IL “CANNOCCHIALE” DELLO STORICO: MITI E IDEOLOGIE

Direttore
Achille O
Università degli Studi di Padova
Comitato scientifico
Corinne L–F
Université de la Sorbonne Nouvelle Paris 
Jean–Claude M
Université “François Rebelais” de Tours
François R
Éditions Garnier – Paris
Comitato redazionale
Sandra S O
Università degli Studi di Padova
Mario R
Scuola Normale Superiore di Pisa
Jacques R
École des Hautes Études en Sciences Sociales
IL “CANNOCCHIALE” DELLO STORICO: MITI E IDEOLOGIE
La collana trae la sua genesi da una lettura di Galileo: la scoperta di
una forma nuova di sapienza. I temi sviluppati riguardano: l’influenza
di Erasmo nella cultura europea dal Cinquecento al Settecento; il
ruolo di Montaigne e del Sarpi; lo studio delle strutture e delle congiunture economiche e sociali; l’influenza di Galileo nella cultura del
Novecento. Le metamorfosi della mentalità pertanto accompagnano
le ricerche dello “storico sperimentale”.
Samantha Tomasetto
Lo Spectator e gli Spectators in Europa
Addison e Steele, Marivaux e Gozzi
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via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
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senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: settembre 
Indice

Introduzione

Capitolo I
Lo Spectator
.. Il contesto socio culturale inglese,  – .. Addison, Steele e lo
Spectator,  – .. Le ragioni del grande successo del The Spectator,  –
.. Precursori,  – ... The Review di Daniel Defoe,  – ... Montaigne
e Bacone: somiglianze e differenze con gli articoli del The Spectator,  –
.. The Spectator e la letteratura,  – ... Dal saggio al romanzo: Sterne,
Richardson, Defoe,  – ... The Spectator e il romanzo: somiglianze, 
– ... La borghesia: una relazione letteraria con i romanzi e gli articoli del
The Spectator, .

Capitolo II
Le Spectateur Français
.. I periodici di Marivaux,  – .. La tematica della donna civetta,  –
.. Gli articoli ne Le Spectateur Français,  – .. Pubblicazione irregolare
e la critica,  – .. Marivaux: lo stilista del cuore,  – .. L’arte
dell’osservazione,  – .. Marivaux e la sua scrittura: la comprensione
del cuore,  – .. Mr. Spectator e Monsieur Le Spectateur: fama e
ambizione,  – .. L’idea dell’“altro”, .

Capitolo III
Gaspare Gozzi e i suoi periodici: L’Osservatore e La Gazzetta
Veneta
.. I periodici di Gozzi e il suo patriottismo regionale,  – .. La ricezione del The Spectator a Venezia e la sua traduzione,  – .. Il Signor
Spettatore, il Mr. Spectator italiano,  – .. I personaggi flâneur,  –
.. La pubblicità nei periodici,  – .. L’atteggiamento verso il commercio nei periodici,  – .. Apprendimento attivo e passivo: libri,
quotidiani e vita reale,  – .. La capacità di essere felice con poco, 

Indice

– .. La futilità della vita,  – .. Sulle donne e l’istruzione,  – .. I
periodici di Gozzi: la frustrazione del contesto italiano, .

Conclusione

Bibliografia
Introduzione
Questa ricerca è il proseguimento della tesi di dottorato discussa
a Londra nel Marzo . Fondamentali sono stati i contributi dei
professori che mi hanno seguito a Londra, Dr Susan Matthews e
Professor Martin Priestman, e del professor Achille Olivieri che mi ha
seguito e consigliato in tutti questi anni, oltre che avermi aiutata con
preziose indicazioni e guidata nella stesura di questo testo.
Lo scopo di questa ricerca è di studiare l’impatto dello Spectator in
Francia e in Italia ed in particolare le sue imitazioni, imitazioni che
non sono da considerarsi solo come semplici copie di un originale ma
come opere che, pur basandosi su un modello originale, si sono poi
adattate all’ambiente in cui sono state pensate e prodotte, riflettendo
un’immagine nitida dell’aspetto politico e sociale dei Paesi in cui sono
state pubblicate.
Le prime traduzioni dello Spectator, sebbene parziali, furono prodotte in Francia nel , seguite poi da quelle tedesche, olandesi,
svedesi, italiane, portoghesi e russe. Le traduzioni con il maggior
numero di edizioni furono quelle olandesi ( edizioni), poi quelle
francesi () e quelle tedesche (). Nel  in Germania c’erano così
tante imitazioni dello Spectator che era impossibile contarle tutte. In
più, uno studio di Daniel Mornet rivela che tra il  e il  nelle
biblioteche private francesi c’erano più copie dello Spectator che opere
di Voltaire e Rousseau (Burke & Po–Chia Hsia, : ) .
L’aspetto principale di questa ricerca è perciò l’analisi dei periodici
dello scrittore francese Marivaux e di quello italiano Gaspare Gozzi, i
quali hanno attinto dalla stessa fonte, vale a dire lo Spectator (–),
uno dei periodici del diciottesimo secolo più letto ed imitato, descritto
da Maria Lucia Pallares–Burke come «The most successful literary and
cultural enterprise in the history of translations» (: ) . A questa
opinione si aggiunge quella di Priestley (: ) il quale sostiene
. Si può trovare una copia originale de The Spectator alla Biblioteca Nazionale.
. L’impresa letteraria e culturale di maggior successo nella storia delle traduzioni.


Introduzione
che il successo dello Spectator fu incomparabile poiché nessun altro
periodico prima e dopo di esso ha avuto un così forte impatto nella
sfera nazionale e internazionale.
La mia ricerca si soffermerà quindi sulla proliferazione delle imitazioni del periodico inglese in Francia e in Italia, offrendo uno studio
comparativo che sottolineerà le differenze ma anche le somiglianze
tra la versione originale inglese e le due imitazioni europee.
In aggiunta, questo studio mira a dare un’accurata analisi di alcuni
aspetti sia del The Spectator sia delle sue imitazioni francesi e italiane.
L’approccio è interdisciplinare nella misura in cui unisce il confronto
dell’originale con un’analisi letteraria e culturale dei periodici europei
menzionati: in più, questa analisi include non solo il confronto ma
anche uno studio approfondito dei periodici francesi e italiani poiché
fino ad oggi non ci sono stati molti studi comparativi di questo tipo.
Studi recenti sullo Spectator sono stati intrapresi da Michael G. Ketcham, Donald Kay and Ralph A. Nablow, ma questi si focalizzano
principalmente su alcuni precisi aspetti di questo periodico, senza
arrivare ad un’analisi comparativa. Per esempio Nablow dedica due
capitoli sulla figura di Addison in quanto acuto osservatore e due
capitoli sulle imitazioni francesi dello Spectator. Nel primo capitolo
egli sottolinea come l’imparzialità di questi essays rendano lo Spectator
un “invaluable social document” (un documento sociale inestimabile),
poi pone la sua attenzione sugli amici di Mr. Spectator’ (Nablow, :
). Nel secondo capitolo Nablow analizza tre imitazioni francesi del
periodico inglese, cioè Le Spectateur di Marivaux, Lettres d’un Français
di Français, Bernard Le Blanc () e Le Babillard di Rutlidge(–).
Nello studio di questi tre periodici Nablow li divide in due tipi: quelli
più simili al “metodo addisoniano di osservazione staccata della società” (: ), e quelli che “vedono la società da un punto di vista
psicologico (: ), uno studio portato avanti attraverso una “procedura storica e analitica”. In Transparent Designs, Michael G. Ketcham
(: –) mette invece in risalto il carattere sociale degli articoli,
focalizza il suo interesse sugli aspetti retorici degli articoli, analizza la
loro sintassi e lo stile ed esamina il loro rapporto con i lettori. In Short
Fiction in The Spectator Donald Kay focalizza il suo interesse sulla “forte finzione nello Spectator”, analizzando i diversi tipi di storie presenti
nel periodico. Egli sostiene che la finzione è una delle caratteristiche
più peculiari del periodico inglese e il suo studio riguarda perciò «un
Introduzione

approccio estetico, storico e critico» verso questa forma letteraria
[l’essay]” offrendo ai lettori un’accurata «descrizione e classificazione
degli elementi e stratagemmi narrativi» (Kay, : , , ) presenti nel
The Spectator.
Questi testi, dunque, non confrontano in maniera specifica lo Spectator con altri periodici europei, ma questa ricerca, al contrario, procede attraverso un’analisi culturale comparativa e incrociata. Levinson
e Ember sostengono che «la comparazione è essenziale nella ricerca
antropologica. Per poter comprendere una cultura, le società devono
essere comparate [. . . ] senza comparazione non è assolutamente possibile valutare se presunte cause ed effetti sono collegati» (Levinson
& Ember, : ). In questo mio studio, l’approccio comparativo
è quindi unito ad un’analisi estesa e alla comparazione di citazioni
estrapolate dai tre diversi periodici.
Capitolo I
Lo Spectator
.. Il contesto socio culturale inglese
Il diciottesimo secolo fu caratterizzato da una vita intellettuale molto
intensa e vivace, carica di scambi culturali tra uomini (e donne) di
culture diverse, periodo in cui vi fu anche un cambiamento e uno sviluppo nel pubblico dei lettori, sempre più esigente e attento a quello
che leggeva. La relazione tra le coffee–houses e le news risale agli anni
’ del : per chi gestiva una coffee–house era importante fornire i
quotidiani ai suoi clienti. Questo era certamente un servizio costoso
poiché l’abbonamento non era economico ma ogni rispettabile coffee–house doveva offrire ai suoi clienti il giornale. Uno studio dimostra
che nel  un abbonamento annuo ad un giornale costava dalle
£ alle £ (sterline) o addirittura di più (Cowan, : –). Lo
sviluppo delle coffee–houses e dei clubs fu il risultato del coinvolgimento
dei cittadini in ciò che stava succedendo attorno a loro — una dimostrazione del bisogno e desiderio di coltivare ed allargare la propria
cultura, di pari passo alla nascita dell’opinione pubblica (public sphere)
e alla sempre maggiore importanza che la stampa stava ottenendo
in questa nuova sfera pubblica, come anche Beljame afferma (:
). L’emergere dell’opinione pubblica identifica un nuovo tipo di
pubblico, una nuova “categoria” così definita da Habermas (: –);
essa è «quella zona di interazione sociale dove persone private conducono un dibattito critico–razionale» e grazie a ciò costituiscono «un
pubblico che può mostrare le sue convinzioni come il volere della
popolazione liberamente costituito» (Ellis, : ).
L’emergere della borghesia facilita anche lo sviluppo dei periodici,
quel genere letterario dove essa cerca di esprimere e identificare se
stessa in articoli dove il gusto per le notizie si mescola con argomenti
di carattere morale e con le notizie finanziarie e commerciali. Come


Lo Spectator e gli Spectators in Europa
risultato di questa nuova attività commerciale, la borghesia sente il
bisogno di una costante circolazione di notizie e informazioni legate
agli scambi commerciali, a loro volta caratterizzati dalla legge della
domanda e dell’offerta. La nascita del capitalismo borghese legato al
commercio e proprio per il suo carattere mercantile necessita d’essere
informato di quanto succede fuori dall’Inghilterra. L’importanza del
commercio favorisce, di conseguenza, l’interesse nella produzione dei
“travel books”, ossia libri di viaggio, e lettere inviate da viaggiatori che
hanno visitato Paesi stranieri a coloro (amici, parenti) che sono rimasti
in patria. Le lettere, l’amore per il viaggio e il fascino per le nazioni
esotiche sono parti importanti nella vita intellettuale di quel periodo
(Voltaire fu egli stesso un amante della corrispondenza, come prova il
vasto numero di lettere che inviò ai salons mentre era in viaggio), e
contribuiscono alla creazione di importanti documenti geografici e
politici delle nazioni visitate, oltre che produrre un genere letterario
basato su viaggi reali o immaginari e romanzi scritti sotto forma
epistolare. «Il viaggiare è parte delle vita intellettuale» sostiene Daniel
Roche (: ), poiché permette allo scrittore di ampliare i temi dei
suoi romanzi e usare la fantasia per descrivere gli usi e i costumi di
altre popolazioni. L’aspetto più caratteristico di questi viaggi è che,
attraverso le lettere, c’è uno scambio continuo di notizie derivanti
dei diversi Paesi europei e non che presentano realtà completamente
diverse da quelle fino ad ora conosciute da colui che ha intrapreso
questi viaggi. Relazioni arrivate da terre lontane diventano poi uno
stimolo per comparare la società in cui si vive, provocando un processo
di rinnovamento sociale, politico ed intellettuale che, fino a poco
prima, era ristretto alla propria individuale realtà.
L’opinione pubblica è anche il prodotto di un graduale allontanamento dalla figura del re e dalla corte. In Francia le persone si
incontravano nei salons e nelle case private aristocratiche le quali erano aperte a uomini di lettere, aristocratici e borghesi che sedevano
assieme per ore discutendo dei più svariati argomenti. In Inghilterra,
invece, troviamo le coffee–houses, veri e propri luoghi pubblici dove
l’arte della conversazione si univa al piacere di un drink, in particolar
modo, appunto, del caffè, la nuova bevanda .
. Per uno studio sull’antropologia delle coffee–houses fare riferimento ai testi di
Maurice Aymard.
. Lo Spectator

Il gusto per il caffè e lo sviluppo dell’opinione pubblica diedero
vita ad “una società di consumatori, una rivoluzione del consumo”,
secondo Brian Cowan (: ). Questa nuova bevanda offriva tutti i
benefici di una bibita salutare e sana: non conteneva alcool e aiutava i
consumatori a rimanere sobri e attivi, unendovi anche una sensazione
di esotismo. Un fisico tedesco, Leonhard Rauwolf, viaggiando in
Oriente, scrisse che «I turchi hanno una bevanda veramente buona
che essi chiamano chaube (caffè), che è nera quasi quanto l’inchiostro
e molto valida nella malattia, soprattutto per lo stomaco» (Cowan,
: ). Cowan riporta poi uno studio fatto da Woodruff D. Smith
nel quale sostiene che il successo di questa bevanda era dovuto al suo
diffondersi dall’alta classe sociale (consumatori d’élite) alla borghesia.
Sembra infatti che, secondo Colin Campbell, i primi consumatori
di questa nuova bevanda fossero i “virtuosi” (termine italiano per
indicare i gentlemen inglesi) i quali avevano “un insaziabile desiderio
per ciò che era strano e geniale” e “un apprezzamento per l’insolito e
il bizzarro” (: –).
Uomini di vasta cultura, compresi i “virtuosi”, intraprendevano
viaggi nelle nazioni orientali per poter vedere di persona i luoghi decritti nei libri e provare questa nuova bevanda. Henry Blount, per
esempio, viaggiò in Turchia dove poté bere il caffè seguendo l’abitudine della popolazione locale e scrisse Voyage to the Levant (Viaggio nel
Levate) nel  (Cowan, : –). La domanda su come questa
bevanda divenne familiare a tutte le altre classi sociali potrebbe trovare risposta considerando i suoi presunti benefici, secondo Cowan: la
ragione per l’estesa popolarità del caffè può essere largamente trovata
negli effetti medici che questa bevanda si pensava avesse, perciò era
vista come una medicina utile a tutti. In questo modo il caffè poteva
essere bevuto non solo senza timore di alcun effetto collaterale, ma
poteva inoltre avere effetti positivi e quindi non c’erano limiti alla sua
assunzione. Essendo una bevanda salutare (non c’erano effetti collaterali legati, per esempio, alla sfera sessuale), fu presto adottata dalla
borghesia che “la associò ad una condotta sobria e civile”, divenendo
parte di un’etica di “comportamento rispettabile” (Cowan, : ).
Ritornando ai salons, secondo Samuel Pepys, le persone si incontravano in questi luoghi non solo per il caffè ma anche per quel particolare sentimento che si creava tra i clienti, vale a dire un “rapporto
sociale e di amicizia tra i vari individui”, anche se le discussioni che si

Lo Spectator e gli Spectators in Europa
tenevano nelle coffee–houses non erano sempre garbate, come Cowan
sostiene. Addison e Steele erano consci di questo aspetto negativo e
cercarono quindi di rendere il loro periodico anche simbolo di una
nuova etica sociale e di garbo, portando la morale e le belle maniere
all’interno delle coffee–houses e riformando i comportamenti di coloro
che vi erano assidui. Mr. Spectator afferma infatti di voler riscattare
i suoi concittadini da «quel disperato stato di vizio e follia nel quale
l’epoca è caduta» (Addison & Steele, : articolo : ). A questo
proposito Nicholas Phillipson descrive gli articoli di Addison come
«una forma di scrittura accessibile e raffinata designata per un pubblico di uomini e donne di rango, con proprietà e posizione nella vita
sociale locale e nazionale, preoccupate da dubbi riguardanti il ruolo
sociale, la condotta personale e la felicità privata in una società crescente complessa e commercialmente orientata» (: ) . Le persone
appartenenti alla borghesia, avendo recentemente accresciuto il loro
potere sia nel contesto sociale sia in quello politico (ci sono infatti
mercanti, commercianti e grandi finanzieri tra di loro) sentivano la
necessità di una guida che indicasse loro come comportarsi e pensare
in maniera appropriata alla loro nuova realtà al fine di svolgere al meglio il loro ruolo nella società: mentre l’aristocrazia seguiva regole e
usanze tipiche della sua classe, in uso da molto tempo, per la borghesia
era una nuova esperienza il ricoprire un importante ruolo sociale e
politico. Addison e Steele volevano perciò aiutare questa classe ad
adempiere al meglio il nuovo ruolo all’interno della società.
La proliferazione delle coffee–houses si differenziò secondo la propria
clientela (Lake & Pincus, : ). Per esempio gli avvocati e gli studenti di legge si ritrovavano nelle coffee–houses vicino all’Inns of Court
(i collegi degli avvocati), gli ecclesiastici al Child’s Coffee–House vicino alla Cattedrale di St Paul’s ed i commercianti e gli agenti di
assicurazioni al Jonathan’s and Garraway’s coffee–house in Exchange
Alley (Ellis, : ).
La prima coffee–house fu aperta da Daniel Edward e Thomas Hodges, probabilmente prima del  in St Michael’s Alley, vicino all’entrata della Borsa ed inizialmente era un chiosco più che una vera
coffee–house. Fu accolta dal pubblico con favore ma non dai proprietari
. Citato in M, J., () Sentiment and Sociability. The Language of Feeling in the
Eighteenth Century, New York: Oxford University Press.
. Lo Spectator

delle osterie e birrerie; in ogni caso, dopo un po’ questa attività si
spostò in un altro luogo della stessa via dove i clienti potevano essere
più comodi e gustare la compagnia degli altri clienti (Ellis, : –).
La storia delle coffee–houses iniziò quindi in questo modo e questi
luoghi iniziarono ad essere visti non solo come spazi di discussione
e intrattenimento ma anche come centri di dibattiti sociali e politici;
per esempio nel  un avvocato, James Harrington ed i suoi sostenitori, iniziarono ad incontrarsi al Turk’s Head Coffee–House in
New Palace Yard vicino a Whitehall per discutere il loro modello di
Commonwealth (Ellis, : ). L’idea che l’elemento politico fosse
fortemente presente nei dibattiti nelle coffee–houses era anche condivisa da David Hume il quale asseriva che il successo delle coffee–houses
era la dimostrazione dello “spirito di libertà della costituzione” (Cowan, : ). Allo stesso modo C. John Sommerville affermava
che le coffee–houses segnarono «una frattura decisiva con la politica
elitaria e scrupolosamente esercitata con abilità della prima metà del
diciassettesimo secolo” e John Brewer scrisse che esse erano “centri di opposizione alla corona» (tutte queste affermazioni riguardano
la sopravvivenza delle coffee–houses dopo la restaurazione –)
(Cowan, : ).
Come in Francia ogni salone si differenziava dagli altri per la sua
specifica clientela e i dibattiti culturali, così le coffee–houses in Inghilterra divennero il luogo ed il simbolo del nuovo uomo d’affari. I
pubs e ogni altro locale pubblico dove venivano servite bevande alcoliche non erano adatti per persone che volevano essere considerate
rispettabili e avevano acquisito una buona posizione sociale, come si
può dedurre leggendo il Diary (Diario) di Samuel Pepys. Nel diario
è possibile seguire l’avanzamento sociale di Pepys il quale, divenuto
un importante uomo politico, avverte la necessità di frequentare le
coffee–houses perché luoghi adatti al suo nuovo status sociale. Come
Ellis spiega:
Pepys si rese conto che, se voleva essere un uomo importante, doveva
apparire ed agire come tale. Da quel momento cambiò deliberatamente il
modo di socializzare con le altre persone, aumentando l’astensione con la
rustica interazione dei luoghi pubblici [. . . ] capì che mentre i pub erano
adatti, all’inizio della sua carriera, per un ragazzo giovane, non erano però
luoghi dove gli uomini importanti socializzavano. [. . . ] nel Gennaio del 
escogitò un altro metodo per esprimere crescente mobilità frequentando le

Lo Spectator e gli Spectators in Europa
coffee–houses e coltivando la conoscenza con persone d’affari equilibrate che
lì trovava (: ).
Se gli uomini accolsero con favore questa nuova bevanda e questi
nuovi luoghi della socialità, le donne invece sostenevano che la bevanda aveva “reso eunuchi” i loro mariti. A questo proposito, secondo un
libello, in questi luoghi gli uomini acquisivano i modi tipici dell’universo femminile, come il piacere per la conversazione, la loquacità e
anche il pettegolezzo, due aspetti che li rendevano più effeminati che
virili (Clery, : ). Le donne non erano completamente escluse da
questi luoghi: esse lavorano all’interno delle coffee–houses e potevano
anche frequentarle, anche se la loro reputazione poteva in qualche
maniera venire colpita a causa del loro recarsi in questi luoghi prevalentemente maschili (nel  e  più del % dei gestori delle
coffee–houses erano donne) (Cowan, : ). Le donne che qui vi
lavoravano potevano essere sia gestori che cameriere ma la loro vita
era problematica: alcune di loro si lamentavano del senso di disagio
che provavano a causa della scarsa reputazione di cui godevano per
il fatto di lavorare in quei locali e per la mancanza di rispetto che i
clienti dimostravano verso di loro, come prova una lettera inviata
allo Spectator da una di loro: «Gentile Mr. Spectator [. . . ] dica che è
possibile che una donna sia virtuosa e allo stesso tempo gestire una
Publick–house (con il termine di “casa pubblica” si intende appunto la
coffee–house)» (Addison & Steele, : articolo : ). D’altra parte
alcuni clienti accusavano le cameriere di comportarsi come idoli nei
confronti dei clienti che pendevano dalle loro labbra, non ponendo
la giusta attenzione nelle preparazione delle bevande quali il the o il
caffè, trascurando quindi il loro lavoro e offrendo un servizio scadente
agli altri clienti: “Mentre i giovani ragazzi rinunciano ai loro stomachi
in favore dei loro cuori [. . . ] noi, che veniamo per fare affari o parlare
di politica, siamo completamente avvelenati” (Addison & Steele, :
articolo : ).
La maggior differenza tra le coffee–houses e i salons francesi riguardava proprio il comportamento delle donne e la loro figura all’interno di
essi: mentre i salons erano case private e gestiti dalla padrona di casa, le
coffee–houses erano spazi pubblici dove le donne avevano solo la funzione di cameriere o, appunto, di gestori. Le signore francesi esercitavano
invece anche la funzione di sovraintendere agli ospiti e ai loro dibattiti
. Lo Spectator

al fine di evitare contrasti accesi e mantenere gli argomenti su un
tono pacifico; inoltre i salons erano luoghi di incontro importanti per
le donne, essendo come delle “università surrogate”, luoghi quindi in
cui esse potevano esprimere i loro pensieri e arricchire la loro cultura:
come Kale Stevens afferma, i salons erano una «convergenza di ambizioni femminili e filosofiche» (Kale, : ). Nei luoghi d’incontro
inglesi non era insolito vedere un dibattito degenerare in una rissa,
come si può vedere da alcune illustrazioni di risse nelle coffee–houses
(l’illustrazione di un dibattito generato in una rissa la si può trovare
nella figura  del testo di Markman Ellis The coffee–house. A cultural
history, pubblicato nel , London: Phoenix). In un suo studio J. A.
Downie (: –) non è d’accordo con quanto sostiene Habermas a riguardo dell’idea che le coffee–houses erano aperte a tutti senza
distinzione di stato sociale o rango, e che i clienti erano tutti ben educati. Downie non crede infatti che ci fosse una sorta di fratellanza tra i
clienti delle coffee–houses ma, al contrario, crede che le coffee–houses
non fossero luoghi di unità sociale, ma piuttosto luoghi che sostenevano una cultura intesa come «una forza operante verso un’ulteriore
divisone all’interno di una società ormai profondamente divisa» (:
). In aggiunta, Downie evidenzia come lo Spectator fosse fin dal
principio un mezzo di propaganda politica, non un semplice periodico
neutrale come invece i suoi autori asserivano. Addison infatti definiva
i suoi lettori “discepoli” e coloro che non lo erano, erano considerati
“dei fratelli ignoranti e negligenti” (Addison & Steele, : articolo :
). Per questa ragione Downie asserisce che non è possibile parlare
di democrazia o imparzialità nello Spectator e negli ambienti delle
coffee–houses, ma, al contrario, Addison e Steele indirizzavano il loro
periodico ad una classe (politica) specifica, quella dei “gentiluomini di
ricchezza e privilegio”, rovesciando la tesi di Habermas secondo cui
le coffee–houses erano luoghi di conversazione democratici ed aperti a
tutti (: ).
Ritornando ai salons, in essi scrittori, filosofi e gente comune si
incontravano: «a partire dalla metà del diciottesimo secolo, il salon era
diventato una vera e propria istituzione ben strutturata in cui studiosi
e scrittori trovavano un mondo di aristocratico divertimento» (Kale,
: ). A proposito di istituzioni ben strutturate, una delle differenze tra salons e coffee–houses risiedeva nel fatto che ogni salone aveva i
suoi giorni di apertura specifici, una o due volte alla settimana, e an-

Lo Spectator e gli Spectators in Europa
che un orario di apertura preciso; le padrone di casa offrivano anche il
pranzo (alle .) e la cena (alle ) (Craveri, : –). I visitatori
formavano dei piccoli gruppi per discutere innanzitutto di politica,
per tenersi informati e trovare nuovi modi per analizzare le attività del
governo (Kale, : ). Di conseguenza, e quasi spontaneamente,
essi contribuirono alla nascita di una letteratura con base politica che
prese la forma di libelli, opuscoli e, più tardi, periodici.
Gli opuscoli politici, che proliferarono soprattutto durante le guerre civili, iniziando nel  e terminando nel , coinvolgendo i
parlamentari inglesi, erano mezzi di comunicazione letti da un vasto
numero di lettori. Poiché in questi libelli gli scrittori giudicavano e
spesso condannavano le azioni e il comportamento del potere politico (e religioso), essi erano considerati pericolosi dal governo. Questi
libelli erano mezzi per diffondere e ottenere notizie e, a causa del
loro anonimato, era difficile censurarne la proliferazione, lasciando
così agli autori abbastanza libertà di esprimere i loro commenti e le
loro critiche senza timore di venir scoperti (Cranfield, : –). Il
governo cercò infatti di arginare, se non arrestare, questa pericolosa
propaganda politica con lo Stamp Act (la Legge sul bollo) del 
che consisteva in un’imposta di bollo e una registrazione obbligatoria
di ogni libello, ma questo espediente non fermò la diffusione delle
notizie (Cranfield, : ).
Questa nuova libertà di parola e pensiero, con il risultante sviluppo
e proliferazione della stampa, con inclusi i libelli, libri e giornali, fu
anche favorita dalla decisione del Parlamento nel  di non rinnovare il Licensing Act, una legge che aveva gradatamente limitato la
libertà di parola e pensiero degli scrittori (Stevens, : ). Grazie a
questa decisione governativa, i giornali e periodici a carattere politico
iniziarono a svilupparsi: The Review (la rivista di Daniel Defoe) fu uno
dei primi a far uso di questa libertà e dopo di esso e del The Spectator apparvero altri quarantacinque giornali a carattere politico, come
William Lee conteggia (Stevens, : ).
Come risultato della diffusione di questi giornali a sfondo politico,
apparve un nuovo fenomeno, quello del mecenatismo politico. I governi ed i partiti politici, vedendo l’influenza che i periodici avevano
sui lettori, cercarono di annoverare nel loro partito quegli scrittori
maggiormente apprezzati dal pubblico e renderli portavoce delle loro
idee politiche. Infatti, la maggior parte dei giornali del diciottesimo
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il “cannocchiale” dello storico: miti e ideologie