Gli asili in nel Risor fantili gimento FEDERAZIONE ITALIANA SCUOLE MATERNE REGIONE PIEMONTE Piemonte L'istruzione infantile in nazionale ento negli anni del Risorgim CONVEGNO Via Le Chiuse 30 ituto Faa' Di Bruno Ist 11 20 io gg ma 7 Sabato Rachele Lanfranchi orità Pedagogia e Ore 9.00 Saluto delle aut Ordinario di Storia della Facoltà di cia ntifi po ne zio : uca dell’Ed Ore 9.30 Introduzione ntili lium” di uxi “A ne zio uca l’Ed Scienze del «Alle origini degli asili infae e politica» Roma tra assistenza, educazion ole «Dagli asili infantili alle scu all’emergenza Redi Sante Di Pol agogia dell’infanzia: una riposta Ordinario di Storia della Ped educativa di ieri e di oggi» Università di Torino m Fis ale ion naz Luigi Morgano Presidente Segretario nazionale Fism i: ion Ore 10.00 Relaz » zione rice cat edu Ore 11.30 Saluto e premiafondate «Asili infantili e carità zia fan ll’in de ole so ios Scu Ch lle de Giorgio agogia prima del 1861 Ordinario di Storia della Ped nto me S.E.R. Cesare Nosiglia e Direttore Diparti Arcivescovo di Torino di scienze dell’Educazione ino Tor di Mostra à rsit Unive Ore 12.30 Inaugurazione imento» gazioni org Ris nel i ntil infa i «Il contributo delle congre «Gli asil religiose femminili» La situazione a Torino Cominciò Tancredi di Barolo N e alla crescita di nuove istituzioni educative per l’infanzia. La vicenda più esemplare e significativa è senza dubbio quella piemontese che vide come protagonisti gli esponenti della nobiltà e della borghesia più impegnata nelle vicende politico-sociali del tempo. Già a partire dal 1829 il marchese Tancredi Falletti di Barolo, già sindaco di Torino, aveva aperto nel suo palazzo di via delle Orfane a Torino una sala d’asilo sul modello di quelle fondate in Francia dalla Marchesa de Pastoret. Sull’esempio del marchese di Barolo alla fine del 1833 Eufrasia Valperga di Masino aprì nel proprio palazzo di via Alfieri un analogo asilo, affidato alla suore rosminiane. Un altro asilo venne aperto nel settembre 1834 a Chieri dal conte Balbiano di Viale, sempre sotto la direzione delle suore rosminiane. Tra il 1835 e il 1836 i marchesi Costanza e Roberto d’Azeglio aprirono a loro spese un asilo per bambine a Borgo Po. Il canonico Giuseppe Benedetto Cottolengo aprì nel 1833 all’interno della Piccola Casa della Provvidenza un asilo per un centinaio di bambini figli di operai e lo stesso sovrano Carlo Alberto istituì due asili, rispettivamente nel 1838 e 1840 al Bastion Verde presso le scuderie reali. Nel mese di agosto 1838 un gruppo di giovani e dinamici esponenti della Chiesa e della società civile subalpina presentarono al Re, Carlo Alberto, un’istanza per la creazione di una Società che provvedesse alla fondazione degli asili infantili in Piemonte. Molti dei firmatari dell’istanza sarebbero diventati i futuri protagonisti della vita politica costituzionale piemontese e poi di quella italiana. Ricordiamo in particolare: Camillo Cavour, Carlo Boncompagni, Cesare Alfieri di Sostegno, Felice Merlo, Federico Sclopis, Carlo Cadorna, Alessandro Pinelli, Pietro di Santarosa o futuri deputati e senatori come Maurizio Farina, Giuseppe Manno, Luigi Franchi di Pont e autorevoli ei primi decenni dell’Ottocento mutò in modo significativo la percezione dell’infanzia. Essa cominciò ad essere vista come un’età ideale per promuovere in tutti i bambini le buone abitudini che avrebbero dovuto assicurare una vita ordinata in età adulta. L’educazione e la scuola furono a tal fine giudicate strategie indispensabili. Per cogliere la novità della prospettiva con cui si guardò all’infanzia e alla scuola per i più piccoli occorre ricordare che fino a tutto il Settecento “andare a scuola” era destino riservato soltanto ai bambini che per ceto sociale erano chiamati a conseguire un titolo di studio. Si cominciò anche a ragionare a chi competesse educare (la Chiesa? lo Stato? le famiglie riunite in apposite associazioni?), a quale età era possibile inviare i figli a scuola e quali fossero i metodi educativi più efficaci. Il gran numero di bambini piccoli lasciati a se stessi o in custodia ai fratelli più grandi o a qualche anziana nonna, bambini che spesso crescevano in mezzo all’ignoranza, alla scarsa igiene e ai vizi degli adulti (in particolare l’ubriachezza dei genitori), spinse alcuni filantropi e benefattori a predisporre apposite “scuolette” destinate alla loro custodia ed educazione. Sono queste le prime iniziative di asilo infantile avviate agli inizi dell’Ottocento in Inghilterra e in Francia. Un’altra diffusa convinzione era quella che si dovesse insegnare a leggere e a scrivere il più presto possibile. La ragione è molto semplice: arrivati all’età di 8-9 anni i bambini delle famiglie povere dovevano cominciare a imparare un mestiere ed erano perciò inviati in qualche bottega artigiana. Di scuola si poteva dunque parlare fino a quell’età, poi le vicende della vita portavano da un’altra parte. Più presto si imparava a leggere e a scrivere e più sicuro era che si sfuggisse all’ignoranza. E’ in questo contesto che anche a Torino si cominciò a parlare di asili. La realtà della capitale sabauda in quei decenni non era certamente comparabile con quella di Manchester, di Londra o di Parigi. La città contava ancora poche attività manifatturiere e il fenomeno dell’urbanesimo dei contadini monferrini, biellesi, eporediesi era al momento abbastanza circoscritto. Il numero dei bambini era, invece, in rapido aumento in seguito alla diffusione della pratica della vaccinazione antivaiolosa e alla fine delle guerre napoleoniche che, insieme alla distruzione, avevano portato epidemie e morte. Ampia documentazione su quale fosse la condizione dell’infanzia a Torino e su come si potesse migliorarne l’educazione si trova in un volumetto del marchese Carlo Tancredi di Barolo intitolato «Sull’educazione della prima infanzia nella classe indigente». Il marchese era convinto che «un soccorso bene ordinato in favore dell’infanzia serve in seguito a risparmiare tante altre limosine a pro di madri senza lavoro, di giovani senza mestiere, di persone inette o traviate e d’altre indisposte, deboli o malaticce», contribuendo inoltre «all’abolizione della mendicità, al miglioramento della morale pubblica e alla vera prosperità dello Stato». Forte di queste convinzioni il marchese aprì di propria iniziativa nel palazzo di famiglia di via delle Orfane la prima scuola infantile nella capitale in una data compresa tra il 1828 e il 1830 (verisimilmente più vicino a questa seconda).Vi erano ospitati circa 200 “fanciulletti” di cui si occuparono, dopo il 1834, le suore di Sant’Anna, una congregazione religiosa voluta dal marchese Tancredi proprio per provvedere alle attività delle Continua a pagina III Continua a pagina IV Un'opera assistenziale-educativa dalle precise finalità culturali, sociali e politiche Asili infantili e Risorgimento N Redi Sante Di Pol el messaggio inviato in occasione delle celebrazioni per l’Unità d’Italia, Benedetto XVI ha sottolineato che la Nazione italiana aveva già da secoli trovato una sua unità nella lingua e nel comune sentire dato dalla religione cattolica. «Il processo di unificazione avvenuto in Italia nel corso del XIX secolo e passato alla storia con il nome di Risorgimento», scrive il Papa, «costituì il naturale sbocco di uno sviluppo identitario nazionale iniziato molto tempo prima. In effetti, la Nazione italiana, come comunità di persone unite dalla lingua, dalla cultura, dai sentimenti di una medesima appartenenza, seppure nella pluralità di comunità politiche articolate sulla penisola, comincia a formarsi nell’età medievale. Il Cristianesimo ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell’identità italiana attraverso l’opera della Chiesa, delle sue istituzioni educative ed assistenziali, fissando modelli di comportamento, configurazioni istituzionali, rapporti sociali […] La comunità politica unitaria nascente a conclusione del ciclo risorgimentale ha avuto, in definitiva, come collante che teneva unite le pur sussistenti diversità locali, proprio la preesistente identità nazionale, al cui modellamento il Cristianesimo e la Chiesa hanno dato un contributo fondamentale». La costituzione e il rafforzamento dell’identità nazionale italiana sono stati, quindi, una premessa necessaria ed impegnativa per arrivare all’unità dello Stato italiano. A questa azione, meglio conosciuta come Risorgimento, non solo politico, ma anche culturale e morale, hanno concorso intellettuali e politici, laici e religiosi ed una pluralità di istituzioni. Fra queste ultime gli asili infantili (diretti antenati delle nostre scuole dell’infanzia) hanno svolto un ruolo significativo sia come stimolo per la partecipazione della società civile alle sorti della Nazione, sia come canale privilegiato di diffusione, anche fra i ceti popolari, della ritrovata identità nazionale, basata sulla lingua italiana e sui fondamenti della morale cattolica. L’apertura a Cremona nel 1828 del primo asilo infantile per opera dell’abate Ferrante Aporti e in Piemonte a Rivarolo Canavese nel 1837 per opera del sindaco Maurizio Farina, sono episodi che non possono essere ridotti ad una, seppur meritoria, opera assistenziale-caritativa, ma ebbero una precisa finalità culturale, sociale e politica. Il metodo aportiano ruotava attorno all’educazione linguistica condotta con il metodo dimostrativo, Il metodo dell'Aporti: l'obiettivo è la formazione del buon cristiano e del cittadino e all’educazione religiosa e morale, basata sulla conoscenza dei fondamenti della religione cattolica e dei momenti forti della storia della Rivelazione, ed aveva come finalità la formazione fin dall’infanzia del buon cristiano e del futuro responsabile cittadino della Nazione italiana che andava “risorgendo”. A conferma di questa interconnessione tra educazione infantile e impegno socio-politico va ricordato che i maggiori promotori degli asili infantili in Italia furono anche i protagonisti della politica nazionale risorgimentale. Basti pensare al doppio ruolo svolto da alcuni protagonisti delle vicende risorgimentali, politici impegnati, ma anche attenti alla nascita Giorgio Chiosso II Domenica 8 Maggio 2011 Il Piemonte sabaudo all’avanguardia Rivarolo esempio per tutti Riccardo Poletto L’asilo infantile «Maurizio Farina» di Rivarolo Canavese iniziò ufficialmente la sua attività il 1° luglio del 1837 proponendosi di «concorrere al benessere e all’educazione dell’infanzia massima indigente di questo borgo col procurare un luogo di sicura custodia ai piccoli fanciulli d’ambo i sessi e di ogni condizione per tutte le ore della giornata in cui i loro parenti non potessero attenderli, ed ivi dar loro quell’educazione e quell’istruzione di cui è suscettiva l’età infantile». Fu il primo asilo aportiano sorto nel Regno di Sardegna e nacque grazie alle intuizioni e alle opere di due persone che hanno segnato profondamente la storia della città di Rivarolo. Il fondatore fu il senatore Maurizio Farina (Rivarolo 1804-Torino 1886), al quale l’istituzione fu intitolata nel 1887. Di famiglia benestante, poco più che ventenne frequentò gli ambienti liberali lombardi e conobbe l’abate Aporti, del quale diventò ben presto amico, come attesta il ricco scambio epistolare tra i due personaggi. Maurizio Farina aveva visitato le scuole infantili, fondate dall’abate Aporti a Cremona e, già nel 1835, colpito dalla loro organizzazione e utilità, avevca pensato di fondarne una anche a Rivarolo. L’idea di una scuola infantile trovava infatti, a Rivarolo, un ambiente recettivo e sensibile grazie all’opera di Madre Antonia Verna (Rivarolo 1773– 1838) una donna di origini contadine che aveva intuito come l’ignoranza fosse una povertà più grave dell’indigenza materiale e che, per tutta la vita, si era dedicata all’educazione e alla promozione umana e sociale delle classi più umili. Madre Antonia Verna accolse la proposta del giovane sindaco, vedendovi lo sbocco istituzionale della sua azione più che trentennale finalizzata all’educazione e all’istruzione dei piccoli. Fu così che due suore di Rivarolo, a spese di Maurizio Farina, furono inviate a Milano, presso la parrocchia di Santa Maria Segreta, dove il parroco, don Pietro Zezi, aveva aperto un asilo aportiano, per imparare e sperimentare il nuovo metodo di insegnamento. Al ritorno delle due suore, il 1° luglio (o il 17 luglio secondo alcuni studiosi) aprì i battenti il primo asilo aportiano del Piemonte, la maestra era suor Gaetana Cresto, mentre Madre Antonia Verna, umilmente, si pose al servizio della giovane consorella e, fino a pochi giorni dalla morte, avvenuta il giorno di Natale del 1838, segnò le presenze dei bambini sul registro della scuola. I riconoscimenti e le approvazioni ufficiali vennero in seguito, infatti Maurizio Farina si era mosso contando solo su un assenso verbale e neppure troppo esplicito del conte di Pralormo, allora ministro degli Interni, mentre si era assicurato l’appoggio incondizionato dei parroci rivarolesi e del vescovo di Ivrea. Nell’agosto del 1837 fu fondata una “società di azionisti” per raccogliere fondi a favore della scuola infantile e, quando il conte di Pralormo approvò esplicitamente, per lettera, la nuova opera, Farina compilò un regolamento che fu prima approvato dal consiglio comunale di Rivarolo il 1° dicembre 1838 e solo il 4 maggio del 1839 ottenne anche l’approvazione regia. Indubbiamente l’iniziativa riscosse un notevole e immediato successo, non solo tra i poveri, ma anche nelle fasce più agiate della popolazione rivarolese. Nel maggio del 1838 frequentavano 70 bambini fra maschi e femmine e il parroco di San Michele, don Severino Verna, scriveva a Maurizio Farina che le maestre non si risparmiavano in nessuna fatica ed avevano già ottenuto lusinghieri risultati con i bambini. Da parte sua, nel febbraio del 1839, Farina così scriveva ad Aporti: «A Rivarolo le cose vanno assai bene quanto allo spirito della istituzione; essa ha già messo profonde radici nell’animo di quella popolazione, ...colà il povero come il ricco e il ricchissimo, artigiani, coloni o nobili, tutti vogliono mandare i bimbi all’asilo; se avessi un locale bastantemente grande e più di tutto se avessi le maestre necessarie si potrebbe forse già a quest’ora raccogliere giornalmente più di 250 o 300 fanciulli in due distinte scuole; invece non erano che 120 gli iscritti sul registro di intervento». L’asilo divenne immediatamente punto di riferimento per tutti coloro che volevano aprire istituzioni simili in città e paesi del Regno sardo piemontese. Questo fenomeno non si limitò a pochi anni dopo la fondazione, ma durò nel tempo e ancora nel 1871 si chiedevano informazioni di questo tipo. Una lapide sulla facciata di palazzo Farina ricorda la visita compiuta nel luglio del 1838 da alcuni (non ancora) illustri personaggi all’asilo infantile di Rivarolo. La lapide riporta 26 nomi, tra cui Camillo Benso di Cavour, Carlo Bon Compagni di Mombello, Carlo Cadorna, Pier Dionigi Pinelli, Federico Sclopis, Cesare Alfieri di Sostegno, Cesare Saluzzo di Monesiglio. Dopo la visita all’asilo, questi personaggi, nelle sale si palazzo Farina, misero a punto la petizione a Re Carlo Alberto, datata 3 agosto 1838, per l’apertura delle scuole infantili in Torino. Il 24 marzo 1839, grazie ai buoni uffici del marchese Michele Benso di Cavour, padre di Camillo, Carlo Alberto diede l’assenso per la costituzione delle Società per l’instituzione delle scuole infantili e pel patrocinio degli alunni e il 18 dicembre 1839 fu aperto a Torino un asilo aportiano, in via della Rocca, con due suore rivarolesi come maestre. Nel 1841 il Comune di Rivarolo cedette all’asilo i diritti su alcuni terreni per garantirne la sussistenza e nel 1843 la nuova istituzione venne riconosciuta opera pia. In quegli anni si verificò anche un graduale distacco tra la congregazione e l’asilo, che divenne definitivo nell’agosto 1845 quando a reggere la scuola, ancora ospitata nella casa delle suore, furono chiamate solo maestre laiche. Nel 1870 il comune di Rivarolo decise di costruire un nuovo edificio per l’asilo infantile: il 9 luglio 1871 il Comune consegnò i nuovi locali in godimento gratuito e perpetuo alla direzione dell’asilo e il giorno stesso i bambini presero possesso della loro nuova scuola che, nel 1887, fu intitilota al suo fondatore Maurizio Farina. Nel 1920, su proposta del presidente dell’ente, don Stefano Nida, le suore di madre Antonia Verna tornarono come maestre nell’asilo infantile «Maurizio Farina», dove ancora oggi, accanto alle insegnanti laiche, mantengono una fruttuosa e provvidenziale presenza. Oggi la scuola materna «Maurizio Farina» continua a esercitare la sua funzione educativa caratterizzata, come volle il fondatore, da apertura verso tutte le componenti della popolazione, senza alcuna distinzione. La validità di questo servizio è riconosciuta ufficialmente anche dal Comune di Rivarolo che, fin dal 1987, ha stipulato una convenzione con la scuola materna, considerandola a tutti gli effetti paritaria con quella pubblica e prevedendo quindi adeguati finanziamenti per realizzare effettivamente la parità. e t a d n o f a i z n a f n i ’ l l e d e l e Scuo v i t t a a r o c n a FEDERAZIONE ITALIANA SCUOLE MATERNE REGIONE PIEMONTE 1 6 8 1 l e d a prim 1829 - TORINO - Scuola dell’Infanzia Paritaria “Sant'Anna” 1837 - RIVAROLO CANAVESE (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Maurizio Farina” 1838 -TORINO – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Vittorio Emanuele II” 1840 - VERBANIA – Scuola dell’infanzia Paritaria “Asilo Infantile di Intra” 1840 - NOVARA – Scuola dell’infanzia Paritaria “San Lorenzo” 1841 -ALESSANDRIA – Scuola dell’infanzia Paritaria “Asili Infantili Riuniti” 1841 - SALUZZO (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Regina Margherita” 1842 - AGLIE’ (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Regina Maria Cristina” 1842 - BIELLA – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Biella-Piano 1842 - PINEROLO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Umberto I” 1843 - CAMBIANO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Asili Riuniti Cambiano e Gribaudi” 1843 - IVREA (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Opera Pia Moreno” 1844 - BRA (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Sant’Antonino” 1845 - CRESCENTINO (VC) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Crescentino 1846 - CIRIE’ (TO) – Scuola dell’infanzia Paritaria “Luigi Chiariglione” 1846 - CUNEO – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Asilo Infantile Cattolico Centrale” 1846 - LUSERNA SAN GIOVANNI (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Luserna 1846 - SAN GIORGIO CANAVESE (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Carlo Botta” 1846 - VALENZA (AL) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Opera Pia Pellizzari” 1847 - ALBA (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Città d’Alba” 1847 - CASELLE T.SE (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “La Famiglia” 1847 - CHIERI (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Sant’Anna” 1847 - DRONERO (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Opere Pie Droneresi” 1847 - VERCELLI – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Scuole Cristiane” 1848 - CALUSO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Giovanni Guala” 1848 - SORDEVOLO (VC) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Istituto Ambrosetti” 1848 - STRAMBINO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Gian Battista Bonafide” 1849 - CHIVASSO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Beato Angelo Carletti” 1849 - GRUGLIASCO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Casa di Maria” 1849 - PEROSA ARGENTINA (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Sacro Cuore” 1849 - VENARIA REALE (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Gian Battista Buridani” 1850 - ACQUI TERME (AL) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Carla e Angelo Moiso” 1850 - CAVALLERMAGGIORE (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Borrone” 1850 - MONCALVO (AT) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Fratelli Camossi” 1850 - NARZOLE (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Asilo Infantile di Narzole” 1850 - RIVOLI (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Centro” 1850 - SAN SALVATORE MONFERRATO (AL) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “San Giuseppe” 1851 - RIVALTA (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Giuseppe Bionda” 1852 - MALESCO (NO) - Scuola dell’Infanzia Paritaria “Trabucchi” 1852 - SAN SECONDO DI PINEROLO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “San Secondo” 1852 - SCARNAFIGI (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “San Vincenzo” 1852 - TORINO – Scuola dell’Infanzia Paritaria “San Massimo” 1852 - TORINO – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Stefano Bonacossa” 1853 - DOMODOSSOLA (VB) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Antonio Rosmini” 1853 - LEINI’ (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Vittorio Ferrero” 1853 - STRESA (VB) - Scuola dell’Infanzia Paritaria “Marzio Ostini” 1853 - TORINO – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Sacra Famiglia” 1854 - BRICHERASIO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Serena” 1854 - RACCONIGI (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Giovanni Ribotta” 1855 - CAVAGLIA’ (BI) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Alfonso Tua” 1854 - SAN DAMIANO D’ASTI (AT) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di San Damiano 1855 - VILLAFRANCA PIEMONTE (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Villafranca Piemonte 1857 - BIELLA (BI) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Favaro 1857 - MONCALIERI (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Umberto I” 1858 - BUSCA (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Don Michele Severino Bechis” 1858 - CARAGLIO (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Caraglio 1858 - VINOVO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Luigi Rey” 1859 - BIANZE’ (VC) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Bianzè 1859 - GIAVENO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Beata Vergine Consolata” 1860 - BELLINZAGO NOVARESE (NO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “De Medici” 1860 - BORGO D’ALE (VC) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Borgo d’Ale 1860 - ORBASSANO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Don Giordana” 1861 - BUTTIGLIERA D’ASTI (AT) – 1861 - CANDIOLO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Elisa Villa di Montpascal” 1861 - ROMANO CANAVESE (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Romano Canavese 1861 - VILLANOVA D’ASTI (AT) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Giuseppe Pittaluga” FEDERAZIONE ITALIANA SCUOLE MATERNE REGIONE PIEMONTE III Domenica 8 Maggio 2011 Nel tondino qui sotto,Carlo Boncompagni e nel dipinto a destra, la Marchesa Giulia Colbert di Barolo. Sotto, un periodico dell'epoca e, a sinistra, nell'immagine piccola, l'ingresso dell'asilo infantile «Maurizio Farina» La prima fondazione a casa della Marchesa Giulia Colbert di Barolo Estrema povertà sfida per i nobili Risorgimento e gli asili infantili Segue da pagina I esponenti del clero vicini alle posizioni liberalcattoliche, come il canonico del Corpus Domini, Lorenzo Renaldi, e il parroco della SS. Annunziata, Luigi Fantini, che alla fine degli anni ’40 divennero vescovi rispettivamente di Pinerolo e di Fossano. Quando la Società degli asili infantili di Torino fu istituita vennero eletti presidente e segretario rispettivamente Carlo Boncompagni, futuro ministro della Pubblica istruzione ed autore nel 1848 della prima importante riforma scolastica che da lui prese il nome, e Camillo Cavour, futuro capo del governo del Regno di Sardegna e del primo governo nazionale dell’Italia unità. Di fronte alle critiche e alle riserve avanzate da alcuni esponenti del mondo politico e religioso più conservatore, come il ministro di Carlo Alberto, Clemente Solaro della Margherita, o l’arcivescovo di Torino, Luigi Fransoni, Carlo Boncompagni nel suo libro «Delle scuole infantili», apparso nel 1839, sostenne l’utilità degli asili aportiani non solo dal punto di vista assistenziale e caritativo, ma soprattutto nella loro dimensione pedagogica e civile. «Chi propone l’istituzione delle scuole infantili», sosteneva Boncompagni, «propone un’opera di carità. I fanciulli educati alla religione, alla sincerità, alla bontà, lasciarono fondata speranza di vedere le plebi, di mano in mano che il benefizio di quelle istituzioni si renderebbe universale, migliorarsi e guarirsi dalle male abitudini che le fanno infelici ed abbiette. E’ opinione volgare, ma è grande errore il credere che l’infanzia sia inetta a pensare, a giudicare, a ragionare. I più credono così perché essi vedono che l’infanzia non pensa, non giudica, non ragiona nello stesso modo che l’età adulta. Questo errore si dilegua, quando si consideri quante cose un fanciullo impari dai diciotto mesi insino ai sei anni». Apprendimento della lingua nazionale e trasmissione dei principi e dei valori della tradizione cattolica erano anche per Ferrante Aporti le basi su cui innestare l’educazione della prima infanzia e quindi le basi del processo formativo delle future generazioni. Rivolgendosi ai politici, agli amministratori locali, ma soprattutto alla società civile più avvertita, il sacerdote lombardo, ormai esule a Torino, nel 1854 invitava a sviluppare la rete delle scuole infantili come un investimento per rafforzare l’identità nazionale attorno alla diffusione lingua italiana e alla interiorizzazione della fede cristiana, intesa anche come fenomeno culturale. «Abituati i fanciulli dall’età più tenera in cui non si possono dire periti ancora di nessuna lingua, alla lingua italiana, meglio penetrano i primi rudimenti della storia sacra che è fondamento e illustrazione alla divina rivelazione, del catechismo cattolico, e si avviano alla intelligenza dei libri, e più facilmente si addestrano a raccogliere, coordinandole in classi ben distinte e connesse, le cognizioni relative a ciò che sarà sempre vergogna ad ogni uomo fatto a somiglianza di Dio che è verità, bontà e santità, lo ignorare». L’esempio dei religiosi e dei laici che nella prima metà dell’Ottocento promossero la diffusione dell’istruzione infantile in un’ottica di solidarietà religiosa e civile attraverso la libera iniziativa della società civile non deve, oggi, essere considerato un modello obsoleto, come se quelle iniziative, quelle scuole rappresentassero solo un fenomeno di supplenza e di marginalità sociale. Bensì fu la testimonianza della capacità di superare da un lato l’individualismo e dall’altro le rigidità burocratiche stataliste da parte di un modello educativo e sociale improntato al principio della libertà e della sussidiarietà. Redi Sante Di Pol Sr Felicia Frascogna SSA L’impegno del Marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo in campo educativo si situa tra la seconda metà degli anni Venti ed il decennio successivo. Un settore nel quale operò con grande interesse e passione fu la prima infanzia, con la creazione, 182 anni fa a Torino, nel Palazzo Barolo, delle sale d’asilo per bambini: maschi e femmine, dai due anni e mezzo ai sei. Clima socio-culturale. Per capire la necessità degli asili durante il periodo della Restaurazione e del Risorgimento, basta conoscere la condizione dell’infanzia del ceto popolare in quel tempo. L’estrema povertà in cui vivono numerose famiglie si manifesta nella pessima alimentazione, nell’assenza di igiene, nella residenza in abitazioni malsane. Oltre a ciò, i genitori sono costretti a lavorare anche 12 ore al giorno per sopravvivere con il conseguente abbandono dei bambini più piccoli condannati a rimanere soli in casa o costretti a vagare per le strade indifesi dal freddo, dai pericoli e dagli infortuni. Il Barolo si domanda preoccupato: «Chi si dovrà prendere cura di questi poveri bambini?». Le iniziative già realizzate a favore dei piccoli, da parte di persone generose, non sono sufficienti ai bisogni e sono di tipo assistenziale. Per il Marchese di Barolo l’infanzia non va soltanto custodita e assistita, ma educata. L’opuscolo da lui scritto, «Sull’educazione della prima infanzia nella classe indigente», dedicato alle persone caritatevoli, evidenzia già nel titolo la motivazione che lo spinge ad istituire la prima sala d’asilo in Piemonte e qualche anno dopo la congregazione delle Suore di Sant’Anna. Egli è convinto che «un soccorso ben ordinato a favore dell’infanzia serve in seguito a risparmiare tante altre limosine a pro di madri senza lavoro, di giovani senza mestiere, di persone inette o traviate, d’altre indisposte deboli, malaticcie», contribuendo così «per vie direttissime all’abolizione della mendicità, al miglioramento della morale pubblica ed alla vera prosperità dello Stato». E’ inoltre consapevole che i ceti aristocratici devono uscire dal loro egoismo di casta per impegnarsi a promuovere con tutti i mezzi a disposizione la rigenerazione sociale e morale delle masse popolari. I motivi di natura socio-politica in Tancredi e nella sua moglie sono sostenuti e giustificati dalla fede religiosa che vede ogni persona come “immagine di Dio”, redenta da Cristo e pertanto di un valore infinito. Fondazione della prima sala d’asilo, 18291830. La Marchesa Giulia, fin dal 1825 occa- sionalmente ospita a Palazzo Barolo ed assiste gruppi di bimbi, in forma familiare e privata per periodi più o meno lunghi, come si evince da alcune lettere di A. de Lamartine a Giulia. Questa esperienza spiega perché alcuni autori, tra i quali C. Boncompagni, facciano risalire al 1825 l’apertura delle sale d’asilo Barolo. Col passar del tempo, A Torino 182 anni fa l’inizio di una storia che dura anche oggi i bambini aumentano ed il Marchese Carlo Tancredi interviene organizzando una vera e propria scuola. Fa ristrutturare nel proprio palazzo gli ambienti per adattarli all’accoglienza di cento bambini, maschi e femmine e, a cavallo degli anni 1829-1830 è organicamente definita anche la programmazione, per cui dalla forma occasionale si passa ad una struttura ben pianificata. Le sale d’asilo a Palazzo Barolo divengono un luogo educativo fidato, i bambini sono ospitati per l’intera giornata, onde «sottrarli ai pericoli e patimenti corporali come pure ai cattivi esempi ch’essi sogliono incontrare con procurar loro invece una buona educazione primaria sì fisica onde sviluppare le loro forze, ed antivenire a tanti malanni frutti di un’infanzia abbandonata, sì morale onde infondere i principi di religione ed imprimere le pratiche in quelle menti tenerissime, l’insegnamento viene considerato come mezzo per avvezzare l’infanzia a qualche applicazione che poi avrà cominciamento nelle vere scuole della puerizia. Esso è ridotto al conoscere le lettere e i numeri, a sillabare, ed a qualche piccolo lavoro manuale, premesso sempre il catechismo, colle principali preghiere della nostra S. Religione». Parte integrante del programma è l’ascolto della storia sacra, la cui spiegazione è accompagnata da immagini visive mostrate e spiegate secondo il metodo oggettivo: vedere, toccare e ripetere. Anche il canto di lodi adatte all’età e soprattutto molto gioco sia libero che guidato sono considerati mezzi di crescita fisica e morale. E’ suggerito anche l’uso di qualche strumento musicale per accompagnare i canti. Il Barolo presenta così un quadro educativo declinato sulla spontaneità e l’allegria, sulla gaiezza e quasi si direbbe su un certo lieto disordine, come in una normale famiglia. L’attività educativa dell’asilo è positiva, i bambini iscritti sono numerosi e nel 1834, il Marchese progetta di aprire una seconda sala d’asilo per altri cento bambini. E dalle sale d’asilo alle suore di Sant’Anna il passo è breve. L’istituto viene fondato dai Marchesi di Barolo per garantire una presenza educativa qualificata sia nelle sale d’asilo, sia nelle scuole, che essi intendono fondare nei villaggi e paesi poveri, per l’istruzione e la formazione cristiana dell’infanzia e della gioventù appartenenti a famiglie bisognose. Seguono questo gesto di spontanea generosità educativa la contessa Eufrasia Valperga di Masino, che nel 1833 apre una sala d’asilo nel proprio Palazzo; nel 1838 il re Carlo Alberto apre due classi d’asilo presso le scuderie reali ed invita le suore di S. Anna per l’insegnamento; nel 1844 la Regina M.Teresa apre un asilo a Borgo Dora e lo affida alle suore di Sant’Anna. Nel 1864, dopo la morte di Giulia, l’asilo viene trasferito da palazzo Barolo in via della Consolata, nella casa delle suore di Sant’Anna, dove continua ancora oggi ad accogliere ed educare un elevato numero di piccoli. Tancredi ha fedelmente adempiuto il messaggio evangelico «lasciate che i fanciulli vengano a me», ed è stato per tanti bambini un tenero padre, Lui, privo di figli propri. IV Domenica 8 Maggio 2011 Le congregazioni femminili che nell'800 si dedicarono all'infanzia Vite di suore verso gli ultimi Rachele Lanfranchi O ggi risulta anacronistico parlare delle religiose come donne con la “testa fasciata” o con il “paraocchi”, perché siamo lontani dal ricordare o dall’aver conosciuto gli abiti che esse indossavano nell’Ottocento fino alla metà del Novecento. Anzi, oggi molte di loro non portano una divisa e a prima vista non si sa se siano religiose. Bisogna cercare un segno che palesi la loro identità: una croce al collo, un distintivo sul risvolto della giacca, oppure un anello che richiami la croce. Tuttavia, al di là dell’abito che poteva suscitare ironia, sta di fatto che le religiose furono sensibili a captare le nuove povertà dovute a più fattori, in particolare all’incipiente rivoluzione industriale con gli effetti dell’urbanesimo, delle trasformazioni sociali ed economiche. Nella prima metà dell’Ottocento si assiste alla ricerca di una nuova via alla vita religiosa. Infatti, dopo la crisi delle vecchie forme claustrali e le soppressioni compiute dai governi rivoluzionari, dal Codice Napoleone, si fa strada la concezione che colloca al vertice dello stato di perfezione non più la contemplazione, bensì la carità operosa verso il prossimo. In tal modo i nuovi istituti religiosi operano nel mondo per lenire le sofferenze dei singoli e i mali della società soprattutto a vantaggio dei più deboli, degli emarginati, degli esclusi. È in tale contesto che molte congregazioni femminili aprono asili infantili o ne accettano la conduzione e la direzione. Quali e quante congregazioni femminili operarono negli asili infantili del Piemonte negli anni del Risorgimento? Va subito detto che non è possibile dare una risposta precisa, perché ciò comporta un lavoro di ricerca basato su documentazione e richiede tempi lunghi. Inoltre si potrebbe rispondere con una battuta che circola tra i religiosi in cui si dice, non suoni irriverente, che neppure il Padre eterno sa che cosa pensano i gesuiti, dove prendono i soldi i salesiani per le loro opere e quante sono le congregazioni femminili… Qui si prendono in considerazione solo quelle che operarono in Piemonte nella prima metà dell’Ottocento e, precisamente, fino al 1861, anno della proclamazione del Regno d’Italia. Si tratta di congregazioni la cui presenza negli asili infantili è certa per aver avuto un riscontro a richieste precise. Probabilmente, anzi sicuramente, alcune congregazioni non saranno menzionate: da loro si attendono notizie per completare la presentazione che risulta, purtroppo, parziale. Con quale ordine procedere? Tra i possibili criteri scegliamo quello di elencare le congregazioni in ordine alfabetico. Fedeli compagne di Gesù Sono fondate da Marie MadeleineVictoire de Bengy nel 1820 ad Amiens, Francia, per l’educazione delle ragazze. Carlo Alberto di Savoia, sentendo parlare molto bene del loro metodo educativo, invita M. Madeleine Victoire a fondare scuole in Piemonte. Nel gennaio del 1836 la fondatrice e una consorella iniziano la loro opera educativa a Torino, nella sala d’asilo predisposta dal Marchese d’Azeglio per le suore. Figlie della carità di San Vincenzo De’ Paoli della Provincia di Torino Fondate nel 1633 da S.Vincenzo De’ Paoli e S. Luisa de Marillac per servire Cristo nei fratelli più poveri, sono in Italia nei primi decenni dell’Ottocento e la loro principale attività è la cura dei malati negli ospedali.Tuttavia, accanto ad ogni ospedale sorge un asilo: 1832 a Sommariva del Bosco (Cn); 1842 a Grugliasco (To); 1850 a Torino, dove si trovano ad operare dal 1837 quando Carlo Alberto consegna loro le chiavi del convento di San Salvario; 1852 a Torino, via Nizza ed altri. E’ interessante sapere che poco prima del 1850 a San Salvario si apre un “incunabolo”, l’asilo nido del tempo, che accoglie bambini da pochi mesi fino ai tre anni mentre le madri del borgo, per lo più operaie, sono al lavoro. con il contributo di Figlie di Nostra Signora della misericordia Fondate da S. Maria Giuseppa Rossello nel 1837 per l’educazione della fanciulle povere e con fondazioni prevalentemente in Liguria, aprono due asili infantili in Piemonte e precisamente a Spigno Monferrato (Al) nel 1851 e a Strevi (Al) nel 1860. Madri pie Il 5 luglio 1826, per desiderio del marchese Giacomo Spinola, giungono ad Ovada (Al) alcune religiose provenienti dalla Liguria dove Nicoletta Gatti a Sampierdarena aveva iniziato un’opera per l’educazione gratuita delle fanciulle del popolo, riconosciuta nel 1754. La comunità delle suddette suore si sviluppa autonomamente dall’istituto di origine e dà vita a una congregazione autonoma di Madri pie che, nel 1829, aprono in Ovada un convitto e un asilo infantile. Suore della Provvidenza rosminiane Fondate nel 1832 dal beato Antonio Rosmini sono subito chiamate in molte parti del Piemonte: 1833, a Torino; 1840 a Biella; 1843 a Cavour (To); 1849 a Stresa allora in provincia di Novara; 1850 a Occhieppo Superiore (Bi); 1853 a Candelo (Bi) e a Malesco (No); 1855 a Cavaglià (Bi); 1856 a Gaglianico (Bi); 1857 a Stupinigi (To) e a Vigone (To); 1859 a Biella Piazzo; 1860 a Castagnole. Suore della carità dell’Immacolata concezione–Ivrea (Suore immacolatine d’Ivrea) Fondate nel 1828 da Antonia Maria Verna, che sarà beatificata entro l’anno, aprono a Rivarolo (To) il primo asilo infantile aportiano appoggiate da Maurizio Farina sindaco del luogo. Proprio a Rivarolo l’11 marzo 2011 si è inaugurata la prima Stele sugli itinerari alla scoperta dei segni, dei personaggi, delle storie e dei luoghi del Risorgimento in provincia di Torino, quasi a sottolineare l’importanza dell’avvio dell’asilo nel lontano 1837. Le suore sono poi chiamate in molti altri centri. Suore di San Giuseppe Giungono da Chambéry a Torino nel 1821 per interessamento della marchesa Giulia Falletti di Barolo. Sorgono poi altre congregazioni di San Giuseppe: nel 1825 quelle di Pinerolo (To); 1831 quelle di Cuneo. Le Suore di Pinerolo aprono ivi un asilo nel 1832; a Torre Pellice (To) nel 1848; a Torino e a Chieri (To) nel 1855; a Villafranca P.te (To) nel 1857. Le suore di Cuneo assumono la direzione dell’asilo di Borgo San Dalmazzo (Cn) nel 1857. Suore di Sant’Anna Fondate nel 1834 dai Marchesi Barolo di Torino per la conduzione della sala d’asilo aperta nel loro palazzo nel 1830, sono seguite per una formazione religiosa e culturale a vantaggio dell’educazione infantile. Per volere del re Carlo Alberto nel 1838 assumono l’insegnamento e la direzione di due classi d’asilo presso le scuderie reali; nel 1844 insegnano nell’asilo a Borgo Dora aperto dalla regina Maria Teresa; nel 1856 insegnano presso l’Asilo di Bra (Cn). La scarna successione di anni e luoghi non dà la misura di quanto le congregazioni religiose femminili abbiano contribuito ad educare un numero considerevole di bambini/e, specie del ceto popolare. Dietro date e luoghi è necessario vedere volti, atteggiamenti di donne che spendono la vita per figli di altri, insegnando loro a parlare la lingua italiana, a sapersi muovere con ordine, rispettare le norme, certe che vale la pena donare il meglio di sé per avviare a pienezza umana e cristiana gli uomini e le donne di domani. il patrocinio gratuito di e la collaborazione di Dipartimento Scienze dell’Educazione Università degli Studi di Torino Cominciò Tancredi di Barolo Segue da pagina I scuole infantili. In quegli stessi anni, a Cremona, il pedagogista Ferrante Aporti dava, a sua volta, vita ad alcune scuole infantili che presto sarebbero diventate un modello per analoghe iniziative avviate in varie parti d’Italia. L’impegno in favore dell’educazione dell’infanzia diventò addirittura uno dei motivi fatti propri dai liberali per sostenere la causa del rinnovamento dell’Italia. Echi di questo clima giunsero ben presto anche in Piemonte. Nel 1838 a Rivarolo Canavese un filantropo locale, Maurizio Farina, aprì il primo asilo aportiano piemontese e l’anno successivo nella capitale sorse la Società degli asili infantili composta da persone di varia fede politica (tra gli altri anche Cavour che ne fu il segretario) che promosse l’apertura di varie “scuolette”. La storia dell’educazione si arricchiva così di un nuovo capitolo volto a migliorare le condizioni dei più piccoli. Giorgio Chiosso FEDERAZIONE ITALIANA SCUOLE MATERNE REGIONE PIEMONTE Le scuole Fism Perché tutelarle L Luigi Morgano a Fism nazionale ha dedicato i suoi 37 anni di attività a due grandi linee di impegno: l’elevazione del livello di qualità delle scuole aderenti sul versante pedagogico, educativo e didattico, nonché su quello gestionale; il compimento di passi concreti sulla via dell’effettiva parità scolastica. Ma non solo. Ha contribuito a delineare nuove prospettive con l’imperativo di richiamare la centralità dell’alunno, di dare respiro all’educazione ed alla scuola, in particolare dell’infanzia, nonché a riflettere su come affrontare le sfide che si profilano, con progettualità e particolare attenzione alle “buone prassi”ed all’innovazione. Ciò precisato, il complesso delle scuole Fism costituisce un sistema unitario, con una storia e problematiche comuni, un progetto educativo cristianamente ispirato, una natura sociale e giuridica simile, ossia senza fini di lucro e con carattere popolare. Un insieme di scuole pedagogicamente e culturalmente ben visibile all’interno di un sistema nazionale di istruzione, come sancito dalla Legge 62/2000, articolato in scuole autonome aventi una pluralità di tipologie gestionali, con pari diritti e pari doveri, il che comporta ovviamente anche la previsione di pari finanziamenti. Le scuole Fism da sempre sono consapevoli che la scuola è un’istituzione con precise finalità, i cui protagonisti non sono semplici utenti, ma prioritariamente e profondamente coinvolti nella sua vita. Più precisamente, le scuole Fism si propongono come comunità educanti dove gestori, docenti, genitori sono compartecipi, ovviamente con ruoli distinti, di un chiaro progetto educativo al servizio delle bambine e dei bambini. Pertanto, le “nostre” scuole si caratterizzano per l’originalità del progetto e dell’offerta formativa che assegnano il primato all’educando, quale fondamento. Ancora, le scuole Fism sono e vogliono continuare ad essere scuole, con un’identità dichiarata, ma rivolte a tutti. Esse, proprio per questo, costituiscono un bene comune da tutelare, per non disperdere un patrimonio culturale e pedagogico che è parte integrante della cultura e della storia del nostro Paese e lo è assai significativamente in Piemonte, a partire da Torino. Non è certo un caso o un aspetto di poco conto che esse abbiano alle spalle un percorso lungo, che si sostanzia in oltre 150 anni dall’avvio delle prime scuole; una storia cui attingere per orientarci oggi e domani in modo coerente ed organico col tratto di strada compiuto. Con la consapevolezza che i decenni trascorsi, ricchi di cambiamenti, hanno confermato come sia sempre entusiasmante la sfida di promuovere la crescita in umanità (un aspetto, questo, cui ai vari livelli la Federazione si è dedicata con particolare impegno per raccogliere i fili del recente passato per tessere ancor più consapevolmente la trama del prossimo avvenire). La Fism ha promosso un’intensa azione, a vari livelli, che parte dal primato dell’educazione, per la correlazione strettissima che esiste tra l’educazione e le istituzioni che la veicolano. Infatti, se è crescente l’influenza della realtà dell’extrascuola (media compresi), restano fondamentali, per la crescita del bambino, il ruolo e la funzione esercitati dalla famiglia e dalla scuola. E, nell’educazione del bambino, l’esperienza della scuola dell’infanzia assume un significato particolare in ordine all’interiorizzazione di valori, all’orientamento di vita, alla formazione della coscienza, oltre che all’ampliamento degli orizzonti culturali ed allo sviluppo di abilità e di competenze. Purtroppo, le cronache sono tutt’altro che avare di avvenimenti attestanti come i bambini siano le prime vittime non solo delle guerre. Anche in tempo di pace sono loro anzitutto a subire violenze con segnali di un degrado che lasciano sconcertati: ovvero la riduzione dell’infanzia a soggetto consumistico, al pari dell’adulto. Un segnale manifesto e inquietante che mostra la tracimazione di quel modello consumista-funzionalista che ha come conseguenza lo svilimento della dignità della persona e che aggrava quell’emergenza educativa, richiamata e riproposta da molti ed in particolare dall’episcopato italiano che l’ha collocata al centro degli Orientamenti pastorali del decennio 2010-2020, che interpella tutte le istituzioni e che richiede quale risposta un’educazione integrale, che indichi alle bambine e ai bambini perché e come il bene dia pienezza alla loro esistenza, in una visione globale del senso della vita e della storia. Quanto al tema della parità scolastica, se da un lato si colloca all’interno di un discorso generale di riconoscimento di libertà civili e di giustizia sociale, non v’è dubbio che contestualmente assuma inderogabili valenze educative. Ciò premesso, è evidente che il sostegno economico è elemento irrinunciabile della parità. L’inserimento delle scuole paritarie nel sistema nazionale di istruzione, in forza del servizio pubblico svolto, deve comportare equità nell’accesso al sistema, senza condizionamenti economici non solo per gli alunni, ma anche per il personale docente. Un profilo, questo secondo, troppo trascurato, talché i modesti interventi finanziari dello Stato o delle Regioni per le scuole paritarie vengono ancora visti da troppi come sottrazione di risorse da destinare alle scuole statali.