Liceo Artistico - Istituto Statale d’Arte “ G. Chierici“
CAmerA
deL LAvoro
TerrITorIALe
reGGIo emILIA
con il patrocinio di:
In copertina:
Grano, Melograno, Salice (particolare)
Progetto grafico:
Giorgio Teggi
EMMA BONAZZI
RETROSPETTIVA
a cura di Leda Sighinolfi
Copyright © MMXIII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133/A–B
00173 Roma
(06) 93781065
isbn 978–88–548–6384–2
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: ottobre 2013
I ristampa aggiornata: gennaio 2014
INDICE
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PRESENTAZIONI
Sonia Masini
Fabio Roversi Monaco
9
TIGIÙ: PARADIGMA CONTEMPORANEO DELLA CREATIVITÀ AL FEMMINILE NEL PRIMO NOVECENTO
Maria Grazia Diana
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UN QUADRO IN CGIL: UN’AUTRICE SVELATA
Ramona Campari
13 BIOGRAFIA Leda Sighinolfi
15
EMMA BONAZZI: UN’ARTISTA BOLOGNESE TRA LIBERTY E ART DECO
Antonio Storelli
19
LINGUAGGI DECORATIVI E SPERIMENTAZIONE TECNICA NEL LAVORO DI EMMA BONAZZI
Leda Sighinolfi
23
LA PRODUZIONE GRAFICA DI EMMA BONAZZI
Leda Sighinolfi
27
EMMA BONAZZI E PERUGINA: CONSAPEVOLEZZA DI UN NUOVO RUOLO DI CONSULENTE ARTISTICA
Daniela Santachiara
37
SCHEDE OPERE
Leda Sighinolfi
109
RINGRAZIAMENTI
111
BIBLIOGRAFIA E REFERENZE FOTOGRAFICHE
5
Il mondo, le città in cui viviamo hanno un bisogno disperato
dell’arte che diventa, nelle sue varie forme espressive, una grande opportunità per mantenere la vivacità culturale e intellettuale
di una comunità. L’arte promuove e sviluppa la coscienza critica, l’arte è luogo della memoria, è stimolo alla creatività, è l’occasione per riflettere sul passato, sul presente e sul futuro, ecco
perché è importante che diventi sempre di più un fatto quotidiano, fruibile dal maggior numero possibile di persone. A iniziare
dai giovani. E in questo senso credo che l’allestimento delle opere
di Emma Bonazzi colga nel segno.
L’arte, specie quella contemporanea, ha senza dubbio bisogno
del mondo del lavoro e dell’impresa che può offrirle occasioni
per farsi conoscere, acquistando opere d’arte, promuovendo i
giovani artisti, dando opportunità ai nuovi talenti e facendo “riscoprire” autori talvolta poco noti al grande pubblico. Ciò ha senza dubbio l’effetto di avvicinare l’arte ad un pubblico più vasto, di
far conoscere l’artista e le varie forme espressive. Qualcuno sostiene che con la cultura non si mangia: è un errore, perché solo
ripartendo da quello che abbiamo e che ci rende unici al mondo
potremo tornare a crescere. La cultura produce pensiero, identità, cittadinanza. L’Italia da anni è attraversata da una crisi pesantissima, investire sulla cultura, sulla bellezza delle opere d’arte,
ma anche dei luoghi, significa investire sulle crescita del Paese,
sulla sua capacità di rialzarsi. È quindi pregevole la ricerca svolta
dagli studenti del liceo artistico “Chierici” che permette a Reggio
Emilia di “scoprire”, a partire da un suo quadro in Camera del Lavoro, una artista finora nota per lo più ai collezionisti privati. Nella
retrospettiva dedicata a Emma Bonazzi mi colpisce anche un altro
aspetto: è un piacere per la nostra provincia ospitare la mostra
dedicata ad una artista poliedrica, una donna che, in tempi non
certo facili e in un settore prevalentemente maschile come la grafica pubblicitaria, seppe esprimere quella creatività e originalità
che oggi, come allora, distinguono e hanno distinto nei vari campi
il lavoro delle donne emiliane.
Sonia Masini
Presidente della Provincia di Reggio Emilia
L’Accademia di Belle Arti di Bologna è lieta di ospitare la Mostra
retrospettiva di Emma Bonazzi, meritevolmente promossa nell’autunno scorso dalla Camera del Lavoro di Reggio Emilia, con il patrocinio della Provincia e della Regione, in collaborazione con il
Liceo Artistico Gaetano Chierici, presso il quale è stata allestita
l’esposizione coordinata da Leda Sighinolfi, curatrice della mostra
e del catalogo.
In questa occasione espositiva bolognese Emma Bonazzi ritorna
nella scuola in cui ebbe, fra il 1910 e il 1913, la sua formazione
artistica. La sua generazione - Emma Bonazzi era nata nel 1881 - è
quella dei rinomati maestri bolognesi Alfredo Protti (1882) e Carlo
Corsi (1879) ma, essendosi iscritta tardivamente ai corsi dell’Accademia, il suo percorso scolastico si sviluppò accanto a quello di
compagni assai più giovani, quali Giorgio Morandi e Sepo Pozzati.
Qui, in Accademia, ebbe il primo riconoscimento artistico nel
1915, quale vincitrice del concorso “Bevilacqua” con l’opera Mater Dolorosa, tuttora conservata nelle nostre collezioni.
I successi ottenuti in campo nazionale la confermano come la più
importante artista donna (oggi si direbbe di genere femminile) bolognese della prima metà del secolo scorso: ricorderò le sue presenze alle Biennali veneziane del 1920 e 1922, alla “Prima Biennale Romana” del 1921, alla “Fiorentina Primaverile” del 1922 nella
quale, accanto alle opere di Morandi, Carrà, De Chirico, Martini,
espose tre dipinti, diversi acquerelli e dodici applicazioni a ricamo.
Dall’Accademia di Belle Arti di Bologna iniziò quarant’anni fa, nel
1974, la rivalutazione e il riconoscimento di questa singolare figura d’artista e della sua multiforme produzione, con la pubblicazione negli “Atti e Memorie dell’Accademia Clementina di Bologna”
del saggio di Antonio Storelli “Emma Bonazzi: un’artista tra liberty
e art dèco”.
Qui in Accademia viene presentata per la prima volta al pubblico bolognese questa preziosa e significativa antologica della sua
opera, tanto importante e, sono sicuro, piena di sorprese per tutti.
Fabio Roversi Monaco
Presidente dell’ Accademia di Belle Arti di Bologna
7
TIGIÙ: PARADIGMA CONTEMPORANEO DELLA CREATIVITÀ AL
FEMMINILE NEL PRIMO NOVECENTO
Ancora non del tutto esplorate ed adeguatamente presentate e studiate sono le artiste italiane che si sono dedicate a vari campi della creatività tra il primo Novecento ed il dopoguerra. Tra queste,
Emma Bonazzi è da considerarsi paradigma innovativo nell’ambiente artistico del secondo e terzo decennio del Novecento italiano.
Artista poliedrica, formatasi in ambiente bolognese tra la prima
guerra mondiale e cresciuta artisticamente nel periodo fascista, ha
dimostrato, partendo da solide basi accademiche, di aver saputo
crescere, adottando tecniche sempre varie e ponendosi come obbiettivo il continuo rinnovamento della sua professionalità, inserendosi così in contesti lavorativi tipicamente maschili.
Illustratrice, disegnatrice di cartelloni ed immagini pubblicitarie,
è entrata in competizione a livello nazionale, presentando le sue
opere ad esposizioni via via sempre più importanti, dalla Biennale
di Venezia alla Biennale di Roma mantenendo la sua presenza anche ad esposizioni a livello regionale e locale.
Ha dimostrato quindi un eccezionale dinamismo ed una notevole capacità di integrazione nel contesto artistico e di innovazione
nel crearsi una profilo professionale anche in ambito commerciale,
proponendosi come creatrice di sofisticata oggettistica per la nascente industria italiana, in particolare per la Perugina ma anche
per Barilla ed altre ditte italiane.
Decorativa ma di un’eleganza grafica raffinata ha abbinato una ricerca cromatica che affonda le sue suggestioni in ambito viennese
tra liberty e decò, a tematiche sia contemporanee sia accademiche,
riscoprendo anche le matrici più vicine all’intima tradizione femminile utilizzando il ricamo, la tessitura accanto a tecniche tradizionali.
Formatasi in accademia accanto ai grandi nomi di Morandi, Licini,
Santelia, fra tradizione tardo romantica naturalistica e d’evocazione intimistica, tipicamente bolognesi, Tigiù sceglie modelli e spunti
di matrice europea, guarda oltralpe alle forme sinuose e raffinate
delle Salomè della Secessione viennese ma rimane anche legata
alla tradizione pittorica italiana.
9
Bologna è fucina di gruppi e correnti anche contrastanti: rispetto
ai gruppi futuristi, Tato che in città apre la Casa d’Arte Futurista
e rispetto alla tarda tradizione naturalistica, Emma Bonazzi si ritaglia un ambito di concretezza rimanendo poeticamente ancorata alle tecniche tradizionali ma proponendosi come artistica
poliedrica, versatile, al passo con i tempi ed inserita in un nuovo
contesto creativo in contatto con le industrie dell’epoca. Curiosa,
viaggiatrice, purtroppo dimenticata nell’ultimo periodo della sua
vita ma modello di vitalità per le nostre generazioni.
Per questo motivo sono particolarmente orgogliosa che questa
retrospettiva venga organizzata e presentata all’interno di una
istituzione scolastica, in particolar modo nelle sale del nuovo Liceo Artistico Gaetano Chierici, perché la figura di Emma Bonazzi coniuga tradizione ed innovazione, conoscenze nei settori al
confine dell’artigianato, tra ceramica, ricamo, arti applicate ed
aperture ancora molto attuali , dall’illustrazione alla grafica, alla
pittura fino all’allestimento di spazi espositivi.
Quindi appare come una figura d’artista promotrice di un aggiornamento creativo ed innovativo integrata nella società contemporanea. Paradigma creativo per i nostri giovani.
Ecco quindi che la scuola ricerca e propone riflessioni non solo
sull’arte ma anche sulle future e possibile professionalità. E lo
fa guardando al passato e riflettendo sui modelli da proporre,
facendo riemergere quelle figure rimaste tra le pieghe del tempo,
anche recente. Per questo si è innestato un circuito virtuoso dove
istituzioni pubbliche e collezionisti hanno collaborato e si sono
prestati a ricreare un momento di riflessione su questa poco conosciuta artista che non rientra in canoni prestabiliti ma può divenire modello di creatività e professionalità per i nostri studenti.
La scuola credo possa non solo trasmettere conoscenze ma anche prassi e metodi di ricerca culturale. I docenti che si sono dimostrati ricercatori attenti e che hanno messo in campo il loro
tempo e professionalità al di là delle competenze didattiche, dimostrano che la scuola è viva e può anche avere non solo valori
educativi ma promuovere cultura.
Grazie quindi a chi ha collaborato ed ha preso a cuore questa
nuova e non semplice sfida organizzativa e culturale per promuo10
vere nei giovani non solo la conoscenza del noto ma anche il gusto della riscoperta e dell’esplorazione culturale, per cui credo
ancora tanto si debba ricercare, documentare e mostrare.
Maria Grazia Diana
Direzione Liceo Artistico Gaetano Chierici
UN QUADRO IN CGIL: UN’AUTRICE SVELATA
È sempre stato lì: sulla parete dietro la scrivania del Segretario Generale. O, almeno, è lì da quando il Segretario Generale e i dirigenti
di allora, fautori dell’ingresso di numerose opere di arte contemporanea nella Camera del Lavoro, in occasione del primo stralcio della
ristrutturazione della sede (1988), ne apprezzarono il valore artistico
e lì lo fecero portare.
Come sia arrivato qui, in Camera del Lavoro, non è noto. Riferiscono che fosse qui, assieme al mobilio della Federterra - Federazione
Nazionale fra i lavoratori della terra (soppressa dal fascismo), poi divenuta, dopo il 1945, Confederterra aderente alla CGIL e, dal 1948,
Federbraccianti.
“La filatrice” di Emma Bonazzi (titolo dell’opera ritenuto valido fino
ad oggi, poiché “svelando” l’etichetta, si è dimostrato appartenere al
trittico “Ciclo di vita”) ha preceduto, quindi, le opere che oltre trenta
artisti hanno realizzato per la Camera del Lavoro (il recupero-ristrutturazione è stato ultimato nel 1992) e le successive donazioni generose di concittadini che, abbellendo questo palazzo, “un edificio
pubblico nel senso più vero della parola”, hanno condiviso l’idea e la
volontà di accrescere il patrimonio culturale collettivo, anche della
città.
È la stessa volontà che ci ha indotto a sottoscrivere la convenzione
con il Liceo Artistico Gaetano Chierici, che impegna la Camera del Lavoro e il Liceo a valorizzare il patrimonio artistico della CGIL e a promuovere ogni anno laboratori con artisti gli studenti, sulle opere che
arricchiscono la nostra collezione, i cui risultati ci vengono presentati
il primo sabato di ottobre in occasione di “ConTEMPOraneaMENTE
– Giornata del Contemporaneo”, giornata in cui gli studenti guidano
i visitatori all’osservazione delle opere della Camera del Lavoro.
Ed è grazie a questa convenzione che l’artista bolognese Emma Bonazzi può essere, oggi, svelata ai più. Perché sì, che fosse stata un’artista importante si presupponeva, che l’opera in possesso della CGIL
avesse partecipato alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia nel
1920 ne testimoniava il valore, ma, nonostante questo, l’autrice non
era per nulla conosciuta.
È grazie al lavoro dei docenti del Chierici - in particolare alla
cocciutaggine quasi “reggiana” di Leda Sighinolfi e al lavoro di
Giorgio Teggi - che è possibile conoscere l’artista Emma Bonazzi,
detta Tigiù, conoscerne l’audace poliedricità di pittrice, ricamatrice, scenografa, grafica, pubblicitaria, illustratrice e tanto altro
ancora. Soprattutto, ci è data la possibilità di conoscerla sia come
artista sia come donna che lavora in un mondo faticoso, ovviamente più maschilista di quello odierno, e che tuttavia riesce ad
affermarsi anche “inventando” un lavoro nuovo: quello di consulente artistica per l’industria (antesignano dell’art director dei
nostro tempi?), battendosi e rivendicando il riconoscimento del
suo lavoro.
Affascina il percorso artistico e professionale di Emma Bonazzi, ci
inorgoglisce che una sua opera sia parte della nostra collezione,
che la decisione di allestire una mostra sulla sua attività artistica
sia l’occasione per riparare all’errore del titolo attribuito al quadro e di farne conoscere l’autrice.
Ci inorgoglisce soprattutto avere la possibilità di svelare e valorizzare ciò che la donna artista ha saputo creare di nuovo.
E poi, sì, in questi tempi in cui il lavoro delle donne è ancora così
faticoso, misconosciuto, non valorizzato, siamo orgogliosi del luogo in cui il quadro di Emma Bonazzi è stato collocato, che sia stata
una scelta consapevole o meno. Sulla parete, dietro la scrivania
del Segretario Generale è la posizione giusta!
Ramona Campari
Segreteria Camera del Lavoro Territoriale Reggio Emilia
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BIOGRAFIA
Emma Bonazzi nasce a Bologna nel 1881.
Si diploma a pieni voti all’Accademia di Belle Arti della città
nel 1913, dopo aver frequentato il Corso speciale di Figura
con Domenico Ferri dal 1910 al 1913, e vince inoltre il Premio Speciale del Ministero della Pubblica Istruzione.
Nel 1914 partecipa alla I Secessione Romana con un dipinto, “ Bambola”. L’anno successivo vince ex equo con Olga
Raisini il Concorso Bevilacqua d’argomento sacro a Bologna,
con un disegno a e carboncino “ Santa in estasi” e sempre
in quest’anno è presente con Protti, Busi e Corsi all’Esposizione Internazionale di San Francisco. Nel 1916 partecipa
all’esposizione della Società Francesco Francia a Bologna e
pubblica sulla neonata rivista “Bianco e Nero” una “Salomè”
realizzata a china.
È probabilmente dal 1917 che entra in contatto con la tipografia Chappuis e il gruppo di artisti gravitante intorno ad
essa. In quest’anno realizza la locandina “ Date carta alla
Croce Rossa”, illustra un racconto sul Corriere dei Piccoli e
realizza il manifesto per l’acqua “Litiosina”.
Nel 1918 vince il premio città di Stoccolma con una “Salomè” realizzata con l’insolita tecnica di pittura e ricamo;
realizza inoltre il dipinto “La Samaritana”.
Prosegue la sua partecipazione a esposizioni e mostre: nel
1919 è all’Esposizione Regionale Lombarda d’Arte Decorativa e alla mostra romana della Società Amatori e Cultori con
l’opera “In rosa”.
Nel 1920 partecipa alla Biennale di Venezia con un trittico:
“Grano, Melograno e Salice” ed espone alla II Secessione
Romana. Nel 1921 è presente alla I Biennale Romana con
“ Donne Abruzzesi” ed espone alla Fiorentina Primaverile
tre dipinti, sei acquerelli e dodici applicazioni a ricamo. Nello stesso anno realizza per le Tipografie Baroni il manifesto
13
“Coppa del Re” continuando e intensificando l’attività grafica.
Nel 1922 partecipa alla Fiera internazionale del Libro e alla
XIII Biennale di Venezia con il dipinto “La Formica”, testimoniato sul catalogo curato da Sapori mentre non vi è traccia
della presenza in mostra del dipinto “Nudo”, che la critica
fino ad oggi accreditava svolto per tale manifestazione;
sempre nello stesso anno realizza inoltre il manifesto per i
Balletti Russi Leonidoff.
Del 1923 è il riuscitissimo Calendario Barilla, nel quale evidenzia la sua svolta verso il linguaggio decò mentre nell’anno seguente dipinge “ Pronta per il veglione”.
Dal 1925 inizia la collaborazione con la Perugina, come consulente artistica, che si protrarrà fino al 1940 circa.
Nel 1928 progetta e realizza lo stand per l’Istituto Seta Italiana alla mostra campionaria del Littoriale di Bologna. L’anno
successivo illustrerà il libro per ragazzi “Quando il diavolo ci
mette la coda” edito da Cappelli.
Proseguirà in questi anni il lavoro con la ditta Perugina di
progettazione di confezioni lusso e allestimenti dei negozi
italiani.
Nel 1937 realizza il manifesto per “Liquori Pilla” con le tipografie Baroni.
Poco si sa dei suoi ultimi anni bolognesi, solo che dovette essere in situazione d’indigenza se Il Giornale dell’Emilia
aprì una sottoscrizione dal titolo ”Una pittrice in miseria”.
Emma Bonazzi muore a Bologna nel 1959.
Leda Sighinolfi
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EMMA BONAZZI: UN’ARTISTA BOLOGNESE TRA LIBERTY E ART
DECO
avanza prepotentemente il neocinquecentismo di De Carolis e
dei suoi allievi locali Moroni e Barbieri, a cui si oppone la vena
grafica più libera e incisiva di Disertori, Nardi, Zanelli e della Bonazzi, qui presente con la prima realizzazione della sua Salomè.
Si ripropone in catalogo, su proposta dell’autore, il saggio scritto
da Antonio Storelli nel 1974 e pubblicato in “Atti e memorie della
Accademia Clementina di Bologna”, primo testo critico sull’artista, dal quale hanno avuto inizio tutti gli studi dedicati a Emma
Bonazzi, e a cui tutti devono le prime preziose indicazioni.
Con ciò, nel momento in cui la scuola grafica bolognese chiude
i battenti ai suoi rappresentanti migliori per aprirli all’insegnamento di De Carolis, chiamato dal 1917 all’Accademia di Belle
Arti, l’attività della Bonazzi si inserisce nel contesto di quel finale
klimtiano del Liberty italiano3 che sull’onda del successo di una
sigla aveva attratto artisti di così diversa formazione e attitudini
quali Casorati, Chini, Zecchin, Alberto Martini, Antonio Rubino,
ecc.
Nell’attuale momento di intensa pubblicizzazione del Liberty, in
cui la critica dopo anni di avversione e silenzio sembra rendere
anche agli artisti italiani il dovuto riconoscimento, le riscoperte
e rivalutazioni divengono fatto quotidiano in un continuo susseguirsi di mostre, pubblicazioni, ricerche, tesi universitarie. Rimane invece ancora nell’ombra nel quadro di sempre maggior
orizzonte del Modernismo italiano il contributo bolognese che
pur svolse un ruolo di primissimo piano: infatti se da una parte
Rubbiani seppe farsi traduttore delle idee morrisiane e portatore di un programma di rinnovamento delle arti applicate con la
fondazione dell’”Aemilia Ars” 1, dall’altra si sviluppò a Bologna la
maggior scuola grafica di quel periodo2 con la fondazione dell’importante rivista “Italia Ride”, sulla scia di una pubblicistica locale,
e con l’apporto determinante dello stabilimento grafico-pubblicitario di Chappuis, richiamando nel capoluogo emiliano alcuni dei
più promettenti grafici italiani.
Non è questa la sede per approfondire l’analisi in questo senso,
quanto di indicare un background in cui l’opera di Emma Bonazzi
(1881-1959) trova le motivazioni dell’inizio del suo lavoro.
Ne è testimonianza il prezioso volume I° e unico Bianco e Nero,
pubblicazione della società Francesco Francia (1916), il cui apparato illustrativo è sintomatico della situazione bolognese nelle
arti grafiche dopo la partenza dei vari Dudovich, Valeri, Laskoffi.
Infatti mentre da un lato è indiscussa l’affermazione di Majani
e Baruffi, affiancati nell’occasione dai decadenti romagnoli, superstiti del cenacolo baccariniano, Ugonia e Guerrini, dall’altro
1
2
E. Bairati: Catalogo Mostra del Liberty Italiano, Milano, 1972, pag. 203
R. Bossaglia: Il liberty in Italia, Milano, 1968, pag. 47
Certamente le citazioni klimtiane rappresentano un crescendo
nelle diverse redazioni della Salomè e, se nella prima, quella di
“Bianco e Nero”, la protagonista è inginocchiata su un cuscino
“Aemilia Ars” mentre sullo sfondo appare una trina arabescata
(ivi pag. 39), alla scomparsa di quest’ultima nella redazione definitiva (ivi pag. 38) si aggiunge la sostituzione del cuscino con
l’immenso svolazzo della gonna sul cui verde liquido si innestano
i medaglioni klimtiani, così come klimtiani sono la scritta e il doppio sigillo rettangolare: il movimento delle linee flessuose e della
veste, il contrasto tra il nero del fondo e l’oro della aureola e dei
capelli mantengono però il livello dell’imitazione ad un grado di
ben maggiore aderenza ai modi della Secessione viennese che
non le piatte esibizioni dei grandi pannelli decorativi di Chini e
Zecchin, da cui del resto la Bonazzi si stacca per quel tratto di originale sintesi dell’assetto compositivo in cui gli elementi floreali
tendono a scomparire e ad essere assorbiti nei diversi passaggi
e in cui l’impremitura dei volti acquista un carattere di preminenza sfociando in un trapasso che, visto a posteriori, porta al
caricaturale al fumettistico concludendosi quasi in un’autoironia
dell’autrice.
Aderenza allo spirito Secessione non solo nella scelta dei soggetti
quali “Il serpente e il fiore”(ivi pag. 73), qui trattato però in maniera
desimboleggiante, da fiaba per bambini, con una raffinata composizione a tasselli oro, gialli e porpora, sul fondo ruggine della carta,
ma anche nella ricerca di nuovi mezzi espressivi che, nella consolidata ripresa di una tradizione da parte dell’ “Aemilia Ars”, trovano
3
R. Bossaglia: Il liberty in Italia, Milano, 1968, pag. 144 e seg.
15
in una forma mista di pittura e ricamo una soluzione originale che
ben si innesta nel discorso del rinnovamento delle arti applicate e
delle tecniche artistiche allora in voga. E con una delle redazioni
della Salomè eseguita a ricamo e pittura la Bonazzi ottiene uno dei
suoi primi riconoscimenti ufficiali con il premio della città di Stoccolma4, sintomo dell’attenzione ad una tecnica e ad un linguaggio
che certo partecipano di un vasto movimento di idee.
Piuttosto che la seconda Salomè si preferisce qui riprodurre “Fanciulla distesa sotto il salice”(fig. a) in cui l’emergenza del ricamo
permette un accostamento più diretto alla matrice klimtiana:
quasi una versione ridotta e domestica della tecnica adottata
dall’austriaco nella quale lo spessore e il colore senza sfumature
del ricamo sembrano imitare il mosaico, con la stessa lucentezza
metallica della cascata d’argento del salice e con il vestito a toppe
della fanciulla. Anche le forme allungate, il profilo del volto, le
gote arrossate, la chioma fluttuante in un firmamento fiorito trovano un riferimento diretto nel modello klimtiano, che la Bonazzi
trasferisce però in un mondo di fiaba animato dalla presenza smitizzante dei buffi uccelletti tra i rami.
fig. a
Il trasferimento del simbolo in fiaba oltre a mostrare la posizione
polemica della Bonazzi nei confronti delle simbologie retoriche e
lacrimose, segna il suo passaggio dai modelli del Liberty a quelli
fantastici e fantasiosi dell’Art Deco dominati dalla presenza dei
balletti russi.
4
Questa e altre brevi notizie riguardanti la biografia della Bonazzi sono tratte
da un anonimo e breve articolo apparso sul “Giornale dell’Emilia” del 25 giugno 1951, in
cui sono ricordati tra gli altri riconoscimenti ottenuti dalla Bonazzi il premio Francesco
Francia, il premio Curlandese, il premio Ussi.
16
Quando, pochi anni dopo il successo ottenuto da Diaghilev e da
Bakst a Roma, venne in Italia la Ileana Leonidoff con la sua compagnia di balletti russi per compiervi una tournée (1922) nelle
principali città la Bonazzi realizzò la copertina del programma (ivi
pag. 46) il che, oltre a dimostrare una sua fama già acquisita in
campo grafico, evidenzia un aggiornamento culturale formato su
modelli d’oltralpe; e se la matrice non può essere che Bakst, l’adesione allo spirito dei balletti russi è completa.
La frammistione di elementi orientaleggianti, l’ispirazione è offerta dal balletto Le canzoni arabe su musica di Borodin e Rimsky-Korsakoff, è riassunta in un’atmosfera colma di colori, suoni,
odori in cui tutto sembra partire dalla fumante boccetta in primo
piano colma di essenze e recante l’etichetta indian. I colori sono
quelli che dall’imposizione di Bakst e Golovine passano nella
moda di Poiret e Lepape, con i fondamentali toni d’oro, aranciati
e blu, nei quali si muovono le diverse gradazioni di verde, porpora e azzurro, il tutto raccordato dal ritmo modulare della linea
che accompagna i vari passaggi riducendoli ad effetti di musica e
danza. Nella realizzazione della Bonazzi tutto questo viene sottolineato dalla febbricitante decorazione che coinvolge tutta la
scena: dal vestito multicolore della schiava sdraiata, all’aureola
a pavone della principessa Hanum, fino al ritmo ossessivo della chincaglieria del protagonista lanciato nella danza. Tuttavia la
Bonazzi, pur nella congenialità della tematica fiabesca, non dimentica la sua vena caricaturale, “fumettistica” come l’abbiamo
chiamata innanzi, nella definizione del volto dell’arabo, sospeso o
decapitato, trattato con la stessa precisione di segno e conformazione somatica della testa del S. Giovanni della Salomè, mentre
gli altri visi sono ridotti a semplice sigla e destinati a perdersi nella
sopraffazione degli elementi circostanti, il colore e la musica, con
la suggestione dell’odore e della tattilità, nello spirito appunto dei
balletti russi.
Il contatto con la cultura francese della Bonazzi non si ferma a
questa episodica convergenza (le notizie che abbiamo di lei non ci
testimoniano un suo viaggio d’aggiornamento a Parigi o altrove),
ma coinvolge attinenze con quegli artisti italiani che per viaggi o
per elezione di domicilio erano approdati sulle rive della Senna,
da Umberto Brunelleschi in primis, a Lorenzi, ribattezzato addirittura Fabius, allo stesso Alberto Martini, per citare solo alcuni fra
i tanti coinvolti in quel tipo di pittura grafico-decorativa e illustra-
tiva rientrante nel campo di tendenza che si è convenzionato di
definire Art Déco. Si tratta sempre di quella parte dell’arte, per intenderci, altra e diversa da quella delle avanguardie storiche consacrate dalla manualistica, certo meno importante e sconosciuta
o combattuta da esse, ma che pur deve mantenere, in sede di
valutazione storica e critica, un ruolo di primo piano nella determinazione del costume e delle tendenze figurative coinvolgenti
in maniera diretta la sfera dell’umano, dalla moda, che non è arte
ma è pur sempre gusto e sensibilità estetica, allo spettacolo, che
non sempre è arte, ma deve essere corrispondenza con la vita.
Non intendo qui entrare nel merito della pittura della Bonazzi, che
per il momento mi è conosciuta solo in maniera indiretta attraverso poche fotografie dalle quali si può dedurre una derivazione di
tipo naturalistico nella migliore tradizione della suola bolognese5,
ma mi sembra utile presentare questa tempera del ’21 Dama in
gondola (fig b), in cui il linguaggio dell’autrice mostra di essere
ben avanzato rispetto alla Mater Dolorosa (ivi pag. 37), carboncino
premiato al premio Curlandese e debitore di una retorica che- se,
come sospettiamo, non doveva dispiacere a De Carolis - pure cercava cenni di decorazione moderna nella forma rigidamente profilata della Vergine e, soprattutto, nel mazzo di rose sullo sfondo
così caratterizzate in senso déco. La Dama in gondola è ancora un
brano illustrativo, vicino a Brunelleschi nel carattere dell’imposizione leggiadramente settecentesca e debitore della moda allora
vigente nella scelta, è inutile dirlo, della abbondante decorazione
con corolle ripetute di fiori stellati e stilizzati, ma la Bonazzi sa trovare uno scatto oltre che nella figura del gondoliere, così sapientemente squadrata nei contrasti del controluce, nella trama instabile
dello sfondo veneziano, sottolineata dalla presenza spettrale delle
tre bricole, in un effetto e movimento che non dispiacerebbe ad
alcuni famosi maestri nostri contemporanei.
La vena della Bonazzi, che non per niente amò continuare a firmarsi anche con l’infantile pseudonimo Tigiù, continuava ad essere
attratta dalla fiaba, completamente assorbita da questa, da sogni
e fantasie colorate pronte a trasformarsi in favola sia per gli aspetti
più tristi e crudeli della realtà, come in una serie di opuscoli e ma5
Non mi è stato possibile conoscere direttamente dipinti ad olio, se non
attraverso vecchie fotografie e le riproduzioni nei volumi del Sapori dei dipinti presentati
alle esposizioni veneziane del 1920 e 1922. Lo stesso Sapori in “Emporium”,1920,vol.I,
pag.38 dice: ”Un simbolico trittico di vita ha tentato Emma Bonazzi con le sue tele Grano, Melograno, Salice, dove noto alcune rudezze e mancanze nelle figure femminili”.
nifesti pubblicitari per la Croce Rossa (ivi pag. 40)6, sia quelli esclusivamente bizzarri e mondani come nel caso del manifesto per la
Coppa del Re, crociera fluviale per idrovolanti da Milano e laghi
Lombardi a Venezia 1921 (ivi pag. 45).
fig. b
Le capacità grafiche della Bonazzi tendono con il procedere degli
anni, anche per la spinta di urgenze economiche ( si veda nota 4),
a caratterizzarsi sempre più in senso pubblicitario, mantenendo
però nella pubblicità un ruolo di indipendenza nei confronti del
prodotto ( all’inverso quindi delle odierne dottrine della persuasione occulta o evidente) e salvaguardando fino in fondo le proprie esigenze espressive, che anche nel passaggio all’applicazione
tridimensionale denunciano la loro derivazione grafica.
Dopo l’episodio dello stand per l’I.S.I.A. al littoriale del 1928 (fig.
c), ove l’allestimento denuncia una cultuira accademiica nella trasformazione in senso teatrale della vetrina, che diviene scena ove
si svolge il “Ciclo della seta: dal baco, al bozzolo, matassa, filatura, tessitura, tintura, al vestito”7, l’attività della Bonazzi giunge ad
identificarsi con la sua “consulenza artistica” presso la Perugina,
alle cui dipendenze essa lavorò per oltre un quindicennio fino al
sopraggiungere del conflitto mondiale. Si tratta indubbiamente
di una svolta, un trauma per chiunque altro, che la Tigiù seppe
affrontare con esemplare fermezza volgendo la propria ricerca ad
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Oltre ad un opuscoletto visto tempo fa in una libreria antiquaria bolognese,
ho potuto visionare anche una locandina stampata dallo stab. Chappuis –DATE CARTA
ALLA CROCE ROSSA- nella quale sono rappresentate asinistra due crocerossine che
soccorrono un soldato caduto, e a destra un’elegante dama su uno sfondo punteggiato
di fiori colorati, con accanto un monte di pacchi annodati da nastri rossi.
7
Le parole tra virgolette ripetono la scritta autografa della Bonazzi lungo i
margini della foto ivi riprodotta
17
un risvolto dell’attività artistica che poca fortuna aveva avuto da
noi, snobbato dai più e contraddetto da una produzione corrente mirante solo a soddisfare le esigenze di un pubblico costretto da orizzonti autarchici. La Bonazzi invece, indispettita, come
ci piace immaginarla, e condotta da un gusto sicuro e attento
agli echi della moda europea, nelle sue “creazioni” (e il termine
è tanto più appropriato parlando di moda) riesce ad innnalzare i suoi oggetti da vetrina ad un livello di imagérie fantastica,
quella rincorsa dalla nuova borghesia, luccicante della stagnola
dei cioccolatini e della cromatura delle figure. Il segno è sempre
deciso, ombra o silohuette che descrive i ritmi prediletti da una
generazione (fig. d) o suggerisce enfatiche dichiarazioni amorose
suggellate dall’offerta di un dono (fig. e); retorica inutile ai nostri occhi di figli contestatori, ma corrispondenza esatta ai miti di
un’epoca recente, ai quali la Bonazzi sa dare un’imprimitura artistica che non si limita a descrivere ma anche interpreta, critica,
ironizza, muovendo in noi quel senso di commozione che ci dà la
rimeditazione del nostro passato prossimo. Ad una lettura utile
per la definizione del gusto si presta assai bene anche la serie dei
cartoncini con progetti per scatole varie e oggetti di decorazione
(ivi pag. 99-105) ideati in anni precedenti la guerra, quando lo
stipendio della Perugina non doveva essere sufficiente al bilancio familiare. In questa specie di diario artistico di tono familiare
e inconsueto sono illustrati e descritti (con persino l’indicazione
del prezzo richiesto per la fornitura) una miriade di oggetti multicolori pronti ad entrare in “produzione” grazie alla collaborazione delle sorelle, piccoli oggetti da rtegalo o bomboniere che
la Bonazzi riesce di volta in volta a vitalizzare con l’imprimitura
di un tratto originale, un colore, un profilo, una linea. Manovalanza artuistica che recupera il senso più vero dell’artigianato, di
cui non si erano vergognati i rinnovatori del linguaggio in questo
campo, da Morris ad Hoffmann, ma che trovò nella Tigiù una delle vittime predestinate da una metodologia che, dobbiamo riconoscerlo, non considerando l’evoluzione della tecnica e la meccanizzazione dei procedimenti, non poteva affermarsi8.
fig. c
fig. d
Antonio Storelli
8
Emma Bonazzi (1881-1959) morì a Bologna dimenticata da tutti dopo che Il
Giornale dell’Emilia aveva aperto una sottoscrizione a suo favore col titolo “Una pittrice
in miseria”.
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fig. e
LINGUAGGI DECORATIVI E SPERIMENTAZIONE TECNICA NEL LAVORO DI EMMA BONAZZI
Ricostruire la figura di Emma Bonazzi artista è come rammendare, restaurare un vecchio arazzo o un tappeto: raramente si
ritrovano tutti i fili necessari per realizzare le sfumature esistenti
che il tempo ha logorato e sarebbe assurdo volerne completare
le parti.
Emma Bonazzi fu, infatti, artista poliedrica: pittrice, illustratrice,
grafica, progettista. È difficile individuare un aspetto prevalente
sugli altri e questo fa pensare a un eclettismo sorto anche per
necessità.
Emma Bonazzi frequenta l’Accademia di Bologna e si diploma nel
1913, in un ambiente prevalentemente maschile in cui l’essere
donna, se non pone limiti al suo interno, probabilmente offre
una minore scelta di possibilità d’impiego una volta terminati gli
studi. È nel momento in cui si propone fra tanti altri artisti e grafici che in quegli anni a Bologna non mancano, che Bonazzi deve
assolutamente mostrare di possedere qualità e tecniche nuove,
inusuali, al fine di crearsi un proprio spazio e una cifra stilistica
riconoscibile.
Questo fa comprendere sia lo sguardo dell’artista volto alla Secessione, alle esperienze d’oltralpe, sia la scelta di unire ricamo
e pittura nelle sue opere create per le prime esposizioni cui partecipa.
Non si vuole qui leggere tale scelta come tipicamente femminile,
lettura riduttiva e datata che vede le arti applicate settore facilmente accessibile alle donne; vorremmo vederla invece come
scelta nata dal contatto fra il mondo esterno e la dimensione privata di Bonazzi, fra ciò che possiede come esperienza manuale-il
ricamo- e ciò che ha appreso nell’esperienza degli studi, la pittura.
Si potrebbe dunque leggere questa scelta tecnica che la accompagnerà nel corso degli anni, come nata da un’esperienza laboratoriale, che non viene dopo una fase ideativa ma che cresce con
essa parallelamente.
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Se così è stato, questo farebbe di Bonazzi un’artista all’avanguardia nel metodo di lavoro, ipotesi che è rafforzata dal fatto noto
che sulle proprie idee facesse lavorare anche le sorelle.
L’utilizzo del ricamo nelle opere di Bonazzi invece merita un’analisi più approfondita, nel contesto artistico del tempo, sia italiano
che europeo.
È difficile dire chi era Emma Bonazzi; abbiamo frammenti di notizie e opere che presentano caratteristiche molto diverse fra loro,
notizie di premi ed eccellenza del titolo di studio, mentre pochissime sono le notizie sulla sua vita privata. Abbiamo invece la certezza dei suoi ultimi anni vissuti in miseria e dimenticata da tutti.
I movimenti delle Secessioni, unitamente al movimento modernista, avevano rivalutato le arti applicate restituendo loro una dignità che era testimoniata dall’ampia presenza di manufatti nelle
varie Esposizioni e nelle Biennali. Proprio a Venezia Vittorio Zecchin apre nel 1916 un laboratorio di arazzi e ricami, utilizzando
un punto di sua invenzione che imitava la pennellata,; certo è che
fra gli anni dieci e gli anni venti si assiste a un fiorire della produzione artistica nel settore delle arti applicate tessili ad opera di
autori uomini e affermati.
Destino strano per un’artista che aveva partecipato a numerose
Biennali, che si era ritagliato uno spazio importante nell’ambito
della grafica pubblicitaria italiana a fianco di artisti come Dudovich e Terzi – caso raro come ebbero a scrivere in merito suoi
contemporanei – ma soprattutto che era stata incaricata della
direzione artistica della Perugina per quanto riguardava le confezioni di lusso e i punti vendita di quest’ultima.
Fu un carattere forte e dalle idee chiare, da quel che si può dedurre dalla corrispondenza di lavoro di Bonazzi con Buitoni, il cui
impeto decorativo non dovette trovare uno spazio adeguato nel
secondo dopoguerra, quando l’industrial design prese il sopravvento sul pezzo unico, sulla creazione artigianale.
Il linguaggio decorativo con cui ha inizio l’attività pittorica di
Emma Bonazzi risente con certezza dell’influenza della Secessione Viennese, in particolar modo di Klimt. Da questi, infatti, derivano le prime scelte di bidimensionalità espresse nelle Salomè
di Bonazzi, e anche, in generale, la decorazione presente in esse.
Occorre però indagare e analizzare meglio alcune forme ricorrenti che percorrono tutta l’opera di Bonazzi e che si possono definire sue, soprattutto nel momento in cui esse sono affiancate dal
ricamo.
Proprio nelle Salomè compaiono, all’interno dei motivi circolari
di decorazione delle vesti, forme pentagonali che si ritroveranno
in altre opere di Bonazzi, ad esempio nella serie dei mesi di molti
anni dopo. Compare poi nella Salomè vincitrice del premio Stoccolma, e diventerà una sorta di firma, l’aureola circolare del Battista ricamata, che, nel corso del tempo e con un mutamento di
significato, si trasformerà in un sole alle spalle di figure femminili
come nelle opere “Marzo” e “Salamandra”.
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Il gesto del “cucire” appare forse per la prima volta in un libro
d’artista del 1915, eseguito da Olga Rozanova insieme al marito,
ma negli stessi anni il ricamo era tecnica diffusa nella scuola di
Talashkino promossa dalla principessa Tenicheva in Russia.1
Pensiamo sia stata difficile la conoscenza di tali manufatti da parte di Bonazzi, mentre è certo che vide un’opera di Vittorio Zecchin
esposta alla Biennale di Venezia del 1922, cui lei stessa partecipò,
l’arazzo ricamato “Re Magi”.
L’opera di Zecchin è caratterizzata da un’esuberanza di motivi
decorativi di ascendenza viennese e da una composizione bidimensionale organizzata su diagonali. La scelta iconografica, unitamente alla tecnica del ricamo, dovette colpire Emma Bonazzi e
al contempo darle conferma che la tecnica da lei già adottata non
era un mezzo espressivo di genere, da accettare in quanto frutto
dell’opera di un’artista donna, bensì una tecnica artistica al pari
di altre.
Rimane unica all’interno del suo tempo invece la scelta di unire
pittura e ricamo, e per questo singolare. Si dovrà, infatti, aspettare la seconda metà del ‘900 per ritrovare opere in cui il filo cucito
va a rafforzare opere pittoriche e grafiche e quando ciò avverrà,
sarà in opere di donne caratterizzate da un approccio fortemente
concettuale all’arte. Basti pensare alle opere di Amelie Etlinger,
Maria Lai, Sveva Lanza2.
1
2
L.Vinca Masini: Art Noveau, 1976, pag.273\285.
AA.VV: Poesia Visiva, La Donazione Mirella Bentivoglio al Mart, 2011
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