58 Convegno SUNI CONVEGNO venerdì 29 maggio TAVOLA ROTONDA COMPLICANZE TARDIVE DELLE NEOVESCHICHE ORTOTOPICHE. PROPOSTA DI FOLLOW UP DISTURBI DI SVUOTAMENTO DELLA NEOVESCICA Dr. U. Ferrando – Dr.ssa G. Cucchiarale S.C. Urologia 3 – Ospedale S.G. Battista – Molinette Torino Unità Funzionale di Urologia - Clinica Cellini - Torino Quali neovesciche : attualmente le tecniche di confezionamento di neoserbatoi vescicali ortotopici prevedono principalmente l’utilizzo del segmento ileale dell’intestino che ha dimostrato possedere caratteristiche più consone alla sua destinazione d’uso. Numerosissime sono le tecniche chirurgiche descritte ed utilizzate, tutte mirate al raggiungimento di quelle che sono le caratteristiche ideali funzionali. Caratteristiche funzionali ideali della neovescica. Il neo serbatoio ileale vescicale ideale deve possedere i seguenti requisiti funzionali: essere a bassa pressione, mantenendo una pressione endoluminale non superiore a 35-40 cmH20. Questo per preservare l’integrità funzionale renale che potrebbe risentire di reflusso intra-renale. avere una adeguata capacità, che possa consentire uno svuotamento periodico ogni 4 ore circa Mezzi per raggiungere tale scopo: utilizzare un segmento ileale sufficientemente lungo (40 – 60 cm a seconda della tecnica utilizzata) detubularizzare il segmento intestinale (è stata fortemente ridimensionata l’importanza della reconfigurazione del neoserbatoio che non ha in realtà dimostrato vantaggi superiori). La detubularizzazione determina: perdita della capacità dell’intestino di contrarsi, generando alte pressioni endoluminali incremento significativo della capacità geometrica di un segmento intestinale tubulare detubularizzato Tecnica di svuotamento: Lo svuotamento deve avvenire tramite manovra di Valsala con rilasciamento del piano perineale, preferibilmente in posizione seduta, ad intervalli regolari di 3-4 ore. La preservazione della continenza dipende in gran parte dalla conservazione del meccanismo sfinterico esterno. L’alto livello di continenza nei maschi può derivare, inoltre, dall’adozione della tecnica nerve-sparing nella prostatectomia che conduce anche ad una migliore identificazione e conservazione dell’apparato sfinterico. Disturbi di svuotamento. I disturbi di svuotamento della neovescica possono prevedere l’incontinenza o la ritenzione urinaria. Incontinenza urinaria. L’incontinenza urinaria può essere considerata impropriamente un disturbo dello svuotamento della neovescica. Se la neovescica presenta le corrette caratteristiche volumetriche e pressorie ed il paziente gestisce correttamente la stessa, questo problema non dovrebbe essere presente. Incontinenza urinaria diurna può essere determinata da una iperpressione vescicale, non sufficientemente contrastata dalle pressioni di chiusura sfinteriche, o da una deficitaria funzione uretrale anche in presenza di basse pressioni endoluminali. L’enuresi notturna è frequente in tutti gli interventi di neovescica ortotopica, e dipende sostanzialmente da due fattori: scomparsa del meccanismo sfinterico di reclutamento continuo dallo sfintere esterno (prima attivato dai riflessi nervosi a partenza dalla vescica nativa) incremento del volume di urine da aumentato riassorbimento di metaboliti urinari Il trattamento dell’incontinenza urinaria può prevedere interventi chirurgici finalizzati ad aumentare le pressioni uretrali (sfinteri artificiali, pro-Act) ma trova indicazione unicamente in pazienti con neoserbatoi a bassa pressione. 58 Convegno SUNI CONVEGNO venerdì 29 maggio TAVOLA ROTONDA COMPLICANZE TARDIVE DELLE NEOVESCHICHE ORTOTOPICHE. PROPOSTA DI FOLLOW UP Ritenzione urinaria. Una atonia primitiva delle pareti ileali della neovescica o secondaria ad una sovradistensione delle stesse da prolungata cattiva gestione del neoserbatoio può portare a ipercontinenza con incompleto svuotamento vescicale. Il residuo vescicale post-minzionale, che tendenzialmente si autoincrementa, può portare a sfiancamento del serbatoio fino, in casi estremi, alla sua rottura. Il ristagno di urina in vescica può determinare la formazione di calcoli endoluminali, generalmente su nucleo costituito da punti metallici delle suturatici utilizzate per il confezionamento del neoserbatoio. L’iperpressione può essere inoltre causa di reflusso vescico-ureterale con possibile conseguente danno degli emuntori. In caso di presenza di ristagno post minzionale bisogna verificare che non vi siano cause organiche che sostengano tale problema (es. ostruzione dell’anastomosi vescico-uretrale, importanti ernie addominali o inguinali). La ritenzione urinaria cronica prevede la pratica dell’autocateterismo intermittente in misura proporzionale alla quantità di ristagno sviluppatosi. Il trattamento tempestivo della calcolosi vescicale con litotrissia endoscopica previene la possibilità di possibile ritenzione acuta d’urina ed il verificarsi di pericolosi episodi di sepsi urinaria. 58 Convegno SUNI CONVEGNO venerdì 29 maggio TAVOLA ROTONDA COMPLICANZE TARDIVE DELLE NEOVESCHICHE ORTOTOPICHE. PROPOSTA DI FOLLOW UP Proposta di follow-up del paziente con neovescica ortotopica. Dott. P. Destefanis Divisione Universitaria di Urologia 2 Azienda Ospedaliera Universitaria “San Giovanni Battista – Molinette” - Torino Le neovescica ortotopica, confezionata dopo cistectomia radicale, può comportare una serie di complicanze tardive che devono essere prevenute e controllate nel tempo. Tali complicanze sono numerose e complesse e comprendono sia problemi di tipo chirurgico (quali le stenosi delle anastomosi uretro-neovescicali e ureteroneovescicali, la calcolosi neovescicale e la ritenzione cronica) sia di tipo medico (quali le complicanze metaboliche). La diagnosi tempestiva di tali complicanze è importante per permetterne un trattamento efficace e adeguato, senza reliquati per il paziente, come ad esempio il deterioramento della funzione renale. Abitualmente il paziente sottoposto a cistectomia radicale (effettuata per carcinoma vescicale) deve essere sottoposto a un follow-up radiologico e ambulatoriale per controllare una possibile ripresa di malattia locoregionale o a distanza. A questi controlli radiologici devono quindi essere associati e coordinati i controlli necessari per il follow-up della neovescica ortotopica. Molto importante è il controllo della pervietà delle anastomosi, che può essere effettuato mediante TC delle vie urinarie con mezzo di contrasto oppure urografia per quanto concerne le anastomosi uretero-neovescicali, mentre con uretro-neocistoscopia per quanto riguarda l'anastomosi uretrale. Tali indagini consentono altresì di valutare la presenza di altre complicanze come ad esempio la calcolosi neovescicale. Mentre le indagini radiologiche sono utili anche per il follow-up della malattia oncologica, l'uretro-neocistoscopia sarebbe indicata esclusivamente per il controllo della neovescica. Uno dei controlli da eseguire con cadenza regolare è la valutazione del residuo post-minzionale che può essere effettuato sia con ecografia sovrapubica sia con cateterismo estemporaneo. Per quanto concerne le complicanze metaboliche, devono essere correlate in base al tipo di neovescica confezionata e in particolare al tipo di segmento intestinale utilizzato. Nel caso di neovescica ileale, le complicanze più frequenti sono l'acidosi metabolica e la deplezione di vitamina B12. Il controllo dell'acidosi metabolica deve essere programmato da subito, mediante l'esecuzione di emogasanalisi venosa. Relativamente alla vitamina B12, prima che si verifichino deplezioni significative delle riserve fisiologiche dell'organismo devono trascorrere molti anni dall'intervento per cui è consigliabile iniziare il controllo della vitamina B12 sierica a partire dal 4°-5° anno dall'intervento. 58 Convegno SUNI CONVEGNO venerdì 29 maggio TAVOLA ROTONDA CHEMIOPREVENZIONE DEL CARCINOMA PROSTATICO I termini del problema Laudi Marco Nella prevenzione delle patologie neoplastiche viene dato un particolare rilievo alla alimentazione Questo aspetto riguarda anche la prevenzione del carcinoma prostatico. Al riguardo del ruolo preventivo della alimentazione nei confronti del carcinoma prostatico, il presupposto è dato dalla diversa incidenza del carcinoma prostatico nei paesi in cui l’alimentazione è prevalentemente vegetariana rispetto ad altri Paesi ( bassa incidenza nei Paesi Asiatici; massima incidenza nei neri americani ) Al dì del ruolo nel determinismo del carcinoma prostatico dell’età e di fattori genetici, risulta in base a dati statistici incontrovertibili come una dieta ricca di grassi, in particolare di grassi animali possa di fatto rappresentare un possibile meccanismo eziologico. Unitamente alla alimentazione da tempo viene studiato l’eventuale ruolo preventivo delle vitamine ( in particolare A e C ), degli antiossidanti e degli omega 3. Al momento attuale non disponiamo di dati conclusivi. Sono disponibili i risultati dello studio multicentrico ( USA ) riguardati l’attività preventiva della finasteride. Lo studio è stato ritenuto concluso prima del termine previsto in quanto è risultata una riduzione del 25% di incidenza del carcinoma prostatico nel gruppo trattato con finasteride rispetto al gruppo non trattato. ( dato statistico ritenuto significativo ) Nel corso della Tavola Rotonda i vari relatori presenteranno i dati più recenti della letteratura rispetto al problema della chemioprevenzione, tuttora ancora aperto ed in attesa di ulteriori riscontri. 58 Convegno SUNI CONVEGNO venerdì 29 maggio TAVOLA ROTONDA CHEMIOPREVENZIONE DEL CARCINOMA PROSTATICO LE LESIONI PRECANCEROSE DEL TUMORE DI PROSTATA A. Tizzani, Torino La high-grade prostatic intraepithelial neoplasia (HGPIN) e la atypical small acinar proliferation (ASAP) sono ritenute precursori e predittori del carcinoma prostatico. La HGPIN è una lesione di frequente riscontro alla biopsia prostatica, anche se non è ancora ben definita la sua incidenza che, in letteratura, varia a seconda degli studi, da 0.7% a 24%. Dal punto di vista anatomopatologico essa è caratterizzata da acini ghiandolari architetturalmente benigni ma rivestiti da cellule di aspetto maligno; la prostata con aree estese di HGPIN presenta più frequentemente foci di adenocarcinoma associati mentre la prostata con carcinoma ha un maggior numero di foci di HGPIN rispetto a quella priva di tumore. Il potenziale preneoplastico di HGPIN è un vero hot topic urologico, tuttora molto dibattuto. In letteratura, il rischio di trovare un carcinoma ripetendo la biopsia in caso di HGPIN va addirittura dal 22% al 60%. Secondo recenti analisi, tuttavia, tale rischio sembra essere sovrastimato. In una review del 2006, Epstein afferma che, comparando studi pubblicati dal 2000 ad oggi, il rischio di individuare un cancro prostatico ad una rebiopsia eseguita entro 1 anno dalla diagnosi di HGPIN (18%) non è significativamente differente dallo stesso rischio presente in caso di rebiopsia dopo un primo esame istologico negativo (23%). Sicuramente, un campionamento bioptico esteso ben eseguito (>10 frustoli ) durante la prima biopsia individua un maggior numero di tumori associati ad HGPIN: se la prima biopsia è stata eseguita correttamente, dunque, è molto probabile che la re-biopsia in un paziente con HGPIN ne riconfermi l’esito. Perciò, la ripetizione della biopsia prostatica entro il primo anno dalla diagnosi di HGPIN, in assenza di altri indicatori clinici di tumore, non è raccomandata . Un recente studio retrospettivo su 130 pazienti conferma questi dati, rivelando che il rischio di trovare un tumore di prostata dopo diagnosi di HGPIN (21,5%) non è più elevato di quello riportato dopo diagnosi di tessuto prostatico benigno (23%). Nello studio si conclude che i pazienti con HGPIN alla diagnosi non sembrano avere bisogno di una strategia di rebiopsie diversa dai pazienti con semplice ipertrofia prostatica benigna. In conclusione, dunque, la presenza di HGPIN indica un aumento del rischio tumorale in zone anche distanti dalla area in cui è presente, dal momento che è ben diverso dal carcinoma in situ. La ripetizione della biopsia dovrebbe essere individualizzata, a seconda del paziente: non pare infatti esista la necessità di rebiopsiare i pazienti con HGPIN entro un anno dalla diagnosi, a meno che i dati clinici (PSA ed esplorazione rettale) non consiglino ulteriore approfondimento. Diverso è il discorso, invece, per il cosiddetto widespread HGPIN, ovvero un HGPIN presente in 4 o più frustoli bioptici. Per questo tipo di HGPIN, infatti, è stato riportato in letteratura un rischio (39%) di reperire un tumore di prostata alla re-biopsia, che pertanto viene raccomandata anche entro tempi brevi. L’ASAP, invece, è un’entità istologica che sembra essere fortemente correlata al carcinoma di prostata, senza esserne considerata un precursore. Venne descritta da Bostwick come presenza di ghiandole sospette con atipie citologiche o architetturali insufficienti per una diagnosi definitiva di cancro. L’ASAP è dunque una situazione di incertezza diagnostica, rilevabile nel 1.5-9% delle biopsie prostatiche: Essa è altamente predittiva per il rilevamento di adenocarcinoma nelle successive biopsie essendo il rischio quantificato intorno al 55%. Tale situazione indica che ad una diagnosi iniziale di ASAP deve seguire un’ulteriore biopsia prostatica entro breve tempo, riservando una particolare attenzione alla zona in cui era stato diagnosticato il focolaio di atipie cellulari. 58 Convegno SUNI CONVEGNO venerdì 29 maggio TAVOLA ROTONDA CHEMIOPREVENZIONE DEL CARCINOMA PROSTATICO Aspetti epidemiologici e alimentazione A. Zitella, Torino Sono stati identificati vari fattori di rischio per il carcinoma della prostata e molti altri sono in fase di valutazione. Sicuramente gioca un ruolo importante l’eta avanzata: la probabilità di sviluppare un tumore di prostata per un uomo <40 anni è pari a 1:10.000, ma cresce a 1:103 nella fascia di età 40-59 e 1:8 a 60-79 anni. Il rischio correlato al tumore varia a seconda dell’appartenenza ai diversi gruppi etnici, come dimostrato negli studi sui migranti: gli afroamericani hanno un rischio più elevato rispetto ai bianchi, rispetto ai quali presentano anche stadi più avanzati di malattia alla diagnosi. La spiegazione di questo fenomeno risiederebbe nei livelli di testosterone, più elevati nei giovani uomini afroamericani del 15% rispetto ai bianchi; anche la 5-a-reduttasi sarebbe più attiva negli afroamericani. Una anamnesi familiare positiva per carcinoma di prostata è un ulteriore fattore che aumenta il rischio relativo di tumore. È stato appurato che il rischio è direttamente proporzionale al numero di individui affetti all’interno della famiglia, e inversamente proporzionale all’età alla quale viene diagnosticato il tumore nel parente. L’importanza dei fattori genetici è stata dimostrata dagli studi sui gemelli: una metanalisi condotta sui registri dei gemelli in Svezia, Danimarca e Finlandia ha stimato al 42% la componente tumorale ereditabile tra gemelli omozigoti. Alcuni geni responsabili di questa suscettibilità genetica sono stati individuati sui cromosomi 1, 8, 17, 20 e X; inoltre, è stata riportata una significativa associazione tra la tumorigenesi e la presenza di polimorfismi all’interno di geni chiave per lo sviluppo e la funzionalità della prostata. In generale, si pensa che una forte predisposizione familiare possa essere responsabile del 5-10% dei casi di cancro alla prostata. Non bisogna trascurare il ruolo svolto dagli androgeni: il testosterone è convertito dalla prostata nella sua forma attiva, il diidrotestosterone, substrato essenziale per la sintesi proteica e la proliferazione cellulare. È stato dimostrato che l’ablazione androgenica porta a una regressione del tumore di prostata; come prova indiretta della causa ormonale, si è visto che gli eunuchi non sviluppano il cancro di prostata. Dal PCPT è emerso che il trattamento con finasteride, inibitore della 5-areduttasi, ha un effetto chemiopreventivo, riducendo del 24.8% il rischio di tumore prostatico, pur con una proporzione maggiore di carcinomi di alto grado. Recenti studi hanno suggerito un’associazione tra il tumore di prostata e lo stile di vita occidentale considerando,in particolare, la dieta ricca di grassi, di carne e latticini. Gli acidi grassi come l’acido linolenico, infatti, causerebbero un incremento nel rischio di cancro, così come la carne rossa: in quest’ultimo caso è imputata la cottura ad alte temperature, responsabile della formazione di amine eterocicliche, cancerogene. Anche vitamina D e calcio, in grande quantità, sarebbero associate ad un aumento del rischio, che tuttavia deve ancora essere attentamente valutato, per non incorrere in falsi allarmismi come quelli che hanno condotto a campagne pubblicitarie contro il consumo del latte!. La soia, invece, sarebbe protettiva, probabilmente per via dell’alto contenuto in flavonoidi, che hanno un effetto profilattico sul cancro di prostata. Anche altri agenti antiossidanti, quali i licopeni (contenuti nei pomodori), il selenio (antitumorale e induttore dell’apoptosi) e la vitaminaE (tocoferolo, liposolubile), porterebbero a una riduzione del rischio tumorale (Tab. II). Il consumo di grandi quantità di cibi grassi porta all’aumento della produzione di insulina, che a sua volta aumenterebbe la produzione di Insulin Growth Factor (IGF-1), coinvolto nella regolazione di proliferazione, differenziamento ed apoptosi delle cellule tumorali. Si pensa che proprio l’IGF-1 sia l’anello mancante tra lo stile di vita occidentale sedentario e le sue cattive abitudini alimentari e la manifestazione del cancro prostatico. È stato infine dimostrato che altri fattori quali il fumo, l’alcol, la vasectomia e l’attività fisica non influiscono sul rischio di sviluppare il carcinoma di prostata. 58 Convegno SUNI CONVEGNO sabato 30 maggio UP-DATE I nuovi materiali della chirurgia del prolasso e dell’incontinenza Elisabetta Costantini. La terapia chirurgica dell’incontinenza urinaria e del prolasso urogenitale è stata recentemente modificata in modo sostanziale dall’introduzione delle reti autologhe od eterologhe. Capotistipite di questa rivoluzione è stata l’introduzione delle sling medio-uretrali, cui è seguita l’applicazione clinica delle protesi in ambito di prolasso urogenitale. In questo ultimo caso tutto è stato in qualche modo legato alle alte percentuali di insuccesso della chirurgia riparativa semplice nei prolassi di grado severo ed in pazienti cosiddette a rischio. Il successo degli innesti sintetici dipende dal materiale e dalle loro caratteristiche. Così ad esempio la rete può integrarsi nei tessuti o venire incapsulata, può essere soggetta ad un grado maggiore di infezione o di fibrosi, in base alle dimensioni dei pori ed infine essere accettata in maniera più o meno fisiologica dall’organismo per le sue caratteristiche di biocompatibilità. In linea generale le reti si distinguono in sintetiche e biologiche. Le prime sono gravate in maggior misura dal problema delle erosioni, mentre le altre sembrano non garantire nel tempo la loro tenuta. Attualmente l’intervento di correzione del prolasso pelvico con innesto è al centro di numerosi lavori di ricerca e numerosi studi stanno dimostrando che i materiali e la loro configurazione sono determinanti nel tipo di risposta del corpo all’innesto impiantato. Verrà eseguita una disamina dei materiali ad oggi disponibili ed il loro utilizzo nella pratica uroginecologica. 58 Convegno SUNI Comunicazioni - Laparascopia PIELOPLASTICA LAPAROSCOPICA ROBOT-ASSISTITA: VALUTAZIONE DEI RISULTATI DOPO I PRIMI 16 CASI Claudio Giberti, Maurizio Schenone, Pierluigi Cortese, Fabrizio Gallo. Dipartimento di Chirurgia, U.O. Urologia, Ospedale San Paolo Introduzione: La pieloplastica robot-assistita (RP) sembra fornire gli stessi buoni risultati riportati dalla tecnica laparoscopica tradizionale con un significativo contributo in termini di accorciamento della curva di apprendimento, specialmente per i chirurghi con poca esperienza laparoscopica. Presentiamo i nostri risultati relativi ai primi 16 casi. Metodi: Dal Marzo 2005 al Luglio 2008, sono state eseguite, presso il nostro istituto, 16 RP (Robot Da Vinci a 3 braccia) per via transperitoneale secondo la tecnica di Anderson-Hynes. 15 pazienti erano affetti da malattia del giunto pieloureterale primaria mentre un paziente presentava una forma secondaria, in quanto già sottoposto a giuntoplastica open con successiva endopielotomia. La tecnica prevedeva il posizionamento di 4/5 porte laparoscopiche: tre per le braccia robotiche e una/due per l’assistente. L’anastomosi veniva confezionata con sutura continua in 4/0, previa posizionamento di stent ureterale. I pazienti venivano seguiti nel follow-up con pieleografia retrograda e rimozione dello stent dopo 30 giorni dall’intervento, TC con ricostruzioni urografiche e scintigrafia renale dopo 45 giorni, ecografia dopo 90 giorni e quindi ogni 6 mesi. Il paziente veniva considerato guarito in caso di risoluzione o deciso miglioramento della sintomatologia e dell’idronefrosi preoperatorie, confermati da un miglioramento della funzionalità escretoria renale. Il follow-up medio era pari a 16.8 mese (range 3-44). Risultati: Tutte le procedure venivano completate senza necessità di conversione o reintervento a cielo aperto. I tempi operatori, le perdite ematiche e la degenza medi risultavano pari a 202 minuti (range 105-420), 60 ml (range 25-100) e 5.2 giorni (range 3-14). 15/16 pazienti risultavano guariti riportando, pertanto, una percentuale di successo pari al 94%. Un paziente (6%), che riportava un’idronefrosi preoperatoria di IV grado, veniva considerato fallito in quanto affetto da idronefrosi persistente in assenza di alcun miglioramento alla scintigrafia renale postoperatoria anche se la giunzione pielo-ureterale risultava perfettamente pervia. Tra le complicanze minori, due pazienti(12%) riportavano modeste algie addominali trattate con i comuni analgesici. Riguardo alle complicanze maggiori, un paziente (6%) riportava un ileo paralitico probabilmente dovuto ad un lieve stravaso urinoso a livello della sutura pieloureterale. L’ileo si risolveva spontaneamente in terza giornata mentre lo stravaso non veniva più documentato alla pielografia di controllo eseguita 30 giorni dopo l’intervento, permettendo una regolare rimozione dello stent. Conclusioni: La RP sembra ormai emergere come il nuovo gold-standard nel trattamento dei pazienti affetti da malattia del giunto pieloureterale. Infatti, secondo quanto riportato nella nostra esperienza, le innovazioni tecnologiche fornite dal sistema robotico Da Vinci, permettono ai chirurghi, anche in assenza di alcuna precedente esperienza laparoscopica, di raggiugere risultati eccellenti già dopo poche procedure. 58 Convegno SUNI Comunicazioni - Laparascopia BIOPSIA RENALE LAPAROASSISTITA RETROPERITONEALE: UNA METODICA SICURA ED EFFICACE. Autori: L. Repetto (1), G. Pasquale (2), P. Mondino (1), L. Besso (3), M. Burdese (3), U. Ferrando (4), G.P. Segoloni (3), A. Tizzani (1). (1): S.C. Urologia I, Prof. A. Tizzani, Ospedale Molinette, Torino. (2): S.C. Urologia II, Prof. D. Fontana, Ospedale Molinette, Torino. (3): S.C. Nefrologia, Prof. G.P. Segoloni, Ospedale Molinette, Torino. (4): Direttore Servizio Urologia clinica Cellini, già Direttore urologia III Ospedale Molinette. OBIETTIVI La biopsia renale rappresenta un’indagine spesso indispensabile per definire dal punto di vista dinamico, prognostico e terapeutico una patologia glomerulare. Nella maggior parte dei casi essa è eseguibile per via percutanea sotto controllo ecotomografico. Tuttavia, quando vi siano delle controindicazioni evidenti alla sua esecuzione, una valida alternativa può essere quella dell’utilizzo di una tecnica laparoassistita con approccio retroperitoneale, ad invasività nettamente minore rispetto alla tecnica open. Con questa metodica è possibile procedere alla diagnosi in soggetti obesi, con rene unico, in trattamento cronico con anticoagulanti (se possibile sospenderlo per brevi periodi), affetti da epatopatie croniche con alterazioni coagulatorie moderate, con reni multicistici, affetti da ptosi e malformazioni renali. Il vantaggio principale è rappresentato dalla possibilità di controllo diretto dell’emostasi. La biopsia viene realizzata in anestesia generale e con paziente in posizione di decubito laterale. Una volta raggiunto il rene con attenta dissezione, sotto controllo visivo attraverso l’ottica strumentale, si può effettuare la biopsia con ago semiautomatico o automatico a ghigliottina. METODI Tra il 2004 e il 2009 sono state eseguite, dal nostro centro, 35 biopsie laparoassistite. Le motivazioni principali sono state: reni multicistici, reni unici, rischio emorragico aumentato, epatopatie croniche. A tutti i pazienti è stata fatta profilassi antitrombotica. RISULTATI In 34/35 casi non si sono verificate complicanze significative. In un caso si è verificato un sanguinamento nella via escretrice per puntura accidentale di un calice che ha richiesto l’embolizzazione selettiva del vaso afferente con risoluzione completa. Nel post-operatorio, se nulla osta, il drenaggio e il catetere vescicale sono stati rimossi in prima giornata. Già nelle prime 24 ore i pazienti sono stati mobilizzati e hanno incominciato un’alimentazione leggera. CONCLUSIONI La metodica è risultata risolutiva in una serie di casi in cui sarebbe stata impossibile una caratterizzazione diagnostica e terapeutica. Si tratta di una alternativa sicura ed efficace alle tecniche percutanea e chirurgica, con un tasso di complicanze assai ridotto considerando il suo utilizzo in pazienti con comorbidità significative. 58 Convegno SUNI Comunicazioni - Laparascopia IL PRELIEVO LAPAROSCOPICO DI RENE DA DONATORE VIVENTE PER TRAPIANTO eseguito con tecnica gas-less. L. Repetto (1), G. Pasquale (2), P. Mondino (1), M. Oderda (1), P. Gontero (1) U. Ferrando (3), D. Fontana (2), A. Tizzani (1). (1): S.C. Urologia I, Prof. A. Tizzani, Ospedale Molinette, Torino. (2): S.C. Urologia II, Prof. D. Fontana, Ospedale Molinette, Torino. (3): Direttore Servizio Urologia della Clinica Cellini,Torino (già Direttore Urologia III Ospedale Molinette). Introduzione Il prelievo laparoscopico di rene aggiunge significativi vantaggi alla donazione di rene da vivente. La pressione positiva intraddominale (pari a 12mmHg) si applica e si mantiene durante il prelievo laparoscopico. L’aumento delle resistenze polmonari, il diminuito ritorno venoso, l’assorbimento della Co2 l’oliguria sono gli effetti collaterali più noti che si osservano nel mantenimento delle pressione positiva. Abbiamo attivato pertanto la tecnica di “Prelievo Laparoscopico di Rene da Donatore Vivente eseguito con Tecnica Gas-less. Materiali e metodi Preleviamo di preferenza il rene sinistro per motivi d’ordine anatomico in previsione del trapianto vero e proprio. La vena renale è più lunga che a destra e il fegato non nasconde parte del campo operatorio. Abbiamo comunque esperienza anche nel prelievo di rene destro Posizioniamo il primo trocar in addome (ottica) con tecnica open-laparoscopy e dopo alcune manovre di sicurezza posizioniamo l’elevatore di parete in sede sottocostale sulla linea ascellare anteriore. L’elevatore viene ancorato ad un braccio elettrico, solidale con il letto operatorio che alza il “laparolift” ed assicura una buona visione del campo operatorio. L’incisione necessaria per introdurre l’elevatore di parete è pari a 10-15 mm La via d’aggressione al rene è rigorosamente trans-peritoneale. Dopo aver scollato la doccia parieto-colica evidenziamo il retro peritoneo con la fascia di Gerota. Esponiamo la vena renale e l’arteria, ambedue sino alla loro congiunzione con la cava e l’aorta. Proseguiamo l’isolamento dell’uretere sino all’incrocio con i vasi iliaci ed oltre. “clampiamo” l’uretere solo distalmente e lo sezioniamo. Posizioniamo in questa sede un trocar da 15 mm ed attraverso lo stesso introduciamo un sacchetto laparoscopico, che apriamo in addome. A questo punto “clampiamo “ e sezioniamo, nell’ordine, l’arteria e la vena renale. Cosi completamente liberato l’organo viene introdotto nel sacchetto ed estratto dall’addome. Collochiamo il rene in ghiaccio e lo consegniamo immediatamente ad una seconda équipe incaricata della preparazione del rene prelevato e del successivo trapianto (che avviene contestualmente nella sala operatoria attigua) Risultati . Dal dicembre 2004 eseguiamo il prelievo di rene da vivente unicamente con tecnica laparoscopica. Sino ad oggi (febbraio 2009) abbiamo eseguito 63 prelievi; di questi, undici furono eseguiti unicamente con tecnica gas-less. 58 Convegno SUNI Comunicazioni - Laparascopia LA NEFRECTOMIA LAPAROSCOPICA ESEGUITA CON TECNICA GASLESS L. Repetto (1), G. Pasquale (2), P. Mondino (1), M. Oderda (1), P. Gontero (1) U. Ferrando (3), D. Fontana (2), A. Tizzani (1). (1): S.C. Urologia I, Prof. A. Tizzani, Ospedale Molinette, Torino. (2): S.C. Urologia II, Prof. D. Fontana, Ospedale Molinette, Torino. (3): Direttore Servizio Urologia della Clinica Cellini,Torino (già Direttore Urologia III Ospedale Molinette). La nefrectomia laparoscopica, nelle indicazioni dovute, apporta significativi vantaggi La pressione positiva intraddominale (pari a 12mmHg) si applica e si mantiene durante l’intervento laparoscopico. L’aumento delle resistenze polmonari, il diminuito ritorno venoso, l’assorbimento della Co2, l’oliguria sono gli effetti collaterali più noti che si osservano nel mantenimento delle pressione positiva. Attuiamo la tecnica gas-less nei pazienti dove gli effetti collaterali sopra descritti potrebbero essere causa di complicanze serie Materiali e metodi Posizioniamo il primo trocar in addome (ottica) con tecnica open-laparoscopy e dopo alcune manovre di sicurezza posizioniamo l’elevatore di parete in sede sottocostale sulla linea ascellare anteriore. L’elevatore viene ancorato ad un braccio elettrico, solidale con il letto operatorio che alza il “laparolift” ed assicura una buona visione del campo operatorio. L’incisione necessaria per introdurre l’elevatore di parete è pari a 10-15 mm La via d’aggressione al rene con tecnica gas-less è rigorosamente trans-peritoneale. Lo spazio esiguo del retro peritoneo impedisce l’applicazione degli elevatori parete attualmente in commercio. Con l’accesso misto (retroperitoneale e trans peritoneale) la tecnica è attuabile ma presenta delle riserve che presenteremo in questo lavoro. Dopo aver scollato la doccia parieto-colica evidenziamo il retro peritoneo con la fascia di Gerota. Esponiamo la vena renale e l’arteria, ambedue sino alla loro congiunzione con la cava e l’aorta. Proseguiamo l’isolamento dell’uretere sino a dove c’è l’indicazione. Cosi completamente liberato l’organo viene introdotto nel sacchetto ed estratto dall’addome. Risultati . Da alcuni anni applichiamo la tecnica gas-less. In un primo momento utilizzavamo tale tecnica solo nei casi dove il pneumoperitoneo era controindico, ade estendiamo la tecnica anche ad altre laparoscopia dove la pressione intraddominale di 12 mmHg sarebbe ben tollerata Abbiamo eseguito 68 nefrectomie con tecnica gasless I vantaggi per il paziente sono assolutamente evidenti e sono ridotti gli effetti collaterali insiti nella tecnica laparoscopica classica. Sono evidenti, anche alcuni vantaggi per i chirurghi. Il tempo dell’intervento si è allungato di pochi minuti, giusto il tempo necessario ad applicare il laparolift. Nei primi casi si presentava a noi un campo operatorio diverso, al quale non eravamo abituati, ma dopo i primi dieci casi la visione assumeva connotazioni sempre più famigliari. Conclusioni Con la tecnica gasless si associano i vantaggi della laparoscopica con i vantaggi della chirurgia aperta senza associarne gli svantaggi Bisogna, per contro, sottolineare che la procedura Gas-less secondo noi, in un primo momento, è tecnicamente più difficile 58 Convegno SUNI Comunicazioni - Laparascopia CHIRURGIA CONSERVATIVA RENALE LAPAROSCOPICA RETROPERITONEALE: NOSTRA ESPERIENZA DOPO I PRIMI 20 CASI P. Parma, B. Dall’Oglio, A. Samuelli*, C. Bondavalli Divisione di Urologia Azienda Ospedaliera Carlo Poma Mantova * Divisione di Urologia Spedali Civili di Brescia Obiettivi: abbiamo analizzato la nostra esperienza di chirurgia conservativa renale laparoscopica retro peritoneale per neoplasia. Materiali e Metodi: dal gennaio 2007 al dicembre 2008 abbiamo eseguito 20 interventi di enucleo resezione di neoformazioni renali.Il diametro medio delle lesioni era pari a 2.7 cm (range 1.5-6 cm) La tecnica laparoscopica retroperitoneale prevede il posizionamento di 4 trocar nel retro peritoneo. Si apre la fascia di Gerota posteriormente , si individua l’uretere e si isola l’arteria renale. A questo punto si libera il rene dal grasso peri renale e si procede alla asportazione del grasso della capsula. Si espone la neoformazione renale cercando di mantenere adeso il grasso peri-lesionale. Se necessario si clampa l’arteria con buldog laparoscopico e si procede alla enucleoresezione della neoformazione con forbici. Eseguiamo una enucleazione con 1-2 mm di tessuto sano intorno alla neoplasia.L’ emostasi del letto di resezione viene eseguita con solo Floseal per lesioni piccole. In caso di lesioni più grandi si utilizzano punti staccati o in continua con Vicryl dell’ 1 , fermati con Hemo-lok XL. In caso di emostasi imperfetta alla rimozione del buldog l’emostasi viene completata con 1 fiala di FloSeal tra i punti . Risultati: in tutti i 20 casi la procedura è stata portata a termine con successo. Il tempo operatorio medio è stato pari a 150 minuti ( range 90-240 minuti). Le perdite ematiche medie sono state pari a 150 ml (50-400 ml). Nessun caso ha richiesto emotrasfusioni. Nessun caso ha richiesto conversione in chirurgia aperta. Il tempo medio di ischemia calda è stato pari a 13.5 minuti (range 5-25 min). La Degenza media post operatoria è stata di 4.5 gg (3-6). Non abbiamo avuto alcuna complicanza intra o post operatoria. L’esame istologico delle lesioni è risultato in 14 casi carcinoma renale a cellule chiare, in 3 casi oncocitoma renale, in 2 casi angiomiolipoma, in un caso linfoma di tipo B follicolare. Non abbiamo avuto margini positivi. Ad un con follow up medio di 15 mesi non sono state riscontrate recidive locali. Conclusioni: la chirurgia conservativa renale laparoscopica retroperitoneale è risultato un intervento ripetibile, minimamente invasivo ma che deve essere eseguito da laparoscopisti esperti e che richiede una attenta selezione dei pazienti nelle prime fasi. I presidi laparoscopici disponibili quali Hemo-lok e FloSeal permettono di ridurre notevolmente i tempi di ischemia calda e le perdite ematiche. 58 Convegno SUNI Comunicazioni - Laparascopia LA CORREZIONE LAPAROSCOPICA DELLE FISTOLE VESCICO VAGINALI: NOSTRA ESPERIENZA P. Parma, B. Dall’Oglio, A. Samuelli*, C. Bondavalli Divisione di Urologia Ospedale Carlo Poma Mantova *Divisione di Urologia Spedali Civili di Brescia Introduzione: Le fistole vescico vaginali sono un evento raro nel mondo occidentale ma rappresentano una seria complicanza della chirurgia uroginecologica. Le cause sono dovute nell’ 85% dei casi a complicanze di interventi di isterectomia (1 su 1800 interventi). Altre cause sono la radioterapia per neoplasia ginecologica o del retto (10%) e nel 5% dei casi cause ostetriche. Per fistole di piccole dimensioni si può eseguire un approccio di tipo conservativo mediante il mantenimento di un catetere vescicale a dimora per 2 mesi (successo riportato che va dal 7 al 12.5%). Per fistole larghe o che non rispondono al trattamento conservativo si deve eseguire un trattamento chirurgico (trans vaginale o per via laparotomico). La correzione laparoscopica delle fistole vescico vaginali è stata descritta per la prima volta nel 1994 e da allora sono stati riportati in letteratura 40 casi. Materiali e Metodi: dal gennaio 2007 al dicembre 2008 abbiamo eseguito 4 casi di correzione laparoscopica di fistole vescico vaginali. In tutti i casi si trattava di fistole post isterectomia, in tre casi eseguita per via chirurgica aperta, in un caso per via laparoscopica. L’età media delle pazienti era pari a 49 anni (range 35-58 anni). La sede della fistola in tutti i 4 casi era sulla parete posteriore vescicale sopra-trigonale. La diagnosi è stata eseguita mediante la visita vaginale, una cistografia ed una cistoscopia. Il diametro fistola era compreso tra 1-2 cm. La tecnica laparoscopica prevede il posizionamento di 5 trocar ad U rovesciata trans peritoneali con il rimo accesso open trans ombelicale. Contemporaneamente con un cistoscopio introdotto in vescica vengono incannulati gli osti ureterali ed il tramite fistoloso con cateteri ureterali di colore diverso. Dopo aver lisato le aderenze intestinali del precedente intervento si incide il peritoneo posteriore tra vescica e vagina. Con l’aiuto della luce del cistoscopio si apre la parete vescicale posteriore in prossimità della fistola. Si apre quindi la parete vaginale anteriore, si asporta il tramite fistoloso e si separano per via smussa la parete posteriore vescicale da quella anteriore vaginale. Si chiude la vagina con sutura in continua con Vicryl-0 e si chiude in continua lo strato della mucosa vescicale con Monocryl 2-0. Si scolpisce un flap di omento e lo si interpone tra vescica e vagina mediante due punti sulla parete vaginale anteriore distalmente alla rima di sutura. Si chiude quindi lo strato siero muscolare della parete vescicale con monocryl 2-0 in punti staccati. Risultati:in tutti i 4 casi l’intervento è stato portato a termine con successo. Il tempo operatorio medio è stato pari a 170 minuti (range 140-240 min). Non si sono avute complicanze intraoperatorie né post operatorie. La degenza ospedaliera media è stata pari a 5 gg (range 4-6). La rimozione del catetere è stata eseguita in 14° giornata previa l’esecuzione di una cistografia. Ad un follow up medio di 10 mesi le pazienti sono completamente asciutte. Conclusioni: la correzione laparoscopica transperitoneale delle fistole vescico vaginali è una tecnica riproducibile se in possesso di un adeguato training laparoscopico di chirurgia pelvica. Riteniamo che attualmente rappresenti una valida alternativa alla chirurgia open in funzione della magnificazione dei dettagli anatomici, della facilità di lavoro in scavo pelvico profondo, della mini-invasività. 58 Convegno SUNI Comunicazioni - Laparascopia ACCESSO LAPAROSCOPICO RETROPERITONEALE : ESPERIENZA DOPO 190 CASI P. Parma, B. Dall'Oglio, A. Samuelli* , C. Bondavalli Divisione di Urologia Azienda Ospedaliera Carlo Poma Mantova * Divisione di Urologia Spedali Civili di Brescia Obiettivi: dopo l'introduzione della tecnica di Gaur per creare la spazio retroperitoneale per la chirurgia renale laparoscopica retroperitoneale, questo accesso ha avuto sempre più consensi ed è ora comunemente utilizzato in diversi centri laparoscopici. Presentiamo la nostra esperienza di laparoscopica retroperitoneale dopo i primi 200 casi. Materiali e metodi:dal 01/2006 al 01/2009 abbiamo eseguito un totale di 200 procedure retroperitoneoscopiche in 199 pazienti di età compresa tra 45 e 82 anni. Si trattava di 110 nefrectomie, 23 enucleoresezioni renali, 20 resezioni di cisti renali, 12 pieloplastiche, 10 nefroureterectomie, 9 surrenalectomie, 4 ureterolitotomie, 2 nefropessi. Lo spazio retroperitoneale è stato creato con tecnica di dissezione digito guidata in 10 casi, sistema dilatatore con trocar sistem in 15 e negli ultimi 165 casi con sistema formato da guanto montato su sonda rettale. Risultati: abbiamo classificato 20 procedure come semplici ( resezione di cisti renali), 135 come difficili (nefrectomie , surrenalectomie, ureterolitotomie, nefropessi) e 35 molto difficili (pieloplastiche ed enucleo resezioni renali). C'è stata una notevole fase di apprendimento nei primi 25 casi, determinando tempi operatori medi più prolungati e maggior tassi di conversione in chirurgia aperta. Oltre alla fase di apprendimento i tempi operatori erano dipendenti dalla difficoltà della procedura andando da un valore medio di 90 minuti per una procedura semplice a 160 minuti per una procedura difficile a 200 minuti per una procedura molto difficile. Negli ultimi 50 casi le complicanze, i tassi di conversione e i reinterventi sono risultati accettabili (rispettivamente 0,5, 2, 0,5 % ) per una applicazione routinaria della procedura. La laparoscopia retroperitoneoscopica può presentare nella fase di apprendimento notevoli difficoltà per il ridotto spazio operatorio e per la mancanza di punti di riferimento (tranne il muscolo psoas). Una volta appresa la tecnica però i vantaggi sono notevoli in quanto la mancata apertura del peritoneo riduce i tassi di complicanze e permette di avere un accesso diretto sul peduncolo vascolare renale. Messaggio conclusivo:dopo un'esperienza con 190 casi la tecnica di accesso laparoscopico retroperitoneale è stata notevolmente semplificata. La procedura è standardizzata , sicura e riproducibile. Utilizziamo tale accesso come tecnica di scelta per la nefrectomia in caso di neoplasia renale di diametro tra 4 e 10 cm, per la chirurgia conservativa in caso di neoplasie inferiori a 4 cm parzialmente esofitiche sul versante posteromediale o posterolaterale renale, per la surrenalectomia , per la pieloplastica. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Urologia Funzionale NOSTRA ESPERIENZA NELLA TERAPIA DELLE STENOSI VAGINALI. Giovanni Liguori, Sara Benvenuto, Carlo Trombetta, Antonio Amodeo, Giorgio Mazzon, Giangiacomo Ollandini, Bernardino de Concilio, Emanuele Belgrano Clinica Urologica; Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste OBIETTIVI Sono state descritte numerose tecniche chirurgiche ricostruttive per la correzione di stenosi o atresia vaginale. Discutiamo 3 differenti soluzioni tecniche. METODI Sono giunte alla nostra osservazione 7 pz affette da stenosi vaginale severa o atresia vaginale: 2 pz erano affette da stenosi vaginale completa da Lichen sclerosus, 1 pz era affetta da Lichen planus, in 2 pz si era verificata una stenosi della vagina su base iatrogena, mentre 2 pz erano affette da sindrome di MayerRokitansky-Kuster (MRK). Per le 2 pz con la sindrome MRK abbiamo optato per la tecnica della trasposizione del peritoneo pelvico. Dopo avere eseguito un’incisione a livello del fondo cieco dell’abbozzo vaginale è stata ricavata una neocavità per via smussa tra retto e uretra. Viene preparato uno spazio tra vescica e retto, fino al peritoneo che ricopre lo sfondato del Douglas. A questo punto il peritoneo viene inciso e vengono posizionati 4 punti di repere sui margini della breccia peritoneale che vengono poi ancorati all'introito della vagina. La cupola della neovagina così confezionata viene quindi chiusa con una borsa di tabacco. Nelle pz con grave stenosi della vagina abbiamo utilizzato una vaginoplastica di ampliamento con anse ileali detubularizzate e riconfigurate. Dopo aver liberato completamente la volta vaginale un segmento ileale di circa 12 cm viene isolato, detubularizzato e riconfigurato ad “anello”. In seguito la neovagina così formata viene anastomizzata all’introito vaginale. Nelle pz affette da patologie infiammatorie croniche che presentavano sclerosi vulvare con conglutinamento delle piccole e grandi labbra, stenosi vaginale e stenosi del meato uretrale abbiamo eseguito dilatazione manuale della vagina con escissione delle sinechie e meatoplastica uretrale con ripristino della fisiologia anatomica. RISULTATI Non vi sono state complicanze in tutte le pz. Il risultato estetico a 3 mesi è buono. Dal punto di vista funzionale non tutte le pz hanno avuto un miglioramento, in particolare le pazienti affette da Lichen probabilmente per la degenerazione neuro-vascolare causata dalla malattia stessa. CONCLUSIONI L'utilizzo di segmenti ileali riconfigurati consente di creare una neovagina ben configurata. D’altro canto l’utilizzo del peritoneo presenta, in pz selezionate, chiari vantaggi di minore invasività e facilità di esecuzione. Nei casi di minore gravità resta comunque consigliato un approccio chirurgico mini-invasivo. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Urologia Funzionale Il sistema Capio ™ : approccio mini-invasivo transvaginale per la fissazione della cupola vaginale al legamento sacrospinoso. P.Cortese , F.Gallo , L.Chiono , E.Gastaldi, M.Schenone, C.Giberti Dipartimento di Chirurgia, U.O. Urologia, Ospedale San Paolo Via Genova 38, Savona Obiettivi: La fissazione al legamento sacro spinoso è un’efficace soluzione per la correzione del prolasso della cupola vaginale. Tuttavia essa risulta gravata dalla difficolta’ nell’esposizione dell’anatomia vaginale profonda , dal rischio di perforazione intestinale e/o vescicale e dalla necessita’ di due assistenti al tavolo operatorio. Il sistema Capio ™ e’ stato progettato per posizionare automaticamente, con il solo aiuto della palpazione digitale , una sutura sul legamento sacrospinoso previa minima dissezione vaginale riducendo le problematiche sopracitate tipiche dell’approccio tradizionale. Riportiamo qui di seguito la nostra esperienza con tale metodica. Materiali e metodi: il sistema Capio™ (Boston) e’ composto da un insertore di facile uso che permette di posizionare e recuperare una sutura attraverso il legamento sacro spinoso . La procedura consiste , con la paziente in posizione litotomica , nell’esecuzione di una colpotomia longitudinale mediana posteriore , successivo scollamento della parete vaginale dal setto retto vaginale; isolamento della cupola vaginale, scollamento della fascia pararettale a dx per permettere l’individuazione mediante palpazione, con associato controllo trans rettale, del legamento sacro spinoso e successivo passaggio attraverso il legamento di un filo di sutura in polipropilene intrecciato 0 mediante l’utilizzo del Capio ™ . Si procede quindi all’ancoraggio del filo alla cupola vaginale e , con nodo a puleggia , ad ancoraggio della stessa al legamento facendo particolare attenzione a non creare “ponti” tra le due strutture ; si ricostruisce infine il setto retto-vaginale e si effettua la colporrafia posteriore. Risultati: La nostra esperienza e’ limitata a sole 5 pazienti (eta’ media di 68 aa) che sono state sottoposte ad intervento nel periodo compreso tra febbraio 2008 e febbraio 2009 con un follow up medio di 6 mesi . L’intervento in due casi e’ stato associato alla correzione di concomitante cistocele e in uno a posizionamento di sling transotturatorio per la correzione di IUS di II tipo .Tutte le pazienti al momento risultano indenni da recidive e asintomatiche . Una sola paziente ha riferito dischezia risoltasi spontaneamente nel giro di due mesi. Conclusioni: nonostante il ridotto numero dei casi trattati la sospensione della cupola vaginale al legamento sacro spinoso con l’ausilio del device Capio™ appare efficace, facilmente riproducibile , gravata da un basso rischio di complicanze con una apprezzabile riduzione dei tempi operatori. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Urologia Funzionale CONFRONTO TRA DUE TIPI DI ANSTOMOSI ILEALI CONFEZIONATE A MANO PER DERIVAZIONE URINARIA M. Esposito, A: Simonato,V. Varca, F. Venzano, , L. Chuidjio Kouatang, D: Siatos, G. Carmignani Clinica Urologica L. Giuliani, Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino Introduzione: Dal 2004 nel nostro Istituto tutte le anastomosi intestinali sono state confezionate manualmente per motivi di surgical skills. Obiettivo di questo lavoro è valutare i risultati funzionali delle anastomosi intestinali ileo-ileali confezionate nel nostro Istituto per derivazione urinaria dopo cistectomia radicale confrontando quelle latero-laterali con quelle termino-terminali. Materiali e metodi: Sono stati considerati retrospettivamente 150 pazienti di età media 68 + 10 anni sottoposti a cistectomia radicale e derivazione urinaria per carcinoma uroteliale infiltrante o superficiale resistente alle terapie conservative eseguite dalla stessa equipe chirurgica. In 87 pazienti è stata confezionata una neovescica ortotopica tipo VIP2, in 63 una ureteroileocutaneostomia sec. Briker. In 39 pazienti l'anastomosi intestinale è stata latero-laterale in mono strato con punti PDS 3/0, in 91 termino-terminale in monostrato PDS 3/0 e in 20 termino-terminale in doppio strato di Vicryl 3/0. Per tutti i pazienti è stata valutata la giornata post-operatoria in cui si è avuta la ricomparsa della peristalsi, la canalizzazione ai gas, la rimozione del sondino naso-gastrico (SNG) e la ripresa dell'alimentazione, nonché l'eventuale comparsa di complicanze intestinali perioperatorie. Risultati: La tabella n° 1 mostra le differenze tra le anastomosi ileali termino-terminali e quelle latero-laterali. Per quanto riguarda la comparsa di complicanze postoperatorie, ne abbiamo riscontrate il 2,7 % nei pazienti con anastomosi termino-terminale, e per questi è stata sufficiente una terapia conservativa, mentre il 10,26 % dei pazienti con anastomosi latero-laterali hanno avuto complicanze e sono stati tutti sottoposti a reintervento, non essendo stato sufficiente la sola terapia conservativa. Non è stata invece riscontrata alcuna correlazione tra i parametri analizzati e la derivazione urinaria confezionata. I risultati indicano che le anastomosi termino-terminali presentano una più precoce ripresa della peristalsi e della canalizzazione ai gas con un più precoce rimozione del SNG rispetto alle anastomosi latero-laterali. Le complicanze pur essendo molto ridotte per i due gruppi sono state più gravi per il gruppo con l'anastomosi latero-laterale. Questo potrebbe essere dovuto sia ad una situazione anatomica più fisiologica che alla minore manipolazione intestinale richiesta nelle anastomosi termino-terminali. Conclusioni: Secondo la nostra esperienza le anastomosi ileali termino-terminali presentano un più rapido recupero funzionale e meno complicanze perioperatorie. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Urologia Funzionale RIPARAZIONE TRANS-VAGINALE DI FISTOLA NEOVESCICO-VAGINALE C. Negro, P. Destefanis, C. De Maria, A. Bisconti, A. Bosio, A. Cugiani, M.T. Carchedi, F. Liberale, A. Buffardi, C. Schillaci, D. Fontana. Divisione Universitaria di Urologia 2 - Ospedale San Giovanni Battista “Molinette” - Torino Introduzione La fistola neovescico-vaginale è una complicanza della cistectomia radicale con confezionamento di neovescica ortotopica nelle donne, la cui incidenza è riportata intorno al 5%. Danno iatrogeno durante la dissezione della parete vaginale, infiammazione locale e recidiva locale di malattia sono ritenute le cause più frequenti dello sviluppo delle fistole. Metodi Presentiamo il caso di una donna di 55 anni con carcinoma vescicale T2G3 sottoposta in Dicembre 2007 a cistectomia radicale con confezionamento di neovescica ortotopica a Y. In precedenza era stata sottoposta a 3 cicli di chemioterapia neoadiuvante. L’esame istologico definitivo evidenziava carcinoma uroteliale con aspetti squamosi pT3a N0 G3. La paziente era stata sottoposta nel 2001 ad isterectomia trans-vaginale. La cistografia retrograda e minzionale eseguita tre settimane dopo la cistectomia, in previsione di rimozione del catetere vescicale, aveva evidenziato una fistola ad alto flusso tra la vagina e la neovescica ileale, con completa opacizzazione delle vagina. Inizialmente la paziente è stata trattata conservativamente per 2 mesi. Sono state eseguite due cistografie retrograde e minzionali con evidenza di riduzione delle dimensioni della fistola senza però mai completa risoluzione. A tre mesi, quindi, dall’intervento di cistectomia è stata sottoposta a correzione chirurgica della fistola per via trans-vaginale, con escissione del tragitto fistoloso e chiusura della neovescica trasversalmente e della parete vaginale longitudinalmente. E’ stato quindi posizionato un catetere vescicale Foley 20 Ch che è stato mantenuto per 1 mese. Risultati La cistouretrografia retrograda e minzionale eseguita dopo 1 mese non ha evidenziato persistenza/recidiva di fistola, per cui è stato rimosso il catetere vescicale. Alla rimozione del catetere la paziente era completamente continente durante il giorno, mentre presentava una moderata incontinenza notturna con utilizzo di 2 pads durante la notte. A 3 mesi dall’intervento la paziente era completamente continente (sia durante il giorno sia durante la notte) e non vi erano perdite di urina dalla vagina. Discussione Lo sviluppo di una fistola neovescico-vaginale è una complicanza importante, seppur poco frequente, della cistectomia radicale con confezionamento di neovescica ortotopica nelle donne. Poche sono le casistiche in letteratura circa la gestione, sebbene la maggior parte degli autori hanno riportato buoni risultati utilizzando tecniche chirurgiche che prevendono l’interposizione tra neovescica e vagina di materiale autologo (lembo di Martius, muscolo retto dell’addome, muscolo gracile, etc.). Nel caso qui presentato abbiamo utilizzato la tecnica di riparazione senza interposizione di materiale autologo con buoni risultati; il vantaggio offerto dal nostro approccio è sostanzialmente la sua maggiore semplicità a fronte di un risultato assolutamente soddisfacente (sebbene il follow-up breve), che, a nostro giudizio, potrebbe essere utilizzato come primo approccio in casi di fistole semplici. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Urologia Funzionale PARAMETRI FUNZIONALI DELL’URETRA FEMMINILE A CONFRONTO: STUDIO COMPARATIVO TRA ECODOPPLER URETRALE ED URODINAMICA Dr.ssa Simona Contardo* (1), Dr. Edoardo Ostardo (2) , Dr. Valter Adamo (1), Dr. Stefano Facchin (1), Dr. Michele Vanin (1), Dr.ssa Elisa Bet, (1) 1Azienda 2 Azienda ospedaliera S.Maria degli Angeli, Pordenone, S.O.C. di Ginecologia ospedaliera S.Maria degli Angeli, Pordenone, S.O.C di Urologia Obiettivi: partendo dal presupposto che la continenza urinaria ha una base multifattoriale ci siamo preposti lo scopo di validare l’ipotesi eziopatogenetica vascolare alla base dell’incontinenza urinaria da sforzo (IUS) correlando i parametri urodinamici funzionali dell’uretra con i parametri flussimetrici ricavati dall’ecocolordoppler uretrale e con alcuni dati anamnestici. Scopo secondario è stato quello di validare l’utilizzo del colordoppler quale strumento diagnostico nell’incontinenza urinaria da sforzo in modo complementare all’urodinamica, sfruttando l’utilizzo di tale strumento diagnostico nella pratica clinica specialistica ginecologica per ottenere simultaneamente informazioni di carattere morfo-strutturale e funzionale. Materiali e metodi: fra aprile e settembre 2007 abbiamo sottoposto ad ecografia perineale 62 pazienti di sesso femminile che avevano effettuato un esame urodinamico presso il Laboratorio di Urodinamica del Reparto di Urologia dell’Azienda Ospedaliera S.Maria degli Angeli di Pordenone: 41 di esse affette da IUS e 21 affette da altre problematiche urologiche non riferibili a IUS. Quindi abbiamo correlato i parametri urodinamici funzionali (PCM: pressione di chiusura massima uretrale ed LF: lunghezza funzionale) con i parametri vascolari ottenuti dalla flussimetria uretrale (P.I, R.I., S/D) e alcuni dati anamnestici (età, stato menopausale, parità, stato ipertensivo, gravità dell’incontinenza valutato con questionario strutturato). Risultati: i valori della velocimetria doppler ottenuti sono risultati paragonabili sia nel gruppo delle donne continenti che in quello delle incontinenti, mentre abbiamo ritrovato (anche se non statisticamente significativi) parametri urodinamici funzionali con valori minori nel gruppo delle donne incontinenti. Non abbiamo ottenuto nessuna correlazione fra i valori urodinamici e quelli flussimetrici, mentre è emersa una differenza statisticamente significativa dei primi con lo score dell’incontinenza e fra la lunghezza funzionale e l’età. Nessuna correlazione fra parametri flussimetrici e i dati anamnestici. Conclusione: il nostro studio, contrariamente a quanto riportato in letteratura, non ci permette di validare l’ipotesi fisiopatologica di una alterazione circolatoria od emodinamica quale meccanismo eziopatogenetico alla base dell’incontinenza urinaria da sforzo. Infatti, dai dati ottenuti, risulta che la profilometria uretrale rappresenta lo strumento più valido per ottenere dati funzionali in merito al meccanismo dell’incontinenza urinaria essendo in grado di valutare tutte le componenti ad essa deputate. Il color doppler, invece, ci da delle informazioni selettive che riguardano solamente la componente vascolare ed emodinamica. Potrebbe essere comunque utilizzato per individuare quei soggetti in cui si ipotizzi un problema vascolare alla base dell’incontinenza per poter così sviluppare un iter terapeutico adeguato. Ulteriori studi sono quindi necessari per raggiungere tale scopo. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Urologia Funzionale QUALITÀ DELLA VITA IN PAZIENTI CON NEOVESCICA ILEALE ORTOTOPICA (IOB): PROPOSTA DI QUESTIONARIO SPECIFICO Siracusano Salvatore, Ciciliato Stefano,.Lampropoulou Nicolitza, Lonardi Cristina*, Niero Mauro* Clinica Urologica – Università di Trieste, * Cattedra di Sociologia - Universita di Verona Obiettivi E' noto che la realizzazione della neovescica ortotopica comporta l'obbligo dello svuotamento volontario del neoserbatoio da parte del paziente ad intervalli di tempo regolari causando un grave disagio che si accentua durante le ore notturne. L'intervento di cistectomia con realizzazione di una IOB può quindi avere un impatto negativo sulla QoL dei pazienti durante l'adattamento alla quotidianità. Ad oggi la QoL nei pazienti portatori di IOB è stata valutata con test non specifici: il MOS SF36, FACT-B1, HAD e il QLQ. Riportiamo i risultati di uno studio multicentrico promosso per lo sviluppo di un questionario specifico per la valutazione della QoL nel paziente con IOB. Metodi La prima fase di valutazione qualitativa ha previsto l'inclusione secondo criteri internazionali armonici con l'oggetto dello studio. Sono state previste 35 interviste in 35 pazienti (5 per ognuno dei 7 centri coinvolti nello studio) secondo I seguenti criteri di inclusione: persone sottoposte a ricostruzione IOB e che danno consenso informato all'intervista. L'intervista è stata costruita in forma di narrazione, evocando la traiettoria del paziente dalla comparsa dei sintomi, alla diagnosi fino all'intervento chirurgico ed alla riabilitazione (fisica, mentale sociale). Sono state analizzate le difficoltà incontrate dal paziente in relazione ai cambiamenti di maggior impatto (previsti, impreviste ed auspicabili), eventuali vissuti emotivi come la vergogna, l'imbarazzo, il rifiuto, la riorganizzazione della routine quotidiana, la visione e percezione del proprio corpo (immagine di sé ed autostima), relazioni affettive, sessuali, amicali, lavorative, di benessere psicologico e comportamentali. Risultati Da una prima analisi qualitativa emerge che non tutti i pazienti riescono a riprendere il precedente stile di vita, il recupero è difficoltoso se non impossibile. Tale condizione ha un forte impatto sulla QoL dei pazienti ed ha permesso di individuare i domini nei quali è maggiore la compromissione della QoL e per i quali è utile l'analisi quantitativa. I domini individuati sono: emotivo, relazionale-sociale, organizzativo, fisico-sessuale e comportamentale con l'instaurazione di pratiche di occultamento.Nei casi più critici il vissuto impatta negativamente con la nuova realtà a partire dal livello emotivo. Negli intervistati che nel lungo periodo riprendono la stessa vita di prima dell'intervento, pur rimanendo difficoltà nella sfera dell'attività sessuale, la convivenza con la nuova condizione si stabilizza e ciò và ricondotto alla presenza di una rete sociale e familiare informata e collaborativa. Conclusioni La presente fase di interviste si è rilevata estremamente promettente, consentendo di produrre una prima individuazione degli ambiti di impatto della IOB sulla QoL. Per ciascuna delle dinamiche sopra descritte sono stati identificati potenziali brani che possono servire per costruire item da inserire operativamente nel questionario. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Urologia Funzionale UTILITA’ DELLA PROFILASSI ANTIBIOTICA NELLE PAZIENTI IN ETA' FERTILE ED IN MENOPAUSA SOTTOPOSTE AD INDAGINE URODINAMICA INVASIVA Siracusano Salvatore, Ciciliato Stefano, Lampropoulou Nicolitza, Visalli Francesco Clinica Urologica, Università degli Studi di Trieste Prof. Salvatore Siracusano Clinica Urologica, Ospedale di Cattinara, Strada di Fiume, 447, 34100 Trieste OBIETTIVI Recenti lavori hanno evidenziato una ridotta incidenza di infezione delle vie urinarie (IVU) nella donne sottoposte ad indagine urodinamica invasiva. E’ nostra intenzione, con il presente studio, valutare l’utilità della PRA(profilassi antibiotica) nelle donne in età fertile e in menopausa sottoposte ad esame urodinamico invasivo. METODI Sono state incluse nello studio 324 pazienti di sesso femminile delle quali 62 di età compresa tra 23 e 48 anni ( età media 39 aa) e 262 donne di età compresa tra 34 e 82 anni ( età media 62 aa). Le pazienti sono state quindi sottoposte mediante un catetere monouso bilume 6 Fr, ad esame urodinamico invasivo convenzionale. Sia nel gruppo dei soggetti in età fertile e sia in quello in menopausa è stata effettuata un’ assegnazione randomizzata della PRA con Norfloxacina 400 mg 6 ore prima dell’esame urodinamico. La positività per la IVU dopo l’esame urodinamico è stata valutata in seguito alla presenza entro 72 ore, di macroematuria e/o iperpiressia e mediante l’urinocoltura. RISULTATI I risultati sono stati riportati nelle tabelle I e II. Dall’analisi statistica si evince che la differenza dell’incidenza della IVU, tra il gruppo di coloro che ha non ricevuto la PRA e il gruppo di coloro che invece ha assunto la PRA, non è statisticamente significativa. Donne con IVU Donne senza IVU Totale PRA 9 (31%) 20 (69%) 29 Non PRA 8 (24%) 25 (76%) 33 Tabella I : incidenza di IVU in 62 donne fertili Donne con IVU Donne senza IVU Totale PRA 24 (18%) 106 (82%) 130 Non PRA 30 (23%) 102 (77%) 33 Tabella II : incidenza di IVU in 262 in donne in menopausa CONCLUSIONI Questo studio dimostra che l’incidenza delle IVU nei soggetti in menopausa è più elevata rispetto ai soggetti in età fertile e che la PRA, nell’ambito dei due gruppi di pazienti, non rappresenta un presidio clinico atto a ridurre significativamente la comparsa di IVU dopo esame urodinamico invasivo. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Urologia Funzionale "MINI-STATES SOTTOURETRALI AD INCISIONE SINGOLA" dott Baccichet E' nota l'evoluzione della chirurgia antiincontinenza che è passata nell'ultimo decennio a sostituire un intervento invasivo come la Burch con tecniche via via meno invasive che hanno avuto il loro capostipite nella TVT. Tale tecnica retropubica ha trovato poi,circa 6 anni fà,la sua ulteriore evoluzione con l'avvento della tecnica transotturatoria (TOT) che,a fronte di risultati di cura sovrapponibili alla tecnica retropubica,ha saputo ridurre ulteriormente l'invasaività dell'intervento precedente, consentendo un ancora maggiore contenimento dei rischi,delle complicanze e dei tempi chirurgici. Nonostante ciò,esistendo sempre margini di miglioramento,da circa 2 anni è comparsa sul mercato la prima minisling o sling a single incision. Una nuova tecnica chirurgica che ha saputo esasperare ancor di più le caratteristiche di mininvasività propie della TOT determinando una eliminazione delle incisioni cutanee, una riduzione dei tempi chirurgici e della ospedalizzazione con più precoce ripresa dell'attività,una reale possibilità di eseguire l'intervento in anestesia locale con approccio pressochè ambulatoriale. Nell'ultimo anno si è assistito alla comparsa di altri 3 nuovi dispositivi di questo tipo ognuno dei quali si caratterizza per diversi aghi, diverse tape,diverse modalità e sedi di ancoraggio anatomico. Al di là delle diverse caratteristiche dei devices, allo stato attuale,tenendo debitamente conto della casistica numericamente limitata e del breve follow-up,i risultati preliminari sembrano evidenziare un cure rate più o meno sovrapponibile a quello della TOT. Dato questo elemento,ma anche per motivi concettuali,personalmente penso sia lecito supporre che in un recente futuro , così come la TOT ha soppiantato nel trattamento chirurgico antiincontinenza routinario la tecnica retropubica,tali sling single incision possano soppiantare a loro volta la tecnica transotturatoria diventando il nuovo gold standard chirurgico per il trattamento della stress incontinence femminile. Dott Roberto Baccichet U.O.S. di uro-ginecologia U.O.C. ostetricia-ginecologia Ospedale civile Conegliano 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Carcinoma Prostatico LA PROSTATECTOMIA RADICALE DI SALVATAGGIO DOPO FALLIMENTO DELLA BRACHITERAPIA E. Gastaldi, L. Chiono, Gallo F, M. Schenone, C. Giberti Dipartimento di Chirurgia, U.O. Urologia, Ospedale San Paolo Via Genova 38, Savona INTRODUZIONE La recidiva locale del carcinoma prostatico dopo fallimento della brachiterapia può essere trattata con vigile attesa, terapia di deprivazione androgenica,prostatectomia radicale (retropubica, laparoscopica, robotassistita), crioterapia, HIFU. I candidati ideali per la prostatectomia radicale di salvataggio devono presentare un carcinoma prostatico recidivo dopo brachiterapia dimostrato all'agobiopsia, un PSA preoperatorio preferibilmente < 10 ng/mL, nessuna evidenza di malattia sistemica alla TC ed alla scintigrafia ossea, una aspettativa di vita > 10 anni. La radiazione induce sui tessuti fenomeni di vasculite, fibrosi ed obliterazione dei piani tissutali che si possono tradurre in una maggiore percentuale di complicazioni chirurgiche. La fibrosi invece dopo brachiterapia con impianto transperineale è decisamente inferiore permettendo un intervento di salvataggio paragonabile a quello standard. MATERIALI E METODI Abbiamo considerato il periodo dal maggio 1999 al dicembre 2006 in cui sono state eseguite 145 brachiterapie con follow-up minimo di 2 anni. Il PSA preoperatorio medio 7,8 (range 1,5-11,2), il peso prostatico medio 30,8 gr. (range 20-60). Il tempo operatorio medio 105 min. (range 80-125 min.) La TC postplanning è stata eseguita in tutti i pazienti dopo un mese a risoluzione dell'edema e la D90 è risultata > 140 Gy (range 145-215). Il follow-up variava da 24 a 115 mesi con il 61,3% dei pazienti che aveva un follow-up minimo di 5 anni. Un fallimento biochimico si è registrato in 10 pazienti (6,8%) secondo i parametri ASTRO. Il fallimento del PSA è avvenuto ad una media di 35,6 mesi. RISULTATI Nei 10 pazienti (6,8%) in fallimento biochimico dopo brachiterapia, 6 hanno presentato biopsie positive indicatrici di sicuro fallimento locale e sono stati trattati 4 con prostatectomia radicale retropubica di salvataggio e 2 con radioterapia esterna a 45 Gy. Riguardo alle complicanze abbiamo osservato un solo paziente con incontinenza urinaria di grado III° che ha successivamente richiesto l'impianto di uno sfintere artificiale mentre 3 pazienti su 4 (75%) hanno presentato stenosi dell'anastomosi vescico-uretrale risolta dopo una uretrotomia in un paziente, mentre negli altri due sono stati necessari due trattamenti. DISCUSSIONE Il costante miglioramento del profilo di morbidità della prostatectomia di salvataggio dovrebbe convincere il clinico a considerare un maggior numero di pazienti come candidati a questo tipo di trattamento. Un ulteriore vantaggio potrebbe essere raggiunto con la prostatectomia radicale robot-assistita. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Carcinoma Prostatico RUOLO DELLA BIOPSIA PROSTATICA DI SATURAZIONE NEL RISCONTRO DI NEOPLASIA PROSTATICA CLINICAMENTE SIGNIFICATIVA: NOSTRA ESPERIENZA. F. Fontana, M. Sala, A. Rosa, P.C. Bossola e G. Monesi. S.C. Urologia – Ospedale S. Biagio – ASL VCO Domodossola Introduzione ed obiettivi Risulta ormai noto il ruolo della biopsia prostatica di saturazione nel riscontro di neoplasia prostatica misconosciuta a precedenti riscontri bioptici in pazienti con PSA in constante incremento. Inoltre un pregresso riscontro di HGPIN o ASAP risulta spesso indicativo di presenza di neoplasia in altre aree di parenchima prostatico non incluse nei campionamenti bioptici. E’ altresì noto che i pazienti sottoposti a prostatectomia radicale dopo una diagnosi di neoplasia ottenuta dopo ripetute biopsie presentano un volume tumorale inferiore e un punteggio di Gleason più basso. Abbiamo valutato in maniera retrospettica la nostra casistica di pazienti sottoposti a biopsia di saturazione e successiva terapia chirurgica per valutare l’effettiva significatività clinica della neoplasia riscontrata. Materiali e metodi Dal giugno 2005 al febbraio 2009 sono stati sottoposti a biopsia prostatica di saturazione 92 pazienti (età media 65,5 anni). Lo schema bioptico comprendeva 32 prelievi (24 periferici e 8 transizionali). Il PSA medio è risultato pari a 9,6 ng/ml (range 2,3-28), il numero medio di biopsie pregresse è risultato pari a 1,8 (1-4). 19 pazienti avevano un pregresso riscontro di HGPIN o ASAP. Risultati E’ stata riscontrata una neoplasia prostatica in 34 pazienti (36,9%). Il numero medio di prelievi positivi è risultato pari a 4,2/32. 28 pazienti presentavano un punteggio bioptico di Gleason pari a 6, 5 pazienti pari a 7, 1 paziente pari a 8. Complessivamente 26 pazienti con riscontro bioptico di neoplasia sono stati sottoposti a prostatectomia radicale. Lo stadio TMN definitivo è risultato in 4 pazienti T2a, in 8 pazienti T2b, in 12 pazienti T2c, in 2 pazienti T3a. Il punteggio di Gleason definitivo è risultato 6 in 22 pazienti, 7 in 4 pazienti. Il volume prostatico occupato dalla neoplasia è risultato in media il 18% (range 4-32%). Conclusioni Anche nella nostra casistica la biopsia prostatica di saturazione ha dimostrato avere un ruolo nel riscontro di carcinoma prostatico non diagnosticato con le biopsie a campionamento standard. All’esame istologico definitivo nei pazienti sottoposti a terapia chirurgica è stato riscontrato nel 54% dei casi una neoplasia interessante entrambi i lobi (in 2 casi con estensione extracapsulare). Riteniamo pertanto la biopsia prostatica di saturazione una metodica utile per il riscontro di neoplasia prostatica clinicamente significativa e potenzialmente evolutiva qualora misconosciuta. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Carcinoma Prostatico RIPRESA BIOLOGICA DI MALATTIA DOPO TRATTAMENTO PRIMARIO DEL CARCINOMA PROSTATICO. CHIRURGIA DI SALVATAGGIO. PRIMI RISULTATI E PRIMI INTERROGATIVI. G.Cucchiarale, G.L. Milan, G. Mascarini, U.Ferrando S.C. Urologia 3 - Ospedale S.Giovanni Battista – Molinette – Torino Unità Funzionale di Urologia – Clinica Cellini - Torino INTRODUZIONE La ripresa biologica di malattia del carcinoma prostatico è una problematica che dobbiamo affrontare sempre più frequentemente in una popolazione maschile già sottoposta a trattamento primario per tale patologia. I percorsi di cura primari del CAP sono diversi rapportati alla impostazione “culturale” delle molteplici scuole urologiche ed alla stadiazione oncologica: prostatectomia radicale associata o meno a linfoadenectomia di staging effettuata con diversi approcci chirurgici, RT, brachiterapia, HIFU, BAT. Tutti i percorsi terapeutici possono essere complicati da ripresa biologica di malattia a breve o a lunga distanza. In caso di incremento dei valori di PSA possiamo focalizzare in modo sempre piu preciso la sede della secondarietà oncologica con TC PET con colina, RM con bobina endorettale e spettroscopia, biopsia eco e/o RM guidata. L’identificazione dei nuovi focolai di malattia tumorale può permettere ulteriori percorsi di chirurgia “radicale” di salvataggio. Questa chirurgia di salvataggio non deve essere vissuta come una terapia del PSA ma come un obiettivo di debulking oncologico per permettere l’inserimento del paziente in nuovi percorsi terapeutici (chemioterapia – immunoterapia) dove il farmaco si troverebbe a lottare contro un numero più esiguo di cellule con un migliore controllo della malattia stessa. Seguendo questa nuova impostazione comportamentale abbiamo attivato una chirurgia radicale di salvataggio in pazienti che avevano evidenziato una ripresa biologica di PSA dopo precedenti E DISOMOGENEI percorsi terapeutici. MATERIALI E METODI Dal luglio 2007 sono stati inseriti nel nostro studio sei pazienti. Tutti presentavano ripresa biologica di malattia e ripresa di malattia evidenziata alla TC PET in sede linfonodale e/o prostatica dopo trattamento primario radioterapico, chirurgico, ormonale,HIFU. I pazienti sono stati sottoposti a linfoadenectomia radicale allargata estesa dai vasi renali alle fosse otturatorie ed a prostatectomia radicale (se prima non effettuata). In tutti i pazienti l’esame istologico documentava presenza di malattia neoplastica nei tessuti asportati. RISULTATI Il gruppo di pazienti in discussione è disomogeneo per i punti di partenza ma è omogeneo nelle finalità e negli obiettivi preposti: in tutti i pazienti si è verificato, infatti, un azzeramento del PSA post operatorio. Non si sono verificate significative complicanze chirurgiche. DISCUSSIONE I risultati ottenuti, pur con l’esiguità della casistica e la relativa brevità del follow-up, ci incoraggiano nel proseguimento di questo nuovo percorso. MESSAGGIO CONCLUSIVO Alla luce delle nuove tecniche diagnostiche, delle mutate tecniche chirurgiche ed anestesiologiche e degli incoraggianti studi in campo immunologico ed oncologico ci sembra riduttivo arrendersi di fronte all’incremento di un marcatore. Riteniamo che, se le condizioni generali del paziente lo consentono, una radicalità chirurgica di salvataggio possa essere terapeutica e propedeutica ad ulteriori percorsi di contenimento dell’evoluzione tumorale. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Carcinoma Prostatico PROSTATECTOMIA RADICALE BENDAGGIO DELL’ANASTOMOSI VESCICO-URETRALE IN PAZIENTI A MAGGIOR RISCHIO DI INCONTINENZA URINARIA Cucchiarale G., Milan G.L., Mascarini G., Ferrando U. S.C. Urologia 3 – Ospedale S.G.Battista-Molinette - Torino Unità Funzionale di Urologia – Clinica Cellini – Torino Scopo del lavoro La chirurgia radicale in pazienti sottoposti a precedente chirurgia disostruttiva o a trattamento primario per Ca prostaico (radioterapia, HIFU, ..) è gravata da una maggior percentuale di complicanze post chirurgiche in termini di incontinenza urinaria e di possibile ritardato consolidamento dell’anastomosi vescico-uretrale. La tecnica chirurgica da noi adottata ci ha consentito di raggiungere ottimi risultati per quanto riguarda questi due aspetti. Tecnica chirurgica: Prostatectomia radicale retropubica classica. Nella maggior parte dei pazienti lo scollamento della ghiandola dai tessuti periprostatici risultata essere più difficoltosa per le aderenze post chirurgiche o per la diversa consistenza e trofismo tissutale. Prima della realizzazione della classica anastomosi vescico-uretrale a punti staccati, una benderella di Intexen® viene posizionata sulla faccia anteriore del retto e stabilizzata in posizione mediana con un punto riassorbibile subito al di sotto dell’estremo prossimale dell’uretra. Realizzata l’anastomosi la benderella viene “avvolta” attorno ad essa ed i suoi due estremi solidarizzati tra loro. Una “cravatta” avvolge come un regolare manicotto circolare la anastomosi vescico-uretrale, rinforzandola ed avvolgendola ab estrinseco. Materiali e metodi Dal dicembre 2006 al marzo 2009 sono state da noi eseguite, 36 prostatectomie radicali con bendaggio dell’anastomosi vescico-uretrale, in pazienti precedentemente sottoposti a trattamenti prostatici.. TURP: 23 Adenomectomia prostatica transvescicale : 7 Radioterapia per Ca 3 Trattamento HIFU 3 Età media: 68.36 (60-73) PSA: medio 13.78 ng/ml (range 0.35-75). G.S. pre-operatorio: medio 6.6 (6-8) G.S. definitivo: medio 7.2 (range 6-9) La chirurgia radicale è stata eseguita a distanza variabile dal precedente trattamento ed in un range temporale compreso tra 2 e 144 mesi. In alcuni pazienti era presente, prima del trattamento radicale, una incontinenza urinaria residuata al precedente trattamento. Risultati Infrazione del retto: 1 .Stenosi anastomosi uretrale: 2. Continenza alla rimozione del catetere : 27 pazienti sono risultati continenti già alla rimozione del catetere vescicale. Di questi 3 hanno necessitato di un periodo di cateterizzazione più prolungato per la presenza, nell’immediato post operatorio di sintomatologia districo/ostruttiva. Discussione. L’attenzione viene particolarmente rivolta alla continenza urinaria che, nella nostra esperienza, viene raggiunta più precocemente rispetto a quanto riportato in letteratura (incontinenza dopo chirurgia radicale 6-18 % a seconda delle casistiche, percentuale ancora superiore dopo precedenti trattamenti prostatici). Messaggio conclusivo Il bendaggio perianastomotico con materiale biocompatibile Intexen®, determinando un aumento ab estrinseco delle resistenze a livello del collo vescicale e del primo tratto dell’uretra, ha consentito di ottenere un buon consolidamento tissutale ed un precoce raggiungimento della continenza urinaria in una categoria di pazienti particolarmente a rischio. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi PROGETTO PREVENZIONE ANDROLOGICA NELLE SCUOLE MEDIE SUPERIORI DELLA PROVINCIA DI SAVONA: risultati preliminari ed impressioni Gallo F, Rosso F, Giberti C. Dipartimento di Chirurgia, U.O. Urologia, Ospedale San Paolo Via Genova 38, Savona Introduzione ed obiettivi: La recente abolizione del servizio militare obbligatorio, il riscontro di un incremento dei casi di infertilità, di disfunzioni sessuali e degli effetti tossici derivati dall’abuso di droghe hanno fatto convergere recentemente l’attenzione degli andrologi nei confronti degli adolescenti e dei giovani adulti. Il progetto “Prevenzione Andrologica Giovani Adulti (PAGA)”, promosso con il patrocinio dell’ASL2 Savonese e della SIA, nasce con l’obiettivo di costituire un serio punto di riferimento per tutti i ragazzi, partendo innanzitutto da una corretta informazione e fornendo le occasioni di diagnosi e trattamento di tutte le problematiche urogenitali maschili. Materiali e metodi Il progetto PAGA si articola attraverso la distribuzione di un opuscolo informativo completo di illustrazioni e descrizioni semplificate relative alla principali malattie andrologiche, incontri in tutte le scuole medie superiori della provincia di Savona (25), conferenze con medici di famiglia ed associazioni o circoli giovanili, un ambulatorio pomeridiano gratuito presso cui i ragazzi possono rivolgersi per la visita e l’eventuale trattamento. Risultati: Dal 06/2008 ad oggi sono state visitate tre scuole medie superiori mentre altri due incontri sono in programma per i prossimi mesi; sono stati eseguiti due incontri con i medici di famiglia della provincia; sono state tenute due conferenze presso associazioni senza fini di lucro; 5 ragazzi si sono presentati presso l’ambulatorio con riscontro di varicocele, prostatite, incurvamento congenito. Dagli incontri nelle scuole è emersa una scarsa conoscenza da parte dei ragazzi delle problematiche andrologiche. I ragazzi hanno accolto favorevolmente il progetto riconoscendone l’utilità e ponendo molte domande durante e alla fine dei nostri interventi. Conclusioni Pur trattandosi di risultati preliminari e quindi poco conclusivi, la nostra impressione in merito al Progetto PAGA è quella di un’iniziativa molto faticosa a causa delle difficoltà logistiche (necessari incontri mattutini a piccoli gruppi), relazionali nei confronti dei ragazzi (approccio cauto ma incisivo) e della scarsa collaborazione da parte del corpo docente. Tuttavia, alla luce dei primi riscontri, il progetto PAGA si conferma come assolutamente necessario, a causa della disinformazione dei ragazzi in merito alle problematiche andrologiche e dei crescenti rischi ambientali e sociali a cui i giovani sono quotidianamente esposti. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi FERTILITA’ NEL TRAPIANTO RENALE: ESPERIENZA DEL CENTRO TRAPIANTI RENALI DI TORINO Liberale Fabiola, Lasaponara Fedele, Lerda Silvana, Bosio Andrea, Pasquale Giovanni, Sedigh Omidreza, Fontana Dario. Ospedale San Giovanni Battista – Molinette, Divisione Universitaria di Urologia 2, Torino. INTRODUZIONE. Il trapianto renale offre ai pazienti affetti da insufficienza renale cronica (IRC), non solo la possibilità di svincolarsi dal trattamento dialitico, ma anche di migliorare la Qualità di Vita (QoL) sotto molti punti di vista. La volontà di riacquistare (e restituire) una vita sessuale attiva, e con essa la fertilità, sta diventando un endpoint sempre più importante nella riabilitazione post-trapianto. SCOPO DEL LAVORO. Presentare l’esperienza del Centro Trapianti di Torino nella riabilitazione dei pazienti sottoposti a trapianto renale, con particolare attenzione alla vita sessuale, alla fertilità in entrambi i sessi. Revisione della letteratura. MATERIALI E METODI. Dal 1981 sono stati eseguiti 2250 trapianti di rene. Sono stati rivalutati quei pazienti che, dopo trapianto, hanno condotto e portato a termine, gravidanza o paternità. RISULTATI. Venticinque pazienti (10 femmine e 15 maschi) hanno portato a termine: 9 femmine 1 unica gravidanza, una 2 gravidanze e 2 aborti; 11 maschi hanno avuto 1 figlio, uno 2 figli in 2 diverse gravidanze, 2 una gravidanza gemellare ed uno ben 3 figli. CONCLUSIONI. Il trapianto renale non mira soltanto a prolungare la vita dei pazienti, ma a migliorarne la qualità sotto tutti gli aspetti: psico-fisici, sociali, sessuali. La possibilità di vivere una vita sessuale completa e soddisfacente, che possa condurre alla maternità/paternità, fa parte di quel complesso concetto che è il miglioramento della qualità di vita, che va ben al di là della semplice ripresa della funzionalità renale. Dalla Nostra esperienza e dalla revisione della letteratura, possiamo dedurre che la fertilità nei pazienti trapiantati è significativamente migliore rispetto ai pazienti in dialisi; l’attesa di 1 o 2 anni dalla normalizzazione della funzione renale, fornisce un vantaggio sul buon esito di una gravidanza. Da tenere in considerazione è il ruolo (negativo) della terapia immuno-soppressiva: nell’uomo, il sirolimus, ha dimostrato causare danni all’assetto ormonale e del quadro spermatico; nella donna, l’immuno-soppressione può portare a complicanze quali ipertensione, pre-eclampsia, infezioni, diabete, danni al feto. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi DISTURBI DEL BASSO TRATTO URINARIO DOPO RIASSEGNAZIONE CHIRURGICA DEI CARATTERI SESSUALI NEL DISTURBO DI GENERE ANDROGINOIDE Giovanni Liguori, Carlo Trombetta, Maria Dolores Perrone, Laura Scati, Emanuele Belgrano Clinica Urologica - Azienda Ospealiero-Universitaria di Trieste Obiettivi Obiettivo della chirurgia nel disturbo di genere androginoide è di creare un complesso perineale e genitale il più femminile possibile dal punto di vista estetico e funzionale con la minore invasività chirurgica. Durante l’intervento, l’uretra viene accorciata ed ampiamente spatolata sino in prossimità dello sfintere striato: è possibile quindi che si verifichino delle modificazioni nelle abitudini minzionali e nella funzione del basso tratto urinario. Metodi Su un totale di 213 pz sottoposti a RCS androginoide negli ultimi 15 aa, 78 pz (36,6%) hanno accettato di rispondere ad un questionario telefonico. Sono stati analizzati diversi aspetti postchirurgici, vita relazionale/sessuale e funzionalità sociale. In questo studio focalizziamo l’attenzione sulle modifiche nella dinamica minzionale. Risultati L'età media all'intervento era di 33,8 anni (ds 8,2, range: 2058). Il follow up medio considerato era di 4,3 anni. 14 pazienti hanno affermato di aver sofferto di disturbi urinari nel periodo immediatamente successivo all’intervento chirurgico. Nel dettaglio sono stati riferiti: una generica difficoltà alla minzione, una esitazione nell’inizio della minzione, una minzione interrotta, episodi di cistite severa riportati da una sola paziente, 2 casi di flusso urinario deviato, 3 di flusso frastagliato, una persistenza del bulbo uretrale, 2 casi di ritenzione urinaria, una stenosi uretrale e un caso di problema urinario non meglio specificato. Si sono verificati 3 casi di stenosi uretrale con conseguente sintomatologia di tipo ostruttivo. Inoltre abbiamo rilevato 17 casi di incontinenza di tipo urinario, (non è stato riferito nessun caso di incontinenza fecale) e 28 pz hanno riferito insorgenza di pollachiuria dal momento dell’intervento. Perdita di urine con sforzo o tosse è stata riferita da 10 pz. Infine infezioni urinarie si sono verificate in 30 pz. 2 pzi hanno riferito presenza di cistiti recidivanti e 5 di cistiti comparse solo nel periodo immediatamente successivo all’intervento Conclusioni Riteniamo che prima del trattamento i pz dovrebbero essere informati sull’eventualità di insorgenza di disturbi del basso tratto urinario dopo chirurgia di genere. A spiegazione di questo esistono secondo noi alcune ipotesi: la possibile lesione del complesso sfinterico e della muscolatura perineale, l’alterazione della normale statica pelvica, l’accorciamento dell’uretra, il danneggiamento dell’innervazione vescicale. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi Associazione di tadalafil e afluzosina in pazienti affetti da DE e LUTS: esiste un effetto sinergico? Giovanni Liguori1, Gioacchino De Giorgi2, Giorgio Pomara3, Giuseppe Maio4, Daniele Vecchio5, Stefano Bucci, Antonio Amodeo, Giuseppe Ocello1, Sara Benvenuto1, Carlo Trombetta1, Emanuele Belgrano1 1 Clinica Urologia, Azienda Ospedalierouniversitaria di Trieste 2 Clinica Urologia, Azienda Ospedalierouniversitaria di Udine 3 Urologia, Ospedale Santa Chiara, Pisa 4 Urologia, Abano Terme (PD) 5 Urologia, Negrar (VR) Obiettivi: Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato l’esistenza di una stretta associazione tra LUTS e disfunzioni della sfera sessuale. Obiettivo di questo studio è valutare la possibilità, la sicurezza e l’efficacia di una terapia di associazione (afluzosina e tadalafil) nel trattamento dei pazienti con LUTS affetti da DE. Metodi: Sono stati arruolati 58 pazienti (età media 61 anni, range 50-75) affetti da LUTS e DE che non avevano mai ricevuto in passato alcun trattamento. I pazienti sono stati randomizzati in 3 gruppi: gruppo A afluzosina 10 mg 1 cp/die (18 pazienti); gruppo B tadalafil 20 mg 1 cp a giorni alterni (19 pazienti); gruppo C afluzosina 10 mg 1 cp/die più tadalafil 20 mg 1 cp a giorni alterni (21 pazienti). Criteri di arruolamento: LUTS moderata o severa; anamnesi di DE di qualsiasi grado; età 50-75 anni. Criteri di esclusione: controindicazione all’uso del farmaco, residuo postminzionale>100ml. Tutti i pazienti sono stati valutati all’inizio e dopo 8 settimane di trattamento. La sintomatologia urinaria soggettiva è stata autovalutata mediante l’International Prostate Symptom Score (IPSS). La frequenza e la nicturia tramite diario minzionale. Le risposte inerenti la qualità di vita (QoL) ed il numero di levate notturne sono state valutate separatamente. Inoltre sono stati sottoposti ad uroflussometria con valutazione del flusso massimo (Qmax), medio (Qave) e valutazione ecografia del residuo postminzionale. La funzione erettiva è stata autovalutata mediante l’International Index of Erectile Function – Erectile Function Domain (IIEF-EF, domande 1-5, 15). Le risposte alla domanda 15 sono state valutate separatamente. Risultati: Abbiamo ottenuto un miglioramento del punteggio IPSS con tutti e 3 i trattamenti, ma è risultato più importante nel gruppo C che eseguiva terapia di associazione (-42 %, p=0.000) rispetto al gruppo A, solo afluzosina (-27%, p=0.001)) ed al gruppo B, solo tadalafiland (-8%, p = 0.06). Qmax e Qave sono migliorati significativamente nei 3 gruppi, ma maggiormente nel gruppo che eseguiva terapia di associazione. Allo stesso modo il miglioramento dell’IIEF-EF è stato lieve con solo afluzosina (15%), marcato con tadalafil (36%), ma ancora maggiore con terapia di associazione (38%). Conclusioni: Studi clinici recenti suggeriscono che i farmaci alfa litici potrebbero avere un effetto benefico sulla DE grazie ad un’azione diretta di rilasciamento sul corpo cavernoso. Viceversa diversi autori hanno riportato risultati positivi sui LUTS mediante utilizzo di farmaci inibitori della PDE-5. La presenza di NO e di isoenzimi PDE-5 sono stati dimostrati nella prostata: l’effetto sui LUTS potrebbe dipendere da un aumento dell’attività dell’NO con conseguente rilasciamento delle fibrocellule muscolari liscie a livello dell’uretra prostatica. Sulla base di queste evidenze è stato recentemente ipotizzato che la somministrazione contemporanea di un α1bloccante e di un inibitore della PDE-5 in pazienti affetti da LUTS e DE associata possa potenziare l’effetto benefico del singolo farmaco somministrato da solo. Sulla base dei risultati del nostro studio possiamo concludere che la terapia di associazione con afluzosina 10mg al giorno più tadalafil 20 mg a giorni alterni è sicura ed più efficace della semplice monoterapia con ciascun singolo farmaco nel migliorare sia i sintomi urinari che la DE. Appare del tutto evidente che questi dati preliminari debbano essere confermati da studi placebo-controllati su larga scala. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi VALUTAZIONE SESSUOLOGICA A LUNGO TERMINE NEI PAZIENTI OPERATI PER TUMORE DEL TESTICOLO Carlo Trombetta, Giorgio Mazzon, Laura Scati, Giovanni Liguori, Giangiacomo Ollandini, Sara Benvenuto, Stefano Bucci, Emanuele Belgrano Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste Obiettivi Il tumore del testicolo (TT) è il tumore solido più frequente nei maschi tra i 15 e i 45 anni. Scopo di questo lavoro è valutare la qualità di vita sessuale nei pazienti trattati per TT, indagando tre funzioni sessuologiche fondamentali: libido, erezione ed eiaculazione. Si è inoltre cercato di valutare come i diversi trattamenti influenzino la vita sessuale. Metodi E’ stato compiuto uno studio retrospettivo su 109 pz sottoposti a orchifuniculectomia (OCT) tra il 1994 e il 2008 (età media 36,2 anni, range 4-85). I dati sono stati raccolti mediante intervista telefonica, con un questionario appositamente creato. Sono stati confrontati i dati ottenuti tra 4 gruppi: pz solo sottoposti a OCT, sottoposti anche a linfadenectomia retroperitoneale (RPLND), radiotrattati e chemiotrattati. I dati ottenuti sono stati valutati mediante test di Fisher. Risultati 60 pz (55,04% del totale, età media 32 anni, range 18-59 ) hanno risposto al questionario, di questi 15 ( 25% degli intervistati) sono anche stati sottoposti a RPLND, 27 (45% degli intervistati) a radioterapia e 17 (28,33% degli intervistati) a chemioterapia. Si sono osservati 21 disturbi sessuologici in 16 pz, di cui 10 (16,66%) cali della libido, 5 (8,33%) deficit erettili (DE) e 6 (10%) disturbi dell’eiaculazione. Il gruppo di pz sottoposti solo a OCT accusa meno disturbi (6,25%, p=0,025) rispetto ai pz sottoposti a radioterapia, RPLND o chemioterapia (18,5%, 20,0%, 35,29% con p=0,222, p=0,238 e p=0,229 rispettivamente). L’età avanzata appare essere un fattore di rischio per DE (42,6 anni di età media rispetto ai 32 anni dell’ intero gruppo, p=0,05). Circa metà dei pz con disturbi risolve i propri sintomi entro un anno (21 disturbi nel primo anno, 11 l’anno successivo).8 pazienti dei 16 con disturbi ritengono la propria vita sessuale segnata dalla terapia, e la complicanza che più influenza la vita sessuale dei pazienti è la DE (5 su 8). Conclusioni Il numero di pz con disturbi sessuologici appare modesto, e questo si riduce ulteriormente un anno dopo il termine della terapia. La chemioterapia è il trattamento che più causa disturbi, seguito da radioterapia e RPLND. La sfida che si presenta all’urologo risiede nella preservazione di una soddisfacente attività sessuale in un gruppo di pazienti giovani ed interessati alla guarigione, ma anche alla preservazione di una buona vita sessuale. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi TERAPIA DEL LICHEN SCLEROSUS E PLANUS VAGINALE. NOSTRA ESPERIENZA Sara Benvenuto, Giovanni Liguori, Carlo Trombetta, Giuseppe Ocello, Stefano Bucci, Antonio Amodeo, Emanuele Belgrano Clinica Urologica; Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste Obiettivi Lichen sclerosus e lichen planus, patologie infiammatorie croniche ad eziologia sconosciuta, causano distrofia vulvare e atrofia vaginale. In letteratura viene descritta prevalentemente la terapia medica. In alternativa proponiamo 2 soluzioni chirurgiche. Metodi Tre donne, 2 affette da Lichen sclerosus ed 1 affetta da Lichen planus, giungono alla nostra attenzione per cistiti recidivanti, disuria e disfunzioni sessuali quali disturbi dell’eccitamento, dispareunia e anorgasmia Obiettivamente si evidenzia la presenza di atrofia completa della vulva, con perdita delle normali papille, delle grandi e delle piccole labbra, clitoride atrofico e ricoperto da cute fibrosa e pallida. L’introito vaginale è stenotico, la mucosa vaginale è rigida e scarsamente distensibile. Il meato uretrale appare stenotico e fibroso. Due pazienti sono state sottoposte ad intervento di meatoplastica e dilatazione vaginale manuale con incisione delle sinechie vaginali e vulvari al fine di ripristinare una fisiologica anatomia. Una paziente, che presentava stenosi grave della vagina è stata invece sottoposta a vaginoplastica di ampliamento attraverso l’utilizzo di due anse ileali detubularizzate ed anastomizzate tra di loro utilizzando il principio della tecnica di Monti. In tutti e 3 i casi è stato posizionato un tutore vaginale siliconato. Le 2 pazienti che sono state sottoposte a trattamento mini-invasivo sono state trattate con medicazioni topiche con testosterone propionato 2%. Risultati Il risultato estetico è stato buono in tutti i casi. Le pazienti sottoposte a meatoplastica hanno avuto un miglioramento della sintomatologia urinaria; l’uroflussometria, a un mese dall’intervento, ha evidenziato valori al dì sotto della norma ma con trascurabile residuo-post-minzionale. Dal punto di vista sessuale invece persistono disfunzioni dell’eccitamento con secchezza vaginale, insensibilità clitoridea, dispareunia all’introito e anorgasmia. Conclusioni In letteratura, se la diagnosi avviene nelle prime fasi di manifestazione della malattia sono descritte terapie con corticosteroidi, uso topico di tacrolimus 0,1% e dilatazioni vaginali che sono in grado di rallentare ma non interrompere la progressione della patologia. Nei casi qui riportati non è stato possibile una terapia medica a causa del quadro clinico ormai avanzato pertanto è stato necessario intervenire chirurgicamente con ottimi risultati estetici ma non funzionali dal punto di vista sessuale. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi IMPORTANZA DI ETA’ E REFLUSSO VENOSO QUALI FATTORI PREDITTIVI DEL MIGLIORAMENTO DEI PARAMETRI SEMINALI DOPO SCLEROTIZZAZIONE DEL VARICOCELE Giovanni Liguori, Carlo Trombetta, Giorgio Pomara1, Paolo Turchi2, Antonio Amodeo, Bernardino de Concilio, Giangiacomo Ollandini, Giorgio Mazzon, Stefano Bucci, Andrea Lissiani, Emanuele Belgrano Clinica Urologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste 1. Urologia, Ospedale Santa Chiara, Pisa 2. Andrologia, Prato Obiettivi. L’efficacia della correzione del varicocele nel migliorare i parametri seminali è ancora incerta,tanto che i pareri sull’utilità della sua correzione sono ancora dibattuti.Il nostro studio si pone 2 obiettivi:dimostrare l’utilità della correzione del varicocele e in particolare come il principale fattore predittivo di un suo maggior beneficio sia la presenza di un reflusso basale reno-spermatico all’indagine EcoColorDoppler (ECD) preoperatoria; e dimostrare che la correzione del varicocele risulta utile indipendentemente dall’età dei pazienti trattati. Materiali e Metodi Tra il 2002 e il 2007 sono stati selezionati 113 pazienti di età compresa tra 18 e 44 anni(media:32,2) sottoposti a sclerotizzazione di varicocele sinistro senza alterazioni ormonali o recidive post operatorie. Tra essi 24 >40anni.Tutti i pz sono stati sottoposti a valutazione pre e post operatoria di:esame obiettivo, spermiogramma, ECD scrotale e valutazione ormonale. In base all’ECD i pz sono stati suddivisi in 5 gruppi secondo Sarteschi: grado 1 (7 pz), gr 2 (21), gr 3 (38), gr 4 (34) gr 5 (13).I parametri seminali analizzati sono la concentrazione spermatica, la percentuale di forme mobili e la percentuale di forme morfologicamente tipiche.I risultati ottenuti sono stati correlati con l’età e con il grado di varicocele secondo Sarteschi, che individua nei gradi 4 e 5 i pazienti con reflusso basale. L’analisi statistica,eseguita con SPSS 15.0 è stata condotta con i test di Wilcoxon, U di Mann-Whitney e con la ricerca di una regressione lineare significativa. Risultati Il miglioramento dei parametri seminali si è rilevato sia nella popolazione totale sia per ciascun grado della malattia. Dall’analisi dei raggruppamenti di pazienti in base al grado di varicocele risulta che pazienti senza reflusso basale (gr 1,2,3) e con reflusso basale (gr 4 e 5) presentano significative differenze di incremento di concentrazione spermatica: essa per il primo gruppo passa da 15 a 25 milioni/mL (61%) per il secondo da 14 a 34 mil/mL (+139%); p=0,002. L’età dei pazienti non risulta invece essere in alcun modo correlata a una differente risposta postoperatoria dei parametri seminali. Conclusioni Nella nostra casistica la presenza del reflusso basale all’ECD preoperatorio è un fattore predittivo di una migliore risposta spermatica dopo correzione del varicocele. Tale risposta rimane invariata se correlata all’età dei pazienti, tanto che risulta utile il trattamento dei pazienti con età anche maggiore ai 40 anni. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi AVULSIONE DELLA CUTE PENIENA: UN APPROCCIO CONSERVATIVO Negro Carlo, Destefanis Paolo, Bosio Andrea, Bisconti Alessandro, De Maria Claudia, Cugiani Alberto, Carchedi Mariateresa, Buffardi Andrea, Schillaci Cristina, Liberale Fabiola, Rolle Luigi, Fontana Dario. Divisione Universitaria di Urologia 2, Ospedale “San Giovanni Battista – Molinette”, Torino Introduzione. L’avulsione della cute dei genitali maschili è una urgenza urologica rara. Sebbene non metta in pericolo la vita dell’individuo tale lesione ha un impatto fisico e psicologico molto importante. Se non correttamente trattata in urgenza può portare a conseguenze estetico-funzionali gravi e talora permanenti. Materiali e Metodi Presentiamo il caso di un uomo di 58 anni, che si è presentato presso il Pronto Soccorso del Nostro Nosocomio per avulsione traumatica della cute peniena causata da una caduta dalla bicicletta. All’ispezione vi era un degloving quasi completo della cute peniena, con integrità della fascia di Buck ed una lacerazione della cute scrotale senza coinvolgimento dei testicoli. La cute peniena traumatizzata era però ancora attaccata, per mezzo di un piccolo flap cutaneo, alla cute dell’angolo peno-scrotale e presentava una vascolarizzazione conservata. Il paziente è stato quindi sottoposto ad intervento chirurgico di asportazione delle porzioni necrotiche ed è stato ricoperto con il lembo di cute attaccato all’angolo peno-scrotale, data la buona vascolarizzazione, attraverso suture in acido poliglicolico 4/0. La breccia scrotale è stata riparata con acido poliglicolico 4/0. Risultati Il lembo cutaneo residuo è stato sufficiente a coprire la soluzione di continuo. Il paziente è stato sottoposto a terapia antibiotica ad ampio spettro per 1 mese , senza infezioni della cute. Dalla IV giornata post-operatoria il paziente ha iniziata a lamentare erezioni notturne dolorose, per lo stiramento delle suture, ed è stato dimesso dopo 5 giorni di degenza. Dopo 1 settimana si è assistito ad iniziale necrosi circoscritta della porzione più superficiale del flap cutaneo utilizzato, con estensione della necrosi a tutto il flap entro 2 settimane. Data però la presenza di tessuto di granulazione al di sotto del tessuto necrotico, non è stato eseguito alcun intervento di asportazione del lembo cutaneo e sostituzione con altro lembo od innesto. Ad un mese di distanza dall’intervento si è assistito a completa riepitelizzazione del lembo cutaneo. A 3 mesi il paziente ha ripreso l’attività sessuale con normale funzione erettile ed assenza di incurvamento penieno. Conclusioni Le avulsioni della cute peniena sono rare, ma i risultati estetico-funzionali dipendono strettamente dall’approccio terapeutico scelto e dalla tempistica di intervento. Purtroppo, data l’esiguità dei casi, non esistono approcci standardizzabili e universalmente accettati, per cui bisogna individualizzare la terapia in base al quadro clinico. Punto cruciale dell’approccio è la vascolarizzazione della cute peniena ed eventualmente del lembo che si decide di utilizzare per coprire la soluzione di continuo. Nel nostro caso, dato che la vascolarizzazione del lembo di cute peniena risultava buono si è deciso di utilizzarlo per la ricostruzione con ottimi risultati sia estetici sia funzionali. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi NEFROLITOLAPASSI PERCUTANEA (PCNL) IN POSIZIONE SUPINA: ESPERIENZA MONOCENTRICA SU OLTRE 120 CASI P. Salsi, A. Frattini, S. Ferretti, P. Granelli, F. Dinale, P. Cortellini U. O. di Urologia – Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma (Direttore: Prof. P. Cortellini) INTRODUZIONE La nefrolitolapassi percutanea (PCNL) è tecnica ormai consolidata nella gestione della litiasi renale complessa e di grosse dimensioni. La procedura eseguita in posizione supina consente il dominio anterogrado e retrogrado delle vie escretrici aumentando la clearance litiasica complessiva e riducendo il numero di accessi multipli necessari. Riportiamo la nostra casistica di PCNL supine, confrontandola con i dati “storici” delle nostre PCNL in posizione prona. MATERIALI E METODI Le prime PCNL sono state eseguite presso la nostra Unità Operativa nel 1991, da allora abbiamo effettuato circa 700 PCNL; dall’aprile 2004 si effettuano procedure in posizione supina e a tutt’oggi abbiamo eseguito con questa tecnica 129 interventi in 120 pazienti. Dal luglio 2004 abbiamo iniziato l’impiego dell’ureteroscopio flessibile per effettuare la puntura del calice e la creazione del tramite sotto visione diretta endoscopica (tecnica “Endovision”) finora utilizzata in 40 pazienti. I parametri considerati sono: le caratteristiche dei pazienti e dei calcoli, il tempo operatorio medio, il tempo medio di esposizione radiologica, le perdite ematiche e l’eventuale necessità di emotrasfusione, il tempo medio alla rimozione del drenaggio nefrostomico quando era presente, il tempo medio di degenza, le eventuali complicanze intra- e postoperatorie e la loro risoluzione, la percentuale di “stone-free” alla dimissione; tali dati sono stati analizzati statisticamente e confrontati con la nostra casistica “storica” di oltre 500 PCNL in posizione prona. RISULTATI Confrontando i dati con la casistica in posizione prona, abbiamo osservato una significativa riduzione dei tempi operatori medi (circa 25 minuti) e una riduzione dell’esposizione radiologica, ancor più significativa considerando il sottogruppo delle procedure eseguite con tecnica “Endovision”; l’entità delle perdite ematiche e la necessità di emotrasfusione è stata sovrapponibile fra i due gruppi, come pure il tempo medio alla rimozione del drenaggio nefrostomico e di degenza; non abbiamo avuto alcun decesso e non sono state perse unità renali per complicanze intra-, peri- o postoperatorie; in nessun caso è stato necessario convertire l’intervento alla posizione prona o in open. Nettamente ridotto il ricorso ad accessi multipli, anche se in alcuni casi si è dovuto ricorrere a interventi in più tempi per la complessità della litiasi. È significativamente migliorata la percentuale di “stone- free” alla dimissione, che considerando il sottogruppo delle procedure “Endovision” è arrivata a sfiorare il 100%. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI La PCNL in posizione supina permette di affrontare litiasi complesse e di grosse dimensioni analogamente alla PCNL in posizione prona; è tecnica applicabile, sicura e riproducibile; se coniugata con la procedura “Endovision” permette di ridurre l’esposizione radiologica, virtualmente azzerandola se viene effettuata la puntura sotto controllo ecografico e la dilatazione si esegue sotto controllo diretto endoscopico; la precisione che si può ottenere nella puntura stessa permette di ridurre significativamente le possibili complicanze emorragiche legate all’incongruità del tramite. Il dominio contemporaneo anterogrado e retrogrado della via escretrice permette una più rapida e completa clearance litiasica e riduce la necessità di ricorrere ad accessi multipli, sempre gravati da rischio emorragico aggiuntivo. La riduzione dei tempi operatori dipende dalla posizione progravitaria del tramite in supina, che permette con il semplice lavaggio di evacuare parte dei frammenti litiasici. Inoltre la via escretrice rimane sempre a bassa pressione anche in caso di procedure molto prolungate, riducendo il rischio di nefropatie da reflusso canalicolare. Non ultimo, la maggiore clearance litiasica e il ridotto rischio emorragico permettono di effettuare procedure “Tubeless”, che permettono un migliore comfort postoperatorio del paziente, la riduzione dei tempi di degenza e l’assenza di rischi emorragici legati alla rimozione postoperatoria del drenaggio nefrostomico, di 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi sovente causa delle principali complicanze osservate in queste procedure. Per le sue caratteristiche la PCNL in posizione supina è particolarmente indicata nei pazienti pediatrici. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi CALCOLOSI DI 2,8 – DIIDROSSIADENINA. DESCRIZIONE DI UN CASO CLINICO. Arancio M., Ranzoni S., Delsignore A., Cammarano R., Landi G., Marcato M., Mina A., Martinengo C. ASL “NO”. S.C. Urologia. Ospedale SS. Trinità. Borgomanero (NO). OBIETTIVI: Il deficit di adenina fosforibosil transferasi (APRT) è una patologia autosomica recessiva. APRT è un enzima di salvataggio che catalizza la sintesi di adenina monofofato a partire da adenina e 5 fosforibosil pirofosfato. Il deficit di APRT provoca un accumulo di adenina, la quale, in seguito ad ossidazione si trasforma in 2,8 - diidrossiadenina (2,8 - DHA), composto altamente insolubile, il cui accumulo porta a cristalluria ed alla formazione di calcoli renali. MATERIALI E METODI: P.T, 52 anni, maschio, giunge alla nostra osservazione per colica renale sinistra. In anamnesi vengono riportati numerosi episodi di colica renale bilateralmente, risolti con espulsione spontanea di materiale litiasico e 2 trattamenti ESWL per calcolosi renale sin. La calcolosi si presentava sempre radiotrasparente. La chemolitolisi orale, eseguita più volte, non ha mai avuto successo. Una urografia i.v. dimostrava calcolosi radiotrasparente caliciale inferiore (1,5 cm) ed ureterale lombare sinistra (0,6 mm). Il calcolo ureterale è stato espulso spontaneamente; il calcolo renale è stato trattato con successo mediante ESWL. RISULTATI: L’analisi spettrofotometrica era compatibile con litiasi di 2,8 – diidroadenina. E’ stata instaurata terapia con Allopurinolo. A 3 mesi dal trattamento il paziente è asintomatico e presenta all’ecografia addominale minima calcolosi caliciale inferiore sinistra residua ed assenza di idronefrosi. CONCLUSIONI: La 2,8 – diidrossiadeninuria è una patologia rara. L’incidenza di eterozigosi varia dal 0,4 al 1,2 %. L’unica manifestazione clinica è la calcolosi urinaria. Vengono riconosciuti due tipi di deficit. Tipo I, osservato nella popolazione caucasica, in cui l’enzima non è rilevabile ed un tipo II, presente nella popolazione giapponese, in cui l’enzima ha una bassa affinità con il fosforibosilpirofosfato. La terapia medica consiste in Allopurinolo e dieta povera in purine. L’alcalinizzazione urinaria non risulta efficace. La urolitiasi di 2,8 – diidroadenina, sebbene molto rara, può essere presa in considerazione in caso calcolosi radiotrasparente recidivante non rispondente alla chemolitolisi orale. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Andrologia + Calcolosi La RIRS di necessità con ureteroscopio semirigido e laser ad olmio nel trattamento della calcolosi ureterale retropulsa . M. Ruoppolo, M. Gozo, R. Milesi, R. Spina, O. Risi, A. Manfredi U.O. Urologia,Azienda Ospedaliera “Ospedale Treviglio Caravaggio” (Bg), Direttore: M. Ruoppolo Introduzione: La RIRL: Retrograde Intra Renal Lithotripsy, attuata con strumenti rigidi e flessibili e con l’ausilio del laser rappresenta una procedura ormai largamente validata nel trattamento retrogrado della calcolosi pielica e caliciale come alternativa alla ESWL e alla PCNL o dopo il fallimento di queste. In realtà l’utilizzo estensivo di tale metodica richiede perizia ed esperienza nell’impiego di strumenti flessibili estremamente sofisticati e facilmente deteriorabili ed è quindi ristretto, nella pratica quotidiana, a pochi centri. Quando in corso di ureterolitolapassi o ureterolitotrissia effettuata con strumenti rigidi o semirigidi si verifica la retropulsione dell’urolita si pongono all’operatore molteplici alternative: ESWL o PCNL immediata, stenting ureterale e successiva ESWL, stenting + PCNL, RIRL con flessibile, RIRL con ureteroscopio semirigido. Quest’ultima soluzione, quando sia praticabile, rappresenta sicuramente la scelta meno indaginosa per l’urologo e la più soddisfacente per il paziente. Casistica: Dal gennaio 2008 abbiamo la disponibilità del laser ad olmio. Nel periodo 1/2008 – 3/ 2009 abbiamo trattato con ureteroscopia 48 calcoli: 27 dell’uretere pelvico, 13 iliaci e 8 lombari. Una retropulsione accidentale si è verificata in 6 casi di cui 5 calcoli dell’uretere lombare. In 3 casi era stata precedentemente posizionata una nefrostomia per grave dilatazione e compromissione funzionale del rene o per sepsi urinaria. Per evitare ulteriori migrazioni del calcolo verso il calice medio o inferiore è stato ridotta l’altezza del tavolo operatorio, istituito un Trendelenburg di 15-20° e basculato il piano in senso latero-mediale. La litotrissia è stata eseguita mantenendo il laser a bassa frequenza e media potenza. Risultati: La RIRL con ureteroscopio rigido ha avuto successo in 4 casi su 6. Il calcolo è stato raggiunto nella pelvi o nel calice superiore e trattato con il laser fino ad ottenere una frammentazione efficace. Abbiamo iniettato, in due casi, come suggerito da Zehri, un gel di lidocaina per limitare le escursioni del calcolo, mentre la presenza della nefrostomia ha permesso di mantenere una buona visibilità anche a bassa pressione. I frammenti sono stati completamente eliminati nei giorni successivi alla rimozione del cateterino lasciato in sede per 24-48 ore.. Discussione: La retropulsione di un calcolo ureterale si verifica nel 3 – 48 % dei casi durante la litotrissia balistica e fino al 25 % dei casi nella litotrissia con laser ad olmio. Nell’uretere lombare la frequenza della retropulsione à almeno il doppio che nell’uretere pelvico. Il sito di migrazione del calcolo riportato più frequentemente in letteratura è la pelvi ( 60%) seguita dal calice superiore (25%). Relativamente infrequente la migrazione immediata nel calice medio od inferiore (15%). Il sito di migrazione dipende dalle dimensioni del calcolo, dall’anatomia del sistema collettore, dal decubito del paziente, dalla pressione di lavaggio e dalla presenza di ostacoli. L’ureterolitolapassi con strumento semirigido sottile che è considerata come metodica di prima scelta, addirittura comparabile all’espulsione spontanea per la rapidità di risoluzione del problema (Tasca 2007) si pone come scelta plausibile qualora la retropulsione sia avvenuta in una sede raggiungibile dallo strumento. Addirittura sono state proposte manovre particolari come il needle renal displacement di Mugiya per permettere all’ureteroscopio di raggiungere il calcolo orientando il rene dall’esterno. Cosi come una serie di dispositivi: basket di varie fogge, anse, cateteri a palloncino, il paraschute (Alken), il lithocath (Denstedt) e lo stone-cone (Maislos) e ancora l’iniezione di polimeri sono state reclamizzate con l’intento di evitare la dislocazione del calcolo. Nella nostra esperienza si sono comunque dimostrati efficaci sia la nefrostomia che il gel di lidocaina. Possiamo ritenere la RIRL con ureteroscopio semirigido una metodica rapida, risolutiva, economica e facile da eseguire anche se ovviamente limitata alle sedi raggiungibili: pelvi e calice superiore e proponibile per calcoli di dimensioni superiori a 8-10 mm. Necessita comunque di uno strumento di lunghezza adeguata ma consente l’impiego di qualunque tipo di energia. E’ comunque scevra da complicanze e non pregiudica alcun tipo di procedura successiva. 58 Convegno SUNI Video - Laparascopia LA NEFRECTOMIA LAPAROSCOPICA CON ACCESSO RETROPERITONEALE. L. Repetto (1), G. Pasquale (2), P. Mondino (1), M. Oderda (1), P. Gontero (1) U. Ferrando (3), D. Fontana (2) A. Tizzani (1). (1): S.C. Urologia I, Prof. A. Tizzani, Ospedale Molinette, Torino. (2): S.C. Urologia II, Prof. D. Fontana, Ospedale Molinette, Torino. (3): Direttore Servizio Urologia della Clinica Cellini,Torino (già Direttore Urologia III Ospedale Molinette). Introduzione La chirurgia mininvasiva sta rapidamente assumendo una posizione evidente nell’ambito dell’assistenza sanitaria. La laparoscopia, anche in urologia, è giunta ad occupare un ruolo importante come alternativa alla chirurgia a cielo aperto. Il retro-peritoneo può essere laparoscopicamente raggiunto per via trans-peritoneale e per via retroperitoneale con vantaggi e svantaggi propri di ciascuna tecnica. Materiali e metodi La nefrectomia per patologia non neoplastica eseguita con tecnica laparoscopica viene da noi proposta come prima opzione terapeutica. Certamente l’accesso retro-peritoneale rende il campo operativo più ridotto, se si confronta con l’accesso trans-peritoneale ma allo stesso tempo, a nostro avviso, presenta dei vantaggi non trascurabili. A livello del peduncolo vascolare l’anatomia topografica presenta prima l’arteria renale e poi la vena renale. La complessità dell’anatomia topografica laparoscopica è relativamente più semplice ed il dominio emorragico è quindi relativamente più agevole. Qualora il paziente avesse subito plurimi interventi addominali l’accesso retro-peritoneale è sempre perseguibile. Le controindicazioni all’accesso retroperitoneale sono le infezioni croniche renali o pregressi interventi chirurgici al parenchima stesso. L’accesso retroperitoneale incide molto meno sulla compressione del muscolo diaframmatici determinata dalla pressione del gas (pari a 12 mmHg ). Si comprime il lato omolaterale del diaframma, mentre il controlaterale non subisce pressioni positive. Riteniamo, per altro, che la compressione sulla vena cava sia sovrapponibile alla stessa compressione che si attua nella tecnica eseguita per via trans-peritoneale Siamo soliti posizionare il paziente in decubito lombare con sondino naso-gastrico, catetere vescicale e modica spezzatura . Lo spazio retroperitoneale viene creato con apposite manovre e utilizziamo un palloncino reniforme per aumentare lo scollamento e favorire l’emostasi. Posizioniamo due trocars, rispettivamente a destra ed a sinistra dell’ottica laparoscopica. Nell’eventualità si dovesse convertire la tecnica laparoscopica in chirurgia aperta la posizione del paziente non viene variata. Risultati Da alcuni anni attuiamo questa tecnica nelle nefrectomie senza implicazioni tumorali o in selezionatissimi casi neoplastici (tumorectomie, termoablazione). Presentiamo un video che descrive la tecnica laparoscopica da noi adottata 58 Convegno SUNI Video - Laparascopia IL PRELIEVO LAPAROSCOPICO DI RENE DA DONATORE VIVENTE PER TRAPIANTO. La nostra esperienza L. Repetto (1), G. Pasquale (2), P. Mondino (1), M. Oderda (1), U. Ferrando (3), D. Fontana (2), A. Tizzani (1). (1): S.C. Urologia I, Prof. A. Tizzani, Ospedale Molinette, Torino. (2): S.C. Urologia II, Prof. D. Fontana, Ospedale Molinette, Torino. (3): Direttore Servizio Urologia della Clinica Cellini,Torino (già Direttore Urologia III Ospedale Molinette). Introduzione Dati provenienti dal registro dell’United Network for Organ Sharing (U.S.A.) indicano che sia la durata del rene trapiantato sia la sopravvivenza dei pazienti trapiantati con organo proveniente da donatore vivente risultano maggiori rispetto a quelle dei pazienti che hanno ricevuto il rene da donatore cadavere. Il prelievo laparoscopico di rene offre significativi vantaggi. Il donatore infatti si giova di un breve ricovero ospedaliero, di un pronto ritorno alle normali attività e all’impiego lavorativo, di una minore necessità di farmaci analgesici e di un miglior risultato estetico. Inoltre la laparoscopia non compromette né il risultato né la sopravvivenza del trapianto. Materiali e metodi Preleviamo di preferenza il rene sinistro per motivi d’ordine anatomico in previsione del trapianto vero e proprio. La vena renale è più lunga che a destra e il fegato non nasconde parte del campo operatorio. Siamo soliti usare tre accessi: uno per l’ottica, due per gli strumenti operatori. La via d’aggressione al rene è rigorosamente trans-peritoneale. Esponiamo la vena renale e l’arteria, ambedue sino alla loro congiunzione con la cava e l’aorta. Proseguiamo l’isolamento dell’uretere sino all’incrocio con i vasi iliaci ed oltre. “clampiamo” l’uretere solo distalmente e lo sezioniamo. Proseguiamo con lo scollamento del rene dal grasso perirenale e lo isoliamo totalmente mantenendo integra la vascolarizzazione renale. Solo a questo punto, in sede sovra-pubica eseguiamo un’incisione secondo la tecnica di Pfannenstiel della lunghezza di 7 cm sino al peritoneo che manteniamo momentaneamente integro. Posizioniamo in questa sede un trocar da 15 mm ed attraverso lo stesso introduciamo un sacchetto laparoscopico, che apriamo in addome. Solo adesso “clampiamo “ e sezioniamo, nell’ordine, l’arteria e la vena renale. Cosi completamente liberato l’organo viene introdotto nel sacchetto ed estratto dall’addome. Risultati . Dal luglio 2000 eseguiamo il prelievo di rene da vivente unicamente con tecnica laparoscopica. Sino ad oggi (febbraio 2009) abbiamo eseguito 63 prelievi. Tutti i reni prelevati sono stati trapiantati e tutti hanno ripreso la loro funzione. 58 Convegno SUNI Video - Laparascopia TECNICA DI SURRENALECTOMIA LAPAROSCOPICA RETROPERITONEALE P. Parma, B. Dall’Oglio, A. Samuelli, C. Bondavalli Divisione di Urologia Ospedale Carlo Poma Mantova Introduzione: la laparoscopia è diventata la tecnica standard per la surrenalectomia data la sua efficacia, sicurezza e mini invasività,. Dopo la sua iniziale descrizione per via transperitoneale nel 1992 successivamente è stata introdotto anche l’accesso retroperitoneale che a tutt’oggi è tra i due il meno utilizzato. Nel video descriviamo la tecnica di surrenalectomia laparoscopica retroperitoneale sia per il surrene destro che per quello di sinistra. Materiali e Metodi: La nostra tecnica prevede la stessa posizione e la stessa disposizione dei trocars sia a destra che a sinistra. Il paziente viene posizionato sul fianco a 90°. Si posizionano 4 trocars nel retroperitoneo. Si esegue il primo accesso open con incisione di 1.5 cm sotto la punta della XII costa per il posizionamento di un trocar di Hasson per l’ottica zero gradi. Si crea lo spazio nel retroperitoneo con dito e sistema dilatatore secondo la tecnica di Gaur e si posizionano sotto guida digitale 3 trocar, 2 sulla linea ascellare posteriore (uno da 5 ed uno da 10 mm) ed uno sulla linea ascellare anteriore da 5 mm alcuni cm sopra la cresta iliaca. Si apre quindi la fascia di Gerota posteriore e si accede al polo renale superiore. Si distacca il polo superiore dalle aderenze con il peritoneo anteriormente, con il muscolo psoas posteriormente, con il diaframma cranialmente. Una volta isolato il polo superiore del rene , lo si spinge caudalmete in modo da esporre la ghiandola surrenale. Si procede quindi ad isolare il surrene sollevandolo anteriormente e coagulando le piccole connessioni vascolari e clippando e sezionando la vena surrenalica. Se non si tratta di feocromocitoma la vena surrenalica viene isolata alla fine della procedura. Nel caso di feocromocitoma si deve isolare la vena surrenalica all’inizio anche se recenti lavori hanno riportato casistiche di surrenalectomie per feocromocitoma con la chiusura della vena al termine dell’isolamento del surrene senza modifiche della pressione arteriosa.. A destra i punti di repere sono la vena cava ed il peduncolo vascolare renale. La vena surrenalica viene trovata cranialmente al peduncolo renale. A sinistra la vena surrenalica viene isolata tra la arteria e la vena renale. Risultati: la procedura di surrenalectomia laparoscopica retroperitoneale risulta una tecnica efficace e ripetibile sia a destra che a sinistra. Non vi sono differenze sostanziali di lato nell’approccio retroperitoneoscopico. I tempi operatori medi vanno da 90 a 120 minuti. I vantaggi della tecnica retro peritoneale rispetto a quella trans peritoneale sono il diretto accesso al surrene, il ridotto rischio di lesione degli organi peritoneali, i ridotti tempi operatori. Conclusioni: la surrenalectomia laparoscopica retro peritoneale si è dimostrata una tecnica sicura, efficace e riproducibile. L’approccio retro peritoneale rispetto a quello trans peritoneale riduce il rischio di lesioni agli organi intraparenchimali con tempi operatori mediamente più brevi. Non vi sono differenze sostanziali di lato. 58 Convegno SUNI Video - Laparascopia CHIRURGIA CONSERVATIVA RENALE LAPAROSCOPICA RETROPERITONEALE PER TUMORE: NOSTRA ESPERIENZA ED EVOLUZIONE DELLA TECNICA P. Parma, B. Dall’Oglio, A. Samuelli*, C. Bondavalli Divisione di Urologia Azienda Ospedaliera Carlo Poma Mantova *Divisione di Urologia Spedali Civili di Brescia Introduzione: la nefrectomia parziale laparoscopica sta emergendo come una alternativa possibile alla nefrectomia parziale chirurgica aperta riducendo la morbidità del paziente. L’intervento laparoscopico deve essere eseguito in centri con notevole esperienza laparoscopica. Le indicazioni ottimali per l’intervento laparoscopico sono neoplasie piccole , periferiche ed esofitiche. Materiali e Metodi: Il video presenta 4 casi in ordine crescente di difficoltà di enucleo resezione renale laparoscopica retro peritoneale. La tecnica retroperitoneale prevede il posizionamento di 4 trocar. Il primo accesso open viene eseguito al di sotto della punta della XII costa. Si scolla il peritoneo posteriore con dito e si crea lo spazio retroperitoneale con sistema dilatatore costituito da una sonda su cui si lega un guanto che viene riempito con 600 ml di acqua. A questo punto si posizionano gli altri 3 trocar due sulla linea ascellare posteriore distanziati di 10 cm ed uno da 5 mm sulla linea ascellare anteriore. Si apre la fascia di Gerota posteriormente , si individua l’uretere e si isola l’arteria renale. A questo punto si libera il rene dal grasso peri renale e si procede alla asportazione del grasso della capsula nella zona della neoformazione renale che deve essere esposta ampiamente. Alcuni minuti prima della induzione della ischemia calda si infondono 12.5 g di mannitolo per ridurre l’edema cellulare. Una volta isolata la neoformazione renale la si demarca con cauterio, si clampa l’arteria con buldog laparoscopico e si procede alla enucleazione della neoformazione con forbici. Eseguiamo una enucleazione con 1-2 mm di tessuto sano intorno alla neoplasia. Si posiziona la neoformazione in Endo-catch bag che viene lasciata nel retroperitoneo fino alla fine della procedura. Si procede alla emostasi del letto di resezione e si declampa l’arteria. In caso di piccole neoformazioni esofitiche l’emostasi sul letto di resezione viene effettuata con FloSeal 1 fiala che viene compressa per 2 minuti con garza ( caso 1). Per neoformazioni di diametro maggiore utilizzamo punti staccati in Vicryl dell’ 1 , fermati con Hemo-lok ed iniezione di 1 fiala di FloSeal tra i punti (caso 2).In alcuni casi l’emostasi è stata eseguita con punti e FloSeal, a cui è stata aggiunto un supporto di surgicel (emostatico assorbibile di cellulosa ossidata rigenerata) arrotolato e fissato con 2 punti (caso 3). Più recentemente per ridurre il tempo di ischemiaeseguiamo l’emostasi con una sutura in continua fermata con Hemolok XL ad ogni passaggio . Al termine della sutura della corticale si rimuove il buldog e si inietta tra i punti della sutura una o due fiale di FloSeal. Risultati: abbiamo eseguito 20 casi di chirurgia conservativa renale laparoscopica retroperitoneale. Non abbiamo avuto alcuna complicanza intra o post operatoria. Tempo operatorio medio 150 min. Nessun caso ha richiesto emotrasfusioni. Nessun caso ha richiesto conversione in chirurgia aperta. Il tempo medio di ischemia calda è stato pari a 18 minuti (range 5-22 min). Degenza post operatoria 4 gg. Conclusioni: la chirurgia conservativa renale laparoscopica retroperitoneale è un intervento ripetibile, minimamente invasivo ma che deve essere eseguito da laparoscopisti esperti e che richiede una attenta selezione dei pazienti nelle prime fasi. I presidi laparoscopici disponibili quali Hemo-lok e FloSeal permettono di ridurre notevolmente i tempi di ischemia calda. 58 Convegno SUNI Video – Robotica + Andrologia “NEFROPESSI RETROPERITONEOSCOPICA” C. Ceruti, P. Destefanis, M.A. Ruffino*, A. Bosio, A. Bisconti, F. Liberale, C. De Maria, A. Cugiani, C. Negro, M. Carchedi, A. Buffardi, C. Schillaci, D. Fontana. Divisione Universitaria di Urologia 2 - Ospedale San Giovanni Battista “Molinette” - Torino *Divisione di Radiologia Diagnostica 6 - Ospedale San Giovanni Battista “Molinette” - Torino Introduzione La nefroptosi o rene mobile viene definita l'abbassamento del rene di 5 o più centimetri (due corpi vertebrali) in ortostatismo. La patologia è più frequente nella donna, generalmente giovane e magra, e interessa più spesso il rene destro. La paziente lamenta dolore in ortostatismo, che generalmente recede in posizione sdraiata. La terapia è chirurgica. Riportiamo il caso di una paziente trattata con nefropessi retroperitoneoscopica. Metodi Presentiamo il caso di una donna di 25 anni, affetta da dolore lombare destro in ortostatismo comparso da circa 1 anno, con gravi limitazioni delle normali attività a causa della sintomatologia. La paziente riferiva multipli accessi in pronto soccorso per “colica renale”, con ripetute ecografie e rx negative per dilatazione e calcoli. Valutazione ortopedica e RM della colonna lombo-sacrale escludevano patologie osteo-muscolari. L'urografia e la scintigrafia renale dinamica in ortostatismo documentavano una ptosi del rene destro superiore a 5 cm, in assenza di patologia della via escretrice e di ostruzione. La paziente è stata sottoposta a ecocolordoppler renale che documentava una netta riduzione dell'IR (indice di resistività) del rene destro in ortostatismo (in accordo con quanto descritto da Stohmeyer e coll., Eur Urol 2004). La paziente è stata dunque sottoposta a nefropessi destra. La procedura è stata effettuata con accesso retroperitonescopico, mediante l'uso di tre porte. Dopo la liberazione del rene dall'atmosfera adiposa, il rene è stato fissato al muscolo psoas con tre punti non riassoribili. Risultati Il decorso post-operatorio è stato regolare. Non si sono registrate perdite ematiche, né complicanze perioperatorie. A distanza di un mese dalla procedura la paziente non presenta più la sintomatologia dolorosa riferita prima dell'intervento. L'ecodoppler eseguito a 1 mese documenta una normalizzazione dell'IR in ortostatismo del rene destro. Gli esami d'immagine confermano l'assenza di nefroptosi. Discussione La ptosi renale sintomatica è una patologia la cui esistenza è stata in passato messa in discussione. In realtà l'esistenza di tale entità nosologica oggi non viene più messa in discussione, anche se la effettiva incidenza è stata molto ridimensionata. Le ipotesi circa l'eziologia della sintomatologia dolorosa riferita comprendono l'ostruzione intermittente della via escretrice, lo stiramento dei vasi renali quale possibile causa di ischemia e lo stiramento dei nervi perirenali. L'uso dell'ecodoppler, in questo caso ove non era presente ostruzione, ha permesso di ottenere una conferma diagnostica della causa della sintomatologia. Il trattamento con nefropessi retroperitoneoscopica mediante fissaggio del rene allo psoas con 3 punti non riassorbili, ha dimostrato di essere un trattamento efficace, mininvasivo e scevro da complicanze. 58 Convegno SUNI Video – Robotica + Andrologia NEFROPESSI ROBOTCA Baldassarre E, Marcangeli P, Lillaz B, Pone D, Bertolin R, Pierini P UOC Urologia, Ospedale “Umberto Parini”, Viale Ginevra 3 11100 Aosta La ptosi renale è relativamente frequente ma le indicazioni chirurgiche sono molto limitate e generalmente legate alla presenza di dolore incoercibile nel passaggio dalla posizione supina a quella eretta e frequentemente dopo un calo ponderale considerevole.L’intervento laparoscopico è ben standardizzato da anni, sia in caso di ptosi dx che sin. L’intervento robotico non è mai stato descritto come isolato e soltanto un caso recentemente è stato pubblicato su J Laparoendosc Adv Surg Tech da Boylu U et al. per trattamento contemporaneo di ptosi renale ostruzione del giunto pielo-ureterale. Nel video descriviamo un caso di nefropessi dx robotica eseguita recentemente nella nostra UOC Urologia in una ragazza di 30 anni. In decubito laterale dx, vengono posizionati quattro trocars per via trans peritoneale, utilizzando lo stesso posizionamento descritto comunemente per la nefrectomia laparoscopica. Il rene viene preparato dal basso verso l’alto, liberando la superficie anteriore del rene e la porzione in contiguità con la parete addominale, sino ad ottenere un buona motilità del rene. Viene quindi introdotta attraverso un trocar una rete ParietexTM Composite, precedentemente sagomata. La rete viene posizionata come appare nel video e quindi fissata al parenchima renale con dei punti staccati di VicrylTM 2/0. La rete viene quindi fissata alla parete addominale con dei punti di Protrack. L’intervento è perfettamente realizzabile con l’ausilio del Robot, con il vantaggio, rispetto alla laparoscopia, di una maggiore semplicità nell’esecuzione dei punti di fissaggio della protesi. 58 Convegno SUNI Video – Robotica + Andrologia COLPOPROMONTOFISSAZIONE ROBOTCA - Video Marcangeli P, Baldassarre E, Talarico E, Vittoria I, Viganò M, Pierini P UOC Urologia, Ospedale “Umberto Parini”, Viale Ginevra 3 11100 Aosta La colpopromontofissazione (CPF) è una tecnica messa a punto per la riparazione dei prolassi del compartimento intermedio sostenendo la cupola vaginale con una rete in polipropilene che viene ancorata al promontorio sacrale. L’indicazione è generalmente per prolassi gravi, di IV grado, o quando sono falliti in precedenza interventi per via vaginale, quali la plastica sec. McCall, IVS Posteriore, Apogee, etc.. Secondo le Raccomandazioni ICI 2004, la CPF dà risultati anatomici migliori e più duraturi nel tempo rispetto alla fissazione del legamento sacro spinoso per via vaginale, seppur l’intervento per via addominale aumento la morbidità a breve termine. Dal 2005 abbiamo introdotto presso il nostro servizio l’intervento di CPF video laparoscopico, con buoni risultati, sovrapponibili alla stessa tecnica eseguita per via tradizionali, ma con tutti i vantaggi della laparoscopia, quali mini-invasività, magnificazione dell’immagine, minore dolore postoperatorio e ripresa precoce. Dal 2007, dopo 4 anni di esperienza in chirurgia robotica abbiamo introdotto la CPF robotica nei casi in cui l’isterectomia era indicata. Vengono generalmente posizionati sei trocars, due per gli strumenti robotici, uno per l’ottica e tre di servizio. L’uso della Robotica permette, a differenza della laparoscopia, un migliore ingrandimento con visione tridimensionale e una grande semplicità nel confezionamento delle suture, in particolar modo sulla cupola vaginale, nella fissazione della mesh e in fase di riperitoneizzazione. 58 Convegno SUNI Video – Robotica + Andrologia NEFROLITOTRISSIA PERCUTANEA SUPINA IN BAMBINO CON RENE A FERRO DI CAVALLO: ASPETTI TECNICI A.Frattini, P.Granelli, S.Ferretti, P.Salsi, ,F.Dinale, P.Cortellini U.O. Urologia Azienda Ospedaliera-Universitaria di Parma – Direttore : P. Cortellini Introduzione La PCNL in età pediatrica è una procedura infrequente essendo la patologia litiasica nell’infanzia un evento raro. La risoluzione endourologica è però da considerarsi di prima scelta sia per la minor invasività sia per l’elevata frequenza di recidive e quindi di trattamenti ripetuti. In particolare, nelle anomalie morfologiche renali e vascolari quali il rene a ferro di cavallo, ogni procedura chirurgica risulta più impegnativa con bassa incidenza di pazienti stone-free. Riportiamo alcuni aspetti tecnici sulla chirurgia percutanea supina nel bambino. Materiali e metodi Il paziente di 9 anni, con calcolosi pielica di 4 cm di diametro sinistra in rene a ferro di cavallo, è posto in decubito supino con l’arto inferiore controlaterale divaricato in modo tale da consentire l’introduzione dell’ureteroscopio flessibile. Il corretto accesso percutaneo trans-papillare del calice prescelto, ecograficamente e radiologicamente, avviene sotto diretto controllo visivo transureterorenoscopico (procedura Endovision). La dilatazione del tramite è eseguita con dilatazione pneumatica da 20 Fr. La litotrissia si esegue con laser ad olmio ( fibra 600 micron) in modo da consentire una fine frantumazione del calcolo, mentre il controllo ureteroscopico consente il continuo monitoraggio/recupero dei frammenti da ogni singolo calice. Al termine della procedura, si lascia un monoJ 4,8 Fr per 24 ore ed un tubo nefrostomico da 12 Fr. Risultati Nessun tipo di complicanza infettivo-emorragica. Paziente stone-free. Il tempo di esposizione radiologica è stato di 1’35’’. Rimozione della nefrotomia, previa pielografia di controllo, dopo 48 ore. Discussione L’accesso percutaneo di calibro ridotto e quindi la minor invasività è certamente da preferirsi, quando possibile, in età pediatrica. Il controllo dell’accesso con la tecnica Endovision consente la certezza di una corretta puntura transpapillare garantendo il presupposto più importante per la riduzione di complicanze emorragiche nonché esposizione radiologica. Quando possibile eseguiamo anche PCNL Tubeless che è da preferirsi poiché a volte nefrotomie di calibro maggiore sono mal tollerate dai piccoli pazienti. Infine, la possibilità dell’ureteroscopia contestuale consente il completo dominio della via escretrice aumentando la percentuale di stone-free. Messaggio conclusivo Riteniamo, quindi, che la PCNL supina, con accesso Endovision, sia da considerarsi una valida terapia anche in età pediatrica. 58 Convegno SUNI Video – Robotica + Andrologia 58 Convegno SUNI Video – Robotica + Andrologia “PENILE DISASSEMBLY POTENCY SPARING” NEI CARCINOMI DEL GLANDE .NOTE DI TECNICA CHIRIRGICA Mauro Silvani,Danilo Minocci ,Sabino Quaranta.Cianini Elena,Monica Zacchero* S.C Urologia ASL 12 Ospedale Infermi di Biella (dir.D.Minocci). Scuola di Specializzazione in Urologia Università Piemonte Orientale Amedeo Avogadro Novara (dir:Prof.C.Terrone)* Introduzione Il carcinoma squamocellulare del pene rappresenta l’!% di tutti i tumori maligni del sesso maschile.La stadiazione deve essere accurata :la TAC spirale multistrato dinamica permette, di evidenziare il grado di estensione delle lesione ai corpi cavernosi ,eventuali secondarismi linfonodali e/o ossei sono valutati con PET e scintigrafia ossea.La chirurgia e’ conservativa nei primi stadi, demolitiva mutilante negli stadi avanzati.Si propone la tecnica di Austoni-Perovich con ricostruzione del glande con uretra distale autologa. Tecnica chirurgica L’accesso e’ duplice con accesso sub coronale e peno scrotale.Si esegue preparazione del FVND con incisione della fascia di Buck in sede peri uretrale.Si procede a disassemblaggio completo degli apici dei corpi cavernosi dal glande, dall’uretra e dal FVND,quest’ultimo isolato fino al pube e suturato con emicontinua introflettente.Si esegue glandulectomia con escissione del FVND a scopo di radicalita’ oncologica.Mobilizzata l’uretra dalla doccia dei corpi cavernosi si procede ad esame istologico estemporaneo degli apici dei corpi cavernosi e dell’uretra distale a scopo di ulteriore radicalita’ oncologica . La fase ricostruttiva inizia con la plastica degli apici dei corpi cavernosi con punti introflettenti in monofilamento 3/O.L’uretra distale viene spatulata ventralmente e fissata agli apici dei cc con sutura in monofilamento 4/0.La mucosa eversa garantira’ la sensibilita’ al neoglande ed il neomeato viene configurato ad aspetto ipospadico.La ricostruzione termina con la cute peniena suturata al bordo del neoglande e della mucosa uretrale. Risultati Il decorso e’ stato libero da complicanze , la rimozione del drenaggio in 3^ gta , la dimissione in 4^ gta post operatoria e la rimozione del cv in 20 ^ gta. Il controllo a tre e sei mesi evidenzia buona sensibilità del neoglande, assenza di incurvamenti ,non deficit erettile. Conclusioni Il penile disassembly per lesioni localizzate al neoglande richiede, margini di sezione chirurgica negativi e la non evidenza di linfonodi sospetti al fine di garantire una radicalità oncologica.L’estensione ai corpi cavernosi e l’alto grado di malignita’ sono il presupposto della chirurgia radicale di molti carcinomi del pene a prognosi infausta , ma rappresenta un’intervento altamente mutilante. 58 Convegno SUNI Video – Robotica + Andrologia CORPOROPLASTICA GEOMETRICA SECONDO PAULO EGYDIO:NOTE DI TECNICA NEL RECURVATUM DORSALE E LATERALE Mauro Silvani , Danilo Minocci,Sabino Quaranta S.C.Urologia e Andrologica Ospedale Biella Introduzione L’obiettivo di tale tecnica per gli incurvamenti penieni acquisiti e’ il ripristino delle dimensioni del pene tramite un’unica incisione di rilassamento albugineo e innesto di matrice di collagene di pericardio bovino.:La tecnica è applicabile a tutti i tipi di curvatura purché presente un’erezione pienamente conservata. Materiali e Metodi Il primo caso riguarda un pz di 51 anni con recurvatum dorsale > di 45° ed attività erettile pienamente conservata.Il secondo un pz di 46ann e recurvatum laterale sn di 70° circa. Caso 1° L’intervento inizia con un degloving classico e con un isolamento del FVND molto accurato a partenza periuretrale. Due fili di repere prossimale e distale individuano le due sezioni dalle quali si misurano le due curvature ventrale dorsale.Si segna con matita demografica la sezione di massima curvatura sede dell’incisione.La differenza tra curvatura ventrale e dorsale e’ l’altezza teorica del pacth.La larghezza del pacth invece si calcola con un filo seguendo la sezione di massima curvatura da un punto all’altro della doccia parauretrale,la larghezza del pacth diviso due si riporta in sede periuretrale prossimalmente e distalmente da ciascun lato a partire dal punto di maggior curvatura. Si individuano cosi i punti di ancorragio del pacth..Un quarto dell’ altezza del pacth si riporta a partire dal punto di maggior curvatura sulla zona di maggior sezione.Questo punto si unisce con quelli di fine pacth e si disegna un triangolo isoscele di tonaca albuginea che viene escisso.Viene poi incisa l’albuginea da un punto all’altro della doccia parauretrale con risparmio del tessuto erettile.Le dimensioni del pacth vengpno quindi calcolate e viene innestato con 4 emicontinue ingavigliate.Al termine dell’intervento si puo’ notare la perfetta correzione del pene rispetto alla curvatura iniziale Caso 2. Incisione sub coronale e degloving classico. Si esegue l’isolamento del FVND e si eseguono con pene in massima erezione, la misurazione della curvatura maggiore o del lato sano e quella minore sede della curvatura con due fili di sutura posti all’inizio e fine curvatura.Viene indivuato il punto di maggior curvatura da un lato e dall’altro in sede periuretrale.La differenza tra le due curvature rappresenta l’altezza del pacth dal lato della maggior curvatura.Dal lato sano l’altezza del pacth e’ di 1,5 cm.L’incisione dell’albuginea lungo la sezione di maggior curvatura dal lato sano si arresta sulla superfice laterale del cc sano, lontano dall’uretra.In tal caso il pacth che si ricava e’ di aspetto trapezoidale isoscele e l’altezza del pacth dal lato della maggior curvatura, secondo la tecnica originale viene incrementata di un cm..La sutura del pacth e’ fatta con quattro emicontinue ingavigliate in monofilamento tre zeri. La correzione della curvatura e’ completa. Conclusioni Con questa tecnica è possibile correggere ogni tipo di recurvatum ripristinando la lunghezza originale dell’asta senza il ricorso ad impianti protesici . La curva di apprendimento dell’intervento non e’ rapida ne agevole.Presupposto indispensabile è la presenza di ottima attivita’ erettile. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Carcinomi Transizionali VALUTAZIONE METABOLICA E ULTRASTRUTTURALE DELL ATTIVITA DEI GRANULOCITI NEUTROFILI IN CORSO DI TERAPIA CON BCG Siracusano Salvatore, Ciciliato Stefano, Lampropoulou Nicolitza, Vita Francesca*, Zabucchi Giuliano* Clinica Urologica – Università di Trieste *Dipartimento di scienze della vita – Università di Trieste Obiettivi Il meccanismo d'azione del BCG nel trattamento delle neoplasie superficiali della vescica è a tuttoggi non definito. Riportiamo i risultati preliminari relativamente all'attività metabolica ed alla morfologia ultrastrutturale dei granulociti neutrofili (GN) in pazienti sottoposti ad instillazione con BCG. Metodi Sono stati analizzati i campioni di urine in 5 pazienti sottoposti a immunoprofilassi con BCG ed in 5 soggetti sani quale gruppo di controllo. Nei campioni di urine, dopo opportuno trattamento, è stata misurata l'attività elestasica ed il contenuto proteico quali indici rispettivamente di attività secretoria dei neutrofili e di aumentata permeabilità endoteliale. La produzione di radicali liberi (anione superossido), quale indice di attivazione dei polimorfonycleati (PMN), è stata valutata sui campioni di urine con il metodo della riduzione del citocromo C-superossido dismutasi sensibile. La valutazione alla microscopia elettronica a trasmissione ha permesso lo studio ultrastrutturale dei neutrofili isolati nelle urine. Risultati Dai dati ottenuti si evince che i PMN presenti nelle urine vengono attivati e producono radicali liberi in quantità maggiore rispetto ai GN isolati nelle urine del gruppo di controllo. La concentrazione di PMN ed il loro stato di attivazione è direttamente correlato con il numero di cellule uroteliali esfoliate (p<0.01). Conclusioni L'analisi metabolica ed ultrastrutturale della morfologia dei GN isolati nelle urine dei pazienti dimostra una notevole degranulazione che rappresenta un indice attività secretoria elevata 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Carcinomi Transizionali CARCINOMA SQUAMOSO INTRAEPITELIALE DELL’URETRA DISTALE: GLANDECTOMIA DOPO RECIDIVA SU I° TEMPO DI URETRECTOMIA E URETROPLASTICA CON MUCOSA BUCCALE P. Gontero, P. Mondino, R. Pedrale, B. Morelli, A. Tizzani. Urologia I, ASO San Giovanni Battista Molinette, Torino OBIETTIVI. Approccio chirurgico e follow up di un paziente di 46 anni con carcinoma dell’uretra distale e metastasi linfonodali inguinali. METODI e RISULTATI. Descriviamo il caso di un paziente che giunge, per la prima volta, in Pronto Soccorso con ematuria e disuria. In anamnesi condilomatosi del glande. Si imposta un trattamento sintomatico e si eseguono biopsie delle vegetazioni uretrali che risultano, all’esame istologico, lesioni squamose intraepiteliali di alto grado. Si opta per un intervento di uretrectomia più primo tempo di uretroplastica con mucosa buccale. All’esame istologico del tessuto asportato: carcinoma squamoso moderatamente differenziato con aspetti basaloidi dell’uretra che infiltra il connettivo sottoepiteliale ed il tessuto muscolare periuretrale pT2Nx. In accordo con il paziente si decide per follow up ristretto. Dopo 2 mesi comparsa di vegetazione glandulare di 1 cm e riscontro palpatorio, confermato alla TC di linfonodi palpabili a livello inguinale bilaterale. Si opta per intervento di glandulectomia totale, asportazione completa della mucosa buccale, ricostruzione del glande con innesto dermico ed exeresi bioptica dei linfonodi inguinali (linfonodo sentinella intraoperatorio negativo): l’esame istologico dimostra pT2G3 del glande, margini negativi e metastasi linfonodali bilaterali. Si esegue, quindi, una linfoadenectomia pelvica ed inguinale superficiale e profonda bilaterale. All’esame istologico i linfonodi inguinali di destra risulteranno 4/5 positivi con superamento capsulare e a sinistra tutti negativi; quelli pelvici mostreranno una iperplasia reattiva. Il decorso postoperatorio è regolare con lieve linforrea che si risolve nel giro di 20 giorni. Viene posta indicazione a ciclo di chemioterapia adiuvante con PEB. CONCLUSIONI. A 5 mesi di follow up il paziente è libero da malattia. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Carcinomi Transizionali IL RUOLO DELLA LINFADENECTOMIA NEL TRATTAMENTO CHIRURGICO DEL TUMORE DELL ALTA VIA ESCRETRICE : FOLLOW UP A MEDIO TERMINE IN 71 CASI CONSECUTIVI Siracusano Salvatore, Ciciliato Stefano, Lampropoulou Nicolitza, Visalli Francesco, Belgrano Emanuele Clinica Urologica, Università degli Studi di Trieste Obiettivi Scopo del presente studio è stato quello di valutare retrospettivamente il ruolo della linfadenectomia sulla sopravvivenza a medio termine nei pazienti sottoposti a questo tipo di trattamento. Metodi Dal 1996 al 2006 sono stati eseguite N°61 nefroureterectomie e N° 10 ureterectomie parziali in pazienti con diagnosi di neoplasia a cellule transizionali dell'alta via escretrice. I pazienti avevano un età media di 70.4 anni (range 30-95). 46 (64.8%) erano di sesso maschile e 25 (35.2%) di sesso femminile. In 49/61 (80.4%) la neoplasia era localizzata esclusivamente nella pelvi renale, in 3/61 (4.9%) a carico della pelvi e dell'uretere lombare, in 9/61 (14.7%) nell'uretere lombare e in 10 casi a carico dell'uretere pelvico. La linfadenectomia è stata eseguita in 20/61 (32.7%) nefroureterectomie e in 1/10 (10%) dei soggetti sottoposti a ureterectomia distale. L'impiego della curva di sopravvivenza sec. Kaplan Meier ha consentito di valutare la sopravvivenza complessiva tra coloro che sono stati e non sono sottoposti a linfadenectomia. Risultati Al follow-up medio di 40 mesi nei pazienti sottoposti a nefroureterectomia la sopravvivenza è stata del 60.7% (tab.1a) e il decesso da causa specifica del 39.3% (tab. 1b), mentre nei pazienti sottoposti a ureterectomia distale la sopravvivenza e il decesso da causa specifica sono stati rispettivamente del 40% (tab.2a) e del 60% (tab.2b). L'analisi della curva di Kaplan Meier non ha mostrato significative differenze tra il gruppo N+ e il gruppo N0 (p=0.60). Conclusioni Nella nostra casistica la linfadenectomia non migliora la sopravivenza complessiva in questa categoria di pazienti. Tab 1a: N° 24/61 (39.3%) deceduti Tab 1b: N° 37/61 (60.7%) soprovissuti Grado stadio N0 (%) N+ (%) Nx (%) Grado stadio N0 (%) N+ (%) Nx (%) G1 G2 G3 pTa pT1 pT2 pT3 pT4 1/17 (5.9) 2/17 (11.8) 1/17 (5.9) 2/17 (11.8) - 2/17 (11.8) 1/17 (5.9) 1/17 (5.9) 1/17 (5.9) 1/17 (5.9) - 11/17 (64.7) 1/17 (5.9)* 2/17 (11.8) 3/17 (17.6) 3/17 (17.6) 2/17 (11.8) G1 G2 G3 pTa pT1 pT2 pT3 pT4 10/37 (27) 2/37 (5.4) 1/37 (2.7) 6/37 (16.2) 5/37 (13.5) - - 1/37 (2.7) 16/37 (43.2) 8/37 (21.6) 3/37 (8.1) 12/37 (32.4) 8/37 (21.6) 2/37 (5.4) - tot 3/17 (17.6) 3/17 (17.6) 11/17 (64.7) tot 12/37 (32.4) - 25/37 (67.6) Tab.2a: n° 6/10(60.0%) deceduti Tab.2b: n° 4/10(40.0%) deceduti Grado N0 (%) stadio Grado stadio N0 (%) N+ (%) Nx (%) G1 G2 G3 1 (1.0) - 1 (1.0) 3 (3.0) 1 (1.0) G1 G2 G3 pTa pT1 pT2 pT3 pT4 1 (1.0) - - 2 (2.0) 3 (3.0) - pTa pT1 pT2 pT3 pT4 N+ (%) Nx (%) - - 2 (2.0) 1 (1.0) 1 (1.0) - - 3 (3.0) 1 (1.0) - 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Carcinomi Transizionali Recidiva uretrale di Ca infiltrante dopo trattamento con BCG per Ca in situ vescicale. M. Ruoppolo, M. Gozo, O. Risi, R. Milesi, R. Spina, A. Manfredi U.O. Urologia,Azienda Ospedaliera “Ospedale Treviglio Caravaggio” (Bg), Direttore: M. Ruoppolo Introduzione: L’efficacia del trattamento topico intravescicale del BCG nel carcinoma in situ della vescica è universalmente nota e documentata. Tuttavia le tecniche attuali di instillazione non consentono di ottenere un sufficiente contatto con la mucosa dell’uretra anch’essa a rischio di localizzazione di malattia. E’ ben noto che la localizzazione uretrale è presente in concomitanza o successivamente all’exeresi della vescica nel 5 – 10 % delle neoplasie vescicali senza Cis sincrono mentre arriva fino al 30 % qualora vi sia un carcinoma in situ primitivo o associato ad una forma macroscopica superficiale od infiltrante. Inoltre la localizzazione uretrale per le caratteristiche anatomiche: assenza di tonaca muscolare sottomucosa e ridotto spessore della lamina propria è particolarmente a rischio di invasione vascolare e disseminazione a distanza. Casistica: Nel periodo gennaio 1996 – dicembre 2005, 83 paziente con riscontro di carcinoma in situ della vescica (primitivo in 25 casi, associato a Ca superficiale in 21 casi e associato a carcinoma infiltrante la sottomucosa o la muscolare focalmente in 37 casi) sono stati sottoposti a trattamento con BCG: ceppo Connaught, 81 mg in 50 ml di soluzione fisiologica per 2 ore x 1 volta alla settimana per 6 settimane e successivo mantenimento. Tutti i pazienti sono stati esaminati con citologia urinaria, urografia e flussometria e sottoposti a resezione completa delle lesioni macroscopiche e mappaggio vescicale a freddo in anestesia con associata uretroscopia e palpazione bimanuale. Una biopsia dell’uretra prostatica è stata effettuata in 59 casi con riscontro di Cis in 5 casi. Il trattamento con BCG è iniziato dalla 10 alla 15° giornata postoperatoria previa intradermoreazione alla tubercolina. Nei pazienti con carcinoma uretrale l’istillazione è stata estesa anche all’uretra utilizzando una pinza stringipene. Risultati: 3 pazienti hanno sospeso il trattamento per una grave reazione tubercolare con febbre persistente e compromissione sistemica e 7 per intollenza. Sui restanti 73 pazienti 6 sono stati tratti altrove di cui due con cistectomia e 3 di costoro sono deceduti per neoplasia vescicale disseminata. Su 67 pazienti valutabili abbiamo osservato progressione di malattia in 27 casi: 2 con solo carcinoma in situ primitivo, 4 con ca superficiale e 21 con ca invasivo associato. La progressione è avvenuta in vescica esclusivamente in 18 casi, in uretra e in vescica contemporaneamente in 5 casi mentre 4 pazienti con quadro vescicale negativo hanno sviluppato una neoplasia infiltrante dell’uretra prostatica in 2 casi e della loggia prostatica ( pregressa TURP) in due casi. Due di costoro sono stati sottoposti a uretrocistectomia + chemioterapia adiuvante e sono viventi a 60 e 36 mesi di follow-up. Uno è deceduto dopo la cistectomia, effettuata altrove, per l’insorgenza di metastasi linfonodali mediastiniche e sovraclaveari e metastasi cerebrali dopo 14 mesi. Il quarto paziente che aveva rifiutato l’intervento e la chemioterapia è deceduto per metastasi polmonari diffuse dopo 18 mesi. Discussione: Una Cis uretrale è presente nel 2-6 % delle neoplasie superficiali della vescica ma arriva fin al 30 % in caso di neoplasia infiltrante associata a Cis vescicale. Nella vasta casistica della Mayo Clinic del 2002 si riporta un 26 % di Cis uretrale. Inoltre il fallimento di una terapia per Cis vescicale comporta un aumento del rischio di localizzazione uretrale (Montie). Nella maggior parte dei casi pazienti che non hanno Cis in vescica non vengono quasi mai biopsiati in uretra per cui la reale incidenza di questa forma neoplastica primitiva è ancora misconosciuta. La presenza di un ca in situ dell’uretra ( prevalentemente uretra prostatica e membranosa) è particolarmente a rischio prognostico data la sottigliezza della lamina propria nell’uretra e l’assenza della muscolaris mucosa. Il superamento della lamina propria espone infatti al rischio di precoce disseminazione ematica e linfatica in particolare ai linfonodi inguinali. Per tale motivo la presenza di un Cis uretrale richiede un trattamento topico aggressivo. Alcuni autori raccomandano la TUR del collo vescicale o la TURP per favorire il contatto fra l’immunoterapico e l’epitelio dell’uretra in concomitanza con l’instillazione vescicale. Altri suggeriscono l’associazione di chemioterapia di combinazione con platino al BCG topico. E’ comunque uno stretto follow-up è raccomandato. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Carcinomi Transizionali Carcinoma Neuroendocrino a piccole cellule della vescica; nostra esperienza M. Ruoppolo, M. Gozo, O. Risi, R. Milesi, R. Spina, A. Manfredi U.O. Urologia,Azienda Ospedaliera “Ospedale Treviglio Caravaggio” (Bg), Direttore: M. Ruoppolo Introduzione: A differenza del carcinoma polmonare a piccole cellule che rappresenta una comune variante istologica, responsabile di circa il 14 % di tutte le forme neoplastiche primitive polmonari, il carcinoma neuroendocrino a piccole cellule della vescica (SCC) è estremamente raro, con un’incidenza compresa fra lo 0.3 e l’1% di tutti i carcinomi vescicali. Questa forma è stata descritta originariamente solo nel 1981 da Cramer e si presenta in aggregati di piccole cellule rotonde od ovali con scarso citoplasma separati fra loro da un delicato stroma fibrovascolare, con cromatina ben evidente, membrana cellulare mal definita e riduzione od assenza dei nucleoli. Le mitosi sono molto frequenti. La malattia che predilige il sesso maschile con rapporto 4:1, esordisce tipicamente con ematuria persistente e dimostra un pattern estremamente aggressivo con rapida infiltrazione della parete vescicale e diffusione retroperitoneale. Frequenti le localizzazioni metastatiche epatiche ed intestinali Casistica: Nel periodo ottobre 2005 – dicembre 2008 abbiamo osservato 3 casi di neoplasia vescicale con componente neuroendocrina a piccole cellule su 178 neoplasie vescicali giunte alla nostra osservazione. Si trattava di maschi con età compresa fra 53 e 78 anni. Un paziente era stato radiotrattato per carcinoma prostatico 7 anni prima, un altro chemiotrattato per leucemia linfatica cronica. Tutti i pazienti sono giunti alla nostra osservazione con ematuria persistente da almeno 3 mesi. La diagnosi è stata posta in base ai criteri fissati dalla WHO che sono identici a quelli del SCC del polmone. Alla stadiazione vi era malattia vescicale localmente avanzata con compromissione ureterale ed iniziale IRC in 2 casi. Un paziente presentava metastasi epatiche, il secondo una voluminosa localizzazione sacrale e il terzo infiltrazione del retto. Disseminazione linfonodale era presente in tutti e tre. In nessun caso vi era evidenza clinica di sindrome paraneoplastica mentre in un caso vi era un abnorme secrezione di Beta HCG. Due pazienti sono stati sottoposti a cistectomia e derivazione urinaria esterna. Una chemioterapia con schema di combinazione basato sul platino è stata istituita nei tre pazienti. Risultati: La chemioterapia è stata portata a termine soltanto nel più giovane dei pazienti, che presentava la localizzazione ossea e che ha manifestato una mediana di sopravvivenza migliore degli altri. Tutti i pazienti sono deceduti a 5,13 e 22 mesi dalla diagnosi per progressione di malattia. In due casi il decesso è avvenuto per importante compromissione intestinale con emorragia infrenabile dal tratto digerente Discussione: La diagnosi di carcinoma neuroendocrino con immunofenotipo a piccole cellule della vescica è basata sul riscontro delle tipiche cellule rotonde e sulla positività alla cromogranina A e alla sinaptofina. L’eziologia del carcinoma neuroendocrino primitivo della vescica è sconosciuta anche se sono state postulate diverse teorie sulla sua origine. La presenza di elementi cellulari neuroendocrini in vescica è stata comunque ben documentata e alcuni autori ritengono che sia possibile una trasformazione in senso maligno di tali cellule. Hailemariam, similarmente alla nostra casistica, riporta un caso di SCC insorto in paziente già radiotrattato per carcinoma prostatico. Analogamente altri autori riferiscono di differenzizione neuroendocrina di carcinomi prostatici dopo terapia ormonale. Alla diagnosi la malattia è quasi sempre ( 75 –99 % dei casi) muscoloinvasiva e localmente avanzata. La compromissione linfonodale è del 68 % nella casistica di Cheng, la più numerosa riportata in letteratura. Trattandosi di una neoplasia rara e in assenza di studi controllati randomizzati non vi è accordo fra i vari autori sul trattamento preferibile nell’ SCC. Un report multi-istituzionale ha confermato che nella malattia muscolo-invasiva la chirurgia, la radioterapia e la chemioterapia da sole non sono in grado di influenzare la progressione della malattia. Un recente studio della Mayo Clinic riporta un migliore prognosi nei pazienti trattati con chemioterapia neoadiuvante e chirurgia rispetto alla sola chirurgia. La prognosi di questa forma di carcinoma resta estremamente infausta rispetto alle altre forme di carcinoma vescicale. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Carcinomi Transizionali Risk management in un reparto di urologia. Preliminare esperienza Pedalino M.- Di Primio O.G.- Cortese F.C.- Vella R.- Vercesi E.- Marino G S.C. di Urologia : Marino G .ASL T0 5 Chieri Riassunto Introduzione L’attività di Risk Management in un reparto specialistico di urologia coinvolge operatori sanitari, personale tecnico ed amministrativo ove il comune denominatore risulta la comunicazione, la semplificazione dei processi e la qualità della prestazione sanitaria. Gli Autori presentano la loro esperienza sulla gestione del rischio in urologia riportando in particolare un tentativo di classificazione degli eventi avversi e di disfunzioni possibili nella gestione clinica in un reparto di urologia. Materiali e Metodi : Sono stati analizzati gli eventi avversi che si sono verificati dal ottobre 2007 all’ dicembre 2008. Sono stati valutati tutti gli eventi avversi ed in particolare quelli correlabili con la gestione del reparto : ostruzioni e autotrazione accidentale del catetere, autotrazione accidentale di drenaggi e/o protesi, le ritardate somministrazione di una terapie, le cadute accidentali dal letto. Risultati Complessivamente sono stati individuati 18 eventi avversi su 638 procedure urologiche suddivise per diagnosi, trattamento e tipologia di ricovero. L’analisi di ciascun evento ha permesso di dedurre che il corretto passaggio dell’informazione tra gli operatori sanitari e l’attenzione al paziente rimane il principale metodo preventivo. Conclusioni. Il passaggio da un sistema unicamente reattivo ad un sistema preventivo rimane la chiave di volta per apportare al cittadino la migliore prestazione sanitaria in un clima di massima sicurezza. Il coinvolgimento dei diversi livelli organizzativi e gestionali in un clima sereno in assenza di stress e soprattutto dell’atteggiamento di colpevolizzazione dell’errore, risulta oggi essere la strategia vincente . 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Carcinomi Transizionali TRATTAMENTO CONSERVATIVO DI FISTOLA CALICEALE PERSISTENTE SECONDARIA AD ENUCLEORESEZIONE RENALE. DESCRIZIONE DI UN CASO E CONSIDERAZIONI CLINICHE. Chierigo P., Rahmati M., Lazzarotto M., Brotza D., Bernabei M., Franzolin N. Unità Operativa Complessa di Urologia, Ospedale di Schio (VI) (Direttore: N. Franzolin) Obbiettivi:descrivere un caso di fistola urinosa cutanea secondaria ad enucleoresezione renale,le cause della sua genesi e della sua persistenza e le strategie terapeutiche conservative che hanno condotto alla sua risoluzione,considerando le possibili alternative terapeutiche.Introduzione:l’enucleoresezione renale è ampiamente accettata come terapia di elezione per neoformazioni renali minori di 4 cm.Una delle sue complicanze più frequenti è la fistola urinosa cutanea,fonte di notevole disagio per il paziente,la quale può risolversi spontaneamente entro un tempo molto variabile(da alcuni giorni ad alcune settimane)e può richiedere ulteriori procedure chirurgiche,o miniinvasive o a cielo aperto.Materiali e Metodi:maschio,72anni,ipertensione lieve,TURP nel 1999,null’altro di rilievo in anamnesi;una TAC renale con m.d.c. eseguita per migliore definizione morfologica di cisti renali individua incidentalmente una neoformazione ovale di circa 3,5X3cm,con maggior asse rivolto verso l’ilo renale,lievemente debordante dalla convessità del rene sinistro,a livello medio-inferiore,dotata di modesto enhancement.Previo posizionamento di uno stent ureterale 6Ch si esegue enucleoresezione in ischemia fredda;esame istopatologico estemporaneo del letto di resezione negativo.L’ispezione della cavità non individua aperture della via escretrice.Elettrocoagulazione emostatica della cavità di resezione,poi riempita con FloSeal.Drenaggio retroperitoneale.Esame istologico definitivo:Ca renale papillare G2,Fuhrman 3,margini di exeresi liberi.In quinta giornata rimuoviamo il catetere per disturbi irritativi.Il drenaggio retroperitoneale produce circa 100 ml die.La restrizione idrica non risulta efficace.In 10°giornata una pielografia ascendente mostra una piccola apertura del calice medio.Si affianca allo stent un catetere 5Ch con apice nel calice aperto e si riposiziona il Foley,ottenendo lieve decremento del leakage.Dopo 4giorni il catetere ureterale si disloca.A lato dello stent si posiziona un altro stent 6Ch con estremità nel calice aperto,mantenendo il Foley,senza osservare una diminuzione del leakage.In 22°giornata compare importante episodio urosettico da E.Coli,risolto con ceftriaxone.In 34° giornata il leakage si arresta.Avendo escluso mediante ecografie una raccolta perirenale,dopo 4giorni togliamo il drenaggio,continuando a tenere il catetere sempre aperto.I due stent ed il catetere vengono rimossi dopo altri 19 giorni.Una uroTAC esclude raccolte perirenali.Risultati:il drenaggio retroperitoneale ha prodotto una media di 81 ml die (45-130 ml) per 33 giorni.I volumi maggiori sono stati prodotti nei giorni in cui il paziente è rimasto senza catetere.Il posizionamento di un catetere ureterale aggiuntivo e poi di un secondo stent non hanno modificato in modo significativo il decorso clinico.Discussione:una estesa elettrocoagulazione del letto di resezione non agevola la rigenerazione tissutale,ed anzi provoca un danno ischemico.Può quindi favorire la formazione tardiva di una fistola urinosa o l’ampliamento di un tramite fistoloso caliceale di ridotte dimensioni.La nostra strategia intraoperatoria di confidare sull’azione sigillante di un collante a base di fibrina non solo sui vasi ma anche su una eventuale minima apertura della via escretrice,macroscopicamente non evidente,si è rivelata errata.Del resto la sua composizione chimica ed il suo meccanismo d’azione non autorizzano ad attendersi un effetto impermeabilizzante o adesivo.L’effetto di un supporto emostatico biologico in presenza di un leakage urinario potrebbe risultare addirittura ostacolato dall’urochinasi,agente fibrinolitico presente nell’urina.In Letteratura è descritto l’utilizzo di collanti sintetici (N-butil-2-cianacrilato,glutaraldeide, polietilenglicole) sia come profilassi intraoperatoria delle fistole urinose sia come terapia(embolizzazione percutanea di una fistola urinaria caliceale persistente).L’utilizzo di questi prodotti può condurre a complicanze (incollamento del catetere al tramite fistoloso,reazione infiammatoria da corpo estraneo,infezione),tali da richiedere un ulteriore intervento chirurgico.In presenza di una fistola,uno stent ureterale se non associato ad un catetere vescicale sempre aperto può risultare addirittura controproducente,agevolando il reflusso vescicorenale.Conclusioni:al termine di una enucleoresezione renale è sempre opportuno escludere con certezza la presenza di un’apertura,anche esigua,della via escretrice;omettere questo controllo può condurre ad una fistola caliceale,la chiusura della quale può richiedere settimane,con peggioramento della qualità di vita del paziente.Ridurre al minimo necessario la elettrocoagulazione del letto di resezione agevola la riparazione spontanea di eventuali tramiti caliceali.Il meccanismo d’azione dei collanti biologici,a base di fibrina,abitualmente utilizzati per perfezionare l’emostasi del letto di resezione,non autorizza a sperare in un loro effetto sigillante di una eventuale apertura della via urinaria.L’utilizzo di collanti tissutali sintetici può esporre a serie complicanze.Il trattamento conservativo di una fistola caliceale rappresenta a tutt’oggi una opzione terapeutica ancora valida,efficace anche in casi apparentemente complessi a patto che venga realmente messo in atto il drenaggio completo e di lunga durata dell’alta via escretrice con uno stent ureterale ben funzionante ed un catetere vescicale da tenere sempre aperto.Durante tutto il tempo di permanenza del catetere è necessaria ogni attenzione al fine di prevenire l’insorgenza di una infezione urinaria,la quale,per la presenza dello stent,può estendersi al rene con facilità,rallentando la chiusura della fistola. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Rene + Miscellanea DEGENENERAZIONE MALIGNA DI CISTOADENOMA PAPILLIFERO IN PAZIENTE CON MALATTIA DI VON HIPPEL-LINDAU. CASO CLINICO E REVISIONE DELLA LETTERATURA Carlo Trombetta, Giovanni Liguori, Giorgio Mazzon, Rossana Bussani1, Stefano Bucci, Giangiacomo Ollandini, Emanuele Belgrano Clinica Urologica - Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste 1Anatomia Patologica - Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste Obiettivi La malattia di Von Hippel-Lindau (VHL) è una malattia genetica autosomica dominante caratterizzata dalla predisposizione a sviluppare diverse neoplasie sia benigne che maligne. Riportiamo un raro caso di degenerazione maligna di un cistoadenoma papillifero dell’epididimo in uomo con malattia di VHL e, dopo revisione della letteratura, ne definiamo gli aspetti radiologici, istopatologici, immunoistochimici. Case report Un maschio di 40 anni con malattia di VHL, giunge alla nostra osservazione in seguito a riscontro TC di multiple formazioni renali bilaterali sospette per eteroplasia. All’E.O. si evidenziano anche epididimi con tumefazioni di consistenza aumentata. Si esegue ecodoppler (ECD) scrotale che evidenzia teste epididimarie aumentate di dimensioni, disomogenee, a contorni irregolari e con vascolarizzazione periferica poco rappresentata. Il pz viene quindi sottoposto ad intervento di tumorectomia renale bilaterale e escissione bilaterale della testa dell’epididimo. L’istologia evidenzia lesioni renali caratteristiche per carcinomi a cellule renali, mentre gli specimen epididimari vengono refertati come cistoadenomi papilliferi. Tuttavia, nel contesto della cisti epididimaria sinistra si evidenziano alcuni foci neoplastici ad alto indice proliferativo e infiltranti il tessuto sottostante. Queste aree vengono quindi etichettate come maligne benché non sia chiaro se si tratti di una lesione maligna primitiva o di una metastasi di un tumore renale. Tutti gli specimen chirurgici vengono quindi ritestati con l’anticorpo anti-RCC (Marker delle cellule renali): la lesione epididimaria non lega l’ anticorpo e la diagnosi viene riformulata come tumore maligno primitivo dell’epididimo. Conclusioni Jn letteratura sono riportati solo 8 casi di tumore maligno primitivo dell’epididimo, nessuno dei segnalati era però affetto da malattia di VHL. A nostra conoscenza quindi questo è il primo caso segnalato. Tuttavia, non sappiamo se questa lesione sia destinata a progredire o a rimanere confinata nella cisti, restando così misconosciuta. Vi è pertanto la possibilità che la vera incidenza di tale complicanza sia sottostimata per una scarsa attenzione diagnostica. Riteniamo opportuno comunicare alla comunità scientifica la possibilità di effettuare su questi pazienti ulteriori accertamenti al fine di migliorare le conoscenze in quest’ ambito. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Rene + Miscellanea RICERCA DI NUOVI MARCATORI TUMORALI NEL CARCINOMA A CELLULE RENALI P. Destefanis1 , Barbero G. 2, A. Bosio1, A. Bisconti1, C. De Maria1, A. Cugiani1, C. Negro1, M.T. Carchedi1, A. Buffardi1, C. Schillaci1, Mandili G. 2, Khadjavi A. 2,Giribaldi G. 2, C. Ceruti1, Turrini F. 2, D. Fontana1 1 2 Divisione Universitaria di Urologia 2 - Ospedale San Giovanni Battista “Molinette” - Torino Dipartimento di Genetica, Biologia e Biochimica, Università degli Studi di Torino Introduzione: Il carcinoma a cellule renali, la neoplasia più frequente del rene nell’adulto, rappresenta circa il 3% di tutti i tumori. La sua incidenza è in aumento e la mortalità raggiunge valori del 40%. Lo studio dell’espressione genica e l’analisi proteomica vengono oggi utilizzati per la scoperta di nuovi marcatori tumorali. Scopo del presente studio è l’identificazione di nuovi potenziali marcatori nel carcinoma a cellule renali mediante l’analisi proteomica. Metodi Sono stati utilizzati campioni di carcinoma a cellule renali (5-10 mg) e campioni di parenchima sano ottenuti da pazienti sottoposti a nefrectomia radicale. Le proteine estratte da questi tessuti venivano solubilizzate e separate mediante elettroforesi bidimensionale. Le mappe bidimensionali di tessuto tumorale venivano confrontate con le mappe di tessuto sano portando all’individuazione di proteine differenzialmente espresse. L’identificazione di tali proteine veniva effettuata mediante digestione proteolitica degli spot elettroforetici, analisi in spettrometria di massa MALDI-TOF e “peptide mass fingerprint”. Risultati Il confronto del pattern proteico fra tessuti sani e tessuti carcinomatosi dimostrava una variazione significativa di 15 proteine. In tutti i campioni di carcinoma analizzati la Reticolocalbina-1 risultava significativamente iperespressa rispetto al tessuto sano. Conclusioni Utilizzando una quantità minima di tessuto da pazienti con carcinoma a cellule renali e facendo un’analisi proteomica, abbiamo identificato alcuni nuovi potenziali marcatori proteici. Il significato diagnostico e prognostico delle proteine identificate sarà valutato nel nostro laboratorio in campioni di plasma di pazienti sani e malati. Per questo scopo stiamo preparando anticorpi proteina specifici, al fine di rendere possibile l’applicazione dei risultati ottenuti con le tecniche proteomica nella pratica clinica. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Rene + Miscellanea NEFROBLASTOMA (TUMORE DI WILMS) IN UNA GIOVANE DONNA IN GRAVIDANZA: UN CASO CLINICO E REVISIONE DELLA LETTERATURA Negro Carlo, Bosio Andrea, Destefanis Paolo, Bisconti Alessandro, De Maria Claudia, Cugiani Alberto, Carchedi Mariateresa, Buffardi Andrea, Schillaci Cristina, Liberale Fabiola, Fontana Dario Divisione Universitaria di Urologia 2, Ospedale “San Giovanni Battista – Molinette”, Torino Introduzione Il nefroblastoma (tumore di Wilms), è una neoplasia dell’infanzia, che molto raramente colpisce l’adulto (1-2% di tutti i tumori) ed in tali casi si presenta con in uno stadio più avanzata (per ritardo diagnostico), con una prognosi peggiore e con una bassa risposta alla chemioterapia. Materiali e metodi Presentiamo il caso di una giovane donna di 31 anni, che si è recata presso l’Ospedale Ginecologico (OIRMSant’Anna) con dolore al fianco sinistro e sovrapubico, alla 28a settimana di gravidanza gemellare. La RM eseguita confermava la precedente diagnosi ultrasonografica di massa retroperitoneale (11x17cm) a partenza dal polo superiore del rene sinistro. La paziente è stata quindi sottoposta a biopsia eco-guidata della massa con evidenza istologica di sospetto nefroblastoma. Informata della situazione e delle possibili opzioni terapeutiche è stato deciso insieme ai colleghi ginecologi, e previo parere del comitato etico dell’OIRMSant’Anna, di indurre il parto alla 32 settimana e di eseguire uno stretto follow-up ecotomografico. Pochi giorni dopo il parto la paziente è stata sottoposta, presso la Nostra Divisione, a nefrectomia radicale con linfoadenectomia retroperitoneale. All’esplorazione chirurgica la massa era strettamente aderente alla parete addominale posteriore ed al polo inferiore della milza da cui era indissociabile. La linfoadenectomia retroperitoneale è stata condotta lungo i linfonodi periaortici dal diaframma alla carrefour iliaco. L’istologico definitivo confermava la diagnosi di nefroblastoma, confinato al rene sinistro, stadio I; l’analisi dei linfonodi non ha evidenziato ripetizioni, pN0. La paziente è stata quindi sottoposta a chemioterapia adiuvante con vincristina ed actinomicina-D per 22 settimane. Risultati A cinque mesi dall’intervento ed alla fine della chemioterapia la paziente risulta in ottime condizioni di salute, come anche le due gemelline e la TC di follow-up non mostra segni di recidiva o progressione della malattia. Conclusioni Sono stati documentati circa 250 casi di tumore di Wilms in età adulta in letturatura sino ad ora, e solo in due casi si presentava in gravidanza. L’approccio dei tumori renali in gravidanza pone problemi sia diagnostici sia terapeutici. In generale è stato proposto di eseguire la nefrectomia o nel primo o nel terzo trimestre e di eseguire nefrectomia dopo la 28 settimana se il tumore è stato diagnosticato nel II trimestre, per permettere la maturazione polmonare del feto. L’approccio terapeutico del nefroblastoma deve essere multimodale ed aggressivo; il National Wilms Tumor Study 4-5 ha osservato come la chemioterapia non sia efficace come nell’infanzia, sebbene la sopravvivenza per i pazienti con stadio I, II, III, e IV con indici prognostici istologici favorevoli sarebbe del 100%, 92%, 73%, e 70%, rispettivamente. L’approccio da noi seguito è in linea con le indicazioni più recenti della letteratura, e sebbene il follo-up sia ancora breve i risultati sono incoraggianti. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Rene + Miscellanea UN RARO CASO DI METASTASI RENALE DA MELANOMA Borsa Roberto* , Cordara Giantommaso* , Rosso Diego*, Rossi Riccardo*, e Fontana Gabriele** * I Liv. Dir .S.O.C. Urologia Ospedale SS. Annunziata Savigliano ASL CN 1 ** Direttore S.O.C. Urologia Ospedale SS. Annunziata Savigliano ASL CN 1 Introduzione : Il melanoma rappresenta il 5% dei tumori maligni della cute. La sua incidenza è aumentata negli ultimi cinquanta anni . Origina dai melanociti , cellule di derivazione dalla cresta neurale che migrano e si localizzano nello strato basale dell’epidermide e raramente in sede extracutanea. E’ caratterizzato da una elevatissima propensione alla meta statizzazione . Nel 12 % dei pazienti con metastasi non si è in grado di identificare la lesione primitiva che verosimilmente è totalmente regredita. Può metastatizzare teoricamente in ogni tessuto ma la sede più frequente è quella loco regionale. Polmone (20-30%) , fegato (15-20%) e cervello (15-20%) sono le sedi più frequentemente coinvolte. La localizzazione tiroidea, surrenalica , pancreatica e mammaria è generalmente silente. Metastasi renali che simulano un tumore primitivo sono molto rare. La crescita ed invasività del melanoma sono classificabili secondo i criteri di Clark , lo spessore di Breslow utili sia nella stadi azione che per la prognosi. Molto seguita è la stadiazione secondo l’ AJCC ( American Joint Commitee on Cancer ). Caso Clinico : Donna di 73 anni affetta da diabete mellito II, ipertesa , pregressa asportazione di neoplasia mammaria pT2G2 e di meningioma. A gennaio 2008 linfoadenectomia inguinale destra con riscontro di mts linfonodali da melanoma. La lesione primitiva localizzata al piede destro veniva asportata a febbraio ed a luglio linfoadenectomia inguino crurale,otturatoria ,iliaca esterna sino alla biforcazione senza segni di malattia residua. La paziente giungeva alla nostra osservazione ad ottobre 2008 poiché alla TAC di controllo si rilevava una lesione solida,disomogenea a carico del polo inferiore del rene sinistro delle dimensioni di 64 mm x 76 mm non altri dati di rilievo. Il completamento della stadiazione deponeva per : • TC cranio : Recidiva di meningioma ; • TC torace : Negativa ; • Scintigrafia ossea Total Body : Negativa ; • Scintigrafia renale sequenziale : Funzione rene sx 43% con area ipocaptante al terzo inferiore. La paziente veniva sottoposta a nefrectomia radicale sinistra con incisione a T secondo Rio Branco la massa pesava 3100 gr . Il decorso post operatorio era regolare , la dimissione avveniva in 9 GPO. Esame istologico : Metastasi renale di melanoma maligno . Valutazione immunoistochimica : • CD 99 ( H036-1.1) positivo ; • S-100 debole focale positività ; • HMB-45 : Focale positività ; • Pancitocheratina ( AE1+AE3 ) : Negativa Discussione : Il rene è un sito frequente di metastasi per tumori solidi ed ematologici molto rare le metastasi da melanoma. . La prognosi di un paziente affetto da metastasi di melanoma è generalmente infausta con sopravvivenza di circa 6 mesi. Attualmente il follow-up è negativo al 5 mese. Le MTS renali da melanoma sono rare ma è curioso notare come nel 2007 siano stati segnalati 3 casi : due sul Journal of Urology (Shimko MS ; Klatte T) ed uno sull’ Arch. Italiano Urol. Androl (Perdonà S.). 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Rene + Miscellanea Liposarcoma renale aspetti clinici ed anatomo patologici Manini C.* - Pedalino M – Di Primio O. G.-Vella R. –Vercesi E.- Monticone C.**- Genovese E.**Stramignoni D.*- Dongiovanni V. § - Di Roma A**. and Marino G. S.C. Anatomia Patologica *– S.C. Oncologia§ - S.C. Chirurgia** – S.C. Urologia ASL TO 5 - Carmagnola – Moncalieri – Chieri (TO) Abstract I sarcomi del retroperitoneo rappresentano lo 0,2% dei tumori e il 15% dei sarcomi dei tessuti molli. Le forme più frequenti sono il liposarcoma e il leiomiosarcoma. La diagnosi differenziale deve essere fatta in base alla sede di genesi renale o retro peritoneale. La diagnosi è spesso tardiva per la comparsa di una sintomatologia correlata alla compressione o trazione di strutture solo quando la neoplasia diviene voluminosa. Il trattamento è principalmente chirurgico anche nelle recidive a distanza in virtù di una scarsa risposta ai trattamenti radioterapici o chemioterapici. Caso Clinico: Riportiamo qui di seguito il caso di un uomo di 53 anni con un voluminoso liposarcoma ben capsulato a carico del retroperitoneo che solleva il rene sx e lo disloca medialmente. Il paziente è stato sottoposto alla asportazione della massa e alla linfectomia paraortica preservando il rene la cui capsula propria è stata asportata insieme alla massa. Le caratteristiche principali di queste neoplasie sono: la rapida crescita, l' infiltrazione del tessuto circostante, la tendenza alla metastatizzazione e l’elevata recidività locale (60 %). La chirurgia ablativa rimane a tutt’oggi la principale procedura terapeutica, la linfectomia loco regionale estesa ai grossi vasi è raccomandabile onde ridurre il più possibile rischio di progressione loco regionale e sistemica. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Rene + Miscellanea NUTCRACKER SYNDROMEN : REPORT DI 3 CASI TRATTATO CONSERVATIVAMENTE E REVISIONE DELLA LETTERATURA *A. Samuelli, P. Parma, *G. Mirabella, L. Cappellaro, B. Dall’Oglio, C. Bondavalli, *C. Simeone, S. Cosciani Cunico Divisione di Urologia Ospedale Carlo Poma Mantova *Divisione di Urologia Spedali Civili di Brescia Introduzione: La sindrome dello schiaccianoci “Nutcracker syndrome” è una rara causa di micro o macroematuria frequentemente associata a moderata proteinuria, lombalgia sinistra, varicocele sinistro e congestione del circolo pelvico. Per effetto “nutccracker” si intende la compressione mesoaortica della vena renale sinistra a livello del compasso fra aorta ed origine della mesenterica. L’incremento pressorio del circolo renale e periureterale sinistro è responsabile delle manifestazioni cliniche. Non è invece completamente chiarita la correlazione fra entità della compressione e della clinica. Materiali e Metodi: Presentiamo tre casi di nutcraker syndrome trattati con vigile sorveglianza, diagnosticati presso due centri, con i relativi reperti radiologici e clinico laboratoristici che hanno condotto alla diagnosi. Si è inoltre eseguita una revisione della letteratura per quanto concerne gli attuali orientamenti nella diagnosi e trattamento ed i risultati a lungo temine. Risultati: Due dei tre pazienti hanno mostrato una progressiva risoluzione spontanea della clinica. In un caso è probabile che l’attività fisica intensa abbia determinato la slatentizzazione di una situazione “border-line”. A sostegno di tale ipotesi si è osservato, alla sospensione della attività fisica, una completa risoluzione della clinica ed una normalizzazione dei parametri laboratoristici.. Nel secondo caso la causa determinante la risoluzione della sintomatologia appare sconosciuta; probabilmente un aumento ponderale può aver giocato un ruolo determinante nella diminuzione dell’effetto “Nutcracker” a livello del ventaglio mesenterico. Nel terzo caso caratterizzato da macroematuria anemizzante, il rifiuto della paziente a sottoporsi a trattamento chirurgico proposto di trasposizione della vena renale sinistra con eventuale interposizione di protesi vascolare, ha condotto ad episodi recidivi di ematuria tratatti con ripetute emotrasfusioni. La paziente a distanza di tempo rifiuta ancora il trattamento proposto. Conclusioni: Data la variabilità delle possibili manifestazioni cliniche l’iter diagnostico non può essere standardizzato. Poiché nessuno dei trattamenti segnalati in letteratura è completamente scevro da complicanze, è ragionevole in presenza di una clinica di modesta entità, un trattamento di vigile sorveglianza. Qualora si renda necessario un trattamento di tipo chirurgico è bene pianificare attentamente il tipo di approccio valutando le diverse opzioni.. Di fatto la trasposizione della vena renale sinistra pare che rappresenti, in termini di risultati a breve e lungo termine, un trattamento risolutivo che espone ad un rischio di complicanze chirurgiche minore rispetto ad altri trattamenti proposti, quali la trasposizione dell’arteria mesenterica superiore o l’autotrapianto renale. 58 Convegno SUNI Comunicazioni – Rene + Miscellanea EMBOLIZZAZIONE DI SANGUINAMENTO RENALE: PUÒ IL MATERIALE DI DERIVAZIONE PORCINA PRESERVARE LA FUNZIONALITÀ RENALE? V. Varca*, A. Simonato*, D. M'hamed**, R: Pizzorno*, M. Esposito*, E. Daglio*, G. Carmignani* * Clinica Clinica Urologica L. Giuliani, Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino ** Radiologia interventistica, azienda ospedaliera universitaria san martino , Genova Introduzione: Lo scopo del lavoro è accertare la sicurezza e l'efficacia di gelfoam di derivazione suina (Curaspon) per l'occlusione di arterie renali in caso di sanguinamento. Materiali e metodi: In un periodo di più di 3 anni, sono giunti al nostro dipartimento i 6 pazienti con sanguinamento renale conseguente a trauma per embolizzazione selettiva in urgenza. La causa del sanguinamento era traumatica in 4 pazienti, iatrogena in 2 casi (una tumorectomia polare inferiore in paziente monorene e rimozione di un calcolo renale). Una angiografia digitale superselettiva ha confermato la diagnosi di sanguinamento attivo. L'embolizzazione è stata effettuata con frammenti di Curaspon e iniettati in 6 arterie segmentarie in 4 pazienti e in 2 arterie lobari negli altri due. Risultati: Solo in due pazienti è stata necessaria una seconda sessione di embolizzazione. A fine seduta tutti i pazienti sono stati trattati con successo. La TC e la scintigrafia renale eseguita 2 mesi dopo l'embolizzazione hanno dimostrato la normale vascolarizzazione del parenchima embolizzato nei 4 pazienti con embolizzazione dell'arteria segmentaria, mentre nei due pazienti con occlusione dell'arteria lobare è stato dimostrato solo una minima riduzione della per fusione parenchimale, senza segni di infarto Il gelfoam "Curaspon" nella nostra esperienza si è dimostrato un materiale sicuro ed efficace per l'occlusione temporanea di sanguinamenti renali arteriosi. Conclusioni: In caso di sanguinamento renale, rispetto agli altri materiali usati per le embolizzazioni, Curaspon aiuta a preservare la funzionalità renale. 58 Convegno SUNI Video – Urologia Ricostruttiva PROSTATECTOMIA RADICALE BENDAGGIO DELL’ANASTOMOSI VESCICO-URETRALE IN PAZIENTI A MAGGIOR RISCHIO DI INCONTINENZA URINARIA Cucchiarale G.- Milan G.L.- G. Mascarini - Ferrando U. S.C. Urologia 3 – Ospedale S.G.Battista-Molinette - Torino Unità Funzionale di Urologia – Clinica Cellini - Torino Scopo del lavoro La prostatectomia radicale è considerata il gold standard nel trattamento del carcinoma prostatico organo confinato. E’ in continuo aumento il riscontro di carcinomi localizzati alla ghiandola in pz già sottoposti a precedente chirurgia disostruttiva e la diagnosi incidentale in pazienti con PSA di norma, sottoposti a disostruzione cervico-prostatica endoscopica o con tecnica open. La chirurgia radicale in pazienti sottoposti a precedente chirurgia disostruttiva è gravata da una maggior percentuale di complicanze post chirurgiche in termini di incontinenza urinaria e di possibile ritardato consolidamento dell’anastomosi vescico-uretrale. Analoghe difficoltà, si incontrano in pazienti sottoposti a chirurgia prostatica radicale di salvataggio post radioterapia o trattamento HIFU. Il video mostra la tecnica chirurgica ed i buoni risultati minzionali da noi ottenuti in questa tipologia di pazienti in cui siamo soliti eseguire, contestualmente alla prostatectomia radicale retropubica, il bendaggio dell’anastomosi vescico-uretrale con benderella di tessuto biocompatibile (Intexen® - collagene di derma porcino) Tecnica chirurgica: Prostatectomia radicale retropubica classica. Nella maggior parte dei pazienti lo scollamento della ghiandola dai tessuti periprostatici risultata essere più difficoltosa per le aderenze post chirurgiche e per la scheletrizzazione interna dell’apice prostatico o per la diversa consistenza e troficità tissutale post-attinica . Si procede a dissezione dei piani per via smussa. Attenta sezione dei margini uretrale e vescicale. Accurata ricostruzione del collo vescicale; posizionamento sul versante uretrale di 5 punti di Maxon 3-0 per il confezionamento dell’anastomosi vescico-uretrale. Una benderella di Intexen® viene appoggiata sulla faccia anteriore del retto e stabilizzata in posizione mediana con un punto riassorbibile subito al di sotto dell’estremo prossimale dell’uretra. Si realizza a questo punto l’anastomosi vescico-uretrale con tecnica classica a punti staccati. Ora la benderella viene “avvolta” attorno all’anastomosi vescico-uretrale ed i suoi due estremi solidarizzati tra loro. Una “cravatta” avvolge come un regolare manicotto circolare la anastomosi vescico-uretrale, rinforzandola ed avvolgendola ab estrinseco. Il controllo cistografico, eseguito in occasione della rimozione del catetere vescicale, non evidenzia spandimenti dell’anastomosi ed il neo-collo, valutato nella fase minzionale, appare regolarmente imbutizzato. Ottimi risultati in termini di miglioramento della percentuale di continenza sia immediata che a distanza, ci hanno indotto ad adottare questa tecnica in tutti i pazienti che presentavano i requisiti esposti. 58 Convegno SUNI Video – Urologia Ricostruttiva VIDEO DI URETROPLASTICA IN DUE TEMPI CON GRAFT DI MUCOSA BUCCALE AUTORI: Gontero Paolo, Oderda Marco, Joniau Steven, Tizzani Alessandro ISTITUTO: Università degli Studi di Torino, Az. Osp. S.Giovanni Battista – Molinette INDIRIZZO: C.so Dogliotti 14, Torino, Italia. ABSTRACT: OBIETTIVI: le stenosi dell’uretra anteriore possono essere trattate con lembi peduncolati oppure con trapianti liberi, prelevati dalla cute dei genitali o extra-genitale. Tra questi ultimi è stato proposto l’uso della mucosa buccale, che sta riscuotendo ampi consensi nell’ambito della chirurgia ricostruttiva. Noi presentiamo l’utilizzo di mucosa buccale in un intervento di uretroplastica in due tempi, in un paziente con stenosi uretrale peniena pre-meatale plurirecidiva da balanite xerotica obliterante. METODI E RISULTATI: nel primo tempo dell’intervento, è stata effettuata la divulsione del meato uretrale esterno, ipospadico in esiti di plurimi interventi. L’uretra è stata messa a piatto per circa 5 cm, fino ad incontrare la mucosa uretrale sana e rosea. Il tratto di mucosa sclerotica è stato asportata completamente, insieme ad una parte del tessuto spongioso circostante; il moncone uretrale è stato spatulato, con avanzamento del meato uretrale di alcuni mm. Successivamente è stato effettuato il prelievo di mucosa buccale dalla faccia interna della guancia sinistra; l’innesto è stato posizionato al posto del piatto uretrale e attorno all’orifizio uretrale, suturato e sottoposto a piccole incisioni di scarico con il bisturi a freddo. È stato inserito un catetere Foley siliconato dinamico 18 Ch, su cui sono state chiuse le ali del glande su garza paraffinata. A distanza di circa 6 mesi, è stato effettuato il secondo tempo dell’intervento. Il lembo di mucosa buccale appariva ben attecchito, senza residui macroscopici del lichen. Il margine della mucosa buccale è stato inciso sino ai corpi cavernosi, ottenendo tessuto sufficiente per ricostruire un meato tubulare attorno ad un catetere Foley 16 Ch. Il lembo tubularizzato di mucosa è stato suturato in continua; un secondo strato di sutura continua è stato eseguito nel sottocute. Punti staccati sono stati apposti sulla cute peniena e sul neomeato uretrale. Il decorso post-operatorio è stato regolare. A 6 mesi il paziente presenta un flusso massimo di 19 ml/sec e presenta un soddisfacente risultato estetico CONCLUSIONI: L’uretroplastica con mucosa buccale in 2 tempi rappresenta attualmente il trattamento di scelta nelle stenosi uretrali distali da balanite xerotica obliterante, anche se mancano attualmente dati sui risultati a lungo termine di questa procedura. 58 Convegno SUNI Video – Urologia Ricostruttiva CORREZIONE LAPAROSCOPICA DI FISTOLA VESCICO VAGINALE P. Parma, B. Dall’Oglio, A. Samuelli*, C. Bondavalli Divisione di Urologia Ospedale Carlo Poma Mantova *Divisione di Urologia Spedali Civili di Brescia Introduzione: Le fistole vescico vaginali sono un evento raro nel mondo occidentale ma rappresentano una seria complicanza della chirurgia uroginecologica. Le cause sono dovute nell’ 85% dei casi a complicanze di interventi di isterectomia (1 su 1800 interventi). Altre cause sono la radioterapia per neoplasia ginecologica o del retto (10%) e nel 5% dei casi cause ostetriche. La correzione laparoscopica delle fistole vescico vaginali è stata descritta per la prima volta nel 1994 e da allora sono stati riportati in letteratura 40 casi. Le indicazioni sono le stesse della chirurgia aperta: fistole ampie, sopratrigonali, difficilmente raggiungibili per via vaginale. Materiali e Metodi: Presentiamo il caso di una donna di 49 anni giunta alla nostra osservazione con una fistola vescico vaginale dopo intervento di isterectomia per via laparotomia. Con la paziente in posizione ginecologica si procede al posizionamento di 5 trocar ad U rovesciata trans peritoneali con il primo accesso eseguito con tecnica open a livello dell’ ombelico. Contemporaneamente con un cistoscopio introdotto in vescica vengono incannulati gli osti ureterali ed il tramite fistoloso con cateteri ureterali di colore diverso. Dopo aver lisato le aderenze intestinali del precedente intervento si incide il peritoneo posteriore tra vescica e vagina. Con l’aiuto della luce del cistoscopio si apre la parete vescicale posteriore in prossimità della fistola. Si apre quindi la parete vaginale anteriore, si asporta il tramite fistoloso e si separano per via smussa la parete posteriore vescicale da quella anteriore vaginale. Si chiude la vagina con sutura in continua con Vicryl-0 e si chiude in continua lo strato della mucosa vescicale con Monocryl 2-0. Si scolpisce un flap di omento e lo si interpone tra vescica e vagina mediante due punti sulla parete vaginale anteriore distalmente alla rima di sutura. Si chiude quindi lo strato siero muscolare della parete vescicale con monocryl 2-0 in punti staccati.Si esegue una prova di tenuta della sutura vescicale introducendo in vescica 200 ml di soluzione fisiologica. Risultati: Il tempo operatorio è stato pari a 170 minuti . Non si sono avute complicanze intraoperatorie né post operatorie. La degenza ospedaliera media è stata pari a 4 gg . La rimozione del catetere è stata eseguita in 14° giornata previa l’esecuzione di una cistografia. Ad un follow up medio di 10 mesi la paziente è rimasta completamente asciutta. Conclusioni: la correzione laparoscopica transperitoneale delle fistole vescico vaginali è una tecnica riproducibile se in possesso di un adeguato training laparoscopico di chirurgia pelvica. Riteniamo che attualmente rappresenti una valida alternativa alla chirurgia open in funzione della magnificazione dei dettagli anatomici, della facilità di lavoro in scavo pelvico profondo, della mini-invasività. 58 Convegno SUNI Video – Urologia Ricostruttiva TRAUMI DELL'URETRA: SOLUZIONE TECNICA PER L'ESPOSIZIONE CORRETTA DEL MONCONE PROSSIMALE A. Simonato, F. Venzano, V. Varca, M. Esposito, L. Chuidjio Kouatang, G. Carmignani Clinica Urologica L. Giuliani, Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino Introduzione: Nei traumi completi dell'uretra con o senza frattura del bacino uno dei maggiori problemi che il chirurgo incontra durante l'intervento definitivo di uretroplastica è la localizzazione esatta del versante prossimale della stenosi.A questo scopo sono stati utilizzati diversi accorgimenti come l'utilizzo alla cieca di un beniquet o di una sonda inseriti nell'uretra prostatica attraverso una cistotomia, oppure facendosi guidare dalla luce di un cistoscopio flessibile.In questo video presentiamo un accorgimento tecnico per evidenziare meglio il versante prossimale delle stenosi dell'uretra che riduce notevolmente i rischi e le complicanze di manovre cieche, facilitando la resezione precisa del tessuto fibrotico e rendendo così più agevole e sicura l'anastomosi. Materiali e metodi: Si prepara una sonda Nelaton semirigida 24 Ch praticando un piccolo foro sulla punta coassiale con il catetere.Attraverso il tramite dell'epicistostomia, previa dilatazione progressiva con i dilatatori coassiali di Amplaz, si posiziona una camicia 28 Ch e con il cistoscopio flessibile si raggiunge la stenosi uretrale per via anterograda, si fa passare una guida angiografica attraverso la stenosi e la punta viene recuperata a livello del meato uretrale esterno. Si introduce in vescica per via sovrapubica la sonda Nelaton 24 Ch sulla guida precedentemente posizionata. La coda della guida viene bloccata con un apposito fermo. A questo punto per posizionare esattamente la punta della sonda a livello del versante prossimale della stenosi è sufficiente tirare la guida che esce dal meato uretrale. Mantenendo tirata la guida il moncone prossimale verrà facilmente individuato ed esposto. Risultati: Tale modalità permette di evitare danni all'uretra con manovre cieche, creando delle false strade che potrebbero andare a danneggiare direttamente o indirettamente i meccanismi della continenza e della potenza sessuale. L'eccellente esposizione del tratto stenotico consente una sua precisa delimitazione e resezione agevolando così l'anastomosi. La sonda inoltre può, in caso di necessità, essere rimossa facendo semplicemente scorrere la guida cranialmente e con la stessa semplicità riposizionata con assoluta certezza. La tecnica da noi proposta si diversifica da altre descritte in quanto la guida viene posizionata sotto vista sul fondo del versante prossimale della stenosi, la guida avrà vincolata una sonda di grosso calibro che si fermerà sulla stenosi stessa e sarà la semplice trazione sulla guida dal versante distale ad esporre la stenosi, sul piano perineale.Inoltre si dosa meglio la forza per l'esposizionementre e la direzione della punta della sonda è obbligata. Conclusioni: Questo accorgimento presenta tutti i vantaggi delle manovre sotto vista e la possibilità di esporre il fondo della stenosi in modo ottimale e senza il rischio di traumatismi, che possono risultare determinanti in termini di accuratezza dell'anastomosi con possibili ripercussioni anche sulla continenza e sulla potenza. 58 Convegno SUNI Video – Urologia Ricostruttiva PRELIEVO DELLA MUCOSA LINGUALE: TECNICA CHIRURGICA E SUA APPLICAZIONE A. Simonato*, F. Venzano*, V. Varca*, M. Esposito*, A Lissiani**, A. Gregori***, G. Carmignani* * Clinica Urologica L. Giuliani, Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino ** Clinica Urologica Università degli Studi di Trieste *** U.O.Urologia, Azienda Ospedaliera Universitaria L.Sacco, Milano Introduzione: La mucosa buccale (BMG) è considerata il migliore tessuto autologo per la ricostruzione delle mucose dei genitali esterni. La mucosa ventro-laterale della lingua ha una struttura anatomica ed embriologica identica alla BMG, possiede le stesse favorevoli proprietà immunologiche e di attecchimento. Il video illustra dettagliatamente la tecnica originale di prelievo e le nostre applicazioni cliniche. Materiali e metodi: Da gennaio 2001 a dicembre 2007, 32 uomini (età media, 50 anni) sono stati sottoposti a prelievo della mucosa linguale (LMG): 27 con stenosi dell'uretra anteriore sono stati sottoposti ad uretroplastica in tempo unico e 5 con neoplasia del pene sono stati sottoposti a ricostruzione del glande. La lunghezza media delle stenosi era di 3 cm. I pazienti con stenosi dell'uretra bulbare, peniena o bulbo-peniena sono stati sottoposti ad uretroplastica in tempo unico con innesto dorsale libero di LMG, i pazienti con stenosi coinvolgenti il meato uretrale esterno sono stati sottoposti ad uretroplastica con utilizzo di lembo libero dorsale e uretrotomia sagittale ventrale in unico tempo secondo la tecnica descritta da Asopa. Dei 5 pazienti con ca del pene 3 sono stati sottoposti a glandulectomia e 2 a penectomia parziale. Sono stati considerati criteri di successo: la valida ripresa della minzione spontanea senza residuo postminzionale e nessuna strumentazione per le uretroplastiche ed il risultato estetico per le ricostruzioni del glande. In tutti i pazienti è stata valutata la morbilità del sito donatore. Risultati: Le uretroplastiche bulbari e peniene senza coinvolgimento del meato hanno avuto una percentuale di successo rispettivamente del 81.8 e 100% mentre solo del 66,6% quelle coinvolgevano anche il meato. La percentuale di recidiva è stata del 18,5%. Le ricostruzioni del glande sono state giudicate soddisfacenti dai pazienti. I pazienti hanno lamentato solo un modesto fastidio sulla sede di prelievo e una lieve difficoltà nell'articolare alcune parole per 1 o 2 giorni. La sede abituale di prelievo della BMG è la guancia, il labbro inferiore e più raramente il labbro superiore. La nostra ricerca ha fatto si che la LMG è diventata una nuova fonte tessutale che ha ottime capacità di attecchimento che può essere utilizzata da sola o come integrazione in pazienti che richiedano ampi lembi liberi di tessuto per cui la BMG non è sufficiente. Questo fa sì che si possano evitare prelievi estesi di BMG che espongono più frequentemente a complicanze del sito donatore. Le nostre impressioni vengono attualmente confermate anche da altri autorevoli Autori internazionali che hanno utilizzato la LMG anche in campo non urologico. Conclusioni: La LMG ha dimostrato ottime capacità d'attecchimento e può essere considerata un materiale d'innesto sicuro ed efficace con bassissimi rischi di complicanze del sito donatore. La lingua è una nuova e valida fonte di tessuto che l'urologo può utilizzare per la chirurgia ricostruttiva. 58 Convegno SUNI Video – Urologia Ricostruttiva TRATTAMENTO DI STENOSI SERRATA DELL’URETRA BULBARE MEDIANTE URETROPLASTICA ANASTOMOTICA DI AMPLIAMENTO CON MUCOSA BUCCALE Paolo Gontero*, Steven Joniau**, Dario Vigna*, Elena Cattaneo*, Chiara Fiorito*, Giovanna Berta*, Alfredo De Libero*, Alessandro Tizzani* * Urologia 1 - A.O.U. Molinette San Giovanni Battista di Torino ** Department of Urology - University Hospitals Leuven Gasthuisberg - Leuven (Belgium) Introduzione e obiettivi: presentiamo il caso di un paziente di 67 anni, con anamnesi generale negativa per traumi e patologie di rilievo, giunto alla nostra osservazione per peggioramento del mitto e disuria ingravescenti da circa 4 anni. All’anamnesi urologica riferiva un’uretrotomia per stenosi uretrale 15 anni prima. Nel settembre 2008 il paziente è stato sottoposto a uretroscopia diagnostica e infruttuoso tentativo di uretrotomia interna per la presenza di una stenosi serrata a livello bulbo-membranoso, tale da rendere necessario per il drenaggio delle urine l’inserimento di un catetere cistostomico. La cistografia retrograda e trans-cistostomico hanno evidenziato un quadro di vescica da sforzo pluridiverticolare con collo vescicale ben distensibile e una stenosi dell'uretra bulbare di quasi 6 cm, serrata a livello prossimale. Il video mostra le fasi salienti dell’intervento di uretroplastica anastomotica di ampliamento con mucosa buccale a cui il paziente è stato da noi sottoposto nel novembre 2008. Metodi: dopo accurata mobilizzazione del bulbo uretrale, l'uretra bulbare viene aperta longitudinalmente per un tratto di circa 6 cm. Il tessuto fibrotico ne occupa interamente il lume per un tratto di 2 cm. Resezione del tratto in oggetto e asportazione di tratto addizionale di fibrosi dal bulbo prossimalmente. Verifica con cistoscopio flessibile dell'uretra prossimale che risulta aperta a pochi mm distalmente dallo sfintere. Prelievo di un tratto di mucosa buccale di 5 cm dalla guancia sinistra. Sezione parziale del setto intercavernoso a livello delle crura. Apposizione del lembo di mucosa buccale dorsalmente sulla superficie dei corpi cavernosi e delle crura. Sutura del lembo prossimale di uretra spatulato al lembo di mucosa con 3 punti e ago foggiato a J. Sutura del lembo distale di uretra a quello della mucosa. Partendo distalmente si eseguono due suture emicontinue approssimando uretra a mucosa buccale. Inserimento del catetere vescicale in vescica e completamento della chiusura con punti staccati verso il lato prossimale. Risultati: il catetere vescicale è stato rimosso dopo 15 giorni. La flussimetria eseguita a 4 mesi dall'intervento chirurgico dimostra un flusso di morfologia regolare con Qmax 23 ml/s. Il paziente è continente e ampiamente soddisfatto dell'esito dell'intervento subito. Conclusioni: l'uretroplastica anastomotica di ampliamento con mucosa buccale rappresenta un'ottima soluzione per il trattamento delle stenosi dell'uretra bulbare di lunghezza > 5 cm, purchè siano rispettati tutti i principi fondamentali della chirurgia ricostruttiva dell'uretra: la completa escissione del tratto fibrotico, l'ampio spatulamento dei margini anastomotici uretrali e la creazione di anastomosi tension-free. 58 Convegno SUNI Poster Utilizzo di un patch emostatico applicato sui bundles nella prostatectomia radicale retro pubica nerve sparing Pedalino M., Di Primio O.G., Vella R., Vercesi E. and Marino G. ASL TO 5 Chieri – Ospedale San Lorenzo di Carmagnola ( TO) L’attuale possibilità di diagnosticare il tumore prostatico organo confinato permette di proporre in molti casi la prostatectomia radicale retro pubica nerve sparing. Tale procedura richiede l’attenta dissezione dei bundles che decorrono lungo il margine postero laterale della prostata adiacenti al margine vescicolare tra il foglietto della fascia prostatica e quella pelvica . Il fascio vascolo nervoso più distalmente percorre il connettivo parauretrale dell’uretra membranosa a ore 5 e 7 prima di penetrare nel diaframma urogenitale e successivamente nei corpi cavernosi. Nella tecnica retro pubica nerve sparing dopo il ribaltamento prostato vescicolare intrafasciale si effettua una attenta dissezione non solo per mantenere indenne il fascio nervoso bensì per assicurare l’integrità vascolare allo stesso. Per far ciò occorre evitare l’emostasi con strumenti a conduzione elettrica ( diatermo coagulazione , bipolare, ecc) . In tal senso l’utilizzo del patch di spugna medicata di Tachosil si è rilevato efficace avendo l’attenzione di mantenerlo a diretto contatto per tre minuti con una debole pressione sull’area anatomica descritta. Nel 2008 su 13 casi selezionati con malattia organo confinata ( < o = pT2NoMo Gleason 3+ 3 / 3+4 ) in 9 pazienti si è mantenuta una valida erezione mentre per gli altri casi per mantenerla è stato necessaria una terapia adiuvante farmacologica. Riteniamo pertanto che la spugna emostatica sia efficace se applicata secondo le procedure e che il costo del materiale sia ripagato dall’efficacia emostatica e clinica permettendo nei casi selezionati di mantenere sia la radicalità oncologica che il ritorno a una vita sessuale soddisfacente. 58 Convegno SUNI Poster RI-BIOPSIA MIRATA DELLA PROSTATA DOPO RISONANZA MAGNETICA ENDORETTALE (MRI) DELLA PROSTATA E SPETTROSCOPIA (MRS) IN PAZIENTI CON ASAP: RISULTATI PRELIMINARI Destefanis Paolo1, Bosio Andrea1, De Maria Claudia1, Bisconti Alessandro1, Cugiani Alberto1, Negro Carlo1, Carchedi Mariateresa1, Buffardi Andrea1, Petracchini Massimo3, Munoz Fernando2, Cirillo Stefano3, Fontana Dario1 1) Divisione Universitaria di Urologia 2, Ospedale “San Giovanni Battista – Molinette”, Torino 2) Divisione di Radioterapia, Ospedale “San Giovanni Battista – Molinette”, Torino 3) Servizio di Radiodiagnostica, Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro di Candiolo (TO) Introduzione Esistono dati di letteratura che documentano che la combinazione di di MRI e MRS può aiutare nella guida e limitare il numero di ri-biopsie prostatiche e prelievi in pazienti con una o più biopsie prostatiche negative e il PSA in crescita. A nostra conoscenza, la combinazione di MRI/MRS non è mai stata valutata in caso di ASAP, condizione di alto rischio per carcinoma prostatico. Lo scopo di questo studio è di valutare il ruolo della MRI/MRS in pazienti con ASAP e, in particolare, l'efficacia nel riconoscere il carcinoma prostatico e la sua sede nella ghiandola. Metodi Da Novembre a Settembre 2008 abbiamo reclutato 28 pazienti consecutivi con riscontro istologico su biopsia prostatica transrettale ecoguidata di ASAP. I dati completi sono disponibili per 26 pazienti. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a MRI/MRS non prima di 45 giorni dalla biopsia prostatica precedente. Alla MRI/MRS le sedi della prostata sono state classificate in: 1) sospette per carcinoma se era presente segnale ipointenso sulle immagini pesate in T2 e/o se il rapporto colina+creatinina / citrato era > 0,86, 2)dubbie o 3)negative negli altri casi. Successivamente è stata effettuata la ribiopsia a 12 prelievi con eventuali prelievi mirati nelle aree sospette alla MRI/MRS. I risultati della MRI/MRS sono stati confrontati con quelli dell'istologia della ri-biopsia. Risultati La combinazione di MRI e MRS era sospetta per carcinoma nel 70% dei pazienti, dubbia in 23% e negativa nel 7%. I risultati istologici della ribiopsia sono stati carcinoma prostatico nel 35%, ASAP nel 23%, IPB o prostatite nel 42%. Nel 78% dei pazienti affetti da carcinoma prostatico la combinazione di MRI/MRS risultava sospetta mentre nel 22% dubbia. Il carcinoma prostatico è stato diagnosticato nel 36% dei pazienti con una MRI/MRS sospetta, nel 33% di quelli con una MRI/MRS dubbia e in nessun paziente con MRI/MRS negativa. In tutti i pazienti, il carcinoma è stato riscontrato nelle zone sospette alla MRI/MRS dove sono state effettuate le biopsie mirate. Discussione La combinazione di EndoMRI e MRS ha dimostrato un'ottima sensibilità, ma una scarsa specificità nell'identificare il carcinoma prostatico in pazienti con pregresso riscontro di ASAP. La sede dei prelievi positivi per carcinoma prostatico concordava con le zone sospette alla MRI/MRS. L'alto rischio di carcinoma prostatico nei pazienti con ASAP potrebbe giustificare l'uso della MRI/MRS. Inoltre la possibilità di effettuare prelievi mirati consente di migliorare la sensibilità diagnostica della biopsia rispetto al tradizionale schema a 12 prelievi. 58 Convegno SUNI Poster PROSTATECTOMIA RADICALE PERINEALE. RAZIONALITA’ DI TALE PERCORSO Cucchiarale G., Milan G.L., G. Mascarini., Ferrando U. S.C. Urologia 3 – Ospedale S.Giovanni Battista - Molinette – Torino Unità funzionale di Urologia – Clinica Cellini - Torino Scopo del lavoro L’esigenza sempre più sentita dell’Urologia moderna di adottare tecniche chirurgiche le meno invasive possibili, nell’assoluto rispetto della radicalità oncologica, con attenzione massima alla qualità di vita in termini di preservazione della potenza sessuale e della continenza urinaria senza perdere di vista i costi delle procedure, hanno reso quanto mai attuale e moderna la tecnica chirurgica di ablazione radicale della ghiandola prostatica per via perineale. La prostatectomia radicale è considerata il gold standard nel trattamento del carcinoma prostatico. A fianco della prostatectomia con classico accesso retropubico ed alla continua diffusione della tecnica laparoscopica, si riafferma la prostatectomia perineale come trattamento d’elezione per pazienti con carcinoma localizzato. Scopo di questo lavoro è presentare la nostra esperienza nell’esecuzione della prostatectomia radicale con accesso perineale ed evidenziarne i vantaggi in termini di controllo della malattia, tempi chirurgici e di ospedalizzazione, ponendosi a metà fra l’accesso retropubico e la confidenza dell’urologo con la chirurgia aperta, e la tecnica laparoscopica con la ottima visualizzazione e preservazione delle strutture anatomiche e la ridotta morbilità postchirurgica. Materiali e metodi Dal 1998 al 2009 sono state eseguite c/o il nostro centro, 243 prostatectomie perineali. Età: media 63 aa (range 52-77). PSA: medio 6.73 ng/ml (range 1.2-10). G.S. pre-operatorio: medio 6 (4-7) G.S. definitivo: medio 6.7 (range 5-9) Risultati Tempi chirurgici: media 80 min (range 50 – 140 min) Ospedalizzazione media: 4.5 giorni (range 4-8 giorni) Cateterizzazione media: 10 giorni ( range 8-15 giorni) Complicanze : Infrazione del retto: 4, Revisione chirurgica per ematoma: 1 Necessità di emotrasfusione: 18% Problemi di ferita chirurgica: 9% Stenosi uretrale: 1.5 % Incontinenza lieve: 20% Incontinenza fecale 0 % Discussione Indiscussi ed evidenti sono i vantaggi della prostatectomia radicale con accesso perineale: - Minor invasività (il perineo è la via d’accesso di elezione per la prostata) - Percorso anatomico (precisa evidenziazione delle strutture anatomiche) - Agevole emostasi (poche strutture vascolari e facilmente aggredibili) - Agevole realizzazione dell’anastomosi vescico-uretrale (in un piano assolutamente superficiale e direttamente sotto vista) - Agevole visualizzazione dei bundles nervosi e delle vescicole seminali - Percorso adatto alla gran parte dei pazienti - Ridotti tempi chirurgici - Possibilità di effettuazione in anestesia spinale - Breve curva d’apprendimento - Spese di realizzazione ridotte all’”essenziale” Messaggio conclusivo La prostatectomia radicale perineale, rispetto alle più diffuse tecniche open e laparoscopiche, offre una sintesi dei vantaggi offerti dalle singole tecniche, magnificati dai bassissimi costi di realizzazione. 58 Convegno SUNI Poster RISULTATI E PROSPETTIVE A DIECI ANNI DALLA NASCITA DEL CENTRO TRAPIANTI DI RENE DI MODENA Baisi Beniamino, Giovannoni Massimo,Benassi Giulio,Cappelli Gianni,.Rubbiani Elisabetta,Bonucchi Decenzio, Colopi Stefano, Ragazzi Giovanni e Bianchi Gianpaolo. Centro trapianto di rene. Azienda Universitaria Policlinico di Modena Clinica Urologica: Dir. Prof. G.Bianchi. Dicembre 2008 rappresenta il decimo anno di attivita’ del nostro centro trapianti di rene. Il numero complessivo dei trapianti e’ risultato essere di 325 cosi’ suddivisi per tipologia: 255 tx di singolo rene,30 tx di doppio rene,16 tx combinato di fegato e rene e 24 tx da vivente. Il rene trapiantato e’ sempre sato posizionato in fossa iliaca tramite incisione sec Gibson, l’anastomosi vascolare sempre confezionata sui vasi iliaci esterni , l’anastomosi uretero-vescicale eseguita secondo la tecnica di Lich- Gregoir. Il tempo di ischemia fredda medio e’ risultato di circa 14 ore.Il trapianto singolo di rene ha richiesto una media di esecuzione di circa 185 minuti mentre il doppio ha richiesto una media di 365 minuti. Nel caso del trapianto doppio di rene si e’ preferito posizionare un rene per ogni fossa iliaca tramite incisione di Gibson bilaterale. Il valore medio di creatininemia e’ risultata nel doppio trapianto di rene di 1.5+/- 0.5 mg/dl,nel trapianto combinato di fegato- rene di1.4 +/-0.4 mg/dl. Le complicanze urologiche riscontrate come(stenosi ureterali, fistole urinose ,linfoceli ostruenti ,ecc.) si attestano ad una percentuale di circa 6% grazie allo utilizzo costante dello stent ureterale nella anastomosi uretero- vescicale. Percentuali di complicanze piu’ basse si sono osservate a carico delle anastomosi vascolari praticate a livello dei vasi iliaci esterni risolte con trattamento endovascolare(dilatazione con palloncino e successivo posizionamento di stent). Dal punto di vista nefrologico tutti i rigetti sono stati trattati con terapia medica. La tipologia dei reinterventi d’urgenza ha riguardato in 4 casi la revisione per ematomi, 1 caso per erniazione di anse intestinali per lacerazione della fascia,1 caso per rottura del rene da pregressa biopsia renale con formazione di un pseudoaneurisma , 1 caso per fistola vescica- sigmoidea, 1 caso per fistola urinosa da lacerazione dello uretere al terzo medio,1 caso per lacerazione del parenchima renale da rimozione di drenaggio incarcerato. La sopravvivenza d’organo ad 1 anno e’ risultata del 94% e a tre anni di 89.5% dato positivo visto l’utilizzo di donatori marginali e di pazienti con patologie come Epatite B ,C o HIV positivi. La tendenza nel nostro centro di trapiantologia per quanto riguarda la terapia immunosoppressiva e’ quello di utilizzare bassi dosaggi di ciclosporina o farmaci di nuova generazione come sirolimus o everolimus meno nefrotossici.Anche se il 2008 ha registrato un netto aumento dei trapianti nel nostro centro il dato generale del calo delle donazioni ci induce ad aumentare il trapianto da donatore vivente. 58 Convegno SUNI Poster LA DISOSTRUZIONE ENDOSCOPICA NEL PAZIENTE NEFROTRAPIANTATO: L’ESPERIENZA DEL CENTRO TRAPIANTI RENALI DI TORINO. Bosio Andrea, Lasaponara Fedele, Pasquale Giovanni, Sedigh Omidreza, Liberale Fabiola, Fontana Dario. Ospedale San Giovanni Battista – Molinette, Divisione Universitaria di Urologia 2, Torino. Obiettivi Al fine di preservare la funzionalità di un rene trapiantato è fondamentale che la vescica in cui l’uretere viene impiantato non sviluppi al suo interno alte pressioni né in fase di riempimento né in fase di svuotamento: deve essere dotata dunque di buona capacità e non deve essere presente un’ostruzione allo svuotamento vescicale. Materiali e Metodi Verranno analizzati i dati relativi ai pazienti sottoposti a trapianto renale presso il Centro Trapianti Renali di Torino dal 2002 al 2009. La presenza di sintomi delle basse vie urinarie (LUTS) viene valutata nel corso della visita urologica per stabilire l’idoneità al trapianto di rene nei pazienti con diuresi residua. Tutti i pazienti vengono poi rivalutati dopo il trapianto alla ripresa o stabilizzazione della diuresi per escludere l’insorgenza o il peggioramento dei LUTS. Nei pazienti con sintomi della fase di svuotamento vescicale viene eseguito e ripetuto un esame uroflussimetrico e viene valutato il residuo post-minzionale. Qualora l’esito di questi esami risulti patologico al paziente viene indicata l’assunzione di terapia alfalitica e qualora questa non risulti soddisfacente si procede a trattamento endoscopico dell’ostruzione sotto-vescicale. Risultati Verranno discussi i risultati dell’intervento disostruttivo di resezione endoscopica dell’adenoma prostatico nei pazienti trapiantati con documentata ostruzione allo svuotamento vescicale pre- e/o post-trapianto renale, la ripresa di minzioni spontanee valide e la necessità di proseguire autocateterismi. Verranno presi in considerazione il tempo medio trascorso tra il trapianto renale e l’intervento disostruttivo, l’impatto di quest’ultimo sulla funzionalità renale e sulla presenza di infezioni delle vie urinarie, nonché le possibili complicanze dell’intervento. Discussione E’ necessaria una particolare attenzione all’insorgenza di LUTS nel paziente nefrotrapiantato in quanto questi sintomi possono rappresentare la prima avvisaglia della presenza di un’ostruzione allo svuotamento vescicale. Le alte pressioni di svuotamento vescicale possono ledere il meccanismo antireflusso dell’anastomosi ureterovescicale e il reflusso vescico-ureterale conseguente può da un lato portare ad un danno progressivo di funzione renale e dall’altro ad infezioni urinarie ascendenti gravi se non addirittura a sepsi in presenza di un elevato residuo post-minzionale in pazienti immunosoppressi. Conclusioni Al fine di preservare il più possibile a lungo la funzione del rene trapiantato e con essa la qualità di vita del paziente nefrotrapiantato, è molto importante escludere, dopo ripresa o stabilizzazione della diuresi, la presenza di un’ostruzione allo svuotamento vescicale e, in caso essa sia presente, trattarla tempestivamente. 58 Convegno SUNI Poster CALCIFILASSI E NECROSI PENIENA: CASE REPORT E REVISIONE DELLA LETTERATURA Grande M., Facchini F., LaRosa M., Leone M., Pozzoli G., Monica B. Divisione di Urologia, Ospedale di Guastalla (RE) Direttore: dott. Monica B. Obiettivi: la calcifilassi è una rara condizione clinica caratterizzata da necrosi cutanea dovuta alla calcificazione dei capillari sanguigni in pazienti con insufficienza renale cronica ed iperparatiroidismo secondario. Il coinvolgimento penieno è stato documentato in rari casi. Presentiamo un caso clinico di calcifilassi peniena ed una revisione della letteratura allo scopo di incrementare la comprensione della patofisiologia, della diagnosi e della terapia di questa rara condizione patologica. Metodi: una revisione retrospettiva della letteratura è stata eseguita dopo aver trattato un caso di calcifilassi peniena. Vengono descritte le caratteristiche del paziente, l’esordio clinico della patologia, i dati ematochimici ed anatomo-patologici, la strategia e gli esiti terapeutici del caso. Risultati: il pz di 65 anni, affetto da diabete mellito, cardiopatia ischemica cronica ed insufficienza renale cronica in emodialisi, presentava aumento di consistenza ed importante dolorabilità della porzione distale peniena con evoluzione in una necrosi completa del glande. I livelli di paratormonemia, calcemia e fosfatemia sono risultati patologicamente elevati, favorendo i depositi di calcio tissutali. Il paziente è stato sottoposto ad intervento di penectomia parziale e l’esame istologico definitivo ha confermato la diagnosi di calcifilassi, evidenziando una necrosi ulcerativa del glande con estesi depositi di calcio e restringimento luminale dei vasi sanguigni dell’asta peniena Conclusioni: l’aumento del numero di pazienti con insufficienza renale cronica in trattamento emodialitico potrà rendere piu’ frequenti in futuro i casi di calcifilassi peniena. La diagnosi precoce, l’abbassamento dei livelli patologici di calcemia e fosfatemia , unitamente all’asportazione chirurgica delle lesioni necrotiche nel paziente, sono determinanti per l’evoluzione e la prognosi di questa patologia aggressiva. 58 Convegno SUNI Poster CARCINOMA DEI DOTTI COLLETTORI DEL BELLINI: CASE REPORT CON METASTASI CUTANEA COME INIZIALE MANIFESTAZIONE CLINICA Facchini F., Grande M., La Rosa M., Leone M., Pozzoli G., Monica B. Divisione di Urologia, Ospedale di Guastalla Direttore: Dott. Monica B. Obiettivi: Il carcinoma dei dotti collettori renali del Bellini rappresenta una neoplasia rara con decorso aggressivo, spesso metastatica al momento della diagnosi e, con una prognosi estremamente infausta. Riportiamo il primo caso documentato di carcinoma del Bellini con iniziale manifestazione clinica rappresentata da una metastasi cutanea del cuoio capelluto. Metodi: Vengono descritte tutte le informazioni cliniche pertinenti, incluse età e sesso del paziente, modalità di esordio del tumore, dati radiologici e di laboratorio pre-operatori, tipo di approccio chirurgico, rilievi istopatologici micro e macroscopici , sopravvivenza del paziente. Risultati: A seguito di riscontro istopatologico di metastasi cutanea di adenocarcinoma scarsamente differenziato a primitività non nota, viene diagnosticata mediante TC , voluminosa neoformazione mesorenale sin di 6 cm. Successiva esecuzione di nefrectomia radicale transperitoneale sinistra ed asportazione contestuale di losanga cutanea del cuoio capelluto nella sede della precedente escissione con diagnosi istopatologica di Carcinoma del Bellini, pT3aN2M1. Non è stata rilevata responsività significativa alla chemioterapia adiuvante ed il paziente è morto 7 mesi dopo il riscontro della metastasi cutanea. Conclusioni: La maggior parte dei carcinomi del Bellini sono già metastatici all’esordio clinico. Eseguendo una revisione della letteratura, non era comunque, mai stata documentata una metastasi cutanea come iniziale manifestazione clinica del tumore. In tale contesto, la nefrectomia radicale, a differenza che in altre forme di carcinoma renale avanzato, non appare di utilità terapeutica, ma piuttosto puo’ assumere un ruolo di tipo palliativo , o nell’ambito di nuovi protocolli chemioterapeutici. 58 Convegno SUNI Poster Adenomectomia prostatica di necessità e caspulo raffia emostatica in persistente prostatoraggia secondaria a Mapping prostatico Pedalino M . – Cortese F. – Vella R. – Di Primio O.G. - Vercesi E . - Marino G. S. C. Urologia ASL TO 5 Chieri – Ospedale San Lorenzo di Carmagnola (T0) ABSTRACT La prostatoraggia persistente è la più temuta complicanza del mapping prostatico dopo la prostato vesciculite e l’orchiepididimite. La patogenesi di tale evento emorragico può essere conseguente al trauma di vasi pericapsulari o più raramente del peduncolo genitale. Gli Autori presentano due casi clinici entrambi con fattori di rischio emocoagulativo (portatore di stent coronarico il primo e di artrite reumatoide deformante il secondo) sottoposti a mapping prostatico. I pazienti a seguito di tale procedura hanno manifestato un quadro emorragico persistente dove per insuccesso delle procedure urologiche conservative ed endoscopiche si è reso necessario un trattamento emostatico chirurgico di adenomectomia prostatica di salvataggio e capsuloraffia .Vengono rilevati gli aspetti clinici e l’assenza di metodiche diagnostiche routinarie che possano essere eseguite in particolare nei pazienti in trattamento antiaggregante. 58 Convegno SUNI Poster La Malattia di Fournier Caso report Pedalino M.-Di Primio O.G.-Vella R.-Vercesi E. - Marino G . S. C. Urologia ASL TO 5 Chieri – Ospedale San Lorenzo di Carmagnola (T0) Riassunto – La malattia di Fournier è una fascite necrotizzante che predilige il sesso maschile e che si localizza nella regione perineale ed in particolare ai genitali maschili. In considerazione delle possibili complicanze correlate alla sepsi e alla compromissione sistemica di organi e della elevata mortalità, viene oggi considerata una emergenza urologica. Le principali cause scatenanti sono le infezioni periuretrali e perirettali, le sindromi immunodepressive, il diabete mellito e i traumatismi. Le infezioni sono di tipo misto con germi aerobi ed anaerobi e questi ultimi responsabili della necrosi del tessuto sottocutaneo correlata a fenomeni di immunovasculite necrotizzante. Presentiamo un caso di malattia di Fournier con localizzazione perineale con evoluzione necrotica gangrenosa scrotale e in regione perianale trattato con terapia antibiotica, curettage del tessuto necrotico e disinfezione locale con fisiologica ed antisettici. In tal caso il paziente è stato sottoposto a nutrizione parenterale totale per garantire la massima decontaminazione perianale e positivo il bilancio azotato per la corretta sintesi delle lesioni. L’ampia perdita di sostanza scrotale è stata ricostruita in 25 giornata mentre la breccia perianale è guarita per auto sintesi dopo il curettage completo . 58 Convegno SUNI Poster USO DEI TEMPLATES NELLA LINFADENECTOMIA RETROPERITONEALE PER TUMORI NON SEMINOMATOSI DEL TESTICOLO. Giorgio Pizzocaro, già Direttore U.O. Urologia 1985-2006 , INT Milano, Clinica Urologica 2nda , Ospedale S.Giuseppe, Milano, Consulente U.O.Urologiala Premessa: attualmente in Nord Europa, il ruolo della chirurgia urologica nel trattamento dei tumori germinali non seminomatosi del testicolo è circoscritto all’orchiectomia e alla chirurgia dopo chemioterapia per asportazione delle masse residue. La linfadenectomia retroperitoneale nei bassi stadi è considerata una procedura stadiante del tutto opzionale con il rischio di danneggiare l’eiaculazione. Per questo motivo propongono precisi templates per l’estensione della dissezione linfonodale che deve garantire una stadiazione sufficiente conservando l’eiaculazione. In Nord America ed nel Sud Europa la linfadenectomia retroperitoneale è considerato un atto curativo non solo per la malattia residua dopo chemioterapia, ma anche per i tumori in basso stadio. In particolare il 30% dei tumori N0 ha in realtà metastasi linfonodali che sale al 50-60% per i tumori di categoria clinica N1. Obiettivo e Metodi :: valutare la realtà o meno delle affermazioni degli urologi del Nord Europa. Sono stati riesaminati gli studi del Memorial Hospital, dell’Indiana University e del Gruppo Tedesco sulla fraquenza di presenza di metastasi e sulla loro distribuzione nei linfonodi retroperitoneali nei casi clinicamente N0 e N1,2 e patologicamente nei casi N1 ( metastasi a non più di 5 linfonodi di dimensioni < 2 cm.). Risultati : in tutti gli studi risulta che la distribuzione delle metastasi retroperitoneali appare molto estesa anche nello stadio patologico N1 con possibilità addirittura di eccezionali cross-over. Inoltre, sovrapponendo i vari templates, non c’è nessun’area libera da malattia nelle stazioni linfonondali di destra e soltanto qualche sporadico vuoto nei linfonodi iliaci o soprailari. Conclusioni: in conclusione, una linfadenectomia retroperitoneale per essere curativa deve comprendere tutte le aree possibilmente a rischio di metastasi nei pazienti in I stadio clinico e ancora di più in II stadio A ( N1). Pertanto la conservazione dell’ejaculazione deve essere ottenuta applicando la tecnica chirurgica nervesparing prospettica. 58 Convegno SUNI Poster FISTOLA ARTEROVENOSA POST TRAUMATICA.”ONE CASE REPORT” Mauro Silvani,Danilo Minocci,Monica Zacchero*,Sabino Quaranta,Elena Cianini.Attilio Guazzoni** S.C Urologia ASL Bi Piemonte Orientale. (Dir.Dr.Danilo Minocci) Scuola Specializzazione Urologia Università Degli Studi Piemonte Orientale* (Dir.Prof.Carlo Terrone) Dipartimento diagnostica per immagini ASL VCO** ( Dir.Dr.Attilio Guazzoni) INTRODUZIONE Le fistole arterovenose renale costituiscono una rara patologia urologica.L’etiopatogenesi puo’ essere congenita(6%) idiopatica (7%), acquista (83%).I fattori promoventi queste ultime possono essere diversi: 1. agobiopsia renale 2. nefrolitotrissia per cutanea 3. nefrostomia semplice 4. traumi chiusi 5. traumi penetranti 6. neoplasie renali 7. pielonefriti 8. iperplasia fibromuscolare dell’arteria renale 9. aneurismi dell’arteria renale CASE REPORT Nel presente lavoro riportiamo l’esperienza relativa ad un pz di 53 anni con fistola arterovenosa post traumatica a manifestazione tardiva.Ingresso del pz in reparto di chirurgia generale di altro nosocomio successivamente a trauma sul lavoro.Il pz presenta ematuria macroscopica, < ematocrito ed Hb, dispnea per versamento pleurico sn.La TAC evidenzia un’ematoma polare superioree sx , versamento pleurico fratture costali multiple.Dopo tre gg il pz viene dimesso,tuttavia ad una settimana dalla dimissione nuovo episodio di macroematuria.Ricovero ed esecuzione di ulteriore TAC che conferma ematoma polare renale superiore sn d ematoma splenico.Dopo 10 gg dall’ultima dimissione il pz sviluppa terzo episodio di ematuria con una TAC che mostra stabilizzazione dell’ematoma.Dopo sette gg esatti nuovo episodio di macroematuria ( 4°) che necessita di ricovero per anemizzazione posizionamento di catetere atre vie e lavaggio continuo.Dimissione dopo 4 g di ricovero e puntualmente dopo sette giorni dall’ultima dimissione trattenuto solo in astanteria DEA e dimesso dopo 48 ore.Dopo tre giorni di vita domiciliare nuova macroematuria ed il pz infine esige una consulenza urologica successivamente alla quale si ricovera in urologia e viene prontamente trasfuso.La TAC spirale multistrato evidenzia una lesione stabilizzata del labbro mediale del polo superiore del rene sn.L’artertiografia superselettiva sn evidenzia duplice fistola arterovenosa acarico del polo superiore del rene sn con pseudoaneurisma del tramite fistoloso emodinamicamente più rilevante..Il tramite fistoloso più significativo viene embolizzato con sfere di Contour 300micron il tramite piuì craniale occluso con materiale autologo ( coagulo).Il pz dimesso in 2^ gta post operatoria ,urine chiare, controlli a 1-3-6-12 –24 mesi non hanno evidenziato sviluppo di ipertensione o IR, non ulteriori episodi di macroematuria DISCUSSIONE. In presenza di macroematuria persistente post trauma, il sospetto di FAV e’ imperativo.L’esame diagnostico dirimente e’ la sola arteriografia renale superselettiva.Il pattern radiologico patognomonico è il passaggio pressoche’ immediato di mdc in una sacca venosa dilatata e la tortuosita’ della vena renale,il nefrogramma e’ poco opacizzato.In questa patologia TAC ed urografia hanno valore diagnostico assai limitato ed indiretto.L’arteriografia diventa mezzo diagnostico e terapeutico. CONCLUSIONI In presenza di FAV con : ipertensione insufficienza cardiaca ematuria macroscopica recidivante,trattamento di 1^ scelta è l’embolizzazione.La chirurgia a cielo aperto è riservata ai casi di fallimento dell’embolizzazione.Il concetto che ci preme sottolineare e’ come la gestione del trauma addominale con macroematuria senza altre lesioni viscerali , sia di pertinenza esclusivamente urologica. 58 Convegno SUNI Poster IDROURETERONEFROSI SECONDARIA A PERFORAZIONE DELLA PARETE DELLA VENA CAVA INFERIORE DA PARTE DI FILTRO CAVALE A.Vismara Fugini, G. Mirabella, L. Perucchini, C. Simeone, S. Cosciani Cunico. Cattedra di Urologia - Università degli Studi di Brescia. Il posizionamento di un filtro in vena cava inferiore è un presidio di protezione da eventi embolici in pazienti ad alto rischio ed in quelli con controindicazione a terapia anticoagulante orale. Una complicanza è rappresentata dalla perforazione della parete cavale. Riportiamo un caso di idrouretronefrosi secondaria ad ostruzione ureterale ab estrinseco da reazione fibrotica secondaria a perforazione di parete cavale da filtro. Case Report Donna di 63 anni affetta da epatopatia HCV correlata e da sindrome da anticorpi antifosfolipidi condizionante malattia trombo-embolica cronica con ipertensione polmonare secondaria di grado severo in terapia anticoagulante orale. Nel 1985 è stata sottoposta a posizionamento di filtro cavale (Mobin-Uddin umbrella filter). In corso di periodici controlli ecografici dell’addome nel settembre 2008 viene segnalata la comparsa di idroureteronefrosi destra di ndd in assenza di sintomatologia di lato. L’approfondimento TC conferma la dilatazione delle cavità calico-pieliche e del tratto prossimale dell’uretere senza evidenziare ostacoli al deflusso dell’urina. Un’ureteropielografia ascendente destra dimostra una compressione ab estrinseco dell’uretere a livello del filtro cavale condizionante la dilatazione a monte. Discussione La situazione, pur rara, pone complesse problematiche diagnostiche e soprattutto terapeutiche specie in questa paziente con gravi comorbilità ed elevato rischio operatorio. Proprio in considerazione di queste problematiche associate e della completa asintomaticità, concordi con i chirurghi vascolari e gli emodinamisti, si è optato per una stretta sorveglianza, astenendoci da ogni tipo di trattamento invasivo. Anche il posizionamento di un tutore ureterale avrebbe esposto la paziente ad un rischio elevato di sanguinamento. Nel paziente asintomatico, a nostro avviso, un atteggiamento conservativo, può risultare quindi una soluzione accettabile, riservando ai soli casi sintomatici la necessità di provvedimenti invasivi maggiori. 58 Convegno SUNI Poster EMBOLIZZAZIONE ANGIOGRAFICA DELL’ANGIOMIOLIPOMA RENALE: ESPERIENZA SU 5 CASI. L Perucchini,A Antonelli, I Montermini*, T Zanotelli, A Cozzoli, G Battaglia*, A Vismara Fugini C Simeone, S Cosciani Cunico Cattedra di Urologia, Cattedra di Radiologia*, Università degli Studi di Brescia. Introduzione – L’angiomiolipoma (AML) è una lesione amartomatosa a comportamento benigno ma gravata da un rischio emorragico, potenzialmente anche grave. Il presente studio si propone di valutare l’efficacia dell’embolizzazione selettiva, rivedendo retrospettivamente la nostra esperienza in merito. Materiali e metodi – Sono stati rivalutati i dati clinici di cinque pazienti con AML renale trattato mediante embolizzazione selettiva con materiale non riassorbibile presso la nostra istituzione dal 2002 ad oggi. In tutti i casi è stata eseguita una profilassi antibiotica. L’esito del trattamento è stato inizialmente controllato mediante angio-TC o angio-RMN, successivamente con ecografia. Risultati – La tabella che segue riassume le caratteristiche dei casi ed i risultati ottenuti. 1 2 3 4 5 Sintomo d’esordio Nessuno Lombalgia Lombalgia Nessuno Lombalgia Sclerosi Tuberosa Sì No No Sì Sì AML bilaterale Sì No No Sì Sì n° trattamenti 1 1 2 1 3 Ф pre Ф post follow up Complicanze (cm) (cm) (mesi) 5 3.5 77 No 5 3 9 No 12 8 6 Iperpiressia 6 4 20 Iperpiressia 4 3 44 No In 3 casi dopo un'unica seduta è stata raggiunta una soddisfacente devascolarizzazione dell’AML, e la regressione della sintomatologia dolorosa. In 2 casi è stato invece necessario ricorrere a più sedute di embolizzazione per la persistenza dell’ipervascolarizzazione e della sintomatologia: entrambi erano affetti da un AML che all’esordio mostrava una netta predominanza della componente vascolare rispetto a quelle adiposa e muscolare. In tutti i casi il materiale embolizzante è rimasto in sede ed il parenchima renale circostante non ha subito conseguenze ischemiche. In 2 casi con AML di grosse dimensioni si è manifestato un quadro febbrile risolto rapidamente con terapia antipirettica, senza necessità di terapia antibiotica. In nessun caso si sono verificati nel follow up episodi emorragici. Discussione e conclusioni – L’AML renale può presentarsi in forma sporadica o in associazione alla sclerosi tuberosa, dove spesso è bilaterale. E’ una neoplasia benigna costituita da tessuto adiposo, muscolare e da strutture vascolari neoformate che determinano il rischio di una rottura spontanea con un’emorragia anche massiva, specialmente quando il diametro della lesione supera i 4 cm e nei casi con sclerosi tuberosa. La diagnosi radiologica è di certezza quando si evidenzia una componente adiposa alla TC. Sulla base di tali considerazioni si comprende come l’obiettivo del trattamento in elezione sia la riduzione del rischio emorragico e la salvaguardia del parenchima sano. Nella nostra esperienza, il trattamento con embolizzazione selettiva si è rivelato in tal senso efficace portando alla devascolarizzazione della neoplasia ed ad una riduzione dimensionale. La procedura si è inoltre dimostrata sufficientemente sicura, comportando come unica complicanza un quadro febbrile transitorio. Nei casi con componente vascolare predominante possono essere necessari più trattamenti.