Provincia di Catanzaro
Assessorato Ambiente e Territorio
Settore Tutela Ambientale
PIANO ENERGETICO AMBIENTALE
DELLA PROVINCIA DI
CATANZARO
PIANO DI INDIRIZZO
DICEMBRE 2004
Piano Energetico Ambientale della Provincia di Catanzaro
Piano di Indirizzo
INDICE
1
INTRODUZIONE
3
2
IL PIANO DI INDIRIZZO
6
3
INQUADRAMENTO NORMATIVO
8
3.1
Impegni internazionali e Programmi nazionali per la riduzione dei “gas serra” e per lo sviluppo
“sostenibile”.
8
3.1.1 Impegni internazionali
8
3.1.2 L’Agenda 21
10
3.1.3 Impegni europei
11
3.1.4 Impegni nazionali
13
3.1.5 Piano nazionale per lo sviluppo sostenibile
14
3.2
Norme e decreti sulle fonti energetiche rinnovabili e sul risparmio energetico
3.2.1 Inquadramento programmatico – le FER a livello UE
3.2.2 Inquadramento programmatico - le FER a livello nazionale
3.2.3 La normativa per lo sviluppo delle FER e il risparmio energetico in Italia
16
16
20
21
3.3
Decentramento di deleghe e funzioni in campo energetico agli Enti locali
31
GLI STRUMENTI DI SOSTEGNO, GESTIONE E VERIFICA
40
4.1
Gli strumenti di sostegno
4.1.1 Strumenti di controllo
4.1.2 Strumenti finanziari
4.1.3 Diffusione dell’informazione e della formazione
4.1.4 Campagne di gestione dell’energia negli edifici destinati ad uso pubblico
4.1.5 Programmi di partecipazione
4.1.6 Adeguamento legislativo e normativo dei piani territoriali e settoriali interessati
4.1.7 La semplificazione amministrativa
41
41
41
46
47
47
49
50
4.2
Gli strumenti di gestione e verifica
4.2.1 Potenziamento delle strutture provinciali in materia di energia
4.2.2 Formazione dei tecnici provinciali e degli enti locali
4.2.3 Verifica del conseguimento degli obiettivi e aggiornamento del Programma energetico
51
51
54
54
4
5
5.1
L’OFFERTA DI ENERGIA
55
Il processo di metanizzazione
55
5.2
Sviluppo del sistema di generazione elettrica
5.2.1 Procedure autorizzative
5.2.2 Criteri localizzativi
5.2.3 La cogenerazione
56
58
60
64
5.3
Le fonti rinnovabili
5.3.1 La fonte idroelettrica
5.3.2 La fonte eolica
5.3.3 La fonte solare
5.3.4 Le fonti da biomassa
68
71
75
80
84
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Piano di Indirizzo
6
6.1
LA DOMANDA DI ENERGIA
89
Le attività produttive
92
6.2
Il settore civile
6.2.1 Edilizia privata
6.2.2 Edilizia pubblica
96
96
102
7
SINTESI DELLE ATTIVITÀ
104
8
IL PIANO FINANZIARIO
116
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Piano di Indirizzo
1 INTRODUZIONE
La fruizione di un certo numero di servizi richiede l’uso di energia. Questa domanda di servizi
energetici finali riguarda, ad esempio, il bisogno di climatizzazione degli edifici, o quello di
manipolazione, conservazione e cottura dei cibi, od ancora i bisogni di illuminazione e di
comunicazione.
Anche nelle attività produttive l’energia costituisce uno dei fattori fondamentali di produzione,
sia per il suo impiego diretto nei processi tecnologici, sia per il suo impiego indiretto
attraverso l’uso di materiali la cui produzione ha a sua volta richiesto energia.
La domanda di servizi energetici finali è diversa da luogo a luogo ed evolve nel tempo, sia
attraverso trasformazioni della modalità di manifestazione dei bisogni sociali, che attraverso
la variazione dei livelli desiderati di loro soddisfacimento.
Per il soddisfacimento dei bisogni della popolazione, ad un dato livello di intensità, nonché
per le attività di produzione dei beni e dei servizi, sono generalmente possibili diverse opzioni
circa le tecnologie e le modalità organizzative con cui viene attuata la conversione
energetica finale che concorre a sua volta a rendere disponibile il servizio od il bene
desiderato.
Connessa alla selezione delle tecnologie di conversione e delle modalità organizzative vi è
poi la scelta del tipo di vettore energetico utilizzato (prodotti petroliferi, gas naturale, energia
elettrica, ecc.) e dell’origine di quel vettore (fonti primarie fossili o rinnovabili).
Vari fattori concorrono in modo più o meno consapevole alla scelta della combinazione
tecnologia/vettore: costo della tecnologia e del vettore, impatto ambientale, comodità d’uso
reale o percepita, consuetudini, ecc.
Storicamente, le politiche energetiche si sono concentrate soprattutto sull’aumento della
fornitura di energia, considerando la produzione ed il consumo di energia una delle sfide
principali. D’altra parte, il consumo di fonti primarie energetiche non rinnovabili, oltre a
menomare la disponibilità di uno stock che si è formato nel corso di milioni di anni,
contribuisce ad incrementare numerose criticità ambientali che devono essere affrontate
seriamente. Alcune di queste criticità sono conosciute da molto tempo, mentre altre stanno
attirando l’attenzione e la preoccupazione durante questi ultimi anni. Tali criticità si
estendono a vari livelli: locale, regionale e globale.
A livello locale il problema è rilevante per quanto concerne in particolare la qualità dell’aria, in
relazione alla concentrazione di residui e sottoprodotti di combustione (come il monossido di
carbonio, i composti organici volatili, gli ossidi di azoto, ecc.).
A livello regionale vi è una criticità associata alle emissioni causate dal funzionamento di
impianti energetici che, generate localmente, hanno impatti che si estendono oltre i confini
del paese di origine (ad esempio, le emissioni di ossidi di zolfo e di azoto originate dalle
centrali termoelettriche sono la causa delle cosiddette precipitazioni acide).
A livello globale il problema è costituito dalla ri-emissione nell’atmosfera del pianeta di
carbonio in forma ossidata (CO2) e di altre molecole opache alla radiazione infrarossa
(effetto serra). Questo problema ha attirato l’attenzione sia dei governi che della sensibilità
popolare negli ultimi anni, a causa delle sue possibili conseguenze sul clima a livello
planetario.
Negli ultimi anni le emissioni di gas clima alteranti sono considerate un indicatore di impatto
ambientale del sistema di trasformazione ed uso dell’energia e le varie politiche concernenti
l’organizzazione energetica fanno in gran parte riferimento ad esse.
L'energia ha assunto, quindi, una posizione centrale nella problematica dello sviluppo
sostenibile: prima di tutto perché l'energia (o più esattamente l'insieme di servizi che l'energia
fornisce) è una componente essenziale delle sviluppo; in secondo luogo perché il sistema
energetico è responsabile di una parte importante degli effetti negativi delle attività umane
sull'ambiente (a scala locale, regionale e globale) e sulla stabilità del clima.
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Vi è un consenso generale sulla insostenibilità del modo in cui l'energia è prodotta e
utilizzata oggi nel mondo: in particolare, se questo modello continuasse nel futuro e fosse
esteso a soddisfare la crescente domanda di energia da parte dei paesi in via di sviluppo, si
andrebbe rapidamente incontro all'esaurimento delle risorse, a danni irreversibili
all'ambiente, a effetti, tuttora incerti ma potenzialmente catastrofici, sul clima globale.
Questa evoluzione dell’interesse verso i temi energetici è stata accompagnata anche da una
evoluzione delle modalità di controllo degli stessi.
Vi è consenso inoltre sul fatto che, per andare verso un modello energetico più sostenibile, è
necessario procedere lungo tre direzioni:
• una maggiore efficienza e razionalità negli usi finali dell'energia;
• modi innovativi, più puliti e più efficienti, di utilizzo e trasformazione dei combustibili
fossili, che rimarranno necessariamente per i prossimi 50 anni la fonte energetica
prevalente;
• un crescente ricorso alle fonti rinnovabili di energia.
Prima di tutto, quindi, maggiore efficienza negli usi finali di energia nell'industria, nel settore
abitativo e dei servizi, nei trasporti, nell'agricoltura e nella generazione di elettricità.
Possiamo dire che, per quanto riguarda l'efficienza, molto è già stato fatto dalla prima (1973)
e dalla seconda crisi energetica (1979-80) in poi, almeno nel campo dell'industria, e in quello
della generazione di elettricità. Meno è stato realizzato nel settore abitativo e dei servizi e
ancor meno nel settore dei trasporti.
Per quanto riguarda le fonti rinnovabili di energia, una gran parte di queste sono di interesse
per la Provincia: prima di tutto l'energia solare termica e quella fotovoltaica; l'energia eolica;
quelle che hanno origine dalla biomassa agricola, sotto forma di coltivazioni, di sottoprodotti
e co-prodotti agricoli, e biomassa forestale. L'utilizzo più pulito, efficiente e razionale dei
combustibili fossili (per esempio attraverso le celle a combustibile, tramite la produzione di
idrogeno come vettore energetico e così via) ha più una dimensione nazionale o meglio
internazionale che non regionale, ma vi sono indubbiamente opportunità per dimostrarne le
tecnologie o per accelerarne la diffusione anche a livello locale.
Questa spinta verso un modello energetico più sostenibile avviene in un momento in cui, il
modo stesso in cui si fa politica energetica sta rapidamente cambiando, in Italia come nel
resto del mondo.
Riassumiamo qui molto brevemente alcune delle principali caratteristiche del mutamento.
Sede delle politiche energetiche: in passato praticamente solo i governi nazionali, oggi anche
sedi più vaste e più ristrette; basti vedere l'importanza delle direttive dell'Unione Europea
(per esempio sulla liberalizzazione del mercato dell'elettricità e del gas) o del Protocollo di
Kyoto, da una parte, e le crescenti responsabilità dei governi regionali e locali in materia
energetica, dall’altra. E’ evidente che la politica energetica si basa sempre di più su una
relazione tra territorio e energia, come è necessario, sia per le fonti rinnovabili che per il
risparmio energetico e non può quindi prescindere dalla dimensione locale (regionale,
provinciale, comunale) e dalle competenze degli Enti Locali nel campo della
programmazione territoriale.
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Strumenti delle politiche energetiche: da un sistema "top down" basato su strumenti di
"comando e controllo" e sull'attuazione diretta delle politiche tramite gli enti energetici (in
Italia Eni ed ENEL), a un sistema più partecipativo, che utilizza strumenti economici di
mercato e sistemi di accordi volontari. Questo per la constatazione che il mercato può
mettere in moto strumenti che hanno un'efficacia maggiore che non gli strumenti prescrittivi.
Se quindi riusciamo a introdurre nel mercato quelle considerazioni che correggono la sua
miopia e permettono di introdurre obiettivi di lungo termine, possiamo utilizzare la proverbiale
efficienza del mercato per raggiungere obiettivi concreti. Questo percorso richiede di
individuare obiettivi ragionevoli, realistici ma anche ambiziosi, studiare e sperimentare
strumenti di regolamentazione del mercato e avere un sistema di monitoraggio dei risultati.
Questo ultimo è uno degli elementi più difficili, anche perché l'interpretazione non è sempre
facile (non basta vedere che una cosa succede, dovremmo anche sapere che cosa sarebbe
successo se non avessimo attuato un certo strumento di politica. La relazione tra strumento
e risultato non è sempre chiarissima).
Attenzione delle politiche energetiche non più soltanto alla fornitura di energia (considerando
la richiesta come un dato esogeno non modificabile) ma anche, e almeno nella stessa
misura, alla domanda di energia, che può essere influenzata da strumenti economici e
indirizzata verso una maggiore efficienza e razionalità. Sono i servizi energetici quelli a cui
dobbiamo puntare, cioè scaldarci, raffreddarci, conservare i cibi, fornire alimentazione ai
computer, non l'energia di per sé.
Liberalizzazione del mercato dell'energia, in particolare per quanto riguarda l'elettricità e il
gas, ma anche per quanto riguarda l'esplorazione e sfruttamento delle risorse energetiche.
Appare chiaro che questa ridefinizione del mercato dell’energia implica anche una
ridistribuzione del ruolo dei soggetti, pubblici e privati, che a vario tutolo intervengono nel
settore energetico.
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2 IL PIANO DI INDIRIZZO
Gli elementi essenziali per la definizione del Piano di Indirizzo derivano necessariamente
dalle valutazioni contenute nel Quadro Conoscitivo. Ricordiamo, a tale proposito, che scopo
delle elaborazioni presentate in tale documento preliminare è stato l’analisi della struttura sia
dell’offerta che della domanda di energia in Provincia di Catanzaro, sviluppata, per quanto
possibile, attraverso
- l’elaborazione dei bilanci energetici provinciali,
- la ricognizione delle risorse disponibili a livello locale sia sul lato dell’offerta di fonti
energetiche (rinnovabili e non) direttamente impiegabili, sia sul lato delle eventuali
criticità e conseguenti eventuali margini di recupero e risparmio nei diversi settori di
attività,
- la successiva definizione degli interventi che, per questo, risultano auspicabili sotto il
profilo energetico/ambientale e tecnologicamente fattibili,
- l’individuazione e analisi dei diversi fattori che, a diverso titolo e a diversi livelli (locale o
più ampio), si frappongono alla realizzazione degli stessi.
In tale quadro, il Piano di Indirizzo si propone di individuare gli strumenti più idonei alla
definizione di una efficace programmazione energetica del territorio, di verificarne la
disponibilità o meno a livello locale e le modalità o innovazioni (di qualsiasi tipo: gestionali,
normative, tecniche, ecc.) eventualmente necessarie per la loro attivazione
In estrema sintesi, quindi, con la redazione del Piano di indirizzo ci si pone l’obiettivo di
individuare, a livello locale, il mix ottimale di linee strategiche di intervento e di strumenti
tecnici (sul lato produzione di energia da fonti convenzionali o rinnovabili e sul lato di
gestione della domanda) che sia in grado di rispondere efficacemente all’evoluzione del
sistema in esame, indirizzandone i flussi energetici verso il contenimento delle emissioni così
come stabilito nella conferenza di Kyoto (-6,5% entro il 2010 rispetto al 1990), integrandoli
opportunamente con gli obiettivi di economicità di gestione, miglioramento del servizio agli
utenti, stimolo all’economia ed all’occupazione, ecc.
Dal punto di vista dell’offerta energetica è evidente che una particolare enfasi deve essere
posta all’incremento dello sfruttamento delle fonti rinnovabili, benché in sintonia con
determinati vincoli ambientali. D’altra parte si ritiene che questo sfruttamento non possa
prescindere da opportune considerazioni riguardanti anche le fonti fossili tradizionali.
Dal punto di vista della domanda di energia si deve enfatizzare il risparmio nel suo ruolo di
risorsa energetica. Nel quadro di una pianificazione integrata delle risorse, il risparmio si
pone come valutazione del potenziale di gestione della domanda (DSM), esattamente al pari
livello della valutazione del potenziale dell’offerta.
La struttura delineata per il Piano di Indirizzo, prevede un primo capitolo in cui si fornisce un
quadro aggiornato della normativa di settore, evidenziando in particolare le rilevanti
ripercussioni in ambito locale. Negli ultimi anni abbiamo infatti assistito ad un profondo
cambiamento del quadro normativo di riferimento sia a livello nazionale, con il processo di
liberalizzazione del mercato energetico ed il decentramento amministrativo, sia a livello
regionale con la LR 34/2002. Tali novità vengono a definire uno scenario molto interessante,
come vedremo, sotto molteplici aspetti che però resta ancora molto incerto, essendo ancora
mancante di ulteriori norme attuative.
Il quadro normativo andrà comunque a delinearsi come presupposto essenziale per
l’esposizione delle linee di Piano.
Nel secondo capitolo si analizzeranno, in termini generali, le principali tipologie di strumenti e
linee strategiche utilizzabili per la definizione di una efficace programmazione energetica
locale.
La contestualizzazione delle stesse nello specifico del quadro energetico della provincia di
Catanzaro e della sua possibile evoluzione, così come delineati nell’ambito del Quadro
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Conoscitivo, sarà infine oggetto dei capitoli seguenti. In tal senso, sia sul lato domanda di
energia che sul lato offerta, verranno definite le principali linee di sviluppo di iniziative
specifiche, eventuali modalità di orientamento delle azioni di terzi verso i principi di
sostenibilità energetica, verificata la possibilità di costituire partnership allargate su temi
specifici e/o di mobilitare fondi e risorse.
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3 INQUADRAMENTO NORMATIVO
Il ruolo dei soggetti, pubblici e privati, che a vario titolo intervengono nel settore energetico
deve necessariamente essere inserito nel quadro generale di liberalizzazione e creazione
dei mercati unici dell’energia elettrica e del gas naturale, definiti a livello di Unione Europea,
e attuati tramite decreti legislativi di recepimento:
-
Decreto Legislativo 16 marzo 1999, n. 79 “Attuazione della direttiva 96/92/CE recante
norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica” (detto anche “decreto
Bersani”);
-
Decreto Legislativo 23 maggio 2000, n. 164 “Attuazione della direttiva 98/30/CE recante
norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’art. 41 della legge 17
maggio 1999 n. 144”.
Va subito precisato che i decreti legislativi di recepimento configurano un mercato
“liberalizzato” in assenza di un Piano Energetico Nazionale di riferimento (l’ultimo risale al
1988 e non è stato mai aggiornato), e quindi in assenza di “scenari previsionali” di crescita o
riduzione, nel lungo periodo, dei consumi finali, di indicazioni precise rispetto agli obiettivi
strategici sul lato dell’offerta e della localizzazione ottimale degli impianti di produzione in
assenza di una suddivisione dei bacini energetici alla scala regionale e/o sovra-regionale, se
non quelle fornite dagli stessi operatori del settore, determinate sulla base di strategie
aziendali o da un quadro generale fornito dall’Autorità per l’Energia. Si è, inoltre, in assenza
di un “testo unico sull’energia” che, introducendo decreti attuativi e regolamenti tecnici,
definisca per il prossimo decennio (2000-2010) il quadro di riferimento in cui tutti gli operatori
energetici e non, possano trovare “certezze”, rispetto a cui misurare l’utilità, la priorità, e la
coerenza delle proprie iniziative.
Nonostante queste “carenze” si possono individuare almeno tre grandi direttrici che possono
concorrere ad aumentare tale “peso specifico” e ad introdurre elementi di sostenibilità e
riqualificazione ambientale nella “politica energetica” alla scala regionale e locale e rispetto a
cui verrà ricostruito il quadro normativo.
3.1 Impegni internazionali e Programmi nazionali per la riduzione
dei “gas serra” e per lo sviluppo “sostenibile”.
3.1.1 Impegni internazionali
ƒ Risoluzione di Lussemburgo (29 ottobre 1990)
Impegna i paesi dell’Unione Europea a stabilizzare entro il 2000 le emissioni di anidride
carbonica al livello del 1990.
ƒ
Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (adottata alla Conferenza di Rio de
Janeiro nel giugno 1992)
Non vincola giuridicamente i 166 paesi firmatari ad alcun impegno formale se non quello
di stabilizzare le concentrazioni di gas ad effetto serra nell'atmosfera a un livello tale che
escluda qualsiasi pericolosa interferenza delle attività umane sul sistema climatico. Viene
inoltre istituita la Conferenza delle parti la quale esamina regolarmente l'attuazione della
Convenzione e di qualsiasi relativo strumento giuridico che la conferenza delle Parti
eventualmente adotta. Nei limiti del suo mandato assume le decisioni necessarie per
promuovere l'effettiva attuazione della Convenzione.
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Tra le Conferenze delle Parti, tenute annualmente, dal 1995, come luogo di principale
dibattito sulle azioni da intraprendere, a livello internazionale, per ridurre il fenomeno dei
cambiamenti climatici, ricordiamo:
ƒ
Prima Conferenza delle Parti (Berlino 1995).
Approva la proposta di ridurre le emissioni di anidride carbonica entro il 2005 del 20%
rispetto ai livelli del 1990. Tali prescrizioni non sono state estese ai paesi in via di
sviluppo. Le Parti firmatarie si sono impegnate ad adottare entro il 1997 un Protocollo
legalmente vincolante sulle modalità d’azione in merito all’effetto serra.
ƒ
Seconda Conferenza delle Parti (Ginevra 1996).
Ribadisce l’impegno dell’anno precedente, mettendo però in luce due problemi: la
difficoltà a “cambiare rotta” sulle politiche ambientali ed energetiche dei paesi sviluppati e
la consapevolezza che l’azione di questi ultimi non porterà effetti positivi, a livello globale,
se non si promuoveranno politiche di sviluppo ad alta efficienza e basse emissioni nei
Paesi in via di sviluppo.
ƒ
Terza Conferenza delle Parti (Kyoto, Dicembre 1997)
Il Protocollo d’intesa, sottoscritto da parte dei 38 paesi più industrializzati (180 i paesi
totali presenti), prevede una riduzione media, nel 2010, del 5,2% delle emissioni mondiali
rispetto al 1990 (anno preso come riferimento). L’Unione Europea, si è impegnata a
ridurre dell’8% (sempre rispetto i livelli del 1990) le emissioni di gas ad effetto serra, con
quote diverse nei singoli paesi.
ƒ
Quarta Conferenza delle parti (Buenos Aires, Novembre 1998).
Viene adottato il cosiddetto “Piano di Azione di Buenos Aires”, con lo scopo di sviluppare
un quadro regolatore finale del protocollo di Kyoto entro i successivi due anni.
ƒ
Sesta Conferenza delle Parti (Bonn, Luglio 2001)
Viene definito il cosiddetto “Accordo di Bonn” che dovrebbe consentire, nonostante
l'abbandono degli USA, di raggiungere il quorum del 55% delle emissioni mediante varie
“concessioni” fatte allo scopo di convincere paesi quali il Giappone, la Russia, l’Australia
ed il Canada a ratificare il Protocollo.
In sintesi, l’Accordo di Bonn è centrato sui seguenti punti:
I meccanismi di Kyoto - Emission Trading (ET), Joint Implementation (JI) e Clean
Development Mechanism (CDM):
¾ sono stati esclusi degli espliciti limiti quantitativi rispetto alla possibilità di attuare la
riduzione delle emissioni con tali meccanismi, come in precedenza proposto
dall’Unione Europea;
¾ l’unico meccanismo associato ad una tassa è il CDM, in quanto il 2% dei crediti di
emissione ottenuto con un progetto di questo tipo deve essere venduto sul mercato
ed i proventi devono essere trasferiti ad un apposito fondo per il finanziamento di
progetti volti a compensare gli effetti dei cambiamenti climatici;
¾ non si dovrebbero utilizzare crediti derivanti da installazioni nucleari all’interno di
progetti JI e CDM.
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Forestazione, uso del suolo e cambiamento d’uso del suolo:
¾ è necessario dimostrare che le suddette attività siano iniziate a partire dal 1990 e
siano di origine antropica. Il calcolo è fatto considerando la differenza tra le emissioni
(rimozioni) al 2010 e quelle al 1990;
¾ per ogni nazione è stato stabilito un tetto alle quantità annuali di carbonio che
possono essere associate alle attività di gestione forestale;
¾ è stato stabilito un limite dell’1%, rispetto alle emissioni del 1990, per quanto riguarda
la riduzione delle emissioni ottenute con progetti CDM in campo forestale.
Finanziamento ai paesi in via di sviluppo
¾ è stato istituito un fondo speciale per finanziare attività, programmi e misure
relazionate ai cambiamenti climatici;
¾ è stato istituito un fondo per i paesi meno sviluppati per supportare un programma di
lavoro in questi paesi;
¾ è stato istituito un fondo di adattamento per finanziare progetti concreti volti a
compensare gli effetti dei cambiamenti climatici nei paesi in via di sviluppo;
¾ non è stata specificata nessuna somma per questi fondi se non la quota del 2%
associata ai progetti CDM.
Adempimento degli impegni
¾ è stato istituito un comitato con lo scopo di verificare se un paese sta adempiendo ai
propri obblighi in linea con gli obiettivi di Kyoto;
¾ in caso di mancato adempimento, si richiede di adempiere all’impegno
incrementando del 30% la quantità di emissioni non ridotte;
¾ durante il periodo di mancato adempimento un paese non può partecipare al
commercio delle emissioni.
ƒ
Settima Conferenza delle Parti (Marrakesh, Novembre 2001)
L’impatto del cosiddetto Accordo di Marrakesh sull’efficacia ambientale del Protocollo di
Kyoto è piuttosto limitato rispetto a quanto definito nel precedente accordo di Bonn. In
questo senso, la principale decisione riguarda la possibilità concessa alla Russia di
incrementare il proprio tetto riguardo all’utilizzo delle foreste come “pozzi” di carbonio.
Secondo diverse stime, le conseguenze degli accordi di Bonn e Marrakesh ed il ritiro degli
USA dal Protocollo di Kyoto determineranno una riduzione delle emissioni di CO2
equivalente non più del 5,2%, come definito nel Protocollo stesso, ma dello 0,6%. Se si
considerano anche gli effetti corrispondenti agli assorbimenti da parte dei “pozzi” di carbonio,
la riduzione arriverà al 4,3%.
3.1.2 L’Agenda 21
L'Agenda 21 rappresenta il programma d’azione che deve essere definito alle diverse scale
possibili (mondiale, nazionale e locale) in termini di politiche di sviluppo a lungo termine che
tengano in considerazione le problematiche ambientali.
A livello internazionale, le Nazioni Unite hanno istituito, all’interno del Consiglio Economico e
Sociale, la Commissione per lo Sviluppo Sostenibile per promuovere l'adozione, da parte
degli Stati, di strumenti di governo che seguano la logica dell'Agenda 21.
A livello comunitario, a Lisbona nel 1992, i paesi dell’Unione Europea si sono impegnati a
presentare alla Commissione per lo Sviluppo Sostenibile, istituita presso l'ONU, i propri piani
nazionali di attuazione dell'Agenda 21 entro la fine del 1993.
Nel 1994, oltre 120 unità locali europee hanno firmato a Aalborg (una cittadina danese) la
“Carta delle città europee per la sostenibilità”, in cui hanno sottoscritto l’impegno a
implementare un’Agenda 21 locale e a delineare Piani d’Azione a medio o lungo periodo per
uno sviluppo sostenibile. In questo ambito l’energia è un settore chiave e le attività
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antropiche devono essere mirate a uno sviluppo economico che non solo soddisfi i bisogni
della presente generazione, ma soprattutto non comprometta la possibilità delle future
generazioni di soddisfare i propri. In sintesi, deve essere sostenibile.
3.1.3 Impegni europei
Nella discussione sul mantenimento del Protocollo di Kyoto, il ruolo dell’Europa è stato
fondamentale, dimostrando una leadership a livello internazionale.
Anche dopo il ritiro degli USA, a giugno 2001 l’Europa ha avviato unilateralmente la ratifica
del Protocollo, con un impegno sottoscritto da tutti i ministri dell’ambiente dell’unione.
Il 6 febbraio 2002 il parlamento europeo ha votato una risoluzione nella direzione della
ratifica del Protocollo. Infine, con l’accordo raggiunto dai ministri dell’ambiente il 4 marzo
2002, l’unione europea si è impegnata a completare, entro il primo giugno 2002, la ratifica
del Protocollo.
ƒ
Programma Europeo per il Cambiamento Climatico – ECCP (marzo 2000).
Tale programma sottolinea che sono necessari maggiori sforzi affinché l’Unione Europea
possa adempiere agli obiettivi del Protocollo di Kyoto di riduzione delle emissioni dei gas
di serra dell’8%.
Il rapporto finale della prima fase dell’ECCP delinea una serie di politiche e misure che
formeranno parte della strategia Comunitaria.
Un elemento importante del programma è l’inclusione di iniziative già esistenti e che
hanno bisogno di ulteriore sviluppo, allo scopo di produrre dei programmi coerenti e
mutuamente compatibili (accordo con i produttori di automobili per la riduzione delle
emissioni di CO2, direttive per la promozione delle energie rinnovabili, piano d’azione per
la promozione dell’efficienza energetica, libro verde sulla sicurezza della fornitura di
energia, ecc.). Le misure identificate nell’ECCP sono quindi state sviluppate nel contesto
di queste iniziative già esistenti.
I dati più recenti indicano che le politiche e le misure esistenti dovrebbero al massimo
ridurre le emissioni al 2010 dell’1,4% sotto il livello del 1990, a fronte di un incremento
tendenziale di circa il 7%. Sarebbero quindi necessari nuovi interventi atti a ridurre le
emissioni di un ulteriore 6,6%. Considerando, però, le varie difficoltà ed incertezze di
attuazione, si suppone che si debbano prevedere nuove azioni volte a ridurre le
emissioni di un ulteriore 9%.
Il programma prevede interventi nei seguenti settori:
¾ Meccanismi di flessibilità (come previsto dal Protocollo di Kyoto)
¾ Produzione di energia
¾ Consumo di energia
¾ Efficienza energetica nei dispositivi di uso finale e nei processi industriali
¾ Trasporti
¾ Industria
¾ Ricerca
¾ Agricoltura
Per la maggior parte di questi settori sono già state definite delle azioni e dei quantitativi di
riduzione delle emissioni ad esse associate, in considerazione del costo delle azioni stesse.
La tabella seguente riporta, per ognuno di tali settori, il contributo previsto alla riduzione in
base al costo delle azioni.
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Settore di intervento
Produzione di energia
Consumo di energia
Efficienza energetica
Trasporti
Industria
Totale
Potenziale stimato di
riduzione
(Mt CO2 equivalenti)
<20€/ton
>20€/ton
252
263
302
313
150
220
27
27
125
125
60
60
107
127
45
50
30
30
20
20
664
765
454
470
Come già menzionato, il Programma Europeo per il Cambiamento Climatico contempla
diverse strategie e direttive già intraprese, tra cui quelle di seguito riportate.
ƒ
Libro verde: Verso una strategia europea di sicurezza dell’approvvigionamento
energetico (Novembre 2000)
Accanto alla questione relativa a come far fronte ai cambiamenti climatici, l’Europa ha
intrapreso un dibattito sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico attraverso un
libro verde nato dalla constatazione che la dipendenza energetica europea è in continuo
aumento. L’Unione europea è molto dipendente dall’approvvigionamento esterno. Essa
importa oggi il 50 % del suo fabbisogno e questa percentuale sfiorerà il 70 % nel 2030,
con una dipendenza più marcata per gli idrocarburi se le tendenze attuali continuano. La
sicurezza dell’approvvigionamento non mira a massimizzare l’autonomia energetica o
minimizzare la dipendenza, bensì a ridurre i rischi legati a questa ultima.
Si impone, quindi, una riflessione sulla diversificazione delle fonti di approvvigionamento
energetico (per prodotti e zone geografiche). Tale riflessione è ritenuta necessaria
proprio in un periodo nel quale si intrecciano due fenomeni molto importanti per il
contesto dell’energia: da un lato i nuovi investimenti energetici derivanti in gran parte dal
nuovo mercato liberalizzato, dall’altro la questione dei cambiamenti climatici. Nel
prossimo decennio saranno necessari, nel nuovo quadro del mercato dell’energia
(apertura alla concorrenza del settore e preoccupazioni ambientali), investimenti
energetici, per sostituire le infrastrutture obsolete e per rispondere alla crescita della
domanda. È quindi un’occasione da cogliere per promuovere una politica energetica
coerente su scala comunitaria.
Fino ad ora non c’è mai stato un vero dibattito comunitario sulle linee di forza di una
politica dell’energia e la problematica energetica è sempre stata trattata attraverso il
mercato interno o dal punto di vista dell’armonizzazione, dell’ambiente o della fiscalità.
Oggi gli Stati membri sono interdipendenti a livello di lotta contro il cambiamento
climatico e di realizzazione del mercato interno dell’energia. Ogni decisione di politica
energetica presa da uno Stato membro avrà inevitabilmente ripercussioni sul
funzionamento del mercato negli altri Stati membri. La politica energetica ha assunto una
dimensione comunitaria nuova. In questo contesto occorre interrogarsi sul senso delle
decisioni nazionali di politica energetica non coordinate.
L’analisi svolta nel libro verde mostra che i margini di manovra dell’Unione europea
sull’offerta di energia sono ridotti e che gli sforzi importanti da consacrare a favore delle
fonti rinnovabili resteranno tutto sommato limitati di fronte alla crescita della domanda. Il
ruolo delle energie convenzionali resterà per lungo tempo inevitabile. Lo sforzo dovrà
vertere sull’orientamento di una domanda energetica rispettosa degli impegni di Kyoto e
intesa a tutelare la sicurezza dell’approvvigionamento.
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3.1.4 Impegni nazionali
ƒ Delibera CIPE del 19/11/98 n°137.
L’Italia ha recepito il Protocollo di Kyoto impegnandosi ad una riduzione del 6,5% rispetto
al 1990, tra il 2008 e il 2012. Questo implicherà, stando alle stime di crescita economica
e consumi energetici previste, una riduzione “reale”, variabile tra il 20 e il 35%
equivalente a circa 100 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalenti rispetto allo
scenario tendenziale.
Le linee guida individuano sei azioni prioritarie che porteranno a raggiungere l’obiettivo
finale previsto per il 2008 - 2012, e gli obiettivi intermedi previsti per il 2003 e il 2006.
Obiettivi
Azioni
1)Aumento di efficienza Gli impianti a bassa efficienza potranno essere riautorizzati solo se adotteranno tecnologie a basso
del sistema elettrico
impatto ambientale. Un apporto significativo in
termini di efficienza verrà conferito dal processo di
liberalizzazione del mercato elettrico.
2)Riduzione dei consumi Biocarburanti
energetici nel settore dei Controllo del traffico urbano
Dotazione di autoveicoli elettrici per la Pubblica
trasporti
Amministrazione e le aziende di trasporto pubblico
Sostituzione del parco automobilistico
Aumento del trasporto di massa e merci su vie
ferrate
3)Produzione di energia Molto importante in termini ambientali e
occupazionali, il campo delle energie rinnovabili
da fonti rinnovabili
dovrà puntare soprattutto sull’eolico, le biomasse e
il solare termico.
4)Riduzione dei consumi Aumento della penetrazione di gas naturale negli
energetici nei settori usi civili e industriali
industriale/
abitativo/ Promozione di accordi volontari per l’efficienza
energetica nelle produzioni industriali
terziario
Risparmio energetico (da consumi elettrici e termici)
5)Riduzione
delle Miglioramento tecnologico e risparmio energetico
emissioni nei settori non nell’industria chimica, la zootecnia e la gestione dei
rifiuti
energetici
6)Assorbimento
delle Recupero boschivo di vaste aree degradate o
emissioni di carbonio abbandonate, soprattutto nella dorsale appenninica
dalle foreste
TOTALE
Obiettivo di
riduzione (a)
- 20 ÷ - 23
- 18 ÷ - 21
- 18 ÷ - 20
- 24 ÷ - 29
- 15 ÷ - 19
- 0,7
- 95 ÷ - 112
Linee guida per la riduzione dei gas serra.
(a) Dati in milioni di tonnellate di anidride carbonica
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ƒ
Legge 120, Giugno 2002.
Con tale legge il Governo italiano ha ratificato il Protocollo di Kyoto dando ad esso piena
ed intera esecuzione attraverso un Piano d’Azione Nazionale, approvato dal CIPE.
La legge stanzia un fondo di 75 milioni di Euro per i primi 3 anni, destinato a progetti
pilota per la riduzione e l’assorbimento delle emissioni ed autorizza, inoltre, la spesa
annua di 68 milioni di euro a decorrere dal 2003 per aiuti ai paesi in via di sviluppo in
materia di emissioni di gas di serra.
Sulla base del nuovo Piano d’Azione Nazionale, verranno aggiornati gli aspetti operativi
(azioni, strumenti, target settoriali e monitoraggio) della Strategia d’Azione Ambientale
per lo Sviluppo Sostenibile.
ƒ
Delibera CIPE del 19/12/02 n°123.
Con la ratifica da parte dell’Italia, il primo di giugno del 2002, del protocollo di Kyoto, le
misure di riduzione delle emissioni dei gas di serra definite nella delibera CIPE del
19/11/98 n°137 vengono riviste con una nuova delibera CIPE (“Revisione delle linee
guida per le politiche e misure nazionali per la riduzione delle emissioni dei gas serra”).
Le indicazioni predisposte nella delibera sono riprese nella Terza Comunicazione
Nazionale nell’ambito della convenzione quadro sui cambiamenti climatici.
In base ai dati riportati in tale delibera, a partire da un valore complessivo di emissioni di
gas di serra del 1990 pari a 521 Mt e del 2000 pari a 546,8 Mt, si prevede un incremento
tendenziale al 2010 pari a 579,7 Mt. Tale scenario tendenziale, definito anche scenario a
legislazione vigente, viene costruito considerando un incremento medio del PIL pari al
2% e tenendo conto delle misure già avviate o, comunque, decise. L’obiettivo di
riduzione delle emissioni per il periodo 2008-2012, pari ad un valore del 6,5% inferiore al
valore del 1990, comporta una quantità di emissioni pari a 487,1 Mt. La riduzione delle
emissioni risulta, quindi, di circa 93 Mt.
Si deve però sottolineare che, rispetto alle ipotesi del 1998, lo scenario tendenziale
calcolato nell’ultima delibera già contiene delle azioni che, nel caso precedente,
venivano ancora inserite nello scenario obiettivo (nel settore energetico, ad esempio, si
riportano azioni di riduzione pari ad oltre 43 Mt). Per raggiungere il nuovo obiettivo viene
quindi data enfasi a nuove azioni, tra cui quelle derivanti dai meccanismi flessibili previsti
dal protocollo di Kyoto (Emission Trading e Clean Development Mechanism), come pure
quelle collegate alle pratiche forestali.
3.1.5 Piano nazionale per lo sviluppo sostenibile
In Italia, con il provvedimento CIPE del 28/12/93 è stato presentato il Piano nazionale per lo
sviluppo sostenibile, in attuazione dell'Agenda 21. Esso recepisce al proprio interno la
risoluzione di Lussemburgo (ottobre 1990) e costituisce il primo documento del Governo
italiano ispirato al concetto di sviluppo sostenibile. Le caratteristiche individuate dal Piano per
realizzare una politica che coniughi sviluppo e ambiente sono in sintonia con le indicazioni
proposte dal V Piano d’azione ambientale europeo e possono essere riassunte nei seguenti
punti:
‰ integrazione delle considerazioni ambientali in tutte le strutture dei governi centrali e in
tutti i livelli di governo per assicurare coerenza tra le politiche settoriali;
‰ predisposizione di un sistema di pianificazione, di controllo e di gestione per sostenere
tale integrazione;
‰ incoraggiamento della partecipazione pubblica e dei soggetti coinvolti, che richiede una
piena possibilità di accesso alle informazioni.
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Il documento del 1993 assume la veste di una dichiarazione di intenti sul progressivo
perseguimento di uno sviluppo sostenibile, senza però indicare le modalità operative,
finanziarie e programmatiche attraverso le quali raggiungere gli obiettivi preposti. Nella
premessa si fa inoltre specifico riferimento all’immaturità del nostro Paese ad avviare
immediatamente una politica di sviluppo volta alla gestione sostenibile dell’ambiente,
relegando questo tipo di politica a una posizione subalterna rispetto alle tradizionali politiche
“command and control”.
Con provvedimento CIPE del 4 maggio 1994 è stato istituito un Comitato interministeriale per
la verifica dell'attuazione del Piano, la raccolta coordinata delle informazioni sulle iniziative
avviate e la predisposizione di una relazione annuale sulla realizzazione degli obiettivi
dell'Agenda XXI.
Il settore dell’energia è incluso tra i settori chiave del V Piano d’Azione ambientale europeo
ed il Piano nazionale per lo sviluppo sostenibile, nel Capitolo I, identifica il quadro di
riferimento e gli obiettivi per l’Italia. Per entrambi gli aspetti si fa riferimento alla normativa
esistente ed agli orientamenti espressi nella Agenda 21. Gli obiettivi finali sono rappresentati
da:
‰ risparmio energetico;
‰ contenimento delle emissioni in atmosfera di sostanze inquinanti e gas ad effetto serra.
Per garantire il duplice obiettivo di razionalizzazione dell’uso dell’energia e riduzione del
relativo impatto sull’ambiente, il Piano propone delle linee guida per la politica energetica
italiana volte a:
¾ promuovere l’efficienza energetica e la conservazione di energia nell’uso del calore,
dell’elettricità e dei mezzi di trasporto;
¾ promuovere l’efficienza energetica nella produzione di energia, attraverso l’adozione di
tecnologie ad elevato rendimento per la generazione di energia elettrica, la diffusione di
impianti a cogenerazione elettricità - calore, il recupero di energia dagli impianti di
termodistruzione dei rifiuti e il recupero del calore di scarto;
¾ sostituire i combustibili più inquinanti (ad alto tenore di zolfo e carbonio) con combustibili
a minor impatto ambientale;
¾ favorire l’introduzione delle migliori tecnologie disponibili, compatibilmente alla
convenienza economica dell’attività produttiva, e l’adozione di tecnologie a basso impatto
ambientale per le produzioni industriali, al fine di ridurre le emissioni da sorgenti fisse;
¾ rinnovare il parco auto;
¾ promuovere il trasporto passeggeri e merci collettivo su mare e ferro a discapito del
trasporto individuale su gomma;
¾ sostenere le fonti energetiche rinnovabili;
¾ promuovere attività di ricerca, sviluppo e dimostrazione nel campo delle energie meno
impattanti.
In relazione a queste scelte strategiche, il Piano Nazionale per lo sviluppo sostenibile
individua gli strumenti idonei a implementarle.
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3.2 Norme e decreti sulle fonti energetiche rinnovabili e sul
risparmio energetico
3.2.1 Inquadramento programmatico – le FER a livello UE
ƒ Energia per il futuro: le fonti energetiche rinnovabili - Libro Bianco per una
strategia e un piano d’azione della Comunità”1
La Commissione propone, un obiettivo indicativo globale del 12% per il contributo delle
fonti energetiche rinnovabili al consumo interno lordo di energia dell’Unione Europea nel
2010 equivalenti a 182 Mtep su un totale previsto 1.583 Mtep (pre-Kyoto); attualmente la
quota relativa alle fonti rinnovabili è inferiore al 6% equivalente a 74,3 Mtep su un
consumo interno lordo di 1.366 Mtep. In termini assoluti significa moltiplicare per 2,5
l’attuale produzione da FER.
Il documento della Commissione Europea sottolinea i positivi risvolti economici ed
ambientali che ne deriverebbero2, soprattutto in termini occupazionali.
Al fine di promuovere il decollo delle fonti rinnovabili di energia la Commissione propone
una campagna d’azione basata su quattro azioni chiave.
Nuova
capacità
installata
proposta
Stima del costo
di investimento
(Mld-ECU)
Finanziamento
pubblico
proposto
(Mld-ECU)
Totale costi di
combustibile
evitati
(Mld-ECU)
Riduzioni di
CO2 in
(Mt/Anno)
1.000.000 di
sistemi PV
1.000 MWp
3
1
0,07
1
10.000MW
centrali eoliche
10.000MW
10
1,5
2,8
20
10.000MWth
impianti biomassa
10.000MWth
5
1
-
16
1.500MW
2,5
0,5
0,43
3
20,5
4
3,3
40
Azione
Campagna
Integrazione in
100 comunità
Totale
1
COM (97) 599 def. del 26.11.1997
E’ stata fatta una valutazione preliminare di alcuni costi e benefici:
- L’investimento netto (calcolato sottraendo all’investimento totale l’investimento che sarebbe stato necessario se l’energia
ricavata dalle rinnovabili fosse fornita da tecnologie di combustibili fossili) è stimato a 95 miliardi di ECU.
- La riduzione delle emissioni di anidride carbonica è stimata a 402 milioni di tonnellate l’anno rispetto al 1997.
- L’aumento occupazionale legato al settore delle fonti rinnovabili e del relativo indotto è stimato, al netto delle perdite
occupazionali in settori concorrenti, in 500.000 unità per il 2010.
- La crescita potenziale dell’industria europea dell’energia rinnovabile sui mercati internazionali può portare nella Bilancia
Commerciale europea circa 17 miliardi di ECU annui per attività di esportazione.
2
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Il Libro Bianco stima il contributo delle FER per settore secondo la tabella seguente
TIPO DI ENERGIA
QUOTA UE 1995
QUOTA PREVISTA 2010
1. Energia eolica
2,5 GW
40GW
2.Energia idroelettrica
92 GW
105 GW
2.1 Grandi dimensioni
(82,5 GW)
(91 GW)
2.2 Piccole dimensioni
(9,5 GW)
(14 GW)
3. Energia fotovoltaica
0.03 GWp
3 GWp
4. Biomassa
44,8 Mtep
135 Mtep
0,5 GW
1 GW
5 Energia geotermica
5.a Elettricità
ƒ
5.b Calore (comprese pompe di 1,3 GWth
calore)
5 GWth
6. Collettori solari termici
100 milioni m2
6,5 milioni m2
7. Energia solare passiva
35 Mtep
8. Altri
1 GW
Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n°77 (settembre 2001):
“promozione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili nel mercato interno
dell’elettricità”.
Obiettivo della direttiva è quello di promuovere un maggior utilizzo delle fonti energetiche
rinnovabili nella produzione di energia elettrica nell’ambito del mercato europeo e creare
le basi per un futuro quadro legislativo in materia. Tale obiettivo ha il duplice scopo di
ridurre l’impatto sull’ambiente del sistema energetico e, contemporaneamente, di limitare
l’incertezza derivante dalla dipendenza energetica europea.
Secondo quanto specificato nella direttiva, per fonti energetiche rinnovabili si intendono
fonti energetiche rinnovabili non fossili, ovvero l'energia eolica, solare, geotermica, del
moto ondoso, maremotrice, idraulica, o ancora quella proveniente dalla biomassa, dai
gas di discarica e dai gas residuati dai processi di depurazione e biogas. La Comunità
europea aveva già sottolineato nel Libro bianco sulle fonti energetiche rinnovabili la
necessità di promuovere l'utilizzo di tali fonti di energia, in quanto queste contribuiscono
alla protezione dell'ambiente e allo sviluppo sostenibile, possono creare occupazione,
avere un impatto positivo sulla coesione sociale, contribuire alla sicurezza degli
approvvigionamenti e permettere di conseguire più rapidamente gli obiettivi di Kyoto. In
base alla direttiva, gli Stati membri dovranno adottare misure adeguate per aumentare il
consumo di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili, nel rispetto degli obiettivi
nazionali di consumo che saranno indicati ogni cinque anni. La Commissione europea
dovrà poi valutare in che misura gli obiettivi indicativi nazionali siano compatibili con
l'obiettivo globale che prevede una quota indicativa del 22,1% di elettricità prodotta da
fonti energetiche rinnovabili sul consumo totale di elettricità della Comunità entro il 2010
(contro l’attuale 14%). Con tale obiettivo la quota rinnovabile dovrebbe passare
dall’attuale 6% al 12% del fabbisogno energetico complessivo. La Commissione, inoltre,
dovrà presentare la proposta per un quadro comunitario per i regimi di sostegno
dell'elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili, il cui obiettivo sarà quello di
promuovere un uso più efficace di tali fonti di energia. Gli Stati membri dovranno istituire
un sistema di garanzie che consenta ai produttori di elettricità di dimostrare che
l'elettricità da essi venduta sia effettivamente prodotta da fonti energetiche rinnovabili e
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impegnarsi a costituire un quadro legislativo unico a livello europeo allo scopo di ridurre
gli ostacoli normativi o di altro tipo all'aumento della produzione di elettricità derivante da
fonti energetiche rinnovabili.
Gli Stati membri dovranno adottare le disposizioni legislative necessarie per
l'applicazione della direttiva entro il 27 ottobre 2003.
Per quanto riguarda l’Italia, la direttiva prevede un incremento dell’energia elettrica da
fonte rinnovabile al 25%, contro l’attuale 16%. L’Italia ha dichiarato che il 22% potrebbe
essere una cifra realistica nell’ipotesi che nel 2010 il consumo interno lordo di elettricità
ammonti a 340 TWh. Tale percentuale deriva dall’ipotesi che la produzione interna lorda
di elettricità a partire da fonti energetiche rinnovabili rappresenterà, nel 2010, fino a 76
TWh (come previsto nel Libro Bianco per la valorizzazione delle fonti rinnovabili in Italia),
cifra che comprende anche l’apporto della parte non biodegradabile dei rifiuti urbani e
industriali utilizzati in conformità della normativa comunitaria sulla gestione dei rifiuti. Al
riguardo è evidente che la capacità di conseguire l’obiettivo indicativo enunciato nella
direttiva dipende, tra l’altro, dal livello effettivo della domanda interna di energia elettrica
nel 2010.
ƒ
Direttiva 2004/8/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'11 febbraio
2004: “sulla promozione della cogenerazione basata su una domanda di calore
utile nel mercato interno dell'energia e che modifica la direttiva 92/42/CEE”
La Direttiva interviene sulla promozione della cogenerazione ad alto rendimento basata
su una domanda di calore utile intendendola una priorità comunitaria, considerati i
potenziali benefici della cogenerazione, in termini di risparmio di energia primaria, di
prevenzione delle perdite di rete e di riduzione delle emissioni, in particolare quelle dei
gas a effetto serra, e che il potenziale per l'uso della cogenerazione come mezzo per
risparmiare energia è attualmente sotto-utilizzato nella Comunità;
Considerato, inoltre, che l'uso efficiente dell'energia di cogenerazione può contribuire alla
sicurezza dell'approvvigionamento energetico e alla competitività dell'Unione europea e
dei suoi Stati membri la Direttiva ritiene pertanto necessario adottare misure che
consentano di sfruttare meglio questo potenziale nel quadro del mercato interno
dell'energia.
L'obiettivo generale della direttiva consiste, pertanto, nell’adottare un metodo
armonizzato per il calcolo di elettricità da cogenerazione e le linee guida necessarie per
la sua applicazione, tenuto conto di metodologie come quelle attualmente in via di
sviluppo nell'ambito delle organizzazioni europee di normazione. Tale metodo sarà
adattabile per tener conto del progresso tecnico. Inoltre, ai fini di trasparenza, si ritiene
importante adottare una definizione di base armonizzata della cogenerazione.
L'applicazione dei calcoli, di cui agli allegati “calcolo dell'elettricità da cogenerazione,
metodo di determinazione del rendimento del processo di cogenerazione e criteri per
l'analisi dei potenziali nazionali di cogenerazione ad alto rendimento“, alle unità di microcogenerazione è basata, conformemente al principio di proporzionalità, su valori risultanti
da una serie di prove di conformità, certificate da un organismo competente
indipendente.
Molto interessanti e da non trascurare, ai fini dell’ottimizzazione del processo di
recepimento da parte dell’Italia, entro il 21 febbraio 2006, sono i riferimenti a tutte le
disposizioni connesse ed integrabili a quelle oggetto della Direttiva stessa, quale in
particolare la direttiva 2002/91/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16
dicembre 2002, sul rendimento energetico nell'edilizia che richiede agli Stati membri di
provvedere affinché per gli edifici nuovi, la cui metratura utile totale supera i 1.000 m2, sia
valutata la fattibilità tecnica, ambientale ed economica dell'installazione di sistemi
alternativi quali la cogenerazione di calore ed energia prima dell'inizio dei lavori di
costruzione.
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Nella Direttiva la cogenerazione ad alto rendimento è definita in base al risparmio
energetico offerto dalla produzione combinata rispetto alla produzione separata di calore
e di elettricità. Il risparmio energetico superiore al 10 % rientra nella «cogenerazione ad
alto rendimento». Per massimizzare il risparmio energetico ed evitare che tale risparmio
vada perduto si mette in evidenza come sia necessario prestare la massima attenzione
alle condizioni di esercizio delle unità di cogenerazione.
La dovuta rilevanza tecnica dell’atto è confermata dalle indicazioni inerenti, ad esempio, il
rapporto energia/calore (una caratteristica tecnica che deve essere definita per calcolare
la quantità di elettricità da cogenerazione), il rendimento e la sostenibilità complessivi
della cogenerazione, che dipendono da molti fattori quali la tecnologia utilizzata, i tipi di
combustibile, le curve di carico, la dimensione delle unità e le proprietà del calore.
Infatti per ragioni pratiche e considerando che l'uso della produzione termica per finalità
differenti richiede differenti livelli di temperatura del calore, e che questa e altre differenze
influiscono sui livelli di rendimento della cogenerazione, quest’ultima viene distinta in tre
classi: «cogenerazione industriale», «cogenerazione per riscaldamento» e
«cogenerazione in agricoltura».
Per garantire che il sostegno, che gli Stati membri dovranno applicare alla cogenerazione
a livello nazionale, fra cui gli aiuti agli investimenti, le esenzioni o le riduzioni fiscali, i
certificati «verdi» e regimi di sostegno diretto ai prezzi, sia basato sulla domanda di
calore utile e sul risparmio di energia primaria, anche alla luce delle opportunità
disponibili per ridurre la domanda energetica tramite altre misure economicamente
realizzabili o vantaggiose dal punto di vista ambientale, come altre misure relative
all'efficienza energetica, è necessario fissare criteri per determinare e valutare l'efficienza
energetica della cogenerazione identificata sulla base della definizione comune.
Un importante mezzo per conseguire l'obiettivo della Direttiva viene individuato nel
garantire il buon funzionamento di questi meccanismi di incentivazione fino
all'introduzione di un quadro comunitario armonizzato allo scopo di mantenere la fiducia
degli investitori.
La Direttiva introduce, ancora, il concetto di “garanzia di origine dell'elettricità da
cogenerazione ad alto rendimento”, gli Stati membri assicurano che:
- detta garanzia di origine dell'elettricità consenta ai produttori di dimostrare che
l'elettricità da essi venduta è prodotta mediante cogenerazione ad alto rendimento (è
rilasciata a tal fine su richiesta del produttore);
- le garanzie di origine siano accurate ed affidabili e nella relazione alla Commissione,
illustrano i provvedimenti adottati per garantire l'affidabilità del sistema di garanzia.
Una garanzia di origine specifica:
- il potere calorifico inferiore della fonte di combustibile da cui è stata prodotta
l'elettricità, l'uso del calore generato insieme all'elettricità e infine le date e i luoghi di
produzione;
- la quantità di elettricità da cogenerazione ad alto rendimento che la garanzia
rappresenta;
- il risparmio di energia primaria, basato sui valori di rendimento di riferimento
armonizzati stabiliti dalla Commissione;
Gli Stati membri dovranno predisporre la citata relazione alla Commissione a seguito di
un’analisi propedeutica.
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L'analisi:
- si basa su dati scientifici ben documentati ed è conforme ai criteri elencati
nell'allegato IV;
- individua tutto il potenziale di domanda di raffreddamento e di riscaldamento utile che
si presta all'applicazione della cogenerazione ad alto rendimento, nonché la
disponibilità di combustibili e di altre fonti energetiche da utilizzare per la
cogenerazione;
- include un'analisi distinta degli ostacoli che possono impedire la realizzazione del
potenziale nazionale di cogenerazione ad alto rendimento. In particolare, tale analisi
riguarda gli ostacoli relativi ai prezzi e ai costi dei combustibili e all'accesso ai
medesimi, alle questioni attinenti alle reti, alle procedure amministrative e alla
mancata internalizzazione dei costi esterni nei prezzi dell'energia.
La relazione valuta il successo, compreso il rapporto costo-efficacia, dei regimi di
sostegno nel promuovere l'uso della cogenerazione ad alto rendimento conformemente
ai potenziali nazionali individuati. La relazione valuta inoltre in quale misura i regimi di
sostegno hanno contribuito a creare condizioni stabili per gli investimenti nella
cogenerazione.
Si procede a tale valutazione allo scopo di:
- favorire la progettazione di unità di cogenerazione per soddisfare domande
economicamente giustificabili di calore utile ed evitare la produzione di una quantità
di calore superiore al calore utile;
- ridurre gli ostacoli di ordine regolamentare e di altro tipo all'aumento della
cogenerazione;
- razionalizzare e accelerare le procedure all'opportuno livello amministrativo;
- garantire che le norme siano oggettive, trasparenti e non discriminatorie e tengano
pienamente conto delle particolarità delle varie tecnologie di cogenerazione.
Infine gli Stati membri, ove opportuno nel contesto della legislazione nazionale,
forniscono indicazioni sui progressi realizzati, in particolare per quanto riguarda il
coordinamento fra i diversi organi amministrativi in materia di termini, ricezione e
trattamento delle domande di autorizzazione;
3.2.2 Inquadramento programmatico - le FER a livello nazionale
ƒ Libro Bianco per la valorizzazione delle fonti rinnovabili.
Discusso ed approvato nell’ambito della Conferenza Nazionale per l’Energia e
l’Ambiente, 24-28 novembre 1998, successivamente, è divenuto strumento di
programmazione nazionale con provvedimento CIPE del 6 agosto 1999.
Esso contiene gli obiettivi, le strategie e gli strumenti necessari per dare corso e
attuazione, a livello nazionale, al Libro Bianco comunitario e alla delibera CIPE 137/98
relativa alla riduzione delle emissioni di “gas serra” (CO2 e CO2 equivalente).
Si ritiene possibile un contributo aggiuntivo delle FER, rispetto al 1997 di circa 8,6 Mtep,
passando da 11,7 Mtep a 20,3 Mtep del 2008-2012, comprendente la produzione per
energia elettrica e termica.
In particolare la situazione di mercato delle FER, nella produzione di energia elettrica,
evolverebbe secondo la tabella seguente
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TECNOLOGIA
Idroelettrico > 10MW
Idroelettrico < 10MW
Geotermia elettrica
Eolico
Fotovoltaico
Biomasse e Biogas.
Rifiuti elettrico
Totale Rinnovabili
1997
MWe
Mtep
13.942
7, 365
2.187
1,787
559
0,859
119
0,026
16
0,003
0,125
192
89
0,055
2002
MWe
Mtep
14.300
7,550
2.400
1,954
650
1,051
700
0,308
25
0,006
380
0.502
350
0,385
2006
MWe
Mtep
14.500
7,656
2.600
2,116
700
1,132
1.400
0,616
100
0,024
800
1,056
500
0,550
2008-2012
MWe
Mtep
15.000
7,920
3.000
2,442
800
1,294
2.500
1,100
300
0,073
2.300
3,036
800
0,880
17.104
18.805
20.600
24.700
10,221
11,756
13,151
16,744
3.2.3 La normativa per lo sviluppo delle FER e il risparmio energetico in Italia
ƒ Il Piano Energetico Nazionale (PEN)
Approvato il 10 agosto 1988, si è ispirato ai criteri di:
promozione dell’uso razionale dell’energia e del risparmio energetico,
adozione di norme per gli autoproduttori,
sviluppo progressivo di fonti di energia rinnovabile.
Questi tre obiettivi sono finalizzati a limitare la dipendenza energetica dell’Italia dagli altri
Paesi, attualmente maggiore dell’80%. Il consumo di energia elettrica è soddisfatto per lo
più dalle importazioni, in particolare dalla Francia e dalla Svizzera.
Per il 2000 il PEN ha fissato l’obiettivo di aumentare la produzione di energia elettrica da
fonti rinnovabili del 44%, con una ripartizione interna di questo mercato suddiviso in 300
MW di energia eolica e 75 MW di energia fotovoltaica. In più ha stabilito che tutte le
Regioni devono adottare Piani d’Azione per l’utilizzo e la promozione di energie rinnovabili
sul proprio territorio.
ƒ
Legge 9/91 “Norme per l’attuazione del Nuovo Piano Energetico Nazionale”:
Norme per l'attuazione del nuovo Piano Energetico Nazionale: aspetti istituzionali,
centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e
disposizioni fiscali.
L'aspetto più significativo introdotto dalla legge n. 9/91 è una parziale liberalizzazione
della produzione dell'energia elettrica da fonti rinnovabili e assimilate, che per diventare
operativa deve solo essere comunicata. La produzione da fonti convenzionali, invece,
rimane vincolata all'autorizzazione del Ministero dell'Industria, del Commercio e
dell'Artigianato (MICA).
L'art. 20, modificando la legge n. 1643 del 6 dicembre 1962, consente alle imprese di
produrre energia elettrica per autoconsumo o per la cessione all'ENEL. L'impresa
autoproduttrice, se costituita in forma societaria, può produrre anche per uso delle società
controllate o della società controllante. Questo principio attenua solo in parte il monopolio
dell'ENEL, perché vincola la cessione delle eccedenze energetiche all'ENEL stessa. Tali
eccedenze vengono ritirate a un prezzo definito dal Comitato Interministeriale dei Prezzi
(CIP) e calcolato in base al criterio dei costi evitati, cioè i costi che l'ENEL avrebbe dovuto
sostenere per produrre in proprio l'energia elettrica che acquista. In questo modo si cerca
di fornire benefici economici a quei soggetti che, senza ridurre la propria capacità
produttiva, adottano tecnologie che riducono i consumi energetici.
L'art. 22 introduce incentivi alla produzione di energia elettrica da fonti di energia
rinnovabili o assimilate3 e in particolare da impianti combinati di energia e calore. I prezzi
3
Erano considerate fonti rinnovabili di energia o assimilate il sole, il vento, l'energia idraulica, le risorse geotermiche, le maree, il
moto ondoso e la trasformazione dei rifiuti organici ed inorganici o di prodotti vegetali. Sono considerate altresì fonti di energia
assimilate alle fonti rinnovabili di energia la cogenerazione, intesa come produzione combinata di energia elettrica o
meccanica e di calore, il calore recuperabile nei fumi di scarico e da impianti termici, da impianti elettrici e da processi
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relativi alla cessione, alla produzione per conto dell'ENEL, al vettoriamento ed i parametri
relativi allo scambio vengono fissati dal Comitato Interministeriale Prezzi (CIP), il quale
dovrà assicurare prezzi e parametri incentivanti. Gli impianti con potenza non superiore ai
20 kW “vengono esclusi dal pagamento dell'imposta e dalla categoria di officina elettrica,
in caso di funzionamento in servizio separato rispetto alla rete pubblica”.
Nel 1992, con il provvedimento n. 6, il CIP ha fissato in 8 anni dall'entrata in funzione
dell'impianto, il termine per la concessione degli incentivi; allo scadere di questo periodo il
prezzo di cessione rientra nei criteri del costo evitato. Sempre nello stesso provvedimento
il CIP ha stabilito la condizione di efficienza energetica per l'assimilabilità alle fonti
rinnovabili calcolata con un indice energetico che premia le soluzioni a più alto rendimento
elettrico.
L'art. 23 è dedicato alla circolazione dell'energia elettrica prodotta da impianti che usano
fonti rinnovabili e assimilate. "All'interno di consorzi e società consortili fra imprese e fra
dette imprese, consorzi per le aree e i nuclei di sviluppo industriale (….) aziende speciali
degli enti locali e a società concessionarie di pubblici servizi dagli stessi assunti" (comma
1), l'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e assimilate può circolare liberamente.
Qualora il calore prodotto in cogenerazione sia ceduto a reti pubbliche di riscaldamento, le
relative convenzioni devono essere stipulate sulla base di una convenzione tipo approvata
dal Ministero dell'Industria e i prezzi massimi del calore prodotto in cogenerazione sono
determinati dal CIP, tenendo conto dei costi del combustibile, del tipo e delle
caratteristiche delle utenze.
ƒ
Legge 10/91 “Norme per l’attuazione del PEN in materia di uso razionale
dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili.
Il Titolo I della legge reca norme in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio
energetico e di sviluppo delle fonti di energia. In particolare all'art. 5 prescrive che le
Regioni e le Province autonome predispongano, d'intesa con l'ENEA, i piani energetici
regionali o provinciali relativi all'uso di fonti rinnovabili di energia.
Il Titolo II contiene norme per il contenimento del consumo di energia negli edifici
condominiali. A tal fine gli edifici pubblici e privati devono essere progettati e messi in
opera in modo tale da contenere al massimo i consumi di energia termica ed elettrica in
relazione al progresso della tecnica. Nell'art. 26, in deroga agli articoli 1120 e 1136 del
codice civile, si introduce il principio della decisione a maggioranza nell'assemblea di
condominio per le innovazioni relative all'adozione di sistemi di termoregolazione e di
contabilizzazione del calore e per il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in
base al consumo effettivamente registrato. Sempre allo stesso articolo si stabilisce che gli
impianti di riscaldamento al servizio di edifici di nuova costruzione devono essere
progettati e realizzati in modo tale da consentire l'adozione di sistemi di termoregolazione
e di contabilizzazione del calore per ogni singola unità immobiliare. Un ruolo prioritario per
la diffusione delle fonti rinnovabili di energia o assimilate è affidato alla Pubblica
Amministrazione, poiché è tenuta a soddisfare il fabbisogno energetico degli edifici di cui
è proprietaria ricorrendo alle fonti menzionate, salvo impedimenti di natura tecnica o
economica.
L'art. 30 relativo alla certificazione energetica degli edifici, in mancanza dei decreti
applicativi che il MICA, Ministero dei Lavori Pubblici e l'ENEA avrebbero dovuto emanare,
è rimasto inapplicato. Il certificato energetico in caso di compravendita e locazione
dovrebbe essere comunque portato a conoscenza dell'acquirente o del locatario
dell'intero immobile o della singola unità immobiliare. L'attestato relativo alla certificazione
energetica ha una validità temporanea di cinque anni.
ƒ
CIP 6/1992 (non più in vigore)
industriali, nonché le altre forme di energia recuperabile in processi, in impianti e in prodotti ivi compresi i risparmi conseguibili
nella climatizzazione e nell'illuminazione degli edifici con interventi sull'involucro edilizio e sugli impianti.
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Il prezzo a cui è possibile vendere energia elettrica alla rete nazionale è regolato dal
provvedimento n. 6 del 1992 del Comitato Interministeriale dei Prezzi (CIP)4. I prezzi
sono stabiliti in base al criterio del costo evitato5, ma nel caso di nuova produzione da
impianti alimentati da fonti rinnovabili o assimilate si ha, per i primi otto anni, un prezzo
incentivante, variabile a seconda della tipologia di impianto. Il provvedimento in questione
è stato, di fatto, ritirato nel 1996. Solo gli impianti che hanno concluso un Contratto
preliminare con l’ENEL entro il 31.12.96 ricevono il pagamento stabilito dal
provvedimento; nessun altro impianto o progetto può beneficiare di queste tariffe.
ƒ
DPR 412/93 – Regolamento recante norme per la progettazione, l'installazione,
l'esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del
contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell'articolo 4, comma 46,
della Legge 9 gennaio 1991, n. 10:
-
suddivide il territorio nazionale in sei zone climatiche7 in funzione dei gradi giorno
comunali e indipendentemente dall’ubicazione geografica;
stabilisce per ogni zona climatica la durata giornaliera di attivazione e il periodo
annuale di accensione degli impianti di riscaldamento8;
classifica gli edifici in otto categorie a seconda della destinazione d'uso9;
stabilisce per ogni categoria di edifici la temperatura massima interna consentita10;
4
IL CIP 6/92 è stato integrato dal MICA il 4 agosto 1994 (DM 186/94).
Il criterio del costo evitato è composto da: costo di impianto, costo di esercizio, manutenzione, spese generali e costo del
combustibile.
6
"[…] sono emanate norme per il contenimento dei consumi di energia, riguardanti in particolare progettazione, installazione,
esercizio e manutenzione degli impianti termici, e i seguenti aspetti: determinazione delle zone climatiche, durata giornaliera
di attivazione nonché periodi di accensione degli impianti termici, temperatura massima dell'aria negli ambienti degli edifici
durante il funzionamento degli impianti termici, rete di distribuzione e adeguamento delle infrastrutture di trasporto, di
ricezione e di stoccaggio delle fonti di energia al fine di favorirne l'utilizzazione da parte degli operatori pubblici e privati […]".
7
Le zone climatiche sono così ripartite:
Zona A: comuni che presentano un numero di gradi giorno non superiore a 600;
Zona B: comuni che presentano un numero di gradi giorno maggiore di 600 e non superiore a 900;
Zona C: comuni che presentano un numero di gradi giorno maggiore di 900 e non superiore a 1.400;
Zona D: comuni che presentano un numero di gradi giorno maggiore di 1.400 e non superiore a 2.100;
Zona E: comuni che presentano un numero gradi giorno maggiore di 2.100 e non superiore a 3.000.
8
Zona A: ore 6 giornaliere dal 1° dicembre al 15 marzo;
Zona B: ore 8 giornaliere dal 1° dicembre al 31 marzo;
Zona C: ore 10 giornaliere dal 15 novembre al 31 marzo;
Zona D: ore 12 giornaliere dal 1° novembre al 15 aprile;
Zona E: ore 14 giornaliere dal 15 ottobre al 15 aprile;
Zona F: nessuna limitazione.
Al di fuori di tali periodi gli impianti termici possono essere attivati solo in presenza di situazioni climatiche che ne giustifichino
l'esercizio e comunque con una durata giornaliera non superiore alla metà di quella consentita a pieno regime.
9
Gli edifici sono classificati in base alla loro destinazione d'uso nelle seguenti categorie:
E.1 Edifici adibiti a residenza e assimilabili: abitazioni adibite a residenza con carattere continuativo, quali abitazioni civili e
rurali, collegi, conventi, case di pena, caserme; abitazioni adibite a residenza con occupazione saltuaria, quali case per
vacanze, fine settimana e simili; edifici adibiti ad albergo, pensione ed attività similari;
E.2 Edifici adibiti a uffici e assimilabili: pubblici o privati, indipendenti o contigui a costruzioni adibite anche ad attività
industriali o artigianali, purché siano da tali costruzioni scorporabili agli effetti dell'isolamento termico;
E.3 Edifici adibiti a ospedali, cliniche o case di cura e assimilabili ivi compresi quelli adibiti a ricovero o cura di minori o anziani
nonché le strutture protette per l'assistenza ed il recupero dei tossico dipendenti e di altri soggetti affidati a servizi sociali
pubblici;
E.4 Edifici adibiti ad attività ricreative o di culto e assimilabili: quali cinema e teatri, sale di riunioni per congressi; mostre,
musei e biblioteche, luoghi di culto; bar, ristoranti, sale da ballo;
E.5 Edifici adibiti ad attività commerciali e assimilabili: quali negozi, magazzini di vendita all'ingrosso o al minuto,
supermercati, esposizioni;
E.6 Edifici adibiti ad attività sportive: piscine, saune e assimilabili; palestre e assimilabili; servizi di supporto alle attività
sportive;
E.7 Edifici adibiti ad attività scolastiche a tutti i livelli e assimilabili;
E.8 Edifici adibiti ad attività industriali ed artigianali e assimilabili.
Qualora un edificio sia costituito da parti individuali come appartenenti a categorie diverse, le stesse devono essere
considerate separatamente e cioè ciascuna nella categoria che le compete.
10
La temperatura massima interna consentita è di:
18 °C +2 °C di tolleranza per gli edifici rientranti nella categoria E.8;
20 °C +2 °C di tolleranza per gli edifici rientranti nelle categorie diverse da E.8.
Il mantenimento della temperatura dell'aria negli ambienti entro i limiti fissati deve essere ottenuto con accorgimenti che non
comportino spreco di energia.
5
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stabilisce che gli impianti termici nuovi o ristrutturati devono garantire un rendimento
stagionale medio che va calcolato in base alla potenza termica del generatore;
- stabilisce i valori limite di rendimento per i generatori di calore ad acqua calda e ad
aria calda.
La manutenzione degli impianti di riscaldamento, da effettuarsi periodicamente ogni anno,
è affidata al proprietario, all’occupante dell’immobile o a un terzo responsabile. Per i
generatori di calore devono, inoltre, essere effettuate delle verifiche su alcuni parametri
(ad esempio il rendimento energetico) contenuti in appositi libretti. Tali verifiche devono
avere una periodicità annuale per i generatori con potenza nominale superiore a 35 KW o
biennale per quelli con potenza nominale inferiore. Per le centrali termiche con potenza
superiore a 350 kW tali controlli devono avere una cadenza semestrale. Il controllo sullo
stato di manutenzione e di esercizio degli impianti termici viene affidato ai comuni con più
di quarantamila abitanti e alle province per la restante parte del territorio.
Tale regolamento è stato aggiornato con DPR 21 dicembre 1999, n. 551 - Regolamento
recante modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, in
materia di progettazione, installazione, esercizio e manutenzione degli impianti termici
degli edifici, ai fini del contenimento dei consumi di energia.
-
ƒ
DM 2 aprile 1998 - Modalità di certificazione delle caratteristiche e delle
prestazioni energetiche degli edifici e degli impianti ad essi connessi.
Le disposizioni del decreto si applicano, a quei prodotti che sono commercializzati in via
autonoma per l'utilizzazione quali componenti di edifici o di impianti al servizio degli edifici
che assolvono ad una o più funzioni energeticamente significative.
La certificazione concerne le classi di componenti, di cui all'allegato al decreto,
relativamente alle caratteristiche ed alle prestazioni energetiche indicate nell'allegato
stesso.
ƒ
DLgs 79/99 (decreto Bersani).
Nel quadro generale di liberalizzazione della produzione di energia elettrica tale decreto
all’art. 11, comma 1 e 2, definisce i criteri generali a cui gli importatori e i soggetti
responsabili d’impianti di produzione di energia elettrica devono rispondere per lo
sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili (FER):
1. Al fine d’incentivare l’uso delle energie rinnovabili, il risparmio energetico, la riduzione
delle emissioni di anidride carbonica e l’utilizzo delle risorse energetiche nazionali, a
decorrere dall’anno 2001 gli importatori e i soggetti responsabili degli impianti che, in
ciascun anno, importano o producono energia elettrica da fonti non rinnovabili, hanno
l’obbligo d’immettere nel sistema elettrico nazionale, nell’anno successivo, una quota
prodotta da impianti da fonti rinnovabili entrati in esercizio o ripotenziati, limitatamente
alla producibilità aggiuntiva, in data successiva a quella di entrata in vigore del
presente decreto (1° aprile 1999 ndr).
2. L’obbligo di cui al comma 1 si applica alle importazione e produzioni di energia
elettrica, al netto della cogenerazione, degli autoconsumi di centrale e delle
esportazioni, eccedenti i 100 GWh; la quota di cui al comma 1 è inizialmente stabilita
al 2% della suddetta energia eccedente i 100 GWh.
Ciò non significa, obbligatoriamente, produrre in proprio la quota necessaria al
raggiungimento della percentuale indicata. Il legislatore, infatti, specifica al comma 3:
3. Gli stessi soggetti possono adempiere al suddetto obbligo anche acquistando, in tutto
o in parte, l’equivalente quota o i relativi diritti da altri produttori, purché immettano
l’energia da fonti rinnovabili nel sistema elettrico nazionale, o dal gestore della rete di
trasmissione nazionale.
Viene inoltre sancita la priorità delle FER sulle altre fonti primarie o tecnologie di
produzione:
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4. Il gestore della rete di trasmissione nazionale assicura la precedenza all’energia
elettrica prodotta da impianti che utilizzano nell’ordine, fonti energetiche rinnovabili,
sistemi di cogenerazione, sulla base di specifici criteri definiti dall’Autorità per
l’energia e il gas, e fonti nazionali di energia primaria, queste ultime per una quota
massima annuale non superiore al 15% di tuta l’energia primaria necessaria per
generare l’energia elettrica consumata
ƒ
DM 11 novembre 1999- Direttive per l’attuazione delle norme in materia di
energia elettrica da fonti rinnovabili di cui ai commi 1,2,3 dell’articolo 11 del DLgs
16 marzo 1999, n. 79.
Nell’art. 5 vengono tradotte e maggiormente sviluppate le disposizioni relative alle
modalità di produzione e gestione della quota di energia elettrica da fonte rinnovabile,
mediante i cosiddetti “certificati verdi”.
ƒ
DM 18 marzo 2002 - Modifiche e integrazioni al decreto del Ministro dell'industria,
del commercio e dell'artigianato, di concerto con il Ministro dell'ambiente, 11
novembre 1999, concernente "direttive per l'attuazione delle norme in materia di
energia elettrica da fonti rinnovabili di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'art. 11 del decreto
legislativo 16 marzo 1999, n. 79".
In particolare l’articolo 3 detta le disposizioni relative alle importazioni di elettricità
prodotta da impianti alimentati a fonti rinnovabili ed alla relativa autocertificazione.
ƒ
Benefici fiscali
I benefici previsti all’art. 1 della legge n. 449 del 27 dicembre 1997 (che contiene misure
per la stabilizzazione della finanza pubblica), prorogati dalla legge finanziaria del 1999,
possono essere considerati come diretta continuazione delle agevolazioni contemplate
nella legge 10/1991. In particolare l’Iva sulle prestazioni relative agli interventi di
manutenzione ordinaria e straordinaria si riduce dal 20 al 10 per cento per i fabbricati
destinati prevalentemente ad uso abitativo privato e sono previste agevolazioni tributarie11
per gli interventi effettuati sulle singole unità immobiliari residenziali di qualsiasi categoria
catastale12, anche rurali, mirati al conseguimento del risparmio energetico e all’adozione
di impianti basati sull’impiego di fonti rinnovabili di energia. I benefici sono estesi al
biennio ‘98 - ’99. I soggetti beneficiari delle agevolazioni tributarie in oggetto sono:
- i proprietari delle unità immobiliari;
- i pieni proprietari o i nudi proprietari;
- i titolari di un diritto reale (ad es. usufrutto o uso);
- coloro che detengono l’unità immobiliare in base ad un titolo idoneo (ad es. gli inquilini
o i comodatari);
- i soci di cooperative divise o indivise;
- i soci di società semplici, di società di fatto e gli imprenditori individuali anche in forma
di impresa familiare;
- i soggetti che svolgono attività d’impresa, con riferimento ai beni non classificati come
strumentali o merce.
ƒ
La CARBON TAX
Il governo italiano, seguendo l’esempio dei paesi scandinavi e dell’Olanda, ha deciso di
adottare, in collegato con la Legge Finanziaria del 1999, la CARBON TAX, uno
11
A decorrere dal 1 gennaio 2000 è prevista un’agevolazione del 36% della spesa sostenuta, in termini di detrazione di tale
quota ai fini dell’IRPEF. Se l’immobile appartiene a una società di persone, tale detrazione è moltiplicabile per ciascuna unità
immobiliare posseduta dalla società e per ciascun socio.
12
Sia unità immobiliari accatastate come abitazioni, anche se dotate di caratteristiche di lusso, sia unità immobiliari non
accatastate come abitazioni, che tuttavia sono utilizzate con finalità residenziali.
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strumento fiscale che grava sui combustibili fossili in relazione al quantitativo di carbonio
emesso durante il processo di combustione. La logica del nuovo tributo è quella di
incentivare l’uso di prodotti energetici a basso contenuto di carbonio a danno di quelli ad
alto contenuto. La CARBON TAX trova la sua legittimazione nell’impegno sulla riduzione
del gas serra sottoscritto dal nostro governo a Kyoto.
Gli obiettivi che si intendono raggiungere sono:
- favorire l’uso di combustibili che emettono meno anidride carbonica;
- promuovere iniziative volte ad elevare l’efficienza energetica;
- implementare l’uso di fonti di energia rinnovabile.
Le caratteristiche della CARBON TAX sono innovative e in sintonia con una possibile
riforma “verde” dell’intero sistema fiscale.
ƒ
DM MICA del 24 aprile 2001 “Individuazione degli obiettivi quantitativi per
l’incremento dell’efficienza energetica negli usi finali ai sensi dell’art. 9, comma 1,
del decreto legislativo 16 marzo, n. 79”.
In questo provvedimento si stabilisce che, a partire dal 2002, i distributori di energia
elettrica con più di 100.000 clienti dovranno dimostrare, alla fine dell’anno, di aver
conseguito risparmi energetici pari a determinate quote prefissate. I risparmi complessivi
per i distributori di energia elettrica sono pari a:0,1 Mtep per il 2002, 0,5 Mtep per il 2003,
0,9 Mtep per il 2004, 1,2 Mtep per il 2005 e 1,6 Mtep per il 2006.
Il decreto, oltre a definire i quantitativi di energia primaria che dovranno essere
risparmiati negli utilizzi finali, indica anche il tipo di interventi da effettuare per conseguire
tali risparmi. Questi dovranno essere conseguiti, per almeno il 50%, attraverso progetti
che determinino riduzioni nei consumi di energia elettrica e, per il rimanente 50%, tramite
interventi che producano abbassamenti non necessariamente negli usi di elettricità.
In particolare, gli interventi che dovranno essere promossi riguardano principalmente:
- l'adozione di apparecchiature e sistemi di regolazione atti a conseguire risparmi in
campo illuminotecnico;
- l'adozione di sistemi di rifasamento dei carichi elettrici e di azionamenti elettrici a
frequenza variabile;
- l'adozione di apparecchi utilizzatori particolarmente efficienti, certificati in base alla
esistente normativa relativa alla etichettatura energetica ed appartenenti alla classe A;
- interventi di miglioramento dell'involucro edilizio degli edifici, al fine di minimizzare i
consumi energetici di raffrescamento, e di architettura bioclimatica;
- impiego di sistemi ad energia solare fotovoltaica.
I suddetti interventi dovranno inoltre consentire un'effettiva riduzione dei consumi di
energia elettrica e tutte le apparecchiature installate e/o i sistemi realizzati dovranno
essere certificati secondo la normativa esistente. I risparmi energetici conseguiti a
seguito degli interventi verranno valorizzati dando luogo a titoli di efficienza energetica
che saranno oggetto di contrattazione, determinando la formazione di un mercato dei
titoli di efficienza per molti aspetti simile a quello dei certificati verdi.
Il decreto non entra nei dettagli di come quantificare i risparmi, verificare i risultati
effettivamente conseguiti ed assegnare i conseguenti titoli di efficienza energetica o
sanzionare i mancati obbiettivi. Tutte queste attività vengono demandate all'Autorità per
l'energia elettrica ed il gas che entro sei mesi dall'uscita dei decreti avrebbe dovuto
emettere le linee guida in base alle quali attuare questo piano di risparmio energetico
(cosa che al momento non ha ancora fatto).
Anche le Regioni e Province autonome devono elaborare dei piani regionali per il
risparmio energetico nell'ambito dei quali dovranno essere effettuati gli interventi di
risparmio energetico.
Chi però dovrà farsi promotore degli interventi di risparmio energetico saranno le aziende
distributrici dell'energia elettrica, che saranno obbligate, pena delle sanzioni pecuniarie,
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ad ottenere nel quinquennio risparmi energetici proporzionali alle quote di energia
elettrica e di gas distribuiti nel 2001, aggiudicandosi così dei titoli di efficienza energetica.
Alle Aziende distributrici verrà concesso di incrementare la tariffa di distribuzione per i
clienti vincolati o quelle di vettoriamento per i clienti del mercato libero, così da
recuperare parte dei costi sostenuti per promuovere il risparmio energetico. Queste
maggiorazioni tariffarie saranno decise dall'Autorità. Nella realizzazione degli interventi di
risparmio energetico le Aziende distributrici possono avvalersi delle EsCo (società di
servizi energetici), facendo realizzare a loro gli interventi di risparmio energetico.
ƒ
DM MICA del 24 aprile 2001 “Individuazione degli obiettivi quantitativi nazionali di
risparmio energetico e sviluppo delle fonti rinnovabili, ai sensi dell’art. 16, comma
4, del decreto legislativo 23 maggio, n. 164”.
In questo provvedimento si stabilisce che, a partire dal 2002, i distributori di gas con più
di 100.000 clienti dovranno dimostrare, alla fine dell’anno, di aver conseguito risparmi
energetici pari a determinate quote prefissate. I risparmi complessivi per i distributori di
energia elettrica sono pari a: 0,1 Mtep per il 2002, 0,4 Mtep per il 2003, 0,7 Mtep per il
2004, 1,0 Mtep per il 2005 e 1,3 Mtep per il 2006.
Il decreto, oltre a definire i quantitativi di energia che dovranno essere risparmiati negli
utilizzi finali, indica anche il tipo di interventi da effettuare per conseguire tali risparmi.
Questi dovranno essere conseguiti, per almeno il 50%, attraverso progetti che
determinino riduzioni nei consumi di gas e, per il rimanente 50%, tramite interventi che
producano abbassamenti non necessariamente negli usi di gas.
In particolare gli interventi che dovranno essere promossi riguardano principalmente:
- l'adozione di apparecchi utilizzatori particolarmente efficienti, certificati in base alla
esistente normativa relativa alla etichettatura energetica ed appartenenti alla classe 4
stelle per i sistemi di combustione;
- applicazione di sistemi di regolazione e di telecontrollo degli impianti, e di sistemi di
contabilizzazione;
- interventi di miglioramento dell'involucro edilizio degli edifici, al fine di minimizzare i
consumi energetici sia in riscaldamento che in raffrescamento, e di architettura
bioclimatica;
- applicazione di sistemi di cogenerazione, utilizzo di recuperi termici e di energia
termica proveniente da reti di teleriscaldamento alimentate da sistemi di
cogenerazione o da sistemi alimentati a biomasse o rifiuti; - impiego di veicoli elettrici
ed a gas;
- impiego di sistemi ad energia solare termica.
Anche nel caso del gas sono state definite le medesime condizioni di gestione delle
attività di risparmio analogamente a quanto fatto per l’energia elettrica. In particolare,
l'Autorità per l'energia elettrica ed il gas, entro sei mesi dall'uscita dei decreti, avrebbe
dovuto emettere le linee guida in base alle quali attuare questo piano di risparmio
energetico (cosa che al momento non ha ancora fatto). Le Regioni e le Province
autonome devono elaborare dei piani regionali per il risparmio energetico nell'ambito dei
quali dovranno essere effettuati gli interventi di risparmio energetico e le aziende
distributrici del gas dovranno farsi promotrici degli interventi di risparmio energetico,
aggiudicandosi così dei titoli di efficienza energetica. Alle Aziende distributrici verrà
concesso di incrementare la tariffa di distribuzione per i clienti vincolati o quelle di
vettoriamento per i clienti del mercato libero, così da recuperare parte dei costi sostenuti
per promuovere il risparmio energetico. Queste maggiorazioni tariffarie saranno decise
dall'Autorità. Nella realizzazione degli interventi di risparmio energetico le Aziende
distributrici possono avvalersi delle ESCo (società di servizi energetici), facendo
realizzare a loro gli interventi di risparmio energetico.
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ƒ
Delibera n. 234/02 dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas concernente
“approvazione di 8 schede tecniche per la quantificazione dei risparmi di energia
primaria relativi agli interventi di cui all’articolo 5, comma 1, dei decreti ministeriali
24 aprile 2001”.
Considerato che la valutazione del risparmio di energia primaria conseguibile attraverso
specifiche tipologie di intervento dipende dalla natura dell’intervento e richiede la
predisposizione di schede e di criteri di quantificazione specifici, a cui faranno riferimento
i criteri di valutazione di carattere generale predisposti nell’ambito delle linee guida, che
le schede di cui sopra consentono la determinazione dell’energia primaria risparmiata da
ogni singolo intervento quando utilizzate congiuntamente ai criteri di valutazione di
carattere generale definite nell’ambito delle linee guida, la Delibera approva 8 schede
riguardanti molteplici interventi dal punto di vista del consumo elettrico (sostituzione
lampade, scaldacqua, installazione di impianti fotovoltaici) e degli usi termici (sostituzione
caldaie, isolamento termico di pareti, coperture e vetri, realizzazione di impianti solari
termici).
ƒ
Delibera n. 133/03 dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas concernente “Linee
guida per la preparazione, esecuzione e valutazione dei progetti di cui all’articolo
5, comma 1, dei decreti ministeriali 24 aprile 2001 e per la definizione dei criteri e
delle modalità per il rilascio dei titoli di efficienza energetica”.
La Delibera approva, in allegato, un documento finalizzato alla valutazione dei risparmi
conseguibili (con i criteri e le modalità relativi al rilascio dei titoli di efficienza energetica)
attraverso ciascuna tipologia di intervento individuata:
- metodi di valutazione standardizzata (cfr Delibera n. 234/02);
- metodi di valutazione analitica;
- metodi di valutazione a consuntivo.
Dove:
- I metodi di valutazione standardizzata consentono di quantificare il risparmio specifico
lordo annuo dell’intervento attraverso la determinazione dei risparmi relativi ad una
singola unità fisica di riferimento (UFR), senza procedere a misurazioni dirette.
- I metodi di valutazione analitica consentono di quantificare il risparmio lordo
conseguibile attraverso una tipologia di intervento sulla base di un algoritmo di
valutazione predefinito e della misura diretta di alcuni parametri di funzionamento del
sistema dopo che è stato realizzato l’intervento.
- I metodi di valutazione a consuntivo consentono di quantificare il risparmio netto
conseguibile attraverso uno o più interventi in conformità ad un programma di misura
proposto dal soggetto titolare del progetto unitamente ad una descrizione del progetto
medesimo (di seguito: programma di progetto e di misura), approvato dal soggetto
responsabile delle attività di verifica e di certificazione dei risparmi.
Da evidenziare la disposizione dell’art. 1 che cita:” I progetti devono essere proposti e
realizzati garantendo la necessaria trasparenza e correttezza delle informazioni ai
soggetti interessati, in modo non discriminatorio e in modo da non costituire ostacolo allo
sviluppo della concorrenza nelle attività della misura e della vendita di energia elettrica e
di gas naturale e nell’offerta di servizi oltre il misuratore.
ƒ
DLgs 29 dicembre 2003, n. 387 recante: "Attuazione della direttiva 2001/77/CE
relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità".
Il Decreto Legislativo del Ministero delle Attività Produttive (MAP), che recepisce la
Direttiva della Commissione Europea 77/2001/CE sulla produzione dell’energia elettrica
da fonti rinnovabili, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana
(GURI) il 31 gennaio 2004. Esso costituisce un punto di svolta nel panorama normativo
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del settore: produrre energia da fonti rinnovabili diventa, alla luce degli obiettivi di
riduzione delle emissioni, sempre più importante nel contesto di una crescente attenzione
per l’ambiente in cui si deve operare. Infatti il provvedimento perfeziona il meccanismo di
incentivazione basato sull’obbligo della quota minima di energia elettrica da produrre
mediante Fonti Energetiche Rinnovabili (FER) e sui Certificati Verdi (CV) che possono
contare su una durata di modulazione di almeno otto anni; chiarisce significativamente le
procedure autorizzative che prevedono un procedimento unico svolto dalla regione entro
tempi prefissati; semplifica le procedure di collegamento alla rete; prevede anche
campagne informative al fine di creare consapevolezza sulla funzione delle rinnovabili.
È di fondamentale importanza dunque la progressiva e piena attuazione dei contenuti
della nuova normativa, considerate le sue ambiziose ricadute sul mercato dell’energia. Da
notare, inoltre, come il DLgs 387/03 tenga in alta considerazione l’attività d’informazione e
aggiornamento per gli operatori a tutti i livelli, al fine di far cogliere compiutamente e in
maniera critica i limiti, i vincoli e le opportunità del decreto stesso per poterlo recepire e
attuare al meglio nell’interesse generale del paese e delle aziende che vogliono
valorizzare la propria capacità produttiva.
Gli interventi e la concertazione sia di soggetti istituzionali, partecipi dei nuovi approcci
normativi e di mercato, sia degli operatori chiamati ad attuare il provvedimento diventano
la migliore occasione per confrontarsi e agire con cognizione di causa.
Nel dettaglio il DLgs 387/03 e' finalizzato prevalentemente a:
a) promuovere un maggior contributo delle fonti energetiche rinnovabili alla produzione
di elettricità nel mercato italiano e comunitario;
b) promuovere misure per il perseguimento degli obiettivi indicativi nazionali di cui
all'articolo 3, comma 1;
c) concorrere alla creazione delle basi per un futuro quadro comunitario in materia;
d) favorire lo sviluppo di impianti di microgenerazione elettrica alimentati da fonti
rinnovabili, in particolare per gli impieghi agricoli e per le aree montane.
Pertanto le principali misure nazionali per promuovere l'aumento del consumo di elettricità
da fonti rinnovabili, in quantità proporzionata agli obiettivi di cui alle relazioni predisposte
dal Ministro delle Attività Produttive di concerto con il Ministro dell'Ambiente e della Tutela
del Territorio ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2001/77/CE, sono
costituite dalle disposizioni di questo decreto, dal decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79,
e successivi provvedimenti attuativi, nonché dai provvedimenti assunti al fine
dell'attuazione della legge 1° giugno 2002, n. 120. L'aggiornamento include una
valutazione dei costi e dei benefici connessi al raggiungimento degli obiettivi indicativi
nazionali e all'attuazione delle specifiche misure di sostegno. L'aggiornamento include
altresì la valutazione quantitativa dell'evoluzione dell'entità degli incentivi alle fonti
assimilate alle fonti rinnovabili, di cui all'articolo 22 della legge 9 gennaio 1991, n. 9.
In pratica l’aumento della domanda di energia elettrica da FER sarà assicurato, a
decorrere dall'anno 2004 e fino al 2006, dalla disposizione che incrementa annualmente
di 0,35 punti percentuali, nel rispetto delle tutele di cui all'articolo 9 della Costituzione, la
quota minima di elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili che, nell'anno
successivo, deve essere immessa nel sistema elettrico nazionale ai sensi dell'articolo 11,
commi 1, 2 e 3, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e successive modificazioni. Il
Ministro delle Attività Produttive, con propri decreti emanati di concerto con il Ministro
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, sentita la Conferenza unificata, stabilisce gli
ulteriori incrementi della medesima quota minima, per il triennio 2007-2009 e per il triennio
2010-2012. Tali decreti dovranno essere emanati, rispettivamente, entro il 31 dicembre
2004 ed entro il 31 dicembre 2007.
Infine il DLgs 387/03 contiene disposizioni specifiche per:
• la valorizzazione energetica delle biomasse, dei gas residuati dai processi di
depurazione e del biogas;
• gli incentivi fiscali a favore degli impianti di potenza non superiore a 20 kW;
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•
•
•
il contributo in “conto-energia” per il solare fotovoltaico, che sostituirà i contributi in
conto capitale e garantirà una consistente remunerazione basata esclusivamente
sulla produzione elettrica annua;
gli obiettivi indicativi regionali;
la “Garanzia di origine dell'elettricità prodotta da fonti rinnovabili”: Il Gestore della
Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN) è il soggetto designato, ai sensi del decreto,
al rilascio della garanzia di origine, nonché dei certificati verdi. La garanzia di origine
e' rilasciata qualora la produzione annua, ovvero la produzione imputabile, sia non
inferiore a 100 MWh.
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3.3 Decentramento di deleghe e funzioni in campo energetico agli
Enti locali
Le politiche comunitarie e nazionali concernenti la riduzione dell’impatto ambientale delle
attività energetiche, come pure il processo di liberalizzazione del settore, si intersecano con
un terzo elemento che sta prendendo corpo negli ultimi anni, e cioè la politica del
decentramento agli Enti locali, avviata con la legge 59/97 (“Bassanini”).
ƒ
Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 “Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti locali, in attuazione del Capo I
della legge 15 marzo 1997, n. 59”
Attribuisce alle Regioni ed agli enti locali un significativo insieme di competenze e
funzioni.
Le funzioni, in ambito energetico, che concernono l’elaborazione e la definizione degli
obiettivi e delle linee della politica energetica nazionale, nonché l’adozione degli atti di
indirizzo e coordinamento per un’articolata programmazione energetica regionale,
rimangono comunque di competenza statale. Per quanto riguarda le funzioni
amministrative, vengono assegnate allo Stato quelle che assecondano esigenze di
politica unitaria e hanno interesse di carattere nazionale o sovraregionale.
Alla Regione vengono assegnate funzioni con criterio residuale, ovvero tutte quelle non
conferite direttamente allo Stato e agli Enti Locali. Il decreto attribuisce espressamente
alla Regione il controllo di quasi tutte le forme di incentivazione previste dalla legge 10/91
(artt. 12, 14, 30) e il coordinamento dell’attività degli Enti locali in relazione al
contenimento dei consumi di energia degli edifici in attuazione del DPR 412/93,
modificato dal DPR 551/99.
L’art. 31 del DLgs 112/98 attribuisce agli Enti locali le funzioni amministrative connesse
“al controllo sul risparmio energetico e l’uso razionale dell’energia e le altre funzioni che
siano previste dalla legislazione regionale” (art. 31), in particolare alla Provincia sono
assegnate le seguenti funzioni:
- la redazione e l’adozione dei programmi di intervento per la promozione delle fonti
rinnovabili e del risparmio energetico;
- l’autorizzazione alla installazione ed all’esercizio degli impianti di produzione di
energia;
- il controllo sul rendimento energetico degli impianti termici.
Alla provincia spettano, quindi, le competenze relative agli impianti di potenza inferiore o
uguale a 300 MW termici.
In particolare, la funzione trasferita alla provincia prevede la gestione dei seguenti
procedimenti:
- autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio di impianti per la produzione di energia
con potenza inferiore o uguale a 300 MW termici, utilizzanti fonti convenzionali e fonti
assimilate a fonti rinnovabili (L. 9/91, DPR 53/98);
- autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di produzione di energia da
rinnovabili e da rifiuti (L. 9/91, DPR 53/98, DLgs. 22/97 tranne le competenze per
impianti ex art. 22,31,32,33);
- verifica dei dati progettuali e del programma di esercizio, ai fini del rispetto dei criteri
per l’assimilazione a fonti rinnovabili (provvedimento CIP 6/92) per gli impianti di cui ai
punti 1 e 2 dell’articolo 22 della L. 9/91;
- autorizzazione di gruppi elettrogeni (L. 9/91, DPR 53/98).
La tabella seguente cerca di sintetizzare gli aspetti fondamentali derivanti dalle suddette
normative e di interesse per lo sviluppo della politica energetica provinciale.
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Scheda: deleghe di funzioni agli Enti Locali nel settore energia.
L. 10/91 - Norme per l'attuazione del Piano Energetico Nazionale in materia di uso razionale
dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia
art. 5
Piani Regionali
art. 9
Competenze delle
regioni
art. 8
Contributi in
conto capitale a
sostegno delle
FER nell’edilizia
art. 10
Contributi per il
contenimento dei
consumi
energetici nel
settore
industriale,
artigianale e
terziario
art. 13
Incentivi alle FER
in agricoltura
Comma 1: individuazione dei bacini
Comma 2: Piano regionale fonti rinnovabili
Comma 3: Contenuti PER
a) Bilancio energetico;
b) Bacini energetici; localizzazione e realizzazione degli impianti di teleriscaldamento;
c) Individuazione delle risorse finanziarie da destinare alla realizzazione di nuovi
impianti di produzione di energia;
d) Destinazione delle risorse finanziarie, secondo un ordine di priorità relativo alla
quantità percentuale e assoluta di energia risparmiata, per gli interventi di
risparmio energetico;
e) Formulazione di obiettivi secondo priorità d’intervento;
f) Procedure per l’individuazione e la localizzazione di impianti per la produzione di
energia fino a 10 MW elettrici per impianti al servizio dei settori industriale,
agricolo, terziario, civile, civile e residenziale, nonché per gli impianti idroelettrici
Deleghe alle regioni art. 8, 10, 13 della L. 10/91
Contributi min. 20% max 40% della spesa d’investimento ammissibile, documentata
per ciascuno dei seguenti interventi:
a) coibentazione negli edifici esistenti che consenta un risparmio non inferire del 20%
b) installazione di nuovi generatori di calore ad alto rendimento con un rendimento non
inferiore al 90%
c) installazione di pompe di calore per riscaldamento di ambienti o acqua sanitaria o
d’impianti per l’uso di FER che consentano un risparmio di almeno il 30% del
fabbisogno termico
d) installazione di apparecchiature per la produzione combinata di energia elettrica e di
calore
e) impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica; fino all’80%.
f) installazione di sistemi integrati di controllo e di contabilizzazione differenziata dei
consumi del calore nonché acs di ogni singola unità immobiliare
g) trasformazione di impianti centralizzati in impianti unifamiliari (tale incentivo
andrebbe totalmente escluso dal punto di vista energetico, ambientale, della sicurezza
e dei costi ed escluso almeno nelle aree ad elevato potenziale di teleriscaldamento)
h) installazione di sistemi di illuminazione ad alto rendimento anche nelle aree esterne.
Contributi in conto capitale fino al 30% della spesa ammissibile preventivata per
realizzare o modificare impianti fissi, sistemi o componenti, nonché mezzi per il
trasporto fluviale.
Ammessi al contributo impianti fino a 10MWt o fino 3 MWe relativi ai servizi generali
e/o al ciclo produttivo che conseguano un risparmio di energia attraverso l’utilizzo di
FER e/o un miglior rendimento di macchine e apparecchiature e/o la sostituzione di
idrocarburi con altri combustibili
Contributi in conto capitale per la realizzazione d’impianti fino a 10MWt o fino 3 MWe
per la produzione o il recupero di energia termica, elettrica e meccanica da FER, nella
misura massima del 55% della spesa ammessa, elevabile al 65% per le cooperative.
Le regioni promuovono con le associazioni di categoria degli imprenditori agricoli e dei
coltivatori accordi tesi all’individuazione di soggetti e strumenti per interventi di uso
razionale dell’energia.
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DLgs 112/98 in applicazione della 59/97 (Bassanini)
art. 30:
Conferimento di
funzioni alle
regioni
Comma 1: delega delle funzioni amministrative ivi comprese quella relative alle FER,
all’elettricità, all’energia nucleare, al petrolio, al gas (escluso quelle riservate allo
Stato, art. 29 o che non siano riservate agli enti locali, art. 31)
Comma 2: Compiti previsti dagli art. 12, 14, 30 della L. 10/91
Comma 3: coordinamento e verifica in ambito nazionale dei progetti dimostrativi art.
12 affidato alla Conferenza Unificata
Comma 4: finanziamento delle spese previste per i precedenti comma da ricavare,
con leggi di bilancio regionale, dalla quota di almeno l’1% delle disponibilità
conseguite annullamento ai sensi dell’art. 3, comma 12, della 549/95.
Comma 5: funzioni di coordinamento dei compiti attribuiti agli enti locali per
l’attuazione del DPR 412/93 (controllo e censimento impianti termici). Le regioni
riferiscono sullo stato di attuazione di tale DPR.
art. 31:
Conferimento di
funzioni agli Enti
Locali
Comma 1: funzioni amministrative in materia di controllo sul risparmio energetico e
l’uso razionale dell’energia e le altre funzioni che siano previste dalla legge regionale
Comma 2: Alla Province vengono attribuite, nell’ambito delle linee d’indirizzo e di
coordinamento previste nei piani energetici regionali, le seguenti funzioni:
a) la redazione l’adozione dei programmi d’intervento per la promozione del FER e
del risparmio energetico
b) l’autorizzazione all’installazione e all’esercizio degli impianti di produzione di
energia
c) il controllo sul rendimento energetico degli impianti termici
L 10/91 - Compiti previsti dagli artt. 12, 14, 30
art. 12
Progetti
Dimostrativi
art. 14
Derivazioni
d’acqua Contributi
per la riattivazione
e per la
costruzione di
nuovi impianti
art. 30
Certificazione
energetica degli
edifici
Concessione di contributi in conto capitale per la progettazione e la realizzazione di
impianti con caratteristiche innovative per aspetti tecnici e/o gestionali e/o
organizzativi, che utilizzino FER e/o combustibili non tradizionali ovvero sviluppino
prototipi a basso consumo specifico (nuove tecnologie di combustione, di
gassificazione, di liquefazione del carbone e di smaltimento delle ceneri), impianti ad
energia solare finalizzati, in particolare alla potabilizzazione dell’acqua.
Il contributo è concesso nel limite del 50% della spesa ammissibile preventivata.
Contributi in conto capitale per :
a) riattivazione impianti idroelettrici dismessi o con concessioni rinunciate precedenti
la data del 9 gennaio 1991.
b) Costruzione di nuovi impianti nonché ripotenziamento che utilizzino concessioni di
derivazioni d’acqua
Emanare norme per la certificazione energetica degli edifici, individuando i soggetti
abilitati alla certificazione.
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Legge Regionale 12 Agosto 2002, n°34 “Riordino delle funzioni amministrative
regionali e locali in attuazione del principio di sussidiarietà e degli altri principi
indicati nell’art. 4, comma 3 della legge 15 marzo 1997, n°59.
Nell’ambito di tale legge, Titolo II - Sviluppo economico ed attività produttive - capo V Ricerca, produzione, trasporto e distribuzione di energia -, art. 37, 38 e 39 si definiscono
le funzioni di Regione, Province e Comuni.
In particolare, sono attribuite alle Province funzioni e compiti amministrativi concernenti:
a) l’adozione dei programmi d’intervento per la promozione delle fonti rinnovabili e del
risparmio energetico;
b) l’autorizzazione all’installazione ed all’esercizio degli impianti di produzione di energia
destinata alla distribuzione;
c) il controllo sul rendimento e sul risparmio energetico degli impianti termici e l’uso
razionale dell’energia, per la parte di territorio comprendente Comuni con una
popolazione inferiore ai quarantamila abitanti in coerenza con quanto previsto dall’art. 31
della legge 10/1991;
d) la verifica di compatibilità dei piani comunali per l’uso delle fonti rinnovabili di energia
di cui alla lett. c) dell’articolo 39, facendo riferimento ai programmi di intervento di cui alla
lett. a) del presente comma13;
e) le funzioni amministrative concernenti l’erogazione dei contributi di cui agli articoli 8, 10
e 13 della legge 10/91, compreso ogni adempimento tecnico, amministrativo e di
controllo.
ƒ
“Protocollo d’intesa per il coordinamento delle politiche finalizzate alla riduzione
delle emissioni dei gas-serra nell’atmosfera”.
Siglato il 5 giugno 2001 a Torino dalle Regioni e dalle Province autonome,
coerentemente con la sempre maggiore importanza che il processo di decentramento sta
attribuendo alle Regioni anche in campo energetico.
Con tale protocollo, è stato sancito l’impegno, in particolare, all’elaborazione, entro l’anno
2002, di un Piano Energetico Ambientale, sulla base dei singoli piani energetici, che
privilegi:
¾ le fonti rinnovabili e l’innovazione tecnologica;
¾ la razionalizzazione della produzione elettrica;
¾ la razionalizzazione dei consumi energetici;
¾ il raccordo dei diversi settori di programmazione ai fini della sostenibilità complessiva;
¾ la valorizzazione del ruolo delle politiche di sostegno dell’innovazione tecnologica e
degli strumenti fiscali, tariffari ed incentivanti;
¾ la promozione del settore produttivo dell’eco-efficienza e della cooperazione
internazionale.
13
Sono attribuite ai Comuni funzioni e compiti amministrativi concernenti:
c) il piano comunale per l’uso delle fonti rinnovabili di energia, nell’ambito del Piano Strutturale Comunale
(PSC), ai sensi dell’art. 5, comma 5, della legge n. 10/1991, limitatamente ai Comuni con popolazione
superiore a quindicimila abitanti.
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Legge 9 aprile 2002, n. 55 “Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema
elettrico nazionale”.
La legge prevede che fino al 31 dicembre 2003 la costruzione e l'esercizio degli impianti
di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici, gli interventi di modifica o
ripotenziamento, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili all'esercizio
degli stessi, siano soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dal Ministero delle
attività produttive, la quale sostituisce autorizzazioni, concessioni ed atti di assenso
comunque denominati, previsti dalle norme vigenti. Al procedimento unico partecipano le
Amministrazioni statali e locali interessate. Per il rilascio dell'autorizzazione e' fatto
obbligo di richiedere il parere motivato del comune e della provincia nel cui territorio
ricadono le opere.
ƒ
“Accordo tra Governo, regioni, province, comuni e comunità montane per
l'esercizio dei compiti e delle funzioni di rispettiva competenza in materia di
produzione di energia elettrica”.
Il 5 settembre 2002 viene sancito l’accordo tra il Governo, le Regioni, le Province, i
Comuni e le Comunità Montane relativamente ai criteri generali di valutazione dei progetti
di costruzione ed esercizio di impianti di produzione di energia elettrica nonché ai compiti
ed alle funzioni amministrative nel settore della produzione dell'energia elettrica.
I criteri individuati, da seguire per la valutazione dei progetti di nuove centrali elettriche,
costituiscono delle indicazioni per rendere noti a priori ai richiedenti le opportunità o i
vincoli esistenti in zone specifiche.
A) Criteri generali:
a) compatibilità con gli strumenti di pianificazione esistenti generali e settoriali
d'ambito regionale e locale, anche ai sensi del decreto legislativo n. 351/1999;
b) coerenza con le esigenze di fabbisogno energetico e dello sviluppo produttivo
della regione o della zona interessata dalla richiesta, con riferimento anche alle
ricadute di soddisfacimento del fabbisogno energetico e di sviluppo produttivo
sulle regioni confinanti;
c) coerenza con le esigenze di diversificazione delle fonti primarie e delle tecnologie
produttive; saranno in ogni caso considerati coerenti gli impianti alimentati da
fonti rinnovabili, come definite dal decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, che
risultano congruenti con gli atti e gli indirizzi regionali;
d) grado di innovazione tecnologica, con particolare riferimento al rendimento
energetico ed al livello di emissioni dell'impianto proposto;
e) utilizzo delle migliori tecnologie ai fini energetici e ambientali, con particolare
riferimento alla minimizzazione delle emissioni di NOx e CO, tenendo conto della
specifica dimensione d'impianto;
f) massimo utilizzo possibile dell'energia termica cogenerata;
g) riduzione o eliminazione, ove esistano, di altre fonti di produzione di energia e di
calore documentata con apposite convenzioni e accordi volontari con le aziende
interessate;
h) diffusione del teleriscaldamento, in relazione alla specifica collocazione
dell'impianto, finalizzato alla climatizzazione anche delle piccole utenze
produttive e delle utenze private di piccole dimensioni, con la messa a
disposizione di un servizio di pubblica utilità per i centri urbani coinvolti;
i) minimizzazione dei costi di trasporto dell'energia e dell'impatto ambientale delle
nuove infrastrutture di collegamento dell'impianto proposto alle reti esistenti;
j) riutilizzo prioritario di siti industriali già esistenti, anche nell'ambito dei piani di
riconversione di aree industriali;
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k) concorso alla valorizzazione e riqualificazione delle aree territoriali interessate
compreso il contributo allo sviluppo e all'adeguamento della forestazione ovvero
tutte le altre misure di compensazione delle criticità ambientali territoriali assunte
anche a seguito di eventuali accordi tra il proponente e l'ente locale;
l) completezza ed affidabilità delle modalità previste per ottemperare all'obbligo
posto dall'art. 11 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, relativamente
all'immissione di nuova energia da fonti rinnovabili;
m) nel caso uno stesso territorio sia interessato da più progetti le regioni possono
promuovere la valutazione comparativa degli stessi sulla base dei criteri
suesposti.
B) Adeguatezza della collocazione e della coerenza territoriale.
1. Fatti salvi gli approfondimenti in sede di valutazione d'impatto ambientale, nonché
gli indirizzi programmatori derivanti da atti regionali, dai piani territoriali di
coordinamento provinciale e dai piani comunali e provinciali energetici, verranno
tenute in considerazione, oltre ai criteri generali:
a) l'esistenza di eventuali aree individuate come ambientalmente critiche ai sensi
della legge 19 maggio 1997, n. 137, nelle quali e' consentito l'insediamento di
nuovi impianti, a condizione che i medesimi utilizzino la migliore tecnologia
industriale disponibile per l'abbattimento delle emissioni e contribuiscano a
migliorare la situazione preesistente, coerentemente con il piano di risanamento
previsto per l'area suddetta;
b) l'esistenza di eventuali aree individuate dal piano della qualità dell'aria o da altri
strumenti di programmazione come critiche, nelle quali e' consentito
l'insediamento di nuovi impianti termoelettrici, a condizione che i medesimi
utilizzino la migliore tecnologia industriale disponibile per l'abbattimento delle
emissioni e contribuiscano a migliorare la situazione preesistente, coerentemente
con il piano previsto per l'area suddetta;
c) l'esistenza
di
centrali
termoelettriche
suscettibili
di
risanamento,
ammodernamento e innovazione tecnologica, anche attraverso il loro
ripotenziamento;
C) Nella valutazione complessiva del progetto si terrà in considerazione altresì l'impatto
occupazionale ed economico sul tessuto produttivo locale, considerato nel suo
bilancio complessivo esistente in relazione alla situazione economica locale;
D) Le richieste di autorizzazione di nuovi impianti, o di potenziamento o ristrutturazione
di impianti esistenti, vengono esaminate singolarmente, secondo l'ordine di priorità
temporale di presentazione delle domande;
Nella valutazione verrà specificato l'eventuale carattere di priorità attribuito, sulla
base dei criteri generali di cui alla lettera A, ad un progetto valutato positivamente, al
fine di valorizzarne gli aspetti positivi, che qualificano il progetto come meritevole di
appoggio da parte di tutte le amministrazioni coinvolte, e gli aspetti migliorabili, in
un'ottica di massimizzazione dei benefici.
Il giudizio negativo verrà anch'esso motivato, tenendo conto dei criteri sopraelencati;
E) L'autorizzazione rilasciata ai diversi livelli istituzionali dovrà avere una validità
temporale definita (un anno normalmente, modificabile in presenza di progetti di
particolare complessità o motivi particolari) per l'inizio dei lavori di realizzazione.
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“DGR 4 agosto 2003, n. 564 recante Approvazione delle Procedure e indirizzi per
la installazione di impianti eolici sul territorio della Regione Calabria”.
Nonostante l’eolico tra le fonti rinnovabili sia una delle opzioni ritenute più attraenti per la
produzione di elettricità, poiché la tecnologia del settore è sufficientemente matura per
garantire costi di produzione contenuti e un ridotto impatto ambientale, la DGR intende
gestire il processo di diffusione in modo da ridurre al minimo gli inconvenienti di natura
ambientale, con una attenta applicazione della normativa vigente. Ravvisa inoltre
l’opportunità di fornire indirizzi e procedure affinché l’esercizio delle competenze della
Regione avvenga di concerto con quelle degli altri soggetti aventi competenze in materia di
autorizzazioni o nulla osta, allo scopo di creare un quadro certo e semplice, coerente con
quanto previsto dalla direttiva europea 2001/77/CE e che consenta di conseguire gli obiettivi
stabiliti nel Libro bianco approvato dal CIPE.
In questa prospettiva la DGR sottolinea che l’utilizzazione dell’energia eolica è considerata di
pubblico interesse e di pubblica utilità e gli interventi relativi sono equiparati alle opere
dichiarate indifferibili e urgenti ai fini dell’applicazione delle leggi sulle opere pubbliche. La
produzione di energia elettrica mediante lo sfruttamento dell’energia eolica è demandata alla
libera iniziativa imprenditoriale nel rispetto degli obblighi di servizio pubblico di cui al decreto
legislativo 16 marzo 1999, n. 79, della legislazione generale di tutela del paesaggio,
dell’ambiente, della salute e disciplina del suolo per la valutazione degli effetti indesiderati in
una visione globale e prospettica che tenga conto dell’analisi costi-benefici riferiti
all’Ambiente in generale, al fine dell’ottenimento dell’autorizzazione, prevista dall’art. 31 –
comma 2, lettera b) – del Decreto legislativo n. 112/1998, nel rispetto delle seguenti
procedure ed indirizzi a cui dovranno attenersi sia le Amministrazioni degli Enti locali
interessati territorialmente che i soggetti proponenti pubblici e privati.
Gli obiettivi che la direttiva, per l’installazione di impianti eolici, intende perseguire sono:
1. agevolare il perseguimento degli obiettivi nazionali di diffusione dell’eolico;
2. favorire il corretto inserimento degli impianti nel territorio;
3. determinare un quadro relativo ai processi autorizzativi il più possibile semplice, certo e
omogeneo.
Gli obiettivi regionali di diffusione dell’eolico fanno giustamente riferimento al traguardo
nazionale di 2500-3000MW al 2010 come indicato nel Libro bianco approvato dal CIPE e
coerentemente con quanto previsto dal protocollo di Torino, in data 4 giugno 2001.
Per le aree soggette a tutela ai sensi del Decreto legislativo 490/99, il Settore regionale
competente congiuntamente con la Soprintendenza A.A.A.S. della Calabria e, ove previsti e
presenti, gli enti gestori delle aree naturali protette, si impegnano a definire:
1. zone precluse alla realizzazione di impianti eolici (tra le quali sicuramente quelle
caratterizzate da forte naturalità ed integrità come le Oasi e le Riserve Naturali e le Zone 1-A
dei Parchi);
2. zone in cui la realizzazione degli impianti eolici è subordinata al rispetto di requisiti
specifici di progetto.
I progetti di costruzione di nuovi impianti eolici saranno valutati dai competenti organi locali
sulla base delle «linee guida per la valutazione dell’impatto ambientale delle centrali eoliche»
(Allegato 1 alla DGR), finalizzate ad assicurare approcci progettuali e procedure di
valutazione il più possibile omogenee.
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Pertanto la domanda di autorizzazione sarà obbligatoriamente corredata dalla seguente
documentazione:
1. uno studio accurato delle potenzialità anemologiche del sito, idoneo alla valutazione
tecnico-economica della fattibilità dell’impianto, che la pubblica amministrazione si
obbliga a non divulgare;
2. il progetto preliminare dell’impianto e delle opere connesse, nel caso sia prevista la
procedure di screening, o il progetto definitivo, nel caso sia necessaria la procedura di
VIA, corredati da una relazione descrittiva dell’intervento;
3. documentazione che attesti che gli aerogeneratori utilizzati sono certificati da
organismo abilitato;
4. dichiarazione di conformità degli aerogeneratori alla «direttiva macchine» (DPR n.
459/1996);
5. documentazione tecnica del Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale, che attesti
le modalità di allaccio alla rete elettrica;
6. atto di impegno al ripristino del sito e relativo piano ambientale, tecnico ed economico;
7. una analisi volta ad ipotizzare l’impatto dell’opera sulla realtà socio-economica locale;
8. uno studio ambientale che evidenzi le caratteristiche del progetto in funzione degli
elementi individuati nell’allegato D del D.P.R. 12/4/96; nel caso sia necessaria la VIA lo
studio ambientale deve essere redatto secondo le indicazioni dell’allegato C del D.P.R.
12/4/96.
Lo studio dovrà caratterizzare gli impatti ambientali dell’intervento, positivi e negativi, locali e
globali, previsti per tutte le fasi progettuali, i motivati criteri di mitigazione e compensazione
adottati e le azioni di monitoraggio che verranno intraprese (raccolta dati relativi all’impatto
sull’ecosistema ed il paesaggio).
Tenuto conto delle caratteristiche degli impianti, la DGR puntualmente ribadisce e chiarisce
gli elementi di impatto, meritevoli di specifica trattazione nello studio ambientale quali quelli
descritti dal DPR 12 aprile 1996 e smi.
La domanda di autorizzazione alla installazione ed all’esercizio di impianti per la produzione
di energia elettrica mediante lo sfruttamento del vento, è costituita sostanzialmente dalla
documentazione già detta, dalla descrizione delle infrastrutture ritenute indispensabili, da
una relazione contenente tutti gli elementi descritti in seguito e quelli di cui all’Allegato D del
D.P.R. 12 aprile 1996 e smi.
il Settore Energia della Regione effettuerà l’istruttoria tecnica, sulla base dei parametri di
seguito indicati e, in caso di esito positivo, stipulerà specifica convenzione, in forza dell’art.
37 della L.R. n. 34/2002, con la società proponente, nella quale saranno definite le modalità
di realizzazione degli impianti eolici, la potenza espressa in MW, autorizzata per sito e per
parco nonché gli obblighi derivanti dalla applicazione della direttiva emessa dalla Giunta
regionale con la deliberazione n. 766 del 6 agosto 2002, dandone comunicazione, a tutti gli
Enti interessati ed alla Provincia, competente per territorio, per gli ulteriori eventuali
adempimenti di competenza di ciascuno.
L’istruttoria tecnica per i progetti di impianti eolici rispondenti ai criteri di qualità, di seguito
descritti, si conclude con la procedura di verifica disciplinata sulla base dei criteri di qualità e
degli elementi innovativi di seguito indicati:
a) destinazione urbanistica e livello di infrastrutturazione dell’area del sito e di quelle
adiacenti;
b) disponibilità preliminare dell’Ente locale, interessato territorialmente, alla installazione
dell’impianto;
c) programmazione locale in materia di attività produttive e di produzione di energia;
d) vincoli di tutela degli aspetti idrogeologici, paesaggistici, archeologici, sismici e di
sicurezza al volo;
e) ottimizzazione delle opere connesse, in particolare del collegamento alla rete elettrica;
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f) mitigazione dell’impatto visivo ed acustico;
g) interferenze con le radio/telecomunicazioni.
per completezza, infine, si elencano i criteri generali e gli obiettivi di qualità individuati:
1. Ogni aerogeneratore deve rispettare una distanza, con un minimo 500 metri dalla più
vicina unità permanentemente abitata, regolarmente censita nel catasto terreni o
edilizio urbano, tale da soddisfare il D.P.C.M. 1 marzo 1991 e successive modifiche ed
integrazioni, nonché la L. n. 447/1995.
2. La progettazione preveda studi di mitigazione dell’impatto visivo per indirizzare la
scelta sia sul tipo di struttura a sostegno degli aerogeneratori che sulle colorazioni da
adottare.
3. Le linee di allacciamento alla rete di distribuzione devono essere realizzate in cavo
interrato, con rispetto del valore limite di esposizione al campo magnetico di 0.2 µT.
ƒ
“Convenzione attuativa della Misura 1.11 Azione a) del Complemento di
Programmazione del POR Calabria 2000/2006 e degli altri programmi nazionali di
sostegno alle fonti energetiche rinnovabili e al risparmio energetico”.
A partire dall’inizio del 2001, per l’attivazione dell’azione 1.11.a del POR Calabria 2000/2006
è stata avviata una specifica attività di concertazione fra il Dipartimento Obiettivi Strategici
della Regione Calabria e le cinque Province calabresi, finalizzata alla individuazione delle
priorità regionali e locali e delle azioni da realizzare per l’utilizzo di energie rinnovabili;
Tra l’agosto e il settembre del 2002, a valle dell’approvazione da parte delle strutture
competenti al controllo del POR dei Piani di Azione Provinciali, sono state sottoscritte le
convenzioni con cui il Dipartimento Obiettivi Strategici della Regione Calabria e le cinque
province calabresi si impegnano, ognuna per sua parte, alla completa attuazione dell’Azione
1.11.a ad essi affidata. Da qui il primo Bando provinciale largamente partecipato al punto da
richiedere quasi tutti i fondi destinati al periodo 2000/2006. Ad oggi lo stato di attuazione
regionale vede buona parte degli interventi ultimati, alcuni in fase di ultimazione e altri
bisognosi di proroga. Al fine di proseguire l’ottimo lavoro fin qui svolto e di permettere ai
ritardatari l’ultimazione delle opere, fuori termine per motivi oggettivi e ampiamente
documentati, il competente Dipartimento regionale ha disposto la proroga della Convenzione
al 31/12/2006, sì da permettere la rendicontazione dei bandi nazionali e regionali quasi
pienamente attuati, del primo bando provinciale in corso di attuazione e la predisposizione
del secondo bando il cui DOCUMENTO PROPEDEUTICO è proprio il presente Piano
Energetico Ambientale della Provincia di Catanzaro. Gli indirizzi e i quadri finanziari definitivi
e previsionali del primo e secondo bando, rispettivamente, sono compiutamente dettagliati
nella sezione del PEAP dedicata alla Misura 1.11.a.
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4 GLI STRUMENTI DI SOSTEGNO, GESTIONE E VERIFICA
Per quanto riguarda lo sviluppo delle fonti rinnovabili sul lato offerta e dell’uso efficiente
dell’energia sul lato domanda, si ritiene che la Provincia possa giocare un ruolo attivo nel
coordinamento delle diverse azioni in campo energetico, agendo negli spazi residuali della
legge 10/91e nelle nuove funzioni previste dal DLgs 112/98, art. 30 e nella legge regionale n
34 del 12 Agosto 2002 attuativa di tale decreto14.
Risulta comunque evidente che è necessario valutare attraverso quali linee e strumenti le
suddette funzioni possano esplicitarsi e dimostrarsi incisive nel momento di orientare e
selezionare le scelte in campo energetico sul territorio e/o di validare la coerenza
localizzativa o di taglia degli impianti di produzione.
Infatti, nella nuova logica del mercato energetico mentre appare evidente il ruolo degli
operatori energetici ed economici nella promozione d’iniziative, orientate ovviamente dai
costi del combustibile e dalle economie di scala, risulta difficile valutare quale “peso
specifico” potrà assumere lo stesso governo locale nell’imporre un qualsiasi strumento
regolatore della politica energetica sul proprio territorio. In estrema sintesi c’è il pericolo che
gli Enti Locali rischino di non poter partecipare, se non marginalmente, alle decisioni sulla
futura struttura energetica che si sta configurando.
Per perseguire gli obiettivi di un modello energetico sostenibile, si incontrano ostacoli ed
opportunità di varia natura, che possono essere tecnici, economici e istituzionali. Dal punto di
vista tecnico, anche se c'è ancora moltissimo da fare, esistono tuttavia soluzioni già
sviluppate e spesso anche già dimostrate sul terreno che, se largamente applicate,
permetterebbero di progredire nel senso della sostenibilità. L'economicità va di pari passo
con lo sviluppo tecnologico; anche in questo caso vi sono soluzioni più sostenibili che sono,
o potrebbero rapidamente diventare economicamente più convenienti di quelle oggi più
largamente impiegate.
Secondo un approccio economico classico, ci si dovrebbe attendere che i singoli attori
operanti sul mercato accedano, senza particolari programmi di iniziativa pubblica, a qualsiasi
opportunità di risparmio energetico che risulti attraente dal punto di vista economico che dal
punto di vista della sostenibilità ambientale. Diversi studi hanno viceversa dimostrato che la
diffusione di tecnologie efficienti e alternative è fortemente impedita dall’esistenza di vere e
proprie distorsioni e barriere di mercato ed in particolare dalla difficoltà dell’utilizzatore finale
a considerare i costi relativi all’intero ciclo di vita e non solo il costo capitale iniziale,
dall’accesso limitato al credito e all’informazione, dalla ripartizione a volte asimmetrica di
costi e benefici, nonché da veri e propri ostacoli di carattere istituzionale e normativo.
Queste barriere sono di tipo differente a seconda del gruppo di consumatori e degli usi finali,
ma i loro effetti sono assai simili e di dimensioni paragonabili.
Ne risulta un notevole divario di efficienza (efficiency gap) tra le tecnologie esistenti e la
migliore tecnologia presente sul mercato anche a prezzi competitivi. Le implicazioni del
fenomeno dell’efficiency gap per l’efficacia della pianificazione energetica sostenibile
impongono una riflessione sulle cause della differenza osservata e sugli strumenti a
disposizione per colmarla.
Tradizionalmente, il dibattito sugli strumenti a disposizione della politica ambientale per la
riduzione delle suddette barriere si è concentrato sulla distinzione tra strumenti giuridici o di
regolamentazione e strumenti economici, ed in particolare sulle potenzialità dei secondi
rispetto ai primi.
14
Titolo II, Capo V “Energia” – art. 37,38,39
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4.1 Gli strumenti di sostegno
4.1.1 Strumenti di controllo
Gli strumenti di controllo comprendono tutte quelle azioni, che esercitano una influenza
diretta sugli agenti economici, consumatori o produttori in termini di prescrizioni e criteri.
Le norme tecniche (per esempio quelle che stabiliscono soglie minime o massime di
accettabilità per l’efficienza per apparecchi che consumano energia o per le emissioni
derivanti da un processo di combustione, oppure le imposizioni di usare o non usare un certo
tipo di tecnologia, o combustibile) o i criteri autorizzativi (per esempio quelli riguardanti
l’installazione di impianti di produzione di energia), sono sicuramente utili e importanti.
Tuttavia, se non sono gestiti correttamente, possono costituire ostacoli al cambiamento. La
ragione è che la tecnologia evolve molto rapidamente, mentre le norme cambiano più
lentamente. Ne segue che:
•
•
•
Le norme tecniche e le prescrizioni dovrebbero sempre essere separate dalle leggi, e
seguire procedure amministrative più semplici. Spesso, norme tecniche inglobate in leggi
rappresentano il meglio delle conoscenze al momento in cui sono elaborate, ma
diventano rapidamente obsolete rispetto al progresso tecnico: aggiornarle significa
emendare una legge, procedura generalmente lunga e complicata.
Quando possibile, è meglio specificare in una norma il risultato che si vuole ottenere,
piuttosto che la particolare soluzione tecnica da adottare. La tecnologia evolve, ed è
possibile - anzi, probabile - che nuove soluzioni più soddisfacenti e più economiche si
rendano disponibili per raggiungere lo stesso risultato. Al massimo, un allegato tecnico
può mostrare che esiste almeno una tecnologia per ottenere il risultato voluto, ma è più
efficace lasciare che sia il mercato a scegliere di volta in volta la soluzione migliore.
Nel periodo di decollo di una tecnologia (per esempio per una fonte rinnovabile) è difficile
determinare uno standard opportuno: valori troppo bassi rischiano il fallimento del
progetto per la bassa qualità dell'impianto, con conseguente perdita di fiducia dei
consumatori e dei finanziatori; valori troppo alti rischiano di comportare costi troppo
elevati e non necessari.
4.1.2 Strumenti finanziari
La promozione di alcune tecnologie può richiedere, in alcuni casi, tempi di ritorno degli
investimenti sufficientemente lunghi. Si rende perciò necessario, da parte
dell’amministrazione provinciale, prendere in considerazione l’opportunità di incentivazioni di
carattere finanziario che stimoli l’adesione dei soggetti interessati a norme di pianificazione
non obbligatoria. Nel caso degli strumenti economici, principalmente incentivi finanziari o
misure fiscali (tassazioni, sgravi), quindi, il comportamento degli agenti economici non viene
più rigidamente regolamento come nel caso precedente, ma influenzato attraverso i prezzi e
i costi.
La tassazione non dovrebbe essere considerata soltanto uno strumento in grado di indurre
risparmio energetico attraverso la riduzione della domanda di energia in ragione della
variazione dei prezzi. Essa può, infatti, stimolare il risparmio anche attraverso l’impulso
all’innovazione tecnologica ottenuto utilizzando il gettito per incentivi all’introduzione di
tecnologie più efficienti sia a livello di imprese che di consumatori.
L’introduzione di sgravi fiscali contribuisce positivamente all’implementazione della
tecnologia, mentre i sussidi di investimento sono considerati essere uno strumento
essenziale per lo stimolo sul mercato.
L’esperienza maturata insegna che in generale gli incentivi finanziari diretti sono uno degli
strumenti più efficaci per lo sviluppo delle “energie sostenibili” e anche la possibilità più
concreta per un governo locale per avere parte attiva in questo ambito.
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Le motivazioni e le modalità del supporto con strumenti economici devono però essere
chiaramente indicate: molti sussidi indiscriminati del passato hanno avuto complessivamente
effetti negativi attraverso la distorsione del mercato e hanno anche in molti casi rallentato lo
sviluppo tecnologico. Vi sono due ordini di motivi per questo sostegno. Il primo è la
correzione di imperfezioni del mercato. Un’analisi economica corretta non può limitarsi ai
prezzi di mercato. All’interno di questi ultimi, infatti, non vengono inseriti i costi sociali e
ambientali associati all’uso dell’energia. La letteratura individua numerosi costi di questo tipo
in relazione ai vettori energetici tradizionali. Si tratta per lo più di costi esterni legati
all’inquinamento. A tali costi si devono aggiungere quelli che hanno implicazioni di carattere
socio-economico. La perdita di tempo dovuto alla congestione da traffico costituisce un
esempio di costo esterno, che implica un abbassamento del livello di benessere generale,
poiché sottrae tempo prezioso che potrebbe essere impiegato in modo alternativo. Tutti
questi costi vengono denominati esternalità proprio perché sono esterni al prezzo stabilito
dal mercato: hanno quindi la caratteristica di essere pagati dalla collettività e non dagli utenti
dell’attività che le hanno causate.
Finché non si tenga compiutamente conto delle esternalità, o si continui a concedere sussidi
a forme energetiche convenzionali, si discriminerà negativamente nei confronti delle energie
sostenibili (vi sono anche altre cause di discriminazione, per esempio di natura finanziaria, o
di mancanza di informazione). L’adozione di incentivi economici alle energie sostenibili è
dunque dovuto nella misura in cui questa discriminazione permane.
Il secondo motivo è che le tecnologie convenzionali, anche se non avessero oggi sussidi e
supporti, li hanno avuti nel passato, in una misura sufficiente a permettere loro di abbassare i
costi seguendo rapidamente la curva di apprendimento (come è noto, per ogni tecnologia
innovativa i costi di produzione si abbassano all'aumentare della produzione cumulata, sia
per economie di scala, sia per i miglioramenti tecnologici che si introducono con l'uso: per
molte tecnologie si è osservato circa un dimezzamento dei costi per ogni aumento di una
fattore dieci nella produzione cumulata).
È quindi giusto che anche alle energie sostenibili vengano date le stesse opportunità,
sostenendole per un tempo adeguato e in misura equilibrata. Si deve comunque evitare di
sostenere tecnologie che non hanno concrete prospettive di essere concorrenziali sul
mercato senza incentivi una volta superata la fase di introduzione.
Diverse forme di incentivazione pubblica sono state e sono tuttora impiegate in Italia per le
energie sostenibili. Nel passato, vi è stata una tendenza a una realizzazione diretta di
progetti da parte del settore pubblico. Questo tipo di supporto in genere non ha funzionato
bene: esso non faceva parte di una strategia ben definita e dichiarata per introdurre un
sistema energetico più sostenibile, e il settore privato non era pertanto incoraggiato ad
accollarsi un rischio finanziario in vista di ritorni di lungo termine. Questi incentivi non erano
generalmente basati sulla concorrenza e sul mercato, e spesso incoraggiavano tecnologie
già disponibili ma senza concrete prospettive per il futuro. Non c'era nessuna garanzia che
gli impianti continuassero a funzionare una volta ottenuti gli incentivi.
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Il sistema di assegnare una certa quota di elettricità che deve essere prodotta da energie
rinnovabili, o "Renewable Portfolio Standard" (RPS), che in Italia, è stato attuato mediante i
"certificati verdi", è la forma che oggi appare favorita come sostegno temporaneo alla
diffusione di tecnologie energetiche sostenibili, anche perché è quello che fa più
compiutamente uso dei meccanismi di mercato.
In questo contesto, alla luce del potenziale installabile, si potrebbe ripensare ad un ruolo più
diretto da parte della stessa amministrazioni pubblica, attraverso la partecipazione alla
produzione e con la costituzione di un propria impresa, nella produzione di “certificati verdi”.
Questo terreno andrebbe maggiormente esplorato non solo per le consistenti ricadute
economiche nelle casse pubbliche ma anche per un maggior controllo nell’uso del territorio
Un limite di questo approccio è che, se considera sullo stesso piano tutte le varie tecnologie
sostenibili (e quindi le mette in concorrenza tra di loro), non è sufficiente a far decollare le
tecnologie oggi più costose, ma con maggiori possibilità di riduzione dei costi, come per
esempio il solare fotovoltaico. Se si vuole dare un'opportunità anche a queste di svilupparsi
occorre allora o assegnare loro una quota riservata nel "portafoglio", o accoppiare al sistema
del portafoglio delle condizioni particolari sul prezzo di prelievo dell'energia.
L'attenzione potrebbe inoltre essere spostata verso strumenti di incentivazione basati sul
valore dell'energia prodotta piuttosto che sul costo dell'impianto. Alcuni Paesi (Germania,
Spagna, Danimarca e nel passato l'Italia con il "CIP-6") hanno per esempio fissato prezzi
remunerativi di prelievo dell'elettricità prodotta da fonti rinnovabili (o, in qualche caso, anche
da impianti funzionanti in cogenerazione). Questo prezzo, che può dipendere dal tipo di
impianto, è pianificato per un certo numero di anni, e può essere decrescente con il tempo.
Questo sistema ha dato buoni risultati nell'accrescere la quota delle energie rinnovabili nella
produzione di elettricità, anche se non sempre si basa su concorrenza e forze di mercato.
Andrebbe, infine, considerata anche la possibilità di realizzare “azioni pilota” con il contributo
diretto da parte del settore pubblico, oppure con la concessione dallo stesso di incentivi a
fondo perduto che coprano una parte rilevante delle spese in conto capitale per la
realizzazione degli impianti. Un certo numero di questi progetti pubblici, scelti bene, e
chiaramente indirizzati, possono svolgere un ruolo importante come progetti dimostrativi,
utilizzati per individuare e risolvere problemi tecnici, e ancor più problemi non tecnici, purché
si rivolgano a utenti reali. Essi possono fornire anche utili informazioni sui costi di
realizzazione e di esercizio.
In generale, è comunque evidente l’importanza di determinare come i costi economici delle
azioni in campo energetico possano essere distribuiti sui diversi attori/operatori sia pubblici
che privati.
Al di là dei tradizionali canali di finanziamento (comunitari, nazionali, regionali), oltre al
sostegno finanziario diretto, la Provincia dovrà attivarsi, allo stesso modo, per favorire lo
sviluppo di meccanismi di ingegneria finanziaria quali il project financing, il fondo di garanzia
ed il finanziamento tramite terzi.
Un coinvolgimento esteso di soggetti in grado di creare le condizioni di fattibilità di un
finanziamento può fornire le condizioni necessarie per svincolare la realizzazione di
interventi realizzativi inerenti l’energia dalla dipendenza dalle risorse pubbliche. L’ente
pubblico da parte sua potrà svolgere un ruolo rilevante come promotore o coadiutore di
queste azioni.
Il project financing
La concessione di credito per la realizzazione di un progetto è solitamente connessa alla
solidità finanziaria delle imprese promotrici dell’iniziativa, su cui i creditori potrebbero rivalersi
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in caso di problemi di solvibilità. I progetti ad alta intensità di capitali che garantiscono un
flusso monetario di ritorno economico dell’investimento con un’alta redditività (tra cui
rientrano quelli che prevedono la produzione di energia) consentono di invertire questo
schema classico, fornendo come garanzia per il rimborso del debito la fattibilità e il
rendimento interno del progetto stesso. Secondo questo schema, denominato comunemente
project financing, il credito viene concesso a seguito di una accurata valutazione della qualità
del progetto. Gli sponsor del progetto forniscono la garanzia di copertura del rimborso del
prestito nella sola eventualità che lo stesso non venga rimborsato dai proventi che il progetto
stesso genera nel tempo. La normale attività di gestione risulta quindi la fonte primaria di
copertura del rischio.
I partner finanziari intervengono nello schema di project financing con forme
organizzative flessibili e ruoli e responsabilità differenti. Brevemente si possono individuare
sei tipologie di soggetti:
1. Lo Sponsor. E’ colui che ha interesse alla realizzazione del progetto, è il promotore, colui
che ricerca il coinvolgimento degli altri soggetti.
2. La Project Company. E’ la società che viene creata appositamente per la realizzazione
del progetto, è uno strumento per limitare il rischio ai soli capitali apportati al progetto
stesso.
3. Il Financial Advisor. Partecipa alla stesura e al controllo del business-plan del progetto.
Ha il compito di verificale la fattibilità economico-finanziaria del progetto.
4. Il Financial Arranger. Ha il compito di organizzare e predisporre lo schema finanziario che
dovrà sostenere il progetto.
5. L’Equity Investor. E’ lo sponsor che apporta capitale di rischio al progetto.
6. Il General Contractor. E’ l’impresa che si aggiudica la costruzione dell’infrastruttura.
Fondo di garanzia per il credito
E’ l’istituzione di un fondo di garanzia a disposizione degli enti pubblici e privati, per
sostenerli negli sforzi di ristrutturazione e di rinnovamento delle tecnologie e dei processi
produttivi che comportino una diminuzione dei consumi di energia. Una garanzia è un
impegno vincolante da parte del garante a pagare una specifica somma di denaro
all’istituzione finanziatrice o investitrice su richiesta di questa, in subordine a clausole e
condizioni convenute. Il Fondo dovrebbe operare come ente gestore, sulla scorta di una
valutazione della validità dei progetti, ad esempio demandate all’Agenzia locale per la
gestione dell’energia o altre strutture create “ad hoc” dal fondo stesso.
Finanziamento tramite terzi
Un altro campo d'azione per favorire sistemi energetici sostenibili è quello di facilitarne il
finanziamento mediante sistemi di aggregazione della domanda. Infatti, sebbene le
tecnologie più sostenibili possano anche dar luogo a grossi impianti, la maggioranza delle
applicazioni sono di piccola scala. La dispersione del finanziamento su un numero molto
grande di progetti molto piccoli crea uno dei maggiori ostacoli alla loro realizzazione. Gli
istituti di credito sono abituati a grossi progetti, quali quelli generalmente richiesti da grandi
impianti energetici convenzionali. Il costo di transazione per un piccolo progetto non è di
molto inferiore a quello di un grande progetto, quindi, in proporzione, grava molto di più sui
progetti piccoli, e facilmente diventa proibitivo. Valutare ogni singola proposta (nel caso del
"project financing") o ogni singolo proponente (nel caso del prestito ordinario) è quasi
impossibile. Questo costo molto più elevato dell'investimento svantaggia i progetti sostenibili
rispetto a quelli convenzionali.
La soluzione a questo problema generalmente consiste nell'aggregare insieme molti progetti
simili, in modo che l'analisi tecnica viene svolta una volta per tutte, e i costi di transazione
sono molto ridotti. (Questa aggregazione, incidentalmente, è molto utile anche per ridurre i
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costi di approvvigionamento dei sistemi, facilitare l'installazione, l'operazione, la
manutenzione, la disponibilità di parti di ricambio ecc.).
Vi sono molti modi in cui queste aggregazioni possono aver luogo. Una (che ha alcuni
interessanti esempi anche in Italia), è quella delle compagnie di servizi energetici (o ESCO),
generalmente private o a volte consociate con le Aziende energetiche.
Il meccanismo delle ESCO è decisamente innovativo in quanto permette di superare i vincoli
di bilancio degli utenti, spostando l’onere dell’investimento iniziale ad un agente esterno.
Tali compagnie istruiscono l'insieme dei progetti, si rivolgono agli istituti di credito, anticipano
il finanziamento dell'impianto, ricevono se vi sono gli incentivi governativi (per esempio i
certificati verdi) e recuperano il capitale anticipato, incassando, per un certi numero di anni
prefissati nel contratto, i risparmi economici derivanti dai minori consumi energetici
successivi all’intervento.
Il committente continuerà a sostenere, per gli anni stabiliti dal contratto, i costi energetici
antecedenti l’intervento. Al termine del periodo concordato, il nuovo impianto diventa di
proprietà del committente. Senza oneri aggiuntivi rispetto alle spese correnti, si ottiene,
quindi, un nuovo impianto più efficiente, che consente risparmi economici sulla bolletta
energetica.
Il meccanismo funziona proprio perché la ESCO, sostenendo in prima persona tutti i costi e
le spese di investimento (studi, costi di lavoro, realizzazione dell’investimento e monitoraggio
dei risultati), ha interesse a soddisfare il fabbisogno energetico del committente, realizzando
l’investimento che garantisce il maggior risparmio energetico nel minor tempo possibile: da
ciò deriverà la redditività del proprio intervento. L’ESCO non è, infatti, un fornitore di prodotti
energetici, il cui guadagno dipende dalla vendita dei kilowattora, cioè dai consumi, ma è
un’azienda che vende servizi energetici, per cui i profitti sono proporzionali ai consumi evitati,
cioè i “negawattora” (kilowattora risparmiati). Ciò che interessa al committente e alla ESCO
non sono quindi i consumi di energia, ma i servizi che l’energia fornisce: calore,
illuminazione.
Varianti di questo schema si basano su cooperative, o su imprese miste pubbliche/private o
su associazioni di comunità. Queste iniziative si sviluppano bene soprattutto a livello locale,
ma è importante che vi sia l'ambiente legislativo adatto, eventuali coperture di garanzia, la
disponibilità iniziale di fondi di rotazione ecc. e risulta quindi centrale il ruolo della Provincia
nella promozione di tali iniziative.
Possibilità derivanti dai Decreti del 24 aprile 2001
Come già descritto nella sessione riguardante la normativa, i Decreti del 24 aprile 2001
fissano l'obbligo, per i grandi distributori di energia elettrica e di gas, di effettuare interventi
presso gli utenti finali al fine di ottenere nei prossimi anni un risparmio di energia primaria. A
tal fine i distributori possono intervenire direttamente, tramite società controllate o possono
acquistare titoli di efficienza energetica da ESCO che abbiano effettuato interventi fra quelli
ammessi dai Decreti stessi.
Il meccanismo base prevede che, a fronte di ogni intervento effettuato presso gli utenti finali,
il distributore riceva dei titoli di efficienza rilasciati dall’Autorità, tramite i quali può dimostrare
il raggiungimento degli obiettivi previsti. Per finanziarsi l’esercente può attingere a eventuali
fondi regionali e nazionali, può chiedere la partecipazione dell’utente beneficiario e può
ricevere dei riconoscimenti in tariffa, secondo un tetto massimo stabilito dall’Autorità. Nel
caso in cui sia una ESCO a svolgere l’intervento, invece, il titolo viene rilasciato ad essa e
può essere rivenduto ad un distributore ad un prezzo dipendente dalla concorrenza che si
verrà a creare.
La Provincia può prendere parte al meccanismo in vari modi:
Partecipazione come utente
Il ruolo della Provincia in questo caso è quello di prendere contatti con i distributori locali o
con una ESCO per proporsi per uno o più interventi, considerando che in alcuni casi, a
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seconda del tipo di intervento e degli indici di convenienza economica relativi, potrà essere
necessario attivare anche risorse proprie. E’ opportuno dare priorità a quegli interventi già
previsti anche per altre finalità quali, ad esempio, la ristrutturazione di edifici scolastici.
Partecipazione nel ruolo di raccordo fra distributori e cittadini
La Provincia può svolgere un ruolo importante per indirizzare le iniziative dei distributori e
delle ESCO affinché sia raggiunto il massimo mutuo vantaggio. Può, ad esempio, stipulare
delle convenzioni con distributori o ESCO e associazioni di consumatori per incentivare e
diffondere interventi mirati sul territorio di sua competenza.
Partecipazione come ESCO
Si può prendere in considerazione la possibilità di operare come ESCO attraverso una
società controllata o partecipata. A tale riguardo si sottolinea che i Decreti stessi non danno
alcuna indicazione su eventuali requisiti richiesti ad una società per svolgere tale ruolo,
ferme restando le competenze tecniche, gestionali e finanziarie indispensabili per il buon
esito dei progetti realizzabili.
4.1.3 Diffusione dell’informazione e della formazione
Vi sono altri strumenti possibili, che la Provincia può sviluppare per favorire la diffusione di
forme energetiche più sostenibili. Una è l’organizzazione di campagne di
informazione/sensibilizzazione, che portino informazioni chiare e oggettive (distinte dalla
propaganda commerciale) sulle energie sostenibili.
Tali azioni risultano particolarmente indicate per l’incentivazione all’acquisto di prodotti ad
alta efficienza. Tali campagne dovranno essere capillari con la diffusione di brochures da
inviare agli utenti, manifesti pubblicitari, sportelli o centri informativi aperti al pubblico. I
singoli utenti possono trovare in questi centri personale specializzato, informazioni tecniche
ed economiche continuamente aggiornate, esposizione di tecnologie ad alta efficienza
I consumatori e gli stessi distributori mancano spesso di un esaustivo grado di informazione
riguardo all’eventuale convenienza della vendita/acquisto dei un prodotto ad alta efficienza e
più in generale sulla problematiche riguardanti l’opportunità del risparmio energetico o di un
uso razionale dell’energia. A livello di penetrazione di mercato questo porta innanzitutto al
cosiddetto “effetto di rincorsa”. Per il fatto che l’attenzione dei consumatori è
prevalentemente rivolta al solo costo iniziale, anziché ai costi totali lungo tutto il ciclo di vita, i
produttori sono scarsamente incentivati a produrre dispositivi ad alta efficienza, perché
questo non costituisce un vantaggio sul mercato, ma anzi l’eventuale maggiore investimento
iniziale può scoraggiare l’acquirente.
I consumatori, inoltre, non seguono la stretta razionalità economica, ma scelgono spesso in
base a criteri estetici e mode. Il consumatore, non ancora consapevole del valore del
risparmio energetico, è portato a scegliere la tecnologia guardando principalmente ad alcune
caratteristiche di qualità di prodotto più evidenti, alla riconoscibilità del marchio, e alla
dotazione di optionals particolari. La valutazione della qualità e delle prestazioni
generalmente non investe l’aspetto dell’efficienza energetica. D’altra parte anche i rivenditori
nella maggior parte dei casi ignorano l’importanza della efficienza energetica nella
presentazione dei diversi prodotti.
Proprio l’assenza di correlazioni fra prezzo ed efficienza energetica rende un po’ più
complicato il discorso dello stimolare il mercato dei prodotti più efficienti.
Va inoltre sottolineato il fatto che una parte consistente della riduzione dei consumi è legata
ad un comportamento corretto degli utenti (verifica della temperatura interna, corretto uso
delle apparecchiature, ecc.): è importante allora che l’amministrazione locale si impegni
anche in un’azione di “educazione al risparmio” attraverso campagne di sensibilizzazione
capillari per stimolare comportamenti energeticamente efficienti nei vari settori di attività:
seminari nelle scuole, workshop, concorsi, mostre, corsi per i propri dipendenti, ecc.).
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I programmi di informazione dovranno essere affiancati a programmi di formazione per
progettisti ed attraverso corsi di aggiornamento sulle tecnologie più recenti e sulla loro
utilizzazione. La disponibilità di professionisti qualificati è cruciale per lo sviluppo di un
mercato in quanto questi agiranno come consulenti diretti dei privati e giocano quindi un
ruolo cruciale per l’avvio del mercato. Un programma di corsi dovrebbe essere implementato
con le organizzazioni di settore come ANIM (Associazione nazionale Impiantisti Manutentori)
o ECIPA (Ente Confederale di Istruzioni Professionale per l’artigianato e le piccole imprese).
L’amministrazione locale può impegnarsi infine, a far conoscere gli eventuali canali e
modalità per poter accedere a incentivi eventualmente già previsti dalla legge. Sarebbe
opportuna la creazione di una campagna informativa che preveda anche l’istituzione di
sportelli di consulenza e supporto diretto cui il privato possa far riferimento nel momento in
cui decide di operare un intervento. In questo modo potrebbero essere velocizzati ed
alleggeriti iter burocratici troppo lunghi e onerosi, che spesso agiscono da deterrente nei
confronti di tali opportunità.
4.1.4 Campagne di gestione dell’energia negli edifici destinati ad uso pubblico
Una delle azioni che possono creare un impulso alla diffusione delle tecnologie efficienti è a
carico della stessa amministrazione pubblica, mediante interventi sul proprio patrimonio.
Dagli interventi di miglioramento dell’isolamento delle murature e delle vetrature, alla
revisione degli impianti di illuminazione, alla gestione e manutenzione corretta degli impianti
termici e di condizionamento, alla istituzione di una lista di apparecchiature ad alta efficienza
per ufficio ed illuminazione, da cui attingere per ogni nuovo acquisto, all’uso del solare per la
produzione di acqua calda o per riscaldamento ambienti, all’installazione di pannelli
fotovoltaici.
Gli impianti pilota o dimostrativi hanno un effetto positivo sull’attenzione pubblica riguardo le
varie tecnologie e sulle future decisioni degli investitori privati.
L’installazione o introduzione di tecnologie innovative sugli edifici pubblici accompagnata da
una idonea informazione sui benefici conseguibili, può essere un ottimo esempio in questa
direzione e rientra quindi a pieno titolo nelle processo di informazione/sensibilizzazione di cui
si è parlato precedentemente.
Sono quindi chiari i ruoli e le responsabilità di un’Amministrazione Pubblica che deve dare “il
buon esempio”.
4.1.5 Programmi di partecipazione
Le linee e gli strumenti di intervento esposti sino ad ora possono trovare le migliori possibilità
di attuazione e sviluppo nell’ambito di programmi di partecipazione e campagne coordinate
fra l’ente pubblico e i diversi attori interessati.
Quello dell’accordo volontario o dell’azione partecipata è uno degli strumenti di
programmazione concertata che attualmente viene considerato tra i mezzi più efficaci per le
iniziative nel settore energetico. Il principale elemento che lo caratterizza è lo scambio
volontario di impegni a fronte dell’attuazione di determinati interventi e del raggiungimento
degli obiettivi pattuiti.
In questo senso la Provincia dovrà porsi come referente anche sovra-comunale per
diventare promotrice di tavoli di lavoro con i soggetti che, direttamente o indirettamente,
partecipano alla gestione dell’energia nelle diverse aree del proprio territorio (utility, altre
amministrazioni comunali, associazioni di comuni associazioni di categoria –dei produttori,
rivenditori, consumatori, consulenti, popolazione), per attivare un discorso operativo integrato
su risparmio, rinnovabili, ambiente.
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Il tavolo di lavoro avrà lo scopo di arrivare ad accordi volontari, iniziative coordinate e/o
all’attivazione di finanziamenti specifici per promuovere le nuove tecnologie nei differenti
settori.
In ambito Provinciale di importanza strategica sarà, in particolare, il coinvolgimento
primariamente delle uitilities energetiche (alla luce dei recenti decreti sul risparmio)15 e delle
associazioni di comuni, come per esempio le comunità montane.
La partecipazione di tutti i portatori di interesse è essenziale per perseguire uno sviluppo
sostenibile e durevole. Nella Dichiarazione di Rio de Janeiro sull'Ambiente e lo Sviluppo
(1992) si afferma che ``il modo migliore di trattare le questioni ambientali è quello di
assicurare la partecipazione di tutti i cittadini interessati ai diversi livelli'' (principio 10).
Anche la Comunità Europea ha proposto nel suo Quinto Programma d'Azione per l'ambiente
un nuovo approccio basato sulla responsabilizzazione, sul dialogo e sull'azione concertata di
tutte le parti interessate (pubbliche amministrazioni, consumatori e imprese) portatrici di
priorità diverse. La nuova strategia del tipo "agiamo insieme" deve certamente affiancare le
misure ambientali improntate all'approccio "non si deve".
Un programma di campagne coordinate può rappresentare un’importante opportunità di
innovazione per le imprese e per il mercato, può essere la sede per la promozione efficace di
nuove forme di partnership nell’elaborazione di progetti operativi o per la sponsorizzazione di
varie azioni di intervento.
Gli obiettivi prioritari nella scelta di questo tipo di interazione si possono identificare:
ƒ per le imprese, nella possibilità di partecipazione diretta alle politiche pubbliche e nella
conseguente possibilità di proporre interventi basati sulle proprie priorità e capacità di
azione;
ƒ per i soggetti pubblici, nella creazione di un sistema di azione basato sul consenso e la
cooperazione con i settori produttivi, attivando meccanismi di scambio informativo e
dispositivi capaci di sfruttare al meglio le potenzialità esistenti a livello di imprese.
Gli accordi, inoltre, presentano potenzialità interessanti dal punto di vista delle capacità di
cogliere e sfruttare, in particolare, le specificità locali dei sistemi territoriali coinvolti.
La Provincia dovrà preliminarmente impegnarsi, a questo scopo, all’organizzazione di
“iniziative di consultazione”, per il coinvolgimento dei soggetti locali e non che a vario titolo
sono collegati ai settori e agli ambiti cui le azioni stesse intendono rivolgersi
Tali iniziative potranno essere svolte all’interno del processo e delle attività di Agenda XXI,
già in atto in Provincia, o attraverso opportuni forum tematici relativi ai principali temi
individuati dal Piano. L’obiettivo sarà quello di informare sulle tendenze individuate dal Piano
e, nello stesso tempo, ricevere da parte dei partecipanti indicazioni che consentano di capire
il modo più opportuno di procedere a livello locale, per raggiungere gli obiettivi proposti dal
Piano stesso.
Gli obiettivi di ogni singolo forum possono essere sintetizzati in:
ƒ presentazione dell’iniziativa;
ƒ breve inquadramento del tema dell’incontro;
ƒ attivazione di un tavolo di discussione e confronto;
ƒ individuazione di criticità, orientamenti, ruoli e relazioni tra i diversi soggetti coinvolti,
rispetto al tema in esame
Per ogni forum potrà essere predisposto del materiale informativo che dovrà essere fornito
agli interessati prima dell’incontro. In generale il suo contenuto, relativamente al tema in
discussione, consisterà in:
15
vedi par. 1.2.3
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inquadramento e contestualizzazione nel sistema energetico complessivo della
Provincia, attraverso la presentazione dei risultati delle analisi svolte nell’ambito del
Piano;
- schede di approfondimento sulle principali tecnologie e azioni di implementazione delle
stesse, proposte nel Piano;
- presentazione di esperienze significative di realizzazione di tali azioni.
I soggetti da coinvolgere dipendono, ovviamente, dai temi trattati. In generale, comunque, è
necessario il coinvolgimento di soggetti sia interni all’Amministrazione provinciale (es. settore
lavori pubblici, settore mobilità, settore agricoltura/foreste, ecc.), sia esterni (associazioni dei
consumatori, associazioni di categoria, utility energetiche, ecc.), come pure soggetti di altre
amministrazioni pubbliche quali la Regione e i Comuni.
-
4.1.6 Adeguamento legislativo e normativo dei piani territoriali e settoriali
interessati
Le innovazioni introdotte dalla recente legislazione nazionale, sia nel campo della
programmazione energetica sia in quello della programmazione territoriale e settoriale,
stanno determinando un progressivo decentramento a livello locale della pianificazione
energetica.
In questo modo si va configurando uno strumento attraverso il quale l’amministrazione
provinciale può predisporre un progetto complessivo di sviluppo dell’intero sistema
energetico, coerente con lo sviluppo socioeconomico e produttivo del suo territorio. Ciò
comporta una sempre maggiore correlazione ed interazione tra la pianificazione energetica
ed i piani territoriali e settoriali. D’altra parte, in questi ultimi la variabile energia è
generalmente assente o inclusa all’interno della variabile ambientale. Risulta quindi
indispensabile il loro adeguamento per tenere opportunamente in considerazione tale
variabile.
E’ auspicabile quindi, che la Provincia si impegni, sia in prima persona, che agendo sulle
singole amministrazioni comunali, affinché il “fattore energia” venga fatto proprio dagli
strumenti di pianificazione territoriale e di programmazione economica, nei piani di settore
(Piano Regolatore Generale, Piano del traffico, Piano dei rifiuti, Piano delle acque), nelle
procedure di VIA, in modo che diventi elemento di considerazione e possa integrarsi con gli
interventi che l’Amministrazione mette in campo in altri ambiti.
In tale senso il PTCP è sicuramente uno degli strumenti, in mano alla Provincia, più idonei
per fornire il giusto carattere di “trasversalità” alle tematiche energetiche nel quadro della
pianificazione territoriale complessiva.
Sarà perciò necessario trovare le modalità con cui trasformare le indicazioni contenute nel
piano energetico in norme/indicazioni del PTCP.
In particolare sul lato domanda di energia il riferimento all’interno del PTCP dovrà essere
all’assetto insediativo, in particolare riguardo ai temi della mobilità, della residenza, delle
attività produttive e commerciali e dei servizi. Sul lato offerta, invece, il riferimento andrà alla
formulazione di metodi di valutazione preventiva della sostenibilità ambientale e territoriale.
Da tener presente che la regione Calabria non ha recepito la 142/90 e dunque le procedure
di formazione ed approvazione del PTCP non sono disciplinate. Ciò ha creato forti difficoltà
alla pianificazione provinciale per l’impossibilità di rendere efficaci giuridicamente le norme di
salvaguardia. La riforma Bassanini, che attribuisce la facoltà alla Province di redigere il
PTCP anche in assenza della legislazione regionale che lo normi, ha consentito di superare
la condizione di empasse, rendendo possibile la ripresa dei processi pianificatori a scala
provinciale, che devono riferirsi ora direttamente al Ministero dei Lavori Pubblici.
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Per quanto riguarda la Provincia di Catanzaro, però, non è stata ancora avviata alcuna
procedura di piano. E’ in corso una riorganizzazione della macchina amministrativa
provinciale che rende ancora incerto e non delineato il percorso di formazione del PTCP.
Negli indirizzi di piano, esposti nei capitoli a seguire, verranno sottolineate quindi, ove e per
quanto possibile, le interazioni con altri strumenti pianificatori.
In tale ambito, viste anche le tipicità della provincia di Catanzaro, si ritiene che dovrà
meritare particolare attenzione il settore turistico, soprattutto alla luce di un sempre più
marcato interesse verso le tematiche di un “turismo sostenibile”.
Turismo e ambiente sono ambiti da gestire con forme di programmazione integrata ed
intersettoriale. Se è vero, infatti, che l’ambiente costituisce una risorsa primaria per il turismo
è innegabile che questo ultimo può contribuire alla sua valorizzazione e tutela.
L’aumento dell’efficienza energetica (intesa anche come sfruttamento di fonti rinnovabili) di
strutture turistiche è in grado di favorire lo sviluppo del settore stesso. Infatti, una struttura
turistica (sia essa un albergo, un campeggio, un agriturismo) progettato in modo ottimale dal
punto di vista del rispetto dell’ambiente e del risparmio energetico, sarà in grado, negli anni,
di attrarre segmenti sempre più ampi di clienti, soprattutto alla luce di una sempre più
crescente coscienza ambientale e domanda di un “turismo verde” da parte degli utenti.
A sua volta il turismo e le attività ad esso connesse sono in grado di favorire
l’implementazione e l’affermazione di tali tecnologie, soprattutto perché rappresentano un
convincente veicolo di comunicazione e dimostrazione (strutture visibili per un gran numero
di persone). Un particolare approfondimento potrebbe riguardare, in particolare, le strutture
turistiche delle aree protette o parchi, che, proprio per le loro peculiarità ambientali,
rappresentano, e rappresenteranno sempre di più negli anni a venire, un importante polo di
attrazione.
4.1.7 La semplificazione amministrativa
E’ noto che spesso lo sviluppo di interventi nel settore energetico è stato bloccato o
rallentato da numerose barriere non di tipo tecnico ne’ economico. La complessità delle
procedure amministrative molte volte costituisce una di queste barriere. E’ quindi
indispensabile che ci si attivi verso una maggior semplificazione nei modi e nelle
competenze proprie di ogni amministrazione.
L’alleggerimento degli iter burocratici e amministrativi per la richiesta dei permessi per
l’installazione di impianti solari, la revisione dei vincoli urbanistici per permettere una
maggiore flessibilità nei confronti di alcuni interventi, sono solo alcuni tra gli esempi più
semplici in tal senso.
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4.2 Gli strumenti di gestione e verifica
4.2.1 Potenziamento delle strutture provinciali in materia di energia
Le funzioni di attuazione, gestione, controllo e verifica della pianificazione energetica
provinciale richiedono un’adeguata capacità di intervento a livello locale e, quindi, il
potenziamento delle strutture provinciali competenti in materia energetica. Ciò suggerisce la
necessità di istituire, attraverso norme provinciali, specifici organismi di assistenza e
consulenza in materia energetica quali, ad esempio, l'Agenzia Provinciale per l'Energia, cioè
di una organizzazione specifica che abbia il ruolo di coordinamento, programmazione,
promozione di tutte le molteplici azioni che caratterizzano le problematiche energetiche su
scala locale. L’Agenzia è, in sostanza, un referente tecnico ed organizzativo, che garantisce
continuità e unità di azione in continua relazione con i soggetti (privati o pubblici) che si
occupano di attuare i singoli progetti previsti dalla pianificazione energetica.
Il modello di organizzazione d’impresa al quale ci si ispira è quello della cosiddetta “impresa
rete”. L’Agenzia sarà costituta da una serie di strutture, anche decentrate sull’intero territorio,
che assumeranno la forma di sportelli di consulenza e gestione energetica. L’Agenzia, sarà
promossa dall’ente locale, cui spetteranno i compiti di indirizzo e verifica, approvando i
programmi e definendo gli standard per le azioni da intraprendere attraverso l’Agenzia
stessa. La gestione sarà invece demandata ad un insieme di soggetti privati e pubblici
(imprese, associazioni di categoria, aziende speciali pubbliche, enti di ricerca, studi privati)
che siano in grado di assicurare, attraverso contratti e convenzioni con l’ente locale, la
realizzazione delle azioni prefissate.
Nell’ambito della costituzione di una agenzia a livello provinciale, sicuramente di importanza
strategica sarà, a tale proposito, il coinvolgimento delle utilities energetiche per la definizione
degli interventi di risparmio previsti dai decreti ministeriali dell’aprile 2001, nonché quello
delle associazioni comunali, prime fra tutte le comunità montane, soprattutto nell’ambito di
azioni per la valorizzazione delle fonti rinnovabili.
Il progetto di costituzione dell’Agenzia consiste dunque nell’attivazione di una struttura
specializzata nella fornitura di servizi aventi contemporaneamente una natura istituzionale e
una di mercato. Quella istituzionale consiste nel realizzare azioni di ricerca, promozione,
formazione e informazione nel campo del risparmio energetico e uso delle fonti rinnovabili.
Tali servizi, proprio per la loro caratteristica di avere utilità sociale, non possono avere un
prezzo di mercato e quindi essere venduti con un corrispettivo.
L’Agenzia sarà anche organizzata per fornire una serie di servizi che possono essere venduti
sul mercato, in modo tale da ricavare da questi ultimi, per lo meno nel medio termine, le
entrate economiche necessarie al proprio sostentamento.
Gli ambiti di intervento dell’Agenzia saranno dunque i seguenti:
- ricerca e promozione;
- consulenza e assistenza tecnica;
- assistenza finanziaria;
- formazione e informazione;
- gestione dei servizi energetici.
Nel seguito sono descritti i settori che saranno di interesse dell’Agenzia, definendo, per
ognuno di essi, l’ambito nel quale intendono collocarsi.
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Nuova edilizia
L’Agenzia ha il compito di predisporre gli strumenti adeguati per finalizzare la realizzazione
delle nuove aree di impiego edilizio secondo criteri di razionalizzazione energetica e tutela
ambientale, in modo tale che la realizzazione di nuovi insediamenti abitativi venga progettata
con impianti più efficienti dal punto di vista energetico, con sistemi di raccolta e smaltimento
dei rifiuti adeguati, con soluzioni innovative e a basso impatto ambientale per la raccolta, il
convogliamento e la depurazione delle acque, la realizzazione degli spazi verdi. L’Agenzia
avrà funzioni di esplorare i nuovi settori tecnologici, preparare le azioni di formazione e
informazione adeguate sia per i soggetti privati sia per gli uffici comunali, predisporre
interventi di assistenza finanziaria alle imprese che vorranno realizzare progetti edilizi con i
criteri accennati precedentemente.
Edilizia esistente
Per gli edifici esistenti, sia di proprietà pubblica che privata, l’Agenzia deve promuovere gli
interventi che possono permettere una migliore gestione energetica (ad esempio risparmio
nella climatizzazione, l’installazione di impianti solari termici e fotovoltaici, la piccola
cogenerazione, piccoli impianti di riscaldamento a biomassa, sistemi di controllo dei consumi
ecc.). Le funzioni svolte in questo caso saranno relative alla informazione dell’utenza rispetto
alle diverse possibilità esistenti sul mercato, all’assistenza tecnica per realizzare l’audit
energetico degli edifici, alla consulenza sulla fattibilità, l’investimento, i tempi di rientro
dell’intervento, all’assistenza finanziaria (finanziamenti e deducibilità fiscali).
Le aree di particolare interesse, a tale proposito, sono sicuramente in ambito provinciale
quelle extra urbane. La minor compattezza del tessuto edilizio (che determina generalmente
dei consumi specifici per climatizzazione maggiori e nel contempo assicura un più favorevole
rapporto superficie/abitanti), la presenza più consistente di singoli proprietari che possono
decidere ed agire in prima persona (senza, come avviene in genere in ambito urbano, la
mediazione di un amministratore di condominio), la maggiore disponibilità in loco di
potenziali fonti rinnovabili sono elementi, infatti , che possono favorire una maggior
possibilità di realizzazione degli interventi sopra indicati.
Imprese e terziario
Le attività economiche, soprattutto di media e piccola dimensione, localizzate
prevalentemente al di fuori delle aree metropolitane, rappresentano un utente importante per
l’Agenzia provinciale, soprattutto in termini di stimolo verso scelte di investimento che
abbiano come obiettivo anche l’efficienza energetica. Interessanti a questo fine saranno le
iniziative che l’Agenzia riuscirà ad attivare per la definizione di azioni di efficienza interna alle
singole unità, nonché di interventi per la realizzazione di servizi energetici che coinvolgano
più strutture produttive. Ruoli dell’Agenzia saranno sia interventi di formazione e
informazione, sia l’assistenza tecnica e la consulenza. L’Agenzia cercherà inoltre di
ottimizzare i servizi forniti alle imprese, dando attuazione ai principi del Regolamento CEE n.
1836/93 (Ecogestione e Audit) sia in campo ambientale che energetico, sperimentando le
procedure previste anche presso settori quali la distribuzione commerciale e i servizi
pubblici, soggetti importanti sotto il profilo della razionalizzazione energetica, soprattutto nel
capoluogo, dove è concentrata la maggior parte delle attività terziarie.
Cogenerazione e teleriscaldamento
In questo settore di intervento l’Agenzia si pone come obiettivo il coordinamento delle
iniziative connesse alla realizzazione di nuovi impianti di produzione combinata di energia
elettrica e calore, in relazione soprattutto alla loro localizzazione urbanistica e alle necessità
di minimizzazione dell’impatto ambientale. Inoltre, in stretta relazione con gli uffici di
programmazione urbanistica ed edilizia e con gli uffici tecnici, coordina la diffusione degli
allacciamenti alla rete di teleriscaldamento.
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Audit energetico e ambientale
Uno dei settori prioritari per l’attivazione dell’Agenzia, sarà la creazione di competenze
tecnico professionali nel settore dell’audit, sia dei sistemi energetici che possono interessare
l’ambito cittadino (edilizia, piccole e medie imprese, terziario, edifici pubblici soprattutto dei
piccoli comuni dove le esperienze in merito e le innovazioni già presenti possono essere più
limitate), sia quello ambientale.
Nel settore dell’edilizia il sistema di audit verificherà le criticità del sistema energetico,
prevedendo gli interventi migliorativi da realizzare. Sulla base degli audit effettuati, l’Agenzia
predisporrà un pacchetto di interventi anche per le opere in via di realizzazione interrelati con
la produzione, l’avviamento e l’esercizio delle costruzioni di edilizia residenziale in grado di
indirizzare le scelte tecniche e costruttive.
Procedure simili saranno adottate anche per altri settori, compreso il campo
dell’illuminazione pubblica e della diffusione ai soggetti privati di sistemi di illuminazione a più
elevata efficienza.
L’Agenzia, attraverso terminali appositamente creati presso associazioni di categoria e
professionali, provvederà alla realizzazione degli audit e alla prestazione dell’assistenza
tecnica per quella clientela che sta già realizzando tale procedura.
Controllo degli impianti termici
L’Agenzia darà attuazione agli adempimenti previsti dalla legge 10/91 e dai DPR 412/93 e
555/99 in tema di progettazione, installazione, esercizio e manutenzione degli impianti
termici degli edifici, effettuando la gestione, attraverso verificatori adeguatamente formati e
coinvolgendo le associazioni di categoria interessate, dei controlli inerenti l’esercizio degli
impianti di riscaldamento. L’Agenzia provvederà inoltre a fornire ai tecnici di fiducia
dell’utenza un manuale operativo per la realizzazione delle operazioni di manutenzione.
Informazione
L’Agenzia avrà come suo compito prioritario quello di organizzare, attraverso gli sportelli,
l’informazione all’utenza relativamente alle opportunità offerte dal risparmio energetico e
all’uso delle fonti rinnovabili. Verranno promosse campagne informative a scadenza annuale
rivolte a tutti i cittadini, alle utenze del settore terziario e nei confronti della popolazione
scolastica. Tali campagne avranno come tema il problema generale del risparmio energetico
e i benefici di ordine ambientale ed economico ottenibili come comportamenti meno
dissipativi di energia. Inoltre le campagne annuali saranno suddivise in moduli relativi ad un
tema specifico, quale i sistemi di illuminazione privati, la scelta e l’uso degli elettrodomestici, i
sistemi di trasporto pubblico e la conversione a metano o GPL delle automobili private, il
risparmio energetico delle macchine per ufficio (stampanti, computer, fotocopiatrici, ecc..). In
questo modo gli interventi dell’Agenzia finalizzati a ri-orientare la domanda energetica e delle
risorse ambientali saranno adeguatamente supportati da un sistema di comunicazione
efficace, capillare e mirato.
In questo ambito di intervento, l’Agenzia promuoverà anche delle procedure di negoziazione
con la cittadinanza in funzione dei progetti che verranno realizzati nel settore energetico,
come ad esempio quando si tratterà di localizzare il sistema di cogenerazione, di attuare i
lavori connessi al teleriscaldamento, di modificare i sistemi di raccolta dei rifiuti oppure di
trasporto pubblico, di gestire in termini economico-finanziari l’allacciamento alle utenze per la
fornitura del calore.
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4.2.2 Formazione dei tecnici provinciali e degli enti locali
Le stesse autorità a livello locale non sempre hanno le informazioni necessarie alla
valutazione di scelte di politica energetica. Anche se molti progressi sono stati fatti, rimane
ancora molto da imparare sia per quanto riguarda la disponibilità di risorse energetiche sia
per quanto riguarda la domanda di energia, sia infine per quanto riguarda preferenze e
disponibilità degli utilizzatori.
La formazione, la creazione di competenze, l’aggiornamento e l'addestramento sono dunque
di fondamentale importanza sia per gli aspetti più tecnici e scientifici, sia anche per quelli di
valutazione, di operazione, di organizzazione.
E’ opportuno, quindi, che la struttura tecnica provinciale preposta alla gestione del piano,
unitamente a quella degli enti locali più direttamente coinvolti dalle azioni previste, venga
messa in grado di gestire e controllare l’attuazione dello stesso piano e di proporre gli
aggiornamenti e le modifiche che eventualmente si rendessero necessarie. A tal fine può
essere di notevole utilità l’organizzazione di corsi per un numero limitato di funzionari e
tecnici degli uffici preposti.
4.2.3 Verifica del conseguimento degli obiettivi e aggiornamento del
Programma energetico
Sarà necessaria una verifica periodica del conseguimento degli obiettivi del piano e
l’attivazione di una procedura di aggiornamento dello stesso che consenta di adattarlo alle
eventuali evoluzioni normative, tecniche e di mercato ad oggi non prevedibili.
Tale attività, di cui si deve fare carico la struttura di gestione del Piano, dovrà prevedere la
stesura di un rapporto periodico, costituito da due sezioni distinte: una puramente analitica e
una di proposta di intervento. La prima è finalizzata a:
ƒ monitorare ogni singolo intervento e ogni singola iniziativa intrapresi, per la definizione,
ove possibile, di una relazione riepilogativa in termini di risparmio energetico e riduzioni
di emissioni clima alteranti, in modo da valutarne l’efficacia;
ƒ monitorare i consumi e la produzione di energia sia a livello generale sul territorio
provinciale, sia in determinati comparti produttivi o settori. Si tratta in sostanza di
aggiornare il bilancio energetico e il trend delle emissioni.
ƒ presentare le maggiori novità intervenute a livello normativo/pianificatorio e tecnicoeconomico nel settore energetico.
La seconda parte, invece, dovrà essere rivolta a proporre e definire eventuali cambiamenti o
integrazioni al Piano sulla base proprio di quanto emerso dalla fase analitica.
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5 L’OFFERTA DI ENERGIA
Sul lato offerta di energia si ritiene che in Provincia di Catanzaro siano principalmente due gli
ambiti di intervento prioritari:
-
l’ulteriore diffusione del gas naturale;
un adeguato controllo e programmazione della produzione energetica locale, in
particolare quella elettrica, attraverso principalmente l’implementazione della
generazione diffusa e il contemporaneo sostegno allo sviluppo delle fonti rinnovabili
effettivamente disponibili sul territorio.
5.1 Il processo di metanizzazione
Uno degli aspetti legati all’offerta energetica di fonti fossili nel quale la Provincia potrebbe
intervenire, si riferisce al completamento del processo di metanizzazione.
Nell’ipotesi che il processo di metanizzazione investa tutti i comuni della Provincia e che
circa il 50% delle abitazioni si allaccino alla rete di distribuzione, si stima un consumo di gas
di circa 15 milioni di metri cubi.
Approfittando di questo processo, la Provincia può farsi promotrice di accordi tali da
incentivare (o prescrivere) l’adozione, per le residenze che si allacciano alla rete di
distribuzione del gas o che decidono la sostituzione di combustibili a maggior impatto, di
caldaie ad altissima efficienza.
In tale modo si può ipotizzare un risparmio di circa il 10% rispetto all’adozione di caldaie
standard, corrispondente a circa 1,5 milioni di metri cubi di gas (circa 1200 tep).
E’ evidente che l’adozione di sistemi più efficienti comporterà dei costi aggiuntivi. Per tale
motivo è indispensabile che gli accordi tengano in considerazione tutti i soggetti in qualche
modo coinvolti nelle operazioni di metanizzazione: singoli utenti, installatori, venditori,
distributori di gas, enti pubblici, ecc., in modo da ridurre e ridistribuire le spese. Soprattutto,
sono da tenere in dovuta considerazione gli accordi con i distributori di gas alla luce di
quanto previsto dal DM MICA del 24 aprile 2001 “Individuazione degli obiettivi quantitativi
nazionali di risparmio energetico e sviluppo delle fonti rinnovabili di cui all’art. 16, comma 4,
del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164”. Infatti, tale decreto prescrive, per i
distributori di gas, delle quote di risparmio energetico da ottenere annualmente mediante una
serie di azioni di aumento dell’efficienza rivolte essenzialmente all’utenza finale.
L’applicazione di tecnologie efficienti, come precedentemente accennato, rientra tra le azioni
rivolte al soddisfacimento, da parte dei distributori, delle prescrizioni ministeriali16.
Riportando a livello locale gli obiettivi nazionali al 2006 in attuazione del suddetto decreto,
che prevedono una quota di risparmio sul gas distribuito pari al 5,6%, il risparmio ottenibile
attraverso la sola applicazione del decreto stesso sui 15 milioni di metri cubi sarebbe di circa
0,8 milioni di metri cubi. E’ evidente che su azioni di questo tipo si potrebbero convogliare
anche parte delle quote di risparmio attribuibili all’intera quota distribuita. Considerando
come quota complessiva la somma tra gli attuali 57 milioni di metri cubi ed i previsti 15
milioni, il risparmio previsto al 2006 sarebbe di circa 3,8 milioni di metri cubi, ben al di sopra
di quanto ipotizzato in relazione al processo di metanizzazione.
Si ricorda inoltre, in aggiunta a quanto esposto, che anche i distributori di energia elettrica
possono soddisfare parte degli obblighi derivanti dal decreto a loro corrispondente mediante
azioni di aumento dell’efficienza termica.
Un’altra importante azione da implementare, sempre in concomitanza alla metanizzazione
dell’area ed in aggiunta all’introduzione di sistemi ad altissima efficienza, riguarda
16
Si veda a questo proposito il cap. 4..2
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l’incentivazione della tecnologia solare17. L’introduzione di sistemi combinati sole-gas per usi
termici trarrebbe vantaggio dal fatto che, comunque, dovrebbero essere realizzati dei lavori
per l’installazione del sistema a gas. Anche in questo caso il risparmio energetico di
combustibili fossili che si verrebbe a realizzare potrebbe essere contabilizzato, da parte dei
distributori, ai fini del suddetto decreto.
5.2 Sviluppo del sistema di generazione elettrica
All’interno del processo di liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica preme
sottolineare innanzi tutto il ridimensionamento del ruolo di ENEL che dovrà tendere alla
riduzione della propria quota di mercato, al di sotto del 50% dell’energia prodotta ed
importata in Italia. A questo proposito saranno cedute ad altri produttori alcune importanti
centrali per un totale di oltre 15.000 MWe.
Un secondo elemento di novità è la creazione di due mercati paralleli: il mercato vincolato
(costituito da tutti i clienti domestici e dagli altri utenti che presentano consumi inferiori a
determinate soglie prefissate e che non possono stipulare contratti di fornitura direttamente
con i produttori nazionali ed esteri), e il mercato libero, nel quale operano i clienti idonei
(quegli utenti che, avendo consumi superiori a determinate soglie, hanno la facoltà di
stipulare direttamente contratti di fornitura, non soggetti a tariffa, con produttori, distributori,
grossisti, per la copertura dei propri consumi).
Questi due elementi consentono la creazione di una vera e propria nuova imprenditoria
“energetica” da parte di diverse imprese italiane e straniere.
In questo contesto, un secondo fattore determinante è legato ai provvedimenti dell’Autorità
per l’Energia elettrica e il gas, tesi a limitare le importazioni. Tutto ciò sta stimolando la
localizzazione di nuove installazioni e l’ammodernamento ed ambientalizzazione di quelle
esistenti sul territorio italiano, aumentando il rendimento e diminuendone le emissioni
specifiche.
Il processo di liberalizzazione in atto a livello nazionale può rappresentare, dunque,
un’opportunità per il settore energetico, in termini soprattutto di aumento dell’efficienza del
parco termoelettrico, con conseguente abbassamento dei costi di produzione e
miglioramento delle prestazioni ambientali degli impianti. Esso potrebbe anche
rappresentare una occasione per colmare disequilibri e criticità oggi esistenti nella struttura
energetica nazionale, in modo da dotare ogni entità locale di infrastrutture energetiche
efficienti dal punto di vista anche ambientale e consistenti con il reale fabbisogno energetico
e le esigenze di sviluppo del tessuto produttivo locale.
Si tratta però di un processo estremamente delicato che dovrà necessariamente essere
collocato nell’ambito di un quadro di riferimento programmatico a livello nazionale, il quale a
sua volta dovrebbe tenere opportunamente in conto diversi aspetti.
Innanzitutto le reali esigenze dello sviluppo del sistema energetico orientate ad una
equilibrata distribuzione delle nuove realizzazioni considerando le specificità dei diversi
contesti territoriali, in termini di deficit produttivo, di efficienza complessiva dei sistemi
energetici, della vicinanza alle grandi direttrici di interconnessione con la rete europea ed,
infine, dei vincoli di carattere ambientale che possono essere presenti in aree già sottoposte
a consistenti carichi di emissioni di sostanze inquinanti.
Il ruolo che in questo contesto devono necessariamente assumere gli enti locali, in primo
luogo le Regioni e le Province, è un altro degli aspetti la cui rilevanza in tutta la questione è
consistente, così come gli impegni assunti a livello nazionale riguardo la riduzione delle
emissioni di gas clima alteranti per il raggiungimento dell'obiettivo di Kyoto e ribaditi a livello
locale nel “Protocollo d’intesa della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle province
Autonome per il coordinamento delle politiche finalizzate alla riduzione delle emissioni dei
gas serra”, sottoscritto a Torino nel giugno 2001.
17
Si veda a questo proposito il cap. 4, par.4.3
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Pur sottolineando l’assoluta valenza positiva delle suddette norme e delle iniziative che ad
esse deriveranno, appare chiaro, infatti, che il processo di liberalizzazione ed
ammodernamento del mercato della produzione rischia di confinare gli attori istituzionali
locali, in posizione “non determinante” nel complesso del meccanismo decisionale.
Le recenti evoluzioni normative e le azioni ad esse legittimamente seguite da parte dei
diversi soggetti imprenditoriali che propongono l’installazione di impianti, rischiano infatti di
essere “subite” dagli Enti Territoriali che, solitamente, non riescono, in conseguenza di
queste azioni “non pianificate”, a determinare lo sviluppo del proprio territorio in coerenza
con i propri indirizzi di programmazione.
Un tentativo di formalizzare dei criteri “territorialmente compatibili” è stato fatto con l’accordo
del 5 settembre 2002 nell’ambito della conferenza unificata Stato-Regioni e Stato-Città ed
Autonomie Locali, come descritto in 1.3.
L’energia elettrica utilizzata in provincia di Catanzaro è costituita attualmente da una quota
preponderante proveniente dall’esterno e da una quota di produzione “locale”, cioè derivante
da trasformazioni che avvengono all’interno del territorio. La produzione locale è assicurata
da un parco impianti prevalentemente idroelettrici. Si può stimare, con buona
approssimazione, che il deficit elettrico non sia attualmente inferiore all’80-85% dei consumi
complessivi (pari a circa 650 GWh). Ciò equivale ad una potenza oscillante tra i 100 ed i 150
MWe. Dal punto di vista della generazione elettrica, inoltre, le analisi svolte nell’ambito del
Quadro Conoscitivo, hanno evidenziato la possibilità di ottenere nel breve-medio periodo un
contributo interessante dallo sfruttamento di fonti rinnovabili, in particolare eolico,
idroelettrico, e in parte anche da biomasse. Da non trascurare, inoltre, il possibile contributo
al contenimento del deficit elettrico locale, che potrebbe derivare dalla riduzione della
domanda attraverso l’attuazione di azioni di risparmio e di aumento dell’efficienza degli usi
finali.
Con l’entrata in vigore del DLgs. 79/99, la progressiva liberalizzazione delle attività di
produzione di energia elettrica ha portato alla presentazione da parte di soggetti privati di un
gran numero di progetti di taglia superiore ai 300 MW termici, per la realizzazione di nuove
centrali termoelettriche o per il potenziamento di centrali esistenti che ammontano, nel 2001,
ad un totale di circa 100.000 MW elettrici di nuova potenza a livello nazionale, di cui circa
6.500 localizzati sul territorio della Regione Calabria. In Provincia di Catanzaro, in
particolare, sono stati presentati due progetti di centrali termoelettriche a ciclo combinato a
gas naturale di grossa taglia (800 MW): uno a Simeri Crichi e l’altro a Pianopoli. Il primo
progetto è già stato approvato, per il secondo è in corso la procedura di VIA.
L’autonomia energetica della provincia non deve essere ritenuto un obiettivo prioritario che
debba incentivare o limitare, di per sé, l’installazione di impianti.
D’altra parte, il verificarsi, sul territorio provinciale, di una significativa proposta di
realizzazione di centrali che per le loro caratteristiche rischiano di portare a forti squilibri nel
parco produttivo locale, nonché l’attuale assenza di un quadro strategico a livello nazionale,
rendono evidente l’opportunità di definire da parte della Provincia, in base alle competenze
riconosciutale a livello normativo18, linee guida e criteri di autorizzazione e valutazione in
grado di orientare l’evoluzione del settore della produzione verso uno sviluppo equilibrato in
rapporto ai fabbisogni locali e alle ipotesi di sviluppo territoriale, con un livello di efficienza
caratteristico delle migliori tecnologie ed un relativamente basso impatto ambientale. A tale
riguardo è necessario che tali criteri possano essere aggiornati periodicamente andando ad
incidere sicuramente sugli impianti che di volta in volta si vorranno installare, ma anche su
quelli già esistenti, incentivandone l’adeguamento o la sostituzione. In generale, l’obiettivo
dovrebbe puntare alla diminuzione complessiva, sia interna che esterna alla provincia,
dell’impatto ambientale.
18
vedi par. 1.3
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In estrema sintesi, la scelta della collocazione, della tipologia e della taglia dell’impianto
dovrà essere effettuata solo dopo un’attenta ricerca di soluzioni strutturali che aumentino
l’efficienza e riducano il fabbisogno energetico, introducendo forme di risparmio e l’impiego di
energia primaria a trascurabile impatto ambientale.
La scelta di installare impianti di grosse dimensioni, benché non da escludere a priori,
dovrebbe essere comunque preceduta da un'attenta valutazione delle potenzialità di una
produzione più distribuita sul territorio.
Da questo punto di vista, l’obiettivo prioritario dovrebbe essere quello di favorire, in generale,
l’evoluzione verso un sistema energetico caratterizzato da una consistente produzione
diffusa, volta ad assicurare un equilibrio tra impianti di grossa taglia ed impianti di taglie
inferiori. Questi ultimi sarebbero infatti in grado di assicurare una maggiore flessibilità del
sistema produttivo, anche di fronte alle richieste di punta ed una maggiore rispondenza agli
effettivi fabbisogni locali.
In tale contesto, le strategie più opportune risultano sicuramente:
-
il massimo ricorso possibile alla produzione in cogenerazione di piccola-media taglia
lo sfruttamento delle fonti rinnovabili disponibili localmente.
Un altro elemento qualificante potrebbe essere la stesura di una normativa d’incentivo che
stabilisca che gli operatori, intenzionati ad installare impianti funzionanti a combustibili fossili
non in cogenerazione, si impegnino anche ad installare una certa percentuale di energia
prodotta da FER, reperibile entro il territorio catanzarese. Tale produzione potrà
comprendere o essere compresa nella quota del 2% comunque richiesta agli importatori e
produttori di energia elettrica, in base al DM MICA 11 novembre 1999.
A tale riguardo si consideri che ad una centrale da 800 MW che non funziona in regime di
cogenerazione e che produce 5000 GWh si deve associare una produzione da fonti
rinnovabili pari a 100 GWh. Tale produzione può essere, ad esempio, fornita da una centrale
eolica da circa 45 MW.
E’ opportuno inoltre sottolineare il fatto che il contemporaneo sviluppo di azioni preventive di
contenimento dei consumi attraverso interventi di razionalizzazione degli usi finali potrà
assumere, in questo quadro, una grande rilevanza.
In conclusione, si possono a volte quindi risparmiare sia soldi sia energia anche se si
produce elettricità a un costo specifico maggiore e con un'efficienza leggermente minore (ma
spesso accoppiata all'utilizzo del calore cogenerato) oppure se si produce di meno perché si
aumenta l'efficienza degli usi finali.
L'introduzione di questa visione complessiva di tutta la catena di produzione e utilizzo finale
di energia va certamente nella direzione di indicare che un criterio locale di valutazione dei
costi dei servizi energetici è molto spesso più redditizio e utile anche economicamente che
non un criterio centralizzato come è stato usato nel passato.
5.2.1 Procedure autorizzative
Come già riportato al capitolo 1.3, il DLgs. 112/98 Capo 5 art. 29, comma 2g indica che lo
stato ha le funzioni di autorizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica di
potenza superiore a 300 MW termici, salvo quelli che producono energia da fonti rinnovabili
di energia e da rifiuti ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.
Da ciò deriva che alla provincia spetta il rilascio dell’autorizzazione alla installazione ed
all'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica:
- di potenza inferiore o uguale a 300 MW termici, utilizzanti fonti convenzionali e fonti
assimilate a fonti rinnovabili;
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-
di qualsiasi potenza se utilizzanti fonti rinnovabili e rifiuti ai sensi del decreto legislativo 5
febbraio 1997, n. 22 (tranne le competenze per impianti ex art. 22,31,32,33 del DLgs.
22/97.
In aggiunta a quanto sopra, la funzione trasferita alla provincia prevede anche la gestione dei
procedimenti riguardanti l’autorizzazione dei gruppi elettrogeni.
Il procedimento di autorizzazione risulta disciplinato dal DPR 11 febbraio 1998, n. 5319 che
regola i procedimenti relativi alla autorizzazione, alla costruzione ed all'esercizio di impianti di
produzione di energia elettrica che utilizzano fonti convenzionali.
Tale DPR disciplina anche l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera, ai sensi dell'Art. 17
del DPR 24 maggio 1988, n. 203.
Relativamente all’autorizzazione alle emissioni, alla procedura sono sottoposti anche gli
impianti funzionanti con fonti assimilate e quelli che utilizzano fonti rinnovabili20.
Non sono soggetti alla suddetta autorizzazione gli impianti che presentano emissioni poco
significative come definito ai sensi dell'Art. 2 del DPR 25 luglio 199121
In base all’articolo 2 del DPR 11 febbraio 1998, n. 53, la domanda di autorizzazione è unica
è comprende sia l’installazione e l’esercizio che il permesso relativo alle emissioni22.
19
DPR 11 febbraio 1998, n.53, art. 1
1. Il presente regolamento, fatta salva la disciplina conseguente all'emanazione dei decreti legislativi predisposti ai sensi
dell'Art. 1, c. 4, lettera c), della Legge 15 marzo 1997, n. 59, disciplina i seguenti procedimenti:
a)
autorizzazione alla produzione di energia elettrica da parte di imprese attraverso impianti esistenti, potenziamento di
impianti esistenti o nuovi impianti per uso proprio o per la cessione al concessionario delle attività riservate allo Stato nel
settore elettrico, di cui all'Art. 14 del DL 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla Legge 8 agosto 1992, n.
359, nonché, nel caso di imprese costituite in forma societaria, anche per uso delle società controllate, della società
controllante e delle società controllate dalla medesima società controllante, con ammissione di scambi e cessioni tra
queste ultime;
b)
autorizzazione alla produzione di energia elettrica per usi diversi da quelli di cui alla lettera a), mediante costruzione di
nuovi impianti o modifica di quelli esistenti, da parte delle imprese elettriche minori di cui all'Art. 4, n. 8, della Legge 6
dicembre 1962, n. 1643, e delle imprese elettriche degli enti locali di cui all'Art. 21, c. 1, della Legge 9 gennaio 1991, n. 9;
c)
autorizzazione all'installazione e all'esercizio di gruppi elettrogeni, a eccezione di quelli indicati al c. 3;
d)
autorizzazione alle emissioni in atmosfera ai sensi dell'Art. 17 del DPR 24 maggio 1988, n. 203, per gli impianti di cui al
presente comma.
20 DPR 11 febbraio 1998, n.53, art. 1
2. Le procedure previste dal presente regolamento per il rilascio dell'autorizzazione alle emissioni in atmosfera ai sensi dell'Art.
17 del DPR 24 maggio 1988, n. 203, si applicano anche agli impianti che utilizzano fonti rinnovabili o assimilate, nonché a tutti
gli altri impianti di energia elettrica nei limiti in cui detti impianti presentano emissioni soggette a tale autorizzazione.
21 DPR 25 luglio 1991, art. 2
1. Le attività di cui all'allegato 1 sono, ai sensi e per gi effetti dell'art. 2, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica
24 maggio 1988, n. 203, attività ad inquinamento atmosferico poco significativo ed il loro esercizio non richiede
autorizzazione.
Allegato 1 – Elenco delle attività ad inquinamento atmosferico poco significativo
− Impianti termici o caldaie inseriti in un ciclo produttivo o comunque con un consumo di combustibile annuo utilizzato per più
del 50% in un ciclo produttivo. La potenza termica di ciascuna unità deve essere inferiore a 3 MW se funzionanti a metano o
GPL, e 1 MW per il gasolio e a 0,3 MW se funzionanti ad olio combustibile, con contenuto di zolfo non superiore all'1% in
peso.
− Gruppi elettrogeni e di cogenerazione con potenza termica inferiore a 3 MW se alimentati a metano o GPL e potenza
termica inferiore a 1 MW se alimentati a benzina o gasolio.
22
DPR 11 febbraio 1998, n. 53, art. 2
1. La domanda di autorizzazione è presentata al Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato che ne trasmette
copia al concessionario delle attività riservate allo Stato nel settore elettrico, di cui all'Art. 14 del DL 11 luglio 1992, n. 333,
convertito, con modificazioni, dalla Legge 8 agosto 1992, n. 359, nonché per conoscenza all'ufficio tecnico di finanza
competente per territorio.
2. Alla domanda e' allegato il progetto dell'impianto, corredato da una relazione nella quale sono comunque indicati: il ciclo
produttivo, l'indicazione del presumibile termine per la messa a regime dell'impianto, l'utilizzo dell'energia elettrica prodotta,
le esigenze per le quali si vuol procedere alla realizzazione dell'impianto, nonché le caratteristiche di collegamento al
sistema elettrico nazionale.
3. Nel caso di gruppi elettrogeni la domanda per l'installazione e l'esercizio riporta le esigenze per le quali si vuol procedere
alla installazione e i dati circa il combustibile utilizzato, le caratteristiche del motore primo e la potenza elettrica espressa in
kW.
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Nel caso dei gruppi elettrogeni aventi emissioni poco significative, il comma 3 dell’art. 1 del
DPR 11 febbraio 1998, n. 53 afferma che alla loro installazione ed esercizio si può procedere
previa comunicazione23.
5.2.2 Criteri localizzativi
Verranno di seguito individuati ed analizzati i principali criteri sui quali condurre una specifica
indagine per verificare, nell’ambito del territorio provinciale, quali siano le aree che, meglio di
altre, si potrebbero in futuro prestare alla realizzazione di impianti di produzione di energia
attraverso l’insediamento di centrali termoelettriche.
Tali criteri si pongono ad un livello complementare e di maggior dettaglio rispetto ai criteri
generali formulati nell’accordo del 5 settembre 2002 nell’ambito della conferenza unificata
Stato-Regioni e Stato-Città ed Autonomie Locali, come descritto in 1.3.
L’individuazione dei siti da ritenersi “potenzialmente idonei” dovrà derivare da analisi
territoriali che tengano prioritariamente conto dei seguenti fattori:
1. rispondenza a specifici requisiti di tipo territoriale e ambientale;
2. necessità di garantire un elevato livello di tutela rispetto alla popolazione e alle diverse
componenti ambientali;
3. necessità di minimizzare le interferenze con altre funzioni che si svolgono sul territorio;
4. opportunità di collocarsi in presenza e/o vicinanza di infrastrutture viabilistiche e
tecnologiche (elettrodotti, gasdotti, fognature, acquedotto,..) già esistenti sul territorio al
fine di contenere sia i costi per nuove realizzazioni, che gli impatti ambientali sul territorio;
5. opportunità di individuare siti con vicinanza di utenze utilizzatrici dell’energia termica
prodotta dall’impianto, al fine di contribuire ad un positivo bilancio ambientale locale o di
siti che possano offrire opportunità di sviluppo in tal senso.
Si può comprendere come la piena rispondenza a tutte le suddette condizioni potrebbe
essere un obiettivo difficilmente raggiungibile. In generale le procedure per selezionare le
ipotesi localizzative di impianti che possono generare significativi impatti ambientali
andranno implementate per livelli di approssimazione successivi; si possono al proposito
individuare le seguenti fasi:
ƒ
ƒ
ƒ
individuazione delle aree escluse da ipotesi localizzative;
individuazione, nelle aree residuali, delle macroaree che rispondano ai “requisiti di
ottimizzazione tecnica”;
analisi delle previsioni territoriali a livello locale e verifica dello stato di fatto dei luoghi;
4. Ai fini dell'applicazione dell'Art. 17 del DPR 24 maggio 1988, n. 203, la richiesta di autorizzazione e' integrata con
indicazione delle tecnologie adottate per prevenire l'inquinamento atmosferico e corredata da una perizia giurata che attesti
la qualità e la quantità delle emissioni inquinanti in atmosfera, la medesima e' contestualmente inviata in copia anche ai
Ministeri dell'ambiente e della sanità, nonché alla regione competente per territorio che ne informa i comuni interessati.
23
DPR 11 febbraio 1998, n.53, art. 1
3. Fatto comunque salvo quanto disposto dall'Art. 22, c. 11, del DLgs 5 febbraio 1997, n. 22, resta fermo che:
a) non sono soggetti all'autorizzazione di cui sopra l'installazione e l'esercizio di gruppi elettrogeni funzionanti di continuo con
potenza nominale non superiore a 3 MW se alimentati a metano o GPL e potenza termica non superiore a 1 MW se
alimentati a benzina o gasolio, nonché' di gruppi elettrogeni per la produzione di energia elettrica che utilizzano fonti
rinnovabili e che non comportano emissioni in atmosfera;
b) l'installazione e l'esercizio di gruppi elettrogeni funzionanti di continuo, se determinanti inquinamento atmosferico poco
significativo ai sensi dell'Art. 2 del DPR 25 luglio 1991, nonché di gruppi elettrogeni per la produzione di energia elettrica di
soccorso, non sono soggetti all'autorizzazione di cui al c. 2;
c) all'installazione e all'esercizio dei gruppi elettrogeni di cui alle lettere a) e b) del presente comma, purché siano effettuati nel
rispetto delle norme di sicurezza e ambientali, può procedersi previa comunicazione può procedersi previa comunicazione
può procedersi previa comunicazione al Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, all'ufficio tecnico di finanza
competente per territorio e al concessionario delle attività riservate allo Stato nel settore elettrico, di cui all'Art. 14 del DL 11
luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla Legge 8 agosto 1992, n. 359.
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ƒ
caratterizzazione dei siti sulla base di ulteriori elementi e loro comparazione.
La prima fase ha lo scopo di individuare le aree oggetto di esclusione ai sensi di vincoli
normativi. In particolare si definiscono quei criteri generali che porteranno all’esclusione delle
aree per le quali la presenza dell’impianto sarebbe incompatibile con necessità di tutela
territoriale (es. aree protette, aree collocate al di sopra di una definita quota altimetrica,… ).
Nella seguente tabella, sono sintetizzati i principali criteri impiegabili per la selezione di aree
potenzialmente idonee.
Tali criteri, esaminati singolarmente, sono stati ritenuti “pertinenti” al caso di realizzazione di
una centrale termoelettrica di “medio/grandi” dimensioni; si tratta infatti di opere che
dovrebbero collocarsi sicuramente all’esterno di aree protette, aree sottoposte a qualsiasi
forma di tutela e ad aree per le quali siano riscontrabili particolari valenze (sia di natura
paesaggistica che di natura economica derivata da particolare valore e destinazioni d’uso in
essere dei territori); a tali criteri di esclusione andranno poi aggiunti quelli relativi alla
necessità di preservare la popolazione da disagi e potenziali effetti ambientali negativi
(rumore, molestie e disagi sia in fase realizzativa che gestionale.).
FATTORI DA CONSIDERARE NELLA DEFINIZIONE DI AREE POTENZIALMENTE IDONEE
Indicatori
Tipo di criterio
USI DEL SUOLO
aree in vincolo idrogeologico
penalizzante
CARATTERI FISICI
Altimetria
escludente per aree a quota > 1.200 m
escludente entro 200 m - 300 m da confine
litorali marini
demaniale/battigia
aree carsiche
escludente
PROTEZIONE DELLA POPOLAZIONE DA MOLESTIE
distanza da centri e nuclei abitati
escludente per distanze < 1.000 m
distanza da funzioni sensibili
escludente per distanze < 1.500 m
distanza da case sparse
escludente per distanze < 200 metri
PROTEZIONE RISORSE IDRICHE
distanza da opere di captazione di acqua ad uso
escludente entro fascia di rispetto (200 m)
potabile
permeabilità dei terreni elevata
penalizzante
aree a vulnerabilità intrinseca elevata
penalizzante
escludente per distanza < 150 m per i corsi d’acqua
distanza da corsi d’acqua e altri corpi idrici
e < 300 m per i laghi
TUTELA DA DISSESTI E CALAMITÀ
aree esondabili
aree franose e/o in dissesto e aree in erosione e
calanchi
aree sismiche
PROTEZIONE DI BENI E RISORSE NATURALI
aree in vincolo paesaggistico
aree naturali protette nazionali e/o regionali
aree con beni storici, artistici, archeologici,
paleontologici
zone di ripopolamento e cattura
altre aree da indicazioni PTC
ASPETTI URBANISTICI
aree di espansione residenziale
aree industriali
fasce di rispetto
ASPETTI STRATEGICO-FUNZIONALI
dotazione di infrastrutture
aree industriali dismesse e aree da bonificare
SETTORE TUTELA AMBIENTALE
escludente per aree con T.R. 200 anni
escludente
penalizzante per aree sismiche di I categoria
escludente o penalizzante
escludente
escludente
escludente
escludente
escludente
preferenziale
escludente per aree entro fascia di rispetto
preferenziale
preferenziale
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L’applicazione dei criteri escludenti e/o penalizzanti per cui è disponibile il dato, dovrebbe
portare all’individuazione, nelle aree residuali, delle macroaree che rispondano ai “requisiti di
ottimizzazione tecnica”. Su tali aree idonee andrà poi sviluppata un’analisi di dettaglio,
basata su una serie di criteri integrativi, specifici per il tipo di impianto in esame, che dovrà
portare ad operare un’ulteriore scelta, restringendo nuovamente il numero delle aree in cui
l’intervento sarebbe “tecnicamente possibile”.
Nello specifico andranno considerati:
1. criterio morfologico
deducibile dalla carta topografica o comunque definibile in base alla conoscenza del
territorio catanzarese; in particolare si tratta della pendenza dei versanti poiché, una
caratteristica fondamentale che un sito deve avere per poter ospitare una centrale
termoelettrica, è quella di possedere una morfologia preferibilmente pianeggiante. La
pendenza è valutabile in prima approssimazione osservando l’andamento delle isoipse
sulla carta topografica (scala 1:25.000): infatti, se l’area potenzialmente idonea si trova in
un settore collinare e/o montano tale per cui neppure il 10% del suo territorio soddisfi le
condizioni morfologiche di idoneità (ad esempio la presenza di un ampio pianoro in un
settore collinare), l’area è automaticamente da eliminare.
2. criterio territoriale
con il quale si intende la distanza dal confine provinciale e quindi la possibilità di
coinvolgere direttamente il territorio di una provincia o di una regione limitrofa nel caso in
cui si ubicasse l’impianto in prossimità del confine stesso. Si ritiene quindi utile eliminare
le macroaree che ricadono nell’ambito dei 3 Km dal confine provinciale.
3. criterio di opportunità
in tal caso si intende, come già precedentemente accennato, la possibilità di sfruttare al
meglio le infrastrutture tecnologiche esistenti (elettrodotti e metanodotto) di supporto
all’ipotetica centrale, in modo da ridurre costi e impatti.
In particolare tra le infrastrutture tecnologiche di possibile interesse per la centrale si
segnala:
− la linea elettrica a 380 kV (dorsale appenninica);
− i tratti di metanodotto da φ 20” (condizione ottimale)
− i tratti di metanodotto da φ 8” (condizione “meno ottimale” ma adattabile).
Andrà concentrata quindi l’attenzione sulle macroaree situate nell’ambito di 3-5 Km da
almeno uno degli elementi infrastrutturali ritenuti facilmente sfruttabili dall’impianto in
progetto.
In seguito all’applicazione di questi ulteriori criteri, potranno essere individuate macroaree
“tecnicamente idonee” sulle quali sarà necessario procedere ad una caratterizzazione
finalizzata preliminarmente alla verifica della sussistenza delle condizioni insediative e alla
effettiva idoneità territoriale ed ambientale anche tramite appositi sopralluoghi. Lo scopo è
quello di arrivare ad identificare all’interno delle macroaree dei siti potenziali intesi come
appezzamenti di idonea superficie che rispondano a predefiniti requisiti “progettuali”, quali:
a)
aspetti morfologici: superfici pianeggianti o assenza di pendenze significative. Andrà
quindi svolta un’analisi territoriale di dettaglio, basata essenzialmente su criteri
geomorfologici in grado di evidenziare i seguenti aspetti:
− fasce e aree scoscese di versante;
− fasce di pertinenza fluviale;
− le aree soggette ai fenomeni erosivi degli impluvi collinari e montani;
− le zone di cresta;
− le aree soggette a fenomeni calanchivi e/o le aree in evidente dissesto;
− gli orli di erosione.
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b)
c)
d)
e)
f)
Tutte le aree che sono soggette ad uno o più di questi fenomeni sono da escludersi dal
processo localizzativo. L’applicazione di questo criterio incide notevolmente nel ridurre le
aree potenziali; le esclusioni così determinatesi portano a centrare l’attenzione sulle zone
di fondovalle, più o meno ampie, dei corsi d’acqua principali;
aspetti logistici: siti in vicinanza di viabilità di accesso;
distanze sufficienti da nuclei abitati e/o abitazioni sparse;
disponibilità delle aree, presenza di aree degradate e/o dismesse da recuperare;
presenza di aree a vocazione industriale e/o artigianale in base alle destinazioni d’uso
dei PRG;
distanza dalle infrastrutture tecnologiche.
Nelle valutazioni localizzative di dettaglio, assumeranno maggior peso, oltre le citate
esigenze di ottimizzazione tecnica, le problematiche attinenti l’inserimento paesaggistico, le
destinazioni d’uso del territorio circostante e l’analisi delle potenzialità di sviluppo che
deriverebbero dall’insediamento in oggetto.
Nella considerazione dell’aspetto attinente le destinazioni d’uso del territorio vanno incluse le
valutazioni inerenti il grado di antropizzazione; tale aspetto può essere interpretato con una
duplice valenza: da un lato infatti si può pensare alla collocazione di tali impianti in contesti
già antropizzati (es. aree industriali già sviluppate), contesti nei quali ci sia di conseguenza
un certo grado di interferenza con le funzioni che già si svolgono sul territorio; dall’altro vi
può essere l’esigenza di minimizzare tali interferenze collocando tali impianti in contesti
caratterizzati sì da minor sviluppo ma da un maggior grado di “naturalità”. Si sottolinea come
tali approcci siano entrambi “ammissibili” e la propensione verso l’uno o l’altro dipenderà da
considerazioni di carattere più generale derivate dalle previsioni di sviluppo economico con
cui si vorrà connotare un certo territorio. Al di là delle considerazioni sopra citate circa la
potenziale localizzazione in entrambe le tipologie di contesti, si ritiene comunque da
privilegiare la possibilità localizzativa che “in sito” minimizzi le interferenze con le funzioni
residenziali. La presenza dell’impianto connoterebbe infatti in modo molto netto l’area
rendendola sicuramente inidonea (almeno dal punto di vista della “percezione” che ne
deriverebbe per i residenti), allo sviluppo di ulteriori funzioni abitative.
Per quanto attiene la distanza dalle reti tecnologiche, invece, andrà verificata l’effettiva
distanza dalle infrastrutture tecnologiche e prospettato quale sarebbe l’impegno
effettivamente necessario per adattare l’attuale scenario a quello futuro nel caso di
realizzazione della centrale. Sono da preferire le aree per cui le infrastrutture esistenti sono
facilmente adeguabili alle necessità tecnologiche dell’impianto in oggetto (nel caso di un
grosso impianto tali infrastrutture sono l’elettrodotto 380 kV e il metanodotto a 20”).
Per quanto riguarda ulteriori condizioni per ottimizzare l’inserimento ambientale, alla luce di
quanto precedentemente illustrato, possono essere avanzate anche le seguenti proposte:
ƒ
ƒ
ƒ
adozione dei più elevati standard qualitativi (ricorso alle “BAT” migliori tecnologie
disponibili);
emissioni acustiche improrogabilmente entro i limiti di legge al di fuori del perimetro
dell’impianto (requisito essenziale data la rumorosità intrinseca dei turbogas);
messa a punto di soluzioni architettoniche che, attraverso adeguate scelte di colori,
forme e interventi mitigativi da definire in funzione delle specificità dei luoghi, possano
consentire il miglior inserimento paesaggistico ambientale.
La realizzazione dell’impianto dovrebbe inoltre caratterizzarsi per la ricerca delle maggiori
sinergie possibili con il territorio.
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5.2.3 La cogenerazione
La valutazione della possibilità di realizzazione di centrali termoelettriche di piccola-media
taglia (100 MW o inferiori) in alternativa alla realizzazione di un’unica centrale di grandi
dimensioni è giustificato da vari elementi. Il più evidente, come già anticipato nel paragrafo
precedente, è legato alla possibilità di generare contemporaneamente ed in forma efficiente
sia energia elettrica che energia termica, cioè di realizzare impianti di cogenerazione.
Con un impianto di cogenerazione di piccola-media taglia si registra un elevato risparmio
energetico complessivo, derivante dalla miglior efficienza energetica del processo di
trasformazione che porta ad utilizzare quasi completamente il contenuto energetico del
combustibile primario utilizzato. Potendo infatti essere localizzate in punti diversi del
territorio, esse consentono maggiori possibilità di utilizzo del calore nelle immediate
vicinanze senza disperderlo nell’ambiente.
Se anche l’energia elettrica venisse consumata in prossimità dell’impianto, si ridurrebbero le
perdite dovute alla trasmissione, con conseguente miglioramento dell’Indice di Efficienza
Energetica (si veda il significato di tale parametro nella definizione di cogenerazione riportata
a fine paragrafo).
E’ evidente che l’ipotesi cogenerativa è in generale strettamente collegata alla necessità di
valutare con attenzione i siti idonei, prendendo in considerazione le aree attorno alle quali
sorgono strutture che possono assorbire il calore prodotto (strutture industriali e civili).
L’impianto di cogenerazione ha, infatti, un’efficienza maggiore nel caso in cui possa fornire
calore durante tutto l’anno, come nel caso in cui serva utenze industriali oppure utenze civili
con necessità di riscaldamento invernale e raffrescamento estivo (il calore prodotto può
essere impiegato anche per la generazione di freddo mediante opportuni impianti).
Le valutazioni di carattere quantitativo sono pertanto subordinate alla sussistenza di intese di
convenzioni di fornitura di calore che quantifichino puntualmente l’utenza servibile.
In sostanza si tratta di enucleare gruppi significativi di utenze o eventuali grosse utenze
termiche individuali (tipicamente strutture terziarie come ospedali, grandi edifici pubblici,
centri direzionali, centri commerciali, grossi complessi scolastici, ecc.) al fine di organizzarle
secondo un principio di “isole energetiche”.
In questi ambiti si tenderà ad inserire di volta in volta impianti di cogenerazione ad elevata
efficienza interna, basati sulla aggregazione razionale di diverse componenti tecnologiche,
come ad esempio:
ƒ
la cogenerazione mediante macchine di piccola e media taglia (gruppi diesel o motori a
combustione interna a metano, in assetto di cogenerazione);
ƒ
le macchine ad assorbimento per utilizzare anche in estate il calore cogenerato e
trasformarlo in acqua fredda per il servizio di condizionamento;
ƒ
pompe di calore;
ƒ
pannelli solari (in particolare per produzione di acqua calda sanitaria).
In termini reali, sul piano locale l’ubicazione ex novo di un impianto di produzione elettrica,
anche se in cogenerazione, comporta comunque un aumento di emissioni di inquinanti
rispetto alla situazione di partenza.
E’ vero che le centrali di grossa taglia dispongono di un rendimento maggiore e che, quindi,
le emissioni complessive, a parità di produzione elettrica, sono minori rispetto alla somma
delle emissioni provenienti da più centrali di taglia inferiore.
D’altra parte, qualora la produzione di elettricità avvenisse per mezzo di un’unica centrale di
grossa taglia, anziché di centrali di taglia ridotta, l’aumento di emissioni sarebbe concentrato
su un’unica area. Da questo punto di vista, quindi, può essere difficile propendere per una o
l’altra modalità di produzione energetica.
Qualora, però, si considerassero impianti funzionanti in cogenerazione, ipotesi molto più
realistica per impianti medio – piccoli piuttosto che per impianti di grossa taglia, il vantaggio
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della produzione distribuita sarebbe evidente. Questa tipologia di produzione andrebbe infatti
ad eliminare i singoli impianti di riscaldamento condominiali la cui efficienza energetica risulta
essere sicuramente più bassa rispetto ad un unico punto di produzione ben controllato e
monitorato. Ovviamente sarà comunque necessario considerare, anche in questo caso, tutte
le modalità per ridurne gli impatti, come i sistemi di abbattimento e l’altezza della ciminiera.
Questa tipologia di impianti può dunque effettivamente fornire il contributo più consistente in
termini di ottimizzazione energetica e riduzione degli impatti ambientali. Una ferma richiesta
di cogenerazione di media-piccola taglia per le proposte di nuovi impianti porterebbe infatti,
da un lato, ad una forte selezione delle proposte e, dall’altro, a vantaggi in termini di
emissioni evitate quantitativamente molto significativi. Potendo ottimizzare l’utilizzo del calore
sulla base degli effettivi fabbisogni offerti dal territorio, una politica di questo tipo risulterebbe
inoltre particolarmente adeguata alle peculiarità del sistema energetico provinciale
caratterizzato da non rilevanti consumi termici e da una elevata parcellizzazione dell’utenza.
Per quanto riguarda la micro-cogenerazione, le prospettive di sviluppo in alcuni settori sono
ancora molto limitate dalla struttura del mercato dell’energia elettrica. Questo soprattutto nel
settore residenziale, dove l’energia elettrica dovrebbe essere venduta a tutti gli utenti del
condominio. In base al Decreto Bersani sulla liberalizzazione del mercato elettrico nei
prossimi anni non sarà ancora possibile vendere energia elettrica direttamente a utenze
domestiche. Il potenziale della micro-cogenerazione nel settore domestico potrà quindi
essere realizzato soltanto dopo la piena apertura del mercato elettrico in Italia, che è
comunque probabile avvenire entro il 2010. Il problema ovviamente non sussiste nel caso di
utenze più consistenti, come quelle relative alle grosse strutture del terziario, dove il
proprietario degli impianti di micro-cogenerazione figura anche come unico utente
dell’energia elettrica autoprodotta.
Inoltre si rendono necessari nuovi strumenti di garanzia finanziaria e di incentivi, che
consentano di fronteggiare l’elevato costo di investimento iniziale ed i tempi di medio termine
di ritorno dello stesso.
In tale contesto generale, sarà necessaria la promozione di accordi volontari locali, per la
realizzazione dei singoli progetti, tra gli enti locali, i soggetti finanziatori e le aziende titolari
dei progetti.
Nel nuovo mercato, tra le varie soluzioni finanziarie, il “contracting” sembra la migliore
opportunità per i grandi operatori (ESCO, produttori, utility, ecc.), dal momento che si
fornisce un servizio completo all’utente finale e l’azienda è incaricata dell’installazione,
manutenzione, nuovi contratti di fornitura, ecc.
Le aziende di distribuzione del gas dovrebbero diventare i promotori principali di questi
interventi, potendo in questo modo aumentare le vendite di gas ampliando, nello stesso
tempo, le proprie attività con un nuovo servizio di fornitura di calore ed elettricità, un servizio
che consente un legame più stretto e durevole tra l’azienda e i suoi utenti finali. Ciò può
contribuire anche a diffondere l’immagine di una azienda moderna, innovativa ed impegnata
per la riduzione dell’impatto ambientale. Un’immagine positiva dell’azienda è un fattore
fondamentale per la sopravvivenza in un mercato del gas liberalizzato.
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In questo quadro generale, la Provincia dovrà quindi attivarsi per l’implementazione di un
mercato della cogenerazione di piccola scala su due fronti:
ƒ tavoli di concertazione tra gli Enti Locali a diversi livelli, i distributori di energia (SNAM,
ENEL, ITALGAS, ITALGESTIONI, ENERCAT, ecc), i produttori e le categorie di utenza,
al fine di promuovere accordi volontari locali, che attivino schemi di implementazione
della tecnologia a piccola scala, come previsto dal decreto Ministeriale 04/2001per il
risparmio energetico;
ƒ accordi programmatici tra le aziende distributrici di gas e l’ente locale stesso per la
promozione di impianti di cogenerazione a piccola scala presso il patrimonio di proprietà
pubblica.
Appendice: condizioni per il riconoscimento della produzione combinata di energia
elettrica e calore come cogenerazione
L’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas ha stabilito quali sono i requisiti minimi affinché un
impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore possa effettivamente essere
riconosciuto come un impianto di cogenerazione. I parametri sui quali si basano tali limiti
sono l’Indice di Risparmio di Energia - IRE – che rappresenta il rapporto tra il risparmio di
energia primaria conseguito dall’impianto di cogenerazione rispetto alla produzione separata
delle stesse quantità di energia elettrica e termica e l’energia primaria richiesta dalla
produzione separata e il Limite Termico – LT – che è il rapporto tra l’energia termica utile
annualmente prodotta e l’effetto utile complessivo generato su base annua dalla sezione di
produzione combinata di energia elettrica e calore. La relazione che identifica l’IRE è la
seguente:
IRE = 1 −
dove:
-
Ec
Et cv
Et
Ee
+
+ ind
η es • p η ts ,civ η ts ,ind
Ec è l’energia primaria del combustibile
Ee è l’energia elettrica netta prodotta
Etciv è l’energia termica utile per scopi civili
Etind è l’energia termica utile per usi industriali
ηes è il rendimento elettrico netto medio annuo di un impianto destinato alla sola
produzione di energia elettrica
ηts è il rendimento termico netto medio annuo di un impianto destinato alla sola
produzione di energia termica (per usi civili e industriali)
p è un coefficiente che rappresenta le minori perdite di trasporto e di trasformazione
di energia che gli impianti cogenerativi comportano quando autoconsumano
l’energia elettrica autoprodotta, evitando le perdite associate al trasporto di energia.
Il parametro p risulta essere molto importante, nel presente ambito, poiché oltre ad essere
legato alle perdite per trasformazione, è legato anche alla perdite per trasmissione. Quindi
minori sono le perdite per trasmissione, maggiore risulta essere l’Indice di Risparmio
Energetico. Se è quindi possibile identificare utenze prossime all’impianto in grado di
assorbire parte dell’energia elettrica prodotta, si limiterebbero le perdite per trasmissione (a
causa della breve distanza tra punto di produzione e punto di utilizzo) e si ridurrebbe il valore
del parametro p ottenendo quindi un IRE più alto.
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Ai fini del riconoscimento della produzione combinata di energia elettrica e calore come
cogenerazione, l'IRE non deve essere inferiore ad un IREmin che fino al 31 dicembre 2005 è
stabilito dai seguenti valori:
IRE min
0,05 (5%)
0,08 (8%)
0,10 (10%)
Tipo di impianto
Per gli impianti esistenti
Per i rifacimenti di impianti esistenti
Per gli impianti di nuova realizzazione
La relazione che identifica il Limite Termico è riportata di seguito:
LT =
dove:
-
Et
Ee + Et
Et è l’effetto utile complessivamente generato su base annua dalla sezione di
produzione combinata
Ee è l’energia elettrica netta prodotta su base annua.
Ai fini del riconoscimento della produzione combinata di energia elettrica e calore come
cogenerazione, LT non deve essere inferiore ad un LTmin che fino al 31 dicembre 2005 è
stabilito pari a 0,15 (15%).
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5.3 Le fonti rinnovabili
Lo sfruttamento di fonti rinnovabili risulta un mezzo efficace per far fronte a più necessità di
tipo strategico ed ambientale:
- conservazione di fonti non rinnovabili
- riduzione di emissioni di anidride carbonica
- diversificazione dell’approvvigionamento energetico
Per tali motivi, si sta assistendo, negli ultimi anni alla definizione di normative e linee
programmatiche atte a sostenerne lo sviluppo e l’implementazione in termini di produzione
energetica, sia a livello internazionale che nazionale. A tal proposito ricordiamo in
particolare:
Per quanto attiene lo sviluppo delle fonti rinnovabili, nel documento guida “Energia per il
futuro: le fonti energetiche rinnovabili - Libro Bianco per una strategia e un piano d’azione
della Comunità”24 la Commissione propone un obiettivo indicativo globale del 12% per il
contributo delle fonti energetiche rinnovabili al consumo interno lordo di energia dell’Unione
Europea nel 2010 equivalenti a 182 Mtep su un totale previsto 1.583 Mtep (pre - Kyoto);
attualmente la quota relativa alle fonti rinnovabili è inferiore al 6% equivalente a 74,3 Mtep su
un consumo interno lordo di 1.366 Mtep. In termini assoluti significherebbe arrivare
moltiplicare per 2,5 l’attuale produzione da FER.
La recente delibera del parlamento Europeo (n. 77, settembre 2001)25, riguardante la
promozione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili, pone come obiettivo globale una quota
indicativa del 22,1% di elettricità prodotta da fonti non fossili sul consumo totale della
Comunità entro il 2010 (contro l’attuale 14%). Per quanto riguarda l’Italia, in particolare, la
direttiva prevede un incremento al 25%, contro l’attuale 16%.
A livello Nazionale, nell’ambito della Conferenza Nazionale per l’Energia e l’Ambiente (24-28
novembre 1998) è stato discusso ed approvato il Libro Bianco per la valorizzazione delle
fonti rinnovabili,26 successivamente divenuto strumento di programmazione nazionale con
provvedimento CIPE del 6 agosto 1999. Il libro Bianco adempie ad una specifica
disposizione della suddetta delibera: stabilisce, per ciascuna fonte rinnovabile, gli obiettivi
che devono essere conseguiti per ottenere le riduzioni di emissioni di gas di serra che la
suddetta delibera CIPE attribuisce alle fonti rinnovabili, indicando anche le strategie e gli
strumenti necessari allo scopo.
Una parte degli incrementi attesi a livello nazionale, potrà derivare soprattutto dagli obblighi
definiti dal Decreto Legislativo 16 Marzo 1999 n. 79 (decreto “Bersani”) e dall’attuazione
delle iniziative previste nei recenti decreti ministeriali del 24 aprile 200127.
Ricordiamo, in particolare, che il Decreto Bersani impone , a decorrere dal 2002, a tutti i
produttori e gli importatori di elettricità di provvedere ad immettere in rete un quantitativo di
elettricità da fonti rinnovabili pari al 2% dell’energia prodotta o importata nell’anno
precedente tramite fonti convenzionali, al netto della cogenerazione.
All’interno di tale quadro programmatico e normativo, tra le strategie individuate per lo
sviluppo delle fonti rinnovabili va sicuramente sottolineato il ruolo essenziale delle Regioni e
degli Enti Locali. E’ evidente, infatti, come la garanzia per un loro concreto sviluppo “sia
fortemente condizionata dai rapporti con le condizioni territoriali, ambientali e sociali con cui
si va a impattare”.
24
Cap. 1, par. 1.2.1
Cap. 1, par. 1.2.1
26
Cap. 1, par. 1.2.2
27
Cap. 1, par. 1.2.3
25
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L’uso delle fonti rinnovabili è, quasi per definizione, molto legato alla gestione del territorio e
può spesso confliggere con diversi fattori (usi alternativi, impatto paesistico, vincoli
urbanistici, ecc.) che devono comunque essere presi in considerazione ogni qual volta si
trasferiscono le politiche e le strategie in azioni concrete quali sono le localizzazioni e la
realizzazione degli interventi.
Il Piano intende orientarsi, pertanto, alla definizione, sulla base delle conclusioni del Quadro
Conoscitivo, di criteri che tengano in considerazione in forma integrata il loro impatto sul
territorio e l’ambiente in generale, rifacendosi essenzialmente al concetto di “valutazione di
impatto ambientale” oltre che a considerazioni più propriamente energetiche. Si tratta, in
estrema sintesi, di definire dei criteri che valutino attentamente il bilancio costi/benefici
ambientali.
A questo proposito, si ritiene che vi siano due elementi da considerare in particolare con
attenzione:
ƒ
alcune risorse rinnovabili (ad esempio acqua e biomasse) possono essere utilizzate
anche per altri scopi e possono essere soggette anche ad altri strumenti di pianificazione.
E’ quindi necessario un coordinamento tra i vari piani cercando di trovare una
compatibilità tra i diversi usi possibili. Ad esempio, un piano di recupero del territorio che
si appoggi sull’incremento delle superfici boschive deve inserire, tra i suoi obiettivi, anche
la possibilità di impiego delle biomasse a fini energetici.
ƒ
È necessario che le installazioni rispettino le condizioni di compatibilità
paesistico/ambientale prescritte dalle disposizioni vigenti. Tali condizioni di compatibilità,
però, vanno viste in un contesto non esclusivamente localistico, nel senso che si deve
dare molta importanza agli impatti che tali fonti (gli impianti che le utilizzano)
contribuiscono ad evitare. Anche in questo caso è necessario, come accennato in un
punto precedente, che si assuma un approccio globale. Un caso tipico può riguardare un
parco eolico, dove l’unico vero impatto viene considerato essere quello visivo. Al di là
della oggettiva soggettività di tale tipo di impatto (come dimostrato da diverse ricerche a
riguardo), è necessario che questo venga valutato in un contesto generale pensando, ad
esempio, agli impatti che impianti di questo genere possono contribuire a ridurre (impatti
ben più quantificabili come quello relativo alle emissioni piuttosto che allo sfruttamento
delle risorse non rinnovabili).
In tale contesto, il PTCP potrà sicuramente risultare uno degli strumenti più efficaci a
disposizione della provincia per l’orientamento della gestione e l’implementazione di tali fonti
sul proprio territorio.
A supporto di tali prerogative vale la pena ricordare due accordi definiti dal Ministero
dell’Ambiente, entrambi volti alla promozione dell’inserimento delle fonti rinnovabili in aree
protette o a vincolo, e quindi all’assegnazione alle stesse di una forte connotazione di
sostenibilità:
• protocollo di intesa (7 giugno 2000) con il Ministero Beni e le Attività Culturali volto
a favorire la diffusione delle fonti rinnovabili, ivi compresa la progettazione bioclimatica,
con criteri idonei a salvaguardare beni storici, artistici, architettonici, paesaggistici ed
ambientali.
Nell’ambito di tale accordo,
Il Ministero dell’ambiente, avvalendosi anche della collaborazione tecnica dell’ENEA,
si impegna a fornire alle strutture del Ministero per i Beni e le Attività Culturali
elementi relativi alle caratteristiche tecniche, formali e progettuali degli impianti a fonti
rinnovabili, atti a consentire una più compiuta valutazione, per quanto di competenza
del suddetto Ministero, dei progetti che prevedono lo sfruttamento delle fonti
rinnovabili
entrambi i ministeri, ciascuno nell’ambito delle rispettive competenze, si impegnano a
definire criteri, indirizzi e normative per la valutazione dell’inserimento ambientale e
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paesaggistico delle fonti rinnovabili, e per la valutazione delle congruità tra le nuove
tecnologie e le tecniche ed i materiali tradizionali delle strutture edilizie storiche, da
rendere disponibili agli operatori del settore.
I due Ministeri si impegnano congiuntamente - consultate le regioni, gli Enti parco
Nazionali e gli Enti Locali per quanto riguarda la programmazione degli interventi, con
particolare riferimento alla loro localizzazione, e avvalendosi per gli aspetti tecnici
della collaborazione dell’ENEA e degli Istituti Universitari e di ricerca del settore – a
predisporre linee guida per il corretto inserimento delle fonti rinnovabili nelle strutture
edilizie storiche e moderne, nell’ambiente e nel paesaggio e per la progettazione
urbana bioclimatica da parte di architetti, urbanisti e altri specialisti nonché per il
rispetto del patrimonio naturalistico presente sul territorio.
Entrambi i Ministeri, ciascuno per le proprie competenze e anche con la
collaborazione delle Federazioni italiane dei parchi e Riserve naturali, si impegnano a
promuovere un programma di studio e ricerca che coinvolga gli operatori delle
tecnologie di sfruttamento delle fonti rinnovabili, in particolare del solare e dell’eolico
e gli operatori della progettazione e realizzazione delle tecnologie per l’edilizia, per
adottare criteri di progettazione bioclimatica dell’architettura e per individuare
soluzioni tecnologiche che, sin dalla fase di progettazione, perseguano l’inserimento
funzionale ed estetico egli impianti nelle strutture edilizie storiche e moderne,
nell’ambiente e nel paesaggio. Al medesimo scopo si attiveranno presso il Ministero
dell’Industria, del Commercio e Artigianato per promuovere la costituzione di un
sistema di qualificazione e certificazione dei prodotti e degli impianti a fonti
rinnovabili, che comprenda gli aspetti relativi all’inserimento funzionale ed estetico dei
medesimi impianti nelle strutture edilizie storiche e moderne, nell’ambiente e nel
paesaggio.
I due ministeri promuoveranno d’intesa con il Ministero dei Lavori Pubblici e con il
coinvolgimento delle regioni, degli Enti parco nazionali e degli Enti Locali, un
programma di studio e ricerca per individuare e realizzare – negli interventi sugli
edifici pubblici finalizzati al decreto legislativo 19/09/94, n. 626, del decreto del
presidente della repubblica 26/08/93, n. 412 e di altre disposizioni di analoga natura –
ulteriori interventi che perseguano l’inserimento delle fonti rinnovabili nei medesimi
edifici, compatibilmente con le esigenze di salvaguardia delle specificità storiche,
artistiche ed architettoniche degli edifici, nonché di fattibilità tecnica ed economica.
Nel settore del recupero edilizio dei centri storici si impegnano altresì all’applicazione
prioritaria di criteri di progettazione bioclimatica ed ecosistemica passiva.
I due Ministeri si impegnano a definire ed avviare, d’intesa con il Ministero della
Pubblica istruzione, un progetto di informazione e formazione su scala nazionale,
rivolto soprattutto alle scuole e agli amministratori locali, finalizzato alla diffusione di
una consapevole cultura dell’energia, dell’ambiente e della tutela del patrimonio
culturale e naturalistico, che costruisca un patrimonio di valori e criteri condivisi sulle
interazioni tra energia, sistemi ecologico/ambientali e beni culturali e paesaggistici.
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•
accordo stipulato nel Febbraio 2001 con ENEL, Federparchi, Legambiente
riguardante “Le Aree protette italiane laboratori privilegiati per lo sviluppo e la ricerca di
fonti energetiche rinnovabili”.
Una grande opportunità per i parchi e le aree protette del nostro paese. Non solo spazi
dove conservare uno straordinario patrimonio naturale, dove valorizzare il territorio, le
tradizioni e la cultura del nostro paese, ma anche luoghi dove avviare la promozione di
nuove produzioni amiche dell’ambiente. Le aree protette possono quindi diventare
laboratori privilegiati dove impiantare, sperimentare e sviluppare l’uso di energie
rinnovabili, dove procedere ad interventi di riqualificazione del territorio e di risanamento
e di riduzione degli impatti ambientali, soprattutto sui corsi d'acqua.
Una nuova sfida importante, dunque, per una realtà del nostro paese che già
rappresenta un esempio unico nel panorama internazionale. Non c’è paese al mondo,
infatti, dove si sia assistito in un periodo tanto breve, ad un impulso così significativo
nell'istituzione di parchi e aree protette: in soli sette anni il territorio nazionale posto sotto
tutela è passato dal 3% al 10% e oggi l’Italia può contare su 20 parchi nazionali, 156
riserve naturali statali, 89 parchi naturali regionali, 197 riserve naturali regionali e 106
altre aree protette, per un totale 2.600.000 ettari. Tutto questo territorio acquista un
valore in più, quello di fungere da trampolino di lancio per politiche sostenibili del nostro
paese.
Accordi come quello appena descritto possono essere opportunamente ripresi tra la
Provincia e gli Enti locali gestori di parchi e/o aree protette. Tali accordi possono trovare il
loro ambito di formulazione all’interno di programmi di partecipazione come delineato in
2.1.5.
5.3.1 La fonte idroelettrica
Per quanto riguarda tale fonte, si dovranno agevolare, sul piano autorizzativo e finanziario,
prima di tutto gli interventi di ammodernamento e potenziamento di impianti esistenti gestiti a
livello locale.
L’aspetto del potenziamento e di recupero degli impianti esistenti è di fondamentale
importanza per il settore idroelettrico: molte centrali in funzione hanno una lunga vita alle
spalle e potrebbero incrementare la propria efficienza con un intervento di ristrutturazione. E’
quindi importante spingere la ristrutturazione prima ancora che incentivare nuove
realizzazioni, come d’altra parte previsto dallo stesso DLgs 79/99, articolo 12 comma 1, per
quanto riguarda le grandi derivazioni d’acqua per uso idroelettrico: “Almeno cinque anni
prima della scadenza di una concessione di grande derivazione d’acqua per uso
idroelettrico, ogni soggetto, purché in possesso di adeguati requisiti organizzativi e finanziari,
può chiedere il rilascio della medesima concessione a condizione che presenti un
programma di aumento dell’energia prodotta o della potenza installata, nonché un
programma di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza.”
La stessa legge 10/91, all’articolo 14, afferma:
“...possono essere concessi contributi in conto capitale per iniziative:
di riattivazione di impianti idroelettrici che utilizzino concessioni rinunciate o il cui esercizio
sia stato dismesso prima della data di entrata in vigore della presente legge;
di costruzione di nuovi impianti nonché di potenziamento di impianti esistenti, che utilizzino
concessioni di derivazioni di acqua.”
Le competenze riguardanti il suddetto articolo sono delineate nel capitolo 1.3.
La ristrutturazione dei vecchi impianti dovrebbe in qualche modo accelerare lo sviluppo dello
sfruttamento idrico a fini energetici, considerando anche la barriera molto forte alla
realizzazione dei nuovi impianti determinata dalle procedure amministrative, sia per la
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concessione di derivazione, sia per la costruzione dell’impianto. E’ comunque evidente la
necessità della semplificazione di tali procedure.
Per quanto attiene invece i nuovi interventi di sfruttamento della risorsa, in Provincia il
potenziale idroelettrico teorico complessivo ammonterebbe a circa 6.340 kW per una
producibilità media annua di 25 GWh, pari a circa il 3,2% del fabbisogno complessivo di
energia elettrica in Provincia al 2000.
Va sottolineato però il fatto che tali dati si riferiscono a studi piuttosto datati e vanno quindi
presi con le dovute cautele, soprattutto perché, nel corso degli anni, l’assetto idrogeologico
della Provincia può aver subito variazioni considerevoli.
I criteri di scelta dei siti28 si intersecano, chiaramente, con la scelta degli impianti che in essi
si vogliono installare. Impianti diversi, sia in termini di potenza che in termini di caratteristiche
progettuali, includendo opportuni accorgimenti volti alla riduzione degli impatti, comportano
ripercussioni diverse sull’ambiente naturale.
E’ evidente che tali impianti dovranno tener conto delle necessità di tutela del patrimonio
ambientale. Infatti, per quanto riguarda le concessioni di derivazioni idriche, queste hanno
seguito in passato considerazioni prevalentemente di carattere economico, senza
considerare le esigenze di tutela degli ecosistemi acquatici e dell’ambiente circostante. In
molti casi le concessioni permettono la derivazione di portate superiori a quelle naturali,
spesso già ridotte per derivazioni poste a monte del punto di captazione. Ciò è stato il
risultato di una serie di limiti strutturali dovuti essenzialmente alla mancanza di conoscenze e
dati dettagliati relativi ai caratteri idroclimatici e naturali dei bacini idrici e di riferimenti di
pianificazione. Conseguenza di questo è che la progettazione dei sistemi idroelettrici spesso
non ha considerato né le esigenze di tutela degli ecosistemi fluviali, né l’impatto ambientale
sul territorio circostante. Si sono pertanto accumulati nel tempo numerosi impianti, ciascuno
in grado di produrre impatti rilevanti anche se per brevi tratti. In particolare, l’uso delle risorse
idriche per fini energetici può confliggere con usi alternativi, che devono comunque essere
presi in considerazione per garantire la sostenibilità complessiva dell’intero sistema idrico.
Per quanto riguarda la costruzione di nuove centrali, andrà quindi svolta una selezione
preventiva degli impianti in base alla compatibilità ambientale con l’intento di evidenziare
possibili varianti di progetto che mitighino ulteriormente gli effetti delle opere sul territorio.
La selezione degli impianti fattibili deve tenere in considerazione in particolare le aree a
parco e le aree ad alto pregio ambientale.
In generale si può dire che impianti localizzati in aree molto sensibili dal punto di vista
ambientale, come l’alta montagna, sono più soggetti a produrre impatti negativi rispetto ad
impianti nel fondovalle. Inoltre, gli impianti d’alta quota utilizzano il dislivello naturale dei
torrenti montani e l’acqua in uscita dall’impianto viene restituita talvolta molto a valle dal
punto di captazione e pertanto interi tratti di torrente sono privati di notevoli volumi d’acqua e
snaturati quando l’impianto è in esercizio.
E’ necessario considerare gli impatti derivanti sia dalla fase di costruzione, che dalla fase di
esercizio dell’impianto.
Nella fase realizzativa è importante distinguere tra le tipologie di impianto, poiché questi
producono impatti molto diversi tra loro sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.
Infatti non vengono generati nuovi impatti negativi specifici a seguito dell’aggiunta di una
centrale idroelettrica al piede di una diga già presente per altri scopi o della costruzione di un
impianto integrato in un canale irriguo o in un sistema di approvvigionamento idropotabile in
pressione.
E’ molto diversa la situazione, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, nel caso di
realizzazione di un impianto ad acqua fluente che presenta aspetti particolari da considerare:
rumore ed alterazione dell’ecosistema faunistico, pericolo di erosione dovuto alla rimozione
della vegetazione conseguente agli scavi con relativo intorbidamento delle acque e la
28
Si veda, in proposito, quanto riportato, nel Quadro Conoscitivo
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deposizione a valle dei sedimenti, emissioni negative per la qualità dell’aria, necessità di
costruzione di infrastrutture e impianti di betonaggio dedicati, inserimento della presenza
umana in zone solitamente non abitate. In generale, si tratta però di impatti transitori che non
dovrebbero costituire ostacoli insormontabili durante le procedure di autorizzazione.
Per quanto riguarda gli impatti in fase d’esercizio la situazione è decisamente più complessa.
Tra i principali impatti da considerare in vista della scelta della combinazione sito/impianto vi
sono: impatti dovuti al rumore di esercizio, impatti sul paesaggio e impatti biologici.
Il livello ammissibile di rumore, che proviene principalmente dalle turbine e dagli eventuali
moltiplicatori, dipende dalla presenza di centri abitati o di case isolate nelle vicinanze della
centrale o, comunque, dalla presenza di aree sensibili.
Per quanto riguarda gli impatti sul paesaggio, ogni elemento che compone un impianto può
determinare un cambiamento dell’impatto visuale di un luogo, provocando un disturbo che
può essere minimizzato mediante mascheramento con vegetazione ed un’adeguata
integrazione con la forma del territorio. La condotta forzata, ad esempio, è solitamente la
prima causa di disturbo ed il suo tracciato deve essere studiato con attenzione utilizzando
ogni elemento naturale (roccia, terreno, vegetazione) per celarla il più possibile alla visuale.
Riguardo all’impatto biologico è necessario dare istruzioni tecniche per la determinazione del
deflusso minimo vitale in un corso d’acqua naturale. L’obiettivo è di mantenere vitali le
condizioni istantanee di funzionalità e di qualità dell’ecosistema fluviale, in senso globale. Il
DMV deve rispondere, oltre che a criteri di qualità ambientale, a obiettivi di salvaguardia del
bilancio idrico a livello provinciale, di tutela delle utenze minori, di mantenimento delle
capacità di autodepurazione dei corsi d’acqua e di preservazione di una base minima di
risorse idriche per necessità future.
Un altro aspetto da considerare in merito agli impatti biologici è l’opposizione alla naturale
risalita della corrente da parte di alcune specie ittiche. Una soluzione spesso adottata è
quella di prevedere passaggi per i pesci, come scale o pompe; non esistendo un’unica
soluzione progettuale è necessaria una conoscenza approfondita del sito specifico.
Evidentemente i fattori di impatto “negativo” precedentemente delineati devono essere messi
in relazione agli elementi di impatto “positivo” che un impianto idroelettrico può apportare
(impatto “positivo” da intendersi da un punto di vista ambientale, non solo economico).
Il primo impatto positivo è sicuramente associato alla potenziale sostituzione di energia
elettrica prodotta da fonti fossili. Da questo punto di vista un confronto tra impatti positivi e
negativi sarà determinato dalla quantità di energia elettrica prodotta e, quindi, sostituibile,
con la possibilità che tale confronto risulti negativo qualora la produzione sia inferiore ad un
certo livello specifico di ogni combinazione sito/impianto. In tal caso può essere opportuno
non dover concedere l’autorizzazione.
Altro elemento da considerare nella scelta sito/impianto risulta essere il possibile beneficio
che la costruzione dell’impianto può apportare a livello di recupero ambientale di particolari
zone, ad esempio mediante la realizzazione di adeguate coperture vegetali che possono
incrementare la qualità delle rive.
I criteri di scelta sito/impianto si devono basare su presupposti diversi nei casi seguenti:
- impianti destinati a soddisfare specifiche esigenze locali. L’autorizzazione alla realizzazione
degli stessi andrà effettuata considerando attentamente le motivazioni che inducono alla
costruzione, che non possono essere ricondotte alla semplice produzione per la vendita
agli enti produttori. In tal caso, fatta salva la necessità di mitigare per quanto possibile gli
impatti negativi, può non essere opportuno porre dei limiti al livello di producibilità
dell’impianto;
- impianti di produzione da inserire in acquedotti potabili e irrigui. Evidentemente tale scelta
privilegia il fatto che le opere relative alla captazione risultano già realizzate.
L’inserimento di una centrale idroelettrica di recupero nella rete idrica deve essere realizzato
nel rispetto della sicurezza di esercizio del servizio primario (la cui continuità deve essere
assicurata) ed al tempo stesso assicurando una corretta gestione dei transitori che possono
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seguire a condizioni di disservizio interno della centrale elettrica o della rete cui la stessa è
connessa. Il disegno della centrale idroelettrica di recupero deve pertanto rispondere a due
requisiti fondamentali: 1) non deve interferire nella erogazione idraulica alle utenze del
servizio primario in nessuna delle possibili condizioni di esercizio della macchina; 2) nei
transitori della macchina non devono prodursi perturbazioni di pressione o di livello dannose
per la rete idrica.
In linea generale, gli stessi criteri che determinano la fattibilità di sfruttamento di nuovi siti
possono essere impiegati anche per il recupero di impianti dismessi. In tal caso la priorità di
intervento deriva dal fatto che la presenza di opere non utilizzate può determinare solo
impatti negativi, senza neppure apportare i benefici derivanti da una produzione rinnovabile.
E’ comunque da valutare con attenzione la possibilità che nel corso degli anni l’assetto
idrogeologico del sito possa essere mutato. Particolare attenzione dovrà inoltre essere posta
alle possibilità di ripotenziamento degli impianti, sempre nell’ottica di creare il miglior
rapporto tra impatti positivi e negativi.
Per la determinazione dei siti potenzialmente idonei ad uno sfruttamento idroelettrico,
chiaramente da mettere in relazione al tipo di impianto in essi installabile, di fondamentale
importanza sono il PAI (Piano di Assetto Idrogeologico regionale) e la redazione e l’adozione
di piani di gestione delle risorse idriche, articolati a livello di bacino. Con indicazioni sulle
acque sfruttabili o che richiedono tutela, essi consentono di gestire le risorse idriche da un
punto di vista di sostenibilità economica ed ambientale. Tale strumento risulta essenziale per
poter definire i criteri e le linee guida con cui consentire lo sviluppo dell’idroelettrico. Uno
degli obiettivi di primario interesse nei piani è infatti il confronto tra le diverse variabili
ambientali esistenti, nell’intento di definire modelli di pratica utilizzazione correlando i diversi
parametri (morfometrici, idrologici, biologici, fisico/chimici) presi in esame.
I piani di gestione delle risorse idriche costituiscono il riferimento fondamentale per la tutela
delle acque correnti superficiali naturali, per qualunque ipotesi di ulteriore uso dell’acqua.
Inoltre, prevedono la formulazione di proposte per la regolazione degli usi attuali e di
indirizzo per i nuovi progetti.
Il piano di bacino sarà il riferimento nel settore della difesa del suolo per il Piano Territoriale
di Coordinamento Provinciale e, attraverso questo strumento, dei piani regolatori generali dei
Comuni.
Assumendo preliminarmente i contenuti integrali del Piano di Bacino ed in particolare dei
suoi stralci, il PTCP in particolare dovrà strutturarsi come contenitore organico della
pianificazione provinciale di settore, contenere tutti gli obiettivi di bacino e tutte le prescrizioni
e limitazioni in termini di vincoli richieste per il raggiungimento degli obiettivi di Piano.
E’ tuttavia facoltà del PTCP, nella sua veste definitiva in sede di adozione e nella sua
funzione di interfaccia diretta della pianificazione urbanistica comunale, provvedere ad una
omogeneizzazione dei contenuti normativi dei diversi piani stralcio, soprattutto in ordine al
carattere territoriale e nei rapporti con il sistema insediativo ed infrastrutturale definito dal
PTCP stesso.
Dovrà inoltre essere valutata la possibilità di instaurare collaborazioni dedicate con gli Ambiti
Territoriali Ottimali (ATO), già costituiti in Regione ed i Consorzi di Bonifica raggruppati.
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5.3.2 La fonte eolica
L’analisi sul forte sviluppo della tecnologia eolica in molti paesi europei e l’analisi sul
potenziale teorico di sfruttabilità della risorsa eolica a livello del territorio della Provincia di
Catanzaro, indicano la notevole attenzione che questa fonte rinnovabile merita, come pure
gli sforzi che vanno indirizzati per il suo impiego compatibilmente con la protezione del
territorio.
Le informazioni riportate nel quadro conoscitivo indicano che la varietà orografica della
provincia può offrire diverse condizioni favorevoli. E’ di notevole interesse, tra l’altro, la
potenzialità offerta anche dalle zone poste a bassa quota, come quelle corrispondenti ai siti
costieri, primo fra tutti quello di Lamezia Terme, anche in considerazione dell’evoluzione
tecnologica di settore che fornisce macchine adatte anche a siti caratterizzati da condizioni
anemologiche non eccezionali.
Da sottolineare, tra l’altro, anche il potenziale offerto dall’applicazione di aerogeneratori di
taglia medio piccola a servizio di utenze singole come, ad esempio, aziende agricole o
strutture turistiche.
Esistono, quindi, le condizioni tecniche ed ambientali affinché si determini un forte
incremento dello sfruttamento delle potenzialità della provincia. Parimenti esistono le
condizioni normative facenti riferimento all’obbligo del 2% di fonti rinnovabili per il 2002 come
da DLGSL. 79/99. Con riferimento a questa prescrizione, la fonte eolica è sicuramente tra
quelle considerate più promettenti da parte degli operatori del settore.
Con questa concomitanza di fattori risulta chiaro che le reali possibilità di sfruttamento di
questa fonte non potranno trovare un limite nella fattibilità tecnica e/o economica, bensì nelle
barriere non tecniche, prime tra tutte quelle relative all’iter autorizzativo.
Il primo punto individuato come problema per lo sviluppo degli impianti eolici riguarda la
complessità dell’iter autorizzativo. Questa è una barriera ormai studiata e riconosciuta
unanimemente. La mancanza di una procedura specifica e ben definita, in aggiunta ad una
serie di richieste di permessi e di nulla osta rivolte a vari enti, centrali e periferici, impone
tempi e modi procedurali complessi che producono difficoltà nel completamento delle opere,
uno spreco di tempo ed una aleatorietà del processo decisionale.
Per questo motivo la Provincia deve adottare tutte le misure di propria competenza affinché
la procedura autorizzativa sia definita da condizioni favorevoli ed eque.
Dal canto loro, le installazioni eoliche dovranno rispettare le condizioni di compatibilità
ambientale prescritte dalle disposizioni vigenti.
A tale riguardo la normativa nazionale (DPR 12 aprile 1996 e DPCM 3 settembre 1999), in
applicazione della normativa europea (Direttiva 85/337/CEE e 97/11/UE) prevede che siano
assoggettati alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, gli impianti industriali per la
produzione di energia mediante lo sfruttamento del vento, ricadenti, anche parzialmente,
all’interno di aree naturali protette come definite dalla legge 6 dicembre 1991 n. 394.
I progetti non ricadenti nelle aree naturali protette, saranno sottoposti, invece, a processo di
Screening. Qualora il processa di Screening lo richieda, sono assoggettati alla procedura di
VIA anche i progetti che non ricadono in aree naturali protette.
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A riguardo della definizione di “Aree Protette”, si sottolinea che quanto riportato dalla legge 6
dicembre 1991 n. 394 è stato successivamente ampliato dalla Delibera del Ministero
dell’Ambiente del 2 dicembre 1996 secondo la quale le aree protette sono:
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
parco nazionale;
riserva naturale statale;
parco naturale interregionale;
parco naturale regionale;
riserva naturale regionale;
zona umida di importanza internazionale;
zona di protezione speciale (ZPS);
zona speciale di conservazione (ZSC);
altre aree naturali protette.
I siti di importanza comunitaria proposti dalla Regione, una volta approvati potranno essere
candidati a diventare ZPS o ZSC.
Di seguito si riportano alcuni elementi che possono servire per una valutazione delle centrali
eoliche.
Gli aspetti ambientali che vengono considerati per le centrali eoliche sono correlati a possibili
effetti a scala locale:
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
occupazione del territorio;
impatto visivo;
rumore;
effetti su flora e fauna;
interferenze sulle telecomunicazioni;
effetti elettromagnetici.
In ogni caso, in una corretta visione globale e prospettica, il bilancio costi ambientali/benefici
ambientali è da considerarsi ampiamente positivo così che, fatta salva l’ottemperanza ad
alcune regole di tutela, le centrali eoliche dovranno sicuramente trovare un generale
appoggio.
Occupazione del territorio
Le macchine eoliche debbono essere posizionate sul territorio a debita distanza l’una
dall’altra per evitare il fenomeno dell’interferenza aerodinamica. D’altra parte si ribadisce che
la parte del territorio non occupata dalle macchine può essere tranquillamente destinata ad
altri usi, come l’agricoltura e la pastorizia, senza alcuna controindicazione. Da ricordare,
inoltre, che l’installazione di macchine eoliche non altera significativamente, se non per
l’aspetto visivo, il terreno impegnato.
Impatto visivo
Gli aerogeneratori sono sempre elementi ben visibili nel paesaggio, altrimenti non sarebbero
sistemati opportunamente da un punto di vista meteorologico. In aree piane è spesso una
buona idea sistemare le turbine secondo uno schema che sia facilmente percettibile da chi
guarda. In ambienti collinari è difficilmente fattibile l’impiego di uno schema semplice ed è
generalmente meglio sistemare le turbine lungo il profilo caratteristico del paesaggio.
La dimensione delle turbine non varia linearmente con la potenza erogata; ad esempio, un
aerogeneratore da 500kW presenta mediamente un diametro del rotore ed un’altezza della
torre di circa 40m, mentre uno dalla potenza di 1500kW per questi due parametri
dimensionali è caratterizzato da un valore di circa 60m. L’impatto nel paesaggio di queste
due tipologie di macchine è moderatamente diverso, per cui la tendenza odierna ad
aumentare continuamente la taglia delle macchine potrebbe ridurre, a parità di potenza
globale installata, l’impatto visivo. Ci sono sicuramente dei vantaggi economici per questo,
come minori costi di manutenzione. Da un punto di vista estetico, le grandi turbine eoliche
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possono essere un vantaggio nel paesaggio, perché generalmente hanno una velocità di
rotazione minore delle turbine più piccole. Le grandi turbine perciò non attraggono l’occhio
come generalmente fanno gli oggetti che si muovono velocemente.
La percezione degli aerogeneratori all’interno del paesaggio è in gran parte un fenomeno
soggettivo. In generale la dimensione del sito eolico non influisce sull’atteggiamento della
gente verso il progetto. Sicuramente, l’accettazione dipende molto dal livello di informazione
ed anche dall’atteggiamento complessivo verso le fonti energetiche rinnovabili. Questo indica
che è molto importante il coinvolgimento della gente nel progetto, almeno a livello di
informazione. E’ chiaro che nei casi in cui vi sia addirittura una partecipazione agli utili
derivanti dall’impianto (come avviene ad esempio in Danimarca), l’atteggiamento è
sicuramente più positivo.
Al di là della soggettività nei riguardi dell’impatto visivo, si possono prevedere prescrizioni,
per la realizzazione di impianti eolici, che dovranno necessariamente includere eventuali
opere di mitigazione quali:
la riduzione dell’impatto visivo attraverso una scelta opportuna, compatibilmente con la
struttura del territorio, della disposizione dei diversi aerogeneratori;
l’adozione di colorazioni delle infrastrutture che meglio si inseriscano nell’ambiente
circostante;
la realizzazione di linee elettriche compatibili col territorio.
Rumore
Il problema del rumore è sempre stato considerato uno dei principali ostacoli per lo sviluppo
dell’eolico. Oggi si può affermare che il rumore non è più ritenuto un problema rilevante. Ad
una distanza di un centinaio di metri, una centrale eolica è meno fastidiosa del normale
traffico urbano. Se il rumore si deve principalmente all’interazione tra il vento e le pale degli
aerogeneratori, è anche vero che questo è in gran parte mascherato dal vento stesso. Ciò
rende estremamente difficile misurare il rumore degli aerogeneratori con accuratezza, dal
momento che questo può essere occultato dal rumore di fondo. Bisogna anche aggiungere
che fenomeni di riflessione o assorbimento da parte del terreno possono far variare il livello
sonoro in località diverse. Fortunatamente è generalmente facile predire l’effetto sonoro da
parte degli aerogeneratori.
A distanze al di sopra dei 300 metri il livello sonoro teorico massimo delle turbine di alta
qualità è ben al di sotto i 45 dB.
E’ comunque necessario che gli enti locali verifichino con attenzione il livello sonoro
dell’impianto e la distanza dalle abitazioni.
In Italia, la Legge Quadro sull’Inquinamento acustico n. 447 del 26 ottobre 1995 ha definito
criteri generali di valutazione, obiettivi di qualità e linee di intervento. Anche se la compiuta
applicazione della legge richiede ancora l’emanazione di alcuni provvedimenti attuativi, di
competenza sia statale che regionale, diversi sono i regolamenti ormai adottati che
concorrono a definire un quadro sempre più completo di norme e standard. In particolare, i
valori limite sono stati determinati con il DPCM 14 novembre 1997, e sono articolati, secondo
l’impostazione di cui al precedente DPCM 1 marzo 1991, per sei classi di azzonamento
acustico alle quali corrispondono altrettanti valori limite da rispettare nei due periodi di
riferimento (notturno e diurno) e per le quali vengono definiti dei valori di qualità da
conseguire nel medio e nel lungo periodo. La tabella di seguito riportata riassume i valori
limite ed i valori obiettivo definiti, per ogni classe, dal DPCM 14/11/97.
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DPCM 14/11/97
Legge 447/95 (art. 2)
Diurno, D
(6-22),
Leq dB(A)
Valore massimo di rumore che può Classe I: 45
Valore limite essere emesso da una sorgente, Classe II: 50
misurato in corrispondenza della Classe III: 55
di emissione
sorgente stessa.
Classe IV: 60
Classe V: 65
Si riferiscono alle sorgenti fisse e Classe VI: 65
mobili.
Valore massimo di rumore che può
essere immesso da una o più
sonore
nell’ambiente
Valore limite sorgenti
abitativo o nell’ambiente esterno,
di immissione misurato in prossimità dei ricettori.
Classe I: 50
Classe II: 55
Classe III: 60
Classe IV: 65
Classe V: 70
Classe VI: 70
Notturno,
(22-6),
Leq dB(A)
N
(I) 35
(II) 40
(III) 45
(IV) 50
(V) 55
(VI) 65
(I) 40
(II) 45
(III) 50
(IV) 55
(V) 60
(VI) 70
Valori assoluti (Leq ambientale) e
Valori relativi (Leq ambientale – Leq Non si applicano nelle fasce di
pertinenza delle infrastrutture stradali,
residuo).
ferroviarie, marittime, aeroportuali e le
altre sorgenti sonore di cui all’11
comma 1 di cui Legge 47/95.
Differenziali:
5 dB per il periodo diurno e 3
dB per quello notturno,
all’interno
degli
ambienti
abitativi.
Non si applicano nelle aree di
classe VI e se:
♦
a finestre aperte Leq
<50 dB(A) (D) e 40
dB(A) (N);
♦
a finestre chiuse Leq
<35 dB(A) (D) e 25
dB(A) (N).
(La classificazione del territorio comunale riprende le definizioni del DPCM 1 marzo 199129)
La ripartizione delle competenze tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali è definita dalla
normativa di settore ma anche dalla legislazione inerente il riordinamento delle funzioni della
pubblica amministrazione ed in particolare dal DL 112/98 che conferisce alle regioni ed agli
enti locali tutte le funzioni amministrative non classificate come di rilievo nazionale dallo
stesso decreto.
In particolare:
ƒ la Regione esercita funzioni di indirizzo, attraverso la predisposizione di direttive e criteri
da osservare nella predisposizione dei diversi piani, funzioni di programmazione,
attraverso il Piano triennale di bonifica dell’inquinamento acustico ed eventualmente
esercita anche i poteri sostitutivi nel caso dell’inerzia degli enti locali nell’adempimento
delle competenze assegnate;
ƒ la Provincia svolge prevalentemente le funzioni amministrative inerenti la vigilanza ed il
controllo oltre a quelle che le sono specificatamente attribuite dalla legislazione
regionale;
29
Secondo le definizioni adottate dal DPCM 14 novembre 1997 (tabella A in allegato), le classi di azzonamento
acustico sono così definite:
I.
Particolarmente protette: rientrano in questa classe le aree nelle quali la quiete rappresenta un elemento
di base per la loro utilizzazione: aree ospedaliere, scolastiche, aree destinate al riposo ed allo svago,
aree residenziali rurali, aree di particolare interesse urbanistico, parchi pubblici, ecc.
II.
Prevalentemente residenziali: rientrano in questa classe le aree urbane interessate prevalentemente da
traffico veicolare locale, con bassa densità di popolazione, con limitata presenza di attività commerciali
ed assenza di attività industriali ed artigianali.
III.
Di tipo misto: rientrano in questa classe le aree urbane interessate da traffico veicolare locale o di
attraversamento, con media densità di popolazione, con limitata presenza di attività artigianali e con
assenza di attività industriali; aree rurali interessate da attività che impiegano macchine operatrici.
IV.
Di intensa attività umana: rientrano in questa classe le aree urbane interessate da intenso traffico
veicolare, con alta densità di popolazione, con elevata presenza di attività commerciali e uffici, con
presenza di attività artigianali; aree in prossimità di strade di grande comunicazione e di linee ferroviarie,
aree portuali, aree con limitata presenza di piccole industrie.
V.
Prevalentemente industriali: rientrano in questa classe le aree interessate da insediamenti industriali e
con scarsità di abitazioni.
VI.
Esclusivamente industriali: rientrano in questa classe le aree esclusivamente interessate da
insediamenti industriali e con scarsità di abitazioni.
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ƒ
il Comune ha le maggiori competenze in materia di programmazione ed intervento,
attuate mediante la zonizzazione acustica e la redazione o adozione dei diversi piani, ma
anche attraverso le forme di controllo all’atto del rilascio delle concessioni edilizie, e in
materia di vigilanza sul rispetto delle norme generali e delle specifiche prescrizioni. Ai
Comuni è riservata inoltre la facoltà di fissare limiti inferiori a quelli nazionali nel caso di
aree di interesse paesaggistico, ambientale e turistico.
Effetti su flora e fauna
L’unica possibile interferenza di qualche rilievo degli impianti eolici con la flora e la fauna
riguarda l’impatto dei volatili con il rotore degli aerogeneratori. Gli uccelli spesso entrano in
collisione con le linee dell’alta tensione, con i tralicci, con le finestre degli edifici o con le
automobili. Talvolta possono colpire anche le turbine eoliche. Vari studi sono stati eseguiti su
tale fenomeno. Il risultato di questi è che, in generale, i volatili sono poco disturbati dalla
presenza degli aerogeneratori. Alcune specie si abituano molto velocemente alla presenza
delle macchine, altre impiegano più tempo. Le possibilità di installare fattorie del vento in
prossimità di santuari degli uccelli dipende perciò dalla specie in questione. Le specie
maggiormente disturbate dai lavori di approntamento del sito eolico sono quelle dei rapaci,
che necessitano di ampi spazi e sono più sensibili alla presenza umana. Gli uccelli migratori
sono meno influenzati, data l’ampiezza limitata del flusso migratorio.
Interferenze sulle telecomunicazioni
Come qualsiasi ostacolo, una macchina eolica può influenzare le caratteristiche di
propagazione dei segnali di telecomunicazione. E’ quindi indispensabile, qualora si fosse in
presenza di stazioni radio, di definire le distanze minime da mantenere tra queste e gli
aerogeneratori affinché tale fenomeno venga ridotto al minimo.
Effetti elettromagnetici
L’argomento investe solo marginalmente gli impianti eolici. Infatti, nei siti in cui vengono
installati gli aerogeneratori non vi sono linee aeree di trasmissione, ma linee di media
tensione interrate. Inoltre, come già ricordato, nelle immediate vicinanze dei siti stessi non vi
è presenza di edifici residenziali. Generalmente gli impianti eolici utilizzano linee di
trasmissione già esistenti, tanto che la presenza di tali linee costituisce un criterio di
economicità degli stessi. E’ chiaro, comunque, che nel caso di realizzazione di linee dedicate
è necessaria l’adozione di tutti gli accorgimenti per ridurne l’impatto. I limiti dettati dal DPCM
23 aprile 1992 (distanze di rispetto ai fabbricati adibiti ad abitazione o altra attività che
comporta tempi di permanenza prolungati, per le linee elettriche esterne calcolate da
qualunque conduttore) sono stati superati dal DPCM 8 luglio 2003 recante “Fissazione dei
limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della
popolazione dalle esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50 Hz)
generati dagli elettrodotti” che agli artt. 4 e 6 individua i limiti di intensità di campo elettrico e
magnetico a seconda che si tratti di linee esistenti o in fase di progettazione.
A conclusione delle considerazioni fatte, si vuole segnalare il protocollo d’intesa tra il
Ministero dell’Ambiente ed il Ministero per i Beni e le Attività Culturali del 7 giugno 2000. Tale
protocollo si pone la finalità di favorire la diffusione delle fonti rinnovabili con criteri idonei a
salvaguardare i beni storici, artistici, architettonici, archeologici, paesaggistici ed ambientali.
In particolare, si prevede la definizione di “criteri, indirizzi e normative per la valutazione
dell’inserimento ambientale e paesaggistico delle fonti rinnovabili”.
Da un punto di vista tecnico, è importante il coordinamento tra gli operatori del settore eolico
ed ENEL che dispone della rete di distribuzione. A tal fine è necessario favorire
l’armonizzazione dello sviluppo della fonte eolica con i piani di sviluppo delle infrastrutture
elettriche. In effetti, tra i vari punti fondamentali identificabili per lo sviluppo della rete di
distribuzione sarebbe opportuno prevedere di favorire l’utilizzazione in rete delle fonti
energetiche locali per valori medio/piccoli; con tali allacciamenti, infatti, aumenta la
producibilità dei singoli impianti rispetto ad una utilizzazione isolata degli stessi.
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Con riferimento alla costruzione ed all’esercizio di linee elettriche, la Legge Regionale n. 17
del 24 novembre 2000 delega tali funzioni alla Provincia per impianti fino alla tensione di
150.000 V.
5.3.3 La fonte solare
Le linee guida di seguito riportate, nei loro termini generali, sono riferite ad entrambe le fonti
solari (termica e fotovoltaica). Dove necessario, verranno comunque evidenziate le
peculiarità relative ad ognuna.
E’ evidente che non vi sono dei limiti tecnici alla quantità di superficie di collettori solari
(termici o fotovoltaici) che è possibile installare. Le limitazioni derivano, piuttosto, dalla
convenienza economica.
Le stime riportate nel Quadro Conoscitivo indicano che per il solare termico si può ipotizzare
uno sviluppo, al 2010, compreso tra 7000 e 20000 mq, in dipendenza degli incentivi che
verranno sviluppati. Il risparmio energetico prodotto è compreso tra i 5.500 MWh/a ed i
15.150 MWh/a.
Per quanto riguarda il solare fotovoltaico si può prevedere uno sviluppo delle installazioni, al
2010, corrispondente ad una potenza di circa 2 MW. L’energia prodotta da tali installazioni
sarebbe pari a poco più di 3.400 MWh.
Lo sfruttamento della tecnologia solare deve essere favorito approfittando del fatto che, al
momento, il mercato italiano mostra vendite in crescita e le prospettive future sono positive.
Si ritiene che il mercato italiano seguirà l’andamento di altri paesi, ma più velocemente,
perché potrà beneficiare dell’affidabilità degli attuali prodotti e dall’esperienza di altri mercati.
D’altra parte, per la creazione di un mercato sostenibile per gli impianti solari sono
necessarie le seguenti condizioni:
ƒ interesse pubblico verso il solare;
ƒ disponibilità di prodotti affidabili ed economici;
ƒ disponibilità di installatori, pianificatori, ingegneri ed architetti qualificati;
ƒ nessuna procedura o solo procedure non burocratiche per i permessi di costruzione;
ƒ incentivi non burocratici per gli investitori pubblici e privati.
Il fatto che nella maggior parte d’Italia, nonostante la disponibilità di prodotti affidabili ed
economici e la concreta disponibilità di fonte primaria, nessuno degli altri fattori di cui sopra
sia soddisfatto, può essere considerato come la maggior causa del debole mercato attuale.
In generale, di fondamentale importanza in questo contesto risulteranno i seguenti fattori:
-
-
-
volontà reale delle autorità pubbliche a sviluppare il settore attraverso specifici
programmi d’incentivazione;
capacità di organizzare e gestire efficacemente i programmi di sviluppo. E’ necessario
semplificare al massimo le operazioni che gli utenti devono eseguire per poter realizzare
gli impianti. Inoltre è indispensabile prevedere una massiccia campagna informativa,
prima di tutto per far sì che le agevolazioni siano compiutamente sfruttate e, in secondo
luogo (ma per questo non meno importante), affinché sia sempre più diffusa la
conoscenza delle tecnologie solari;
ampia disponibilità di collaborazione da parte delle società elettriche e del gas locali e
nazionali, affinché forniscano un valido supporto agli utenti interessati ad installare un
sistema fotovoltaico. In tal senso vale la pena ricordare le indicazioni contenute nei due
decreti ministeriali del 24 Aprile 2001;
sostegno dei Comuni e degli Enti locali, che garantiscano tempi brevi nel rilascio di
eventuali permessi di costruzione. I vincoli paesaggistici e architettonici creano spesso
problemi all’installazione di sistemi solari. L’attenzione all’ambiente e al paesaggio deve
necessariamente essere accompagnata da maggiore buon senso.
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I regolamenti attuali della maggior parte dei comuni italiani sui permessi di costruzione (vedi
le leggi dei regolamenti edilizi comunali) e sugli impianti termici non devono essere delle
barriere per lo sviluppo del mercato degli impianti solari anzi devono essere utilizzati come
strumenti di imposizione, fin dove possibile, e di incentivo per la promozione di questi
interventi. Le complesse e costose procedure rischiano spesso di divenire un vero e proprio
deterrente a qualsiasi tipo di iniziativa privata, portando, paradossalmente anche alla
situazione in cui i programmi di sussidio esistenti non possono essere usati.
Per permettere di formulare regolamenti positivi verso il solare, si propone esplicitamente di
esentare dai permessi di costruzione l’installazione di sistemi solari.
Per quanto riguarda i sistemi solari termici in particolare, per evitare installazioni non
desiderate, è possibile limitare questa esenzione in funzione della dimensione del collettore
(ad esempio fino a 15mq) e della localizzazione (ad esempio non valida in zone a vincolo
storico/artistico e paesaggistico o ambientale).
Per quanto riguarda gli impianti fotovoltaici è auspicabile che vengano favorite le soluzioni
che prevedono l’integrazione nelle strutture edilizie, prevedendo, quando possibile, deroghe
ad eventuali vincoli architettonici sul patrimonio. Chiaramente si dovranno ricercare soluzioni
di integrazione che non contrastino con gli altri elementi strutturali dell’edificio.
L’azione a carico della Provincia di Catanzaro è quindi una generale raccomandazione ai
suoi comuni per una “deregolazione” o maggiore elasticità normativa rispetto agli impianti
solari (tale raccomandazione potrebbe essere inserita all’interno del PTCP).
La disponibilità di professionisti qualificati è cruciale per lo sviluppo del mercato solare.
Soprattutto gli installatori, gli ingegneri e gli architetti agiscono come consulenti diretti dei
proprietari di abitazioni private e giocano perciò un ruolo chiave per l’avvio del mercato.
Inoltre sono necessarie misure di certificazione per garantire la qualità e l’affidabilità delle
installazioni future. Un programma di corsi dovrebbe essere implementato con le
organizzazioni regionali come ANIM (Associazione Nazionale Impiantisti Manutentori),
ECIPA (Ente Confederale di Istruzioni Professionale per l‘Artigianato e le Piccole Imprese).
Gli incentivi finanziari possono essere o misure fiscali (riduzione di tasse, riduzione di IVA,
ecc.) o sussidi di investimento (nazionali, regionali, comunali, ecc.). L’esperienza di altri
paesi mostra che le misure fiscali contribuiscono positivamente per l’implementazione degli
impianti solari, mentre i sussidi di investimento sono considerati essere uno strumento
essenziale per lo stimolo del mercato.
In genere, per quanto riguarda il solare termico, sono sufficienti quote di incentivo
relativamente modeste, cioè fino al 30% dell’investimento.
I contributi relativi alla tecnologia fotovoltaica, invece, arrivano fino al 75% dell’investimento
complessivo sostenuto, e favoriscono comunque soluzioni che prevedano l’inserimento di
sistemi fotovoltaici come componenti strutturali dell’edificio, in quanto questo assicura un
significativo abbattimento dei costi complessivi dell’intervento.
Attualmente sono già disponibili i seguenti tipi di incentivo:
Aliquota IVA del 10% sulla realizzazione di impianti solari. La maggior parte dei fornitori offre
i prodotti con una aliquota IVA del 10%.
Sconto IRPEF del 36%. Esiste la possibilità di detrarre dall’IRPEF parte del valore
dell’investimento per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria e di recupero del
patrimonio edilizio. In pratica, la procedura per ottenere la detrazione IRPEF è utilizzabile
realisticamente solo per ristrutturazioni consistenti o per grandi impianti solari. Per piccoli
impianti, invece, è troppo complicato e costoso a causa delle procedure legate alle norme
urbanistiche.
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Esenzione dagli adempimenti fiscali obbligatori per la produzione di energia elettrica.
L’art. 10, comma 7 della legge n. 133/1999 “Disposizioni in materia di perequazione,
razionalizzazione e federalismo fiscale” prevede che l’esercizio di impianti che utilizzano fonti
rinnovabili di potenza elettrica non superiore a 20 kWp, anche collegati alla rete, non sia
soggetto agli obblighi di cui all’art. 53, comma 1, testo unico approvato con decreto
legislativo 26ottobre 1995, n. 504 e che l’energia consumata sia autoprodotta che ricevuta in
conto scambio, non sia sottoposta all’imposta erariale e alle relative addizionali sull’energia
elettrica.
Incentivi regionali per il solare termico. Accanto agli strumenti nazionali, alcune Regioni
hanno previsto contributi in conto capitale per la realizzazione di impianti solari termici (in
alcuni casi cumulabile con lo sconto IRPEF del 36%). Le condizioni per ricevere incentivi
regionale sono piuttosto eterogenee. Per esempio il contributo ammissibile alla spesa va dal
30% in Umbria (40% nelle zone montane) al 50% in Valle d’Aosta. Il contributo massimo
ammissibile varia tra i 40 milioni di lire (Umbria) e i 100 milioni di lire (Abruzzo). Le procedure
sono invece relativamente simili tra loro. In seguito alla pubblicazione del bando il richiedente
consegna all’ufficio regionale competente la domanda per un contributo. La domanda deve
essere completata con il progetto esecutivo, firmato da un tecnico iscritto all’albo, e la
documentazione degli apparecchi da installare.
Programma Ministeriale Solare Termico per Amministrazioni ed Enti Pubblici. Tale
programma prevede il cofinanziamento pari al 30% del costo degli impianti solari per
produzione di calore a bassa temperatura) da installare su edifici pubblici. Per questo
programma sono stati stanziati circa 4 milioni di euro con una previsione di una superficie
installata di 30.000 mq.
Programma ministeriale solare termico per Aziende comunali distributrici di gas naturale,
che, ai sensi del decreto di liberalizzazione del mercato del gas, devono soddisfare a partire
dal 2002 una quota definita di riduzione delle emissioni di CO2 attraverso interventi di
aumento dell’efficienza energetica e utilizzo di energia solare. Il programma prevede a fronte
di uno stanziamento di 2 milioni di euro, incentivi del 30% per l’installazione di 5.000 mq di
collettori per utenze pubbliche e private.
Programma Solare Termico per i privati. Sulla base della disponibilità finanziaria 2001 il
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio ha avviato una specifica campagna di
diffusione degli impianti solari termici rivolta ai soggetti privati. Il programma Solare Termico
per i privati sarà gestito interamente dalle Regioni che cofinanzieranno l’iniziativa con un
proprio 50% delle risorse pubbliche complessive. I fondi messi a disposizione dal Ministero
sono pari a circa 7,7 milioni di euro che verranno distribuiti alle Regioni con un criterio basato
sul numero degli abitanti (secondo dati ISTAT del 1991). Complessivamente si prevede che
questa azione attiverà nel settore del solare termico investimenti totali per oltre 60 milioni di
euro.
Programma Nazionale “10.000 tetti fotovoltaici”. Il Programma, pluriennale, è finalizzato alla
realizzazione di impianti fotovoltaici di potenza da 1 a 20 kWp, collegati alla rete elettrica di
distribuzione in bassa tensione e integrati nelle strutture edilizie poste sul territorio italiano.
Indirizzato a soggetti sia pubblici che privati, esso prevede un finanziamento in conto capitale
degli interventi pari al 75%.30
E’ indispensabile, in generale, che i programmi di sussidio siano disegnati nel modo corretto.
Programmi di sussidio che sono annunciati e non diventano operativi o con budget troppo
ridotti sono controproducenti.
30
Una descrizione dettagliata del Programma è riportata nel Cap.3, par. 3.5.2 del Quadro Conoscitivo
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Per un programma di incentivo si possono redigere le seguenti linee guida:
- I budget disponibili per un programma di sussidio devono essere sufficienti a garantire
uno svolgimento continuo del programma.
- Il programma deve essere finanziato a lungo termine. Si deve considerare la crescita
attesa del mercato durante il periodo del programma.
- Il programma deve essere operativo subito dopo il suo annuncio.
I documenti necessari per richiedere il finanziamento devono essere tali da rendere
immediatamente “cantierabili” gli interventi previsti.
Deve essere sempre possibile fare la richiesta. L’approvazione o disapprovazione devono
essere comunicate in tempi brevi.
Il sussidio deve essere erogato dopo la comunicazione, da parte del beneficiario e del
professionista incaricato della Direzione dei Lavori, dell’avvenuta installazione dell'impianto
solare e dopo l’avvenuto pagamento, da parte dell’investitore, dell’intera quota.
Accanto a programmi pubblici estesi, incentivi finanziari mirati possono rafforzare
significativamente gli investimenti. Particolare attenzione, in questo ambito, potrà ad esempio
meritare il settore turistico, vista la significativa presenza di strutture ricettive sul territorio
provinciale e all’interesse sempre più marcato verso le tematiche di un “turismo sostenibile” e
visto che, in genere, la maggiore richiesta energetica del settore si registra nei periodi in cui
si ha la maggiore insolazione.
Un altro strumento per l’agevolazione di impianti solari potrebbe essere la detrazione
sull’Imposta Comunale sugli Immobili (ICI) concessa direttamente dal comune in cui si
realizza l’impianto. Sono ancora pochi i comuni che prevedono questo tipo di incentivo.
In tal senso la Provincia dovrebbe stimolare i propri comuni ad introdurre la detraibilità
dall’ICI dell’investimento in un impianto solare.
A supporto dei canali nazionali, regionali o locali citati, potrà essere opportuno valutare la
possibilità di accedere a programmi di finanziamento definiti a livello comunitario. A questo
proposito vale la pena citare il programma “Energia Intelligente”, di recente emanazione
(Dicembre 2003) che riprende, ampliandoli, i vecchi programmi, SAVE, ALTENER, ecc.
Nell’ambito delle iniziative per lo sviluppo e la diffusione a livello locale delle tecnologie
solari, particolare rilevanza rivestono infine i recenti Decreti Ministeriali (aprile 2001) sul
risparmio energetico. Con la delibera 234/02 l’Autorità per l’Energia ha, infatti, approvato le
schede tecniche per la quantificazione dei risparmi di energia primaria relativi ad alcuni
interventi di risparmio, tra i quali anche gli impianti solari termici e fotovoltaici.
E’ opportuno, in tal senso, che la Provincia attivi iniziative di consultazione e coordinamento
con i distributori locali di energia per un’attenta valutazione delle più opportune modalità di
attuazione degli stessi decreti e/o di acquisizione di Certificati Bianchi (si veda quanto già
riportato in 2.1.2).
Per accrescere l’interesse verso la tecnologia solare sono necessarie azioni che combinano
gli strumenti precedentemente discussi con attività pubblicitarie. Le caratteristiche tipiche di
una campagna solare sono le “offerte speciali”, la pubblicità, corsi di qualificazione per
installatori, un programma di sussidio ed uno sportello informazioni. Il punto di forza di una
campagna è che tutte queste azioni sono coordinate. In Olanda ed in Danimarca le
campagne solari sono state portate avanti con successo dalle compagnie energetiche che
sono state le iniziatrici o responsabili dirette delle campagne stesse. In Italia una campagna
adeguata è stata realizzata dall’azienda del gas di Palermo.
L’attività di promozione è fondamentale, dal momento che attualmente la gran parte dei
potenziali utenti non conosce la tecnologia del solare.
L’applicazione della tecnologia a livello di edifici ad uso pubblico dovrà pertanto essere
favorita ed implementata, sia per un interesse diretto, sia per la creazione di un mezzo
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divulgativo molto importante. Favorendo il contatto diretto della gente con tale tecnologia,
infatti, si accresce di conseguenza l’interesse della stessa. Inoltre, iniziative ed investimenti
fatti a livello pubblico hanno un effetto catalizzatore in quanto, una volta create le condizioni
favorevoli, la gran parte degli investimenti per l’installazione di impianti solari sarà fatta da
soggetti privati.
5.3.4 Le fonti da biomassa
Le analisi riportate nel Quadro Conoscitivo hanno messo in evidenza che nella Provincia di
Catanzaro si può stimare un potenziale di sfruttamento della massa legnosa forestale che
può dare origine a circa 25 GWh di energia elettrica o a circa 90 GWh di energia termica.
Per quanto riguarda i residui agricoli si stima una produzione di circa 67 GWh di energia
elettrica e di circa 240 GWh di energia termica.
In riferimento a indicazioni, accordi, azioni normative e piani strategici a favore dello sviluppo
della filiera biomasse, oltre alla Conferenza di Kyoto, al Libro Bianco Unione Europea sulle
energie rinnovabili, al Decreto Bersani e i certificati verdi, si ricordano:
ƒ la Delibera CIPE n. 137/98, che prevede anche la predisposizione, da parte del Ministero
dell’Agricoltura, di un Piano Nazionale di Valorizzazione delle Biomasse Agro – Forestali
(PNVBAF), che riprende e finalizza il precedente Programma Nazionale dell’Energia
Rinnovabile da Biomasse (PNERB);
ƒ il Programma Nazionale Biocombustibili (PROBIO), per promuovere iniziative di tipo
pilota e l’analisi e diffusione dei risultati;
ƒ il Decreto Legislativo 173/98 e Decreto attuativo n. 401/99, che istituisce fondi di aiuto
per l’utilizzo a fini energetici di produzioni agricole
ƒ l’approfondimento Decreto Ronchi rispetto alle biomasse residuali prima considerate
rifiuti ed ora combustibili rinnovabili.
Concreto supporto, anche se non diretto, alla valorizzazione della filiera biomasse, si ritrova
nelle indicazioni di Agenda 2000.
Gli interventi previsti sono dedicati all’ammodernamento del tessuto agro-industriale
regionale, al miglioramento strutturale delle aziende agricole, ecc.
Grande rilevanza hanno le misure agro-alimentari finalizzate a ridurre l’impatto dell’attività
agricola sull’ambiente, sia a mettere in valore le interazioni positive con il territorio ed il
paesaggio.
Gli specifici interventi, infatti, perseguono obiettivi finalizzati alla protezione dall’inquinamento
(in particolare per i composti azotati) e ad un uso sostenibile delle risorse idriche, al
miglioramento della qualità dell’aria, alla riduzione dei composti chimici utilizzati in
agricoltura, alla gestione sostenibile dell’uso del suolo e del territorio sia in termini di
ricostituzione e mantenimento delle condizioni naturalistiche, sia in termini di pratiche di
gestione agronomica, alla ricostituzione/mantenimento del paesaggio agrario e biodiversità.
In particolare le misure di incentivazione al settore forestale, precedentemente incluse
nell’ambito dei principali regolamenti comunitari (2080/92 e 867/90) vengono, con la nuova
programmazione di Agenda 2000, profondamente modificate ed ampliate. Il nuovo
regolamento sullo sviluppo rurale, con uno specifico capitolo sulla selvicoltura, pure
riprendendo molti degli interventi attuati in precedenza, amplia la gamma delle possibili
politiche a favore della selvicoltura e dei comparti a valle, in particolare attraverso programmi
di incentivo al rimboschimento dei terreni agricolo e di miglioramento delle superfici boschive
analogamente ad aiuti agli investimenti nelle imprese boschive di prima trasformazione del
legno. Di particolare interesse le specifiche misure per gli impianti forestali a turno breve per
la produzione di biomasse
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Alla luce delle considerazioni fatte, valide a livello nazionale e locale, e delle elaborazioni
presentate relative alla Provincia di Catanzaro, appare che la strategia più adeguata rispetto
alla costituzione del “parco energetico da biomassa”, sia quello di promuovere in primo
luogo progetti pilota o comunque iniziative medio piccole nel settore termico o termico
associato alla micro-cogenerazione (realizzazione di sistemi di teleriscaldamento di tipo
diffuso per centri medio/piccoli, vicini alle aree di produzione di biomassa; sistemi di
cogenerazione basata su tecnologia ORC) utilizzando biomassa agricola e forestale.
Attualmente la gran parte degli utenti non conosce il potenziale energetico e le tecnologie
legate alla filiera biomasse. Sulla base di quanto già realizzato in altri paesi, si può prevedere
un significativo grado di accettabilità. In tal senso la realizzazione di tali progetti
prioritariamente negli edifici di proprietà pubblica o ad uso pubblico, potrebbe favorire tale
processo.
In secondo luogo andrà valutata la possibilità (sia a livello di incentivazione che a livello di
prescrizione, come, ad esempio, sulla tipologia e sul bacino di approvvigionamento della
biomassa) di realizzazioni di tipo privato nel settore della generazione termica a scala
medio/grande.
Tali iniziative potrebbero inoltre ben interagire con iniziative riguardanti il solare termico (così
come esposte nel capitolo relativo) o comunque rientrare nei più generali programmi o piani
di riqualificazione edilizia delle aree urbane o primariamente rurali.
Rispetto allo sviluppo di una rete di teleriscaldamento, vale la pena ricordare che:
ƒ la presenza della rete di metano può essere disincentivante e andranno privilegiate,
quindi, le aree non ancora raggiunte dalla stessa;
ƒ è fondamentale l’analisi delle caratteristiche climatiche: gradi giorno, temperatura di
progetto, durata periodo di riscaldamento (riferimento a legge 10/91, DPR 412/93 ecc.);
pertanto, risultano prioritari i comuni ubicati in zona climatica E;
ƒ vanno considerati i parametri di allacciabilità.
È indispensabile, inoltre considerare, sia per l’uso di residui forestali che agricoli, la distanza
tra il punto di raccolta della biomassa ed il punto di utilizzo della stessa, a causa degli effetti
logistico – economico – ambientali connessi con il trasporto di un gran quantitativo di
materiale. Il problema del trasporto e dell’accumulo può essere, almeno teoricamente, risolto
mediante due strategie: collocare la centrale in posizione baricentrica all’interno di un preciso
bacino di approvvigionamento (presso il quale sia in atto un progetto di raccolta di tipo
integrato), organizzare un preciso e cautelativo programma di fornitura con aziende esterne.
A tal fine il processo autorizzativo dovrà richiedere una esatta valutazione del bacino di
approvvigionamento del combustibile.
Per una affermazione concreta e per l’implementazione del “parco energetico da biomasse”
ulteriori sforzi dovrebbero comunque essere tesi:
ƒ
alla definizione di iniziative effettivamente realizzabili e in grado di dimostrare l’effettiva
competitività delle filiere bioenergetiche in termini energetici, ambientali ed economici;
ƒ
alla realizzazione di un piano omogeneo d’azione che possa portare ad una diffusione su
media-larga scala dell’uso delle biomasse per scopi energetici. In tale contesto si rende
necessario innanzitutto lo sviluppo di analisi dettagliate della situazione esistente,
l’identificazione, coordinamento, promozione di tutti i principali attori locali coinvolgibili e,
infine, l’esame e applicazione di metodi efficaci di incentivazione economica.
Per favorire l’integrazione dell’impiego delle biomasse all’interno dei mercati energetici, si
ritiene preliminarmente necessario uno stretto coordinamento operativo tra diversi settori
della Provincia, in particolare l’Assessorato Agricoltura e Foreste; si attribuisce inoltre
particolare rilievo all’attivazione da parte della Provincia di programmi di partecipazione e
campagne coordinate (soprattutto accordi volontari) fra le amministrazioni a diverso
livello (regionale, comunale), l’AFOR e le aziende forestali, le utilities energetiche, le
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associazioni di professionisti (in particolare installatori), le associazioni dei consumatori e
in particolare, soprattutto alla luce dei decreti dell’aprile 2001, i distributori di energia.
ƒ
all’attivazione di programmi di ricerca e sviluppo con lo scopo di sperimentare e mettere
a punto le diverse tecnologie di conversione.
ƒ
all’incremento della disponibilità di biomassa.
Riguardo a questo ultimo punto, è auspicabile, in generale, la definizione di un chiaro piano
di ottimizzazione, che sulla base di una approfondita conoscenza delle peculiarità, e criticità
del patrimonio locale, sia in grado di definire una razionale politica gestionale dello stesso, in
termini anche di processi produttivi, fasi di raccolta, stoccaggio e trasporto.
La biomassa può essere incrementata qualora le superfici coltivate si trovino in terreni e climi
idonei. I luoghi migliori, anche sotto il profilo economico, sono:
ƒ
Terreni agricoli la cui redditività è strettamente connessa a sovvenzioni
comunitarie e che forniscono produzioni considerate eccedentarie.
In questo contesto, nelle aree di pianura può essere interessante per la Provincia,
valutare la possibilità del set-aside. L’unione Europea offre infatti, contributi affinché una
porzione di terreno venga lasciata nuda e sottoposta ad una lavorazione nei periodi
primaverili. Tale forma, in realtà, contribuisce al degrado ambientale in quanto
lascerebbe il terreno (se smosso) più esposto all’erosione idrica e alla mineralizzazione
della sostanza organica. L’introduzione di coltivazioni da bioenergia può rappresentare
un utile mezzo per interrompere la monocultura e contribuire alla difesa e conservazione
del suolo. Analoghe considerazioni valgono, oltre che per il set-aside, per terreni
“marginali”. E’ da evidenziare che le colture no food devono poter soddisfare
contemporaneamente le esigenze di carattere agronomico del produttore, tecnologico del
trasformatore ed economico di entrambi.
ƒ
Terreni agricoli non utilizzati, ma dotati di sufficiente fertilità per consentire buone
produzioni forestali.
Risulta opportuno valutare la possibilità di intervenire in zone attualmente non
interessate da attività selvicolturali, mediante l’implementazione di impianti a brevissimo
ciclo (Short Forest Rotation) per la produzione mirata di biomassa legnosa destinata alla
combustione.
Di particolare interesse, in tal senso, saranno le aree, dove la disponibilità di terreni non
più utilizzati per coltivi è cresciuta sensibilmente negli ultimi anni. Da sottolineare che, al
momento, tali tipi di impianto sono totalmente assenti in Provincia e quindi privi di storia
e di parametri di valutazione certi.
ƒ
Terreni a tipica vocazione forestale.
I boschi cedui in Calabria costituiscono circa il 30% del patrimonio forestale. La loro
origine è strettamente legata all’impiego della legna da ardere quale combustibile a
livello domestico e alla richiesta di paleria da parte del settore agricolo. La domanda di
queste due tipologie di prodotti ha subito una fortissima contrazione con l’introduzione
dei combustibili fossili (nafta/gasolio e gas) a partire dagli anni cinquanta e con la
riduzione della popolazione nelle zone di montagna. Solo nell’ultimo decennio si è
registrata una lieve ripresa della domanda di legna da ardere legata ai flussi turistici
nelle aree montane. Questo ultimo fenomeno non sembra registrato in modo adeguato
dalle statistiche nazionali perché in gran parte costituito da autoconsumo (il proprietario
del bosco ne è anche l’utilizzatore finale del prodotto) sia perché trattasi di piccolo
commercio al di fuori dei canali ufficiali.
Non vi è dubbio comunque che gran parte dei boschi cedui risulti oggi abbandonato o
scarsamente utilizzato. Il fenomeno interessa sostanzialmente tutte le regioni italiane per
quanto esso risulti più evidente nelle zone appenniniche dove il governo del bosco a
ceduo rappresenta una antichissima tradizione. L’abbandono del ceduo, sicuramente
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legato alla riduzione della domanda di prodotti legnosi da esso forniti, si caratterizza
tuttavia anche per altri aspetti, il principale dei quali appare la difficoltà di individuare gli
strumenti per un’evoluzione verso una forma di governo in grado di incontrare la
domanda per altri prodotti legnosi. Da lungo tempo sono disponibili studi su ampia scala
che descrivono scenari di conversione dei cedui in fustaie con l’obiettivo di giungere in
tempi medio - lunghi alla produzione di assortimenti legnosi in grado di essere assorbiti
dall’industria nazionale del legno. In questo ambito inoltre è stato ipotizzato l’impiego del
materiale derivante dalle conversioni nella produzione di pannelli (Federlegno). Diversi
di questi progetti tuttavia non considerano i numerosi vincoli che limitano le possibilità di
realizzarsi di tali iniziative quali la carenza di risorse finanziarie, la limitata accessibilità di
molte zone nelle quali si intende operare, la scarsa presenza di imprese forestali e di
manodopera specializzata, la frammentazione delle proprietà.
L’ipotesi che si è inteso approfondire parte dalla considerazione che la trasformazione
del ceduo e il miglioramento del ceduo possano rappresentare uno strumento per
disporre di materiale legnoso da utilizzare a fini energetici. L’obiettivo è quindi la
valorizzazione del materiale risultante dalle conversioni da ceduo in fustaia al fine di
superare il principale ostacolo economico che vede nella trasformazione della forma di
governo un’operazione decisamente onerosa dal punto di vista economico e dai ritorni
in tempi lunghi. Analoga considerazione può essere fatta per le operazioni di
miglioramento del ceduo laddove ciò fosse preferibile.
L’interesse verso il materiale legnoso quale combustibile da utilizzarsi in impianti di
piccola taglia consentirebbe di avviare, ad esempio a livello di comprensorio forestale,
un processo complessivo di valorizzazione del patrimonio forestale e di cura del territorio
grazie agli interventi accessori (manutenzione e apertura di strade e piste forestali, cura
della rete di scolo delle acque superficiali, ecc.) connessi agli interventi di conversione.
Legati a queste operazioni sono previsti uno sviluppo di piccole imprese forestali e un
recupero delle capacità professionali di carattere forestale. Sul periodo medio lungo si
può prospettare un progressivo miglioramento della copertura forestale fino alla
costituzione di fustaie in grado di fornire materiale di più elevato valore a fianco di un più
elevato valore paesaggistico del bosco.
Dalle considerazioni fin qui fatte emerge in modo piuttosto evidente come l’inserimento
di obiettivi di natura energetica nella gestione forestale possa e, ragionevolmente, debba
essere perseguito nell’ambito della pianificazione e gestione forestale e quindi in stretta
correlazione con i settori competenti nei diversi Enti sovra o sotto ordinati.
La valorizzazione energetica delle biomasse legnose può essere vista come un
elemento nuovo aggiuntivo, probabilmente anche di notevole peso in talune condizioni,
che si inserisce nella pratica gestione del bosco. Esso tuttavia non si caratterizza come
obiettivo finale del bosco (come nel caso della short rotation forestry) bensì come
strumento, potenzialmente molto interessante, per stimolare il perseguimento dei fini
caratteristici del bosco.
In Provincia le azioni da intraprendere, a tal proposito, sono le seguenti:
9 prosecuzione e miglioramento del programma di pianificazione forestale, sulla base
degli indirizzi della politica regionale di settore, soprattutto attraverso la redazione di
nuovi Piani assestamentali d’area. Come noto, il riferimento generale per
l’impostazione e attuazione dei piani assestamentali è la selvicoltura naturalistica
secondo la quale la gestione dei boschi dovrebbe assecondare i processi ed i cicli
evolutivi naturali, individuando forme di governo e trattamento più idonee a mantenere
o rafforzare la stabilità del bosco in termini di biodiversità, efficienza multifunzionale,
prodotti legnosi e non. Sviluppando una conoscenza dettagliata dei sistemi forestali e
promuovendo un generale miglioramento selvicolturale, i Piani di Assestamento
rappresentano un efficace strumento per favorire l’incremento della disponibilità di
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biomassa per fini energetici. Occorre sottolineare inoltre, che l’utilità dei piani risiede
anche nel fatto che si è gradualmente spostata, negli ultimi anni, la linea dei
finanziamenti o contributi verso la realizzazione di opere e interventi forestali. La
pianificazione assestamentale dovrà andare ad innestarsi e a specificare la
pianificazione territoriale sovra ordinata di cui la provincia dovrebbe essere dotata in
modo qualificato: ci si riferisce ai Piani di Sviluppo socio-economici delle Comunità
Montane, ai Piani Regolatori di nuova concezione e datazione e in particolare al
PTCP.
9 Ai fini dell’affermazione di una efficace pianificazione forestale, può essere opportuna
la promozione della costituzione di consorzi forestali o altre forme associative che
raccolgano a gestione unitaria le moltissime piccole proprietà private (enti che
possono affiancare o complementare le attività già realizzate dall’AFOR). Una forma
unitaria o collettiva di proprietà o di godimento dei beni oltre a favorire un generale
miglioramento fondiario, in grado di affrontare, in particolare, gli ostacoli legati alla
all’inadeguatezza delle strutture e infrastrutture, permetterebbe il radicamento di una
cultura sociale e forestale più consapevole presso gli stessi proprietari e le popolazioni
che usufruiscono delle esternalità dei boschi, permettendo il superamento di
individualismi assai più radicati in montagna che in altre zone.
9 Costituzione di una struttura tecnica negli enti delegati che sappia indirizzare, in sede
locale, i proprietari o gli aventi diritto sui boschi verso l’acquisizione degli strumenti e
dei finanziamenti utili a conseguire la migliore tutela, valorizzazione e gestione dei
complessi boschivi.
9 Una corretta progettazione e programmazione della viabilità in modo da aumentare la
disponibilità di biomassa, ridurre i costi di gestione dei boschi e di trasporto della
materia prima, migliorare le fasi di raccolta. L’avvio di un programma su ampia scala di
conversione del bosco ceduo all’alto fusto richiede che le zone di intervento siano
adeguatamente accessibili anche da mezzi di discrete dimensioni e peso per la
lavorazione e l’esbosco del materiale. La rete stradale di servizio (strade e piste
forestali) dovrebbe quindi essere adeguatamente sviluppata per poter consentire una
razionale organizzazione dei lavori.
9 Incentivazione della meccanizzazione forestale a basso impatto ambientale, per il
miglioramento qualitativo e quantitativo delle operazioni e interventi colturali nelle aree
forestali. Un livello medio di meccanizzazione sarà più che sufficiente per i tipi di
boschi della provincia. Livelli superiori, oltre a risultare molto costosi, potrebbero
comportare danni al suolo, soprasuolo, ceppaie e sono da prendere in esame solo nel
caso in cui i quantitativi raccolti siano molto elevati
9 Un ulteriore problematica che richiede di essere adeguatamente affrontata è legata
alla disponibilità di manodopera forestale specializzata nelle operazioni di conversione
e di lavorazione del materiale nonché alla presenza di imprese forestali
adeguatamente attrezzate da un punto di vista tecnico e finanziario. Si renderebbe
quindi necessario lo sviluppo di attività di formazione e aggiornamento del personale,
per una corretta educazione alla conoscenza del bosco e all’uso delle macchine.
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6 LA DOMANDA DI ENERGIA
L'uso razionale dell'energia può essere definito come quella operazione tecnologica con la
quale si intende conseguire l’obiettivo di realizzare gli stessi prodotti o servizi (in quantità e
qualità) con un minor consumo di energia primaria ed eventualmente con un maggior
impegno di risorse d’altro tipo (capitale, lavoro, materiali, ecc.).
Questa definizione distingue l'uso razionale dell'energia dal sacrificio energetico, che è
invece un’operazione economico-sociale con la quale si intende incentivare gli utenti (con la
propaganda, con le tariffe, con il razionamento) a modificare le loro abitudini di consumo nel
senso di soddisfare i propri bisogni finali con modalità che comportino minori consumi di
energia primaria. In questo caso quindi il servizio offerto è di qualità diversa.
Sin dallo shock petrolifero degli anni ’70, il risparmio energetico ha acquistato un ruolo
importante ripresentandosi con maggiore vigore proprio nel corso del 2000 con il rincaro
petrolio e il rafforzamento del dollaro sull’euro.
Risparmiare ha acquisito una nuova valenza: non è una rinuncia, ma una possibilità. Il punto
di forza di tale approccio consiste nel suo ruolo di risorsa energetica: ogni kWh risparmiato
può essere, infatti, reso disponibile per altri usi.
Nel quadro di una pianificazione integrata delle risorse (IRP), il risparmio si pone come
valutazione del potenziale di gestione della domanda (DSM), esattamente al pari livello della
valutazione del potenziale dell’offerta.
In una situazione come quella italiana, ove la dipendenza dai combustibili fossili per la
produzione è elevata, il potenziale di risparmio acquista una particolare rilevanza.
Sviluppatasi negli Stati Uniti, negli anni ’80, soprattutto attraverso interventi di DSM da parte
delle aziende elettriche, la politica del risparmio energetico ha preso forza in Europa (e in
Italia) nel corso degli anni ’90.
A livello europeo si è assistito a un importante lavoro da parte della Commissione Europea
nello sviluppare strumenti normativi (ad esempio l’etichettatura energetica delle
apparecchiature domestiche31), strumenti di studio e promozione del risparmio (finanziamenti
comunitari dei progetti SAVE), organismi di promozione del risparmio (agenzie per l’energia),
strumenti di incentivazione e trasformazione del mercato (azioni di DSM, azioni di
procurement, standard di efficienza, accordi volontari).
Per quanto riguarda l’Italia, si è avuta la formulazione di un quadro normativo (leggi 9/91 e
10/91) sin dall’inizio degli anni ’90.
A tutto ciò non è però corrisposto un’implementazione adeguata, omogenea per tutto il
Paese. Si è sviluppato un discreto lavoro di pianificazione (piani regionali e comunali), ma è
mancata l’implementazione di azioni di rilievo sul fronte del risparmio, sia per il mancato
utilizzo degli incentivi regionali (disponibili, seppur a singhiozzo), sia per la scarsa attivazione
di interventi di DSM. In ogni caso gli impegni sul fronte del risparmio sono sempre rimasti su
base volontaristica e soprattutto di tipo informativo e solo recentemente si stanno attivando
schemi nazionali e/o locali di monitoraggio, promozione ed intervento (attivazione degli
sportelli e agenzie per l’energia, possibili incentivi ai produttori di elettrodomestici –
analogamente alla campagna promossa nel settore automobilistico-, iniziative di auditing
energetico –soprattutto nel settore terziario-, campagne per la promozione delle lampade
fluorescenti compatte e degli elettrodomestici ad alta efficienza).
31
L’Unione Europea con le Direttive Comunitarie 94/2/CE, 96/89/CE e 97/17/CE che implementano la Direttiva
92/75/EEC, impone l'obbligo dell'energy-labelling (etichettatura sulla qualità energetica) dei frigoriferi/congelatori
(in vigore dal 1° gennaio 1995), lavabiancheria (in vigore dal 1° aprile 1996) e asciuga biancheria (in vigore dal
30 settembre 1996) e delle lavastoviglie (in vigore dal 1° luglio 1999). L’implementazione in Italia ha subito forti
ritardi: nel maggio del 1998 per i frigoriferi/congelatori (DM 2 aprile 1998) e nell'ottobre del 1998 per le lavatrici
(DM 7 ottobre 1998). La Direttiva sulle lavastoviglie è stata recepita in Italia da pochissimo tempo (novembre
1999) ed è divenuta operativa nel maggio 2000.
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Il caso dell’energia elettrica è interessante per capire le reali tendenze attuali. Con il riassetto
del settore e la promozione del libero mercato, i segnali che giungono dai produttori e
distributori di energia elettrica attualmente presenti sul mercato italiano, non sono positivi
rispetto all’intenzione di dare spazio al risparmio energetico. Tutto ciò è comprensibile dato
che l’azienda ha comunque interesse a vendere dei chilowattora. Purtroppo, la difficoltà a
comprendere l’importanza a offrire non solo una fornitura di energia, ma anche un servizio
(che includa il ricorso ad apparecchi efficienti), è legata anche alla non definizione, da parte
dell’Autorità per l’energia, dei meccanismi di recupero dei costo sostenuti da una azienda per
iniziative di DSM (previsti per legge nell’adeguamento tariffario). Da quanto emerge anche in
altre realtà europee, le utilities stanno tendendo decisamente a politiche di marketing di
tecnologie elettriche, che, pur nell’intento di spingere a maggiore efficienza, consentano una
maggiore diffusione di usi elettrici, garantendo dunque di conservare grosse opportunità di
mercato.
D’altro canto, nel “Green Paper” della Comunità Europea, pubblicato nel dicembre 2000, si
considera come la liberalizzazione del mercato debba essere controbilanciata da azioni
chiare di una politica energetica attenta alla gestione della domanda e quindi all’efficienza
energetica. Nel documento si dichiara che tutte le nuove tecnologie (ad alta efficienza)
dovranno avvantaggiarsi dell’appoggio comunitario. L’Unione Europea preferisce adattare il
supporto alle nuove tecnologie sulla base delle richieste provenienti a livello locale, piuttosto
che incentivare le tecnologie in sé.
In tal senso la Politica nazionale, con l’emanazione dei Decreti del 24 Aprile 2001 sembra
aver finalmente recepito tale necessità, dopo anni di segnali non chiari nonostante, in
preparazione ai lavori di Kyoto del 1997, fossero state dichiarate le possibilità e l’impegno in
Italia a una forte riduzione dei consumi.
Un primo decreto individua gli obiettivi quantitativi di risparmio energetico e sviluppo delle
fonti rinnovabili che devono essere perseguiti dalle imprese di distribuzione di gas naturale ai
sensi dell’articolo 16, comma 4, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164. Un secondo
decreto individua gli obiettivi quantitativi per l’incremento dell’efficienza energetica degli usi
finali da parte delle imprese di distribuzione di energia elettrica ai sensi dell’articolo 9,
comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79.
Per quanto riguarda la Provincia di Catanzaro, nel 2000 sono stati erogati 787 GWh di
energia elettrica.
Applicando un criterio di proporzionalità basato sui consumi relativi di energia elettrica, in
base al decreto sul risparmio di questo tipo di energia ed in base alla Delibera AEEG n.
233/02 (che definisce le quantità di energia elettrica e di gas naturale distribuite sul territorio
nazionale nell’anno 2000) si potrebbero portare avanti azioni volte all’ottenimento di risparmi
come riportato nello schema seguente32, dove è stato stimato anche il risparmio ottenibile al
2010 ipotizzando un incremento lineare degli obiettivi33.
32
In realtà ogni decreto consente ai distributori di effettuare azioni che implicano il risparmio energetico anche del
vettore energetico non distribuito (energia elettrica per i distributori di gas e gas per i distributori di energia
elettrica. Nelle valutazioni qui riportate, per semplicità si suppone che ogni distributore soddisfi ai propri obblighi
agendo esclusivamente sul vettore distribuito.
33
Il consumo di energia elettrica è stato assunto costante durante tutto il periodo considerato.
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Anno
2002
2003
2004
2005
2006
2010
Risparmio
(GWh)
1,3
6,6
11,9
15,9
21,2
40,1
Nell’ipotesi di un incremento tendenziale dei consumi elettrici dell’1,8% annuo (come
verificatosi negli ultimi 5 anni), il risparmio al 2010 ammonterebbe a 43,9 GWh, a fronte di un
consumo tendenziale di 845 GWh.
Sempre nel 2000 sono invece stati erogati 57 Mmc.
Applicando un criterio di proporzionalità basato sui consumi relativi di gas, in base al decreto
sul risparmio di questo tipo di energia ed in base alla suddetta Delibera AEEG 233/02 si
potrebbero portare avanti azioni volte all’ottenimento di risparmi come riportato nello schema
seguente34, dove è stato stimato anche il risparmio ottenibile al 2010 ipotizzando un
incremento lineare degli obiettivi35.
Anno
2002
2003
2004
2005
2006
2010
Risparmio
(Mmc)
0,2
0,9
1,6
2,3
3,0
5,8
Nell’ipotesi di un incremento tendenziale dei consumi di gas pari a 15 milioni di metri cubi (a
seguito del processo di ulteriore metanizzazione), il risparmio al 2010 ammonterebbe a 7,3
Mmc, a fronte di un consumo tendenziale di 72,5 Mmc.
Il ruolo che una Provincia ha rispetto al tema del risparmio energetico è importante, sia per il
ruolo normativo/decisionale, sia per quello di informazione e divulgazione. Altrettanto
importante è il ruolo di gestore del territorio e pertanto anche di promotore di politiche che
coinvolgano i diversi attori pubblici o privati presenti sullo stesso.
In questo senso dovrà porsi come referente anche sovra-comunale per diventare promotrice
di tavoli di lavoro con i soggetti che partecipano alla gestione dell’energia nelle diverse aree
del territorio (utility, altre amministrazioni comunali, associazioni di categoria –dei produttori,
rivenditori, consumatori-, consulenti, popolazione), per attivare un discorso operativo
integrato su risparmio, rinnovabili, ambiente. Il tavolo di lavoro avrà lo scopo di arrivare ad
accordi volontari, iniziative coordinate e/o all’attivazione di finanziamenti specifici per
promuovere le nuove tecnologie nei differenti settori.
In tal senso strategica potrebbe risultare la creazione di una agenzia provinciale per
l’energia. Si ritiene che un’agenzia a livello provinciale possa essere utile per fornire
supporto a livello dell’intero territorio, eventualmente con l’attivazione di sportelli di
consulenza a livello locale per il pubblico.
34
35
Si veda nota 25
Il consumo di gas è stato assunto costante durante tutto il periodo considerato.
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Altro strumento molto efficace, se opportunamente strutturato, risulterà per la Provincia il
PTCP. Al suo interno sarà, infatti possibile dare indicazioni, in particolare a livello di
Regolamenti edilizi, riguardo gli standard energetici, sicuramente in relazione alla tecniche di
costruzione dei nuovi insediamenti, ma forse anche riguardo agli usi energetici in generale.
Per quanto riguarda la possibilità di intervento sulle apparecchiature elettriche, è meno
probabile che il PTCP, invece, possa avere influenza. Cenni generali potrebbero essere
comunque introdotti in considerazione del fatto che certi dispositivi fanno parte delle
dotazioni standard del sistema abitativo e possono quindi rientrare nella logica di riduzione
dell’impatto sulle risorse non rinnovabili. In altre parole, può non aver senso distinguere tra
interventi volti alla realizzazione di abitazioni termicamente efficaci ed interventi finalizzati al
funzionamento energeticamente efficiente dell’intera gestione abitativa (includendo
l’illuminazione, la refrigerazione, ecc.).
E’ evidente che tale assunzione (che può essere estesa, ad esempio, anche al discorso
dell’efficienza dei mezzi di trasporto) si basa sul fatto che il PTCP esca da un ambito
localista (molto rivolto al concetto infrastrutturale) riguardo all’utilizzo delle risorse non
rinnovabili ed alla prevenzione dell’inquinamento, ma si apra ad un ambito globalista. Proprio
la questione energetica, di cui si parla molto proprio per le sue implicazioni globali, può
essere un elemento che porta verso questa direzione.
Anche per quanto riguarda il sistema delle infrastrutture industriali è probabilmente possibile
trovare delle opportunità di indicazioni all’interno del PTCP. Ciò in riferimento alla possibilità,
come vedremo, di considerare azioni di efficienza energetica o, più in generale, di definire un
programma strategico di miglioramento e tutela ambientale, non applicati a singole realtà
produttive, ma ad intere aree o distretti industriali.
6.1 Le attività produttive
Gli interventi di aumento dell’efficienza energetica del settore, dovrebbero trovare una giusta
collocazione all’interno di una politica locale di sollecitazione e premiazione di un
comportamento volontario delle imprese verso la difesa dell’ambiente.
Ciò deriva dalla consapevolezza che le imprese non debbano più fornire solo prodotti buoni
ed a basso costo, ma debbano spontaneamente rendere le loro tecnologie ed i loro metodi di
produzione compatibili con la salvaguardia delle risorse naturali e, in generale, dell’ambiente.
In effetti, si stanno creando le condizioni affinché l’uso efficiente delle risorse naturali, in
particolare di quelle energetiche, costituisca una condizione fondamentale di competitività. In
questa direzione spingono diversi fattori: normative comunitarie ed internazionali sempre più
severe a cui le imprese devono sottostare; la spinta delle popolazioni locali nelle quali è
cresciuta negli ultimi anni la sensibilità ambientale; il mutamento dei modelli di consumo, in
cui si afferma il valore di prodotti naturali ed eco-compatibili. In questa ottica l’utilizzo delle
risorse energetiche non dovrebbe essere considerato esterno agli interessi economici delle
imprese, ma dovrebbe rientrare direttamente con i suoi costi nel bilancio economico della
società.
L’attenzione specifica verso l’ambiente da parte delle imprese può trovare un punto di
riferimento nei sistemi di certificazione ambientale EMAS (Environmental Management and
Audit Scheme) ed ISO 14000.
Il sistema europeo EMAS, istituito nel 1993 con il regolamento 1836, si propone l’obiettivo di
favorire una riorganizzazione e razionalizzazione della gestione ambientale dell’azienda
mediante l’attuazione di alcuni compiti specifici.
Il sistema ISO ha molti punti di contatto con il sistema EMAS, tanto che le norme che
regolano l’adozione ed il controllo del sistema di gestione ambientale sostanzialmente
coincidono. Una differenza sostanziale sta nel fatto che il sistema di accreditamento ISO è
garantito da organismi costituiti sotto il controllo delle stesse imprese; secondo EMAS,
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invece, il sistema di accreditamento è posto sotto il controllo di organismi che trovano la loro
legittimazione da parte del potere pubblico.
Il settore industriale si è già dimostrato capace di affrontare in modo efficace la questione
dell’efficienza energetica quando, a seguito dei primi shock petroliferi, il problema del costo
dell’energia si è imposto con forza.
Per l’effetto dei prezzi, i recuperi di efficienza energetica negli anni ’80 sono stati significativi.
Negli anni ’90, invece, la riduzione dei prezzi dell’energia, legata in particolare al calo dei
prezzi del petrolio all’inizio del decennio, ha fatto registrare un sostanziale rallentamento dei
recuperi di efficienza energetica.
Oggi si può affermare che la necessità di riprendere la strada del risparmio energetico è
dettata non tanto dall’emergenza economica (a meno di un continuo incremento del prezzo
del petrolio come avvenuto negli ultimi mesi), quanto piuttosto dall’emergenza ambientale.
Questo passaggio pone una questione fondamentale per chi, come un’Amministrazione
pubblica, si pone l’obiettivo di intervenire per indirizzare e/o gestire il problema del risparmio
energetico nell’industria. Infatti, il passaggio dall’emergenza economica a quella ambientale
comporta il cambiamento dell’oggetto beneficiario degli interventi. Se prima questo era
rappresentato essenzialmente dall’azienda stessa, ora è rappresentato dalla collettività. In
altri termini, le motivazioni per investire in tecnologie di risparmio energetico, necessarie al
benessere futuro della collettività, non possono dipendere dalla sola analisi costi-benefici
dell’investimento tecnologico, ma devono essere supportate da misure legislative di più
ampio respiro. In questa ottica la misura dell’efficacia degli interventi di risparmio energetico
deve tenere conto prioritariamente dei vantaggi di tipo energetico ed ambientale e, in
secondo luogo, di quelli economici.
Il tipico strumento di intervento dell’Ente pubblico nel settore industriale è rappresentato
dall’articolo 10 della Legge 10/91(Contributi per il contenimento dei consumi energetici nel
settore industriale, artigianale e terziario), che prevede contributi in conto capitale fino al 30%
della spesa ammissibile preventivata per realizzare o modificare impianti fissi, sistemi o
componenti, nonché mezzi per il trasporto fluviale. Ammessi al contributo impianti fino a
10MWt o fino a 3 MWe relativi ai servizi generali e/o al ciclo produttivo che conseguano un
risparmio di energia attraverso l’utilizzo di FER e/o un miglior rendimento di macchine e
apparecchiature e/o la sostituzione di idrocarburi con altri combustibili.
Se questo strumento, fatte salve le disponibilità finanziarie, è sempre valido, è pur vero che
oggi la Provincia può avvalersi di altre possibilità gestionali.
Se si considera la tipica dimensione delle aziende della Provincia, è presumibile che queste
non abbiano al proprio interno ne’ la cultura ne’ le risorse per affrontare concretamente il
tema dell’efficienza energetica. Se l'attività di diagnostica è una prassi ormai diffusa presso
le aziende di grandi dimensioni, non lo è altrettanto nel settore della medio/piccola
imprenditoria. Infatti, mentre nelle aziende più grandi l’energia è competenza di una figura
ben individuabile, spesso l’"energy manager", nelle piccole le responsabilità tecniche ed
amministrative confluiscono in genere in un'unica persona, per la quale l’energia, non
costituisce generalmente un problema stringente.
La Provincia può attivare delle iniziative, ad esempio attraverso un cofinanziamento delle
spese di consulenza, per consentire alle suddette imprese di analizzare le differenti ipotesi di
risparmio energetico, primariamente attraverso l’esecuzione di energy-audit, e di
miglioramento del processo produttivo (in particolare dove il discorso consumi e spese
energetiche assuma un peso rilevante).
Oppure potrebbe incaricarsi direttamente della formazione e del riconoscimento di particolari
figure professionali che assumano il ruolo di consulenti aziendali per assistere le piccole
imprese all’adozione delle migliori tecnologie o alla gestione efficiente del ciclo produttivo.
L’adesione, da parte delle imprese, di particolari iniziative volte al risparmio energetico
dovrebbe comportare dei benefici da un punto di vista fiscale, come pure dovrebbe risultare
un elemento di merito per quanto riguarda eventuali stanziamenti di fondi.
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Le azioni di intervento sull’efficienza energetica potrebbero essere inserite all’interno del
contesto già collaudato delle certificazioni ambientali (EMAS ed ISO) che dovrebbero a loro
volta essere incentivate.
Un altro aspetto importante da considerare riguarda la possibilità di considerare azioni di
efficienza energetica o, più in generale, di tutela ambientale, non applicate a singole realtà
produttive, ma ad intere aree o distretti industriali.
La provincia può promuovere, congiuntamente ad altri enti (associazioni industriali,
ambientaliste, enti locali, ecc.) iniziative volte a definire un programma strategico di
miglioramento ambientale di un’intera area industriale. La concentrazione in un territorio di
imprese, ad esempio con cicli tecnici omogenei e collegate in filiera, è una condizione che
favorisce la condivisione di problematiche comuni e l’individuazione delle soluzioni d’insieme
più idonee. Inoltre, il radicamento locale e la vicinanza alle istituzioni (pubbliche, associative,
consortili) è un ulteriore fattore che può migliorare l’implementazione volontaria di decisioni
collettivamente vincolanti e la realizzazione e gestione di infrastrutture comuni. Per quanto
riguarda il tema specifico, un caso interessante potrebbe riguardare l’adozione di servizi
energetici comuni, in un’ottica ambientale ed economica.
In questa ottica è auspicabile che le stesse imprese energetiche diventino dei soggetti di
riferimento per l’applicazione di programmi di DSM nei settori dove le possibilità di
applicazione di tali programmi risultano usualmente elevate.
I cambiamenti strutturali ed istituzionali che stanno investendo i settori energetici, con la
diffusione dei processi di liberalizzazione e di nuova tariffazione, dovrebbero in qualche
modo incentivare anche la riflessione sulla razionalità, le finalità, gli strumenti e gli obiettivi
dei programmi di controllo e gestione della domanda di energia. Secondo l’Autorità per
l’energia elettrica e il gas, il nuovo ordinamento tariffario per l’energia elettrica introduce
importanti stimoli per le imprese distributrici alla promozione dell’uso efficiente delle risorse
negli usi finali mediante programmi di Demand Side Management (DSM). Uno di questi
consiste nel fatto che l’Autorità assicura la possibilità per gli esercenti di recuperare,
attraverso il meccanismo tariffario, i costi riconosciuti per interventi volti al controllo ed alla
gestione della domanda, in quanto tali costi costituiscono costi sostenuti nell’interesse
generale.
I programmi di DSM si esplicano in attività volte ad incrementare l’efficienza energetica negli
usi finali (ovvero il risparmio di energia a parità di servizio reso all’utente), ma concorrono
anche a rimodulare il profilo temporale dei consumi in modo da ottimizzare la curva di carico
del sistema attraverso la gestione, da parte delle imprese stesse, dei picchi di potenza
impegnata nel corso della giornata o dell’anno e stimolare sostituzioni ottimali fra fonti
energetiche da parte del consumatore.
Tale ipotesi dovrebbe essere favorita anche dall’attuale assetto del mercato dell’energia, che
sta favorendo la formazione di consorzi industriali per l’ottenimento “dell’idoneità”.
Per quanto riguarda l’energia elettrica, In base al decreto Bersani gli utenti che possono
acquistare elettricità si dividono in:
- clienti vincolati che devono acquistare alle tariffe stabilite dall'Autorità;
- clienti idonei che invece hanno la facoltà di scegliere liberamente il proprio fornitore per
definire un contratto d'acquisto.
Il requisito fondamentale per accedere all'eligibilità è il raggiungimento di una soglia di
consumo che, dal primo maggio 2003, è diminuita da 9 GWh/anno a 0,1 GWh/anno per sito
di consumo (delibera AEEG 20/03).
E' anche prevista la possibilità di accedere all'idoneità per i consorzi, con la stessa soglia, e
per le società multisito nazionali che arrivino ai 40 GWh/anno, purché ogni sito di consumo
presenti un prelievo annuo di almeno 1 GWh.
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Con l’attivazione della borsa dell'energia i clienti idonei avranno la facoltà di operare
direttamente in borsa (ipotesi applicabile in pratica solo ai grandissimi utenti), o di continuare
a rifornirsi di energia da grossisti e/o da produttori tramite contratti bilaterali, come previsto
attualmente.
L'Unione Europea ha inoltre approvato, in data 4 giugno 2003, un pacchetto normativo che
prevede che a decorrere dal 1 Luglio 2004 verranno rese libere tutte le imprese, grandi o
piccole, e che a decorrere dal 1 Luglio 2007 tutti gli utenti potranno scegliere liberamente il
gestore da cui rifornirsi con conseguente apertura totale del mercato.
L'Autorità per l'energia elettrica e il gas, con la suddetta delibera, ha inoltre semplificato le
procedure per i nuovi clienti finali con consumi superiori a 100.000 kWh che vogliano
accedere al mercato libero dell'elettricità.
È stato disposto l'obbligo per i distributori di trasmettere all'Autorità l'elenco dei clienti finali
idonei allacciati alle proprie reti i cui prelievi nell'anno 2002 sono risultati superiori a 100.000
kWh.
Inoltre l'Autorità ha disposto che gli stessi distributori informino i clienti finali allacciati alle
proprie reti, i cui prelievi nell’anno solare 2002 siano risultati superiori a 0,1 GWh, che:
ƒ
possono stipulare contratti di acquisto di energia elettrica con soggetti diversi dallo stesso
distributore;
ƒ
hanno diritto ad esercitare la facoltà di recesso di cui all’articolo 2 della deliberazione
dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas n. 158/99.
I clienti finali idonei che non compaiono nell’elenco trasmesso dai distributori sono inseriti
mediante autocertificazione resa all’Autorità, con la quale attestano di essere in possesso dei
requisiti di cui all’articolo 14, comma 5-bis, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79.
In precedenza era necessaria l'iscrizione in un apposito elenco pubblicato sul sito
dell'Autorità. Per motivi di trasparenza del mercato e a fini informativi, l'Autorità continuerà a
pubblicare un elenco dei clienti idonei sulla base dei dati che saranno forniti dai distributori o
mediante autocertificazione resa all'Autorità. Ogni cliente finale potrà decidere se apparirvi o
meno. L'Autorità accerta la sussistenza dei requisiti di idoneità, anche in base alle
dichiarazioni dei distributori relative ai prelievi di elettricità.
Procedure di riconoscimento e iscrizione negli elenchi restano obbligatorie per i distributori, i
grossisti e i clienti esteri. Inoltre, verranno pubblicati un elenco dei consorzi e delle società
consortili e un elenco dei produttori.
Ai fini di assicurare all'Autorità le informazioni necessarie a seguire lo sviluppo del mercato
libero nel contesto del mercato nazionale dell'energia elettrica, rimangono gli obblighi di
informazione per distributori, grossisti, clienti esteri e autoproduttori e vengono introdotti
doveri di informazione per i consorzi e società consortili e per i produttori.
Quanto la liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica (lo stesso vale per il gas
naturale, il cui mercato è già libero per tutti gli utenti finali) possa favorire azioni di risparmio
energetico, non è facile dirlo. Sicuramente lo scopo dell’apertura del mercato è stato di tipo
essenzialmente economico. Ciò non toglie che la necessità di razionalizzare, ad esempio, le
potenze elettriche impegnate al fine di ottenere, da parte del fornitore, degli opportuni
vantaggi di tipo economico, possa portare anche ad una generale razionalizzazione del
processo produttivo con implicazioni anche sul consumo energetico.
Affinché la potenziale razionalizzazione energetica si attualizzi nell’ambito della
liberalizzazione del mercato risulta opportuno che si incentivino le attività di DSM di cui si è
parlato precedentemente. In tale ottica, la Provincia potrebbe porsi come interlocutore,
attraverso le associazioni di categoria, affinché le utilities energetiche si facciano promotrici
di interventi di risparmio energetico presso aziende singole o in determinate aree industriali.
proponendosi non solo come venditori di energia ma, più in generale, come fornitori di servizi
energetici.
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6.2 Il settore civile
Il ricorso esteso alle fonti rinnovabili di energia e ad interventi di uso razionale dell’energia,
se può offrire nelle singole applicazioni opzioni interessanti e competitive, appare una scelta
obbligata di indirizzo strategico se inserito nella limitatezza obiettiva delle risorse, di impatto
ambientale, di sviluppo sostenibile e miglioramento della qualità della vita.
Il settore edilizio, sia perché obiettivamente interessante sotto l’aspetto dell’entità del
fabbisogno energetico, sia per la varietà e la capillarità dei possibili interventi che
presuppongono un coinvolgimento e un adeguato approccio da parte sia dell’operatore che
dell’utente, rappresenta un campo di applicazioni in cui sarà possibile favorire una svolta
nell’uso appropriato delle tecnologie energetiche.
Due sono gli orientamenti dell’azione a carico dell’Amministrazione Provinciale:
ƒ
ƒ
Sensibilizzazione, promozione e incentivazione al risparmio di fonti fossili tradizionali tra
gli utenti privati
Azioni sugli edifici pubblici o di uso pubblico di proprietà comunale
6.2.1 Edilizia privata
Il settore dell’edilizia privata, sia residenziale che terziaria, ha in generale un potenziale di
riqualificazione energetica molto elevato.
Il termine riqualificazione va riferito soprattutto all’aspetto riguardante la riduzione dei
consumi per quanto riguarda il patrimonio edilizio esistente e i migliori criteri di progettazione,
in grado di ottimizzare le relazioni energetiche con l’ambiente circostante, per quanto
riguarda il nuovo costruito.
L’orientamento generale che il piano d’indirizzo vuole seguire nel contesto del settore civile,
coinvolgendo i cosiddetti interessi diffusi, si basa sul concetto delle migliori “opportunità
tecnologiche di efficientizzazione” legate alla produzione e distribuzione di energia per usi
termici ed elettrici, sia in termini di contenimento della domanda che in termini di
miglioramento dei processi di conversione e distribuzione dell’energia.
In base a tale concetto, ogni qual volta sia necessario procedere verso installazioni ex novo
oppure verso retrofit o sostituzioni, ci si deve orientare ad utilizzare ciò che di meglio, da un
punto di vista di sostenibilità energetica, il mercato può offrire.
Tale concetto mette in secondo piano il concetto della sostituzione forzata o incentivata,
mentre vuole stabilire delle condizioni affinché il ricambio naturale di per sé sia sufficiente a
fornire un contributo significativo verso una maggiore efficienza energetica.
Questo principio è strettamente legato al tempo di vita utile degli apparecchi generalmente
impiegati in ambito civile, dove per apparecchi si intende tutto ciò che è relazionato
all’energia (dalla lampada alle pareti di un’abitazione): tanto più il tempo di vita utile è breve,
tanto più facilmente potrà trovare applicazione.
Un eventuale sistema di incentivazione (ad esempio di rottamazione) dovrà trovare la sua
appropriata collocazione all’interno del suddetto principio.
L’idea alla base dell’orientamento proposto è che ogni qual volta un apparecchio viene
sostituito da un altro apparecchio che non presenta degli standard massimi di efficienza
(rispetto a ciò che il mercato può offrire), il potenziale di miglioramento viene bloccato in
attesa di una nuova sostituzione.
Ciò è evidente, ad esempio, nel caso degli elettrodomestici in cui, pur potendo disporre di
apparecchi ad alta efficienza, il mercato continua a proporre soluzioni energeticamente
superate.
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Sono tre gli ambiti di intervento verso cui si dovranno indirizzare gli strumenti attivabili dalla
provincia per l’implementazione e la diffusione delle tecnologie efficienti:
− l’utenza finale (gli acquirenti);
− i progettisti, i costruttori, gli installatori ed i manutentori;
− le utilities energetiche;
Va prioritariamente sottolineato il fatto che una parte consistente della riduzione dei consumi
è legata ad un comportamento corretto degli utenti (verifica della temperatura interna,
corretto uso delle apparecchiature, ecc.): è importante allora che l’amministrazione locale si
impegni prioritariamente in un’azione di “educazione al risparmio” attraverso campagne di
sensibilizzazione capillari per stimolare comportamenti energeticamente efficienti nei vari
settori di attività: seminari nelle scuole, workshop, concorsi, mostre, corsi per i propri
dipendenti, ecc.)
Le amministrazioni locali hanno in ogni caso un ruolo privilegiato di riferimento di
informazione e dovranno dunque farsi carico di campagne mirate a far conoscere le
tecnologie ad alta efficienza e promozione dei possibili risultati ottenibili in termini economici
(opuscoli disponibili al pubblico, sportelli di informazione aperti al pubblico ove l’utente possa
essere aggiornato sulle tecnologie disponibili – in particolare tramite mezzi informatici
multimediali-). In tale ambito dovrebbe essere inclusa la formazione del personale che nella
stessa amministrazione ha un compito decisionale o operativo rispetto alla efficienza
energetica degli edifici, degli impianti e dei dispositivi.
La sensibilizzazione dell’utenza deve essere differenziata a seconda della classe
merceologica di appartenenza (residenziale o terziario, ecc.).
Tali informazioni dovrebbero essere accessibili a tutti gli utenti privati e l’Amministrazione si
deve far carico delle spese per far giungere tali informazioni a tutti i cittadini, coinvolgendo
anche e soprattutto le associazioni dei consumatori.
Una iniziativa promossa negli interessi dell’utente non deve essere letta come una ulteriore
spesa che l’utente deve affrontare senza vederne la necessità. E’ proprio questo ultimo
aspetto che deve essere la linea guida per tutte le campagne di promozione, diffusione e
incentivazione che l’Amministrazione locale deve svolgere.
I passi per l’attuazione di una campagna informativa possono essere descritti nelle fasi
seguenti:
1. Predisporre materiale informativo sulle potenzialità di risparmio sulle bollette energetiche,
costi di investimento, tempi di ritorno, difficoltà tecniche, regole generali per valutazioni di
massima da distribuire attraverso canali associativi ai potenziali utenti.
2. Predisporre attività di formazione dei tecnici: bollettini informativi tecnici, corsi, seminari,
borse di studio.
3. Rendere disponibili strumenti di valutazione (procedure standard, software di
certificazione).
4. Coinvolgere i produttori, ma primariamente i rivenditori (adeguatamente preparati anche
sugli aspetti tecnologici dei prodotti), per portare argomenti convincenti a sostegno del
prodotto energeticamente più efficiente. Dalla partecipazione alla campagna il rivenditore
potrà trarre una pubblicità specifica condotta dall’ente promotore.
Positivi possono essere anche le ricadute occupazionali. L’organizzazione della campagna di
diffusione richiede l’allestimento di uno staff multi/disciplinare (tecnici, pubblicitari,
economisti, giornalisti, accademici) che può indurre qualche marginale effetto di ricaduta
occupazionale. Gli effetti occupazionali derivanti invece dall’innesco delle tecnologie/tecniche
proposte mostrerebbe ben altre potenzialità di generazione di lavoro. Ad esempio la
realizzazione di interventi di retrofit su edifici esistenti può sicuramente generare un
incremento occupazionale nel settore edilizio.
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L’amministrazione locale può impegnarsi inoltre a far conoscere gli eventuali canali e
modalità per poter accedere a incentivi eventualmente già previsti dalla legge. Sarebbe
opportuna la creazione di una campagna informativa che preveda anche l’istituzione di
sportelli di consulenza e supporto diretto cui il privato possa far riferimento nel momento in
cui decide di operare un intervento. In questo modo potrebbero essere velocizzati ed
alleggeriti iter burocratici troppo lunghi e onerosi, che spesso agiscono da deterrente nei
confronti di tali opportunità.
In questo contesto, ricordiamo che la normativa italiana vigente e le più recenti emanazioni
(la legge 10/91, i successivi decreti di attuazione, in particolare il DPR 412/93 e
l’aggiornamento - DPR 551/99), hanno trasformato i più recenti criteri tecnici per l’uso
razionale dell’energia in disposizioni alle quali tutti devono attenersi in ogni caso
nell’eventualità di ristrutturazioni o installazioni ex-novo, definendo anche possibilità di
agevolazioni ed incentivi nel caso di interventi mirati.
Non ultimo è l’impegno che l’amministrazione ha nell’attivare risorse finanziarie (pubbliche o
private) per interventi a favore del risparmio. In tal caso è fruttuosa la collaborazione tra
realtà comunali, regionali, nazionali e comunitarie e con le associazioni di produttori o
distributori, con le Aziende elettriche o del gas.
La Provincia dovrà dunque impegnarsi nell’organizzazione di campagne di incentivazione:
9 coinvolgendo progettisti, costruttori, installatori e manutentori, attraverso le proprie
associazioni
di
categoria,
nell’attivazione/promozione
di
particolari
procedure/tecniche/prodotti. In particolare, il ruolo degli installatori degli impianti si
esplicherà in un loro coinvolgimento nel portare argomenti convincenti a sostegno dei
prodotti energeticamente più efficienti.
9 attivando i produttori per promuovere la consulenza attenta degli utenti e una
riduzione dei prezzi (considerando eventuali iniziative di procurement)
9 istituendo tavoli di lavoro con i rivenditori per concordare un loro coinvolgimento in
eventuali azioni di incentivo all’acquisto di apparecchiature o materiali ad alta
efficienza
9 costituendo un fondo (con finanziamenti in conto capitale o eventualmente tipo Third
Party Financing, con recupero del prestito con tassi di interesse minimi) per interventi
di risparmio (dall’acquisto del frigorifero domestico, all’installazione di dimmer in un
ufficio) e indagine-consulenza sul risparmio (ad esempio con energy audit nel
terziario). In tale ambito potrebbero articolarsi sia gare rivolte ai Comuni, sia
finanziamenti direttamente a favore dei privati.
9 cercando le modalità affinché Il ruolo delle utilities energetiche sia ri-orientato da
semplice fornitore di un vettore energetico a fornitore di servizi energetici, superando
l’evidente contraddizione tra l’interesse a vendere e l’incentivo al risparmio. I servizi
energetici e non l’energia (il mc di gas o il kWh elettrico) devono essere forniti con il
minor danno possibile per la salute e l’ambiente ed al più basso costo possibile; in
questo senso l’energia non è più il prodotto finale, ma soltanto un prodotto intermedio;
Come già più volte descritto nei capitoli precedenti, attualmente sta maturando un’ulteriore
possibilità affinché le utilities possano assumere un ruolo anche verso il risparmio
energetico. Il Decreto del Ministero dell’Industria del 24 aprile 2001 (“Individuazione degli
obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico e sviluppo delle fonti rinnovabili di cui
all’art. 16, comma 4, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164”) impone ai distributori di
gas ed energia elettrica l’obbligo di attivare azioni di risparmio presso l’utenza finale secondo
scaglioni quantitativi ben definiti.
La provincia dovrà mettere in atto delle opportune azioni di concertazione affinché si possa
approfittare di questa possibilità per gli scopi desiderati, orientando l’azione delle utilities su
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progetti specifici. Punto di partenza delle azioni di concertazione sono gli incontri di
partecipazione delineati in 2.1.5.
Nell’ambito dell’attivazione di risorse finanziarie potrebbe, risultare particolarmente efficace,
la costituzione di veri e propri consorzi finanziari/tecnologici (ESCO-sistemi di finanziamento
tramite terzi) in cui le aziende energetiche siano coinvolte in prima istanza. La possibilità,
predisposta dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, di recupero, tramite la tariffa, degli
36
investimenti effettuati dall’azienda va considerata con estremo interesse soprattutto per
quanto riguarda la promozione di grossi interventi di retrofit (in particolare nei grossi
complessi terziari) o interventi sugli impianti o ancora la sostituzione di fonti tradizionali con
fonti rinnovabili o comunque meno impattanti o l’introduzione di sistemi solari
termici/fotovoltaici, nonché la realizzazione di progetti pilota prioritariamente sul patrimonio
pubblico.
Si sottolinea che al momento l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas ha approvato, con la
Delibera 234/02, 8 schede tecniche per la quantificazione dei risparmi di energia primaria
relativi agli interventi da realizzare nell’ambito dei decreti ministeriali 24 aprile 2001.
Gli interventi analizzati fanno tutti riferimento al settore degli usi civili e corrispondono a:
- sostituzione di lampade ad incandescenza con lampade fluorescenti compatte con
alimentatore incorporato;
- sostituzione di scaldacqua elettrico con scaldacqua a metano a camera stagna e
accensione piezoelettrica;
- nuova installazione di caldaia unifamiliare a 4 stelle di efficienza alimentata a gas
naturale;
- sostituzione di scaldacqua a gas, a camera aperta e fiamma pilota con scaldacqua a gas,
a camera stagna e accensione piezoelettrica;
- sostituzione di vetri semplici con doppi vetri;
- isolamento delle pareti e delle coperture;
- impiego di impianti fotovoltaici di potenza elettrica inferiore a 20 kW;
- impiego di collettori solari per la produzione di acqua calda sanitaria.
Nel documento di consultazione emesso il 16 gennaio 2003, tra le 10 schede tecniche
proposte quelle che fanno riferimento al settore qui considerato sono:
- installazione di pompe di calore elettriche ad aria esterna in edifici di nuova costruzione o
ristrutturati in luogo di caldaie a gas;
- impianti di cogenerazione con potenza unitaria per modulo maggiore di 0,5 MWe;
- impianti di cogenerazione di potenza medio/bassa;
- sostituzione di frigoriferi, frigo-congelatori, congelatori, lavabiancheria, lavastoviglie, con
prodotti analoghi a più alta efficienza;
- erogatori per doccia a basso flusso;
- rompigetto areati per rubinetti.
Chiaramente, per l’attivazione di azioni di sensibilizzazione, promozione, incentivazioni, così
come descritte precedentemente, è opportuno che l’Amministrazione locale si concentri
prioritariamente su quelle tecnologie ad oggi più mature e per le quali la consapevolezza
degli utenti stia aumentando significativamente, in modo da avere garanzia di ricadute più
rapide e concrete.
36
I problemi di sicurezza che spesso si incontrano nel momento di adottare un impianto per la produzione di ACS
(Acqua Calda Sanitaria) con gas potrebbero essere affrontati in maniera congiunta tra comune e azienda
energetica, mentre attualmente vengono lasciati interamente a carico dell’utente o del proprietario dell’immobile.
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Ad esempio, campagne concretamente realizzabili, anche perché non comportano vincoli
commerciali e generalmente sono caratterizzata da un ottimo livello di accettabilità da parte
di utenti e operatori, risultano:
- la sostituzione dei vetri singoli con i doppi vetri;
- la diffusione e l’incentivazione degli interventi di coibentazione delle coperture nel caso di
ristrutturazione degli edifici;
- la sostituzione di caldaie obsolete nell’ambito delle attività istituzionali ex DPR 412/93 e
DPR 551/99;
- la diffusione delle tecnologie e tecniche di raffrescamento passivo principalmente nei
grossi complessi terziari (banche, assicurazioni, centri commerciali).
In questo senso, una amministrazione comunale può, da parte sua, prevedere agevolazioni
nei confronti di chi decide di intervenire, per esempio permettendo di usufruire dell’aliquota
ICI ridotta ed esonerando dal pagamento della tassa per l’occupazione del suolo pubblico.
Per quanto riguarda invece le apparecchiature elettriche ed elettroniche, gli interventi nel
settore dell’illuminazione domestica rappresentano un campo di estremo interesse, in
particolare campagne per la sostituzione di lampade a incandescenza con lampade
fluorescenti compatte ad alimentazione elettronica possono risultare quelle più naturali ed
efficaci. Interventi ad ampia scala sull’intera utenza provinciale e comunale sono certamente
realizzabili e rappresentano un modo assolutamente indicato per contenere i consumi.
Peraltro interventi sull’illuminazione domestica aiutano ad abbassare il picco di carico
(mattutino e serale) invernale che spesso risulta un costo non indifferente per le aziende
elettriche.
Anche nel caso delle apparecchiature elettroniche il tempo di sostituzione è ragionevolmente
rapido (per lo meno nei settori terziario e industria), per cui l’attivazione di opportune politiche
rivolte al risparmio può avere interessanti ricadute.
Infine, un ruolo di rilievo che un’Amministrazione locale può svolgere consiste nell’attivazione
di strumenti normativi, di consulenza e di verifica della qualità energetica degli edifici e delle
apparecchiature installate:
9 integrazione di requisiti prestazionali sul lato energetico nelle norme tecniche di
attuazione del regolamento edilizio,
9 certificazione edilizia,
9 attivazione di un servizio di consulenza per interventi di retrofit (in particolare grossi
complessi residenziali e grosse utenze private), che consenta la stesura di capitolati
prestazionali che forzino la ditta esecutrice dei lavori all’adozione delle tecnologie ad
alta efficienza.
9 attuazione degli adempimenti previsti dalla legge 10/91 e dal DPR 412/93 in tema di
progettazione, installazione, esercizio e manutenzione degli impianti termici degli
edifici, effettuando la gestione, attraverso verificatori adeguatamente formati e
coinvolgendo le associazioni di categoria interessate, dei controlli inerenti l’esercizio
degli impianti di riscaldamento.
Un campo su cui intervenire, per esempio, in questo contesto, riguarda le prescrizioni o
raccomandazioni sugli edifici che fissino criteri generali tecnico-costruttivi, tipologici ed
impiantistici idonei a facilitare e valorizzare l’impiego di fonti energetiche rinnovabili ed
assimilate per il riscaldamento, il raffrescamento, la produzione di acqua calda sanitaria,
l’illuminazione, la dotazione di apparecchiature elettriche degli edifici in relazione alla loro
destinazione d’uso e in stretto rapporto con il tessuto urbano e territoriale circostante.
Tali linee guida hanno, tra gli obiettivi strategici, la diminuzione delle potenze installate
assolute e specifiche (kW/m2), dei consumi energetici assoluti e specifici (kWh/m2/anno) e di
conseguenza la riduzione delle emissioni in atmosfera a parità o migliorando il servizio reso.
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In generale, gli elementi da considerare nelle linee guida possono essere riassunti come di
seguito riportato:
ƒ diminuzione dell'effetto “isola di calore” con interventi sull’albedo e uso del verde;
ƒ valorizzazione delle fonti energetiche rinnovabili nelle diverse tipologie edilizie (si vedano
le indicazioni riguardanti la fonte solare termica);
ƒ interventi sugli involucri;
ƒ interventi sugli impianti per il raffrescamento/riscaldamento ambientale;
ƒ valorizzazione dell’illuminazione naturale;
ƒ interventi sulle apparecchiature elettriche.
Tali linee guida dovrebbero essere riferite essenzialmente agli edifici di nuova costruzione
ma anche a quelli sottoposti ad opere di ristrutturazione ed incluse ad integrazione delle
Norme Tecniche nella stesura del Regolamento Edilizio.
È di fondamentale importanza, inoltre che la Provincia si attivi per l’incentivazione dello
strumento della certificazione energetica degli edifici.
Il DLgs 112/98 all’articolo 30 conferisce alle Regioni le funzioni stabilite all’articolo 30 della L.
10/91 e riguardanti la certificazione energetica degli edifici. In base a tale articolo la Regione
deve emanare le norme per la certificazione energetica degli edifici, individuando i soggetti
abilitati alla certificazione stessa.
L’obiettivo della procedura è quello di incentivare l’adozione di soluzioni che permettano
l’introduzione di interventi sui componenti edilizi e sugli impianti, in modo tale da ridurre il
consumo di energia.
Ad ogni edificio sarà assegnato un valore energetico in termini di consumi specifici (kW/m2;
kWh/m2) e relativo punteggio di merito (energy saving);
La diffusione del “certificato energetico” deve permettere al proprietario o locatario
dell’edificio di ottenere benefici economici derivanti dagli interventi di risparmio energetico
che ne possono essere associati, oltre eventualmente a poter scontare benefici sugli oneri di
urbanizzazione per gli edifici di nuova costruzione.
Si possono prevedere misure di incentivazione economica per l’utenza privata che effettua la
certificazione dell’edificio. Si dovrebbero fornire indicazioni ai Comuni affinché si preveda, ad
esempio, la riduzione di una certa percentuale dell’ICI per le abitazioni con fabbisogni
specifici certificati inferiori ad una certa soglia media, oppure riduzioni su altre tariffe
comunali (rifiuti, acqua, gas).
La certificazione energetica è spesso utilizzata come marchio di qualità dell’edificio anche al
di fuori di canali di finanziamento pubblico. Essa può essere pertanto un valido strumento di
controllo sulla sostenibilità degli edifici realizzati nonché di sensibilizzazione del mercato, e
quindi dei cittadini, ai temi del risparmio energetico.
E’ chiaro che la certificazione si conclude nel momento in cui viene fotografato
energeticamente l’edificio, senza necessariamente fornire indicazioni sugli interventi di
risparmio energetico. Diverso è il caso della diagnosi energetica (energy audit), che si pone
invece l’obiettivo di capire in che modo l’energia viene utilizzata, quali sono le cause di
eventuali sprechi e quali interventi possono essere suggeriti all’utente. Se la certificazione è
un’attività obbligatoria, la diagnosi deve essere incentivata su scala volontaria. Dall’altra
parte è anche vero che una buona azione di sensibilizzazione sull’utilità della certificazione
non può che favorire la diffusione della diagnosi energetica degli edifici.
Nel contesto generale descritto si colloca anche la creazione di una agenzia provinciale per
l’energia37. Si ritiene che un’agenzia a livello regionale possa essere utile per fornire supporto
a livello dell’intero territorio, eventualmente con l’attivazione di sportelli di consulenza locali
per il pubblico.
37
Vedi par. 2.2.1
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6.2.2 Edilizia pubblica
Gli edifici di proprietà pubblica rappresentano un settore di rilievo nel quale è necessario
concentrare gli sforzi per l’aumento dell’efficienza energetica.
Le azioni che un’amministrazione pubblica attua sul proprio patrimonio hanno un doppio
obiettivo: oltre ad apportare benefici diretti per quanto riguarda il risparmio energetico, sono
da considerarsi come azioni dimostrative che agiscono come stimolo per il settore privato.
Si dovranno innanzitutto considerare con attenzione le disposizioni di legge che obbligano le
amministrazioni pubbliche a sviluppare e realizzare progetti legati all’utilizzo delle fonti
rinnovabili e assimilate negli edifici pubblici o di uso pubblico, come ad esempio l’articolo 5,
comma 15, 16 e 17 del DPR 412/93 in attuazione dell’articolo 4, comma 4 della legge 10/91.
Queste ultime norme impongono, per gli edifici di proprietà pubblica o di uso pubblico, di
soddisfare il fabbisogno energetico favorendo il ricorso alle fonti rinnovabili o assimilate,
salvo impedimenti di natura tecnica o economica. Tali impedimenti devono comunque essere
evidenziati nel progetto o nella relazione tecnica dell’impianto termico, riportando le
specifiche valutazioni che hanno determinato la non applicabilità delle fonti rinnovabili o
assimilate. Inoltre, l’utilizzo delle fonti rinnovabili sul patrimonio pubblico, diventa obbligatorio
se il tempo di ritorno dell’investimento non è superiore a dieci anni38.
Nell’ambito della gestione degli impianti e dell’acquisto di impianti elettrici ed
apparecchiature, si dovrà ricorrere all’elaborazione di capitolati prestazionali contenenti gli
indici di qualità energetico/ambientale cui progettista e costruttore dovranno attenersi e che
mettano come primo punto la prestazione di un servizio più che la vendita di un prodotto.
Per quanto riguarda i dati sui consumi di energia è importante che la Provincia concentri in
un unico ufficio la rendicontazione di questi dati distinguendoli in relazione alle destinazioni
funzionali degli edifici. In questo modo sarà possibile tenere sotto controllo questi consumi,
effettuare previsioni nel tempo, monitorare le riduzioni a seguito degli interventi previsti.
Per un controllo integrato del patrimonio pubblico, azione prioritaria dovrebbe essere una
attenta analisi conoscitiva, in grado di fornire un quadro sufficientemente dettagliato del
parco edilizio pubblico. Tale azione rappresenta un elemento importante per pianificare
interventi di manutenzione straordinaria, sia sugli edifici che sugli impianti, che considerino
anche azioni finalizzate al risparmio energetico.
Lo strumento realizzativo dell’azione è rappresentato da una banca dati che consenta di
gestire un censimento degli edifici finalizzato al monitoraggio dei consumi energetici ed alla
elaborazione di linee di intervento sul parco edilizio.
Oltre a fornire una chiara visione sulle incidenze dei consumi energetici rilevabili nelle
diverse proprietà, l’articolazione della banca dati si avvarrà di alcune procedure per
l’individuazione di indici della qualità energetico/prestazionale degli edifici. La gestione dei
risultati delle elaborazioni contenute nel database potrà configurare alcune ipotesi prioritarie
sulle strategie di riqualificazione del parco edilizio.
La Provincia dovrà provvedere quindi a programmare una apposita campagna di audit
energetici sugli edifici pubblici che presentano le prestazioni energetiche più scadenti.
Gli audit energetici e gli interventi di aumento di efficienza conseguenti, potrebbero essere
finanziati attraverso un fondo alimentato dagli introiti derivanti dal risparmio energetico
stesso. Gli stessi capitolati prestazionali potrebbero prevedere gli interventi citati.
La Provincia attualmente dispone del servizio energia fornito dalla CONSIP SpA (nell'ambito
delle attività per la razionalizzazione della spesa per beni e servizi della Pubblica
Amministrazione che la CONSIP svolge su mandato del Ministero dell'Economia e delle
Finanze). Il servizio energia ha per scopo quello di ottimizzare la resa degli impianti, secondo
quanto indicato dal DPR 412/93, per abbassare sia i costi che l'impatto ambientale e
38
Per un comune con meno di 50.000 abitanti tale periodo si riduce a otto anni.
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consiste nell'assicurare, da parte del fornitore, all'interno degli edifici la temperatura stabilita
dall'Amministrazione per un periodo di cinque anni.
La tariffa è legata al tipo di combustibile, ai gradi giorno, alle ore di erogazione nonché alla
volumetria riscaldata degli immobili per i quali si richiede la fornitura del servizio.
Nel corrispettivo, oltre alla fornitura del combustibile, sono inclusi la manutenzione ordinaria
e straordinaria degli impianti termici, nonché la loro eventuale innovazione tecnologica. Infatti
il fornitore può proporre, senza oneri aggiuntivi per l’Amministrazione, di modificare o
sostituire l'impianto preso in gestione presentando un piano di adeguamento che deve
essere sottoposto all'approvazione dell'Amministrazione stessa. La Convenzione, inoltre,
incentiva il fornitore a provvedere alla trasformazione degli impianti da gasolio (più in
generale da combustibile liquido) a metano, applicando alla tariffa relativa agli impianti a
metano un incremento pari al 20% della differenza tra la tariffa prevista per gli impianti a
gasolio e quella prevista per gli impianti a metano.
La provincia potrebbe diventare, inoltre, un referente anche per quanto riguarda il
censimento e l’individuazione di interventi di risparmio nel settore dell’Illuminazione Pubblica,
anche fornendo indicazione riguardanti la normativa sull’inquinamento luminoso, le
prescrizioni di efficienza per le sorgenti luminose e le prescrizioni di buona progettazione
illuminotecnica degli impianti.
Nel contesto generale, un’occasione importante da attivare riguarda gli obblighi che i
distributori di gas ed elettricità dovranno adempiere riguardo alla realizzazione di azioni di
risparmio presso l’utenza finale a seguito dell’emanazione del Decreto del Ministero
dell’Industria del 24 aprile 2001. La provincia dovrà dunque attivarsi per verificare se i
suddetti obblighi potranno essere realizzati anche tramite interventi sul proprio patrimonio,
magari attraverso un soggetto obbligato quale un distributore di gas di rete e/o un
distributore di energia elettrica appartenente alla UE.
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7 SINTESI DELLE ATTIVITÀ
Le analisi riportate nel quadro conoscitivo e le indicazioni riportate nei capitoli precedenti
hanno messo in evidenza i principali ambiti entro cui si possono svolgere le azioni per
giungere alla creazione di un sistema energetico provinciale più efficiente e sostenibile.
E’ evidente che tale obiettivo non è a carico esclusivamente dell’Amministrazione
Provinciale, bensì di tutti coloro che partecipano, più o meno direttamente, alla costruzione
del suddetto sistema energetico (operatori del settore, imprenditori, categorie professionali,
utenti finali, amministrazioni comunali, ecc.).
E’ però evidente che un ruolo fondamentale dell’Amministrazione Provinciale sia quello di
favorire il raggiungimento dell’obiettivo, sia mediante azioni dirette di realizzazione di opere
con una positiva valenza energetica, sia mediante azioni indirette di realizzazione mediante
contributi finanziari e sia mediante azioni di coordinamento ed incentivo che possano far
attivare gli altri attori interessati.
Dalle elaborazioni riportate risulta quindi una serie di attività che l’Amministrazione
Provinciale può intraprendere a vari livelli.
Tali attività costituiscono, nell’ambito delle linee guida evidenziate, un programma operativo
a breve – medio termine.
Di seguito si riporta una sintesi delle attività da implementare nel breve – medio periodo da
parte della Provincia. Le attività riportate trovano una descrizione più estesa nei
corrispondenti capitoli.
E’ evidente che non a tutte le attività riportate corrispondono risultati a priori quantificabili in
termini di risparmio di energia e/o di riduzione dell’impatto sull’ambiente.
Si tratta, in generale, di attività aventi lo scopo prevalente di creazione e di diffusione di
condizioni idonee alla razionalizzazione energetica, più che di attività direttamente rivolte alla
realizzazione di opere. Vanno quindi a complementare le attività che la Provincia già da
tempo sta incentivando attraverso i POR, dando all’attività dell’Ente un carattere di intervento
molto amplio e variegato.
In realtà tale approccio va nella direzione di lasciare all’Ente pubblico il ruolo di promotore e
regolatore di iniziative, più che di diretto investitore, nella consapevolezza che la
realizzazione di molte di queste iniziative già può trovare degli idonei riscontri in altri soggetti.
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Piano Energetico Ambientale della Provincia di Catanzaro
Piano di Indirizzo
Realizzazione di programmi di partecipazione
La Provincia dovrà porsi come referente per diventare promotrice di tavoli di lavoro
con i soggetti che, direttamente o indirettamente, partecipano alla gestione
dell’energia nelle diverse aree del proprio territorio (utility, altre amministrazioni
comunali, associazioni di comuni associazioni di categoria –dei produttori, rivenditori,
consumatori, consulenti, popolazione), per attivare un discorso operativo integrato su
risparmio, rinnovabili, ambiente.
La Provincia dovrà preliminarmente impegnarsi, a questo scopo, all’organizzazione di
“iniziative di consultazione”, per il coinvolgimento dei soggetti locali e non che a vario
titolo sono collegati ai settori e agli ambiti cui le azioni stesse intendono rivolgersi
Tali iniziative potranno essere svolte all’interno del processo e delle attività di
Agenda XXI, già in atto in Provincia, o attraverso opportuni forum tematici relativi ai
principali temi individuati dal Piano. L’obiettivo sarà quello di informare sulle tendenze
individuate dal Piano Energetico e, nello stesso tempo, ricevere da parte dei
partecipanti indicazioni che consentano di capire il modo più opportuno di procedere,
a livello locale, per raggiungere gli obiettivi proposti dal Piano stesso.
Attraverso i tavoli di lavoro si vuole arrivare a formulare accordi volontari ed iniziative
coordinate con l’eventuale attivazione di finanziamenti specifici per promuovere le
nuove tecnologie nei differenti settori.
In ambito Provinciale di importanza strategica sarà, in particolare, il coinvolgimento
primariamente delle utility energetiche (alla luce dei decreti sul risparmio del 24 aprile
2001) e delle associazioni di comuni, come per esempio le comunità montane.
E’ indispensabile sottolineare che gran parte delle attività descritte di seguito possono
trovare una giusta collocazione nell’ambito degli accordi eventualmente stipulati in
questi programmi di partecipazione.
Adeguamento normativo del piano territoriale di coordinamento
Dato il carattere intersettoriale della tematica, il Piano Energetico dovrebbe costituire
uno dei punti di riferimento per le altre programmazioni.
Per quanto riguarda una Provincia, la pianificazione energetica trova una
collocazione all’interno del piano territoriale di coordinamento, che rimane il
riferimento centrale come documento quadro di pianificazione provinciale. La
Provincia riveste, infatti, un ruolo importante nella pianificazione di settori di attività
all’interno dei quali risultano fondamentali gli aspetti energetici, quali il coordinamento
delle attività di pianificazione territoriale ed urbanistica, la tutela dell’ambiente dalle
emissioni inquinanti, la programmazione delle attività di gestione dei rifiuti e la tutela
delle risorse idriche.
Il PTCP è sicuramente uno degli strumenti, in mano alla provincia, più idonei per
fornire il giusto carattere di “trasversalità” alle tematiche energetiche nel quadro della
pianificazione territoriale complessiva.
La Provincia, quindi, si impegna affinché il “fattore energia” venga fatto proprio dagli
strumenti di pianificazione territoriale.
Sarà perciò necessario trovare le modalità con cui trasformare le indicazioni
contenute nel Piano Energetico in norme/indicazioni del PTCP.
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Piano di Indirizzo
Attività rivolta ai comuni
Un ruolo di rilievo che un’Amministrazione comunale può svolgere consiste
nell’attivazione di strumenti normativi (ad esempio all’interno del Regolamento
Edilizio) riguardanti la qualità energetica degli edifici.
Un campo su cui intervenire, in questo contesto riguarda le prescrizioni o
raccomandazioni sugli edifici che fissino criteri generali tecnico-costruttivi, tipologici
ed impiantistici idonei a facilitare e valorizzare il risparmio energetico e l’impiego di
fonti energetiche rinnovabili per il riscaldamento, il raffrescamento, la produzione di
acqua calda sanitaria e l’illuminazione.
Gli obiettivi strategici di tali azioni riguardano la diminuzione delle potenze installate
assolute e specifiche (kW/m2) e dei consumi energetici assoluti e specifici
(kWh/m2/anno).
Per i motivi suddetti è necessario che la Provincia si attivi affinché il “fattore energia”
venga fatto proprio dagli strumenti di pianificazione urbanistica in modo che diventi
elemento di considerazione e possa integrarsi con gli interventi che l’Amministrazione
mette in campo in altri ambiti.
In particolare la Provincia si può attivare, mediante consulenze mirate oppure
contributi economici ai Comuni, per la redazione di idonei Regolamenti Edilizi oppure
attraverso l’adozione di Piani Energetici Comunali o di area.
Potenziamento delle strutture provinciali in materia di energia
Le funzioni di attuazione, gestione, controllo e verifica della pianificazione energetica
provinciale richiedono un’adeguata capacità di intervento a livello locale e, quindi, il
potenziamento delle strutture provinciali competenti in materia energetica.
Ciò suggerisce la necessità di istituire, attraverso norme provinciali, specifici
organismi di assistenza e consulenza in materia energetica quali, ad esempio,
l'Agenzia Provinciale per l'Energia, cioè una organizzazione specifica che abbia il
ruolo di coordinamento, programmazione, promozione di tutte le molteplici azioni che
caratterizzano le problematiche energetiche su scala locale.
L’Agenzia è, in sostanza, un referente tecnico ed organizzativo, che garantisce
continuità e unità di azione in continua relazione con i soggetti (privati o pubblici) che
si occupano di attuare i singoli progetti previsti dalla pianificazione energetica.
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Piano di Indirizzo
Verifica del conseguimento degli obiettivi e aggiornamento del Piano
Energetico
E’ necessaria una verifica periodica (ad esempio ogni due anni) del conseguimento
degli obiettivi del piano e l’attivazione di una procedura di aggiornamento dello stesso
che consenta di adattarlo alle eventuali evoluzioni normative, tecniche e di mercato
ad oggi non prevedibili.
Tale attività, di cui si deve fare carico la struttura di gestione del Piano, dovrà
prevedere prima di tutto un aggiornamento periodico del quadro conoscitivo
realizzato nell’ambito del presente Piano Energetico, eventualmente avvalendosi di
opportuni indicatori energetici.
Si dovrà quindi monitorare ogni intervento e iniziativa intrapresi, per la definizione,
ove possibile, di una relazione riepilogativa in termini di risparmio energetico e
riduzioni di emissioni clima alteranti, in modo da valutarne l’efficacia.
Inoltre si dovrà proporre e definire eventuali cambiamenti o integrazioni al Piano sulla
base proprio di quanto emerso dalla fase analitica.
Diffusione dell’informazione
Per favorire la diffusione di forme energetiche più sostenibili, è opportuno attuare una
campagna informativa e di sensibilizzazione rivolta ai cittadini. Tali azioni risultano
particolarmente indicate, ad esempio, per l’incentivazione all’acquisto di prodotti ad
alta efficienza. Inoltre, la campagna informativa deve avere la funzione di “educare al
risparmio”.
La campagna dovrà essere capillare, con la diffusione di brochure da inviare agli
utenti, manifesti pubblicitari, sportelli o centri informativi aperti al pubblico.
Una campagna orientata a far crescere l’attenzione e la propensione del cittadino alle
logiche del risparmio energetico, deve essere semplice, diretta e soprattutto ripetuta
nel tempo. La semplicità e l’immediatezza del contenuto di comunicazione,
necessitano di una pianificazione mezzi attenta a soddisfare un’ampia diffusione del
tema.
La campagna deve avere una funzione “ombrello” per ogni altra attività di
comunicazione tematica sul territorio, cioè dovrebbe fornire le linee di coordinamento
per campagne più specifiche su temi particolari.
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Piano di Indirizzo
Sviluppo della cogenerazione
Con un impianto di cogenerazione di piccola-media taglia si registra un elevato
risparmio energetico complessivo, derivante dalla miglior efficienza energetica del
processo di trasformazione che porta ad utilizzare quasi completamente il contenuto
energetico del combustibile primario utilizzato. Potendo infatti essere localizzate in
punti diversi del territorio, esse consentono maggiori possibilità di utilizzo del calore
nelle immediate vicinanze senza disperderlo nell’ambiente.
Se anche l’energia elettrica venisse consumata in prossimità dell’impianto, si
ridurrebbero le perdite dovute alla trasmissione, con conseguente miglioramento
dell’indice di efficienza energetica.
E’ evidente che l’ipotesi cogenerativa è in generale strettamente collegata alla
necessità di valutare con attenzione i siti idonei, prendendo in considerazione le aree
attorno alle quali sorgono strutture che possono assorbire il calore prodotto (strutture
industriali e civili).
L’impianto di cogenerazione ha, infatti, un’efficienza maggiore nel caso in cui possa
fornire calore durante tutto l’anno, come nel caso in cui serva utenze industriali
oppure utenze civili con necessità di riscaldamento invernale e raffrescamento estivo
(il calore prodotto può essere impiegato anche per la generazione di freddo mediante
opportuni impianti).
Per favorire lo sviluppo di tale forma di produzione energetica è opportuno che si
attivi un’analisi che identifichi con una certa precisione i gruppi significativi di utenze o
eventuali grosse utenze termiche individuali (tipicamente strutture industriali o
terziarie come ospedali, grandi edifici pubblici, centri direzionali, centri commerciali,
grossi complessi scolastici, ecc.) al fine di organizzarle secondo un principio di “isole
energetiche” ed al fine di verificare l’interesse dei possibili soggetti coinvolgibili verso
tale forma di generazione.
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Piano di Indirizzo
Sviluppo della fonte idroelettrica
In totale in Provincia il potenziale idroelettrico teorico complessivo collegato ad un
nuovo sfruttamento ammonterebbe a circa 6.340 kW per una producibilità media
annua di a 25 GWh, pari a circa il 3,2% del fabbisogno complessivo di energia
elettrica al 2000.
Una valutazione precisa del potenziale di ulteriore sfruttamento delle risorse idriche a
fini energetici sul territorio provinciale dovrebbe prevedere un’attenta analisi
all’interno dei seguenti ambiti:
-possibilità di recupero di impianti dismessi eventualmente esistenti sul territorio;
-possibilità di potenziamento di impianti esistenti;
-possibilità di realizzazione di nuovi impianti in sistemi dedicati;
-possibilità di realizzazione di impianti in sistemi idrici dedicati ad altri scopi.
Per la determinazione dei siti potenzialmente idonei ad uno sfruttamento idroelettrico
si rende quindi necessario un approfondimento da mettere in relazione al tipo di
impianto in essi installabile. L’approfondimento va realizzato nell’ambito della
redazione dei piani di gestione delle risorse idriche, articolati a livello di bacino.
I piani di gestione delle risorse idriche costituiscono il riferimento fondamentale per la
tutela delle acque correnti superficiali naturali, per qualunque ipotesi di ulteriore uso
dell’acqua. Inoltre, prevedono la formulazione di proposte per la regolazione degli usi
attuali e di indirizzo per i nuovi progetti.
Particolare enfasi deve essere rivolta alla valutazione del potenziale energetico
dell'utilizzo a scopo anche idroelettrico delle acque destinate ad usi diversi e del
ripotenziamento degli impianti idroelettrici esistenti. Tali analisi consentiranno di
stabilire l’apporto energetico che l’acqua è in grado di fornire senza incidere
ulteriormente sul territorio in quanto:
- il ripotenziamento di impianti già esistenti e ormai ampiamente ammortizzati in
termini di costi, consente di aumentare l’efficienza energetica produttiva e aumentare
la produzione totale di energia elettrica da fonti rinnovabili che insiste sul territorio
senza richiedere la realizzazione di ingenti opere infrastrutturali
- la presenza infatti di strutture già esistenti per la captazione e la canalizzazione
delle acque consentono l'installazione di turbine idroelettriche con impatto ambientale
pressoché nullo, costi ridotti e spesso vantaggi di gestione dell'utilizzo primario a cui
queste acque sono destinate (ad esempio, la riduzione del salto di pressione in una
condotta acquedottistica).
In base all’entità dei possibili interventi, si procederà ad una campagna volta alla
diffusione dei risultati allo scopo di coinvolgere possibili soggetti, pubblici e/o privati,
interessati all’attuazione degli interventi stessi. E’ possibile prevedere un incentivo
economico da parte della Provincia per tali interventi.
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21/12/2004
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Piano di Indirizzo
Sviluppo della fonte eolica
Risulta al momento difficile fare ipotesi su quello che può essere il potenziale effettivo
di sfruttamento della risorsa eolica nella Provincia.
Le uniche informazioni pubbliche disponibili si riferiscono alle campagne
anemometriche effettuate da ENEL in tre diverse località della provincia. Benché i
risultati sulla velocità media del vento non forniscano valori elevati, è comunque
possibile, in dipendenza della conformazione del terreno, che si ottengano valori
interessanti in corrispondenza di una altezza di misura più elevata, simile all’altezza
degli attuali aerogeneratori (attorno ai 50 m). Ciò trova riscontro anche in altre regioni
italiane, caratterizzate da aree con un buon potenziale eolico, nonostante alcune
misurazioni avessero fatto credere il contrario.
Nella situazione locale può essere interessante valutare anche le condizioni
anemometriche dei siti costieri, primo fra tutti quello di Lamezia Terme, già sede di un
impianto eolico. E’ evidente che un ridotto potenziale eolico in tali zone, rispetto a
condizioni eventualmente più favorevoli di siti ubicati in zone montane, può essere
compensato da una serie di vantaggi d’altro tipo quali, ad esempio, la presenza di
una buona rete viaria o di una buona connessione elettrica. Inoltre, la possibilità di
usufruire di ampie zone può creare condizioni molto favorevoli in termini di economia
di scala.
Benché non sia possibile stimare con una certa accuratezza il potenziale eolico
presente sul territorio della Provincia, si ritiene che valori di installato dell’ordine dei
50 MW possano essere raggiunti. Se ciò si realizzasse, l’energia elettrica prodotta
potrebbe ammontare a circa 100 GWh.
Dato il notevole interesse suscitato attualmente dalla fonte eolica nei confronti di
operatori privati, il ruolo che la Provincia può svolgere per lo sviluppo di tale fonte
energetica consiste essenzialmente nella valutazione che le opere progettate siano
conformi alle esigenze di tutela ambientale, prendendo però atto dell’importanza che
anche tali opere hanno per la stessa tutela ambientale.
Risulta invece importante la valutazione del potenziale offerto dall’applicazione di
aerogeneratori di taglia medio piccola a servizio di utenze singole come, ad esempio,
aziende agricole o strutture turistiche. A tal fine è opportuno realizzare una campagna
di monitoraggio sia del potenziale eolico che del possibile interesse che tale
tecnologia può suscitare tra i possibili utilizzatori, soprattutto in considerazione della
probabilità che a breve sia consentito scambiare l’energia prodotta con la rete.
In base ai risultati raggiunti, si procederà ad una campagna volta alla diffusione dei
risultati stessi allo scopo di coinvolgere i possibili soggetti interessati all’attuazione
degli interventi. E’ possibile prevedere un incentivo economico da parte della
Provincia per tali interventi.
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Sviluppo della fonte solare
Le linee guida di seguito riportate, nei loro termini generali, sono riferite ad entrambe
le fonti solari (termica e fotovoltaica). Dove necessario, verranno comunque
evidenziate le peculiarità relative ad ognuna.
E’ evidente che non vi sono dei limiti tecnici alla quantità di superficie di collettori
solari (termici o fotovoltaici) che è possibile installare. Le limitazioni derivano,
piuttosto, dalla convenienza economica.
Le stime riportate nel Quadro Conoscitivo indicano che per il solare termico si può
ipotizzare uno sviluppo, al 2010, compreso tra 7000 e 20000 mq, in dipendenza degli
incentivi che verranno sviluppati. Il risparmio energetico prodotto è compreso tra i
5.500 MWh/a ed i 15.150 MWh/a.
Per quanto riguarda il solare fotovoltaico si può prevedere uno sviluppo delle
installazioni, al 2010, corrispondente ad una potenza di circa 2 MW. L’energia
prodotta da tali installazioni sarebbe pari a poco più di 3.400 MWh.
Lo sfruttamento della tecnologia solare deve essere favorito approfittando del fatto
che, al momento, il mercato italiano mostra vendite in crescita e le prospettive future
sono positive.
Per quanto riguarda il solare termico è opportuno realizzare delle campagne
informative/formative mirate, individuando dei settori particolari, come quello turistico.
Con tale attività si vogliono identificate gli attori principali e valutare i meccanismi di
finanziamento più idonei a promuovere il mercato di questa fonte energetica
rinnovabile.
Su alcune utenze rappresentative, che dimostreranno interesse al progetto, saranno
condotti studi di fattibilità al fine di valutare il fabbisogno energetico, individuare
soluzioni tecniche adottabili ed analizzare la convenienza tecnico-economica.
Sulla base dei risultati ottenuti verrà svolta una campagna di sensibilizzazione e di
coinvolgimento degli utenti interessati (attraverso le associazioni di categoria) e si
valuteranno le opportunità di finanziamento disponibili sul mercato.
Si può prevedere l’attivazione di incentivi economici specifici in aggiunta a quelli
diffusi già in erogazione.
Per quanto riguarda la fonte solare fotovoltaica, questa verrà ulteriormente
incentivata attraverso i fondi già in erogazione. Un’enfasi particolare deve essere
riservata alla realizzazione di impianti integrati nelle strutture edilizie.
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Piano di Indirizzo
Sviluppo delle fonti da biomassa
In Provincia si può stimare un potenziale di sfruttamento della massa legnosa
forestale che può dare origine a circa 25 GWh di energia elettrica o a circa 90 GWh di
energia termica.
Per quanto riguarda i residui agricoli si stima una produzione di circa 67 GWh di
energia elettrica e di circa 240 GWh di energia termica.
La strategia più adeguata, rispetto alla costituzione del “parco energetico da
biomassa”, è probabilmente quella di promuovere in primo luogo progetti pilota, o
comunque iniziative medio piccole nel settore termico o termico associato alla
microcogenerazione, utilizzando biomassa agricola e forestale.
L’inserimento di obiettivi di natura energetica nella gestione forestale può e,
ragionevolmente, deve essere perseguito nell’ambito della pianificazione e gestione
forestale e quindi in stretta correlazione con i settori competenti nei diversi Enti sovra
e sotto ordinati.
La valorizzazione energetica delle biomasse legnose può essere vista come un
elemento nuovo aggiuntivo, probabilmente anche di notevole peso in talune
condizioni, che si inserisce nella pratica gestione del bosco. Esso tuttavia non si
caratterizza come obiettivo finale del bosco bensì come strumento, potenzialmente
molto interessante, per stimolare il perseguimento dei fini caratteristici del bosco.
Risulta quindi opportuno analizzare la possibilità di sviluppare un progetto pilota che
prenda in considerazione tutti gli aspetti legati alla filiera legno – energia, a partire dal
piano di approvvigionamento della materia prima (produzione, raccolta, trattamento,
distribuzione, ecc.) fino ad arrivare al suo impiego, individuando le utenze
maggiormente idonee.
Nell’individuazione delle aree più idonee all’implementazione dei sistemi a biomassa
con produzione di energia termica, particolare attenzione dovrà essere posta alle
aree non metanizzate.
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21/12/2004
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Piano di Indirizzo
Sviluppo di una efficiente gestione energetica in ambito industriale
Gli interventi di aumento dell’efficienza energetica del settore, dovrebbero trovare una
giusta collocazione all’interno di una politica locale di sollecitazione e premiazione di
un comportamento volontario delle imprese verso la difesa dell’ambiente.
Ciò deriva dalla consapevolezza che le imprese non debbano più fornire solo prodotti
buoni ed a basso costo, ma debbano spontaneamente rendere le loro tecnologie ed i
loro metodi di produzione compatibili con la salvaguardia delle risorse naturali e, in
generale, dell’ambiente.
Se si considera la tipica dimensione delle aziende della Provincia, è presumibile che
queste non abbiano al proprio interno ne’ la cultura ne’ le risorse per affrontare
concretamente il tema dell’efficienza energetica. Se l'attività di diagnostica è una
prassi ormai diffusa presso le aziende di grandi dimensioni, non lo è altrettanto nel
settore della medio/piccola imprenditoria. Infatti, mentre nelle aziende più grandi
l’energia è competenza di una figura ben individuabile, spesso l’"energy manager",
nelle piccole le responsabilità tecniche ed amministrative confluiscono in genere in
un'unica persona, per la quale l’energia non costituisce generalmente un problema
stringente.
Per quanto detto è opportuno che la Provincia attivi delle iniziative per consentire alle
suddette imprese di analizzare le differenti ipotesi di risparmio energetico,
primariamente attraverso l’esecuzione di energy-audit, e di miglioramento del
processo produttivo (in particolare dove il discorso consumi e spese energetiche
assume un peso rilevante).
L’attivazione di tali iniziative dovrebbe avvenire all’interno di accordi con le
associazioni di categoria, eventualmente coinvolgendo i fornitori di energia elettrica e
gas nell’ambito della contrattazione derivante dal mercato libero.
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21/12/2004
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Piano di Indirizzo
Sviluppo di una efficiente gestione energetica in ambito civile privato
Il settore civile ha, in generale, un potenziale di riqualificazione energetica molto
elevato, sia per quanto riguarda gli usi elettrici che quelli termici.
L’orientamento generale che il piano d’indirizzo vuole seguire nel contesto del settore
civile, coinvolgendo i cosiddetti interessi diffusi, si basa sul concetto delle migliori
“opportunità tecnologiche di aumento dell’efficienza” legate alla produzione e
distribuzione di energia per usi termici ed elettrici, sia in termini di contenimento della
domanda che in termini di miglioramento dei processi di conversione e distribuzione
dell’energia.
In base a tale concetto, ogni qual volta sia necessario procedere verso installazioni
ex novo oppure verso retrofit o sostituzioni, ci si deve orientare ad utilizzare ciò che di
meglio, da un punto di vista di sostenibilità energetica, il mercato può offrire.
Diversi sono gli ambiti nei quali può esplicarsi l’intervento della Provincia.
Per quanto riguarda gli usi elettrici obbligati si vuole procedere alla realizzazione di
una campagna che coinvolga produttori, distributori ed utenti di apparecchiature
domestiche (lampade, elettrodomestici, apparecchiature elettroniche, ecc.).
Per quanto riguarda gli usi termici una attività consiste nell’incentivazione (nell’ambito
dei controlli ex DPR 412/93 e 551/99) alla sostituzione di caldaie obsolete con caldaie
ad altissima efficienza o, dove opportuno, con sistemi d’altro tipo (es. pompe di
calore).
L’incentivazione (o prescrizione) verso l’uso di sistemi ad altissima efficienza verrà
resa operativa anche per le utenze che si allacciano alla rete di distribuzione del gas.
Per quanto riguarda le opere di coibentazione edilizia, queste verranno ulteriormente
incentivate attraverso i fondi già in erogazione.
Per tutte le attività previste sarà necessario tenere in dovuta considerazione gli
accordi con i distributori di gas alla luce di quanto previsto dal DM MICA del 24 aprile
2001.
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Piano di Indirizzo
Sviluppo di una efficiente gestione energetica in ambito civile pubblico
Per un controllo integrato del patrimonio pubblico provinciale, azione prioritaria è una
attenta analisi conoscitiva, in grado di fornire un quadro sufficientemente dettagliato
del parco edilizio pubblico. Tale azione rappresenta un elemento importante per
pianificare interventi di manutenzione straordinaria, sia sugli edifici che sugli impianti,
che considerino anche azioni finalizzate al risparmio energetico.
Lo strumento realizzativo dell’azione è rappresentato da una banca dati che consenta
di gestire un censimento degli edifici finalizzato al monitoraggio dei consumi
energetici ed alla elaborazione di linee di intervento sul parco edilizio.
La gestione dei risultati delle elaborazioni contenute nel database potrà configurare
alcune ipotesi prioritarie sulle strategie di riqualificazione del parco edilizio.
La Provincia provvederà, quindi, a programmare una apposita campagna di audit
energetici sugli edifici pubblici che presentano le prestazioni energetiche più scadenti.
Gli audit energetici e gli interventi di aumento dell’efficienza conseguenti potrebbero
essere finanziati attraverso un fondo alimentato dagli introiti derivanti dal risparmio
energetico stesso. Gli stessi capitolati prestazionali potrebbero prevedere gli
interventi citati.
Risulta prioritaria la realizzazione immediata di opere di razionalizzazione energetica
almeno su un edificio campione rappresentativo a scopo dimostrativo anche per il
settore privato.
E’ evidente, per la realizzazione di tale attività, l’interazione con il settore dell’edilizia
pubblica, in modo da trovare una sinergia anche economica.
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21/12/2004
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8 IL PIANO FINANZIARIO
Gli obiettivi di risparmio ricavabili dalle analisi effettuate possono essere tradotti in
investimenti necessari per il loro raggiungimento.
Dalle analisi effettuate emerge il quadro di sintesi sotto riportato, riferito ai combustibili fossili
risparmiati ed alla stima degli investimenti necessari allo scopo. Le stime si riferiscono al
potenziale tecnico stimabile al 2010. I valori economici utilizzati fanno riferimento a dati medi
di letteratura e, quindi, la loro applicazione nella situazione specifica può essere affetta da
qualche errore. D’altra parte si ritiene comunque che i numeri riportati diano un’idea
abbastanza ragionevole dei valori in gioco.
Combustibili
Investimento
fossili risparmiati
(M€)
(tep/a)
Offerta di energia*
Settore elettrico
Fonte idroelettrica
Fonte eolica
Fonte solare fotovoltaica
Fonte da biomassa forestale
Fonte da biomassa agricola
5.500
22.000
748
5.456
14.718
13
52
17
8
21
9.611
25.875
1.303
21
57
12
8.822
4.785
9
5
Settore termico
Fonte da biomassa forestale
Fonte da biomassa agricola
Fonte solare termica
Domanda di energia
Settore elettrico
Settore termico
*
I risparmi, ed i relativi investimenti, riguardanti la fonte da biomassa nel settore elettrico e nel settore termico
sono da considerarsi alternativi e non cumulabili.
Si presti attenzione al fatto che i valori riportati in corrispondenza della fonte da biomassa
non sono cumulabili: infatti si sono considerate separatamente le ipotesi di sfruttamento per
usi termici e per usi elettrici. È quindi possibile considerare due ipotesi separatamente, la
prima che considera lo sfruttamento della biomassa per usi elettrici e la seconda che
considera lo sfruttamento della biomassa per usi termici (è evidente la possibilità di ipotesi
intermedie).
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21/12/2004
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Piano di Indirizzo
Investimento (M€)
Ipotesi 1
Ipotesi 2
Offerta di energia
Settore elettrico
Fonte idroelettrica
Fonte eolica
Fonte solare fotovoltaica
Fonte da biomassa
forestale
Fonte da biomassa agricola
Settore termico
Fonte da biomassa
forestale
Fonte da biomassa agricola
Fonte solare termica
13
52
17
8
21
21
12
57
12
9
5
9
5
139
187
Domanda di energia
Settore elettrico
Settore termico
Totale
13
52
17
Una ulteriore suddivisione importante riguarda gli interventi cosiddetti puntuali e gli interventi
cosiddetti diffusi.
I primi consistono in opere di una certa dimensione che non coinvolgono direttamente
singole utenze finali ma gli operatori di settore, come gli interventi nel campo idroelettrico,
eolico e produzione di elettricità da biomassa. I secondi riguardano interventi
tendenzialmente di più modesta entità ma che coinvolgono singole utenze finali, come il
solare (termico e fotovoltaico), la biomassa per usi termici (impianti individuali) e tutti gli
interventi sul lato domanda.
E’ evidente che la suddetta suddivisione per tecnologie non è sempre adatta a tutte le
situazioni. Ad esempio si possono prevedere interventi riguardanti l’eolico cosiddetto minore
che interessa utenze singole, piuttosto che lo sfruttamento della biomassa per reti di
teleriscaldamento, coinvolgendo più utenze contemporaneamente.
Mantenendo comunque la suddivisione citata, la ripartizione economica risulta essere la
seguente.
Interventi puntuali
Interventi diffusi
Investimento (M€)
Ipotesi 1
Ipotesi 2
94
65
45
123
Si ritiene che l’intervento pubblico diretto debba essere orientato verso gli interventi diffusi.
Gli interventi puntuali, soprattutto quelli inerenti la produzione di energia elettrica (si consideri
soprattutto il caso dell’eolico), possono essere coperti finanziariamente dall’investitore
privato che trova già dei benefici economici o, comunque, delle prescrizioni, nell’attuale
regime di mercato (si fa riferimento essenzialmente ai cosiddetti “certificati verdi”).
Per quanto riguarda gli interventi diffusi si possono prevedere i seguenti contributi finanziari.
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Piano di Indirizzo
Investimento (M€)
Fonte solare fotovoltaica
Fonte da biomasse
di cui da biomassa forestale
di cui da biomassa agricola
Fonte solare termica
Risparmio energetico
di cui settore elettrico
di cui settore termico
Totale
Tariffa
(DM 24/4/02)
17
78
21
57
14
14
9
5
Bandi
nazionali
POR (M€)
75%
1,9 (75%)
30%
0,05 (40%)
0,25 (40%)
20%
20%
Anche nel caso degli interventi diffusi, comunque, l’intervento dell’Ente provinciale può
intervenire a coprire solo una parte marginale della spesa complessiva, qualora si volessero
raggiungere gli obiettivi stimati.
In effetti il ruolo principale sarebbe giocato da investimenti privati, eventualmente con il
contributo di recuperi tariffari, come è probabile che avvenga nel caso di interventi
nell’ambito dei decreti riguardanti il risparmio energetico del 24 aprile 2001.
La copertura provinciale avverrà in ambito POR, come già ampiamente sperimentato. D’altra
parte è possibile studiare altre forme di finanziamento a cui la Provincia potrebbe accedere.
Ad esempio attraverso la creazione di una cassa che raccoglie parte del risparmio
economico derivante da operazioni di riqualificazione energetica degli edifici di proprietà, in
modo da poterlo reinvestire in operazioni analoghe su altri edifici.
Oppure mediante la modulazione dell’accise sull’energia elettrica, destinando parte dei
proventi alle finalità di interesse energetico.
Come delineato nelle schede riguardanti le attività prioritarie a cui la Provincia può dedicarsi
a breve – medio periodo, risulta chiaro che gran parte di questa attività è essenzialmente
dedicata all’attivazione degli interessi (anche di carattere economico) di diversi soggetti, sia
pubblici che privati, verso i temi dell’efficienza energetica.
Una stima delle risorse economiche da impegnare per tali attività è riportata nella tabella a
seguire. Le cifre possono essere ragionevolmente ripartite su un arco di tempo di tre anni. Le
stesse cifre potranno variare qualora parte delle attività venissero realizzate avvalendosi di
risorse interne all’Ente.
Nella stima sono esclusi gli incentivi economici gestiti attraverso i POR. Tali incentivi
continueranno in base alle disponibilità finanziarie già definite. E’ possibile prevedere che
una nuova ripartizione dei fondi disponibili potrà essere richiesta in base alle indicazioni che
possono emergere dalle indagini proposte nelle attività. Si fa riferimento, ad esempio, al
minieolico piuttosto che allo sviluppo dei sistemi funzionanti a biomassa.
Le attività evidenziate non sono associabili direttamente ad indicatori di risparmio facilmente
quantificabili e ed è quindi difficile definire la loro efficacia in termini di costo/benefici. Si
tratta, infatti, di attività aventi lo scopo prevalente di creazione e di diffusione di condizioni
idonee alla razionalizzazione energetica, più che di attività direttamente rivolte alla
realizzazione di opere. Vanno quindi a complementare le attività che la Provincia già da
tempo sta incentivando attraverso i POR, dando all’attività dell’Ente un carattere di intervento
molto amplio e variegato.
In realtà tale approccio va nella direzione di lasciare all’Ente pubblico il ruolo di promotore e
regolatore di iniziative, più che di diretto investitore, nella consapevolezza che la
realizzazione di molte di queste iniziative già può trovare degli idonei riscontri in altri soggetti.
SETTORE TUTELA AMBIENTALE
21/12/2004
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Piano Energetico Ambientale della Provincia di Catanzaro
Piano di Indirizzo
Attività
Costo (€)
Contributo al finanziamento*
Note
1
Realizzazione di programmi
di partecipazione
30.000
2
Adeguamento normativo del
piano territoriale di
coordinamento
15.000 Altri settori
3
Attività rivolta ai comuni
90.000
4
Potenziamento delle
strutture provinciali in
materia di energia
225.000
5
Verifica del
conseguimento degli
obiettivi e
aggiornamento del
Piano Energetico
30.000
E’ possibile un contributo
derivante dall’attività 4
L’attività può rientrare nei
compiti di cui all’attività 4
6
Diffusione
dell’informazione e della
formazione
60.000
E’ possibile un contributo
derivante dall’attività 4
L’attività può rientrare nei
compiti di cui all’attività 4
7
Sviluppo della
cogenerazione
60.000
Distributori di energia / ESCO
(ex decreti 24.04.01)
8
Sviluppo
della
idroelettrica
9
Parte della cifra può
essere messa a bando
CE: bando “Energia Intelligente
per l’Europa”
60.000 Altri settori
La cifra non include
incentivi alla realizzazione
di opere
Sviluppo della fonte eolica
30.000
La cifra non include
incentivi alla realizzazione
di opere
10
Sviluppo della fonte solare
30.000 Associazioni di categoria
La cifra non include
incentivi alla realizzazione
di opere
11
Sviluppo delle
biomassa
60.000 Altri settori
La cifra include incentivi
alla realizzazione di opere
12
Sviluppo di una efficiente
gestione
energetica
in
ambito industriale
Associazioni di categoria
90.000 Utility energetiche (ex decreto
“Bersani”)
Parte della cifra può
essere messa a bando
13
Sviluppo di una efficiente
gestione
energetica
in
ambito civile privato
90.000
14
Sviluppo di una efficiente
gestione
energetica
in
ambito civile pubblico
fonte
fonti
da
Distributori di energia / ESCO
(ex decreti 24.04.01)
Distributori di energia / ESCO
(ex decreti 24.04.01)
90.000
Fornitori contratto calore
Altri settori
Totale
La cifra non include
incentivi alla realizzazione
di opere
La cifra include circa 10
audit; non include la
realizzazione degli
interventi sull’edificio
campione
960.000,00
*Ove non specificato si intende che la quota risulta a completo carico del Settore Tutela Ambientale.
Per “Altri settori” si intendono settori diversi dell’Amministrazione Provinciale.
SETTORE TUTELA AMBIENTALE
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