TuttoSanità
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Sommario
• Il nuovo welfare sanitario
G.Ferrucci ____________________pag.2
• Nasce ATLASS P.L.Lopalco ____pag.6
• Un pap-test a tappeto per la donne
pugliesi M.Petroli, M.Tetesi______ pag.8
• Giornate Triggianesi di
Ortopedia____________________pag.13
• Encefalopatia Sponfiforme Bovina
(BSE) M.Troiano _____________pag.15
• Il cittadino, utente o cliente dei
servizi? A.Aquilino____________pag.24
• Sistemi di qualita’: opportunita’ o
minaccia per i medici pugliesi?
G. Perilli_____________________pag.36
• Evoluzione dei sistemi di gestione in
sanità G.Ceriani ______________pag.38
• Storia e sviluppi della certificazione
ISO 9000 S.Cucarachi_________pag.40
• Marker tumorali: indagine conoscitiva G.Ceriani ________________pag.41
Scientifico
• A.D.P. nella AUSL TA/1
G Ronzino, ed altri_____________pag.42
• La Terapia termale nell’insufficienza
venosa cronica (I.V.C.)
• Ruolo diagnostico e terapeutico
dell’enteroscopia nella preatica clinica
A.De Ceglie, ed altri _________pag.49
• Anemia in uremici cronici: qual’è il
trattamento piu’ efficace?
A.Valerio _________________pag.51
• Terapia termale in età pediatrica
V. Goffredo___________________pag.54
• Educazione Alimentare e Domanda
di Alimenti eneticamente Modificati
per la Prima Infanzia.
M. Panumzio, ed altri __________pag.62
• L’epidemiologia dell’infezione da
HIV-1 G.Buccoliero, ed altri_____pag.66
TuttoSanità
Anno 9° n. 49 - Novembre -Dicembre 2000 Reg. Trib. Bari n. 1062 del 23-9-1991
Direttore Editoriale
MINO GRASSI
Direttore Responsabile ENZO LORUSSO
Direttore Scientifico MARIO DE LENA
Copertina e Grafica: CREATTIVA
di Massimo Danza (Bari) •
Editore THOLOS EDITRICE •
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Direzione, redazione (Putignano)
e pubblicità Via Col di Lana, 53 Tel. /Fax 080.4327182
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possono essere ripresi citando la fonte.
Editoriale
Un 2001 amaro per la sanità pugliese
Si profila un 2001 amaro per la sanità pugliese. Il federalismo fiscale partito nel
nostro Paese nello scorso gennaio ha rimescolato le carte, introducendo diversi
elementi di innovazione ma, soprattutto, la responsabilizzazione finanziaria delle
Regioni.
In Puglia la situazione si presenta più delicata che non in altre regioni per via
dello stato di dissesto finanziario in cui versa l’Ente, che lo costringe a pagare ad un
pool di banche circa 600 miliardi all’anno a copertura dei mutui contratti a suo
tempo per coprire il famoso “buco” finanziario accumulato negli anni delle “gestioni
allegre”. Il bilancio della Regione Puglia è quindi “ingessato” e non consente
pertanto di far ricorso a fondi propri per coprire eventuali splafonamenti della spesa
sanitaria che si dovessero verificare alla fine del 2001.
E’ sulla base di questi presupposti che è stata partorita nello scorso novembre
la Legge Regionale n. 28 di variazione al bilancio 2000 della stessa Regione, che ha
introdotto, com’è noto, paletti duri nell’intento di sottoporre la spesa prodotta
dalle Aziende Sanitarie ad una rigida cura dimagrante. E questo nonostante che il
Fondo Sanitario assegnato alla Puglia per il 2001 sia superiore a quello dello scorso
anno, anche se la regione continua ad essere pesantemente penalizzata dai criteri di
riparto dello stesso fondo che continua a privilegiare, secondo la impostazione data
dall’ex Ministro Bindi, il parametro della quota pesata.
Ovviamente i paletti introdotti dalla L.R. 28/2000 non bastano, anche perché
occorre evitare che a farne le spese del tutto siano i cittadini nel momento in cui
viene consentito loro di poter usufruire di servizi sanitari ridimensionati o, peggio,
che possono essere venuti meno del tutto.
Le Aziende Sanitarie si trovano a dover fare i conti con i debiti rivenienti dagli
esercizi finanziari precedenti. La gestione delle ex USL a tutto il 1994 non è purtroppo ancora chiusa. Le pendenze relative al 1998, 1999 e 2000 premono. I fornitori del
Servizio sanitario sono in grossa difficoltà e si moltiplicano le azioni legali per
ottenere il ristoro dei crediti vantati.
Ecco perché si parlava in apertura di 2001 amaro per la sanità pugliese. L’anno
corrente sarà sicuramente un anno di delicato rodaggio verso il nuovo sistema di
federalismo fiscale appena partito, indipendentemente dalle eventuali modifiche che
saranno apportate al Decreto Legislativo n. 56/2000 finalizzate ad una rimodulazione
del modello che tenga maggiormente conto delle situazioni oggettive in cui versano le
Regioni del Sud.
Tutti sono chiamati a fare la loro parte fino in fondo. A cominciare dalla Regione
che deve subito mettere mano alla rivisitazione del Piano di riordino ospedaliero,
agganciandolo strettamente al nuovo scenario che si è configurato e che si va
configurando e alla attuazione della seconda fase del programma di edilizia sanitaria. S’impone, quindi, una verifica degli indici di utilizzo degli ospedali, evitando nel
contempo accuratamente lo sciagurato fenomeno di nosocomi che, a distanza di
pochi chilometri l’uno dall’altro, erogano la stessa tipologia di prestazioni e mirando a garantire, invece, quei servizi per i quali siamo tributari verso le realtà sanitarie
delle altre Regioni.
Di pari passo deve procedere l’adozione da parte del Consiglio Regionale una
volta per tutte del Piano Socio Sanitario, un’altra “araba fenice” che ci trasciniamo
da decenni e che invece deve fotografare la tipologia della sanità che vogliamo nella
nostra regione nel triennio di riferimento, in modo che anche gli amministratori che
subentreranno successivamente abbiano un dato certo cui fare riferimento, evitando così improvvisazioni ed estemporaneità. Ma senza andare troppo lontano, a
cominciare dai direttori generali delle Aziende sanitarie che potranno procedere
speditamente e risolutivamente verso quegli accorpamenti, riconversioni o quant’altro si dovesse rendere necessario, per far sì che la razionalizzazione complessiva
dall’offerta sanitaria erogata sia effettivamente incisiva.
Per fare tutto ciò, come dicevamo pocanzi, occorre un colpo d’ala, occorre che
ognuno faccia la sua parte compiutamente e fino in fondo. Questa volta non si
tratta solo di un impegno ma di una necessità. Lo impone questo modello federalistico
che è oramai una tendenza irreversibile destinata a consolidarsi sempre di più.
Ignorare o sottovalutare questa realtà potrebbe essere molto pericoloso. A meno di
non voler entrare nell’ottica di far pagare ticket aggiuntivi ai cittadini pugliesi…. .
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“Il nuovo welfare sanitario a discapito
del diritto alla salute?”
Alcune riflessioni dopo l’entrate in vigore della recente L.R. n. 28/00
* Gianni Ferrucci
La recente Legge Regionale n° 28 del
22.12.2000 “Variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2000”
approvata dal nostro consiglio Regionale sancisce drastiche (e probabilmente
inevitabili) norme in materia di
razionalizzazione, contenimento e qualificazione della spesa sanitaria. L’aspetto
fortemente limitante di questa normativa
è certamente rappresentato da quanto
espresso nell’art.23 in cui si limitano le
dotazioni organiche ed il personale delle
Aziende Sanitarie e l’art. 24 che
puntualizza vincoli finanziari per i Direttori Generali e conseguenti provvedimenti
di decadenza dell’incarico in situazione
di disavanzo dell’Azienda Sanitaria amministrata.
Il ricorso ad una normativa di tale
identità non può che indurci a riflettere
sull’eccesso di libertà erogativa dei sistemi sanitari aziendali regionali che ha visto, negli ultimi anni, il crescere dei costi
e degli sprechi soprattutto determinati da
investimenti non-programmati delle Aziende Sanitarie e degli amministratori delle
stesse.
Ma, al di là delle recriminazioni sulle
trascorse gestioni, merita attenta riflessione il fatto che la domanda di salute e di
prestazioni sanitarie è in crescita ed è destinata ancora a crescere.
Il problema continua ad essere quello
dell’individuazione della compatibilità tra
il bisogno di governare e contenere la
spesa sanitaria e quella di rispettare il diritto non solo ad avere maggiore assistenza, ma, anche, a migliorarne la qualità.
In questo quadro sociale i bisogni e la
gestione della salute e degli investimenti
su di essa rischiano di trasferirsi dagli
operatori e chi eroga “materialmente” le
prestazioni (medici, personale socio-sanitario, operatori, ecc.) agli amministratori ed agli “economi” della Sanità.
E, forse, la maggiore idiosincrasia percepita tra gli operatori della Sanità in questo periodo è certamente quella inerente
il rapporto con chi programma e gestisce
economicamente gli investimenti delle
Aziende spesso lontano dal “front-office”
dei servizi territoriali e dai bisogni diretti
dell’utenza che necessita di prestazioni
sempre più immediate e sempre più specialistiche.
I programmi di contenimento della
spesa sanitaria regionale non possono
ignorare che, come determinato dal
Censis, “la Sanità Italiana è malata di
economicismo e l’aziendalizzazione sembra un processo fatto soprattutto di tetti
di spesa e variazioni di quantità”.
Ed in effetti i dati ed i confronti nazionali mostrano come le nostre strutture siano ancora scarsamente dotate rispetto a
quelle del Nord (ad esempio: 5,8 posti letto al Nord e 5,1 al Sud) come l’indice di
soddisfazione degli utenti è del 37,5 %
molto soddisfatti al Nord, rispetto al solo
16% al Sud, per non parlare poi dei ritardi
e delle inefficienze specifiche caratteristiche soprattutto nella regolamentazione e
gestione dell’assistenza territoriale (vedi
la distrettualizzazione la cui
regolamentazione varia nella nostra Regione addirittura da ASL ad ASL in funzione di una soggettiva interpretazione di
normative che eppure rimangono in vigore e forniscono accettabili indirizzi).
Se la Legge Regionale n° 28 del
22.12.2000 si presenta nella sua drasticità
è quindi perché vi sono stati, evidentemente, delle carenze nella gestione delle
risorse economiche sanitarie che sono
certo antiche e pregresse ma che, evi-
dentemente, non sono state migliorate ed
almeno contenute nonostante le più recenti
direttive nazionali in materia di
contenimento della spesa o dei processi di
aziendalizzazione e di riforme della Sanità.
Ad una attenta analisi risulta che gli
interventi di devolution aziendale continuano ad essere centrati a discapito dalla
“centratura periferica” auspicata dal
Censis.
L’attenzione dovrebbe essere quindi
spostata dall’alto (strutture ospedaliere)
al basso (territorio) non solo limitando e
tagliando, ma reinvestendo con il contributo dei Comuni, sui distretti e sull’assistenza di base, riequilibrando un’offerta
sul territorio che diventa critica nel momento dell’applicazione delle stesse regole di contenimento della spesa.
Se in Puglia i fattori di criticità sono
l’alta spesa per l’ospedalità convenzionata, l’alta spesa farmaceutica, alto tasso
di ospedalizzazione, minor tasso di utilizzo di posti letto, allora l’obiettivo di programmazione si dovrebbe necessariamente spostare sull’assistenza territoriale
dove più che le risorse e le attrezzature
(certo comunque non secondarie) conta
molto la capacità gestionale e di
negoziazione con i Medici di Base e le
strutture private.
Diventa indispensabile un Piano Sanitario Regionale che tenga conto di questa verità, una revisione della
razionalizzazione della assistenza
ospedaliera, e soprattutto, precise
direttive e indiscutibili criteri alle Aziende
per la amministrazione distrettuale.
C’è da rilevare, a tal proposito, che,
alcuni Direttori Generali condividano
l’idea di incrementare l’ampiezza
demografica distrettuale riducendo il numero dei distretti e sperando, forse, di “ri-
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sparmiare” ma andando a creare dei
“macrodistretti” come “piccole Aziende
Sanitarie nelle Aziende” e pregiudicando
gravemente la possibilità di amministrazione e di controllo del territorio sanitario
che è compito principale della struttura
distrettuale come espresso anche dalla
Legge Regionale 28.12.1994 n° 36.
D’altro canto, se il controllo della spesa prescrittiva e la prevenzione si realizzano principalmente nel distretto, non si comprende perché si debba rendere ancor più
complessa e difficoltosa la gestione del
territorio creando ulteriore confusione.
Un esempio positivo per tutti potrebbe essere la Regione Piemonte che nella
Delibera Reg. n° 80/1700 del 1.12.2000 indica addirittura la costituzione di Distretti
riferendosi a 25.000 abitanti.
Si presuppone che questa Regione, al
di là, comunque, delle particolari caratteristiche geomorfologiche, avrà buone
possibilità di gestione e controllo dei territori sociosanitari aziendali.
Il “controllo” e l’investimento delle
economie sanitarie sul territorio delle
Aziende ASL ci sembra quindi essere il
nodo cruciale e futuro della qualificazione sanitaria.
Questo perché la domanda di salute
sul territorio è quella destinata a crescere.
Qui bisognerà trovare la soluzione di compatibilità tra la necessità di governare la
spesa e quella di salvaguardare il diritto
alla salute che è il bisogno fondamentale
e variabile determinante dei bilanci futuri
delle ASL.
Il pericolo che attualmente stiamo correndo è, invece, quello espresso dallo
stesso Prof. Ivan Cavicchi (Docente di
Sociologia Sanitaria alla Università “La
Sapienza” di Roma) che evidenzia come
la decisione su ciò che è necessario all’utente viene sottratto al sanitario e viene trasferita all’amministratore o al burocrate della Azienda Sanitaria.
Ed in effetti, in molti casi, le decisioni
sugli investimenti, sulle attrezzature e
sull’erogazione dei servizi viene spesso
decisa dai tecnocrati secondo protocolli,
linee guida, delibere e non già da chi ben
conosce le patologie, la clinica e la psicologia del paziente.
Fortunatamente per i cittadini l’Art. 23
della Legge Reg.le n° 28 in questione al
comma 4 esclude, dalla limitazione delle
assunzioni, il personale sanitario. Questo
anche perché le Aziende Sanitarie pugliesi
sono in notevole carenza di personale
sanitario rispetto ad Aziende di altre regioni.
E la maggiore carenza di personale o,
in alcuni casi, di errata distribuzione del
personale si registra proprio a livello territoriale e distrettuale, luogo istituzionale
in cui il cittadino deve trovare la “prima
risposta” al suo diritto alla salute.
A questo punto ci sembra necessario
porre estrema attenzione al fatto che qualsiasi normativa di contenimento della
spesa sanitaria troverà motivazione ed efficacia solo in presenza di un sistema
aziendale di gestione che abbia come fine
non solo il risparmio ma, anche, il fine di
tutela della salute realizzando, tramite un
aumento dei livelli di efficienza e di pro-
duttività, più favorevoli condizioni per
produrre risposte ai problemi di salute di
tipo collettivo e quindi territoriale.
Ecco che la Legge n° 28/2000 va applicata più che in senso meramente
“tecnocratico” e “contenitivo” in modo
da governare la distribuzione e l’impiego
delle risorse economiche aziendali che,
seppur scarse, debbano perseguire il massimo rapporto tra benefici (massimo livello di qualità di vita) e costi.
Il mito del “management sanitario a
tutti i costi” rischia, quindi, di cadere proprio nel momento in cui continuerà ad
esistere un battaglia tra chi vuole a tutti i
costi ridurre la sanità in senso economico
e chi vorrà “mantenere la Sanità a misura
della persona” adattando i sistemi di management ai bisogni di salute dei cittadini.
* Dirigente Sanitario AUSL BA/4
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Associazione Fornitori Ospedalieri Regione Puglia
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• A.S.A. s.r.l. Via Basile 2/4C 74100 Taranto tel .099.7399506 fax099.7362943
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• BIO SUD MEDICAL SYSTEM s.r.l. Via Bologna 48 70012 Carbonara-Bari tel.0805034959 chied. linea
• COMAS OFTALMICA s.r.l. Via Gabrieli, 25 70124 Bari tel. 080.5520176 fax 080.5520129
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• DIATEK s.r.l. Via G. Gentile 56 - 70126 Bari tel.0805492998 fax 080.5492866
• ERREBI HOSPITAL di Raffaele Beli Via Marche, 36 73100 Lecce tel.0832.349929 fax 0832216672
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• EUROTREND s.n.c. di Modugno Di. e Pepe A. Via C. di Ruccia n. 49 - 70026 Modugno (BA) tel. 0805320674 fax0805320694
• F.A.S.E. s.r.l. Via Don P. Mazzolari 22 - 70037 Ruvo di Puglia (BA) tel.0803615836 fax 0803615721
• FIZZAROTTI Dott. Nicola s.p.a. Contr. Lochiano Z.I. 70124 Bari tel.0805312602 fax0805312565
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• HOSPITAL SCIEN. CONS. del dott. Laroccia Luigi tel.0803269190 0803269197
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• LORAN s.r.l. Via Quarto 22 - 70125 Bari tel. 0805427032 fax 0805426903
• MEDIC'S BIOMEDICA s.a.s. di Cecilia Bernardini Via Lequile 154 - 73100 Lecce tel. 0832351586 fax 0832351346
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Nasce ATLASS: da fonte informativa
a strumento di analisi epidemiologica
Non solo informazioni, ma anche spunti per la programmazione sanitaria
P.Luigi Lopalco*
Tra le strategie prefissate dall’OMS
per il raggiungimento dei principali obiettivi di salute rientra la facilità d’accesso
alle strutture sanitarie locali. Tale concetto viene tra l’altro chiaramente ripreso dal
Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 in cui
si enuncia che “la garanzia di uguali opportunità di accesso ai servizi sanitari rappresenta l’obiettivo principale del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e l’elemento fondamentale che ne determina la forma di finanziamento ed i criteri di organizzazione”. Tra i principi fondamentali dei
sistemi sanitari di tipo universalistico, ai
quali si ispira il SSN, infatti, sono compresi “universalità di accesso ed eguaglianza nella accessibilità” ad un ampio spettro di servizi uniformemente distribuiti,
“da garantire con l’eliminazione di barriere geografiche all’accesso attraverso
un’adeguata programmazione territoriale
dei servizi”. In quest’ottica una Carta dei
Servizi Sanitari Regionale può costituire
un valido strumento informativo in grado, da una parte, di guidare l’operatore
sanitario ed il cittadino/utente nella scelta delle più opportune strutture sanitarie
del settore pubblico, dall’altra, di orientare gli amministratori nella pianificazione e
nell’organizzazione dell’assistenza.
Partendo da tali premesse l’Assessorato alla Sanità della Regione Puglia, in
collaborazione con l’Osservatorio
Epidemiologico Regionale, ha promosso
la realizzazione di un Atlante dei Servizi
Sanitari che fornisse una mappatura quanto più possibile esaustiva dei servizi
ospedalieri e territoriali. Scopi precipui di
tale impegno sono stati, da un lato, la speranza di contribuire a limitare al minimo il
fenomeno della migrazione sanitaria extra-regionale, fornendo agli operatori sanitari una più approfondita conoscenza
dell’offerta presente nel territorio, dall’al-
tro, la possibilità di avere a disposizione
le basi per una riflessione di tipo più strettamente epidemiologico.
L’Atlante, nel suo sviluppo iniziale,
prevedeva una parte riguardante l’organizzazione generale della ASL con i dati
relativi alla situazione demografica, le
strutture direzionali, indirizzo e telefono
dei centri Unici di Prenotazione e degli
Uffici per le Relazioni con il Pubblico.
Quindi, in riferimento al settore
ospedaliero, le informazioni dettagliate
sulle unità operative (reparti di degenza,
servizi ed ambulatori ospedalieri) distinte
per disciplina, con l’indicazione dei posti
letto ordinari e day-hospital al 31/10/1999.
Un modello analogo è stato seguito per le
strutture territoriali.
Il progetto, nato quindi come una sorta di summa delle carte dei servizi delle
singole ASL, ha però presto assunto dimensioni maggiori: si è presentata, infatti, l’opportunità di creare uno strumento
estremamente duttile che fornisse non
solo informazioni all’utente del Servizio
Sanitario Regionale, ma anche spunti di
valutazione necessari per la programmazione centrale e periferica.
Grazie al supporto tecnico ed alle banche dati già presenti presso l’OER, è stato
possibile agganciare ai dati strutturali anche indicatori funzionali ed epidemiologici.
Il nucleo di base dell’Atlante, rappre-
sentato appunto dai dati strutturali, è stato costituito attraverso la prima
rilevazione, cui si è già accennato.
Per la consultazione è stato predisposto un software di archiviazione e gestione dei dati (ATLASS - Atlante dei Servizi
Sanitari e dello Stato di Salute), sviluppato in proprio dall’OER utilizzando un
database relazionale (4th Dimension);
supportato da un’interfaccia grafica particolarmente amichevole, consente interrogazioni, anche complesse, fornendo risultati sempre facilmente leggibili su tabelle testuali, diagrammi e carte tematiche.
Proprio queste possibilità di
visualizzazione dei dati ha spinto il gruppo di lavoro ad ampliare il progetto collegando all’Atlante anche i dati provenienti dai database regionali relativi alle malattie infettive (SIMI), al Registro delle
cause di Morte, al database SDO/DRG.
Allo stato attuale ATLASS prevede
una sezione iniziale strettamente
demografica dove sono disponibili i dati
di popolazione (residenti, nati vivi, morti,
insieme ai fondamentali indicatori
demografici) distinti per comune. Quindi,
le due sezioni successive riguardano l’organizzazione generale della ASL con tutti
i dati strutturali disponibili.
Il dettaglio informativo a riguardo è
notevole: si può conoscere, per ogni
ospedale, il numero di posti letto di cia-
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scuna unità operativa, così come è possibile conoscerne il nome del responsabile.
Analogamente, nella terza sezione, l’interrogazione è strutturata per discipline,
fornendo una mappatura della disponibilità sul territorio di ciascuna specialità.
L’interfaccia è interamente grafica e si
può passare da una sezione all’altra del
software con un semplice colpo di mouse;
analogamente è possibile navigare attraverso le diverse schermate scendendo via
via al livello di dettaglio desiderato.
Su questo nucleo di base, quindi, è
stata implementata la quarta sezione dedicata al SIMI. Questa permette di
visualizzare su carte tematiche la distribuzione delle notifiche (sia come numero
di casi che come tassi x100.000 residenti)
per comune e mese di segnalazione, oltre
a fornire una serie di tabelle e grafici
selezionabili dall’utente.
Questa modalità di visualizzazione risulta estremamente efficace nel rappresentare la successione geografica e temporale degli eventi epidemici. Queste informazioni, inoltre, possono essere, in
qualunque momento, correlate agli altri
dati (sia demografici che sanitari) contenuti nel database.
E’ stato, infine, sviluppato il collegamento ai dati funzionali ospedalieri quali
indicatori di attività e performance (tassi
di ospedalizzazione, degenza media per
ciascun DRG, indici di case-mix, ecc.),
anch’essi visualizzati in forma grafica.
Nella
sezione
dedicata
alla
ospedalizzazione sono pertanto disponibili i tassi suddivisi per comune di residenza, per MDC e per ospedale di ricovero (figura 1); è possibile cioè visualizzare
sulla cartina geografica la mobilità attiva
e passiva degli utenti del servizio sanitario regionale.
La distribuzione (gratuita) del software
ATLASS è prevista nei prossimi mesi.
Concludendo, si spera che la disponibilità di uno strumento come ATLASS
possa contribuire ad una programmazione sanitaria meglio indirizzata a criteri di
efficienza ma anche di efficacia, non dimenticando mai che l’obiettivo finale dei
professionisti della sanità deve essere la
salute della popolazione.
* Osservatorio Epidemiologico Regionale
Block Notes/Block Notes
Block Notes/
Educazione alimentare: in arrivo linee guida regionali
Le conseguenze negative che ha sulla salute la dieta del benessere (caratterizzata da un’assunzione eccessiva di alimenti ad alta densità energetica, ricchi di grassi, proteine e di zuccheri, ma poveri di carboidrati complessi
e di fibra) si sono palesate solo negli ultimi decenni.
Ricerche epidemiologiche hanno dimostrato la stretta relazione esistente
tra questo tipo di dieta e la comparsa di una serie di malattie croniche non
trasmissibili es.: coronaropatie, malattie cerebrovascolari, tumori, obesità,
diabete, calcoli biliari, carie dentaria.
Seguendo le evidenze nazionali ed internazionali su salute e dieta, l’ultimo PSN 1998-2000 include l’Alimentazione nella prima area di obiettivi, in
quanto in grado di aumentare la capacità individuale a controllare, mantenere
e migliorare lo stato di salute.
L’Assessorato regionale alla Sanità, ha ritenuto necessario formulare linee-guida per l’Educazione Alimentare al fine di fornire ai servizi territoriali,
raccomandazioni-linee di indirizzo (indicazioni metodologiche ed operative),
efficaci ed appropriate che consentano la realizzazione dei programmi di educazione alimentare con raggiungimento degli obiettivi del PSN a breve, medio
e lungo termine.
Pertanto è stato costituito presso l’Assessorato un gruppo di lavoro, composto dai referenti delle aziende sanitarie ed ospedaliere, associazioni di categoria,
per l’elaborazione delle linee-guida sulla ristorazione collettiva, l’educazione alimentare e l’attività fisica.
Il lavoro del gruppo vuole tendere a diffondere non solo conoscenze ma
anche uno scambio di esperienze e risultati, al fine di rendere possibile una
lettura dell’esistente, necessaria per pensare alle progettazioni future.
Componenti Gruppo di lavoro regionale
Silvia Papini, Dirigente Regionale,Antonietta Antoniciello, SIAN ASL FG/
3,Margherita Caroli , SIAN ASL BR/1,M. Luisa Piccolo , SIAN BA/2,Giovanni
D’Oria, SIAN TA/1,Pierluigi Di Napoli, Ospedale “Miulli” Acquaviva
F.,Francesco Vitale, responsabile Unità di Nutrizione Clinica Policlinico
Bari,Giuseppe Fucilli, consultorio familiare ASL BA/4,M.Giovanna Rosa,
dietista uff.periferico della Sanità TA , M .Carmela Bucinotti, dietista- responsabile regionale ANDID .
*****
Gruppi di lavoro Regione-Policlinico per
problematiche pregresse “Consorziale”
Tre gruppi misti di lavoro Regione-Azienda Ospedaliera “Policlinico” per affrontare e risolvere i problemi connessi alla “valutazione prestazioni tariffate nel 1998”, ai
“rapporti tra la stessa Aziende e l’Università degli studi di Bari” e ai “rimborsi per la
somministrazione diretta dei farmaci nel 1999” nel Consorziale barese.
Il tutto entro 30 giorni dalla data di insediamento delle tre commissioni.
E’ quanto prevede una determinazione dirigenziale regionale che ha provveduto anche a definire la composizione dei tre gruppi di lavoro: Michele Carretta e
Silvia Papini (Regione), Enrico Viola e Andrea Volpe (Policlinico) per i rapporti
Università-Consorziale; Giuseppe Di Cillo, Silvia Papini e Antonio Rosato (Regione), Antonio Battista, Vito Montanaro (Policlinico) per il consuntivo prestazioni
non tariffate 1998; Rosalba Cavallo, Piero Leoci, (Regione), Francesco Cupertino,
Michele Lattarulo, Vincenzo Moschetta e Vincenzo Pomo (Policlinico) per la
somministrazione diretta farmaci 1999.
L’insediamento dei gruppi di lavoro ha avuto luogo il 25 gennaio scorso.
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Un pap-test a tappeto per la donne pugliesi
In pieno svolgimento il progetto regionale per la prevenzione dei tumori al collo dell’utero
Michele Petroli * - Maria F. Tetesi **
L’obiettivo di uno screening
cervico-vaginale organizzato è quello di
individuare il tumore del collo dell’utero
in una fase precoce della sua storia naturale. Quanto più precoce è la diagnosi
tanto più diventa possibile modificare la
storia naturale stessa della patologia tramite un trattamento spesso ambulatoriale
o in day Hospital. Il principio della diagnosi precoce si basa sull’ipotesi che vi
sia uno sviluppo progressivo del tumore,
che a partire da forme precancerose, attraverso forme pre invasive, arriva a forme invasive. L o scopo della prevenzione
è quello di fare diagnosi prima del manifestarsi della sintomatologia. Una diagnosi
precoce la si può ottenere solo su donne
asintomatiche. E’ stato dimostrato da numerosi studi scientifici, che chi esegue
regolarmente il PAP-TEST ha un rischio
bassissimo di ammalarsi o morire per cancro del collo dell’utero e che il ritardo
nella diagnosi di questo tumore è dovuto
principalmente a due fattori:
1 ) non aver mai effettuato un
PAP-TEST
2) non sottoporsi al PAP-TEST per
un lungo periodo di tempo.
Purtroppo il numero delle donne che
esegue questo esame nella Regione Puglia
è davvero esiguo. Le motivazioni principali generalmente sono:
- la paura che venga diagnosticato un
tumore;
- la sfiducia nelle possibilità di guarirlo.
L’informazione adeguata e l’invito con
lettera aumenta significativamente il numero delle donne che si sottopone all’esame. La dimostrazione è nei risultati ottenuti nelle regioni in cui viene effettuata la
prevenzione con un programma di
Previsto uno screening a cadenza triennale che interesserà integralmente e gratuitamente la fascia
di età compresa tra i 25 e i 64 anni.
Coinvolti in uno sforzo massiccio i
consultori familiari e gli ambulatori ginecologici per i prelievi, laboratori di citopatologia per la lettura
dei pap-test, Unità operative di Ginecologia per approfondimenti ed
eventuali trattamenti e laboratori
di Anatomia patologica per la lettura istologica.Collegamento in rete
tra tutte le strutture interessate e l’Osservatorio Epidemiologico Regionale. Formazione continua per tutto il
personale coinvolto nello screening
screening cervico-vaginale organizzato
già da molti anni.
L’Assessorato alla Sanità della Regione Puglia, alla luce delle suddette considerazioni e avvalendosi di un Comitato
tecnico di supporto ha organizzato un progetto di screening di popolazione dei tumori della sfera genitale femminile, con richiamo attivo della popolazione interessata.
Per rilevare i dati ricognitivi nelle
Aziende Sanitarie del territorio pugliese,
si è richiesto ad ogni AUSL di costituire
un comitato aziendale per lo screening che
collabora ed opera con il Comitato Regionale. Nel primo incontro con i referenti
AUSL sono state rilevate le carenze sia di
personale che di attrezzature per cui nell’assegnazione dei fondi si è tenuto conto di dette richieste rispettando la necessità di eguagliare le strutture sia da un
punto di vista strumentale che di personale (delibera regionale n. 1378 del
30.10.00). I risultati di una prima indagine
sulle donne che in Puglia eseguono spontaneamente il pap-test, sono di una scarsa partecipazione spontanea delle donne
alla prevenzione (circa il 10% del totale) e
da un’attenta analisi sulle donne che vi
partecipano spontaneamente, si è notato
che sono quasi sempre le stesse donne
che eseguono l’esame, ripetendolo ad intervalli regolari e ravvicinati. Il numero
delle donne che lo esegue per la prima
volta è davvero esiguo.
L’obiettivo principale del programma
è quello di sottoporre al pap-test soprattutto le donne che non lo hanno mai eseguito.
Il PAP-TEST è un esame di facile esecuzione, sensibile e specifico, innocuo,
gratuito, facilmente accettato dalla donna per la sua estrema semplicità e, al bisogno, ripetibile. Inoltre non necessita di
richiesta medica, è sufficiente telefonare
al consultorio familiare del proprio distretto sanitario per prendere un appuntamento. L’intervallo di ripetizione dell’esame
negativo è di tre anni.
Il protocollo di intervento della Regione Puglia si basa sulle linee guida della “Commissione Oncologica Nazionale
sottogruppo screening cervico-vaginale”.
La popolazione femminile della Regione
Puglia è di 2.095.000 donne di queste
1.095.181 (dati al 1° gennaio ’98 forniti dal
Sistema Informativo Sanitario del Ministero della Sanità, Dipartimento di Programmazione) sono le donne in età compresa tra i 25- 64 anni, che dovranno essere invitate a sottoporsi al pap-test così
suddivise per provincia:
Foggia 181.394; Bari 414.368; Taranto
162.124; Brindisi 112.240; Lecce 225.055;
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Con uno screening a cadenza
triennale, ogni anno si dovranno invitare
ad eseguire il test il 33% delle donne. Il
risultato atteso si aggira tra: desiderabile
> 85% - accettabile > 65% (CEE 85% pop.
obiettivo 25-64 aa). Il numero degli inviti
da inoltrare per anno sarà di 360.000, mentre i pap-test che realmente verranno eseguiti saranno circa 250.000 da suddividere nelle 12 AUSL della Regione.
Gli inviti dovranno essere inoltrati alle
donne secondo le seguenti fasce di età
(es. 25,28,31,ecc. a cadenza triennale fino
a 64 anni). Utilizzando sempre le stesse
fasce d’età l’anno successivo arrivano
alla stessa età le donne che l’anno precedente avevano un anno meno; in questo
modo in tre anni saranno invitate tutte le
donne della Regione Puglia. Nello
screening organizzato risulta importante
che la gestione (invio dell’invito, gestione dei dati, invio delle risposte non ritirate dai centri di prelievo, richiami per gli
approfondimenti, follow-up delle pazienti
ecc.) sia centralizzata e computerizzata. Il
Comitato Regionale per lo screening ha
ritenuto opportuno che ogni AUSL gestisca in un Centro unico operativo,
l’inoltro dell’invito con controllo della
compliance, la lettura citologica, la gestione dei dati e l’inoltro di questi all’Osservatorio Epidemiologico Regionale. Il
Centro dovrà organizzare, sulla base degli orari di apertura al pubblico di tutti i
consultori familiari e degli ambulatori di
prelievo della AUSL e sulla disponibilità
oraria dei prelevatori, il numero degli inviti da inviare alle donne per il prelievo.
Suddividendo le fasce d’età nella modalità descritta per ogni mese dell’anno andrebbero invitate le donne di 25 anni a
gennaio, quelle di 28 anni a febbraio quelle di. 31 a marzo e così via; le ultime
quattro fasce d’età andrebbero raggruppate a due per volta. Il Comitato Regionale per lo screening, con cadenza
semestrale, dovrà controllare i dati riportati dalle varie sedi utilizzando i protocolli
di controllo di qualità con modulistica
annessa (in via di elaborazione) per la
valutazione di tutte le fasi del progetto.
E’ stato ampiamente dimostrato che
l’efficacia di uno screening organizzato
risulta strettamente correlata alla partecipazione attiva dei Medici di Medicina
Generale (MMG) che, attraverso il rapporto di fiducia e confidenza che instaurano
con le loro assistite, potranno informare
adeguatamente la donna e rimuoverne le
resistenze. A questo scopo si è instaurata una collaborazione fattiva e continua
con il rappresentante regionale della
SIMMG (Società Italiana dei Medici di
Medicina Generale) concordando la gestione da parte dei MMG dei casi non
responders con un 1° sollecito telefonico
dopo 2 mesi di non adesione della donna
ed un 2° sollecito, possibilmente con ripetizione dell’invito cartaceo.
La lettera da inoltrare alla donna ha
uno stile informativo di estrema semplicità (vedi linee guida della Regione Puglia
recepite con deliberazione della Giunta
Regionale n. 1378 del 30.10.2000); vi è
indicato con chiarezza il numero telefonico da contattare con le relative fasce orarie per l’appuntamento. Contiene altresì
un opuscolo informativo dai contenuti
chiari circa la procedura del prelievo, i
tempi d’attesa della risposta (non devono superare le tre settimane) ed un maggiore rilievo è stato dato all’obiettivo principale “reperire le lesioni, prima che diventino invasive”.
Per rendere il programma di screening
operativo si sono coinvolte le seguenti
strutture:
- Consultori Familiari ed ambulatori ginecologici peri prelievi
- Laboratori di citopatologia per lettura dei pap-test (1 per centro)
- Una U. O. di Ginecologia, per Centro, per gli approfondimenti e gli eventuali trattamenti
- laboratori di Anatomia patologica
per la lettura istologica
Il follow-up delle donne con lesioni
sarà gestito dalla collaborazione di queste strutture. Gli operatori delle suddette
strutture hanno dimostrato grande interesse per l’iniziativa e continuano a prestare la loro preziosa collaborazione.
Dall’esperienza pluriennale delle altre regioni italiane che eseguono lo
screening si è appresa l’importanza di
utilizzare un software unico (in via di ela-
borazione) per tutti i centri per lo
screening. L’inoltro dei dati in tempo reale permetterà di monitorizzare lo screening
in tutte le sue fasi. Allo scopo è utile il
collegamento in rete dei centri tra loro e
con l’Osservatorio Epidemiologico Regionale ed una stretta collaborazione con
il servizio di informatica per l’aggiornamento e la gestione dei programmi. Tutto
ciò permetterà di avere una corretta e rapida gestione ed elaborazione statistica
dei dati.
Allo scopo di uniformare le modalità
d’azione su tutto il territorio sono state
elaborate delle linee guida regionali complete di indicatori necessari all’accreditamento delle strutture e del personale
coinvolti nel programma.
Le linee guida prevedono, inoltre, attraverso l’attribuzione di codici al personale coinvolto nello screening, controlli
di qualità in tutte le sue fasi. Il fallimento
di alcuni progetti di screening in alcune
regioni italiane è stato attribuito al cattivo funzionamento anche di una singola
fase di questo (scarsa partecipazione, mal
funzionamento della diagnostica del test
e degli approfondimenti, trattamenti non
idonei e cattivo follow-up).
Sono in elaborazione protocolli molto
dettagliati con annessa modulistica atta a
rilevare i controlli di qualità nelle singole
fasi dello screening:
1) inoltro degli inviti
2) qualità dei prelievi
3) qualità dell’allestimento e colorazione dei vetrini
4) qualità nella lettura citologica
5) qualità nella colposcopia
6) qualità nell’istologia
7) qualità nel follow-up.
La Quality Assurance Intralaboratorio ed Interlaboratorio di
citopatologia ed istologia cervico
vaginale avrà il compito di garantire
l’affidabilità e la coerenza dei risultati su
tutto il territorio. L ‘effettiva realizzazione
dei controlli di qualità in tutte in tutte le
fasi dello screening permetterà alla donna di rivolgersi alla struttura pubblica più
vicina con serenità e fiducia.
Per aumentare la partecipazione delle
donne, si sta elaborando un programma
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pubblicitario articolato in modo tale da
raggiungere il target stabilito. Opportune
campagne pubblicitarie (opuscoli informativi, radio, televisione, giornali., volantini, manifesti, coinvolgimento di associazioni di volontariato sanitario e non, associazioni culturali, religiose ecc.),
laddove necessario differenziandole per
le differenti situazioni socio-culturali,
sensibilizzeranno la popolazione femminile sull’utilità dell’esecuzione del test e
sulla sua ripetizione periodica. Le campagne pubblicitarie bisognerà ripeterle ad
intervalli regolari allo scopo di rinnovare
e rinforzare il messaggio.
Il progetto è in fase di attuazione.
Attualmente con scadenza 31 gennaio
2001 è stata fatta richiesta ai Comitati delle AUSL di compilare i sotto-progetti
AUSL, ovvero i programmi di organizzazione dei Centri AUSL con relativo personale addetto per l’attribuzione dei codici necessari al controllo di qualità, alla
formazione e aggiornamento del personale addetto.
Circa la formazione e l’aggiornamento
continuo di tutti gli operatori sanitari e non,
coinvolti nel programma di screening
cervico-vaginale, è stato redatto un programma di “formazione continua di tutto il
personale coinvolto nello screening”. La
formazione, l’aggiornamento continuo ed
il confronto professionale risulta fondamentale per assicurare un’efficiente ed affidabile livello qualitativo del progetto di
screening. L’organizzazione di corsi di formazione di base e da aggiornamento periodici (semestrali ed annuali) garantiranno la
qualificazione ed il mantenimento delle
competenze professionali nel tempo.
L’intento è migliorare la sensibilità
specificità del test, l’efficacia del trattamento post-diagnosi di positività con
l’obiettivo di modificare il decorso
evolutivo della lesione.
Il programma di formazione è stato
organizzato seguendo le direttive
sull’accreditamento professionale ( art. 16
ter Dlgs 229 del ’99) e sarà suscettibile di
modificazioni secondo le direttive della
Commissione Nazionale per la Formazione Continua.
La Regione Puglia ha già ottenuto la
registrazione presso il Ministero della
Sanità al sito E.C.M. come provider organizzatore di corsi e la password per
l’accreditamento professionale dei corsi.
Attualmente l’accreditamento è del tutto
sperimentale rivolto solo ai medici e agli
odontoiatri, non appena sarà allargato alle
altre figure professionali verrà chiesto
l’accreditamento dell’intero programma.
L’intento é quello di dare la possibilità al
personale della Regione Puglia di ottenere crediti formativi (150 punti in tre anni).
ATTIVITA’ ACCREDITABILI
l ) - Congressi - Convegni. - Seminari
(Regionali e di AUSL)
2 ) - Corsi di Formazione - Corsi di
Aggiornamento- Stages presso Istituti o
reparti ospedalieri (i corsi sono per: personale amministrativo, personale addetto
al prelievo, tecnici di laboratorio, biologicitologi, anatomo-patologi, ginecologicolposcopisti, medici di medicina generale, operatori dei consultori familiari)
3 ) - Partecipazione a programmi di aggiornamento interattivi realizzati su rete
telematica (video corso di citologia
cervico-vaginale)
4 ) - Partecipazione a programmi di prevenzione
5 ) -Pubblicazioni di articoli di ricerca
su riviste accreditate a livello nazionale e
internazionale
6) - Studi e ricerche cliniche ed
epidemiologiche
7 ) - Partecipazione a gruppi di lavoro
per la formulazione di linee guida e di
programmi di formazione .
L’impegno e la partecipazione di tutti
gli operatori coinvolti in questo progetto
permetterà alle donne della nostra Regione di aumentare il più possibile la
compliance delle donne all’invito. Tutto
questo contribuirà a colmare il divario che
attualmente esiste tra la nostra Regione
ed altre realtà nazionali. Un eventuale
confronto dei dati con quelli di altre realtà
regionali permetterà di conoscere meglio
l’incidenza della patologia nella nostra
Regione.
A questo proposito è auspicabile che
anche in Puglia, contemporaneamente al-
l’avvio del progetto di screening, venga
istituito un Registro di Patologia.
La realizzazione di questo progetto è
senz’altro ardua, tuttavia è comunque
necessario proseguire secondo queste
direttive già ampiamente sperimentate
nelle regioni italiane in cui lo screening
cervico-vaginale viene portato avanti con
successo. A tal realizzazione è impegnato il Comitato regionale di coordinamento, che ha approvato le linee guida e che è
così strutturato:
1. dott. M. Petroli, Dirigente Regionale, responsabile progetto;
2. sig.ra S. Papini, Dirigente Regionale, responsabile progetto per le
problematiche relative al personale;
3. dr.ssa M.F. Tetesi, biologa-citologa,
ospedale Francavilla Fontana AUSL BR/1
4. prof. L. Selvaggi, Direttore Clinica
Ostetrica II Policlinico Bari;
5. prof. G. Putignano, Clinica Ostetrica II Policlinico
6. prof. L. Resta, Dirigente Anatomia
patologica Policlinico
7. prof.ssa G. Serio, Istituto di Statistica medica Policlinico
8. dott. G. D’Ambrosio, segretario regionale SIMMG
9. dott. F. Marzullo, Anatomia patologica IRCCS Oncologico Bari
10. dott. C. Carriero, Clinica Ostetrica II Policlinico
11. dott. G. Simone, Anatomia patologica IRCCS Oncologico Bari
12. prof.ssa Ricco, Istituto Anatomia
patologica, 2° settore Policlinico
13. dr.ssa G. Corrado, U.O. Ginecologia Ospedale Cerignola AUSL FG/2
14. dr.ssa A. Mengano, consulente
15. dott. A. Damiani, dipendente Regione Puglia, segretario
16. dott. A. Gravina, dipendente Regione Puglia, segretario.
* Dirigente Regionale, responsabile
di progetto
** Biologa-citologa, AUSL BR/1,
p.o. Francavilla F.
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La spalla instabile e la mano dolorosa nelle
“Giornate Triggianesi di Ortopedia”
Esempi… di buona sanità
Un importante avvenimento scientifico ed un appuntamento, per fare il punto
su malattie non completamente note, come
le periartriti di spalla e la mano artrosica,
si è tenuto allo Sheraton Conference Center
il 2 e 3 febbraio scorsi, organizzato dal Dott.
Franco Buquicchio, Primario della Divisione di Ortopedia e Traumatologia dell’ospedale “F. Fallacara” di Triggiano
(AUSL BA/4).
Sono patologie particolarmente importanti, sia per l’incidenza con cui vengono
riscontrate a livello specialistico, sia per il
reale coinvolgimento in esse di
Reumatologi, Ortopedici, Fisiatri e Medici di Base.
Assieme ad altre malattie – quali
borsiti, tendiniti, lievi traumi esitanti in
instabilità – (spesso definite con il termine di “periartriti”), appartengono alla categoria di patologie di comune riscontro
nella pratica clinica. Talvolta vengono
sottovalutate e non sempre affrontate con
la dovuta attenzione.
Può così accadere che ci si accontenti
di una diagnosi generica di “periartrite”
senza cercare di precisare esattamente
quali sono le strutture più direttamente
coinvolte, oppure che si interpreti come
periartritico qualsiasi dolore che riguardi
la spalla, sulla base della constatazione
che tale evenienza è la più frequente.
La periartrite di spalla è una sindrome
che fu definita da Duplay , dopo che i
coniugi Curie furono insigniti del Nobel
per aver involontariamente ottenuto nel
loro laboratorio una radiografia della
mano.
E’ evidente dunque che tale termine
ha avuto una diffusione popolare da più
di un secolo.
Il Prof. C. S. Neer fu il primo a definire
il dolore della spalla come dipendente ,
nella stragrande maggioranza dei casi, da
una sindrome di impingement. Il termine
“impingement “non ha una chiara corrispondenza con un termine italiano, tuttavia sta a significare attrito, conflitto, limitazione dolorosa dei movimenti di
abduzione e rotazione esterna dell’arto
superiore.
A questa patologia si è trovata una
soluzione moderna con l’artroscopia o
con l’intervento chirurgico in “mini
open”, con una anestesia “interscalenica”
a paziente sveglio e in Day Hospital (ricovero e dimissione in giornata).
Il dott. A.Castagna dell’Istituto
Humanitas di Milano ha operato, presso
le sale operatorie modernissime dell’ Ospedale F. Fallacara di Triggiano, un paziente con lussazione abituale di spalla.
Tale intervento è stato eseguito in
artroscopia ( moderna tecnica chirurgica)
che evita l’incisione chirurgica classica,
la ferita operatoria, l’utilizzo di mezzi metallici, l’immobilizzazione post-operatoria,
il lungo periodo di riabilitazione.
La tecnica adottata permette con fili
di sutura riassorbibili un recupero funzionale ed una stabilità immediata, con solo
tre piccole incisioni chirurgiche e tre punti di sutura.
Le conclusioni della giornata riguardante la spalla instabile, svoltasi all’Hotel
Sheraton, con una partecipazione straordinariamente elevata (oltre 700 congressisti
) hanno sottolineato come una valutazione errata ed affrettata determinerà il rischio
di impostare un trattamento non adeguato
. Inoltre porterà a diagnosticare come
“periartriti” altre patologie dolorose che
continueranno ad aggravarsi sino alla
invalidante spalla artrosica.
L’affollata partecipazione all’intervento teletrasmesso è sembrata la più
palpabile verifica del successo dell’ iniziativa. L’uditorio ha particolarmente gradito la possibilità di rivolgere in diretta
quesiti all’operatore.
Sabato 3 febbraio si è svolta una sessione di lavori che ha avuto come protagonista il Prof. Marco Lanzetta, responsabile della Chirurgia della Mano presso
l’Ospedale S. Gerardo di Monza.
Il Prof. M. Lanzetta è uno dei pochi
chirurghi ortopedici italiani noto in molte
Università straniere, per essere stato chiamato a far parte dell’equipe chirurgica internazionale che a Lione ha eseguito il
primo trapianto della mano.
Il 17 ottobre 2000 il Prof. Lanzetta ha
eseguito con un équipe tutta italiana il
primo trapianto di mano in Italia presso
l’Ospedale S. Gerardo di Monza.
Durante la giornata dedicata alla
“Mano dolorosa” ( 3 febbraio ) è stato
teletrasmesso al Conference Center dello
Sheraton un intervento chirurgico dal P.O.
di Triggiano, riguardante l’impianto della
protesi trapezio-metacarpale sperimentata alla Mayo Clinic in U.S.A..
La protesi è la più moderna soluzione
alla invalidità permanente causata dall’
artrosi della prima metacarpofalangea
(rizoartrosi). Tale patologia di enorme diffusione, specialmente nel sesso femminile, a causa della maggiore longevità, determina dolore irriducibile e limitazione
della funzione prensile della mano.
La relazione successiva effettuata dallo stesso Lanzetta , in tarda mattinata, ad
un affollata assemblea di iscritti e
congressisti, ha mostrato una incomparabile ingegneria chirurgica costantemente messa in atto di fronte alla variegata
patologia traumatica e non.
Il Prof. M. Lanzetta ha stupito chiunque lo ha ascoltato, mostrando casi di
miracolosi reimpianti di arti superiori e inferiori con l’utilizzo di avveniristiche tecniche di microchirurgia di nervi e vasi.
Hanno presieduto i lavori della spalla
instabile, venerdi 2 febbraio, il Prof. G.B.
Solarino e il Prof. G. De Giorgi dell’Uni-
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versità di Bari..
Hanno presieduto i lavori sulla mano
dolorosa , sabato 3 febbraio il Prof. C. Simone
e il Prof. V. Patella dell’Università di Bari .
Sono stati moderatori i Primari:
Antonucci (Brindisi), Fantasia (Foggia),
Florio (Lecce), Gismondi (Bari), Ognissanti (Carbonara), Petrelli (Bitonto),
Petruzzellis (Acquaviva).
La Divisione di Ortopedia e il Servizio
di Anestesia del P.O. Fallacara hanno
manifestato grande soddisfazione e una
punta di orgoglio per una “performance ”
straordinaria, per un ospedale dove efficienza, professionalità e attenzione ai particolari sono all’ordine del giorno.
Ogni Medico della Divisione ha portato un contributo scientifico: il Primario
dott. F.A. Buquicchio sulle protesi di spalla e sulle possibili alternative nelle fratture; L’Aiuto dott. D.A. Masi ha relazionato
sulle moderne tecniche chirurgiche nelle
periartriti ( sindromi da impingement ) trattate per via artroscopica e non .
L’Aiuto dott. L. Pacelli ha mostrato il
trattamento riabilitativo più moderno che
si effettua dopo qualsiasi intervento chirurgico alla spalla. L’Aiuto dott. V. Fiore ,
in collaborazione con gli Aiuti dott.ri L.
Didonna e N. Talienti, ha portato due
contributi scientifici: il primo sulla moderna interpretazione anatomo-fisiologica
della spalla, il secondo sul trattamento
delle fratture articolari di polso.
E’ stata gradita la partecipazione alle
giornate congressuali dei medici di medicina generale dell’A.M.Pe.F. dell’ AUSL
BA/4 che hanno potuto aggiornarsi sull’iter diagnostico-terapeutico delle
tematiche del convegno.
Nei loro stessi interventi si è sottolineata l’elevata incidenza che la mano dolorosa e la patologia della spalla rivestono nella pratica ambulatoriale.
Da parte del Presidente dell’A.M.Pe.F.
dott. Taranto e del dott. Berlingerio è
stata espressa gratitudine al Direttore del
Dipartimento Chirurgico dott. F.A.
Buquicchio, per aver fornito anche i “
crediti formativi “ ai medici partecipanti
nell’ambito del programma E.C.M., essendosi incaricato di accreditare il Convegno e quindi l’AUSL BA/4 presso il Ministero della Sanità.
La partecipazione dei medici
dell’A.M.Pe.F. è il risultato della stretta
Azienda Ospedaliera “V. Fazzi” Lecce
Sì al regolamento sull’attività
libero-professionale intramuraria
Coniugare nel miglior modo possibile il diritto di medici e dirigenti sanitari a
svolgere l’attività professionale intramoenia, secondo la legislazione vigente, con il
diritto del cittadino ad essere correttamente informato e messo nelle condizioni di
poter effettuare una conseguente scelta libera e trasparente.
E’ sulla base di questi semplici ma rilevanti principi che ci si è basati presso
l’Azienda Ospedaliera “Vito Fazzi” di Lecce, per mettere in piedi il Regolamento
sull’attività libero-professionale intramuraria, dopo un lungo e costruttivo confronto
con le organizzazioni sindacali.
“Il regolamento – ha detto il Direttore Generale, dott. Alfredo Rampino - fissa in
maniera organica alcuni principi di fondo, nella consapevolezza della vastità e della
complessità delle problematiche da affrontare e della necessità di trovare soluzioni
idonee per consentire lo svolgimento dell’attività libero professionale dei medici
che, quasi all’unanimità, hanno scelto di esercitare l’attività a pagamento all’interno della strutture del ‘Fazzi’ e negli studi professionali privati, ovviamente fino a
quando gli spazi all’interno dell’Azienda non saranno disponibili in relazione al
fabbisogno”.
Intanto il principio della prevalenza dell’attività pubblica rispetto a quella privata, disponendo che l’attività stessa non può essere svolta nell’orario ordinario di
servizio e deve essere finalizzata alla riduzione delle liste d’attesa.
Dal punto di vista della trasparenza, particolare attenzione è stata attribuita alla
realizzazione di un opuscolo informativo di facile consultazione contenente le notizie riguardanti le tariffe, i luoghi e gli orari delle visite specialistiche “private” nonché i numeri telefonici necessari per fissare gli appuntamenti.
I passaggi principali hanno fatto riferimento alla preliminare individuazione delle prestazioni e servizi erogabili; alla fissazione, d’intesa con i singoli professionisti, delle tariffe, dei tempi e dei luoghi di esercizio con contestuale codifica del
relativo tariffario; fissazione, d’intesa con le organizzazioni sindacali (mediche e
non mediche), dei criteri di ripartizione dei proventi per tipo di prestazione.
I problemi legati agli aspetti gestionali, contabili e fiscali, con le necessità di
erogare ai professionisti interessati le competenze maturate in tempi rapidi e di
impiegare nella complessa procedura il minimo di risorse umane, senza distogliere
dagli ordinari compiti istituzionali il personale amministrativo, sono stati risolti attraverso un software appositamente creato. Questo consente, ad esempio, la liquidazione delle competenze maturate dai professionisti, in uno con la busta paga del
mese corrente, della quota lorda spettante maturata in attività libero professionale
del mese precedente. Non solo, ma su una apposita scheda riassuntiva, i medici
interessati trovano anche le singole prestazioni eseguite, le tariffe applicate e le
modalità di ripartizione. Al 30 settembre scorso la speciale contabilità aziendale
aveva ipotizzato una previsione di attività complessiva per il 2000 di circa 5 miliardi
e mezzo.
collaborazione tra il dott. F. Buquicchio e
il dott. M. Triggiani.
Importante è stata la collaborazione
dell’Ufficio Tecnico diretto dall’ Ing. S.
Carbonara, per la modernizzazione della
Divisione di Ortopedia dell’Ospedale di
Triggiano.
E’ doveroso , da parte di tutta l’equipe
chirurgica e degli organizzatori, in particolare del Presidente Organizzativo dott.
F. A. Buquicchio, formulare vivi ringraziamenti e gratitudine alla MERCKSHARP & DOHME e in particolare al Responsabile di Distretto dott. P. Perilli.
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Encefalopatia Sponfiforme Bovina (BSE)
Malattia di Creutzfeldt - Jacob e sindromi correlate- Situazione attuale
Michele Troiano *
La comparsa nel 1985 di una malattia
neurodegenerativa “scrapie - simile” nei
bovini del Regno Unito (encefalopatia
spongiforme bovina o BSE), con dimensioni epidemiche senza precedenti sta
determinando, ancora oggi in Europa,
particolari preoccupazioni per le incertezze che permangono circa i rischi
epidemiologici e zoonosici che l’agente
eziologico può determinare.
I dati epidemiologici sembrano indicare che la BSE derivi dalle scrapie, patologia degli ovi-caprini, animali nei quali è
stata sicuramente identificata una TSE
(encefalopatia spongiforme trasmissibile)
per selezione differenziale di un ceppo dell’agente di tale malattia con conseguente
passaggio mutante ai bovini. Il salto di
specie sarebbe stato determinato dall’impiego di carcasse di pecore infette nella
produzione di farine di carne ed ossa per
l’alimentazione dei bovini; successivamente, il riciclaggio di carcasse di soggetti con BSE nell’industria mangimistica,
avrebbe causato un improvviso aumento
dell’incidenza dei casi e la comparsa della
forma epidemica.
Responsabile del passaggio risulterebbe il cambiamento nei sistemi di produzione di tali farine, in particolare l’abbassamento delle temperature di lavorazione e la riduzione dell’impiego di solventi per l’estrazione dei grassi, al fine di
migliorare la resa in proteine e grassi, che
non avrebbe consentito un’efficace
inattivazione dell’agente infettante. C’è da
dire che le farine animali erano utilizzate
per l’alimentazione degli animali già agli
inizi del ‘900. La metodica di preparazione, però, consisteva nel portare i residui
delle macellazioni a temperature altissime.
Le farine così ottenute erano estratte dai
forni molto tempo dopo il loro spegnimento, il che consentiva alle stesse di rimanere ancora più a lungo ad alte temperature.
Agli inizi del 1980, invece, probabilmente
anche a causa della crisi energetica, i forni prima in uso furono sostituiti con altri
tramite i quali la farina si otteneva con
temperature più basse ed a ciclo continuo; quindi queste, una volta arrivate alle
temperature previste, venivano tolte rapidamente dal forno con un sistema continuo. I grassi, inoltre, venivano sciolti da
solventi che poi non furono più utilizzati
per evitare contaminazioni all’ambiente.
Questo stato di cose ha permesso o la
modifica dell’agente infettante delle
scrapie nel prione della BSE, o la sopravvivenza del prione che già poteva essere
presente in tali farine. Con una decisione
del Consiglio della Comunità 1999/534,
entrata in vigore in Italia l’1.7.99 come
segnalato dal MINSAN con circolare n.
600.9/508/2944, ai fini di realizzare misure
applicabili al trattamento di taluni rifiuti
d’origine animale per la protezione dalle
TSE (Encefalopatie Spongiformi
Trasmissibili), è stato previsto che i rifiuti
d’animali di mammiferi ad alto ed a basso
rischio, compresi i sottoprodotti di mammiferi non destinati al consumo umano,
devono essere trasformati a T° > 133°C,
con pressione assoluta di >3 bar per 20
minuti, con una dimensione del pezzo di
50 mm. e con sistema di fusione discontinuo o continuo.
Attualmente sono in corso ricerche
per accertare l’agente eziologico che causa la BSE e tra questi virus, virini, prioni e
batteri quest’ultimi in unione a processi
autoimmuni. Soffermandoci sulla eventuale causa batterica va riportato che nel 1999
l’équipe del Prof. Alan Ebringer ha messo
in evidenza negli animali colpiti da BSE la
presenza d’auto-anticorpi (IgA) antineurofilamenti ed anti-mielina, così come
degli anticorpi contro acinetobacter
calcoaceticus, ipotizzando che questo
germe, in congiunzione con un processo
autoimmune, potrebbe provocare la malattia.
Al momento, comunque, l’agente casuale più accreditato che determina la
patologia viene appunto identificato nel
prione, scoperto nel 1984 dall’americano
Stanley Prusiner che per tale motivo è stato insignito con il premio Nobel. Va subito precisato che il dogma centrale della
biologia molecolare è costituito dal fatto
che gli agenti infettivi delle malattie, per
potersi propagare da un organismo ospite ad un altro, devono possedere acidi
nucleici e che l’informazione genetica
deve pervenire dagli acidi nucleici alle
proteine. L’agente infettante della BSE,
invece, sembra non rispettare questo principio, in quanto provoca malattia infettiva nonostante sia privo di acidi nucleici;
in base a ciò è stato definito particella infettiva proteica. Le proteine prioniche
sono presenti anche nei soggetti sani (uomini ed animali) a livello di membrana
plasmatica di numerosi tessuti (cervello,
milza, intestino, fegato e rene) e, comunque, le più alte concentrazioni sono associate alle cellule nervose. Tali proteine
dovrebbero servire all’organismo per accelerare il passaggio del comando nervoso da cellula a cellula. I prioni che determinano la patologia della BSE sono presenti nel citoplasma delle cellule. Le proteine normali hanno i propri amminoacidi
sistemati secondo due diverse strutture:
eliche di tipo alfa, o foglietti distesi di tipo
beta. Una proteina in genere può contenere entrambe queste strutture. Il prione
patologico trasforma alcune eliche alfa,
dei prioni normali, in foglietti beta, quindi
in strutture molto più aperte e ciò è sufficiente a snaturare le funzioni della proteina ottenendo, così, forme completamente diverse realizzate sempre con i medesimi pezzi. Per fornire un’ immagine pratica
di come i prioni si trasformino possiamo
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A LT O
M E D IO
B ASS O
E n cefa lo
Il eo
C o l o n d is tal e
M id o l lo
to dello stato generale, mentre l’appetito
è conservato. Con il progredire della malattia compaiono più evidenti alterazioni
del sistema locomotore con debolezza
muscolare, tremori e cadute. Subentrano
infine la paralisi ed il decubito preexitus.
E’ la perdita del controllo dei nervi motori
che ha determinato l’appellativo “mad cow
disease” o malattia della mucca pazza.
Considerando l’alimento come potenziale fattore di rischio per l’uomo, la prima
valutazione da fare è quella di identificare
i tessuti ed i prodotti alimentari da essi
derivati, che potrebbero veicolare l’agente della BSE.
Nel 1991 l’O.M.S. ha pubblicato una
lista di tessuti classificati in base al loro
presunto livello di contaminazione da parte dell’agente della BSE (Fig. 1). Le successive indagini condotte non hanno rilevato infettività al di fuori del SNC e della retina che, anatomicamente, rappresenta
un’estensione dell’encefalo; solo nel corso di uno studio patogenetico, condotto
sui bovini con BSE indotta sperimentalmente, è stata riscontrata infettività
nell’ileo distale.
N O N M IS
M u s co li s
Ip o fis i
M u co s a n as al e
L i n fo n o d i
N er v o s ci ati co
C o a g u li s
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C o lo n p r o s si m al e
M i d o llo o s s eo
M am m e l
M ilz a
F eg a to
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C o n n e tti v o ,
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Cu
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O v aie ,
P la cen t a
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L i q u id o ce falo -r a ch id i an o
Re
S u rr en al i
G h . Sa liv a
T iro
U rin a ,f eci ,
dire che, quelli non patologici sono come
dei gomitoli di lana che si trasformano in
gomitoli srotolati quando diventano patologici. In particolare, quando un prione
patologico entra in una cellula del cervello attacca una proteina prionica buona,
detta PrPC, trasformandola in un prione
cattivo, chiamato PrPSC col sistema del
contatto diretto che alcuni studiosi hanno definito della “mela marcia”. Il fenomeno si sviluppa quindi con una specie
di reazione a catena che determina la distruzione delle cellule nervose provocando dei vacuoli o buchi.
Il prione può essere distrutto nel seguente modo: a 121° C x 60 minuti - a 250
° C x 1 minuto - con ipoclorito di sodio x
30 minuti - con idrossido di sodio x 60
minuti.
A tutt’oggi la trasmissione per via orale sembra la più accreditata, anche se non
va ancora esclusa la possibilità di trasmissione da madre a feto ed una maggiore
sensibilità genetica dei soggetti colpiti.
L’eventualità di una trasmissione mediante la fecondazione artificiale o embryotransfert è anch’essa in corso di studio.
Solo i bovini adulti sembrano recettivi e
sensibili alla BSE e l’incidenza è molto più
alta fra gli animali da latte (mucca pazza)
che in quelli da carne, probabilmente in
relazione alla loro alimentazione più ricca
di concentrati, mentre non si può asserire
che i maschi siano meno ricettivi, in quanto vengono macellati prima delle femmine.
Studi patogenetici individuano una
precoce infezione del tratto distale del piccolo intestino che precederebbe la localizzazione nervosa. L’agente infettante
raggiunge il sistema nervoso centrale,
non potendo però escludere completamente la via ematica, tramite il midollo allungato, per cui il prione risalirebbe lungo le vie periferiche nervose (forse tramite il segmento di midollo spinale compreso tra la 4 e la 9 vertebra toracica). Il periodo di incubazione varia dai 2 agli 8 anni
e la comparsa della malattia, mediamente,
dai 3 ai 9 anni, anche se in Inghilterra sono
stati accertati rarissimi casi in vitelli.
Clinicamente la BSE è caratterizzata da
una perdita progressiva della funzionalità cerebrale con esito sempre infausto, in
un periodo da due settimane a 14 mesi (in
media 2 mesi). I sintomi iniziali sono assolutamente aspecifici: nervosismo,
ipereattività, graduali disordini locomotori
accompagnati da perdita di peso, diminuzione della produzione lattea e scadimen-
Il sistema utilizzato per valutare la distribuzione dell’agente nei tessuti si basa
sulla prova biologica effettuata sul topo,
eseguita per via intra cranica, che richiede un superamento della barriera di specie, con notevole perdita di sensibilità.
Si ritiene che i prioni prodotti in una
specie animale eccezionalmente possano
provocare malattia in animali di specie diverse: quanto più le specie sono lontane
N UM E R O C A S I DI E NC E FA LO PATIA S PO N GIF O R M E B O VIN A Fonte: O rganiz ation Inte rnazional de s E pizoo
Pa ese
1987
e Pre c. 1988
1989
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2001
R e gnoUnito
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nella scala evolutiva, tanto più aumenta
la difficoltà di trasferibilità della malattia.
Il cane, per esempio, analogamente al
lupo ed altri canidi, è da ritenere refrattario agli agenti che causano la BSE: i cani
pastore di greggi ovini colpiti da scrapie
o malattia del prurito e del trotto, che certamente mangiano i visceri degli animali
ammalati, non hanno mai manifestato segni di questa malattia. Inoltre nessun caso
di Encefalite Spongiforme è stato mai riscontrato in canidi selvatici negli zoo inglesi, anche se alimentati con carcasse
(soprattutto teste) di bovini affetti da BSE.
Comunque va anche precisato che, negli
stessi zoo, si sono infettati ed hanno manifestato Encefalite Spongiforme, felini di
diverse specie alimentati con carcasse
infette. La non trasmissibilità della malattia al cane può essere rapportata al principio generale per il quale, attraverso i meccanismi determinati dalla selezione naturale, il predatore (in questo caso il cane
ed i canidi in generale), è divenuto resistente alle infezioni presenti nelle sue prede (piccoli e grandi ruminanti). Bisogna
però anche riferire che nel Regno Unito
nel 1990 la malattia è stata riscontrata in
69 gatti domestici ed in alcuni felini selvatici, ed uno in Irlanda del Nord, in Norvegia ed in Svizzera. In proposito vi è da
chiedersi se la FSE dei gatti non fosse
presente anche prima del 1990, e che solo
l’epidemia di BSE nei bovini abbia indotto a ricercarla ed individuarla anche in
questi animali. Sulla base di quanto è dato
di conoscere, nessun felino ammalato è
nato dopo il 1990, quando cioè sono diventate più restrittive le misure per evitare la vendita di alimenti per animali d’affezione costituiti da carne di ruminanti.
In Italia numerosi sono i prodotti alimentari derivati da tessuti bovini appartenenti alle categorie alta e media che vengono consumati. Tra questi si ritrovano
alimenti costituiti integralmente da porzioni di tessuto nervoso, in particolare
soggetti giovani, come il cervello, il
cervelletto, il midollo spinale o da organi
linfatici come la milza, l’intestino tenue
(con le placche di Peyer), il timo, oppure
prodotti contenti una mescolanza di muscolo ed altre porzioni di tessuto meno
nobile, quali linfonodi, residui di nervi,
frattaglie (per esempio alcuni insaccati e
prodotti inscatolati).
Per quanto attiene gli omogeneizzati
C asi totali di dec essi da M C J/G SS
(M alattia di C reutz feldt-Ja cob e Si ndrom i C orre lat e)
A ustralia
Austri a
C ana da
F rancia
Ge rm ani a
S lovaki a
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1993
20
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-
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21
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11
5
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12
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1
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72
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1996
27
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6
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7
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110
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8
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96
86
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2000
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3
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70
7
3
5
Total e
158
63
82
599
607
439
119
44
203
(alimenti per la prima infanzia), l’Italia dal
1997 ha vietato la produzione, importazione ed immissione al commercio su territorio nazionale di alimenti per la prima infanzia contenenti cervello, midollo spinale,
fegato ed altri tessuti viscerali dei ruminanti, indipendentemente dalla provenienza
geografica degli animali.
Il grosso problema è rappresentato dal
fatto che l’infettività del SNC è presente
prima della comparsa dei sintomi clinici, per
cui porzioni di tessuto cerebrale contaminato da parte dell’agente della BSE, provenienti da soggetti apparentemente sani, potrebbero arrivare sulla tavola dei consumatori.
Un altro fattore da considerare nella
valutazione del rischio è la dose, cioè la
quantità di agente necessario a trasmettere la malattia. E’ un dato estremamente difficile da acquisire strettamente legato, comunque, al tipo di tessuto assunto. Studi
sperimentali hanno dimostrato che 1 grammo di cervello infetto di bovino contiene
sufficiente quantità di agente per trasmettere la malattia a 100.000 topi.Tali indagini,
tuttavia, sono state effettuate inoculando
il materiale per via intra cranica; utilizzando la via orale la sensibilità si ridurrebbe
almeno di 60.000 - 100.000 volte. Nel corso
di un altro esperimento è stato osservato
che 1 g di cervello infetto bovino, somministrato per bocca ad un vitello, è in grado
di causare la BSE.E’ stata anche effettuata
inoculazione intra cerebrale ed intra
peritoneale ai topini di estratto di polpa e
latte di bovini infetti da BSE senza constare alcuna trasmissione della malattia agli
stessi. Sono proprio questi accertamenti
Itali a O la nda
di laboratorio che dovrebbero tranquillizzare l’opinione pubblica nel consumare
carne e latte.
Molto importante risulta anche la provenienza dell’alimento e quindi la situazione del Paese produttore, anche in relazione alla sorveglianza epidemiologica
sulla malattia. L’Italia, come la quasi totalità degli altri Paesi, non dovrebbe presentare la stessa combinazione di fattori
di rischio che si è verificata in Gran
Bretagna; questi sono rappresentati da
un elevato rapporto (3,5:1) fra popolazione ovina e quella bovina e da una diffusa
presenza di scrapie.
Dal 1989 la BSE è comparsa anche in
altri Paesi (Fig. 2), sia in bovini importati
prima del bando, sia in soggetti alimentati
con farine di carne ed ossa prodotte nel
Regno Unito. L’Italia ha recepito tutte le
direttive CEE, emanate a partire dal 1989,
riguardanti gli scambi dal Regno Unito e
gli altri Stati membri, fino ad arrivare nel
1996 ad un blocco totale delle importazioni da tale Paese.
Data ultimo aggiornamento:
Regno Unito: 21 dicembre2000; Belgio: 30 novembre 2000; Danimarca: 15
gennaio 2001 (il caso del 1992 è relativo
ad un animale importato); Francia: 18 dicembre 2000 (1 caso importato nel 1999);
Germania: 11 gennaio 2001 (6 casi importati -1 nel 1992, 3 nel 1994, 2 nel 1997);
Italia: 24 gennaio 2000 (2 casi importati
10/94); Irlanda: 15 agosto 2000 (casi importati: 5 nel 1989, 1 nel 1990, 2 nel 1991, 2
nel 1992, 1 nel 1994 e 1 nel
1995);Liechtenstein: 30 settembre 1998;
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Lussemburgo: 31 ottobre 2000; Olanda:
10 marzo 1999; Portogallo: 23 novembre
2000 (casi importati: 1 nel 1990, 1 nel 1991,
1 nel 1992 e 3 nel 1993); Spagna: 9 gennaio 2001; Svizzera: 8 dicembre 2000.
Paesi nei quali si sono avuti unicamente casi di BSE in animali importati:
Canada: 1 caso (11/93); Isole Falkland: 1
caso (1989); Kuwait: 1 caso (12/2000)
Sultanato dell’Oman: 2 casi (1989).
Da questi dati è possibile tentare una
valutazione dell’entità di esposizione dell’uomo ad alimenti potenzialmente infetti
e/o contaminati. Fondamentale è considerare due diversi periodi: prima e dopo il
12.8.89. In tale data, infatti, è stato disposto il blocco dell’importazione dal Regno
Unito di bovini vivi nati precedentemente al 18.7.88, cioè prima che fosse vietato
l’uso di farine di carne ed ossa derivate
da ruminanti, per l’alimentazione dei ruminanti stessi. Nel novembre dello stesso anno, un altro provvedimento è stato
predisposto dal Regno Unito: il divieto
d’utilizzo, per il consumo umano, di alcuni organi e tessuti bovini (cervello, midollo spinale, milza, timo, tonsille ed intestino) considerati potenzialmente infetti provenienti da soggetti con più di sei mesi di
età. Nel 1990 tale disposizione è stata ripresa dalla normativa Comunitaria (decisione 90/200/CEE) che ha attuato, per il
Regno Unito, il divieto di esportare verso
gli Stati membri tessuti potenzialmente
infetti provenienti da bovini di età superiore ai sei mesi al momento della
macellazione.
Appare chiaro che, in seguito a tali
provvedimenti, viene e ridursi notevolmente la fonte principale di contaminazione anche se, da più parti, è stata segnalata la commercializzazione di farine
animali prodotti nel Regno Unito in decine di altri Stati e, tra questi, il Kenya,
Sudafrica ed Indonesia. Se ciò fosse realmente confermato, risulterebbe inspiegabile l’atteggiamento delle autorità sanitarie inglesi le quali, pur disponendo il
divieto di utilizzo di farine animali nel proprio territorio ne hanno permesso l’esportazione. A tal proposito è necessario ricordare che, con circolare del MINSAN
n. 600.8/24475/AG:39/3460 del 02.10.98, fu
comunicato che era possibile la spedizione di carni separate meccanicamente verso quei Paesi Terzi che avevano dichiara-
Pe rcentu ale an nua di m orta lit à da M C J/G S S p e r o gni m i lione di abitan ti
195 8 - 19 71
A ustralia
A us tria
199 3
1.1 3
199 4
C ana d a
0.0 5
F ranci a
G e rm ania
It alia
O la nda
S lo vaki a
Spa gna
0.7 7
0.9 5
0.4 4
0.6 3
0.7 2
1.0 0
0.4 9
0.6 7
1.2 8
1.0 2
0.8 8
0.6 7
1.1 8
1.0 0
0.4 3
199 5
1.1 5
1.2 8
1.2 8
1.0 6
0.6 0
0.5 2
1.2 0
0.4 1
199 6
1.4 7
1.4 1
1.5 1
0.9 6
0.9 5
0.8 9
1.2 0
0.6 6
199 7
1.2 9
0.9 0
1.5 6
1.3 0
1.0 4
1.2 1
1.4 0
0.8 4
199 8
1.2 7
1.0 3
0.5 3
1.6 8
1.3 4
1.1 0
1.2 1
1.2 0
1.2 7
199 9
1.0 2
1.0 3
0.9 0
1.6 6
1.0 5
1.4 6
1.2 1
1.2 0
0.8 6
200 0
0.7 5
0.7 7
0.6 7
1.2 4
0.5 2
1.2 3
0.8 8
1.2 0
0.1 3
% m edi a
1.1 2
1.0 6
0.7 5
1.3 7
0.9 9
0.9 6
1.0 1
1.1 8
0.6 9
to di accertarle, anche non trattate
termicamente con obbligo di verifica di
allontanamento dal territorio nazionale
verso, appunto, destini extracomunitari.
Nel dicembre del 1995, la Gran
Bretagna ha proibito l’utilizzo di colonne
vertebrali bovine, per evitare che anche
piccole porzioni di midollo spinale entrassero nella catena alimentare umana
mediante questa modalità. In Italia un dispositivo analogo, anche se parziale, è
contenuto nel D.L.vo 286/94 , sebbene
questo non sia posto in diretta relazione
alla profilassi della BSE. L’art. 2 del
succitato Decreto, infatti, definisce che
per carni separate meccanicamente s’intendono quelle derivate dalle ossa carnose, escluse quelle della testa. La legislazione, attualmente, prevede solo la testa
e non la colonna vertebrale fra le porzioni
da escludere dal trattamento di separazione meccanica.
Il limite maggiore, relativamente alla
possibilità di fornire garanzie sanitarie
sulla BSE, è la mancanza di test diagnostici
capaci di riconoscere l’animale infetto prima della macellazione e, comunque, prima
della manifestazione sintomatologica clinica. Dati relativi al 1994 indicano che nel
Regno Unito, la maggior parte dei bovini
è stata macellata per il consumo tra i 2 ed
i 3 anni di età. Poiché è plausibile che
l’infezione venga acquisita nel corso del
primo anno di vita, è verosimile che parte
degli animali avviati alla macellazione potessero essere in fase di incubazione. Uno
studio condotto in Gran Bretagna stima,
infatti, che circa 446.000 soggetti infetti
siano entrati nella catena produttiva di ali-
menti per uso umano, prima del bando del
1989, e che altri 283.000 sarebbero stati
avviati al libero consumo tra il 1989 ed il
1995.
Il nostro Paese figura tra gli Stati
dell’U.E. che, tra il 1985 ed il 1990, hanno
importato meno prodotti dalla Gran
Bretagna, in termini sia di animali vivi che
di farine di carne. Il Ministero della Sanità
ha calcolato che, nel triennio 1988-1990
l’Italia abbia introdotto 5.100 bovini, la maggior parte dei quali destinati al macello.
La malattia di Creutzfeldt-Jacob sporadica (MCJ) è conosciuta sin dagli anni
20 ed è diffusa in tutto il mondo con un’attuale incidenza di circa 1 caso per milione
di abitanti per anno (Fig. 3) e non può
escludersi ancora che, come nell’uomo,
possa sorgere anche spontaneamente per
i bovini.
Questa malattia non è legata alla BSE,
al contrario della variante di CreutzfeldtJakob (vMCJ) che ha lo stesso agente
infettante
della
Encefalopatia
Spongiforme Bovina. In Italia la sorveglianza della MCJ è cominciata nel 1993
nell’ambito di un progetto europeo.
La malattia di Creutzfeldt-Jakob è
un’encefalopatia spongiforme per la quale non è stato ancora possibile elaborare
un’indagine diagnostica che consenta di
confermare la diagnosi clinica. La diagnosi
di certezza, infatti, si ottiene esclusivamente attraverso lo studio del tessuto cerebrale a seguito di autopsia. Appare quindi evidente la fondamentale importanza
che riveste il riscontro autoptico nei pazienti deceduti con sospetto clinico di
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Marzo
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......
TuttoSanità
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C as i t o tal i d i d ece ss i d a M C J /G S S e v M C J a cce rtat i in In g h i lte rra
(M al att ia d i C reu tz feld t -Ja co b e Si n d ro m i C o rre lat e)
vM C J
p ro b a b ile in
m o rti e d in
at tes a d e i
ri su l tat i
A nni
S eg n al azi o n i
S p o rad ic i
Iatro g e n i
F am i lia ri
G SS
VMCJ
p ro b ab il e
an co ra in v it a
1985
-
26
1
1
0
-
1986
-
26
0
0
0
-
1987
-
23
0
0
1
-
1988
-
22
1
1
0
-
1989
-
28
2
2
0
-
1990
53
28
5
0
0
-
1991
75
32
1
3
0
-
1992
96
43
2
5
1
-
1993
78
38
4
2
2
-
1994
116
51
1
4
3
-
1995
87
35
4
2
3
-
1996
134
40
4
2
4
-
1997
161
59
6
4
1
-
1998
154
63
3
4
1
-
1999
169
61
6
2
0
-
-
2000
172
38
0
2
0
5
2
MCJ, sia per una definizione diagnostica
che per una corretta valutazione epidemiologica di questa patologia nel territorio nazionale. Viene segnalato che alcuni
medici tendono ad evitare l’esecuzione
dell’autopsia nei soggetti affetti da tale
malattia forse perché, non essendoci attrezzature adeguate, temono il contagio
dell’infezione sia personale che generale.
Ma al riguardo risulta indispensabile tale
verifica per constatare se si è in presenza
di vMCJ . Pertanto, qualora le autorità
sanitarie non impongano i suddetti accertamenti, potrebbe rendersi necessario l’intervento della magistratura per effettuare
obbligatoriamente tali autopsie, al fine di
valutare l’esatto stato epidemiologico del
vMCJ ed, ovviamente, per fornire tutto
quello che è necessario per la protezione
degli addetti ai lavori.
Analizzando le percentuali dei casi riscontrati in Italia dal 1958 al 1971(fig. 4) si
osserva che a quel tempo le stesse erano
bassissime (0.05 per milione di abitanti)
mentre sino al 2000 sono aumentate notevolmente (0.96 per milione di abitante).
Tutto ciò farebbe ritenere che: o il sistema di segnalazione di tale malattia non
era adeguato, o la percentuale di MCJ in
co
grosse differenze di sesso. Questi dati potrebbero fornire agli studiosi degli elementi per approfondire la ricerca al fine di
valutare se vi sono delle recettività maggiori su alcuni soggetti.
Negli Stati Uniti, pur non essendosi
mai accertati casi di vMCJ, le percentuali
di morte risultano identiche a quelle rilevate in Europa (1 caso su un milione di
abitanti) e, pertanto, si spera che l’aumento verificato sia riconducibile ad una fisiologica presenza di tale malattia non
accostabile ad altri fattori di rischio che
attualmente sussistono in Europa.
In Inghilterra l’accertamento di casi di
vMCJ negli ultimi anni è aumentato e,
considerato il periodo di incubazione della malattia, ci si attende un ulteriore incremento della stessa (Fig. 5). Attualmente,
invece, in Italia, non sono stati segnalati
casi di vMCJ (Figg. 6 e 7).
questo ultimo periodo è aumentata per
cause ancora ignote oppure, e non può
escludersi neanche quest’ultima ipotesi,
tra i casi segnalati negli ultimi anni vi possono anche essere delle vMCJ non accertati. Tra l’altro, proprio agli inizi degli
anni 80, come già detto, la modificazione
nella preparazione delle farine animali ha
determinato l’insorgere della BSE.
Al fine dell’approfondimento dell’argomento va anche precisato che negli
Stati Uniti, a seguito di quanto avvenuto
in Inghilterra, è stato attivato uno studio
sulla mortalità causata dalla MCJ e da sindromi correlate od eventualmente dalla
vMCJ. Dal 1979 sino al 1994, si sono
avuti 3.642 decessi facendo registrare la
MCJ come causa fondamentale nell’
83.4% dei casi.
La percentuale annua della morte è
dello 0.95 per milione di persone, con
un’età media di decessi intorno ai 67 anni
(età mediana = 68 anni).
Nella maggior parte (95.2%) dei casi
di morte, si trattava di bianchi. La percentuale dell’ età dei neri era più bassa di
quella dei bianchi. La percentuale dei morti
al sud degli USA era più bassa, senza
La MCJ sporadica insorge in età avanzata, dai 55 ai 66 anni, ed ha origine sconosciuta, evoluzione lenta e demenza senile. La certezza di tale patologia si ha solo
dopo la morte a seguito di esecuzione di
esame autoptico.
La vMCJ può insorgere in età giovanile e l’origine è legata alla BSE. La
sintomatologia iniziale è sostanzialmente
psichiatrica (depressione, ansietà, apatia),
segue atassia, disturbi sensoriali di tipo
dolorifico (che non si osservano nella forma sporadica), movimenti involontari
(mioclono, corea, distonie), demenza. Fondamentale per la diagnosi clinica di malattia probabile è l’esecuzione della risonanza magnetica, che mostra un’iperintesività
del pulvinar bilateralmente. Per la diagnosi di certezza è necessario il riscontro
autoptico. In questa forma si trova il PrPsc
anche nelle tonsille ed in altri organi
linforeticolari e, quindi, non si può escludere che il sangue possa essere infetto.
Questa è la ragione per la quale l’Italia,
insieme agli USA, il Canada e la Germania, hanno deciso di impedire le donazioni da parte di soggetti che hanno soggiornato per più di sei mesi (totali anche
se non consecutivi) in Inghilterra dal 1980
al 1986. Il periodo di incubazione non è
perfettamente stabilito. Si ipotizza che
possa variare da un minimo di 4 – 5 anni
ad un massimo di 40 anni. Al momento,
come in campo animale, non ci sono tests
19
n. 51..Febbraio
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..........2001
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TuttoSanità
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N u m ero d i d e ces s i d a M C J /G SS in It ali a
A nno
S eg n al azi o n i
S p o rad ic i
Iatro g e n i
F am i lia ri
G SS
FF I
1993
51
28
0
5
1
2
1994
62
32
0
5
0
1
1995
52
27
0
6
0
1
1996
77
48
0
5
0
1
1997
139
47
1
11
0
1
1998
143
54
1
8
0
1
1999
192
72
0
11
0
0
2000
177
55
0
10
2
3
2001°
4
0
0
0
0
0
T o tal e
858
354
2
60
3
9
diagnostici in grado di identificare eventuali soggetti infetti clinicamente sani.
In Europa, a seguito dei casi di BSE
accertati, la Commissione scientifica ha
presentato nel 1998 al Parlamento Europeo ed al suo Consiglio una relazione che
conteneva un ampio compendio sui provvedimenti concreti di lotta contro la BSE,
relativi alle analisi dei rischi, dei controlli
e delle ispezioni, evidenziando, nel
contempo, di non aver constatato i risultati auspicati.
Malgrado tutti gli sforzi da parte della
Commissione, il Consiglio non ha accettato di adottare un approccio comune
volto all’eliminazione dei “materiali specifici a rischio” dalla catena alimentare
umana e animale. Sono state quindi ignorate le raccomandazioni dei comitati scientifici in merito. In questo settore, la prevenzione dei rischi a livello comunitario è
stata a lungo inadeguata.
Si sono registrati dei progressi per
quanto riguarda il recepimento della normativa comunitaria in materia di prevenzione della BSE, in particolare relativamente al divieto di somministrazione ed ai requisiti per il trattamento della farina di
carne e ossa, rilevando, però motivi di inquietudine laddove gli Stati membri sono
stati poco solerti nell’applicare la normativa comunitaria mirante a controllare la BSE.
In tale occasione la Commissione ha
dato una forte spinta ai lavori di
omologazione di un test post mortem della BSE.
Si riportano, qui di seguito, un elenco
cronologico della principale legislazione
dell’Unione Europea sulla BSE:
Decisione 89/469 28 luglio 1989
v
(bestiame vivo Regno unito)
Il Regno unito non invia negli Stati
membri bestiame vivo nato prima del 18
luglio 1988 o nato da femmine sospette di
essere affette da encefalopatia
spongiforme bovina o nelle quali sia stata confermata ufficialmente la presenza del
morbo.
Decisione 90/134 6 marzo 1990 (notifica di ESB)
Devono essere notificati tutti i focolai
di encefalopatia spongiforme bovina.
Decisione 90/200 9 aprile 1990 (prodotti Regno Unito)
Il Regno Unito non invia negli altri
Stati membri cervella, midollo spinale, timo,
tonsille, milza, intestini provenienti da
bovini di età superiore ai sei mesi al momento della macellazione.
Decisione 94/381 27 giugno 1994
(divieto di mangimi)
Gli Stati membri vietano la
somministrazione ai ruminanti di proteine
derivate da tessuti di mammiferi.
Decisione 94/382 27 giugno 1994
(Lavorazione di resti di ruminanti)
Approvazione di sistemi alternativi di
trattamento termico di rifiuti animali provenienti da ruminanti nell’intento di neutralizzare gli agenti dell’encefalopatia
spongiforme.
Decisione 96/239 27 marzo 1996
(embargo nei confronti del Regno Unito)
Il Regno Unito non può esportare dal
proprio territorio verso gli altri Stati membri o paesi terzi bovini e prodotti bovini
Decisione 96/449 18 luglio 1996 (lavorazione di rifiuti provenienti da mammiferi)
Condizioni di lavorazione di rifiuti provenienti da mammiferi nell’intento di neu-
tralizzare gli agenti dell’encefalopatia
spongiforme: 133° - 3 Bar - 20 minuti - ora
sostituita dalla 1999/534 (introduce condizioni di lavorazione per il sego).
Decisione 98/256 16 marzo 1998
(parziale abrogazione dell’embargo nei
confronti del Regno Unito - ECHS)
Prima modifica dell’embargo nei confronti del Regno Unito: rafforzamento di
controlli e prime misure di abrogazione
dell’embargo nell’ambito del Programma
per l’esportazione da allevamenti certificati (ECHS) d’Irlanda del Nord
Decisione 98/272 23 aprile 1998
(sorveglianza epidemiologica di tutte le
EST)
Stabilisce le norme generali di sorveglianza di tutte le encefalopatie
spongiformi trasmissibili (EST). Modificata dalla 2000/374, che introduce test rapidi (vedi sotto)
Decisione 98/653 18 novembre 1998
(embargo nei confronti del Portogallo)
Divieto di spedizione di bovini e prodotti bovini dal Portogallo
Decisione 98/692 25 novembre 1998
(parziale abrogazione dell’embargo nei
confronti del Regno Unito - DBES)
Seconda modifica dell’embargo contro il Regno Unito: Adozione dei principi
della seconda fase verso l’abrogazione del
divieto nell’ambito del Programma di
esportazione in base alla data (DBES)
applicabile nell’intero Regno Unito.
Decisione 99/514 23 giugno 1999
(data di spedizione di carne e prodotti a
base di carne DBES)
Fissazione della data dalla quale può
iniziare la spedizione di carne di manzo e
di prodotti a base di manzo provenienti
dal Regno Unito: 1° agosto 1999
Decisione 2000/374 5 giugno 2000
(rafforzamento della sorveglianza mediante test rapidi)
Rafforzamento della sorveglianza
epidemiologica dell’ESB nel bestiame
mediante introduzione di un programma
di monitoraggio a partire dal 1° gennaio
2001, mediante test rapidi post mortem.
Gli Stati membri svolgono programmi annuali di monitoraggio su un campionario
mirato di animali, con particolare attenzione agli animali che muoiono nelle aziende agricole, agli animali malati macellati
d’urgenza e agli animali con sintomi di
comportamento o neurologici.
Decisione 2000/418 29 giugno 2000
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Marzo
.....Febbraio
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......
TuttoSanità
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A g g io rn a ta a l 1 5 g en n a io 2 0 0 1
S p o rad ic a: fo rm a cl as si ca; Iatro g e n a: l' in fez io n e è s ta ta d e term in at a acc id en t alm en te co m e co n s eg u en
m e d ich e . T u tti i cas i in In g h i lte rra so n o co n s eg u it i d a tra tta m en t i c o n o rm o n i d el la cres ci ta (p itu i
d i d u ra m at er. Fa m iliari : C a si a cce rtat i i n fam ig l ie as so c iat i a m u t az io n i n el g en e d i PrP e d i tes s u ti d
so n o in fe ttiv i. G S S : S in d ro m e d i G ert sm an n -S tra u ss le r-Sc h ein k e r - L a m ala tti a, m o lt o rara, s i tras m e tt
d ete rm in a ta d a u n a u to s o m a ered i tat o ; s in to m at o lo g ic am e n te è p res en t e a tas s ia p ro g re ss iv a e d em
F FI: in s o n n ia fata le fa m il iare . v M C J p at o lo g ia d et erm i n ata d all a B S E .
N u m ero d i d e ce ss i p e r M C J e t as si d i m o rt ali tà p e r reg i o n e (1 9 9 3 -1 9 9 9 )
R eg i o n e
Po p o l azi o n e
N u m ero c as i
M o rt ali tà(m ili o n e
a b ita n ti/ an n o )
A b ru z zo
1 .2 5
8
0 .9 1
B as ili cat a
0 .6 1
2
0 .4 7
C a lab ri a
2 .0 7
14
0 .9 7
C a m p an i a
5 .6 3
23
0 .5 8
E m ili a R o m a g n a
3 .9 0
24
0 .8 8
F riu l i
1 .2 0
5
0 .6 0
L az io
5 .1 4
50
1 .3 9
L ig u ri a
1 .6 8
8
0 .6 8
L o m b ard i a
8 .8 6
60
0 .9 7
M arc h e
1 .4 3
20
2 .0 0
M o l is e
0 .3 3
3
1 .3 0
Pi em o n t e
4 .3 0
25
0 .8 3
P u g li a
4 .0 3
21
0 .7 4
S ard e g n a
1 .6 5
8
0 .7 0
S ic ili a
4 .9 7
18
0 .5 1
To s ca n a
3 .5 3
23
0 .9 4
T ren t in o
0 .8 9
9
1 .4 4
U m b ri a
0 .8 1
7
1 .2 3
(Materiali a rischio specifico - MRS)
Gli Stati membri eliminano tessuti animali fra i più suscettibili di presentare un
rischio ESB (in sintesi: cranio, tonsille,
midollo spinale e ileo) dalla catena alimentare a animale e umana a partire dal 1° ottobre. Le importazioni di carne da paesi
terzi sono soggette agli stessi requisiti dal
1° aprile 2001, a meno che una valutazione scientifica non indichi l’inutilità di tali
misure.
Decisione 2000/773 del 4 dicembre
2000 (aiuto finanziario della Comunità
per il monitoraggio della BSE).
Decisione 2000/766 (proteine animali)
Relativa a talune misure di protezione
nei confronti delle encefalopatie spongiformi trasmissibili e la somministrazione
M ed i aF ran ci a
1 ,3 4
M ed ia G e rm
0 ,9 6
di proteine animali nell’alimentazione degli animali
Decisione 2001/2 del 27 dicembre
2000
Estensione della lista degli organi specifici a rischio anche all’intestino dei bovini di qualsiasi età.
Decisione 2001/9 del 29 dicembre
In merito a misure di controllo necessarie per l’attuazione della decisione 2000/766
Situazione attuale in ambito nazionale
FARINE ANIMALI
Con O.M. del 28.7.1994 è stata vietata
la somministrazione ai ruminanti di mangimi contenenti proteine derivanti da tes-
suti di mammiferi.
Con nota Ministeriale dell’08.4.99
sono state fornite delle linee guida per
l’effettuazione delle ispezioni sia negli stabilimenti di produzione che negli allevamenti, al fine di verificare la conformità
all’O.M. del 1994 e delle indicazioni sui
provvedimenti da adottare in caso di riscontro di irregolarità.
Con O.M. del 17.11.2000, ritenuto necessario rispettare le naturali abitudini
degli animali quali i bovini, i bisonti, gli
ovini, i caprini, gli equini ed i conigli, che
fisiologicamente necessitano di una dieta priva di proteine animali, autonomamente dalla CEE , è stato disposto, a modifica
dell’O.M. del 1994, il divieto di somministrazione agli erbivori di mangimi contenenti proteine derivanti da tessuti animali, mentre con decisione 2000/766/CE
tale divieto non è applicato alla farina di
pesce nell’alimentazione di animali diversi dai ruminanti.
Attualmente è vietata la somministrazione
di proteine animali trasformate ad animali
d’allevamento che sono tenuti, ingrassati o allevati per la produzione di alimenti, e
sono stati vietati gli scambi intracomunitari, le importazioni ed esportazioni
da e nei Paesi Terzi. Tutte le proteine animali, inoltre, devono essere ritirate dal
commercio, dai canali di distribuzione, dai
depositi e presso gli allevamenti.
I mangimi per animali, compresi i mangimi per animali da compagnia, contenenti proteine animali diverse dalla farina di
pesce, che sono destinati agli animali non
tenuti ingrassati o allevati per la produzione di alimenti, sono prodotti in impianti che preparano esclusivamente i mangimi per tali animali (2001/9/CE).
MACELLAZIONE
Tutti i bovini, muniti delle due marche
auricolari, introdotti presso i macelli devono essere scortati dal passaporto (documento di identificazione individuale per
la specie bovina), debitamente rilasciato
dal Servizio Veterinario competente, sull’azienda di partenza dell’animale e non
da cedola identificativa (Circolare
MINSAN 600.VI/24436/AG12/53). Entro 7
giorni dalla macellazione, se avvenuta in
mattatoio a capacità limitata o giornalmente per impianti con riconoscimento CEE, i
dati relativi al passaporto dell’animale de-
21
n. 51..Febbraio
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vono essere trasmessi all’Istituto
Zooprofilattico di Teramo che, come centro di referenza nazionale, li riceve dal
territorio di tutto lo Stato.
Inoltre, tutti i passaporti dei bovini macellati devono essere inviati per posta celere, con cadenza settimanale, all’Istituto
Zooprofilattico dell’Abruzzo e del Molise.
Per i bovini di età superiore ai 30 mesi da
sottoporre a test rapidi nei confronti della
BSE, i passaporti saranno inviati dopo
l’esito degli opportuni accertamenti (circolare MINSAN 600.VI/244.36/AG12/192
del 25.01.01)
Con D.M. del 29.9.2000 sono state stabilite le misure sanitarie che devono essere applicate nei confronti del materiale
specifico a rischio relativamente all’immissione sul mercato di prodotti di origine
animale provenienti da animali della specie bovina, ovina e caprina.
Infatti, a seguito di tale disposizione,
ai bovini e gli ovini al di sopra di 1 anno di
età vengono rimossi, come organi specifici a rischio, il cranio ( deve intendersi
unicamente la base ossea della scatola
cranica – neurocranio – Circolare
MINSAN 600.8/508/3135 del 07.9.98) compreso il cervello, gli occhi ed il midollo
spinale mentre, per i bovini di qualsiasi
età, viene rimosso l’intestino dal duodeno
al retto (2000/418 e nota MINSAN n.
600.3.8/508/3905 del 22.12.00) e, agli ovini
di qualsiasi età, la milza. La rimozione dell’intestino è stata decisa in quanto i budelli, preparati per i salumi, potrebbero
contenere tipi di cellule potenzialmente
contagiose.
Attualmente è in corso di preparazione un Decreto Legge di modifica di alcune misure sanitarie di cui al citato D.M.
29.9.2000 per tenere conto delle prescrizioni poste dalla decisione CE 2000/418.
Con tale provvedimento, molto probabilmente, verrà anche imposta, per i bovini
al di sopra di 12 mesi di età, la rimozione
dell’intera testa, ad eccezione della lingua,
incluso il cervello, gli occhi, i gangli
trigeminali e le tonsille; il timo, la milza ed
il midollo spinale di bovini di età superiore ai sei mesi.
La rimozione degli organi specifici a
rischio deve essere condotta nel rispetto
di quanto prescritto dal D.L.vo 19.9.94, n.
626 e successive modifiche ed integrazioni, utilizzando nel merito particolari
dispositivi di protezione alle mani, occhi
viso e vie respiratorie, mentre il materiale
rimosso deve essere posto in appositi
contenitori, identificati mediante una
targhetta recante la dicitura “Materiale
specifico a rischio”, sui quali deve essere
apposta una striscia inamovibile di colore rosso posta trasversalmente al contenitore.
Sul materiale rimosso deve essere
versato un colorante che consenta di individuarlo anche dopo l’eventuale trasformazione individuale, fino alla sua distruzione. Di tale consegna viene compilata
apposita cedola, da parte del veterinario
responsabile dello stabilimento, che viene consegnata al trasportatore e
riconsegnata entro 7 giorni, firmata dal titolare dello stabilimento di trattamento.
In caso di inadempienza, il veterinario titolare dell’impianto contatta il Sevizio Veterinario del luogo in cui è presente l’impianto di trattamento, al fine della esecuzione delle prescritte verifiche.
Qualora il bovino macellato superi i
30 mesi di età, viene effettuato il prelievo
del tronco encefalico seguendo quanto
indicato nell’allegato n. 1 e trasmesso all’Istituto Zooprofilattico, secondo le
modalità di cui all’allegato n. 2, al fine della esecuzione delle indagini di laboratorio
per l’accertamento della BSE (2001/8).
Qualora, in seguito alle analisi di laboratorio effettuate con un test rapido
(western blotting), si dovesse riscontrare
positività, il campione deve essere trasmesso all’Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, con sede
centrale di Torino, individuato quale centro di referenza nazionale per lo studio e
le ricerche sull’encefalopatie degli animali e neuropatologie comparate, per le verifiche previste (Western-Blot test ed esame immunoistochimico).
Al momento non è stato preso alcun
provvedimento, sia per quanto concerne
l’abbassamento dell’età dei bovini macellati, per l’esecuzione del test, e sia per
l’eliminazione della colonna vertebrale
con i relativi gangli spinali. Se tale provvedimento fosse adottato porrà, ovviamente, problemi tecnici rilevanti. Infatti
l’attività di macellazione e la relativa tecnologia si basa sul fatto che la colonna
vertebrale rimane sempre l’elemento portante dell’animale sia nei trasporti che
nella commercializzazione e lavorazione e
successiva
MISURE ECCEZIONALI DI SOSTEGNO DEL MERCATO DELLE CARNI
BOVINE – AMMASSO PUBBLICO
Tali misure sono applicabili, a meno di
successive proroghe, sino al 01.07.2001.
Ai sensi del Reg. CE 2777/2000 lo Stato
acquista, secondo un prezzo determinato
dalla categoria dell’animale, dal peso della carcassa e dal prezzo fissato per chilogrammo, animali della specie bovina di età
superiore a 30 mesi conferiti da un produttore o da un suo rappresentante, ai
fini dell’abbattimento e della distruzione
della carcassa. Le carcasse, debitamente
sezionate, ed ogni altra parte degli animali abbattuti, devono essere tinte in modo
indelebile, per poi essere trattate ed interamente distrutte mediante incenerimento o qualsiasi altro procedimento idoneo.
I costi delle operazioni di raccolta, trasporto preliminare ai fini della riduzione della
carcassa in farina ed incenerimento o coincenerimento sono individuati in L. 600/
Kg per prodotto fresco per le regioni del
Nord e in L.800/Kg per quelle del Sud (Disposizione AGEA n, 1359/DG del 19.01.01
Se il materiale specifico a rischio non è
asportato, l’intera carcassa deve essere
trattata come materiale specifico a rischio.
Per ogni animale interamente distrutto, la
Comunità cofinanzia le spese sostenute
ad un’aliquota del 70%, sicché il rimanente 30% resta a carico delle autorità nazionali. Le condizioni d’abbattimento,
d’ammissibilità dei capi e le modalità di
presentazione delle domande di
conferimento, sono descritte nella circolare n. 1359/DG dell’AGEA (allegato n. 3).
SMALTIMENTO DEL MATERIALE
SPECIFICO A RISCHIO ED AD ALTO
RISCHIO
Con O.M. del 13.11.2000 sono state
adottate specifiche misure sanitarie per
far fronte alla situazione di rischio igienico-sanitario ed ambientale relative alla gestione ed allo smaltimento del materiale
specifico a rischio. In tale provvedimento
sono descritti i requisiti che devono possedere gli impianti d’incenerimento e coincenerimento e, nel frattempo, è precisato che il materiale specifico a rischio può
essere oggetto d’attività di recupero
energetico in appositi impianti.
A seguito del recepimento delle deci-
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sioni CE 2000/418 e 2000/766 in data
11.1.2001, è stato emanato un Decreto
Legge il quale prescrive che tutto il materiale a rischio per la BSE è obbligatoriamente distrutto mediante incenerimento
o co-incenerimento, e che i proprietari
degli impianti sono obbligati ad accettare
tale materiale. Al titolare dell’impianto sarà
erogata, dall’Agenzia per le erogazioni in
agricoltura, la somma di L. 726.000 per ogni
tonnellata di materiale. Tale indennità copre i costi solo per i prodotti trasformati
ed ottenuti da macellazioni includendo anche i costi relativi alla raccolta e trasporto. L’Agenzia provvede all’ammasso pubblico delle proteine trasformate ed ottenute sino al 31.5.2001. Con circolare
dell’AGEA esplicativa del D.L. 11.1.2001
n. 1455/DG del 25.01.01 sono state emanate chiarimenti relativi allo smaltimento
del materiale specifico a rischio ed ad alto
rischio nonché ammasso pubblico per le
proteine animali a basso rischio.
CONCLUSIONI
Ci troviamo, ormai da tempo, nell’era
della globalizzazione nella quale, da qualsiasi Paese, in poche ore possono essere
inviate merci d’ogni tipo. Nel contempo
si è sviluppato un sistema di commercializzazione che trae le sue radici nelle
rigide leggi del mercato mondiale. L’obiettivo principale è quello di produrre tutto
al più presto, a costi più bassi e, conseguentemente, non sempre a favore della
qualità. Da tali principi non si dissocia la
produzione e commercializzazione dei prodotti alimentari.
Non va trascurato che, se in questi
ultimi decenni vi è stata una maggiore ed
ampia disponibilità per la popolazione di
proteine animali, a giusto vantaggio della
vita in generale, deve essere assolutamente approfondita la ricerca prima di immettere sul mercato produzioni sia d’origine
animale che vegetale, al fine di evitare qualsiasi danno in termini sia di salute pubblica che di salvaguardia dell’ambiente.
L’immagine più moderna della
liberalizzazione dei mercati, con l’abbattimento quasi totale dei controlli alle frontiere, porti ed aeroporti, è fornito proprio
dalla Comunità Economica Europea che
racchiude, praticamente, in un solo stato
più Paesi. Ma, se in una nazione non sono
presi urgenti e seri ripari per bloccare
patologie endemiche e se la CEE al riguardo non prende immediati provvedimenti,
quasi dimenticando che, come a macchia
d’olio, quello che accade in un solo Stato
può immediatamente coinvolgere gli altri,
si può avere una malattia che coinvolge e
sconvolge tutti, com’è successo appunto nel caso della BSE.
Per rimediare a quanto accaduto, sarà
necessario ora avviare un piano nazionale d’adeguamento strutturale dell’intera
filiera zootecnica e di macellazione, alla
luce delle nuove esigenze di benessere
animale e di tutela dei consumatori.
L’informatizzazione dell’anagrafe bovina e la rintracciabilità delle carni è importante ma non deve essere confusa con
la risoluzione del problema BSE. Tali provvedimenti servono esclusivamente a risalire all’allevamento nel quale sono nati
ed allevati i bovini e quindi, in caso di
BSE, a controllarne l’allevamento di provenienza.
La misura più importante da adottare
è, fondamentalmente, quella di aiutare la
zootecnia con investimenti che determino il miglioramento delle attività che, seguendo quanto prescritto da un articolato piano nazionale di riorganizzazione,
debba favorire il miglioramento delle condizioni d’allevamento e la qualità delle
produzioni sia in ambito di produzione
carnea che lattiero casearia.
Tale piano, quindi, deve assolutamente
consentire il rispetto delle caratteristiche
locali e tradizionali di produzione che certamente, per quanto riguarda l’Italia e specialmente le regioni meridionali, non sono
paragonabili a quelle europee e, pertanto,
è indispensabile opporsi, nelle sedi opportune, alle disposizioni legislative della
CEE che pongono la nostra zootecnica e
le relative produzioni in una competitività
non realizzabile, a svantaggio della
microeconomia che è tipica delle nostre
zone, abituata a gestire il territorio con
criteri di produzione naturali. E’ proprio
nell’iperproduzione e nel seguire le leggi
del mercato, quindi, che deve essere collocata la nascita della BSE., una malattia
che sfugge dalle regole biologiche perché è nata dalla disgregazione delle leggi
della natura.
* Veterinario Dirigente A.U.S.L. BA/4 –
Direttore Unità Operativa Multidistrettuale
di Bari
La BSE in breve
L’encefalopatia spongifonne bovina è una malattia che colpisce prevalentemente i bovini adulti. E’ caratterizzata da un lungo periodo di incubazione (2-5 anni), decorso afebbrile,
turbe nervose sensitive e motorie ed
esito costantemente infausto.
Nel 1986 fu descritta per la prima
volta in Gran Bretagna e la sua origine
è legata all’utilizzazione di farine animali infette nell’alimentazione dei bovini. Agli inizi degli anni 80, in
concomitanza con la grave crisi
energetica mondiale, furono introdotte sostanziali modificazioni dei processi tecnologici per la produzione delle
farine animali. Tali modificazioní comportarono un abbassamento della temperatura di esercizio degli impianti industriali e l’abolizione dei solventi dei
lipidi per l’allontanamento dei grassi.
In questa maniera i prioni eventualmente presenti negli scarti delle
macellazioni restarono vitali.
L’agente causale della malattia è
una proteina, chiamata PrP, dotato di
straordinaria resistenza al calore e ad
altre sostanze comunemente utilizzate
per distruggere altri patogeni. Gli organi del bovino più colpiti dal prione
sono il cervello, il midollo spinale, i globi oculari (retina), la milza, le tonsille,
l’intestino. Non è stata svelata la presenza dei prione nel latte e nel muscolo (fettina). Attualmente la BSE è diffusa in numerosi Paesi europei e in
Gran Bretagna, a partire dal 1986, sono
stati diagnosticati circa 180.000 casi.
L’aspetto preoccupante della BSE
è legato alla possibilità di passaggio
all’uomo per via alimentare (consumo
di parti a rischio del bovino). Nell’uomo si sviluppa una patologia identica
a quella dei bovino e indicata con il
termine variante Creuztfeld-Jacob (VCJD). I servizi di sanità veterinaria hanno il compito delicato di effettuare controlli sui mangimi, sulle importazioni di
animali, sulle macellazioni e sulle carni. La salvaguardia della salute dei
consumatori è quindi strettamente legata alla adozione di misure di controllo nella filiera agro-zootecnica, che
si possono concretizzare nella esecuzione dei test diagnostici sugli animali
macellati e sulla esportazione delle
parti a rischio, compresa la colonna
vertebrale.
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“Il cittadino, utente o cliente dei servizi?
La risposta non è indifferente.”
Oltre 200 operatori in formazione al Policlinico di Bari per il miglioramento della qualità
Ambrogio Aquilino *
Premessa.
E’ opportuno inquadrare la dimensione che assume oggi la questione della
partecipazione dei cittadini al funzionamento dei servizi pubblici.
Nel nostro paese, come in altre parti
d’Europa, seppure in forme e con intensità diverse, è in atto una crisi della forma
degli Stati. Questa trae origine dai mutamenti caratteristici della società post-moderna, che non mettono tanto in discussione l’esistenza stessa degli stati, quanto la loro funzionalità ed efficacia. Un po’
ovunque, infatti, sono in fase di
ridefinizione le politiche di welfare, poichè
le istituzioni appaiono inadeguate rispetto agli attuali contesti sociali, in cui sono
cresciuti non solo i livelli di consapevolezza, le aspettative, le esigenze dei cittadini, sia in termini quantitativi che
qualitativi, ma si è anche accresciuta proporzionalmente la complessità dei problemi e, quindi, del governo e della gestione
dei servizi di pubblica utilità.
Siamo, inoltre, in una fase storica ed
economica in cui sono sempre più numerosi quanti sostengono che l’unico rimedio, a fronte di questa complessità, debba essere rappresentato da un completo
arretramento dello Stato per lasciare campo libero a logiche privatistiche e di mercato nella gestione dei servizi fondamentali della società (scuola, sanità e previdenza).
Si è imposta, quindi, alle forze politiche e sociali più attente la necessità di
definire una nuova forma organizzativa
dello Stato moderno, basata sui principi
della flessibilità dei modelli di funzionalità dei servizi, della trasparenza dei processi e della responsabilizzazione dei soggetti sociali, siano essi erogatori dei servizi o cittadini utenti. Sulla base di questi
presupposti, nei paesi della comunità europea, si stanno definendo politiche pubbliche, che, pur se fortemente e, talvolta,
negativamente, condizionate dai criteri di
compatibilità economica definiti a
Maastricht, tendono a garantire efficacia
ed efficienza ai servizi di base, attraverso
una migliore gestione delle risorse disponibili.
La “governance”.
Di pari passo, a livello mondiale, in
particolare nelle società più avanzate, si
va sviluppando un coerente processo
sociologico, che tende ad una nuova concezione del rapporto tra governi e cittadini, in vista di una migliore cura degli interessi comuni. L’obiettivo è quello di definire strategie comuni per il governo
(‘governance’) di problemi di grande
rilevanza, quali il rispetto dei diritti umani,
l’equità, la democrazia, la soddisfazione
dei bisogni di base, la protezione dell’ambiente, ecc. La Commission on Global
Governance delle Nazioni Unite nel 1994
ha presentato un rapporto in cui si afferma che gli stati non possono più portare
da soli l’intero peso della soluzione dei
problemi della società (‘government’), ma
devono considerare come forze di governo anche altri attori, capaci di incidere significativamente sui risultati. A ciò si è
giunti non solo per le considerazioni già
espresse sulla crisi degli stati, ma anche
per il nuovo ruolo di corresponsabilità e
di partecipazione diretta che si attribuisce ai cittadini, per garantire soluzioni ai
problemi concreti e per affermare il rispetto dei diritti (di particolare interesse, ad
es., è il coinvolgimento sempre maggiore
dei cittadini nella valutazione della qualità dei servizi). Secondo una definizione
condivisibile, ‘...la cittadinanza attiva è la
capacità dei cittadini di organizzarsi in
modo multiforme, di mobilitare risorse
umane, tecniche e finanziarie, e di agire
con modalità e strategie differenziate per
tutelare diritti, esercitando poteri e responsabilità volti alla cura ed allo svilup-
po di beni comuni’.
Che questo sia vero anche in Italia, lo
dimostrano i dati del recente censimento
della FIVOL, da cui risulta che nel nostro
paese operano circa 500.000 cittadini, organizzati in quasi 10.000 unità operative
delle associazioni di volontariato e tutela
(AA.VV.), presenti ormai in ogni piega
della società.
Per queste considerazioni, oggi ai cittadini spetta un ruolo assai rilevante per
il rilancio delle politiche di welfare; in particolare essi, nell’organizzazione dei servizi, possono svolgere funzioni di:
• orientamento e condizionamento
verso politiche solidaristiche;
• controllo e garanzia democratica;
• corresponsabilità nel cambiamento.
Orientamento e condizionamento verso politiche solidaristiche.
Oggi si discute molto se i cittadini
debbano essere considerati e definiti
“utenti o clienti” dei servizi.
Può apparire, a primo acchito, solo una
questione nominalistica. Se tuttavia si riflette sul significato dei termini, si può ricavare un’utile indicazione sul potere di
condizionamento che i cittadini, con il proprio comportamento, possono assumere
sullo sviluppo dei diversi contesti sociali.
Oggi i servizi di pubblica utilità, in
particolare la sanità e la scuola, sono impegnati in un processo di riforma del loro
funzionamento, in cui la missione (la propria ragion d’essere) è certamente quella
di garantire efficienza ed efficacia al servizio attraverso un processo di autonomia gestionale, i cui cardini si possono
individuare nella responsabilizzazione
degli operatori e nella valutazione e verifica dei risultati. La ricerca delle qualità rappresenta certamente il terreno su cui giocare la sfida per realizzare questa missione.
Se questo rappresenta un aspetto imprescindibile per qualsiasi politica di
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rilancio dei servizi, può, però, cambiare la
visione (l’orizzonte verso cui si tende),
che le forze di governo possono imporre
a questo processo di riforma.
Come è raffigurato negli schemi che
seguono (schema 1), una visione è quella
orientata verso una concezione
solidaristica dell’organizzazione sociale,
tesa a garantire i diritti collettivi ed individuali di tutti i cittadini. E’ in questa ipotesi che io considero il cittadino come “utente” del servizio: non tanto perchè non ha
la possibilità di scelte alternative a quella
offerta dal Servizio Nazionale (Sanitario o
dell’Istruzione), ma quanto per il “ruolo
attivo” che egli può svolgere per contribuire alla sua efficienza ed efficacia.
Non c’è alcun dubbio che la previsione, contenuta sia nella riforma della
sanità che della scuola, di una partecipazione diretta dei cittadini, rispettivamente, al controllo della qualità dei servizi ed
a contribuire con le proprie competenze
al raggiungimento degli obiettivi, sia il terreno concreto su cui può esercitarsi questa funzione degli “utenti” dei servizi.
A titolo esemplificativo e per esperienza diretta, cito quanto importante sia il
ruolo che l’Associazione Italiana per la
Donazione degli Organi, l’Associazione
Nazionale Emo-Dializzati ed altre del settore svolgono, in collaborazione con il
SSN, la Scuola e le Istituzioni per consentire che la possibilità terapeutica del trapianto si sviluppi, grazie alla diffusione di
una cultura della reciproca solidarietà.
E’ questo, peraltro, il presupposto
che consente, fermo restando il diritto al
dissenso, di considerare socialmente giusto il “consenso presunto” di tutti i cittadini per contribuire allo sviluppo dei trapianti, ma solo se l’organizzazione sanitaria è orientata verso una analoga concezione solidaristica del servizio e dimostra
di essere, com’è nel settore dei trapianti,
altamente efficiente ed efficace.
Questo esempio mi serve per affermare che non c’è solidarietà senza efficienza, ma che non c’è neanche efficacia senza solidarietà. Che questo sia vero, è dimostrato anche dal fatto che i Paesi con i
migliori indici di salute dei propri cittadini
sono quelli con sistemi sanitari ad impronta solidaristica.
E’, tuttavia, possibile, quanto legittima, un’altra visione (schema 2) per questa trasformazione dei servizi: è quella che
guarda ad un’organizzazione sociale basata sulle leggi del mercato, che,
schematicamente, si basa sulle regole della
domanda e dell’offerta.
In questa seconda ipotesi, il ruolo che
il cittadino assume è quello del “cliente”,
che in base al proprio potere di acquisto
(se ce l’ha!), orienta la sua scelta sul servizio che più ritiene adeguato, garantendo la fortuna o la disgrazia degli erogatori
in concorrenza tra loro: egli esercita il suo
potere a valle del processo, non intervenendo direttamente su di esso.
tabella: il cittadino utente o
cliente.doc (schema 1 e 2)
Quelle descritte, sono due ipotesi evidentemente diverse, probabilmente non
così nettamente separate, anzi vi è da
auspicare che regole del mercato possano contribuire a migliorare il servizio pubblico e che l’etica della solidarietà possa
condizionare lo sviluppo del mercato, per
limitare i fenomeni di esclusione sociale
che essa produce.
Ciò che, però, si intende asserire è che
non è indifferente il ruolo di orientamento
e condizionamento che i cittadini possono svolgere sullo sviluppo delle politiche
sociali.
Il controllo e garanzia democratica.
La seconda questione è quella del
controllo e della garanzia democratica che
i cittadini devono esercitare sui servizi che
si stanno trasformando.
La responsabilizzazione dei dirigenti
implica il fatto che essi stiano assumendo
un ruolo monocratico nella conduzione e
ciò comporta, quale rischio potenziale,
una riduzione del controllo e della trasparenza democratica sul funzionamento dei
servizi. Si tratta di un rischio per certi versi inevitabile per rilanciare l’efficienza
gestionale e per sburocratizzare l’apparato amministrativo; tuttavia la garanzia
deve consistere in una effettiva capacità
di valutare i risultati gestionali e verificare la capacità dei dirigenti, non solo dal
punto di vista dei responsabili politici, ma
soprattutto dal punto di vista del cittadino
in considerazione del rispetto dei propri
diritti e della soddisfazione dei bisogni.
Come è noto, il coinvolgimento dei cittadini nella gestione del SSN, secondo il
D.Lgs 502/517, perde quelle caratteristiche di rappresentatività della civitas attraverso i propri rappresentanti nei Comitati di gestione e nelle Assemblee comunali, così come era stata disegnata dalla
L. 833/78, per assumere un ruolo più diretto ed individuale di rapporto con gli organi
di direzione delle aziende sanitarie.
Non è lo scopo di questo intervento
l’analisi puntuale di questa profonda trasformazione istituzionale, oltre che
gestionale, del SSN, tuttavia, bisogna
avere ben chiara la consapevolezza che il
rischio più grande che si sta correndo è
quello di mettere completamente in discussione “il diritto di cittadinanza” all’interno delle strutture sanitarie, qualora
non ci si ponga in maniera seria il problema di dare nuove forme, e concrete, alla
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partecipazione dei cittadini. L’altra considerazione, che rende ineludibile tale questione, è rappresentata dal fatto che i processi di aziendalizzazione del SSN comportano in sé un ulteriore rischio, che è
quello di dare preminenza all’aspetto economico piuttosto che alla funzione di garanzia del diritto alla salute ed alla cure,
per la quale, essenzialmente, i servizi sanitari devono essere riorganizzati.
Per quanto il ruolo dei Comuni sia stato fortemente ridimensionato, l’art. 14 del
D.Lgs 502/517 (confermato dal D.Lgs 229/
99) attribuisce alle regioni un compito assai rilevante rispetto alla “partecipazione
e tutela dei diritti dei cittadini”, in quanto
esse devono tener conto delle indicazioni ricavate dalla verifica degli indicatori di
qualità per la “…programmazione regionale, per la definizione degli investimenti
di risorse umane, tecniche e finanziarie”.
Le regioni, inoltre, devono prevedere “…la
partecipazione delle organizzazioni dei cittadini e del volontariato …nelle attività
relative alla programmazione, al controllo
ed alla valutazione dei servizi sanitari a
livello regionale, aziendale e distrettuale”.
Gli indicatori di qualità dei servizi e
delle prestazioni sanitarie relativamente
alla personalizzazione ed umanizzazione
dell’assistenza, al diritto all’informazione,
alle prestazioni alberghiere, nonché all’andamento delle attività di prevenzione delle malattie sono stati pubblicati agli inizi
del 1997: essi non solo costituiscono gli
elementi per la valutazione dei servizi e di
quanto si tenga conto dei diritti del malato, ma rappresentano anche il terreno concreto su cui si può sperimentare una forma di partecipazione diretta dei cittadini
nel controllo democratico delle aziende
sanitarie. Gli indicatori, per definizione,
sono i fatti, le cose che devono essere
valutate per ottenere delle informazioni rispetto al fenomeno che si vuole osservare, in particolare per misurare il livello di
rispondenza dei servizi rispetto agli scopi
per i quali essi sono organizzati: lo stesso
art.14 prevede che le aziende sanitarie si
avvalgano della collaborazione dei cittadini per “ …la raccolta ed analisi dei segnali di disservizio”. Inoltre, la verifica dell’andamento dei servizi, valutata in base
al sistema degli indicatori, deve essere obbligatoriamente effettuata nel corso di una
apposita Conferenza dei Servizi, organizzata annualmente dai Direttori generali.
A rafforzare questi elementi normativi
che rendono potenzialmente concreto il
rapporto con i cittadini, intervengono
anche le prescrizioni rispetto alla adozione della Carta dei Servizi, quale strumento di informazione e di “contrattazione”
sui livelli di assistenza da garantire, ed,
infine, gli obblighi di adeguamento ai requisiti minimi essenziali, ai fini
dell’accreditamento istituzionale, che
deve essere conseguito, oramai, nell’arco del prossimo anno. In tutti i casi, il sistema degli indicatori di qualità diviene
elemento essenziale per il governo delle
aziende sanitarie.
Vi è, tuttavia, da costatare che, in gran
parte del paese, la sperimentazione della
partecipazione dei cittadini è stata in questi anni troppo sporadica per lasciarci sereni rispetto alla reale volontà istituzionale di consentire il controllo democratico e
di coinvolgere i cittadini quali effettivi
garanti dell’attuale processo di trasformazione dell’organizzazione dei servizi.
La corresponsabilità nel cambiamento
Di qui la terza considerazione che è
quella che vede i cittadini quali soggetti
corresponsabili della gestione stessa per
il cambiamento dei servizi: in quest’ambito si pone la questione degli strumenti
per la partecipazione dei cittadini ed, a
questo proposito, citerò l’esperienza che
si è realizzata nel Policlinico di Bari.
Per dare una risposta concreta a questi impegni, l’A.O. Policlinico ha proceduto immediatamente ad una
ristrutturazione dell’Ufficio Relazioni con
il Pubblico, attribuendone la responsabilità ad un medico, professore associato di
anestesia e rianimazione, ed assegnandogli un ruolo reale di interfaccia con i cittadini e le loro Associazioni. Ha costituito,
inoltre, un Ufficio per il controllo ed il miglioramento della qualità, affidando a ad
un dirigente nefrologo (l’autore, ndr), la
responsabilità di renderlo operativo.
Inoltre, per avviare il processo di collaborazione, l’A.O. ha attivato, agli inizi
di ottobre del 1996, un Comitato Misto,
composto da rappresentanti propri e di
associazioni del volontariato e di tutela
dei diritti (AA.VV.), con il compito di dare
contenuti alla Carta dei Servizi e di dare
concreta attuazione alle indicazioni del
citato art. 14/502-517.
Il Comitato ha individuato, preliminarmente, gli obiettivi da perseguire:
• l’accesso ai Servizi offerti dal Policlinico;
• il controllo di qualità;
• le modalità di collaborazione tra
Associazioni ed Azienda.
Pertanto, esso si è articolato in tre
commissioni di lavoro, che hanno prodotto documenti che sono stati inseriti all’interno della Carta dei Servizi: questi elaborati sono il presupposto per la attuale collaborazione.
Questi progetti sono stati oggetto di
discussione nel corso della I Conferenza
dei Servizi che si è svolta a gennaio del
1997.
I Gruppi di lavoro hanno, successivamente, continuato ad elaborare iniziative
tese alla verifica dei contenuti della Carta
dei Servizi del Policlinico, ai fini della sua
revisione: nel novero di queste iniziative
si è collocata anche l’Analisi Partecipata
della Qualità (APQ), per la valutazione
degli indicatori di qualità, i cui risultati
sono stati presentati nel corso della II
Conferenza dei servizi del dicembre 1997.
L’APQ è una metodica di valutazione
del SSN che viene realizzata dalle Amministrazioni e comporta l’esercizio di un
ruolo attivo da parte dei cittadini (singoli
o organizzati in gruppi e associazioni) e
degli operatori del SSN per la raccolta delle
informazioni relative all’indagine, attraverso la compilazione di alcuni strumenti tecnici. Questi strumenti sono rappresentati
da griglie di osservazione delle strutture
sanitarie, sia nel loro insieme, sia in riferimento ai reparti di degenza ed ai servizi
ambulatoriali, nonché da questionari rivolti a degenti, ad utenti degli ambulatori
ed a operatori del SSN. Le griglie di osservazione, quindi, sono strumenti adeguati
alla raccolta di dati oggettivi, ricavabili
dall’osservazione diretta, mentre i questionari sono rivolti all’indagine di giudizi ed
opinioni.
Nella nostra esperienza, oltre 200 volontari hanno offerto la propria disponibilità, durante una Conferenza Pubblica
di presentazione dell’iniziativa, a cui hanno partecipato circa 400 persone. Una così
ampia partecipazione di cittadini ed operatori ha consentito di raccogliere tutte le
informazioni in un solo mese.
Con questa procedura è stato possibile misurare circa 210 indicatori relativi
alla qualità dei Reparti e circa 115 degli
ambulatori, la cui elaborazione ha consentito di produrre un Rapporto, contenente
valutazioni, raccomandazioni e conclusioni: l’obiettivo è stato quello di orientare le
politiche generali della Direzione e delle
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Marzo
.....Febbraio
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TuttoSanità
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singole Unità operative (U.O.) verso progetti di miglioramento della qualità.
La politica della qualità e la strategia
aziendale.
In base a queste informazioni, sono
state individuate alcune aree di crisi riscontrate relative alla qualità tecnica, alla
dimensione interpersonale ed al comfort.
L’analisi puntuale degli indicatori raccolti in collaborazione con i cittadini sta
consentendo di tradurre i programmi elaborati in progetti ed azioni concrete, con
una definizione certa di tempi, risorse e
priorità, in particolare per:
•Revisione della Carta dei Servizi
dei Reparti e dei Servizi con riferimento
agli indicatori di qualità ex art. 14/502.
In accordo con le OO. Sindacali, si è
attivato un processo formativo che ha
coinvolto tutte le categorie di personale
dell’A.O. e che si è realizzato dalla fine del
1997 e che continua tutt’ora, sia come processo generalizzato che specifico rivolto
ai referenti della qualità per obiettivi specifici (vedi Tab.1): è importante sottolineare che in questi processi sono stati coinvolti gli stessi cittadini come formatori,
poichè ne è stata riconosciuta la competenza, in quanto portatori di esperienze e
punti di vista qualificati.
Per il 1998, 1999 e 2000, ai fini del conseguimento della retribuzione aggiuntiva
T ab el la 1 - A tt iv it à d i fo rm az i o n e
G E N E R A L IZ Z ATA S U I S E G U E N T I
A R GO M EN TI
A z ie n d ali zza zio n e Q u a lit à e C a rta d e i
s er v i ziS ic u rezz a (le g g e 6 2 6 )
O P E R AT O R I A C U I E ' S TAT A
O p er a to ri d e lla I e I I ca teg o ri a p
(R ep art i)
U m a n izz az i o n e d el la a ss is te n za a i r ic o v erat i
O p er a to ri d e lla I e II ca te
p ro fe s s io n al e(A m b u la to ri
In f ez io n i o s p ed a lie re
E d u c az io n e s an i ta ri a
O p er a to ri d e lla I e II ca te
p ro fe s s io n al e(A m b u la to ri
A s p e tt i ig i en ic o sa n ita ri
P o rtie ri
C o m u n ica zio n e e fro n t-o ff ic e
O .T.A .
A z i en d al izz azi o n e
C o n t ab il ità an al iti ca e b ila n c io e co n o m i co p a tr im o n ial e
C o n ti n u ità d ell a fu n zi o n a li tà d e g li u f fic i
S PE C IFIC A P E R I R E F E R E N T I D E L L A
Q U A L ITA '
... n el 1 9 9 8 , p er q u es ti o b iet tiv i :
•M o d ell o o rg a n izz ati v o d ell e at tiv i tà d i M C Q
al l'in t er n o d el l'O s p ed al e
•S is te m a d e g li i n d ica to ri, A P Q e V R Q
•L i n ee g u i d a e p ro t o co ll i
•A c cr ed i ta m en to i st itu z io n al e
... n el 1 9 9 9 , p er q u es ti o b iet tiv i :
•Veri fica d ei re q u is iti m in i m i p e r u n a
p i an ifi ca z io n e d e g li i n terv e n ti s tru t tu ral i,
o r g an iz zat iv i e tec n o lo g ic i
•A tti v azi o n e d el p ro ces s o d i a d o z io n e d e l
M a n u ale d ell a Q u ali tà i n tu tt e le U .O .
• A t tiv a zio n e d ei C i rc o li ap ert i d el la q u a lit à
Pe r so n a le a m m i n is trat i
O P E R AT O R I A C U I E ' S TAT A
D iri g e n ti m ed i ci ( re fe ren t i d i U
d ell e al tre p ro f e ss io n a lit à (r e
S ett o re)
D i rig en t i m e d ici e am m in i st ra ti v
U .O .)D iri g en ti d ell e a l tr e p ro f
(r efere n ti d i Se tto re )O p e r ato ri p r
I e II cat eg o r ia ( res p o n sa b ili d
T o ta l e = o ltr e 3 0 .0 0 0 o r e d i fo rm azi o n e n el 1 9 9 8 ed o lt re 4 .6 0 0 o re n e l 1 9 9 9
•Formazione
•Obiettivi incentivati
Il processo di revisione della Carta dei
servizi si sta realizzando attraverso:
·
la riformulazione degli impegni
sulla base degli indicatori rilevati e dei risultati delle cinque Conferenze dei Servizi sinora organizzate;
·
l’aggiornamento delle schede
di risultato dei dirigenti e di produttività
individuale del personale del comparto,
alle U.O. non sono stati assegnati solo
obiettivi quantitativi di produttività, ma
anche, per una quota pari rispettivamente al 20% (1998) ed al 35% (1999 e 2000)
della retribuzione, obiettivi di qualità
misurabili e differenziati per categorie di
lavoratori, individuati in base a criteri che
ne rendessero compatibile e qualificante
la loro utilizzazione per l’applicazione di
un istituto di massa qual è quello contrattuale.
In particolare per il 1998, gli obiettivi a
cui si riferiscono gli indicatori prescelti
sono in parte elencati nella tabella 2, con
i risultati emersi dalle verifiche effettuate
al Nucleo di valutazione. Oltre a quelli di
carattere assistenziale, vi sono obiettivi
assegnati al personale amministrativo
orientati al miglioramento della efficienza
e della qualità, di cui è riportato un elenco
parziale in tabella 3, con le risultanze emerse alla valutazione.
Per il 1999 e 2000. l’Azienda ha deliberato la “Attivazione del processo di adozione del Manuale della Qualità (M.Q.)
nelle U.O. sanitarie”.
Il riferimento seguito per la definizione del M.Q. è quello delle Linee guida ISO
9004: vision 2000. Questa scelta dell’A.O.
è stata motivata dal fatto che, nel processo tracciato per l’Accreditamento Istituzionale, è prevista, tra i Requisiti Minimi
Organizzativi di carattere generale, l’adozione di un documento con caratteristiche analoghe a quelle del M.Q., che consenta ad ogni struttura di definire puntualmente cosa, perché, chi, come si fa e
si verifica.
In questo contesto, si è realizzato un
impegno per definire puntualmente, nella
parte delle Responsabilità della Direzione, quali sono le attese ed le esigenze degli utenti (punto 5.2 delle norme ISO
9004:2000), a cui ciascuna U.O. dell’Ospedale deve conformare il proprio servizio
per garantirne il pieno rispetto: è significativo citare che anche questo lavoro si è
concretizzato in collaborazione con i cittadini delle 31 Associazioni di tutela e del
volontariato accreditate presso l’Ospedale
e con un folto gruppo di studenti del Corso di Laurea di Ingegneria gestionale del
Politecnico di Bari, che ha chiesto di partecipare a questa esperienza.
Per quanto riguarda le iniziative di accoglienza e umanizzazione, nel 2000 si è
realizzata un’iniziativa (battezzata con il
nome di “Un libro in corsia”), a cura dell’Ufficio stampa e relazioni esterne in collaborazione con l’Editrice Laterza, che è
consistita nella distribuzione gratuita a
tutti i degenti di un libro con racconti brevi di autori classici. In tutte le Unità operative vengono distribuite, a disposizione degli utenti e dei degenti, copie dei
quotidiani delle testate a maggiore diffu-
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n. 51..Febbraio
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TuttoSanità
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T ab el la 2 - O b ie tti v i d el se tto re sa n ita rio
R is u lt ati d eg li o b iet tiv i in ce n tiv a ti n e l s ett o re s an it ario n e l 1 9
(% d i U
h an n o r
A d o z io n e d i L in e e g u id a o Pro t o co ll i p er p a to lo g i e o
p ro ce d u re ril ev an t i
(N u m e ro to ta le d i L in e e g u id a e P ro to co l li a d o tta ti = 1 8 5 )
C o n tro ll o in te rn o d i q u al ità n ei L ab o rat o ri
1
P ro to c o llo p e r le d e term in az io n i i n cam p o m ic ro b io lo g i co
1
A d o z io n e d e lla C arte lla in ferm ieri st ica d i R ep a rto
A d o z io n e d e lla Sc h ed a i n ferm i er is ti ca d i A m b u lat o rio
A d o z io n e d e lla Sc h ed a i n ferm i eris ti ca d i Sa la o p e rato ri a
1
A d o zio n e d el T ri ag e a l P.S .
P ro to c o llo p e r la c o rrett a effet tu az io n e d e i p rel iev i em a tic i
1
D is trib u z io n e d e i p as ti d o p o le o re 1 2 e le o re 1 8 ,3 0
1
A ffi ss io n e e p erm an en z a d i c arte lli in fo rm a tiv i p er g li u ten t i
A ffis si o n e e p e rm an e n za d i cart ell i in fo rm ati v i p er l a
s icu re zza d ei p a zie n ti a ll'i n tern o d e lle sa le o p e rato ri e
1
R id u z io n e d e i te m p i d i att es a p er l 'es ecu z io n e d e lle in d ag i n i
d i d ia g n o st ica p er im m ag i n i ed i st o lo g ic h e
1
sione regionale.
A cura dell’URP, è stato attivato un
Punto informazione, per favorire l’accoglienza e l’orientamento per i cittadini ed
è stato stampato un Foglio di accoglienza
per i ricoverati ed una Mappa aziendale,
in cui sono riportati i numeri telefonici utili,
l’ubicazione delle U.O., delle casse, dei
Servizi dell’Ospedale al cittadino, della
Sede delle Associazioni di tutela e del
volontariato con l’elenco di quelle accreditate e/o convenzionate presso l’Azienda. In quasi tutte le U.O., sia sanitarie che
amministrative, sono state formulate
Minicarte del Servizio, nell’ambito di un
obiettivo aziendale che ne ha previsto
l’adozione entro il 2000.
La partecipazione diretta alla gestione dei servizi.
Di grandissimo significato e valore è la
gestione diretta di servizi integrativi di accoglienza da parte delle AAVV, attraverso
l’attivazione di convenzioni ed intese.
E’ stato istituito un servizio di
interpretariato della lingua italiana dei segni (LIS) a favore dei degenti o loro
accompagnatori sordomuti, a cura dell’Associazione A.I.ERRE (Associazione
Internazionale Ricerca e Recupero disordini della comunicazione umana), con la
mediazione dell’URP.
Su richiesta della Direzione Didattica
Statale III Circolo “G. Mazzini”, nell’ambito del Progetto Puglia 2000, si è attivato
e concluso un Modulo del Corso di formazione per 11 Mediatori linguistici-culturali stranieri di diverse etnie (Albanesi,
mondo Arabo, Francofoni, Polacchi,
Mauriziani e Filippini), con l’obiettivo di
creare un canale comunicativo tra l’utente straniero ed il territorio, in particolare
per conoscere la realtà dell’Azienda
ospedaliera Policlinico.
E’ stato attivato un Family Point presso il Padiglione che ospita le 3 U.O. di
Pediatria, per offrire accoglienza e servizi
alle mamme dei piccoli ricoverati: il servizio è curato dalla “Culla di spago”, che
garantisce anche attività di intrattenimento
ludico e di sostegno didattico ai bambini,
anche in collaborazione con il gruppo di
animazione “Il Gran Teatrino di Pulcinella”.
A cura dell’Associazione “Volontari
di Bethesda” presso alcune cliniche si
svolgono attività di sostegno a favore di
anziani o pazienti svantaggiati.
A cura dell’Associazione “Cilla” viene
realizzato un servizio di accoglienza per gli
ammalati ed i loro accompagnatori, con l’offerta di alloggio, secondo logiche non-profit.
In aggiunta, presso la Sede delle Associazioni del volontariato e di tutela attivato presso l’Azienda (tre locali ed
un’auletta disponibile per incontri ed iniziative), sono presenti a turno rappresentanti del volontariato per fornire informazione sui servizi e le attività svolte.
Conclusioni
Nonostante il gravosissimo carico di
lavoro che questa strategia ha comportato, si è determinato sino ad ora un clima
favorevole al miglioramento di qualità, soprattutto in considerazione del fatto che
gli stessi operatori sono stati coinvolti,
insieme ai cittadini, nella misurazione degli indicatori della qualità.
Oggi nella nostra A.O. si stanno formando oltre 200 operatori che hanno una
responsabilità specifica per il miglioramento della qualità ed vi sono 31 Associazioni del Volontariato e di tutela dei diritti
che hanno offerto la loro collaborazione
non solo per i fini statutari che le caratterizzano, ma anche per esercitare un ruolo
di cittadinanza attiva
Questa alleanza tra operatori e cittadini è di importanza fondamentale, non solo
perchè consente di individuare un interesse comune degli uni ad esercitare al
meglio la propria professionalità e degli
altri a avere un Ospedale rispettoso dei
propri bisogni e di cui sia possibile fidarsi, ma anche perchè consente il riconoscimento dell’importanza di ciascuno per
camminare insieme verso il cambiamento.
Sarebbe opportuno, tuttavia, che la
verifica circa il reale coinvolgimento dei
cittadini nel processo di trasformazione
del SSN sia sviluppata su vasta scala: i
processi di definizione delle Carte dei Servizi d’intesa con i cittadini, il numero di
Conferenze dei Servizi convocate, le esperienze di coinvolgimento degli utenti nella valutazione della qualità, l’attuazione
dei criteri previsti per il rispetto dei diritti
relativamente all’umanizzazione e personalizzazione, la costituzione di Comitati
misti aziendali e di Circoli aperti della qualità nei servizi, la messa a disposizione di
locali e la stipula di convenzioni con le
associazioni dei cittadini, sono utilissimi
indicatori per misurare quanto si stia realizzando in questa direzione.
* Dirigente Responsabile Ufficio Qualità
Azienda Ospedaliera “Policlinico” di Bari
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LORAN
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FASE
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SEPI
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QUALITA’ AFORP
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QUALITA’ AFORP
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UNITECH
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EURO QUALITY
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Sistemi di qualita’: opportunita’ o minaccia
per i medici pugliesi?
FOTO
Necessaria una maggiore cultura collaborativa
Gianni Perilli*
Quando due mondi si incontrano nasce sempre una reazione, quando due dimensioni si incontrano accade sempre
qualcosa, sempre : è la legge del divenire.
“Panta rei” diceva un filosofo greco,
“tutto scorre”, tutto cambia: ciò che era
ieri non è più ciò che è oggi, e non è ancora ciò che sarà domani.
La classe medica cambia, sì, cambia,
e, per chi non se ne fosse ancora accorto,
cambiano tantissimo i contesti culturali,
sociali, economici in cui questa categoria
giornalmente si confronta.
La sociologia sistemica , Luhmann su
tutti, ha sottolineato quanto l’ambiente
esterno ad un sistema sociale condizioni
la sopravvivenza e lo sviluppo del sistema stesso. Tutto ciò che vive intorno al
sistema sanità si trasforma e trasforma il
sistema sanità stesso. E’ banale , ma utile
riflettere sul fatto che i contesti in cui la
classe medica opera e mette la sua professionalità a disposizione della società
mutano e non sono certo quelli in cui tanti medici hanno iniziato la loro professione 20, 30 o semplicemente 5 anni or sono.
I pazienti sono scientificamente sempre più acculturati dai media, e non perdono occasione per manifestarlo durante
le visite; il Servizio Sanitario Nazionale italiano sta vivendo negli ultimi dieci anni
una trasformazione riformistica tesa ad
una maggiore efficienza, ad una
aziendalizzazione e soprattutto ad una
razionalizzazione di tutte le risorse, dalle
economiche alle umane.
Razionalizzazione o puro razionamento
? Solo gli anni decideranno se la storia
sceglierà il primo o il secondo vocabolo
per indicare e riassumere questo periodo.
Un razionamento, del resto, neanche
tanto scelto, ma semplicemente subito per
un generale tracollo dei sistemi di Wellfare
nella maggior parte Paesi occidentali, da
anni ormai alle prese con l’emergenza dei
conti pubblici.
Anche in Puglia, con fisiologico e
scontato ritardo rispetto all’Europa e al
nord Italia, i primari ed i suoi collaboratori
ingaggiano sempre più estenuanti duelli
per ottenere le risorse necessarie alla loro
attività, frastornati nel frattempo dall’attivazione, a macchia di leopardo per la verità, di organizzazioni per Dipartimenti, che,
se nell’IBM e nella sanità lombarda sono
modelli vincenti, qui da noi in Puglia non
sembrano tanto chiari neanche a chi li
deve attivare.
E se tutto questo scenario non fosse
sufficiente ai poveri medici si sta tentando di infliggere anche l’apprendimento dei
Sistemi di Qualità, di tutte le filosofie, di
tutte le razze e con pochi veri esperti made
in Puglia.
Ed i medici ? Come percepiscono l’introduzione dei Sistemi di Qualità in sanità?
Cosa ne pensano ?
Fondamentalmente le reazioni sono
diverse: c’è chi si incuriosisce, c’è chi li
teme, c’è chi adora tutto ciò che è Sistema
Qualità, c’è chi, ed è la maggior parte, ne
sa davvero poco.
Del resto c’è una innata reazione dei
medici, forse inscritta nel loro DNA professionale, a respingere tutto ciò che non
fa parte delle scienza esatte, ciò che non è
empiricamente provato, anche se su tutto
questo ci sarebbe molto da discutere.
L’applicazione dei Sistemi di Qualità è
il frutto di diverse filosofie e modelli di
organizzazione del lavoro che possono,
laddove applicati correttamente e con seri
professionisti, portare solo del bene all’organizzazione del lavoro del professionista medico, e soprattutto alla
valorizzazione della prestazione erogata
al paziente, il cui “ hard”, il cui nocciolo
essenziale rimane e rimarrà sempre la professionalità medica.
Ma questa professionalità medica ver-
rà umiliata, come del resto già oggi accade, se tutto il resto dell’organizzazione
non gira intorno come dovrebbe invece
girare: ci vogliono insomma i “professionisti” dell’organizzazione che aiutino il
professionista medico a valorizzare il suo
operato, ci vogliono proprio quei cultori
di modelli organizzativi che la categoria
medica spesso tende a snobbare perché
non facenti parti delle “scienze esatte”.
La verità che sotto questi atteggiamenti psicologicamente legittimi si nasconde una profonda ignoranza di cosa
sia un accreditamento, una Certificazione
ISO 9000, di cosa rappresenta oggi la Total
Qualità Management per il mondo della
sanità, senza avventurarci in concetti più
arditi ed affascinanti come la Customer
Satisfaction del paziente, concetti che qui
si conoscono poco, ma la cui applicazione ha fatto la fortuna dei Direttori Generali di Formigonilandia.
Qui in noi in Puglia, del resto come è
accaduto all’inizio anche altrove, il timore
riscontrabile nei medici primari è una non
dichiarata paura di perdere un potere che
oggi viene riconosciuto più che da una
legge soprattutto dalla prassi giornaliera.
Un primario che svolge con convinzione il suo lavoro, non si rende a volte
conto che ci sono dei margini di miglioramento nella propria attività professionale, attività che non si limita solamente a
quella medica ma che come funzione di
primario svolge una attività organizzativa
e pianificatrice rispetto al lavoro di tutti
coloro che fanno parte del reparto.
Cosicché se nella attività tecnico-professionale di medico è, e sarà, molto raro,
che qualcuno vada ad indagare e verificare le attività clinico - chirurgiche, ciò non
deve avvenire negli aspetti organizzativi
dove il primario, a costo di perdere autonomia e potere, deve accettare le
intromissioni di coloro che lui ritiene degli
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Marzo
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“intrusi”, ovvero gli uomini della qualità.
Insomma o i medici decidono di andare a lavorare da soli, come degli eremiti in
Tibet, oppure se accettano, per necessità, di calarsi in una dimensione
organizzativa devono accettare ruoli di
collaborazione in aspetti che fino ad ieri
ritenevano di esclusiva pertinenza medica, come l’organizzazione di un reparto.
La valorizzazione della propria professionalità, del loro sapere medico scientifico è stato il premio per coloro che, tra i
medici, hanno sposato la Cultura della
Qualità come partner di lavoro riportando
nei propri ospedali e nelle proprie divisioni modelli organizzativi ritenuti da terzi
modelli condannati a vivere nel limbo dell’utopia sanitaria.
Insomma dove ci sono veri esperti
della cultura della qualità in sanità, là sono
proprio i medici che vedono brillare con
una diversa luce le proprie abilità ed i loro
talenti professionali.
La cultura della qualità prevede l’assai arduo compito di far accettare a tanti
medici e tanti primari una forma di cultura
collaborativa che oggi spesso diserta gli
ospedali: del resto chi ha assistito a qualche riunione tra più primari ha preso coscienza che non è facile far coesistere più
professionisti allo stesso tavolo, farli discutere serenamente e soprattutto far loro
prendere decisioni condivise da tutti.
La nostra società già esalta abbastanza l’individualismo morale, l’individualismo professionale e quant’altro tenda a
far emergere il singolo a scapito dei valori
solidali, e tutto ciò non risparmia le organizzazioni sanitarie italiane che fedelmente rispecchiano ciò che accade nella società tutta.
Capiremo dunque che sarà difficile
introdurre Sistemi di Qualità se questi
vanno a ridisegnare pesi e misure nell’organizzazione del lavoro in team, dove ogni
lavoratore soffre di un normale e fisiologico antropocentrismo professionale,
ovvero della tendenza a vedere la propria
professione come il centro della realtà lavorativa in cui si è calati.
Se pensate che far accadere tutto questo terremoto le AUSL devono anche investire dei soldi, sarà facile pensare come
reagiranno alcuni medici nello scoccare
contro queste iniziative frecce piene di
luoghi comuni.
A me è capitato di ascoltare “ Ecco, ci
sono soldi per queste fesserie, e non per
incentivare i medici”, riguardo una iniziativa presa per incaricare alcuni uomini della
qualità per far formazione in una AUSL.
La verità è che laddove gli uomini della qualità sono professionisti veramente
preparati la loro presenza risulta semplicemente un investimento oculato, imposto dal mercato e dovuto a causa della
arcaicità degli attuali modelli organizzativi; laddove invece gli uomini della qualità
non sono di qualità allora anche in organizzazioni obsolete ed arrugginite l’investimento diventerà una perdita di soldi per l’Azienda e di tempo per i suoi collaboratori.
Comunque qualcosa va cambiato nelle attuali organizzazioni sanitarie pugliesi
: i cittadini pugliesi spesso e volentieri
emigrano dalla regione per fruire di una
prestazione sanitaria spesso targata nord
Italia.
Saranno prestazioni frutto di una medicina d’elite oppure frutto di una organizzazione efficiente, certo è che a volare
fuori dalla regione Puglia sono circa 55
miliardi solo nell’ultimo anno.
Del resto un motivo ci sarà se un settentrionale non è mai venuto in Puglia a
curarsi, se non per le prestazioni sanitarie
estive da Pronto soccorso.
La Puglia, nonostante la presenza di
alcuni centri di eccellenza, manca di una
cultura organizzativa che altrove è presente e si respira tanto nelle corsie quanto negli uffici : da noi è assente tanto nella coscienza di molti lavoratori sia nelle
stanze delle varie Direzioni Generali , che
non impongono, né propongono modelli
organizzativi di cui , forse, non sono neanche a conoscenza : scusate se è poco.
Nel nord Italia del resto i medici, i paramedici, i professori ed i Direttori generali, non sono migliori di noi, ma semplicemente adottano modelli organizzativi
che in altre parti del mondo hanno già
manifestato la loro efficienza e sono stati
già validati.
Ai medici verrebbero quindi richiesti
non grandi stravolgimenti ma “solo” disponibilità al cambiamento, capacità di
mettere in discussione i propri modelli organizzati e disponibilità alla formazione.
Ischikawa , padre giapponese della
qualità, diceva “Quality is only commun
sense”, “La qualità è solo buon senso”
...e questo mi fa pensare che la vera rivoluzione della qualità è riportare il buon
senso nella sanità.
* Sociologo
Direttore Sanitario Dott. Aniello Stabile
Corso Madonna della Libera, 118 71012 - Rodi Garganico (FG)
Tel. 0884966012 - 965941 - Fax 0884919056
e-mail: [email protected]
S. Raffaele
Cittadella della Carità
Fondazione eretta in Ente Morale
Direttore Sanitario Dott. Armando Rossitto
Specializzazione in Gastroenterologia
Piazzale Cittadella della Carità, 1 - 74100 Taranto
Tel. 099/4732111 - Fax 099/4732250 http:// www.cittadelladellacarita.it -e-mail [email protected]
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TuttoSanità
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Evoluzione dei sistemi di gestione in sanità
Giovanni Ceriani *
Dalla pubblicazione dei decreti legislativi di riordino del Servizio Sanitario
Nazionale, che richiedono agli erogatori
di servizi sanitari un chiaro orientamento
alla qualità, sono sorti innumerevoli dibattiti fra i vari soggetti portatori di interesse nel tentativo di tracciare e sperimentare percorsi idonei all’ottenimento dell’autorizzazione alla realizzazione delle
Strutture Sanitarie e all’esercizio di attività sanitarie, con il successivo obiettivo
del conseguimento dei requisiti per
l’accreditamento istituzionale presso il
Servizio Sanitario Nazionale.
Tra i documenti attuativi il “Programma nazionale per la qualità del Piano Sanitario Nazionale 1998-2000” è finalizzato a
rendere sistematico l’orientamento del
SSN verso la valutazione e la promozione
della qualità dell’assistenza sanitaria,
coinvolgendo la dimensione professionale, quella organizzativo – aziendale e quella
relazionale dell’assistenza. Diretta correlazione dovrà inoltre sussistere tra ciascuna di queste tre componenti della qualità
e la “Carta dei Servizi”, la cui piena attuazione è prevista dalla Legge Delega al
Governo per la razionalizzazione del servizio Sanitario nazionale ( Legge
30.11.1999 n.419), che prevede inoltre, tra
i principi e i criteri direttivi di delega, di
“dare la più alta divulgazione dei dati
qualitativi ed economici inerenti alle prestazioni erogate”.
Già in questa fase introduttiva emergono i primi punti di contatto tra la Legge
Delega e i Decreti Legislativi di riordino
verso le norme ISO 9000 oggi applicate in
Sanità, che sembrano assurgere a nuovo
ruolo, grazie al richiamo che alcune Regioni hanno fatto delle stesse, con valenza
differente, all’interno delle Leggi Regionali di accreditamento ed alla nuova revisione delle norme, la famiglia “VISION
2000”, pubblicate il 15 dicembre 2000.
E’ importante osservare come la dimensione organizzativo - aziendale trovi
immediato aggancio al modello di sistema
di gestione aziendale contenuto nelle norme, con requisiti relativi alla dimensione
organizzativa della azienda che, applicati,
favoriscono comportamenti di collaborazione e comunicazione tra le varie parti
della struttura con il conseguente beneficio di un costante, continuo miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza finalizzato alla cura della persona assistita.
Nei sistemi qualità ISO 9000 i documenti di registrazione delle attività sanitarie inerenti alle prestazioni erogate raccolgono le informazioni che compongono “i dati qualitativi e quantitativi ed economici”.
L’oggettività dei dati, la continuità
della raccolta e la corretta analisi statistica applicata forniscono evidenza della
permanenza dei requisiti richiesti in sede
di Accreditamento e Accordo attestando
la volontà della Direzione della struttura
sanitaria di mantenere e migliorare i requisiti della qualità nelle sue componenti.
La definizione e messa a punto del sistema di gestione aziendale, integrando il
sistema di gestione per la tutela dell’ambiente (norme ISO 14001), per la salvaguardia della salute e sicurezza degli operatori (specifiche BSI - OHSAS 18001) e
per il miglioramento continuativo (norme
ISO 9001:2000), fornisce una chiave di
lettura di tutte attività basata su un concetto esteso agli strumenti disponibili e
metodologie applicabili, alle attività svol-
te ed alle procedure che raccolgono e descrivono tali attività.
Con riferimento ai requisiti delle regole applicate, siano esse volontarie (i.e. linee guida, protocolli clinici elaborati dalle Società Scientifiche), siano esse cogenti
(i.e. Leggi e Decreti Legislativi applicabili),
dovrebbe emergere nel sistema di gestione un profilo che dipende dalla storia della struttura sanitaria, dalle specialità cliniche presenti, dalle attività che vi si svolgono e che la caratterizzano.
Buona parte del successo nell’applicazione di un sistema di gestione dipende anche dall’interpretazione della realtà
che ciascuno dà e dal corretto utilizzo degli
strumenti di gestione, che dovrebbero
accentuare la sensibilità e la consapevolezza del personale verso la qualità ed il
miglioramento.
In particolare per le attività descrivibili
attraverso protocolli clinici e linee guida
specialistiche il massimo sforzo deve essere posto nel favorire la integrazione egli
stessi nelle procedure del sistema di gestione, in conformità ai requisiti della norma. Convivono infatti momenti, nel medesimo ruolo, che richiedono agli operatori sanitari la consapevolezza dei comportamenti professionali, indirizzati agli
esiti, verso i comportamenti organizzativi, più indirizzati alla salvaguardia della
conformità alle procedure del processo di
erogazione del servizio.
Il modello che raggruppa le tre dimensioni della qualità ci è utile per capire come
all’interno di una struttura la qualità sia
legata ai tre soggetti principali:
* La struttura organizzativa - (dimensione organizzativo-aziendale)
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Marzo
.....Febbraio
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..........2001
......
TuttoSanità
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* I professionisti - (dimensione professionale)
* L’Utente (persona assistita, paziente, cliente) – (dimensione relazionale)
Attraverso il coinvolgimento di tutti
gli operatori sanitari nel sistema di gestione la organizzazione acquisisce la consapevolezza della propria capacità di erogare il servizio ad un determinato livello di
qualità (in parte esplicitato nella Carta dei
Servizi), misurato attraverso opportuni
indicatori ed attività di verifica delle prestazioni (autoverifica interna).
Inoltre la organizzazione sanitaria si
confronta costantemente con i due volti
della qualità relazionale: la “qualità erogata” e la “qualità percepita”.
Nel tentativo di avvicinare sempre più
questi due momenti e secondo uno dei
principi fondamentali delle nuove norme,
si stimola da parte della persona assistita
la libera valutazione sul servizio ricevuto,
attivando presso tutto il personale l’atteggiamento all’ascolto dei bisogni
espressi e sottintesi.
Le norme ISO 9000:2000, ispirate ai
principi del “Total Quality Management”,
orientano i comportamenti della organizzazione alla ricerca della piena soddisfazione dell’utente misurata tramite questionari e domande dirette, considerando il
valore attribuito dallo stesso alle prestazioni ricevute.
Si può notare come i requisiti derivanti dalla analisi delle tre “dimensioni della
qualità” possono trovare collocazione all’interno del sistema di gestione attraverso gli strumenti utilizzati (procedure e prescrizioni operative) correlati a ciascuna di
esse.
Ad esempio nel contesto della qualità
relazionale il modello APQ (Analisi Partecipata della Qualità), che riunisce intorno
al tavolo di confronto i rappresentanti
della struttura sanitaria, dei pazienti, dei
professionisti e degli altri soggetti d’interesse legati alle prestazioni di una struttura sanitaria, permette di determinare i
requisiti delle prestazioni e di confrontare
quanto espresso nella Carta dei Servizi,
fornendo i riferimenti per il miglioramento
delle prestazioni.
Abbiamo poi la qualità professionale
dove, al di là della applicazione di linee
guida e protocolli specifici, troviamo la
tecnica di verifica e revisione della qualità (VRQ) che é stata da tempo applicata
dai professionisti per indurre attività di
miglioramento delle prestazioni sviluppandosi poi nelle metodo MCQ (Miglioramento Continuo della Qualità).
La misurazione della qualità del servizio, requisito fondamentale delle norme
ISO 9001:2000 (al cap. 8) è derivata dagli
indicatori associati alle tre dimensioni
della qualità. Le procedure del sistema di
gestione conterranno al loro interno
l’identificazione dei fattori della qualità e
degli indicatori scelti, le istruzioni per la
raccolta e la elaborazione dei dati e le
modalità per attivare il miglioramento, includendo la sorveglianza dei costi.
In questo contesto le procedure per il
Controllo di Gestione, incluse le attività
correlate di budgeting e reporting, consentono al riesame da parte della Direzione della Struttura una visione integrata di
obiettivi, indicatori di efficacia ed efficienza
e costi associati alle attività.
Il sistema di gestione sarà quindi dotato di requisiti legati gli strumenti (requisiti di sistema) e requisiti della prestazione (fattori della qualità), risultando fondamentale la coerenza generale e la adeguatezza degli indicatori utilizzati al fine
del raggiungimento degli obiettivi.
Leggendo poi il DPCM 19/5/95 - suppl.
65 G.U. 31/5/95 n. 125 (Schema generale
di riferimento della Carta dei servizi Pubblici Sanitari) è interessante osservare che
i processi che si svolgono nella struttura
sanitaria di relazione con la persona assistita (fasi dell’esperienza) possono essere descritti secondo il modello ISO 9000
ed attuati in accordo allo schema generale contenuto nella Carta di Servizi.
Per gli strumenti presi ad esempio il
sistema di gestione vincola attraverso i
suoi requisiti le modalità per descrivere
come si svolgono le fasi dell’iter diagnostico terapeutico senza vincolarne i con-
tenuti, ed a ognuna delle fasi troviamo
attribuito il gruppo degli adeguati indicatori legati al fattore di qualità che compariranno tra i dati ed i documenti da tenere
sotto controllo, da riportare nei documenti di registrazione, ad attestazione del miglioramento ottenuto.
Si necessita una forte conoscenza
interpretativa della attività allo scopo di
consentire, attraverso la partecipazione di
tutti gli operatori sanitari, la corretta identificazione dei requisiti, ma soprattutto la
condivisione dei medesimi, che rimarranno obiettivi comuni di qualità delle prestazioni e della efficienza organizzativa di
processi complessi.
Il risultato dipende dalla buona comunicazione e collaborazione fra gli individui, fra le Unità Operative ed i Servizi della struttura sanitaria.
La catena del valore aggiunto che deriva dalla corretta applicazione del sistema di gestione ISO 9000 è il virtuale collegamento che permette, ad ogni fase del
processo di ricovero, cura e dimissione di
associare un “valore” tangibile ed intangibile, legato alla qualità delle prestazioni
ed alla adeguatezza delle procedure.
Se si entra nella dimensione del valore intangibile gli eventi di comunicazione,
di comprensione, di empatia ed
umanizzazione permeano i comportamenti e le organizzazioni generando nuovo
significato per la assistenza prestata.
Ogni attività, ogni momento di contatto e di comunicazione dà un contributo al “valore totale”, ossia a quanto la
persona assistita riceve all’interno della
struttura e questo si tramuta nella consapevolezza del risultato delle cure e della
creazione della possibilità di guarigione,
con la maggior soddisfazione da parte di
tutti coloro che hanno contribuito per loro
competenza e responsabilità al miglioramento dello stato di salute del malato ed
al miglioramento della qualità della vita di
cui beneficiano l’organizzazione sanitaria
ed il contesto sociale in cui opera.
* Direttore di Certimedica Istituto Certiquality
39
n. 51..Febbraio
..............-...Marzo
..........2001
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TuttoSanità
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Storia e sviluppi della certificazione ISO 9000
nel settore sanitario in Puglia e Basilicata
Stefano Cucurachi *
Lo sviluppo della certificazione di sistemi qualità vede coinvolti gli operatori
della sanità fin dalle prime fasi, quando,
per la prima volta in Italia, sono stati rilasciate da parte di Certimedica i certificati
di conformità ai laboratori di analisi cliniche dell’A.O. Policlinico di Modena e della
A.O. S.Orsola - Malpighi di Bologna nell’anno 1996.
Da quella data altre strutture sanitarie
hanno sottoposto a valutazione e hanno
ottenuto la certificazione dei propri sistemi di gestione della qualità.
Nell’anno 1998 tra le strutture sanitarie della Puglia e Basilicata tre laboratori
di analisi cliniche, siti in Basilicata, pongono domanda e ottengono da parte di
Certimedica (Istituto Certiquality) la
certificazione del proprio sistema qualità
il cui sviluppo era iniziato due anni prima,
sull’onda dei confronti di esperienze diffusesi a livello nazionale tra i laboratori
italiani nell’ambito di Convegni e Congressi Scientifici della Medicina di Laboratorio.
Il settore di classificazione di tali certificati, secondo European Accreditation
(EA) che regola le attività di certificazione,
risulta essere il numero EA 38, denominato “Sanità e servizi sociali”.
Seguirono nello stesso anno centri di
dialisi, un centro per servizi di riabilitazione medico psico socio pedagogica e ancora altri laboratori di analisi, che, in linea
con le tendenze nazionali, hanno caratterizzato l’avvio della applicazione delle
norme ISO 9000 in Sanità. Nell’anno 1999
furono rilasciati certificati ad alcuni centri
per la erogazione di servizi di supporto
all’attività ambulatoriale di assistenza
specialistica, di servizi di riabilitazione socio- medico e psico pedagogica e ancora
laboratori di analisi cliniche.
A corollario degli avvenimenti presso
le strutture sanitarie, l’anno 2000 si è aper-
Fig. 1 Siti certificati per anno in Puglia e Basilicata da parte di Organismi
accreditati dal SINCERT (fonte SINCERT - 31.12.2000)
to con la certificazione di centri per la produzione di anticorpi monoclonali per uso
diagnostico e di protesi dentali ed
ortodontiche (attività rientranti nel campo di applicazione delle Direttive Europee che regolamentano la fabbricazione
di Dispositivi Medici) , servizi di
erogazione di prestazioni di riabilitazione,
servizi di diagnostica per immagini, terapia
fisica e riabilitazione ortotraumatologica e
neuromotoria, ed infine ancora laboratori
di analisi cliniche.
Una attenta lettura dei dati raccolti
(vedi figura 1) evidenzia la crescita pressoché costante nel triennio 1998-2000
delle certificazione dei sistemi qualità in
Puglia e Basilicata nel settore EA 38. In
queste regioni il settore “Sanità e servizi
sociali” ha visto la certificazione da 9 a 11
siti per anno, con un fattore di crescita
pressoché lineare, che lascia presupporre una ulteriore crescita per il 2001, anche
a fronte di un rilevante numero di strutture sanitarie, delle due regioni considerate, che hanno in atto processi di sviluppo
di sistemi di gestione per la qualità.
Gli Organismi di Certificazione accreditati presso SINCERT, Sistema di
accreditamento italiano per gli organismi
di certificazione, che hanno operato nell’area sono stati cinque. Da questo angolo della visuale la scelta delle strutture è
ricaduta per più del 50% (fonti SINCERT)
su Certimedica (settore dell’Istituto
Certiquality) che è nato con lo specifico
intento di soddisfare il bisogno della
certificazione nel settore sanitario attraverso lo sviluppo di competenze specifiche nell’ambito della sanità e dispositivi
medici.
In questo panorama, sicuramente di
interessante sviluppo, emerge la assenza
di strutture sanitarie che non operino strettamente nel campo delle analisi di laboratorio, delle attività ambulatoriali o della
riabilitazione, quali ad esempio Unità Operative di Medicina e di Chirurgia di strutture sanitarie complesse quali Case di Cura,
Aziende Ospedaliere ed ASL.
Il fenomeno riproduce quanto già av-
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Marzo
.....Febbraio
..............-...
..........2001
......
TuttoSanità
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venuto in altre Regioni Italiane, in quanto
i concetti di accuratezza e di ripetibilità
della misura legati alla diagnostica di laboratorio sono senza dubbio più accessibili e vicino alla cultura della qualità già
affermatasi nel nostro paese negli ambiti
industriali e consentono da parte degli
operatori una più rapida comprensione dei
requisiti e conseguente applicazione delle norme, piuttosto che l’apprezzamento
della efficacia di una prestazione di servizi sanitari in ottemperanza a protocolli di
cura, anche se volontariamente scelti ed
applicati.
Tuttavia si fa largo la consapevolezza
che, al di là della evidente necessità della
certificazione dei laboratori al fine di assicurare all’utente/paziente una elevata confidenza sulla attendibilità dei risultati delle analisi, la erogazione di servizi sanitari
in base a validi e validati protocolli di cura
con la valutazione della efficacia delle prestazioni è l’elemento qualificante che ogni
struttura potrebbe offrire agli utenti per
differenziare il servizio erogato.
La previsione per l’anno corrente è
certamente quella di vedere in Puglia e
Basilicata la emissione di più di un certificato relativo a sistemi qualità di Unità
Operative e reparti di Aziende Ospedaliere
e strutture sanitarie private.
L’allargamento della certificazione a
strutture sanitarie complesse rappresenterebbe sicuramente un risultato atteso
con interesse da quanti si aspettano, in
queste regioni, un segno tangibile dell’inizio di un periodo di significativo cambiamento ed una svolta, a lungo desiderata,
nella offerta dei servizi sanitari.
* Responsabile Area Sud Certiquality
- Bari
Marker tumorali: parte indagine conoscitiva
coordinata dall’Istituto Oncologico di Bari
Un progetto di ricerca cui partecipano anche l’Università di Bari e
l’IRCCS “De Bellis” di Castellana Grotte
Valutare i livelli di appropriatezza di utilizzo clinico dei marcatori
tumorali; mettere a punto adeguati moduli didattici per specializzandi, laureati in Medicina e utenza del settore; analisi dei costi per
questo tipo di prestazioni in Puglia.
Sono questi i tre obiettivi fondamentali dell’analisi conoscitiva
territoriale sull’utilizzo dei mar-kers tumorali, presentata recentemente a Bari, presso l’Istituto Oncologico (direttore scientifico:
dott. Mario De Lena), e coordinata dal dr. Angelo Paradiso, responsabile del Laboratorio di Oncologia sperimentale clinica dello
stesso IRCCS, che vede la partecipazione attiva anche dell’Università di Bari (Dipartimento Scienze Biomediche Oncologia Umana,
prof. Franco Dammacco e l’Istituto di Anatomia e Istologia patologica, prof.ssa Carmela Giardina) e dell’IRCCS Ospedale “S. De
Bellis” di Castellana Grotte, dr. Mario Correale.
Il progetto di ricerca è stato finanziato dal Ministero della Sanità,
riguarda i laboratori di analisi chimico clinici pubblici e privati (con
la sottoposizione di un questionario) e i Servizi di Istocitopatologia
presenti in Puglia maggiormente coinvolti nella determinazione di
marcatori tumorali.
I dati che emergeranno dai questionari consentiranno di monitorare sia il livello di dialogo tra laboratoristi e clinici, sia di valutare
dal punto di vista quali-quantitativo la mole di lavoro che viene svolta
sui markers, sia infine di arrivare a comprendere le modalità con le
quali i clinici utilizzano le informazioni laboratoristiche a scopi diagnostico-terapeutici.
L’inziativa è supportata da un sito Internet dedicato (www.cqlaboncologico.it),
pagina “Survey Puglia”, nel quale è possibile visionare l’intero progetto
unitamente ai questionari e schede che saranno compilati dagli interessati
per via telematica.
L’indagine conoscitiva si concluderà nel giugno 2002.
TuttoSanità , il Network della Sanità in Puglia
TuttoSanità, periodico bimestrale
TuttoSanitàNews, servizio informativo quindicinale
TuttoSanità On Line ( www.tuttosanita.it), la banca dati multimediale
c.c.p. 16809709
e-mail: [email protected]
tel/fax 080.4327182
41
n. 51..Febbraio
..............-...Marzo
..........2001
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TuttoSanità
Scientifico
Direttore
Scientifico
Mario
De
Lena
TuttoSanità
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RISULTATI DELL’INDAGINE CONOSCITIVA CONDOTTA SULLA
POPOLAZIONE ANZIANA IN ASSISTENZA DOMICILIARE
PROGRAMMATA NELL’ANNO 1997, NEL DISTRETTO SOCIOSANITARIO N. 11 DELLA AUSL TA/1
G. Ronzino*, G. Orlando**, O. Capparella***
Introduzione
Il Distretto Socio-Sanitario n° 11 dell’azienda USL TA/1 è
costituito da 9 Comuni, con popolazione totale di 62,000
abitanti circa e con una percentuale media di
ultrasessantacinquenni pari a 13%.
Considerato che su questo territorio le strutture sanitarie
presenti sono: due poliambulatori, tre servizi di Continuità
Assistenziale e tre Laboratori di Analisi convenzionati con la
AUSL, la realizzazione di un progetto di Assistenza Domiciliare
assume particolare priorità.
La Regione Puglia, inoltre, con Delibera Consigliare del 3
dicembre 1996, n. 162 (1) ha ripartito i fondi e dato le linee
guida ai Comuni e alle Aziende USL per gli interventi di Assistenza Domiciliare Integrata agli anziani non autosufficienti,
pertanto, in attesa dei previsti protocolli d’intesa con i Comuni per l’attivazione del servizio sul territorio, abbiamo condotto, durante l’anno 1997, un’indagine conoscitiva sulla popolazione ultrasessantacinquenne di questo Distretto.
Materiali e metodi
Lo studio è stato condotto su tutti i casi per i quali il
Medico di Medicina Generale richiedeva l’Assistenza
Domiciliare Programmata, come previsto dal DPR 484/96 art.
39 All. G. (2).
Il metodo utilizzato è stato quello della Valutazione
Multidimensionale.(3)
Sono stati ammessi in ADP, da gennaio a dicembre 1997,
n° 149 pazienti, ultrasessantacinquenni, affetti da patologie
croniche, in condizioni di non autosufficienza e comunque
impossibilitati a muoversi dal proprio domicilio, quali (2):
· Soggetti con impossibilità permanente a deambulare
· Soggetti non trasportabili con mezzi comuni
· Soggetti affetti da gravi patologie che necessitano di controlli ravvicinati:
- Insufficienza cardiaca in stato avanzato
- Insufficienza respiratoria con grave limitazione funzionale
- Arteriopatie obliteranti degli arti inferiori in stadio avanzato
- Gravi artropatie degli arti inferiori con grave limitazione
- Cerebropatici e cerebrolesi, con forme gravi
- Paraplegici e tetraplegici.
Le richieste, formulate su apposito modulo dai Medici di
Medicina Generale aventi in carico il paziente, indicavano gli
interventi di assistenza specialistica, riabilitativa, infermieristica
e Socio-Assistenziale ritenuti utili.
Sono state utilizzate scale di valutazione funzionali quali:
- ADL (Activities of Daily Living)(4): composto da indici
di attività della vita quotidiana (lavarsi, vestirsi, mangiare, spostarsi, andare in bagno e continenza sfinterica). Per ciascun
item il punteggio è: 0=autosufficienza; 1= parziale dipendenza; 2= completa dipendenza
- Barthel (5): composto da indici di self-care e indici di
motilità (range 0-100 con 100= completa autosufficienza)
- MMS (Mini Mental State)(6): composto da 11 items relativi a memoria a breve e medio termine, linguaggio, orientamento temporo-spaziale, prassia costruttiva, attenzione e calcolo (range 0-30 con 0= massimo deficit cognitivo)
- GDS (Geriatric Depression Scale)(7): composto da 30 items
(range 0-30 con 30= grave stato depressivo)
Sono state studiate le variabili mediche, funzionali,
anagrafiche.
Variabili mediche: Diagnosi di ammissione (malattia principale), prevalenza delle malattie, concordanza tra la richiesta di
assistenza e il bisogno del paziente, incontinenza urinaria, uso
di catetere vescicale, piaghe da decubito, consumo di farmaci,
giudizio clinico .
Variabili funzionali: Funzioni motorie (ADL e Barthel), funzioni cognitive e tono dell’umore (MMS, GDS)
Variabili anagrafiche: Età, sesso, provenienza, condizioni
abitative, stato sociale, stato civile, scolarità, stato economico
(invalidità con o senza accompagnamento), provenienza.
Analisi Statistica
Dopo l’analisi descrittiva dei dati è seguita la fase di analisi univariata dei singoli parametri raccolti versus la mortalità
dei pazienti in ADP nel corso del periodo studiato.
L’analisi statistica e’ stata condotta:
• per i dati dicotomici con l’analisi della distribuzione del
X2 con la correzione di Yates o con la verifica del test esatto di
Fischer nei casi in cui la frequenza attesa in ciascuna cella
fosse risultata inferiore a 5;
• per i dati in continuo con l’analisi della varianza per i
valori con distribuzione normale e simmetrica e con varianza
omogenea nell’ambito del gruppo o con la statistica non
parametrica (U) (8) nel caso tali presupposti non fossero stati
rispettati.
L’analisi multivariata (9, 10) dei parametri esaminati versus la
morte è stata condotta con la regressione logistica mediante step.
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Marzo
.....Febbraio
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......
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Nel modello sono stati accuratamente selezionati, mediante matrice di correlazione, i parametri immessi per ridurre effetti
di collinearità.
Ta b C
C a r a t t e r is t ic h e F u n z i o n a l i
ADL
B A RT H E L
Risultati
Va l o r e
1 3 , 7 + /- 3 , 3
R a ng e 0-10 0
2 8 + /- 2 4 ,9
< 2 1 /> 2 1
9 5 /6 1
M MS
Le caratteristiche anagrafiche della popolazione studiata
sono state riassunte nella tab. A:
Ta b.
C a r a t t e r i st i c h e
A n a g ra fi ch e
Età
A
I n d ic e
Va l o r e
A nni
8 2 + /- 6 . 6
M /F
5 8 /9 1
S e ss o
S t a to
c iv i l e
S ta t o
so c ia l e
S c o l a r it à
I n v a l id it à
I n v a l id it à
I n d ic e
R a ng e 6-18
+
Ac c
C /V
6 7 /8 2
F /S
1 2 4 /2 5
SI/ N O
9 2 /5 7
SI/ N O
1 0 9 /4 0
SI/ N O
8 3 /6 6
Ta b . B
N°
%
C a r d i o v a s c o la r i
132
89
I p e r te n s io n e a r te r io s a
109
73
O r t o p e d ic h e
80
54
N e u r o lo g ic h e
72
48
P n e u m o lo g ic h e
62
42
D e m en z a
51
34
D i ab et e
34
23
E p a tic h e
27
18
F r a ttu r a d i f e m o r e
23
15
R en al i
15
10
N e o p l a s tic h e
14
9
M o r b o d i P a r k in s o n
A l tr o
N ° m e d io m a la tti e
SI/ N O
6 1 /8 8
C a t e te r e v e s c i c a l e
SI/ N O
2 9 /1 2 0
L e s io n i d a d e c u b i to
SI/ N O
2 7 /1 2 2
V i st a
SI/ N O
7 3 /7 6
U d i to
SI/ N O
7 4 /7 5
rispettivamente su 13.7+/-3.3 e 28+/-25, ciò equivale a un basso livello di autonomia funzionale. Il 64% dei pazienti presenta
un valore di MMS (11) inferiore a 21 che equivale ad una
compromissione dello stato cognitivo.
Ta b. D : R is u lta ti re g res s io n e lo g i sti ca
E’ risultato che l’età media dei pazienti è di 82 +/- 6.6 anni,
l’indice di mascolinità è pari al 39%, l’indice di vedovanza è
P r e v a l e n z a m a la t t i e
I n c o n tin e z a s f in t e r ic a
7
4
110
//
5 .7 + /- 2
//
N ° p z co n co n s u m o d i farm a ci > 6
24
16
P a z ie n ti d e c e d u t i
21
14
pari al 55%, l’indice di alfabetizzazione è pari al 62% e che
l’83% di essi vive in famiglia. Il 73% della popolazione studiata
è in possesso di invalidità civile e il 56% percepisce anche
l’assegno di accompagnamento.
Le caratteristiche mediche, in termini di prevalenza delle
malattie, riassunte in Tab. B, evidenziano che la patologia prevalente è quella cardiovascolare (89%), l’ipertensione arteriosa
è presente nel 73% dei pazienti, le patologie ortopediche cronico-degenerative nel 54% dei casi, quelle neurologiche nel
48%; infine il 9% sono pazienti neoplastici.
I pazienti che assumono più di 6 farmaci al giorno sono 24
pari al 16%.
Sono deceduti 21 pazienti.
Le caratteristiche funzionali sono riassunte in Tab. C:
Si osserva che i valori medi di ADL e Barthel si attestano
V a ri a bi le i nd ip en d en te
O d d s r a tio
L im iti fid u cia l i 9 5 %
In d ic azi o n e A ss . In f.
2 .2 8
1 .3 7 -3 .7
F arm a ci p re sc ritt i
1 .8
1 .0 7 -1 .7 1
Va riab i le d i p en d en t e
m o rt e
Il 41% dei pazienti presenta incontinenza sfinterica e il 19%
è portatore di catetere vescicale.
Il n° medio di malattie per ciascun paziente è 5,7+/-2.
Il 18% dei pazienti presenta lesioni da decubito.
Nessuna delle patologie esaminate è risultata correlata con
l’End Point morte.
Al contrario il n° di farmaci assunti (fig. 1-2), l’indicazione
all’assistenza infermieristica (fig. 3-4), la presenza di lesioni da
decubito (fig. 5-6), l’incontinenza sfinterica (fig. 7-8), gli indici
funzionali, in particolare l’ADL (fig. 9) e il Barthel (fig. 10),
l’uso di catetere vescicale (fig.11-12), il giudizio clinico (fig.
13-14) sono risultati statisticamente correlati con l’End Point
morte (12-13).
L’analisi della regressione logistica (Tab D) ha evidenziato
quanto sia importante la variabile relativa all’indicazione all’assistenza infermieristica mostrando una ODDS elevata e con stretti
limiti fiduciali. Anche il numero di farmaci assunti (>6 farmaci)
(14) è risultato predittivo sia pur con una ODDS minore.
E’ emerso, dalla VMD dei pazienti un significativo bisogno socio-assistenziale, spesso tradotto incongruamente in
bisogno sanitario (fig. 15).
Discussione
L’indagine conoscitiva ottenuta con la raccolta dei dati
anagrafici, sociali e clinico-funzionali dalla cartella di VMD ha
fornito elementi necessari per la valutazione dei bisogni reali
di questo gruppo di popolazione anziana, che in prospettiva
della attivazione del Servizio ADI ai sensi della delibera del
Consiglio Regionale n° 162 del 3 dicembre 1996 era fondamentale conoscere.
Gli indici funzionali ed alcune variabili mediche sono risultati significativamente correlati con la morte, come:
43
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· l’indice ADL che esprime l’autonomia funzionale globale nell’esecuzione delle principali attività della vita quotidiana, che per valori più alti (il cut-off rilevato è 14) si correla
con il numero di decessi;
· l’indice di Barthel che analizza più approfonditamente
l’autosufficienza come cura di sé e come motilità e pone il peso
della valutazione in particolar modo sui parametri relativi alla
continenza sfinterica e alla possibilità di spostarsi;
· le lesioni da decubito che sono predittive di morte ed
esprimono il ridotto livello di autosufficienza, al pari degli
indici ADL e Barthel;
· l’uso del catetere vescicale che non solo esprime un
ridotto livello funzionale, ma può condizionare la sopravvi
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venza anche come fattore di rischio per: 1) infezioni ricorrenti urinarie resistenti talvolta alla terapia antibiotica, 2) sepsi
particolarmente gravi per pazienti defedati e/o temporaneamente allettati, 3) indirettamente, lesioni da decubito con possibili sovrainfezioni.
· l’assunzione dei farmaci è di per sé predittiva di morte
quando supera le 6 molecole al giorno, come è risultato dalla
regressione logistica e riportato in letteratura (14); poichè oltre ad esprimere un indicatore indiretto di gravità di malattia,
può aumentare il rischio di reazioni allergiche, di effetti indesiderati, di reazioni crociate non previste
· il giudizio clinico (15) che si dimostra un buon indice
prognostico, comprendendo, verosimilmente, un insieme di
parametri obiettivi ed anche indirettamente laboratoristici e
antropometrici.
Conclusioni
Lo studio condotto su questo gruppo di popolazione ha
confermato che il metodo della VMD è un valido strumento per
conoscere e valutare i bisogni del paziente anziano a domicilio.
I risultati dello studio clinico hanno trovato riscontro scientifico in lavori già pubblicati da autorevoli autori, caratterizzandosi questo per la domiciliarità dei pazienti presi in esame.
Emerge la complessità dei bisogni assistenziali, l’importanza di una corretta identificazione dei problemi per evitare di
tradurre incongruamente, come verificato, fabbisogni socioassistenziali in bisogni sanitari per lo più di tipo riabilitativo e
per evitare di sottostimare il bisogno di assistenza
infermieristica che si è dimostrata invece essere correlata con
la morte.
Scaturisce, dunque, la necessità di offrire un servizio che
sia in grado di modulare risposte quali-quantitative a misura
del paziente.
Il PSN 94/96 ha individuato l’assistenza domiciliare come
una valida risposta ai bisogni di cura dei pazienti anziani consentendo, peraltro, un miglior utilizzo delle risorse economiche, un più appropriato uso dei servizi sanitari ed un miglioramento della qualità della vita.
Il modello organizzativo di Assistenza Domiciliare Integrata
che ci stiamo apprestando a realizzare ha dimensionato il servizio stabilendo il numero dei pazienti, privilegiando le patologie
croniche e le condizioni socio-economiche; scelta difficile ma
necessaria allorquando le risorse non sono infinite.
Le difficoltà tecnico-operative sono prevedibili, più diffici-
le è immaginare quelle legate al radicale cambiamento del rapporto medico-paziente ed utente-servizio, con l’introduzione
di altre figure professionali che dovranno interagire tra loro,
con il paziente e con la sua famiglia; a domicilio e non nella più
classico e tradizionale ambulatorio o reparto del servizio sanitario.
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* Dirigente Responsabile
** Responsabile U.O. Medicina Generale
*** Specialista Geriatra
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LA TERAPIA TERMALE NELL’INSUFFICIENZA
VENOSA CRONICA (I.V.C.)
G. Pagano*
L’insufficienza venosa cronica degli arti inferiori rappresenta una sindrome polimorfa, che coinvolge non soltanto il
circolo venoso macrovasale, ma anche il microcircolo nella
sua globalità, sia nel versante capillaro-venulare, che in quello
arteriolare e linfatico, con ovvie ripercussioni sui tessuti distali
superficiali dell’arto.
La terapia medica segue canoni ormai ben codificati, giovandosi di tutti i presidi che possono vivificare il circolo
venoso, venulare e microvasale.
Sono, infatti, noti i vantaggi dell’attività fisica moderata ed
in particolare del nuoto, che associa l’azione benefica della
pompa muscolare alla contropressione esterna esercitata dall’acqua realizzando così condizioni di lavoro ottimali per il sistema venoso.
La balneoterapia termale vanta un’attività eutrofica sui tessuti dermo-epidermici.
In effetti, già da tempo le acque termali sono consigliate ai
pazienti flebopatici poichè uniscono alle propietà intrinseche
un effetto decongestionante; inoltre l’idromassaggio e l’
ozonizzazione dell’acqua esplicano un’azione ossigenante,
stimolante e disinfettante sui tessuti dermo-epidermici.
Materiali e metodi
Sulla base di tali premesse si è voluta verificare l‘efficacia
della balneoterapia termale, mediante acqua salso-bromo-iodica
su un campione di 20 pazienti, scelti secondo i seguenti criteri
di inclusione:
·
soggetti di entrambi i sessi,
·
età compresa fra 30 e 65 anni,
·
insufficienza venosa cronica da varici essenziali,
ed i seguenti criteri di esclusione:
·
gravi patologie d’ organo (cardiache, polmonari,
epatiche, renali .....)
·
arteriopatie associate,
·
ulcera venosa o dermo-ipodermiti in atto.
sono stati così selezionati 20 pazienti di ambo i sessi ( 6
maschi e 14 femmine), di età compresa fra 32 e 63 anni (media
46,3), i quali hanno effettuato un ciclo di cure angiologiche
presso lo Stabilimento Termale di Torre Canne (BR) della durata di 12 sedute nel camminatoio, questo è costituito da due
idropercorsi vascolari rappresentati da due vasche rettilinee
contenenti acqua termale cloruro-solfato-sodica a diverse temperature.
Nella prima vasca, profonda 85 cm, la temperatura è di 34
°C, nella seconda vasca, profonda 75 cm, la temeratura è di 24
°C.
Tali vasche sono lunghe circa 8 m. e larghe circa 60 cm. e
sono munite sulla parete ciascuna di 10 getti per
l’idromassaggio ozonizzato disposti ad altezze crescenti e decrescenti così da disegnare un profilo ondulatorio a pressione
dal basso verso l’alto e viceversa. Le vasche sono disposte
parallelamente tra loro e sono percorribili in senso alternato.
Tutti i pazienti, prima dell’arruolamento, sono stati sottoposti ad un accurato esame clinico-vascolare generale, nonchè
ai test ematochimici di routine, per escludere patologie associate.
Le valutazioni cliniche sono state completate dall’esplorazione vascolare mediante Doppler c.w. La verifica dell’efficacia terapeutica ha prospettato il problema della scelta dei criteri di valutazione, che dovevano comunque rispondere a tre
fondamentali esigenze: essere semplici, affidabili e comparabili
nel tempo.
I parametri clinici appaiono prevalentemente soggettivi,
ma rappresentano comunque un punto di riferimento essenziale.
L’approccio clinico ha comportato la classificazione di 7
parametri soggettivi ed obiettivi (senso di peso, crampi,
flebodinia, parestesie, stancabilità, prurito, edema) secondo
una scala di valori da 0 a 3 ( 0=assente, 1=lieve, 2=moderato
3=marcato), per un punteggio complessivo teorico variabile
da 0 a 21.
Tra le molteplici tecniche strumentali disponibili è stata
preferita l’ultrasuonografia Doppler c.w. poichè ha permesso
un corretto inquadramento preventivo dei malati ed una semplice valutazione comparativa prima e dopo terapia. In
effetti,tale metodica vanta una notevole sperimentazione anche nel campo delle verifiche della terapia medica nelle
flebopatie. Il Doppler ha qualificato le condizioni del circolo
arterioso periferico (per escludere dallo studio malati
arteriopatici) e del circolo venoso profondo ( per escludere
pazienti con patologie dei collettori profondi); inoltre ha fornito un quadro dettagliato della disfunzione venosa superficiale, saggiando la continenza ostiale delle grandi e piccole safene
e identificando eventuali perforanti incontinenti rifornenti i
circoli varicosi.
In realtà la misurazione al Doppler delle pressioni venose
ortostatiche risente (oltre che dell’esperienza dell’operatore e
dei criteri di rilevamento) di molteplici variabili ( pressione
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venosa effettiva, compliance venosa, variazioni pressorie
toraco-addominali, volume ematico post-capillare) le quali,
sebbene, possano modificare i valori rispetto ai rilievi cruenti,
ampliano il significato del parametro pressorio, variazioni postterapeutiche sembrano dovute prevalentemente ad un miglioramento del tono veno-venulare. Pertanto è stato scelto come
parametro di riferimento al Doppler la pressione venosa
ortostatica rilevata sulla safena interna al malleolo prima e dopo
il ciclo terapeutico, sempre dallo stesso esaminatore.
E’ stato preso in cosiderazione sempre l’arto più compromesso ed i pazienti hanno sospeso eventuali terapie in atto
(flebotonici, antiedemigeni, elastocompressione) almeno una
settimana prima del’inizio della terapia e dell’esame clinicostrumentale attuato per la classificazione pre-trattamento.
Risultati e conclusioni
Il bilancio comparativo dei parametri clinici e strumentali
rilevati prima e dopo il ciclo terapeutico è senz’altro positivo.
I 14 pazienti ritornati a successivo controllo hanno riferito
riduzione del senso di peso, dei crampi, delle parestesie, della
stancabilità, del prurito e dell’edema con, in alcuni casi, addirittura riduzione della circonferenza alla caviglia. Anche il comportamento della pressione venosa ortostatica ha evidenziato
variazioni post-terapeutiche più limitate.
In conclusione, sulla base del presente studio, si può affermare che la balneoterapia termale mediante acqua clorurosolfato-sodica rappresenta nell’insufficienza venosa cronica
degli arti inferiori un trattamento semplice, gradito dai pazienti, privo di controindicazioni, associabile vantaggiosamente ai
presidi terapeutici consueti e soprattutto efficace.
Riassunto
L’Autore con questo lavoro ha voluto dimostrare che la
terapia termale ed in particolare il camminatoio, può essere
coadiuvante nella cura dell’insufficienza venosa cronica.
L’utilità della terapia termale con acqua cloruro-solfatosodica delle Terme di Torre Canne (BR) è stata valutata nel
periodo da maggio ad ottobre 2000 su un campione seleziona-
to di 20 pazienti affetti da I.V.C. degli arti inferiori utilizzando
riferimenti clinici e strumentali, visti comparativamente prima e
dopo il ciclo terapeutico composto da 12 sedute a cadenza
giornalira della durata di circa 20 minuti. I risultati terapeutici
sono stati soddisfacenti.
In definitiva si può concludere che la terapia termale per le
cure angiologiche con acque cloruro-solfato-sodica si è dimostrata efficace, di semplice attuazione e gradita dai pazienti.
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* Responsabile Servizio di Angiologia Medica
Terme Torre canne (BR)
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RUOLO DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO
DELL’ENTEROSCOPIA NELLA
PRATICA CLINICA
A. De Ceglie, F. Scotto, A. Pellecchia *
L’enteroscopia rappresenta un importante passo avanti nell’esplorazione dell’ intestino tenue la cui diagnostica era fino
ad un decennio fa appannaggio della radiologia; questa metodica oltre ad offrire il vantaggio della visione diretta del lume
del piccolo intestino, permette di effettuare biopsie e talvolta
di attuare provvedimenti terapeutici(1).
Il primo prototipo di sonda per enteroscopia -enteroscopia
sonde- è stato rappresentato da sonde di calibro sottile (5
mm), lunghe circa 3 metri, introdotte dal naso, posizionate oltre il piloro mediante l’ausilio di un gastroscopio pediatrico
introdotto dalla bocca e fatte progredire nel tenue mediante la
peristalsi(2).L’uso di tali sonde è però limitato in quanto i tempi
di esecuzione dell’esame sono particolarmente lunghi, il paziente tollera poco la procedura che si rivela anche potenzialmente dannosa potendo provocare perforazione in un 3% dei
casi(2). Inoltre tali sonde non riescono a visualizzare completamente la mucosa in particolare a livello delle angolazioni e non
sono provviste di canali bioptici.
Più recentemente l’introduzione del push enteroscopio ha
permesso uno studio più agevole del piccolo intestino. Si tratta di apparecchiature video, della lunghezza variabile da 2.30 a
2.50 m: in vivo la lunghezza del piccolo intestino è circa 3 metri,
ma durante l’enteroscopia l’organo può essere “accartocciato”
sullo strumento del 200-300%(2); tuttavia raramente l’intero
piccolo intestino può essere esplorato(1).
Secondo molti AA l’accuratezza diagnostica dell’enteroscopia
è al massimo del 40%(3).
La metodica è simile a quella di una EGDS. Lo strumento presenta una punta distale flessibile, un canale operatore attraverso cui possono passare le pinze bioptiche e le fibre per
l’elettrocoagulazione bipolare, le anse ecc. ed è fornito di un
overtube di 80 cm di lunghezza(4). L’esame viene condotto
preferibilmente in sedazione profonda con l’assistenza
anestesiologica. Dopo il superamento del piloro
sull’enteroscopio viene fatto scorrere l’overtube precedentemente posizionato allo scopo di evitare che lo strumento formi
un’ansa nella cavità gastrica. Il posizionamento dell’overtube
non è scevro da rischi e talvolta richiede l’ausilio della
fluoroscopia(1).
L’enteroscopia può essere effettuata anche introducendo
l’endoscopio per via anale, superando la valvola ileociecale
ed utilizzando un overtube che eviti la formazione di anse a
livello del sigma.Generalmente la lunghezza del tratto di digiuno esplorato è di 120 cm (30-160 cm), valutata come lunghezza
dopo il superamento dell’angolo duodeno-digiunale di Treiz;
il tratto di ileo esplorato è in genere di 60 cm (20-120 cm),
valutato come lunghezza dopo il superamento della valvola
ileo-ciecale(1). L’esame viene condotto con la tecnica del pushpull, eventualmente con compressione manuale dell’addome
del paziente o variando la posizione del paziente. Per l’esecuzione dell’esame per via orale è richiesto il digiuno da almeno
6 ore; per l’esecuzione dell’esame per via anale si effettua la
stessa preparazione intestinale in uso per la colonscopia.
Le principali indicazioni all’enteroscopia sono:
• sanguinamenti occulti del tratto gastro-enterico, con esami endoscopici convenzionali risultati negativi;
• lesioni dovute a farmaci antinfiammatori non steroidei;
• malformazioni artero-venose;
• tumori;
• malassorbimento;
• controllo di immagini radiologiche dubbie a livello del digiuno o dell’ileo;
• inspiegabile diarrea in pazienti immunodepressi.
L’enteroscopia viene indicata anche nella diagnosi e nel trattamento della poliposi familiare, nel coinvolgimento del piccolo intestino nelle malattie metaboliche, in malattie sistemiche,
nella diagnosi o nella localizzazione di un linfoma primario al
piccolo intestino(5).
Non vi è indicazione all’enteroscopia nella sintomatologia
dolorosa addominale di origine sconosciuta.
La resa maggiore dell’enteroscopia è nella diagnosi delle cause
di un sanguinamento occulto dell’apparato gastrointestinale.
La video enteroscopia può identificare lesioni potenzialmente
responsabili di sanguinamento nel piccolo intestino da 18 al
50% dei casi(1) raggiungendo in alcune casistiche anche l’83%(1).
Le malformazioni arterovenose rappresentano le lesioni più frequenti (1). La differenza di successo nella diagnosi dei
sanguinamenti del piccolo intestino riportata dalle varie casistiche
può essere spiegata se si tiene presente che la lunghezza del
tratto di piccolo intestino esplorato può variare a seconda dello
strumento adoperato (colonscopio pediatrico, enteroscopio); le
popolazioni studiate sono spesso non confrontabili poiché alcune casistiche riportano soprattutto elevati numeri di pazienti che
utilizzano FANS, mentre in altre sono considerati soggetti con
anemia; le malformazioni artero-venose possono essere confuse
con lesioni traumatiche, le lesioni potenzialmente responsabili di
sanguinamento possono essere interpretate differentemente dai
vari AA (es. i diverticoli possono o no essere causa di
sanguinamento a seconda degli AA)(1).
L’enteroscopia può essere utile nel verificare la presenza di ano-
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malie radiologiche del piccolo intestino, riuscendo a confermare o ad escludere quanto diagnosticato con l’esame radiologico
in circa il 78% dei casi(1). Tuttavia l’enteroscopio non sempre
riesce ad esplorare la zona interessata dalla patologia descritta
all’esame radiologico ed inoltre nel piccolo intestino non ci sono
punti di repere, per cui è difficile stabilire con esattezza la posizione dello strumento(1).Si sostiene che l’enteroscopia possa
essere occasionalmente utile nella diagnosi di inspiegabile diarrea cronica e di sindromi da malassorbimento(1). In genere in
queste patologie la diagnosi viene effettuata eseguendo biopsie
duodenali che si è visto essere sovrapponibili a quelle digiunali,
pertanto l’enteroscopia con biopsie è indicata sono in quelle
rare forme in cui le manifestazioni patologiche siano molto più
evidenti a livello digiunale.
Sono stati descritti casi di diagnosi di morbo di Crohn mediante enteroscopia in pazienti con biopsie del colon negative, es.
radiologico negativo, ma risposta positiva al trattamento con
corticosteroidi(6).Utile è l’enteroscopia nella diagnosi di
linfoma del piccolo intestino, di adenocarcinoma, carcinoidi e
leiomiosarcomi, che sono le neoplasie più comuni a livello del
tenue sebbene abbiano un’incidenza molto bassa (7)
I tumori del piccolo intestino infatti sono rari, circa il 3-6% di
tutte le neoplasie dell’apparato gastroenterico(8). La rarità e la
variabilità del quadro clinico rendono difficile la diagnosi(9).
Oltre al linfoma, le forme maligne primitive più frequenti sono
l’adenocarcinoma (33%), il leiomiosarcoma (17%) e il
carcinoide (17%), mentre delle forme benigne le più frequenti
sono il leiomioma, l’adenoma e il polipo iperplastico(8,9)
Rare sono anche le metastasi nel tenue da tumori primitivi di
altri organi quali il polmone(10). I sintomi iniziali sono aspecifici:
dolori addominali con nausea e vomito nel 67% delle forme
maligne e 50% delle forme benigne, anemia nel 38% e 58%,
perdita di peso nel 38% e 42% rispettivamente nelle forme
maligne e benigne(8). Le forme metastatiche frequentemente
provocano l’ostruzione intestinale. L’intervallo di tempo tra la
comparsa dei sintomi e l’intervento chirurgico è generalmente
di 54 giorni per i tumori maligni e 330 giorni per le forme primitive benigne(9): ciò è legato non solo all’aspecificità dei sintomi, ma anche alla mancanza di metodi specifici che permettano
la diagnosi di questi tumori in fase early: la TC, l’esame
radiologico a doppio contrasto e l’enteroscopia talvolta possono porre una corretta diagnosi preoperatoria(11) , ma spesso
la diagnosi viene effettuata in occasione di interventi chirurgici d’urgenza a causa di perforazioni o ostruzioni.
In genere l’indicazione all’enteroscopia è posta dal
sanguinamento occulto o dalla comparsa di fenomeni occlusivi o subocclusivi. Questi ultimi possono essere legati anche
ad intussuscezione del piccolo intestino, per es. in soggetti
portatori di Sindrome di Peutz-Jeghers(12). L’enteroscopia è
indicata anche nella sorveglianza delle sindromi poliposiche
familiari (FAP) le quali possono essere associate a polipi del
piccolo intestino: l’aumento di incidenza di morte per cancro
del tratto gastroenterico superiore nelle FAP, dopo
proctocolectomia, rende necessaria la sorveglianza del tratto
digestivo superiore nei pazienti portatori di FAP e a tal fine
l’enteroscopia può essere considerata metodica sufficiente
sia nella sorveglianza che nello screening di tali pazienti(13 ).
Nella S. di Peutz-Jeghers, inoltre, l’enteroscopia può essere
utile quando l’esame radiologico del piccolo intestino mostri
la presenza di un numero limitato di polipi nel tratto digiunale
prossimale: è stato recentemente ipotizzato che la sorveglianza endoscopica associata alla rimozione di polipi digiunali
metacroni possa prolungare gli intervalli di tempo tra le
laparotomie(13).
Il gold standard per la diagnostica del piccolo intestino è comunque rappresentato dalla enteroscopia intraoperatoria , effettuata soprattutto nei pazienti con emorragia digestiva in cui
le indagini endoscopiche standard, il clisma del piccolo intestino, la scintigrafia con nitrati marcati, l’angiografia selettiva
e la laparotomia siano risultate non diagnostiche(14).
L’enteroscopia terapeutica trova indicazione, oltre che
nell’asportazione di polipi con ansa diatermica, nelle dilatazioni
pneumatiche di stenosi, nel trattamento di lesioni sanguinanti
mediante coagulazione(2). Inoltre con tale procedura può essere confezionata endoscopicamente una digiunostomia per
una nutrizione enterale temporanea o definitiva(2).
In conclusione questa metodica ha colmato almeno in parte
quelli che erano i limiti dell’endoscopia digestiva: l’esplorazione del piccolo intestino. Ciò ha assunto un significato importante non solo dal punto di vista diagnostico, ma soprattutto da quello terapeutico permettendo la risoluzione di
problematiche in altri tempi di esclusiva pertinenza chirurgica,
con riduzione degli indici di morbilità e mortalità(15).
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QUAL
ANEMIA IN UREMICI CRONICI:
E’ IL TRATTAMENTO PIU’ EFFICACE?
Francesco Petrarulo * - Vincenzo Giancaspro **
L’anemia rappresenta una delle più frequenti e importanti
complicanze negli uremici cronici (UC) in emodialisi periodica
(HD). Il modo di trattare l’anemia è stato radicalmente modificato da parte dei nefrologi da quando è divenuta disponibile
per l’uso clinico l’eritropoietina umana ricombinante (rHu-Epo).
L’obiettivo terapeutico deve necessariamente essere il
raggiungimento di una adeguata correzione dello stato anemico (emoglobinemia (Hb) pari a 12 g/dl, secondo le attuali linee
guida della Società Italiana di Nefrologia) poiché questo si
associa a miglioramento della qualità della vita, della performance cardiaca e dell’appetito e a riduzione dell’ospedalizzazione,
della morbidità e della mortalità. Pertanto, un attento controllo
dello stato anemico nei pazienti uremici ha dei risvolti positivi
non solo per il paziente ma anche in termini di ridotta spesa
sanitaria. Per la correzione dell’anemia è importante la
somministrazione di rHu-Epo ma ancora più importante risulta
essere un adeguato assetto marziale. Spesso gli UC risultano
iporesponsivi al trattamento con rHu-Epo o perché hanno scarsi depositi marziali (carenza assoluta di ferro) o perché il ferro
non riesce a raggiungere con sufficiente rapidità gli eritroblasti
in via di proliferazione, pur in presenza di quantità adeguate o
eccessive nei depositi (carenza funzionale di ferro) (1,2). Altre
condizioni che conducono ad una iporesponsività alla terapia
con rHu-Epo sono: infezioni croniche, bioincompatibilità del
trattamento dialitico, iperparatiroidismo, malnutrizione, stati
carenziali (vitamina B12, vitamina C, folati e carnitina), inadeguata dose di dialisi somministrata, accumulo di alluminio, uso di
farmaci inibitori dell’eritropoiesi (ACE inibitori, teofillina).
L’attento monitoraggio di tutte queste condizioni permette
una migliore responsività all’rHu-Epo senza ricorrere a dosi
elevate della stessa.
Una problematica di notevole interesse scientifico è
l’iporesponsività all’rHu-Epo che si realizza in caso di carenza
funzionale di ferro. A tal proposito è stata rivolta l’attenzione
a due questioni ancora non completamente delineate: a) gli
esami ottimali per il rilevamento dello stato di carenza funzionale
di ferro; b) il migliore trattamento di questa condizione (3).
Attualmente non sono disponibili esami specifici che permettono un’analisi complessiva dello stato marziale. Ad oggi
sono disponibili la misurazione della ferritina sierica, la saturazione della transferrina e la valutazione della percentuale di
eritrociti ipocromici.
Il valore della ferritina sierica fornisce una indicazione approssimativa della quantità di ferro di riserva (4). La ferritina è
una proteina sintetizzata come apoferritina soprattutto nei
macrofagi di fegato e milza e nel midollo osseo. E’ secreta
attivamente (nella forma di apoferritina) dalle cellule del siste-
ma reticolo-endoteliale nel sangue in dosi direttamente proporzionali al contenuto intracellulare di ferro. E’ stato calcolato che 1 mg/l di ferritina corrisponde a 8 – 10 mg di ferro dei
depositi. Il limite interpretativo della ferritina sierica deriva dalla
possibilità di un valore aumentato per fattori indipendenti dallo stato marziale, quali stati flogistici, neoplasie, citolisi epatica,
emolisi. Inoltre il valore di ferritina non è in grado di fornire
informazioni relative allo stato di carenza funzionale. Il valore
ideale della ferritina in UC in trattamento con Epo non deve
essere inferiore a 300 mg/l.
La saturazione della transferrina (ST), cioè la % di siti della
transferrina occupati dal ferro rispetto a quelli potenzialmente
disponibili se le molecole fossero tutte saturate, è il risultato
del rapporto tra il ferro sierico e la capacità totale di legare il
ferro (TIBC). Il limite di questo metodo di valutazione è la
notevole variazione biologica diurna (± 30%) in considerazione della mobilità estrema del pool marziale (il ferro circolante
veicolato dalla transferrina si ricambia ogni 2 ore). Comunque,
una ST < 20% in pazienti che non assumono ferro e che non
presentano processi flogistici in corso, indica generalmente
una carenza funzionale di ferro (5).
Il conteggio dei globuli rossi ipocromici è una tecnica nuova, relativamente veloce ed economica che può essere effettuata su un campione per l’emocromo e che è in grado di quantificare il ferro contenuto all’interno dell’eritrocita. Ciò è possibile grazie alla misurazione della concentrazione dell’Hb
intracellulare di una popolazione di eritrociti; la percentuale di
eritrociti ipocromici è la quota di eritrociti con contenuto di Hb
< 28 g/dl. In condizioni fisiologiche la percentuale di eritrociti
ipocromici dovrebbe essere < 2.5%; valori > 5% sono indicativi
di sideropenia direttamente nella sede di eritropoiesi e di uno
stato di carenza funzionale di ferro (6).
Altri esami disponibili (per es. i livelli del recettore solubile
della transferrina sierica, la ferritina degli eritrociti e la concentrazione di Hb dei reticolociti, la zincoprotoporfina eritrocitaria) non
sono stati sufficientemente validati e non sono stati introdotti
nella comune pratica clinica.
In circa il 10% dei casi si verifica resistenza all’rHu-Epo
che in genere è dovuta ad una carenza assoluta o funzionale di
ferro.
In caso di carenza assoluta di ferro è indispensabile la
somministrazione di terapia marziale mentre in caso di carenza
funzionale di ferro risulta controversa l’utilità di somministrare terapia marziale o di aumentare la dose di rHu-Epo. Infatti da
un lato c’è il un rischio di indurre emosiderosi, dall’altro quello
di non ottenere nessun miglioramento dello stato anemico a
fronte di una maggiore spesa.
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Recentemente alcuni autori hanno dimostrato l’utilità della somministrazione di AA endovena in UC in HD con elevati
depositi marziali e con iporesponsività all’rHu-Epo (7). Infatti,
l’AA può favorire la mobilizzazione del ferro dai tessuti di
deposito ed incrementarne l’utilizzazione nelle cellule
progenitrici eritroidi (8).
Pertanto, abbiamo voluto valutare se l’AA potesse determinare un miglioramento dello stato anemico in UC con carenza funzionale di ferro ed iporesponsività all’rHu-Epo (9-10).
I criteri di eleggibilità sono stati i seguenti: 1) età compresa
tra 18 e 75 aa; 2) trattamento con bicarbonato dialisi standard
da più di sei mesi; 3) livelli stabilizzati da almeno tre mesi di Hb
(< 10 g/dl), di ferritinemia (> 300 mg/l), di ST (< 20%) e di
proteina C reattiva (PCR) < 0.5 mg/dl. Inoltre i criteri di
eleggibilità prevedevano che da almeno tre mesi precedenti
l’inizio dello studio gli UC fossero in trattamento con Epo
sottocute a dosaggio stabilizzato, non avessero effettuato terapia marziale o subito trasfusioni di sangue, non presentassero perdite ematiche gastro-intestinali, sindromi da
malassorbimento intestinale, infezioni o processi infiammatori,
epatopatie, emosiderosi, neoplasie, iperparatiroidismo non controllato, dose dialitica insufficiente, emoglobinopatie e non fossero in terapia con teofillina o ACE-inibitori.
Ventisette UC sono stati selezionati ed hanno fornito il consenso informato per la partecipazione allo studio. E’ stata somministrata vitamina C 500 mg endovena per tre volte alla settimana a fine dialisi per tre mesi, successivamente è stata sospesa
e sono stati valutati gli effetti della sospensione dopo 3 mesi.
Tre pazienti non hanno concluso lo studio (1 per
sanguinamento gastro-intestinale e 2 per processo broncopneumonico); pertanto, sono stati analizzati 24 UC.
All’inizio dello studio, per procedere alla selezione dei pazienti, sono stati valutati i seguenti parametri: KT/V, nPCR,
albuminemia, paratormone intatto (iPTH), reticolociti e proteina C – Reattiva, sangue occulto feci. A parte la carenza funzionale di ferro nessun altro parametro poteva ritenersi responsabile di una bassa risposta all’rHu-Epo.
Dopo tre mesi di terapia con AA i valori di Hb e di ST%
sono aumentati significativamente (Hb inizio vs 3 mesi, 9.0 ±
0.2 vs 10.1 ± 0.3; ST% 17.5 ± 0.6 vs 25.7 ± 1.7) (p < 0.01 e p <
0.001, rispettivamente) mentre la ferritina si è ridotta significativamente da 591 ± 44 a 328 ± 59 mg/l (p< 0.004). Dopo tre mesi
di sospensione di AA i valori di Hb e di ST% sono diminuiti
significativamente (Hb 8.8 ± 0.3 g/dl e ST% 18.7 ± 1.1) (p < 0.01
e p < 0.001, rispettivamente) mentre il valore di ferritina non ha
mostrato variazione significativa (ferritina: 353 ± 72 mg/l).
Nel nostro studio abbiamo rilevato che negli UC con
iporesponsività all’Epo, elevati valori di ferritina e bassa ST%
la somministrazione di AA alla dose di 500 mg tre volte la
settimana per tre mesi è risultata efficace nell’indurre
mobilizzazione del ferro di deposito con conseguente maggiore
disponibilità di ferro; inoltre l’AA sganciando gli UC da una
situazione di carenza funzionale di ferro ha permesso una maggiore risposta all’rHu-Epo tanto che, mantenendone lo stesso
dosaggio, si è ottenuta una migliore correzione dello stato
anemico.
Considerando che l’alternativa a questo tipo di trattamento secondo i dati forniti dalla letteratura sarebbe stato l’aumento del 25% della dose di rHu-Epo si evidenzia che si è
ottenuto un risultato clinicamente soddisfacente a fronte di
un considerevole risparmio della spesa sanitaria. Infatti i pazienti erano trattati con una dose media di rHu-Epo di 138 ± 22
UI/Kg/sett. e avevano un peso corporeo medio di 61 kg; se
avessimo aumentato del 25% il dosaggio avemmo dalla dovuto aumentare la quota di rHuEpo di 35 UI/Kg/sett.. Considerando che 1 U/I di rHuEpo costa 13.9 lire in qualsiasi formulazione esistente in commercio il risparmio ottenuto nei 3 mesi
risulta il seguente: 35 UI x 13.9 lire x 24 pz x 14 sett. x 61 Kg =
9.971.300 lire. Peraltro, i dati forniti dalla letteratura mostrano
che i pazienti con carenza funzionale di ferro ed iporesponsività
all’rHu-Epo non presentano una adeguata risposta ad un ulteriore aumento del dosaggio. Pertanto, si evidenzia l’utilità della somministrazione di AA in pazienti con carenza funzionale
di ferro. Più in generale il monitoraggio di tutti i fattori che
condizionano una bassa risposta all’rHu-Epo permetterà di
ottenere una migliore correzione dello stato anemico ed una
ridotta spesa sanitaria per la riduzione della dose somministrata di rHu-Epo.
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TERAPIA TERMALE IN ETÀ PEDIATRICA:
INDAGINE CLINICO STATISTICA SULLA CRENOTERAPIA
INALATORIA IN ALCUNE AFFEZIONI RESPIRATORIE PRESSO LE
TERME DI TORRE CANNE.
V. Goffredo*
RIASSUNTO
In questo lavoro, dopo aver preso in esame alcuni quadri
di affezioni respiratorie pediatriche sensibili ai trattamenti
aerosolici, viene evidenziata l’importanza dell’uso di acque
salse, salso-bromurate-radioattive, nelle infezioni ricorrenti
delle vie aeree. In accordo con i dati della letteratura si evince
che il trattamento crenologico può risultare di beneficio in
varie affezioni ORL pediatriche, purchè ci sia un corretto impiego della metodica aerosolica. Inoltre la crenoterapia consentirebbe un effetto sinergico e una riduzione delle dosi di
farmaci migliorandone così la tollerabilità.
PAROLE CHIAVE: infezioni vie aeree, aerosolterapia, metodica, patologie pediatriche sensibili ad aerosolterapia, acque salse, salso bromurate-radioattive.
SUMMARY
In this work is demonstrated displayed the importance of
the use of “salse”, salso-bromo-radioattive” waters in recurrent
respiratory organs infections. In accordance with the recent
leterature we showed that the thermal treatment can be
beneficial in different pediatric ORL infections, given a correct
use of aerosol method there would be. Besides, this therapy
would allow a synergie affect and a reduction of drug’s doses,
than improving tolerability.
KEY WORDS: different pediatric ORL infections, thermal
medicine, mineral water (salse, salsobromurate-radioattive),
pediatric patologies reacting to aerosolic. Aerosoltherapy.
INTRODUZIONE
Le infezioni delle vie respiratorie sono una causa frequente di malattia nel bambino. In particolare, si verifica un caratteristico andamento epidemiologico, che documenta una differente frequenza età per età. Il II° anno di vita è caratterizzato da
una prevalenza di infezioni respiratorie, in numero superiore a
quattro, dell’8,4%, prevalenza che sale a valori di 22 - 25% dal
III° al VI° - X° anno (8).
Infatti un bambino “ritenuto sano” normalmente presenta
4-6 episodi di infezioni delle vie respiratorie per anno, mentre
bambini che possono avere parziali deficit immunologici, senza arrivare a vere immunodeficienze, possono presentare 1215 episodi di infezioni respiratorie per anno.
In generale, si può affermare che la frequenza di infezioni
respiratorie (I.R.) sia in queste età almeno doppia rispetto a
quella di qualsiasi altra epoca della vita.
Tra i fattori favorenti specifici in pediatria, i seguenti sono
particolarmente responsabili di patologia:
·
il calibro delle vie respiratorie, ridotto in età pediatrica,
che favorisce il ristagno delle secrezioni;
·
un’immaturità transitoria del sistema immunologico
che si manifesta con modesti difetti dell’immunità umorale,
cellulo-mediata e del funzionamento granulocitario;
·
la possibile immaturità di altri meccanismi di difesa
dell’apparato respiratorio, quale ad esempio in alcuni casi il
riflesso tussigeno.
I soggetti più esposti sembrano essere:
·
i bambini che frequentano l’asilo nido o la scuola
materna (16);
·
i secondogeniti e i terzogeniti, sia perchè vivono in un
ambiente più affollato e quindi a più alto rischio di infezione
secondaria, sia perchè i loro fratelli maggiori diventano portatori privilegiati, da quando frequentano la scuola materna.
·
i figli di genitori fumatori, in quanto il fumo, in ambiente domestico, riduce le difese aspecifiche (6).
Risultato dell’interagire di questi fattori sono infezioni che
possono essere così classificate:
a) vie respiratorie superiori: raffreddore, tonsillite e
faringite, otite media acuta;
b) vie respiratorie intermedie: laringite acuta ed epiglottite;
c) vie respiratorie inferiori: bronchite, broncopolmonite e
polmonite segmentaria.
Di queste infezioni circa i 2/3 sono a carico delle alte ed
intermedie vie respiratorie, mentre 1/3 è rappresentato da infezioni delle basse vie respiratorie.
I virus, responsabili della maggior parte delle infezioni delle
vie respiratorie, e le infezioni batteriche causano patologie
simili. Virus diversi possono produrre un quadro clinico identico o, al contrario, lo stesso virus può talvolta causare patologie
distinte. Dal punto di vista clinico può non essere possibile
determinare se l’infezione è dovuta a virus, a batteri o ad entrambi. Cosicchè la più comune e frequente causa di malattia
infiammatoria acuta delle vie respiratorie è certamente l’infezione (sia essa batterica o virale), ma anche insulti di tipo
fisico (freddo - caldo), o chimico (fumo di tabacco, respirazione abituale e protratta di inquinanti, inalazioni di sostanze
aerodisperse come acidi, basi, polveri, ecc...) possono, agen-
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do separatamente o sommando i loro effetti, indurre uno stato
infiammatorio delle vie aeree. Il processo infiammatorio è un
fenomeno complesso, caratterizzato da due componenti fondamentali - una vascolare e una cellulare - entrambe mediate
dall’azione di sostanze (i mediatori della flogosi) provenienti
dalle cellule danneggiate dall’infezione e/o da sostanze presenti nei liquidi biologici e attivate. Quando l’infiammazione si
verifica a livelli delle vie aeree, la flogosi epiteliale coinvolge
anche le ghiandole mucose e il trasporto mucociliare (17).
Non è sempre possibile fare una diagnosi di sede, in quanto l’albero respiratorio, è una struttura dal punto di vista anatomico-funzionale molto coerente. La faringite del bambino
spesso accompagna la rinite (rinofaringite) o la laringite
(faringolaringite) o la bronchite (rinofaringobronchite).
Le vie respiratorie intratoraciche, sia centrali (laringe,
tachea, grandi bronchi), sia periferiche (medi e piccoli bronchi,
bronchioli parenchima polmonare), rispondono agli stimoli
infiammatori (infettivi e non) con una triade sintomatologica,
costituita da tre componenti fondamentali: tosse,
ipersecrezione, polipnea (o dispnea) (11).
PATOLOGIE A CARICO DELLE VIE AEREE
La rinite acuta, processo infiammatorio della mucosa nasale, è estremamente frequente, Accanto alle riniti infettive, esistono anche forme post-traumatiche, da allergeni o da inalazioni
di polveri o sostanze volatili di tipo tossico. Il raffreddore (o
coriza) si manifesta con: starnuti, secrezione nasale e febbre.
Le secrezioni retronasali possono provocare tosse. La complicanza più frequente è l’otite media acuta. (17)
La faringite, in particolare la faringo-tonsillite (o angina) è
una malattia frequente, causata da una varietà di agenti
patogeni. Si possono distinguere forme primitive e forme secondarie nelle quali la faringo-tonsillite rappresenta una modalità di esordio di una malattia ben definita (scarlattina,
mononucleosi infettiva), oppure è parte del quadro di altre
sindromi respiratorie ad eziologia virale (per esempio influenza, raffreddore ecc...). In generale la maggior parte delle faringotonsilliti si verifica nei mesi più freddi dell’anno ed il contagio
è interumano ed ha luogo per via aerea.
I principali sintomi sono dati da febbre, malessere generale, astenia e anoressia, cefalea, faringodinia spontanea o provocata dalla deglutizione, linfoadenopatia latero-cervicale (12).
La sinusite acuta è l’infezione di uno o più seni paranasali
ed è secondaria ad un’infezione virale acuta delle prime vie
aeree o anche di una infezione dentaria.
Il quadro clinico delle sinusiti acute consiste in dolore in
corrispondenza del seno interessato, ostruzione e secrezione
nasale di materiale muco-purulento associato a febbre e malessere generale. La sede anatomica più frequentemente colpita è il seno mascellare. Le sinusiti croniche sono di solito
paucisintomatiche e possono essere responsabili di sintomi
sfumati e talora febbricola.
D’altra parte una sinusite non diagnosticata oltre a procurare uno stato di malessere caratterizzato da irritabilità, cefalea
e tosse cronica, può anche portare a complicazioni a carico
delle basse vie respiratorie. La maggior parte dei bambini con
sinusite cronica presenta tosse persistente molto fastidiosa
durante la notte e rinorrea purulenta al risveglio.
L’otite media acuta è ad eziologia prevalentemente batterica.
L’inquadramento di tale patologia nelle affezioni dell’apparato
respiratorio deriva dall’esistenza di una comunicazione anatomica tra rinofaringe e cassa del timpano, mediante la tuba uditiva (di Eustachio). La patogenesi di queste forme, frequenti nella
I e II infanzia, riconosce nell’ostruzione o nella disfunzione
tubarica la causa di un reflusso di materiale infetto dalla faringe
nell’orecchio medio. Il quadro clinico comprende sintomi non
specifici come febbre, vomito, malessere generale, sonnolenza,
irritabilità e/o sintomi più chiari riferibili alla presenza di essudato
nell’orecchio medio quali otalgie, disturbi uditivi e, in presenza
di membrana timpanica perforata, fuoriuscita di materiale sieroso
o mucopurulento dal meato acustico esterno. Ripetuti episodi
di otite purulenta portano ad otiti croniche, che si caratterizzano
per la presenza di un persistente scolo di materiale purulento
attraverso la membrana timpanica perforata. Nella genesi delle
otiti croniche si riconoscono, come elementi favorenti, sia il
recidivare di infezioni respiratorie, sia compromissioni locali o
generali delle difese dell’ospite (12). L’insorgenza di questa patologia presenta delle insidie, in quanto il bambino spesso ha
problemi di comportamento a scuola, con apprendimento rallentato, o periodi in cui durante le lezioni sembra “spento”, sintomi che potrebbero essere scambiati per “piccolo male”. L’udito può non essere costante: normale in alcune settimane e gravemente deficitario in altre. Dopo l’età di 7 o 8-9 anni i bambini
colpiti da otite media hanno in genere orecchie e udito normali.
Ciò si verifica come parte del decorso naturale della patologia, e
non dipende dalla terapia somministrata. (17)
La laringite o più specificatamente laringotracheite acuta
causa l’ostruzione parziale della laringe, caratterizzata da stridore inspiratorio ed espiratorio, tosse e raucedine. L’insorgenza è preannunciata di regola da rinite;i sintomi tipici (tosse
metallica, abbaiante, disfonia) sono sempre accompagnati da
febbre, raramente elevata. Si tratta di una malattia quasi esclusiva dell’età prescolare. (5)
La bronchite acuta ricorrente rappresenta la causa più frequente di malattia nel periodo invernale, in particolare nell’età
di ingresso all’asilo nido, alla scuola materna o a quella elementare. Queste forme in linea di massima si presentano come
episodi acuti che si risolvono in pochi giorni. E’ tuttavia frequente il riscontro in una certa percentuale di bambini, di episodi catarrali a ripetizione, sino alla quasi totale scomparsa dei
periodi intercritici. Sono soggetti il cui sintomo principale è la
tosse. In genere la tosse ha carattere spasmodico, timbro
catarrale ed è presente soprattutto alla sera e al risveglio mattutino.
Questa sintomatologia fastidiosa non deve essere bloccata con sedativi nel bambino. Questo è controproducente perchè
l’eliminazione del riflesso tussigeno comporta ristagno di muco,
che a sua volta favorisce la sovrainfezione batterica con aumentato rischio di complicazioni gravi.
La bronchite cronica, è un’affezione morbosa ben definita
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per l’età adulta (tosse catarrale cronica e ricorrente, presente
per 5 gg. la settimana, per tre mesi consecutivi all’anno, per
almeno due anni), ma in età pediatrica il termine va considerato come la descrizione fisiopatologica di un sintomo complesso, che deriva dall’interazione sia di fattori intrinseci che
estrinseci. Potremmo quindi definirla come un complesso di
sintomi, di tosse cronica produttiva o ricorrente, associata o
meno a sibili e/o crepitii all’ascoltazione. I bambini con presenza di tosse catarrale prolungata saranno classificati, quindi come affetti da bronchite cronica aspecifica.
Al contrario i bambini con presenza di broncospasmo verranno diagnosticati affetti da bronchite asmatica o da asma
bronchiale. Il 75% dei bambini diagnosticati affetti da bronchite catarrale cronica presenatno obiettività toracica attribuibile
a broncospasmo (sibili, gemiti).
L’asma bronchiale, pur non essendo un’infezione dell’albero respiratorio, si presenta con una sintomatologia provocata dal restringimento dei bronchi e dei bronchioli derivanti
dal rigonfiamento delle mucose e dalla contrazione dei muscoli delle relative pareti, con secrezioni viscide che ne ostruiscono il lume.
Anche questa patologia, come le altre affezioni delle vie
respiratorie, risente benevolmente in alcuni casi della
crenoterapia con acqua termale.
La bronchite asmatiforme è un’altra manifestazione tipica
dei primi 5 - 7 - 8 anni di vita, che si presenta con broncospasmo
e con carattere ricorrente, caratterizzata da tosse, catarro, respiro rumoroso e sibilante, dispnea respiratoria di vario grado
ed è preceduta da prodromi caratteristici di raffreddore: congestione e/o scolo nasale, starnuti, febbre.
In definitiva le malattie a carico dell’apparato respiratorio,
oltre alle otiti, che risentono in misura maggiore di prevenzione,
sono riconducibili alle sindromi, sino-bronchiali e bronchiti
catarrali ricorrenti, bronchiti croniche nelle forme tipiche dell’infanzia e cioè “asma bronchiale” e “bronchiti asmatiformi” (15).
LA CRENOTERAPIA INALATORIA
L’impiego della crenoterapia inalatoria nella cura delle affezioni respiratorie risale ai tempi antichi (7): dalla Romanità
all’impero Austro-Ungarico, le stazioni termali europee hanno
avuto un ruolo indiscusso nella storia della medicina. Ma esiste anche una cultura termale orientale e fanno fede i centri
termali cinesi sopravvissuti ai vari regimi e perfettamente funzionanti ancora oggi.
In pediatria il ricorso a trattamenti terapeutici da eseguirsi
in stazioni termali con l’utilizzazione di acqua minerale se attuato periodicamente e sistematicamente può contribuire principalmente alla prevenzione delle patologie proprie dell’infanzia.
L’uso della terapia termale in campo pediatrico ha lo scopo
di ridurre l’utilizzo e la dose dei farmaci, potenziare la terapia
farmacologica, o raggiungere entrambi gli obiettivi (14). Altresì la terapia termale può prevenire il ripetersi o l’acuirsi di
patologie pediatriche ORL. Sicuramente in età pediatrica è stato dimostrato che il trattamento termale offre maggiori benefici
che non nelle altre età. (15) Il potenziamento delle difese orga-
niche, specie a livello dell’apparato respiratorio si può ottenere con le inalazioni, nebulizzazioni ed aerosol per la presenza
nell’acqua minerale di componenti quali zolfo, iodio e magnesio, rappresenta un intervento di medicina preventiva per il
bambino che è sempre più soggetto, a causa dell’inquinamento ambientale a malattie allergiche (cutanee e respiratorie) e
dell’apparato respiratorio.
Inoltre in pediatria è soprattutto “l’acqua termale” ad avere il più vasto campo di applicazione: fra le modalità di applicazione la più diffusa è quella inalatoria. Fra tutte le acque minerali disponibili, quelle cui si fa più frequentemente ricorso per
i soggetti in età evolutiva sono: le salse, le solfate, le salso
bromurate (10). Anche le acque radioattive vengono utilizzate
e di preferenza in corso di affezioni di tipo allergico, in quanto
sarebbero in grado di denaturare l’allergene.
MECCANISMO D’AZIONE DELLE ACQUE MINERALI
L’impiego delle acque termali è dovuto al loro meccanismo
d’azione:
a) meccanismo farmacologico: secondo gli elementi attivi
presenti nelle stesse (zolfo, iodio, calcio, selenio, magnesio,
zinco, rame. TABELLA 1
b) meccanismo dello stress termale: agente attraverso l’attivazione del sistema neuro-endocrino-immuno-metabolico
tramite la liberazione di neirotrasmettitori, di neuromodulatori
e di ormoni dall’ipofisi e dal surrene (2).
Altresì per capire il meccanismo di azione delle acque termali sull’apparato respiratorio in campo pediatrico, bisogna
considerare la struttura e la funzione della barriera mucosa e
soprattutto la componente immunitaria rappresentata dalle IgA
secretorie. Nel secreto nasale le IgA rappresentano la principale classe immunoglobulinica (rapporto IgA/IgG = 100/20): è
logico che un’alterazione delle IgA sia responsabile di patologia a livello rinofaringeo. Per questo, Chevance nel 1978 ha
condotto ricerche sperimentali sull’immunostimolazione locale nella mucosa respiratoria di coniglio, dopo trattamento
con acque termali. (1)
Alla luce dei risultati ottenuti da Chevance e Coll si può
affermare che uno dei meccanismi dell’azione crenoterapica è
una stimolazione locale non specifica, immunitaria, a livello
delle vie aeree superiori, con aumento considerevole delle
cellule che elaborano IgA secretorie. Le IgA S svolgono un
ruolo fondamentale di difesa contro virus (legandosi ai virioni
e disorganizzandoli) e anche contro alcuni batteri (inibendo
l’adesività e la moltiplicazione batterica sulla superficie mucosa). Le IgA S inoltre influiscono sulla struttura fibrillare del
muco.
Per tutto questo è soprattutto la I decade di vita che può
trarre indubbio beneficio dalla crenoterapia inalatoria. A questa età infatti si possono riscontrare deficit elettivi di IgA sia
nel siero che nei secreti:
1) deficit di tipo primitivo sia di IgA seriche che
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secretorie, sia di IgA secretorie con Iga seriche normali;
2) deficit di tipo secondario a processi flogistici cronici della mucosa delle prime vie aeree e dell’albero bronchiale;
proprio tali processi condizionano livelli estremamente bassi
di IgA secretorie con concentrazioni di IgA nel siero normali o
addirittura aumentate (13).
La crenoterapia inalatoria viene praticata con:
a) inalazioni caldo-umide (prime vie aeree);
b) nebulizzazioni (prime e medie vie);
c) aerosol (bronchi);
d) insufflazioni pertubariche endotimpaniche (otite
sierosa);
e) irrigazioni o docce nasali (cavità nasali) utili a fini
otologici (3).
Se si tiene presente che la superficie di scambio alveolare
è stimata pari a 60-100 m2 (9) si comprende quali siano le reali
potenzialità applicative della via inalatoria.
METODICA AEROSOLICA
L’efficacia della nebulizzazione e/o della terapia aerosolica
dipende da molti fattori. Al fine di un corretto impiego di questa metodica è utile conoscere come la penetrazione e la disposizione delle particelle inalate varino in funzione delle caratteristiche aerodinamiche delle particelle stesse, del pattern
respiratorio e siano modificate da alterazioni anatomiche o
funzionali delle vie aeree.
Lo scopo della terapia aerosolica è quello di rilasciare particelle di acqua respirabili, con diametro <5 micron, in grado di
raggiungere le vie aeree con diametro inferiore a 2 mm.. Le
particelle più piccole, con diametro inferiore a 0,8 micron, sono
inutili poichè si comportano come un gas inerte e quindi vengono espirate, quelle più grandi, con diametro >5 micron, si
fermano nelle prime vie aeree TABELLA 2.
L’aerosol è una sospensione di particelle di acqua di diametro compreso fra 0,001 e 100 micron veicolate da un gas,
aria, in grado di raggiungere l’estrema periferia delle vie aeree
inferiori (alveoli compresi) (19).
Più schematicamente si può dire che la deposizione nelle
vie aeree delle particelle aerosolizzate avviene per: inerzia,
sedimentazione e diffusione e che la loro velocità di deposizione risulta prporzionale alla densità delle particelle e al quadrato del loro diametro.
·
L’inerzia regola la deposizione delle particelle più
voluminose (>10 micron) che si formano nel comparto nasofaringeo, dove la velocità del flusso aereo è piuttosto elevato.
·
La sedimentazione comporta l’arresto delle particelle
comprese fra 1 e 10 micron nel comparto tracheo-bronchiale,
che arriva fino ai bronchioli terminali compresi, dove la velocità del flusso aereo è più modesta;
·
La diffusione riguarda le particelle inferiori a 1 micron
che giungono a livello del <<Comparto Polmonare>>
(bronchioli respiratori, dotti alveolari ed alveoli), qui il movimento del gas è lento e l’impatto inerziale è un meccanismo
pressocchè inesistente per il deposito (20).
Nel valutare l’efficacia di un aerosol e quindi la distribuzione delle particelle erogate, i due parametri più importanti da
considerare sono: il diametro aerodinamico mediano di massa
(MMAD) e la deviazione standard geometrica (GSD) del diametro delle particelle prodotte. L’MMAD è un valore mediano
percentuale (ad es.: una nebulizzazione con un MMAD = 3
micron, avrà il 50% delle particelle con un diametro superiore a
3 micron). Sono da considerarsi efficienti, in generale, gli aerosol caratterizzati da particelle con diametro aerodinamico compreso fra 0,8 e 5 micron.
Queste particelle costituiscono la cosiddetta frazione
respirabile. L’altro parametro GSD, rappresenta una misura della
variabilità del diametro delle particelle di un aerosol (es.: un
aerosol con GSD elevata avrà maggior numero di particelle di
diametro assai diverso fra loro rispetto ad un aerosol con GSD
BASSA) (18) (4).
INDICAZIONI - TERAPEUTICHE
In base alle caratteristiche delle diverse acque minerali nella
TABELLA n.3 sono evidenziate le <<indicazioni terapeutiche>>
per le varie infezioni delle vie aeree respiratorie.
Nella TABELLA n.4 d’altra parte si indicano le patologie
che ricavano migliori benefici dall’uso delle acque minerali (15).
MATERIALI E METODI
Scopo di questo nostro studio è quello di valutare statisticamente la percentuale di cure inalatorie erogate in età
pediatrica presso le terme di Torre Canne negli anni dal 1997al
99 e l’eventuale efficacia terapeutica in campo pediatrico ORL,
delle acque cloruro-solfato-sodiche lievemente bromurate e
radioattive, con un residuo secco di gr.9,12 per litro, delle Terme di Torre Canne; azione terapeutica d’altronde già nota per
i benefici sulle patologia artro-reumatiche e ginecologiche sin
dagli anni ‘40, epoca in cui Torre Canne fu riconosciuta ufficialmente stazione termale. Il complesso termale di Torre Canne sorge a pochi metri dalla costa adriatica, ove la spiaggia si
incurva in un ampio seno, ricchissimo di finissima sabbia e
presenta, anche durante la stagione calda, una costante temperatura che rende il clima di tale zona fra i più temperati. L’acqua utilizzata per le cure inaltorie proviene dalla sorgente
Antesana, le cui caratteristiche chimico-fisiche sono indicate
nella TABELLA n.5.
Le inalazioni, sono caldo-umide a getto diretto, nelle quali
la componente idrica è l’unico costituente. La loro prerogativa
è quella di umidificare le mucose trattate e hanno come target
principale tutte le condizioni di flogosi atrofica. Il DAMM piuttosto elevato consente un impatto a carico delle più elevate
vie aeree con una più modesta deposizione nell’albero tracheobronchiale.
Consistono in un getto di vapore che nebulizza l’acqua
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termale in particelle non troppo fini (78-10 micron) e le trasporta verso la mucosa delle vie respiratorie. E’ una terapia particolarmente adatta per le affezioni croniche delle prime vie aeree (rinofaringe,
laringe, trachea, grossi bronchi). Viene effettuata dai bambini respirando normalmente con la bocca aperta, ad una distanza di 20-30 cm. dall’apparecchio. Si esegue una applicazione al giorno di circa 10 minuti ciascuna per un totale di 12
giorni di terapia.
I dati tecnici dell’apparecchio per inalazioni sono:
·
Alimentazione elettrica: 220 V 50HZ monofase.
·
Potenza assorbita 1000 W.
·
Alimentazione idraulica: acqua termale con portata di
0,5 litri al minuto, pressione di 2 - 3 bar, attacco 3/8”, Gas f.
·
Scarico: diametro di 32.
Le sedute di aerosol consistono in applicazioni con apparecchi individuali che consentono di produrre un’aerosolato
costituito da particelle piccole (1-2 micron di diametro), regolari e riscaldabili, in grado di raggiungere le zone più difficilmente accessibili delle vie aeree superiori (seni paranasali, tube
di Eustachio) nonchè le più fini diramazioni dell’albero
bronchiale.
Le aerosolizzazioni si ottengono mediante fini
microvibrazioni che determinano un “aerosol” penetrante in
virtù di un DAMM reso piccolo. Ciò ne accelera il flusso che
impone quindi un impatto anche nelle vie aeree meno prossimali
e in condotti come di quello di Eustachio o nei seni paranasali,
posti in parallelo al flusso aereo principale.
Le indicazioni dell’aerosol riguardano quindi patologie di
aree non viciniori al flusso aereo principale, come otite, sinusite,
ecc., mentre, per quanto attiene alle vie aeree inferiori,
l’ipersecrezione bronchiale costituisce indicazione privilegiata. L’aerosol viene eseguito respirando normalmente per un
tempo di 10 minuti attraverso un boccaglio, una forcella nasale o una mascherina facciale. Se ne pratica uno nella giornata
per un ciclo di 12 gg..
I dati tecnici dell’apparecchio per aerosol sono:
·
Alimentazione elettrica: 220 V, monofase 50 HZ, potenza assorbita 300 W.
·
Alimentazione idraulica: acqua termale 0,5 lt/min, pressione 2 - 3 bar, attacco 3/8” Gas F., scarico diametro di 32.
Le nebulizzazioni sono praticate in ambiente con
dissociazione di gas. La terapia è eseguita collettivamente e
consiste nel respirare idrogeno solforato che si libera dall’
acqua nell’ ambiente per caduta. Essendo una terapia inalatoria
“secca”, l’ indicazione primaria è data da affezioni caratterizzate da ipersescrezione catarrale o mucosa sia delle alte che delle
basse vie respiratorie. A differenza delle inalazioni a getto,
costituite da particelle troppo grosse per poter penetrare in
profondità nelle vie aeree, le nebulizzazioni o humages, utilizzando gas, sono in grado di agire anche a livello delle più fini
diramazioni dell’ albero bronchiale. Le indicazioni terapeutiche,
quindi, sono simili a quelle dell’ aerosol.
La seduta è unica nella giornata, della durata di 5-10 minuti, per un ciclo di 12 giorni.
I dati tecnici dell’apparecchio per nebulizzazioni sono:
Alimentazione idraulica:
·
acqua termale 3 litri/min. a 3 bar, 3/8” Gas f..
·
area compressa 320 litri /min. a 3 bar, 3/4 Gas f..
·
scarico: diametro 20 Gas f.
Le insufflazioni entotubariche vengono eseguite con
vibroinsufflatore tubarico per insufflazioni tubo-timpaniche e
per vibrocateterismo tubarico vibrato mediante gas ed aerosoli
dissociati e formati con acqua termale. Funzionamento autonomo a voltaggio fisso 220 V. L’apparecchio è predisposto per
l’utilizzazione di acqua termale direttamente dalla bottiglia,
senza travaso e quindi senza alcuna dispersione di idrogeno
solforato. Tutte le parti del circuito a contatto dei gas dissociati e degli aerosoli sono costruite con materiali che non modificano le caratteristiche e le proprietà degli stessi.
Le irrigazioni o docce nasali, sempre utili anche a fini
otologici si effettuano facendo fluire in corrente continua, acqua termale temperata nelle cavità nasali per una durata di 10’.
Il lavaggio, oltre alla funzione antisettica, assolve una clearance
depurativo-meccanica delle secrezioni nasali e di eventuali falde
crostose.
CASISTICA
Presso le Terme di Torre Canne l’affluenza per anno, di
bambini da 2 a 15 anni, tra il 1997 e il 1999 è stata di 450 soggetti, di cui 278 maschi e 172 femmine
con una percentuale del 38% sul totale degli accessi termali.
Di questi, 280 bambini presentavano I.R.R. (diagnosi riscontrata sulla prescrizione-proposta del Pediatra di famiglia).
Invece 170 bambini presentavano sordità rinogena od otiti
catarrali.
Sono stati seguiti presso l’ambulatorio pediatrico termale,
nell’arco di 3/4 mesi per anno, 41 pazienti con I.R.R. e considerati i casi nei quali la frequenza delle infezioni fosse superiore a
6 episodi per anno o un’infezione al mese nel periodo di massima esposizione. Compresi in un range di età fra 3-4 a. e 15 a.. Di
questi, 25 sono di sesso maschile e 16 di sesso femminile.
Il primo approccio diagnostico è stato rivolto ad una raccolta anamnestica riferita dai genitori mediante un nostro protocollo d’indagine, costituito da cartella clinica, a cui ha fatto
seguito una accurata visita pediatrica con valutazione globale
delle condizioni del sistema naso-faringe (congestione
faringea, congestione nasale, ostruzione e rinorrea) e del sistema tracheo-bronchiale (presenza o meno di rumori umidi e/
o secchi).
Dalle notizie raccolte è emersa una familiarità positiva (genitori e/o fratelli) per allergia nel 42% dei casi, per I.R.R. nel 9%
e nel 2% dei casi erano presenti altre patologie di rilievo (malattie auto immuni).
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RISULTATI
La terapia condotta ogni anno, ha compreso in tutti i casi:
12 inalazioni caldo umide, 12 aerosol e 12 nebulizzazioni. Al
termine della cura un colloquio di valutazione ha permesso di
identificare, nei 3 anni successivi, modificazioni sintomatiche
e di riduzione della frequenza di I.R., verosimilmente attribuibili
alla terapia termale. I miglioramenti ottenuti, relativi a tutti i
parametri - sistema naso-faringe, sistema tracheo-bronchiale e alle recidive di infezione, meno frequenti rispetto agli anni
precedenti, sono compresi tra il 65% e il 100% e sono statisticamente significative. Sensibilmente migliorate in tutti i casi le
condizioni del trofismo mucoso, vascolarizzazione e produzione catarrale fraingea e della mucosa nasale.
CONCLUSIONI
Lo studio permette di affermare che l’acqua “cloruro-solfato-sodica” delle Terme di Torre Canne, ha una reale
efficaciaerapeutica a breve e medio termine nel trattamento di
I.R.R. in soggetti di età pediatrica. Si evidenzia in ogni caso un
miglioramento dei parametri sintomatologici e dell’obiettività
che conferma e supporta quanto ipotizzato circa i meccanismi
d’azione e generali della crenoterapia con acqua salsa.
terapeutica a breve e medio termine nel trattamento di I.R.R. in
soggetti di età pediatrica. Si evidenzia in ogni caso un miglioramento dei parametri sintomatologici e dell’obiettività che
conferma e supporta quanto ipotizzato circa i meccanismi
d’azione e generali della crenoterapia con acqua salsa.
·A c q u e s als e, s al so s o lfa to -al cal in o
+ az io n e a n tifl o g is tic a
t erro s e, b ic arb o n at e s o lfat e
+ azi o n e m i o rila ss an t e
·A cq u e s o lfu re e
+ az io n e m u co li tic a
+ az io n e a n tit o ss ic a
+ azi o n e d i d i fes a
·A cq u e s al so b ro m o io d ic h e
+ azi o n e ip e rto n ic a
+ az io n e a n tis et tic a
+ azi o n e s u lla m o ti lit à d el le c ig li a
V ib ra til i
·A cq u e a rse n ica li-fe rru g in o s e
+ a zio n e tro fic a
+ a zio n e an ti sp a tic a
·A cq u e rad io a tti v e
+ azi o n e an t ial lerg ic a
+ a zio n e b ro n co d il ata tric e
Pe rcen t u ale d i d ep o s iz io n e d i aero s o l (d i am e tro )
D i am e tro
a ero d in a m ic o d ell e p art ice lle in
Mm
% d i D ep o s izi o n e
O ro farin g e a
trac h eo b ro n ch i ale
al v eo la re
1
0
0
16
2
0
2
40
3
5
7
50
4
20
12
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5
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A C Q U E M IN E R AL I
: IN D IC A Z IO N I TE R A P E U TIC H E
S o lfa to -b ic arb o n at o -alc ali n e
Fl o g o si cat arral i p rim e v ie aere e
e a lca lin o -t erro s e
T o ss e s tizzo s a d a trac h eit e
Sa ls e
F lo g o s i m u co -p u ru le n te p ri m e v i e
aere e e b ro n c h ali Fl o g o si reci d iv an t i
ap p ara to res p ira to rio i n b am b i n i
c ata rrali e ad e n o iid e i
S al so -b ro m o -io d ic h e
Fl o g o si reci d iv an ti p rim e v ie aere e
(fa rin g it i, la rin g it i, o ti ti, s in u s it i)
b ro n ch i ti i n b am b i n i ad e n o id ei e
cat arral i
S o lfu ree -alc ali n e
Fl o g o si cat arral i p rim e v ie aere e,
b ro n c h iti as m at ifo rm i .R in it e
v as o m o t o ria e d as m a b ro n c h ial e
R ad io a tti v e
A ffez io n i re sp i rato ri e s u b as e
al lerg ic a
INFEZIONI ORL:
ACQUE MINERALI CONSIGLIATE
·Faringiti e laringiti croniche
Acque salse, salso-iodiche, solfuree
·Esiti di adenoidectomia e
Tonsillectomia
Acque salse, salso-iodiche e
solfuree
·Tracheiti e bronchiti croniche
Acqua bicarbonato-solfate.
Acque solfato-bicarbonato-alcalinoterrose
·Riniti catarrali croniche
Otiti
Solfuree
Sinusiti
Acque salso-bromo-iodiche
·Asma bronchiale
Acque cloruro-sodiche
miste-Radioattive
Acque arsenicali-ferruginose
BIBLIOGRAFIA
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l’immunostimulation locale des musqueses respiratoires par une eau termale.
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* Specialista in Pediatria ed in Clinica Termale.
Convenzionato ASL BA/5 – Putignano
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TEA
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EDUCAZIONE ALIMENTARE E DOMANDA DI ALIMENTI
GENETICAMENTE MODIFICATI PER LA PRIMA INFANZIA.
Dimensione Ipotetico Mediante la tecnica del Focus Group.Risultati di uno Studio di Case-Cross-Over.
Michele Panunzio§, Vincenzo Cipriani*, Alessandra Pisano§, Antonietta Antoniciello§,
Lorenzo De Michele§, Patrizia Tomaiuolo§, Giorgio Bronzetti**
Sommario
Scopo del lavoro è valutare l’impatto dell’educazione sanitaria sul comportamento della domanda di alimenti transgenici
e studiare i relativi fattori determinanti. In uno scenario simulato di etichettatura di ingredienti transgenici, è stato analizzato l’andamento degli acquisti nel periodo maggio-ottobre 2000
di alimenti destinati al divezzamento. Con la tecnica dei focus
groups una coorte di 60 madri residente nel sud Italia ha seguito due corsi di educazione alimentare per la prima infanzia,
uno con minimizzazione dei rischi sanitari da alimenti
transgenici ed uno con accentuazione dei rischi per gli stessi
alimenti.
Sono state calcolate le misure descrittive per lo studio degli acquisti. E’ stata utilizzata la regressione multipla per lo
studio dell’associazione tra i fattori determinanti e le variazioni negli acquisti. Nello studio è stato utilizzato il tasso di conversione di 1 euro (•) = 1936,27 lire italiane (L). La spesa settimanale media di alimenti per il divezzamento contenenti ingredienti modificati è passata da L44.500 (•22,98) nel periodo di
run-in, a L43.700 (•22,57) nel periodo successivo al corso di
educazione alimentare con minimizzazione dei rischi, a L35.600
(•18,39) in quello successivo all’accentuazione dei rischi. Tale
riduzione era correlata positivamente al reddito annuo, all’età
ed al grado di istruzione di entrambi i genitori.
Keywords: Alimenti transgenici, Educazione alimentare;
Fattori determinanti; Analisi di regressione multipla; Focus
groups.
1. Introduzione
I rischi per la salute derivanti dagli alimenti transgenici
coinvolgono ampi settori della ricerca scientifica, oltre ad interessare il grande pubblico circa le paure di una tecnologia,
l’ingegneria genetica, di cui non ancora si conoscono appieno
gli effetti sull’ambiente e sull’uomo. [1-2].
La preoccupazione riguardo ai pericoli degli alimenti
transgenici è diffusa soprattutto in Europa, dove il dibattito è
focalizzato sulla “brevettabilità” degli organismi geneticamente
modificati. La legislazione UE non prevede l’esplicito divieto a
brevettare vegetali, animali e microrganismi (batteri e funghi).
[3] Si possono brevettare, ad esempio, geni modificati, animali
transgenici, terapie geniche e farmaci ottenuti con ingegneria
genetica; mentre non è possibile brevettare, perché esplicitamente vietato, l’embrione, la clonazione di esseri umani, le
modifiche dell’identità genetica dell’uomo e degli animali, se
quest’ultime provocano sofferenze agli stessi animali.
Sul fronte dell’etichettatura, le legislazioni dei paesi comunitari prevedono che sia presente in etichetta la dicitura “OGM”
(Organismi Geneticamente Modificati) solo quando il gene
modificato sia presente nell’alimento; mentre le associazioni
dei consumatori hanno chiesto alla Commissione Europea una
chiara distinzione anche per quei prodotti che contengono
derivati di OGM. [4-5].
Bernard Dixon nell’editoriale apparso sul BMJ del 27 febbraio 1999 [6] dedicato agli alimenti transgenici citava tra i
paradossi più eclatanti il fatto che nel Regno Unito, dove è più
vivace il dibattito sugli alimenti di Frankestein, così come vengono chiamati dalla stampa, questi vengano venduti bene, a
dispetto di tutte le campagne che ne esaltano i rischi sanitari.
L’articolo è di stimolo per un dibattito circa l’influenza dei
mass media sul comportamento dei consumatori, che sembra
più orientato alla novità e praticità, che spaventato dai possibili rischi per la salute.
L’editoriale squarcia il velo di silenzio della classe medica
nel dibattito pubblico che si sta sviluppando sugli alimenti
transgenici. [7]
Nel nostro lavoro ci siamo chiesti non quale posizione
devono sostenere i medici - tenuto conto che occorre prestare
fede all’evidenza scientifica anche nella formulazione dei rischi potenziali - bensì quale e quanta influenza abbia il messaggio dell’educazione sanitaria sul comportamento dei consumatori. Ciò per evitare frustranti e pericolosi paradossi.
Scopo dello studio era quello di:
· valutare l’impatto dell’educazione alimentare sulla domanda di alimenti della prima infanzia contenenti ingredienti
“geneticamente modificati”;
· analizzare i fattori determinanti di tale impatto.
2. Materiali e metodi
Questo lavoro della durata di sei mesi è stato condotto
secondo un disegno prospettico, randomizzato.
E’ stata utilizzata la tecnica del focus group per sviluppare
uno scenario ipotetico di etichettatura di ingredienti
transgenici. La tecnica del focus group consiste nel ricercare
atteggiamenti e comportamenti di un gruppo di consumatori
nei confronti di una serie di consumi e dei relativi prodotti.
Si è pertanto simulato che gli alimenti contenenti in etichetta la dicitura “amido di mais modificato” potessero contenere alimenti transgenici (AT). In verità, “amido modificato”
per la legislazione italiana sta ad indicare: “amidi che hanno
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subito la modifica di una o più delle proprietà originali mediante procedimenti fisici, enzimatici, chimici oppure a mezzo di
una combinazione di tali procedimenti”. Sono perciò modificati tutti gli amidi “non nativi” (intendendo per “nativi” amidi
estratti dalla materia prima senza subire modificazioni chimiche, fisiche e funzionali) che hanno subito un intervento (solitamente una idrolisi parziale durante un trattamento termico
in presenza di acqua) volto a migliorarne le proprietà funzionali
(solubilità, capacità di trattenere acqua, ecc.). Quindi, il termine “modificato” non implica manipolazione genetica. A questo punto va però aggiunto che, per la legislazione inerente gli
OGM, la loro presenza va dichiarata in etichetta solo se il gene
modificato viene introdotto nell’alimento. Tenendo conto che
l’amido, come prodotto di riserva di una pianta, non contiene
DNA, anche se proviene da OGM non può essere identificato
(in etichetta compare sempre come “amido” o “amido modificato”). Altro aspetto da tener presente è che gran parte del
mais coltivato in America (più importante fonte di amido nel
mondo) deriva da OGM. E’ perciò molto probabile che, quando in un prodotto c’è amido, questo possa provenire da piante transgeniche.
Inoltre, gli alimenti destinati all’infanzia per bambini fino a
tre anni non devono contenere, così come prevede la legislazione italiana, ingredienti transgenici. Tutti questi aspetti sono
stati ampiamente spiegati ai focus group.
2.1. Soggetti
Sono state considerate eleggibili per l’inclusione le madri,
residenti nella ASL FG/3 di Foggia, di neonati con età compresa tra i 6 e gli 8 mesi di vita. Da marzo a maggio 1999 sono state
reclutate, con la tecnica della randomizzazione, 95 mamme dal
registro vaccinazioni della sede di Foggia del Dipartimento di
Tabella 1: Età del padre e della madre, reddito annuo pro-capite.
Vari ab il e
M ed i a
DS
Ra nge
M ed ia n a
E tà m ad re a
2 6 ,4
4 ,3 4
19 - 36
26
E t à p ad re a
3 0 ,1
4 ,5 0
21 - 41
29
E tà d e l b am b in o b
8
1 ,2
4 ,1 - 1 0 ,3
9 ,2
R ed d it o an n u o
p ro-ca p ite c
7 .8 4 3 ,2 5
6 .0 9 5 ,6 75
1 .4 2 5 - 2 9 .4 2 1
5 .4 7 3
a
anni
mesi
c
in migliaia di lire, pesato per età dei componenti nucleo familiare: 1,2 classe 0-4 anni; 1,1 classe 5-15 anni; 0,8 classe
16-69 anni; 1,2 classe ³ 70 anni.
b
Tabe lla 2: g rad o d i istru zio ne della m adre e del pa dre
G rad o d i is tru zio ne
della m a dre
G rad o di i stru zio ne del pa dre
Lic en za ele m .
M edia inf.
M e dia s up.
Laure a
To tal e
n
%
n
%
n
%
n
%
n
%
L ice n za e lem enta re
6
7,5
1
1,3
-
-
-
-
7
8,8
M edia inf.
3
3,8
18
22 ,5
10
12 ,5
-
-
31
38 ,8
M e dia s up.
-
-
8
10 ,0
18
22 ,5
9
11 ,2
35
43 ,7
Laure a
-
-
-
-
-
-
7
8,7
7
8,7
To tal e
9
11 ,2
27
33 ,8
28
35 ,0
16
20 ,0
80
10 0,0
Le variabili descrittive sono rappresentate in tabella 1. Nella
tabella 2 viene riportato il grado di istruzione dei genitori.
I criteri di esclusione hanno riguardato: 1) madri di neonati
con patologie che implicavano uso di alimenti specifici.
Tutte le partecipanti hanno fornito il loro consenso orale o
scritto.
Prevenzione dell’ASL FG/3 (Figura 1).
Figura 1: Confronto fra spese medie settimanali nelle diverse
fasi dello studio.
*, P<0,001; NS, non significativo.
run-in = spesa settimanale media nella fase di run-in
min = spesa settimanale media nelle 4 settimane successive
al CEAI con minimizzazione dei rischi
max = spesa settimanale media nelle 4 settimane successive
al CEAI con massimizzazione dei rischi
2.2. Disegno dello studio
Dopo una fase preliminare di run-in di 2 settimane, delle 95
mamme reclutate 83 mamme hanno aderito allo studio e sono
state assegnate in randomizzazione a due gruppi: uno (di 42
mamme) che ha partecipato al Corso di Educazione Alimentare
nell’Infanzia con minimizzazione dei rischi (CEAI-min) degli
alimenti transgenici (AT) della durata di 12 ore distribuite in 2
settimane; l’altro (di 41 mamme) al Corso di Educazione Alimentare nell’Infanzia con massimizzazione dei rischi (CEAImass) derivanti dall’assunzione degli alimenti transgenici (AT),
della durata di 12 ore distribuite in 2 settimane. Il comportamento dei consumi è stato rilevato nelle 4 settimane successive. Dopo un periodo di “wash-out” di 6 settimane, che è coinciso con il periodo estivo, i gruppi sono stati incrociati per il
corso di educazione alimentare nell’infanzia con
massimizzazione dei rischi ed alternativamente con
minimizzazione dei rischi degli AT, ambedue della durata di 12
ore distribuite in 2 settimane. Le rilevazioni dei consumi di
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alimenti per la prima infanzia sono state eseguite nelle successive 4 settimane. I CEAI sono stati tenuti presso il Centro di
Sorveglianza Nutrizionale ed Educazione Alimentare del Servizio di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione della ASL FG/3.
Al termine dello studio ciascun soggetto è stato considerato caso e controllo di se stesso. Le equipe di docenti dei due
corsi erano distinte: una per i corsi con massimizzazione del
rischio ed una per i corsi con minimizzazione del rischio. La
rilevazione dei consumi di alimenti della prima infanzia contenenti “amido di mais modificato” è stato effettuato mediante
un diario giornaliero.
2.3. Statistiche
Tutte le analisi statistiche sono state effettuate utilizzando
il programma SPSS per Windows 5.0.1.
L’ipotesi nulla di non differenza fra gruppi nella spesa in
lire per l’acquisto di prodotti per l’infanzia contenenti ingredienti geneticamente modificati prima e dopo i CEAI di
minimizzazione e massimizzazione dei rischi è stata valutata
con il test sui ranghi di Wilcoxon e i valori di P<0,05 sono stati
considerati significativi.
La tecnica della regressione multipla è stata utilizzata per
l’analisi dei fattori determinanti.
Il grado di istruzione, il reddito pro-capite pesato e l’età dei
genitori sono stati considerati come variabili indipendenti; la
spesa in lire per l’acquisto di alimenti per l’infanzia contenenti
ingredienti geneticamente modificati come variabili dipendenti. L’analisi di regressione è stata utilizzata sulla trasformazione logaritmica della differenza della somma, in lire, spese prima
e dopo il corso di alimentazione nell’infanzia con
massimizzazione dei rischi.
seguito al corso di educazione sanitaria in cui venivano esaltati i rischi sanitari.
La riduzione negli acquisti può essere spiegata con l’adesione al messaggio proveniente da una fonte riconosciuta
autorevole e valida.
Ta b ell a 3 : R i as su n t o d ell' an al is i d i re g res si o n e m u l tip l a
Vari ab il e
C o effic ien t e b
R ed d i to an n u o p ro -c ap it e
0 ,9 1 * *
E tà d el p a d re
0 ,3 8 *
E tà d ell a m a d re
0 ,2 0 *
G rad o d i i st ru zio n e d el p a d re
0 ,9 4 * * *
G rad o d i i st ru zio n e d ell a m a d re
0 ,9 0 * * *
L iv e llo d i si g n ific ati v ità : * * * P < 0 ,0 0 1 ; * * P< 0 ,0 1 ; * P< 0 ,0 5
Il messaggio ha avuto maggiore effetto tra coloro che disponevano di un reddito più elevato, di maggiore grado di
istruzione ed un’età dei genitori relativamente più alta.
Anche se tali risultati necessitano di ulteriori lavori per
confermare l’ipotesi considerata, tuttavia, quelli emersi nello
studio sono un indizio della necessità di un maggior riconoscimento nell’iniziativa dei medici di diffondere corretti principi di alimentazione e nutrizione.
Bibliografica
3. Risultati
La spesa settimanale media è passata da L44.500 (•22,98)
nel periodo di run-in, a L43.700 (•22,57) nel periodo successivo al corso di educazione alimentare con minimizzazione dei
rischi (-1,8%, P>0,05, run-in versus CEAI-min), a L35.600
(•18,39) in quello successivo al corso di educazione alimentare con massimizzazione dei rischi (-20,0%, P<0,001, run-in
versus CEAI-mass; -18,5%, P<0,001, CEAI-min versus CEAImass).
Inoltre, il reddito annuo pro-capite, l’età e il grado di istruzione, sia del padre e che della madre, erano positivamente associati
con la differenza di prodotti acquistati prima e dopo i CEAI con
massimizzazione e minimizzazione dei rischi (tabella 3).
1. Serageldin I. Biotechnology and food security in the 21st century.
Science. 1999;285(5426):387-9.
2. Persidis A. Agricultural biotechnology. Nat Biotechnol.
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3. McCabe H, Butler D. European Union tightens GMO
regulations. Genetically modified organisms. Nature 1999 Jul
1;400(6739):7
4. Miller HI. A rational approach to labelling biotech-derived
foods. Science. 1999; 284:1471-2.
5. Degnan FH. The food label and the right-to-know. Food Drug
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6. Bernard Dixon “The paradoxes of genetically modified foods”
BMJ 1999;318 547-548.
7. Masood E. Collapse of talks on safety of GMO trade. Nature
1999 Mar 4;398(6722):6
4. Discussione
Nel periodo maggio-ottobre 2000 è stata analizzata la domanda di alimenti della prima infanzia in una coorte di 83 madri
che vivono a Foggia. Tale coorte non può essere considerata
un campione rappresentativo.
Lo scopo dello studio era quello di valutare l’impatto dell’educazione alimentare sul comportamento della domanda di alimenti per la prima infanzia contenenti ingredienti provenienti da
OGM, in uno scenario simulato di etichettatura di tali prodotti.
Dallo studio è emersa una riduzione significativa nell’acquisto dei prodotti per la prima infanzia contenenti OGM in
*Servizio di Igiene degli alimenti e della Nutrizione - Azienda Sanitaria Locale FG/3, Foggia - Italy
* Dipartimento di Prevenzione – Azienda Sanitaria Locale
FG/3, Foggia - Italy
** Istituto di Mutagenesi e Differenziamento - Consiglio
Nazionale delle Ricerche, Pisa - Italy
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Informazione Pubblicitaria
“il mondo non è più quello di una volta,
il mondo è cambiato con WIND”
Operatore di servizi di comunicazione integrati fisso-mobile-Internet,
unico in Italia e tra i primi in Europa
Wind Telecomunicazioni SpA, società partecipata da Enel e France Telecom, viene
costituita nel dicembre 1997.
In soli 6 mesi Wind raggiunge il suo 1° milione di clienti e in meno di 2 anni supera gli 8
milioni, classificandosi come il più veloce start-up tra le società di telecomunicazione
in Europa.
Wind, fin dalla nascita, si impone sul mercato come unico operatore in grado di offrire
convergenza, servizi di comunicazione integrati di telefonia fissa, mobile e Internet; per la
sua capacità di innovazione tecnologica, organizzativa e di marketing; per la trasparenza
delle tariffe, conteggiate a secondi di conversazione effettiva, senza canone, senza
scatti alla risposta, IVA inclusa, in modo da consentire al cliente il pieno controllo
sui propri consumi; per la convenienza, praticando prezzi decisamente competitivi.
Nel luglio ’99 acquisisce ItNet, Internet Service Provider, per la fornitura di servizi e
contenuti Internet ad hoc per le aziende. Nel novembre ’99 Wind lancia il servizio di
accesso gratuito a Internet, contribuendo alla diffusione di Internet in Italia, con l’obiettivo di favorire l’accesso anche dal computer di casa a contenuti e servizi di utilità per le
famiglie. Il portale InWind (www.inWind.it), poi, è il primo portale “multi-device” che
consente l’accesso al Web attraverso un PC o un telefonino WAP.
Quest’anno Wind completa la liberalizzazione delle Telecomunicazioni italiane,
con il lancio della propria proposta commerciale e con il collegamento dei primi clienti – sia
singoli cittadini che aziende- all’ultimo miglio di linea telefonica fissa. Dando dunque la
possibilità di disdire l’abbonamento dal gestore ex-monopolista.
L’offerta sarà disponibile, nella prima fase (entro maggio) nelle città di Roma e Milano;
successivamente verrà estesa gradualmente in tutto il resto del Paese. La proposta commerciale che Wind farà al mercato dei clienti di rete fissa – LineaWind – è molto semplice
ed in linea con la trasparenza connaturata alle offerte di Wind. Con TuttoWind, inoltre, si
potrà abbinare in una sola bolletta l’intera spesa telefonica familiare (fisso/mobile).
Wind è la prima compagnia telefonica in Italia e tra le prime in Europa ad acquisire,
anche per la telefonia cellulare, la certificazione ISO 14001 del Sistema di Gestione
Ambientale.
Il prestigioso certificato impone rigorose scelte nella progettazione, installazione ed esercizio degli apparati di rete fissa e mobile. Scelte che consentono di tutelare l’ambiente e le
persone.
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L’EPIDEMIOLOGIA DELL’INFEZIONE DA HIV-1 E LE
EVIDENZE DI EFFICACIA DELLA TERAPIA ANTIRETROVIRALE
*Buccoliero Giovanni, **Moscogiuri Rossella, *Resta Francesco
Introduzione
Dopo il riconoscimento nel 1981 dei primi casi di AIDS
negli USA, l’infezione da HIV-1 ha raggiunto un livello di
pandemia globale ed è divenuta l’odierna piaga mondiale.
Oltre 5 milioni di adulti e bambini sono morti a causa dell’
l’AIDS che sta diventando la causa principale di morte nelle
maggiori città degli USA, dell’Europa e dell’Africa subsahariana (1).
Si stima, infatti che più di 24 milioni di adulti e 1.5 milioni
di bambini si siano infettati con l’HIV-1 ed ogni giorno sono
quasi 10 mila le nuove infezioni. Con il continuo incremento
delle infezioni in Africa e nel Sud-Est asiatico, queste potrebbero apparire stime contenute.
La lunga latenza dell’infezione virale ha reso più difficile la
conoscenza di portatore del virus e di conseguenza ne ha
facilitato la diffusione incontrollata.
Senza un efficace vaccino o una terapia curativa nel prossimo futuro, questa riserva di 20 milioni di sieropositivi determinerà inevitabilmente un ulteriore incremento della morbidità
e della mortalità correlata all’AIDS.
La diffusione dell’epidemia nel mondo
La pandemia dell’HIV può essere suddivisa in quattro fasi:
1) comparsa, 2) diffusione, 3) escalation, 4) stabilizzazione.
Prima che l’AIDS fosse riconosciuta, l’infezione da HIV
era già presente in lontane zone rurali, dove era endemica a
bassi livelli; di qui si diffuse, in seguito, anche in zone urbane
più popolate. La diffusione silente dell’infezione avvenne attraverso la popolazione sessualmente attiva, ( prostitute ed i
loro clienti), nei paesi in via di sviluppo, e attraverso gli omosessuali nei paesi industrializzati. Durante la fase di diffusione, il virus raggiunse rapidamente varie regioni del mondo,
favorito dagli spostamenti delle popolazioni e dai viaggi, ponendo così le basi per un’esplosione epidemica. Oltre alle migrazioni e ai viaggi internazionali, un altro fattore, correlato
alla migrazione e all’urbanizzazione, fu il crollo sociale di alcuni paesi come l’Africa sub-sahariana. Cambiò la cultura, la
commercializzazione del sesso divenne più comune, i servizi
medici diminuirono o non furono raggiungibili e la trasmissione della malattia per via sessuale aumentò in frequenza. La
disorganizzazione sociale e il cambiamento culturale insieme
all’incremento della povertà, aumentarono la suscettibilità all’infezione da HIV.
Questi ed altri fattori hanno influenzato la fase di escalation,
avvenuta nel 1980. La trasmissione dell’HIV si è diffusa suc-
cessivamente in popolazioni con altri fattori di rischio, come
l’uso di droghe da iniettare (IDU), partners eterosessuali di
individui infetti e trasfusioni di sangue.
Una quarta fase della pandemia dell’HIV è divenuta evidente in Australia, in Nord-America e nell’Europa occidentale, dove sembra che la prevalenza dell’HIV e il numero dei casi
di AIDS si sia attestato su un tasso di prevalenza stabile che
potrebbe indicare che il numero dei morti per AIDS sia uguale
a quello delle nuove infezioni. Il dato potrebbe anche mascherare uno sproporzionato incremento di alcune modalità di trasmissione come quella eterosessuale o uno sproporzionato
aumento di nuove infezioni nella popolazione giovanile, come
recentemente è stato osservato negli USA ed in Europa.
Epidemia dell’infezione da HIV-1 nell’area jonica
In Italia a giugno 2000 sono stati notificati 46.534 casi di
AIDS e la Puglia è l’ottava regione per numero cumulativo di
casi segnalati con un tasso di incidenza per 100 mila abitanti
pari all’1,9 nel periodo luglio 1999 e giugno 2000. Tale dato
risulta il più alto delle regioni meridionali (2).
I dati del registro AIDS regionale indicano come l’area
jonica abbia il tasso di incidenza (3,5 per 100/mila abitanti) più
alto di malati rispetto a tutte le altre province. Particolare è
anche l’osservazione della tendenza all’incremento dei casi
negli ultimi due anni in contrasto a quello registrato nelle altre
realtà della regione.
Il numero di casi di AIDS registrati risulta comunque essere una sottostima e non dà realmente l’idea dell’epidemia dell’infezione da HIV-1. Presso la divisione di Malattie infettive
dell’Azienda Ospedaliera “SS Annunziata” di Taranto è attivo
un data base che contiene informazioni su 588 sieropositivi
per HIV-1 di cui il 72% di età compresa tra i 25 e i 39 anni; il
75.5% sono maschi.
Il virus è stato contratto nella maggior parte dei casi (70%)
a seguito dell’uso di droghe per via iniettiva con scambio di
siringhe infette, nel 25% dei casi per via sessuale e nel 2% dei
casi a seguito di trasfusioni.
Il 40% ha già sviluppato una patologia opportunistica definente l’AIDS e di questi il 60% è deceduto.
Una particolare caratteristica dell’epidemia dell’infezione
da HIV-1 nell’area jonica è la distribuzione territoriale dei soggetti infetti 2/3 dei quali sono residenti nella città al contrario
di altre realtà della regione dove la maggior concentrazione di
sieropositivi risiede nei comuni di provincia.
Un altro dato discordante rispetto alle altre realtà della
nostra regione scaturisce dall’analisi dell’andamento tempo-
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rale dei casi notificati di AIDS all’Osservatorio Epidemiologico
Regionale . Si rileva un incremento progressivo dei casi notificati per provincia sino al 1996 con successivo decremento
negli anni 1998 e 1999 che continua per tutte le province ad
eccezione di Taranto. Esemplificativo a tal riguardo è il confronto tra l’area jonica della ASL TA/1) e la ASL BA/4 (Figura 1).
L’aumento di casi di AIDS osservati e notificati nella nostra area jonica si spiega essenzialmente con la tipologia dei
soggetti interessati, i quali non afferiscono ai centri clinici per
motivi diversi. In alcuni casi si tratta di soggetti con
sieropositività per HIV-1 non nota e che arrivano alla prima
osservazione già con la diagnosi di malattia.
Si tratta in prevalenza di soggetti che pur avendo avuto
comportamenti a rischio in passato, non ritengono di appartenere alle cosiddette categorie a rischio e quindi non si sottopongono al test anti-HIV.
In altri casi si tratta di soggetti che pur essendo a conoscenza della loro sieropositività non afferiscono con regolarità ai centri clinici: o perché tossicodipendenti attivi o perché
rifiutano l’idea della malattia. In tutti i casi si tratta di soggetti
che non assumono farmaci antiretrovirali.
Terapia antiretrovirale: lo stato dell’arte
La terapia antiretrovirale di combinazione con gli inibitori
della proteasi da dicembre 1996 ha modificato sensibilmente la
storia naturale dell’infezione da HIV-1 riducendo i casi di
morbidità e di mortalità (3, 4, 5).
Attualmente disponiamo di diversi farmaci antiretrovirali
con solo due target di azione: gli inibitori della trascrittasi
inversa che inibiscono direttamente la replica del virus e gli
inibitori della proteasi che impediscono la formazione di particelle virali attive e quindi incapaci di infettare altre cellule.
Questi farmaci si sono dimostrati efficaci nel ridurre la replica virale e nel recupero immunologico dei soggetti infetti
con conseguente rallentamento della progressione ad AIDS e
aumento della sopravvivenza.
Dall’inizio dell’uso della terapia di combinazione nel 1997,
ad oggi, nella nostra esperienza abbiamo osservato oltre che
una riduzione dei casi di malattia e dei decessi anche una riduzione dei ricoveri ospedalieri per patologie opportuniste
correlate all’AIDS (Tabella 1). Contemporaneamente è stato
documentato un incremento delle attività ambulatoriali del 33%
con conseguente aumento della spesa sanitaria legato alle
indagini laboratoristiche ed ai costi dei farmaci antiretrovirali
(6, 7). Tale aumento di spesa è comunque bilanciato dal risparmio che deriva dai ricoveri AIDS evitati (8, 9).
La distribuzione centralizzata dei farmaci antiretrovirali di
fascia H operata dalla Divisione di Malattie infettive dell’Azienda Ospedaliera “SS Annunziata” permette una costante verifica della compliance della terapia prescritta e monitoraggio degli
eventi avversi.
Tale modello organizzativo è stato adottato su proposta
della Farmacia ospedaliera che provvede all’approvigionamento ed alla gestione di tali farmaci attraverso l’aggiornamento on-line del file “ F “ secondo le linee guida della
Regione Puglia riguardanti le modalità di erogazione di farmaci
in regime di compensazione.
La distribuzione diretta ai pazienti permette una efficace
sorveglianza epidemiologica integrata con ripercussioni posi-
tive sul controllo della spesa sanitaria e sulla qualità dell’assistenza dei sieropositivi in termini di counselling, compliance e
monitoraggio degli effetti collaterali.
La terapia antiretrovirale di combinazione soprattutto con
gli inibitori della proteasi nonostante i grandi successi dimostrati ha presentato diversi limiti quali: i numerosi eventi avversi, la tossicità a lungo temine (dismetabolismo glico-lipidico,
lipodistrofia, accidenti vascolari), la complessità di
somministrazione, una scarsa aderenza agli schemi terapeutici
e la comparsa di farmaco-resistenza (10, 11, 12).
Prospettive future nell’infezione da HIV-1
In un prossimo futuro ci sarà bisogno di nuovi farmaci
antiretrovirali che abbiano queste caratteristiche:1) facilità di
assunzione in monosomministrazione e senza restrizioni di
cibo; 2) maggiore tollerabilità con scarsa tossicità a lungo
termine; 3) diverso profilo di farmaco-resistenza; 4) differente
target d’azione rispetto agli inibitori della trascrittasi inversa e
agli inibitori della proteasi come attualmente documentato per
gli inibitori della fusione e gli inibitori della integrasi che potrebbero costituire un ulteriore arma terapeutica (tabella 2). La
realizzazione delle caratteristiche sopra elencate favorirebbe
l’aderenza e la compliance alla terapia, ritardardando cosi’ la
comparsa di ceppi virali farmaco-resistenti e garantendo, quindi,
l’efficacia a lungo termine della terapia antiretrovirale (13, 14).
In attesa che tali farmaci antiretrovirali siano disponibili,
sarà importante adottare nuove strategie terapeutiche (15, 16).
Al momento diversi studi hanno dimostrato la validità dello schema terapeutico di induzione e mantenimento, cioè la
semplificazione di un regime terapeutico aggressivo contenente gli inibitori della proteasi con un regime contenente gli
inibitori della trascrittasi inversa non nucleosidici in sostituzione degli inibitori della proteasi (17).
Particolarmente interessante ma che necessita di numerosi
studi controllati e quindi tutta da verificare, è la strategia
terapeutica che prevede l’interruzione strutturata della terapia
antiretrovirale basata su periodi di terapia seguiti da periodi di
sospensione. Occorrono studi controllati al fine di stabilire i
tempi di terapia soppressiva e i tempi di sospensione per evitare un eccessivo rebound della replica virale.
Conclusioni
Mentre si attende un vaccino o presidi terapeutici più efficaci, la migliore prevenzione primaria rimane l’educazione tesa
a migliorare i fattori sociali, culturali ed ambientali. Per il controllo dell’epidemia dell’AIDS è necessario risolvere problemi
sociali quali l’aumentata disoccupazione, l’accelerata
urbanizzazione, la prostituzione, il declino dei servizi sanitari e
la tossicodipendenza.
Molti successi hanno dato i programmi di trattamento aggressivo delle Malattie Sessualmente Trasmesse accoppiato
alla diffusione del condom, sopprattutto in Africa ed in Asia,
mentre. il programma sull’uso di aghi sterili ha stabilizzato o
addirittura ridotto l’incidenza dell’AIDS tra i tossicodipendenti
dell’Australia e dell’Europa.
In futuro il corso della pandemia AIDS potrebbe essere
profondamente modificato dall’introduzione di nuove e diversificate strategie di prevenzione.
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Bibliografia
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4- Spira R, Marimoutou C, Binquet C, et al.: Rapid change in the
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* Divisione di Malattie infettive
** Servizio di Farmacia
Azienda Ospedaliera “SS Annunziata”, Taranto
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