Comune di Varenna Pietro Vassena 1897-1967 Varenna Villa Monastero e Sala Polifunzionale 15 giugno - 28 luglio 2013 Inaugurazione: Venerdì 14 giugno - ore 17,00 Orario di apertura: da martedì a domenica 15,30 - 18,30 A Varenna la celebrazione del 65° anniversario della discesa del batiscafo C3 realizzato dall’inventore lecchese Pietro Vassena (1897-1967) In occasione del 65° anniversario dell’impresa compiuta dal batiscafo C3 (1948), realizzata dall’inventore Pietro Vassena nei pressi di Argegno sul Lario, durante la quale il batiscafo scese alla profondità di 412 metri stabilendo il record mondiale di profondità, la Provincia di Lecco ha organizzato un’importante mostra che ricostruisce la storia e l’operato di questo straordinario personaggio lecchese. La manifestazione è sostenuta dall’Assessorato alla Cultura, Identità e Tradizioni e ha luogo nello spazio espositivo di Villa Monastero e nella sala polifunzionale del Comune di Varenna grazie ad una proficua collaborazione tra questi due enti. Il progetto nasce dal reperimento di interessantissimo materiale, in parte inedito ed in parte già pubblicato, presente nell’Archivio della famiglia Vassena che ha prestato non solo documenti, progetti ed immagini ma anche numerosi esemplari, quali una serie di motori nautici a partire dal famoso Elios del 1923, fino ad arrivare ai giorni nostri, insieme ad alcuni prototipi di motociclette realizzate dall’inventore. L’importanza di diffondere il ricordo e le opere di un personaggio storico del nostro territorio, come Pietro Vassena, ha un significato fondamentale nell’ottica che tutto quello che non viene tramandato dal passato verrebbe altrimenti perso e dimenticato. La valorizzazione della storia del nostro territorio consente a tutti di ricordare le proprie radici che mai andrebbero smarrite ma anzi, riportandole alla luce, permette un passaggio di testimone tra le generazioni passate e quelle future. Un sentito ringraziamento di cuore a tutti coloro che hanno reso possibile questa importante manifestazione. Marco Benedetti Assessore alla Cultura, Beni Culturali, Identità e Tradizioni della Provincia di Lecco Pietro Vassena, straordinario inventore Dal recente e fortunato incontro con la famiglia Vassena, alla quale sono particolarmente grata per la particolare disponibilità e generosità, nasce il progetto di questa mostra che presenta alcune delle più significative creazioni di questo geniale inventore lecchese. Molti furono i campi di sperimentazione e ricerca che contraddistinsero il suo operato: in questa occasione si ripercorrono i principali aspetti che caratterizzarono la sua produzione attraverso il ricco materiale messo a disposizione della famiglia, fortunatamente custodito e conservato con cura, che permette di ricostruire, seppur in maniera non esaustiva, il cammino intrapreso da questo straordinario personaggio. Il percorso espositivo si sviluppa in quattro sezioni tematiche: la prima viene dedicata all’“Officina Vassena”. Vengono qui esposti oggetti, documenti, immagini che si riferiscono ai laboratori in cui l’inventore operava, da quello situato a Lecco in Via Cavour 19, ai successivi tre collocati nelle officine di Malgrate (ove durante la guerra venne applicato il gasogeno alle vetture per trasporto, con l’impiego di ben 120 dipendenti), a quello posto lungo il fiume Adda ed infine presso la Carniti di Oggiono (è presente tra l’altro l’opuscolo esplicativo della Ditta Vassena e il depliant che illustra ben trentatre brevetti realizzati). Compare inoltre la riproduzione del busto dello scienziato, realizzato dallo scultore Salvino Ambrosi e collocato presso il Lungolago di Lecco. Questa parte è corredata da una serie di diplomi e fotografie che costituiscono un approfondimento sulla sua figura di scienziato, ma anche sulla famiglia. La seconda sezione si riferisce alle invenzioni nel campo dei motori terresti, i famosi gasogeni che, sfruttando il vapore, permisero durante l’ultima guerra il trasporto a costi contenutissimi in seguito alle difficoltà dovute alla penuria di benzina, ma anche le motociclette a due tempi bicilindriche, poi adottate dalla Rumi. La terza illustra le invenzioni nel campo della nautica, a partire dal famoso motore Elios del 1923 ed alle versioni successive, un vero capolavoro ideato per essere il più piccolo motore nautico fuoribordo: 33 cc con potenza di 1,5 hp peso 6 chili. Sembra che lo stesso Vassena lo mostrasse riposto in una custodia per violino! Fra le varie creazioni si ricordano anche i curiosissimi “skivass”, ovvero sci che permettevano di camminare in scioltezza (o quasi) sull’acqua, ed il “Giro d’Europa”compiuto da Vassena tra gennaio e ottobre 1932 attraverso i laghi (…e in tandem!), ricostruito in un interessantissimo album che documentava l’impresa. L’ultima è interamente dedicata al batiscafo C3 ed alle sue memorabili imprese, ricostruite attraverso documenti, progetti e fotografie d’epoca. In questa sezione è presente la riproduzione in scala del modello del C3, cui vengono affiancati studi e disegni realizzati già nel 1947, insieme alla mappa della profondità del lago di Como effettuata da Vassena. La sezione presenta una significativa raccolta di immagini dedicate in particolare all’impresa di Argegno del 1948 ed alla discesa a –412 metri sott’acqua, in cui venne stabilito il record mondiale di profondità. Corredata dai numerosi articoli comparsi sulla stampa per celebrare l’evento e dalle immagini in grande formato che ancora gli eredi conservano, tra cui alcune che ricordano l’amicizia con il fisico svizzero Auguste Piccard, illustra in modo significato questo momento straordinario. Viene infine ricordato l’esperimento di Capri (20 novembre 1948) che portò alla perdita del batiscafo, con la relazione della Marina Militare Italiana dell’evento. È presente anche il progetto di un’altra importante invenzione, il sottomarino Delfino Torpedo realizzato per la Marina Militare Italiana. Un personaggio singolare e meraviglioso, dunque, come ricorda Franco Ghiraldi riportando un giudizio di Aronne Anghileri, giornalista sportivo di chiara fama che lo aveva conosciuto e che nel 1988, poco dopo il centenario della nascita dell’inventore (1897), sottolineava come avesse saputo “trarre idee da qualunque spunto (…) e sapesse trasmettere a tutti, collaboratori e amici, una fede assoluta nel progresso e una fiducia non meno assoluta nell’invenzione di cui si stava occupando”. Anna Ranzi Conservatore Casa Museo Villa Monastero Pietro Vassena (1897-1967) Marco Corti “Estroverso, geniale e lungimirante. Tre aggettivi che racchiudono la personalità dell’inventore lecchese Pietro Vassena che, sul finire degli anni Quaranta, stupì il mondo con le sue immersioni - a grande profondità - con il sommergibile “tascabile”, costruito nel suo laboratorio, il leggendario «C3 Vassena», (primo mezzo sottomarino con specifica destinazione alla ricerca scientifica e attrezzato per operare a grandi profondità). Pietro Vassena era nato a Malgrate il 21 aprile 1897. Poco più che ventenne scoprì un certo talento nell’ideare e mettere in pratica piccole invenzioni. Di quegli anni va ricordata una singolare macchina in grado di produrre raggi per ruote di ciclomotori, installata presso la Ditta Faini di Lecco, per la quale, nel 1924, Vassena progettò una bicicletta a motore di 90 cc a due tempi. Ma il lago, il suo lago, finì inevitabilmente per contagiare l’apprendista inventore. Così Vassena progettò i primi motori marini fuoribordo e successivamente le prime motoleggere Vassena (parteciparono con successo al Giro del Lario). Negli anni Trenta, costruì gli «skivass»: una sorta di sci d’acqua che consentivano di passeggiare sull’acqua anche in giacca e cravatta. Motori fuori-bordo, motoleggere e sci per camminare sull’acqua furono le realizzazioni più interessanti dell’epoca. Vassena organizzò, tra l’altro, per il fratello Natale, un giro pubblicitario degli «skivass» nei bacini d’acqua e d’Italia e d’Eu ropa, avvalendosi, per i trasferimenti via terra, di un tandem munito di carrozzino. Poi l’avvento della Seconda Guerra Mondiale. Proprio durante il periodo bellico, con la penuria di carburanti, Vassena ebbe un lampo di genio e realizzò un brevetto per l’applicazione di gasogeno alle vetture, alimentate a legna e carbonella. La diffusione dei gasogeni fu immediata e vennero applicati a vetture, camion e mezzi di ogni tipo (compresi quelli militari e ferroviari). Un vero boom che occupava a Lecco ben120 dipendenti giorno e notte in tre diversi stabilimenti. Nel dopoguerra si ritirò nella centralissima officina di via Cavour a Lecco dove videro la luce i famosi e avveniristici motori bicilindrici per la vettura Volpe prima e per la Moto Rumi (protagonista anche in pista) poi. Oltre ad affidabili modelli di motori fuoribordo, successivamente ceduti alla Carniti di Oggiono. Famoso fu il piccolo fuoribordo Elios: 33 centimetri cubi di cilindrata, 1,5 hp per un totale di 6 kg e la particolarità di poter essere alloggiato in una custodia di violino. Era il 1946. Ma la lista dei brevetti di Vassena è lunghissima. Come per esempio, dimenticare la sveglia di plastica trasparente antenata degli attuali Swatch? E ancora, il Grillo Volante, macchina infernale che nelle intenzioni di Vassena avrebbe dovuto volare, navigare e viaggiare su terra ferma? Tuttavia Pietro Vassena, l’Inventore Pietro Vassena, divenne famoso in tutto il mondo proprio per il C3. Un sommergibile artigianale costruito nel 1948 con mezzi propri, tanto entusiasmo, trovate geniali ed anche un buona dose di sana incoscienza. Un progetto ambizioso al quale Vassena lavorava da anni (aveva già realizzato per conto della Marina Italiana, nel periodo bellico un mezzo d’assalto, il sottomarino «Delfino» torpedo snorkel che però operava prevalentemente a quota periscopio). Ci studiava praticamente da quando, nel 1945, accusato di collaborazione con il nemico, per alcune forniture di gasogeni ai tedeschi nel periodo bellico (dimenticando però che dando lavoro a molti operai Vassena aveva salvato altrettanti lecchesi dalla deportazione), venne rinchiuso, assieme ad altri industriali lecchesi, nel «Collegio» lecchese di via Ghislanzoni. Qui nell’aula/cella numero 3 prese forma nella mente e poi sulla carta il nuovo progetto. Ed il nome della sua futura creatura non poteva che essere C3 - (cella numero 3). E così, nel febbraio del 1948, il C3 era pronto ad uscire dall’officina di via Cavour per i primi collaudi nella darsena della Canottieri Lecco. Tutto filò liscio ed il 12 marzo 1948, con una spedizione leggendaria, al largo di Argegno, là dove il lago di Como è più profondo, Vassena con il sommergibilista di Calolziocorte Nino Turati, scese a -412 metri stabilendo il record mondiale di profondità. La notizia fece il giro del mondo. Al punto che il fisico svizzero Auguste Piccard volle conoscere personalmente quell’inventore che era riuscito a tanto sfidando le leggi della fisica ed anticipando la marina delle grandi potenze (Usa inclusa); fu subito amicizia fra i due, tanto diversi ma altrettanto simili in genialità. Ma la storia di Pietro Vassena e del suo C3 durò ben poco perché il 20 novembre ‘48, al largo di Capri, durante un ulteriore tentativo di discesa, senza equipaggio, per un errore di manovra del personale della Marina Militare addetto al verricello che filava il cavo, al quale il sommergibile era ancorato, il C3 si inabissò per sempre fra la disperazione del suo inventore. Pietro Vassena fece di tutto per recuperare il suo C3, ma inutilmente. Lasciò incompiuta la realizzazione del motore a idrogeno e se ne andò in punta di piedi e con una ferita aperta nel cuore, il 21 maggio 1967. Così era Pietro Vassena, personaggio estroverso, geniale e ricco d’intuito”. Dimenticato negli abissi di Giulio E. Melegari Mazzoni Dicono che la tenacia e l’ardimento, insomma lo spirito di chi crede nel “nostro” motto: memento audere semper, rendono quasi impossibile l’insuccesso, ma non è così. La storia è ricca d’uomini che, camminando troppo avanti agli altri, hanno bevuto fino in fondo l’amaro calice del fallimento. Magari senza averne alcuna colpa. Questa è la storia di uno di quegli uomini e della sua fantastica idea … il “C3” negli anni della seconda guerra mondiale. Tratto da: Immersione Rapida M.A.R.E n° 8 - Anno 2001 Bimestrale giugno-luglio L a storia del “C3” è un luminoso documento di ingegno e d’ingegnosità realizzativa, rimasti coperti e nascosti da una sorte avversa e da un inadeguato supporto da parte del mondo circostante, troppo impreparato e troppo inerte per poter comprendere e accogliere una realizzazione precorrente i tempi. Possiamo oggi solo ipotizzare che le imprese dei palombari dell’Artiglio con gli scafandri rigidi articolati sul relitto dell’Egypt nei primi anni Trenta abbiano attirato e coinvolto l’attenzione di Pietro Vassena, lecchese per diritto di sangue e per diritto di nascita, già inventore affermato di soluzioni innovative e di realizzazioni ingegnose nella meccanica terrestre non di rado applicate con successo al settore delle acque e della navigazione. Non ci deve stupire quindi che nel 1938 Pietro Vassena abbia concepito l’idea di un sottomarino e ne abbia stilato il progetto. Pur non provenendo da una diretta personale formazione o pratica subacquea, come palombaro, Pietro Vassena, con intuito, ingegno e soprattutto con ineguagliabile e competente capacità di sintesi, è stato in grado di percepire e concepire ante litteram la funzione che nell’intervento subacqueo profondo avrebbe potuto assumere un mezzo autonomo e svincolato dalla superficie. Tra le righe delle cronache degli interventi con gli scafandri rigidi articolati e con le torrette butoscopiche e dei resoconti delle immersioni con la batisfera e il bentoscopio di Beebe, Pietro Vassena ha saputo intuitivamente percepire i presupposti, le implicazioni, le necessità, e i limiti degli strumenti, dei mezzi e degli utensili utilizzati e utilizzabili nell’esplorazione scientifica del mondo sommerso e nel lavoro subacqueo sui relitti a grande profondità. I venti di guerra del secondo conflitto mondiale provocano però un cambiamento di destinazione applicativa del concetto di sottomarino, indirizzandolo verso impieghi militari ben più impellenti di quelli commerciali o industriali. Nel 1942 Pietro Vassena progetta quindi e fa costruire, in parte presso la Ditta Badoni di Lecco, un prototipo di motosilurante subacquea capace di sviluppare una velocità di 35 km/h in navigazione di superficie e di 14 km/h in navigazione subacquea, mantenendo la condizione di immersione per effetto dinamico dei timoni di profondità pur possedendo caratteristiche strutturali e ponderali di galleggiamento statico. Pochi mesi dopo, nello stesso anno e nell’anno seguente, viene realizzato il “Delfino” un torpedo snorkel con un motore di 150 HP Alfa Romeo che gli imprimono una velocità di 70 km/h in superficie e di 32 km/h in immersione. Con il suo armamento costituito da un siluro e da una mitragliera risulta il mezzo subacqueo di assalto più veloce del mondo. Nel perdurare del periodo bellico (1944 e 1945), Pietro Vassena continua a dedicarsi alla progettazione di sottomarini e sommergibili tascabili per la difesa subacquea, mentre la sua attenzione viene progressivamente spostata sui recuperi marini, stante l’imponente quantità di naviglio affondato dagli eventi bellici e l’approssimarsi della fine del conflitto. A quel punto, però, nel 1945, nel corso dell’ondata d’isterismo postbellico, di caccia alle streghe e ai presunti collaborazionisti, Pietro Vassena viene arrestato e detenuto, tra il 28 aprile e il successivo 13 giugno, nell’edificio scolastico di via Ghislanzoni a Lecco trasformato in carcere occasionale. L’inventore non lascia trascorrere inerte questo periodo e quando viene rilasciato ha Il figlio Angelo Vassena, fra i più calorosi sostenitori del padre, sempre presente nelle immersioni ben chiaro in mente tanto il progetto del costruendo sommergibile tascabile da ricerca e da lavoro in acque profonde quanto la sigla che lo contraddistinguerà. Si chiamerà “C3”, dalla targa che sormontava la porta dell’aula della classe 3ªC nella quale era stato ingiustamente detenuto. Nell’autunno di quello stesso anno (1945), Pietro Vassena sottopone il suo progetto e le realizzazioni fino ad allora concretizzate all’esame di Guglielmo Premuda, ingegnere consulente tecnico della sezione Costruzioni Navali del Ministero dell’Industria, e di William Carreri, ingegnere reggente il Comitato Industriale delle Costruzioni Navali. Il risultato di questa attenta ispezione e disamina viene espresso in una lusinghiera relazione (19 novembre 1945): “...omissis... si è tratta la convinzione che il nuovo apparecchio rappresenta effettivamente una felice soluzione per il superamento delle difficoltà riscontrate sino ad ora nelle operazioni di recupero dei relitti di navi a grandi profondità. Si può quindi affermare che il nuovo apparecchio rappresenta a confronto dei mezzi di salvataggio attualmente in uso per il recupero di relitti (palombaro con scafandro) sia da piccola che da grande profondità (sino a 400 metri) un reale progresso per le seguenti ragioni: completa indipendenza dalla nave appoggio, con la quale rimane però in continuo contatto radio; possibilità di raggiungere le grandi profondità rapidamente e di risalire con eguale rapidità; possibilità di trattenersi e manovrare a qualsiasi quota di profondità e conseguente facilità di eseguire le ricerche del relitto, di esplorare da tutte le parti la posizione e lo stato dello stesso; di individuare il miglior modo per procedere al salvataggio dello stesso, all’applicazione dei cavi, ganci o cassoni di sollevamento, di eseguire il recupero e la loro sorveglianza durante le diverse manovre di sollevamento e recupero; massima sicurezza per l’equipaggio dell’apparecchio (comodità di movimento dentro lo scafo e nessun pericolo di disturbi all’organismo); possibilità di permanenza sott’acqua di gran lunga superiore a quella raggiungibile con gli attuali mezzi (35 ore). ...omissis... Questa Commissione si è perciò formata la convinzione che questa nuova invenzione è meritevole del più grande incoraggiamento da parte dello Stato, nonché dell’interessamento da parte delle ditte navali. ...omissis... L’Industria navale italiana di recupero è sempre stata all’avanguardia della tecnica, sia per l’audacia degli uomini che per perfezione dei mezzi, e l’adozione di questo nuovo apparecchio potrà significare un nuovo progresso nella tecnica dei recuperi e contemporaneamente una decisa affermazione della capacità inventiva Italiana.”. Quasi subito iniziano i lavori per la costruzione del piccolo batiscafo “C3” nella quale Pietro Vassena coinvolge la ditta “Forni Impianti Industriali Colombo” e la fabbrica lecchese “De Bartolomeis”. Lo scafo resistente è costituito da un tubo di lamiera d’acciaio dello spessore di 10 mm, con un diametro di 120 cm ed una lunghezza di 8 m. Alle due estremità di questo tubo vengono applicate due calotte bombate per formare rispettivamente la prora e poppa, giungendo ad una lunghezza complessiva del sottomarino di dieci metri e ad un dislocamento di circa 10 tonnellate. All’interno vengono poste centinature di rinforzo costituite da ossature metalliche in profilato a T (mm. 70 x 70 x 9), distanziate fra loro di 150 mm. All’esterno dello scafo vengono installati inferiormente due cilindri longitudinali di galleggiamento e di allagamento destinati a fungere da casse Pietro Vassena all’interno del suo C3. In primo piano la struttura a T rovesciata, calcolata per resistere alle alte pressioni. È importante ricordare che all’epoca i sommergibili erano progettati per resistere ad un massimo di 250 metri di profondità L’inventore del C3 nelle acque di Capri nel novembre 1948. Il piccolo sottomarino era considerato dagli esperti un vero gioiello tecnologico Nino Turati a bordo del C3 di assetto e due cilindri longitudinali più grandi destinati ad ospitare gli accumulatori elettrici che così non si trovano all’interno del compartimento abitato. Superiormente viene installata la torretta di osservazione e pilotaggio, alta 60 cm e col diametro di 80 cm, dotata di quattro hublots circolari e di un portello superiore bombato. Posteriormente, all’esterno dello scafo, vengono montati due timoni direzionali e un grande timone di profondità. All’interno dello scafo trovano posto un motore a benzina da 50 HP Fiat per la navigazione in superficie che permette al sottomarino di raggiungere la velocità di 10 nodi e un motore elettrico da 5 HP che consente la navigazione in immersione fino alla velocità di 3 nodi. Come i sottomarini militari a lungo raggio di azione il “C3” può ricaricare i propri accumulatori durante la navigazione in superficie. Mediante un gruppo differenziale opportunamente installato è possibile inserire alternativamente il motore termico o quello elettrico sull’elica situata inferiormente alla calotta bombata di poppa. Le dotazioni aggiuntive a quelle di navigazione e di lavoro comprendono cinque potenti fari esterni alcuni dei quali direzionalmente regolabili dall’interno. I calcoli strutturali e di verifica della resistenza dello scafo agli effetti della pressione idrostatica sono stati effettuati dallo stesso Pietro Vassena che, partendo dal manuale di Jochow Forster, ha estrapolato e opportunamente applicato le formule di Mises per il fasciame, di Föppel per le ossature e di Von Sanden per le sollecitazioni generali. Vale la pena di ricordare che in quegli anni l’architettura navale degli scafi dei sottomarini si limitava a strutture destinate a superare di poco il centinaio di metri di profondità, mentre Pietro Vassena aveva già chiari l’intendimento e il concetto di un sistema destinato a immergersi sottostando a pressioni idrostatiche di dieci volte superiori. Il 10 febbraio 1948 un’altra relazione di William Carreri ratifica e sancisce la validità e l’ingegnosità del progetto: “ ...... omissis...... Nella storia delle esplorazioni sottomarine e dei recuperi marittimi si aprono nuovi orizzonti, nuove grandi possibilità. E l’industria navale italiana dei recuperi marini – che è sempre stata all’avanguardia della tecnica sia per l’audacia degli uomini che per il perfezionamento dei mezzi – grazie all’adozione di questo nuovo apparecchio di portata tecnica e scientifica incalcolabile e che ha già destato l’interesse di studiosi e tecnici di tutto il mondo, segnerà un nuovo progresso nella tecnica dei recuperi, registrando un’altra decisa affermazione della capacità inventiva italiana”. Il 9 marzo del 1948 il “C3”, dopo avere compiuto prove e immersioni preliminari di bilanciamento e regolazione di assetto, esegue, non presidiato, una immersione di collaudo nel lago di Como di fronte a Argegno e per controllare che durante la discesa in profondità non vi siano infiltrazioni di acqua, Pietro Vassena escogita un ingegnoso sistema costituito da una sveglia posata all’interno di una pentola metallica e collegata a un microfono che trasmette via cavo telefonico il regolare ticchettio in superficie. Il “C3” viene calato fino a 235 metri di profondità perché la limitata lunghezza del cavo telefonico impedisce una ulteriore discesa. Il giorno seguente, dopo aver allungato opportunamente il cavo telefonico, viene compiuta positivamente un’immersione che arriva fino al fondo del lago e cioè a 415 metri di profondità. Due giorni più tardi, il 12 marzo 1948, Pietro Vassena, accompagnato da Nino Turati, raggiunge il fondo del lago a 412 metri di profondità in una immersione del “C3” con equipaggio e prove funzionali. Il successo è confermato e clamoroso. Pochi giorni dopo, il 21 marzo, invitato dal Prof. Augusto Piccard, Pietro Vassena si reca a fargli visita a Sierre coronando con l’incontro una corrispondenza epistolare iniziata tempo prima. Piccard si sta preparando all’allestimento dei batiscafi che legheranno, anni dopo, il suo nome alle immersioni abissali. Il successo della immersione a oltre 400 metri di profondità nel lago di Como porta ben preso il batiscafo “C3” in Liguria dove il 21 giugno è esposto a Palazzo Ducale a Genova e tra il 25 e il 28 agosto compie una serie di immersioni fino a 200 metri di profondità tra Santa Margherita Ligure e Portofino. Da Genova il “C3” è trasferito, a bordo di una nave, a Napoli, dove giunge l’11 settembre per effettuare una serie di immersioni improntate a osservazioni e ricerche di biologia marina auspicate e assistite dal prof. Pietro Parenzan, biologo marino ed entusiasta promotore dello studio delle forme di vita marina abissale. L’apertura della parentesi napoletana e campana nella storia del “C3” illumina realisticamente le possibilità applicative di impiego del batiscafo nelle attività di indagine ambientale e di ricerca scientifica, settori nei quali scienza e ricerca hanno prima d’ora brancolato praticamente nel buio senza potere disporre di alcun sistema di osservazione diretta. L’8 ottobre 1948, a poco più di 300 metri di distanza dalla famosa Grotta Azzurra, mentre è trainato dal rimorchiatore “Gaeta” verso il luogo dell’immersione, dopo avere lasciato il porto di Marina Grande a Capri, il “C3” imbarca acqua dallo sportello a causa di due grosse ondate che lo sommergono durante una malaugurata fase di ricambio d’aria a torretta aperta. Bastano pochi secondi perché il “C3” acquisti assetto negativo e affondi, spezzando il cavo di rimorchio e finendo su un fondale di oltre 100 metri di profondità. È un momento di disperazione, ma nel volgere di quattro giorni di ricerche il “C3” viene aggianciato alle cinque del mattino del 12 ottobre; dopo alterne vicende di sollevamento e tentativi ininterrotti di recupero in superficie, il batiscafo viene trasportato in acque più basse e finalmente recuperato e portato e fuori acqua alle 1,30 del 14 ottobre. Il recupero apporta una ripresa di entusiasmo che consente di effettuare rapidamente le operazioni di ripristino e di preparazione per nuove e più profonde immersioni. Trascorrono giorni d’intensa attività e di profondo impegno per il ripristino delle attrezzature non prevista per la permanenza in acqua salata. Il 4 novembre vengono riprese le prove di immersione e di navigazione subacquea con un rinato “C3”, che è stato ripristinato a tempo di primato. Le prime immersioni avvengono nel porto di Capri a piccola profondità, poi all’esterno del porto in acque più profonde fino a raggiungere i 440 metri. A questo punto vengono confermate le piene capacità funzionali del piccolo batiscafo e si può pensare di procedere alle ultime prove a grande profondità per passare poi alle immersioni di studio ambientale e di ricerca scientifica con il prof. Pietro Parenzan a bordo, aprendo un auspicato e innovativo capitolo di esplorazione e conoscenza del mondo sommerso. Mentre le immersioni compiute fino a 400 metri e oltre sono state effettuate Il C3 durante la fase di preparazione per il record di Argegno. Il 13 marzo 1948 Pietro Vassena festeggia il raggiungimento dei 412 metri con nove minuti di permanenza sul fondo in piena autonomia e funzionalità operativa con equipaggio di due persone, la discesa in acque più profonde deve essere preceduta da un vero e proprio collaudo idrostatico che garantisca la resistenza del guscio alla pressione idrostatica esterna e la tenuta dei passaggi a scafo senza infiltrazioni di acqua. Il 16 novembre 1948 alle ore 7.20 il rimorchiatore “Tenace” della Marina Militare salpa dal porto di Capri con a rimorchio il pontone “G.A.267” e il batiscafo “C3”. Alle 8.05 il convoglio si dirige sul punto stabilito per l’immersione, dove viene rilevata una profondità di 978 metri. Alle ore 10.00 si inizia ad ammainare il batiscafo filando il cavo al quale il “C3” si trova solidamente connesso con i ganci di prora e di poppa. Alle ore 10.45 viene raggiunta la profondità di 540 metri e la situazione all’interno del batiscafo viene confermata regolare, tramite il già collaudato sistema della sveglia e del telefono. Quando viene ripresa la discesa, il verricello sembra non rispondere ai controlli e aumenta la propria velocità di rotazione senza poter essere frenato. Il cavo non si trova con la propria estremità fissata o morsettata al tamburo del verricello e conseguentemente arriva a sfilarsi senza potere essere fermato. A questo punto il batiscafo “C3” ha raggiunto il fondo posandovisi e restando collegato con la superficie solo tramite il cavo telefonico che consentiva ancora di udire il distinto battito della sveglia che confermava la perfetta resistenza dello scafo e delle tenute del portello, degli hublots e dei connettori alla pressione idrostatica. La posizione della caduta del “C3” sul fondo, sulla base del rilevamento effettuato immediatamente dal comandante del rimorchiatore Tenace, risulta latitudine N 40°3’58” e longitudine E 14°14’00” e la profondità corrispondeva a 986 metri. Il peggioramento delle condizioni meteo-marine e la conseguente deriva del pontone, che si allontanava lentamente, costringevano a collegare a una boa di fortuna il cavo telefonico, ancora connesso al “C3” del quale confermava fino all’ultimo ascolto le perfette condizioni strutturali. In superficie non era apparso nessun segno, se non il riaffioramento di una delle due sfere esterne di stabilizzazione di assetto emersa intatta a circa 300 metri dal pontone in seguito al probabile distacco provocato, al momento della caduta sul fondo, dal movimento del collegamento di prora e poppa al cavo di sospensione del “C3”. Oggi i collaudi idrostatici di questo tipo vengono eseguiti in grossi contenitori a pressione nei quali si possono simulare immersioni di sottomarini tascabili e di campane di immersione fino ad alcune migliaia di metri di profondità verificandone contemporaneamente il comportamento e la reazione elastica dello scafo resistente. Allora non era disponibile nulla del genere e l’unica forma possibile di collaudo idrostatico era rappresentata da una calata controllata del sottomarino, opportunamente zavorrato e mantenuto alla estremità di un cavo governato dalla superficie, con tutti i rischi che questa procedura poteva comportare. Tali erano questi rischi che la perdita di veicoli subacquei durante i collaudi si è verificata in più di una occasione tanto che quasi venti anni dopo, al largo di Marsiglia, in circa mille metri di profondità di acque venne perso in condizioni simili un guscio di sottomarino tascabile francese che si trova ancora nella posizione in cui avvenne la perdita e che fu qualche tempo dopo localizzato Sul lago di Lecco Vassena, circondato da giornalisti e fotografi, si prepara alla prima immersione a - 43 m Il C3 al suo primo ingresso in acqua nei pressi della Società Canottieri Lecco sul lago di Como Il sommergibile transita per via Cavour e piazza Garibaldi a Lecco nel giorno del varo Costruito prevalentemente per scopi civili, il C3 avrebbe dovuto, secondo le intenzioni del suo inventore, consentire all’uomo di realizzare interventi di recupero ad alte profondità, ed eventualmente, con le opportune modifiche, essere in grado di recuperare i sottomarini bloccati sul fondo. Non ebbe, però mai modo di mostrare le sue indubbie possibilità di impiego. Jacques Piccard e Pietro Vassena, Auguste Piccard, il giornalista Tagliabue e il professor Colombo, vicesindaco di Lecco. Pietro Vassena sorridente e Auguste Piccard, durante la rassegna aeronautica di Milano - Forlanini. Lo scienziato svizzero in quel periodo stava ultimando il batiscafo “Trieste” e si riproponeva di immergersi a Capri, nel tentativo di vedere ed eventualmente fotografare il C3. dal sonar del sottomarino francese “Cyana” dello Cnexo (Centre National pour l’Exploration des Oceans). La perdita del “C3”, tanto più amara in quanto verificatasi al termine di un collaudo idrostatico documentatamente riuscito, era indubbiamente avvenuta per una serie di omissioni, impreparazioni e inadeguatezze del sistema di superficie. Proprio in quegli anni, per ironia della sorte, si manifestava un generale interesse alla scoperta del mondo sommerso e alla conquista delle profondità sulla scia delle imprese dei palombari dell’Artiglio e delle immersioni della batisfera di Beebe che nel 1934 aveva superato di poco la profondità di 900 metri. Purtroppo, la mancanza di focalizzazione delle esigenze impedì al momento di comprendere quanto avveniristicamente e quanto appropriatamente Pietro Vassena avesse individuato le soluzioni tecniche ai problemi della immersione profonda. Non è da sottovalutare il fatto che, mentre fino ad allora l’immersione a pressione atmosferica era stata condotta con mezzi e sistemi appesi alla estremità di un cavo (scafandri rigidi articolati, torrette butoscopiche, batisfere), Pietro Vassena aveva risolto ante litteram il problema del controllo dell’assetto idrostatico e della mobilità tridimensionale del sistema di immersione e lavoro a grande profondità. La focalizzazione delle esigenze comparirà pochi anni dopo con la scomparsa del sottomarino nucleare Tresher (1963) e con il proliferare delle attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi dai giacimenti sottomarini progressivamente più profondi (fine anni ’60 – inizio anni ’70). A questo punto avvenne l’improvvisa fioritura di idee e di realizzazioni e comparvero, nel volgere di pochi anni, sottomarini tascabili di ogni tipo, modello e forma e nessuno già si ricordava più che ognuno di quei fiori sbocciava da innesti concettuali, pratici, filosofici e tecnici fatti sulla prima ed unica pianta coltivata da Pietro Vassena alla quale erano stati fatti mancare irrigazione e nutrimento per disinteresse e carenza di aiuti esterni. La ineguagliata e ineguagliabile realizzazione di Pietro Vassena dopo essere affondata al largo di Capri nel 1948, per incuria incompetenza di chi doveva garantirne il successo, si arenò negli anni successivi nelle sabbie della burocrazia, per l’ignavia e l’inerzia di un apparato collettivo incompetente e impreparato a prevedere e a valutare gli incombenti sviluppi industriali e commerciali di un’idea precorrente i tempi. Per anni Pietro Vassena, dopo avere imboccato, con un investimento di oltre 17 milioni di lire dell’epoca e di tutto il proprio tempo e le proprie energie nello sviluppo del progetto “C3”, una strada che non consentiva ritorno ma possedeva uno sbocco forte e sicuro, seppur latente, sul successo della conquista commerciale e della conoscenza scientifica degli abissi marini e oceanici, tentò disperatamente di fare valere i propri diritti di riconoscimento e d’indennizzo. Non si trattava di un mero recupero economico del denaro investito e perduto nel nulla per un banale incidente, ma di una ricostituzione delle possibilità di ripartire dall’inizio in un’impresa che aveva mostrato e confermato la sua validità tecnica e realizzativa e i suoi fondati presupposti di sviluppo futuro. L’importanza del concetto varato da Pietro Vassena è sancita dal fatto che poco più di trenta anni più tardi (1980) esistevano nel mondo ben 133 sottomarini tascabili impiegati nella ricerca scientifica e nelle attività estrattive degli idrocarburi con profondità di impiego massimo oscillanti tra 300 e 3000 metri di colonna d’acqua. Questi sottoma- rini costituivano una vera e propria flotta mondiale variamente distribuita tra i diversi stati che svolgevano operazioni di interesse scientifico o industriale: USA (40), UK (28), Francia (22), USSR (12), Italia (8), Canada (7), Germania Ovest (3), Giappone (3), Norvegia (3), Repubblica Cinese (2), Svizzera (1), Svezia (1), Romania (1), Yugoslavia (1), Brasile (1). Di questi 133 sottomarini o veicoli a pressione atmosferica per immersione profonda ben 105 erano operativi nel corso di quell’anno 1980 e 26 erano in corso di collaudo, manutenzione, modifiche e rifacimenti. Di questa flotta mondiale facevano parte sottomarini tascabili di diversi dimensioni e diverse caratteristiche di impiego, ma tutti possedevano un comune fattore genetico e concettuale ed erano di fatto eredi del “C3”, del quale ricalcavano uno o più particolari strutturali e funzionali. Il “C3” si trova ancora sul luogo del suo affondamento. Alcuni anni fa Angelo Vassena, figlio di Pietro Vassena e partecipante diretto, ancora ragazzino, alle immersioni di collaudo del “C3”, effettuò a bordo del “Nautile”, il sottomarino francese di Ifremer, alcune immersioni nella zona senza tuttavia localizzare il piccolo batiscafo. Oggi l’industria possiede sistemi di ricerca e localizzazione e sistemi d’intervento e recupero che possono rendere localizzazione, ispezione e recupero del “C3” un fatto eseguibile in qualche decina di ore. Il recupero del “C3” è forse il minimo dovuto alla memoria di un uomo e alla realizzazione di un concetto che ci hanno permesso e ci stanno ancora permettendo l’accesso e l’utilizzazione del mare profondo. Noi di “Immersione Rapida M.A.R.E.” faremo tutto il possibile perché ciò avvenga: la nostra è una promessa. Le varie fasi di realizzazione del record, realizzato nel lago di Como, alla profondità di 412 metri che, per l’epoca, erano veramente molti. Il collaboratore e compagno d’immersione è Nino Turati. Camminare sull’acqua Particoli dei disegni di progetto per gli “Skivass” ed il Brevetto Industriale. Una pagina del registro con i timbri dei Comuni raggiunti dal Giro Europeo su “Skivass”. Pietro e Angelo Vassena sul lago di Lecco con gli “Skivass”. Pietro Vassena nella vasca della Fiera di Milano nel 1964 e comodamente seduto su una delle molteplici versioni in cui si possono trasformare gli “Skivass”. Trasporto degli “Skivass” con l’automobile. Dal due tempi al batiscafo di Giulio E. Melegari Mazzoni Dicono che la tenacia e l’ardimento, insomma lo spirito di chi crede nel “nostro” motto: memento audere semper, rendono quasi impossibile l’insuccesso, ma non è così. La storia è ricca d’uomini che, camminando troppo avanti agli altri, hanno bevuto fino in fondo l’amaro calice del fallimento. Magari senza averne alcuna colpa. Questa è la storia di uno di quegli uomini e della sua fantastica idea … il “C3” negli anni della seconda guerra mondiale. Tratto da: LegendBike n° 59 - Anno 6 Luglio 1997 N on è facile inquadrare, a 100 anni dalla nascita, tutte le multiformi intuizioni e realizzazioni di un personaggio come Pietro Vassena, un personaggio mitico delle zone del lecchese, anche per la sua innata propensione a spendere tutto quanto poteva ricavare dalle sue svariate attività per la realizzazione delle sue invenzioni nei campi più disparati. Quello che maggiormente colpiva, ferma restando una sua particolare propensione per la meccanica e per motori e mezzi destinati ad operare nell’acqua, era il suo eclettismo, la sua prontezza a cimentarsi in campi che nessuno supponeva gli fossero familiari. Nell’ambito di tutte queste sue realizzazioni un posto non trascurabile tocca anche alle moto ed è a queste che ci dedicheremo in modo particolare, anche se un elenco delle sue molteplici invenzioni non può mancare per poter dare un’idea completa del personaggio. Le prime motoleggere Pietro Vassena nasce a Malgrate, vicino a Lecco, il 21 aprile 1897. Partecipa alla prima guerra mondiale nei bersaglieri e una delle sue prime presenze nel campo dei motori riguarda la progettazione nei primi anni Venti di un motore ausiliario per biciclette e di una motoleggera per la società Faini di Lecco. Il motore ausiliario, da collocare al centro del triangolo del telaio con una trasmissione a cinghia alla ruota posteriore è un due tempi con cilindrata attorno ai 100 cm3 (98 per alcuni, con corsa e alesaggio di 50 mm, 106 secondo altri, con alesaggio di 52 mm e corsa di 50 mm) ed è proprio con un motore di questa cilindrata che lo stesso Pietro Vassena vince a Milano nel marzo 1923 il Concorso di con- sumo organizzato dalla rivista Motociclismo per la categoria “Biciclette a motore”, percorrendo con il mezzo litro di benzina Shell fornita dagli organizzatori 45,3163 km alla media di 39,065 km/h. La media avrebbe potuto essere più alta se Vassena non avesse perso due minuti per essere andato a sbattere contro un albero per rispondere, come dice sempre Motociclismo, “ai saluti dei suoi troppo focosi amministratori”. La motoleggera Faini della quale Legend Bike ha pubblicato una descrizione sul numero 17 dell’ottobre 1993 non è invece una 98 cm3 ma una 124 con alesaggio dei 53 mm e corsa di 56 mm ed era prodotta in tre versioni: Turismo, Sport e Signora (con telaio aperto) oltre che in versione a tre ruote per mutilati ed invalidi. Il motore a due tempi presenta alcuni dettagli che richiamano le più note motoleggere G.D. e M.M. ma sono anche (cosa importante per una moto costruita a Lecco) in linea con le tipiche caratteristiche della Moto Guzzi, come il cilindro orizzontale (qui in blocco con la testa) ad elettatura radiale e il grosso volano esterno rosso con la fascia periferica nichelata. Ma sul modello Sport anche il serbatoio trapezoidale con la cassettina degli attrezzi sovrapposta ha una stretta parentela con quello montato sulle moto di Mandello. Frattanto, nel 1923, Vassena si era messo in proprio iniziando quella che sarà una della sue principali attività: la realizzazione di motori a due tempi per fuoribordo. Ritorna in seguito alle moto realizzando la Vassena 125, presentata per la prima volta a una “Mostra ZootecnicaAgricola-Industriale” a Cisano Bergamasco nel novembre 1925 e sul numero del 10-17 aprile 1926 della rivista Motociclismo. Nelle linee generali le 125 Vassena ricordano abbastanza la moto fatta per la Faini; anche il motore (che ha lo stesso aleggio di 53 mm e la stessa corsa di 56 mm) ne conserva il cilindro orizzontale ad alettatura radiale. Questa volta però il volano è sul lato destro, anziché sul sinistro, ed è protetto da un coperchio mentre il cambio a due velocità è posto dietro al motore anziché sotto come sulla Faini. Nelle prime versioni il cambio è separato con una trasmissione esterna dal motore al carter protetta da un coperchio mentre nelle versioni successive il cambio è in blocco. Nel 1928 è introdotta per la prima volta al Circuito del Lario la classe 125 e il costruttore lecchese non può rinunciare alla competizione di casa. Iscrive due moto pilotate da Aldo Prina ed Eros Cioci. Sono due moto di serie con minime elaborazioni, ma da Bologna arrivano le M.M. e le G.D., che hanno già una notevole esperienza in fatto di corse e piloti validi come Amedeo Tigli, portacolori della M.M., mentre Prina e Cioci sono dei dilettanti. Nonostante questo, Prina si classifica al quarto posto (Cioci si era ritirato subito al primo giro). L’anno successivo la 125 viene tolta e Vassena schiera due unità maggiorate nella 175 senza successo. L’ultima volta che si parla delle 125 Vassena su Motociclismo è in una rassegna della produzione motociclistica italiana fatta dopo il Salone di Milano del 1930. Dalla Volpe alla Rumi Negli intervalli di tempo ricavati nella preparazione del suo batiscafo per esplorazioni subacquee, Vassena progetta nel 1946 un piccolo bicilindrico a due tempi con cilindri verticali affiancati per la vetturetta Volpe, una vettura che gli ideatori, dopo un grande battage pubblicitario e la presentazione di quattro o cinque prototipi, non costruiranno mai, fuggendo con i soldi raccolti come anticipo nei contratti di prenotazione. Ma il progetto del piccolo bicilindrico non va perso. Vassena si accorda con Donnino Rumi, noto costruttore bergamasco di macchine tessili, per la costruzione di una moto con il piccolo bicilindrico. Un primo prototipo viene realizzato montando lo stesso motore a cilindri verticali su un telaio della AMISA costruito dalle Officine Meccaniche di Vedano al Lambro. Poi il motore viene modificato con i cilindri orizzontali e con valvola rotante e un secondo prototipo sempre con telaio AMISA e il motore ufficialmente chiamato Rumi viene presentato al Salone di Milano del 1949. Successivamente viene abbandonata la soluzione a distributore rotante e si passa all’alimentazione diretta in terza luce, ma Vassena ha qualche discussione con i tecnici che hanno preso in mano la responsabilità della produzione e lascia la Rumi. Rimarrà per un certo tempo rappresentante della società bergamasca per Lecco, Como e Sondrio. Le moto per Carniti Dopo il rapporto con Rumi, Vassena entra in contatto con la ditta Carniti di Oggiono, pure operante in questo settore, alla quale cede la sua produzione di fuoribordo, conosciuta a quel tempo con il marchio Elios. Con Carniti ritorna anche alle moto progettando nel 1953 due unità che rimarranno alla stato di prototipo. Il primo, quello più Pietro Vassena ha vuto una parte importante nella nascita della moto Rumi. La soluzione con cilindri orizzontali realizzata per la Rumi con ammissione sul carter e distributore rotante Un’altra realizzazione motociclistica fatta da Vassena per la Carniti di Oggiono: l’Automotoscooter 200 con cambio continuo La prima moto a marchio Vassena, realizzata alla fine del 1925, ripropone un motore a due tempi strutturalmente simile a quello della Faini, ma con disposizione del volano e del comando magnete invertiti. Sulla moto è montato un cambio separato e trasmissione coperta La motoleggera Vassena n° 29 nella sua versione definitiva con cambio in blocco Il motore 125 bicilindrico due tempi realizzato per la vetturetta Volpe montato su un telaio AMISA costruito dalle Officine Meccaniche di Vedano al Lambro noto, si chiama Automotoscooter 200 ed ha un motore da 200 cm3 a tre cilindri affiancati con una strana trasmissione ad attrito denominata Variomatic. Si tratta di un rullo in gomma calettato sull’albero di uscita dal propulsore che trasmette il moto per attrito a un disco metallico che costituisce l’anima della ruota posteriore. Una leva a cloche consente di variare la posizione del ruolo rispetto all’asse della ruota variando così il rapporto di trasmissione. La carrozzeria di questo scooter, detto anche “Bersagliera” per il cappello piumato riportato sullo scudo, simbolo dell’Arma in cui aveva prestato servizio sia Vassena che Carniti, è disegnata dalla carrozzeria Ghia di Torino ed è indubbiamente un buon esempio di design in campo motociclistico. Nonostante queste premesse allettanti la moto non viene prodotta. Non si sa se questo sia da attribuire ad una decisione unilaterale di Carniti o alla scarsa affidabilità della trasmissione che, vista oggi, lascia adito a parecchi dubbi. Sempre per Carniti Vassena realizza anche una 150, pure a due tempi ma a cilindri contrapposti con trasmissione cardanica ed un telaio triangolare a doppia culla. La moto è La K2 del 1954 a motore oscillante e telaio fuso in lega leggera caratterizzata da un serbatoio allungato che racchiude anche la testa di forcella e termina anteriormente con un grande schermo trasparente nel quale ruota il faro. Le ultime moto di Vassena La successiva esperienza in campo motociclistico di Pietro Vassena è del 1954 e riguarda una monocilindrica 175 con trasmissione in blocco al motore e oscillante assieme allo stesso e con un telaio fuso in lega leggera. E’ stata realizzata su richiesta di un gruppo di persone che operano abitualmente nel campo delle costruzioni edili (Rusconi, Sonzini e Trotta) probabilmente per entrare, in quei momenti in cui il mercato motociclistico era in fermento, in un nuovo settore produttivo, ma anche questa volta la moto, che in omaggio alla fortunata spedizione alpinistica italiana porta il nome di “K2”, non sarà mai messa in produzione. L’ultima apparizione di Vassena in campo motociclistico avviene nei primi anni Sessanta, quando collabora con la Italkart per la realizzazione di telai per Go-kart, con un piccolo veicolo denominato “Mini-bike”, destinato ad un impiego nelle grandi proprietà terriere, senza incorrere quindi nelle prescrizioni richieste ai veicoli destinati a circolare su strada. Utilizza un motore industriale di 150 cm3 costruito dalla Aspera di Torino, una ditta specializzata in questo settore ed in quello dei compressori per frigoriferi. La piccola moto incontra una certa richiesta soprattutto in paesi dove esistono le possibilità per questo tipo di impiego ed in particolari in Sudafrica. Negli anni successivi, effettua studi sull’alimentazione ad idrogeno fino alla sua morte, avvenuta a Lecco il 21 maggio 1967. Il Minibike, una moto per spostamenti interni in grandi proprietà terriere, realizzata con un motore industriale Aspera ed esportata soprattutto in Sudafrica L’elegante linea dell’Automotoscooter 200 realizzata dalla carrozzeria Ghia di Torino I motori fuoribordo Questo opuscolo, che riporta brani dei precedenti volumi Pietro Vassena e il suo “C3” (Benini - Corti / 1999) e Una storia di sfide (2003), è un omaggio dovuto di Paolo Cattaneo all’amico Angelo Vassena Stampa: Cattaneo Paolo Grafiche s.r.l. OGGIONO - LECCO Via ai pascoli, 1 (provinciale Oggiono-Annone) 23841 Annone Brianza (LC) tel. 0341 577474 r.a. - fax 0341 260661 [email protected] www.cattaneografiche.it