OGM Note per un consumo consapevole Divulgazione a cura di Regione Lazio Via Rosa Raimondi Garibaldi 7 – 00145 Roma Direzione Regionale Agricoltura - Area Servizi Tecnici e Scientifici Ufficio Risorse genetiche, Vigilanza OGM, Ricerca e Sperimentazione tel. 06 5168.6823 -4270 fax 06 5168.6828 e-mail [email protected] [email protected] www. agricoltura.regione.lazio.it ARSIAL Agenzia Regionale per lo Sviluppo Agricolo e l’Innovazione dell’ Agricoltura del Lazio Via Rodolfo Lanciani 38 – 00162 Roma Servizio Tutela Risorse, Vigilanza e Qualità Produzioni Unità Vigilanza tel. 06 86273.224 - 353 - 355 fax 06 86273.465 e-mail [email protected] www.arsial.it La Regione Lazio, con Legge Regionale 15/06 (“Disposizioni urgenti in materia di organismi geneticamente modificati”), ha sancito con chiarezza la propria vocazione a tutela di un’agricoltura di qualità libera da OGM attraverso il divieto di coltivazione ed allevamento di OGM sul territorio regionale, demandando ad ARSIAL l’attività di vigilanza e controllo sull’applicazione del dettato legislativo. Tale mandato si inserisce nel più vasto ambito d’azione definito dalla legge istitutiva dell’Agenzia (L.R. 15/2003) che all’art.2 investe l’ARSIAL del compito di presidiare politiche di miglioramento delle produzioni e al tempo stesso di tutela della salute dei consumatori. Nel ribadire il proprio sostegno ai nuovi obiettivi di politica agraria regionale, ARSIAL è attivamente impegnata nella qualificazione e valorizzazione commerciale delle produzioni di qualità, con azioni di tutela e caratterizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche, di difesa della biodiversità agraria animale e vegetale attraverso l’applicazione della L.R. 15/03, e con l’attività di vigilanza sugli Organismi di Controllo dell’agricoltura biologica nonchè sulla misura F1 (agroambiente) del Piano di Sviluppo Rurale; nel loro insieme, queste azioni convergono nello sforzo di fare leva sulla ricchezza del nostro patrimonio agro-alimentare per rendere più competitiva l’agricoltura regionale proprio a partire dalle aree interne più svantaggiate. Tutto ciò non può prescindere dalla consapevolezza che tali obiettivi sono raggiungibili esclusivamente in una cornice agro-ambientale non intaccata dai rischi potenzialmente rappresentati dall’agricoltura transgenica. Da questa consapevolezza nasce l’esigenza di comunicare a consumatori ed operatori del settore primario, anche attraverso il presente opuscolo, alcune delle più dibattute problematiche legate all’uso di organismi geneticamente modificati (OGM) in ambito agricolo e all’impatto dell’agricoltura transgenica sulla salute dell’uomo e degli ecosistemi. Anche su questo tema, ARSIAL si schiera a fianco di quei produttori della filiera regionale che hanno scommesso su una scelta di qualità e a tutela della crescente domanda di sicurezza proveniente dal mondo dei consumi. Il Commissario Straordinario ARSIAL Erder Mazzocchi Cosa sono le biotecnologie? Le tecnologie basate su processi biologici sono utilizzate dagli albori della civiltà umana. L’utilizzo di microrganismi nell’ambito di processi di fermentazione finalizzati alla preparazione di cibi e bevande (vino, aceto, birra, formaggio, yogurt, pane) e le tecniche di miglioramento genetico in campo agricolo rappresentano esempi di biotecnologie tradizionali. Tutte queste pratiche non violano le barriere naturali, cioè non creano relazioni fra mondo animale e vegetale, né trasferiscono geni fra piante geneticamente lontane. Cos’è un OGM? I progressi in campo scientifico hanno portato alle attuali biotecnologie innovative che superano di fatto le barriere riproduttive esistenti in natura. In particolare, le tecniche di ingegneria genetica consentono di manipolare il materiale genetico (DNA) degli organismi viventi modificando o eliminando geni, o inserendo geni di un organismo nel DNA di un altro. Ad esempio, è possibile introdurre stabilmente porzioni di DNA batterico nel DNA di una pianta, che acquisirà in questo modo nuove proprietà. In questo modo si possono ottenere “Organismi Geneticamente Modificati” (OGM), non presenti in natura, in grado di esprimere caratteristiche “utili” che possono essere sfruttate a fini produttivi, con applicazioni in svariati campi. In particolare, in campo agronomico la ricerca nel settore ha attraversato diverse fasi, in base alle quali è possibile distinguere tre “generazioni” di OGM. Le prime esperienze hanno prodotto i cosiddetti OGM di prima generazione, quelli attualmente presenti nel mercato agroalimentare. Le caratteristiche introdotte nelle piante geneticamente modificate attualmente commercializzate riguardano la tolleranza ad erbicidi (la maggior parte) e la resistenza a particolari insetti. Negli ultimi anni la ricerca si è concentrata verso nuovi settori che utilizzano le piante per produrre alimenti ad alto valore nutrizionale, i cosiddetti alimenti nutraceutici (OGM di seconda generazione) non ancora in commercio, mentre un’altra branca di ricerca si sta attualmente concentrando sulla modificazione del materiale genetico delle piante per produrre farmaci e vaccini sia per uso veterinario che per uso umano, o composti di interesse industriale (OGM di terza generazione). Attualmente oltre il 25% dei farmaci viene prodotto in questo modo. Gli interrogativi aperti Le tecniche di trasferimento genico hanno il limite di non essere abbastanza precise da poter prevedere con esattezza dove il DNA estraneo si inserirà né quali saranno le sue interazioni con gli altri geni e col metabolismo dell’organismo modificato. Di conseguenza, la diffusione delle colture transgeniche ha posto numerosi interrogativi. In realtà i dati scientifici relativi alla sicurezza degli OGM sono scarsi, controversi e spesso non prendono in considerazione gli effetti a lungo termine sulla salute umana e sull’ambiente. Perciò, in mancanza di dati certi, un approccio precauzionale al problema deve tener conto dell’esistenza di alcuni potenziali rischi a carico dell’ambiente e della salute umana, tra cui: riduzione della biodiversità, in seguito alla diffusione a livello mondiale di pochissime monocolture transgeniche, con perdita di un grande numero di specie vegetali ed alterazione degli equilibri microbiologici del suolo; trasmissione del gene inserito nella pianta modificata a piante della stessa specie, attraverso la diffusione del polline; selezione di insetti resistenti al carattere inserito nella pianta geneticamente modificata; aumentato uso di pesticidi in colture in cui è stato introdotto il carattere della tolleranza; produzione di sostanze tossiche nelle colture geneticamente modificate: l’introduzione dei geni “estranei” potrebbe alterare alcune vie metaboliche delle piante provocando l’accumulo nei tessuti di sostanze non previste più o meno tossiche; introduzione di nuovi allergeni nella filiera alimentare: le tecniche di trasferimento genico tra organismi molto diversi potrebbero introdurre nella dieta proteine mai consumate prima in maniera significativa, provocando reazioni in persone sensibili; resistenza ad antibiotici: esiste il rischio, seppure molto basso, che l’ingestione alimentare di OGM contenenti geni di resistenza ad antibiotici possa trasformare i batteri del tratto gastrointestinale, rendendo inefficace l'azione terapeutica degli antibiotici stessi. Per questo motivo dal 2004 è stato proibito l’uso di questi geni negli OGM immessi in commercio. Quanto è diffuso il mercato dell’agrobiotech nel mondo? L’agricoltura biotecnologica, benché in costante aumento, rappresenta un settore limitato nel mercato globale. Infatti, su una superficie totale di 1.5 miliardi di ettari, le aree destinate a coltivazioni transgeniche ammontavano a 148 milioni di ettari nel 2010 (Rapporto ISAA 2010). Sono 29 i Paesi che hanno adottato coltivazioni transgeniche (di cui 19 Paesi in via di sviluppo e solo 10 Paesi industrializzati), sebbene attualmente circa il 90% della superficie agricola dedicata agli OGM si concentri in USA e Argentina. Tra le colture biotech, la soia è quella maggiormente rappresentata, assommando il 53% della superficie mondiale coltivata ad OGM; seguono il mais (30%), il cotone (12%) ed il colza (5%). Tra tutte queste varietà, il 63% è modificato per il carattere di tolleranza agli erbicidi, il 15% per la resistenza ad insetti fitofagi e il 22% per entrambi. Sebbene in Europa siano attualmente autorizzate per uso mangimistico e/o alimentare 31 varietà di piante OGM (mais, soia, colza, cotone, barbabietola e patata), l’estensione delle colture geneticamente modificate è molto limitata (0.05% del totale) e riguarda esclusivamente sei paesi in cui viene coltivata una varietà di mais (MON 810, modificato per proteggere la coltura dalla piralide del mais) e una patata ad aumentato contenuto di amido (Amflora, destinata ad usi industriali). Tuttavia, a fronte di tale scarsità di coltivazioni GM, l’UE importa circa il 70% dei mangimi, la maggior parte dei quali consistono di soia e mais provenienti dagli USA. COLTIVAZIONE DI MAIS OGM IN EUROPA IN ETTARI 30001200 820 spagna 4700 portogallo 4800 rep. ceca polonia 68000 slovacchia romania Complessivamente, in Europa, si calcola che le superfici destinate a coltivazioni GM abbiano subito una riduzione del 13% dal 2009 al 2010. Questo calo delle coltivazioni transgeniche rispecchia la crescente diffidenza degli agricoltori europei nei confronti delle agrobiotecnologie che, a tanti anni dalla loro introduzione in Europa (fine anni ‘90), non sono riuscite a trovare uno sbocco di mercato a causa della persistente contrarietà dei consumatori ad acquistare prodotti geneticamente modificati. Sulla base di recenti sondaggi (Eurobarometro 2010), infatti, il 61% dei cittadini europei è contraria all’uso degli OGM in agricoltura. Benefici per chi? L’introduzione su larga scala delle colture transgeniche viene spesso prospettata come un’opportunità per contrastare il problema della fame nel mondo, allettando gli agricoltori con i potenziali benefici derivanti dall’uso di semi più produttivi o di più facile coltivazione. In realtà, a tanti anni dalla comparsa di questi prodotti, nonostante la crescente diffusione delle colture OGM nei paesi in via di sviluppo – nei quali si concentra circa la metà delle estensioni agricole coltivate ad OGM - non si è registrata alcuna inversione di tendenza a favore di un aumento del reddito delle imprese agricole. Secondo la FAO il problema non è rappresentato dall’insufficienza di cibo ma dalla possibilità di accedervi. A livello commerciale, infatti, il mercato dell’agrobiotech è monopolizzato da pochissime aziende multinazionali che controllano sia il settore sementiero che quello della chimica, traendo ingenti profitti sia dalla vendita delle varietà di sementi brevettate che da quella dei diserbanti cui la gran parte delle piante sono resistenti. L’impatto su territori e saperi tradizionali L’agricoltura transgenica tende ad uniformare il patrimonio varietale verso pochissime monocolture di interesse commerciale, con risvolti negativi in termini di conservazione della biodiversità in generale, sia per il rischio di inquinamento genetico delle specie vegetali selvatiche compatibili con le varietà geneticamente modificate introdotte, sia per la possibile introduzione di materiale genetico estraneo nei cicli biogeochimici del suolo, ed infine per il rischio di perdere varietà tradizionali legate al territorio che verrebbero soppiantate da quelle geneticamente modificate fino alla loro totale scomparsa. A questa concezione di agricoltura corrisponde la dispersione di un patrimonio di sapori, gusti e culture ad essi collegate. In generale, ma ancor più per un paese come l’Italia che tanto ha puntato sulle proprie specificità nel campo agroalimentare, tutto ciò rappresenta una minaccia diretta alla ricchezza del patrimonio agricolo, col suo bagaglio di diversificazione colturale, tradizioni contadine e prodotti di qualità apprezzati nel mondo, da quelli tipici (basati su precisi disciplinari di produzione riconosciuti a livello comunitario) a quelli tradizionali e biologici. Per tutti i produttori che hanno investito nelle produzioni di qualità, l’introduzione di OGM su larga scala rappresenterebbe un serio limite alla possibilità di mantenere gli impegni presi con i consumatori. Anche il Lazio è presente a livello nazionale con un’importante quota di prodotti di eccellenza, la cui sopravvivenza è legata alla tutela del territorio ed alla valorizzazione di distretti agricoli molto differenziati, in grado di offrire prodotti tipici fortemente ancorati alle tradizioni gastronomiche locali. Due di essi (Ricotta Romana e Abbacchio Romano) hanno inserito nel proprio disciplinare di produzione l’esplicito divieto di ricorrere a mangimi OGM per l’alimentazione animale. Cosa dice la normativa? L’Europa e l’Italia Sulle problematiche legate all’introduzione delle biotecnologie in agricoltura la comunità scientifica internazionale si è finora espressa in maniera contraddittoria, influenzando in modo diverso le complesse normative che regolano questo settore, peraltro in continua evoluzione. In particolare, negli USA ha prevalso il principio della “sostanziale equivalenza” secondo cui un prodotto alimentare nuovo o GM è essenzialmente considerato sicuro finchè non ne venga dimostrata la pericolosità. In Europa questo principio è stato sostituito, nell’attuale normativa comunitaria e nazionale in materia di biotech, dal “principio di precauzione”, in base al quale - in mancanza di dati scientifici certi che consentano una valutazione completa dei potenziali rischi per la salute umana e per l’ambiente associati all’uso di OGM - si assume come prioritario un elevato livello di protezione dei consumatori. Su questa base è stata emanata la Direttiva 2001/18/CE (recepita dall’Italia col Decreto Legislativo 224/2003), che subordina l’autorizzazione alla coltivazione di OGM a scopo sperimentale o commerciale ad un iter di approvazione basato sulla valutazione del rischio da parte dell’autorità competente. Per quanto riguarda le norme relative alla comunicazione, il Regolamento 2003/1829/CE, relativo ad alimenti e mangimi geneticamente modificati, sancisce - per i produttori - l’obbligo di indicare in etichetta la presenza o la derivazione di OGM nei prodotti alimentari e nei mangimi zootecnici, a tutela di una scelta consapevole di consumatori ed agricoltori. Tale obbligo si riferisce ai prodotti in cui il contenuto di OGM superi la cosiddetta “soglia di tolleranza”, stabilita per legge al valore dello 0.9% per ciascun ingrediente; al di sotto di questa soglia l’etichettatura non è obbligatoria, a condizione che la presenza di OGM sia “accidentale o tecnicamente inevitabile”. Contemporaneamente, il Regolamento 2003/1830/CE stabilisce le regole per assicurare la tracciabilità e la corretta etichettatura dei prodotti OGM o da essi costituiti o derivati, attraverso tutte le fasi della loro produzione e distribuzione ed immissione in commercio. Con la Raccomandazione 2003/556/CE la Commissione Europea ha inteso regolamentare la coesistenza tra le colture geneticamente modificate, convenzionali e biologiche, delegando ai singoli Stati l’emanazione di norme in tal senso che tengano conto delle specificità territoriali. A valle di tale raccomandazione lo Stato italiano ha approvato la Legge n. 5/2005 sulla coesistenza, che fissa il principio che le colture transgeniche possono essere introdotte in pieno campo a condizione che non vengano pregiudicate le attività agricole preesistenti, e prevede una moratoria alla coltivazione di OGM fino all’adozione dei Piani Regionali di Coesistenza. Successivamente, in seguito ad un ricorso presentato dalla Regione Marche, la sentenza della Corte Costituzionale n.116 del 17/03/2006 ha dichiarato l’illeggittimità di gran parte della suddetta legge, affermando che la coesistenza deve essere disciplinata a livello regionale e non statale. Inoltre, la Circolare n. 269 del 3/4/2006 ha confermato il divieto di coltivare OGM fino all’adozione dei piani di coesistenza regionali. A tal fine la Conferenza Stato-Regioni ha istituito un gruppo tecnico di lavoro che ha elaborato nel 2007 le “Linee Guida per le normative regionali di coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e geneticamente modificate”. Su questo quadro di riferimento si innesta la recente Raccomandazione della Commissione del 13/7/2010 (con la quale viene superata la precedente Raccomandazione 2003/556/CE) che dà agli Stati membri maggiore flessibilità nell’adozione di misure di coesistenza e, insieme alla Comunicazione della Commissione 380 del 2010, rappresenta un cambiamento globale della futura politica nei confronti degli OGM. Nel contempo molte regioni europee, tra cui la maggior parte di quelle italiane, al fine di tutelare le scelte locali hanno costituito un “network europeo delle regioni libere da OGM”, che riunisce 169 governi regionali dell’Unione Europea, cui ha aderito anche la Regione Lazio. Lo scopo è quello di salvaguardare la biodiversità agricola e naturale, le produzioni biologiche ed i prodotti tipici, la cultura e le tradizioni locali. Al momento in Italia è vietato coltivare piante geneticamente modificate, mentre sono consentite le importazioni di derrate di mais e soia GM autorizzati dall’Ue provenienti da paesi come Canada, Usa, Brasile ed Argentina, da utilizzare per la produzione industriale di alimenti e mangimi. Nel 2010 la Conferenza Stato–Regioni ha approvato (con l’eccezione della Regione Lombardia) un documento con il quale le Regioni hanno chiesto al Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali di vietare la coltivazione del Mais MON 810 e della patata Amflora, nonché di rappresentare anche in sede comunitaria la posizione unanime delle Regioni e delle Province autonome di assoluta contrarietà rispetto alla autorizzazione della coltivazione degli organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale. Il Lazio Il Lazio ha ribadito la propria contrarietà agli OGM, attraverso l’emanazione della Legge Regionale 15/2006 che mira a tutelare le risorse genetiche, la qualità e l’originalità del sistema agricolo ed alimentare del territorio regionale, preservandoli dalla contaminazione da OGM. I suoi punti salienti: sono vietati su tutto il territorio laziale la coltivazione e l’allevamento a qualsiasi titolo di OGM; vengono stabilite limitazioni alla concessione di contributi regionali per chi utilizzi mangimi etichettati come OGM per l’alimentazione del bestiame; è vietata la distribuzione di prodotti OGM nella pubblica ristorazione; gli esercenti che intendono vendere prodotti OGM hanno l’obbligo di esporli e conservarli in appositi scomparti ed informarne il consumatore; i ristoranti che somministrano cibi preparati con prodotti OGM devono fornirne chiara indicazione sul proprio menu; si esclude dall’accesso ai marchi regionali di qualità l’impresa che utilizza OGM nella produzione di beni agricoli o alimentari freschi o trasformati; viene promossa un’attività di ricerca volta a sostenere lo sviluppo di filiere libere da OGM e la valutazione di impatto dell’agricoltura transgenica sui sistemi agrari e sugli ecosistemi, relegando la sperimentazione su organismi transgenici in ambiente confinato e comunque al di fuori da aree demaniali e di pregio ambientale; è istituita una nuova certificazione regionale di qualità “Prodotto libero da OGM-GMO free”; viene affidata all’ARSIAL l’attività di vigilanza e controllo sull’applicazione della legge stessa. Cosa cercare in etichetta? Ai fini di una corretta informazione, il consumatore può contollare che il prodotto riporti in etichetta (o nelle sue immediate vicinanze nel caso di prodotti sfusi) l’indicazione relativa all’eventuale presenza di organismi geneticamente modificati. In particolare: • nel caso di prodotti alimentari preconfezionati con elenco ingredienti, l’indicazione va riportata tra parentesi, nell’elenco ingredienti, subito dopo l’ingrediente in questione, oppure in una nota a piè pagina; • nel caso di alimenti preconfezionati senza elenco ingredienti, l’indicazione deve essere ben visibile in etichetta. Per gli alimenti sfusi, è obbligatorio che tale indicazione venga apposta in modo visibile e permanente dove l’alimento è esposto o nelle sue immediate vicinanze. L’attività di controllo ARSIAL L’Agenzia, per gli adempimenti di cui alla L.R. n. 15/2006 inerente “Disposizioni urgenti sugli organismi geneticamente modificati”, svolge attività di vigilanza e controllo sul rispetto del divieto di coltivazione e allevamento a qualsiasi titolo di OGM su tutto il territorio regionale. L’attività ispettiva prevede una verifica documentale preliminare volta ad accertare la rintracciabilità della semente e la congruità dei documenti esibiti dal titolare dell’azienda (fatture d’acquisto semente, cartellini semente, certificato della ditta sementiera di esenzione da OGM, planimetrie, ecc) rispetto alla superficie investita. Tale verifica, effettuata su un campione di aziende laziali che coltivano mais, è integrata da un ulteriore accertamento realizzato tramite campionamento di foglie di mais qualora il lotto di appartenenza della semente non sia già stato oggetto di analisi nell’ ambito del Piano nazionale di controllo di mais e soia per la presenza di OGM ai sensi del DM 27 novembre 2003 e s.m.i. (svolto annualmente da: Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQ) del MiPAAF, Istituto Nazionale di Ricerca per gli alimenti e la Nutrizione – Settore sementiero (INRAN-ENSE) e Agenzia delle Dogane) e in tutti i casi in cui non sia possibile accertare l’origine della semente. I campioni prelevati dall’ARSIAL vengono poi inviati al Laboratorio di Biotecnologie afferente all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Lazio e Toscana (IZS) – Centro di referenza nazionale per la ricerca di OGM, designato dal Ministero della Salute - per le analisi di laboratorio finalizzate a rilevare la presenza o meno di OGM. A cura di Alessandra Argiolas Coordinamento Patrizia Elvira Minischetti Claudia Papalini Progetto grafico e stampa ARSIAL Anno 2011