OGM
Note per un
consumo
consapevole
Divulgazione a cura di
Regione Lazio
Via Rosa Raimondi Garibaldi 7 – 00145 Roma
Direzione Regionale Agricoltura - Area Servizi Tecnici e Scientifici
Ufficio Risorse genetiche, Vigilanza OGM, Ricerca e
Sperimentazione
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ARSIAL
Agenzia Regionale per lo Sviluppo Agricolo e l’Innovazione
dell’ Agricoltura del Lazio
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Servizio Tutela Risorse, Vigilanza e Qualità Produzioni
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La Regione Lazio, con Legge Regionale 15/06 (“Disposizioni urgenti in materia
di organismi geneticamente modificati”), ha sancito con chiarezza la propria
vocazione a tutela di un’agricoltura di qualità libera da OGM attraverso il
divieto di coltivazione ed allevamento di OGM sul territorio regionale,
demandando ad ARSIAL l’attività di vigilanza e controllo sull’applicazione del
dettato legislativo. Tale mandato si inserisce nel più vasto ambito d’azione
definito dalla legge istitutiva dell’Agenzia (L.R. 15/2003) che all’art.2 investe
l’ARSIAL del compito di presidiare politiche di miglioramento delle produzioni e
al tempo stesso di tutela della salute dei consumatori.
Nel ribadire il proprio sostegno ai nuovi obiettivi di politica agraria regionale,
ARSIAL è attivamente impegnata nella qualificazione e valorizzazione
commerciale delle produzioni di qualità, con azioni di tutela e caratterizzazione
delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche, di difesa della
biodiversità agraria animale e vegetale attraverso l’applicazione della L.R.
15/03, e con l’attività di vigilanza sugli Organismi di Controllo dell’agricoltura
biologica nonchè sulla misura F1 (agroambiente) del Piano di Sviluppo Rurale;
nel loro insieme, queste azioni convergono nello sforzo di fare leva sulla
ricchezza del nostro patrimonio agro-alimentare per rendere più competitiva
l’agricoltura regionale proprio a partire dalle aree interne più svantaggiate.
Tutto ciò non può prescindere dalla consapevolezza che tali obiettivi sono
raggiungibili esclusivamente in una cornice agro-ambientale non intaccata dai
rischi potenzialmente rappresentati dall’agricoltura transgenica.
Da questa consapevolezza nasce l’esigenza di comunicare a consumatori ed
operatori del settore primario, anche attraverso il presente opuscolo, alcune
delle più dibattute problematiche legate all’uso di organismi geneticamente
modificati (OGM) in ambito agricolo e all’impatto dell’agricoltura transgenica
sulla salute dell’uomo e degli ecosistemi. Anche su questo tema, ARSIAL si
schiera a fianco di quei produttori della filiera regionale che hanno scommesso
su una scelta di qualità e a tutela della crescente domanda di sicurezza
proveniente dal mondo dei consumi.
Il Commissario Straordinario ARSIAL
Erder Mazzocchi
Cosa sono le biotecnologie?
Le tecnologie basate su processi biologici sono utilizzate dagli
albori della civiltà umana. L’utilizzo di microrganismi nell’ambito
di processi di fermentazione finalizzati alla preparazione di cibi e
bevande (vino, aceto, birra, formaggio, yogurt, pane) e le
tecniche di miglioramento genetico in campo agricolo
rappresentano esempi di biotecnologie tradizionali.
Tutte queste pratiche non violano le barriere naturali, cioè non
creano relazioni fra mondo animale e vegetale, né trasferiscono
geni fra piante geneticamente lontane.
Cos’è un OGM?
I progressi in campo scientifico hanno portato alle attuali
biotecnologie innovative che superano di fatto le barriere
riproduttive esistenti in natura. In particolare, le tecniche di
ingegneria genetica consentono di manipolare il materiale
genetico (DNA) degli organismi viventi modificando o
eliminando geni, o inserendo geni di un organismo nel DNA di
un altro. Ad esempio, è possibile introdurre stabilmente porzioni
di DNA batterico nel DNA di una pianta, che acquisirà in questo
modo nuove proprietà. In questo modo si possono ottenere
“Organismi Geneticamente Modificati” (OGM), non presenti in
natura, in grado di esprimere caratteristiche “utili” che possono
essere sfruttate a fini produttivi, con applicazioni in svariati
campi.
In particolare, in campo agronomico la ricerca nel settore
ha attraversato diverse fasi, in base alle quali è possibile
distinguere tre “generazioni” di OGM.
Le prime esperienze hanno prodotto i cosiddetti OGM di
prima generazione, quelli attualmente presenti nel
mercato agroalimentare. Le caratteristiche introdotte
nelle piante geneticamente modificate attualmente
commercializzate riguardano la tolleranza ad erbicidi (la
maggior parte) e la resistenza a particolari insetti.
Negli ultimi anni la ricerca si è concentrata verso nuovi
settori che utilizzano le piante per produrre alimenti ad
alto valore nutrizionale, i cosiddetti alimenti nutraceutici
(OGM di seconda generazione) non ancora in commercio,
mentre un’altra branca di ricerca si sta attualmente
concentrando sulla modificazione del materiale genetico
delle piante per produrre farmaci e vaccini sia per uso
veterinario che per uso umano, o composti di interesse
industriale (OGM di terza generazione). Attualmente oltre
il 25% dei farmaci viene prodotto in questo modo.
Gli interrogativi aperti
Le tecniche di trasferimento genico hanno il limite di non
essere abbastanza precise da poter prevedere con
esattezza dove il DNA estraneo si inserirà né quali
saranno le sue interazioni con gli altri geni e col
metabolismo dell’organismo modificato. Di conseguenza,
la diffusione delle colture transgeniche ha posto
numerosi interrogativi. In realtà i dati scientifici relativi
alla sicurezza degli OGM sono scarsi, controversi e
spesso non prendono in considerazione gli effetti a lungo
termine sulla salute umana e sull’ambiente. Perciò, in
mancanza di dati certi, un approccio precauzionale al
problema deve tener conto dell’esistenza di alcuni
potenziali rischi a carico dell’ambiente e della salute
umana, tra cui:
riduzione della biodiversità, in seguito alla diffusione a
livello mondiale di pochissime monocolture transgeniche,
con perdita di un grande numero di specie vegetali ed
alterazione degli equilibri microbiologici del suolo;
trasmissione del gene inserito nella pianta modificata a
piante della stessa specie, attraverso la diffusione del
polline;
selezione di insetti resistenti al carattere inserito nella
pianta geneticamente modificata;
aumentato uso di pesticidi in colture in cui è stato
introdotto il carattere della tolleranza;
produzione di sostanze tossiche nelle colture
geneticamente
modificate:
l’introduzione
dei
geni
“estranei” potrebbe alterare alcune vie metaboliche delle
piante provocando l’accumulo nei tessuti di sostanze non
previste più o meno tossiche;
introduzione di nuovi allergeni nella filiera alimentare: le
tecniche di trasferimento genico tra organismi molto diversi
potrebbero introdurre nella dieta proteine mai consumate
prima in maniera significativa, provocando reazioni in
persone sensibili;
resistenza ad antibiotici: esiste il rischio, seppure molto
basso, che l’ingestione alimentare di OGM contenenti geni
di resistenza ad antibiotici possa trasformare i batteri del
tratto gastrointestinale, rendendo inefficace l'azione
terapeutica degli antibiotici stessi. Per questo motivo dal
2004 è stato proibito l’uso di questi geni negli OGM
immessi in commercio.
Quanto è diffuso il mercato dell’agrobiotech
nel mondo?
L’agricoltura biotecnologica, benché in costante aumento,
rappresenta un settore limitato nel mercato globale. Infatti, su
una superficie totale di 1.5 miliardi di ettari, le aree destinate a
coltivazioni transgeniche ammontavano a 148 milioni di ettari
nel 2010 (Rapporto ISAA 2010). Sono 29 i Paesi che hanno
adottato coltivazioni transgeniche (di cui 19 Paesi in via di
sviluppo e solo 10 Paesi industrializzati), sebbene attualmente
circa il 90% della superficie agricola dedicata agli OGM si
concentri in USA e Argentina. Tra le colture biotech, la soia è
quella maggiormente rappresentata, assommando il 53% della
superficie mondiale coltivata ad OGM; seguono il mais (30%),
il cotone (12%) ed il colza (5%). Tra tutte queste varietà, il 63%
è modificato per il carattere di tolleranza agli erbicidi, il 15%
per la resistenza ad insetti fitofagi e il 22% per entrambi.
Sebbene in Europa siano attualmente autorizzate per uso
mangimistico e/o alimentare 31 varietà di piante OGM (mais,
soia, colza, cotone, barbabietola e patata), l’estensione delle
colture geneticamente modificate è molto limitata (0.05% del
totale) e riguarda esclusivamente sei paesi in cui viene
coltivata una varietà di mais (MON 810, modificato per
proteggere la coltura dalla piralide del mais) e una patata ad
aumentato contenuto di amido (Amflora, destinata ad usi
industriali). Tuttavia, a fronte di tale scarsità di coltivazioni
GM, l’UE importa circa il 70% dei mangimi, la maggior parte
dei quali consistono di soia e mais provenienti dagli USA.
COLTIVAZIONE DI MAIS OGM IN EUROPA IN ETTARI
30001200
820
spagna
4700
portogallo
4800
rep. ceca
polonia
68000
slovacchia
romania
Complessivamente, in Europa, si calcola che le
superfici destinate a coltivazioni GM abbiano subito
una riduzione del 13% dal 2009 al 2010. Questo calo
delle coltivazioni transgeniche rispecchia la crescente
diffidenza degli agricoltori europei nei confronti delle
agrobiotecnologie che, a tanti anni dalla loro
introduzione in Europa (fine anni ‘90), non sono
riuscite a trovare uno sbocco di mercato a causa della
persistente contrarietà dei consumatori ad acquistare
prodotti geneticamente modificati.
Sulla base di recenti sondaggi (Eurobarometro 2010),
infatti, il 61% dei cittadini europei è contraria all’uso
degli OGM in agricoltura.
Benefici per chi?
L’introduzione su larga scala delle colture transgeniche
viene spesso prospettata come un’opportunità per
contrastare il problema della fame nel mondo, allettando
gli agricoltori con i potenziali benefici derivanti dall’uso
di semi più produttivi o di più facile coltivazione.
In realtà, a tanti anni dalla comparsa di questi prodotti,
nonostante la crescente diffusione delle colture OGM nei
paesi in via di sviluppo – nei quali si concentra circa la
metà delle estensioni agricole coltivate ad OGM - non si
è registrata alcuna inversione di tendenza a favore di un
aumento del reddito delle imprese agricole. Secondo la
FAO il problema non è rappresentato dall’insufficienza di
cibo ma dalla possibilità di accedervi. A livello
commerciale, infatti, il mercato dell’agrobiotech è
monopolizzato da pochissime aziende multinazionali che
controllano sia il settore sementiero che quello della
chimica, traendo ingenti profitti sia dalla vendita delle
varietà di sementi brevettate che da quella dei diserbanti
cui la gran parte delle piante sono resistenti.
L’impatto su territori e saperi tradizionali
L’agricoltura transgenica tende ad uniformare il patrimonio
varietale verso pochissime monocolture di interesse
commerciale, con risvolti negativi in termini di conservazione
della biodiversità in generale, sia per il rischio di inquinamento
genetico delle specie vegetali selvatiche compatibili con le
varietà geneticamente modificate introdotte,
sia per
la
possibile introduzione di materiale genetico estraneo nei cicli
biogeochimici del suolo, ed infine per il rischio di perdere
varietà tradizionali legate al territorio che verrebbero
soppiantate da quelle geneticamente modificate fino alla loro
totale scomparsa.
A questa concezione di agricoltura corrisponde la dispersione
di un patrimonio di sapori, gusti e culture ad essi collegate. In
generale, ma ancor più per un paese come l’Italia che tanto ha
puntato sulle proprie specificità nel campo agroalimentare,
tutto ciò rappresenta una minaccia diretta alla ricchezza del
patrimonio agricolo, col suo bagaglio di diversificazione
colturale, tradizioni contadine e prodotti di qualità apprezzati
nel mondo, da quelli tipici (basati su precisi disciplinari di
produzione riconosciuti a livello comunitario) a quelli
tradizionali e biologici.
Per tutti i produttori che hanno investito nelle produzioni di
qualità,
l’introduzione
di
OGM
su
larga
scala
rappresenterebbe un serio limite alla possibilità di
mantenere gli impegni presi con i consumatori.
Anche il Lazio è presente a livello nazionale con
un’importante quota di prodotti di eccellenza, la cui
sopravvivenza è legata alla tutela del territorio ed alla
valorizzazione di distretti agricoli molto differenziati, in grado
di offrire prodotti tipici fortemente ancorati alle tradizioni
gastronomiche locali. Due di essi (Ricotta Romana e
Abbacchio Romano) hanno inserito nel proprio disciplinare
di produzione l’esplicito divieto di ricorrere a mangimi OGM
per l’alimentazione animale.
Cosa dice la normativa?
L’Europa e l’Italia
Sulle problematiche legate all’introduzione delle
biotecnologie in agricoltura la comunità scientifica
internazionale si è finora espressa in maniera
contraddittoria, influenzando in modo diverso le
complesse normative che regolano questo settore,
peraltro in continua evoluzione. In particolare, negli USA
ha prevalso il principio della “sostanziale equivalenza”
secondo cui un prodotto alimentare nuovo o GM è
essenzialmente considerato sicuro finchè non ne venga
dimostrata la pericolosità. In Europa questo principio è
stato sostituito, nell’attuale normativa comunitaria e
nazionale in materia di biotech, dal “principio di
precauzione”, in base al quale - in mancanza di dati
scientifici certi che consentano una valutazione completa
dei potenziali rischi per la salute umana e per l’ambiente
associati all’uso di OGM - si assume come prioritario un
elevato livello di protezione dei consumatori. Su questa
base è stata emanata la Direttiva 2001/18/CE (recepita
dall’Italia col Decreto Legislativo
224/2003),
che
subordina l’autorizzazione alla coltivazione di OGM a
scopo sperimentale o commerciale ad un iter di
approvazione basato sulla valutazione del rischio da
parte dell’autorità competente.
Per quanto riguarda le norme relative alla comunicazione,
il Regolamento 2003/1829/CE, relativo ad alimenti e
mangimi geneticamente modificati, sancisce - per i
produttori - l’obbligo di indicare in etichetta la presenza o
la derivazione di OGM nei prodotti alimentari e nei
mangimi zootecnici, a tutela di una scelta consapevole di
consumatori ed agricoltori. Tale obbligo si riferisce ai
prodotti in cui il contenuto di OGM superi la cosiddetta
“soglia di tolleranza”, stabilita per legge al valore dello
0.9% per ciascun ingrediente; al di sotto di questa soglia
l’etichettatura non è obbligatoria, a condizione che la
presenza di OGM sia “accidentale o tecnicamente
inevitabile”. Contemporaneamente, il Regolamento
2003/1830/CE
stabilisce le regole per assicurare la
tracciabilità e la corretta etichettatura dei prodotti OGM o
da essi costituiti o derivati, attraverso tutte le fasi della
loro produzione e distribuzione ed immissione in
commercio.
Con la Raccomandazione 2003/556/CE la Commissione
Europea ha inteso regolamentare la coesistenza tra le
colture geneticamente modificate, convenzionali e
biologiche, delegando ai singoli Stati l’emanazione di
norme in tal senso che tengano conto delle specificità
territoriali.
A valle di tale raccomandazione lo Stato italiano ha
approvato la Legge n. 5/2005 sulla coesistenza, che fissa il
principio che le colture transgeniche possono essere
introdotte in pieno campo a condizione che non vengano
pregiudicate le attività agricole preesistenti, e prevede una
moratoria alla coltivazione di OGM fino all’adozione dei Piani
Regionali di Coesistenza.
Successivamente, in seguito ad un ricorso presentato dalla
Regione Marche, la sentenza della Corte Costituzionale n.116
del 17/03/2006 ha dichiarato l’illeggittimità di gran parte della
suddetta legge, affermando che la coesistenza deve essere
disciplinata a livello regionale e non statale. Inoltre, la
Circolare n. 269 del 3/4/2006 ha confermato il divieto di
coltivare OGM fino all’adozione dei piani di coesistenza
regionali.
A tal fine la Conferenza Stato-Regioni ha istituito un gruppo
tecnico di lavoro che ha elaborato nel 2007 le “Linee Guida
per le normative regionali di coesistenza tra colture
convenzionali, biologiche e geneticamente modificate”.
Su questo quadro di riferimento si innesta la recente
Raccomandazione della Commissione del 13/7/2010 (con la
quale viene superata la precedente Raccomandazione
2003/556/CE) che dà agli Stati membri maggiore flessibilità
nell’adozione di misure di coesistenza e, insieme alla
Comunicazione della Commissione 380 del 2010,
rappresenta un cambiamento globale della futura politica nei
confronti degli OGM.
Nel contempo molte regioni europee, tra cui la maggior
parte di quelle italiane, al fine di tutelare le scelte locali
hanno costituito un “network europeo delle regioni
libere da OGM”, che riunisce 169 governi regionali
dell’Unione Europea, cui ha aderito anche la Regione
Lazio. Lo scopo è quello di salvaguardare la
biodiversità agricola e naturale, le produzioni
biologiche ed i prodotti tipici, la cultura e le tradizioni
locali.
Al momento in Italia è vietato coltivare piante
geneticamente modificate, mentre sono consentite le
importazioni di derrate di mais e soia GM autorizzati
dall’Ue provenienti da paesi come Canada, Usa, Brasile
ed Argentina, da utilizzare per la produzione industriale
di alimenti e mangimi.
Nel 2010 la Conferenza Stato–Regioni ha approvato
(con l’eccezione della Regione Lombardia) un
documento con il quale le Regioni hanno chiesto al
Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali
di vietare la coltivazione del Mais MON 810 e della
patata Amflora, nonché di rappresentare anche in sede
comunitaria la posizione unanime delle Regioni e delle
Province autonome di assoluta contrarietà rispetto alla
autorizzazione della coltivazione degli organismi
geneticamente modificati sul territorio nazionale.
Il Lazio
Il Lazio ha ribadito la propria contrarietà agli OGM,
attraverso l’emanazione della Legge Regionale 15/2006
che mira a tutelare le risorse genetiche, la qualità e
l’originalità del sistema agricolo ed alimentare del
territorio regionale, preservandoli dalla contaminazione
da OGM.
I suoi punti salienti:
sono vietati su tutto il territorio laziale la coltivazione e
l’allevamento a qualsiasi titolo di OGM;
vengono
stabilite limitazioni alla concessione di
contributi regionali per chi utilizzi mangimi etichettati
come OGM per l’alimentazione del bestiame;
è vietata la distribuzione di prodotti OGM nella
pubblica ristorazione;
gli esercenti che intendono vendere prodotti OGM
hanno l’obbligo di esporli e conservarli in appositi
scomparti ed informarne il consumatore;
i ristoranti che somministrano cibi preparati con
prodotti OGM devono fornirne chiara indicazione sul
proprio menu;
si esclude dall’accesso ai marchi regionali di
qualità l’impresa che utilizza OGM nella produzione
di beni agricoli o alimentari freschi o trasformati;
viene promossa un’attività di ricerca volta a
sostenere lo sviluppo di filiere libere da OGM e la
valutazione di impatto dell’agricoltura transgenica
sui sistemi agrari e sugli ecosistemi, relegando la
sperimentazione su organismi transgenici in
ambiente confinato e comunque al di fuori da aree
demaniali e di pregio ambientale;
è istituita una nuova certificazione regionale di
qualità “Prodotto libero da OGM-GMO free”;
viene affidata all’ARSIAL l’attività di vigilanza e
controllo sull’applicazione della legge stessa.
Cosa cercare in etichetta?
Ai
fini
di
una
corretta
informazione,
il
consumatore può contollare che il prodotto
riporti in etichetta (o nelle sue immediate
vicinanze nel caso di prodotti sfusi)
l’indicazione relativa all’eventuale presenza di
organismi geneticamente modificati.
In particolare:
•
nel caso di prodotti alimentari preconfezionati
con elenco ingredienti, l’indicazione va
riportata tra parentesi, nell’elenco ingredienti,
subito dopo l’ingrediente in questione, oppure
in una nota a piè pagina;
•
nel caso di alimenti preconfezionati senza
elenco ingredienti, l’indicazione deve essere
ben visibile in etichetta.
Per gli alimenti sfusi, è obbligatorio che tale
indicazione venga apposta in modo visibile e
permanente dove l’alimento è esposto o nelle
sue immediate vicinanze.
L’attività di controllo ARSIAL
L’Agenzia, per gli adempimenti di cui alla
L.R. n. 15/2006 inerente “Disposizioni
urgenti sugli organismi geneticamente
modificati”, svolge attività di vigilanza e
controllo sul rispetto del divieto di
coltivazione e allevamento a qualsiasi
titolo di OGM su tutto il territorio
regionale.
L’attività ispettiva prevede una verifica
documentale
preliminare
volta
ad
accertare la rintracciabilità della semente
e la congruità dei documenti esibiti dal
titolare dell’azienda (fatture d’acquisto
semente, cartellini semente, certificato
della ditta sementiera di esenzione da
OGM, planimetrie, ecc) rispetto alla
superficie investita.
Tale verifica, effettuata su un campione
di aziende laziali che coltivano mais, è
integrata da un ulteriore accertamento
realizzato tramite campionamento di
foglie di mais qualora il lotto di
appartenenza della semente non sia già
stato oggetto di analisi nell’ ambito del
Piano nazionale di controllo di mais e
soia per la presenza di OGM ai sensi del DM 27 novembre
2003 e s.m.i. (svolto annualmente da: Ispettorato centrale
della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti
agroalimentari (ICQ) del MiPAAF, Istituto Nazionale di
Ricerca per gli alimenti e la Nutrizione – Settore
sementiero (INRAN-ENSE) e Agenzia delle Dogane) e in
tutti i casi in cui non sia possibile accertare l’origine della
semente.
I campioni prelevati dall’ARSIAL vengono poi inviati al
Laboratorio di Biotecnologie afferente all’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale Lazio e Toscana (IZS) –
Centro di referenza nazionale per la ricerca di OGM,
designato dal Ministero della Salute - per le analisi di
laboratorio finalizzate a rilevare la presenza o meno di
OGM.
A cura di
Alessandra Argiolas
Coordinamento
Patrizia Elvira Minischetti
Claudia Papalini
Progetto grafico e stampa
ARSIAL
Anno 2011
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