SU UNA DISASTROSA CRISI AGRUMARIA IN SICILIA ALLA FINE DEL 1800 di Giuseppe La Malfa A seguito della ricognizione dei reperti bibliografici riguardanti la storia e le caratteristiche dell’agricoltura siciliana ci siamo imbattuti in un opuscolo incentrato sulla crisi agrumaria registrata in Sicilia alla fine dell’800 e che ha interessato il commercio dei principali prodotti agrumicoli, soprattutto arance e limoni. Il volume, dal titolo “La crisi agrumaria in Sicilia”, raccoglie quindici lettere apparse sul “Corriere di Catania” dal 10 maggio al 23 luglio 1897 ed è stato pubblicato dallo Stabilimento Tipografico “Catania” nello stesso anno 1897. L’autore delle lettere è tale A. Bruno Ardizzone, autore poco conosciuto, sicuramente esperto ed appassionato agrumicultore a giudicare anche dagli incarichi che ha ricoperto presso le associazioni di produttori agricoli, ai quali fa esplicito riferimento in una delle lettere, a proposito della risposta data ad un deputato che parlava nel primo Comizio Agrumario svoltosi a Catania. Altro non è stato possibile ricavare sulla biografia di Bruno Ardizzone, perché le schede delle pur fornite biblioteche locali non comprendono pubblicazioni dell’Autore ed anche la ricerca sul Servizio bibliotecario nazionale segnala la presenza di questa unica opera nella Biblioteca nazionale di Firenze. Qualche curiosità in più può essere soddisfatta sul periodico in cui le lettere sono apparse. Il “Corriere di Catania” era stato fondato nel 1879, quale organo ufficiale per gli Atti della Camera di Commercio ed Arti di Catania, ed avrà dal 1911 quale direttore l’on. Giuseppe De Felice Giuffrida e cesserà le pubblicazioni nel 1930, confluendo nel quotidiano Popolo di Sicilia, organo del fascismo della Sicilia orientale. Le lettere rivestono un indubbio valore storico sulle problematiche dell’agrumicoltura degli anni immediatamente precedenti all’inizio del XX secolo. Ma esse contengono assai interessanti analogie con la situazione attuale soprattutto nelle parti che svolgono rigorose critiche tanto ai provvedimenti del governo, quanto ai comportamenti dei produttori agricoli cui lo stesso autore appartiene. L’incipit della prima lettera è particolarmente brillante e mette in evidenza la specificità della crisi scoppiata in Sicilia e che riguarda l’aspetto del collocamento dei prodotti sul mercato estero. “A trovare rimedi alla disastrosa crisi agrumaria, che è scoppiata in Sicilia e che disgraziatamente non sarà transitoria, tutto il mondo italiano pare intento. Riunioni particolari, Comizi di popolo, Camere di Commercio in movimento, commissioni di deputati, petizioni, interpellanze parlamentari, articoli di giornali, popolari concioni non scevre di imprecazioni e minacce all’indirizzo del Governo…Un finimondo. E il Governo stesso (…) trascinato da siffatto turbinio si arrabatta, (…) quantunque convinto di non potere adempiere le sue promesse poco o meno serie ed attendibili. Però vi siete convinti, che tutto questo ormeggio di agitazione (…) riuscirà a riparare l’immane falla, che nella barca dell’industria e del commercio agrumario si è aperta? Per me, Iddio mel perdoni, non ci ho saputo vedere finora, che una colossale illusione.(…) E il popolo, che in questo caso sarebbe la massa dei produttori e commercianti agrumari, partecipanti a quel vizio comune degli Italiani che tutto attendono dal Governo, beandosi nel far niente, stordito,…pare che resti rassegnato ed inerte aspettando dall’Alto la manna riparatrice (…). Ma voi intelligenti e forti produttori agrumari, ai quali specialmente intendo indirizzare queste lettere, voi avete più esatto concetto della situazione, voi siete persuasi come me, che il Governo italiano, pur seriamente volendolo poco o nulla potrebbe fare di effettivamente efficace.” Le promesse del Governo cui Ardizzone si riferisce riguardavano una dilazione del pagamento di alcune imposte e la riduzione delle tariffe ferroviarie e doganali. Certo l’Autore non poteva pensare che centodiciotto anni più tardi invece di dilazione del pagamento della fondiaria si sarebbe discusso della introduzione dell’IMU sui terreni agricoli e invece di riduzione di tariffe ferroviarie si sarebbe parlato di interruzione del servizio di collegamento ferroviario sullo stretto di Messina! L’Autore argomenta che tali agevolazioni avrebbero effetti irrisori rispetto alle perdite che i produttori subiscono per la riduzione degli sbocchi commerciali nei principali Paesi importatori delle arance e dei limoni siciliani. La possibilità di esportare gli agrumi in Russia e negli Stati Uniti – sostiene – appare illusoria. Infatti per la Russia l’esportazione è limitata perché “arance e limoni sono merce di consumo voluttuario per i soli ricchi”. Per gli Stati Uniti il motivo è diverso: è vero che il consumo di agrumi è diventato un bisogno generale, ma le produzioni di Florida e California “fra qualche anno” saranno sufficienti a coprire la domanda interna e anche ad esportare in altri Paesi e sin d’ora spingono le autorità a imporre aumenti intollerabili dei dazi per le produzioni in arrivo dall’Europa. D’altra parte, secondo l’Autore, la soluzione proposta di accrescere l’esportazione verso la Russia richiederebbe di elevare le tariffe doganali sui grani e sui petroli americani, lasciandole immutate per i prodotti russi. Ma ciò non è possibile –sostiene - sia perché le tariffe doganali dovranno essere uguali per i vari Paesi, sia perché una guerra di tariffe finirebbe a danno di chi l’ha provocata, cioè l’Italia, che non può mettere a repentaglio le altre merci (vino, zolfi, coralli) che esporta negli Stati Uniti, senza contare che “quattro milioni di italiani hanno cercato un pane nel Nuovo Mondo”. Ma l’Ardizzone esamina anche soluzioni di ben più ampio respiro, quale quella di trovare nuovi sbocchi per gli agrumi nell’Estremo Oriente (Cina e Giappone) ed anche in Australia. Ma le ritiene non praticabili, per due motivi sostanziali: anzitutto perché ritiene che “il consumo di una derrata esotica non si improvvisa” e sempre “la domanda deve precedere l’offerta” e poi perché la lunghezza del viaggio in nave “farebbe aumentare il marcio”in modo inaccettabile. Certo queste sono le riflessioni più legate a condizioni storiche oggi del tutto superate. Infatti sembra oggi incomprensibile l’affermazione che l’Autore fa con tanta sicurezza sui gusti alimentari del suo tempo (“Se in Sicilia arrivasse un carico di banane si può essere certi che nessuno ne comprerebbe”), come appare eccessivo il timore per la conservazione degli agrumi nell’epoca attuale che ha conosciuto tanti progressi nelle tecniche di conservazione dei frutti in post-raccolta e tempi di percorrenza dei trasporti di gran lunga ridotti rispetto a quelli della fine del 1800. Ben più valida è la convinzione centrale dell’Autore che affida ad un ironico proverbio siciliano: “Cu spranza d’autru la pignata metti / Non ha paura di lavari piatti”. In altre parole non bisogna fare affidamento sulle provvidenze del Governo nazionale, quanto piuttosto pensare da se stessi alla soluzione dei problemi. E qui si colloca la proposta dell’unico efficace rimedio, quello di “avvicinare il prodotto al consumatore attraverso tre mezzi: la rèclame, la mostra ed i commessi viaggiatori, come avviene per altri prodotti, dallo champagne alle porcellane”. In particolare Ardizzone si sofferma sul ruolo dei “commessi viaggiatori”, destinati ad operare all’estero per contattare i clienti, gestendo anche i depositi di agrumi nei porti principali. Il punto essenziale è la costituzione dell’Associazione dei produttori e l’eliminazione delle “ruote intermedie” che fanno complicato e costoso il commercio degli agrumi. La struttura proposta da Ardizzone è piuttosto articolata. Si tratta di dividere la Sicilia agrumaria in quattro grandi regioni (Messina, Palermo, Siracusa e Catania), ognuna suddivisa in tre Contrade o Distretti (montagna, mezza montagna e marina), che a loro volta comprendono più territori comunali. I rappresentanti dei Comitati a livello territoriale (costituiti dai proprietari di maggiore estensione di agrumeti) nominerebbero i rappresentanti dei Comitati di Contrada, i quali a loro volta nominerebbero due commissari ciascuno che formerebbero il Comitato siciliano costituito da 8 membri. Una tale proposta provocò la reazione di altri proprietari che, pur lodando la competenza dell’autore e le azzeccate critiche, considerarono utopica la proposta di un “colossale” Consorzio che comprendesse l’intera isola con una struttura così complicata di comitati, sottocomitati, commessi viaggiatori, magazzini di deposito all’estero, commissioni e spedizioni dirette, ecc. La lettera del 20 luglio 1897,, anch’essa pubblicata sul Corriere di Catania, aggiunge un interessante confronto con un’altra esperienza che aveva avuto successo nell’isola, ma per sottolinearne la non applicabilità all’agrumicoltura: “un Consorzio fra i proprietari e industriali di zolfo fu costituito per l’efficacissima cooperazione del Governo, di Florio e di una società di banchieri inglesi”, ma questa esperienza non può estendersi alla classe di “incolti campagnoli proprietari di agrumeti”. Ardizzone non si scompone: pubblica l’intera lettera, difende la sue posizioni, dichiarando che “quei pochi che, come me, ci vedono oltre una spanna nella disgraziata contingenza” non sono Profeti, Poeti, Utopisti ma Realisti, perché dalla “natura della malattia deducono il male e dalla natura di questo il rimedio”. Egli rivendica che il complesso sistema di istituzioni e di funzionamento è orientato a diminuire le spese mettendo in contatto il produttore con il consumatore, eliminando gli speculanti e negozianti intermedi. Ma anche consente che la soluzione di un solo Consorzio per l’intera Sicilia potrebbe essere modificata, poiché significativi vantaggi potrebbero ottenersi anche se l’azione dei Consorzi fosse limitata solo ad una parte dell’isola. Aree italiane agrumicole interessate da marchi di produzione DOP e IGP (da Tribulato, E.,Inglese,P ( a cura di) “Agrumi”, Bayer CropScience, Bologna, 2012). Quale lezione la rilettura delle riflessioni di A. Bruno Ardizzone può darci oggi? Probabilmente nessuna dal punto di vista immediatamente operativo, anche se mutatis mutandis è interessante notare come le esigenze di oltre un secolo fa sono almeno in parte, e purtroppo, rimaste attuali, soprattutto a motivo di una filiera ancora oggi troppo lunga e frammentata. Oggi l’agrumicoltura italiana può vantare al suo attivo un consistente numero (oltre una diecina al 2013, di cui cinque in Sicilia) di prodotti che vantano marchi di origine riconosciuti e promossi a partire dal 1992 dall’Unione Europea (Regolamenti 2081 e 2082) e che fanno riferimento alle Indicazioni Geografiche “Denominazione di Origine Protetta” (DOP) e “Indicazione Geografica Protetta (IGP). Non mancano poi altri tipi di marchi di qualità e di origine, nonché tentativi di coordinare tra loro le iniziative di tutela presenti (distretto produttivo Agrumi di Sicilia). Molte di queste iniziative fanno leva sullo straordinario patrimonio di agrobiodiversità della nostra agrumicoltura ed operano nel tentativo di coniugare prodotti tradizionali, ambienti di coltivazione e sostenibilità economica. Occorrerebbe però, oggi come allora, provare ad aprirsi ad una prospettiva ben più ampia, che includa nelle valutazioni economiche l’attenzione ai processi di globalizzazione di cui lo stesso Ardizzone era già consapevole. La pioneristica sensibilità di un produttore della fine del XIX secolo, del quale vorremmo meglio conoscere la personalità e l’opera, può essere un pungolo quanto mai attuale ed opportuno a scegliere valide soluzioni per il rilancio del commercio degli agrumi. Giuseppe La Malfa