socialismo libertario
Politica e cultura
nel pensiero
di Andrea Caffi
di Gianpiero Landi
Una recente raccolta di scritti di Andrea Caffi, curata da Massimo La Torre,
richiama l’attenzione sulla vita e il pensiero di un intellettuale e militante
politico che ha dato un contributo originale al socialismo libertario.
Un bilancio degli studi e delle ricerche intorno al rivoluzionario italo-russo.
Parlo di Andrea Caffi
come dell’“uomo migliore,
e inoltre il più savio
e il più giusto”
che nel mio tempo
io abbia conosciuto.
Nicola Chiaromonte
Andrea Caffi è sicuramente una delle figure più
affascinanti del movimento socialista italiano ed europeo del Novecento.
Nato a Pietroburgo nel 1887 da genitori di origine italiana, ancora giovanissimo aderì al socialismo
militando nella corrente menscevica e prese parte
alla rivoluzione russa del 1905. Per il suo impegno
nella cospirazione antizarista fu più volte arrestato e
condannato a tre anni di carcere. Liberato nel maggio del 1908, iniziò per lui un esilio durato praticamente tutta la vita. Studente universitario a Berlino,
dove fu allievo di Georg Simmel, entrò poi in contatto
con le avanguardie artistiche e letterarie nella Parigi
di inizio secolo. In quegli anni viaggiò anche in Italia, soggiornando a Firenze dove divenne amico di
Giuseppe Prezzolini e frequentò il gruppo della rivi-
sta “La Voce”. Fece visita a Petr Kropotkin (che considerava, allora, “lo spirito più puro del movimento
rivoluzionario russo”), all’epoca esule a Rapallo.
Nel 1914 visse come una tragedia lo scoppio della
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guerra in Europa ma ciò nonostante si arruolò volontario nelle legioni internazionali “garibaldine” in Francia, prendendo parte ai combattimenti delle Argonne
nel corso dei quali rimase ferito. Arruolato in seguito nell’esercito italiano, fu di nuovo ferito nel luglio
1915 sul fronte del Trentino, e trasferito poi a Belluno
come interprete presso il comando della 4ª armata.
Secondo la testimonianza del filosofo Antonio Banfi,
suo grande amico e compagno di studi, Caffi andava
all’assalto senza impugnare un’arma. Sicuramente
agiva in lui il desiderio di contribuire alla sconfitta
del militarismo prussiano, ma la sua voleva essere
soprattutto partecipazione alla sofferenza e al destino
collettivo della sua generazione, a cui non gli sembrava lecito sottrarsi. All’inizio del 1918 fu trasferito
presso l’ufficio speciale creato da Giuseppe Antonio
Borgese a Berna per la propaganda fra le nazionalità oppresse dell’impero asburgico. Dopo la fine della
guerra si stabilì a Roma e collaborò alla “Giovine Europa”, un movimento nato soprattutto per iniziativa
di Umberto Zanotti Bianco, Gaetano Salvemini, G. A.
Borgese e fondato sull’idea che dalla devastazione e
dalla crisi prodotta dalla guerra sarebbero maturate
le condizioni per la creazione di una società internazionale profondamente rinnovata sulla base dell’uguaglianza e dell’autodecisione dei popoli.
In quegli anni Caffi scrisse per “La Voce dei Popoli”, la rivista del movimento, i due importanti articoli
La rivoluzione russa e i suoi condottieri e La Russia
bolscevica e l’Europa (secondo Piero Gobetti, i testi
più importanti e seri apparsi in quegli anni in Italia
sull’argomento) e collaborò con Zanotti Bianco alla
redazione del libro La pace di Versailles (Firenze, La
Voce, 1919). Inviato nell’estate del 1919 dal “Corrie-
re della Sera” a Costantinopoli come corrispondente,
verso la fine dello stesso anno Caffi ne approfittò per
ritornare in Russia attraversando clandestinamente il confine. In un primo momento sembrò nutrire
speranze nella rivoluzione bolscevica, ma gli bastò
poco tempo per rendersi conto della natura sempre
più illiberale e dispotica del regime sovietico. Lavorò
nella Delegazione commerciale italiana a Mosca, ma
la Ceka lo arrestò e fu imprigionato alla Lubjanka,
dove – come avrebbe raccontato egli stesso più tardi
– “gli appelli dei condannati a morte erano fatti ogni
notte in maniera alquanto disordinata”.
Lo salvò l’intervento della socialista italo-russa
Angelica Balabanoff, all’epoca dirigente della Terza
Internazionale. Tornò in Italia nel 1923, poco dopo
l’avvento al potere del fascismo. Svolse attività antifascista, legandosi inizialmente ad ambienti liberali
romani ma recuperando presto la sua radicalità di
socialista rivoluzionario non marxista. Diresse con
Gioacchino Nicoletti la rivista “La Vita delle Nazioni”, ispirata da Salvemini e Zanotti Bianco e collaborò con “Volontà” diretto da Vincenzo Torraca (in
quest’ultimo periodico pubblicò l’importante articolo
Cronaca di dieci giornate, sul delitto Matteotti).
L’amicizia
con Albert Camus
Nel maggio 1925 fu tra i firmatari del Manifesto
degli intellettuali antifascisti promosso da Benedetto
Croce. Nel 1926 collaborò con la rivista “Il Quarto
Stato” di Pietro Nenni e Carlo Rosselli, occupandosi di politica estera. Intensificò in quegli anni il suo
interesse per la storia ellenistica, bizantina e russa
Presupposti della democrazia
uno scritto di Andrea Caffi
Il seguente articolo di Andrea Caffi apparve nel quotidiano socialdemocratico
“L’Umanità”, all’epoca diretto da Giuseppe Faravelli, nel numero dell’8 dicembre 1948.
Ora riprodotto in A. Caffi, Politica e cultura, a cura di M. La Torre, p. 115-118
Nella «Umanità» del 2 novembre, Giuliano Pischel ha cercato di definire «due poli negativi della
democrazia». Egli scrive: «L’uno di questi pericoli
frutto di eccessivo individualismo o addirittura di
anarchismo [horribile dictu] è rappresentato dal
frammentarismo delle forze, dalla polverizzazione
delle opinioni e delle posizioni. È il tot capita, tot
sententiae; è l’inquieto fermentare e oscillare delle
tesi...».
«L’altro pericolo è ancora più insidioso. Si tratta del conformismo. Conformismo è rinunciare a
pensare con la propria testa...È uno dei più mortificanti e devastatori relitti del fascismo; male operante ed attuale».
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L’osservazione principale che suggerisce questa
diagnosi sarebbe che i due mali potrebbero benissimo avere origine nella stessa causa; l’indole
gregaria d’una “massa” amorfa, cioè composta a
caso da individui i quali, per giunta, non hanno
più avuto occasione di rendersi ben conto quanto
sia importante “sapere che non si sa” (e che non
si sanno molte cose pur avendo una “opinione” in
merito ad esse). Ma prima di tentare una delucidazione di tale tesi, mi permetto qualche preliminare
appunto. Se è bene “pensare con la propria testa”,
perchè deprecare che “ogni testa esprima una propria sentenza”? Uno schietto scambio di idee su
qualsiasi questione sarebbe proprio l’ideale, ideale
antica. Contribuì alla stesura del volume di Paolo
Orsi su Le chiese basiliane della Calabria (1927) con
una corposa appendice dedicata a Santi e guerrieri
di Bisanzio nell’Italia meridionale. Collaborò inoltre
all’Enciclopedia Italiana diretta da Giovanni Gentile
redigendo una decina di voci di storia bizantina e
russa. Nell’autunno del 1927, per sfuggire al rischio
di arresto da parte della polizia fascista, Caffi si rifugiò in Francia.
Ospitato a Versailles, nella villa del principe Gelasio Caetani, divenne precettore dei nipoti del principe e segretario di redazione della rivista “Commerce”. Prese parte alle periodiche conversazioni del
cenacolo di artisti e scrittori che si riunivano nella
villa, tra cui Paul Valéry, Fernand Léger, Valéry Larbaud, Jean Paulhan. Verso la fine del 1930, chiusa
l’esperienza della rivista, si trasferì presso amici nel
sud della Francia, poi a Parigi. Si legò al movimento
antifascista dei fuorusciti, in particolare a “Giustizia e Libertà”, frequentando anche amici anarchici italiani e gli ambienti dell’emigrazione russa. In
polemica con Rosselli, interruppe la collaborazione
con “Giustizia e Libertà” nei primi mesi del 1936,
insieme al gruppo dei cosiddetti “novatori”, di cui
facevano parte Mario Levi, Renzo Giua, Nicola Chiaromonte. Con quest’ultimo, in particolare, si legò di
strettissima amicizia.
Dopo l’invasione tedesca della Francia si trasferì
a Tolosa. Si avvicinò ai socialisti italiani fuorusciti
autonomisti, collaborando con Angelo Tasca, Olindo Gorni, Ignazio Silone, Giuseppe Faravelli. Ebbe
rapporti con ambienti della Resistenza e nel 1944 fu
arrestato dalla Gestapo e torturato.
Nel dopoguerra divenne amico di Albert Camus e
mai raggiunto perchè purtroppo la capacità creativa che si esprime in un “pensiero originale” non
è data a tutti, ma anche perchè gli uomini, se non
sono proprio “fatti a serie”, impersonano tuttavia
certi tipi di mentalità che non sono poi tanto numerosi. Rimangono ben inteso le sfumature e quegli estri d’improvvisazione, di baldanzoso eccesso,
di malignità intenzionale, di paradosso ed umorismo che suscitano scentille effimere ed indimenticabili in ogni vera “conversazione” fra uomini che si
intendono, cercando di fraintendersi.
Direi anche che in ricordo d’una certa non spregevole intelligenza e (quel che ni consta) umanità
spontanea di cui hanno dato prova Robert Owen e
Proudhon, Bakunin, Kropotkin e Malatesta, condannare per direttissima ogni “anarchismo” mi
sembra alquanto presuntuoso. Oserei addurre –
quale motivo personale – che in una esperienza di
decenni ho trovato più istruttive e fruttuose molte
adunate di sindacalisti francesi, incui cozzavano le
più strambe “opinioni”, che le ben ordinate deliberazioni di tedeschi socialdemocraticamente organizzati.
Evidentemente tuttavia il compagno Pischel non
grazie a lui trovò lavoro presso l’editore Gallimard.
Pubblicò articoli in “Politics”, rivista della sinistra
radicale anticonformista statunitense diretta a New
York da Dwight Macdonald, in cui scrivevano anche
Chiaromonte, Hannah Arendt, Mary McCarthy, Paul
Goodman. Morì a Parigi nel 1955.
Un socialista libertario
decisamente singolare
Come si è visto, Caffi è stato partecipe di tutti
gli eventi più significativi della storia europea della
prima metà del Novecento. La sua è stata una vita,
sotto diversi profili, straordinaria e irripetibile. Segnata, oltretutto, da una rara coerenza e dalla volontà deliberata di non apparire in primo piano, di
tenersi sempre ai margini. Il suo fu uno stile di vita
costantemente precario e irregolare, ed egli rimase
fedele fino alla fine alla scelta di povertà volontaria
abbracciata in gioventù.
Caffi fu un intellettuale assolutamente singolare,
dotato di una incredibile erudizione, più colto di molti
accademici prestigiosi e affermati della sua epoca, in
grado di padroneggiare diverse delle principali lingue
europee e di dialogare alla pari nei più diversi ambienti e contesti nazionali, amico sodale e collaboratore di alcune tra le menti più brillanti del suo secolo
– alcune delle quali gli sono debitrici probabilmente
di alcune delle idee forti del loro sistema di pensiero
– eppure visse sempre da “bohemien”, squattrinato e
lontano da ogni potere. Già questi elementi giustificherebbe un interesse e una curiosità nei suoi confronti ben maggiore di quelli che gli sono stati dedicati, almeno fino a tempi recenti. Ma c’è anche dell’al-
sottointendeva “materie opinabili” in sede di pura
teoria, ma decisioni immediate riguardanti il “bene
comune” di un popolo, la “salute pubblica” in critici frangenti, nonchè il controllo dell’ordinaria amministrazione d’una vasta collettività. In epoche
quando si aveva fede intera nella “democrazia”,
tanto Pericle che Washington hanno avuto occasione di rilevare che: 1) ci vuole tempo e parecchia
fatica (di persuasione) perchè il “corpo popolare”
acconsenta a qualche importante misura di governo («una democrazia è sempre lenta a decidersi»
scriveva Washington a Lafayette); 2) spesso le decisioni sancite sanno di compromesso e la buona
volontà di accettarle comunque sopperisce a una
effettiva soddisfazione delle coscienze.
Nella repubblica di Atene i quarantamila cittadini deliberanti si incontravano più o meno ogni
giorno ed è poco probabile che qualcuno dell’assemblea del popolo non conoscesse vita e miracoli
di colui che dalla tribuna emetteva una proposta.
Così nei tredici stati estremamente autonomi della
Confederazione americana ai suoi inizi, vi era una
effettiva familiarità fra tutti i cittadini chiamati ad
uno scrutinio o ad una manifestazione pubblica.
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tro. Il motivo maggiore di interesse è rappresentato
– a nostro avviso – piuttosto dalle sue idee, di cui
restano tracce negli scritti che di lui ci sono rimasti.
Parliamo di “tracce” perché Caffi rifuggì sempre
dalla redazione di opere ponderose, organiche e sistematiche, e inoltre privilegiava il dialogo personale
e diretto, la parola parlata rispetto a quella scritta.
E, quando non era possibile il colloquio diretto con
l’interlocutore guardandolo negli occhi, ricorreva
come surrogato alle lettere. Questa è una delle ragioni per cui, nel suo caso, lo studio delle lettere risulta
particolarmente importante per ricostruire il percorso intellettuale. Come ha scritto autorevolmente
Gino Bianco, uno dei primi e più fedeli suoi studiosi
e biografi, “in un tempo in cui l’ideologia, la retorica
e la violenza avevano dominato il pensiero e l’azione politica, gli scritti e la vita di Caffi forniscono,
con rara forza e coerenza, l’esempio di un radicale
rifiuto delle degenerazioni cui è andato incontro il
movimento socialista nella duplice versione del leninismo e del riformismo socialdemocratico”. Pur in
modo disorganico e frammentario, Caffi ha saputo
elaborare un socialismo radicale di marcata impronta libertaria che si presenta a noi ancora oggi estremamente attuale. Di particolare importanza, ai fini
di una rifondazione libertaria del socialismo, risultano le sue riflessioni sulla violenza e sul federalismo,
con la critica radicale dello Stato-nazione.
Il recente libro
di Massimo La Torre
Ma Caffi si è occupato anche di temi che vanno
ben oltre la politica intesa in senso stretto. Per le
Ma Platone giudica già Atene ingovernabile perchè
la cittadinanza è troppo numerosa e non vede possibilità di concordia che in comunità molto più ristrette. Ed è certo che al momento della guerra di
secessione (1862) negli Stati Uniti vi erano partito
organizzati e folle consenzienti, ma non potevano
più esservi dirette e ragionate espressioni di “volontà popolare”.
Assolutamente assurdo è supporre una “decisione” presa da dieci o da cinque milioni e anche
da un mezzo milione di “votanti” che non sia frutto del più gregario “conformismo”, cioè degli effetti
meccanici di un demagogico «imbottimento di crani». Così come è impensabile che ventimila operai possano “controllare” il funzionamento di una
grande officina.
I limiti della democrazia sono quelli dell’umana
comprensione: la “libera scelta” è una atroce beffa
quando non si possono conoscere nè i veri motivi
nè le necessarie conseguenze di ciò che si sceglie.
Nessun uomo di buon senso, “uomo della strada”,
“franÇais moyen”, italiano idem, ha deliberatamente “scelto” la guerra nel 1914-’15, nel 1939-’40
e probabilmente non avrebbe mai scelto né le con-
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Andrea Caffi in un’immagine del 1947.
sue riflessioni illuminanti su temi come il mito e la
mitologia, la moderna cultura di massa, i rischi della
tecnica e della burocratizzazione, la critica della violenza, la francese “Quinzaine Litteraire” lo ha definito “il Walter Benjamin italiano”. È proprio a questi
temi, che potremmo chiamare prepolitici anche se la
definizione non risulta affatto soddisfacente, è dedicata – principalmente anche se non esclusivamente
– la recente raccolta di scritti di Caffi curata da Massimo La Torre, Politica e cultura (Soveria Mannelli,
Rubettino, 2014, p. 200), che fornisce l’occasione
per questa breve rassegna.
Va detto anzitutto che si tratta di un libro importante, perché permette al lettore di entrare in contatto con testi di Caffi di difficile reperibilità che affrontano con acuta intelligenza e cognizione di causa
tematiche di notevole interesse culturale. Il primo
quiste coloniali né la gara degli armamenti, né una
quantità di regolamenti polizieschi, fiscali, ecc. E
che nei suoi atti positivi tutta la “democrazia” moderna consiste in una certa fiducia ad occhi chiusi accordata sia ad un uomo, sia ad un “partito”.
Rimane, è vero (e non dobbiamo disprezzarlo), un
definitivo “limite negativo” che il sentimento, più
che una chiara volontà delle masse, ha imposto ai
regimi che (appunto perciò) hanno potuto qualificarsi come democrazie; il rispetto di elementari “diritti dell’uomo, l’uguaglianza (almeno apparente)
dinanzi alla legge, la repressione di arbitrii troppo
appariscenti. Senonchè il fascismo e il successo di
un De Gaulle mostrano la fragilità di queste resistenze del sentimento collettivo nelle maggiori nazioni del nostro continente.
Marx ed i suoi discepoli più fedelihanno potuto concepire la conciliazione d’una organizzazione
unitaria di grandi masse con la “democrazia” perchè fidavano nell’assoluta supremazia della “scienza”. Se una questione può essere risolta con criteri
“scientifici”, cioè di certezza assoluta e dimostrabile, diventa insussistente ogni “divergenza di opinioni”. Non è a maggioranza di voti che si deciderà sul
dei testi, intitolato Fra i contemporanei di Onjeghin,
fu pubblicato nel fascicolo del dicembre 1923 della rivista “Russia”, fondata dallo slavista Ettore Lo
Gatto. Incentrato su una analisi delle caratteristiche
della generazione di giovani rivoluzionari russi venuti alla ribalta dopo la fine delle guerre napoleoniche,
passando dai decabristi a Herzen e arrivando ai populisti, Caffi vi indagava i legami e le analogie con
il contemporaneo liberalismo europeo, ma anche le
specificità del pensiero sociale russo, caratterizzato dal tentativo di operare “una contaminazione del
tema dei Diritti dell’Uomo con l’ardente desiderio di
conoscere e amare il popolo russo”.
La parte centrale del volume è occupata da cinque
saggi scritti da Caffi tra il 1938 e il 1946, ma pubblicati in Italia solo dopo la sua morte, tra il marzo
1958 e il luglio 1961, in altrettanti numeri della rivista “Tempo presente” diretta dai suoi amici Nicola Chiaromonte e Ignazio Silone. Si tratta dei saggi:
Magia, mistica e mito (1938), Cristianesimo e ellenismo (1939), L’avvenire del romanzo (1943), “Homo
faber” e “homo sapiens” (1945), Mito e mitologia
(1946). Data la ricchezza e la pluralità dei temi affrontati, delle argomentazioni e dei riferimenti storici e letterari, è praticamente impossibile riassumere
in questa sede il contenuto di questi saggi, che da
soli basterebbero comunque per assicurare a Caffi
un posto di un certo rilievo nella storia della cultura
europea. Seguono alcuni testi più “politici”: due articoli pubblicati sul quotidiano “L’Umanità”, diretto
all’epoca da Giuseppe Faravelli, nei mesi finali del
1948 (Presupposti della democrazia e Il processo di
involuzione dei Soviet), una Lettera a Carlo Rosselli
(datata 27 luglio; l’anno non è indicato ma si tratta
sistema di Einstein contro quello di Newton (salvo
se si è un credente staliniano che al beneplacido
d’un comitato centrale sottopone anche le leggi
della “genetica” di Mendel o Morgan). La “dittatura
del proletariato” auspica da Marx – come già la democrazia adombrata da Saint–Simon – supponeva
da un lato una questione rigorosamente scientifica
dell’economia mondiale e dall’altro una mentalità
pure scientifica fino in fondo, infusa in tutte le teste dell’attuale “proletariato”.
Purtroppo tale soluzione sembra non solo inattuabile, ma neppure compatibile con quel che rende la vita umana degna di essere desiderata.
L’uomo dovrebbe trasformarsi in non so che mostro d’altra denominazione se cessasse di portare
sempre in sè sia la coscienza della sua connaturata imperfezione, sia il desiderio di cose “impossibili”. Senza avventure imprevedibili né la vita di una
persona né quella d’un gruppo sociale sarebbero
sopportabili.
Tornando a quel che oggi si chiama “democrazia” ed ai “due poli negativi” denunciati da G. Pischel, appare abbastanza chiaro che il conformismo è il male operante ed attuale, del gregge ridotto
probabilmente del 1935) e una Lettera a Nicola Chiaromonte (senza data, ma probabilmente del 1951). Il
volume è completato da due testi del curatore: una
Presentazione originale e una Appendice in cui è riportato, con pochi aggiornamenti bibliografici nelle
note, l’importante saggio Il profeta muto. Politica e
cultura nel pensiero di Andrea Caffi, che costituisce
in effetti il testo della relazione presentata da La Torre alla Giornata di studi su Andrea Caffi tenutasi a
Bologna, nella Sala dei Notai, il 7 novembre 1993.
Il convegno
su Caffi (1993)
Da quel Convegno svoltosi più di venti anni fa – il
primo e a quanto ci risulta tuttora l’unico dedicato
specificamente nel nostro paese alla figura di Andrea Caffi – conviene in effetti partire per tracciare un provvisorio bilancio della fortuna critica più
recente di questo intellettuale e militante politico
coltissimo e schivo, che ha lasciato una traccia profonda in molti di coloro che lo conobbero.
Alla Giornata di studi – organizzata dalla Biblioteca Libertaria “Armando Borghi” di Castel Bolognese
e dalla Associazione “Arti e Pensieri” di Bologna –
presero parte diversi relatori, alcuni dei quali particolarmente qualificati per confrontarsi con il pensiero di Caffi: Giuseppe Armani, Giampietro Berti,
Gino Bianco, Lamberto Borghi, Costanzo Casucci,
Pierluigi Cesa, Goffredo Fofi, Piero Graglia, Gianpiero Landi, Massimo La Torre, Stefano Merli. Gli Atti
del Convegno furono poi pubblicati nel volume Andrea Caffi: un socialista libertario, a cura di G. Landi,
con introduzione di Gino Bianco (Pisa, BFS, 1996).
alla docilità imbecille; l’inquieto fermentare
ed oscillare sono caratteristiche dello stesso
gregge in stato di panico o di “svogliatezza”. E ingiusto tirare in ballo l’individualismo. Più un individuo si afferma come tale, più le sue “opinioni” e
“posizioni” saranno coerenti (non secondo la logica,
ma secondo l’asse psicologico) e intransigenti. Invece la folla muta umore e parere secondo il demagogo – o l’apparecchio pubblicitario – che riesce a
sommuoverla.
I socialisti possono benissimo avversare la “democrazia” che immacabilmente si “polarizza” in
conformismi o vane turbolenze di masse mantenute nell’ignoranza. Di fatto i più ardenti assertori
del socialismo (salvo quelli “scientifici” di cui si è
detto) hanno sempre denunciato i macchinosi apparecchi di accentramento politico, nazionale ed
economico come causa precipua delle “inumane”
condizioni sociali ed hanno auspicato un libero “federalismo” di comunità conformi alla misura della
effettiva comprensione e del normale raggio d’azione d’un uomo semplice.
Andrea Caffi
socialismo libertario
273
In Appendice al volume si trova una accurata Bibliografia Caffiana, a cura di Alberto Castelli, che per
quanto necessiti ormai di alcune integrazioni – se
non altro perché mancano ovviamente i testi usciti
successivamente – rimane comunque un valido
strumento a disposizione di chiunque desideri approfondire le ricerche.
In effetti, si può dire che il Convegno di Bologna
abbia rappresentato l’inizio di un risveglio dell’interesse per Caffi. In precedenza, per chi avesse voluto
conoscere la sua vita e il suo pensiero erano a disposizione praticamente solo quattro o cinque testi,
peraltro ancora oggi fondamentali. Si tratta anzitutto delle raccolte di testi di Caffi Critica della violenza
(a cura di Nicola Chiaromonte, Milano, Bompiani,
1966, p. 333) e Scritti politici (a cura di Gino Bianco,
Firenze, La Nuova Italia, 1970, p. 411), e delle note
biografiche contenute nel libro di Gino Bianco, Un
socialista “irregolare”: Andrea Caffi intellettuale e
politico d’avanguardia (introduzione di Alberto Moravia, Cosenza, Lerici, 1977, p. 108).
A questi testi si potrebbero aggiungere anche una
più agile raccolta di scritti di Caffi, curata sempre
da Gino Bianco e pubblicata con il titolo Socialismo
libertario (Milano, Azione Comune, 1964, p. 91) e il
saggio di Carlo Vallauri, circolato anche in forma
di estratto, Il socialismo umanitario di Andrea Caffi
(Milano, Giuffrè, 1973). Altro non c’era, se non articoli e interventi più o meno occasionali in riviste e
giornali, e qualche riferimento in libri che si occupavano di argomenti più generali. Tra questi ultimi
ci limitiamo a citare le opere di Aldo Garosci, La vita
di Carlo Rosselli (1945) e Storia dei fuorusciti (1953),
di Lamberto Borghi, Educazione e autorità nell’Italia
moderna (1951), di Dino Cofrancesco, Il contributo
della resistenza italiana al dibattito teorico sull’unificazione europea (1975), di Antonello Venturi, Rivoluzionari russi in Italia (1917-1921) (1979), di Corrado
Malandrino, Socialismo e libertà. Autonomie, federalismo, Europa da Rosselli a Silone (1990), di Santi
Fedele, E verrà un’altra Italia. Politica e cultura nei
Quaderni di Giustizia e Libertà (1992).
Quasi contemporaneamente al Convegno di Bologna, o poco dopo, furono pubblicati anche il volume di Stefano Merli, I socialisti, la guerra, la nuova
Europa. Dalla Spagna alla Resistenza 1936-1942
(Milano, Fondazione Anna Kuliscioff, 1993, p. 347),
e il saggio di Andrea Panaccione, I socialisti italiani
e la seconda guerra mondiale (“Giano”, a. V, n. 19,
gennaio-aprile 1995), in cui entrambi gli autori fanno ampi riferimenti all’attività di Caffi nel Partito
socialista italiano in esilio e alla sua collaborazione
con Faravelli, di cui fu un aspetto particolarmente
significativo il contributo fornito alla elaborazione
delle cosiddette “Tesi di Tolosa” (1941-1942). Negli
stessi anni comparve nelle librerie una raccolta di
testi di Caffi (alcuni dei quali ora ristampati nel volume curato da La Torre), con il titolo Mito mistica
magia l’avvenire del romanzo ed altri saggi (Bologna,
Massimiliano Boni, 1994, p. 173). Venne anche ripubblicato in opuscolo il fondamentale saggio di
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socialismo libertario
Caffi Critica della violenza, con una introduzione di
Gino Bianco (Roma, e/o, 1995, p. 94).
Una nuova generazione
di ricercatori
Veniamo ora ai lavori successivi, prodotti spesso
anche se non sempre da una nuova generazione di
giovani studiosi, alcuni dei quali di notevole talento.
Tralasciamo qui le ricerche, ormai numerose e spesso
qualificate, su personaggi movimenti e temi (da Rosselli a Chiaromonte, da “Giustizia e Libertà” al Partito
socialista italiano in esilio tra le due guerre) che alle
vicende di Caffi si legano, e che pure andrebbero conosciute se non altro per delineare con maggior precisione il contesto. Ci limiteremo a citare il libro di Gino
Bianco, Nicola Chiaromonte e il tempo della malafede
(Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1999, p. 175), se non
altro perché costruito in buona misura sulle carte di
Caffi e di Mario Levi, ricevute dall’autore negli anni
’60 proprio da Chiaromonte che ne era il depositario.
Restando agli studi che riguardano specificamente Caffi, procedendo in ordine cronologico vanno segnalati anzitutto i saggi di Alberto Castelli, apparsi
in riviste e in volumi collettivi: Il socialismo liberale
di Andrea Caffi (“Storia in Lombardia”, a. XVI, n. 2,
giugno 1996); Andrea Caffi e la critica della violenza
(“Giano”, n. 23, ottobre 1996); La scelta federalista
di Andrea Caffi (“Il Politico”, n. 4, 1997); Andrea Caffi (in Le periferie della memoria. Profili di testimoni
di pace, Milano, M&B, 2000); Andrea Caffi e la rivoluzione delle coscienze (in Eretici e dissidenti. Nuovi
protagonisti del XIX e XX secolo tra politica e cultura,
a cura di G. Angelini e A. Colombo, Milano, Franco
Angeli, 2006); Socievolezza e amicizia nel pensiero di
Andrea Caffi (in De Amicitia. Scritti dedicati a Arturo
Colombo, a cura di G. Angelini e M. Tesoro, Milano,
Franco Angeli, 2007); Andrea Caffi. Socialismo e critica della violenza (in L’altro Novecento. Comunismo
eretico e pensiero critico, a cura di P. P. Poggio, Milano, Jaca Book, 2010).
Castelli, attualmente docente all’Università di
Ferrara, ha curato anche il libro L’Unità d’Italia. Pro
e contro il Risorgimento (Roma, e/o, 1997, p. 124; II
ed., 2010, p. 141), contenente scritti di A. Caffi, Umberto Calosso, N. Chiaromonte, Piero Gobetti, Antonio Gramsci, G. O. Griffith, Carlo Rosselli, Gaetano
Salvemini, Franco Venturi. Merito del volume è quello di avere riproposto, raccolti insieme, i documenti
dell’importante polemica su Mazzini e il Risorgimento che alla metà degli anni Trenta mise in luce la
diversità di impostazione politica ormai esistente in
“Giustizia e Libertà” tra Caffi e Rosselli, e fu all’origine del successivo distacco dal movimento del gruppo
dei cosiddetti “novatori”. A Castelli si deve inoltre Politics e il nuovo socialismo. Per una critica radicale del
marxismo ( Genova-Milano, Marietti, 2012, p. 264),
un libro in cui sono contenuti scritti di Caffi e – soprattutto – si parla molto di lui.
Poco prima della sua morte, avvenuta nel 2005,
Gino Bianco ha pubblicato una nuova edizione del
suo saggio biografico di Caffi già apparso nel 1977
per i tipi della editrice Lerici. Il nuovo volume, dal titolo Socialismo e libertà. L’avventura umana di Andrea
Caffi (Roma, Jouvence, 2006, p. 275), è arricchito da
una corposa appendice di documenti e da immagini. Qualche anno dopo è stata pubblicata una nuova
raccolta antologica di testi di Andrea Caffi, Scritti scelti di un socialista libertario, a cura di Sara Spreafico,
con prefazione di Nicola Del Corno (Milano, Biblion,
2009, p. 189). Aldilà della meritoria ristampa di una
serie di saggi già pubblicati in volumi di cui ci siamo
qui occupati in precedenza, alcuni dei quali da tempo
fuori commercio, il libro si segnala per l’interessante
saggio introduttivo della curatrice.
Infine arriviamo a due testi che sono probabilmente i più importanti tra quelli recenti di cui ci stiamo
occupando. Marco Bresciani, con La rivoluzione perduta. Andrea Caffi nell’Europa del Novecento (Bologna, Il Mulino, 2009, p. 310) ci ha dato – dopo gli
studi pionieristici di Gino Bianco – quella che può
essere considerata la prima vera biografia di Caffi,
ricostruendone con acume critico e competenza l’intero percorso di vita e di pensiero. A distanza di pochi anni Bresciani è tornato sull’argomento, curando la pubblicazione di “Cosa sperare?” Il carteggio
tra Andrea Caffi e Nicola Chiaromonte: un dialogo sulla rivoluzione (1932-1955), con prefazione di Michele
Battini (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2012,
p. 588). Con questi contributi, a cui se ne potrebbero aggiungere altri di minore impegno apparsi su
riviste, Bresciani ha ampliato e rinnovato in modo
significativo le nostre conoscenze su Caffi, facendo
compiere loro un non trascurabile salto di qualità.
Il suo lavoro, e quello degli altri ricercatori, è stato
sicuramente favorito dal fatto che negli ultimi decenni siano stati riordinati e aperti al pubblico fondi
archivistici importanti. Le carte di Caffi sono sparse
in diversi archivi ma i nuclei più consistenti e rilevanti si trovano oggi prevalentemente in tre fondi: i
Nicola Chiaromonte Papers, conservati nella Beinecke Library della Università di Yale (New Haven); l’Archivio personale Andrea Caffi conservato presso la
sede dell’Associazione Nazionale per gli Interessi del
Mezzogiorno d’Italia (Roma); il Fondo Andrea Caffi
presso la Biblioteca Gino Bianco (Forlì). Per inciso,
i siti web della Biblioteca Gino Bianco e della rivista
“Una Città” sono particolarmente ricchi di documentazione per quanto riguarda Caffi, Chiaromonte e il
loro entourage.
Anche se l’essenziale è ormai noto, siamo tuttavia
convinti che resti da scoprire non poco, e che ancora si celino sorprese in archivi pubblici e privati, in
particolare francesi e russi. Intellettuale erudito ed
enciclopedico, “bohemien” cosmopolita e poliglotta in
relazione con i più diversi ambienti sociali e nazionali,
schivo maestro della elusione e della vita in ombra,
addestrato all’arte della dissimulazione da anni di cospirazione e di agitazione politica clandestina, Andrea
Caffi non ha affatto intenzione di smettere di stupirci.
Leggere Caffi
Si riportano qui di seguito i principali testi
di e su Andrea Caffi pubblicati in volumi nel
secondo dopoguerra. Alcuni sono ancora reperibili in commercio, altri si possono trovare in
biblioteche pubbliche.
Testi di Andrea Caffi
- Socialismo libertario, a cura di Gino Bianco, Milano, Azione Comune, 1964, p. 91.
- Critica della violenza, con prefazione
di Nicola Chiaromonte, Milano, Bompiani,
1966, p. 333.
- Scritti politici, a cura di Gino Bianco, Firenze, La Nuova Italia, 1970, p. 411.
- Critica della violenza, introduzione di
Gino Bianco, Roma, e/o, 1995, p. 94.
- Scritti scelti di un socialista libertario, a
cura di Sara Spreafico, con prefazione di Nicola Del Corno, Milano, Biblion, 2009, p. 189.
- L’unità d’Italia. Pro e contro il Risorgimento, a cura di Alberto Castelli, Roma, e/o,
2010, p. 141 [scritti di: A. Caffi, U. Calosso,
N. Chiaromonte, P. Gobetti, A. Gramsci, C.
Rosselli, G. Salvemini, F. Venturi].
- “Politics” e il nuovo socialismo. Per una critica radicale del marxismo, a cura di Alberto
Castelli, Genova-Milano, Marietti, 2012, p.
264.
- Cosa sperare? Il carteggio tra Andrea Caffi
e Nicola Chiaromonte: un dialogo sulla rivoluzione (1932-1955), a cura di Marco Bresciani,
Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2012, p.
588.
- Politica e cultura, a cura di Massimo La
Torre, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2014, p.
200.
Testi su Andrea Caffi
- Gino Bianco, Un socialista “irregolare”:
Andrea Caffi intellettuale e politico d’avanguardia, introduzione di Alberto Moravia, Cosenza, Lerici, 1977, p. 108. [Nuova edizione,
con il titolo Socialismo e libertà. L’avventura umana di Andrea Caffi, Roma, Jouvence,
2006, p. 273].
- Andrea Caffi: un socialista libertario, Atti
del convegno di Bologna (7 novembre 1993), a
cura di Gianpiero Landi, introduzione di Gino
Bianco, Pisa, BFS, 1996, p. 204. [in Appendice contiene una Bibliografia Caffiana, a cura
di Alberto Castelli, a cui si rimanda per ulteriori approfondimenti].
- Marco Bresciani, La rivoluzione perduta:
Andrea Caffi nell’Europa del Novecento, Bologna, Il Mulino, 2009, p. 310.
Gianpiero Landi
socialismo libertario
275
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Politica e cultura nel pensiero di Andrea Caffi