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La situazione a Torino
Cominciò
Tancredi
di Barolo
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e alla crescita di nuove istituzioni educative per
l’infanzia.
La vicenda più esemplare e significativa è senza
dubbio quella piemontese che vide come protagonisti gli esponenti della nobiltà e della borghesia più impegnata nelle vicende politico-sociali
del tempo. Già a partire dal 1829 il marchese
Tancredi Falletti di Barolo, già sindaco di Torino,
aveva aperto nel suo palazzo di via delle Orfane a Torino una sala d’asilo sul modello di quelle fondate in Francia dalla Marchesa de Pastoret.
Sull’esempio del marchese di Barolo alla fine del
1833 Eufrasia Valperga di Masino aprì nel proprio
palazzo di via Alfieri un analogo asilo, affidato alla
suore rosminiane. Un altro asilo venne aperto nel
settembre 1834 a Chieri dal conte Balbiano di
Viale, sempre sotto la direzione delle suore rosminiane. Tra il 1835 e il 1836 i marchesi Costanza e Roberto d’Azeglio aprirono a loro spese
un asilo per bambine a Borgo Po. Il canonico
Giuseppe Benedetto Cottolengo aprì nel 1833
all’interno della Piccola Casa della Provvidenza
un asilo per un centinaio di bambini figli di operai e lo stesso sovrano Carlo Alberto istituì due
asili, rispettivamente nel 1838 e 1840 al Bastion
Verde presso le scuderie reali.
Nel mese di agosto 1838 un gruppo di giovani
e dinamici esponenti della Chiesa e della società
civile subalpina presentarono al Re, Carlo Alberto, un’istanza per la creazione di una Società che
provvedesse alla fondazione degli asili infantili in
Piemonte. Molti dei firmatari dell’istanza sarebbero diventati i futuri protagonisti della vita politica costituzionale piemontese e poi di quella italiana. Ricordiamo in particolare: Camillo Cavour,
Carlo Boncompagni, Cesare Alfieri di Sostegno,
Felice Merlo, Federico Sclopis, Carlo Cadorna,
Alessandro Pinelli, Pietro di Santarosa o futuri
deputati e senatori come Maurizio Farina, Giuseppe Manno, Luigi Franchi di Pont e autorevoli
ei primi decenni dell’Ottocento
mutò in modo significativo la percezione dell’infanzia. Essa cominciò
ad essere vista come un’età ideale
per promuovere in tutti i bambini le buone
abitudini che avrebbero dovuto assicurare
una vita ordinata in età adulta. L’educazione
e la scuola furono a tal fine giudicate strategie indispensabili. Per cogliere la novità della
prospettiva con cui si guardò all’infanzia e alla
scuola per i più piccoli occorre ricordare che
fino a tutto il Settecento “andare a scuola” era
destino riservato soltanto ai bambini che per
ceto sociale erano chiamati a conseguire un
titolo di studio. Si cominciò anche a ragionare
a chi competesse educare (la Chiesa? lo Stato?
le famiglie riunite in apposite associazioni?), a
quale età era possibile inviare i figli a scuola e
quali fossero i metodi educativi più efficaci.
Il gran numero di bambini piccoli lasciati a
se stessi o in custodia ai fratelli più grandi o
a qualche anziana nonna, bambini che spesso
crescevano in mezzo all’ignoranza, alla scarsa igiene e ai vizi degli adulti (in particolare
l’ubriachezza dei genitori), spinse alcuni filantropi e benefattori a predisporre apposite
“scuolette” destinate alla loro custodia ed
educazione. Sono queste le prime iniziative di
asilo infantile avviate agli inizi dell’Ottocento
in Inghilterra e in Francia. Un’altra diffusa
convinzione era quella che si dovesse insegnare a leggere e a scrivere il più presto possibile.
La ragione è molto semplice: arrivati all’età
di 8-9 anni i bambini delle famiglie povere
dovevano cominciare a imparare un mestiere
ed erano perciò inviati in qualche bottega
artigiana. Di scuola si poteva dunque parlare
fino a quell’età, poi le vicende della vita portavano da un’altra parte. Più presto si imparava
a leggere e a scrivere e più sicuro era che si
sfuggisse all’ignoranza.
E’ in questo contesto che anche a Torino si cominciò a parlare di asili. La realtà della capitale
sabauda in quei decenni non era certamente
comparabile con quella di Manchester, di Londra o di Parigi. La città contava ancora poche
attività manifatturiere e il fenomeno dell’urbanesimo dei contadini monferrini, biellesi, eporediesi era al momento abbastanza circoscritto.
Il numero dei bambini era, invece, in rapido
aumento in seguito alla diffusione della pratica
della vaccinazione antivaiolosa e alla fine delle
guerre napoleoniche che, insieme alla distruzione, avevano portato epidemie e morte.
Ampia documentazione su quale fosse la
condizione dell’infanzia a Torino e su come
si potesse migliorarne l’educazione si trova in
un volumetto del marchese Carlo Tancredi di
Barolo intitolato «Sull’educazione della prima
infanzia nella classe indigente». Il marchese era
convinto che «un soccorso bene ordinato in
favore dell’infanzia serve in seguito a risparmiare tante altre limosine a pro di madri senza
lavoro, di giovani senza mestiere, di persone
inette o traviate e d’altre indisposte, deboli o
malaticce», contribuendo inoltre «all’abolizione della mendicità, al miglioramento della
morale pubblica e alla vera prosperità dello
Stato». Forte di queste convinzioni il marchese aprì di propria iniziativa nel palazzo di
famiglia di via delle Orfane la prima scuola
infantile nella capitale in una data compresa
tra il 1828 e il 1830 (verisimilmente più vicino a questa seconda).Vi erano ospitati circa
200 “fanciulletti” di cui si occuparono, dopo
il 1834, le suore di Sant’Anna, una congregazione religiosa voluta dal marchese Tancredi
proprio per provvedere alle attività delle
Continua a pagina III
Continua a pagina IV
Un'opera assistenziale-educativa dalle precise finalità culturali, sociali e politiche
Asili infantili
e Risorgimento
N
Redi Sante Di Pol
el messaggio inviato in occasione delle
celebrazioni per l’Unità d’Italia, Benedetto XVI ha sottolineato che la
Nazione italiana aveva già da secoli
trovato una sua unità nella lingua e nel comune
sentire dato dalla religione cattolica. «Il processo
di unificazione avvenuto in Italia nel corso del
XIX secolo e passato alla storia con il nome di
Risorgimento», scrive il Papa, «costituì il naturale
sbocco di uno sviluppo identitario nazionale iniziato molto tempo prima. In effetti, la Nazione
italiana, come comunità di persone unite dalla
lingua, dalla cultura, dai sentimenti di una medesima appartenenza, seppure nella pluralità di
comunità politiche articolate sulla penisola, comincia a formarsi nell’età medievale. Il Cristianesimo ha contribuito in maniera fondamentale alla
costruzione dell’identità italiana attraverso l’opera della Chiesa, delle sue istituzioni educative ed
assistenziali, fissando modelli di comportamento,
configurazioni istituzionali, rapporti sociali […]
La comunità politica unitaria nascente a conclusione del ciclo risorgimentale ha avuto, in definitiva, come collante che teneva unite le pur
sussistenti diversità locali, proprio la preesistente
identità nazionale, al cui modellamento il Cristianesimo e la Chiesa hanno dato un contributo
fondamentale».
La costituzione e il rafforzamento dell’identità
nazionale italiana sono stati, quindi, una premessa
necessaria ed impegnativa per arrivare all’unità
dello Stato italiano. A questa azione, meglio conosciuta come Risorgimento, non solo politico,
ma anche culturale e morale, hanno concorso intellettuali e politici, laici e religiosi ed una pluralità di istituzioni. Fra queste ultime gli asili infantili
(diretti antenati delle nostre scuole dell’infanzia)
hanno svolto un ruolo significativo sia come stimolo per la partecipazione della società civile alle
sorti della Nazione, sia come canale privilegiato
di diffusione, anche fra i ceti popolari, della ritrovata identità nazionale, basata sulla lingua italiana
e sui fondamenti della morale cattolica.
L’apertura a Cremona nel 1828 del primo asilo
infantile per opera dell’abate Ferrante Aporti e in
Piemonte a Rivarolo Canavese nel 1837 per opera del sindaco Maurizio Farina, sono episodi che
non possono essere ridotti ad una, seppur meritoria, opera assistenziale-caritativa, ma ebbero
una precisa finalità culturale, sociale e politica. Il
metodo aportiano ruotava attorno all’educazione
linguistica condotta con il metodo dimostrativo,
Il metodo
dell'Aporti:
l'obiettivo è la
formazione del
buon cristiano
e del cittadino
e all’educazione religiosa e morale, basata sulla
conoscenza dei fondamenti della religione cattolica e dei momenti forti della storia della Rivelazione, ed aveva come finalità la formazione
fin dall’infanzia del buon cristiano e del futuro
responsabile cittadino della Nazione italiana che
andava “risorgendo”. A conferma di questa interconnessione tra educazione infantile e impegno
socio-politico va ricordato che i maggiori promotori degli asili infantili in Italia furono anche
i protagonisti della politica nazionale risorgimentale. Basti pensare al doppio ruolo svolto da
alcuni protagonisti delle vicende risorgimentali,
politici impegnati, ma anche attenti alla nascita
Giorgio Chiosso
II
Domenica 8 Maggio 2011
Il Piemonte sabaudo all’avanguardia
Rivarolo
esempio
per tutti
Riccardo Poletto
L’asilo infantile «Maurizio Farina» di Rivarolo Canavese iniziò ufficialmente la sua attività il 1° luglio
del 1837 proponendosi di «concorrere al benessere
e all’educazione dell’infanzia massima indigente di
questo borgo col procurare un luogo di sicura custodia ai piccoli fanciulli d’ambo i sessi e di ogni
condizione per tutte le ore della giornata in cui
i loro parenti non potessero attenderli, ed ivi dar
loro quell’educazione e quell’istruzione di cui è
suscettiva l’età infantile». Fu il primo asilo aportiano sorto nel Regno di Sardegna e nacque grazie alle intuizioni e alle opere di due persone che
hanno segnato profondamente la storia della città
di Rivarolo.
Il fondatore fu il senatore Maurizio Farina (Rivarolo 1804-Torino 1886), al quale l’istituzione fu
intitolata nel 1887. Di famiglia benestante, poco
più che ventenne frequentò gli ambienti liberali
lombardi e conobbe l’abate Aporti, del quale diventò ben presto amico, come attesta il ricco scambio epistolare tra i due personaggi. Maurizio Farina
aveva visitato le scuole infantili, fondate dall’abate
Aporti a Cremona e, già nel 1835, colpito dalla loro
organizzazione e utilità, avevca pensato di fondarne
una anche a Rivarolo.
L’idea di una scuola infantile trovava infatti, a Rivarolo, un ambiente recettivo e sensibile grazie
all’opera di Madre Antonia Verna (Rivarolo 1773–
1838) una donna di origini contadine che aveva intuito come l’ignoranza fosse una povertà più grave
dell’indigenza materiale e che, per tutta la vita, si era
dedicata all’educazione e alla promozione umana e
sociale delle classi più umili. Madre Antonia Verna
accolse la proposta del giovane sindaco, vedendovi
lo sbocco istituzionale della sua azione più che trentennale finalizzata all’educazione e all’istruzione dei
piccoli. Fu così che due suore di Rivarolo, a spese di
Maurizio Farina, furono inviate a Milano, presso la
parrocchia di Santa Maria Segreta, dove il parroco,
don Pietro Zezi, aveva aperto un asilo aportiano, per
imparare e sperimentare il nuovo metodo di insegnamento. Al ritorno delle due suore, il 1° luglio (o
il 17 luglio secondo alcuni studiosi) aprì i battenti il
primo asilo aportiano del Piemonte, la maestra era
suor Gaetana Cresto, mentre Madre Antonia Verna,
umilmente, si pose al servizio della giovane consorella e, fino a pochi giorni dalla morte, avvenuta il
giorno di Natale del 1838, segnò le presenze dei
bambini sul registro della scuola.
I riconoscimenti e le approvazioni ufficiali vennero
in seguito, infatti Maurizio Farina si era mosso contando solo su un assenso verbale e neppure troppo
esplicito del conte di Pralormo, allora ministro degli
Interni, mentre si era assicurato l’appoggio incondizionato dei parroci rivarolesi e del vescovo di Ivrea.
Nell’agosto del 1837 fu fondata una “società di
azionisti” per raccogliere fondi a favore della scuola
infantile e, quando il conte di Pralormo approvò
esplicitamente, per lettera, la nuova opera, Farina
compilò un regolamento che fu prima approvato
dal consiglio comunale di Rivarolo il 1° dicembre 1838 e solo il 4 maggio del 1839
ottenne anche l’approvazione regia.
Indubbiamente l’iniziativa riscosse un notevole e immediato successo, non solo tra i
poveri, ma anche nelle fasce più agiate della popolazione rivarolese. Nel maggio del
1838 frequentavano 70 bambini fra maschi
e femmine e il parroco di San Michele, don
Severino Verna, scriveva a Maurizio Farina
che le maestre non si risparmiavano in nessuna fatica ed avevano già ottenuto lusinghieri risultati con i bambini. Da parte sua,
nel febbraio del 1839, Farina così scriveva
ad Aporti: «A Rivarolo le cose vanno assai
bene quanto allo spirito della istituzione;
essa ha già messo profonde radici nell’animo
di quella popolazione, ...colà il povero come
il ricco e il ricchissimo, artigiani, coloni o
nobili, tutti vogliono mandare i bimbi all’asilo; se avessi un locale bastantemente grande
e più di tutto se avessi le maestre necessarie
si potrebbe forse già a quest’ora raccogliere
giornalmente più di 250 o 300 fanciulli in
due distinte scuole; invece non erano che
120 gli iscritti sul registro di intervento».
L’asilo divenne immediatamente punto di
riferimento per tutti coloro che volevano
aprire istituzioni simili in città e paesi del
Regno sardo piemontese. Questo fenomeno
non si limitò a pochi anni dopo la fondazione, ma durò nel tempo e ancora nel 1871
si chiedevano informazioni di questo tipo.
Una lapide sulla facciata di palazzo Farina ricorda la visita compiuta nel luglio del
1838 da alcuni (non ancora) illustri personaggi all’asilo infantile di Rivarolo. La lapide
riporta 26 nomi, tra cui Camillo Benso di
Cavour, Carlo Bon Compagni di Mombello, Carlo Cadorna, Pier Dionigi Pinelli,
Federico Sclopis, Cesare Alfieri di Sostegno,
Cesare Saluzzo di Monesiglio. Dopo la visita all’asilo, questi personaggi, nelle sale si
palazzo Farina, misero a punto la petizione
a Re Carlo Alberto, datata 3 agosto 1838,
per l’apertura delle scuole infantili in Torino.
Il 24 marzo 1839, grazie ai buoni uffici del
marchese Michele Benso di Cavour, padre di
Camillo, Carlo Alberto diede l’assenso per la
costituzione delle Società per l’instituzione
delle scuole infantili e pel patrocinio degli
alunni e il 18 dicembre 1839 fu aperto a Torino un asilo aportiano, in via della Rocca,
con due suore rivarolesi come maestre.
Nel 1841 il Comune di Rivarolo cedette
all’asilo i diritti su alcuni terreni per garantirne la sussistenza e nel 1843 la nuova
istituzione venne riconosciuta opera pia. In
quegli anni si verificò anche un graduale
distacco tra la congregazione e l’asilo, che
divenne definitivo nell’agosto 1845 quando
a reggere la scuola, ancora ospitata nella casa
delle suore, furono chiamate solo maestre
laiche.
Nel 1870 il comune di Rivarolo decise di
costruire un nuovo edificio per l’asilo infantile: il 9 luglio 1871 il Comune consegnò i nuovi locali in godimento gratuito e
perpetuo alla direzione dell’asilo e il giorno
stesso i bambini presero possesso della loro
nuova scuola che, nel 1887, fu intitilota al
suo fondatore Maurizio Farina. Nel 1920, su
proposta del presidente dell’ente, don Stefano Nida, le suore di madre Antonia Verna
tornarono come maestre nell’asilo infantile
«Maurizio Farina», dove ancora oggi, accanto
alle insegnanti laiche, mantengono una fruttuosa e provvidenziale presenza.
Oggi la scuola materna «Maurizio Farina»
continua a esercitare la sua funzione educativa caratterizzata, come volle il fondatore,
da apertura verso tutte le componenti della popolazione, senza alcuna distinzione.
La validità di questo servizio è riconosciuta ufficialmente anche dal Comune
di Rivarolo che, fin dal 1987, ha stipulato
una convenzione con la scuola materna,
considerandola a tutti gli effetti paritaria
con quella pubblica e prevedendo quindi
adeguati finanziamenti per realizzare effettivamente la parità.
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FEDERAZIONE ITALIANA SCUOLE MATERNE
REGIONE PIEMONTE
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1829 - TORINO - Scuola dell’Infanzia Paritaria “Sant'Anna”
1837 - RIVAROLO CANAVESE (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Maurizio Farina”
1838 -TORINO – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Vittorio Emanuele II”
1840 - VERBANIA – Scuola dell’infanzia Paritaria “Asilo Infantile di Intra”
1840 - NOVARA – Scuola dell’infanzia Paritaria “San Lorenzo”
1841 -ALESSANDRIA – Scuola dell’infanzia Paritaria “Asili Infantili Riuniti”
1841 - SALUZZO (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Regina Margherita”
1842 - AGLIE’ (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Regina Maria Cristina”
1842 - BIELLA – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Biella-Piano
1842 - PINEROLO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Umberto I”
1843 - CAMBIANO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Asili Riuniti Cambiano e Gribaudi”
1843 - IVREA (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Opera Pia Moreno”
1844 - BRA (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Sant’Antonino”
1845 - CRESCENTINO (VC) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Crescentino
1846 - CIRIE’ (TO) – Scuola dell’infanzia Paritaria “Luigi Chiariglione”
1846 - CUNEO – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Asilo Infantile Cattolico Centrale”
1846 - LUSERNA SAN GIOVANNI (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Luserna
1846 - SAN GIORGIO CANAVESE (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Carlo Botta”
1846 - VALENZA (AL) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Opera Pia Pellizzari”
1847 - ALBA (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Città d’Alba”
1847 - CASELLE T.SE (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “La Famiglia”
1847 - CHIERI (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Sant’Anna”
1847 - DRONERO (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Opere Pie Droneresi”
1847 - VERCELLI – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Scuole Cristiane”
1848 - CALUSO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Giovanni Guala”
1848 - SORDEVOLO (VC) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Istituto Ambrosetti”
1848 - STRAMBINO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Gian Battista Bonafide”
1849 - CHIVASSO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Beato Angelo Carletti”
1849 - GRUGLIASCO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Casa di Maria”
1849 - PEROSA ARGENTINA (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Sacro Cuore”
1849 - VENARIA REALE (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Gian Battista Buridani”
1850 - ACQUI TERME (AL) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Carla e Angelo Moiso”
1850 - CAVALLERMAGGIORE (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Borrone”
1850 - MONCALVO (AT) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Fratelli Camossi”
1850 - NARZOLE (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Asilo Infantile di Narzole”
1850 - RIVOLI (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Centro”
1850 - SAN SALVATORE MONFERRATO (AL) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “San Giuseppe”
1851 - RIVALTA (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Giuseppe Bionda”
1852 - MALESCO (NO) - Scuola dell’Infanzia Paritaria “Trabucchi”
1852 - SAN SECONDO DI PINEROLO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “San Secondo”
1852 - SCARNAFIGI (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “San Vincenzo”
1852 - TORINO – Scuola dell’Infanzia Paritaria “San Massimo”
1852 - TORINO – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Stefano Bonacossa”
1853 - DOMODOSSOLA (VB) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Antonio Rosmini”
1853 - LEINI’ (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Vittorio Ferrero”
1853 - STRESA (VB) - Scuola dell’Infanzia Paritaria “Marzio Ostini”
1853 - TORINO – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Sacra Famiglia”
1854 - BRICHERASIO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Serena”
1854 - RACCONIGI (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Giovanni Ribotta”
1855 - CAVAGLIA’ (BI) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Alfonso Tua”
1854 - SAN DAMIANO D’ASTI (AT) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di San Damiano
1855 - VILLAFRANCA PIEMONTE (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Villafranca Piemonte
1857 - BIELLA (BI) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Favaro
1857 - MONCALIERI (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Umberto I”
1858 - BUSCA (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Don Michele Severino Bechis”
1858 - CARAGLIO (CN) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Caraglio
1858 - VINOVO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Luigi Rey”
1859 - BIANZE’ (VC) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Bianzè
1859 - GIAVENO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Beata Vergine Consolata”
1860 - BELLINZAGO NOVARESE (NO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “De Medici”
1860 - BORGO D’ALE (VC) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Borgo d’Ale
1860 - ORBASSANO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Don Giordana”
1861 - BUTTIGLIERA D’ASTI (AT) –
1861 - CANDIOLO (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Elisa Villa di Montpascal”
1861 - ROMANO CANAVESE (TO) – Scuola dell’Infanzia Paritaria di Romano Canavese
1861 - VILLANOVA D’ASTI (AT) – Scuola dell’Infanzia Paritaria “Giuseppe Pittaluga”
FEDERAZIONE ITALIANA SCUOLE MATERNE
REGIONE PIEMONTE
III
Domenica 8 Maggio 2011
Nel tondino qui sotto,Carlo Boncompagni
e nel dipinto a destra,
la Marchesa Giulia Colbert di Barolo.
Sotto, un periodico dell'epoca
e, a sinistra, nell'immagine piccola,
l'ingresso dell'asilo infantile
«Maurizio Farina»
La prima fondazione a casa della Marchesa Giulia Colbert di Barolo
Estrema povertà
sfida per i nobili
Risorgimento
e gli asili
infantili
Segue da pagina I
esponenti del clero vicini alle posizioni liberalcattoliche, come il canonico del Corpus Domini,
Lorenzo Renaldi, e il parroco della SS. Annunziata, Luigi Fantini, che alla fine degli anni ’40
divennero vescovi rispettivamente di Pinerolo e
di Fossano.
Quando la Società degli asili infantili di Torino fu
istituita vennero eletti presidente e segretario rispettivamente Carlo Boncompagni, futuro ministro della Pubblica istruzione ed autore nel 1848
della prima importante riforma scolastica che da
lui prese il nome, e Camillo Cavour, futuro capo
del governo del Regno di Sardegna e del primo
governo nazionale dell’Italia unità. Di fronte alle
critiche e alle riserve avanzate da alcuni esponenti
del mondo politico e religioso più conservatore, come il ministro di Carlo Alberto, Clemente
Solaro della Margherita, o l’arcivescovo di Torino,
Luigi Fransoni, Carlo Boncompagni nel suo libro
«Delle scuole infantili», apparso nel 1839, sostenne l’utilità degli asili aportiani non solo dal punto
di vista assistenziale e caritativo, ma soprattutto
nella loro dimensione pedagogica e civile.
«Chi propone l’istituzione delle scuole infantili»,
sosteneva Boncompagni, «propone un’opera di
carità. I fanciulli educati alla religione, alla sincerità, alla bontà, lasciarono fondata speranza di
vedere le plebi, di mano in mano che il benefizio di quelle istituzioni si renderebbe universale,
migliorarsi e guarirsi dalle male abitudini che le
fanno infelici ed abbiette. E’ opinione volgare, ma
è grande errore il credere che l’infanzia sia inetta
a pensare, a giudicare, a ragionare. I più credono
così perché essi vedono che l’infanzia non pensa,
non giudica, non ragiona nello stesso modo che
l’età adulta. Questo errore si dilegua, quando si
consideri quante cose un fanciullo impari dai diciotto mesi insino ai sei anni».
Apprendimento della lingua nazionale e trasmissione dei principi e dei valori della tradizione cattolica erano anche per Ferrante Aporti le basi su
cui innestare l’educazione della prima infanzia e
quindi le basi del processo formativo delle future
generazioni. Rivolgendosi ai politici, agli amministratori locali, ma soprattutto alla società civile
più avvertita, il sacerdote lombardo, ormai esule a
Torino, nel 1854 invitava a sviluppare la rete delle scuole infantili come un investimento per rafforzare l’identità nazionale attorno alla diffusione
lingua italiana e alla interiorizzazione della fede
cristiana, intesa anche come fenomeno culturale.
«Abituati i fanciulli dall’età più tenera in cui non
si possono dire periti ancora di nessuna lingua,
alla lingua italiana, meglio penetrano i primi rudimenti della storia sacra che è fondamento e illustrazione alla divina rivelazione, del catechismo
cattolico, e si avviano alla intelligenza dei libri, e
più facilmente si addestrano a raccogliere, coordinandole in classi ben distinte e connesse, le cognizioni relative a ciò che sarà sempre vergogna ad
ogni uomo fatto a somiglianza di Dio che è verità,
bontà e santità, lo ignorare».
L’esempio dei religiosi e dei laici che nella prima metà dell’Ottocento promossero la diffusione
dell’istruzione infantile in un’ottica di solidarietà
religiosa e civile attraverso la libera iniziativa della
società civile non deve, oggi, essere considerato
un modello obsoleto, come se quelle iniziative,
quelle scuole rappresentassero solo un fenomeno
di supplenza e di marginalità sociale. Bensì fu la
testimonianza della capacità di superare da un lato
l’individualismo e dall’altro le rigidità burocratiche stataliste da parte di un modello educativo e
sociale improntato al principio della libertà e della
sussidiarietà.
Redi Sante Di Pol
Sr Felicia Frascogna SSA
L’impegno del Marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo in campo educativo si situa tra
la seconda metà degli anni Venti ed il decennio successivo. Un settore nel quale operò con
grande interesse e passione fu la prima infanzia, con la creazione, 182 anni fa a Torino, nel
Palazzo Barolo, delle sale d’asilo per bambini:
maschi e femmine, dai due anni e mezzo ai sei.
Clima socio-culturale. Per capire la necessità degli asili durante il periodo della Restaurazione e del Risorgimento, basta conoscere
la condizione dell’infanzia del ceto popolare
in quel tempo. L’estrema povertà in cui vivono numerose famiglie si manifesta nella pessima alimentazione, nell’assenza di igiene, nella
residenza in abitazioni malsane. Oltre a ciò, i
genitori sono costretti a lavorare anche 12 ore
al giorno per sopravvivere con il conseguente
abbandono dei bambini più piccoli condannati
a rimanere soli in casa o costretti a vagare per
le strade indifesi dal freddo, dai pericoli e dagli
infortuni.
Il Barolo si domanda preoccupato: «Chi si dovrà prendere cura di questi poveri bambini?».
Le iniziative già realizzate a favore dei piccoli,
da parte di persone generose, non sono sufficienti ai bisogni e sono di tipo assistenziale. Per
il Marchese di Barolo l’infanzia non va soltanto
custodita e assistita, ma educata. L’opuscolo da
lui scritto, «Sull’educazione della prima infanzia nella classe indigente», dedicato alle persone
caritatevoli, evidenzia già nel titolo la motivazione che lo spinge ad istituire la prima sala
d’asilo in Piemonte e qualche anno dopo la
congregazione delle Suore di Sant’Anna. Egli
è convinto che «un soccorso ben ordinato a favore dell’infanzia serve in seguito a risparmiare
tante altre limosine a pro di madri senza lavoro,
di giovani senza mestiere, di persone inette o
traviate, d’altre indisposte deboli, malaticcie»,
contribuendo così «per vie direttissime all’abolizione della mendicità, al miglioramento
della morale pubblica ed alla vera prosperità
dello Stato». E’ inoltre consapevole che i ceti
aristocratici devono uscire dal loro egoismo di
casta per impegnarsi a promuovere con tutti i
mezzi a disposizione la rigenerazione sociale e
morale delle masse popolari. I motivi di natura socio-politica in Tancredi e nella sua moglie
sono sostenuti e giustificati dalla fede religiosa che vede ogni persona come “immagine di
Dio”, redenta da Cristo e pertanto di un valore
infinito.
Fondazione della prima sala d’asilo, 18291830. La Marchesa Giulia, fin dal 1825 occa-
sionalmente ospita a Palazzo Barolo ed assiste
gruppi di bimbi, in forma familiare e privata
per periodi più o meno lunghi, come si evince
da alcune lettere di A. de Lamartine a Giulia.
Questa esperienza spiega perché alcuni autori, tra i quali C. Boncompagni, facciano risalire
al 1825 l’apertura delle sale d’asilo Barolo.
Col passar del tempo,
A Torino
182 anni fa
l’inizio di
una storia
che dura
anche oggi
i bambini aumentano ed il Marchese Carlo
Tancredi interviene organizzando una vera e
propria scuola. Fa ristrutturare nel proprio palazzo gli ambienti per adattarli all’accoglienza
di cento bambini, maschi e femmine e, a cavallo degli anni 1829-1830 è organicamente
definita anche la programmazione, per cui dalla
forma occasionale si passa ad una struttura ben
pianificata.
Le sale d’asilo a Palazzo Barolo divengono un
luogo educativo fidato, i bambini sono ospitati
per l’intera giornata, onde «sottrarli ai pericoli e
patimenti corporali come pure ai cattivi esempi
ch’essi sogliono incontrare con procurar loro
invece una buona educazione primaria sì fisica
onde sviluppare le loro forze, ed antivenire a
tanti malanni frutti di un’infanzia abbandonata,
sì morale onde infondere i principi di religione ed imprimere le pratiche in quelle menti
tenerissime, l’insegnamento viene considerato
come mezzo per avvezzare l’infanzia a qualche applicazione che poi avrà cominciamento
nelle vere scuole della puerizia. Esso è ridotto
al conoscere le lettere e i numeri, a sillabare,
ed a qualche piccolo lavoro manuale, premesso
sempre il catechismo, colle principali preghiere
della nostra S. Religione».
Parte integrante del programma è l’ascolto della storia sacra, la cui spiegazione è accompagnata da immagini visive mostrate e spiegate
secondo il metodo oggettivo: vedere, toccare e
ripetere. Anche il canto di lodi adatte all’età e
soprattutto molto gioco sia libero che guidato
sono considerati mezzi di crescita fisica e morale. E’ suggerito anche l’uso di qualche strumento musicale per accompagnare i canti.
Il Barolo presenta così un quadro educativo
declinato sulla spontaneità e l’allegria, sulla
gaiezza e quasi si direbbe su un certo lieto
disordine, come in una normale famiglia.
L’attività educativa dell’asilo è positiva, i
bambini iscritti sono numerosi e nel 1834,
il Marchese progetta di aprire una seconda sala
d’asilo per altri cento bambini. E dalle sale d’asilo alle suore di Sant’Anna il passo è breve. L’istituto viene fondato dai Marchesi di Barolo
per garantire una presenza educativa qualificata
sia nelle sale d’asilo, sia nelle scuole, che essi intendono fondare nei villaggi e paesi poveri, per
l’istruzione e la formazione cristiana dell’infanzia e della gioventù appartenenti a famiglie
bisognose. Seguono questo gesto di spontanea
generosità educativa la contessa Eufrasia Valperga di Masino, che nel 1833 apre una sala d’asilo
nel proprio Palazzo; nel 1838 il re Carlo Alberto apre due classi d’asilo presso le scuderie reali
ed invita le suore di S. Anna per l’insegnamento; nel 1844 la Regina M.Teresa apre un asilo a
Borgo Dora e lo affida alle suore di Sant’Anna.
Nel 1864, dopo la morte di Giulia, l’asilo viene
trasferito da palazzo Barolo in via della Consolata, nella casa delle suore di Sant’Anna, dove
continua ancora oggi ad accogliere ed educare
un elevato numero di piccoli. Tancredi ha fedelmente adempiuto il messaggio evangelico
«lasciate che i fanciulli vengano a me», ed è stato per tanti bambini un tenero padre, Lui, privo
di figli propri.
IV
Domenica 8 Maggio 2011
Le congregazioni femminili che nell'800 si dedicarono all'infanzia
Vite di suore
verso gli ultimi
Rachele Lanfranchi
O
ggi risulta anacronistico parlare delle religiose come donne con la “testa fasciata” o
con il “paraocchi”, perché siamo lontani
dal ricordare o dall’aver conosciuto gli
abiti che esse indossavano nell’Ottocento fino alla
metà del Novecento. Anzi, oggi molte di loro non
portano una divisa e a prima vista non si sa se siano
religiose. Bisogna cercare un segno che palesi la loro
identità: una croce al collo, un distintivo sul risvolto
della giacca, oppure un anello che richiami la croce.
Tuttavia, al di là dell’abito che poteva suscitare ironia,
sta di fatto che le religiose furono sensibili a captare
le nuove povertà dovute a più fattori, in particolare
all’incipiente rivoluzione industriale con gli effetti
dell’urbanesimo, delle trasformazioni sociali ed economiche.
Nella prima metà dell’Ottocento si assiste alla ricerca
di una nuova via alla vita religiosa. Infatti, dopo la
crisi delle vecchie forme claustrali e le soppressioni compiute dai governi rivoluzionari, dal Codice
Napoleone, si fa strada la concezione che colloca al
vertice dello stato di perfezione non più la contemplazione, bensì la carità operosa verso il prossimo. In
tal modo i nuovi istituti religiosi operano nel mondo per lenire le sofferenze dei singoli e i mali della
società soprattutto a vantaggio dei più deboli, degli
emarginati, degli esclusi. È in tale contesto che molte
congregazioni femminili aprono asili infantili o ne
accettano la conduzione e la direzione.
Quali e quante congregazioni femminili operarono
negli asili infantili del Piemonte negli anni del Risorgimento? Va subito detto che non è possibile dare
una risposta precisa, perché ciò comporta un lavoro di ricerca basato su documentazione e richiede
tempi lunghi. Inoltre si potrebbe rispondere con una
battuta che circola tra i religiosi in cui si dice, non
suoni irriverente, che neppure il Padre eterno sa che
cosa pensano i gesuiti, dove prendono i soldi i salesiani per le loro opere e quante sono le congregazioni
femminili… Qui si prendono in considerazione solo
quelle che operarono in Piemonte nella prima metà
dell’Ottocento e, precisamente, fino al 1861, anno
della proclamazione del Regno d’Italia. Si tratta di
congregazioni la cui presenza negli asili infantili è
certa per aver avuto un riscontro a richieste precise.
Probabilmente, anzi sicuramente, alcune congregazioni non saranno menzionate: da loro si attendono
notizie per completare la presentazione che risulta,
purtroppo, parziale.
Con quale ordine procedere? Tra i possibili criteri
scegliamo quello di elencare le congregazioni in ordine alfabetico.
Fedeli compagne di Gesù
Sono fondate da Marie MadeleineVictoire de Bengy
nel 1820 ad Amiens, Francia, per l’educazione delle ragazze. Carlo Alberto di Savoia, sentendo parlare molto bene del loro metodo educativo, invita M.
Madeleine Victoire a fondare scuole in Piemonte.
Nel gennaio del 1836 la fondatrice e una consorella iniziano la loro opera educativa a Torino, nella
sala d’asilo predisposta dal Marchese d’Azeglio per
le suore.
Figlie della carità di San Vincenzo De’ Paoli
della Provincia di Torino
Fondate nel 1633 da S.Vincenzo De’ Paoli e S. Luisa
de Marillac per servire Cristo nei fratelli più poveri,
sono in Italia nei primi decenni dell’Ottocento e la
loro principale attività è la cura dei malati negli ospedali.Tuttavia, accanto ad ogni ospedale sorge un asilo:
1832 a Sommariva del Bosco (Cn); 1842 a Grugliasco (To); 1850 a Torino, dove si trovano ad operare dal 1837 quando Carlo Alberto consegna loro le
chiavi del convento di San Salvario; 1852 a Torino,
via Nizza ed altri. E’ interessante sapere che poco prima del 1850 a San Salvario si apre un “incunabolo”,
l’asilo nido del tempo, che accoglie bambini da pochi
mesi fino ai tre anni mentre le madri del borgo, per
lo più operaie, sono al lavoro.
con il contributo di
Figlie di Nostra Signora della misericordia
Fondate da S. Maria Giuseppa Rossello nel 1837 per
l’educazione della fanciulle povere e con fondazioni
prevalentemente in Liguria, aprono due asili infantili
in Piemonte e precisamente a Spigno Monferrato
(Al) nel 1851 e a Strevi (Al) nel 1860.
Madri pie
Il 5 luglio 1826, per desiderio del marchese Giacomo Spinola, giungono ad Ovada (Al) alcune religiose
provenienti dalla Liguria dove Nicoletta Gatti a Sampierdarena aveva iniziato un’opera per l’educazione
gratuita delle fanciulle del popolo, riconosciuta nel
1754. La comunità delle suddette suore si sviluppa
autonomamente dall’istituto di origine e dà vita a
una congregazione autonoma di Madri pie che, nel
1829, aprono in Ovada un convitto e un asilo infantile.
Suore della Provvidenza rosminiane
Fondate nel 1832 dal beato Antonio Rosmini sono
subito chiamate in molte parti del Piemonte: 1833,
a Torino; 1840 a Biella; 1843 a Cavour (To); 1849 a
Stresa allora in provincia di Novara; 1850 a Occhieppo Superiore (Bi); 1853 a Candelo (Bi) e a Malesco
(No); 1855 a Cavaglià (Bi); 1856 a Gaglianico (Bi);
1857 a Stupinigi (To) e a Vigone (To); 1859 a Biella
Piazzo; 1860 a Castagnole.
Suore della carità dell’Immacolata concezione–Ivrea (Suore immacolatine d’Ivrea)
Fondate nel 1828 da Antonia Maria Verna, che sarà
beatificata entro l’anno, aprono a Rivarolo (To) il
primo asilo infantile aportiano appoggiate da Maurizio Farina sindaco del luogo. Proprio a Rivarolo
l’11 marzo 2011 si è inaugurata la prima Stele sugli
itinerari alla scoperta dei segni, dei personaggi, delle
storie e dei luoghi del Risorgimento in provincia di
Torino, quasi a sottolineare l’importanza dell’avvio
dell’asilo nel lontano 1837. Le suore sono poi chiamate in molti altri centri.
Suore di San Giuseppe
Giungono da Chambéry a Torino nel 1821 per interessamento della marchesa Giulia Falletti di Barolo.
Sorgono poi altre congregazioni di San Giuseppe: nel
1825 quelle di Pinerolo (To); 1831 quelle di Cuneo.
Le Suore di Pinerolo aprono ivi un asilo nel 1832; a
Torre Pellice (To) nel 1848; a Torino e a Chieri (To)
nel 1855; a Villafranca P.te (To) nel 1857. Le suore di
Cuneo assumono la direzione dell’asilo di Borgo San
Dalmazzo (Cn) nel 1857.
Suore di Sant’Anna
Fondate nel 1834 dai Marchesi Barolo di Torino per
la conduzione della sala d’asilo aperta nel loro palazzo
nel 1830, sono seguite per una formazione religiosa
e culturale a vantaggio dell’educazione infantile. Per
volere del re Carlo Alberto nel 1838 assumono l’insegnamento e la direzione di due classi d’asilo presso
le scuderie reali; nel 1844 insegnano nell’asilo a Borgo Dora aperto dalla regina Maria Teresa; nel 1856
insegnano presso l’Asilo di Bra (Cn).
La scarna successione di anni e luoghi non dà la misura di quanto le congregazioni religiose femminili
abbiano contribuito ad educare un numero considerevole di bambini/e, specie del ceto popolare. Dietro
date e luoghi è necessario vedere volti, atteggiamenti
di donne che spendono la vita per figli di altri, insegnando loro a parlare la lingua italiana, a sapersi muovere con ordine, rispettare le norme, certe che vale
la pena donare il meglio di sé per avviare a pienezza
umana e cristiana gli uomini e le donne di domani.
il patrocinio gratuito di
e la collaborazione di
Dipartimento Scienze dell’Educazione
Università degli Studi di Torino
Cominciò
Tancredi
di Barolo
Segue da pagina I
scuole infantili.
In quegli stessi anni, a Cremona, il pedagogista
Ferrante Aporti dava, a sua volta, vita ad alcune
scuole infantili che presto sarebbero diventate un
modello per analoghe iniziative avviate in varie
parti d’Italia. L’impegno in favore dell’educazione dell’infanzia diventò addirittura uno dei
motivi fatti propri dai liberali per sostenere la
causa del rinnovamento dell’Italia. Echi di questo
clima giunsero ben presto anche in Piemonte.
Nel 1838 a Rivarolo Canavese un filantropo locale, Maurizio Farina, aprì il primo asilo aportiano piemontese e l’anno successivo nella capitale
sorse la Società degli asili infantili composta da
persone di varia fede politica (tra gli altri anche
Cavour che ne fu il segretario) che promosse
l’apertura di varie “scuolette”. La storia dell’educazione si arricchiva così di un nuovo capitolo
volto a migliorare le condizioni dei più piccoli.
Giorgio Chiosso
FEDERAZIONE ITALIANA SCUOLE MATERNE
REGIONE PIEMONTE
Le scuole Fism
Perché
tutelarle
L
Luigi Morgano
a Fism nazionale ha dedicato i suoi 37 anni
di attività a due grandi linee di impegno: l’elevazione del livello di qualità delle scuole
aderenti sul versante pedagogico, educativo
e didattico, nonché su quello gestionale; il compimento di passi concreti sulla via dell’effettiva parità
scolastica. Ma non solo. Ha contribuito a delineare
nuove prospettive con l’imperativo di richiamare la
centralità dell’alunno, di dare respiro all’educazione
ed alla scuola, in particolare dell’infanzia, nonché a
riflettere su come affrontare le sfide che si profilano,
con progettualità e particolare attenzione alle “buone
prassi”ed all’innovazione.
Ciò precisato, il complesso delle scuole Fism costituisce un sistema unitario, con una storia e problematiche comuni, un progetto educativo cristianamente ispirato, una natura sociale e giuridica simile,
ossia senza fini di lucro e con carattere popolare. Un
insieme di scuole pedagogicamente e culturalmente
ben visibile all’interno di un sistema nazionale di
istruzione, come sancito dalla Legge 62/2000, articolato in scuole autonome aventi una pluralità di
tipologie gestionali, con pari diritti e pari doveri, il
che comporta ovviamente anche la previsione di
pari finanziamenti. Le scuole Fism da sempre sono
consapevoli che la scuola è un’istituzione con precise finalità, i cui protagonisti non sono semplici utenti, ma prioritariamente e profondamente coinvolti
nella sua vita. Più precisamente, le scuole Fism si
propongono come comunità educanti dove gestori,
docenti, genitori sono compartecipi, ovviamente
con ruoli distinti, di un chiaro progetto educativo
al servizio delle bambine e dei bambini. Pertanto, le
“nostre” scuole si caratterizzano per l’originalità del
progetto e dell’offerta formativa che assegnano il
primato all’educando, quale fondamento.
Ancora, le scuole Fism sono e vogliono continuare
ad essere scuole, con un’identità dichiarata, ma rivolte a tutti. Esse, proprio per questo, costituiscono
un bene comune da tutelare, per non disperdere un
patrimonio culturale e pedagogico che è parte integrante della cultura e della storia del nostro Paese e
lo è assai significativamente in Piemonte, a partire da
Torino. Non è certo un caso o un aspetto di poco
conto che esse abbiano alle spalle un percorso lungo,
che si sostanzia in oltre 150 anni dall’avvio delle
prime scuole; una storia cui attingere per orientarci
oggi e domani in modo coerente ed organico col
tratto di strada compiuto.
Con la consapevolezza che i decenni trascorsi, ricchi
di cambiamenti, hanno confermato come sia sempre entusiasmante la sfida di promuovere la crescita
in umanità (un aspetto, questo, cui ai vari livelli la
Federazione si è dedicata con particolare impegno
per raccogliere i fili del recente passato per tessere
ancor più consapevolmente la trama del prossimo
avvenire).
La Fism ha promosso un’intensa azione, a vari livelli, che parte dal primato dell’educazione, per la
correlazione strettissima che esiste tra l’educazione
e le istituzioni che la veicolano. Infatti, se è crescente l’influenza della realtà dell’extrascuola (media
compresi), restano fondamentali, per la crescita del
bambino, il ruolo e la funzione esercitati dalla famiglia e dalla scuola. E, nell’educazione del bambino,
l’esperienza della scuola dell’infanzia assume un
significato particolare in ordine all’interiorizzazione
di valori, all’orientamento di vita, alla formazione
della coscienza, oltre che all’ampliamento degli orizzonti culturali ed allo sviluppo di abilità e di competenze. Purtroppo, le cronache sono tutt’altro che
avare di avvenimenti attestanti come i bambini siano
le prime vittime non solo delle guerre. Anche in
tempo di pace sono loro anzitutto a subire violenze
con segnali di un degrado che lasciano sconcertati:
ovvero la riduzione dell’infanzia a soggetto consumistico, al pari dell’adulto. Un segnale manifesto e
inquietante che mostra la tracimazione di quel modello consumista-funzionalista che ha come conseguenza lo svilimento della dignità della persona e
che aggrava quell’emergenza educativa, richiamata e
riproposta da molti ed in particolare dall’episcopato
italiano che l’ha collocata al centro degli Orientamenti pastorali del decennio 2010-2020, che interpella tutte le istituzioni e che richiede quale risposta
un’educazione integrale, che indichi alle bambine e
ai bambini perché e come il bene dia pienezza alla
loro esistenza, in una visione globale del senso della
vita e della storia.
Quanto al tema della parità scolastica, se da un lato
si colloca all’interno di un discorso generale di riconoscimento di libertà civili e di giustizia sociale, non
v’è dubbio che contestualmente assuma inderogabili
valenze educative. Ciò premesso, è evidente che il
sostegno economico è elemento irrinunciabile della
parità. L’inserimento delle scuole paritarie nel sistema nazionale di istruzione, in forza del servizio pubblico svolto, deve comportare equità nell’accesso al
sistema, senza condizionamenti economici non solo
per gli alunni, ma anche per il personale docente.
Un profilo, questo secondo, troppo trascurato, talché
i modesti interventi finanziari dello Stato o delle
Regioni per le scuole paritarie vengono ancora visti
da troppi come sottrazione di risorse da destinare
alle scuole statali.
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Cominciò Tancredi di Barolo