1 2 Sommario Sandro Montorfano I La filosofia secondo me Filosofia e Cristianesimo la Patristica .......................................... p.04 II I Dottori della Chiesa ......................... p.10 III L’Opera DI Sant’Agostino .................. p.16 IV Il Pensiero Medioevale....................... p.22 V San Benedetto ................................... p.26 VI Gregorio Magno................................. p.29 VII Le Invasioni e il Medioevo.................. p.32 VIII L’Islam in Europa ............................... p.40 IX La Grande Sintesi .............................. p.44 X Giovanni Scoto .................................. p.47 XI Il Nuovo Millennio Il Medioevo ........... p.50 XII San Tommaso d’Aquino..................... p.55 XIII Gli Scolastici Francescani.................. p.60 XIV Eclissi del Papato .............................. p.64 XV Il Rinascimento .................................. p.68 XVI Platonismo e Aristotelismo Rinascimentale .................................. p.73 XVII Il Rinascimento Europeo.................... p.78 XVIII Riforma e Controriforma ................... p.85 Epilogo............................................... p.90 Click su di una riga per andare alla pagina Sommario 3 4 VOLUME II Credo per Capire ANNO II I FILOSOFIA E CRISTIANESIMO LA PATRISTICA Capisco per credere La Filosofia Secondo Me ±±±±±±±±±±±±±±±±±±±± Sandro Montorfano Quando il Cristianesimo apparve in Palestina, fu predicato e diffuso da ebrei a ebrei, come fosse un giudaismo riformato in un ambiente saturo di speranze di salvezza religiosa, non solo messianiche ed ebraiche. Già prima, ma principalmente dopo la rivolta, antiromana del 70 d.C., gli ebrei, si dispersero in tutte le principali città dell’antichità formando delle colonie, di profughi si direbbe oggi, destando un certo interesse tra le popolazioni, per le loro dottrine religiose. Coloro che, tra i gentili, non si riconoscevano più nello stoicismo, né nelle religioni ufficiali greche o romane, ne furono attratti e manifestarono un certo interesse, anche se la teoria di un popolo eletto veniva vista con sospetto. Il Cristianesimo, che inizia proprio allora ad essere conosciuto e apprezzato dal mondo romano occidentale, opera fin dall’inizio una differenziazione dottrinale nei confronti del giudaismo ortodosso, rafforzando l’orientamento platonico e stoico, che provoca negli ambienti ebraici oltranzisti un irrigidimento su posizioni più tradizionaliste, causandone il distacco, fino all’ostilità (protrattasi per secoli) tra le due religioni. Gli apostoli, nella loro opera di proselitismo, si resero conto che la nuova religione, volendo divenire universale e non circoscritta alla Palestina o al mondo ebraico, incontrava delle difficoltà nella diffusione a causa di alcune pratiche rituali della legge mosaica, troppo restrittiva e poco attraente per i non ebrei, (circoncisione, il rifiuto di carne di maiale). E’ San Paolo, con le sue predicazioni, ad imporre un cambiamento dottrinale non marginale. Ciò è stato possibile 5 I * Filosofia e Cristianesimo la Patristica attraverso le numerose comunità cristiane da lui fondate e diffuse in tutto il Mediterraneo, composte da ebrei convertiti, ma anche da pagani che aderivano con grande fervore e partecipazione alla nuova religione. In un’età di decadenza religiosa, i suoi dogmi resero attraente il giudaismo presso le comunità non ebraiche, lasciando decadere alcune pratiche troppo rigorose. Il Cristianesimo, grazie all’opera di San Paolo, superò l’ostacolo, conservando quelle prerogative della dottrina ebraica che i nuovi adepti ritennero accettabili e modificando le pratiche più arcaiche, considerate di difficile applicazione. Gli indirizzi dottrinali prevalenti nella società in quel momento erano due: lo gnosticismo, che costituiva una via di mezzo tra il paganesimo e il Cristianesimo, perché pur onorando Cristo, sosteneva la ragione come solo mezzo di salvazione; l’altro il manicheismo, che combinava elementi Cristiani e zoroastriani, insegnava che il male è un principio insito nella materia, mentre il bene è parte dello spirito, per cui la salvezza la devi ricercare solo nella spiritualità. Tali dottrine intermedie, contribuirono non poco nell’indirizzare verso la nuova religione alcuni uomini colti, di lingua greca e di cultura Ellenista.. Fu attraverso il manicheismo che Sant’Agostino giunse alla fede cattolica. Gli adepti di queste filosofie, continuarono a prosperare fino a quando l’impero divenne cristiano, poi ebbero una influenza minore e più nascosta. Nel VI sec. una delle dottrine di queste sette gnostiche, fu adottata da Maometto. Quando il Cristianesimo emerse con la propria fisionomia, non poche furono le difficoltà che si interposero con il mondo pagano di cultura ellenistica; a cominciare dal rifiuto di riconoscere la divinità dell’imperatore, l’affermazione della separazione tra sfera politica e sfera religiosa, l’uguaglianza proclamata tra gli uomini, la decisa contestazione della corruzione nella società e della classe politica cui i cristiani si 6 I * Filosofia e Cristianesimo la Patristica contrapponevano con una forte coerenza etica. Seguirono periodi di grande tensione e incomprensioni tra i due modi di approccio alla vita pubblica, con persecuzioni e disordini, favoriti anche da dispute interne al cristianesimo di ordine dottrinale, ai quali anche gli imperatori non erano estranei secondo convenienza. Poi a poco a poco, il confronto sul piano etico e politico venne agevolato e assimilato con l’editto di Costantino prima, ma soprattutto con l’imperatore Teodosio, che dando il suo appoggio alla parte cattolica ortodossa, giunse ad una pacificazione tra impero e cristianesimo. Sul piano propriamente culturale il confronto fu più impegnativo ma meno conflittuale tanto che l’affinità della filosofia ellenistica e neoplatonica si può già vedere dai primi scritti cristiani dell’evangelista Giovanni, dove Cristo si identifica con il Logos platonico-stoico. Più ancora si osserva nelle epistole di S. Paolo e negli scritti dei Padri, che mostrano una notevole conoscenza della cultura greca. Almeno due furono gli atteggiamenti di approccio del cristianesimo con la cultura pagana dominante; quello intransigente, che trova la verità racchiusa nel Cristianesimo in virtù di una testimonianza superiore, per cui non serve ricercarla con la filosofia ma basta la Fede (Tertulliano). L’altro quello conciliativo, (scuola di Alessandria), che accetta la rivelazione del messaggio cristiano, domandandosi qual è il significato e per quale via può veramente intenderlo e farlo suo. Riconosciuta la verità quale è rivelata come valore assoluto, si determina nell’uomo, l’esigenza di comprenderla nel suo significato autentico onde poterla vivere nella sua pienezza. E’ compito della filosofia soddisfare questa esigenza di ricerca che rinasce nell’uomo dalla stessa rivelazione, venendo in suo aiuto nel tradurla in linguaggio umano (S. Giustino, Origene ecc.). 7 I * Filosofia e Cristianesimo la Patristica Un terzo atteggiamento, che ha avuto scarsa influenza ma fu un fenomeno elitario, proponeva che, solo con la ragione (gnosi) era comprensibile il messaggio cristiano e che bastava la conoscenza razionale per ottenere la salvezza (gnosticismo). Tra le prime due prevalse alla fine la seconda e le conseguenze che ne seguirono furono decisive. Con la formazione di un patrimonio culturale originale, nacque dalla religione cristiana, una filosofia cristiana, frutto dell’incontro tra elementi biblici e la concezione del mondo filosofico. Gli strumenti indispensabili per questo compito il Cristianesimo, li trova già pronti nella filosofia greca, le cui dottrine dell’ultimo periodo, prevalentemente religioso (neoplatonismo), si prestano egregiamente ad esprimere in modo comprensibile all’uomo, il significato della rivelazione di Cristo. Compito della filosofia cristiana, libera dalla necessità di scoprire nuove verità e di ampliarne l’originalità della dottrina, è di indicare la via migliore e più approfondita per farla propria, perché ciò che è necessario alla salvezza e alla verità dell’uomo lo ha insegnato Cristo suggellandolo con il martirio. Nella Chiesa cristiana la filosofia è diretta a chiarire una verità, già nota fin dall’inizio, nell’ambito di una responsabilità collettiva, nella quale ogni individuo trova una guida ed un limite. Diversamente dalla filosofia greca, dove a fissare i termini e il significato del problema è il frutto di una ricerca autonoma, qui i termini e la natura del problema sono già dati. Nel confronto con sistemi di pensiero tanto complessi, le comunità cristiane si trovarono impegnate nel difficile compito di presentarsi con un’espressione compiuta e definita per quanto concerne l’identità, sotto il profilo filosofico e dottrinale, oltre ai temi dell’integrazione nella società e della responsabilità pubblica. Questo periodo di elaborazione (patristica), che si prolunga 8 I * Filosofia e Cristianesimo la Patristica fino al VII sec., è caratterizzato dagli scritti dei Padri della Chiesa le cui opere accettate e fatte proprie dalla Chiesa, pongono le basi e danno un contributo essenziale alla elaborazione dottrinale del cristianesimo. Storicamente, questi sono secoli di grandi stravolgimenti, causa le complesse trasformazioni territoriali, politiche, culturali oltre che di cambiamento del pensiero filosofico e formativo. Tale periodo, può essere suddiviso in tre parti. Il primo che dura fino al 200, è dedicato alla difesa del cristianesimo contro pagani ed ebrei, ma anche contro i nemici interni, le sette e le dottrine eresiaste dei primi secoli che minano dall’interno l’unità spirituale del cristianesimo (gnosticismo). In questi primi tempi è già esplicitato il principio che il cristianesimo è la “vera filosofia” e che solo i cristiani hanno quel concetto di Dio, dal quale deriva necessariamente la considerazione della natura quale appare nei cieli e sulla terra e che fa pensare che tutto sia mosso con necessità da colui che governa tutto. Il secondo periodo arriva fino al 450 dedicato alla formulazione dottrinale vera e propria. In questa successiva elaborazione, vengono meno i motivi polemici degli apologisti precedenti e cresce l’esigenza di costituire la dottrina ecclesiastica in un organismo unico e coerente, fondato su una solida base logica. La parte filosofica diventa preponderante e la continuità stabilita fra cristianesimo e filosofia pagana si rinsalda e si approfondisce, fino a rappresentare, il cristianesimo, la vera e autentica filosofia che assorbe e porta alla verità il sapere antico. Mediante questo fervore, le dottrine trovano la loro sistemazione definitiva, e le speranze di affermazione delle numerose sette fiorite nel periodo precedente, vengono meno. Questo, è stato il periodo decisivo per la costruzione dell’intero edificio dottrinale del cristianesimo. Sommario 9 I 10 * Filosofia e Cristianesimo la Patristica II L’ultimo periodo che si protrae fino al 750 circa è dedicato alla rielaborazione e sistemazione delle dottrine già formulate. A partire dalla metà del V° secolo la patristica perde ogni vitalità speculativa. In Oriente, questa attività sopravvive nelle dispute teologiche, quindi diventa servizio della politica ecclesiastica, perdendo ogni valore filosofico. In Occidente, la civiltà romana è andata in frantumi sotto i colpi dei barbari ed il pensiero speculativo si è addormentato con il sonno della civiltà europea. La cultura è al traino del passato, gli scrittori latini dell’ultima patristica si muovono sulla scia di S. Agostino, manifestando la stessa mancanza di originalità speculativa dei loro contemporanei greci e la stessa tendenza a riesporre, coordinare e sistemare dottrine già conosciute. Rimane solo un nucleo culturale di interesse laico, che si indirizza verso le arti liberali (grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, astronomia, musica, geometria). Questa debolezza strutturale e morale della civiltà di quel momento, è la causa prima della rapida e totale affermazione araba che, dopo la morte di Maometto nel 632, prima verso la Siria e l’Oriente, poi dall’Egitto, nell’arco di poche decine di anni, dilagò a macchia d’olio nel nord Africa fino alla Spagna, dando origine a una diversa forma di civiltà. I DOTTORI DELLA CHIESA I dottori della Chiesa d’occidente sono quattro: Sant’Ambrogio, San Gerolamo, Sant’Agostino e papa Gregorio Magno. Di questi i primi tre furono contemporanei, mentre il quarto è di un’epoca successiva. Ambrogio, Gerolamo e Agostino, vissero tra il 340 e il 430 circa, nel periodo del trionfo della Chiesa cattolica nell’impero romano, fino alle invasioni barbariche in Italia e in Africa. Gli imperatori, dal 335 al 378 favorirono più o meno apertamente la dottrina ariana, ma nel 379, Teodosio, dando il suo appoggio ai cattolici assegnò loro la vittoria in tutto l’impero. Successivamente, nell’occidente vi fu un’altra dominazione ariana, quella dei Goti e dei Vandali che durò per circa un secolo, fino alla definitiva sconfitta per mano di Giustiniano, dei Longobardi e dei Franchi, popolazioni convertite al cattolicesimo ortodosso. Durante i secoli bui e per tutto il periodo medioevale, l’opera e l’autorità indiscussa di questi padri della Chiesa, costituì l’impronta su cui la cristianità si configurò. Sant’Ambrogio precisò la concezione ecclesiastica delle relazioni tra Stato e Chiesa; San Gerolamo dette alla Chiesa occidentale la sua Bibbia in latino e gran parte dello slancio verso il monachesimo; Sant’Agostino definì la teologia della Chiesa fino alla Riforma, e fu il fulcro delle controversie teologiche del XVI e XVII secolo. Sant’Ambrogio nacque nel 340 a Treviri una città di frontiera con i Germani, il padre era un alto funzionario presso popoli Galli. Ambrogio fu mandato a Roma all’età di tredici anni a studiare, tra l’altro con ottimo profitto, soprattutto in letteratura greca. In età adulta si dedicò alla Legge con successo, finché a 11 II * I Dottori della Chiesa trent’anni venne nominato governatore della Liguria e dell’Emilia in qualità di Prefetto, rappresentando per parecchi anni, con molta competenza il suo incarico, nei confronti della comunità. Capitale dell’impero d’Occidente era Milano e quando il vescovo ariano Ausenzio venne a mancare per cause naturali, la popolazione acclamò Ambrogio suo successore, incarico che fu in seguito approvato e sottoscritto dall’imperatore. Non si sa con certezza se in quel momento Ambrogio fosse già cristiano o, ancora pagano, si sa solo che nel giro di una settimana il funzionario governativo ricevette i sacramenti, gli ordini e il cappello episcopale. Dette i suoi beni ai poveri e dedicò completamente la sua vita al servizio della Chiesa. La sua carica lo portava frequentemente a contatto con gli imperatori con i quali si rapportava da uguali o frequentemente da superiore. Caratteristico dei tempi, erano i rapporti con la corte imperiale di profondo contrasto, dovuto ad uno Stato debole e incompetente guidato da arrivisti senza principi, completamente incapaci di una politica lungimirante, mentre la Chiesa era vigorosa, abile, guidata da uomini pronti a sacrificarsi, capaci di una politica saggia per poterla condurre alla vittoria. Sant’Ambrogio scrisse molto, numerosi sono gli scritti rimasti conservati. Le più importanti e interessanti lettere sono rivolte agli imperatori contestando o suggerendo il punto in cui hanno mancato al loro dovere, oppure congratulandosi per averlo osservato. Fu eminente uomo di Stato, che con l’astuzia e il grande coraggio ha consolidato il potere della Chiesa. Esempio di ciò fu, quando sorse una disputa sulla necessità di concedere una chiesa della città a favore dei fedeli ariani, egli rifiutò, il popolo milanese si schierò con lui e occupò la chiesa. Soldati e funzionari dell’imperatore (ariani), furono mandati a prenderne possesso ma arringati da Sant’Ambrogio, fraternizzarono con la 12 II * I Dottori della Chiesa folla, rifiutandosi di usare violenza e l’imperatore fu costretto a rinunciare. Questo fu uno dei tanti episodi che sancirono, nella lunga lotta per il potere tra Stato e Chiesa, la sottomissione di quello a questa. Ambrogio ebbe modo in altre occasioni di dimostrare che ci sono delle questioni che anche lo Stato e l’imperatore devono sottostare all’autorità della Chiesa. Oltre che come uomo di Stato, fu per altri aspetti un tipico uomo di chiesa del suo tempo. Scrisse come altri, un trattato sulla verginità e un altro di biasimo per le seconde nozze delle vedove. Anche se come erudito fu inferiore a Gerolamo e filosofo non eccelso come Agostino, come uomo di Stato, con coraggio e decisione, si pone in una posizione di primo piano, nel consolidamento del potere della Chiesa. Gerolamo nacque nel 345 non lontano da Aquileia non da famiglia ricca ma benestante. Studiò retorica a Roma dove condusse una vita libertina, viaggiò in Gallia, e alla fine si stabilì ad Aquileia dove condusse una vita da asceta. Si recò in Siria per 5 anni conducendo vita da eremita nel deserto, in espiazione delle sue colpe e dei trascorsi della vita romana. Dopo questo periodo si recò a Costantinopoli, proseguì e si stabilì a Roma, dove divenne consigliere del papa Damaso il quale lo incoraggiò a intraprendere la traduzione della Bibbia in latino (La Vulgata). San Gerolamo sostenne molte dispute. A causa della sua ammirazione, rivelatasi molto incauta, nei confronti dell’opera di Origene sulla Trinità, dovette dedicare tempo ed energia nel ripudiare i suoi errori teologici, a seguito della scomunica dell’opera di questi, tanto da rompere l’amicizia con Rufino. La traduzione in latino del Vecchio Testamento fu duramente criticata dai cristiani, ma lui la respinse nettamente; disputò violentemente con Pelagio e dopo la morte di Damaso ebbe dei contrasti col nuovo papa tanto da convincersi a lasciare Roma 13 II * I Dottori della Chiesa per Betlemme (386), fino alla morte nel 420, fu anche l’iniziatore della pratica monacale. Gerolamo è degno di nota principalmente per aver tradotto in latino la Bibbia ammessa ufficialmente, ancora oggi, dalla Chiesa Cattolica. All’inizio, ci furono forti resistenze ad accettare la sua versione, a causa dell’aiuto chiesto a dei rabbini, da sempre sospettati di manipolare i testi Sacri. Alla fine però finì con l’imporsi anche con l’aiuto di Sant’Ambrogio che lo appoggiò senza riserve. Le sue numerose lettere esprimono i sentimenti indotti dalla sempre peggiore situazione dell’Impero romano che egli vide, dopo il sacco di Roma, oramai in completa rovina e devastazione. Pochi anni dopo, la travolgente orda barbarica invase l’Impero, da nord a sud. In una lettera a un amico scrive: “il mondo precipita in rovina. La famosa città, capitale dell’Impero romano, è avvolta da un tremendo incendio; e non c’è parte della terra dove i Romani non siano in esilio… tuttavia le nostre menti sono ancora occupate dal desiderio di guadagno… le nostre case risplendono di oro, così i soffitti e i capitelli dei nostri pilastri, mentre Cristo muore davanti alle nostre porte nudo e affamato, nella persona dei Suoi poveri ”. Sant’Agostino nacque in Algeria a Tagaste nel 354. Dalla madre Monica, sin da piccolo, ricevette una buona educazione e l’insegnamento del latino, essendo essa cristiana. Passò l’adolescenza e la gioventù tra Tagaste e Cartagine, coltivando gli studi con buon profitto, ma senza trascurare le donne e la vita disordinata, si avvicinò allo scetticismo e all’eclettismo della Media Accademia. A Cartagine insegnò retorica per dieci anni e aderì alla religione manichea. Un giorno gli capitò tra le mani “l’Ortensio” di Cicerone (andato perduto), opera che esortava ad avvicinarsi alla filosofia e fu da questa attratto e conquistato. A 26 anni scrisse il suo primo libro, ma intanto si insinuarono i primi dubbi sulla verità del manicheismo, dubbi che furono 14 II * I Dottori della Chiesa confermati quando, interpellato il più famoso manicheo del tempo, Fausto, questi non seppe dargli le risposte che cercava. Qualche anno dopo si recò a Roma intenzionato a insegnare retorica ma le sue speranze non si realizzarono e un anno dopo con l’aiuto del prefetto Simmaco si trasferì a Milano dove in seguito venne raggiunto anche dalla madre. Vescovo di Milano era Sant’Ambrogio che aveva fama di grande predicatore e Agostino, per curiosità professionale assistette ad alcune prediche e ne fu conquistato e coinvolto dall’entusiasmo che suscitava tra l’uditorio e incoraggiato dalla madre, si convinse della verità del cristianesimo e si fece catecumeno. Le letture delle opere dei neoplatonici e di Plotino in particolare, diedero ad Agostino l’indirizzo morale e religioso definitivo. Nell’autunno del 386 lasciò l’insegnamento e con alcuni amici e parenti si ritirò a meditare, in una villa della Brianza presso Milano e qui finalmente grazie al loro aiuto, superando ogni ostacolo di ordine pratico, morale e spirituale (la convivente che aveva lasciata a Cartagine e l’amante che si era portato in villa) si convertì. Fu battezzato il 25 aprile del 387 dalle mani di Sant’Ambrogio, in una cerimonia assieme al figlio Adeodato (avuto dalla convivente rimasta in patria) ed un amico. Iniziò da quel momento a prendere coscienza della missione verso la quale era chiamato maturando la necessità e l’urgenza, di diffondere la verità cristiana in patria. Si mise in viaggio di ritorno accompagnato dalla madre con la quale trascorse giorni di grande intesa spirituale, arrivarono a Ostia ma nei giorni di attesa per l’imbarco, la madre morì. Dopo una permanenza a Roma, nel 388 ritornò a Tagaste, fu ordinato prete nel 391, e nel 395 fu consacrato Vescovo di Ippona. Qui vi rimase fino alla morte avvenuta nel 430,durante l’assedio della città da parte dei Vandali di Genserico. Non ci si può stupire che l’Impero cadesse in rovina, dal Sommario 15 II 16 * I Dottori della Chiesa III momento che le migliori e più vigorose menti erano tanto lontane dagli interessi temporali dell’Impero , e ciò lo è stato per Sant’Agostino, ma anche per Ambrogio che pure fu un politico, ma solo al servizio della Chiesa. L’OPERA DI SANT'AGOSTINO La filosofia Cristiana nasce con S. Agostino, e le sue opere ne sono la fedele documentazione dell’itinerario di pensiero che come uomo, lo portano a superare il manicheismo giovanile, per approdare alla conversione in Cristo. Diversamente da Origene che vede, Cristianesimo e platonismo fianco a fianco senza compenetrarsi, egli è il primo, a percepire la necessità di far incontrare le Scritture con la filosofia platonica anche se questa, sotto certi aspetti, si trova in disaccordo con la Genesi. Agostino, stimolato dal desiderio di conoscere, indirizza la sua attività e le sue opere a chiarire i principi della fede, essenzialmente come ricerca e non passiva sottomissione a un dogma esteriore. In quanto ricerca, richiede la ragione, “credo per capire e capisco per credere”, la quale non elimina né sostituisce l’intelligenza, ma al contrario la stimola. La sua opera è rivolta anche a contrastare le dottrine che ostacolano l’espansione della Chiesa, in primo luogo il manicheismo, il donatismo e il pelagianesimo. Il sacco di Roma nel 410 perpetrato dai Goti di Alarico, attualizza presso la popolazione pagana la tesi, che la forza dell’impero romano è legata al paganesimo e che il cristianesimo, oramai ammesso ufficialmente, ne rappresenti un elemento di debolezza e dissoluzione. E’ contro questa tesi che S. Agostino indirizzerà con forza per respingerla, la sua opera filosofica più completa: “la città di Dio”. La storia, per i Greci, è un ciclo ripetitivo per il quale non ha senso domandarsi quale è il suo significato, né verso quale direzione essa tende; per il cristiano dice Agostino, la storia ha una direzione e un significato che Dio fin dall’inizio ha assegnato, per 17 III * L’Opera di Sant’Agostino cui tutti gli eventi, anche se agli uomini sembrano imperscrutabili, fanno parte di questo disegno divino, e la vittoria finale del bene sul male, dello spirito sulla carne, della città celeste su quella terrena, come alternanza sempre presente che domina la storia dell’umanità, è una certezza assoluta. Nessuna differenza esteriore distingue le due città che da sempre sono mescolate insieme. La vita dell’uomo singolo è dominata dall’alternativa fondamentale: vivere secondo la carne o secondo lo spirito ed è solo interrogando se stessi che è possibile scorgere a quale delle due città si appartiene. Il cristiano non ha motivo di scoraggiarsi, perché sa che sulla terra accanto alla città del demonio c’è sempre la città di Dio. Atene e Roma sono giudicate da S. Agostino soprattutto per il loro politeismo religioso. Roma viene identificata come la Babilonia originata da un fratricidio, quello di Romolo, che riflette quello di Caino dal quale nacque la città terrena. Le virtù romane sono solo virtù apparenti anzi vizi, perché la virtù senza Cristo non è possibile. La filosofia pagana (Atene) viene esaminata soffermandosi soprattutto su Platone che egli chiama “il più meritamente famoso fra i discepolo di Socrate”. Platone, come gli altri filosofi pagani ammette il culto politeistico, ma pur non glorificandolo come tale, ha riconosciuto la spiritualità e l’unità di Dio. Agostino sottolinea pure le coincidenze non casuali tra le dottrine, la platonica e la cristiana, evidenti e inconfutabili. Quanto ai neoplatonici, dei quali Agostino se n’è avvalso dei loro scritti per la sua conversione, hanno intravisto, sia pure oscuramente, il termine dell’uomo, la patria celeste, ma non hanno saputo additarne la via segnata dall’apostolo Giovanni: l’incarnazione del Verbo. Agostino affronta il tema della creazione secondo il testo del Vecchio Testamento il quale insegna che tutto fu creato dal 18 III * L’Opera di Sant’Agostino nulla in sei giorni, un’idea questa del tutto estranea alla filosofia greca. Tanto Platone quanto Aristotele parlano di creazione, immaginata come sostanza primitiva eterna e increata a cui Dio artefice da forma per sua volontà, quindi non creatore ma architetto. Contro questa tesi Sant’Agostino sostiene che Dio non si servì di una materia qualsiasi per creare il mondo ma dal nulla creò la sostanza, la ordinò e le diede una disposizione. La ragione per cui il mondo fu creato in sei giorni è che sei è un numero perfetto. L’opinione greca, per cui dal nulla non può nascere nulla si è ripetuta saltuariamente anche in tempi cristiani dando origine al panteismo. Questo punto di vista sostiene che Dio e il mondo sono una cosa sola, e che tutto nel mondo è parte di Dio. Nel corso dei primi secoli è accaduto che qualcuno, soprattutto tra i mistici, abbia trovato arduo rimanere nell’ambito ortodosso, cioè accettare di credere che il mondo sia al di fuori di Dio. Agostino al contrario, non incontra difficoltà alcuna su questo punto; la Genesi è esplicita e questo è abbastanza per lui. Dio con la creazione ha creato anche il tempo, che di quella, è contenitore e conseguenza, perciò se prima non esisteva il tempo, non può esserci stato nessun prima, per cui tutto il tempo esiste in Dio nell’eternità del suo presente, che non trapassa ne avviene, ma è, immutabile eterno-presente. Ma che cosa è il tempo nella sua realtà non costante? Il passato è tale perché non è più, anche il futuro è tale perché non è ancora, solo il presente realmente è, ma il presente è breve, stretto tra il trascorso e il divenire, tanto che se non trapassa continuamente nel passato, ma rimane nel presente, non è tempo, ma eternità, per altro solo passando è possibile misurarlo in tempo breve o lungo, sia per quello trascorso che quello avvenire. Sembra una contraddizione, solo il presente che è reale non è misurabile, ma la strada che Agostino trova per superarla, è quella di suggerire, che tanto il passato quanto il futuro si trovano nell’anima 19 III * L’Opera di Sant’Agostino conservati come presente, il passato come memoria presente delle cose vissute, il futuro come attesa presente di ciò che non è ancora e l’uno e l’altro, nella coscienza, sono atti presenti. La teoria che il tempo sia soltanto un aspetto dei nostri pensieri è una delle forme di soggettivismo che ha visto Agostino, partito alla ricerca della realtà oggettiva del tempo, giunge invece a chiarirne la soggettività. Per Agostino Dio e l’anima non richiedono due indagini parallele o diverse, perché Dio si rivela nella più riposta interiorità dell’anima, la quale si ricerca e si conosce ripiegandosi in se stessi, nella propria spiritualità (confessione); l’anima viene richiamata e guidata alla sincerità del riconoscimento dalla verità, la quale è interiore, ma contemporaneamente trascendente, proprio in colui che la ricerca nell’interiorità della coscienza. La ricerca della verità deve impegnare tutto l’uomo e non il solo intelletto, perché nulla è più contrario, nella convinzione di Agostino, della pura conoscenza razionale del divino (gnosi), per cui tale ricerca va indirizzata verso la vera via e la vera vita, secondo la parola evangelica. Questo naturalmente non implica l’abbandono di una disciplina rigorosa: Agostino non si abbandona a credere facilmente, non tenta di evitare e di eludere le difficoltà, né chiude gli occhi davanti agli ostacoli della fede, ma li affronta incessantemente, ritornando sulle proprie posizioni per approfondirle e chiarirle. Temi non secondari della ricerca agostiniana sono gli scritti contro le eresie e le devianze dottrinali del tempo: i Manichei ammettevano l’eterno contrasto tra Dio e l’esistenza del principio del male, per cui questo, potendo nuocere a Dio ne deriva che Dio è corruttibile, mentre se ciò non fosse, non vi è motivo per temere il male. La realtà del male contraddice la bontà perfetta di Dio e quale che sia la soluzione a cui si ricorre, 20 III * L’Opera di Sant’Agostino si giunge sempre ad una contraddizione, se non negando la realtà del male. Questa è appunto la soluzione che propone Agostino, ridurre il male a tradimento della volontà umana di fronte all’essere. Il donatismo, che dilagava in Africa quando Agostino venne consacrato vescovo, propugna l’assoluta intransigenza della Chiesa nei confronti dello Stato, per cui nessuna autorità religiosa (comunità di perfetti) doveva avere o tollerare ogni contatto con le autorità civili, pena la decadenza della capacità di amministrare i sacramenti. Ritenendoli dei traditori i fedeli dovevano rinnovare i sacramenti ricevuti da essi. Questa pratica rendeva difficile la disciplina dei sacramenti, esponendo gli stessi ad un dubbio continuo, legato alla condotta di vita del suo ministro. Contro questo scisma, viene affermata la validità dei sacramenti a prescindere dal ministro, essendo Cristo ad operare attraverso il sacerdote. Inoltre la comunità dei fedeli non può essere ridotta ad una conventicola di isolati, avendo la Chiesa innalzato le tende ovunque tra la vita civile, testimoniando con la sua presenza la validità universale del Vangelo. L’altra forte polemica Agostino la rivolse contro Pelagio, monaco inglese che viveva a Roma, che con l’amico Celestio diffusero le loro convinzioni proprio nel gregge di Agostino, quando all’avvicinarsi dei Goti, molte famiglie romane si rifugiarono in Africa. Il punto di vista di Pelagio consisteva nel negare che il peccato di Adamo avesse compromesso radicalmente la libertà originaria dell’uomo e la sua capacità di fare del bene. L’uomo anche dopo il peccato originale è naturalmente capace di operare virtuosamente senza bisogno del soccorso straordinario della grazia. La conseguenza di questa dottrina conduce a ritenere inutile l’opera e il sacrificio di Cristo e rendere inservibile il servizio della Chiesa che amministra i sacramenti. Di fronte a una prospettiva così rovinosa, Agostino Sommario 21 III 22 * L’Opera di Sant’Agostino IV reagisce energicamente affermando, che il libero arbitrio concesso da Dio ad Adamo, consistente nel “poter non peccare”, è stato disatteso e con lui, infrangendo questa opportunità, ha peccato tutto il genere umano e nessun membro può sottrarsi alla sua colpa se non con l’aiuto della misericordia divina, peraltro non dovuta. L’enorme forza di suggestione che Agostino ha esercitato, non solo sul pensiero cristiano e medioevale, ma anche sul pensiero moderno e contemporaneo, gli è derivata dal suo slancio mistico e dall’entusiasmo religioso verso la verità, la razionalità e il rigore nella ricerca, come disciplina interiore, ciò ne fa un punto di riferimento e una base per la ricerca stessa, rivitalizzandola. IL PENSIERO MEDIOEVALE Dopo la morte di Sant’Agostino e la caduta dell’impero d’occidente nel V° secolo, grandi cambiamenti si verificarono, in seguito alle distruzioni dovute all’invasione di popoli barbari provenienti da oriente e da nord i quali, per ondate successive, si abbatterono sul mondo occidentale. Ci fu un secolo di distruzioni e guerre che paralizzò la circolazione e lo scambio di merci, e conoscenza, con conseguente scarsa attività filosofica, spingendo i dotti del tempo e la cultura, a classificare e ordinare i frammenti della sapienza antica più che produrre un proprio pensiero originale. Questo secolo servì però ampiamente a tracciare le linee base, secondo le quali si sviluppò il profilo dell’Europa. L’invasione della Britannia da parte degli Inglesi, l’occupazione della Gallia dei Franchi, i Vandali si insediarono in Spagna dando il nome all’Andalusia, in Irlanda un monaco, S. Patrizio, convertì quelle popolazioni al Cristianesimo, nell’Europa continentale, rozzi regni germanici si sostituirono alla burocrazia centralizzata dell’impero, e questo venne a cessare. Le grandi vie di comunicazione andarono in disuso, le guerre e le scorrerie posero termine ai commerci su larga scala e in tutto il mondo occidentale si tornò a vivere in ambito locale. Solo la Chiesa, anche se con grande difficoltà, in occidente, rimase come autorità centrale. Alle difficoltà oggettive di questo periodo, la Chiesa dovette affrontare anche ostacoli di carattere dottrinale, per una complessa controversia intorno all’Incarnazione sorta tra Nestorio e Cirillo patriarca di Costantinopoli il primo e di Alessandria il secondo, per derimere la quale vennero convocati dei Concili, dai quali ne uscirono il primo condannato per 23 IV * Il Pensiero Medioevale eresia, il secondo santificato. In seguito altre difficoltà sorsero intorno allo stesso problema, ma per la versione opposta a quella nestoriana, la questione detta monofisita, e fu con il Concilio di Calcedonia (451), promosso da Papa Leone, che condannò i monofisiti e stabilì in modo definitivo la dottrina dell’Incarnazione. I nestoriani, come i monofisiti si rifiutarono di sottomettersi e gli uni e gli altri si diffusero in tutto l’impero d’oriente dall’Egitto alla Siria e oltre, fino alla Cina. Il protrarsi di questi dissidi interni al cristianesimo, crearono le condizioni per una facile conquista maomettana, di ciò che restava dell’impero d’oriente, e delle province romane del nord Africa. In Italia, la conquista gotica non pose fine alla civiltà romana. Sotto Teodorico, (493-526) uomo saggio ed energico, re dei Goti e d’Italia, l’amministrazione civile rimase romana, e l’Italia godette pace e tolleranza religiosa. Per quanto ariano, Teodorico fu in buoni rapporti con la Chiesa di Roma, almeno fino ai suoi ultimi anni, quando credendo di essere vittima di un complotto tra gli uomini del suo governo, fece imprigionare e poi giustiziare il suo ministro e senatore Severino Boezio, che fu uno dei pochi grandi, nella storia della cultura del VI° secolo, assieme a Giustiniano, San Benedetto e Gregorio Magno. Severino Boezio nacque a Roma intorno al 480, fu console di Teodorico re dei Goti, nel 524, caduto in disgrazia fu giustiziato. Uomo di grande cultura scrisse molto, indirizzando gli studi alla traduzione e interpretazione delle opere di Platone e Aristotele, senza tuttavia riuscire a completare questo vasto progetto. In contrasto con gli stoici, gli epicurei e gli altri da lui chiamati usurpatori, manifesta la sua ammirazione nei confronti dei tre grandi della filosofia greca Socrate, Platone e Aristotele. La sua opera famosa il “De consolatione philosophiae“ fu scritta in prigione mentre aspettava di essere giustiziato. Questo suo lavoro, più di altri del suo tempo, venne letto e studiato 24 IV * Il Pensiero Medioevale durante tutto il Medio Evo. Ammirato e considerato un devoto cristiano, trattato come uno dei Padri, lo si ritenne un martire della persecuzione ariana. Tuttavia i suoi scritti non dimostrano che egli fosse cristiano, ma certamente, la filosofia platonica ebbe su di lui una presa maggiore della teologia cristiana. Questo ha fatto nascere il sospetto, in tempi recenti, addirittura che fosse pagano, oppure cristiano solo di nome. L’importanza che le opere di Boezio ebbero sulla cultura medioevale è stata enorme. Le opere logiche hanno introdotto la logica aristotelica nell’insegnamento e nella cultura scolastica, gli opuscoli teologici hanno fornito alle discussioni teologiche medioevali i concetti, la terminologia e il metodo. Con questo Boezio, non perviene al rango di filosofo originale, ma fu un abile operatore e un retore eloquente, che ha adattato alla mentalità latina la speculazione greca, secondo l’insegnamento di S. Agostino: “unisci, nel limite del possibile, fede e ragione”. Nel 527 divenne imperatore d’Oriente Giustiniano, che regnò in modo discutibile fino al 565. Famoso è il suo trattato di giurisprudenza “Digesto”. Da uomo pio e devoto ortodosso, fece chiudere le scuole di filosofia ad Atene, centri di cultura dove il paganesimo regnava ancora incontrastato. Tre anni dopo questo provvedimento (532) prese la decisione di costruire la basilica di Santa Sofia a Costantinopoli. Giustiniano aspirava a riunificate anche la parte occidentale dell’impero e nel 535 invase l’Italia ottenendo, in un primo momento, una rapida vittoria sui Goti. Il popolo cattolico lo accolse con gioia, come loro rappresentante contro i barbari. Ma i Goti si ripresero e la guerra si protrasse per diciotto anni, durante i quali, Roma venne conquistata a turno, per ben cinque volte fino a decadere al rango di piccolo villaggio e l’Italia in genere, patì fame e carestia più che ai tempi delle invasioni barbariche. Qualcosa del genere capitò alle province in Africa, che Giustiniano riuscì a Sommario 25 IV 26 * Il Pensiero Medioevale V riconquistare e fu ben accolto, ma in seguito le popolazioni scoprirono quanto l’amministrazione bizantina fosse corrotta e il regime fiscale rovinoso, per cui in molti auspicarono il ritorno dei Goti e dei Vandali. La Chiesa, per la sua ortodossia, lo fiancheggiò fino agli ultimi anni. Nel 548 moriva la moglie (di credo monofisita) e per Giustiniano fu un colpo tremendo. Gli ultimi anni della sua vita furono tormentati dalla malattia, e dagli screzi con la Chiesa di Roma, per la promessa fatta alla moglie in punto di morte: difendere l’eresia monofisita, dove già a Corte aveva fatto molti proseliti. Per questo non esitò a schierarsi energicamente contro il Papa del quale, aveva cercato l’amicizia durante la guerra coi Goti. Tre anni dopo la morte di Giustiniano, nel 568, l’Italia venne invasa da un’altra tribù germanica, i Longobardi, che per circa duecento anni, quasi fino al tempo di Carlo Magno contesero ai Bizantini gran parte della penisola. I papi, in questo periodo, trattavano con deferenza gli imperatori d’Oriente e Roma rimase nominalmente soggetta a loro, pur se questi ebbero pochissima, o nessuna, autorità. Nella generale decadenza della civiltà del VI° secolo e successivi, fu soprattutto la Chiesa a conservare e custodire quanto rimaneva della cultura latina e romana antica. Adempì a questo compito però in modo imperfetto, a causa del fanatismo e della superstizione che dominavano allora, finendo spesso col giudicare la cultura secolare, come opera malvagia. Nondimeno, le istituzioni ecclesiastiche, seppero creare una solida ossatura culturale che più tardi rese possibile un risveglio umanistico. Tra gli uomini che contribuirono a imporre la Chiesa come guida della civiltà, in quel momento di disfacimento, un posto importante è occupato da San Benedetto fondatore dell’ordine benedettino, e precursore della pratica monastica in occidente, l’altro fu papa Gregorio Magno, uomo di Stato, forse più che uomo di Chiesa, anche se in seguito fu da questa santificato. San Benedetto San Benedetto nacque a Norcia intorno al 480 da facoltosa famiglia umbra. Studiò a Roma ma all’età di venti anni abbandonò gli studi e si ritirò in solitudine prima in un villaggio sul fiume Aniene, per poi ritirarsi in una caverna dove visse tre anni in solitudine e preghiera. Successivamente al diffondersi di voci che operava miracoli, venne chiamato a dirigere un convento ma a causa del regolamento troppo severo da lui istituito, i monaci decisero di assassinarlo per liberarsene. Fortunatamente il complotto venne smascherato, e lui si trasferì a Subiaco dove fondò alcuni monasteri. Anche qui però ebbe una controversia con il parroco del paese e Benedetto abbandonò la città per non farvi più ritorno. Nel suo girovagare capitò a Montecassino, a metà strada tra Roma e Napoli, e qui si stabilì definitivamente fondando il famoso Monastero, per il quale scrisse la “Regola Benedettina”. Questa regola, pone sotto il controllo dell’Abate i monasteri ed entro i limiti stabiliti, acquisisce il potere di controllo dei monaci, mettendo fine a una serie di pratiche ascetiche stravaganti attuate autonomamente. La Regola, il cui motto si riassume in: “prega e lavora”, è contenuta in settantatre brevi capitoli e rimane ancor oggi uno dei pilastri e la testimonianza tra le più alte e originali, del Cristianesimo. All’inizio, i monaci sono dediti all’agricoltura e a quei mestieri che consentono la sussistenza del monastero. La questua, la preghiera e la lettura delle orazioni occupano gran parte della giornata. In seguito si fanno notare per la loro cultura e per la ricchezza delle biblioteche nelle quali viene custodito e catalogato gran parte del sapere rimasto. Il monastero diviene meta di pellegrinaggio da parte di chi chiede un pezzo di pane o chi desidera salvarsi l’anima. Fuori i tempi sono grami, nel sesto 27 28 V * San Benedetto V * San Benedetto secolo in Italia infuria la guerra gotico-bizantina, la carestia, la malaria, la peste bubbonica, decimano la popolazione, e il convento diviene l’unico posto dove è possibile avere un piatto di minestra e nel contempo sfuggire al contagio e ai nemici. Per chi intende entrare come novizio, la vita del monastero è dura e deve godere di una salute di ferro per poterla sopportare. Dopo un anno di tirocinio e aver superato una lunga serie di esami viene accettato e ordinato membro di diritto e fa voto di preghiera, di penitenza e di castità, rinuncia a tutti i suoi averi in favore dei poveri o del convento che col passare del tempo, andrà quasi per intero a favore del secondo. Nel 543, quattordici anni dopo la fondazione del Monastero di Montecassino, San Benedetto muore in seguito a un attacco di febbre. Viene sepolto accanto alla tomba della sorella Scolastica alla quale in vita, è stato particolarmente legato. Il monachesimo ha avuto una parte importante nella vita economica e sociale del Medio Evo soprattutto in Italia. Quando gli eserciti barbari distruggevano città e villaggi, le campagne venivano abbandonate e i raccolti saccheggiati, i poteri centrali civili, incapaci ad opporsi, cessarono di funzionare e quelli periferici oramai senza controllo, divennero loro stessi centri di oppressione. La popolazione indifesa, per sfuggire alle violenze, si rifugia allora nei monasteri in cerca di protezione, offrendo in cambio le proprie braccia, anticipando di alcuni secoli il feudalesimo. I conventi, soprattutto i grandi, a poco a poco si trasformarono in città fortificate, autarchiche, isolate, chiuse al resto del mondo. L’Abate del monastero diviene sovrano assoluto alla pari di un duca longobardo, con gli stessi poteri e privilegi. Impone dazi e tasse, batte moneta, arruola truppe e amministra la giustizia, senza alcun controllo da parte dell’autorità episcopale. Con le continue e cospicue donazioni di Re e grandi proprietari terrieri, preoccupati di salvarsi l’anima, i monasteri si ingrandiscono manifestando la pericolosa tendenza a trasformare i poveri coloni in servi della gleba. Riunendo nelle proprie mani il potere civile, religioso e militare, gli Abati, non fecero che fronteggiare una drammatica emergenza. Abusandone però, finirono per tradire quello spirito evangelico, fondamento della Regola monastica voluta da San Benedetto. Grande merito va riconosciuto ai monaci che negli archivi e nelle biblioteche dei monasteri, realizzarono il più prezioso favore alla conoscenza e al sapere: il salvataggio dell’eredità culturale di Roma tramandandoci le opere di Cicerone, di Orazio, di Tacito, le quali sarebbero andate altrimenti perdute, sicuramente travolte dalla furia dei barbari. Sommario 29 30 VI * Gregorio Magno VI Gregorio Magno Gregorio Magno il primo pontefice a portare questo nome, nacque a Roma nel 540 da famiglia ricca e nobile. Frequenta gli studi nelle migliori scuole romane e a venti anni si laurea in grammatica e retorica, poi entra nell’amministrazione civile. Nel 573 viene nominato presidente del Senato ma questa carica non è di suo gradimento, non corrispondendo un effettivo potere e allo scadere del mandato si fa frate. Alla morte del padre, eredita un enorme patrimonio che lui per una parte dona ai poveri e con il resto finanzia sei monasteri. Tenne per sé il palazzo dov’era nato e lo trasformò in convento e si fece benedettino. Qui trascorse tre anni di studio e di rinunce. Fu chiamato a ricoprire incarichi diplomatici di prestigio a Bisanzio, ma nel 585 il pontefice lo volle con se a Roma. Appena rientrato, di nuovo si ritirò in convento per cinque anni e quando il pontefice morì di peste, venne acclamato dal popolo suo successore. Per allontanare dall’Urbe il flagello che aveva decimato gli abitanti, Gregorio ordinò una solenne processione per le strade della città fino alla basilica di San Pietro, alla quale parteciparono migliaia di persone. Durante la marcia ci furono una ottantina di morti, ma quando il corteo giunse in prossimità del Mausoleo di Adriano, Gregorio, che ne era alla testa, vide sulla cima del monumento un angelo che riponeva la spada nella guaina, il gesto prodigioso venne interpretato come l’inizio della fine della pestilenza. Nell’autunno del 590 giunse a Roma la conferma imperiale della sua nomina e venne trascinato dal popolo in San Pietro e consacrato Papa. Il primo compito che dovette affrontare fu l’amministrazione della città e del patrimonio ecclesiastico divenuto oramai ragguardevole. La tragica situazione in cui versavano le campagne e i villaggi a causa delle pestilenze, della carestia e delle guerre barbariche, si rifletteva sulla popolazione e sulle proprietà, che venivano abbandonate e intere famiglie affluivano verso i monasteri o verso le città che offrivano una migliore protezione, abbandonando vasti territori e nominando la Chiesa erede universale dei loro beni. I vasti fondi in possesso in Campania, nel Lazio e nelle isole fecero del Papa il più grande proprietario terriero della penisola. L’altro problema grave da risolvere era il rapporto tra il potere laico e quello ecclesiastico. Giustiniano aveva trasformato i Vescovi in ufficiali imperiali delegando loro tutte le funzioni amministrative che i vecchi organi municipali, dei tempi di Augusto e di Traiano non erano più in grado di assolvere. Le vecchie magistrature non esistevano più, il Senato aveva cessato di esistere, il prefetto cittadino era l’esecutore di ordini che venivano dal Papa ed ancora era il Pontefice che arruolava e armava le truppe. La Chiesa, costruiva ospedali, ospizi e brefotrofi, intanto il potere andava concentrandosi ogni giorno di più nelle mani del Papa. Gregorio riformò la liturgia e la disciplina della Curia. Compose inni sacri bellissimi (canti Gregoriani) che dirigeva personalmente nel coro di San Pietro. Affidò l’amministrazione della Chiesa a personale esclusivamente ecclesiastico licenziando il personale civile. Impegnato in tutte queste imprese alcune delle quali di assoluto impegno, trovò anche il tempo per dedicarsi alla scrittura, della quale non fu eccelso ma un prolifico autore. Nel 592 scongiurò l’invasione del Lazio trattando il ritiro dell’esercito con il Duca Ariulfo all’insaputa di Agilulfo il quale offeso, per rappresaglia, mosse alla conquista dell’Urbe nella primavera successiva. Quando Gregorio vide, dall’alto dei Sommario 31 32 VI * Gregorio Magno VII bastioni, avvicinarsi l’esercito Longobardo, credette s’avvicinasse la fine del mondo, e ancora per risparmiare alla città e ai suoi abitanti gli orrori del saccheggio, chiese e ottenne un negoziato col Re, che si effettuò fuori della basilica di San Pietro. Le suppliche e le promesse del Papa sortirono l’effetto sperato e Agilulfo rinunciò ai suoi piani e il Pontefice a una fetta del suo tesoro. Questo accordo sortì un doppio effetto. Una pace duratura in tutta la penisola, sanzionando la divisione in tre sfere d’influenza: la longobarda, la bizantina e la romana. Il secondo, fu la premessa per la conversione al cattolicesimo dei conquistatori ariani, in questo favorita dalla regina cattolica Teodolinda. Nella primavera del 603 dopo undici anni di matrimonio, Teodolinda, diede alla luce un figlio che venne battezzato col rito cattolico. Questo fu il segnale per l’imminente conversione in massa al Cattolicesimo dei Longobardi. Nel marzo del 604, Papa Gregorio muore stroncato da un attacco di gotta. Le esequie vengono celebrate in San Pietro dove la salma viene tumulata. Dopo la morte circolarono voci calunniose sul suo conto, accusandolo di aver dilapidato il tesoro di San Pietro. Gregorio Magno fu l’ultimo dei quattro dottori della Chiesa. Certamente uno dei più grandi uomini del VI° secolo e tra i papi, politicamente il più significativo, per aver dato al Papato un potere temporale inimmaginabile in un periodo di totale desolazione civile. Grande statista, saggio amministratore e accorto diplomatico, seppe governare la Chiesa tra la tempesta barbarica, uscendone vittorioso. Non è secondario tuttavia, l’altro grande merito, quello di avere mantenuto viva la cultura nella situazione di totale decadenza, riuscendo a conservarla e custodirla per quanto gli fu possibile. Le invasioni e il Medio Evo I Goti prima e i Longobardi dopo, sottrassero l’Italia all’Impero di Bisanzio, il quale però riuscì a conservare Ravenna come caposaldo e il Papa come interlocutore. Roma ribadiva l’obbedienza all’Imperatore, ma ne trasgrediva regolarmente gli ordini. Il rapporto del Papa col Patriarca di Costantinopoli erano tesi e due eventi precipitarono la crisi: l’editto contro le dispute religiose -Tipo-, e contro il culto delle immagini -Iconoclasmo-. Il “Tipo” fu bandito da Costante II nel 648, con lo scopo, di eliminare le interminabili diatribe che si scatenavano tra gli ecclesiasti per futili questioni dottrinali, nell’illusione di restituire il clero alla cura delle anime, sanzionandolo nel caso non si fosse uniformato. Il Patriarca a Bisanzio lo ratificò e da Roma il Papa lo scomunicò. L’Imperatore, sottintese la scomunica rivolta a se stesso e ordinò all’Esarca Olimpio di assassinare il Papa. L’agguato falli una prima volta, ma Costante II non si arrese e affidò ad un nuovo Esarca la medesima missione ottenendo migliore esito. Il Pontefice venne catturato e trasportato con una nave a Nasso imprigionato e sottoposto ad angherie e disagi. L’anno dopo venne trasferito a Costantinopoli e processato, riconosciuto colpevole di vicinanza con i nemici di Cristo, e di scarsa devozione alla Vergine. La condanna a morte venne commutata con il confino che scontò a Cherso, nel Ponto Leusino dove morì in assoluta povertà e dimenticanza nel 665. La Chiesa lo consacrò Santo. Intanto gli avvenimenti politici si susseguivano, e i musulmani premevano elle frontiere a est, minacciando di sommergere la Grecia. L’imperatore mosso da paura, balenò l’idea di riportare la capitale dell’impero a Roma restaurando l’Impero d’Occidente. 33 * VII Le Invasioni e il Medio Evo L’assurdo progetto sembrò realizzarsi quando il 5 luglio del 663 varcò le mura di Roma accolto da Papa Vitaliano benedicente e scortato dal popolo trionfante fino dentro la basilica di San Pietro. Costante restò a Roma il tempo per scoperchiare il Pantheon e trafugarne il tetto in rame. Il tredicesimo giorno partì con le sue navi, cariche del bottino, alla volta di Siracusa. Morì nel 668 in Sicilia, sepolto con lui, l’ultimo tentativo di riportare l’Italia sotto l’Impero Bizantino. L’editto con il quale venne vietato l’Iconoclasmo venne promulgato nel 726 dall’Imperatore Leone III, uomo caparbio, ambizioso e grande soldato. Nel 717 si fece notare liberando Costantinopoli dalla flotta saracena che incrociava al largo del Bosforo. Alla morte di Giustiniano II, sbaragliò gli avversari e si fece proclamare Imperatore. Regnava da nove anni quando proibì il culto delle immagini, forse influenzato dal giudaismo o dall’Islam, la nuova religione, ordinandone la loro distruzione. In tutto l’Impero, l’industria dell’immagine sacra era assai fiorente e il suo abuso dava luogo a uno scandaloso commercio, a superstizioni ed occasioni di instabilità politica. Nel 730 davanti al Senato proclamò, “traditore della Patria”, chiunque ne praticasse il culto. L’alto clero lo appoggiò, quello basso e i monaci, diretti penalizzati, gli si rivoltarono contro e il popolo si sollevò, provocando sanguinosi tumulti che culminarono con la deposizione di Leone. In Italia il Papa, convocò un Concilio che scomunicò l’Imperatore, dispensando i Romani dal versamento delle tasse all’impero . Ritornando alla situazione in Italia con gli accadimenti che seguirono. Siamo nel 539, quando dai contrafforti delle Alpi si affacciò e poi discese nella pianura del Po un’orda di guerrieri, biondi e ferocissimi, distruggendo villaggi, razziando animali e campi, massacrando uomini, bruciando chiese, sembravano ritornati i tempi di Attila o di Alarico. 34 * VII Le Invasioni e il Medio Evo Contemporaneamente, Bizantini e Ostrogoti, si stavano dilaniando in guerre che alla fine durarono trenta anni, trasformando la penisola in un cimitero. Questi nuovi arrivati chiamati Franchi, erano di origine germanica, provenivano dal basso Reno e stanziavano nella parte settentrionale della Gallia, che da allora cambiò nome in Francia. Questa valanga (era la prima volta), che si rovesciò nelle verdi valli padane senza possibilità di contenimento, per fortuna, rientrò quasi subito, sciogliendosi come neve al sole, a causa di una forte epidemia di tifo che li decimò. Da queste numerose tribù, stanziali al di là delle Alpi, spesso in guerra tra loro, che solo raramente, riunivano le loro forze per saccheggiare e depredare le terre vicine, erano emersi due gruppi potenti i quali allearono gli altri e si spartirono il territorio, occupando i “Ripuarii” il bacino della Mosella e i “Salii” la restante parte. Nel 481 questi ultimi proclamarono loro Re un giovanotto di nome Clodoveo, nipote di un certo Meroveo, capostipite della dinastia dei Merovingi. Clodoveo era un guerriero audace, accorto e ambizioso. Desideroso di espandere il suo territorio, invase le terre tra la Marna e la Senna occupò Parigi e dilagò nell’Ile de France andando a scontrarsi con gli Alemanni, stanziati nell’alta valle del Reno. Ci vollero cinque anni ma alla fine riuscì a piegarli. Si racconta che la vittoria fu un segno divino, dovuto alla conversione di Clodoveo alla religione cattolica. Il giorno di Natale del 496 con la veste di catecumeno addosso, ricevette il battesimo insieme al suo popolo, nella chiesa di Reims. I Franchi furono i primi tra le popolazioni germaniche a convertirsi al Cattolicesimo, divenendo i paladini barbari dell’ortodossia. In seguito sottomisero i Burgundi, i Visigoti e i Ripuarii, comprendendo territori che si estendevano dall’Atlantico al Reno. Nel 511, Clodoveo muore e viene sepolto a 35 36 * VII Le Invasioni e il Medio Evo * VII Le Invasioni e il Medio Evo Parigi, all’età di 46 anni. La Chiesa lo celebrò come il più Cristiano dei Re di Francia. Seguirono decenni in cui i successori dispersero e dilapidarono il territorio, fino al 613 quando un nipote, Clotario, lo riunificò e ne allargò i confini, dando vita, a grandi linee, alla Francia moderna. Per altre due volte l’esercito dei merovingi invase la pianura Padana, nel 576, e nel 590 e per altrettante volte fu ricacciato oltre il confine dai Longobardi oramai padroni della penisola. In seguito Agilulfo stipulò una tregua coi Franchi che durò cetocinquanta anni. Quando i merovingi ebbero minacciata la Provenza dagli Arabi, chiesero aiuto ai Longobardi che con Liutprando, respinse e volse in fuga i Mussulmani. Seguì un lungo periodo in cui la monarchia, salvo poche eccezioni, regnò ma non governò, delegando il potere nelle mani dei primi ministri (maestri di Palazzo) che dal canto loro, provvedevano al governo, all’amministrazione dei beni e al risarcimento dell’apparato militare, in merci e terreni. Nel 622 re Dagoberto nominò Maestro di Palazzo un certo Pipino, uomo avveduto e coraggioso, il quale fece in modo che questa carica andasse in eredità al figlio, sottraendola alla volontà di nomina del monarca e modificandola in diritto ereditario. Da questa dinastia, dei Pipinidi, nacque Carlo soprannominato Martello per la sua forza erculea, il quale legò il suo nome a uno degli avvenimenti storici, più importanti e decisivi della storia. La sconfitta dei Musulmani di Abderrahman a Poitiers nel 732, ponendo fine alle mire espansioniste arabe in Europa. Carlo Martello, amministrò con giudizio, favorì l’evangelizzazione dei Germani di qua e di là dal Reno, fece abbattere gli idoli pagani, ma non fu bigotto, separò la Chiesa dallo Stato e decise che le decime venissero pagate a questo e non a quella, per questo venne scomunicato. Morì nel 741 lasciando eredi i due figli Carlomanno il maggiore e Pipino, detto il Breve per la sua statura. Il regno venne suddiviso e i due, governarono i rispettivi territori come Maestri di Palazzo. Pochi anni dopo, 746, Carlomanno decise di ritirarsi in convento e l’anno successivo si trasferì a Montecassino. Pipino rimase arbitro assoluto della situazione, trovandosi nelle sue mani tutti i poteri di Francia, anche se ufficialmente il monarca era l‘inetto e malaticcio Re Childerico III. I tempi erano maturi per deporre una dinastia che oramai da troppi anni non governava più. I rapporti tra Pipino e la Chiesa erano ottimi, e l’un l’altro avevano interesse a rafforzarli: Pipino offriva la sua protezione nel caso di contrasti del Papa coi temuti Longobardi, a sua volta la Chiesa, poteva consacrare ufficialmente un’usurpazione, gabellandola come un atto della Provvidenza. L’intesa fu raggiunta facilmente e Pipino venne incoronato Re dei Franchi, dal Vescovo Bonifacio a Soisson. Childerico, l’ultimo dei Merovingi, fu rinchiuso in un monastero. In cambio Pipino, accordava al Papa, Ravenna e tutto il territorio dell’Esarcato in Italia. Quando nel 744 Liutprando, Re dei Longobardi morì, seguirono anni di transizione, fino a quando, la corona di ferro, passò sul capo del fratello Astolfo, che sognò di riunire l’Italia quando nel 751 strappò Ravenna ai Bizantini, ma il progetto alla fine non riuscì. Con la caduta della capitale bizantina in Italia in mani longobarde e la successiva occupazione delle terre della Pentacoli e dell’Esarcato, Roma, privata del suo naturale alleato, si trovò esposta alla minaccia di Pavia capitale Longobarda. La disputa tra la Chiesa e Astolfo si accese sul diritto proprietario delle terre dell’ex Impero d’Oriente in Italia sulle quali, il Papa, avanzava l’appartenenza, quale: “naturale erede dell’Impero Romano”. 37 38 * VII Le Invasioni e il Medio Evo * VII Le Invasioni e il Medio Evo Astolfo, opponendosi, venne scomunicato e per tutta risposta bandì la persecuzione dei cattolici. Il Papa fu costretto a chiedere la pacificazione firmando una tregua di quarant’anni. Seguirono schermaglie e rappresaglie che costrinsero Stefano a chiedere aiuto a Pipino, scongiurandolo di marciare in difesa di Roma. Il Re gli rispose invitandolo in Francia. L’incontro avvenne il giorno dell’Epifania 754. il Papa supplicò Pipino di adoperarsi per indurre Astolfo a rendergli l’Esarcato e la Pentacoli. Il Re promise e Stefano lo incoronò per la seconda volta Re di Francia, in una cerimonia in cui erano presenti anche la moglie e i figli Carlo e Carlomanno incoronati anche loro come “difensori di Roma”. Fondamento per la pretesa, sui diritti di “eredità naturale” dei territori Bizantini di occidente, è la cosiddetta ”Donazione di Costantino”, una specie di editto, nel quale Costantino, in seguito a fatti miracolosi e situazioni prodigiose, prima di imbarcarsi per l’Oriente, dove fondò la città che porta il suo nome, donò a Papa Silvestro l’Italia e l’Occidente in segno di gratitudine. Ciò conferì automaticamente al papato, la potestà sull’Impero d’Occidente. Questa colossale mistificazione, dei rapporti intercorsi tra Costantino e Silvestro, fu ribadita per secoli dagli storici della Chiesa e smascherata solo nel 1440, dimostrando in modo clamoroso la falsità del documento, che permise alla Chiesa nel 757, di sottrarsi al Cesaropapismo Bizantino, salvaguardarla da quello Carolingio, e legalizzare un potere temporale usurpato, in nome di Cristo. Nell’Europa dei secoli bui nessuno avanzò dubbi sull’autenticità della “donazione”, forse anche Pipino ci credette. In seguito alla visita di Silvestro a Pipino dell’Epifania del 754, venne dichiarata la guerra tra Franchi e Longobardi, questi vennero sconfitti e messi in fuga. La città di Pavia fu assediata e costretta ad arrendersi. Il Papa dettò le condizioni della pace. Astolfo s’impegnava a restituire la Pentacoli e l’Esarcato alla Chiesa e Pipino rientrò al di là delle Alpi. Da subito i Longobardi non si sottomisero a Pipino e alla Chiesa, ma dopo ripetute guerre vennero sconfitti. Infine nel 774, Carlo Magno, figlio di Pipino, sconfisse definitivamente i Longobardi e si autonominò loro Re, discese a Roma dove confermò la donazione dei territori bizantini alla Chiesa, la quale dal canto suo, assecondò Carlo Magno nel suo disegno di espansione, vedendo in lui la possibilità di convertire nuove popolazioni. Nel 772 Carlo trovò il pretesto di invadere e conquistare la Sassonia, giustificandola con il mancato pagamento delle tasse di queste popolazioni. Seguirono decenni di guerre, rappresaglie, deportazioni e colonizzazioni forzate, che compresero la Baviera, la Boemia, l’Austria e molte terre al di là del Danubio, nelle quali si crearono le condizioni, con energiche persecuzioni, per la conversione al Cristianesimo di questi popoli. La campagna di Spagna del 778, contro l’Emiro di Cordoba, invece si risolse con un clamoroso fallimento, nel quale numerosi furono le figure di rango che rimasero sul terreno della collina di Roncisvalle. Nel Natale dell’800 venne incoronato Imperatore da Papa Leone III° , facendo rivivere, nella sua persona, l’Impero d’Occidente, comprendente l’attuale Francia con parte della Spagna al di la dei Pirenei, l’Europa continentale, la Boemia e l’Ungheria fino alla Dalmazia e l’Italia comprese le isole. Nell’806 Carlo Magno, convocò un’assemblea di ecclesiastici e di nobili e assegnò l’Impero ai suoi tre figli Pipino, Carlo e Luigi. Purtroppo i primi due morirono nel volgere di pochi anni, rimanendo unico erede Luigi detto il Pio. Sentendosi oramai vecchio, nell’813 alla presenza dei Vescovi e dei Conti franchi, nel corso di una cerimonia Sommario 39 40 * VII Le Invasioni e il Medio Evo VIII svoltasi ad Aquisgrana, pose sul capo di Luigi la sua corona imperiale. Ai primi di novembre venne colto da febbre alla quale seguì una complicazione polmonare. Sentendo avvicinarsi la fine chiese l’estrema unzione e il 28 gennaio dell’ 814 morì, all’età di 72 anni dopo 46 anni di governo. La morte del fondatore fu il principio della fine dell’Impero Carolingio. Luigi non fu all’altezza del compito assegnatogli dal padre, smembrò l’impero tra i suoi tre figli, i quali si combatterono a vicenda trascinando la dinastia Carolingia verso la fine che sopraggiunse quando tribù bellicose provenienti da nord, i Normanni, tra l’880, e 885 invasero e devastarono numerose città fino a Parigi e in seguito la Borgogna. Finiva così una dinastia che in cento anni cambiò la faccia dell’Europa. Aveva perduto l’impronta romana e acquistato quella germanica. Dopo la disgregazione dei Merovingi, i Franchi, con Carlo Martello e Pipino il Breve, si adoperarono per ripristinare l’amministrazione pubblica caduta nel caos. Carlo Magno la consolidò decentrandola e sottoponendola ad un ferreo controllo periferico. Questo propiziò la “rinascita Carolingia”, con la riscoperta e la trascrizione degli antichi manoscritti greci e latini, permettendo un ricupero letterario, artistico e culturale che ebbe del miracoloso. Campioni e artefici di questo rinnovamento furono Alcuino, Paolo Diacono ed Eginardo, senza i quali, l’Umanesimo sarebbe stato impossibile e la civiltà occidentale avrebbe subito un diverso corso. L’Islam in Europa Abbiamo già avuto occasione di parlare della civiltà mussulmana che ebbe grande influenza nella cultura soprattutto nell’Impero d’Oriente ma anche in Europa fino alla sconfitta di Poitiers. A differenza delle invasioni barbariche subite dall’Impero d’Occidente in cui i conquistatori si conformarono alla civiltà e alla religione dei conquistati, la conquista araba, seguì un percorso diverso, influenzando fortemente l’Impero Bizantino e la parte mediterranea dell’Africa fino alla Spagna, dando vita ad una forma propria di civiltà e una nuova religione. L’era mussulmana inizia nel 622 quando Maometto, fugge “Egira” dalla Mecca verso Medina. Qui inizia il suo proselitismo che lo porta in seguito a rientrare trionfalmente alla Mecca, da dove il suo credo, “Corano” viene diffuso. Maometto non si dichiara divino ne tanto meno i suoi seguaci lo affermano, le regole di osservanza del Corano, sono semplici come semplice è la liturgia, non complicata da tematiche teologiche. Il libro, a differenza della Bibbia, è l’opera di un solo uomo, Abu Bekr suo successore e apostolo, che assistito dagli altri “Compagni”, ricostruirono a memoria, con le stesse parole dette dal Profeta, i capitoli (sure), poi ordinati in un manoscritto. Fonte di ispirazione è sempre quella ebraica, cui aveva attinto anche il Cristianesimo: un solo Dio che dopo aver creato il mondo, lo guida, sia pure attraverso gli errori dell’uomo, verso la salvezza finale. Il Corano, fornì agli Arabi il catechismo di una milizia missionaria, potendo opporre non solo spada a spada, ma Scrittura a Scrittura, andando alla conquista del mondo cristiano. Maometto fu il primo arabo a superare la concezione tribale, dandogli un sentimento nazionale e una lingua codificata, riuscendo a far credere che i mussulmani formano una 41 VIII * L’Islam in Europa “fratellanza”, per la quale si impone la rinunzia alle lotte intestine. Fu un grande organizzatore civile e militare e gli effetti si videro, dopo la morte, nel 632, quando il suo piccolo esercito, militarmente ben preparato, con grande rapidità e determinazione, si propagò per tutto il medio Oriente fino all’India, l’Africa mediterranea e gran parte della Spagna, il tutto in meno di cento anni. Varie furono le circostanze che facilitarono questa espansione. L’Impero d’Oriente e la Persia erano esausti per le lunge guerre, i Siriaci di osservanza nestoriani, subivano continue persecuzioni da parte dei cattolici ortodossi, così pure in Egitto la gran massa monofisita, mentre i maomettani da parte loro tolleravano tutte le sette cristiane purché pagassero il loro tributo. In Africa gli arabi si allearono con i Berberi del luogo e insieme invasero la Spagna aiutati dagli ebrei che i Visigoti avevano duramente perseguitato. L’Impero arabo era una monarchia assoluta, capeggiata dal Califfo, successore del Profeta, dal quale ereditava anche le prerogative religiose. Di nomina elettiva in principio, divenne presto ereditaria. Gli Arabi, per quanto abbiano conquistato gran parte del mondo in nome di una nuova religione, non erano religiosissimi, il motivo delle loro conquiste era principalmente il bottino e il saccheggio, piuttosto che la religione. E’ stato solo per la mancanza di fanatismo che un gruppo di guerrieri, governò senza difficoltà vaste popolazioni, di civiltà elevata e di diversa religione. Diversamente i Persiani, dotti pensatori, dopo la conversione, fecero dell’Islam, qualcosa di più religioso e filosofico di quanto immaginato dal Profeta e dai suoi seguaci. Il sistema politico e sociale degli Arabi ha in sé i difetti di tutte le monarchie assolute. Con la morte del monarca si innesca una guerra che termina con la vittoria di uno dei figli e la morte di 42 VIII * L’Islam in Europa tutti gli altri pretendenti La cultura del mondo mussulmano fiorì principalmente alle estremità dell’impero, in Persia e in Spagna, pur essendo cominciata in Siria, da dove gli Arabi acquisirono la conoscenza della filosofia greca, principalmente Aristotelica, anche se mescolata di neoplatonismo. In Persia, i maomettani, attraverso gli scritti sanscriti, vennero in contatto con l’India e le conoscenze di astronomia. Un traduttore dal sanscrito, trascrisse dei libri di matematica e astronomia, da uno dei quali, diffuso e tradotto anche in latino nel XII secolo, l’Occidente per la prima volta imparò quelli che noi chiamiamo numeri arabi, ma in realtà provenienti dall’India. Un libro di algebra dello stesso autore venne usato come testo in Occidente fino al XVI° secolo. Fino all’invasione Mongola del XIII secolo, la civiltà Persiana fu ammirevole, sia artisticamente che intellettualmente, ma poi non ebbe la forza di riprendersi. I filosofi arabi, attribuirono grande importanza ad Aristotele per la logica, tramandata loro dai nestoriani, in seguito apprezzarono anche l’astrologia, l’alchimia, la zoologia e l’astronomia. Due filosofi maomettani sono degni di menzione: uno persiano, Avicenna, famoso tra i maomettani (980-1037), insegnò medicina e filosofia. Compose una enciclopedia, che ebbe una certa influenza in Occidente attraverso le traduzioni latine. Fu più famoso in medicina che in filosofia, della quale apprezzò in modo particolare Aristotele, più di altri intellettuali mussulmani. Come alcuni scolastici cristiani, egli si occupò del problema degli universali, commentando le opinioni di Platone e di Aristotele, giungendo ad una conclusione conciliativa dei diversi punti di vista. Averroè (1126-1198), l’altro filosofo mussulmano, vissuto all’altra estremità del mondo Islamico, in Spagna, molto apprezzato dai cristiani ortodossi. Studiò teologia, Sommario 43 44 VIII * L’Islam in Europa IX giurisprudenza, medicina, matematica e filosofia. Fu medico alla corte del Califfo a Cordova, in seguito venne rimosso e esiliato in Marocco, a causa l’opposizione degli integralisti, accusato di coltivare la filosofia degli antichi a danno della vera fede. Poco dopo questo periodo, il territorio dei Mori in Spagna si ridusse in corrispondenza delle conquiste cristiane. La filosofia mussulmana in Spagna finì con Averroè; tutti i libri di logica e di metafisica che si poterono trovare, furono dati alle fiamme e nel resto del mondo maomettano, una rigida ortodossia pose fine alla ricerca filosofica. Si può dire in generale che per i filosofi arabi, le teorie scientifiche discendono dagli scritti di Aristotele, dai neoplatonici in logica e metafisica, da Galeno in medicina, da fonti greche e indiane in matematica e astronomia. Dove mostrano una certa originalità è in chimica, come risultato delle ricerche di alchimia, ma la civiltà maomettana fu ammirevole, nella sua epoca d’oro, nelle arti in architettura e in molti campi della tecnica. La filosofia araba non ebbe una originalità propria di pensiero, ma l’opera di uomini come Avicenna e Averroè ebbe un’importanza non trascurabile nell’aver permesso di conservare durante i tempi bui del Medioevo, la filosofia e la civiltà antica, che già l’Europa aveva conosciuto, e traghettarla fino al nuovo rinascimento. I Maomettani assieme ai Bizantini, pur mancando dell’energia necessaria per innovare, seppero conservare per il futuro, l’apparato della civiltà: l’educazione, i libri e la cultura. Entrambi, servirono da stimolo per l’Occidente quando questi emerse dalla barbarie, producendo e stimolando nuove correnti di pensiero, superiori a quelle prodotte direttamente dagli intermediari. La Grande Sintesi Oramai da parecchie pagine non trattiamo più temi filosofici, ciò non perché si è voluto dare un diverso indirizzo alle nostre argomentazioni, ma proprio perché la storia, i fatti e i personaggi, per come ci siamo impegnati a riferire secondo una linea di continuità e collocazione temporale, non danno motivo a considerazioni o a pensieri filosofici innovativi, riconoscendo implicitamente, che per lunghi secoli la cultura non seppe esprimere e formare pensatori capaci di un pensiero originale. Altri erano i problemi e le preoccupazioni che i popoli dell’Europa stavano affrontando. La possibilità di scambio, di incontro e di confronto tra diverse conoscenze, era scesa praticamente a zero, tanto da non permettere il formarsi di aperture culturali, per cui anche il numero di pensatori è andato drasticamente riducendosi. D’altro canto quando la fame, la carestia, la guerra, le pestilenze, i massacri e le vendette si susseguono e si incrociano sulle popolazioni quasi individualmente, la barbarie e la violenza non hanno freni o limiti, l’unico pensiero che impegna la mente è l’egoismo della sopravvivenza. Questo è il tempo dell’azione, della forza bruta, dell’arrangiarsi, il pensiero e la conoscenza, non hanno dimora, non possiedono la forza per sollevarsi e produrre novità, avanzamento, promozione, per cui tutto, civiltà e cultura, si appiattisce e si perde. Solo qualche illuminato, trova la forza di raccogliere, riordinare e classificare quel poco di sapere antico, sopravissuto alle distruzioni e con grande sforzo di ricerca, radunarlo e con cura custodirlo, sottraendolo al pericolo del saccheggio. Questa, sopra descritta, è la situazione e la condizione in cui si trova il mondo Occidentale, nei secoli bui che vanno dal V° 45 IX * La Grande Sintesi al XI° secolo. Secoli in cui l’Europa, alla fine dell’Impero romano, con grandi sforzi, si è divisa e ricostruita in nazioni, guidate da sovrani e principi rozzi e il più delle volte violenti, che si combattono reciprocamente per la supremazia del proprio popolo. In questo clima, solo la Chiesa appena formata, si trova nella condizione morale per essere accettata, se non investita, a rappresentare le aspirazioni e i desideri delle popolazioni sottratte alla protezione dell’Impero, contro la minaccia di distruzione della civiltà antica. Questo compito viene svolto dai monaci e dagli ecclesiastici colti, che racchiusi nelle abbazie nei monasteri e nei conventi, si adoperano per conservare la cultura e il sapere e nel contempo, elaborare e creare una filosofia che si adatti al Cristianesimo, analizzando e arrangiando l’antico sapere, alla nuova fede. In questa situazione però la ricerca, sminuita nelle sue prerogative di indagine verso tutte le conoscenze, viene indirizzata entro un percorso obbligato, al servizio della dottrina e per la grandezza della Chiesa, in una mescolanza tra potere e fede. Il Cristianesimo, partito in una situazione di grande svantaggio, durante questo lungo periodo seppe riunire in sé molti elementi di grande importanza, proveniente da varie fonti, riuscendo a progredire fino a portarsi alla pari con i suoi competitori nel campo della filosofia, sviluppandone una propria mediante un’opportuna modificazione del neoplatonismo e dei rituali dal tempo di Ambrogio, rendendo più attraente e spettacolare la parte liturgica. Il Vecchio Testamento, le religioni orientali del mistero, la filosofia greca, i metodi romani di amministrazione, tutti, furono assorbiti e combinati dalla Chiesa, fino a creare un insieme e darle una forza, che nessuna organizzazione sociale precedente aveva raggiunto. 46 IX * La Grande Sintesi Diversa e migliore è stata la situazione dell’altra parte dell’Impero, quello Orientale, il quale non subì le violenze e le distruzioni barbariche se non in minima parte, ma godette di un periodo di sviluppo ed espansione molto felice. Con l’avvento della religione maomettana ne guadagnò anche la filosofia, permettendo, principalmente nei primi secoli, lo studio e la conservazione della conoscenza greca-orientale nella sua universalità, favorendone la trasmissione alla parte occidentale del mondo, nel momento in cui questo uscì dal buio del Medioevo. Sommario 47 48 X * Giovanni Scoto X Giovanni Scoto Giovanni Scoto, irlandese vissuto nel IX° secolo, fu il personaggio più sorprendente della sua epoca. Sconosciute sono le sue origini e la fine. Della sua vita se ne conosce solo la parte in cui egli fu al servizio di Re Carlo il Calvo. Profondo studioso del greco, neoplatonico, pelagiano e panteista, pur lontano dall’ortodossia cattolica, sfuggì alla persecuzione, anzi il suo parere veniva richiesto dagli ecclesiastici, per risolvere le controversie. Per meglio comprendere l’uomo, occorre fare un passo indietro fino al tempo delle invasioni barbariche della Gallia, quando gli uomini colti del continente, fuggivano al di la dal mare, cioè in Irlanda, per evitare i Germani, portando insieme ai missionari, cultura e progresso tra la popolazione isolana, trapiantando gran parte delle scienze e della civiltà che sul continente andava scomparendo. Poco si sa della storia Irlandese di quei secoli, durante i quali conservarono la tradizione della cultura classica. Questa, legata ai monasteri, impregnata di religiosità, non eccedeva in sottigliezze teologiche, ne tanto meno era caratterizzata da una concezione amministrativa come gli ecclesiastici del continente dopo Gregorio Magno, in pratica era rimasta isolata, fuori dal contatto con Roma, considerando il papa ancora come al tempo di Sant’Agostino e non come nella realtà del nono secolo. Causa l’invasione degli Scandinavi dell’Inghilterra e dell’Irlanda, nell’800 il flusso migratorio si ripeté a ritroso verso il continente, favorito dall’accoglienza di Re Carlo, il quale chiamò Giovanni alla testa della scuola di corte. Una disputa, sorta sulla predestinazione e il libero arbitrio, alla quale Giovanni vi partecipò con un trattato sulla “Divina Predestinazione”, prese posizione molto netta a favore del libero arbitrio sostenendo che ragione e rivelazione sono entrambi fonti di verità, per cui non possono confliggere, ma nel caso sembrassero in conflitto andrebbe preferita la ragione. Questa tesi sollevò indignazione, ritenuta non del tutto ortodossa e condannata da due Concili. Fu solo per l’appoggio del Re che sfuggì alla persecuzione. La sua opera maggiore si chiama “sulla Divisione della Natura”. L’intera “Natura”, comprensiva di ciò che è, ed anche di ciò che “non è”, viene divisa in quatto classi: 1° ciò che crea e non è creato; questo è Dio. Dio è il principio il centro e la fine delle cose, la sua essenza è inconoscibile agli uomini. Perfino a se stesso Egli è inconoscibile, perché Egli non è un “quale”. 2° ciò che è creato e crea; sono le idee (platoniche) che sussistono in Dio. Il mondo delle idee è eterno e tuttavia creato. Queste prime cause danno origine al mondo delle cose particolari, la cui materialità è illusoria. 3° ciò che è creato ma non crea; sono le cose nello spazio e nel tempo. La creazione è un processo eterno; la sostanza di tutte le cose finite è Dio. La creatura non è un essere distinto da Dio e Dio si manifesta nella creatura in una maniera ineffabile. 4° ciò che non è creato e non crea; è ancora Dio come Fine e Proposito di tutte le cose. Ciò che emana da Lui aspira a tornare a Lui; così la fine di tutte le cose è identica al loro principio. Il ponte tra l’Uno e i molti è il Logos, perché è il principio che riporta i molti all’Uno, e l’uomo a Dio. La parte che effettua questa unione, diventa divina. La pericolosità dottrinale di Giovanni risulta evidente e la sua indipendenza mentale, dimostrata da queste eresie, è sorprendente nel IX° secolo. Fu ripetutamente condannato come eretico e nel 1225, papa Onorio III°, ordinò la distruzione di Sommario 49 50 X * Giovanni Scoto XI tutte le copie del libro. Fortunatamente questo ordine non venne eseguito con grande cura. Con ogni probabilità il neoplatonismo era comune in Irlanda tra il V° e il IX° come lo era tra i padri Greci del IV° e V° sec. per cui, se del Cristianesimo irlandese di quei secoli, che sappiamo molto poco a causa dell’isolamento, ne sapessimo di più, probabilmente non troveremmo così sorprendente la figura e l’opera di Giovanni Scoto. Il Nuovo Millennio Il Medioevo Le condizioni politiche del X sec., dopo la dissoluzione dell’impero Carolingio, pur avendo apportato qualche progresso, non si dimostrarono sufficientemente solide per dare continuità alla ripresa intellettuale dell’Occidente. Nell’XI sec., con Ottone il Grande, si ristabilisce l’unità dell’impero e il movimento culturale, riprende con rinnovata spinta, in modo multiforme e durevole, tanto che il rapido progresso susseguente non andò disperso. Nella seconda metà di questo secolo, in Occidente, rinasce il pensiero filosofico. Con la riforma monastica, la cultura esce dalle abbazie e l’insegnamento si accresce, prendendo la forma che si affermerà nel XIII sec. con le Università. I Normanni cacciano i Saraceni dalla Sicilia, gli Ungheresi, oramai convertiti, cessano di razziare ai confini orientali, anche in Francia e in Inghilterra i Normanni, respingono le incursioni scandinave. In campo artistico l’architettura, rimasta fino ad allora barbarica, dove non influenzata dai Bizantini, all’improvviso raggiunse risultati sorprendenti. Il livello dell’educazione crebbe enormemente, nel clero e nell’aristocrazia laica. Si prospettò allora per la Chiesa, trovandosi in una situazione favorevole rispetto al potere laico, la necessità di un governo ecclesiastico unificato ed indipendente dall’imperatore, guidato dal papa. Per conseguire questo disegno, i riformatori, intervennero energicamente per regolamentare, reprimere e correggere le eresie e le deviazioni, richiamando il clero ad un miglior accordo con i principi cristiani. I mali che più di altri affliggevano il clero erano la simonia e il concubinaggio e questi vennero contrastati con il massimo vigore. 51 XI * Il Nuovo Millennio Il Medioevo Il mondo laico, esprimeva il proprio potere di ricatto sul clero attraverso il Re, nel piegare e legare al proprio interesse i vescovi dei loro territori, sui quali aveva il diritto di nomina, e nominato era colui che più aveva pagato. Per cui dopo la nomina, è da supporre che il vescovo, si preoccupasse più del recupero delle spese, che gli interessi spirituali della comunità. L’altro male verso il quale vi fu grande scontro con la parte riformista, fu il celibato del clero. La dove i sacerdoti erano sposati, questi tentavano di trasmettere in eredità ai figli le proprietà della Chiesa e anche quando ciò non era possibile, esisteva il pericolo che avrebbero trovato i mezzi per alienare illegalmente parte delle terre della Chiesa. Era anche convinzione, che per imporre la propria autorità sul popolo, fosse necessario al clero, la libertà dal vincolo matrimoniale, allo scopo di rappresentare una più forte presenza morale. Questi elementi portarono il clero verso una profonda riforma morale e tutti gli obbiettivi preposti furono raggiunti durante l’XI sec. Resta da dire del risveglio intellettuale di questo secolo, propiziato in gran parte dai monaci legati al movimento di riforma. Problema fondamentale della filosofia scolastica è: analizzare e giustificare le dottrine della fede. La soluzione per alcuni, viene indicata nella ragione e nella scienza, le quali, affidandosi alla dialettica, sembrano meglio adattarsi nella ricerca di una soluzione; per altri è limitare la ricerca filosofica alla difesa delle dottrine rivelate, appellandosi all’autorità dei santi e dei profeti. La polemica tra dialettici e teologi, che occuperà tutto l’XI secolo, viene proposta da Anselmo, il quale riconosce alla ragione lo strumento di conoscenza della fede, pur mantenendo sempre a questa il primato, in altre parole, con la ragione si chiarisce ciò che già si possiede con la fede. L’argomentazione con la quale Anselmo pone la sua tesi è quella dell’ateo che dice 52 XI * Il Nuovo Millennio Il Medioevo “Dio non esiste”. Con questa espressione ne dimostra la contraddizione semplicemente perché, riconosce alla parola “Dio”, il senso di “essere perfettissimo” dimostrando, inconsciamente, che è possibile pensare all’idea di essere perfettissimo. La conclusione cui perviene è che Dio deve necessariamente esistere nella mente e nella realtà, non essendo possibile negare, l’impossibilità di un “perfettissimo”. La soluzione di Anselmo non trovò i filosofi tutti concordi, anzi si divisero in due schieramenti, pro (Cartesio, Leibnitz ed Hegel) e contro (San Tommaso e Kant) il cosiddetto, argomento ontologico. Questa discussione è un chiaro esempio della vivace disputa tra dialettici e tradizionalisti, che si ripercuote anche nella controversia sugli universali dei quali Anselmo sostiene la concezione realistica. La filosofia di Anselmo è derivata per lo più da Sant’Agostino, dal quale riceve molti elementi platonici (crede nella teoria delle idee) e si muove all’interno di questa tradizione, prevalente fino al XIII secolo, più che in quella aristotelica. C’è da considerare che Platone, almeno fino al XIII secolo, era conosciuto solo di seconda o di terza mano, a parte qualche frammento del Timeo. La sua conoscenza proviene principalmente da scritti di Dionigi, autore di incerta collocazione temporale, probabilmente discepolo di Proclo. A parte Dionigi, l’altra fonte del platonismo nel Medioevo fu Boezio. Questa conoscenza era inerente a temi di interesse e di indirizzo religioso, sottolineandone certi aspetti a detrimento di altri, secondo un già conosciuto adattamento operato da Plotino nel III secolo. Anche di Aristotele, la conoscenza era frammentaria e fino al XII secolo ciò che si conosceva erano le traduzioni delle “Categorie” e del “de Emendatione “ di Boezio, per cui i due furono recepiti, questo come dialettico puro e l’altro come filosofo religioso. Nel corso del Medioevo queste 53 XI * Il Nuovo Millennio Il Medioevo concezioni furono corrette, ma per Platone, questo processo si protrasse fino al Rinascimento. La scolastica, in senso stretto, come scuola filosofica, inizia con il XII secolo presentando delle caratteristiche determinate. Il suo autore, di solito, esprime le sue opinioni, su precetti di fede, entro i limiti dell’ortodossia e se sanzionato da un Concilio, non chiede di meglio che ritrattare. E’ il periodo in cui Aristotele viene sempre meglio conosciuto studiato e accettato come autorità suprema, relegando Platone in secondo piano. Questo è il momento della dialettica nel ragionare sillogistico, il carattere generale del dissertare è minuzioso e pronto alla controversia. Anche se la questione degli universali non è argomento di fondamentale importanza per i filosofi del tempo, essa rende esplicita la domanda sui poteri della ragione e sulla validità dei suoi strumenti nell’analisi della realtà, avanzando una concezione nuova della libertà umana. In tutta Europa si assiste alla diffusione della cultura araba e finalmente si riscoprono di prima mano le grandi opere di Aristotele, Platone e degli altri filosofi del mondo greco, grazie all’opera dei commentatori arabi, Avicenna e soprattutto Averroè. Si manifestano aspre polemiche nell’interpretazione dell’aristotelismo dividendosi in due correnti, tra coloro che vogliono tenere separata la scienza dalla teologia, trattandosi di due verità diverse e discordanti (averroisti) e i fautori della conciliazione tra aristotelismo e cristianesimo, proponendone la sostituzione all’apparato concettuale platonico-agostiniano. Protagonista principale di questa seconda tesi rivoluzionaria è Tommaso d’Aquino, del quale parleremo nel prossimo capitolo, ma il XIII° sec. toccò il vertice di tutto il movimento culturale del Medioevo. I grandi uomini di questo secolo, oltre a Tommaso sono: papa Innocenzo III, San 54 XI * Il Nuovo Millennio Il Medioevo Francesco e Federico II, che in modo diverso, sono i massimi rappresentanti dei loro mondi. Questo è il secolo delle grandi cattedrali gotiche in Francia, della fioritura della letteratura romanza (i trovadori) intorno alle imprese di Carlo Magno e i suoi paladini, gli inizi di un governo costituzionale con la "Magna Charta” e la Camera dei Comuni. Sommario 55 56 XII * San Tommaso d’Aquino XII San Tommaso d’Aquino Tommaso d’Aquino figlio del conte di questa località nei pressi di Montecassino nacque nel 1225 da padre tedesco e madre normanna. Dopo il diploma, acquisito a Montecassino, si reca a Napoli per proseguire gli studi presso l’università fondata da Federico II, dove insegnano i più celebri maestri d’Europa. A diciannove anni entra nell’ordine domenicano contro il volere del padre e della famiglia, si reca a Parigi prima e poi a Colonia per perfezionare i suoi studi con Alberto Magno, vescovo di Ratisbona grande conoscitore della filosofia greca e di Aristotele, diventando suo diligente allievo. Rientrò in Italia nel 1259 dove rimase per il resto della vita (1274). San Tommaso è considerato il più importante filosofo scolastico. Ancora oggi, in tutti gli istituti cattolici dove si insegna filosofia il suo sistema è una regola di studio. L’influsso che esercita è tuttora vivo, al pari di Platone e Aristotele, verso il quale l'Aquinate, ha dimostrato una tale affinità culturale, d’avergli procurato, tra i cattolici, quasi l’autorità di uno dei Padri, assicurandogli la supremazia su Platone, almeno fino al Rinascimento. L’eredità lasciata da Tommaso alla Chiesa, non solo dal punto di vista teologico, è la “Summa contra Gentiles”, la sua maggiore opera scritta tra il 1259-64, una specie di enciclopedia cattolica in cui è esposta tutta la filosofia scolastica. Suo intendimento principale è, affermare la verità di quanto la fede cattolica professa, “ricorrendo solo alla ragione naturale, dato che i gentili non accettano l’autorità delle Scritture”. Per questo, le varie problematiche sono esposte in forma di domanda alla quale risponde, prima secondo la Bibbia, poi secondo la dottrina dei Padri, infine secondo la Ragione. A queste tre posizioni, contrappone l’obiezione di un immaginario avversario, identificato in un filosofo arabo, al quale viene dimostrata la verità, servendosi dell’autorità del “Filosofo”, cioè con il metodo aristotelico. Tutto questo con pignoleria e onestà intellettuale, senza lasciarsi fuorviare o trascinare dalla passione religiosa. Questa opera più che formulare nuove dottrine, cerca di mettere d’accordo quelle antiche pagane con quelle ufficiali cristiane. Per riuscire in questo, Tommaso dispone di tutte le qualità necessarie per un simile compito: la logica limpida, l’ordine metodologico, la misura del giusto mezzo. Dopo il 1259, per breve tempo, si reca a Parigi chiamato a derimere un contrasto sorto tra le autorità universitarie e i domenicani averroisti, rappresentanti un forte partito all’interno dell’università, sospettati di eresia a causa, l’interpretazione dell’aristotelismo troppo aderente alle dottrine arabe. Tommaso, che a differenza dei suoi predecessori, aveva realmente una conoscenza profonda di Aristotele, ebbe un personale successo riuscendo a persuadere la Chiesa che il sistema aristotelico, quale base della filosofia cristiana, era da preferirsi a quello platonico, dimostrando quanto maomettani e cristiani averroisti avessero male interpretato Aristotele. Interessante è la giustificazione che da dell’autonomia e armonia tra filosofia e teologia, tra “Ragione e Fede”. La filosofia, si fonda sulle conoscenze naturali quali l’esperienza e la ragione, è perciò del tutto separata dalla fede, anche se in qualche caso può sapere verità preliminari alla fede, come l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio. La teologia invece, si fonda sulla rivelazione di verità soprannaturali accolte per fede, per cui non necessita di giustificazioni razionali. Nessun aiuto, può dare la filosofia alla conoscenza dei misteri della fede, i quali, pur non essendo 57 XII * San Tommaso d’Aquino irrazionali, sono al di sopra delle possibilità della ragione. Poiché la ragione e la rivelazione hanno come sorgente Dio, quale creatore della ragione e autore della rivelazione, esse non possono essere insufficienti nel loro ambito, né essere in contrasto tra loro. In quanto all’anima dell’uomo, Tommaso, la considera unita al corpo e come tutte le sostanze intellettuali è immateriale e incorruttibile, essa non viene trasmessa dal seme, ma creata dal nulla per ogni uomo ed è presente tutta intera in ogni parte del corpo. Nel dibattito sul problema degli universali, Tommaso si schiera a favore della tesi del realismo moderato di origine aristotelica: l’universalità dei concetti è dovuta al potere astrattivo dell’intelletto. Reale è l’individuo non l’universale, il quale però ha fondamento nella realtà da cui è dedotto. Gli universali non sussistono al di fuori dell’anima, ma l’intelletto, che fa parte dell’anima di ciascun uomo, nel comprendere gli universali, comprende cose che sono al di fuori dell’anima Nel campo dell’etica e della politica Tommaso si accorda sulle tesi prettamente aristoteliche, armonizzandole con il cristianesimo. Il bene dell’uomo è la felicità, ma questa non consiste nell’attività intellettuale ma nella contemplazione di Dio che è il fine ultimo dell’uomo. Nella vita terrena l’uomo è libero di scegliere tra una molteplicità di beni relativi. In questa scelta, per evitare di allontanarsi da Dio, deve applicare la legge morale, servendosi della coscienza, vale a dire della legge naturale essendo questa eterna. Alla legge naturale deve conformarsi la legge positiva, fatta dall’uomo, cioè il diritto civile. Oltre la legge naturale e quella positiva esiste anche la legge divina, la volontà di Dio, conosciuta dall’uomo mediante la rivelazione. La legge divina, ci spinge ad amare Dio e in misura minore, anche il nostro prossimo. Da questa discende una serie di regole 58 XII * San Tommaso d’Aquino e divieti di ordine etico e comportamentale. Questa legge, vieta la fornicazione, perché il padre deve stare con la madre per allevare bene i figli, vieta il controllo delle nascite perché contro natura, bisogna osservare la monogamia, il matrimonio è indissolubile, non tutti i rapporti carnali sono peccaminosi, trattandosi di cosa naturale, ma il matrimonio non è buono come la castità, l’incesto è vietato perché rende difficile la vita familiare, la poliandria rende incerta la paternità. Tutte queste argomentazioni ed altre sull’etica sessuale, si richiamano a considerazioni puramente razionali e non a proibizioni divine, dimostrando, e in questo l’Aquinate si compiace, come la ragione lo abbia portato a conclusioni in armonia con le Scritture. C’è una interessante discussione intorno al problema della povertà volontaria, che come è lecito attendersi, pur sollevando con forza e realismo tutte le obbiezioni poste dal clero secolare, giunge a conclusioni in armonia con i principi degli Ordini mendicanti. Anche la società politica si fonda sulla legge naturale e il suo scopo è il bene comune, cioè la vita buona e felice su questa terra. L’uomo è perciò animale politico tenuto, in coscienza, a rispettare le leggi positive stabilite dal governo legittimo. Questa società quindi rientra nel piano della creazione ed è pertanto positiva. Per San Tommaso la costituzione migliore è la monarchia, dove il principe riceve dal popolo l’autorità che Dio ha conferito alla società politica. La peggiore è la tirannia, che in caso di necessità può essere abbattuta uccidendo il tiranno. L’ultimo libro si occupa di problemi teologici come la Trinità, l’incarnazione, la supremazia del Papa, dei Sacramenti e della resurrezione della carne, tutti temi che, seppure di grande importanza dottrinale, non competono strettamente la filosofia, per cui termino la riflessione su San Tommaso, sottolineandone Sommario 59 60 XII * San Tommaso d’Aquino XIII l’originalità nell’avere promosso e imposto il pensiero di Aristotele, adattandolo con minime alterazioni, al dogma cristiano. Per dimostrare quanto rivoluzionaria sia stata la sua opera, basti considerare le aspre polemiche e ripetute condanne all’aristotelismo da parte della Chiesa, dalle quali anche Tommaso, che i posteri chiamarono Dottor Angelico, non è stato esente, accusato, a tre anni dalla morte, di eresia, e solo dopo molti anni riabilitato e proclamato Santo nel 1323. Durante il Concilio di Trento, che sanzionò la spaccatura del mondo cristiano in cattolico e protestante, la sua “Summa contra Gentiles” fu posta sull’altare assieme ai Vangeli e la filosofia tomista divenne quella ufficiale della Chiesa. Gli Scolastici Francescani San Bonaventura, generale dell’ordine francescano (12211274), contemporaneo di Tommaso, gli oppose la convinzione che la sapienza cristiana si costruisce esclusivamente sulla fede, considerando il nuovo aristotelismo, una seria minaccia al Cristianesimo. Grande estimatore di Sant Agostino, nei suoi scritti non vengono mai citati autori arabi o pagani. Crede nelle idee platoniche, che però soltanto Dio conosce alla perfezione. L’unica sapienza è quella rivelata dalla Scrittura. Oggetto di indagine è la natura che la ragione rende conoscibile, ma non la può dominare completamente. La ragione non può essere lasciata in piena autonomia, altrimenti si verrebbero a creare due forme di sapienza tra loro contrapposte. Dio è l’essere stesso, la cui essenza comprende la stessa esistenza, pertanto non può non esistere necessariamente. Poiché l’uomo possiede in sé l’idea dell’essere, quindi l’idea di Dio, l’esistenza di Dio non ha bisogno di essere dimostrata, è evidente per sé stessa. Conformemente ai neoplatonici, Bonaventura, concepisce il mondo come “segno, specchio di Dio”. Nell’Itinerarium mentis descrive le tre tappe del cammino dell’anima verso Dio: Conoscenza del mondo esterno, per mezzo della sensazione e dell’immaginazione, impronta lasciata dalla creazione; conoscenza che l’anima ha di se stessa, cioè dell’immagine di Dio, dovuto alle tre facoltà di questa (memoria, conoscenza, amore) come immagine della Trinità, ottenuta attraverso la ragione e l’intelletto; conoscenza di Dio, per mezzo dell’intelligenza e della capacità innata di riconoscere ciò che è bene e male, ottenuta per similitudini. 61 XIII * Gli Scolastici Francescani Duns Scoto (1226-1308) nacque nell’Ulster, divenne francescano a Oxford, fu il più acuto maestro del XIII sec., per il suo ingegno chiamato Doctor subtilis, assieme a Tommaso, rappresenta il vertice della scolastica, pur seguitando la controversia francescana con l’Aquinate, distaccandosi da questi per quanto riguarda la separazione netta, tra filosofia e teologia, senza dover ricercare l’accordo tra fede e ragione. In ordine alla concezione dell’essere, sostiene che la prima nozione posseduta dall’intelletto umano è quella di ente, privo di ogni determinazione, essenza o esistenza, che considera sinonimi, cioè la più astratta e generica tra tutte le nozioni. Questo concetto indeterminato e univoco, dotato di un solo significato, è la condizione di intelligibilità di qualsiasi ente. Studiando a fondo il concetto di ente, Scoto, accanto ai principi aristotelici di forma e materia, pone un terzo principio, il quale ne individua e ne determina l’essenza degli enti. Proprio questo terzo “ecceitas” (particolare), che fa dire di un ente; questo, questa, è il carattere che costituisce l’essenza dell’individuo. Con questa dottrina, Scoto, ha voluto valorizzare al massimo l’individualità, sostenendo che se le cose sono distinte, esse devono distinguersi per qualche differenza qualitativa. Guglielmo di Occam, è dopo San Tommaso, il più importante degli scolastici. Della sua vita si conosce molto imperfettamente, la nascita probabile tra il 1280 e il 1300 nello Yorkshire e morì nel 1349-50. Studiò a Oxford e a Parigi come allievo e poi come rivale di Duns Scoto. Fu implicato nella controversia sulla povertà, dell’ordine francescano con papa Giovanni XXII. La maggioranza dell’ordine capeggiata dal generale, Michele da Cesena si ribellò, alla pretesa del papa con la quale, l’ordine avrebbe dovuto accettare “la proprietà”, Guglielmo e Marsilio da Padova, altro importante personaggio, presero le difese di Michele e tutti e tre furono scomunicati 62 XIII * Gli Scolastici Francescani nel 1328. Si rifugiarono a Monaco presso l’imperatore Luigi e il papa scomunicò anche lui. Luigi si appellò contro di lui, dinanzi a un Concilio generale, e il papa venne accusato di eresia. Guglielmo rimase, con Marsilio, alla corte dell’imperatore scrivendo trattati politici di notevole importanza. Base della sua riflessione filosofica è la netta separazione tra fede e attività terrene scienza e filosofia incluse. Indispensabile è liberare la fede da tutti i vincoli terreni. Fede e ragione sono asimmetriche; le verità rivelate vanno sottratte radicalmente alla sfera del razionale, anzi il voler spiegare la fede con la ragione è un atto di superbia. Compito vero del teologo non è dimostrare con la ragione la verità accettata per fede, ma dimostrare, dall’altezza di quella verità, l’insufficienza della ragione; “credo et intelligo”. Con questa dottrina si separa definitivamente la fede dalla ragione. Per quanto riguarda il problema degli universali, Occam, aderisce alla linea nominalista, negando l’esistenza, riducendoli a semplici “flatus vocis”. Gli universali non esistono, nemmeno come concetto della mente per cogliere ciò che è comune, a enti diversi. Essi sono semplicemente un segno che “sta al posto di” un gruppo di individui e non hanno nessun legame reale con ciò che stanno a significare. Il linguaggio è una pura convenzione, una arbitraria applicazione di segni ad esperienze individuali che hanno significato, solo tra chi ha compiuto quelle esperienze, consentendo di riconoscerle, ma non di saperle. La logica come analisi dei discorsi universali ha grande valore, essendo il migliore strumento delle arti. Essa, mettendo in rapporto tra loro vari termini, non considera la realtà, ma solo una struttura convenzionale, perciò le regole del linguaggio non sono le regole della realtà. Anche la scienza con le sue formulazioni universali non ha per oggetto le cose, ma contenuti Sommario 63 64 XIII * Gli Scolastici Francescani XIV mentali che stanno “al posto di” cose. Pertanto, anche la conoscenza scientifica è basata sui segni convenzionali del linguaggio, per cui ha un valore relativo, avendo bisogno essa stessa di continue smentite e conferme da parte dell’esperienza, quale unica fonte certa di conoscenza. Non complicare inutilmente le cose semplici, questo principio metodologico detto, rasoio di Occam si fonda sulla constatazione che la ricerca va indirizzata esclusivamente su elementi semplici, gli enti individuali. Non ha senso disperdersi nelle inutili dispute della metafisica, la ricerca possibile è, verso la fisica, basata esclusivamente sull’esperienza, e verso la teologia, basata esclusivamente sulla fede. Anche l’esistenza di Dio può essere solo creduta, non dimostrata. A maggior ragione non si possono conoscere gli attributi di Dio, ma anch’essi vanno creduti per fede. Il pensiero politico di Occam, interpreta con notevole intelligenza la caduta delle due idealità medioevali: il papato e l’impero. Egli teorizza la separazione dei poteri, il temporale con competenza all’imperatore, la cui autorità non viene da Dio attraverso il papa, ma è assolutamente indipendente. La Chiesa viene vista soprattutto come libera comunità di fedeli, all’interno della quale il papato non sia dominatore ma servitore, perché solo così la Chiesa come comunità universale dei fedeli è infallibile, mentre papato e concilio sono fallibili. Dopo Occam la scolastica perde la sua forza di proposizione, segnando il passaggio tra due ere di filosofi e di civiltà, dal Medioevo al Rinascimento. Non è esatto dire che fu un precursore di Cartesio, o di Kant, o di altri , egli si occupò principalmente di restaurare un genuino Aristotele, liberandolo dalle incrostazioni arabe e per un certo verso anche agostiniane, ma i francescani, continuarono a seguire Agostino molto più da vicino di Tommaso. Eclissi del Papato Insieme all’emergere e al rafforzarsi delle monarchie nazionali in Inghilterra e in Francia, e al conseguente declino dell’autorità morale papale in Europa, gli accadimenti più importanti che caratterizzarono il XIV secolo furono; il sorgere di una ricca classe commerciale e il risveglio culturale dei laici. Questi fenomeni, iniziarono entrambi in Italia ed ebbero la maggiore diffusione nelle grandi città del Nord, più che nel resto dell’Occidente, protraendosi fino alla metà del XVI secolo. Queste città, più ricche di qualsiasi altra dei paesi settentrionali, attiravano studiosi laici, specie in legge e medicina, per cui, quando le minacce di saccheggi e repressioni da parte dell’imperatore si attenuarono, si manifestò presto un forte desiderio di autonomia e indipendenza, rivolgendo lo stesso sentimento laico di libertà contro il papato. Anche nell’Europa giravano, benché in grado minore, le stesse correnti di pensiero, nelle Fiandre, nelle città anseatiche, nella stessa Inghilterra dove il commercio della lana era fonte di ricchezza. Era un’epoca in cui le tendenze democratiche erano molto forti, e il papato, appariva più che altro un’agenzia di tasse, che traeva e se vaste ricchezze, mentre i papi non avevano, né meritavano più, l’autorità morale che aveva dato loro il potere. Quando Clemente V inaugura nel 1309, il periodo avignonese del papato sotto la protezione del re di Francia, si concretizzò l’alleanza per un’azione congiunta, contro l’ordine dei Templari. Entrambi erano nella necessità impellente di danaro, il papa perché dedito al favoritismo e al nepotismo, il re Filippo per la guerra contro l’Inghilterra, la rivolta fiamminga e le spese crescenti del regno. Dopo avere depredato i banchieri di Lombardia e perseguitato gli ebrei fino al limite che 65 XIV * L’Eclissi del Papato il loro commercio poteva sopportare, il papa si ricordò dei Templari, che oltre ad essere banchieri, avevano immense proprietà terriere in Francia. Tra i due poteri si stabilì, insolitamente, un patto con il quale, la Chiesa avrebbe scoperto che i Templari erano caduti in eresia. Il Re con un’azione ben congegnata arrestò in un sol giorno tutti i capi e seguendo una lista di domande precedentemente preparata, vennero interrogati, sottoposti a torture, e costretti a confessare d’avere commesso ogni genere di infamia. Alla fine dei processi nel 1313, il papa soppresse l’ordine e ovviamente, tutte le proprietà vennero confiscate. In seguito, dopo approfonditi riscontri storiografici, Henry C. Lea, nel suo libro (history of the Inquisition), giunse a concludere che, le accuse contro i Templari erano false e frutto di estorsioni. La rivolta contro il dominio papale presentò forme diverse, a secondo di come le situazioni si presentavano, poteva prendere la forma di un nazionalismo monarchico, o la reazione puritana contro la corruzione, o l’ostilità verso la mondanità della corte papale. Succedeva così che l’imperatore, contro l’autorità religiosa, proteggesse pensatori come Occam o Marsilio da Padova, in seguito per la stessa ragione Wycliffe fu protetto da Giovanni di Gaunt. Si andò avanti così tra contrasti, fino al 1378 quando iniziò il grande scisma che durò una quarantina di anni. La Francia e i suoi alleati, riconoscevano i papi di Avignone ed i nemici della Francia riconoscevano quelli indicati da Roma. Allorché un papa moriva, immediatamente i suoi cardinali ne eleggevano un altro. Ogni mezzo venne ricercato per risolvere la disputa, alla fine con molta fatica si riuscì a convocare un concilio a Pisa, per derimere la questione, ma lo scopo fallì in modo ridicolo. Dichiarando deposti i due papi, (che naturalmente gli interessati ignorarono), ne venne eletto un terzo col mandato di indire immediatamente un nuovo concilio, 66 XIV * L’Eclissi del Papato ma per colmo di sfortuna, questi morì quasi subito. I cardinali in tutta fretta ripiegarono su un altro successore Baldassarre Cossa, che risultò essere un noto filibustiere. Tuttavia, dal precedente, aveva ereditato l’impegno di indire un nuovo concilio, che naturalmente ritardò fino a quando potè, onde potere godere dei benefici che la tiara gli consentiva. L’imperatore Sigismondo, in una situazione di stallo, si prese la briga di indire lui un nuovo concilio, che nel 1414 venne convocato a Costanza sotto la sua presidenza, invitando tutto il Gotha della Chiesa, dell’aristocrazia e della cultura. Il concilio durò tre anni e alla fine, deposto Giovanni XXIII (papa Cossa), fatto dimettere Gregorio XI (papa di Roma), liquidato per non avere più alcun consenso Benedetto (papa di Avignone), dal concilio, oramai senza più opposizione, uscì eletto Oddone Colonna, che prese il nome di Martino V, era il 1417, lo scisma era finito. Questi furono gli avvenimenti che anticiparono il XV secolo, il quale si presenta con il papato oramai in fase di rapido declino, mentre la Scienza conosce un momento di grande rilancio. In Francia e in Inghilterra la monarchia si allea con il ceto medio più facoltoso, e insieme sconfiggono l’anarchia aristocratica. Con la scoperta della polvere da sparo, si rafforzano i governi centrali a scapito della nobiltà feudale. Questi fatti, assieme ad altre cause, producono un rapido e profondo mutamento sociale, politico, economico e culturale. In Italia, quasi libera dalle armi nordiche, stranamente silenti fino alla fine del secolo, progredisce rapidamente in cultura e ricchezza. La nuova cultura, apprezza essenzialmente la Grecia e Roma, l’architettura e lo stile letterario aderiscono agli antichi modelli, disdegnando il Medioevo. I profughi greci, fuggiti da Costantinopoli, invasa dai Turchi, vengono ben accolti in Italia dagli umanisti. Per merito dei Bizantini, Platone viene Sommario 67 XIV * L’Eclissi del Papato 68 XV Il Rinascimento conosciuto e studiato di prima mano e integralmente, non attraverso la trasposizione neoplatonica o agostiniana Colombo e Vasco de Gama allargano il mondo e Copernico ingrandisce i cieli. Lunghi secoli di ascetismo e ristrettezze sono finiti e dimenticati in un tripudio di arte, di poesia e di piaceri pagani per la fama, la bellezza e l’avventura. L’ebbrezza, non poteva durare a lungo, ma per il momento scacciò la paura. Il mondo moderno, vide la luce in questo XV secolo di gioiosa liberazione. Nel 1559, con la pace di Chateau-Cambresis, moriva definitivamente il sogno imperiale di Carlo V, e gli Stati nazione assumevano il ruolo di protagonista della propria storia. Al di là delle Alpi, Spagna, Francia e Inghilterra si stavano impegnando a costruire la propria vocazione nazionale e ad irrobustire le proprie strutture politico-amministrative. In Italia la situazione era diversa. Causa le continue controversie tra le varie Signorie, nessuna delle quali sufficientemente forte da egemonizzare le altre, non si riuscì ad unire in una nazione le genti della penisola, e il suo territorio divenne preda, delle potenze straniere. Nel corso del XV secolo tuttavia si diffuse, con una certa rapidità un nuovo modo di pensare, tra la colta borghesia industriosa, impegnata nei traffici e tesa verso una economia aperta. Questo fenomeno culturale, il Rinascimento, in origine tipicamente italiano, si discosta nettamente dalla cultura dominante medioevale, marcando un profondo mutamento spirituale, tale da apportare una vera rinascita culturale, che si presenta con le seguenti caratteristiche; l’esaltazione della vita laica, attiva e mondana, con un accentuato sensualismo la mondanizzazione della religione, correlato ad una tendenza esibizionista del culto uno spiccato individualismo, e un rinnovato senso della storia infine uno straordinario gusto artistico Tutto questo, ci da del Rinascimento, una immagine immanentistica, antropocentrica e individualista, contrapposta a quella trascendentistica, teocentrica e universalista, Medioevale. Non è corretto, opporre in modo netto, il Rinascimento come 69 XV * Il Rinascimento nuova cultura contro la precedente non cultura, ma molto più semplicemente e correttamente si è trattato della nascita di un’altra cultura e civiltà. In realtà le anticipazioni del nuovo clima sono da ricercarsi nel XIV secolo, quando ancora pochi erano coloro che possedevano una mentalità innovativa e tra questi Petrarca e Cola di Rienzo, i quali, seppur in campi e situazioni totalmente diversi, seppero indicare la strada della modernità pur nel solco di una continuità. Si deve quindi parlare del Rinascimento, come della nascita di una cultura umanistica diversa, dalla cultura Medioevale. I termini Rinascimento e Umanesimo, per lungo tempo sono stati usati come sinonimi, per indicare il movimento culturale fiorito in Italia nel quattrocento e diffuso poi in tutta Europa nel cinquecento, nel segno del rinnovamento della letteratura, delle scienze, della filosofia e dell’arte. In seguito però (XIX sec.) i due termini vennero differenziati e presero una diversa connotazione. Con Umanesimo si è inteso indicare il carattere soprattutto letterario-tecnico di quel periodo, in cui i testi classici greci e latini, vengono riletti come veri “maestri di umanità” e interpretati con un diverso senso del tempo e della storia. Gli umanisti sono ritenuti dei filologi anche se, in concreto, il loro mestiere si rivela molto di più di un semplice lavoro filologico, perciò l’Umanesimo e il Rinascimento costituiscono le due facce, dello stesso fenomeno culturale, la prima filologica, l’altra filosofica. Nel campo filosofico il ritorno ai classici riguarda principalmente Platone e Aristotele che riletti come maestri di umanità, forniranno le basi per la conoscenza della nuova concezione dell’uomo. Platone, diviene il Maestro di pensiero, sia per lo stile poetico e artistico, sia perché gli viene assegnato la funzione di avversario di Aristotele e della filosofia scolastica, che aveva 70 XV * Il Rinascimento permeato la cultura medioevale. Favorito dalla traduzione completa dell’ampia gamma dei suoi dialoghi da parte di Marsilio Fucino, ne viene ampliata la conoscenza ad una nuova e più vasta platea di studiosi. Anche la rilettura di Aristotele, non avverrà secondo i parametri tomistico-medioevale ma con termini diversi di raffronto. In particolare, apparirà ai rinascimentali come esponente di una mentalità naturalistica e razionalista, portato a vedere nella natura il campo privilegiato dell’indagine razionale. Il pensiero di Aristotele, autorizzerà a sostenere la concezione di una radicale separazione tra, l’ambito della fede e quello della ragione (teoria della doppia verità). Questa dottrina della doppia verità, ha permesso a molti studiosi del periodo, di professare con una certa disinvoltura nuove dottrine, sottraendosi in parte agli Inquisitori ecclesiastici, facilitando il processo di laicizzazione della cultura. Gli Umanisti, non si limitarono a porre la propria attenzione su Platone e Aristotele, ma anche per gli stoici, gli epicurei e altri autori antichi ebbero una nuova considerazione. In particolare, sorprende l’interesse suscitato dalla rilettura di opere, erroneamente attribuite ai cosiddetti “Poeti-Maghi” Ermete Trismegisto, Zoroastro e Orfeo, che in certi aspetti marginali delle loro dottrine, potevano combinarsi con alcune pratiche del Cristianesimo, permettendo altresì l’accostamento, almeno in parte, dell’impianto astrologico e gnostico che tali dottrine contenevano. Questo, legittima e giustifica la visione del platonismo rinascimentale, diversa da quello medioevale, circondato da una sensibilità magica, gnostica ed esoterica che non tarderà a connotare il mestiere di filosofo alla stregua dei maghi e dei “teurghi” antichi, e la filosofia un’arte, con finalità mistico-religiosa. Tra i caratteri generali del Rinascimento vi è il 71 XV * Il Rinascimento riconoscimento del primato della vita attiva su quella contemplativa. Si tratta dell’esaltazione dell’uomo operoso, capace di dare forma alle cose, in vista dell’utilità non solo per il singolo, ma disponibile a tutti gli uomini. L’ideale medioevale della contemplazione vissuta in solitudine, si affievolisce davanti alla nuova concezione che vede l’uomo impegnato a trasformare il mondo in collaborazione con l’opera creatrice di Dio. Il lavoro non più visto come maledizione del peccato originale ma in competizione con l’ascetismo-mistico. Il denaro, quale frutto del lavoro, viene riguardato con occhio positivo. Infine il tempo, assume una nuova dimensione, perde gran parte dell’atmosfera sacrale assunta nel Medioevo basata sull’evidenza sensibile dell’alba e del tramonto, la cui durata fruibile, varia nel corso dell’anno secondo le stagioni. Il tempo, con l’introduzione dell’orologio meccanico, diventa artificiale sempre uguale a se stesso, comunicando anche un cambiamento di mentalità, in particolar modo negli agglomerati urbani. Esso assume una diversa connotazione legata al profitto e all’intensificarsi dei ritmi di lavoro, comportando di riflesso un aumento del guadagno e una migliore condizione di vita. Al tempo qualitativo, dominato dai ritmi sociali dettati dalla Chiesa, subentra il tempo meccanico, laico, più individualista e sempre più assoggettato al profitto; “il tempo è diventato veramente danaro”. La cultura, che durante il Medioevo e nell’età comunale, era concentrata nelle Università sotto il monopolio quasi esclusivo della Chiesa, ora nelle Accademie, si fa laica e passa nelle mani della borghesia, diventando portatrice di rinnovamento in tutti i campi della conoscenza. Ben presto nuovi luoghi del sapere si affiancano alle vecchie strutture, diventando poli di incontro e luoghi di elaborazione di una nuova cultura, diversa dalla scolastica. L’intellettuale troverà nuovi itinerari di ricerca, 72 XV * Il Rinascimento andando a scontrarsi sempre più spesso contro il sapere costituito, fino alla rottura definitiva con il passato. Anche se ciò rimane ancora cultura elitaria, nuove possibilità di fruizione del sapere si aprono ad un pubblico sempre più vasto e desideroso di sapere, grazie alle scoperte della scienza e all’invenzione della stampa. Per quanto riguarda l’atteggiamento degli studiosi rinascimentali, è difficile spiegarne i comportamenti nei confronti della Chiesa, perché molti di loro, pur essendo notoriamente dei liberi pensatori non disdegnano la riappacificazione all’approssimarsi della morte. Altri umanisti, anche se colpiti e infastiditi dalle perversità dei papi e dall’amoralità dei costumi, essendo al loro servizio abbondantemente ripagati con onori e denaro, ben si guardano dall’obbiettare e mettere in discussione il sistema. L’eterodossia italiana, inevitabilmente fu puramente intellettuale, e non portò a scismi né ad alcun tentativo di creare un movimento popolare al di fuori della Chiesa. Fatta eccezione per Savonarola, nessuno in Italia in quel momento avrebbe rischiato qualcosa per la politica. Anche da parte del potere laico i guai della corruzione erano evidenti, ma nulla venne fatto per porvi rimedio. La necessità di una Italia unita era ovvia, ma nessun principe o sovrano fu capace di trovare un accordo, nonostante il pericolo imminente di una ingerenza straniera. Al contrario ogni principe era pronto a invocare l’aiuto di qualche potenza esterna, pur di contrastare le ambizioni di un altro sovrano autoctono. Queste erano le condizioni politiche e sociali durante il Rinascimento che, fuori dalla sfera morale, ebbero enormi meriti, facendo rinascere la conoscenza del mondo greco, dando impulso allo sviluppo del genio individuale, portando ad una fioritura straordinaria in architettura, pittura, e poesia rimasta ancora oggi insuperata, producendo uomini sommi in tutti i campi, come Leonardo, Michelangelo e Machiavelli. Sommario 73 74 XVI * Platonismo e Aristotelismo Rinascimentale XVI Platonismo e Aristotelismo Rinascimentali Per gli umanisti della metà del 1400, l’espressione (Nicola Cusano) “l’uomo è un dio umano”, è accolta come loro sigla spirituale, volendo significare la rappresentazione di uomo, inteso come “microcosmo”. Evidente è l’allusione all’antica massima anassagorea “tutto è in tutto”, cioè ciascun essere in quanto contrazione-rivelazione di Dio, riassume in se l’intero universo e Dio stesso. Per questo l’uomo, avendo la consapevolezza di contrarre in sé medesimo tutte le cose, sente la certezza di essere un tutto, un microcosmo. Le basi filosofiche sulle quali poggia questa idea è il ritenere che, la conoscenza, (N. Cusano), consista essenzialmente nel comparare l’ignoto con il noto. Questo presupposto induce ad una sproporzione fondamentale, nel caso in cui la nostra mente indaghi l’infinito. Infatti la nostra mente è finita, rispetto all’infinito verso cui essa tende. Se la nostra conoscenza dell’infinito è sproporzionata ad esso, si rivela come ignoranza, ma se tale è la consapevolezza della nostra ignoranza, questa diventa dotta, una “dotta ignoranza”. Il sapere umano, ricorda il ”So di non sapere” socratico, ma questo ora non è solo il punto di partenza della ricerca, ma diventa anche quello di arrivo. Il nostro sapere quindi, è piuttosto un non sapere e per questo, si apre la possibilità ad una infinita ricerca per approssimazione, estendendo così a tutta la filosofia il metodo della conoscenza negativa. I concetti, che sono gli strumenti che l’uomo ha a disposizione per la conoscenza universale e infinita, sono inadeguati perché possono definire solo una cosa in relazione a un’altra, una parte nota, in relazione a un’altra parte ignota, ma la conoscenza del tutto nella sua unità rimane inarrivabile. Cusano, paragona il nostro intelletto ad un poligono inscritto in una circonferenza che aumentando i lati, tanto più sarà simile al cerchio, tuttavia non sarà mai uguale anche aumentandoli all’infinito. La conoscenza deve procedere per congetture, metafore, simboli, in modo particolare servendosi dei concetti e delle immagini geometriche e matematiche, le quali più si avvicinano alla vera armonia dell’universo. Talune originali concezioni del rapporto tra Dio e il mondo, portano Cusano al rifiuto della concezione cosmologica aristotelica, preludio geniale alla rivoluzione copernicana. Il senso del suo itinerario e dell’insegnamento, sta tutto nell’aver intuito e portato in primo piano la dignità dell’uomo. A partire dall’Ottocento, la storiografia filosofica gli ha riconosciuto, una posizione centrale come precursore della filosofia moderna. Marsilio Ficino, ritiene che la tradizione platonica e neoplatonica, può essere la base del rinnovamento dell’uomo collocato al centro del mondo. L’anima come congiunzione tra mondo fisico e mondo intelligibile, diviene l’essenza media, il nodo vivente della creazione e il fondamento della dignità dell’uomo. Ciò che unisce armonicamente tutto l’universo consentendo di uscire dal caos e raggiungere l’ordine e la perfezione è l’Amore, nel senso platonico, il quale altro non è che l’amore cristiano, che alla fine dell’ascesa verso la perfezione si accende in Dio facendosi eterno. Per Ficino, non vi è differenza tra teologia e filosofia, ognuna nasce da un’illuminazione della mente, come i fondatori di religioni e gli antichi filosofi sono tutti degli “illuminati” che hanno contribuito a diffondere la verità, originariamente derivata da quella fonte universale che è il Logos. Nessuna contraddizione quindi tra filosofia e religione, tra magia e teologia, tra Cristianesimo e platonismo, del resto Ficino oltre che filosofo e traduttore, era sacerdote e mago, 75 XVI * Platonismo e Aristotelismo Rinascimentale condizione che gli costò anche un’accusa di negromanzia da parte della Chiesa. La dignità dell’uomo, derivata dalla sapienza orientale attribuita a Ermete Trismegisto, è la libertà. Questo è il pensiero di Pico della Mirandola, che considera l’uomo fortunato, perché diversamente da tutte le altre creature, non ha una natura predeterminata, ma posto in mezzo al mondo, può plasmarsi secondo la modalità che ritiene meglio per sé. Non essendo né celeste né terrestre, né mortale né immortale, libero da ogni prerogativa, potrà essere artefice e sovrano della sua dignità. Degenerare nelle cose inferiori da bruti, o rigenerarsi nelle cose superiori che sono divine. In Pico della Mirandola si riconosce un certo platonismo, ma anche altre tradizioni esoteriche (la Cabala ebraica di cui è cultore) che vengono riprese in un nuovo contesto, per dare l’immagine dell’uomo attivo, le cui potenzialità devono essere sollecitate per potersi adeguare all’entusiasmo dei tempi. Secondo P. Pomponazzi che, al contrario dei precedenti, si richiama all’interpretazione alessandrina di Aristotele, l’anima non è immortale, non essendo separata dal corpo, perché di questo ne è la forma, dunque nasce e muore con esso. Questa tesi suscitò grande scalpore soprattutto perché nel Concilio Lateranense del 1513 venne solennemente proclamato il dogma dell’immortalità dell’anima. Ma per Pomponazzi ciò non è in contrasto con la dottrina, perché se è ragionevole per la ragione e per Aristotele che l’anima in quanto forma del corpo è mortale, tuttavia sulla base della fede, anche l’altra tesi può essere accettata per vera, perché supportata dalla rivelazione delle Scritture, secondo la teoria della doppia verità. Egli ritiene comunque che la ragione umana essendo fallibile e limitata, è incapace a dimostrare l’immortalità dell’anima individuale. Sebbene in forma sfumata e non del tutto 76 XVI * Platonismo e Aristotelismo Rinascimentale esplicita, sembra abbia sostenuto una certa dottrina ateista politica, ossia la tesi dell’impostura religiosa, come criterio per meglio sottomettere i popoli ribelli. Figlio del Rinascimento Niccolò Machiavelli (1469-1527) non fu un filosofo, ma scienziato della politica. Basata sull’esperienza diretta, la sua politica è scientifica, tesa a trovare i mezzi adatti per il fine determinato, senza dover indagare né giudicare della loro bontà. Molta della cattiva fama legata al personaggio, è dovuta all’indignazione degli ipocriti, i quali mistificano la franca ammissione delle cattive azioni. Una simile onestà intellettuale ben difficilmente sarebbe stata tollerata in altro posto e altri tempi; forse solo nella Grecia classica dove l’educazione teorica sofista e la preparazione pratica ai costumi e abitudini dei piccoli Stati, fu la necessaria base politica dei geni, come lo fu nell’Italia del Rinascimento. La sua opera maggiore “il Principe” vuol ricercare attraverso la storia e gli eventi del tempo come si conquistano, si tengono e perché si perdono gli Stati e più in generale il potere. L’Italia del XV secolo offre una grande varietà di simili esempi. Pochi erano i sovrani legittimi e altrettanto i papi eletti senza corruzione. E’ osservando di prima mano che ha potuto trarre insegnamento e materiale per i suoi studi. Il sovrano, egli dice, non può essere sempre magnanimo pena la sua caduta, egli dovrà essere furbo come la volpe e feroce come il leone; un principe, quando è il caso, deve mancare alla parola data; anche la fede va mantenuta solo quando conviene. Naturalmente bisognerà che questa situazione venga ben presentata, perché gli uomini sono tanto creduloni che chi inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare. Machiavelli, termina con un eloquente appello ai signori di Firenze (i Medici), perché liberino l’Italia dai “barbari” (francesi Sommario 77 78 XVI * Platonismo e Aristotelismo Rinascimentale XVII e spagnoli), che dominano la penisola, non nella convinzione che una simile impresa possa recare gloria disinteressata, ma cinicamente per amore del potere e della fama. Come si può vedere, l’Umanesimo nel suo complesso, attraverso pensatori laici o religiosi, ripropone l’uomo al centro del mondo e della storia in antitesi con il Medioevo, durante il quale era la teologia e la religione in posizione centrale dell'interesse della cultura dominante. Questa nuova visione della vita adatta all’uomo per l’uomo, fa nascere l’idea di una concordia universale tra le filosofie e le religioni, una sorte di neoeclettismo religioso in cui gli elementi platonici e orientali (prevalenti), si mescolano con elementi aristotelici, che in condizione di libera interpretazione si intrecciano e spesso si superano. Con la rinascita del mondo greco, si crea quell’atmosfera in cui il genio individuale può fiorire in piena libertà, come non lo era stato dai tempi di Alessandro. Tutto questo risorgere di nuovi interessi, di idee e movimenti ebbe una grande forza propulsiva e propositiva, ma bisogna sottolineare, nel complesso l’Umanesimo rimase un movimento elitario, che poco ebbe a incidere profondamente nella realtà storica dei vari popoli. Il Rinascimento Europeo Mentre l’Italia, che ha rappresentato il polo propulsore per la diffusione in Europa dell’Umanesimo, si avviava verso un periodo di involuzione e di torpore, i paesi a nord delle Alpi, si avvicinarono alla nuova cultura, con un atteggiamento più moderato e costruttivo, non influenzato da controversie teologiche. Questa condizione però durò poco e mutò ben presto con l’approssimarsi e l’intrecciarsi con la Riforma protestante. I motivi di differenza, che caratterizzarono la nuova cultura europea, dal Rinascimento italiano, furono diversi: Sicuramente meno brillante ma più solida, meno adatta alle manifestazioni individuali di cultura, ma ansiosa di estenderla il più possibile, fu meno anarchica e più moralista, camminò in parallelo con la pietà e la virtù, applicando gli schemi scolastici alla Bibbia, della quale venne elaborato un testo più accurato di quello della Vulgata. Gli uomini che più di altri, contribuirono al Rinascimento europeo prima di Lutero, furono Erasmo da Rotterdam, Tommaso Moro, Michel de Montaigne. Erasmo nacque a Rotterdam nel 1466 o forse nel ’69, figlio naturale di un prete, che alla sua morte, assieme al fratello, venne adottato da dei parenti che se ne liberarono molto presto mandandolo in convento. Dopo aver preso i voti abbandonò il convento e andò a servire come segretario, il vescovo di Cambrai. La sua condotta morale non fu delle più irreprensibili, il continuo bisogno di denaro parte per i piaceri e parte per gli studi, lo portarono a ricercare mecenati tra i parenti dei suoi allievi, e fra questi Mountyoj, che lo portò con se in Inghilterra dove ebbe contatto con tutti i più alti esponenti della cultura umanista britannica, tra i quali Tommaso Moro, per il quale 79 XVII * Il Rinascimento Europeo manifestò una profonda amicizia che durò tutta la vita. Fu un girovago instancabile, conobbe tutte le città e le università più importanti d’Europa, partecipò attivamente alla vita di società senza perdere occasione per farsi conoscere e farsi ammirare. Viaggiava in abiti civili avendo abbandonato il saio, secondo una concessione ottenuta da Giulio II, almeno così lui si giustificava, tutti sapendo che non era vero, ma nessuno avanzò obiezioni. Erasmo fu una figura centrale della cultura europea dell’epoca, godette della protezione di papi e di sovrani, ebbe corrispondenza con i maggiori dotti suoi contemporanei. Nel 1521 si stabilì a Basilea poi a Friburgo, rientrò definitivamente a Basilea dove nel ’36 morì. Era famoso per le traduzioni di Cicerone, di Euripide, di Luciano, scrisse un saggio sulla follia che ebbe grande successo, fece una traduzione dal testo greco del Nuovo Testamento aggiornando e puntualizzando il testo già esistente di San Gerolamo considerato intoccabile dalla Chiesa, sollevando violente proteste tra i teologi, ma il pubblico gli rese ragione decretandone il successo editoriale. Il suo “Elogio della Pazzia”, scritto in uno stile brillante e socraticamente ironico, passa in rassegna, con sfumature critiche e paradossali, tutte le illusioni e i costumi corrotti della commedia umana del tempo, con lo scopo di portare alla luce e smascherare ciò che si nasconde sotto la maschera di un’apparente moralismo perbenista. Nelle varie situazioni che offre la follia personificata, vengono esaminati tutti i lati della vita umana, di tutte le classi e le professioni, partendo dall’estremo negativo che rivela la parte peggiore dell’uomo, all’opposto positivo identificato con la croce di Cristo, “scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani”. Senza la pazzia la razza umana scomparirebbe perché nessuno con un minimo di saggezza, si sposerebbe. Solo per pazzia l’uomo prenderebbe 80 XVII * Il Rinascimento Europeo moglie, “essendo la donna animale inetto e stolto”, ma che per la sua follia, rende meno aspro e triste l’umore di lui. Gli uomini più felici sono i più vicini ai bruti e a coloro che si spogliano della ragione (pazzi). La migliore felicità è quella basata sulla illusione dato che costa meno, perché più facile immaginarsi re che esserlo veramente. Particolarmente critico e violento risulta l’attacco agli ordini monastici: i monaci sono “dei pazzi malati al cervello che hanno in sé pochissima religione, e si comportano come se questa consistesse tutta in una minuziosa scrupolosità. Le scarpe devono avere tanti nodi, la cintura della tale qualità, il cintolo del tal colore, la veste formata di tanti pezzi, e così via, eppure Cristo ha lasciato un solo precetto “amarsi l’un l’altro”, ma nessuno ha udito sostenere d’averlo fedelmente messo in atto. Tuttavia questi uomini sono temuti perché attraverso le confessioni, vengono a conoscenza di molti segreti, che spesso rivelano quando sono ubriachi.” Anche per i papi Erasmo, non risparmia ironia e sarcasmo. Invece di imitare il loro Maestro in umiltà e povertà, essi dispensano con larghezza sospensioni, indulgenze, gravami, assoluzioni, anatemi terribili con i quali, un beatissimo padre può cacciare a suo giudizio, qualunque anima all’inferno. Ciò che Erasmo intende sostenere è, tutto ciò che l’uomo ha fatto nel corso dei secoli non è frutto della ragione, ma è dovuto solo alla sua follia, intesa come l’istinto, la passione, l’entusiasmo, cioè tutto quanto è impulso irrazionale. Una esistenza razionale sarebbe insopportabile: non conoscerebbe poesia, eroismo, sogni, né amore. Bisogna perciò liberarsi di tutti coloro che vorrebbero pianificare la vita, a cominciare dai teologi, che si arrogano dei poteri che non hanno, in nome di un Dio che non gliene ha delegato nessuno. Con lo scritto “sul Libero Arbitrio”, considerato come 81 XVII * Il Rinascimento Europeo anticipatore dei temi della Riforma, si potrebbe supporre che Erasmo accogliesse con favore il programma protestante di Lutero, in realtà le differenze di metodo sono profonde, e Lutero giudicò quest’opera con disprezzo, contrapponendogli un suo scritto “sul Servo Arbitrio”. Il pensiero riformista di Erasmo, si esprime nel ritorno alle radici del cristianesimo, cioè “ritornare alla natura ben creata” e ricondurla alla semplicità della verità evangelica, la quale sola è in grado di liberare la Chiesa dalle pastoie del potere, diventando il punto di partenza per un rinnovamento profondo della società. La riforma quindi, doveva innanzitutto: partire dai vertici della Chiesa, prima ancora che dalle masse popolari; Diffidare delle forze sociali e politiche, incapaci di cogliere l’autenticità del messaggio evangelico; Sostanziarsi in una concezione positiva dell’uomo. Credo fosse quest’ultima la vera discrepanza di opinione con Lutero; nella difesa tutta umanistica e moderna della libertà umana, senza la quale Dio non salva l’uomo. Diversamente Lutero, nella convinzione fondamentalmente medioevale, per cui l’uomo non può nulla per la sua salvezza se non abbandonarsi completamente all’onnipotenza divina, dimostra la sua visione negativa nell’uomo. Secondo alcuni studiosi è quasi da escludere che Erasmo sentisse profondamente il problema religioso, ma sicuramente colse il sentire della pubblica opinione, e pur dimostrando coi fatti, che non intendeva fomentare scismi dentro la Chiesa, non si sottrasse alla tentazione di esprimere da par suo, il comune sentire, contribuendo in tal modo a precipitare la crisi. Non immaginava certo che, entrato nella polemica per amore del successo più che per giustizia, si sarebbe trasformata in una drammatica guerra di religione, per la posizione presa da Lutero in favore dell’uso della violenza, che a lui ripugnava. 82 XVII * Il Rinascimento Europeo Tommaso Moro, (Thomas More 1478-1535) umanista e filosofo, uomo profondamente religioso, amico fraterno di Erasmo come uomo fu più ammirevole, ma non ebbe la sua influenza. Percorse una brillante carriera politica durante il regno di Enrico VIII: fu membro della Camera dei comuni, poi componente del consiglio privato della corona, e gran cancelliere. Tuttavia, quando nel 1534 il parlamento votò l’Atto di supremazia, che sanciva lo scisma anglicano, Moro si rifiutò di giurarlo: per questo venne imprigionato e giustiziato. La sua opera maggiore, “Utopia”, parola posta ad indicare “ciò che non è in alcun luogo”, è il racconto immaginario di un marinaio di nome Raphael, il quale ha avuto la ventura di visitare questa isola e ritornato in patria ne racconta la vita di quella società perfetta e delle sue sagge istituzioni. In questo senso la prima opera di utopia politica, è la Repubblica di Platone, nella quale, come in questa, tutte le cose sono in comune, perché il bene pubblico non si può avere là dove esiste la proprietà privata, e senza comunismo non ci può essere uguaglianza. L’enorme successo della parola utopia inventata da Tommaso Moro, sta a indicare una coordinata fondamentale del pensiero umano, per un concetto già presente da lungo tempo. Gli insegnamenti basilari su cui regge la vita sociale dell’isola di Utopia sono: l’assenza della proprietà privata e la comunanza totale dei beni, in modo da eliminare tutte quelle barriere che separano gli uomini tra loro. L’assenza della proprietà fa scomparire immediatamente le differenze sociali: tutti gli abitanti si avvicendano ai vari lavori in modo da non introdurre alcuna discriminazione sociale. Il lavoro non ha il carattere massacrante che aveva al tempo di Moro, infatti dura solo sei ore, tre al mattino e tre nel pomeriggio, lasciando ampio spazio allo svago e alle attività ludiche. La pace è il risultato 83 XVII * Il Rinascimento Europeo naturale e obbligato ad Utopia e tutti seguono il sano piacere, onorando Dio in modi differenti, sapendo tollerare e comprendere le diversità altrui. I principi di Utopia, alcuni dei quali sopra elencati, sono in perfetto accordo con la ragione e rappresentano quell’ideale normativo che riproduce un criterio sicuro con cui riformare la società, soffocata, in quel momento, dall’ingiustizia e intrisa di violenza, anche se non immediatamente traducibile in un programma sociale. Il grosso difetto della filosofia di Moro, sta in una vita intollerabilmente malinconica. Questo è il limite di tutti i sistemi sociali pianificati, quelli immaginari come quelli reali. In dissenso con quanto sosteneva il suo amico Erasmo, che solo la follia, l’irrazionalità, ha dato all’umanità, eroi, sogni, poesia e amore, ma questa a Utopia, mancando diversità e varietà per l’uomo, sarebbe stato difficile trovarla. Scrittore e filosofo francese, Michel Montaigne (15331592) negli anni in cui la Francia era sconvolta dalle guerre di religione, scrisse la sua opera più celebre, i “Saggi”. Le sue riflessioni si collocano in un momento di profondo rivolgimento nella cultura e nella storia europea. Egli fu testimone di eccellenza, della crisi di valori e del sistema di conoscenze scientifiche e filosofiche della seconda metà del cinquecento: la caduta del geocentrismo, la critica feroce all’aristotelismo, le innovazioni mediche, le nuove acquisizioni umane nelle scienze e infine la scoperta dell’America e di nuove terre, tutto ciò imponeva una riflessione sui valori morali fino ad allora considerati immutabili e sicuri. Con questa premessa e partendo da se stesso, Montaigne, mette in luce il carattere problematico dell’esistenza, la quale non è mai una questione definitivamente risolta, ma richiede una continua e incessante ricerca. 84 XVII * Il Rinascimento Europeo Il sovvertimento dell’orizzonte culturale, lo persuade come il cambiamento non sia una condizione provvisoria, passata la quale, segue un assestamento definitivo del mondo umano. La mutevolezza viene all’improvviso recepita dalla sua mente, come espressione tipica dell’esistenza, impossibilitata a raggiungere verità e certezze definite: da qui il suo scetticismo e la critica alla ragione stoica, che convinta della sua capacità di liberazione umana, non si accorge a sua volta di essere influenzata da consuetudini e determinazioni di tipo geografiche e storiche. Prosegue poi con la critica a tutta una serie di altre certezze come l’antropocentrismo, che lo porta a dubitare delle capacità conoscitive dell’uomo, la centralità dei valori dell’uomo europeo e del suo diritto di qualificare come “barbarie” ciò che si discosta dal suo costume. La critica serrata al suo universo multiforme è tale, da apparirgli impossibile costruire una via alternativa al suo scetticismo: la natura umana che gli stoici raccomandavano di seguire, per lui, si rivela inconoscibile. Anche la morte, quale elemento costitutivo e limite dell’esistenza umana, viene intesa come una medicina a sostegno dell’uomo per vivere in maniera più profonda e piena. Essa non va quindi esorcizzata ma accettata, “tu non muori perché malato, ma muori perché sei vivo”, in quanto ci porta a considerare la vita nella sua totalità. Il suo pensiero, sollecitando un maggior impegno a vivere ed operare, è uno stimolo ad accettare responsabilmente la nostra esistenza. Infine lo scetticismo in Montaigne, rifacendosi all’ironia socratica, si esprime nel rifiuto della teologia razionale e nel fideismo religioso da un lato, e dall’altro nella proposta di una morale mondana, antistoica. Sommario 85 86 XVIII * Riforma e Controriforma XVIII Riforma e Controriforma Secondo Bertrand Russell, “la Riforma e la Controriforma, rappresentano entrambe la ribellione delle nazioni europee meno civili, contro il dominio intellettuale italiano”. Nel caso della Riforma la rivolta fu anche politica e teologica, e venne realizzata principalmente dai Principi delle nazioni germaniche, contrapposti all’autorità del papa, e ai suoi diritti di riscossione dei tributi. Nel caso della Controriforma, la rivolta fu solo contro la libertà morale e intellettuale dell’Italia Rinascimentale e del potere papale, il quale non fu ridotto, ma fortemente ridimensionato nei costumi, dei Borgia e dei Medici. Questa fu sopratutto spagnola al culmine della sua potenza economica e coincise con le guerre di religione contro i suoi nemici. Sfortunatamente, l’indignazione morale ebbe molta parte nella Riforma contro gli italiani, comportando l’ostilità anche contro ciò che di buono fece l’Italia per la civiltà. I tre grandi della Riforma e della Controriforma furono Lutero, Calvino e Loyola, tutti e tre intellettualmente e filosoficamente Medioevali quindi agostiniani. Dall’inizio della Riforma almeno per un secolo non vi furono grandi filosofi. Lutero e Calvino si avvalsero di Agostino per quanto riguarda il rapporto con Dio, rifiutando sdegnosamente la parte riguardante la Chiesa. Il rifiuto della dottrina delle indulgenze, l’abolizione del purgatorio, la dottrina della predestinazione, pur aiutando l’affermazione protestante nella lotta contro il papa, impedì alle chiese protestanti nei paesi protestanti, di acquisire potere tanto quanto la Chiesa cattolica nei paesi cattolici. Tra i riformisti, si presentò fin dall’inizio una questione, che portò alla scissione, intorno a chi spettasse il riconoscimento di capo della Chiesa nelle varie nazioni protestanti. Lutero era del parere che dove il re o il principe era protestante lo si dovesse riconoscere come capo di quella Chiesa. Con questa tesi si allinearono il re Enrico VIII d’Inghilterra, i principi protestanti della Scandinavia della Germania e dopo la rivolta contro la Spagna, anche dell’Olanda, accrescendo in questo modo il loro potere individuale. Molti di questi protestanti, presero sul serio gli aspetti individualisti della nuova dottrina e se prima della Riforma si trovarono in contrasto con il potere del papa, altrettanto malvolentieri ora si sottomettono al dispotismo del Principe. Nascono quindi dei conflitti molto aspri, non solo di ordine religioso, ma vere rivolte sociali e popolari, che si protraggono per decenni. A queste si uniscono predicatori seguaci di Lutero, che in un primo momento appoggiano queste rivendicazioni dei poveri e degli umili, che attratti dal messaggio riformatore, vedono in esso una possibilità storica di rinnovamento radicale, sia religioso che economico-sociale. Da qui ha origine il movimento anabattista, che si propone di realizzare una nuova società più giusta ed egualitaria, la “Gerusalemme Celeste”, dove la parola di Dio e la pace trionfino tra gli uomini. Ma quando la violenza si manifestò incontrollata, Lutero non esitò a schierarsi contro i rivoluzionari, esortando i Principi a combatterli ed annientarli con le armi. Nella Germania gli anabattisti vennero praticamente soppressi, ma le loro dottrine, portate dai fuoriusciti, si diffusero in Olanda e in Inghilterra. Per molti di coloro che non si adattarono, non rimase altro che abbandonare tutto e avviarsi verso l’emigrazione soprattutto nell’America settentrionale. La Riforma, fino ad allora caratterizzata dalla spontaneità popolare, venne appoggiata dall’autorità costituita, con i Principi collocati in sua difesa, a tutela dell’ordine pubblico. Poco alla volta però, si manifestò una certa stanchezza. Alle 87 XVIII * Riforma e Controriforma continue e inconcludenti guerre di religione, fece seguito l’idea e il desiderio di tolleranza tra le varie dottrine cristiane. Questo fu uno dei motivi all’origine dei movimenti, che nei secoli successivi, confluirono nelle filosofie libertarie. Calvino (1509-1564) si accostò al protestantesimo per un vivo interesse alla riforma ecclesiastica, ampiamente diffusa tra i circoli umanisti ginevrini, dove impegnò la maggior parte della sua attività organizzativa per quella comunità riformata. Principi della sua dottrina sono: una rigida disciplina nel confronto della comunità cristiana, assoluta intolleranza per chi non accetta la fede evangelica, stretto controllo dell’autorità sul comportamento morale e religioso dei cittadini, quindi ingerenza dello Stato nella vita religiosa e conseguente comportamento etico dello Stato. Nel contempo predica una “ordinata” resistenza contro il potere politico quando questo nega l’appoggio alla sua riforma. Risulta evidente l’uso dello Stato come collaboratore della Chiesa per imporre i propri principi. Il movimento riformatore di Calvino seppe esprimere una originalità nuova e più dinamica, tanto da distinguersi nettamente dal luteranesimo, dando all’uomo perduto e indebolito dal peccato originale, la certezza della provvidenziale elezione di Dio. Se il fine della predestinazione divina nei confronti dell’uomo sono ignoti, egli però può in qualche modo, avvalersi di segni indicatori della propria positiva destinazione. Calvino individua questi segni nel successo della propria attività, “quali indicatori della presenza e del dominio di Dio in noi”. Data la stretta connessione tra fede e vita societaria, il consenso, il denaro, la ricchezza, sono segni positivi della predestinazione. Ma il successo economico è pur sempre dono e opera di Dio, per questo il cristiano non può disporre egoisticamente dei beni prodotti, ma deve restituirli, in altri modi a Dio. 88 XVIII * Riforma e Controriforma L’attaccamento alla fede dei calvinisti, ma anche l’apporto dato alla formazione di una mentalità etica propria della nascente borghesia capitalista, spiega la spinta ideale a fare del denaro, lo scopo del lavoro (inteso come professione “beruf”), perdendo quel carattere di maledizione conseguente al peccato originale, per assumere quello positivo-religioso di “vocazione”. Appassionato studioso e più radicale di Lutero, Zuinglio (1484-1531), caratterizzò la riforma nella Svizzera di lingua tedesca, in condizioni ambientali un po’ diverse dalla confinante Germania luterana. In contrasto con Lutero sulla consustanziazione nell’Eucarestia, Zuinglio, giunge a negarne la presenza di Cristo, riducendo il rito a puro gesto simbolico. Tutta la ritualità e ogni sovrastruttura della vita religiosa viene abolita. La sua riforma presenta anche dei risvolti sociali, proponendo un pensiero originale rispetto a Lutero. Il ritorno alla fede evangelica deve coinvolgere tutta la vita sociale e politica, impostandola sull’esempio delle prime comunità cristiane, giungendo a negare l’obbedienza all’autorità politica, nel caso questa non persegua l’organizzazione di un’autentica comunità cristiana. Zuinglio, con le sue idee, si mostra molto vicino a quei movimenti evangelici, politicamente rivoluzionari, sorti all’inizio della riforma, che furono violentemente repressi dai Principi, con l’appoggio incondizionato di Lutero. Il movimento protestante ebbe all’inizio una rapida ascesa, ma venne fortemente contrastato, in seguito alla creazione dell’ordine dei gesuiti da Ignazio di Loyola. Quest’ordine, fondato su un modello militare per cui ogni aderente doveva obbedienza assoluta al Generale, era impegnato nella guerra contro l’eresia, completamente votato alla causa cattolica per mezzo di abilissimi propagandisti. La loro teologia era all’opposto di quella protestante. Essi tralasciarono quella parte Sommario 89 90 XVIII * Riforma e Controriforma Epilogo di insegnamento di S. Agostino enfatizzata dai protestanti, schierandosi in favore del libero arbitrio e contrastando l’idea della predestinazione. La salvezza non proviene solo della fede, ma dalla fede e dalle opere. Divennero popolari come confessori essendo più tolleranti degli altri ecclesiasti fuorché nei riguardi delle eresie, si dedicarono all’educazione proponendo i migliori collegi possibili a quel tempo e con il loro zelo missionario acquistarono grande prestigio, guadagnandosi una forte presa sui giovani. Sul fronte politico, seguendo la scia delle conquiste spagnole, convinsero i Principi cattolici ad effettuare sistematiche persecuzioni nei confronti degli eretici, ristabilendo il terrore dell’Inquisizione e l’istituzione dell’indice dei libri proibiti, evidenziando uno spirito difensivo sospettoso del mondo e pronti a custodire a spada tratta la Verità anche a costo di allontanarla dalla Carità. Se al principio i risultati della Riforma e Controriforma furono del tutto negativi, nel lungo periodo la guerra dei Trent’anni persuase che né i cattolici né i protestanti potevano uscirne vittoriosi. Fu quindi necessario abbandonare l’idea di una unità dottrinale, e dare ad ognuno la libertà di pensare autonomamente anche sulle cose fondamentali. Le differenti dottrine nei diversi Stati, permisero di sfuggire alle persecuzioni e il rifiuto dei conflitti teologici, permise alle menti più capaci di volgere l’attenzione verso le scienze e la matematica. Queste sono alcune delle ragioni per cui, dopo Lutero, il XVI sec. fu sterile di filosofi e di studiosi, se si fa eccezione per Copernico mentre il XVII sec. ebbe grandi filosofi e scienziati, paragonabili all’epoca migliore della Grecia. Cartesio su tutti, e poi Keplero, Galileo e Newton. ±±± Volendo motivare questa mia seconda esperienza, direi che essa è il risultato (non so quanto rilevante per gli altri) del desiderio (peraltro piacevole) di voler conoscere quanto complesso ma importante sia stato e quali processi e accadimenti storici hanno concorso, nella formazione del pensiero filosofico ed etico della nostra società, volendone conoscere e capire le varie fasi evolutive, dall’antichità fino ad oggi. In questo senso ho inteso continuare quasi senza soluzione di continuità in ordine cronologico, al mio precedente scritto “So Solo di non Sapere”, sottolineando la diversa impostazione, più storica questa, dovuta a condizioni e accadimenti contingenti, nei quali la filosofia perde il suo spirito genuino di ricerca del sapere in ogni direzione, e viene guidata e piegata a sostegno di una sola delle sue scienze, la teologia. E’ per questo che volendo collocare quel poco di pensiero filosofico originale, espresso dai rari intellettuali liberi, all’interno di una certa situazione storica, ho dovuto descrivere l’ambito storico in cui ciò si è verificato e maturato. In questa situazione la filosofia mi è parsa un qualcosa che sta in mezzo tra la scienza e la teologia, in una terra di nessuno, soggetta agli attacchi da entrambe le parti, senza riuscire a comprendere a quale dei due o a nessuno di loro debba essere da supporto. Questo dubbio spero poterlo sciogliere, avvicinandomi ai grandi filosofi moderni a partire da Cartesio, Spinosa e a tutti gli altri grandi, che non ho incluso in questo scritto, essendomi fermato nell’analisi al XVI secolo. Naturalmente mi riprometto di proseguire in queste mie riflessioni in un prossimo futuro, se ancora avrò il desiderio di cimentarmi con la medesima curiosità che fin qui mi ha accompagnato. ±±±±±±±± 91 92