news & documents notizie e documenti non inutili UMANIZZAZIONE DEI SERVIZI L’umanizzazione delle cure come possibile strumento di miglioramento gestionale I risultati del reengineering dell’Istituto G. Gaslini di Genova sul modello della “Child and Family Centered Care”. Come alleviare le sofferenze nel bambino malato migliorando la comunicazione e la partecipazione alle sue cure con lui e la sua famiglia? È possibile umanizzare, rendere efficiente ed appropriato il percorso di cura di un bambino e al contempo avere una performance migliore dal punto di vista economico e gestionale? Sono alcune delle domande a cui infermieri e medici dell’Istituto Gaslini di Genova hanno cercato di dare risposta proponendo il modello “Child and Family Centred Care” per la gestione sanitaria dell’Istituto, fondato su una pratica assistenziale che ritiene centrale la famiglia nella vita del bambino, e quindi, il suo coinvolgimento nel percorso terapeutico del bambino malato. In proposito il Gaslini, già da alcuni anni ha sviluppato tale modello assistenziale rafforzandola sistematicamente la formazione e la riorganizzazione delle prassi assistenziali, strutturando un vero e proprio “Centro di Accoglienza per il Bambino e la Famiglia (CABEF)”. Il progetto è stato strutturato nel 2011…[segue in allegato] sul modello dei sistemi sanitari anglosassoni, che sostengono una politica sanitaria di Assistenza Centrata sulla Famiglia (Family Centred Care), quale strategia organizzativa essenziale per fornire un’assistenza di alta qualità nell’area pediatrica: una sfida raccolta dall’Istituto Gaslini, attraverso l’adesione all’accreditamento e alla verifica di adesione ai criteri di qualità standardizzati in Gran Bretagna, ed una partnership “alla pari” con il Sidkids Children Hospital di Toronto per confrontare le esperienze ed i risultati. L’intero progetto di Umanizzazione delle Cure ed in particolare i risultati del reengineering dell’Istituto G. Gaslini sul modello della “Child and Family Centered Care”, è stato presentato lo scorso aprile, presso il CISEF “Germana Gaslini” di Genova Quarto, a conclusione del triennio di sperimentazione di esperienze strumenti e metodi che consentono di mettere il bambino al centro di tutti i processi di cura. Il professor Edward Alan Glasper dell’Università di Southampton – tra i primi ad ideare e poi realizzare il modello “CFCC” in Gran Bretagna – ha consegnato all’Istituto Gaslini il certificato di accreditamento volontario a questo modello. «Negli ultimi tre anni il Gaslini, in collaborazione con il Team coordinato da Annamaria Bagnasco e Loredana Sasso del DISSAL–Università di Genova ha tradotto dall’inglese e adattato alla legislazione italiana, e al contesto pediatrico e nello specifico “gasliniano”, una serie di standards con i quali misurare l’effettiva umanizzazione delle cure, e attraverso i quali costruire progetti a misura di bambino a seconda dell’Unità Operativa nella quale viene ricoverato e delle possibili problematiche correlate» spiega Laura Fornoni Coordinatore del Corso di Laurea in Infermieristica Pediatrica al Gaslini e responsabile del progetto insieme a Lucia Sperlinga, direttore dell’Ufficio Infermieristico dell’ospedale pediatrico genovese. «Al Gaslini pensiamo da sempre che sia fondamentale prenderci cura e curare anche il contesto famigliare, che diventa protagonista del processo terapeutico insieme ai medici e agli infermieri» spiega il Direttore Generale del Gaslini Paolo Petralia. «Per questo abbiamo raccolto e rielaborato diverse categorie di dati negli ultimi tre anni: un percorso svolto in collaborazione con prestigiose istituzioni del mondo pediatrico internazionale, come il Sidkids Children Hospital di Toronto, con il quale abbiamo istituito una collaborazione scientifica e organizzativa per validare e testare esperienze strumenti e metodi efficaci per elaborare un modello che mette il bambino e la famiglia al centro dei percorsi di cura». «Un percorso fatto di iniziative culturali, ma soprattutto azioni: la prima è stata la realizzazione del Centro Accoglienza Bambino e Famiglia che ha cercato di dare sintesi e fornire servizi: fin da quando il bambino è a casa sua, trova una risposta che non è non solo relativa alla diagnosi e poi alla terapia, ma anche di presa in carico: dal trasferimento, all’ospitalità, alla presa in cura, al supporto psicologico, educativo e persino al sostegno economico del nucleo famigliare, che per noi resta il protagonista indiscusso e indispensabile, e che spesso affronta problemi importanti per trasferirsi per mesi lontano dal casa» aggiunge il Direttore Sanitario Silvio Del Buono. «Abbiamo costruito anche un “Laboratorio di umanizzazione delle cure”: non si tratta solo di “buonismo”, non sempre si guarisce ma sempre si cura: ed è sull’alleanza terapeutica tra Operatori e Famiglie che si fonda la possibilità di avere una risposta di salute – spiega Del Buono-, ma che deve essere anche fondata su un percorso di formazione specifica e di elaborazione culturale che in questi anni è stata proposta con corsi, convegni, giornate di testimonianza ed altro». Durante il Congresso internazionale, presso il CISEF Gaslini, sono stati presentati i principali progetti operativi elaborati dal Dipartimento di Emergenza e Urgenza e dal Dipartimento di Ematoncologia Pediatrica, dall’area del Percorso nascita e dall’Ospedale di Giorno finalizzati all’umanizzazione delle cure all’interno dell’ospedale. L’umanizzazione delle cure è sostenibile e produce risparmio: «per questo» aggiunge Petralia «abbiamo voluto sperimentare meccanismi operativi che in una reingegnerizzazione dei percorsi, portando a sistema le buone prassi validate, potesse produrre esiti favorevoli. Nel momento in cui la famiglia partecipa al processo di cura si abbassa la possibilità di conflitto, si riducono le necessità di mediazioni e la medicina difensiva, quindi si risparmiano esami e attività, mente aumenta il benessere e la sicurezza del paziente». Umanizzazione è anche avere una performance migliore dal punto di vista economico gestionale: «nel momento in cui la famiglia è partecipe, è dimostrata una riduzione degli accessi ripetuti in ospedale» conclude Petralia, annunciando che questa esperienza progettuale del Gaslini è stata richiesta nei programmi dei prossimi Congressi Nazionale ed Europeo di Pediatria dei mesi di maggio e giugno e sara’ oggetto di ulteriore collaborazione con l’Agenas, l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari e con l’AOPI, l’Associazione degli Ospedali Pediatrici Italiani. [http://www.gaslini.org/servizi/Menu/dinamica.aspx?idSezione=616&idArea=23866&idCat=23869&ID=23 869&TipoElemento=categoria] [da “Panorama della sanità”] SALUTE PENITENZIARIA Il progetto “Lo stato di salute dei detenuti degli istituti penitenziari di sei regioni italiane” I risultati dello studio condotto dall’Agenzia Regionale di Sanità della Toscana e finanziato dal Ministero della Salute. Il progetto presentato nel corso del convegno “Salute e malattia nei detenuti in Italia: i risultati di uno studio multicentrico” (Roma, al Centro Congressi, aprile 2015), è stato realizzato con il finanziamento del CCM del Ministero della Salute e coordinato da Regione Toscana e Agenzia regionale di sanità. Il progetto, al quale hanno partecipato oltre alla Toscana, le regioni Veneto, Liguria, Umbria, Lazio e l’Azienda sanitaria locale di Salerno, ha permesso di valutare lo stato di salute di oltre 15.000 detenuti (quasi il 30% di tutta la popolazione detenuta in Italia) La popolazione detenuta, circa 16.000 soggetti, nelle carceri di Toscana, Veneto, Lazio, Liguria, Umbria e dell’Azienda sanitaria di Salerno è giovane (età media: 39,6 anni), con basso livello di istruzione, composta per la metà da stranieri (i nordafricani sono il gruppo etnico più rappresentato seguito dagli est europei) e per la quasi totalità (96,5%) maschile. Nonostante l’età media sia così bassa, oltre il 70% dei detenuti è comunque affetto da almeno una patologia: soprattutto disturbi psichici, malattie infettive e disturbi dell’apparato digerente. Sempre il 70% fuma sigarette (contro il 23% della media della popolazione generale). Questi i dati generali emersi dall’indagine che l’Ars (Agenzia Regionale di Sanità) Toscana ha condotto nel 2014, in collaborazione con il Servizio sanitario delle sei regioni sopra elencate. L’indagine, finanziata dal Centro Controllo Malattie del Ministero della Salute, ha verificato lo stato di salute della popolazione detenuta nelle carceri. L’indagine dell’ARS ha raccolto – con la forte collaborazione dei professionisti che operano all’interno degli istituti penitenziari – le informazioni socio-demografiche e cliniche e quelle sui trattamenti farmacologici in circa 16.000 detenuti (cioè quasi il 95% dei detenuti presenti negli istituti delle 6 regioni il 3 febbraio 2014). DISTURBI DI SALUTE MENTALE. In linea con quanto affermato dall’Organizzazione mondiale della sanità – i detenuti arruolati sono affetti soprattutto da disturbi di natura psichica: oltre il 40% è risultato essere affetto da almeno una patologia psichiatrica, con differenze notevoli a seconda della regione considerata. «Fra i disturbi psichici – precisa Fabio Voller, dirigente ARS Toscana e coordinatore scientifico del progetto – prevalgono i disturbi da dipendenza da sostanze diagnosticati nel 24% di tutto il campione e i disturbi nevrotici e di adattamento». MALATTIE DELL’APPARATO DIGERENTE, INFETTIVE E PARASSITARIE. Ai disturbi di salute mentale seguono per frequenza le malattie dell’apparato gastrointestinale, che si collocano al secondo posto per numero di diagnosi riscontrate, affliggendo il 14,5% degli arruolati. Si sottolinea come circa il 40% dei disturbi di questo grande gruppo di malattie sia costituito dalle patologie dei denti e del cavo orale, storicamente estremamente diffuse all’interno delle strutture penitenziarie e il 37,5% sia rappresentato da esofagiti, gastriti e ulcere gastro-duodenali, spesso legate allo stress anche all’utilizzo eccessivo di alcuni farmaci, come i FANS. Fra le malattie infettive e parassitarie, che colpiscono l’11,5% di tutti i detenuti sottoposti a visita, l’epatite C costituisce la malattia infettiva più diffusa all’interno delle strutture penitenziarie partecipanti al nostro studio, con una prevalenza del 7,4%, seguita da epatite B e AIDS che colpiscono entrambe il 2% degli arruolati. «L’epatite C – commenta ancora Fabio Voller – è probabilmente legata alla tossicodipendenza, ed incredibilmente riguarda in misura maggiore i detenuti italiani. Ma questo potrebbe dipendere solo dalla maggiore reticenza degli stranieri a sottoporsi agli screening infettivologici». TENTATO SUICIDIO E AUTOLESIONISMO. I RISULTATI DI UN’AZIONE DI PREVENZIONE. I tentativi di suicidio ed i gesti di autolesionismo rappresentano un’emergenza nel sistema carcerario italiano. Secondo quanto rilevato dai clinici, su 13.781 detenuti che presentavano questa informazione in cartella, 666 hanno messo in atto almeno un gesto autolesivo nel corso dell’ultimo anno di detenzione raggiungendo il valore complessivo di 4,5 atti ogni 100 detenuti. Spesso inoltre l’atto autolesivo è reiterato: mediamente infatti ogni detenuto ha compiuto questo gesto circa 2 volte. Secondo quanto rilevato dal nostro studio, il numero di detenuti che nel corso dell’ultimo anno di detenzione hanno tentato almeno una volta il suicidio è di 143 (l’1% del totale). Su tutti i detenuti “nuovi giunti da libertà” con o senza precedenti, che accedevano a 6 strutture detentive dal 3 febbraio al 3 giugno 2014, è stato effettuato uno screening, rappresentato da uno degli strumenti maggiormente utilizzati in questo ambito (scala di Blaauw). Nel caso di positività al test veniva applicato un protocollo specifico di prevenzione, con il coinvolgimento di una mini-équipe multidisciplinare integrata tra personale sanitario, del sociale e della giustizia. Circa il 53% dei nuovi giunti arruolati e sottoposti a valutazione per il rischio suicidario è risultato positivo: il 44% circa dei detenuti positivi alla scala di Blaauw presentava almeno una patologia e il 56% delle diagnosi rilevate era rappresentato dai disturbi psichici, soprattutto dal disturbo da dipendenza da sostanze. «Nel nostro campione – sottolinea Caterina Silvestri ricercatrice ARS Toscana – oggetto dell’intervento di prevenzione non si sono verificati tentati suicidi durante la rilevazione». DETENUTI MINORI. Nello studio sono state coinvolte 6 strutture detentive per minori, per un totale di 86 detenuti minorenni (65% ragazzi e 35% ragazze). L’età media è stata 17 anni e il gruppo etnico più rappresentato quello dell’Europa dell’Est (45% circa, con una percentuale che sfiora l’80% per quanto riguarda le femmine). Il livello scolastico è risultato essere molto basso, con il 20% dei ragazzi che non ha conseguito alcun titolo di studio, suggerendo il fatto che questi minori sembrano sfuggire al controllo sociale, vivendo spesso in un grave stato di abbandono non solo familiare ma anche istituzionale. Circa il 40% del totale dei minori arruolati ha manifestato almeno una malattia, in particolar modo sono risultate essere maggiormente frequenti le patologie psichiatriche, coinvolgendo il 18,6% dei minorenni detenuti. Da sottolineare come si siano verificati 10 gesti autolesivi e 2 suicidi in questo gruppo: un fenomeno che evidenzia la necessità di intervenire, ancor più che nella popolazione detenuta adulta, con azioni volte a favorire il recupero sociale di questi soggetti. [http://www.ccmnetwork.it/documenti_Ccm/programmi_e_progetti/2012/sostegnoPnp&GS/sorvepidemiologica/7-stato-salute-detenuti_Toscana.pdf] [da “Panorama della sanità] FUMO DI TABACCO Fumo, non cala il numero di fumatori in Italia: sono 11 milioni Il Rapporto 2015 dell’Istituto Superiore di sanità, presentato nel corso dell’ultima Giornata Mondiale senza Tabacco l’ISS Gli italiani non rinunciano alle sigarette. Rimane praticamente invariato, infatti, il numero di fumatori rispetto al 2014: circa 10,9 milioni, il 20,8% della popolazione. «Il dato oramai consolidato – spiega Walter Ricciardi, Commissario dell’ISS – è che la prevalenza di fumatori in Italia da 8 anni a questa parte rimane pressoché invariata, stupisce però che a fumare sia ancora uno sportivo su dieci, segno che dobbiamo ancora molto insistere sulla promozione dei corretti stili di vita soprattutto nei confronti dei giovani». «La situazione di stallo – spiega Roberta Pacifici, Direttore dell’Osservatorio Fumo, Alcol e Droga dell’ISS – riguarda tutte le fasce di età. L’età media di questa popolazione rimane costante (44,7 anni) così come l’età in cui si accende la prima bionda (18 anni) e l’età media in cui si smette (42 anni). Questo significa che tanti giovani iniziano a fumare quanti adulti smettono, un chiaro segnale che le strategie di intervento sulla prevenzione nei giovani e di cessazione vanno ripensate». Si conferma, nel 2015, una ulteriore diminuzione dell’uso della sigaretta elettronica. «Gli utilizzatori – spiega Silvio Garattini, Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri – sono passati dal 1,6% del 2014 all’1,1% del 2015 (nel 2013 erano il 4,2%)». Sono questi i dati più significativi del Rapporto Annuale sul Fumo in Italia rilevati dall’indagine Doxa effettuata per conto dell’ISS in collaborazione con l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri e presentati oggi in occasione del XVII Convegno “Tabagismo e Servizio Sanitario Nazionale” e in occasione della Giornata Mondiale senza Tabacco che quest’anno l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dedica al tema del commercio illegale dei prodotti del tabacco. A tale proposito l’indagine rileva che sono il 16,8% degli intervistati ad aver visto almeno una volta nell’ultimo anno venditori ambulanti di sigarette in strada; la percentuale è maggiore nelle regioni del sud Italia. Sintesi del rapporto I fumatori in Italia sono 10,9 milioni, il 20,8% della popolazione: 6,3 milioni di uomini (il 25,1%) e 4,6 milioni di donne (16,9%). Gli ex fumatori sono 6,3 milioni (il 12,1%) 4,0 milioni di uomini e 2,3 milioni di donne. Si osserva quest’anno un lieve decremento della prevalenza di fumatori di entrambi i sessi: gli uomini passano dal 25,4% del 2014 al 25,1% del 2015, le donne dal 18,9% del 2014 al 16,9% del 2015. L’analisi della prevalenza del fumo di sigarette tra gli uomini e le donne di varie età mostra che la percentuale di fumatori è ancora superiore a quella delle fumatrici in tutte le fasce di età. Nella fascia di età compresa tra i 25 e 44 anni si registra la prevalenza maggiore di fumatori di entrambi i sessi (22,4% delle donne e 30,7% degli uomini). Il consumo medio di sigarette al giorno si conferma intorno alle 13 sigarette. Oltre il 75% di fumatori consuma più di 10 sigarette al giorno: tale valore è in lieve aumento rispetto al 2014. Soltanto il 16,7% dei fumatori consuma fino a 9 sigarette al giorno. Si inizia a fumare mediamente a 17,9 anni con un gap tra uomini e donne di circa due anni (17,0 anni gli uomini, 19,1 le donne). Circa il 73,0% dei fumatori ha iniziato a fumare tra i 15 e i 20 anni e il 12,9% anche prima dei 15 anni. La motivazione principale all’iniziazione al fumo di sigaretta rimane, costantemente nel tempo, l’influenza dei pari. Si smette di fumare mediamente a 42,4 anni in entrambi i sessi e principalmente per motivi di salute, ma anche per motivi economici (gli uomini) o a seguito di una gravidanza (le donne). Rispetto alla tipologia di prodotti del tabacco acquistati si osserva quest’anno una conferma della percentuale di fumatori che scelgono le sigarette fatte a mano (17,0% contro il 18,0 del 2014 ed il 9,6% del 2013). I principali consumatori sono i giovani maschi (fino a 25 anni). Il fumo di tabacco in ambito sportivo Un atleta su dieci, con una leggera prevalenza nelle donne, fuma. Questa la percentuale dei fumatori secondo i dati della Commissione per la Vigilanza e il Controllo (CVD), del Ministero della Salute e elaborati dall’ISS. Il dato è stato ottenuto dai controlli in atleti praticanti attività sportive non agonistiche e attività amatoriali giovanili anche agonistiche in diverse discipline e pratiche sportive. I risultati dei test antidoping relativi al monitoraggio della nicotina e dei suoi metaboliti sulle urine di 1511 atleti di diverse discipline, hanno rilevato che anche tra gli atleti ci sono fumatori anche se in percentuale meno elevata rispetto alla popolazione generale (11,0% tra gli atleti, 20.8% nella popolazione generale). In questa particolare popolazione non esiste la differenza di genere che riscontriamo nella popolazione generale anzi la prevalenza delle fumatrici (12,2%) è superiore a quella dei fumatori (10,6%). Differenze anche tra gli sport praticati: è soprattutto tra i calciatori amatoriali che si registra la percentuale più alta di fumatori, più del 30%; a seguire, la scherma e gli sport acquatici. Gli indicatori biochimici hanno rilevato che quasi il 70% degli atleti e delle atlete fumatrici fumano durante l’evento sportivo. La sigaretta elettronica Si conferma, nel 2015, un’ulteriore diminuzione dell’uso della sigaretta elettronica: gli utilizzatori sono passati dall’ 1,6% del 2014 all’1,1% del 2015 (nel 2013 erano il 4,2%). Coloro che la usavano abitualmente nel 2013 erano circa 510 mila persone (l’1% della popolazione), circa 255 mila (lo 0,5%) nel 2014 e circa 350 mila persone (0,7%) nel 2015. I consumatori occasionali erano 1,6 milioni nel 2013 (il 3,2% della popolazione), circa 550 mila (l’1,1%) nel 2014 e 200 mila (lo 0,4%) nel 2015. Gli utilizzatori della e-cig hanno mediamente 45 anni e sono soprattutto uomini (63,2%). In aumento rispetto allo scorso anno la percentuale di utilizzatori ultra 65-enni (12,2%). La e-cig più utilizzata è quella contenente nicotina (60,8%) che viene acquistata soprattutto presso i rivenditori specializzati (61,1%). Tra gli utilizzatori della e-cig è aumentata quest’anno la percentuale di chi ha dichiarato di aver smesso di fumare le sigarette tradizionali (18,8% nel 2014, 30,1% nel 2015). Diminuisce invece anche quest’anno la percentuale di chi dichiara di aver ridotto leggermente o drasticamente il numero di sigarette fumate (41,8% nel 2014, 37,7% nel 2015). In aumento la percentuale di fumatori di e-cig che dichiara di non aver modificato le proprie abitudini tabagiche, aggiungendo quindi l’uso della e-cig allo stesso numero di sigarette tradizionali fumate (25,1% nel 2014 33,5% nel 2015). L’86,0% degli ex utilizzatori di sigaretta elettronica ne ha fatto uso al massimo per 6 mesi. Altri dati, forniti dall’industria delle e-cig, confermano la contrazione nell’utilizzo della sigaretta elettronica: i punti vendita specializzati sono passati da 3.000 nel 2013 a 1.200 nel 2014. I giovani e il fumo Ai giovani, ed ai programmi di prevenzione e di cessazione più efficaci riconosciuti dalla letteratura internazionale, sono dedicate due revisioni Cochrane ed uno studio dell’Osservatorio Fumo Alcol e Droga dell’ISS nato dalla collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ed eseguito con il supporto dell’Ambulatorio di Prevenzione e Terapia del tabagismo dell’Ospedale San Camillo Forlanini di Roma. Lo studio ha rivelato che gli interventi che hanno soltanto un approccio di tipo informativo (opuscoli, tutor, immagini) sono del tutto inefficaci. Programmi, invece, che lavorano sulla capacità di dire NO all’offerta di fumare e sulla capacità di prendere le distanze, sono quelli che più funzionano. La fase di valutazione a 9 mesi dal programma d’intervento, infatti, in una popolazione di 246 alunni di 12 classi di 2 Istituti Tecnici, ha mostrato che nel gruppo di controllo, sottoposto soltanto a incontri informativi, i fumatori sono aumentati dal 17 al 25%. Nel gruppo sperimentale, invece, sottoposto a interventi sulla gestione delle relazioni, sulla diminuzione dell’ansia sociale, sulla strutturazione di idee individuali e dei propri bisogni, i fumatori si sono dimezzati, passando dal 17 al 9%. I centri antifumo L’Osservatorio Fumo, Alcol e Droga dell’ISS come tutti gli anni effettua il censimento dei Centri Antifumo del SSN dedicati alla cura del tabagismo e dei problemi fumo-correlati. Si rileva quest’anno un lieve aumento del numero dei Centri Antifumo attivi sul territorio nazionale (368 ad aprile 2015, 354 nel 2014) che hanno trattato nell’ultimo anno quasi 18.000 utenti. Nell’80% dei casi i centri antifumo hanno preso in carico fino a 100 pazienti/anno che giungono presso la struttura su iniziativa personale (80% dei casi). Il Rapporto dell’ISS rivela, tra gli altri dati, anche una forte impennata delle telefonate giunte al Telefono Verde contro il Fumo 800554088 dell’ISS, a seguito del suo inserimento tra le avvertenze supplementari sull’etichettatura dei prodotti del tabacco. Erano 500 le telefonate nel 2011, sono state 5.414 nel 2014. Hanno chiamato il telefono verde soprattutto fumatori di sesso maschile (3.477 utenti, 64,2% delle chiamate), del Sud Italia (42% delle chiamate). Si registrano in questo ultimo anno anche numerose chiamate di giovani di età inferiore ai 25 anni. La principale motivazione la richiesta di aiuto per smettere di fumare. CARTELLA CLINICA E MEDICINA NARRATIVA Il Progetto europeo SToRe per una cartella clinica partecipata con il paziente I pazienti dettano al medico informazioni sulla loro storia I primi risultati del progetto SToRe Cartella clinica. Un’anamnesi o una storia? È questa la domanda a cui cerca di rispondere il questionario online condotto nell’ambito del progetto europeo SToRe (Story Telling on Record), coordinato dal Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità partendo dal presupposto che il vissuto del paziente possa facilitare il percorso di diagnosi e cura basato sulla medicina delle evidenze[… segue in allegato] Allegato Solo 20 pazienti su 100 hanno un’unica cartella clinica e solo 4 su dieci possono avere accesso diretto alla cartella e la possibilità di integrarla. I primi risultati del progetto sono stati resi noti oggi nel corso della Conferenza finale di SToRe, all’Istituto Superiore di Sanità. «Si tratta di dati importanti per comprendere quanto il vissuto del paziente sia considerato accanto alle evidenze cliniche nel percorso di diagnosi e cura – afferma Domenica Taruscio, Direttore del Centro Nazionale Malattie Rare dell’Iss – Serve a capire che medicina vogliamo praticare oggi, visto che è la stessa scienza che ci mette di fronte all’importanza della diversità biologica individuale. Lavoriamo su progetti come SToRe – continua il Direttore – per capire come fare emergere, valorizzare il vissuto e includerlo nelle evidenze essenziali nella pratica clinica». Il progetto SToRe, coordinato per il Cnmr da Amalia Egle Gentile, ha scattato dunque una fotografia dell’utilizzo della cartella clinica attraverso un campione di sei paesi europei (Italia, Bulgaria, Grecia, Repubblica Ceca, Spagna e Turchia). Questa in sintesi l’anticipazione dei principali risultati: - Nel 75% dei casi, le cartelle cliniche sono in formato sia cartaceo sia elettronico; - Poco meno di metà dei partecipanti usa cartelle cliniche “episode-based”, solo nel 20% dei casi ogni paziente ha una sola cartella clinica; - Nell’80% dei casi, la cartella clinica è utilizzata da medici e altri professionisti sanitari: il 60% sono infermieri, il 30% terapisti della riabilitazione e solo in minima parte psicologi, assistenti sociali e altro personale. - Solo nel 40% dei casi, il paziente può leggere la cartella clinica. Di questi, solo il 67% può accedere all’intera cartella e nel 13% anche integrarne le informazioni direttamente. - Il 70% dei professionisti sanitari per lo più utilizza la cartella clinica esclusivamente per registrare informazioni cliniche. - Circa il 40% integra informazioni rilevanti fornite dal paziente. - Oltre il 30% la utilizza per annotare anche commenti e considerazioni personali (di questi, il 75% sono info accessibili e condivise con altri specialisti). - Circa il 20% la utilizza per comunicare via web con altri specialisti o per un consulto. - In più dell’80% dei casi, è possibile integrare la cartella clinica solo con informazioni scritte. - Soltanto nel 17% dei casi è possibile includere altri formati come immagini audio e video. «Sono dati che ci suggeriscono l’importanza di ottenere un modello integrato che dia spazio alla partecipazione della persona con una patologia – conclude Domenica Taruscio – utile per formulare la diagnosi e accompagnare la persona nel percorso clinico e favorire una migliore adesione alle cure». [http://www.storeproject.eu/]