Comune di
Varenna
Pietro
Vassena
1897-1967
Varenna
Villa Monastero e
Sala Polifunzionale
15 giugno - 28 luglio 2013
Inaugurazione:
Venerdì 14 giugno - ore 17,00
Orario di apertura:
da martedì a domenica
15,30 - 18,30
A Varenna la celebrazione del 65° anniversario
della discesa del batiscafo C3 realizzato
dall’inventore lecchese Pietro Vassena (1897-1967)
In occasione del 65° anniversario dell’impresa compiuta dal batiscafo C3 (1948),
realizzata dall’inventore Pietro Vassena nei pressi di Argegno sul Lario, durante la
quale il batiscafo scese alla profondità di 412 metri stabilendo il record mondiale di
profondità, la Provincia di Lecco ha organizzato un’importante mostra che ricostruisce
la storia e l’operato di questo straordinario personaggio lecchese.
La manifestazione è sostenuta dall’Assessorato alla Cultura, Identità e Tradizioni
e ha luogo nello spazio espositivo di Villa Monastero e nella sala polifunzionale del
Comune di Varenna grazie ad una proficua collaborazione tra questi due enti.
Il progetto nasce dal reperimento di interessantissimo materiale, in parte inedito ed
in parte già pubblicato, presente nell’Archivio della famiglia Vassena che ha prestato
non solo documenti, progetti ed immagini ma anche numerosi esemplari, quali una
serie di motori nautici a partire dal famoso Elios del 1923, fino ad arrivare ai giorni
nostri, insieme ad alcuni prototipi di motociclette realizzate dall’inventore.
L’importanza di diffondere il ricordo e le opere di un personaggio storico del
nostro territorio, come Pietro Vassena, ha un significato fondamentale nell’ottica
che tutto quello che non viene tramandato dal passato verrebbe altrimenti perso e
dimenticato.
La valorizzazione della storia del nostro territorio consente a tutti di ricordare le
proprie radici che mai andrebbero smarrite ma anzi, riportandole alla luce, permette
un passaggio di testimone tra le generazioni passate e quelle future.
Un sentito ringraziamento di cuore a tutti coloro che hanno reso possibile questa
importante manifestazione.
Marco Benedetti
Assessore alla Cultura, Beni Culturali,
Identità e Tradizioni della Provincia di Lecco
Pietro Vassena, straordinario inventore
Dal recente e fortunato incontro con la famiglia Vassena,
alla quale sono particolarmente grata per la particolare disponibilità e generosità, nasce il progetto di questa mostra che
presenta alcune delle più significative creazioni di questo geniale
inventore lecchese.
Molti furono i campi di sperimentazione e ricerca che contraddistinsero il suo operato: in questa occasione si ripercorrono i principali aspetti che caratterizzarono la sua produzione
attraverso il ricco materiale messo a disposizione della famiglia,
fortunatamente custodito e conservato con cura, che permette
di ricostruire, seppur in maniera non esaustiva, il cammino
intrapreso da questo straordinario personaggio.
Il percorso espositivo si sviluppa in quattro sezioni tematiche:
la prima viene dedicata all’“Officina Vassena”.
Vengono qui esposti oggetti, documenti, immagini che si
riferiscono ai laboratori in cui l’inventore operava, da quello
situato a Lecco in Via Cavour 19, ai successivi tre collocati nelle
officine di Malgrate (ove durante la guerra venne applicato il
gasogeno alle vetture per trasporto, con l’impiego di ben 120
dipendenti), a quello posto lungo il fiume Adda ed infine presso
la Carniti di Oggiono (è presente tra l’altro l’opuscolo esplicativo della Ditta Vassena e il depliant che illustra ben trentatre
brevetti realizzati).
Compare inoltre la riproduzione del busto dello scienziato,
realizzato dallo scultore Salvino Ambrosi e collocato presso il
Lungolago di Lecco.
Questa parte è corredata da una serie di diplomi e fotografie che costituiscono un approfondimento sulla sua figura di
scienziato, ma anche sulla famiglia.
La seconda sezione si riferisce alle invenzioni nel campo
dei motori terresti, i famosi gasogeni che, sfruttando il vapore,
permisero durante l’ultima guerra il trasporto a costi contenutissimi in seguito alle difficoltà dovute alla penuria di benzina,
ma anche le motociclette a due tempi bicilindriche, poi adottate
dalla Rumi.
La terza illustra le invenzioni nel campo della nautica, a partire
dal famoso motore Elios del 1923 ed alle versioni successive, un
vero capolavoro ideato per essere il più piccolo motore nautico
fuoribordo: 33 cc con potenza di 1,5 hp peso 6 chili.
Sembra che lo stesso Vassena lo mostrasse riposto in una
custodia per violino!
Fra le varie creazioni si ricordano anche i curiosissimi
“skivass”, ovvero sci che permettevano di camminare in scioltezza (o quasi) sull’acqua, ed il “Giro d’Europa”compiuto da
Vassena tra gennaio e ottobre 1932 attraverso i laghi (…e in
tandem!), ricostruito in un interessantissimo album che documentava l’impresa.
L’ultima è interamente dedicata al batiscafo C3 ed alle sue
memorabili imprese, ricostruite attraverso documenti, progetti e
fotografie d’epoca. In questa sezione è presente la riproduzione in
scala del modello del C3, cui vengono affiancati studi e disegni
realizzati già nel 1947, insieme alla mappa della profondità del
lago di Como effettuata da Vassena.
La sezione presenta una significativa raccolta di immagini
dedicate in particolare all’impresa di Argegno del 1948 ed alla
discesa a –412 metri sott’acqua, in cui venne stabilito il record
mondiale di profondità.
Corredata dai numerosi articoli comparsi sulla stampa per
celebrare l’evento e dalle immagini in grande formato che ancora
gli eredi conservano, tra cui alcune che ricordano l’amicizia con
il fisico svizzero Auguste Piccard, illustra in modo significato
questo momento straordinario.
Viene infine ricordato l’esperimento di Capri (20 novembre
1948) che portò alla perdita del batiscafo, con la relazione della
Marina Militare Italiana dell’evento.
È presente anche il progetto di un’altra importante invenzione, il sottomarino Delfino Torpedo realizzato per la Marina
Militare Italiana.
Un personaggio singolare e meraviglioso, dunque, come ricorda Franco Ghiraldi riportando un giudizio di Aronne Anghileri,
giornalista sportivo di chiara fama che lo aveva conosciuto e che
nel 1988, poco dopo il centenario della nascita dell’inventore
(1897), sottolineava come avesse saputo “trarre idee da qualunque spunto (…) e sapesse trasmettere a tutti, collaboratori e
amici, una fede assoluta nel progresso e una fiducia non meno
assoluta nell’invenzione di cui si stava occupando”.
Anna Ranzi
Conservatore Casa Museo Villa Monastero
Pietro Vassena
(1897-1967)
Marco Corti
“Estroverso, geniale e lungimirante. Tre
aggettivi che racchiudono la personalità dell’inventore lecchese Pietro Vassena che, sul finire
degli anni Quaranta, stupì il mondo con le
sue immersioni - a grande profondità - con il
sommergibile “tascabile”, costruito nel suo laboratorio, il leggendario «C3 Vassena», (primo
mezzo sottomarino con specifica destinazione
alla ricerca scientifica e attrezzato per operare
a grandi profondità).
Pietro Vassena era nato a Malgrate il 21
aprile 1897. Poco più che ventenne scoprì un
certo talento nell’ideare e mettere in pratica
piccole invenzioni. Di quegli anni va ricordata
una singolare macchina in grado di produrre
raggi per ruote di ciclomotori, installata presso
la Ditta Faini di Lecco, per la quale, nel 1924,
Vassena progettò una bicicletta a motore di 90
cc a due tempi.
Ma il lago, il suo lago, finì inevitabilmente
per contagiare l’apprendista inventore. Così
Vassena progettò i primi motori marini fuoribordo e successivamente le prime motoleggere
Vassena (parteciparono con successo al Giro del
Lario). Negli anni Trenta, costruì gli «skivass»:
una sorta di sci d’acqua che consentivano di
passeggiare sull’acqua anche in giacca e cravatta.
Motori fuori-bordo, motoleggere e sci per
camminare sull’acqua furono le realizzazioni
più interessanti dell’epoca.
Vassena organizzò, tra l’altro, per il
fratello Natale, un giro pubblicitario degli
«skivass» nei bacini d’acqua e d’Italia e d’Eu­
ropa, avvalendosi, per i trasferimenti via terra,
di un tandem munito di carrozzino. Poi l’avvento della Seconda Guerra Mondiale. Proprio
durante il periodo bellico, con la penuria di
carburanti, Vassena ebbe un lampo di genio
e realizzò un brevetto per l’applicazione di
gasogeno alle vetture, alimentate a legna e
carbonella.
La diffusione dei gasogeni fu immediata e
vennero applicati a vetture, camion e mezzi
di ogni tipo (compresi quelli militari e ferroviari). Un vero boom che occupava a Lecco
ben120 dipendenti giorno e notte in tre diversi
stabilimenti.
Nel dopoguerra si ritirò nella centralissima
officina di via Cavour a Lecco dove videro la
luce i famosi e avveniristici motori bicilindrici
per la vettura Volpe prima e per la Moto Rumi
(protagonista anche in pista) poi. Oltre ad
affidabili modelli di motori fuoribordo, successivamente ceduti alla Carniti di Oggiono.
Famoso fu il piccolo fuoribordo Elios: 33
centimetri cubi di cilindrata, 1,5 hp per un
totale di 6 kg e la particolarità di poter essere
alloggiato in una custodia di violino. Era il
1946. Ma la lista dei brevetti di Vassena è
lunghissima. Come per esempio, dimenticare
la sveglia di plastica trasparente antenata degli
attuali Swatch? E ancora, il Grillo Volante,
macchina infernale che nelle intenzioni di
Vassena avrebbe dovuto volare, navigare e
viaggiare su terra ferma?
Tuttavia Pietro Vassena, l’Inventore Pietro
Vassena, divenne famoso in tutto il mondo
proprio per il C3.
Un sommergibile artigianale costruito nel
1948 con mezzi propri, tanto entusiasmo, trovate geniali ed anche un buona dose di sana
incoscienza.
Un progetto ambizioso al quale Vassena
lavorava da anni (aveva già realizzato per
conto della Marina Italiana, nel periodo bellico
un mezzo d’assalto, il sottomarino «Delfino»
torpedo snorkel che però operava prevalentemente a quota periscopio).
Ci studiava praticamente da quando,
nel 1945, accusato di collaborazione con il
nemico, per alcune forniture di gasogeni ai
tedeschi nel periodo bellico (dimenticando
però che dando lavoro a molti operai Vassena
aveva salvato altrettanti lecchesi dalla deportazione), venne rinchiuso, assieme ad altri
industriali lecchesi, nel «Collegio» lecchese
di via Ghislanzoni.
Qui nell’aula/cella numero 3 prese forma
nella mente e poi sulla carta il nuovo progetto. Ed il nome della sua futura creatura non
poteva che essere C3 - (cella numero 3).
E così, nel febbraio del 1948, il C3 era
pronto ad uscire dall’officina di via Cavour
per i primi collaudi nella darsena della Canottieri Lecco.
Tutto filò liscio ed il 12 marzo 1948, con
una spedizione leggendaria, al largo di Argegno, là dove il lago di Como è più profondo,
Vassena con il sommergibilista di Calolziocorte
Nino Turati, scese a -412 metri stabilendo il
record mondiale di profondità. La notizia fece
il giro del mondo.
Al punto che il fisico svizzero Auguste Piccard volle conoscere personalmente quell’inventore che era riuscito a tanto sfidando le
leggi della fisica ed anticipando la marina
delle grandi potenze (Usa inclusa); fu subito
amicizia fra i due, tanto diversi ma altrettanto
simili in genialità.
Ma la storia di Pietro Vassena e del suo C3
durò ben poco perché il 20 novembre ‘48, al
largo di Capri, durante un ulteriore tentativo
di discesa, senza equipaggio, per un errore di
manovra del personale della Marina Militare addetto al verricello che filava il cavo,
al quale il sommergibile era ancorato, il C3
si inabissò per sempre fra la disperazione del
suo inventore.
Pietro Vassena fece di tutto per recuperare
il suo C3, ma inutilmente. Lasciò incompiuta
la realizzazione del motore a idrogeno e se ne
andò in punta di piedi e con una ferita aperta
nel cuore, il 21 maggio 1967. Così era Pietro
Vassena, personaggio estroverso, geniale e ricco
d’intuito”.
Dimenticato
negli abissi
di Giulio E. Melegari Mazzoni
Dicono che la tenacia
e l’ardimento, insomma
lo spirito di chi crede
nel “nostro” motto:
memento audere semper,
rendono quasi impossibile
l’insuccesso, ma non è così.
La storia è ricca d’uomini che,
camminando troppo avanti
agli altri, hanno bevuto
fino in fondo l’amaro calice
del fallimento. Magari senza
averne alcuna colpa.
Questa è la storia di uno
di quegli uomini e della sua
fantastica idea … il “C3”
negli anni della seconda
guerra mondiale.
Tratto da:
Immersione Rapida M.A.R.E
n° 8 - Anno 2001
Bimestrale giugno-luglio
L
a storia del “C3” è un luminoso documento di ingegno e d’ingegnosità realizzativa, rimasti coperti e nascosti da
una sorte avversa e da un inadeguato
supporto da parte del mondo circostante, troppo impreparato e troppo inerte per
poter comprendere e accogliere una realizzazione precorrente i tempi. Possiamo oggi
solo ipotizzare che le imprese dei palombari
dell’Ar­tiglio con gli scafandri rigidi articolati
sul relitto dell’Egypt nei primi anni Trenta
abbiano attirato e coinvolto l’attenzione di
Pietro Vassena, lecchese per diritto di sangue
e per diritto di nascita, già inventore affermato
di soluzioni innovative e di realizzazioni ingegnose nella meccanica terrestre non di rado
applicate con successo al settore delle acque e
della navigazione. Non ci deve stupire quindi
che nel 1938 Pietro Vassena abbia concepito
l’idea di un sottomarino e ne abbia stilato il
progetto. Pur non provenendo da una diretta
personale formazione o pratica subacquea,
come palombaro, Pietro Vassena, con intuito,
ingegno e soprattutto con ineguagliabile e
competente capacità di sintesi, è stato in grado
di percepire e concepire ante litteram la funzione che nell’intervento subacqueo profondo
avrebbe potuto assumere un mezzo autonomo
e svincolato dalla superficie.
Tra le righe delle cronache degli interventi
con gli scafandri rigidi articolati e con le
torrette butoscopiche e dei resoconti delle
immersioni con la batisfera e il bentoscopio
di Beebe, Pietro Vassena ha saputo intuitivamente percepire i presupposti, le implicazioni, le necessità, e i limiti degli strumenti,
dei mezzi e degli utensili utilizzati e utilizzabili nell’esplorazione scientifica del mondo
sommerso e nel lavoro subacqueo sui relitti
a grande profondità. I venti di guerra del
secondo conflitto mondiale provocano però
un cambiamento di destinazione applicativa
del concetto di sottomarino, indirizzandolo
verso impieghi militari ben più impellenti di
quelli commerciali o industriali. Nel 1942
Pietro Vassena progetta quindi e fa costruire,
in parte presso la Ditta Badoni di Lecco,
un prototipo di motosilurante subacquea
capace di sviluppare una velocità di 35 km/h
in navigazione di superficie e di 14 km/h
in navigazione subacquea, mantenendo la
condizione di immersione per effetto dinamico dei timoni di profondità pur possedendo caratteristiche strutturali e ponderali
di galleggiamento statico. Pochi mesi dopo,
nello stesso anno e nell’anno seguente, viene
realizzato il “Delfino” un torpedo snorkel
con un motore di 150 HP Alfa Romeo che
gli imprimono una velocità di 70 km/h in
superficie e di 32 km/h in immersione. Con
il suo armamento costituito da un siluro e
da una mitragliera risulta il mezzo subacqueo di assalto più veloce del mondo. Nel
perdurare del periodo bellico (1944 e 1945),
Pietro Vassena continua a dedicarsi alla progettazione di sottomarini e sommergibili
tascabili per la difesa subacquea, mentre la
sua attenzione viene progressivamente spostata sui recuperi marini, stante l’imponente
quantità di naviglio affondato dagli eventi
bellici e l’approssimarsi della fine del conflitto. A quel punto, però, nel 1945, nel corso
dell’ondata d’isterismo postbellico, di caccia
alle streghe e ai presunti collaborazionisti,
Pietro Vassena viene arrestato e detenuto,
tra il 28 aprile e il successivo 13 giugno,
nell’edificio scolastico di via Ghislanzoni
a Lecco trasformato in carcere occasionale. L’inventore non lascia trascorrere inerte
questo periodo e quando viene rilasciato ha
Il figlio Angelo Vassena, fra i più calorosi
sostenitori del padre, sempre presente
nelle immersioni
ben chiaro in mente tanto il progetto del
costruendo sommergibile tascabile da ricerca
e da lavoro in acque profonde quanto la sigla
che lo contraddistinguerà. Si chiamerà “C3”,
dalla targa che sormontava la porta dell’aula
della classe 3ªC nella quale era stato ingiustamente detenuto. Nell’autunno di quello
stesso anno (1945), Pietro Vassena sottopone il suo progetto e le realizzazioni fino ad
allora concretizzate all’esame di Guglielmo
Premuda, ingegnere consulente tecnico della
sezione Costruzioni Navali del Ministero
dell’Industria, e di William Carreri, ingegnere reggente il Comitato Industriale delle
Costruzioni Navali. Il risultato di questa
attenta ispezione e disamina viene espresso
in una lusinghiera relazione (19 novembre
1945): “...omissis... si è tratta la convinzione
che il nuovo apparecchio rappresenta effettivamente una felice soluzione per il superamento
delle difficoltà riscontrate sino ad ora nelle
operazioni di recupero dei relitti di navi a
grandi profondità. Si può quindi affermare che
il nuovo apparecchio rappresenta a confronto
dei mezzi di salvataggio attualmente in uso per
il recupero di relitti (palombaro con scafandro)
sia da piccola che da grande profondità (sino
a 400 metri) un reale progresso per le seguenti
ragioni: completa indipendenza dalla nave
appoggio, con la quale rimane però in continuo
contatto radio; possibilità di raggiungere le
grandi profondità rapidamente e di risalire
con eguale rapidità; possibilità di trattenersi
e manovrare a qualsiasi quota di profondità
e conseguente facilità di eseguire le ricerche del
relitto, di esplorare da tutte le parti la posizione
e lo stato dello stesso; di individuare il miglior
modo per procedere al salvataggio dello stesso,
all’applicazione dei cavi, ganci o cassoni di
sollevamento, di eseguire il recupero e la loro
sorveglianza durante le diverse manovre di
sollevamento e recupero; massima sicurezza
per l’equipaggio dell’apparecchio (comodità di
movimento dentro lo scafo e nessun pericolo
di disturbi all’organismo); possibilità di permanenza sott’acqua di gran lunga superiore
a quella raggiungibile con gli attuali mezzi
(35 ore). ...omissis... Questa Commissione si
è perciò formata la convinzione che questa
nuova invenzione è meritevole del più grande
incoraggiamento da parte dello Stato, nonché
dell’interessamento da parte delle ditte navali. ...omissis... L’Industria navale italiana di
recupero è sempre stata all’avanguardia della
tecnica, sia per l’audacia degli uomini che per
perfezione dei mezzi, e l’adozione di questo
nuovo apparecchio potrà significare un nuovo
progresso nella tecnica dei recuperi e contemporaneamente una decisa affermazione della
capacità inventiva Italiana.”. Quasi subito iniziano i lavori per la costruzione del
piccolo batiscafo “C3” nella quale Pietro
Vassena coinvolge la ditta “Forni Impianti
Industriali Colombo” e la fabbrica lecchese
“De Bartolomeis”. Lo scafo resistente è costituito da un tubo di lamiera d’acciaio dello
spessore di 10 mm, con un diametro di 120
cm ed una lunghezza di 8 m. Alle due estremità di questo tubo vengono applicate due
calotte bombate per formare rispettivamente
la prora e poppa, giungendo ad una lunghezza complessiva del sottomarino di dieci metri
e ad un dislocamento di circa 10 tonnellate.
All’interno vengono poste centinature di
rinforzo costituite da ossature metalliche
in profilato a T (mm. 70 x 70 x 9), distanziate fra loro di 150 mm. All’esterno dello
scafo vengono installati inferiormente due
cilindri longitudinali di galleggiamento e
di allagamento destinati a fungere da casse
Pietro Vassena all’interno
del suo C3. In primo piano
la struttura a T rovesciata,
calcolata per resistere alle alte
pressioni. È importante
ricordare che all’epoca
i sommergibili erano progettati
per resistere ad un massimo
di 250 metri di profondità
L’inventore del C3 nelle acque
di Capri nel novembre 1948.
Il piccolo sottomarino
era considerato dagli esperti
un vero gioiello tecnologico
Nino Turati a bordo del C3
di assetto e due cilindri longitudinali più
grandi destinati ad ospitare gli accumulatori
elettrici che così non si trovano all’interno del
compartimento abitato. Superiormente viene
installata la torretta di osservazione e pilotaggio, alta 60 cm e col diametro di 80 cm,
dotata di quattro hublots circolari e di un
portello superiore bombato. Posteriormente,
all’esterno dello scafo, vengono montati due
timoni direzionali e un grande timone di
profondità. All’interno dello scafo trovano
posto un motore a benzina da 50 HP Fiat
per la navigazione in superficie che permette
al sottomarino di raggiungere la velocità di
10 nodi e un motore elettrico da 5 HP che
consente la navigazione in immersione fino
alla velocità di 3 nodi. Come i sottomarini
militari a lungo raggio di azione il “C3” può
ricaricare i propri accumulatori durante la
navigazione in superficie. Mediante un gruppo differenziale opportunamente installato è
possibile inserire alternativamente il motore
termico o quello elettrico sull’elica situata
inferiormente alla calotta bombata di poppa.
Le dotazioni aggiuntive a quelle di navigazione e di lavoro comprendono cinque potenti
fari esterni alcuni dei quali direzionalmente
regolabili dall’interno. I calcoli strutturali
e di verifica della resistenza dello scafo agli
effetti della pressione idrostatica sono stati
effettuati dallo stesso Pietro Vassena che,
partendo dal manuale di Jochow Forster, ha
estrapolato e opportunamente applicato le
formule di Mises per il fasciame, di Föppel
per le ossature e di Von Sanden per le sollecitazioni generali. Vale la pena di ricordare
che in quegli anni l’architettura navale degli
scafi dei sottomarini si limitava a strutture
destinate a superare di poco il centinaio di
metri di profondità, mentre Pietro Vassena
aveva già chiari l’intendimento e il concetto
di un sistema destinato a immergersi sottostando a pressioni idrostatiche di dieci volte
superiori.
Il 10 febbraio 1948 un’altra relazione di
William Carreri ratifica e sancisce la validità
e l’ingegnosità del progetto: “ ...... omissis......
Nella storia delle esplorazioni sottomarine e
dei recuperi marittimi si aprono nuovi orizzonti, nuove grandi possibilità. E l’industria
navale italiana dei recuperi marini – che è
sempre stata all’avanguardia della tecnica sia
per l’audacia degli uomini che per il perfezionamento dei mezzi – grazie all’adozione di
questo nuovo apparecchio di portata tecnica
e scientifica incalcolabile e che ha già destato
l’interesse di studiosi e tecnici di tutto il mondo,
segnerà un nuovo progresso nella tecnica dei
recuperi, registrando un’altra decisa affermazione della capacità inventiva italiana”.
Il 9 marzo del 1948 il “C3”, dopo avere
compiuto prove e immersioni preliminari
di bilanciamento e regolazione di assetto,
esegue, non presidiato, una immersione
di collaudo nel lago di Como di fronte a
Argegno e per controllare che durante la
discesa in profondità non vi siano infiltrazioni di acqua, Pietro Vassena escogita un
ingegnoso sistema costituito da una sveglia
posata all’interno di una pentola metallica
e collegata a un microfono che trasmette
via cavo telefonico il regolare ticchettio in
superficie. Il “C3” viene calato fino a 235
metri di profondità perché la limitata lunghezza del cavo telefonico impedisce una
ulteriore discesa. Il giorno seguente, dopo
aver allungato opportunamente il cavo
telefonico, viene compiuta positivamente
un’immersione che arriva fino al fondo del
lago e cioè a 415 metri di profondità.
Due giorni più tardi, il 12 marzo 1948,
Pietro Vassena, accompagnato da Nino
Turati, raggiunge il fondo del lago a 412
metri di profondità in una immersione del
“C3” con equipaggio e prove funzionali. Il
successo è confermato e clamoroso. Pochi
giorni dopo, il 21 marzo, invitato dal Prof.
Augusto Piccard, Pietro Vassena si reca a
fargli visita a Sierre coronando con l’incontro una corrispondenza epistolare iniziata
tempo prima. Piccard si sta preparando
all’allestimento dei batiscafi che legheranno, anni dopo, il suo nome alle immersioni
abissali. Il successo della immersione a oltre
400 metri di profondità nel lago di Como
porta ben preso il batiscafo “C3” in Liguria
dove il 21 giugno è esposto a Palazzo Ducale
a Genova e tra il 25 e il 28 agosto compie
una serie di immersioni fino a 200 metri
di profondità tra Santa Margherita Ligure
e Portofino. Da Genova il “C3” è trasferito,
a bordo di una nave, a Napoli, dove giunge
l’11 settembre per effettuare una serie di
immersioni improntate a osservazioni e ricerche di biologia marina auspicate e assistite
dal prof. Pietro Parenzan, biologo marino
ed entusiasta promotore dello studio delle
forme di vita marina abissale. L’apertura della
parentesi napoletana e campana nella storia
del “C3” illumina realisticamente le possibilità applicative di impiego del batiscafo nelle
attività di indagine ambientale e di ricerca
scientifica, settori nei quali scienza e ricerca
hanno prima d’ora brancolato praticamente nel buio senza potere disporre di alcun
sistema di osservazione diretta. L’8 ottobre
1948, a poco più di 300 metri di distanza dalla famosa Grotta Azzurra, mentre è
trainato dal rimorchiatore “Gaeta” verso il
luogo dell’immersione, dopo avere lasciato
il porto di Marina Grande a Capri, il “C3”
imbarca acqua dallo sportello a causa di due
grosse ondate che lo sommergono durante
una malaugurata fase di ricambio d’aria a
torretta aperta. Bastano pochi secondi perché
il “C3” acquisti assetto negativo e affondi,
spezzando il cavo di rimorchio e finendo su
un fondale di oltre 100 metri di profondità. È un momento di disperazione, ma nel
volgere di quattro giorni di ricerche il “C3”
viene aggianciato alle cinque del mattino del
12 ottobre; dopo alterne vicende di sollevamento e tentativi ininterrotti di recupero in
superficie, il batiscafo viene trasportato in
acque più basse e finalmente recuperato e
portato e fuori acqua alle 1,30 del 14 ottobre.
Il recupero apporta una ripresa di entusiasmo
che consente di effettuare rapidamente le
operazioni di ripristino e di preparazione
per nuove e più profonde immersioni.
Trascorrono giorni d’intensa attività e
di profondo impegno per il ripristino delle
attrezzature non prevista per la permanenza
in acqua salata. Il 4 novembre vengono riprese le prove di immersione e di navigazione
subacquea con un rinato “C3”, che è stato
ripristinato a tempo di primato. Le prime
immersioni avvengono nel porto di Capri a
piccola profondità, poi all’esterno del porto in
acque più profonde fino a raggiungere i 440
metri. A questo punto vengono confermate le
piene capacità funzionali del piccolo batiscafo e si può pensare di procedere alle ultime
prove a grande profondità per passare poi alle
immersioni di studio ambientale e di ricerca
scientifica con il prof. Pietro Parenzan a bordo,
aprendo un auspicato e innovativo capitolo di esplorazione e conoscenza del mondo
sommerso. Mentre le immersioni compiute
fino a 400 metri e oltre sono state effettuate
Il C3 durante la fase di preparazione
per il record di Argegno.
Il 13 marzo 1948 Pietro Vassena
festeggia il raggiungimento
dei 412 metri con nove minuti
di permanenza sul fondo
in piena autonomia e funzionalità operativa
con equipaggio di due persone, la discesa in
acque più profonde deve essere preceduta da
un vero e proprio collaudo idrostatico che
garantisca la resistenza del guscio alla pressione
idrostatica esterna e la tenuta dei passaggi a
scafo senza infiltrazioni di acqua.
Il 16 novembre 1948 alle ore 7.20 il rimorchiatore “Tenace” della Marina Militare
salpa dal porto di Capri con a rimorchio il
pontone “G.A.267” e il batiscafo “C3”. Alle
8.05 il convoglio si dirige sul punto stabilito
per l’immersione, dove viene rilevata una
profondità di 978 metri. Alle ore 10.00 si
inizia ad ammainare il batiscafo filando il
cavo al quale il “C3” si trova solidamente
connesso con i ganci di prora e di poppa.
Alle ore 10.45 viene raggiunta la profondità
di 540 metri e la situazione all’interno del
batiscafo viene confermata regolare, tramite
il già collaudato sistema della sveglia e del
telefono. Quando viene ripresa la discesa, il
verricello sembra non rispondere ai controlli
e aumenta la propria velocità di rotazione
senza poter essere frenato. Il cavo non si trova
con la propria estremità fissata o morsettata
al tamburo del verricello e conseguentemente
arriva a sfilarsi senza potere essere fermato. A
questo punto il batiscafo “C3” ha raggiunto
il fondo posandovisi e restando collegato con
la superficie solo tramite il cavo telefonico
che consentiva ancora di udire il distinto
battito della sveglia che confermava la perfetta resistenza dello scafo e delle tenute
del portello, degli hublots e dei connettori
alla pressione idrostatica. La posizione della
caduta del “C3” sul fondo, sulla base del
rilevamento effettuato immediatamente
dal comandante del rimorchiatore Tenace,
risulta latitudine N 40°3’58” e longitudine
E 14°14’00” e la profondità corrispondeva
a 986 metri. Il peggioramento delle condizioni meteo-marine e la conseguente deriva
del pontone, che si allontanava lentamente,
costringevano a collegare a una boa di fortuna il cavo telefonico, ancora connesso al
“C3” del quale confermava fino all’ultimo
ascolto le perfette condizioni strutturali. In
superficie non era apparso nessun segno, se
non il riaffioramento di una delle due sfere
esterne di stabilizzazione di assetto emersa
intatta a circa 300 metri dal pontone in
seguito al probabile distacco provocato, al
momento della caduta sul fondo, dal movimento del collegamento di prora e poppa al
cavo di sospensione del “C3”. Oggi i collaudi
idrostatici di questo tipo vengono eseguiti
in grossi contenitori a pressione nei quali si
possono simulare immersioni di sottomarini tascabili e di campane di immersione
fino ad alcune migliaia di metri di profondità verificandone contemporaneamente il
comportamento e la reazione elastica dello
scafo resistente. Allora non era disponibile
nulla del genere e l’unica forma possibile
di collaudo idrostatico era rappresentata
da una calata controllata del sottomarino,
opportunamente zavorrato e mantenuto alla
estremità di un cavo governato dalla superficie, con tutti i rischi che questa procedura
poteva comportare.
Tali erano questi rischi che la perdita
di veicoli subacquei durante i collaudi si è
verificata in più di una occasione tanto che
quasi venti anni dopo, al largo di Marsiglia,
in circa mille metri di profondità di acque
venne perso in condizioni simili un guscio
di sottomarino tascabile francese che si trova
ancora nella posizione in cui avvenne la perdita e che fu qualche tempo dopo localizzato
Sul lago di Lecco Vassena, circondato
da giornalisti e fotografi, si prepara alla prima
immersione a - 43 m
Il C3 al suo primo ingresso in acqua nei pressi della Società Canottieri Lecco sul lago di Como
Il sommergibile transita per via Cavour
e piazza Garibaldi a Lecco nel giorno del varo
Costruito prevalentemente per scopi civili, il C3 avrebbe dovuto, secondo le intenzioni del suo
inventore, consentire all’uomo di realizzare interventi di recupero ad alte profondità,
ed eventualmente, con le opportune modifiche, essere in grado di recuperare i sottomarini bloccati
sul fondo. Non ebbe, però mai modo di mostrare le sue indubbie possibilità di impiego.
Jacques Piccard e Pietro Vassena,
Auguste Piccard, il giornalista Tagliabue e
il professor Colombo, vicesindaco di Lecco.
Pietro Vassena sorridente e Auguste Piccard,
durante la rassegna aeronautica
di Milano - Forlanini. Lo scienziato svizzero
in quel periodo stava ultimando
il batiscafo “Trieste” e si riproponeva di
immergersi a Capri, nel tentativo di vedere
ed eventualmente fotografare il C3.
dal sonar del sottomarino francese “Cyana”
dello Cnexo (Centre National pour l’Exploration des Oceans).
La perdita del “C3”, tanto più amara in
quanto verificatasi al termine di un collaudo
idrostatico documentatamente riuscito, era
indubbiamente avvenuta per una serie di
omissioni, impreparazioni e inadeguatezze
del sistema di superficie. Proprio in quegli
anni, per ironia della sorte, si manifestava
un generale interesse alla scoperta del mondo
sommerso e alla conquista delle profondità
sulla scia delle imprese dei palombari dell’Artiglio e delle immersioni della batisfera di
Beebe che nel 1934 aveva superato di poco
la profondità di 900 metri. Purtroppo, la
mancanza di focalizzazione delle esigenze
impedì al momento di comprendere quanto
avveniristicamente e quanto appropriatamente
Pietro Vassena avesse individuato le soluzioni
tecniche ai problemi della immersione profonda. Non è da sottovalutare il fatto che,
mentre fino ad allora l’immersione a pressione
atmosferica era stata condotta con mezzi e
sistemi appesi alla estremità di un cavo (scafandri rigidi articolati, torrette butoscopiche,
batisfere), Pietro Vassena aveva risolto ante
litteram il problema del controllo dell’assetto
idrostatico e della mobilità tridimensionale
del sistema di immersione e lavoro a grande
profondità. La focalizzazione delle esigenze
comparirà pochi anni dopo con la scomparsa
del sottomarino nucleare Tresher (1963) e
con il proliferare delle attività di ricerca e
di estrazione di idrocarburi dai giacimenti
sottomarini progressivamente più profondi
(fine anni ’60 – inizio anni ’70). A questo
punto avvenne l’improvvisa fioritura di idee
e di realizzazioni e comparvero, nel volgere di
pochi anni, sottomarini tascabili di ogni tipo,
modello e forma e nessuno già si ricordava
più che ognuno di quei fiori sbocciava da
innesti concettuali, pratici, filosofici e tecnici
fatti sulla prima ed unica pianta coltivata da
Pietro Vassena alla quale erano stati fatti mancare irrigazione e nutrimento per disinteresse
e carenza di aiuti esterni. La ineguagliata e
ineguagliabile realizzazione di Pietro Vassena
dopo essere affondata al largo di Capri nel
1948, per incuria incompetenza di chi doveva garantirne il successo, si arenò negli anni
successivi nelle sabbie della burocrazia, per
l’ignavia e l’inerzia di un apparato collettivo
incompetente e impreparato a prevedere e a
valutare gli incombenti sviluppi industriali e
commerciali di un’idea precorrente i tempi.
Per anni Pietro Vassena, dopo avere imboccato, con un investimento di oltre 17 milioni
di lire dell’epoca e di tutto il proprio tempo e
le proprie energie nello sviluppo del progetto
“C3”, una strada che non consentiva ritorno
ma possedeva uno sbocco forte e sicuro, seppur latente, sul successo della conquista commerciale e della conoscenza scientifica degli
abissi marini e oceanici, tentò disperatamente
di fare valere i propri diritti di riconoscimento
e d’indennizzo. Non si trattava di un mero
recupero economico del denaro investito e
perduto nel nulla per un banale incidente,
ma di una ricostituzione delle possibilità di
ripartire dall’inizio in un’impresa che aveva
mostrato e confermato la sua validità tecnica
e realizzativa e i suoi fondati presupposti di
sviluppo futuro.
L’importanza del concetto varato da Pietro
Vassena è sancita dal fatto che poco più di
trenta anni più tardi (1980) esistevano nel
mondo ben 133 sottomarini tascabili impiegati nella ricerca scientifica e nelle attività
estrattive degli idrocarburi con profondità di
impiego massimo oscillanti tra 300 e 3000
metri di colonna d’acqua. Questi sottoma-
rini costituivano una vera e propria flotta
mondiale variamente distribuita tra i diversi
stati che svolgevano operazioni di interesse
scientifico o industriale: USA (40), UK (28),
Francia (22), USSR (12), Italia (8), Canada
(7), Germania Ovest (3), Giappone (3),
Norvegia (3), Repubblica Cinese (2), Svizzera
(1), Svezia (1), Romania (1), Yugoslavia (1),
Brasile (1). Di questi 133 sottomarini o veicoli a pressione atmosferica per immersione
profonda ben 105 erano operativi nel corso di
quell’anno 1980 e 26 erano in corso di collaudo, manutenzione, modifiche e rifacimenti.
Di questa flotta mondiale facevano parte
sottomarini tascabili di diversi dimensioni
e diverse caratteristiche di impiego, ma tutti
possedevano un comune fattore genetico e
concettuale ed erano di fatto eredi del “C3”,
del quale ricalcavano uno o più particolari
strutturali e funzionali. Il “C3” si trova ancora
sul luogo del suo affondamento. Alcuni anni
fa Angelo Vassena, figlio di Pietro Vassena e
partecipante diretto, ancora ragazzino, alle
immersioni di collaudo del “C3”, effettuò a
bordo del “Nautile”, il sottomarino francese di
Ifremer, alcune immersioni nella zona senza
tuttavia localizzare il piccolo batiscafo.
Oggi l’industria possiede sistemi di ricerca e localizzazione e sistemi d’intervento e
recupero che possono rendere localizzazione, ispezione e recupero del “C3” un fatto
eseguibile in qualche decina di ore.
Il recupero del “C3” è forse il minimo
dovuto alla memoria di un uomo e alla
realizzazione di un concetto che ci hanno
permesso e ci stanno ancora permettendo
l’accesso e l’utilizzazione del mare profondo. Noi di “Immersione Rapida M.A.R.E.”
faremo tutto il possibile perché ciò avvenga:
la nostra è una promessa.
Le varie fasi di realizzazione del
record, realizzato nel lago di Como,
alla profondità di 412 metri che,
per l’epoca, erano veramente molti.
Il collaboratore e compagno
d’immersione è Nino Turati.
Camminare
sull’acqua
Particoli dei disegni
di progetto per gli “Skivass”
ed il Brevetto Industriale.
Una pagina del registro
con i timbri dei Comuni
raggiunti dal Giro Europeo
su “Skivass”.
Pietro e Angelo Vassena
sul lago di Lecco con gli “Skivass”.
Pietro Vassena nella vasca della
Fiera di Milano nel 1964
e comodamente seduto su una
delle molteplici versioni in cui
si possono trasformare gli “Skivass”.
Trasporto degli “Skivass”
con l’automobile.
Dal due tempi
al batiscafo
di Giulio E. Melegari Mazzoni
Dicono che la tenacia
e l’ardimento, insomma
lo spirito di chi crede
nel “nostro” motto:
memento audere semper,
rendono quasi impossibile
l’insuccesso, ma non è così.
La storia è ricca d’uomini che,
camminando troppo avanti
agli altri, hanno bevuto
fino in fondo l’amaro calice
del fallimento. Magari senza
averne alcuna colpa.
Questa è la storia di uno
di quegli uomini e della sua
fantastica idea … il “C3”
negli anni della seconda
guerra mondiale.
Tratto da:
LegendBike
n° 59 - Anno 6
Luglio 1997
N
on è facile inquadrare, a 100 anni dalla
nascita, tutte le multiformi intuizioni e
realizzazioni di un personaggio come
Pietro Vassena, un personaggio mitico delle zone del lecchese, anche per la sua
innata propensione a spendere tutto quanto
poteva ricavare dalle sue svariate attività per
la realizzazione delle sue invenzioni nei campi
più disparati. Quello che maggiormente
colpiva, ferma restando una sua particolare
propensione per la meccanica e per motori
e mezzi destinati ad operare nell’acqua, era
il suo eclettismo, la sua prontezza a cimentarsi in campi che nessuno supponeva gli
fossero familiari. Nell’ambito di tutte queste
sue realizzazioni un posto non trascurabile
tocca anche alle moto ed è a queste che ci
dedicheremo in modo particolare, anche se
un elenco delle sue molteplici invenzioni non
può mancare per poter dare un’idea completa
del personaggio.
Le prime motoleggere
Pietro Vassena nasce a Malgrate, vicino a
Lecco, il 21 aprile 1897. Partecipa alla prima
guerra mondiale nei bersaglieri e una delle
sue prime presenze nel campo dei motori
riguarda la progettazione nei primi anni Venti
di un motore ausiliario per biciclette e di una
motoleggera per la società Faini di Lecco.
Il motore ausiliario, da collocare al centro
del triangolo del telaio con una trasmissione
a cinghia alla ruota posteriore è un due tempi
con cilindrata attorno ai 100 cm3 (98 per
alcuni, con corsa e alesaggio di 50 mm, 106
secondo altri, con alesaggio di 52 mm e corsa
di 50 mm) ed è proprio con un motore di questa cilindrata che lo stesso Pietro Vassena vince
a Milano nel marzo 1923 il Concorso di con-
sumo organizzato dalla rivista Motociclismo
per la categoria “Biciclette a motore”, percorrendo con il mezzo litro di benzina Shell
fornita dagli organizzatori 45,3163 km alla
media di 39,065 km/h. La media avrebbe
potuto essere più alta se Vassena non avesse
perso due minuti per essere andato a sbattere contro un albero per rispondere, come
dice sempre Motociclismo, “ai saluti dei suoi
troppo focosi amministratori”.
La motoleggera Faini della quale Legend
Bike ha pubblicato una descrizione sul numero 17 dell’ottobre 1993 non è invece una 98
cm3 ma una 124 con alesaggio dei 53 mm
e corsa di 56 mm ed era prodotta in tre versioni: Turismo, Sport e Signora (con telaio
aperto) oltre che in versione a tre ruote per
mutilati ed invalidi. Il motore a due tempi
presenta alcuni dettagli che richiamano le
più note motoleggere G.D. e M.M. ma sono
anche (cosa importante per una moto costruita a Lecco) in linea con le tipiche caratteristiche della Moto Guzzi, come il cilindro
orizzontale (qui in blocco con la testa) ad
elettatura radiale e il grosso volano esterno
rosso con la fascia periferica nichelata. Ma sul
modello Sport anche il serbatoio trapezoidale
con la cassettina degli attrezzi sovrapposta
ha una stretta parentela con quello montato
sulle moto di Mandello. Frattanto, nel 1923,
Vassena si era messo in proprio iniziando
quella che sarà una della sue principali attività: la realizzazione di motori a due tempi
per fuoribordo. Ritorna in seguito alle moto
realizzando la Vassena 125, presentata per
la prima volta a una “Mostra ZootecnicaAgricola-Industriale” a Cisano Berga­masco
nel novembre 1925 e sul numero del 10-17
aprile 1926 della rivista Motociclismo.
Nelle linee generali le 125 Vassena ricordano abbastanza la moto fatta per la Faini;
anche il motore (che ha lo stesso aleggio
di 53 mm e la stessa corsa di 56 mm) ne
conserva il cilindro orizzontale ad alettatura
radiale. Questa volta però il volano è sul lato
destro, anziché sul sinistro, ed è protetto da
un coperchio mentre il cambio a due velocità
è posto dietro al motore anziché sotto come
sulla Faini. Nelle prime versioni il cambio
è separato con una trasmissione esterna dal
motore al carter protetta da un coperchio
mentre nelle versioni successive il cambio
è in blocco.
Nel 1928 è introdotta per la prima volta al
Circuito del Lario la classe 125 e il costruttore
lecchese non può rinunciare alla competizione
di casa. Iscrive due moto pilotate da Aldo
Prina ed Eros Cioci. Sono due moto di serie
con minime elaborazioni, ma da Bologna
arrivano le M.M. e le G.D., che hanno già
una notevole esperienza in fatto di corse e
piloti validi come Amedeo Tigli, portacolori della M.M., mentre Prina e Cioci sono
dei dilettanti. Nonostante questo, Prina si
classifica al quarto posto (Cioci si era ritirato
subito al primo giro). L’anno successivo la
125 viene tolta e Vassena schiera due unità
maggiorate nella 175 senza successo.
L’ultima volta che si parla delle 125 Vassena
su Motociclismo è in una rassegna della produzione motociclistica italiana fatta dopo il
Salone di Milano del 1930.
Dalla Volpe alla Rumi
Negli intervalli di tempo ricavati nella preparazione del suo batiscafo per esplorazioni
subacquee, Vassena progetta nel 1946 un
piccolo bicilindrico a due tempi con cilindri
verticali affiancati per la vetturetta Volpe,
una vettura che gli ideatori, dopo un grande
battage pubblicitario e la presentazione di
quattro o cinque prototipi, non costruiranno mai, fuggendo con i soldi raccolti come
anticipo nei contratti di prenotazione.
Ma il progetto del piccolo bicilindrico non
va perso. Vassena si accorda con Donnino
Rumi, noto costruttore bergamasco di macchine tessili, per la costruzione di una moto
con il piccolo bicilindrico. Un primo prototipo viene realizzato montando lo stesso
motore a cilindri verticali su un telaio della
AMISA costruito dalle Officine Meccaniche
di Vedano al Lambro. Poi il motore viene
modificato con i cilindri orizzontali e con
valvola rotante e un secondo prototipo sempre
con telaio AMISA e il motore ufficialmente
chiamato Rumi viene presentato al Salone
di Milano del 1949.
Successivamente viene abbandonata la
soluzione a distributore rotante e si passa
all’alimentazione diretta in terza luce, ma
Vassena ha qualche discussione con i tecnici che hanno preso in mano la responsabilità della produzione e lascia la Rumi.
Rimarrà per un certo tempo rappresentante
della società bergamasca per Lecco, Como
e Sondrio.
Le moto per Carniti
Dopo il rapporto con Rumi, Vassena entra
in contatto con la ditta Carniti di Oggiono,
pure operante in questo settore, alla quale
cede la sua produzione di fuoribordo, conosciuta a quel tempo con il marchio Elios.
Con Carniti ritorna anche alle moto progettando nel 1953 due unità che rimarranno
alla stato di prototipo. Il primo, quello più
Pietro Vassena ha vuto una parte
importante nella nascita della moto
Rumi. La soluzione con cilindri
orizzontali realizzata per la Rumi con
ammissione sul carter e distributore
rotante
Un’altra realizzazione
motociclistica fatta
da Vassena per la Carniti
di Oggiono:
l’Automotoscooter 200
con cambio continuo
La prima moto
a marchio Vassena,
realizzata alla fine
del 1925, ripropone
un motore a due tempi
strutturalmente simile
a quello della Faini,
ma con disposizione
del volano e del comando
magnete invertiti.
Sulla moto è montato
un cambio separato
e trasmissione coperta
La motoleggera
Vassena n° 29
nella sua
versione
definitiva
con cambio
in blocco
Il motore 125
bicilindrico
due tempi
realizzato per
la vetturetta
Volpe montato
su un telaio
AMISA costruito
dalle Officine
Meccaniche di
Vedano al Lambro
noto, si chiama Automotoscooter 200 ed ha
un motore da 200 cm3 a tre cilindri affiancati con una strana trasmissione ad attrito
denominata Variomatic. Si tratta di un rullo
in gomma calettato sull’albero di uscita dal
propulsore che trasmette il moto per attrito
a un disco metallico che costituisce l’anima della ruota posteriore. Una leva a cloche
consente di variare la posizione del ruolo
rispetto all’asse della ruota variando così il
rapporto di trasmissione. La carrozzeria di
questo scooter, detto anche “Bersagliera” per
il cappello piumato riportato sullo scudo,
simbolo dell’Arma in cui aveva prestato servizio sia Vassena che Carniti, è disegnata dalla
carrozzeria Ghia di Torino ed è indubbiamente un buon esempio di design in campo
motociclistico. Nonostante queste premesse
allettanti la moto non viene prodotta. Non si
sa se questo sia da attribuire ad una decisione
unilaterale di Carniti o alla scarsa affidabilità
della trasmissione che, vista oggi, lascia adito
a parecchi dubbi.
Sempre per Carniti Vassena realizza anche
una 150, pure a due tempi ma a cilindri contrapposti con trasmissione cardanica ed un
telaio triangolare a doppia culla. La moto è
La K2 del 1954 a motore oscillante
e telaio fuso in lega leggera
caratterizzata da un serbatoio allungato che
racchiude anche la testa di forcella e termina
anteriormente con un grande schermo trasparente nel quale ruota il faro.
Le ultime moto di Vassena
La successiva esperienza in campo motociclistico di Pietro Vassena è del 1954 e riguarda una monocilindrica 175 con trasmissione
in blocco al motore e oscillante assieme allo
stesso e con un telaio fuso in lega leggera. E’
stata realizzata su richiesta di un gruppo di
persone che operano abitualmente nel campo
delle costruzioni edili (Rusconi, Sonzini e
Trotta) probabilmente per entrare, in quei
momenti in cui il mercato motociclistico era
in fermento, in un nuovo settore produttivo, ma anche questa volta la moto, che in
omaggio alla fortunata spedizione alpinistica
italiana porta il nome di “K2”, non sarà mai
messa in produzione. L’ultima apparizione
di Vassena in campo motociclistico avviene
nei primi anni Sessanta, quando collabora
con la Italkart per la realizzazione di telai
per Go-kart, con un piccolo veicolo denominato “Mini-bike”, destinato ad un impiego
nelle grandi proprietà terriere, senza incorrere
quindi nelle prescrizioni richieste ai veicoli
destinati a circolare su strada. Utilizza un
motore industriale di 150 cm3 costruito dalla
Aspera di Torino, una ditta specializzata in
questo settore ed in quello dei compressori per
frigoriferi. La piccola moto incontra una certa
richiesta soprattutto in paesi dove esistono le
possibilità per questo tipo di impiego ed in
particolari in Sudafrica.
Negli anni successivi, effettua studi sull’alimentazione ad idrogeno fino alla sua morte,
avvenuta a Lecco il 21 maggio 1967.
Il Minibike, una moto per spostamenti interni
in grandi proprietà terriere, realizzata
con un motore industriale Aspera
ed esportata soprattutto in Sudafrica
L’elegante linea dell’Automotoscooter 200
realizzata dalla carrozzeria Ghia di Torino
I motori
fuoribordo
Questo opuscolo,
che riporta brani dei precedenti volumi
Pietro Vassena e il suo “C3” (Benini - Corti / 1999)
e Una storia di sfide (2003),
è un omaggio dovuto
di Paolo Cattaneo all’amico Angelo Vassena
Stampa:
Cattaneo Paolo Grafiche s.r.l.
OGGIONO - LECCO
Via ai pascoli, 1 (provinciale Oggiono-Annone)
23841 Annone Brianza (LC)
tel. 0341 577474 r.a. - fax 0341 260661
[email protected]
www.cattaneografiche.it
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