmente espresse.
L’identificazione di tali proteine veniva effettuata mediante digestione proteolitica degli spot elettroforetici,
analisi in spettrometria di massa MALDI-TOF e “peptide mass fingerprint”.
Risultati
Il confronto del pattern proteico fra tessuti sani e tessuti carcinomatosi dimostrava una variazione significativa
di 15 proteine. In tutti i campioni di carcinoma analizzati la Reticolocalbina-1 risultava significativamente
iperespressa rispetto al tessuto sano.
Conclusioni
Utilizzando una quantità minima di tessuto da pazienti con carcinoma a cellule renali e facendo un’analisi
proteomica, abbiamo identificato alcuni nuovi potenziali marcatori proteici. Il significato diagnostico e
prognostico delle proteine identificate sarà valutato nel nostro laboratorio in campioni di plasma di pazienti
sani e malati. Per questo scopo stiamo preparando anticorpi proteina specifici, al fine di rendere possibile
l’applicazione dei risultati ottenuti con le tecniche proteomica nella pratica clinica.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Rene + Miscellanea
NEFROBLASTOMA (TUMORE DI WILMS) IN UNA GIOVANE DONNA IN GRAVIDANZA: UN CASO
CLINICO E REVISIONE DELLA LETTERATURA
Negro Carlo, Bosio Andrea, Destefanis Paolo, Bisconti Alessandro, De Maria Claudia, Cugiani Alberto,
Carchedi Mariateresa, Buffardi Andrea, Schillaci Cristina, Liberale Fabiola, Fontana Dario
Divisione Universitaria di Urologia 2, Ospedale “San Giovanni Battista – Molinette”, Torino
Introduzione
Il nefroblastoma (tumore di Wilms), è una neoplasia dell’infanzia, che molto raramente colpisce l’adulto (1-2%
di tutti i tumori) ed in tali casi si presenta con in uno stadio più avanzata (per ritardo diagnostico), con una
prognosi peggiore e con una bassa risposta alla chemioterapia.
Materiali e metodi
Presentiamo il caso di una giovane donna di 31 anni, che si è recata presso l’Ospedale Ginecologico (OIRMSant’Anna) con dolore al fianco sinistro e sovrapubico, alla 28a settimana di gravidanza gemellare. La RM
eseguita confermava la precedente diagnosi ultrasonografica di massa retroperitoneale (11x17cm) a partenza
dal polo superiore del rene sinistro. La paziente è stata quindi sottoposta a biopsia eco-guidata della massa
con evidenza istologica di sospetto nefroblastoma. Informata della situazione e delle possibili opzioni
terapeutiche è stato deciso insieme ai colleghi ginecologi, e previo parere del comitato etico dell’OIRMSant’Anna, di indurre il parto alla 32 settimana e di eseguire uno stretto follow-up ecotomografico. Pochi giorni
dopo il parto la paziente è stata sottoposta, presso la Nostra Divisione, a nefrectomia radicale con
linfoadenectomia retroperitoneale. All’esplorazione chirurgica la massa era strettamente aderente alla parete
addominale posteriore ed al polo inferiore della milza da cui era indissociabile. La linfoadenectomia
retroperitoneale è stata condotta lungo i linfonodi periaortici dal diaframma alla carrefour iliaco. L’istologico
definitivo confermava la diagnosi di nefroblastoma, confinato al rene sinistro, stadio I; l’analisi dei linfonodi non
ha evidenziato ripetizioni, pN0. La paziente è stata quindi sottoposta a chemioterapia adiuvante con vincristina
ed actinomicina-D per 22 settimane.
Risultati
A cinque mesi dall’intervento ed alla fine della chemioterapia la paziente risulta in ottime condizioni di salute,
come anche le due gemelline e la TC di follow-up non mostra segni di recidiva o progressione della malattia.
Conclusioni
Sono stati documentati circa 250 casi di tumore di Wilms in età adulta in letturatura sino ad ora, e solo in due
casi si presentava in gravidanza. L’approccio dei tumori renali in gravidanza pone problemi sia diagnostici sia
terapeutici. In generale è stato proposto di eseguire la nefrectomia o nel primo o nel terzo trimestre e di
eseguire nefrectomia dopo la 28 settimana se il tumore è stato diagnosticato nel II trimestre, per permettere la
maturazione polmonare del feto. L’approccio terapeutico del nefroblastoma deve essere multimodale ed
aggressivo; il National Wilms Tumor Study 4-5 ha osservato come la chemioterapia non sia efficace come
nell’infanzia, sebbene la sopravvivenza per i pazienti con stadio I, II, III, e IV con indici prognostici istologici
favorevoli sarebbe del 100%, 92%, 73%, e 70%, rispettivamente. L’approccio da noi seguito è in linea con le
indicazioni più recenti della letteratura, e sebbene il follo-up sia ancora breve i risultati sono incoraggianti.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Rene + Miscellanea
UN RARO CASO DI METASTASI RENALE DA MELANOMA
Borsa Roberto* , Cordara Giantommaso* , Rosso Diego*, Rossi Riccardo*, e Fontana Gabriele**
* I Liv. Dir .S.O.C. Urologia Ospedale SS. Annunziata Savigliano ASL CN 1
** Direttore S.O.C. Urologia Ospedale SS. Annunziata Savigliano ASL CN 1
Introduzione : Il melanoma rappresenta il 5% dei tumori maligni della cute. La sua incidenza è aumentata negli
ultimi cinquanta anni . Origina dai melanociti , cellule di derivazione dalla cresta neurale che migrano e si
localizzano nello strato basale dell’epidermide e raramente in sede extracutanea. E’ caratterizzato da una
elevatissima propensione alla meta statizzazione . Nel 12 % dei pazienti con metastasi non si è in grado di
identificare la lesione primitiva che verosimilmente è totalmente regredita. Può metastatizzare teoricamente in
ogni tessuto ma la sede più frequente è quella loco regionale. Polmone (20-30%) , fegato (15-20%) e cervello
(15-20%) sono le sedi più frequentemente coinvolte. La localizzazione tiroidea, surrenalica , pancreatica e
mammaria è generalmente silente. Metastasi renali che simulano un tumore primitivo sono molto rare. La
crescita ed invasività del melanoma sono classificabili secondo i criteri di Clark , lo spessore di Breslow utili sia
nella stadi azione che per la prognosi. Molto seguita è la stadiazione secondo l’ AJCC ( American Joint
Commitee on Cancer ).
Caso Clinico : Donna di 73 anni affetta da diabete mellito II, ipertesa , pregressa asportazione di neoplasia
mammaria pT2G2 e di meningioma. A gennaio 2008 linfoadenectomia inguinale destra con riscontro di mts
linfonodali da melanoma. La lesione primitiva localizzata al piede destro veniva asportata a febbraio ed a
luglio linfoadenectomia inguino crurale,otturatoria ,iliaca esterna sino alla biforcazione senza segni di malattia
residua. La paziente giungeva alla nostra osservazione ad ottobre 2008 poiché alla TAC di controllo si rilevava
una lesione solida,disomogenea a carico del polo inferiore del rene sinistro delle dimensioni di 64 mm x 76
mm non altri dati di rilievo. Il completamento della stadiazione deponeva per :
• TC cranio : Recidiva di meningioma ;
• TC torace : Negativa ;
• Scintigrafia ossea Total Body : Negativa ;
• Scintigrafia renale sequenziale : Funzione rene sx 43% con area ipocaptante al terzo inferiore.
La paziente veniva sottoposta a nefrectomia radicale sinistra con incisione a T secondo Rio Branco la massa
pesava 3100 gr . Il decorso post operatorio era regolare , la dimissione avveniva in 9 GPO.
Esame istologico : Metastasi renale di melanoma maligno .
Valutazione immunoistochimica :
• CD 99 ( H036-1.1) positivo ;
• S-100 debole focale positività ;
• HMB-45 : Focale positività ;
• Pancitocheratina ( AE1+AE3 ) : Negativa
Discussione : Il rene è un sito frequente di metastasi per tumori solidi ed ematologici molto rare le metastasi
da melanoma. . La prognosi di un paziente affetto da metastasi di melanoma è generalmente infausta con
sopravvivenza di circa 6 mesi. Attualmente il follow-up è negativo al 5 mese. Le MTS renali da melanoma
sono rare ma è curioso notare come nel 2007 siano stati segnalati 3 casi : due sul Journal of Urology (Shimko
MS ; Klatte T) ed uno sull’ Arch. Italiano Urol. Androl (Perdonà S.).
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Rene + Miscellanea
Liposarcoma renale aspetti clinici ed anatomo patologici
Manini C.* - Pedalino M – Di Primio O. G.-Vella R. –Vercesi E.- Monticone C.**- Genovese E.**Stramignoni D.*- Dongiovanni V. § - Di Roma A**. and Marino G.
S.C. Anatomia Patologica *– S.C. Oncologia§ - S.C. Chirurgia** – S.C. Urologia
ASL TO 5 - Carmagnola – Moncalieri – Chieri (TO)
Abstract
I sarcomi del retroperitoneo rappresentano lo 0,2% dei tumori e il 15% dei sarcomi dei tessuti molli. Le forme
più frequenti sono il liposarcoma e il leiomiosarcoma. La diagnosi differenziale deve essere fatta in base alla
sede di genesi renale o retro peritoneale. La diagnosi è spesso tardiva per la comparsa di una sintomatologia
correlata alla compressione o trazione di strutture solo quando la neoplasia diviene voluminosa. Il trattamento
è principalmente chirurgico anche nelle recidive a distanza in virtù di una scarsa risposta ai trattamenti
radioterapici o chemioterapici.
Caso Clinico: Riportiamo qui di seguito il caso di un uomo di 53 anni con un voluminoso liposarcoma ben
capsulato a carico del retroperitoneo che solleva il rene sx e lo disloca medialmente. Il paziente è stato
sottoposto alla asportazione della massa e alla linfectomia paraortica preservando il rene la cui capsula
propria è stata asportata insieme alla massa. Le caratteristiche principali di queste neoplasie sono: la rapida
crescita, l' infiltrazione del tessuto circostante, la tendenza alla metastatizzazione e l’elevata recidività locale
(60 %).
La chirurgia ablativa rimane a tutt’oggi la principale procedura terapeutica, la linfectomia loco regionale estesa
ai grossi vasi è raccomandabile onde ridurre il più possibile rischio di progressione loco regionale e sistemica.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Rene + Miscellanea
NUTCRACKER SYNDROMEN : REPORT DI 3 CASI TRATTATO CONSERVATIVAMENTE E REVISIONE
DELLA LETTERATURA
*A. Samuelli, P. Parma, *G. Mirabella, L. Cappellaro, B. Dall’Oglio, C. Bondavalli, *C. Simeone, S. Cosciani
Cunico
Divisione di Urologia Ospedale Carlo Poma Mantova
*Divisione di Urologia Spedali Civili di Brescia
Introduzione: La sindrome dello schiaccianoci “Nutcracker syndrome” è una rara causa di micro o
macroematuria frequentemente associata a moderata proteinuria, lombalgia sinistra, varicocele
sinistro e congestione del circolo pelvico. Per effetto “nutccracker” si intende la compressione
mesoaortica della vena renale sinistra a livello del compasso fra aorta ed origine della mesenterica.
L’incremento pressorio del circolo renale e periureterale sinistro è responsabile delle manifestazioni
cliniche. Non è invece completamente chiarita la correlazione fra entità della compressione e della
clinica.
Materiali e Metodi: Presentiamo tre casi di nutcraker syndrome trattati con vigile sorveglianza,
diagnosticati presso due centri, con i relativi reperti radiologici e clinico laboratoristici che hanno
condotto alla diagnosi. Si è inoltre eseguita una revisione della letteratura per quanto concerne gli
attuali orientamenti nella diagnosi e trattamento ed i risultati a lungo temine.
Risultati: Due dei tre pazienti hanno mostrato una progressiva risoluzione spontanea della clinica. In
un caso è probabile che l’attività fisica intensa abbia determinato la slatentizzazione di una situazione
“border-line”. A sostegno di tale ipotesi si è osservato, alla sospensione della attività fisica, una
completa risoluzione della clinica ed una normalizzazione dei parametri laboratoristici.. Nel secondo
caso la causa determinante la risoluzione della sintomatologia appare sconosciuta; probabilmente un
aumento ponderale può aver giocato un ruolo determinante nella diminuzione dell’effetto “Nutcracker”
a livello del ventaglio mesenterico. Nel terzo caso caratterizzato da macroematuria anemizzante, il
rifiuto della paziente a sottoporsi a trattamento chirurgico proposto di trasposizione della vena renale
sinistra con eventuale interposizione di protesi vascolare, ha condotto ad episodi recidivi di ematuria
tratatti con ripetute emotrasfusioni. La paziente a distanza di tempo rifiuta ancora il trattamento
proposto.
Conclusioni: Data la variabilità delle possibili manifestazioni cliniche l’iter diagnostico non può essere
standardizzato. Poiché nessuno dei trattamenti segnalati in letteratura è completamente scevro da
complicanze, è ragionevole in presenza di una clinica di modesta entità, un trattamento di vigile sorveglianza.
Qualora si renda necessario un trattamento di tipo chirurgico è bene pianificare attentamente il tipo di
approccio valutando le diverse opzioni.. Di fatto la trasposizione della vena renale sinistra pare che
rappresenti, in termini di risultati a breve e lungo termine, un trattamento risolutivo che espone ad un rischio di
complicanze chirurgiche minore rispetto ad altri trattamenti proposti, quali la trasposizione dell’arteria
mesenterica superiore o l’autotrapianto renale.
58 Convegno SUNI
Comunicazioni – Rene + Miscellanea
EMBOLIZZAZIONE DI SANGUINAMENTO RENALE: PUÒ IL MATERIALE DI DERIVAZIONE PORCINA
PRESERVARE LA FUNZIONALITÀ RENALE?
V. Varca*, A. Simonato*, D. M'hamed**, R: Pizzorno*, M. Esposito*, E. Daglio*, G. Carmignani*
* Clinica Clinica Urologica L. Giuliani, Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino
** Radiologia interventistica, azienda ospedaliera universitaria san martino , Genova
Introduzione:
Lo scopo del lavoro è accertare la sicurezza e l'efficacia di gelfoam di derivazione suina (Curaspon) per
l'occlusione di arterie renali in caso di sanguinamento.
Materiali e metodi:
In un periodo di più di 3 anni, sono giunti al nostro dipartimento i 6 pazienti con sanguinamento renale
conseguente a trauma per embolizzazione selettiva in urgenza. La causa del sanguinamento era traumatica in
4 pazienti, iatrogena in 2 casi (una tumorectomia polare inferiore in paziente monorene e rimozione di un
calcolo renale). Una angiografia digitale superselettiva ha confermato la diagnosi di sanguinamento attivo.
L'embolizzazione è stata effettuata con frammenti di Curaspon e iniettati in 6 arterie segmentarie in 4 pazienti
e in 2 arterie lobari negli altri due.
Risultati:
Solo in due pazienti è stata necessaria una seconda sessione di embolizzazione. A fine seduta tutti i pazienti
sono stati trattati con successo. La TC e la scintigrafia renale eseguita 2 mesi dopo l'embolizzazione hanno
dimostrato la normale vascolarizzazione del parenchima embolizzato nei 4 pazienti con embolizzazione
dell'arteria segmentaria, mentre nei due pazienti con occlusione dell'arteria lobare è stato dimostrato solo una
minima riduzione della per fusione parenchimale, senza segni di infarto
Il gelfoam "Curaspon" nella nostra esperienza si è dimostrato un materiale sicuro ed efficace per l'occlusione
temporanea di sanguinamenti renali arteriosi.
Conclusioni:
In caso di sanguinamento renale, rispetto agli altri materiali usati per le embolizzazioni, Curaspon aiuta a
preservare la funzionalità renale.
58 Convegno SUNI
Video – Urologia Ricostruttiva
PROSTATECTOMIA RADICALE
BENDAGGIO DELL’ANASTOMOSI VESCICO-URETRALE IN PAZIENTI A MAGGIOR RISCHIO DI
INCONTINENZA URINARIA
Cucchiarale G.- Milan G.L.- G. Mascarini - Ferrando U.
S.C. Urologia 3 – Ospedale S.G.Battista-Molinette - Torino
Unità Funzionale di Urologia – Clinica Cellini - Torino
Scopo del lavoro
La prostatectomia radicale è considerata il gold standard nel trattamento del carcinoma prostatico
organo confinato. E’ in continuo aumento il riscontro di carcinomi localizzati alla ghiandola in pz già
sottoposti a precedente chirurgia disostruttiva e la diagnosi incidentale in pazienti con PSA di norma,
sottoposti a disostruzione cervico-prostatica endoscopica o con tecnica open.
La chirurgia radicale in pazienti sottoposti a precedente chirurgia disostruttiva è gravata da una maggior
percentuale di complicanze post chirurgiche in termini di incontinenza urinaria e di possibile ritardato
consolidamento dell’anastomosi vescico-uretrale.
Analoghe difficoltà, si incontrano in pazienti sottoposti a chirurgia prostatica radicale di salvataggio post
radioterapia o trattamento HIFU.
Il video mostra la tecnica chirurgica ed i buoni risultati minzionali da noi ottenuti in questa tipologia di pazienti
in cui siamo soliti eseguire, contestualmente alla prostatectomia radicale retropubica, il bendaggio
dell’anastomosi vescico-uretrale con benderella di tessuto biocompatibile (Intexen® - collagene di derma
porcino)
Tecnica chirurgica:
Prostatectomia radicale retropubica classica. Nella maggior parte dei pazienti lo scollamento della ghiandola
dai tessuti periprostatici risultata essere più difficoltosa per le aderenze post chirurgiche e per la
scheletrizzazione interna dell’apice prostatico o per la diversa consistenza e troficità tissutale post-attinica . Si
procede a dissezione dei piani per via smussa. Attenta sezione dei margini uretrale e vescicale. Accurata
ricostruzione del collo vescicale; posizionamento sul versante uretrale di 5 punti di Maxon 3-0 per il
confezionamento dell’anastomosi vescico-uretrale.
Una benderella di Intexen® viene appoggiata sulla faccia anteriore del retto e stabilizzata in posizione
mediana con un punto riassorbibile subito al di sotto dell’estremo prossimale dell’uretra. Si realizza a questo
punto l’anastomosi vescico-uretrale con tecnica classica a punti staccati. Ora la benderella viene “avvolta”
attorno all’anastomosi vescico-uretrale ed i suoi due estremi solidarizzati tra loro. Una “cravatta” avvolge
come un regolare manicotto circolare la anastomosi vescico-uretrale, rinforzandola ed avvolgendola ab
estrinseco.
Il controllo cistografico, eseguito in occasione della rimozione del catetere vescicale, non evidenzia
spandimenti dell’anastomosi ed il neo-collo, valutato nella fase minzionale, appare regolarmente imbutizzato.
Ottimi risultati in termini di miglioramento della percentuale di continenza sia immediata che a distanza, ci
hanno indotto ad adottare questa tecnica in tutti i pazienti che presentavano i requisiti esposti.
58 Convegno SUNI
Video – Urologia Ricostruttiva
VIDEO DI URETROPLASTICA IN DUE TEMPI CON GRAFT DI MUCOSA BUCCALE
AUTORI: Gontero Paolo, Oderda Marco, Joniau Steven, Tizzani Alessandro
ISTITUTO: Università degli Studi di Torino, Az. Osp. S.Giovanni Battista – Molinette
INDIRIZZO: C.so Dogliotti 14, Torino, Italia.
ABSTRACT:
OBIETTIVI: le stenosi dell’uretra anteriore possono essere trattate con lembi peduncolati oppure con trapianti
liberi, prelevati dalla cute dei genitali o extra-genitale. Tra questi ultimi è stato proposto l’uso della mucosa
buccale, che sta riscuotendo ampi consensi nell’ambito della chirurgia ricostruttiva. Noi presentiamo l’utilizzo
di mucosa buccale in un intervento di uretroplastica in due tempi, in un paziente con stenosi uretrale peniena
pre-meatale plurirecidiva da balanite xerotica obliterante.
METODI E RISULTATI: nel primo tempo dell’intervento, è stata effettuata la divulsione del meato uretrale
esterno, ipospadico in esiti di plurimi interventi. L’uretra è stata messa a piatto per circa 5 cm, fino ad
incontrare la mucosa uretrale sana e rosea. Il tratto di mucosa sclerotica è stato asportata completamente,
insieme ad una parte del tessuto spongioso circostante; il moncone uretrale è stato spatulato, con
avanzamento del meato uretrale di alcuni mm. Successivamente è stato effettuato il prelievo di mucosa
buccale dalla faccia interna della guancia sinistra; l’innesto è stato posizionato al posto del piatto uretrale e
attorno all’orifizio uretrale, suturato e sottoposto a piccole incisioni di scarico con il bisturi a freddo. È stato
inserito un catetere Foley siliconato dinamico 18 Ch, su cui sono state chiuse le ali del glande su garza
paraffinata. A distanza di circa 6 mesi, è stato effettuato il secondo tempo dell’intervento. Il lembo di mucosa
buccale appariva ben attecchito, senza residui macroscopici del lichen. Il margine della mucosa buccale è
stato inciso sino ai corpi cavernosi, ottenendo tessuto sufficiente per ricostruire un meato tubulare attorno ad
un catetere Foley 16 Ch. Il lembo tubularizzato di mucosa è stato suturato in continua; un secondo strato di
sutura continua è stato eseguito nel sottocute. Punti staccati sono stati apposti sulla cute peniena e sul
neomeato uretrale. Il decorso post-operatorio è stato regolare. A 6 mesi il paziente presenta un flusso
massimo di 19 ml/sec e presenta un soddisfacente risultato estetico
CONCLUSIONI: L’uretroplastica con mucosa buccale in 2 tempi rappresenta attualmente il trattamento di
scelta nelle stenosi uretrali distali da balanite xerotica obliterante, anche se mancano attualmente dati sui
risultati a lungo termine di questa procedura.
58 Convegno SUNI
Video – Urologia Ricostruttiva
CORREZIONE LAPAROSCOPICA DI FISTOLA VESCICO VAGINALE
P. Parma, B. Dall’Oglio, A. Samuelli*, C. Bondavalli
Divisione di Urologia Ospedale Carlo Poma Mantova
*Divisione di Urologia Spedali Civili di Brescia
Introduzione: Le fistole vescico vaginali sono un evento raro nel mondo occidentale ma rappresentano una
seria complicanza della chirurgia uroginecologica. Le cause sono dovute nell’ 85% dei casi a complicanze di
interventi di isterectomia (1 su 1800 interventi). Altre cause sono la radioterapia per neoplasia ginecologica o
del retto (10%) e nel 5% dei casi cause ostetriche. La correzione laparoscopica delle fistole vescico vaginali è
stata descritta per la prima volta nel 1994 e da allora sono stati riportati in letteratura 40 casi. Le indicazioni
sono le stesse della chirurgia aperta: fistole ampie, sopratrigonali, difficilmente raggiungibili per via vaginale.
Materiali e Metodi: Presentiamo il caso di una donna di 49 anni giunta alla nostra osservazione con una fistola
vescico vaginale dopo intervento di isterectomia per via laparotomia. Con la paziente in posizione ginecologica
si procede al posizionamento di 5 trocar ad U rovesciata trans peritoneali con il primo accesso eseguito con
tecnica open a livello dell’ ombelico. Contemporaneamente con un cistoscopio introdotto in vescica vengono
incannulati gli osti ureterali ed il tramite fistoloso con cateteri ureterali di colore diverso. Dopo aver lisato le
aderenze intestinali del precedente intervento si incide il peritoneo posteriore tra vescica e vagina. Con l’aiuto
della luce del cistoscopio si apre la parete vescicale posteriore in prossimità della fistola. Si apre quindi la
parete vaginale anteriore, si asporta il tramite fistoloso e si separano per via smussa la parete posteriore
vescicale da quella anteriore vaginale. Si chiude la vagina con sutura in continua con Vicryl-0 e si chiude in
continua lo strato della mucosa vescicale con Monocryl 2-0. Si scolpisce un flap di omento e lo si interpone tra
vescica e vagina mediante due punti sulla parete vaginale anteriore distalmente alla rima di sutura. Si chiude
quindi lo strato siero muscolare della parete vescicale con monocryl 2-0 in punti staccati.Si esegue una prova
di tenuta della sutura vescicale introducendo in vescica 200 ml di soluzione fisiologica.
Risultati: Il tempo operatorio è stato pari a 170 minuti . Non si sono avute complicanze intraoperatorie né
post operatorie. La degenza ospedaliera media è stata pari a 4 gg . La rimozione del catetere è stata eseguita
in 14° giornata previa l’esecuzione di una cistografia. Ad un follow up medio di 10 mesi la paziente è rimasta
completamente asciutta.
Conclusioni: la correzione laparoscopica transperitoneale delle fistole vescico vaginali è una tecnica
riproducibile se in possesso di un adeguato training laparoscopico di chirurgia pelvica.
Riteniamo che attualmente rappresenti una valida alternativa alla chirurgia open in funzione della
magnificazione dei dettagli anatomici, della facilità di lavoro in scavo pelvico profondo, della mini-invasività.
58 Convegno SUNI
Video – Urologia Ricostruttiva
TRAUMI DELL'URETRA: SOLUZIONE TECNICA PER L'ESPOSIZIONE CORRETTA DEL MONCONE
PROSSIMALE
A. Simonato, F. Venzano, V. Varca, M. Esposito, L. Chuidjio Kouatang, G. Carmignani
Clinica Urologica L. Giuliani, Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino
Introduzione:
Nei traumi completi dell'uretra con o senza frattura del bacino uno dei maggiori problemi che il chirurgo
incontra durante l'intervento definitivo di uretroplastica è la localizzazione esatta del versante prossimale della
stenosi.A questo scopo sono stati utilizzati diversi accorgimenti come l'utilizzo alla cieca di un beniquet o di
una sonda inseriti nell'uretra prostatica attraverso una cistotomia, oppure facendosi guidare dalla luce di un
cistoscopio flessibile.In questo video presentiamo un accorgimento tecnico per evidenziare meglio il versante
prossimale delle stenosi dell'uretra che riduce notevolmente i rischi e le complicanze di manovre cieche,
facilitando la resezione precisa del tessuto fibrotico e rendendo così più agevole e sicura l'anastomosi.
Materiali e metodi:
Si prepara una sonda Nelaton semirigida 24 Ch praticando un piccolo foro sulla punta coassiale con il
catetere.Attraverso il tramite dell'epicistostomia, previa dilatazione progressiva con i dilatatori coassiali di
Amplaz, si posiziona una camicia 28 Ch e con il cistoscopio flessibile si raggiunge la stenosi uretrale per via
anterograda, si fa passare una guida angiografica attraverso la stenosi e la punta viene recuperata a livello del
meato uretrale esterno.
Si introduce in vescica per via sovrapubica la sonda Nelaton 24 Ch sulla guida precedentemente posizionata.
La coda della guida viene bloccata con un apposito fermo. A questo punto per posizionare esattamente la
punta della sonda a livello del versante prossimale della stenosi è sufficiente tirare la guida che esce dal
meato uretrale. Mantenendo tirata la guida il moncone prossimale verrà facilmente individuato ed esposto.
Risultati:
Tale modalità permette di evitare danni all'uretra con manovre cieche, creando delle false strade che
potrebbero andare a danneggiare direttamente o indirettamente i meccanismi della continenza e della potenza
sessuale.
L'eccellente esposizione del tratto stenotico consente una sua precisa delimitazione e resezione agevolando
così l'anastomosi. La sonda inoltre può, in caso di necessità, essere rimossa facendo semplicemente scorrere
la guida cranialmente e con la stessa semplicità riposizionata con assoluta certezza.
La tecnica da noi proposta si diversifica da altre descritte in quanto la guida viene posizionata sotto vista sul
fondo del versante prossimale della stenosi, la guida avrà vincolata una sonda di grosso calibro che si fermerà
sulla stenosi stessa e sarà la semplice trazione sulla guida dal versante distale ad esporre la stenosi, sul piano
perineale.Inoltre si dosa meglio la forza per l'esposizionementre e la direzione della punta della sonda è
obbligata.
Conclusioni:
Questo accorgimento presenta tutti i vantaggi delle manovre sotto vista e la possibilità di esporre il fondo della
stenosi in modo ottimale e senza il rischio di traumatismi, che possono risultare determinanti in termini di
accuratezza dell'anastomosi con possibili ripercussioni anche sulla continenza e sulla potenza.
58 Convegno SUNI
Video – Urologia Ricostruttiva
PRELIEVO DELLA MUCOSA LINGUALE: TECNICA CHIRURGICA E SUA APPLICAZIONE
A. Simonato*, F. Venzano*, V. Varca*, M. Esposito*, A Lissiani**, A. Gregori***, G. Carmignani*
* Clinica Urologica L. Giuliani, Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino
** Clinica Urologica Università degli Studi di Trieste
*** U.O.Urologia, Azienda Ospedaliera Universitaria L.Sacco, Milano
Introduzione:
La mucosa buccale (BMG) è considerata il migliore tessuto autologo per la ricostruzione delle mucose dei
genitali esterni. La mucosa ventro-laterale della lingua ha una struttura anatomica ed embriologica identica
alla BMG, possiede le stesse favorevoli proprietà immunologiche e di attecchimento.
Il video illustra dettagliatamente la tecnica originale di prelievo e le nostre applicazioni cliniche.
Materiali e metodi:
Da gennaio 2001 a dicembre 2007, 32 uomini (età media, 50 anni) sono stati sottoposti a prelievo della
mucosa linguale (LMG): 27 con stenosi dell'uretra anteriore sono stati sottoposti ad uretroplastica in tempo
unico e 5 con neoplasia del pene sono stati sottoposti a ricostruzione del glande. La lunghezza media delle
stenosi era di 3 cm. I pazienti con stenosi dell'uretra bulbare, peniena o bulbo-peniena sono stati sottoposti ad
uretroplastica in tempo unico con innesto dorsale libero di LMG, i pazienti con stenosi coinvolgenti il meato
uretrale esterno sono stati sottoposti ad uretroplastica con utilizzo di lembo libero dorsale e uretrotomia
sagittale ventrale in unico tempo secondo la tecnica descritta da Asopa. Dei 5 pazienti con ca del pene 3 sono
stati sottoposti a glandulectomia e 2 a penectomia parziale.
Sono stati considerati criteri di successo: la valida ripresa della minzione spontanea senza residuo
postminzionale e nessuna strumentazione per le uretroplastiche ed il risultato estetico per le ricostruzioni del
glande. In tutti i pazienti è stata valutata la morbilità del sito donatore.
Risultati:
Le uretroplastiche bulbari e peniene senza coinvolgimento del meato hanno avuto una percentuale di
successo rispettivamente del 81.8 e 100% mentre solo del 66,6% quelle coinvolgevano anche il meato. La
percentuale di recidiva è stata del 18,5%. Le ricostruzioni del glande sono state giudicate soddisfacenti dai
pazienti. I pazienti hanno lamentato solo un modesto fastidio sulla sede di prelievo e una lieve difficoltà
nell'articolare alcune parole per 1 o 2 giorni.
La sede abituale di prelievo della BMG è la guancia, il labbro inferiore e più raramente il labbro superiore. La
nostra ricerca ha fatto si che la LMG è diventata una nuova fonte tessutale che ha ottime capacità di
attecchimento che può essere utilizzata da sola o come integrazione in pazienti che richiedano ampi lembi
liberi di tessuto per cui la BMG non è sufficiente. Questo fa sì che si possano evitare prelievi estesi di BMG
che espongono più frequentemente a complicanze del sito donatore. Le nostre impressioni vengono
attualmente confermate anche da altri autorevoli Autori internazionali che hanno utilizzato la LMG anche in
campo non urologico.
Conclusioni:
La LMG ha dimostrato ottime capacità d'attecchimento e può essere considerata un materiale d'innesto sicuro
ed efficace con bassissimi rischi di complicanze del sito donatore.
La lingua è una nuova e valida fonte di tessuto che l'urologo può utilizzare per la chirurgia ricostruttiva.
58 Convegno SUNI
Video – Urologia Ricostruttiva
TRATTAMENTO DI STENOSI SERRATA DELL’URETRA BULBARE MEDIANTE URETROPLASTICA
ANASTOMOTICA DI AMPLIAMENTO CON MUCOSA BUCCALE
Paolo Gontero*, Steven Joniau**, Dario Vigna*, Elena Cattaneo*, Chiara Fiorito*, Giovanna Berta*,
Alfredo De Libero*, Alessandro Tizzani*
* Urologia 1 - A.O.U. Molinette San Giovanni Battista di Torino
** Department of Urology - University Hospitals Leuven Gasthuisberg - Leuven (Belgium)
Introduzione e obiettivi: presentiamo il caso di un paziente di 67 anni, con anamnesi generale negativa per
traumi e patologie di rilievo, giunto alla nostra osservazione per peggioramento del mitto e disuria
ingravescenti da circa 4 anni. All’anamnesi urologica riferiva un’uretrotomia per stenosi uretrale 15 anni prima.
Nel settembre 2008 il paziente è stato sottoposto a uretroscopia diagnostica e infruttuoso tentativo di
uretrotomia interna per la presenza di una stenosi serrata a livello bulbo-membranoso, tale da rendere
necessario per il drenaggio delle urine l’inserimento di un catetere cistostomico. La cistografia retrograda e
trans-cistostomico hanno evidenziato un quadro di vescica da sforzo pluridiverticolare con collo vescicale ben
distensibile e una stenosi dell'uretra bulbare di quasi 6 cm, serrata a livello prossimale. Il video mostra le fasi
salienti dell’intervento di uretroplastica anastomotica di ampliamento con mucosa buccale a cui il paziente è
stato da noi sottoposto nel novembre 2008.
Metodi: dopo accurata mobilizzazione del bulbo uretrale, l'uretra bulbare viene aperta longitudinalmente per
un tratto di circa 6 cm. Il tessuto fibrotico ne occupa interamente il lume per un tratto di 2 cm. Resezione del
tratto in oggetto e asportazione di tratto addizionale di fibrosi dal bulbo prossimalmente. Verifica con
cistoscopio flessibile dell'uretra prossimale che risulta aperta a pochi mm distalmente dallo sfintere. Prelievo di
un tratto di mucosa buccale di 5 cm dalla guancia sinistra. Sezione parziale del setto intercavernoso a livello
delle crura. Apposizione del lembo di mucosa buccale dorsalmente sulla superficie dei corpi cavernosi e delle
crura. Sutura del lembo prossimale di uretra spatulato al lembo di mucosa con 3 punti e ago foggiato a J.
Sutura del lembo distale di uretra a quello della mucosa. Partendo distalmente si eseguono due suture
emicontinue approssimando uretra a mucosa buccale. Inserimento del catetere vescicale in vescica e
completamento della chiusura con punti staccati verso il lato prossimale.
Risultati: il catetere vescicale è stato rimosso dopo 15 giorni. La flussimetria eseguita a 4 mesi dall'intervento
chirurgico dimostra un flusso di morfologia regolare con Qmax 23 ml/s. Il paziente è continente e ampiamente
soddisfatto dell'esito dell'intervento subito.
Conclusioni: l'uretroplastica anastomotica di ampliamento con mucosa buccale rappresenta un'ottima
soluzione per il trattamento delle stenosi dell'uretra bulbare di lunghezza > 5 cm, purchè siano rispettati tutti i
principi fondamentali della chirurgia ricostruttiva dell'uretra: la completa escissione del tratto fibrotico, l'ampio
spatulamento dei margini anastomotici uretrali e la creazione di anastomosi tension-free.
58 Convegno SUNI
Poster
Utilizzo di un patch emostatico applicato sui bundles nella prostatectomia
radicale retro pubica nerve sparing
Pedalino M., Di Primio O.G., Vella R., Vercesi E. and Marino G.
ASL TO 5 Chieri – Ospedale San Lorenzo di Carmagnola ( TO)
L’attuale possibilità di diagnosticare il tumore prostatico organo confinato permette di proporre in molti casi la
prostatectomia radicale retro pubica nerve sparing.
Tale procedura richiede l’attenta dissezione dei bundles che decorrono lungo il margine postero laterale della
prostata adiacenti al margine vescicolare tra il foglietto della fascia prostatica e quella pelvica . Il fascio
vascolo nervoso più distalmente percorre il connettivo parauretrale dell’uretra membranosa a ore 5 e 7 prima
di penetrare nel diaframma urogenitale e successivamente nei corpi cavernosi.
Nella tecnica retro pubica nerve sparing dopo il ribaltamento prostato vescicolare intrafasciale si effettua una
attenta dissezione non solo per mantenere indenne il fascio nervoso bensì per assicurare l’integrità vascolare
allo stesso. Per far ciò occorre evitare l’emostasi con strumenti a conduzione elettrica ( diatermo coagulazione
, bipolare, ecc) .
In tal senso l’utilizzo del patch di spugna medicata di Tachosil si è rilevato efficace avendo l’attenzione di
mantenerlo a diretto contatto per tre minuti con una debole pressione sull’area anatomica descritta. Nel 2008
su 13 casi selezionati con malattia organo confinata ( < o = pT2NoMo Gleason 3+ 3 / 3+4 ) in 9 pazienti si è
mantenuta una valida erezione mentre per gli altri casi per mantenerla è stato necessaria una terapia
adiuvante farmacologica. Riteniamo pertanto che la spugna emostatica sia efficace se applicata secondo le
procedure e che il costo del materiale sia ripagato dall’efficacia emostatica e clinica permettendo nei casi
selezionati di mantenere sia la radicalità oncologica che il ritorno a una vita sessuale soddisfacente.
58 Convegno SUNI
Poster
RI-BIOPSIA MIRATA DELLA PROSTATA DOPO RISONANZA MAGNETICA ENDORETTALE (MRI)
DELLA PROSTATA E SPETTROSCOPIA (MRS) IN PAZIENTI CON ASAP: RISULTATI PRELIMINARI
Destefanis Paolo1, Bosio Andrea1, De Maria Claudia1, Bisconti Alessandro1, Cugiani Alberto1, Negro Carlo1,
Carchedi Mariateresa1, Buffardi Andrea1, Petracchini Massimo3, Munoz Fernando2, Cirillo Stefano3, Fontana
Dario1
1) Divisione Universitaria di Urologia 2, Ospedale “San Giovanni Battista – Molinette”, Torino
2) Divisione di Radioterapia, Ospedale “San Giovanni Battista – Molinette”, Torino
3) Servizio di Radiodiagnostica, Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro di Candiolo (TO)
Introduzione
Esistono dati di letteratura che documentano che la combinazione di di MRI e MRS può aiutare nella guida e
limitare il numero di ri-biopsie prostatiche e prelievi in pazienti con una o più biopsie prostatiche negative e il
PSA in crescita. A nostra conoscenza, la combinazione di MRI/MRS non è mai stata valutata in caso di ASAP,
condizione di alto rischio per carcinoma prostatico. Lo scopo di questo studio è di valutare il ruolo della
MRI/MRS in pazienti con ASAP e, in particolare, l'efficacia nel riconoscere il carcinoma prostatico e la sua
sede nella ghiandola.
Metodi
Da Novembre a Settembre 2008 abbiamo reclutato 28 pazienti consecutivi con riscontro istologico su biopsia
prostatica transrettale ecoguidata di ASAP. I dati completi sono disponibili per 26 pazienti. Tutti i pazienti sono
stati sottoposti a MRI/MRS non prima di 45 giorni dalla biopsia prostatica precedente. Alla MRI/MRS le sedi
della prostata sono state classificate in: 1) sospette per carcinoma se era presente segnale ipointenso sulle
immagini pesate in T2 e/o se il rapporto colina+creatinina / citrato era > 0,86, 2)dubbie o 3)negative negli altri
casi. Successivamente è stata effettuata la ribiopsia a 12 prelievi con eventuali prelievi mirati nelle aree
sospette alla MRI/MRS. I risultati della MRI/MRS sono stati confrontati con quelli dell'istologia della ri-biopsia.
Risultati
La combinazione di MRI e MRS era sospetta per carcinoma nel 70% dei pazienti, dubbia in 23% e negativa
nel 7%. I risultati istologici della ribiopsia sono stati carcinoma prostatico nel 35%, ASAP nel 23%, IPB o
prostatite nel 42%. Nel 78% dei pazienti affetti da carcinoma prostatico la combinazione di MRI/MRS risultava
sospetta mentre nel 22% dubbia. Il carcinoma prostatico è stato diagnosticato nel 36% dei pazienti con una
MRI/MRS sospetta, nel 33% di quelli con una MRI/MRS dubbia e in nessun paziente con MRI/MRS negativa.
In tutti i pazienti, il carcinoma è stato riscontrato nelle zone sospette alla MRI/MRS dove sono state effettuate
le biopsie mirate. Discussione
La combinazione di EndoMRI e MRS ha dimostrato un'ottima sensibilità, ma una scarsa specificità
nell'identificare il carcinoma prostatico in pazienti con pregresso riscontro di ASAP. La sede dei prelievi positivi
per carcinoma prostatico concordava con le zone sospette alla MRI/MRS. L'alto rischio di carcinoma prostatico
nei pazienti con ASAP potrebbe giustificare l'uso della MRI/MRS. Inoltre la possibilità di effettuare prelievi
mirati consente di migliorare la sensibilità diagnostica della biopsia rispetto al tradizionale schema a 12
prelievi.
58 Convegno SUNI
Poster
PROSTATECTOMIA RADICALE PERINEALE.
RAZIONALITA’ DI TALE PERCORSO
Cucchiarale G., Milan G.L., G. Mascarini., Ferrando U.
S.C. Urologia 3 – Ospedale S.Giovanni Battista - Molinette – Torino
Unità funzionale di Urologia – Clinica Cellini - Torino
Scopo del lavoro
L’esigenza sempre più sentita dell’Urologia moderna di adottare tecniche chirurgiche le meno invasive possibili,
nell’assoluto rispetto della radicalità oncologica, con attenzione massima alla qualità di vita in termini di preservazione
della potenza sessuale e della continenza urinaria senza perdere di vista i costi delle procedure, hanno reso quanto mai
attuale e moderna la tecnica chirurgica di ablazione radicale della ghiandola prostatica per via perineale.
La prostatectomia radicale è considerata il gold standard nel trattamento del carcinoma prostatico. A fianco della
prostatectomia con classico accesso retropubico ed alla continua diffusione della tecnica laparoscopica, si riafferma la
prostatectomia perineale come trattamento d’elezione per pazienti con carcinoma localizzato.
Scopo di questo lavoro è presentare la nostra esperienza nell’esecuzione della prostatectomia radicale con accesso
perineale ed evidenziarne i vantaggi in termini di controllo della malattia, tempi chirurgici e di ospedalizzazione,
ponendosi a metà fra l’accesso retropubico e la confidenza dell’urologo con la chirurgia aperta, e la tecnica
laparoscopica con la ottima visualizzazione e preservazione delle strutture anatomiche e la ridotta morbilità postchirurgica.
Materiali e metodi
Dal 1998 al 2009 sono state eseguite c/o il nostro centro, 243 prostatectomie perineali.
Età: media 63 aa (range 52-77).
PSA: medio 6.73 ng/ml (range 1.2-10).
G.S. pre-operatorio: medio 6 (4-7)
G.S. definitivo: medio 6.7 (range 5-9)
Risultati
Tempi chirurgici: media 80 min (range 50 – 140 min)
Ospedalizzazione media: 4.5 giorni (range 4-8 giorni)
Cateterizzazione media: 10 giorni ( range 8-15 giorni)
Complicanze : Infrazione del retto: 4, Revisione chirurgica per ematoma: 1
Necessità di emotrasfusione: 18%
Problemi di ferita chirurgica: 9%
Stenosi uretrale: 1.5 %
Incontinenza lieve: 20%
Incontinenza fecale 0 %
Discussione
Indiscussi ed evidenti sono i vantaggi della prostatectomia radicale con accesso perineale:
- Minor invasività (il perineo è la via d’accesso di elezione per la prostata)
- Percorso anatomico (precisa evidenziazione delle strutture anatomiche)
- Agevole emostasi (poche strutture vascolari e facilmente aggredibili)
- Agevole realizzazione dell’anastomosi vescico-uretrale (in un piano assolutamente superficiale e
direttamente sotto vista)
- Agevole visualizzazione dei bundles nervosi e delle vescicole seminali
- Percorso adatto alla gran parte dei pazienti
- Ridotti tempi chirurgici
- Possibilità di effettuazione in anestesia spinale
- Breve curva d’apprendimento
- Spese di realizzazione ridotte all’”essenziale”
Messaggio conclusivo
La prostatectomia radicale perineale, rispetto alle più diffuse tecniche open e laparoscopiche, offre una sintesi dei
vantaggi offerti dalle singole tecniche, magnificati dai bassissimi costi di realizzazione.
58 Convegno SUNI
Poster
RISULTATI E PROSPETTIVE A DIECI ANNI DALLA NASCITA DEL CENTRO TRAPIANTI DI RENE DI
MODENA
Baisi Beniamino, Giovannoni Massimo,Benassi Giulio,Cappelli Gianni,.Rubbiani Elisabetta,Bonucchi
Decenzio, Colopi Stefano, Ragazzi Giovanni e Bianchi Gianpaolo.
Centro trapianto di rene.
Azienda Universitaria
Policlinico di Modena
Clinica Urologica: Dir. Prof. G.Bianchi.
Dicembre 2008
rappresenta il decimo anno di attivita’ del nostro centro trapianti di rene.
Il numero complessivo dei trapianti e’ risultato essere di 325 cosi’ suddivisi per tipologia: 255 tx di singolo
rene,30 tx di doppio rene,16 tx combinato di fegato e rene e 24 tx da vivente.
Il rene trapiantato e’ sempre sato posizionato in fossa iliaca tramite incisione sec Gibson, l’anastomosi
vascolare sempre confezionata sui vasi iliaci esterni , l’anastomosi uretero-vescicale eseguita secondo la
tecnica di Lich- Gregoir.
Il tempo di ischemia fredda medio e’ risultato di circa 14 ore.Il trapianto singolo di rene ha richiesto una media
di esecuzione di circa 185 minuti mentre il doppio ha richiesto una media di 365 minuti.
Nel caso del trapianto doppio di rene si e’ preferito posizionare un rene per ogni fossa iliaca tramite incisione
di Gibson bilaterale.
Il valore medio di creatininemia e’ risultata nel doppio trapianto di rene di 1.5+/- 0.5 mg/dl,nel trapianto
combinato di fegato- rene di1.4 +/-0.4 mg/dl.
Le complicanze urologiche riscontrate come(stenosi ureterali, fistole urinose ,linfoceli ostruenti ,ecc.) si
attestano ad una percentuale di circa 6% grazie allo utilizzo costante dello stent ureterale nella anastomosi
uretero- vescicale.
Percentuali di complicanze piu’ basse si sono osservate a carico delle anastomosi vascolari praticate a livello
dei vasi iliaci esterni risolte con trattamento endovascolare(dilatazione con palloncino e successivo
posizionamento di stent).
Dal punto di vista nefrologico tutti i rigetti sono stati trattati con terapia medica.
La tipologia dei reinterventi d’urgenza ha riguardato in 4 casi la revisione per ematomi, 1 caso per erniazione
di anse intestinali per lacerazione della fascia,1 caso per rottura del rene da pregressa biopsia renale con
formazione di un pseudoaneurisma , 1 caso per fistola vescica- sigmoidea, 1 caso per fistola urinosa da
lacerazione dello uretere al terzo medio,1 caso per lacerazione del parenchima renale da rimozione di
drenaggio incarcerato. La sopravvivenza d’organo ad 1 anno e’ risultata del 94% e a tre anni di 89.5% dato
positivo visto l’utilizzo di donatori marginali e di pazienti con patologie come Epatite B ,C o HIV positivi.
La tendenza nel nostro centro di trapiantologia per quanto riguarda la terapia immunosoppressiva e’ quello di
utilizzare bassi dosaggi di ciclosporina o farmaci di nuova generazione come sirolimus o everolimus meno
nefrotossici.Anche se il 2008 ha registrato un netto aumento dei trapianti nel nostro centro il dato generale del
calo delle donazioni ci induce ad aumentare il trapianto da donatore vivente.
58 Convegno SUNI
Poster
LA DISOSTRUZIONE ENDOSCOPICA NEL PAZIENTE NEFROTRAPIANTATO: L’ESPERIENZA DEL
CENTRO TRAPIANTI RENALI DI TORINO.
Bosio Andrea, Lasaponara Fedele, Pasquale Giovanni, Sedigh Omidreza, Liberale Fabiola, Fontana Dario.
Ospedale San Giovanni Battista – Molinette, Divisione Universitaria di Urologia 2, Torino.
Obiettivi
Al fine di preservare la funzionalità di un rene trapiantato è fondamentale che la vescica in cui l’uretere viene
impiantato non sviluppi al suo interno alte pressioni né in fase di riempimento né in fase di svuotamento: deve
essere dotata dunque di buona capacità e non deve essere presente un’ostruzione allo svuotamento
vescicale.
Materiali e Metodi
Verranno analizzati i dati relativi ai pazienti sottoposti a trapianto renale presso il Centro Trapianti Renali di
Torino dal 2002 al 2009. La presenza di sintomi delle basse vie urinarie (LUTS) viene valutata nel corso della
visita urologica per stabilire l’idoneità al trapianto di rene nei pazienti con diuresi residua. Tutti i pazienti
vengono poi rivalutati dopo il trapianto alla ripresa o stabilizzazione della diuresi per escludere l’insorgenza o il
peggioramento dei LUTS. Nei pazienti con sintomi della fase di svuotamento vescicale viene eseguito e
ripetuto un esame uroflussimetrico e viene valutato il residuo post-minzionale. Qualora l’esito di questi esami
risulti patologico al paziente viene indicata l’assunzione di terapia alfalitica e qualora questa non risulti
soddisfacente si procede a trattamento endoscopico dell’ostruzione sotto-vescicale.
Risultati
Verranno discussi i risultati dell’intervento disostruttivo di resezione endoscopica dell’adenoma prostatico nei
pazienti trapiantati con documentata ostruzione allo svuotamento vescicale pre- e/o post-trapianto renale, la
ripresa di minzioni spontanee valide e la necessità di proseguire autocateterismi. Verranno presi in
considerazione il tempo medio trascorso tra il trapianto renale e l’intervento disostruttivo, l’impatto di
quest’ultimo sulla funzionalità renale e sulla presenza di infezioni delle vie urinarie, nonché le possibili
complicanze dell’intervento.
Discussione
E’ necessaria una particolare attenzione all’insorgenza di LUTS nel paziente nefrotrapiantato in quanto questi
sintomi possono rappresentare la prima avvisaglia della presenza di un’ostruzione allo svuotamento vescicale.
Le alte pressioni di svuotamento vescicale possono ledere il meccanismo antireflusso dell’anastomosi ureterovescicale e il reflusso vescico-ureterale conseguente può da un lato portare ad un danno progressivo di
funzione renale e dall’altro ad infezioni urinarie ascendenti gravi se non addirittura a sepsi in presenza di un
elevato residuo post-minzionale in pazienti immunosoppressi.
Conclusioni
Al fine di preservare il più possibile a lungo la funzione del rene trapiantato e con essa la qualità di vita del
paziente nefrotrapiantato, è molto importante escludere, dopo ripresa o stabilizzazione della diuresi, la
presenza di un’ostruzione allo svuotamento vescicale e, in caso essa sia presente, trattarla tempestivamente.
58 Convegno SUNI
Poster
CALCIFILASSI E NECROSI PENIENA: CASE REPORT E REVISIONE DELLA
LETTERATURA
Grande M., Facchini F., LaRosa M., Leone M., Pozzoli G., Monica B.
Divisione di Urologia, Ospedale di Guastalla (RE)
Direttore: dott. Monica B.
Obiettivi: la calcifilassi è una rara condizione clinica caratterizzata da necrosi cutanea dovuta alla
calcificazione dei capillari sanguigni in pazienti con insufficienza renale cronica ed iperparatiroidismo
secondario. Il coinvolgimento penieno è stato documentato in rari casi. Presentiamo un caso clinico di
calcifilassi peniena ed una revisione della letteratura allo scopo di incrementare la comprensione della
patofisiologia, della diagnosi e della terapia di questa rara condizione patologica.
Metodi: una revisione retrospettiva della letteratura è stata eseguita dopo aver trattato un caso di calcifilassi
peniena. Vengono descritte le caratteristiche del paziente, l’esordio clinico della patologia, i dati ematochimici ed anatomo-patologici, la strategia e gli esiti terapeutici del caso.
Risultati: il pz di 65 anni, affetto da diabete mellito, cardiopatia ischemica cronica ed insufficienza renale
cronica in emodialisi, presentava aumento di consistenza ed importante dolorabilità della porzione distale
peniena con evoluzione in una necrosi completa del glande. I livelli di paratormonemia, calcemia e fosfatemia
sono risultati patologicamente elevati, favorendo i depositi di calcio tissutali. Il paziente è stato sottoposto ad
intervento di penectomia parziale e l’esame istologico definitivo ha confermato la diagnosi di calcifilassi,
evidenziando una necrosi ulcerativa del glande con estesi depositi di calcio e restringimento luminale dei vasi
sanguigni dell’asta peniena
Conclusioni: l’aumento del numero di pazienti con insufficienza renale cronica in trattamento emodialitico
potrà rendere piu’ frequenti in futuro i casi di calcifilassi peniena. La diagnosi precoce, l’abbassamento dei
livelli patologici di calcemia e fosfatemia , unitamente all’asportazione chirurgica delle lesioni necrotiche nel
paziente, sono determinanti per l’evoluzione e la prognosi di questa patologia aggressiva.
58 Convegno SUNI
Poster
CARCINOMA DEI DOTTI COLLETTORI DEL BELLINI: CASE REPORT CON METASTASI
CUTANEA COME INIZIALE MANIFESTAZIONE CLINICA
Facchini F., Grande M., La Rosa M., Leone M., Pozzoli G., Monica B.
Divisione di Urologia, Ospedale di Guastalla
Direttore: Dott. Monica B.
Obiettivi: Il carcinoma dei dotti collettori renali del Bellini rappresenta una neoplasia rara con decorso
aggressivo, spesso metastatica al momento della diagnosi e, con una prognosi estremamente infausta.
Riportiamo il primo caso documentato di carcinoma del Bellini con iniziale manifestazione clinica
rappresentata da una metastasi cutanea del cuoio capelluto.
Metodi: Vengono descritte tutte le informazioni cliniche pertinenti, incluse età e sesso del paziente, modalità
di esordio del tumore, dati radiologici e di laboratorio pre-operatori, tipo di approccio chirurgico, rilievi
istopatologici micro e macroscopici , sopravvivenza del paziente.
Risultati: A seguito di riscontro istopatologico di metastasi cutanea di adenocarcinoma scarsamente
differenziato a primitività non nota, viene diagnosticata mediante TC , voluminosa neoformazione mesorenale
sin di 6 cm. Successiva esecuzione di nefrectomia radicale transperitoneale sinistra ed asportazione
contestuale di losanga cutanea del cuoio capelluto nella sede della precedente escissione con diagnosi
istopatologica di Carcinoma del Bellini, pT3aN2M1. Non è stata rilevata responsività significativa alla
chemioterapia adiuvante ed il paziente è morto 7 mesi dopo il riscontro della metastasi cutanea.
Conclusioni: La maggior parte dei carcinomi del Bellini sono già metastatici all’esordio clinico. Eseguendo
una revisione della letteratura, non era comunque, mai stata documentata una metastasi cutanea come
iniziale manifestazione clinica del tumore. In tale contesto, la nefrectomia radicale, a differenza che in altre
forme di carcinoma renale avanzato, non appare di utilità terapeutica, ma piuttosto puo’ assumere un ruolo
di tipo palliativo , o nell’ambito di nuovi protocolli chemioterapeutici.
58 Convegno SUNI
Poster
Adenomectomia prostatica di necessità e caspulo raffia emostatica in
persistente prostatoraggia secondaria a Mapping prostatico
Pedalino M . – Cortese F. – Vella R. – Di Primio O.G. - Vercesi E . - Marino G.
S. C. Urologia ASL TO 5 Chieri – Ospedale San Lorenzo di Carmagnola (T0)
ABSTRACT
La prostatoraggia persistente è la più temuta complicanza del mapping prostatico dopo la prostato
vesciculite e l’orchiepididimite. La patogenesi di tale evento emorragico può essere conseguente al trauma di
vasi pericapsulari o più raramente del peduncolo genitale. Gli Autori presentano due casi clinici entrambi con
fattori di rischio emocoagulativo (portatore di stent coronarico il primo e di artrite reumatoide deformante il
secondo) sottoposti a mapping prostatico. I pazienti a seguito di tale procedura hanno manifestato un quadro
emorragico persistente dove per insuccesso delle procedure urologiche conservative ed endoscopiche si è
reso necessario un trattamento emostatico chirurgico di adenomectomia prostatica di salvataggio e
capsuloraffia .Vengono rilevati gli aspetti clinici e l’assenza di metodiche diagnostiche routinarie che possano
essere eseguite in particolare nei pazienti in trattamento antiaggregante.
58 Convegno SUNI
Poster
La Malattia di Fournier Caso report
Pedalino M.-Di Primio O.G.-Vella R.-Vercesi E. - Marino G .
S. C. Urologia ASL TO 5 Chieri – Ospedale San Lorenzo di Carmagnola (T0)
Riassunto – La malattia di Fournier è una fascite necrotizzante che predilige il sesso maschile e che si
localizza nella regione perineale ed in particolare ai genitali maschili. In considerazione delle possibili
complicanze correlate alla sepsi e alla compromissione sistemica di organi e della elevata mortalità, viene oggi
considerata una emergenza urologica. Le principali cause scatenanti sono le infezioni periuretrali e perirettali,
le sindromi immunodepressive, il diabete mellito e i traumatismi. Le infezioni sono di tipo misto con germi
aerobi ed anaerobi e questi ultimi responsabili della necrosi del tessuto sottocutaneo correlata a fenomeni di
immunovasculite necrotizzante. Presentiamo un caso di malattia di Fournier con localizzazione perineale con
evoluzione necrotica gangrenosa scrotale e in regione perianale trattato con terapia antibiotica, curettage del
tessuto necrotico e disinfezione locale con fisiologica ed antisettici. In tal caso il paziente è stato sottoposto a
nutrizione parenterale totale per garantire la massima decontaminazione perianale e positivo il bilancio azotato
per la corretta sintesi delle lesioni. L’ampia perdita di sostanza scrotale è stata ricostruita in 25 giornata mentre
la breccia perianale è guarita per auto sintesi dopo il curettage completo .
58 Convegno SUNI
Poster
USO DEI TEMPLATES NELLA LINFADENECTOMIA RETROPERITONEALE PER TUMORI NON
SEMINOMATOSI DEL TESTICOLO.
Giorgio Pizzocaro, già Direttore U.O. Urologia 1985-2006 , INT Milano,
Clinica Urologica 2nda , Ospedale S.Giuseppe, Milano, Consulente U.O.Urologiala
Premessa: attualmente in Nord Europa, il ruolo della chirurgia urologica nel trattamento
dei tumori germinali non seminomatosi del testicolo è circoscritto all’orchiectomia e alla chirurgia dopo
chemioterapia per asportazione delle masse residue. La linfadenectomia retroperitoneale nei bassi stadi è
considerata una procedura stadiante del tutto opzionale con il rischio di danneggiare l’eiaculazione. Per
questo motivo propongono precisi templates per l’estensione della dissezione linfonodale che deve garantire
una stadiazione sufficiente conservando l’eiaculazione. In Nord America ed nel Sud Europa la
linfadenectomia retroperitoneale è considerato un atto curativo non solo per la malattia residua dopo
chemioterapia, ma anche per i tumori in basso stadio. In particolare il 30% dei tumori N0 ha in realtà metastasi
linfonodali che sale al 50-60% per i tumori di categoria clinica N1.
Obiettivo e Metodi :: valutare la realtà o meno delle affermazioni degli urologi del Nord Europa. Sono stati
riesaminati gli studi del Memorial Hospital, dell’Indiana University e del Gruppo Tedesco sulla fraquenza di
presenza di metastasi e sulla loro distribuzione nei linfonodi retroperitoneali nei casi clinicamente N0 e N1,2 e
patologicamente nei casi N1 ( metastasi a non più di 5 linfonodi di dimensioni < 2 cm.).
Risultati : in tutti gli studi risulta che la distribuzione delle metastasi retroperitoneali appare molto estesa
anche nello stadio patologico N1 con possibilità addirittura di eccezionali cross-over. Inoltre, sovrapponendo i
vari templates, non c’è nessun’area libera da malattia nelle stazioni linfonondali di destra e soltanto qualche
sporadico vuoto nei linfonodi iliaci o soprailari.
Conclusioni: in conclusione, una linfadenectomia retroperitoneale per essere curativa deve comprendere
tutte le aree possibilmente a rischio di metastasi nei pazienti in I stadio clinico e ancora di più in II stadio A (
N1). Pertanto la conservazione dell’ejaculazione deve essere ottenuta applicando la tecnica chirurgica nervesparing prospettica.
58 Convegno SUNI
Poster
FISTOLA ARTEROVENOSA POST TRAUMATICA.”ONE CASE REPORT”
Mauro Silvani,Danilo Minocci,Monica Zacchero*,Sabino Quaranta,Elena Cianini.Attilio Guazzoni**
S.C Urologia ASL Bi Piemonte Orientale.
(Dir.Dr.Danilo Minocci)
Scuola Specializzazione Urologia Università Degli Studi Piemonte Orientale*
(Dir.Prof.Carlo Terrone)
Dipartimento diagnostica per immagini ASL VCO**
( Dir.Dr.Attilio Guazzoni)
INTRODUZIONE
Le fistole arterovenose renale costituiscono una rara patologia urologica.L’etiopatogenesi puo’ essere congenita(6%)
idiopatica (7%), acquista (83%).I fattori promoventi queste ultime possono essere diversi:
1. agobiopsia renale
2. nefrolitotrissia per cutanea
3. nefrostomia semplice
4. traumi chiusi
5. traumi penetranti
6. neoplasie renali
7. pielonefriti
8. iperplasia fibromuscolare dell’arteria renale
9. aneurismi dell’arteria renale
CASE REPORT
Nel presente lavoro riportiamo l’esperienza relativa ad un pz di 53 anni con fistola arterovenosa post traumatica a
manifestazione tardiva.Ingresso del pz in reparto di chirurgia generale di altro nosocomio successivamente a trauma sul
lavoro.Il pz presenta ematuria macroscopica, < ematocrito ed Hb, dispnea per versamento pleurico sn.La TAC
evidenzia un’ematoma polare superioree sx , versamento pleurico fratture costali multiple.Dopo tre gg il pz viene
dimesso,tuttavia ad una settimana dalla dimissione nuovo episodio di macroematuria.Ricovero ed esecuzione di
ulteriore TAC che conferma ematoma polare renale superiore sn d ematoma splenico.Dopo 10 gg dall’ultima dimissione
il pz sviluppa terzo episodio di ematuria con una TAC che mostra stabilizzazione dell’ematoma.Dopo sette gg esatti
nuovo episodio di macroematuria ( 4°) che necessita di ricovero per anemizzazione posizionamento di catetere atre vie
e lavaggio continuo.Dimissione dopo 4 g di ricovero e puntualmente dopo sette giorni dall’ultima dimissione trattenuto
solo in astanteria DEA e dimesso dopo 48 ore.Dopo tre giorni di vita domiciliare nuova macroematuria ed il pz infine
esige una consulenza urologica successivamente alla quale si ricovera in urologia e viene prontamente trasfuso.La TAC
spirale multistrato evidenzia una lesione stabilizzata del labbro mediale del polo superiore del rene sn.L’artertiografia
superselettiva sn evidenzia duplice fistola arterovenosa acarico del polo superiore del rene sn con pseudoaneurisma
del tramite fistoloso emodinamicamente più rilevante..Il tramite fistoloso più significativo viene embolizzato con sfere di
Contour 300micron il tramite piuì craniale occluso con materiale autologo ( coagulo).Il pz dimesso in 2^ gta post
operatoria ,urine chiare, controlli a 1-3-6-12 –24 mesi non hanno evidenziato sviluppo di ipertensione o IR, non ulteriori
episodi di macroematuria
DISCUSSIONE.
In presenza di macroematuria persistente post trauma, il sospetto di FAV e’ imperativo.L’esame diagnostico dirimente e’
la sola arteriografia renale superselettiva.Il pattern radiologico patognomonico è il passaggio pressoche’ immediato di
mdc in una sacca venosa dilatata e la tortuosita’ della vena renale,il nefrogramma e’ poco opacizzato.In questa
patologia TAC ed urografia hanno valore diagnostico assai limitato ed indiretto.L’arteriografia diventa mezzo diagnostico
e terapeutico.
CONCLUSIONI
In presenza di FAV con :
ipertensione
insufficienza cardiaca
ematuria macroscopica recidivante,trattamento di 1^ scelta è l’embolizzazione.La chirurgia a cielo aperto è riservata ai
casi di fallimento dell’embolizzazione.Il concetto che ci preme sottolineare e’ come la gestione del trauma addominale
con macroematuria senza altre lesioni viscerali , sia di pertinenza esclusivamente urologica.
58 Convegno SUNI
Poster
IDROURETERONEFROSI SECONDARIA A PERFORAZIONE DELLA PARETE DELLA VENA CAVA
INFERIORE DA PARTE DI FILTRO CAVALE
A.Vismara Fugini, G. Mirabella, L. Perucchini, C. Simeone, S. Cosciani Cunico.
Cattedra di Urologia - Università degli Studi di Brescia.
Il posizionamento di un filtro in vena cava inferiore è un presidio di protezione da eventi embolici in pazienti ad
alto rischio ed in quelli con controindicazione a terapia anticoagulante orale. Una complicanza è rappresentata
dalla perforazione della parete cavale. Riportiamo un caso di idrouretronefrosi secondaria ad ostruzione
ureterale ab estrinseco da reazione fibrotica secondaria a perforazione di parete cavale da filtro.
Case Report
Donna di 63 anni affetta da epatopatia HCV correlata e da sindrome da anticorpi antifosfolipidi condizionante
malattia trombo-embolica cronica con ipertensione polmonare secondaria di grado severo in terapia
anticoagulante orale. Nel 1985 è stata sottoposta a posizionamento di filtro cavale (Mobin-Uddin umbrella
filter). In corso di periodici controlli ecografici dell’addome nel settembre 2008 viene segnalata la comparsa di
idroureteronefrosi destra di ndd in assenza di sintomatologia di lato. L’approfondimento TC conferma la
dilatazione delle cavità calico-pieliche e del tratto prossimale dell’uretere senza evidenziare ostacoli al
deflusso dell’urina. Un’ureteropielografia ascendente destra dimostra una compressione ab estrinseco
dell’uretere a livello del filtro cavale condizionante la dilatazione a monte.
Discussione
La situazione, pur rara, pone complesse problematiche diagnostiche e soprattutto terapeutiche specie in
questa paziente con gravi comorbilità ed elevato rischio operatorio. Proprio in considerazione di queste
problematiche associate e della completa asintomaticità, concordi con i chirurghi vascolari e gli emodinamisti,
si è optato per una stretta sorveglianza, astenendoci da ogni tipo di trattamento invasivo. Anche il
posizionamento di un tutore ureterale avrebbe esposto la paziente ad un rischio elevato di sanguinamento.
Nel paziente asintomatico, a nostro avviso, un atteggiamento conservativo, può risultare quindi una soluzione
accettabile, riservando ai soli casi sintomatici la necessità di provvedimenti invasivi maggiori.
58 Convegno SUNI
Poster
EMBOLIZZAZIONE ANGIOGRAFICA DELL’ANGIOMIOLIPOMA RENALE:
ESPERIENZA SU 5 CASI.
L Perucchini,A Antonelli, I Montermini*, T Zanotelli, A Cozzoli, G Battaglia*, A Vismara Fugini C Simeone, S
Cosciani Cunico
Cattedra di Urologia, Cattedra di Radiologia*, Università degli Studi di Brescia.
Introduzione – L’angiomiolipoma (AML) è una lesione amartomatosa a comportamento benigno ma gravata da
un rischio emorragico, potenzialmente anche grave. Il presente studio si propone di valutare l’efficacia
dell’embolizzazione selettiva, rivedendo retrospettivamente la nostra esperienza in merito.
Materiali e metodi – Sono stati rivalutati i dati clinici di cinque pazienti con AML renale trattato mediante
embolizzazione selettiva con materiale non riassorbibile presso la nostra istituzione dal 2002 ad oggi. In tutti i
casi è stata eseguita una profilassi antibiotica. L’esito del trattamento è stato inizialmente controllato mediante
angio-TC o angio-RMN, successivamente con ecografia.
Risultati – La tabella che segue riassume le caratteristiche dei casi ed i risultati ottenuti.
1
2
3
4
5
Sintomo
d’esordio
Nessuno
Lombalgia
Lombalgia
Nessuno
Lombalgia
Sclerosi
Tuberosa
Sì
No
No
Sì
Sì
AML
bilaterale
Sì
No
No
Sì
Sì
n°
trattamenti
1
1
2
1
3
Ф
pre Ф
post follow up Complicanze
(cm)
(cm)
(mesi)
5
3.5
77
No
5
3
9
No
12
8
6
Iperpiressia
6
4
20
Iperpiressia
4
3
44
No
In 3 casi dopo un'unica seduta è stata raggiunta una soddisfacente devascolarizzazione dell’AML, e la
regressione della sintomatologia dolorosa. In 2 casi è stato invece necessario ricorrere a più sedute di
embolizzazione per la persistenza dell’ipervascolarizzazione e della sintomatologia: entrambi erano affetti da
un AML che all’esordio mostrava una netta predominanza della componente vascolare rispetto a quelle
adiposa e muscolare. In tutti i casi il materiale embolizzante è rimasto in sede ed il parenchima renale
circostante non ha subito conseguenze ischemiche. In 2 casi con AML di grosse dimensioni si è manifestato
un quadro febbrile risolto rapidamente con terapia antipirettica, senza necessità di terapia antibiotica. In
nessun caso si sono verificati nel follow up episodi emorragici.
Discussione e conclusioni – L’AML renale può presentarsi in forma sporadica o in associazione alla sclerosi
tuberosa, dove spesso è bilaterale. E’ una neoplasia benigna costituita da tessuto adiposo, muscolare e da
strutture vascolari neoformate che determinano il rischio di una rottura spontanea con un’emorragia anche
massiva, specialmente quando il diametro della lesione supera i 4 cm e nei casi con sclerosi tuberosa. La
diagnosi radiologica è di certezza quando si evidenzia una componente adiposa alla TC. Sulla base di tali
considerazioni si comprende come l’obiettivo del trattamento in elezione sia la riduzione del rischio emorragico
e la salvaguardia del parenchima sano. Nella nostra esperienza, il trattamento con embolizzazione selettiva si
è rivelato in tal senso efficace portando alla devascolarizzazione della neoplasia ed ad una riduzione
dimensionale. La procedura si è inoltre dimostrata sufficientemente sicura, comportando come unica
complicanza un quadro febbrile transitorio. Nei casi con componente vascolare predominante possono essere
necessari più trattamenti.
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58 Convegno SUNI CONVEGNO venerdì 29 maggio