anno secondo | n. 3 | 2013
ISNN 2280-1669 © 2013 editpress
La comunità italiana in Egitto
di Marta Petricioli
Ricostruire la storia della comunità italiana in Egitto nel periodo compreso tra le due guerre mondiali (1917-1947) è stato un lavoro molto complesso. A differenza, infatti, della storia di altre comunità, in primis quella greca, sulla quale esistono da tempo due saggi di accertato valore scientifico1,
ma anche quella ebraica2 e da ultimo la comunità francese3, sulla comunità italiana non esistono opere di uguale valore. I libri più noti, celebrati e
citati e in particolare quelli di Angelo Sammarco, In Egitto e L’opera degli
italiani nella formazione dell’Egitto moderno4, sono stati di scarsa utilità
per il mio lavoro. Dalla loro lettura risale l’origine del titolo che ho dato al
mio saggio: Oltre il mito.
A proposito del secondo volume di Sammarco condivido il parere del
console italiano ad Alessandria, Silvio Camerani. Nel 1931 l’opera aveva
ricevuto un premio di 10.000 lire, istituito nel 1929 dal Fascio del Cairo,
per la migliore monografia inedita su scienza e cultura italiana in Egitto.
Nel 1938, in previsione della riedizione del libro in Italia, Camerani ne dava un giudizio del tutto negativo: lo provavano, a suo parere, le 300 copie
vendute sulle 2.000 stampate «il che dimostrava che il giudizio del pubblico d’Egitto, abbastanza competente in materia per ragioni intuitive, non è
dell’entusiastica opinione dell’on. Ciarlantini». Secondo Camerani sarebbe stato necessario almeno «correggere il titolo, che è troppo pretenzioso e
prepara al lettore perspicace un’immancabile delusione»5.
L’unica pubblicazione che avrebbe potuto compensare in parte l’assenza di un lavoro complessivo sugli italiani in Egitto negli anni tra le due
guerre avrebbe potuto essere il seguito del volume, da me ampiamente citato, di R.H. Rainero e L. Serra (a cura di), L’Italia e l’Egitto dalla rivolta
di Arabi Pascià all’avvento del fascismo (1882-1922), Marzorati, Milano
Polo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
[38]
Marta Petricioli
1991, un libro più volte annunciato e purtroppo mai uscito, che avrebbe dovuto contenere gli atti di un importante convegno tenuto a Napoli.
Più utili per ricostruire l’atmosfera, ma anche alcuni eventi vissuti dagli
italiani d’Egitto, sono alcuni romanzi, in particolare quelli di Fausta Cialente, e gli scritti di Enrico Pea6. Nel romanzo Ballata Levantina la Cialente descrive l’atmosfera che si respirava ad Alessandria dopo la proclamazione delle leggi razziali7, la partenza dei bambini italiani d’Egitto per le
colonie estive in Italia8, e quella dell’ingresso in guerra e dell’internamento
degli italiani quasi con le stesse parole con le quali questi eventi sono descritti nei documenti d’archivio.
Il libro di Sammarco, pubblicato negli anni Trenta, non tratta questi
eventi ma com’è ovvio un’opera premiata dal Fascio nel 1931 e riedita nel
1942 non poteva fornire un giudizio critico sulle scelte fatte dal regime nel
1938 e nel 1940 e neppure analizzare le difficoltà che il fascismo aveva dovuto affrontare per affermarsi in Egitto nella prima metà degli anni Venti, con
il farsi e disfarsi dei direttivi del Fascio del Cairo e di Alessandria, i numerosi
scandali che coinvolsero i membri del partito, o i problemi economici che la
comunità dovette affrontare in seguito alle conseguenze della crisi economica mondiale, la fine del regime delle capitolazioni e le leggi razziali.
Di grande utilità si sono rivelati invece alcuni libri dedicati ad aspetti
specifici della vita della comunità italiana in Egitto. Mi riferisco in particolare al volume sull’attività degli architetti e degli ingegneri italiani in Egitto tra Ottocento e Novecento9 che tratta del ruolo svolto dagli italiani nel
settore edilizio nel quale, accanto ai professionisti che progettavano edifici pubblici, ville e palazzi privati, erano attive anche numerose grandi imprese, come la Edoardo Almagià, la Savigliano, la Bracale, la De Farro e la
Dentamaro Cartareggia, che li costruivano e nello stesso tempo ottenevano
appalti e subappalti per grandi opere infrastrutturali, come ad esempio la
Corniche di Alessandria, le banchine del porto Ibrahim a Suez e l’innalzamento della diga di Assuan10.
Lo stesso vale per il volume sul cinema egiziano11, dal quale si ricava il
ruolo svolto dagli italiani nel suo sviluppo. In Egitto, infatti, la prima proie­
zione cinematografica fu realizzata ad Alessandria nel novembre del 1896
per iniziativa di Enrico Dello Strologo, il quale aveva ottenuto l’esclusiva
per l’Egitto dai Lumière. Nel marzo dell’anno seguente arrivò in Egitto il
signor Promio, primo operatore della casa di produzione Lumière, per riprendere immagini e paesaggi egiziani da proiettare al cinematografo. Anche la prima proiezione di un film con sonoro registrato su disco avvenne
per iniziativa di due italiani, Aziz Bandarli e Umberto Malafasi Dorès, i
quali nel novembre 1906 inaugurarono il Cinémaphone. Poco dopo un altro italiano inventò il sistema per proiettare i sottotitoli in arabo su un piccolo schermo accanto a quello dove scorrevano le immagini. Nel 1907 Bandarli e Dorès realizzarono il primo cortometraggio egiziano e nel 1912 un
altro italiano, Leopoldo Fiorello, proiettò sullo schermo le prime didascaPolo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
La comunità italiana in Egitto
[39]
lie e i sottotitoli in arabo. I produttori cinematografici stranieri, che erano
in prevalenza italiani, si resero conto che per avere successo in Egitto i loro
film dovevano essere interpretati da attori egiziani che il pubblico cominciava ad amare e riconoscere sullo schermo.
La realizzazione dei film – regia, produzione, riprese, scenografie, nonché lo sviluppo, la stampa e la distribuzione – era affidata agli stranieri. Il
primo film realizzato con questo metodo fu, nel 1919, Madame Loretta, seguito nel 1920 da La Tante américaine e nel 1923 da La bague de Soleimane tutti e tre diretti da registi italiani. Nel 1922 Pasquale Prosperi fondò al
Cairo la Prosperi Oriental Film con l’obiettivo di produrre film educativi.
Nell’insieme i registi italiani tra il 1929 e il 1945 realizzarono oltre quaranta film quasi tutti di genere melodrammatico12. Gli italiani, inoltre, producevano due edizioni dello stesso film, una in arabo e l’altra in greco utilizzando attori reclutati ad Atene.
Due volumi di grande utilità per analizzare il ruolo degli italiani in campo economico sono il libro edito dal Banco di Roma dal titolo Egitto. Vademecum economico, pubblicato a Roma nel 1942 dall’editore Staderini e
la Storia del Banco di Roma di Luigi De Rosa13. Attraverso questi volumi,
integrati con l’Archivio del Banco di Roma, si riesce a ricostruire l’attività
della Banca impegnata soprattutto nel finanziamento della produzione del
cotone attraverso le numerose filiali e agenzie aperte nelle zone di produzione ma anche attraverso investimenti e partecipazioni in imprese e società dalle quali ricavava notevoli profitti. Il tutto fino all’ingresso in guerra dell’Italia quando il Banco di Roma, come tutte le altre imprese italiane
e la stessa Banca commerciale italiana per l’Egitto, la Società egiziana per
l’estrazione e il commercio dei fosfati, e la Fiat Oriente, fu sequestrato e
sottoposto a un sequestratario generale egiziano14.
Per tutto il resto, la mia ricostruzione della vita della comunità italiana
in Egitto si basa su fonti inedite conservate nell’Archivio del Ministero degli Esteri italiano, nell’Archivio centrale dello Stato, presso il Public Record
Office (PRO, ora National Archives) di Londra, presso gli archivi del Ministère des Affaires extérieurs di Parigi e di Nantes e negli Archivi del Banco
di Roma e della Banca commerciale italiana.
Avevo già scoperto l’importanza della comunità italiana in Egitto durante la mia ricerca sull’archeologia italiana nei paesi del Mediterraneo15
ma lo spoglio di oltre 120 faldoni dell’archivio del ministero degli Esteri,
classificati sotto il titolo Ambasciata Egitto, mi ha portato a scoprire i molteplici argomenti che avrei dovuto affrontare per offrire un quadro il più
esaustivo possibile dell’organizzazione della comunità italiana e della sua
evoluzione nel corso degli anni Venti e Trenta e i primi anni Quaranta. Tutto questo ha comportato un grande impegno che definirei più artigianale
che accademico e scientifico. Si è trattato, infatti, di seguire nel corso degli anni tutti gli aspetti della vita della comunità e dei suoi membri che si
evolvevano e si modificavano in rapporto ai mutamenti del quadro interno
Polo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
[40]
Marta Petricioli
e internazionale che interessavano la vita dell’Egitto, quella dell’Italia e di
conseguenza quella della comunità.
Ho quindi deciso di suddividere la ricerca in quattro grandi settori tematici: la società, l’economia, la vita culturale, la politica e di concludere
con le vicende che interessarono gli italiani d’Egitto negli anni della seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra fino al trattato di pace.
In questa sede mi limiterò ad analizzare brevemente la vita sociale, quella
economica e quella politica della comunità.
*
* *
1. La società
La presenza di consistenti nuclei d’italiani in Egitto si può far risalire
all’epoca delle repubbliche marinare che per prime riuscirono a strappare
al sultano accordi di capitolazione. È il caso ad esempio della Repubblica
di Pisa che ottenne un trattato dal Grande Saladino. Anche dopo la conquista ottomana e la decadenza del Mediterraneo come centro dei commerci mondiali, le relazioni tra gli Stati italiani e il Levante non cessarono e la
lingua italiana rimase la lingua franca del commercio e della diplomazia.
Ma di una vera e propria colonia si può cominciare a parlare solo a partire dall’Ottocento, quando molti italiani arrivarono in Egitto attratti dalla
modernizzazione del paese attuata dal nuovo pascià Mohammed Ali dopo
la cacciata dei Mamelucchi. A questi seguì una seconda ondata, composta
di rifugiati politici costretti a lasciare l’Italia dopo il fallimento dei moti rivoluzionari. È a questo gruppo che si può far risalire l’impostazione settaria e l’affiliazione massonica di molti membri della colonia.
Dopo l’Unità, l’emigrazione divenne soprattutto di natura economica
con liberi professionisti, commercianti, artigiani e operai, attratti dal tumultuoso sviluppo dell’Egitto, dovuto alla costruzione di grandi infrastrutture, primo fra tutti il taglio dell’istmo di Suez, ma anche di canali, dighe,
porti e ferrovie16. Con l’aumento della quantità ci fu però anche un peggioramento della qualità dei membri della colonia, tanto che il console Salvago Raggi scriveva che «assieme a gente attiva, capace e generalmente apprezzata si trovavano gruppi, più numerosi di quanto sarebbe stato desiderabile, che vegetavano nell’ozio, altri che sfruttavano la prostituzione e
infine alcuni vagabondi e delinquenti»17.
Nell’Ottocento molti italiani contribuirono alla crescita dell’Egitto moderno, lavorando per lo Stato egiziano presso la corte, i ministeri, i tribunali, la commissione del Debito pubblico. All’inizio si trattò d’individui
singoli come Carlo Rossetti e Bernardino Drovetti, che divennero ascoltati consiglieri di Mohammed Ali. Contemporaneamente, numerosi ufficiali
italiani contribuirono, accanto ai francesi, all’organizzazione dell’esercito e
Polo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
La comunità italiana in Egitto
[41]
della marina egiziane. Italiani furono coloro che dotarono l’Egitto del catasto, organizzato dal livornese Lorenzo Masi, del servizio postale e del servizio statistico. Il primo ufficio postale fu aperto ad Alessandria da un altro
livornese, Carlo Meratti, e restò in mani italiane fino al 1865, mentre il servizio statistico fu fondato nel 1876 dal bolognese Federigo Amici. Italiano
era Luigi Negrelli, autore, nel 1847, del progetto che fu in seguito adottato
per il taglio dell’istmo di Suez. A fine Ottocento, all’italiano Scialoja fu affidato dal khedivè Ismail il compito di predisporre la riforma giudiziaria18.
Durante la crisi egiziana della fine degli anni Settanta, gli italiani appoggiarono l’autonomia dell’Egitto e nel 1882 rifiutarono l’invito britannico a partecipare all’invasione del paese. Il console De Martino sosteneva
che l’Italia desiderava vedere l’Egitto né inglese, né francese, ma egiziano
soltanto nell’interesse dei suoi commerci e della comunità italiana ivi residente19. Ciò contribuì a stabilire buoni rapporti tra Italia ed Egitto rafforzati ulteriormente dalle ottime relazioni tra le rispettive case regnanti
e in particolare dall’amicizia che legava Vittorio Emanuele III e re Fuad.
Il principe Fuad, ancora bambino, era arrivato in esilio in Italia con il padre Ismail, ospite della villa reale “La Favorita”, vicino a Napoli. In seguito
aveva studiato per tre anni all’Accademia militare di Torino e quindi a Roma, dove aveva raggiunto il grado di ufficiale dell’esercito italiano. Quando
Fuad salì al trono, prima come khedivè nel 1917 e poi come re nel 1923, gli
italiani svolsero un ruolo importante come suoi consiglieri. Basti ricordare Eugenio Griffini, direttore della biblioteca reale, Ernesto Verrucci, architetto dei palazzi reali20, e Angelo Sammarco, incaricato di raccogliere la
documentazione sulla nascita dell’Egitto moderno.
Con il rafforzamento della colonia anche le iniziative di carattere commerciale e industriale crebbero d’importanza e la colonia cominciò ad avere propri giornali21, proprie banche, istituti culturali, scuole, dagli asili fino
alle scuole superiori, e centri assistenziali22. All’inizio le scuole erano state
soprattutto religiose ma nel 1860 una prima scuola laica e gratuita fu aperta dalla loggia massonica “La Luce d’Oriente”. In seguito con Crispi gli istituti scolastici furono nazionalizzati e potenziati ma la sconfitta di Adua e
la caduta di Crispi portarono a un temporaneo abbandono delle scuole italiane. A partire dal 1910 tuttavia, con il nuovo impulso dato dalle forze nazionaliste alla politica di espansione italiana nel Levante, le scuole, insieme
agli istituti culturali e assistenziali, furono nuovamente potenziate.
Ma qual era la consistenza numerica della colonia italiana? Sammarco calcolava che nel 1820 ci fossero in Egitto circa 6.000 italiani, saliti a
16.000 nel 1870, ma è solo a partire dalla fine del secolo che con i censimenti egiziani si hanno dati più precisi. In base ad essi la colonia crebbe costantemente passando da 24.454 unità nel 1897, a 34.926 nel 1907
e raggiunse le 52.462 nel 1927. Queste cifre, secondo i calcoli di Rainero,
sarebbero molto inferiori ai dati reali e dovrebbero essere aumentate di
almeno 10.000 unità23. Ciò è confermato dalle fonti britanniche che parPolo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
[42]
Marta Petricioli
lano della presenza di 70.000 italiani nel 193624. Si trattava in ogni caso
della comunità straniera più numerosa dopo quella greca e della comunità nella quale la maggioranza era composta di cittadini originari del territorio metropolitano. La maggioranza degli italiani, il 90%, risiedeva ad
Alessandria e al Cairo, mentre il restante 10% era sparso in piccoli centri
come Porto Said, Ismailia e Suez.
All’inizio degli anni Trenta la colonia contava circa 7.600 ebrei (ma c’è
chi parla di 10.000) dei quali 3.000 risiedevano ad Alessandria e 2.700 al
Cairo. Gli ebrei italiani erano divisi in due categorie: gli ebrei di passaporto italiano e quelli che si erano trasferiti di recente dall’Italia. I primi erano italiani soltanto di nome essendo nati in Egitto da famiglie del luogo ed
erano divenuti cittadini italiani solo per usufruire dei vantaggi del sistema capitolare. Tra i primi c’erano molti sionisti, tra i secondi invece molti
s’iscrissero al Fascio, anche se lo fecero all’inizio più per opportunismo che
per convinzione25.
Molti italiani, sia tra quelli di più antica immigrazione sia tra coloro che
arrivarono in Egitto dopo la prima guerra mondiale, appartenevano alla
massoneria che influenzava profondamente la vita della colonia in quanto
controllava molte attività economiche26 ed era presente nelle varie organizzazioni sociali. Come scrive Aldo Mola27, la massoneria raggiunse il massimo della diffusione nel 1923 quando le logge all’obbedienza del Grande
Oriente d’Italia (GOI) erano ben 11 di cui 6 nella sola città di Alessandria!28
Lo scioglimento della massoneria in Italia nel 1925 non ebbe immediate ripercussioni in Egitto, tuttavia negli anni successivi molte logge furono poste in sonno o, pur conservando gli stessi nomi, finirono in mano a greci
o levantini, tanto che nel 1937 in tutto l’Egitto restava una sola loggia italiana, la “Cincinnato” di Alessandria29. I massoni italiani d’Egitto ebbero
una sorte meno dura rispetto a quella dei loro “fratelli” della madrepatria.
Nondimeno, in parecchi casi, essi divennero bersaglio dei fiancheggiatori
del regime, ben lieti di avere un pretesto per consumare antiche vendette
personali e per regolare conti che poco avevano a che fare con le questioni
ideologiche o con il conflitto in atto tra massoneria e partito unico.
In epoca prefascista la comunità italiana possedeva molteplici organizzazioni che si occupavano di tutti gli aspetti della vita comunitaria, sia
quelli dell’assistenza, sia quelli culturali e sportivi, con associazioni come
la Società fratellanza italiana di mutuo soccorso, la Società di mutuo soccorso operaia, l’Associazione lavoratori del mare, l’Istituto principessa Mafalda, il Circolo italiano, la Società artistico-letteraria, la Società drammatico-musicale, la Palestra italiana, la Canottieri Italia, per citarne solo alcune
e solo quelle presenti ad Alessandria.
Durante gli anni del fascismo, molte delle vecchie organizzazioni comunitarie furono abbandonate, e ai vecchi istituti ne furono aggiunti di nuovi,
legati alle strutture del partito fascista come ad esempio la Gioventù italiana del littorio all’estero (GILE), l’Opera nazionale dopolavoro (OND), le
Polo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
La comunità italiana in Egitto
[43]
Case d’Italia, la Gioventù universitaria fascista (GUF), la Milizia volontaria
per la sicurezza nazionale (MVSN), le società sportive30. In questo periodo
le opere assistenziali erano gestite dalle locali segreterie del Fascio.
2. L’economia
Fino agli anni Trenta le condizioni economiche della colonia furono generalmente buone, anche se da tempo era finita l’epoca dei facili guadagni31. La
condizione degli italiani, e in particolare degli impiegati subalterni32, subiva
le oscillazioni a cui era sottoposta l’economia egiziana, soprattutto in relazione alle variazioni del prezzo del cotone. Quanto agli operai le loro difficoltà
dipendevano dalla concorrenza della manodopera egiziana che si accontentava di salari molto più bassi di quelli chiesti dagli europei. Una prima crisi
c’era stata a fine Ottocento, dopo l’occupazione britannica ma poi c’era stata
una ripresa e nel primo dopoguerra un periodo di grande prosperità.
La situazione cambiò dopo il 1930, in conseguenza della crisi economica mondiale, e precipitò dopo il 1935 tanto che negli anni 1935-1939 più di
10.000 italiani rimpatriarono o si recarono in Etiopia in cerca di una nuova occupazione. Ciò fu dovuto a un insieme di fattori. Anzitutto il crescente
nazionalismo egiziano che mirava a sviluppare sempre più l’indipendenza economica, amministrativa e politica del paese. Proprio nel 1935, in seguito a violente manifestazioni di piazza, fu ripristinata la costituzione del
1923 e le elezioni del maggio 1936 portarono nuovamente al potere i nazionalisti del partito Wafd. In secondo luogo i riflessi della crisi etiopica che,
se da una parte aumentarono la coesione della comunità italiana, dall’altra
spinsero molti vecchi residenti a trasferire i loro capitali in banche svizzere o a convertire le loro ditte in compagnie egiziane. Un’altra conseguenza della conquista italiana dell’Etiopia fu la conclusione del trattato angloegiziano nell’agosto 1936, che permise la formale indipendenza dell’Egitto, il suo ingresso nella Società delle Nazioni, e la soppressione del regime
capitolare, sancita dalla convenzione di Montreux del maggio 1937. La fine
delle capitolazioni, e l’emanazione di provvedimenti legislativi per la tutela
della manodopera locale, portò al progressivo licenziamento degli impiegati stranieri nelle amministrazioni egiziane e mise in crisi molte piccole
imprese italiane fino allora tutelate dal regime capitolare.
Il terzo evento che colpì la comunità italiana fu, nel 1938, l’approvazione delle leggi razziali che crearono un’atmosfera di tensione tra molti impiegati e operai italiani e i loro datori di lavoro che erano o dipendevano da
israeliti. Le leggi, emanate per tenere il passo con la Germania nazista, non
tenevano evidentemente conto della situazione egiziana dove la comunità
ebraica rappresentava un elemento fondamentale della parte più ricca e influente della colonia33. Gli ebrei che in passato avevano contribuito generosamente a finanziare le istituzioni italiane minacciavano ora di ritirare i
Polo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
[44]
Marta Petricioli
loro depositi dalle banche, di boicottare le istituzioni e le merci italiane, di
farsi naturalizzare egiziani34.
Almeno all’inizio tuttavia, come spesso accade in Italia, non tutti applicarono alla lettera le nuove direttive provenienti da Roma. Come scriveva Fausta Cialente nel romanzo Ballata levantina, «le colonie e le comunità erano
piene di sussurri: c’era chi faceva notare come in seno alla colonia italiana
non fosse stata attuata una reale discriminazione nei riguardi degli ebrei, ma
molti di costoro, specie fra i ricchi, anche nel caso che avessero in precedenza aderito al fascismo, venivano ritirando i loro figli dalle scuole italiane, e li
iscrivevano al Liceo francese»35. Era tutto vero, «ma d’altra parte – notava
il console generale ad Alessandria nel maggio 1939 – non credo sia possibile che istituti o ditte che devono esercitare la loro attività in Egitto possano,
senza correre il rischio di compromettere definitivamente la loro situazione
finanziaria, applicare con rigidezza i criteri razzisti». E aggiungeva che bastava considerare la difficoltà che la comunità incontrava «per sostituire gli
ebrei nelle cariche onorifiche per giudicare come anche colla migliore volontà non [fosse] facile pulire di un colpo queste stalle di Augias del Levante».
Un’inchiesta condotta sui funzionari delle “Assicurazioni Generali” aveva dimostrato, infatti, che nella sede del Cairo su 46 dipendenti c’erano 42 ebrei,
dal direttore al più modesto impiegato, e situazioni analoghe, anche se meno
squilibrate, esistevano nelle altre compagnie assicuratrici36.
La grave situazione in cui versava la colonia italiana fu oggetto di approfondite riflessioni da parte dei rappresentanti consolari. Tutti concordavano sul fatto che il mercato del lavoro, sia quello intellettuale sia quello
operaio e artigiano, poteva considerarsi chiuso a ogni nuova immigrazione
europea. E mentre nella zona che dipendeva dal consolato di Porto Said la
colonia italiana, composta di circa 6.000 unità, continuava a godere di impieghi sicuri e ben pagati, il console ad Alessandria, Fontana, denunciava
la crescente disoccupazione degli operai e degli impiegati, che nel suo settore rappresentavano la maggioranza dei capi-famiglia (si trattava rispettivamente di 2.844 e di 2.507 famiglie su un totale di 7.300), e l’aumento progressivo dei rimpatri. Fontana non riteneva possibile che l’elemento
impiegatizio e operaio straniero potesse essere immediatamente sostituito
da quello indigeno ma c’erano sintomi inquietanti sulla possibilità che ciò
si realizzasse nel successivo quinquennio37.
La fine delle capitolazioni minacciava di colpire l’efficienza stessa delle istituzioni bancarie, commerciali e assicurative e preannunciava fosche
prospettive soprattutto per i giovani professionisti – avvocati, medici, ingegneri – non ancora affermati. Gli avvocati, ad esempio, avrebbero potuto
continuare a esercitare la professione fino a quando fossero rimasti in vita
i tribunali misti, ovvero, nella più rosea delle ipotesi, per altri quindici anni. Ma tale periodo si sarebbe ridotto se nei tribunali avesse prevalso l’uso
della lingua araba, poiché nessuno sembrava in grado di discutere una causa in arabo! Anche il ministro al Cairo insisteva sui pericoli che correvano i
Polo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
La comunità italiana in Egitto
[45]
professionisti stranieri. Il governo egiziano, preoccupato delle ripercussioni politiche che avrebbe potuto causare la disoccupazione dei molti laureati
e diplomati sfornati nel primo dopoguerra dalle scuole egiziane, sembrava
deciso a farli assumere non solo dagli uffici pubblici e dalle imprese nazionali ma anche da quelle straniere38.
Ma la preoccupazione maggiore dei consoli riguardava le opere assistenziali che avrebbero risentito pesantemente dell’applicazione agli stranieri
dell’imposta sul reddito e di altri oneri fiscali, da cui erano esenti in regime
capitolare. Si temeva una riduzione della raccolta di fondi del 50% cosa che
avrebbe impedito di far fronte ai bisogni della collettività in presenza di un
aumento della disoccupazione. Come rimedio a questa situazione si pensò
da una parte di diminuire il numero degli assistiti, indirizzando gli operai disoccupati più validi verso l’Africa orientale italiana, e dall’altra di incrementare la campagna di sottoscrizione dei fondi per l’assistenza. Ciò che il governo fascista voleva evitare erano i rimpatri dei disoccupati che se costituivano
un peso morto per le collettività all’estero, lo avrebbero costituito anche in
Italia. Gli unici bene accetti erano coloro che possedevano mezzi finanziari
sufficienti a riprendere in Italia o nelle colonie un’attività lucrativa.
La propaganda per la raccolta di fondi era un’arma a doppio taglio tanto
che un appello lanciato dal console ad Alessandria sul «Giornale d’Oriente» fu aspramente criticato. Secondo l’ambasciatore italiano in Egitto, infatti, «la dipintura a fosche tinte dello stato di nera miseria in cui si dibatte
gran parte di codesta collettività, se può essere valido argomento di persuasione sui recalcitranti all’appello di solidarietà nazionale [...] non giova certo al nostro prestigio». E al prestigio dell’Italia non giovava neppure
il riferimento al venir meno della «clientela più ricca» che «poteva largamente sopperire a quella indigente» perché ciò poteva indurre a credere
che, venuto meno l’apporto degli israeliti, la collettività italiana incontrasse ora serie difficoltà per far fronte «all’onda della miseria invadente»39.
Per il successo delle sottoscrizioni era necessario, secondo l’ambasciatore tenere alto il morale della colonia raccogliendo attorno alle istituzioni
del regime il maggior numero di consensi. Erano così incoraggiate le manifestazioni che celebravano le ricorrenze della storia patria e in particolare
quella della Marcia su Roma. Imponente fu la manifestazione che si tenne
ad Alessandria il 29 ottobre 1939, a guerra già iniziata, a cui parteciparono
più di 10.000 persone, tra le quali più di 5.000 erano gli iscritti al Fascio e
alla Gioventù littoria e quasi 3.000 gli alunni delle scuole40.
3. La politica
Dal punto di vista più propriamente politico la colonia italiana, dopo la nascita del regno d’Italia, pur mantenendo stretti contatti con la madrepatria, restò sostanzialmente estranea alle vicende interne della politica itaPolo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
[46]
Marta Petricioli
liana, anche se molti giovani tornarono in patria per combattere durante
la prima guerra mondiale. Fu proprio in seno all’Associazione nazionale
ex-combattenti che un gruppo di soci fondò, nel 1921, il partito fascista. I
primi fascisti non furono bene accetti dalla comunità e la costruzione delle
organizzazioni del partito risultò molto difficile. La società locale non gradiva lo stile dei membri del partito che non corrispondeva a quello dei loro
predecessori liberali e anche le autorità consolari e i rappresentanti diplomatici non apprezzavano i nuovi venuti.
Fu solo dopo il 1926 che il fascismo cominciò ad affermarsi nella vita
politica della colonia e a partire dal 1928 la comunità si può considerare
completamente fascistizzata. Ciò fu dovuto alla perdita d’importanza della massoneria, all’attiva propaganda, condotta soprattutto nelle scuole, e
all’aumento dei mezzi finanziari di cui furono dotati i consolati e le organizzazioni assistenziali. L’opposizione organizzata era molto ridotta e alla
vigilia della guerra si calcolava fosse composta di appena un centinaio di
persone41. In effetti il sistema delle capitolazioni rendeva praticamente impossibile organizzare in Egitto un’opposizione al regime mentre dall’altra
parte del confine, in Tunisia, le organizzazioni antifasciste erano, molto attive. Se qualcuno era sospettato di essere comunista, socialista o anarchico
veniva arrestato, con l’aiuto delle autorità locali, e trasferito a bordo di una
nave diretta a un porto italiano.
Una dimostrazione spettacolare dell’organizzazione raggiunta dalle
istituzioni fasciste fu la grandiosa parata organizzata nello stadio italiano
di Alessandria in occasione della visita del re, della regina e della principessa Maria nel 193342. Persino nelle ricorrenze religiose i fascisti imposero il
loro stile: i giovani ascoltavano la messa inquadrati al pari degli altri gruppi organizzati. Allo stesso tempo ogni anno un certo numero di scolari, maschi e femmine, venivano inviati durante le vacanze nelle colonie marine
o montane dove ricevevano un’educazione fascista, rafforzavano i legami
con la madrepatria e incontravano altri giovani italiani provenienti dagli
altri paesi dove i loro genitori erano emigrati.
L’apogeo del fascismo fu raggiunto alla fine della guerra d’Etiopia, che
la colonia seguì con grande entusiasmo. Fu in quell’epoca che molti indecisi e indifferenti s’iscrissero al Fascio considerato sinonimo d’italianità. Una prova del consenso della colonia fu lo straordinario successo della
raccolta di oro per la patria che, secondo i documenti d’archivio, fruttò ben
140 kg d’oro (di cui quasi 6.000 fedi) e 310 kg d’argento, oltre a titoli, obbligazioni, assegni e denaro contante. Il tutto, contenuto in 22 cassette e 5
pacchi, fu spedito in Italia nell’aprile del 193643.
Le autorità britanniche tollerarono le organizzazioni fasciste fin tanto
che le relazioni tra i due paesi rimasero buone. La situazione cambiò dopo
l’attacco italiano all’Etiopia. Le forze militari stanziate lungo il Canale furono messe in allarme dai numerosi gruppi di fascisti organizzati che arrivavano per salutare le truppe che passavano attraverso il Canale per recarPolo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
La comunità italiana in Egitto
[47]
si in Etiopia, e invadevano le città come un esercito di occupazione44. Da
questo momento gli inglesi cominciarono a considerare gli italiani d’Egitto
come una possibile quinta colonna nell’ipotesi di uno scontro armato tra i
due paesi. Per questo motivo prepararono il cosiddetto piano Tombak45 e
compilarono una lista delle personalità da arrestare in caso di pericolo. Secondo le autorità britanniche ben 25.000 italiani appartenevano alla Lega
fascista e tra questi gli effettivi arruolati erano circa 3.00046. Data questa
situazione non fa meraviglia che gli inglesi fin dal 1936 avessero cominciato a schedare i maschi italiani di età superiore ai diciotto anni! Il primo allarme cessò nel 1937 quando Italia e Gran Bretagna firmarono il così detto
Gentlemen’s agreement ma il piano Tombak restò in vigore e nuovi nomi
furono aggiunti al primo elenco.
Un altro incubo delle autorità britanniche era costituito dalla propaganda italiana che era molto ben organizzata. Operava attraverso Radio
Bari47, che trasmetteva in lingua araba, attraverso la diffusione di opuscoli
che illustravano la politica antiaraba della Gran Bretagna in Palestina, corrompendo giornalisti egiziani, anche quelli dei giornali più importanti, primo fra tutti «Al-Ahram». Preoccupante era considerato anche il rapporto
tra i fascisti e il partito nazionalista egiziano delle Camicie Verdi.
*
* *
Dopo il periodo della non belligeranza, l’annuncio dell’entrata in guerra
dell’Italia giunse totalmente inatteso agli italiani d’Egitto. Fino all’ultimo
giorno, ambasciata e consolati avevano sconsigliato qualsiasi rimpatrio,
così che molte persone rimasero bloccate in Egitto. Solo i più pessimisti
avevano preso per tempo le opportune precauzioni per salvare i loro beni,
gli altri si limitarono a ritirare dalle banche i depositi liquidi. Per descrivere
l’atmosfera in cui la colonia visse la primavera del 1940 ricorriamo ancora
alle vivide immagini di Fausta Cialente:
Sulla metà di maggio [...] ricchi ed eleganti notabili italiani, direttori di banca o
di grandi amministrazioni, medici e avvocati, [...] avevano fatto, si disse, i conti di quanti giorni mancavano alla fine della guerra lampo [e avevano concluso]: «Fra due settimane, tre al massimo, Balbo e le sue squadriglie arriveranno
qui dalla Libia e tutto sarà terminato» [...] Ai primi di giugno partirono per le
colonie estive in Italia i bambini italiani [...] i consolati garantivano alle famiglie tranquille vacanze per i loro figli: la guerra non doveva esserci [...] Al tempo
stesso partivano i treni diplomatici che portavano via i notabili fascisti, i funzionari48. La sera della vigilia, al Cairo, i bicchieri di spumante si erano levati [...]
e il ministro [Mazzolini], un malinconico faceto, aveva detto: «Cari amici, noi ci
rivedremo prestissimo. Il tempo di arrivare fino a Roma, indossare la camicia
nera e far ritorno»49.
Polo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
[48]
Marta Petricioli
Le cose invece, per coloro che restavano, andarono molto diversamente. Inglesi ed egiziani, infatti, fin dalla notte tra il 10 e l’11 giugno, cominciarono ad applicare il piano Tombak arrestando gli uomini della colonia, a cominciare da coloro che erano stati più attivi nelle organizzazioni
fasciste. All’inizio furono arrestati 550 uomini ai quali ne seguirono altri
411 fermati nelle province. In seguito, però, il comandante in capo delle
forze britanniche in Medio Oriente, generale A.P. Wawell, chiese l’arresto
di tutti i fascisti di età compresa tra i 17 e i 55 anni, in totale si trattava di
circa altri 5.800 uomini50.
Erano migliaia di uomini e sembrarono, a chi li vide, – osservava caustica la
Cialente – pacifici pecoroni. Si lasciavano internare tranquillamente, senza mostrare paura né odio, né rivolta. Molti anzi cantavano e ridevano. Tanto la guerra doveva finire prima di Natale. Tutti sarebbero tornati a casa per Natale51.
Iniziava così un lungo calvario, che doveva terminare solo nel 1947,
sia per gli internati, che furono in maggioranza rinchiusi nel campo di
concentramento di Fayed in mezzo al deserto, sia per i loro familiari, che
si trovarono privi di ogni sostentamento a causa del sequestro di tutti i
beni della comunità e della perdita del posto di lavoro. I cittadini italiani
persero ogni capacità giuridica, le scuole statali furono chiuse e anche gli
ospedali furono sequestrati. I sussidi forniti dalla Legazione svizzera, alla quale era stata affidata la protezione della comunità, coprivano meno
di metà del fabbisogno di una famiglia media e gli operai che ancora lavoravano erano pagati metà degli altri lavoratori. Per sopravvivere molte
famiglie furono costrette a ricorrere al lavoro delle donne, anche loro mal
pagate a causa dell’offerta eccessiva. Nonostante ciò gli italiani rimasero nell’insieme fedeli al regime e continuarono a credere nella vittoria al
punto che quando arrivò la sconfitta di El-Alamein non riuscirono a spiegarsela e accusarono l’esercito italiano di tradimento.
Subito dopo l’inizio della guerra, un piccolo gruppo diede vita al movimento di azione antifascista che ottenne il permesso di aprire sezioni al
Cairo, Alessandria e Porto Said e riuscì a ottenere che tutti coloro che potevano dimostrare di aver agito con lealtà verso il paese ospitante fossero
esentati dall’internamento e dal sequestro dei beni. Il movimento antifascista, di cui Fausta Cialente fu un membro attivo, riprese la pubblicazione
del «Giornale d’Oriente» e in seguitò pubblicò altri giornali tra cui «Il Corriere d’Italia», «Libera Italia», «Giustizia e Libertà» e «Fronte Unito»52.
Sia le sofferenze patite dalle famiglie italiane sia quelle degli internati non erano conosciute in Italia. Le prime notizie arrivarono solo dopo
la sconfitta e la firma dell’armistizio nel settembre 1943. Ma il nuovo governo democratico non aveva la possibilità di prestar loro alcun aiuto.
L’Italia era un paese occupato, la guerra continuava sul territorio italiano e terminò solo nell’aprile del 1945 e il trattato di pace fu firmato solo
Polo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
La comunità italiana in Egitto
[49]
nel febbraio del 1947. Non che il governo non cercò di fare qualcosa per
gli italiani d’Egitto, ma non poteva agire direttamente perché non aveva rappresentanti ufficiali in loco e doveva operare tramite la Legazione
svizzera che rappresentava l’Italia dall’inizio della guerra. L’opposizione
più forte a ogni iniziativa italiana veniva dalle autorità britanniche a causa del loro desiderio di una pace punitiva. Molto attivo a favore degli italiani fu invece, fin dall’inizio della guerra, il delegato apostolico in Egitto,
padre Hughes, che era cittadino britannico53.
La situazione non migliorò né dopo l’armistizio, se non per la liberazione di alcuni internati, né alla fine della guerra. Neppure ai 700 bambini,
che erano partiti per le colonie estive nel giugno del 1940, fu concesso di
rientrare in Egitto: riabbracciarono i loro genitori solo all’inizio del 194654.
Gli inglesi non volevano che rientrassero in Egitto giovani fascisti indottrinati ed erano più che mai decisi a imporre all’Italia una pace punitiva.
*
* *
La vicenda della comunità italiana in Egitto sembra riproporre nel microcosmo egiziano gli stessi problemi che in quegli anni affliggevano i concittadini nella madrepatria. Un’adesione quasi generalizzata al fascismo, accentuata dalla lontananza e dall’influenza della propaganda, una crescita
del consenso in coincidenza con la guerra d’Etiopia, il dramma delle leggi
razziali, l’inganno della guerra breve e vittoriosa.
Polo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
[50]
Marta Petricioli
Note
1 Sul periodo tra le due guerre, cfr. A. Kitroeff, The Greeks in Egypt, 1919-1937: Ethnicity and
Class, Ithaca Press, London 1989.
2 Cfr. fra gli altri J.M. Landau, Jews in Nineteenth Century Egypt, New York U.P., New York
1969; G. Krämer, The Jews in Modern Egypt: 1914-1952, University of Washington Press,
Seattle 1989; M.M. Laskier, The Jews in Egypt, 1920-1970: In the Midst of Zionism, AntiSemitism and the Middle East Conflict, New York U.P., New York 1992. A. Scarantino, La
comunità ebraica in Egitto tra le due guerre mondiali, in «Storia Contemporanea», a. XII,
n. 6, dic. 1986, pp. 1033-1082.
3 D. Gérard-Plasmans, La présence française en Égypte entre 1914 et 1936. De l’impérialisme
à l’influence et de l’influence à la coopération, Éditions Darnétalaises, Darnétal 2005.
4 A. Sammarco, In Egitto, Roma 1939, e Id. L’opera degli italiani nella formazione dell’Egitto
moderno, Roma 1942. L’unica pubblicazione italiana, che aiuta a comprendere l’ambiente
nel quale gli italiani si trovavano ad agire in Egitto è il volume di B. Aglietti, L’Egitto dagli
avvenimenti del 1882 ai nostri giorni, Istituto per l’Oriente, Roma 1965. Sull’origine della comunità cfr. E. Michel, Esuli italiani in Egitto (1815-1861), Pisa 1958. A questi volumi, per un
quadro generale nel quale inserire la storia della comunità italiana, è necessario aggiungere i
volumi sulla storia dell’Egitto a cominciare dal libro di P.J. Vatikiotis, The History of Modern
Egypt, Weidenfeld and Nicolson, London 1991 (fourth edition) per finire con il volume di
M. Campanini, Storia dell’Egitto contemporaneo. Dalla rinascita ottocentesca a Mubarak,
Edizioni Lavoro, Roma 2005.
5 Archivio storico diplomatico del ministero degli Esteri (d’ora in avanti ASME), Ambasciata
Egitto (d’ora in avanti AE), busta 314, Bulkeley 5.8.1938. L’on. Francesco Ciarlantini era allora presidente della Federazione nazionale fascista dell’industria editoriale.
6 F. Cialente, Ballata levantina, Feltrinelli Editore, Milano1961; Ead., Cortile a Cleopatra,
Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1973; E. Pea, Vita in Egitto, Ponte alle Grazie, Firenze
1995. La Cialente era sposata con Enrico Terni, vice direttore della filiale del Banco di Roma
di Alessandria ma anche musicista e organizzatore di alcuni importanti eventi musicali nella
città egiziana, cfr. M. Petricioli, Oltre il mito. L’Egitto degli italiani (1917-1947), Bruno Mondadori Editore, Milano 2007, pp. 5, 153, 261-2, 271-2, 314, 453.
7 F. Cialente, Ballata levantina, cit., p. 269.
8 Ivi, pp. 293-294.
9 E. Godoli e M. Giacomelli (a cura di), Architetti e ingegneri italiani in Egitto dal diciannovesimo al ventunesimo secolo, M & M Maschietto Editore, Firenze 2008. A questo proposito
v. anche S.W. Raafat, Cairo, the glory years: Who built what, when, why and for whom…,
Hapocrates Publishing, Alexandria 2003.
10 Sull’architettura v. anche M. Volait, Le Caire-Alexandrie. Architectures européennes 18501950, IFAO, Le Caire 2001.
11 M.S. Vazzoli e G. Gariazzo (a cura di), Onde del desiderio. Il cinema egiziano dalle origini
agli anni ’70, Torino Film Festival, Torino 2001.
12 Sul cinema oltre al volume a cura di Bazzoli e Gariazzo v. Y. Thorval, Régard sur le cinéma
égyptien, L’Harmattan, Paris 1966 e Y. Thorval, Les cinémas du Moyen Orient. Iran-ÉgypteTurquie, Séguier, Paris 2000.
13 L. De Rosa, Storia del Banco di Roma, vol. II (1911-1928), Banco di Roma editore, Roma
1983; Id., Il Banco di Roma nel Mediterraneo, in L’economia italiana tra le due guerre, Comune di Roma, Roma 1984, pp. 142-47.
14 J. Schneider, La Suisse, puissance protectrice de l’Italie de 1940 à 1949, Mémoire de
licence, Université de Lausanne, octobre 2005. Schneider spiega come invece la Société
Egyptienne du Caoutchou di Alessandria di proprietà della Pirelli fosse riuscita a sfuggire
al sequestro in quanto il suo capitale era detenuto dalla Pirelli Holding SA che aveva sede
a Basilea.
15 M. Petricioli, Archeologia e Mare Nostrum. Le missioni archeologiche nella politica mediterranea dell’Italia 1898-1943, Valerio Levi ed., Roma 1990, p. 442.
16 Tra gli emigranti c’erano anche molte donne che si recavano in Egitto come balie. Sulla loro
vicenda il regista Franco Però ha prodotto un dramma dal titolo Alexandrine dal nome col
quale erano conosciute quando rientravano in Italia.
Polo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
La comunità italiana in Egitto
17
[51]
G.S. Raggi, La colonia italiana in Egitto, Relazione al ministro, 4.6.1905, in R.H. Rainero
e L. Serra (a cura di), L’Italia e l’Egitto dalla rivolta di Arabi Pascià all’avvento del fascismo
(1882-1922), Marzorati, Milano 1991, pp. 131-32.
18 L’opera di Scialoja meriterebbe uno studio approfondito per il quale è ora disponibile la
documentazione archivistica, v. P. Barucci et alii, Primo inventario dell’archivio di Antonio
Scialoja, Università di Firenze, 1976, pp. 332-366.
19 G. Calchi Novati, Le fonti del Ministero degli Esteri nella rivolta di Arabi Pascià. Il rapporto centro-periferia nella prospettiva italiana, in R.H. Rainero e L. Serra (a cura di), L’Italia
e l’Egitto dalla rivolta di Arabi Pascià all’avvento del fascismo (1882-1922), cit., pp. 17-46.
20 Gli inglesi sospettavano che Verrucci fosse una spia e lo avevano fatto espellere nel 1936.
La sua riassunzione, che sembrava dovuta alle pressioni della regina madre, era considerata
“disreputable” dall’intelligence britannica, v. PRO, WO (War Office) 208/501, extract from
DO n. SD. 40/1, del 21.12.1938 from DSO Egypt to M. 15; ivi, Annual Report 1938, vol. 23366,
J 2121/2121/16, n. 564, sir Miles Lampson, Cairo 15.5.1939.
21 Nel periodo tra le due guerre gli italiani possedevano in Egitto due quotidiani il «Messaggero Egiziano» che si stampava ad Alessandria e «L’Imparziale» che usciva al Cairo ma a
causa delle difficoltà economiche le autorità italiane decisero di pubblicare un unico giornale
il «Giornale d’Oriente» che cominciò a uscire nel 1930. Tra il 1917 e il 1920 uscì anche il «Roma» che cessò la pubblicazione in seguito alle proteste dell’alto commissario britannico, generale Allenby il quale chiese e ottenne che il suo direttore Massimo di Collalto fosse espulso
dall’Egitto per «il tono irritante e spesso ingiurioso delle critiche mosse alla politica coloniale
inglese, specie in rapporto all’Egitto» PRO, FO 141/1081/9572, Cairo 11.7.1919.
22 Oltre agli ambulatori e alle farmacie gli italiani possedevano in Egitto due ospedali: al Cairo
l’ospedale Umberto I e ad Alessandria un ospedale inaugurato nel 1923 e denominato Benito
Mussolini alla fine del 1926. Ad Alessandria esisteva inoltre la Casa di Riposo Vittorio Emanuele III che ancora sopravvive per iniziativa del dott. Franco Greco che la ha trasformata in
un centro di cultura italiana dedicato alla memoria degli italiani d’Egitto.
23 R.H. Rainero, La colonia italiana d’Egitto: presenza e vitalità, R.H. Rainero e L. Serra (a
cura di), L’Italia e l’Egitto dalla rivolta di Arabi Pascià all’avvento del fascismo (1882-1922),
cit., pp. 125 ss.; sui risultati dei censimenti egiziani cfr. D. Amicucci, La comunità italiana
in Egitto attraverso i censimenti dal 1882 al 1847, in Paolo Branca (a cura di), Tradizione e
modernizzazione in Egitto, Franco Angeli, Milano 2000, pp.81-94.
24 PRO, FO 371, vol. 20133, J 7243/191/16, n. 981 (534/28/36) Cairo 25.8.1936; ivi, vol. 1975,
n. 396, Alessandria, 18.9.1935.
25 Una personalità accusata di essere “fascista per convenienza politica” fu Edgardo Pinto del
quale però la Legazione lodava i sentimenti d’italianità e di patriottismo e le ripetute prove di
sincera fede fascista. D’altra parte la Legazione non poteva che elogiare la famiglia Pinto essendo una delle maggiori sorgenti di aiuto materiale per l’assistenza e la beneficenza italiane.
ASME, AE 1933, busta 269, Bulkley, 5.8.1833.
26 Dagli elenchi degli iscritti alla massoneria si riscontra come molti architetti e ingegneri
italiani appartenessero alle stesse logge nelle quali erano presenti i costruttori.
27 A. Mola, Le Logge “italiane” in Egitto dall’unità a fascismo, in R.H. Rainero e L. Serra (a
cura di), L’Italia e l’Egitto dalla rivolta di Arabi Pascià all’avvento del fascismo (1882-1922),
cit., pp. 187 ss.; F. Conti, Entre Orient et Occident. Les loges maçonniques du Grand Orient
d’Italie en Méditerranée entre XIX et XX siècle, in M. Petricioli (dir.), L’Europe méditerranéenne, Peter Lang, Bruxelles 2008, pp. 111-121.
28 Per questi dati cfr. V. Gnocchini, Grande archivista GOI, Logge dei paesi mediterranei
all’obbedienza di comunioni italiane fino al 1925, febbraio 2005.
29 S. Fedele, La massoneria italiana nell’esilio e nella clandestinità 1927-1939, Franco Angeli,
Milano 2005, pp. 194-195.
30 Molto utile per seguire le attività delle organizzazioni fasciste è risultato il periodico «Il
Legionario», organo dei Fasci all’estero. Anche a proposito dell’Egitto «Il Legionario» documenta le varie iniziative e le illustra con bellissime foto.
31 In Egitto gli italiani guadagnavano il doppio di quanto avrebbero guadagnato in Italia e ciò
anche perché non pagavano tasse ed erano assistiti dalle organizzazioni assistenziali italiane
che aiutavano i disoccupati, gli inabili al lavoro, le vedove e gli orfani.
32 A metà degli anni Trenta la suddivisione degli italiani per professioni e mestieri, compilata
dal console generale ad Alessandria, Fontana, era la seguente: impiegati 38.95%; operai e
Polo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
[52]
Marta Petricioli
artigiani 34.35%; industriali, commercianti e banchieri 9.10%; professionisti non laureati e
tecnici 8.13%; professionisti laureati 3.20%; religiosi 3.64%; possidenti e pensionati 1.58%;
artisti 1,05%. ASME, AE 1937, pacco 302, Console generale ad Alessandria a Legazione d’Italia, 26.9.1936.
33 A questo proposito è utile tener presente che, a differenza di quanto accadeva in Italia, gli
ebrei italiani in Egitto rappresentavano circa il 10% della comunità.
34 Con ciò vanificando in parte lo sforzo compiuto dalle autorità fasciste attraverso il “rastrellamento” col quale, minacciando di espellere i padri dal partito fascista, erano riuscite a riportare all’ovile i ragazzi che erano stati iscritti alle scuole straniere francesi, inglesi e americane.
35 F. Cialente, Ballata levantina, cit., p. 269.
36 ASME, AE, busta 319, Console generale ad Alessandria, Camerani, a Esteri, Alessandria
7.5.1939.
37 ASME, AE, busta 302, Alessandria 26.9.1936.
38 ASME, AE, busta 302, Bulkeley agosto 1936.
39 ASME, AE, busta 319, Mazzolini a console generale Alessandria, Cairo, 6.2.1939.
40 ASME, AE, busta 319, Console generale ad Alessandria, Giuriati, a Esteri, Alessandria,
2.11.1939.
41 Nel 1930, su richiesta del governo italiano, la Legazione al Cairo fece preparare un elenco
dei connazionali residenti in Egitto che professavano idee sovversive e antifasciste. Ne risultò
una lista di settanta nomi solo quattro dei quali erano ritenuti “sovversivi pericolosi”. Per
quanto riguardava la loro appartenenza politica dodici erano definiti socialisti, undici anarchici, sei comunisti, due repubblicani, cinque massoni, mentre ai rimanenti erano attribuite
generiche idee antifasciste. V. ASME, AE, busta 248, Cairo 7.3.1930; ivi, Porto Said 3.4.1930;
ivi, Alessandria 10.4.1930. Il primo nucleo antifascista, ispirato a Giustizia e Libertà si formò
ad Alessandria nel periodo della guerra d’Etiopia, v. P. Vittorelli, L’età della tempesta, Rizzoli,
Milano 1981, pp. 11-23 e 204.
42 Una dettaglia descrizione della preparazione di questo evento è fornita dalla direttrice didattica Francesca Bertorello, in ASME, AE 1933, busta 276, Bertorello a direttore generale
delle scuole all’estero, Cairo 18.4.1933. Per le foto della visita dei reali, v. «Il Legionario»,
1933, n. 10 (11 marzo), n. 12 (25 marzo) e n. 13 (1 aprile). Secondo la «Egyptian Gazette» i reali
italiani erano stati accolti da un entusiasmo pari a quello di una finale di football allo stadio di
Wembley, v. PRO, FO 371, vol. 17°28, J 773/664/16, Cairo 28.3.1933.
43 ASME, AE 193, busta 295, Cairo 24.1.1936; ivi, Cairo 18.3.1936; ivi, Cairo 31.3.1936; ivi,
Cairo 11.4.1936.
44 PRO, FO 371, vol. 19075, Console a Porto Said a Acting High Commissioner, 28.8.1935.
45 Sul Piano Tombak cfr. PRO, FO 371, vol. 19097, J 6034/4305/16, n. 1159 secret (172/283/35)
CIRO 4.10.1935. Il rapporto fu esaminato da Campbell, L.H. (Lancelot Oliphant) e S.H. (Samuel Hoare)
46 In realtà la milizia italiana non era così pericolosa come immaginavano gli inglesi anche
perché non era equipaggiata con armi moderne. Il vero rischio consisteva nei possibili atti di
sabotaggio che avrebbe potuto organizzare lungo il Canale o per far saltare le dighe.
47 Su Radio Bari cfr. D. Grange, Structure et techniques d’une propagande: les émissions arabes de Radio Bari, in «Relations Internationales», n. 2, 1974; Id., La propagande arabe de
Radio Bari, in «Relations Internationales», n. 5, 1976; C.A. Mac Donald, Radio Bari: Italian
Wireless Propaganda in the Middle East and British Countermeasures, in «Middle Eastern
Studies», May 1977.
48 Per l’elenco degli italiani autorizzati a partire vedi ASME, AE 1940, busta 335.
49 F. Cialente, Ballata levantina, cit., pp. 292-93.
50 PRO, FO 371, vol. 24605, C.R.M.E./3994/GSI, 12.6.1940.
51 F. Cialente, Ballata levantina, cit., p. 294. Nella documentazione disponibile c’è molta
incertezza sul numero degli internati. Un primo appunto della fine del 1943 riferisce che
nell’agosto del 1942 gli internati erano circa 7.000 mentre un anno dopo erano scesi a 6.210.
Ne erano stati quindi liberati circa 800, alcuni in seguito alle visite delle commissioni mediche, altri per l’intervento di personalità influenti, 250 perché avevano aderito al movimento
antifascista, e infine quelli che avevano più di 60 anni. ASME, AP (Affari Politici) Egitto 194244, busta 33, appunto senza data.
52 ASME, AP Egitto 1942-44, busta 33. A partire dall’autunno del 1940 iniziarono emissioni
radio giornaliere in italiano condotte per due anni e mezzo dalla Cialente, coadiuvata da Laura
Polo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
La comunità italiana in Egitto
[53]
Levi, v. M. De Benedetti, Gli italiani in Egitto durante la guerra, in «Domenica», 7.10.1945.
53 PRO, FO 371, vol. 37318, R 6821/6487/22, Killeran, Cairo 1.7.1943. Lord Killeran, nuovo
ambasciatore britannico al Cairo, preparò un quadro aggiornato sull’internamento dei civili.
Su questo tema intervenne anche Antony Eden, ivi, R 6487/6487/22, Foreign Office a War
Office, 27.7.1943. Nel giugno 1947 il consolato italiano al Cairo manifestò tutta la riconoscenza degli italiani d’Egitto per l’opera svolta da mons. Hughes durante la guerra, v. ASME, AP
Egitto 1942-44, busta 4, Roma 7.7.1947.
54 ASME, AP Egitto 1945, Busta 36; ivi, AP Egitto 1946, busta 2, appunto senza data.
Polo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
Scarica

La comunità italiana in Egitto