P a pyrotheke
Rivista Online di Papirologia dell’Università di Parma
Anno I – Numero 1 (2010)
Università degli Studi di Parma – Facoltà di Lettere e Filosofia
Dipartimento di Storia
Insegnamento di Papirologia
Papyrotheke
Rivista Online di Papirologia
Anno I – Numero 1 (2010)
Editor
Isabella Andorlini
Dipartimento di Storia, Università degli Studi di Parma
Associate Editor
Nicola Reggiani
Dipartimento di Storia, Università degli Studi di Parma
Scientific Board
Ann Ellis Hanson,
Hanson Yale University, New Haven (USA)
Todd Hickey,
Hickey The Center for the Tebtunis Papyri, U.C. Berkeley (USA)
David Leith,
Leith University of Cambridge (UK)
Raffaele Luiselli,
Luiselli Università di Roma La Sapienza (I)
John Lundon,
Lundon Universität zu Köln (D)
Federico Morelli,
Morelli Universität Wien (AU)
Editorial Assistants
Università degli Studi di Parma
Andrea Bernini
Isabella Bonati
Margherita Centenari
Giulia Ghiretti
Luca Iori
Massimiliano Nuti
http://www.papirologia.unipr.it/papyrotheke
I contributi verranno sottopposti alla Direzione in formato elettronico all’indirizzo
[email protected], secondo le norme redazionali pubblicate nella pagina web di riferimento.
© 2010 Insegnamento di Papirologia dell’Università di Parma – Prof. I. Andorlini
Contenuti
SAGGI
Marco Botti
Dai papiri al web:
la riscoperta dell’egittologo Giuseppe Botti
3
MATERIALI E DISCUSSIONI
Isabella Andorlini
Lavori per un ualetudinarium in T.Vindol. II 155,6
Andrea Bernini
Dettagli sull’organizzazione degli antichi vigneti
(nota a P.Tebt. III/1 815, fr. 6, col. iii)
31
37
Isabella Bonati
Forme e contenitori di incenso nei papiri
45
Margherita Centenari / Luca Iori
Ad apertura di libro.
Note sul volumen e la paleografia di P.Tebt. 269
57
Massimiliano Nuti
Le attività e le attestazioni di un prefetto d’Egitto:
Lucius Munatius Felix
67
NOTE E RECENSIONI
Giulia Ghiretti
Un ambulatorio medico antico:
due libri recenti sul “Chirurgo di Rimini”
81
Nicola Reggiani
Dalla magia alla filologia:
documenti su libri e biblioteche nell’Antichità
97
INDICI
Index locorum
Index nominum et verborum
139
144
SAGGI
Papyrotheke 1 (2010) ― 3
Dai papiri al web:
la riscoperta dell’egittologo Giuseppe Botti*
1. Premessa
La figura del mio prozio Giuseppe Botti è stata coperta, in questi ultimi decenni, da un autentico velo di oblio, nonostante egli abbia rivestito un ruolo di
primo piano nella storia degli studi egittologici e papirologici, potendo essere definito come il primo vero demotista italiano, autore e curatore di opere ancora di
riferimento nei rispettivi settori.
Da quasi dieci anni ho intrapreso un percorso di ricerca a riguardo della sua
vita, passando a setaccio numerosi archivi e biblioteche di Soprintendenze, Musei, Accademie, Università, Centri di ricerca italiani ed esteri, a “caccia” di documenti che ne testimoniassero l’opera di scienziato. Ho ritenuto fosse doveroso intraprendere tale lavoro per rivalutare la sua figura di uomo e di studioso, soprattutto in concomitanza di due ricorrenze significative: il 40° anniversario della
morte1 ed il 120° anniversario della nascita2.
Avendo trovato un gradito riscontro sia in ambito divulgativo che in ambito
universitario, il mio lavoro è proseguito oltre tali “scadenze”, culminando nella
pubblicazione della biografia integrale in un volume monografico, nella versione
*
1
2
Si ringraziano, per la gentile concessione alla riproduzione delle immagini e dei documenti qui proposti, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana (Dott.ssa Maria Cristina Guidotti, Direttrice del Museo Egizio di Firenze), per le Figg. 7, 8, 13, 15, 16; i Padri Rosminiani di Domodossola
(Prof. Tullio Bertamini, archivi della rivista “Oscellana”), per le Figg. 3 e 14; i cari cugini Maria Antonietta e René Albasini (ACP), per le Figg. 1, 2, 4-6, 10, 11. Per i numerosissimi nominativi di quanti, in vario modo, mi hanno aiutato e agevolato nelle ricerche, rimando a M. BOTTI 2010c e M. BOTTI
2010d.
27.12.1968-27.12.2008.
03.11.1889-03.11.2009.
4 ― M. Botti, Dai papiri al web
a stampa ed in quella on line.
A tale proposito, oltre che significativo, è quantomeno singolare notare che il
processo di riscoperta del mio avo stia passando, in buona parte, attraverso i canali delle nuove tecnologie di divulgazione digitale3: un mezzo accattivante ma
anche tanto differente rispetto al supporto cartaceo (in qualche maniera imparentato con i papiri e quindi più formalmente “vicino” all’oggetto di indagine del nostro studioso) utilizzato dalle comuni riviste, giornali o libri di carattere storicoscientifico tramite le quali, sino ad ora, tale riscoperta aveva trovato modo di diffondersi4. Pubblicare anche tramite questi nuovi strumenti divulgativi, credo sia
di buon auspicio per il futuro, soprattutto per le generazioni di giovani studiosi
che vanno oggi formandosi nelle discipline legate, pertinenti o rispondenti all’Egittologia e alla Papirologia, e che utilizzano tali strumenti con tanta naturalezza
e disinvoltura, facendone punto di partenza per la diffusione - possiamo ben dire,
in questo caso, a livello internazionale - dei propri materiali di studio.
2. La partenza dall’Emilia e la nascita del futuro egittologo
Prima di entrare nel vivo della trattazione biografica del caro avo, è bene riportare alcuni brevi cenni riguardanti le sue origini. Tale aspetto, infatti – e mi riferisco alle origini in termini genealogici e geografici – costituiranno un ruolo di
grandissima rilevanza per ciò che riguarda la formazione umana del futuro studioso, al punto da condizionarne la mentalità e, per certi versi, l’approccio agli
studi e alla materia di suo interesse. L’educazione impostagli dai genitori e dai
nonni paterni, infatti, assieme al condizionamento che l’ambiente e la cultura di
carattere “montanaro” ebbero su di lui, ne forgeranno la tempra caratteriale in
maniera indelebile e faranno scaturire dalla sua personalità una serie di curiose
peculiarità spirituali e intellettuali che oserei definire uniche.
Dai 1000 metri di Romezzano di Bedonia, frazione adagiata tra le rigogliose
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PELFINI 2009; M. BOTTI 2010a e 2010b.
M. BOTTI 2005; 2008a; 2008b; 2009a; 2009b; 2010c; 2010d.
Papyrotheke 1 (2010) ― 5
foreste degli Appennini parmensi, Giuseppe5 – venditore ambulante di tessuti
nonché nonno paterno del nostro egittologo - nella metà del 1800, emigra con il
fratello all’estremo nord del Piemonte, in Valle Anzasca, insediandosi a Vanzone
con San Carlo6, dove apre un negozio di drapperie. Si sposa con Caterina Gorini
e dalla loro unione nascono quattro figlie ed un figlio. Quest’ultimo, Bartolomeo,
porterà avanti il lavoro del padre aprendo anche una succursale nel vicino paese
di Macugnaga; a sua volta, nel 1888, egli sposa Maria Gorini. Un anno dopo, alle
nove di sera del 3 novembre 1889, nasce Giuseppe, o meglio: Carlo, Giuseppe,
Gabriele, Maria7. Nel 1891, a distanza di appena due anni dalla nascita del primogenito, viene alla luce Gabriele e nell’autunno del 1892, quando Maria si trova nuovamente in gravidanza avanzata (avrà, in tutto, dieci pargoli), Giuseppe,
all’età di tre anni, viene “adottato” dai nonni paterni 8 che abitano nella frazione
di Roletto (Fig. 1). In un luogo tanto caratteristico (Roletto è una graziosa frazione di Vanzone, Comune situato a metà Valle Anzasca, quasi ai piedi dell’imponente parete Est del Monte Rosa) il piccolo acquisisce quei valori propri di un’educazione improntata sulla religiosità profonda e sull’attaccamento verso la propria terra e le locali tradizioni, nonché fa suo quello spirito di sacrificio – tanto
comune alle popolazioni di montagna – che saprà mettere a frutto in futuro nell’incessante e arduo lavoro di studio e ricomposizione dei papiri.
3. Il periodo scolastico e l’apprendimento sotto il Maestro
Ernesto Schiaparelli
Nell’ottobre del 18999, presso l’Istituto Salesiano di “San Lorenzo” di Nova5
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Tra i tanti documenti raccolti, mi ha particolarmente incuriosito quello trovato nella parrocchia di Romezzano, nel Liber Chronicus, una sorta di appendice al registro parrocchiale. In quelle pagine si narra di un miracolo della Madonna del Voto, il cui beneficiario fu Bartolomeo Botti, padre del Giuseppe
che emigrò in Piemonte. A tale proposito si veda CAVATORTA 1995.
BOTTI 1954.
Dall’atto di Battesimo emesso dalla parrocchia di Vanzone (ASPRD).
BOTTI 1954.
Questa data, ricavata da alcune missive scritte dal Direttore dell’Istituto al padre di Giuseppe (ACP),
non credo indichi l’anno dell’inizio dei suoi studi, che dovrebbe risalire al 1897. Non mi è stato possibile ottenere un riscontro presso l’istituto novarese (ancora oggi operativo), perché esso non possiede
6 ― M. Botti, Dai papiri al web
ra, Giuseppe risulta iscritto alle Scuole Elementari come convittore (Fig. 2). In
seguito, egli frequenta il Ginnasio inferiore “Cesare Balbo” a Torino e poi il Collegio “Mellerio-Rosmini” di Domodossola, per il Ginnasio superiore, dal 1906 al
190910 (Fig. 3). Iscrittosi all’Università di Torino nella facoltà di Lettere e Filosofia, il 17 dicembre del 1913 ottiene la laurea a pieni voti e l’anno successivo il
Diploma di Magistero nella sezione di Filologia Classica 11. Ancor prima di laurearsi, prende a cuore lo studio del dialetto di Vanzone, divenendo apprezzato
collaboratore, sotto la guida del linguista Carlo Salvioni, dell’Opera del Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana12 (Figg. 4-6).
Inizia quasi subito ad insegnare materie letterarie in alcuni Licei piemontesi
(entrerà di ruolo nel 192013), affiancando l’attività di docente allo studio del cristianesimo delle origini. Dal 1914, i suoi contributi vengono pubblicati su riviste
scientifiche specializzate nel settore14. Parallelamente, abitando in una camera
sita nei pressi del Museo Egizio di Torino – che in quel periodo conosce un autentico rinnovamento per le scoperte archeologiche di Ernesto Schiaparelli – , si
innamora della Civiltà degli antichi Egizi. E’ proprio in quegli anni, infatti, che
egli comincia a frequentare il Museo torinese e ad approssimarsi, tramite gli insegnamenti dello Schiaparelli15, a quella scienza tanto ostica quanto affascinante
che è l’Egittologia. Sotto la sua guida, si occupa dell’ordinamento dei papiri torinesi appartenenti alla “Collezione Drovetti” e pubblica i suoi primi contributi 16
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un archivio storico.
Dalle pagelle di Giuseppe emerge anche che egli fu esonerato dagli esami ginnasiali (la legislazione di
quegli anni lo prevedeva) per aver ottenuto una media superiore agli 8/10 in tutte le materie (ASPRD).
CGB in CSB.
Missiva di Carlo Salvioni, da Milano, datata 1919 (ASPRD). Nella lettera, il Salvioni afferma che
Giuseppe è apprezzato collaboratore del Vocabolario dal 1911. Come confermatomi dal Prof. Franco
Lurà, Direttore del Centro Dialettologico di Bellinzona, le numerose schede redatte da Giuseppe (sono
diverse centinaia), ancora oggi vengono prese a riferimento dai redattori del Vocabolario (ACED). Si
veda anche GYSLING 1929, 87-190.
Insegnerà nei licei di Aosta, Asti, Vercelli e Torino (CGB in CSB).
“Bollettino di Filologia classica”, “Didaskaleion”, “Historia”, “Il Mondo classico”.
Da alcuni taccuini di appunti, possiamo presumere che tra il 1915 ed 1916 risalgono le prime lezioni
prese dal Maestro Schiaparelli (CSB).
Per l’elenco delle sue prime pubblicazioni, rimando a BOSTICCO 1967 oppure a M. BOTTI 2010b.
Papyrotheke 1 (2010) ― 7
tramite i Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei 17. Le promesse dell’illustre biellese, gli danno da intendere che lo avrebbe presto nominato suo assistente all’Università18, per prepararlo come successore alla direzione del Museo
Egizio: le cose purtroppo non andranno così. Nel 1928, con la morte del Maestro,
viene incaricato dal Ministero, alla guida del museo torinese, Giulio Farina, che
si dimostra subito avverso alla presenza del Botti, avendo una formazione ed
un’ideologia completamente opposte alle sue19. Nello stesso anno, ad attenuare lo
sconforto per la perdita del mentore, si presenta la pubblicazione del prestigioso
volume Il Giornale della necropoli di Tebe, scritto in collaborazione con un allievo del Gardiner, Tomas Eric Peet20. L’opera, come ci fa sapere il Prof. Silvio
Curto21, riguarda “(…) i papiri di Deir el-Medina, che, tradotti da Giuseppe Botti
ed Eric Peet, hanno fatto conoscere il giornale di contabilità dell’organizzazione
operaia di Stato, residente nella città, illuminando un campo già ignoto, ossia
quello dell’organizzazione del trattamento economico dei lavoratori, inoltre apportando notizie di grande interesse circa la loro vita giornaliera e i primi saccheggi delle tombe reali”.
Attraverso l’importante volume, la fama del giovane egittologo valica i confini nazionali e comincia ad attirare l’attenzione delle maggiori Scuole Orientali
europee22.
4. L’esonero dall’insegnamento e la nuova vita fiorentina
Per ottenere sviluppi concreti inerenti le sue prospettive di ricercatore, deve
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In questi anni aveva anche intrapreso la ricomposizione dei frammenti di uno dei più famosi papiri
conservati nel museo torinese: il “Papiro Regio” o “Canone Reale”, che presenta la lista dei faraoni
sino alla XVII Dinastia (CGB in CSB). L’inimicizia del Farina, però, gli precluse la continuazione del
lavoro. Solo nel dopoguerra, con la nomina di Ernesto Scamuzzi a nuovo Direttore del museo, Giuseppe poté collaborare con il Černý (si occupò del “riesame” dei frammenti, mentre l’egittologo cecoslo vacco redasse la trascrizione del testo in geroglifico) alla pubblicazione di GARDINER 1959.
GADDO 1988, 42-7.
DONADONI 1971, 125-43; ROCCATI 2008, 282-3.
BOTTI/PEET 1928.
CURTO 1990, 188.
GRIFFITH 1928, 206-7; ČERNÝ 1928, 58-61; DAWSON 1928, 979-85; SPIEGELBERG 1930, 550-1.
8 ― M. Botti, Dai papiri al web
attendere sino al 1932, anno in cui verrà esonerato dall’insegnamento per essere
comandato presso la Sezione Egizia del Museo Archeologico di Firenze, al fine
di riordinarne la collezione e soprattutto per studiare i papiri ieratici e demotici
scoperti presso l’oasi del Fayyum da Carlo Anti23, Direttore della Missione Archeologica Italiana in Egitto (Fig. 7). Nel sito di Tebtynis, infatti, il 10 marzo
193124, il Prof. Anti porta alla luce una grande quantità di materiale papiraceo,
conservato in due ripostigli sotterranei delle abitazioni addossate internamente al
lato Est del grande muro di cinta del santuario di Souchos/Soknebtynis25, che verrà riposto in quattro valigie metalliche e affidate al papirologo Girolamo Vitelli 26.
Quest’ultimo le consegna a Giuseppe, nel luglio del 193327 (Figg. 8-9).
Negli anni accademici ’32-33, ’33-34 e anche nel 1939, sempre su esonero del
Ministero e grazie ad un contributo di 3.000 Lire stanziato dalla Fondazione Volta28, prende parte ai corsi di demotico tenuti da František Lexa all’Università Carlo IV di Praga e di neoegiziano sotto la guida dell’apprezzato ieratista Jaroslav
Černý29. Nell’incantevole capitale ceca, infatti, Giuseppe riesce non solo a completare il suo bagaglio culturale relativo all’acquisizione degli strumenti idonei
alla traduzione di tutte le differenti scritture dell’antico Egitto (geroglifico, ieratico, demotico e copto), bensì a coltivare la sua più grande amicizia, nata anni addietro tra le pareti del museo torinese, proprio con il Černý (Figg. 10-12).
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Lo stesso Anti scrisse una significativa lettera al Ministro dell’Educazione Nazionale, spedita da Padova il 4 agosto 1932, nella quale chiedeva di esonerare Giuseppe dall’insegnamento e di comandarlo
presso la Sezione egiziana del museo fiorentino, perché “senza l’opera del Botti si corre il rischio di
non poter nemmeno iniziare il lavoro e quindi di perdere il prezioso complesso di papiri” (ASMAF).
BOTTI 1936. Si veda anche GALLAZZI 1992 e ANDORLINI 2004.
Il nostro egittologo pubblicò, per gli Analecta Aegyptiaca dell’Editore Munksgaard dell’Università di
Copenhagen, un importante studio su un papiro riguardante questo specifico argomento, ancora oggi
considerato un classico della letteratura accademica sul Fayyum (BOTTI 1959).
In ragione degli accordi presi tra Anti e Vitelli: il primo, a capo della Missione Archeologica italiana,
mentre il secondo, dell’Istituto di Papirologia di Firenze.
BOTTI 1951, 192.
Verbale della seduta del 9 marzo 1934, Consiglio della Fondazione Volta: “Su proposta di S. E. Paribeni, al Dott. Giuseppe Botti, già noto per importanti studi su papiri egizi, al fine di procedere a studi
sul demotico a Praga, £. 3.000” (ASAL).
Relazione di Giuseppe spedita da Firenze al Presidente della Reale Accademia d’Italia, datata 2 otto bre 1934 (ASAL).
Papyrotheke 1 (2010) ― 9
Al suo ritorno in patria, presso il museo fiorentino si prodiga in un’impresa alquanto ardua30, per catalogare e ordinare l’enorme collezione posseduta dalla Sezione Egizia31. Nel 1939, all’uscita del brevissimo ma significativo studio su Il
papiro demotico n° 1120 del Museo Civico di Pavia 32, egli viene definito, a tutti
gli effetti, come il “primo demotista” nella storia dell’Egittologia italiana 33: un
primato reso ancor più significativo dal fatto che, stanti le intrinseche difficoltà
interpretative della scrittura demotica, ai suoi tempi tale settore di studio contava
non più di 5-6 specialisti al mondo.
Nel 1941, con la pubblicazione del volume Testi demotici, riguardante i testi
demotici (papiri e ostraka) conservati presso i Musei di Firenze, Napoli e Bologna (Fig. 13), la sua fama si rinsalda oltre i confini nazionali 34, facendosi giustamente apprezzare anche all’estero per la specializzazione in questo difficilissimo
campo35.
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Lo si può intuire dal contributo di DEL FRANCIA 2001, 9 nn. 25-6, che segnala alcuni suoi errori.
Per l’importanza ed il numero dei reperti conservati, il Museo Egizio di Firenze è considerato secondo, in Italia, solo a quello di Torino.
BOTTI 1939b; in PERNIGOTTI 2000, 107, è definito “un eccellente articolo”. PERNIGOTTI 2008, 80, riferendosi alla ristampa di questo articolo, scrive: “L’articolo del Botti è stato pubblicato senza alcuna modifica: solo le note presentano ora una numerazione diversa rispetto all’originale, perché una, ormai inutile, è stata soppressa e ho rinumerato quelle contenenti accanto al numero l’indicazione bis che mi
sembrava poco elegante; per il resto nulla è stato mutato: si tratta di un’opera, questa del Botti, che ha
ben resistito, una tra le molte sue, al trascorrere del tempo e al progredire, assai rapido del resto, degli
studi demotistici”. Ringrazio vivamente il Prof. Pernigotti per questa espressione di stima e considerazione verso il mio avo e la sua produzione scientifica.
Si veda, a tale proposito, CORRADI 1941, 142-4. In verità, la Prof.ssa Edda Bresciani (BRESCIANI 1972)
scrive: “Ricordo, come fatto singolare e isolato nel mondo egittologico italiano del tempo, che F. Rossi, professore di Egittologia a Torino tra il 1866 e il 1909, dedicò un suo studio al testo del racconto di
Setne”. Alla nota n° 2, la Bresciani specifica: “Il romanzo di Setna, trascritto dal testo demotico in geroglifico. La novella della vergine Eudomia, sorella dell’imperatore Costantino, un testo copto-tebano
(manoscritto litografato) s.l.186.” Quindi già Francesco Rossi aveva avuto un primo approccio con il
demotico; malgrado ciò, non mi risulta che l’illustre professore avesse approfondito i suoi studi in tale
direzione. Anche se la sua produzione scientifica fu estremamente poliedrica e la sua opera di Maestro
mai abbastanza apprezzata, il Rossi non fu considerato “demotista”, perché, come abbiamo appena visto, l’interesse dell’egittologo verso i testi demotici fu soltanto superficiale, senza una produzione
continuativa e approfondita quale può essere considerata quella del nostro Giuseppe o, ad esempio,
quella della stessa insigne egittologa Edda Bresciani.
CALDERINI 1941, 171; VERGOTE 1942, 161-2.
Nel necrologio stilato da B. van de Walle, l’egittologo belga scriverà di Giuseppe: “(…) a eu le rare
mérite de consacrer son principal effort à l’étude du démotique, s’acquérant dans ce domaine une maîtrise universellement reconnue” (VAN DE WALLE 1969, 298-9).
10 ― M. Botti, Dai papiri al web
Nel 1942, presso l’Università degli Studi di Firenze, ottiene la libera docenza
in Egittologia36, che gli consente di tenere i suoi primi corsi universitari negli
anni accademici 1942-4337 e 1951-5238.
L’attività di pubblicazione, soprattutto per ciò che concerne la traduzione e lo
studio di testi e pezzi inediti, prosegue su riviste specializzate italiane ed estere, e
su importanti miscellanee di studi39. Verso la metà degli anni ’40, inizia la collaborazione con il demotista Aksel Volten40, dell’Università di Copenhagen, in ragione del fatto che alcuni frammenti di papiri provenienti da Tebtynis furono riconosciuti congeneri41 dei frammenti appartenenti all’Università danese. Dopo le
ripetute visite del Volten a Firenze, è la volta delle “missioni” 42 di Giuseppe a
Copenhagen, per giovarsi dei reciproci risultati soprattutto inerenti lo studio, tanto atteso dalla comunità scientifica internazionale, dei papiri riguardanti una nuova edizione del “Romanzo del Faraone Petubastis” 43, rimasto purtroppo inedito
per la morte del danese, avvenuta nel 1963.
5. Il primo concorso italiano per una Cattedra di ruolo di Egittologia
Nel dicembre del 1955, Giuseppe vince il primo concorso italiano indetto dal
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Gli verrà confermata nell’immediato dopoguerra, come risulta dall’estratto del “verbale del Consiglio
di Facoltà di Lettere e Filosofia, adunanza del 21 dicembre 1950” (ASUFP).
“Programma del Dott. Giuseppe Botti per il Corso libero di Egittologia nell’anno accademico 194243” allegato alla richiesta indirizzata al Magnifico Rettore dell’Università di Firenze, datata
29.09.1942 (ASUFP).
“Programma del Corso libero di Egittologia”, anno accademico 1951-52, 30 maggio 1951 (ASUFP).
Per un elenco delle riviste e delle miscellanee di studi su cui furono pubblicati i suoi contributi, si
veda M. BOTTI 2008a, 203 nn. 35-6, oppure la bibliografia completa in M. BOTTI 2010c, 247-54.
Dalla collaborazione con il Volten vide la luce lo studio Florentiner Fragmente zum Texte des Pap.
Insinger (BOTTI/VOLTEN 1960, 29-42).
DONADONI 1968, 379-82.
Come testimonia la richiesta di A. Minto (Direttore del Museo Archeologico di Firenze) al Ministero
della Pubblica Istruzione, datata 22 novembre 1949. Alla missiva venne allegata la relazione di Giuseppe, al fine di essere inviato a Copenhagen, per integrare lo studio dei frammenti demotici italiani
con quelli danesi, assieme al collega Volten (ASMAF).
La Prof.ssa Edda Bresciani, che è stata allieva del Volten e ricevette da quest’ultimo le schede delle
traduzioni e trascrizioni dei frammenti di Firenze e Copenhagen, riporta i tratti salienti dell’opera in
BRESCIANI 2007, 945-50 (pubblicati anche in BRESCIANI 1990, 103-7).
Papyrotheke 1 (2010) ― 11
Ministero della Pubblica Istruzione per una Cattedra di ruolo di Egittologia presso l’Università di Milano44. Tuttavia, all’inizio del 1956, è chiamato ad occupare
la Cattedra appena costituita presso l’Università “La Sapienza” di Roma 45.
Nel 1960 la prestigiosa Casa Editrice “Treccani” gli commissiona 46, per l’Enciclopedia dell’arte antica classica e orientale, la voce Egittologia.
Il 1° novembre del 1965, per raggiunti limiti d’età, viene collocato “a riposo”
(Fig. 14): termina così la sua breve, ma significativa, carriera di docente universitario47. Ed è un periodo assai triste 48 per il nostro studioso, che aveva trovato, nell’insegnamento ufficiale della sede romana, una speranza per la formazione delle
“nuove leve”49 in campo egittologico.
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Estratto dal “Bollettino Ufficiale” del Ministero della Pubblica Istruzione, parte II, del 22 marzo 1956,
n° 12: Relazione della Commissione giudicatrice del concorso per professore straordinario alla cattedra di egittologia dell’Università di Milano. Nel concorso, al secondo posto arrivò nientemeno che il
Prof. Sergio Donadoni, il quale fu suo successore nella Cattedra di Egittologia che venne poi istituita
presso l’Università “La Sapienza” di Roma.
Nel febbraio del 1956 salì in cattedra in qualità di “docente straordinario”; nel febbraio del 1959, passato il consueto triennio solare di insegnamento, dopo apposito esame della commissione ministeriale,
venne nominato “docente ordinario” e dal 1° novembre del 1960, collocato “fuori ruolo”: in tale veste
insegnò nei corsi accademici dal 1960 al 1965, presso la “Scuola di Perfezionamento di Studi Orientali” dell’Università “La Sapienza”, che avranno come oggetto “La religione del Fayyum” e “La necropoli di Tebe”. Nel novembre del 1965, per raggiunti limiti d’età, venne collocato “a riposo” (ASPRD
e CSB). Per la lettura dei documenti riguardanti la nascita, le sorti iniziali della Cattedra di Egittologia
all’Università “La Sapienza” di Roma e l’operato di Giuseppe in tale contesto, rimando a M. BOTTI
2010b e M. BOTTI 2010c.
La richiesta gli pervenne da parte del curatore, l’archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli, con missiva
del 6 marzo 1958 (CSB).
Il Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Gui (Governo Moro II), in occasione del suo collocamento
a riposo per raggiunti limiti di età, gli inviò una bellissima lettera, datata 17 maggio 1965, al fine di
complimentarsi per la “Sua illuminata opera di Scienziato e di Maestro” (ASPRD).
CURTO 1967a, 251.
Oltre ad esser stato docente, presso l’Università, dei maggiori egittologi che oggi costituiscono l’apice
del sapere nelle discipline afferenti all’Egittologia e all’Orientalistica (ad es. il Prof. Alessandro Roccati, il Prof. Mario Liverani, il Prof. Paolo Matthiae, la Prof.ssa Luisa Bongrani Fanfoni, la Dott.ssa
Anna Maria Donadoni Roveri, ecc.), Giuseppe fu apprezzato Maestro in via “informale” di molti altri
illustri egittologi e studiosi (il Prof. Silvio Curto e il Prof. Sergio Bosticco furono suoi affezionati di scepoli, ma anche la Prof.ssa Claudia Dolzani, l’Ing. Celeste Ambrogio Rinaldi, il Dott. Vita Giuseppe
Maragiolio, il Dott. Guglielmo Maetzke, ecc.).
12 ― M. Botti, Dai papiri al web
6. Il suo lavoro al Museo Archeologico di Parma
Nel dopoguerra, è invitato a curare il riordinamento, nonché la pubblicazione
dei relativi cataloghi, di diverse collezioni egizie conservate nei musei di Cortona
(dell’Accademia Etrusca)50, del Gregoriano Egizio del Vaticano51 e di Parma (del
Museo Archeologico). A dire il vero, l’interesse del nostro egittologo verso la
collezione egizia parmense venne dimostrato già nel corso degli anni ’30, in particolar modo per un piccolo, ma importante, papiro funerario, risalente al I secolo
d.C. e di provenienza tebana, che egli pubblicò con il titolo Il libro per entrare
nel mondo sotterraneo e per raggiungere la sala della verità 52. Il testo, molto
complesso, in ieratico, riguarda la letteratura funeraria sviluppatasi fra il primo
secolo avanti e il primo dopo Cristo, e riporta frasi augurali – già presenti su stele
e sarcofagi del Medio e Nuovo Regno – dei Testi delle Piramidi e del Libro dei
Morti.
All’inizio degli anni ’60, in vista del nuovo allestimento del Museo Archeologico di Parma53, Giuseppe viene chiamato a studiare la collezione egizia 54 al fine
di redigerne un catalogo completo55. Tale opera, come mi è stato confermato dalla Dott.ssa Roberta Conversi, curatrice della collezione, è ancora estremamente
attuale, tanto da essere tuttora il testo che la rappresenta.
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BOTTI 1955.
Di questo museo pubblica l’intero catalogo inerente le sculture (BOTTI/ROMANELLI 1951).
BOTTI 1939a.
L’inaugurazione della Sezione Egizia avvenne nel 1965. Il nuovo allestimento del Museo venne curato dal Direttore dello stesso, Dott. Antonio Frova, e dall’architetto Leone Pancalli.
La collezione non è molto grande in quanto a numero di reperti, tuttavia annovera tra i suoi pezzi alcuni esemplari di grandissimo pregio, come il sarcofago del sacerdote Shepsesptah, della XXVI Dinastia, che è stato recentemente restaurato (nel 2006) tramite un intervento “in diretta”, diretto dalla
Dott.ssa Elisa Fiore Marochetti, dove i visitatori del museo hanno potuto assistere ai lavori dei restau ratori. La Dott.ssa Fiore Marochetti ha anche pubblicato un significativo contributo sullo studio del
sarcofago dopo il restauro, gettando nuova luce sull’identificazione del sacerdote Shepsesptah (FIORE
MAROCHETTI 2007). Nel settembre del 2009, grazie alla Fondazione Cariparma, la Sezione egizia è stata
arricchita dalla prestigiosa collezione Magnarini, comprendente più di 400 scarabei-sigillo concessi in
comodato d’uso.
BOTTI 1964a. Quasi in contemporanea esce anche il suo contributo Illustri dignitari dell’antico Egitto
ospiti nel Museo di Antichità di Parma, nel quale tratta uno studio su alcuni reperti afferenti ad importanti funzionari egizi (BOTTI 1964b).
Papyrotheke 1 (2010) ― 13
Un importante studio su un rilievo parietale presente nella collezione egizia
parmense, è pubblicato dal Botti nel 196356, l’anno precedente l’uscita del catalogo, proprio per la singolarità della scoperta effettuata nel corso dello studio dei
cimeli. Si tratta di un rilievo parietale proveniente dalla tomba di un dignitario, di
cui non si conosceva il nome perché mancante nel testo, a causa della frattura che
ha interrotto la completezza dei bei caratteri geroglifici eseguiti in rilievo. Tramite un perspicace esame ed attraverso la comparazione con altri pezzi che riportavano titoli simili a quelli del rilievo esaminato, Giuseppe individua l’identità del
dignitario nel generalissimo ’Imn-m-int (Amenemone). Non solo, egli riesce anche a datare con precisione l’epoca in cui il generale visse e per quale faraone 57
prestò la sua opera: informazioni, queste, sino ad allora soltanto ipotizzate (ed in
modo erroneo) da altri egittologi58.
7. Gli ultimi anni di vita
Nel febbraio del 1967, per le “insigni benemerenze di Studioso e di Maestro”
, gli viene conferita l’onorificenza di “Commendatore al Merito della Repubblica Italiana”. Nello stesso anno, quando i suoi contributi superano ormai la settantina, esce L’Archivio demotico da Deir El-Medineh, la sua opera più significativa, che inaugura le pubblicazioni del Catalogo (generale) del Museo Egizio di
Torino, edita dalla Casa Editrice “Le Monnier” grazie all’ingente contributo di
25.000.000 di vecchie Lire stanziato dal CNR60.
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BOTTI 1963, 10-3.
Amenophis III (1405-1370 a.C.).
Tramite i contributi di WIEDEMANN 1884, RANKHE 1931 ed HELCK 1960, erano già state rese note le cariche del dignitario, datando però la sua esistenza sotto i faraoni Haremheb e Thutmosis III. Nel rilievo
di Parma, la raffigurazione del dignitario nella veste di “porta ventaglio alla destra del Re” - carica
onorifica istituita dal faraone Amenophis III - offre a Giuseppe la chiave, appunto, per la corretta datazione.
Comunicazione del Magnifico Rettore dell’Università “La Sapienza” di Roma, datata 1° febbraio
1967 (ASPRD).
ROCCATI 2006. Si vedano anche CURTO 1967b, 87-8; BRESCIANI 1969, 76; EL-AMIR 1969, 85-120;
ZAUZICH 1969, 337-40. Dei medesimi papiri demotici, lo stesso Zauzich ne ha riproposto diverse revisioni, nei primi numeri di “Enchoria” (ZAUZICH 1971, 43-56; ZAUZICH 1972, 85-95; ZAUZICH 1973, 6370).
14 ― M. Botti, Dai papiri al web
La sua ultima fatica, riguardante Il libro del respirare, viene pubblicata nel
1968 dal “Journal of Egyptian Archaeology”, nel numero dedicato all’amico Jaroslav Černý, dalla Egypt Exploration Society di Londra. Mentre, tra gli importanti lavori inediti, è certamente da ricordare il volume Testi demotici II61, che
avrebbe dovuto avere per oggetto la traduzione e lo studio dei testi demotici presenti nel Museo Gregoriano Egizio del Vaticano.
Benché Giuseppe avesse donato l’intera sua esistenza allo studio della Civiltà
Egizia, nella terra dei Faraoni non mise mai piede. Anzi, alla frequente domanda
che gli veniva posta su questa sua mancata diretta esperienza, egli replicava con
sarcasmo: “Perché, forse gli astronomi vanno sulle stelle?”62.
Nel 1968, dopo alcuni mesi di declino – aveva già accusato nel corso della
primavera un affaticamento dovuto a scompensi cardiaci – il 27 dicembre, presso
l’Ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze, Giuseppe 63 termina la sua esistenza
terrena64. Per testamento, la sua ricca biblioteca di oltre mille volumi e tutti i suoi
carteggi e schedari, vengono donati al Museo Egizio di Torino65 (Figg. 17-18).
MARCO BOTTI
Pieve Vergonte (VB)
[email protected]
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Ne ho trovato diverse parti, costituite da appunti e trascrizioni, nei CSB. Si veda inoltre ALBAREDA
1947, 170, e NORSA 1952, 232. Anche le tre missive raccolte negli ASMV, Busta Artisti e Formatori
(14/09/55 – 16/10/55 – 31/10/55), dove Giuseppe autorizza i Musei Vaticani a dare al Prof. Parker notizie e foto circa il papiro ieratico 10574, che lui stesso non intende pubblicare, confermano che i lavori “in corso” vertevano esclusivamente sul materiale demotico presente in Vaticano.
PUGLIESE CARRATELLI 1986, 9.
C’è una particolarità da segnalare: il nostro Giuseppe fu soprannominato “Secondo”, per distinguerlo
dal suo omonimo (1853-1903), fondatore del Museo Greco-Romano di Alessandria d’Egitto. Per ulteriori informazioni inerenti gli scritti ed i lavori del Giuseppe Botti “Primo”, si veda CURTO 1994, 7180.
Fu sepolto a Vanzone, nella tomba della famiglia Bozzo, parenti a lui molto devoti.
Il fondo librario è conservato presso la biblioteca del museo, mentre gli schedari ed i carteggi sono
stati custoditi in un deposito speciale della Soprintendenza (CSB) e, attualmente, in più riprese, stanno
confluendo presso l’Archivio di Stato di Torino.
Papyrotheke 1 (2010) ― 15
Bibliografia66
Sigle degli archivi citati
ACED
Archivio del Centro Etnografico e Dialettologico di Bellinzona (CH).
ACP
Archivi di collezioni private.
ASAL
Archivio Storico dell’Accademia Nazionale dei Lincei, Roma.
ASMAF
Archivio Storico del Museo Archeologico di Firenze, Sezione Egizia.
ASMV
Archivio Storico dei Musei Vaticani.
ASPRD
Archivio Storico dei Padri rosminiani di Domodossola.
ASUFP
Archivio Storico dell’Università di Firenze, Personale docente.
CSB
Carteggi e schedari “Botti”, custoditi presso un deposito speciale della
Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo Egizio di
Torino.
A. M. ALBAREDA (1947), ed., The Books Published by the Vatican Library, 1885-1947, Citta del
Vaticano.
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Vitelli" a Firenze, in Res severa verum gaudium. Festschrift für Karl-Theodor Zauzich
zum 65. Geburtstag am 8. Juni 2004, eds. F. HOFFMANN, H.J. THISSEN,
Leuven/Paris/Sterling, 13-26.
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Botti, OA 6, 3-7.
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preliminare, in Atti del IV Congresso Internazionale di Papirologia (Milano, 28 aprile-2
maggio 1935), Milano, 217-23 (rist. 1976).
G. Botti (1939a), Il libro per entrare nel mondo sotterraneo e per arrivare nella sala della
Verità. Da un papiro ieratico funerario del Museo di Antichità di Parma, “Atti della
Società ‘Colombaria’ Fiorentina” 20 (1938-9), 1-12.
G. BOTTI (1939b), Il papiro demotico n° 1120 del Museo Civico di Pavia, in “Bollettino storico
pavese”, II/2, 1-22; ristampato senza tavole in REAC 10 (2008), 81-95, a cura di S.
Pernigotti
G. BOTTI (1941), Testi demotici, I, Firenze.
G. BOTTI (1951), Il carro del sogno (Per un grato ricordo personale), “Aegyptus” 31, 192-8.
66
Si indicano qui le sigle utilizzate per particolari opuscoli oppure per riviste non abbreviate dall’Année
Philologique: AAA = “Annals of Archaeology and Anthropology”, Liverpool; BIFAO = BIAO;
SEAP = “Studi di Egittologia e di Antichità Puniche”, Bologna.
16 ― M. Botti, Dai papiri al web
G. BOTTI (1954), Opuscolo per i 100 anni della casa di Roletto (ACP).
G. BOTTI (1955), Le antichità egiziane del Museo dell’Accademia di Cortona ordinate e
descritte, Firenze.
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Copenhagen.
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Torino. Ser. I: Monumenti e testi, I), Firenze.
G. BOTTI, P. ROMANELLI (1951), Le sculture del Museo Gregoriano Egizio, Città del Vaticano.
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Giuseppe Botti, Maestro dell’Egittologia italiana, in Almanacco Storico Ossolano 2009,
Domodossola, 179-205.
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tomba di Kha, ed. B. MOISO, Torino, 279-80.
M. BOTTI (2009a), Dalle Alpi alle Piramidi. Nel 120° anniversario della nascita di Giuseppe
Botti, “Il Rosa. Giornale di Macugnaga e della Valle Anzasca” 48.2, 4.
M. BOTTI (2009b), Un egittologo dalle Alpi alle Piramidi. La straordinaria avventura culturale
di Giuseppe Botti di Vanzone, pioniere negli studi della scrittura demotica degli antichi
egizi, “Le Rive” 19 (luglio-agosto 2009), Gravellona Toce, 8-13.
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M. BOTTI (2010c), Dal Monte Rosa alla Terra dei Faraoni. Giuseppe Botti, una vita per i papiri
dell’antico Egitto, Trento (in corso di stampa).
M. BOTTI (2010d) Giuseppe Botti, un Maestro dell’Egittologia italiana di origini bedoniesi,
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Papyrotheke 1 (2010) ― 17
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13, 103-7.
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http://www.filippocrea.it/index.php?option=com_content&view=article&id=310:giusepp
e-botti-il-famoso-egittologo-partito-da-vanzone&catid=36:cultura&Itemid=67>.
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K.-T. ZAUZICH (1969), recensione a BOTTI 1967, BO 26, 337-340.
K.-T. ZAUZICH (1971), Korrekturvorschläge zur Publikation des demotischen Archivs Deir elMedineh, I, “Enchoria” 1, 43-56.
K.-T. ZAUZICH (1972), Korrekturvorschläge zur Publikation des demotischen Archivs Deir elMedineh, II, “Enchoria” 2, 85-95.
K.-T. ZAUZICH (1973), Korrekturvorschläge zur Publikation des demotischen Archivs Deir elMedineh, III, “Enchoria” 3, 63-70.
Papyrotheke 1 (2010) ― 19
Fig. 1: Un locale della caratteristica casa
di Roletto (Vanzone), ove Giuseppe crebbe
con i nonni paterni.
Fig. 2: Giuseppe in una foto del 1906,
studente a Novara.
20 ― M. Botti, Dai papiri al web
Fig. 3: Le pagelle di Giuseppe (per l’ottima media dei voti, superiore agli 8/10, venne
esonerato dagli esami ginnasiali).
Papyrotheke 1 (2010) ― 21
Fig. 4: Giuseppe con il nonno paterno, suo omonimo, in un’immagine degli anni ’10.
Fig. 5: I fratelli e le sorelle Botti nel Natale del 1913 (Giuseppe è il terzo da sinistra).
22 ― M. Botti, Dai papiri al web
Fig. 6: Una bella immagine di Giuseppe agli inizi degli anni ‘10
Papyrotheke 1 (2010) ― 23
Fig. 7: Missiva di Carlo Anti al Ministro dell’Educazione Nazionale, con la richiesta di
comandare Giuseppe presso la Sezione Egizia del Museo Archeologico di Firenze.
24 ― M. Botti, Dai papiri al web
Fig. 8: Foto della “Valigia C”, contenente i frammenti dei papiri di Tebtynis, ricomposti e studiati da G. Botti (l’immagine è stata fortunosamente “riscoperta” dallo scrivente tra gli appunti sparsi ed i carteggi dello Schiaparelli e dello stesso Botti conservati in
un armadio presso il Museo Egizio di Firenze; è qui proposta grazie alla squisita cortesia della Dott.ssa Maria Cristina Guidotti, Direttrice del Museo)
Fig. 9: Foto della “Valigia A”, contenente i frammenti dei papiri di Tebtynis (immagine
ricavata dal sito web dell’Università di Berkeley e già pubblicata da BOTTI 1936)
Papyrotheke 1 (2010) ― 25
Fig. 10: Giuseppe a Praga per studiare il Demotico, 18.02.1934.
26 ― M. Botti, Dai papiri al web
Fig. 11: Giuseppe a Praga, 26.11.1933. Il primo da sinistra è il celebre ieratista
Jaroslav Černý.
Fig. 12: Uno dei numerosi taccuini di Giuseppe, utilizzati per i suoi esercizi negli studi
sul Demotico.
Papyrotheke 1 (2010) ― 27
Fig. 13: Una tavola illustrativa edita in
BOTTI 1941.
Fig. 14: Missiva del Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Gui a Giuseppe, in
occasione della sua collocazione a riposo
per raggiunti limiti di età.
Figg. 15-16: Un paio di tavole illustrative edite in BOTTI 1958.
28 ― M. Botti, Dai papiri al web
Figg. 17-18: La biblioteca “Giuseppe Botti”, presso la biblioteca del Museo Egizio di
Torino, prima di essere trasferita nei nuovi locali della Biblioteca Nazionale
Universitaria.
MATERIALI e DISCUSSIONI
Papyrotheke 1 (2010) ― 31
Lavori per un ualetudinarium
in T.Vindol. II 155
Del contributo recato dai testi vergati ad inchiostro sulle sottili tavolette lignee
rinvenute presso il forte romano di Vindolanda1, l’odierna Chesterholm, non lontano dalla frontiera segnata dal Vallo di Adriano nella Britannia romana, si sono
occupati in anni recenti alcuni studiosi di medicina antica2.
L’interesse dei dati testuali è accresciuto dal fatto che, alle scarne ma precise
informazioni sull’esistenza di operatori professionali di medicina e veterinaria
(T.Vindol. II 156; II 181; III 586), di strutture di assistenza e ricovero (T.Vindol.
II 155-156; III 632), nonché della presenza di ammalati (T.Vindol. II 154; II 294)
e dell’uso di medicamenti (T.Vindol. II 591-592), si accompagna qualche dato
archeologico originale come il ritrovamento in situ di strumentazione di chirurgia
veterinaria (T.Vindol. II 310)3.
A proposito del testo di T.Vindol. II 155 (Vindolanda Inventory No. 195,198
= T.Vindol. I 1, Plate I, 1), un rapporto militare dei lavori assegnati ad uomini di
servizio al forte databile al 90 d.C., editori e commentatori hanno sottolineato l’e-
1
2
3
In un ottimo website dell'Università di Oxford, fornito di un motore di ricerca interna, è disponibile
quasi tutto il materiale pubblicato e sono consultabili le immagini digitali delle tavolette, oggi conservate al British Museum di Londra (si veda all'indirizzo <http://vindolanda.csad.ox.ac.uk>).
NUTTON 2004, 179-81; CRUSE 2004, 89, 101, 170. Da ultimo HANSON 2010, 200. Sulle tavolette con dati
di carattere ‘medico’ è stata svolta nell’Università degli Studi di Parma la tesi di Laurea Triennale di
A. Oppici, Medici, malattie e cure nelle tavolette di Vindolanda (a.a. 2007/8; cfr. <http://www.papirologia.unipr.it/didattica/tesi/tesi1.html>.
T.Vindol. II 310: cfr. ADAMS 1990. Tracce archeologiche di un ualetudinarium nell’area del forte non
sono ben rintracciabili (per alcune ipotesi di collocazione degli edifici si possono consultare le
ricostruzioni proposte in <http://vindolanda.csad.ox.ac.uk/exhibition/army-1.shtml>). A soli 3 km da
Vindolanda, nel forte di Housesteads (l’antica Vercovicium), che forse rimpiazzò quello di Vindolanda, sussisterebbero prove dell’esistenza di una struttura ospedaliera (cfr. WILMANNS 1995, 109).
32 ― I. Andorlini, Lavori per un ualetudinarium in T.Vindol. II 155,6
sistenza a Vindolanda di un ualetudinarium4, una struttura interpretabile come un
primo luogo di cura organizzato e destinato ai legionari romani stanziati in zone
di frontiera5.
Questo il testo della tavoletta nella ricostruzione e traduzione degli editori:
Da questo frammentario ma prezioso documento ricaviamo l’informazione
che alcune maestranze del forte, assegnate a specifici lavori nelle officine (fabricae) di cui era dotata la sede di Vindolanda, erano impegnate, tra l’altro, nella co4
5
Cfr. BOWMAN/THOMAS 1994, 98-100, n. 155 [qui = ed.alt.]; nella nota a T.Vindol. 155, 6 osservano:
“Perhaps a reference to the building of a hospital, cf. 156.2-3 (where hospitium = “residence”). The
presence of such a facility at Vindolanda is clearly implied by 154.21-5”.
Cfr. WILMANNS 1995, 103-6; JACKSON 1988, 134-5. Resti importanti di valetudinaria della prima età imperiale sono stati rinvenuti nella Germania settentrionale a Castra vetera (odierna Xanten), a Novaesium (odierna Neuss) e a Inchtuthil in Britannia (a nord del Vallo di Adriano): per un aggiornato prospetto dei resti archeologici di ualetudinaria in Germania e in Britannia, cfr. CRUSE 2004, 93-105.
Papyrotheke 1 (2010) ― 33
struzione di un ualetudinarium: il numero degli uomini assegnati all’impresa è
perduto nella lacuna a destra della linea 6.
La lettura proposta dagli editori alla linea 6 ([. .] . . a[ ] ualetudinar[ ) è apparsa da implementare sulla base di un “restauro virtuale” che ha portato ad un
migliore accostamento dei frammenti in cui risulta frantumata la tavoletta e così
riprodotti nell'immagine disponibile nel sito di Oxford.
Dall’osservazione della tavola si può notare a) che i due pezzi maggiori che
compongono la tavoletta (superiore e inferiore) non risultano, nel restauro, ben
allineati rispetto al margine sinistro, né perfettamente accostati; la probabile integrazione a]d ualetudinar[ium intorno alla metà della l. 6 fa supporre che precedesse un vocabolo indicante la categoria dei lavoratori impiegati, categoria che
34 ― I. Andorlini, Lavori per un ualetudinarium in T.Vindol. II 155,6
per confronto con gli addetti all’edificazione delle terme (supra l. 3) è riconoscibile negli structores; la lacuna a sinistra della lettera a, inoltre, appare più ampia
di quella indicata nell’edizione; b) sul bordo superiore del pezzo sottostante (al di
sopra di ad furnaces) rimangono chiare tracce di alcune lettere non trascritte dagli editori le quali, se allineate sullo stesso rigo del termine ualetudinarium, permettono di leggere ed integrare la parola s[t]ructor[es] della quale rimangono
tracce della testa di s, della coda di r dopo la lacuna di una lettera, e della sequenza uctor[; la traccia alta sul rigo dopo la frattura è imputabile al d di a]d.
Avremmo in questo punto una definizione in tutto parallela a quella della linea 3 che riguarda gli addetti all’edificazione delle terme del forte.
L’espressione s[t]ructor[es a]d ualetudinar[ium così riguadagnata a testo presuppone la costruzione di un edificio con funzione di ospedale proprio nel forte
romano, o nelle immediate vicinanze, una presenza già comunque intuibile dai
dati offerti da T.Vindol. II 154 (ll. 22-24), in cui sono registrate categorie di soldati ammalati, quali aegri, uolnerati e lippientes. Il vocabolo structores
(“costruttori” o “muratori”, cfr. OLD s.v.6) indica una professionalità generica
6
Gli structores potevano essere destinati a specifiche attività edilizie, come attesta la qualificazione di
structor(es) pa(v)eimentari che ricorre in una iscrizione di Bovillae in cui sono elencati per nome dei
liberti specializzati nell’edificazione di pavimenti (forse musivi?): cfr. AE 1979, n. 129 e DE ROSSI
Papyrotheke 1 (2010) ― 35
per gli homines impiegati al forte nell’allestimento di edifici di una certa
importanza come le terme (T.Vindol. II 155, 3) e un hospitium (T.Vindol. II 156,
2-3: missi ad hospiti[u]m cum Marco medico / faciendum structores n(umero)
xxx), termine che, nonostante la compartecipazione all’opera di un Marcus
medicus, doveva definire una struttura di ospitalità o di ricovero non
specificamente concepita per l’assistenza medica.
ISABELLA ANDORLINI
Università degli Studi di Parma
Dipartimento di Storia
[email protected]
Bibliografia
J.N. ADAMS (1990), The Forfex of the Veterinarius Virilis (Vindolanda Inv. No. 86/470) and
Ancient Methods of Castrating Horses, “Britannia” 21, 267-71.
A.K. BOWMAN, J.D. THOMAS (1994), The Vindolanda writing tablets (Tabulae Vindolandenses
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A. CRUSE (2004), Roman Medicine, Stroud (Gloucestershire, UK).
G.M. DE ROSSI (1979), Forma Italiae, Regio I, XV: Bovillae, Firenze.
A.E. HANSON (2010), Doctors’ Literacy and Papyri of Medical Content, in Hippocrates and
Medical Education. Selected Papers Presented at the XIIth International Hippocrates
Colloquium (Universiteit Leiden, 24-26 August 2005), eds. M. HORSTMANSHOFF, C. VAN
TILBURG, Leiden/Boston (SAM 35).
R. JACKSON (1988), Doctors and Diseases in the Roman Empire, London.
V. NUTTON (2004), Ancient Medicine, London.
1979, 359-61.
36 ― I. Andorlini, Lavori per un ualetudinarium in T.Vindol. II 155,6
J.C. WILMANNS (1995), Der Sanitätsdienst im Römischen Reich. Ein sozialgeschichte Studie zum
romischen Militarsanitatswesen nebst einer Prosopographie des Sanitatspersonals,
Hildesheim (“Medizin der Antike” 2).
Papyrotheke 1 (2010) ― 37
Dettagli sull’organizzazione degli antichi vigneti
(nota a P.Tebt. III/1 815, fr. 6, col. iii)*
La terza colonna di P.Tebt. III/1 815, fr. 6, risalente al terzultimo decennio del
III a.C. (Fig. 1), conserva parte di un contratto d’affitto di un appezzamento di
terreno coltivato e a pascolo, e fornisce dettagli importanti sulla coltivazione della vite1. Il papiro ci è pervenuto in discreto stato di conservazione, ma è scritto in
una corsiva tolemaica molto personale e approssimativa nella realizzazione delle
singole lettere, che rende la lettura difficoltosa in vari punti. Ai rr. 58 e 60 è degna di nota la presenza di una parola altrove inattestata, che LSJ 9 1657 s.v. II registra come ϲτύμα senza offrirne una traduzione2; e l’unica altra occorrenza del
termine, Hsch.  2062 H. s.v. ϲτυαγόν· τὸ ϲτύμα, παραγώγωϲ, non ne chiarisce il significato, essendo ϲτυαγόν un hapax3.
*
1
2
3
53
τ . . . ει καὶ τὸ κτῆμα ἐπιϲκάψει καὶ παραδείξει καθαρὸν ἀπὸ θρύου [
54
καὶ καλάμου καὶ πάϲηϲ βάτου δε[ . . . ] . . . . . . . . . . ν,
55
ἕξει δὲ τῶν φυτῶν <τῶν> ἐνκάρπων (δρ.) μ, τοῦ δὲ νομοῦ (δρ.) κ,
56
τῶν δὲ νεοφύτων (δρ.) ι, τοῦ δὲ ἀφόρου (δρ.) δ, ἀναϲτήϲει δὲ αὐτῶι
57
τοὺϲ περιπάτουϲ καθ’ ἕκαϲτον θρύον καὶ κάλαμον καὶ βάτον,
Ringrazio la Prof.ssa I. Andorlini e il Prof. G. Burzacchini per i preziosi suggerimenti, e il Dr. T. Hickey per aver permesso la riproduzione delle immagini.
Per le modalità di coltura della vite cfr. RICCI 1924, e per il lessico ANDORLINI 2007.
GI2 1982 s.v. ipotizza (seppur dubbiosamente) che il lemma sia da ricondurre a ϲτόμα, rifacendosi
probabilmente a Theoc. 29,25-6 ἀλλὰ πὲρρ ἀπάλω ϲτύματόϲ ϲε πεδέρχομαι / ὀμνάϲθην, dove
però ϲτύμα è variante dialettale (integrata anche in Sapph. fr. 58,10 V. ]νι θῆται ϲτ[ύ]μα[τι]
πρόκοψιν).
Cfr. anche MAYSER, Gram. I/3, 58.
38 ― A. Bernini, Dettagli sull’organizzazione degli antichi vigneti
58
τὰ δὲ ϲτύματα παρέξει Νικάνωρ. ἐὰν δὲ μὴ παρέχηι ἀλλὰ καὶ
59
ἄλλοϲ τινὰ αὐτῶι παρέχηϲ, ὑπολογήϲει εἰϲ τὸν φόρον οὗ ἂν τοὺϲ
60
[ . . ] . [ . ] . . ϲ ϲχῆι τιμὴν ἑκάϲτου ϲτύματοϲ καθ’ ὃ ἂν ἀγοράϲηι,
61
ὃ ὑπολογήϲει.
59 παρέχηϲ : l. παρέχηι 60 ϲτύματοϲ : ϲ ex υ correctum
Le letture ϲτύματα e ϲτύματοϲ dei rr. 58 e 60 non sono completamente sicure, infatti gli stessi editores principes notano come in questa grafia il μ sia realizzato in maniera analoga al λ e al π4, e di conseguenza bisogna prendere in considerazione le letture che contemplano λ e π.
r. 58: ϲτύματα
r. 60: ϲτύματοϲ
Le letture ϲτύπατα e ϲτύπατοϲ implicano una derivazione da un tema collaterale del neutro ϲτύποϲ, “stem, stump, block”5; ϲτύλατα e ϲτύλατοϲ, invece,
rimandano a ϲτῦλοϲ, che oltre al senso generale di ‘palo’ riveste il significato
specifico di “wooden pole”, come in E. fr. 203,2 K. e Plb. I 22,4, e soprattutto in
P.Cair.Zen. III 59353,6-12 (06.03.243 a.C.) κα|λῶϲ <οὖν> ποιήϲειϲ ἀξιώϲαϲ
τὸν | Ἕλενον ἀποδόϲθαι βŽ τε|τραπήχη εἰϲ ϲτύλουϲ καὶ βŽ γ καὶ πήχεων εἰϲ
| διατόναιον, ὀρθὰ καὶ πά|χη ἔχοντα, dove indica (r. 9) i ‘pali di sostegno’ laterali della tenda che vengono conficcati nel terreno6. In epoca più tarda dalla me4
5
6
P. 304, nota ad 58.
LSJ9 1657 s.v.
LSJ9 1657 s.v. ϲτῦλοϲ 3.
Papyrotheke 1 (2010) ― 39
desima radice si sviluppa un altro diminutivo neutro: ϲτυλάριον,
che compare successivamente in P.Iand. II 11,8 (III-IV d.C.) ed in P.Wash.Univ. I
59,6 (V d.C.).
La presenza di ϲτῦλοϲ e del corradicale neutro ϲτυλάριον, unitamente alla
constatazione della notevole somiglianza con il λ di ξύλον al r. 63, fa propendere
per le letture ϲτύλατα e ϲτύλατοϲ. Considerando poi che l’ultima lettera dello
ϲτύματοϲ trascritto nell’ed.pr., incerta, assomiglia a un υ scritto in due tratti7
piuttosto che a un ϲ, al r. 60 è opportuno leggere ϲτυλάτου, che implica un nominativo ϲτύλατον.
Una breve riflessione sul significato di questo termine porta a ritenere che gli
ϲτύλατα siano i ‘paletti’ utilizzati nell’operazione di sostegno della pianta della
vite, un lavoro complesso e delicato per il quale vengono impiegati materiali diversi, come attestano vari documenti papiracei. Nei pressi delle vigne vi sono
spesso coltivazioni di canne8, che vengono utilizzate come sostegno per le viti, e i
supporti con tale funzione sono specificamente detti χάρακεϲ, veri e propri ‘pali’9 (Figg. 2-4). Che si tratti di materiale di un certo valore (come qui scritto ai rr.
60s., dove il prezzo per i ‘paletti’ verrà detratto dal canone spettante a Nicanore)
è attestato da CPJ I 14,4-6 (07.03.241 a.C., olim PSI IV 393) τῆι νυκτὶ τῆι πρὸ
τῆϲ ιϛ ἀπόλωλε | ἐκ τοῦ ⟦ἐκ τοῦ⟧ Ζήνωνοϲ καὶ Ϲωϲτράτου ἀμπελῶνοϲ |
χάρακοϲ καλαμίνου μυριάδεϲ τρεῖϲ10, dove si denuncia il furto di una certa
quantità di sostegni di canna avvenuto nella vigna di Zenone e Sostrato11.
È ipotizzabile che, essendo P.Tebt. III/1 815, fr. 6 un contratto di affitto, l’obbligo di procurare tali ϲτύλατα rientri fra i doveri dell’affittuario; tale ipotesi potrebbe essere confermata dall’accenno ai περίπατοι12 del r. 57, verosimilmente i
7
8
9
10
11
12
Gli editores principes ritengono che il ϲ sia corretto su υ, tuttavia non vi sono evidenti segni di cancellatura.
Alle canne è legata l’operazione della καλαμουργία, la “disposizione di pali da vigneto” (GI2 1043
s.v.), che compare in vari papiri, fra cui P.Oxy. XLVII 3354,8 (ca. 28.10.257 d.C.); nel commento ad
loc. (p. 112) si parla del riutilizzo delle canne nella coltivazione della vite.
Cfr. RICCI 1924, 26-7.
CPJ I, p. 143 ad 14,6 “canes of reeds used by the vine-dressers in order to attach the vine-stocks”.
Cfr. RICCI 1924, 34.
Sul senso generale del vocabolo cfr. LOLOS 2003, 170, che tuttavia non riporta testimonianze papiracee. In epoca tolemaica περίπατοϲ ricorre, forse, solo in P.Petr. II 6r, 9 [πε]ριπατωι τῆϲ
40 ― A. Bernini, Dettagli sull’organizzazione degli antichi vigneti
sentieri lungo i quali correvano i filari delle piante, oppure i viottoli di accesso
alla vigna, che devono essere tenuti puliti dall’affittuario13.
Per quel che riguarda l’impiego corrente dell’oggetto, K.D. White divide i sostegni per viti in due categorie: 1) “single props”, cioè adminiculum, palus, patibulum, pedamen, pedamentum, pertica, ridica, statumen e sudes; 2) “various
kinds of timber frames used for the same purpose”, ossia cantherius, compluvium, iugum e pergula14; e più avanti nota come “statumen, like pedamentum,
means either a single prop (Colum. 4. 2. 1, 16. 2, etc.), or a timber standard used
in the construction of a frame (iugum) (Colum. 4. 16. 4). It is also used of the
reed props used to support the spiralling system known as vitis charachata
(Colum. 5. 4. 1)”15.
Sulla base delle considerazioni sin qui esposte si presenta il passo con le proposte di correzione e la relativa traduzione:
13
14
15
53
τ . . . ει καὶ τὸ κτῆμα ἐπιϲκάψει καὶ παραδείξει καθαρὸν ἀπὸ θρύου [
54
καὶ καλάμου καὶ πάϲηϲ βάτου δε[ . . . ] . . . . . . . . . . ν,
55
ἕξει δὲ τῶν φυτῶν <τῶν> ἐνκάρπων (δρ.) μ, τοῦ δὲ νομοῦ (δρ.) κ,
56
τῶν δὲ νεοφύτων (δρ.) ι, τοῦ δὲ ἀφόρου (δρ.) δ, ἀναϲτήϲει δὲ αὐτῶι
57
τοὺϲ περιπάτουϲ καθ’ ἕκαϲτον θρύον καὶ κάλαμον καὶ βάτον,
58
τὰ δὲ ϲτύλατα παρέξει Νικάνωρ. ἐὰν δὲ μὴ παρέχηι ἀλλὰ καὶ
59
ἄλλοϲ τινὰ αὐτῶι παρέχηϲ, ὑπολογήϲει εἰϲ τὸν φόρον οὗ ἂν τοὺϲ
60
[ . . ] . [ . ] . . ϲ ϲχῆι τιμὴν ἑκάϲτου ϲτυλάτου καθ’ ὃ ἂν ἀγοράϲηι,
61
ὃ ὑπολογήϲει.
Πατροκλέουϲ (28.12.256 a.C.; successivamente corretto in ]ριαγωγωι τῆι: P.Petr. III 42c (7) = BL
I, 351; P.Lond. III 522); va anche ricordato che πάτοϲ può rivestire il senso di ‘campo coltivato’,
‘coltura’, come in SB XX 15077,11 (45 d.C.), cfr. BASTIANINI/GALLAZZI 1990, 258 ad loc.
Indicazioni si possono trarre da papiri di contenuto analogo quali P.Oxy. XIV 1631, 1692, XLVII
3354, PSI XIII 1338, P.Vind.Sal. 8.
WHITE 1975, 19.
Ibid., 22. Colum. V 4,1 mox quae defixis harundinibus circumuinctae per statumina calamorum materiis ligatis in orbiculos gyrosque flectentur – eas nonnulli characatas uocant e V 5,16 nonnullos
tamen in uineis characatis animaduerti.
Papyrotheke 1 (2010) ― 41
59 παρέχηϲ : l. παρέχηι 60 ϲτυλάτου : ϲτύματοϲ ed.pr.
‘… e dissoderà l’appezzamento di terreno, e lo restituirà libero da giunchi,
canne e ogni genere di rovi … avrà per le piante fruttifere 40 dracme, per il pascolo 20 dracme, per le piante giovani 10 dracme, per l’improduttivo 4 dracme,
gli [scil. ‘al proprietario’] ripristinerà i ‘sentieri della vigna’ giunco per giunco,
canna per canna e rovo per rovo, e Nicanore procurerà i paletti. Qualora non li
procuri, ma un altro ne consegni a lui alcuni, detrarrà dal tributo di cui … abbia il
prezzo di ogni sostegno secondo quanto lo ha pagato, somma che porterà in detrazione.’
ANDREA BERNINI
Università degli Studi di Parma
Dipartimento di Filologia Classica e Medievale
[email protected]
Bibliografia
I. ANDORLINI (2007), Disposizioni agricole per Theon, in A.J.B. SIRKS, K.A. WORP (eds.), Papyri
in Memory of P.J. Sijpesteijn, Oakville, 355-62 (= P.Sijp. 56).
G. BASTIANINI, C. GALLAZZI (1990), P.Tebt. NS inv. 88/3: Petizione agli epistatai del 45 d.C., ZPE
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Y. LOLOS (2003), Greek Roads: A Commentary on the Ancient Terms, “Glotta” 79, 137-74.
C. RICCI (1924), La coltura della vite e la fabbricazione del vino nell’Egitto greco-romano,
Milano.
K.D. WHITE (1975), Farm Equipment of the Roman World, Cambridge.
42 ― A. Bernini, Dettagli sull’organizzazione degli antichi vigneti
Fig. 1: P.Tebt. III/1 815, fr. 6, 223/2 a.C.
(da: APIS Berkeley Database; berkeley.apis.1482)
Fig. 2: scena di vendemmia, da una pittura funeraria egizia: si notano due pali di sostegno laterali ed altre tre canne al centro della vigna.
(da: R.BILLIARD, La vigne dans l’Antiquité, Lyon 1913 [rist. 1997], fig. 97)
Papyrotheke 1 (2010) ― 43
Fig. 3: altra pittura funeraria egizia con scena di vendemmia: si notano le stesse canne
biforcute (charakes) a sostegno delle viti.
(da: R.BILLIARD, La vigne dans l’Antiquité, Lyon 1913 [rist. 1997], fig. 134)
Fig. 4: segno geroglifico egizio col significato di “vigneto”, nella sua struttura standard
costituita dai pali biforcuti di sostegno.
(da: R.BILLIARD, La vigne dans l’Antiquité, Lyon 1913 [rist. 1997], fig. 39)
Papyrotheke 1 (2010) ― 45
Forme e contenitori di incenso nei papiri
Un apprezzabile esempio del contributo apportato dal lessico presente nei papiri alla definizione degli aspetti materiali del mondo antico ci deriva dal caso
dell’incenso. Grazie al sostegno di alcune evidenze papiracee, infatti, è stato possibile precisare la forma dell’incenso e il modo in cui esso veniva scambiato nella
quotidiana dimensione dei commerci nella χώρα egiziana1. Tre in particolare
sono le testimonianze utili, che verranno illustrate di seguito, per definire l’aspetto del prodotto.
La prima testimonianza è costituita da un ostrakon recentemente pubblicato
da Lucia Criscuolo2. L’ostrakon, attualmente conservato in una collezione privata3, è stato acquistato in Germania sul mercato antiquario. Del reperto non si conoscono né la datazione né la provenienza, ma si può supporre, come fa l’editrice, che esso sia stato rinvenuto in un presidio del deserto orientale egiziano, presso la direttrice di Myos Hormos, attraverso la quale, come è risaputo, Roma otteneva merci e prodotti di origine orientale quali sete, spezie e arōmata4.
Si tratta di una lettera indirizzata dal non altrimenti noto ἱππεύϲ ᾽Ακύλλιϲ a
un certo Apollinarios, a cui è stato promesso “un po’ di incenso” (rr. 3-4 καθώϲ
ϲοι ἐπηγ⟨γ⟩ειλάμην περὶ | τοῦ λιβανείου κτλ.). Questo il testo dei rr. 6-10:
1
2
3
4
Sul tema dell’incenso nell’Antichità, vd. le dettagliate pagine di MÜLLER 1978, 700-77.
Vd. CRISCUOLO 2010, 205-7.
A Torino, nella collezione del dott. Luigi Cedrini.
Per una trattazione aggiornata dei vari aspetti che interessano Myos Hormos, vd. i volumi curati da
CUVIGNY 2005.
46 ― I. Bonati, Forme e contenitori di incenso nei papiri
10
Λοιπὸν
οὖν κόμιϲαι παρὰ Κλαυδίου
ἱππέοϲ ἐκ τοῦ πραιϲιδίου
μου ƒ2-3… βώλουϲ δύω ἐν χάρτῃ δεδεμέναϲ
8. lege ἱππέωϲ
9. lege δύο
“Per il resto, dunque, ricevi da Claudio, cavaliere proveniente dal mio presidio, le due ‘zollette’ (di incenso) avvolte in carta di papiro”.
Quanto qui maggiormente interessa è l’uso di βώλουϲ per indicare i “grani”
della resina arabica. Il vocabolo βῶλοϲ, il cui primo valore è di “lump, clod of
earth”5 nonché, per metonimia, in specie nei poeti, di “land, soil”, può anche avere, particolarmente negli autori di prosa, il generico senso di “massa” a causa dell’aspetto che assumono i diversi materiali, soprattutto i metalli, ovvero di “pepita”. Disponiamo in proposito di svariate attestazioni letterarie 6, ma pure di iscrizioni e di papiri. Tra essi si citino: I.Délos 461 B, fr. b, 11: ϲιδήρου βωλίον; I.
CariaKaun X, fr. 1,8-9: βώλου τῆϲ πίϲϲηϲ καὶ τῆϲ ῥητίνηϲ εἰ[ϲ]αγώγιον
[βώλου ἑκάϲ]του; P.Mich. XVIII 773,16-7: [βῶ]λον | ἀργυρίου; P.Oxy. XXXI
2580,1: πίϲϲηϲ […] βώλων; P.Ross.Georg. V 57 v,2,1: νάρδου βῶλοϲ, quest’ultimo in una ricetta.
In tali accezioni si riscontra uno slittamento semantico basato su un richiamo
5
6
LSJ9 334 s.v.
Cfr., e.g., Arist. Mir. 833B 11, βῶλοι χρυϲίου; Str. III 2,8, dove compaiono sia βῶλοϲ sia il diminutivo βωλάριον in riferimento parimenti all’oro; E. fr. 783 Nauck, χρυϲέα βῶλοϲ, detto del sole (cfr.
D.L. II 10; vd. inoltre E. Or. 983-4 e schol. A.R. I 496-8b, p. 44,9-10 W.); LXX Si. 22,15 e Greg.
Nyss. In Basiulium fratrem IX 60,8, ϲιδήρου βῶλοϲ; D.S. III 14,3, βῶλον μολίβδου, e V 35,2,
πᾶϲα γάρ ἡ βῶλοϲ ἐϲτι ψήγματοϲ ϲυμπεπηγότοϲ; Gal. XII 228,3 Kühn, βῶλοϲ ἦν χαλκίτεωϲ;
Plb. XXXIV 9, βῶλον τὴν ἀργυρῖτιν; Str. VII 5, τῆϲ βώλου τῆϲ ἀϲφαλτίδτιδοϲ; J. IV 479, τῆϲ
[…] ἀϲφάλτου […] βώλουϲ μελαίναϲ. Vd. anche Plin. Nat. XXXVII 150, boloe in Hibero inueniuntur, glaebae similitudine: si tratta di una pietra dura che ha il nome di “bolos” per somiglianza a
una zolla di terra.
Papyrotheke 1 (2010) ― 47
metaforico alla forma delle zolle, esempio di un processo, non raro nel greco, che
crea i nomi delle cose procedendo per metafore ed associazioni di idee.
Tuttavia, in relazione all’incenso, il termine βῶλοϲ ha un impiego sporadico
nei testi letterari e sembra isolato nei papiri. Afferma Ippolito di Roma: λίβανον
γὰρ εἰϲ πῦρ ἐμβαλὼν πάλιν ποιεῖ τοῦτον τὸν τρόπον. βῶλον τῶν
λεγομένων ὀρυκτῶν ἁλῶν / κηρῷ Τυρρηνικῷ περιϲκεπάϲαϲ καὶ αὐτὸν δὲ
⟨τὸν⟩ λιβάνου βῶλον δοχοτομήϲαϲ ἐντίθηϲι τοῦ ἅλατοϲ χόνδρον κτλ.7 Parimenti, con un diminutivo desemantizzato, come sovente nel greco post-classico,
si legge in Marco Aurelio: πολλὰ λιβανωτοῦ βωλάρια ἐπὶ τοῦ αὐτοῦ βωμοῦ·
τὸ μὲν προκατέπεϲεν, τὸ δ′ ὕϲτερον, διαφέρει δ′ οὐδέν (“Molti granelli di incenso sullo stesso altare: uno è caduto prima, l'altro dopo, ma non fa nessuna differenza”)8. L’altezza cronologica di questi due autori – considerando il fatto che
non sembrino comparire altre attestazioni precedenti o successive di βῶλοι d’incenso – potrebbe far supporre uno specializzarsi in quel periodo dell’uso del nesso per l’incenso ecclesiastico, a partire dalla seconda metà del II secolo 9.
Ai rr. 9-10, poi, si specifica che i due βῶλοι sono “avvolti in carta di papiro”
(ἐν χάρτῃ δεδεμέναϲ). Questa esplicita menzione potrebbe fornire la conferma
del modo in cui si commerciava l’incenso: avviluppato in carta di papiro, al fine
di evitare, verosimilmente, che si rovinasse, nonché per preservarne l’aroma e le
proprietà. Tale indicazione, inoltre, appare coerente con quanto è tramandato da
diversi autori, tra i quali si ricordino Orazio10 (deferar in uicum uendentem tus et
odores / et piper et quidquid chartis amicitur ineptis), Giovenale11 (aut cur / in
carbone tuo charta pia tura soluta / ponimus et sectum uituli iecur albaque porci
7
8
9
10
11
Haer. IV 28,12,7.
IV 15.
La datazione dei Pensieri è dibattuta e problematica, dal momento che non si posseggono dati cronologici certi e che l’opera, assai probabilmente, fu composta in diversi anni, dopo l’ascesa al trono (cfr.
e.g. VI 30,1), nella tarda maturità dell’imperatore (cfr. e.g. II 2,4 e 6,2; V 31,3; X 15,1). Si suppone
quindi approssimativamente che la stesura dei primi libri in ordine di tempo si collochi tra la fine degli
anni ’60 e gli inizi degli anni ’70 del II secolo e che la composizione sia perdurata fino agli ultimi anni
di regno, cfr., e.g., PEUCH 1953, vi-vii.
Ep. II 1,269-70.
Sat. XIII 115-8.
48 ― I. Bonati, Forme e contenitori di incenso nei papiri
/ omenta?), Marziale12 (festina tibi uindicem parare, / ne nigram cito raptus in
culinam / cordylas madida tegas papyro / uel turis piperisue sis cucullus), Persio13 (an erit qui uelle recuset / os populi meruisse et, cedro digna locutus, / linquere nec scombros mettenti carmina nec tus?), Stazio14 (tu rosum tineis situque
putrem, / quales aut Libycis madent oliuis / aut tus Niliacum piperue seruant /
aut Byzantiacos colunt lacertos)15.
D’altro canto il termine χάρτηϲ che, in senso tecnico, indica il “rotolo”, in
senso generico designa la “carta”, sempre di papiro, scritta o non scritta 16. È
istruttivo menzionare l’uso, riportato da Galeno17 (ἔτι τε καὶ τοῦτο χρὴ
γινώϲκειν, ὡϲ φερομένων ἀπὸ Κρήτηϲ τῶν βοτανῶν, ἐνειλιγμένων
χαρτίοιϲ, οἷϲ ἐπιγέγραπται τὸ τῆϲ ἑκάϲτηϲ βοτάνηϲ ὄνομα, τινὲϲ μὲν
ἁπλῆν ἔχουϲι τὴν ἐπιγραφὴν, τινὲϲ δὲ μετὰ προϲθήκηϲ τῆϲ πεδιάδοϲ), di imballare le spezie importate da Creta in χαρτία cοn iscritti il nome o la descrizione del prodotto contenuto18. Il caso presente potrebbe inserirsi in questo contesto.
Si può supporre quindi, a puro titolo d’ipotesi, che l’involucro citato dall’ostrakon fosse contrassegnato dal nome della merce in esso racchiusa 19. In tal senso il
12
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19
III 2,2-5.
Sat. I 41-3.
Silv. 9,10-3.
In generale, sull’uso di imballare mercanzie con la carta di papiro, vd. Plin. Nat. XIII 76: nam emporitica inutilis scribendo inuolucris chartarum segestriumque merci bus usum praebet, nonché, per il simile caso del nardo, cfr. ibid. XII 45: siccatur in umbra, alligatur fasciculis in charta.
Cfr. LEWIS 1974, 70-8, in specie pp. 70-1 n. 2 per una bibliografia sulla questione del significato di
χάρτηϲ come “foglio” o come “rotolo” e p. 77 per il senso generico di “carta”.
XIV 79,8-12 Kühn.
Cfr. ANDORLINI 2007, 30: “very small sheets carrying titles of medicines or names of drugs may have
been attached to, or stored with, small packages of ointments and powders on the trade-market”.
Degno di nota è questo passo di Teofrasto (HP IX 4,5-6) che, sebbene documenti una pratica diversa
da quella supposta, testimonia l’uso di porre indicazioni scritte – in questo caso su piccola tavola
(πινάκιον) – sopra mucchietti d’incenso, con specifica attenzione alla quantità (metron) e al prezzo
(timê): si racconta che, presso la popolazione araba dei Sabei, venivano raccolti l’incenso e la mirra
nel santuario di Helios e che ὅταν δὲ κομίϲωϲιν, ἕκαϲτον ϲωρεύϲαντα τὸν ἑαυτοῦ καὶ τὴν
ϲμύρναν ὁμοίωϲ, καταλιπεῖν τοῖϲ ἐπὶ τῆϲ φυλακῆϲ, τιθέναι δὲ ἐπὶ τοῦ ϲωροῦ πινάκιον γραφὴν
ἔχον τοῦ τε πλήθουϲ τῶν μέτρων καὶ τῆϲ τιμῆϲ ἧϲ δεῖ πραθῆναι τὸ μέτρον ἕκαϲτον· ὅταν δὲ οἱ
ἔμποροι παραγένωνται, ϲκοπεῖν τὰϲ γραφάϲ, ὅϲτιϲ δ´ ἄν αὐτοῖϲ ἀρέϲκῃ μετρηϲαμένουϲ,
τιθέναι τὴν τιμὴν εἰϲ τοῦτο τὸ χωρίον ἔνθεν ἄν ἕλωνται.
Papyrotheke 1 (2010) ― 49
termine χάρτηϲ equivarrebbe al χαρτίον del passo di Galeno20.
La seconda testimonianza è rappresentata da un papiro di provenienza ossirinchita databile al tardo III secolo, P.Oxy. XVII 2144. Il papiro, indirizzato a un
certo Ammonas e contenente una lista di pagamenti per varî prodotti, menziona,
al r. 29, dei πλάϲματα λιβανωτοῦ. Segue il testo dei righi pertinenti:
30
(sc. ἐξωδιάϲθη)
Ϲαραπίωνι γεούχῳ ἀγωνοθετοῦντι ἐν τῇ Ἀντινόου
πλάϲματα λιβανωτοῦ ἀριθμῷ [δ]έκα
(δρ.) ω
“(sc. furono pagate) al proprietario terriero Serapione, che è agonothetes ad
Antinoe, per 10 ‘tavolette’ di incenso, 800 dracme”
È questo l’unico caso in cui il termine πλάϲμα, che letteralmente significa
“anything formed or moulded, image, figure”21, viene riferito al λίβανοϲ. Il valore che assume l’espressione πλάϲματα λιβανωτοῦ è quindi quella di “cakes of
incense”22, ovvero di “‘grumi’, ‘tavolette’ di incenso”, per i quali il papiro fornisce anche il valore commerciale del periodo, che era di 80 dracme per ‘tavoletta’.
Infine, di una certa rilevanza per definire la forma dell’incenso sembrerebbe
P.Coll.Youtie II 86 (= P.Mich. inv. 1812), collocabile tra III e IV secolo d.C. Il
papiro conserva una lista di erbe e di spezie al genitivo accompagnate dalle relative quantità in libbre (λίτραι): ἄμωμον (r. 2), “amomo”; κόϲτοϲ (r. 3), “costo”;
ϲτύραξ (r. 4), “storace”; μαϲτίχη (r. 5), “gomma di lentisco”. Negli ultimi due
20
21
22
Cfr. LEWIS 1974, 77: “χαρτίον, technically a diminutive, quickly came to designate a piece of paper
of any size”.
LSJ9 1412 s.v.
LSJ9 ibid.; similmente traduce l’ed.pr. “cakes of frankincense”.
50 ― I. Bonati, Forme e contenitori di incenso nei papiri
righi, poi, rispetto alla Husselman, editor princeps del testo23, che leggeva, rispettivamente, θυμιαμάτων λί(τραι) ι | κολλυρίων λί(τραι) γ, i.e. “10 libbre di incenso, 3 libbre di collirio”, pare piuttosto di potersi intendere, a una più attenta
revisione del reperto, θυμιαμάτων | κολλυρίων λί(τραι) γ, ovvero “3 libbre di
kollyria di incenso”, nel senso di “3 libbre di ‘blocchetti’/‘panetti’ di incenso”24 .
Il termine κολλύριον, diminutivo di κολλ(ο)ύρα25, che possiede i due valori,
ben attestati nei papiri, di “panino”, “pagnotta” e di “collirio” in senso medico,
assume qui un valore metaforico: i grani di incenso sono rapportati a delle piccole “pagnotte”26. Assistiamo ad un procedimento di associazione metaforica assai
simile a quello che si è riscontrato anche in βῶλοϲ: in entrambi i casi, per definire la foggia dell’incenso, ci si è avvalsi di termini tecnici che specificamente richiamano l’aspetto materiale della resina, una volta essiccata dall'esposizione all’aria ed al sole.
Le tre testimonianze che abbiamo illustrato forniscono dunque la concreta
conferma della distribuzione, nell’Antichità, in “grani” d’incenso. Nella fattispecie, i vocaboli κολλύριον e βῶλοϲ fanno riferimento a masse tendenzialmente
tondeggianti, dalle non scarse dimensioni, esito dello stesso modo in cui avveniva la raccolta della resina: si incideva il tronco della pianta, la Boswellia carteri,
così da farne trasudare il lattice che si rapprendeva e condensava in grosse gocce
globulari le quali, una volta prelevate e consolidatesi, venivano immagazzinate in
attesa del commercio27.
Le testimonianze papiracee si possono inoltre sfruttare per avanzare deduzioni
circa il modo in cui il prodotto veniva scambiato, nonché sulla tipologia dei ma23
24
25
26
27
HUSSELMAN 1976, xxx-xxx.
Più approfonditi dettagli compariranno in BONATI 2011.
Su questi termini vd. in particolare KIND 1921, 1100-6; PISANI 1943, 553-8; BELARDI 1969, 25-9; BATTAGLIA 1989, 88-9; FOURNET 2000, 401-7.
Cfr. κολλύρα γύψου, letteralmente “pane di gesso”, in SB XIV 11958,5, 13 e 20.
Cfr. COSTA 1997, 435. Significativa la testimonianza di Plin. Nat. XII 61-2: quod ex eo rotunditate
guttae pependit, masculum uocamus […]. Masculum aliqui putant a specie testium dictum. Praecipua
autem gratia mammoso, cum haerente lacrima priore consecuta alia miscuit se. Singula haec manum
inplere solita inuenio, cum minore deripiendi auiditate lentius nasci liceret. Graeci stagonian et atomum tali modo appellant, minorem autem orobian. […] Etiamnum tamen inueniuntur guttae quae tertiam partem mnae, hoc est XXVIII denariorum pondus, aequent (cfr. anche Dsc. I 81).
Papyrotheke 1 (2010) ― 51
nufatti impiegati nel trattamento di commercializzazione. Si premetta innanzitutto che la quantità dell’incenso di solito acquistata, in termini di grani, non era elevata, ma, anzi, il λίβανοϲ era adoperato secondo criterî diffusi di modicità, a
causa anche della verosimile lunga durata delle scorte 28; da ciò si possono agevolmente supporre dimensioni ridotte per i contenitori adibiti a conservarlo.
Su due aspetti in particolare soffermeremo l’attenzione:
1) la preferenza, a quanto pare, per materiali “sigillati”, al fine di preservare
intatte le merci, nonché, probabilmente, per limitare il rischio di sottrazioni in itinere;
2) l’utilizzo di un “sacchetto” di stoffa (μάρϲιπποϲ/μαρϲίππιον) come contenitore.
In P.Cair.Zen. I 59069,13-4, all’interno di una lista di articoli stilata nel 257
a.C. e proveniente da Hermopolis, si annoverano anche λιβάνου ἐϲφραγιϲμένου
μάρϲιπποι γ, letteralmente “3 sacchetti di incenso sigillato”, da intendersi meglio come “3 sacchetti sigillati di incenso”, con il participio ἐϲφραγιϲμένοϲ da
riferirsi non al contenuto, il λίβανοϲ, come si trova nel papiro, ma al contenitore,
il μάρϲιπποϲ: se la supposizione è corretta, infatti, la concordanza λιβάνου
ἐϲφραγιϲμένου, in luogo della più probabile ἐϲφραγιϲμένοι μάρϲιπποι, sarebbe
da imputare ad un lapsus dello scriba. Di fatto il participio ἐϲφραγιϲμένοϲ, nello
stesso P.Cair.Zen. I 59069 quanto altrove, è solitamente riferito – o così viene inteso, qualora si trovi abbreviato – a μάρϲιπποϲ, o ad altro recipiente, e non alla
merce. Si ha quindi nel papiro zenoniano: rr. 5-7, νάρδου μαρϲίππια
ἐϲφρα(γιϲμένα) ε | καὶ θυλάκιον ἐϲφραγιϲμένον α | δορκαδέων θυλάκιον
ἐϲφρ(αγιϲμένον) α; rr. 16-7, ϲμύρνηϲ ἐϲφραγιϲμένα | μαρϲίππια γ; rr. 20-1,
πορφύραϲ θυλάκιον ἐϲφραγιϲ(μένον) α | κρόκου θυλάκιον ἐϲφραγιϲ(μένον)
α. Altri esempi sono: P.Mert. III 123,11-2, ἐν μαρϲίππῳ ἐϲφρα|[γιϲμένῳ]; PSI
VI 667,3-4, [μ]άρϲιπποϲ | [ἐϲ]φραγιϲμένοϲ; P.Oxy. XXXIV 2728,28, ἐν
28
Sulla questione, relativamente all’epoca romana, si veda l’esaustivo e ben documentato contributo di
SALMERI 1997, in specie alle pp. 535-7. Inoltre, nel medesimo volume, sul commercio degli arōmata
nell’Egitto tolemaico, vd. FANTASIA 1997, 395-412, con bibliografia sull’argomento alla n. 1 p. 395.
52 ― I. Bonati, Forme e contenitori di incenso nei papiri
μαρϲιππίῳ ἐϲφραγιϲμένῳ29. A questi si aggiunga, e.g., il βῖκοϲ ἐϲφρ
(ἐϲφραγιϲμένοϲ) ῥητίνηϲ di P.Grenf. I 14,4 (= P.Dryton 37,4)30. In una sola altra attestazione papiracea, infine, si trova menzionato il λίβανοϲ in relazione al
μάρϲιπποϲ/μαρϲίππιον, senza che venga precisato, a differenza dei casi suddetti, se il contenitore fosse ἐϲφραγιϲμένοϲ: P.Lond. VII 2141,29-30, λι[βά]νου
τοῦ ἐκ τοῦ ῥιϲκοφυλ(ακίου) | [μ]αρϲίππιον ἡμιδ(εὲϲ) α.
Sembra lecito avanzare un confronto tra i dati suggeriti da queste attestazioni
e quanto conosciamo dell’Oriente classico31. Grazie alle evidenze archeologiche
e alle rappresentazioni artistiche ci è dato distinguere i manufatti relativi all’utilizzazione degli arōmata in due categorie: quelli coinvolti nelle fasi iniziali del
commercio (produzione, trasporto, conservazione) e quelli adoperati nella fase finale, in contesti distanti dal luogo di produzione, quali botteghe di mercanti, sedi
di acquirenti o tombe. Questi ultimi erano recipienti di materiale duraturo: coppe
o vaschette di varia foggia con funzione di bracieri, corredati da coperture in feltro o in cuoio. Quanto ai primi, invece, si trattava di materiali deperibili, per cui,
“sia in un viaggio via terra a dorso di cammello sia in uno marittimo, si dovrà
pensare a balle di merci avvolti in sacchi, tele, stuoie, pelli o a cesti, materiali che
per la loro leggerezza facilitano il trasporto ma che sono anche facilmente accantonati, quando non distrutti, una volta che la mercanzia è giunta a destinazione” 32.
Difficilmente questi si sono conservati, salvo rare eccezioni, tra le quali si distinguono due articoli di età achemenide (V sec. a.C.), rinvenuti nei monti Altai, nella Siberia meridionale, parte del corredo funebre del kurgan n. 2 di Pazyryk33. Si
tratta di una borsa di pelliccia, feltro e metallo e di un borsellino in cuoio per la
conservazione di semi. Si può supporre che il μάρϲιπποϲ greco fosse qualcosa di
simile per aspetto e per funzione, seppure, presumibilmente, di altro materiale,
come suggeriscono gli interpretamenta che si leggono, in particolare, in Suda μ
226 Adl., μάρϲιπποϲ· ϲάκκοϲ, θυλάκιον, ϲακέλλιον e in Hsch. μ 319 L.,
29
30
31
32
33
Così viene emendato l’inatteso ἐϲφραγιϲμένον.
Per il βῖκοϲ, vd. BONATI 2011.
Per questi aspetti, cfr. INVERNIZZI 1997, 125-8, a cui si è attinto.
INVERNIZZI 1997, 125.
Cfr. RUDENKO 1970, 76-7 e 316, fig. 24, tav. 153A, 61A.
Papyrotheke 1 (2010) ― 53
μαρϲίππιον· βαλάντιον, che fanno per di più riferimento ad involucri di tessuto
ruvido e grossolano, sovente di crine34.
Un ulteriore spunto di singolare rilevanza ci è offerto da P.Oxy. VI 978, piccolo frammento papiraceo del III secolo, proveniente da Ossirinco, probabilmente strappato dal margine superiore del documento originale, che presenta, scritti
contro le fibre e vergati con un’accurata scrittura di stile severo, sei righi contenenti una lista di oggetti, verosimilmente un inventario, tra cui due sedie (r. 2
δίφρα β, pap. δίφροϲ), uno specchio (r. 4 ἔϲοπτρον, ed pr. ὄϲοπτρον, pap.
ὄϲυπτρον), un cuscino (r. 5 τύλ[η]). Al r. 3 il termine λιβανοθήκη si segnala
alla nostra attenzione. Il vocabolo che, quale composto di -θήκη, letteralmente significa “scatola, teca per l’incenso” (cfr. LSJ 9 1047 s.v. λιβανοειδήϲ: “incensebox”)35, non pare avere altre attestazioni né tra le fonti letterarie né tra i papiri.
Esso, quindi, sembrerebbe un hapax se non fosse che, solo molto più tardi, nel
IX secolo, ricompare nella sezione Περὶ νάων - De aedibus degli Hermeneumata montepessulana. Possiamo infatti leggere in CGL III 302,13 Goetz:
λιβανοθήκη arca turaria.
In che cosa consista l’arca turaria dell’interpretamentum ci viene indicato da
un luogo del De significatione verborum di Festo (17,3-5 Lindsay), il quale, glossando il termine acerra36, precisa: alii dicunt arculam esse turariam, scilicet ubi
tus reponebant. Troviamo inoltre l’equivalenza acerra / arca o arcula turaria o
turalis nel cod. D del commentatore virgiliano Servio (cfr. Aen. V 745, 646,8-11
Thilo-Hagen ad l.: acerra, id est arca thuralis)37.
L’arca turaria sembrerebbe corrispondere a ciò che in àmbito cristiano, a partire dal XIII secolo38 ed ancora ai giorni nostri, viene definito “navicella” (o navicula), un contenitore a forma di piccola carena di nave 39, di solito in metallo, de34
35
36
37
38
39
Questo, a puro titolo d’esempio, il caso di ϲάκκοϲ, talvolta specificato dall’attributo τρίχινοϲ. Cfr.
e.g. Apoc. 6,12 (in senso metaforico), nonché, tra le testimonianze papiracee, PSI IV 427 passim e
P.Tebt. III.1 796,10.
Cfr. MÜLLER 1978, 733: “ein Kästchen zur Aufbewahrung des Weihrauchs”.
Cfr. e.g. Hor. Carm. III 8,2: quid uelint flores et acerra turis / plena miraris.
Cfr. TLL I 372, 79-83 s.v. acerra; HABEL 1893, 153; nonché, soprattutto, SIEBERT 1999, 27-8.
Il piccolo contenitore era in precedenza definito da termini quali capsula, pixis, busta, scrinium.
Nell’iconografia paleocristiana la nave, che in contesto pagano, metafora del viaggio della vita, era
54 ― I. Bonati, Forme e contenitori di incenso nei papiri
stinato ad accogliere la scorta di incenso in attesa che i granuli, attraverso un cucchiaino, vengano posti a bruciare nel turibolo (detto anche thymiaterium, incensorium, fumigatorium) per le fumigazioni durante i rituali40.
Il vocabolo λιβανοθήκη, dunque, potrebbe essersi formato e specializzato per
designare la teca per l’incenso adoperata nelle chiese, anticipando quel processo
linguistico ben rappresentato dai papiri che, soprattutto dopo il IV secolo, porta il
vocabolario greco ad una straordinaria fioritura, e che si manifesta sovente con
neoformazioni create a partire da radici già note, in specie ricorrendo a suffissi o
– come in questo caso – per composizione41.
Di conseguenza, l’appartenenza della voce alla sfera degli instrumenta sacra
parrebbe suggerire l’ipotesi che la lista di P.Oxy. VI 978, fino ad ora non assegnata a nessun àmbito specifico, sia contestualizzabile in ambiente religioso.
Il singolare destino di questo termine, che compare in modo apparentemente
isolato in un papiro del III secolo, per poi scomparire dalle testimonianze e riaffiorare soltanto in un glossario posteriore di sei secoli, insinua il sospetto della
vasta quantità di ciò che si è perduto, sia per quanto concerne la messe dei documenti papiracei, sia per quanto attiene il patrimonio lessicale antico, non noto da
altre fonti, che in essi riemerge.
I papiri ci conservano elementi altrimenti scomparsi nel naufragio del tempo.
Tuttavia la documentazione pervenutaci non è che una porzione di un contesto
più ampio che soltanto future scoperte e il progresso degli studi permetterà se
non di integrare, almeno di accrescere.
In questo caso, la presenza di λιβανοθήκη nei tardi Hermeneumata può essere
indizio di una per noi insospettata, né comprovabile, diffusione e vitalità del vocabolo, perlomeno in quella sfera specifica – ecclesiastica e liturgica – nella quale sembra essersi formato. Pertanto, se la parola è stata glossata insieme ad altre,
40
41
simbolo di prosperità, rappresenta la Chiesa, il cui pilota è Cristo – simboleggiato nella croce dell’al bero –, e conduce i fedeli, come in un porto, alla salvezza eterna.
Così per esempio si legge nel Dizionario della lingua italiana dell’Accademia della Crusca (vol. V, p.
335, Padova 1829): “‘navicella’ si dice anche ogni sorta di vaso fatto a foggia di nave, e specialmente
quella in che nelle chiese tiensi l’incenso”.
Cfr. DARIS 1995, 78-9; MONTEVECCHI 1998, 76-9.
Papyrotheke 1 (2010) ― 55
quali ἀρόματα odores e λιβανοτόϲ turiflos (CGL III 302,14-5 Goetz)42, non
certamente peregrine, si può supporre che essa fosse meno rara e desueta di quanto a noi oggi appare43.
E questo non è altro che un esempio, come i precedenti che abbiamo trattato,
dell’apporto delle fonti papiracee alla ricostruzione di molteplici aspetti, non ultimi quelli linguistici e storico-economici, dell’Antichità greco-romana.
ISABELLA BONATI
Università degli Studi di Parma
[email protected]
Bibliografia
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Zwischen Magie und Wissenschaft. Ärzte und Heilkunst in den Papyri aus Ägypten, eds.
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E. BATTAGLIA (1989), ‘Artos’. Il lessico della panificazione nei papiri greci, Milano.
W. BELARDI (1969), Gr. κόλλιξ (Hippon. 39,6 D.3, etc.), “Athenaeum” 47, 25-9.
I. BONATI (2011), Il contributo dei papiri alla definizione d'uso di bikos e kollourion, in Testi
42
43
Si noti peraltro come nei due casi citati, che nella forma classica presentano ω e non ο (ἀρώματα,
λιβανωτόϲ), sia evidente la scomparsa di distinzione quantitativa e qualitativa nel trattamento di queste vocali, già attiva nella lingua dei papiri dall’età tolemaica.
Quanto si è qui solo accennato sarà oggetto in futuro di approfondimenti. Una revisione del papiro,
con aggiornamenti sulle ricerche in corso, verrà presentata in occasione della V Giornata di Studio di
Papirologia “Editing Papyri On Line. Classificazioni testuali e questioni lessicali”, Parma, 20-21 aprile 2011.
56 ― I. Bonati, Forme e contenitori di incenso nei papiri
tecnici e lessici speciali nei papiri greci d'Egitto. Atti della IV Giornata di Studio di
Papirologia (Parma, 15 Aprile 2010), ed. I. ANDORLINI, “Papyrotheke”, in corso di
pubblicazione.
P.M. COSTA (1997), Il ruolo dell’Arabia nel commercio delle spezie e dell’incenso: da Elio
Gallo a Vasco da Gama, in AVANZINI (ed.) 1997, 431-45.
L. CRISCUOLO (2010), Un cartoccio d’incenso: lettera tra militari in un ostracon torinese, ZPE
173, 205-7.
H. CUVIGNY (2005), La route de Myos Hormos. Praesidia du désert de Bérénice, I-II, Le Caire2.
S. DARIS (1995), Il lessico dei papiri greci, in Atti del V Seminario Internazionale di
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Priestergeräten, Berlin/New York.
Papyrotheke 1 (2010) ― 57
Ad apertura di libro.
Note sul volumen e la paleografia di P.Tebt. 269
1. L’agraphon
Nel contesto del complessivo naufragio di vasta parte delle fonti papiracee antiche, è difficile per gli studiosi moderni percepire l’aspetto complessivo degli
antichi rotoli letterari. Di essi, infatti, si sono per lo più conservati frammenti appartenenti a sezioni interne e ciò rende alquanto faticosi i nostri tentativi di ricostruire nella sua completezza la facies di questi manufatti1. A questo proposito,
testimoni come P.Tebt. 2692 risultano particolarmente preziosi perché ci aiutano
a fare più luce sulle tecniche proprie della produzione libraria antica.
P.Tebt. 269 (11,7 x 14,5 cm) oggi conservato presso la Bancroft Library della
University of California (Berkeley), proviene dal contesto archeologico residenziale di Tebtynis3. Il papiro (databile su base paleografica al II d.C. 4) è un fram1
2
3
4
E. Turner sottolinea le difficoltà che i papirologi hanno storicamente incontrato in sede di ricostruzione dei manufatti (cfr. TURNER 1994, 1-2). È anche per questa ragione che gli studi papirologici hanno a
lungo trascurato questo settore d’indagine (cfr. JOHNSON 2004, 3-4).
L’esame del frammento (UC 2225) è stato condotto sulla base dell’immagine digitale disponibile
presso il sito del Center for the Tebtunis Papyri, dove il pezzo è conservato. Per l’immagine si veda la
pagina web <http://tebtunis.berkeley.edu/form.html>.
Sul verso, scritta in inchiostro nero da Grenfell e Hunt, leggiamo l’annotazione ‘T685’. L’indicazione,
come noto, si riferisce alle operazioni di recupero e/o spedizione dei materiali scavati a Tebtynis. Sul
senso di tali note cfr. HANSON 2001, 601-4 e O’CONNELL 2007, 807-26. L’indicazione ‘T685’ non collega il nostro reperto ad alcuno dei gruppi documentali già riconosciuti. Poiché, però, la sequenza di
queste note non era priva di significato (O’CONNELL 2007, 818), segnaliamo che un altro papiro letterario adespoto, di datazione incerta (I-IV d.C.), è contrassegnato dall’annotazione ‘T684’ (P.Tebt.Suppl.
I 715; si consulti a proposito la scheda del Center for Tebtunis Papyri alla pagina web: <http://dpg.
lib.berkeley.edu/webdb/apis/apis2?invno=P%2e+Tebt%2e+Suppl%2e+01+715&sort=Author_Title&
item=2>).
Cfr. GRENFELL/HUNT/GOODSPEED (eds.) 1907, 19: “269 consists of a few lines from a narrow column,
58 ― M. Centenari / L. Iori, Ad apertura di libro
mento adespoto di rotolo letterario5 scritto in greco solo sul recto.
Esso si presenta mutilo su tutti i lati, ma, mentre il margine inferiore (6,1 cm)
pare essersi conservato quasi interamente, quello di sinistra (6,5 cm) è probabilmente incappato in una perdita più consistente, anche se difficilmente stimabile.
La parte superiore del papiro, poi, frammentaria in tutta la sua lunghezza, è interessata da due ulteriori fratture: la prima spezza, in alto a sinistra, l’angolo del
documento e l’altra rende lacunosa ed illeggibile, al centro, più della metà (rr. 15) dell’unica colonna di scrittura che si è conservata sul recto del papiro e che
comprende 8 righi. Dello spazio bianco collocato a destra dello scritto, forse l’originario intercolumnio, si conservano 2,6 cm di larghezza, ma nemmeno di questo è possibile ricostruire l’originaria ampiezza. Non si trovano, infine, tracce di
kollēseis.
Dal suo aspetto, è possibile, dunque, inferire che il frammento costituisse la
parte inferiore di un kollēma, nel quale la scrittura si disponeva lungo le fibre, definendo una colonna stretta (4,5 cm. ca.), in cui ogni rigo si componeva di 8 o 10
lettere al massimo, vergate in un’elegante “maiuscola rotonda”, riconducibile alla
fase matura del canone, che inizia con i primi decenni del II secolo d.C. (cfr. infra § 2).
Il dato per noi più interessante è lo spazio non scritto di 6,5 cm che precede la
selis e che potrebbe fare di P.Tebt. 269 un nuovo testimone di una particolare e
poco attestata tecnica libraria, quella dell’agraphon6. Grazie agli studi sistematici
5
6
carefully written in round and good-sized upright uncials probably early in the second century”. Ma di
recente si è proposta una datazione di poco più bassa, cfr. CPF 1999, 776: “un frammento di rotolo di
lusso in uno splendido esempio di maiuscola rotonda canonica della metà del II d.C.”.
Gli editores principes hanno pensato che P.Tebt. 269 contenesse un testo di natura filosofica sulla
base dell’occorrenza ai rr. 6-7 di tw`n ofitw`n (cfr. GRENFELL/HUNT/GOODSPEED (eds.) 1907, 19: “The
mention of the Sophists in l.6 suggests a philosophical treatise”). Ma cfr. CPF 1999, 776: “un
riferimento del genere [sc. ai ϲoφιϲταί] può ricorrere tanto nella prosa filosofica quanto in quella
oratoria o storica”.
È interessante notare che già gli editori principi di P.Tebt. 269 avevano dedotto dalle misure inusuali
del margine sinistro che la colonna non appartenesse alla sezione interna del rotolo e che lo spazio
bianco, dunque, non fosse un normale, troppo ampio, intercolumnio (GRENFELL/HUNT/GOODSPEED (eds.)
1907, 19: “On the left of the column are 6½ centimetres of blank papyrus, which show no signs of ha ving been joined to another sheet; either then the margins between the columns were extraordinarily
broad or this was the first column of the roll”).
Papyrotheke 1 (2010) ― 59
condotti da G. Bastianini e da M. Caroli sull’impaginazione dei rotoli letterari 7, è
possibile essere certi che nei libri di II d.C. fosse usuale lasciare un margine esteso che precedeva la prima colonna di scrittura (l’agraphon appunto), spazio in
cui poteva essere posto il titolo dell’opera 8. Ipotizzando che il “margine” sinistro
del nostro frammento – dati la sua estensione, la datazione paleografica del papiro ed il tipo librario cui esso appartiene – sia la parte terminale di un agraphon,
P.Tebt. 269 potrebbe ampliare la serie di testimoni di questa particolare procedura editoriale, prevalentemente attestata in età romana9.
Inoltre, se questa ipotesi fosse corretta, i righi di scrittura conservati conterrebbero il prologo di un’opera in prosa sconosciuta o di una parte essa, il cui titolo poteva trovarsi proprio nell’agraphon, posto ad una altezza superiore rispetto
alla parte che di esso si conserva. Non si può tuttavia scartare l’ipotesi che il titolo si trovasse sopra il primo rigo della prima colonna di scrittura, o, addirittura,
sul verso del rotolo e che quindi lo spazio bianco che precedeva la prima colonna
risultasse completamente vuoto – eventualità quest’ultima tutt’altro che rara secondo G. Bastianini10. Supponendo, infine, che l’attuale estensione dell’agra7
8
9
10
BASTIANINI 1995, 21-41; CAROLI 2007, in particolare 13-79.
Nei rotoli antichi non si prediligeva un mezzo specifico di titolazione: sul recto il titolo iniziale poteva
trovarsi o nell’agraphon, o al di sopra della prima colonna di scrittura di un chartēs. Talvolta, poi,
esso compariva sul verso, vergato in orizzontale o in verticale; altre volte ancora il titolo era posto solamente in fondo al rotolo. Infine, esso poteva essere indicato esclusivamente sui sillyboi. Questa varietà nelle modalità di titolazione si può spiegare col fatto che nessuno dei metodi sopra elencati ri spondeva meno degli altri all’unica vera esigenza: informare subito il lettore sul testo che aveva di
fronte. Sul problema della titolazione dei rotoli librari il contributo più completo e recente è quello di
M. Caroli (CAROLI 2007), che approfondisce e rivede altri lavori fondamentali: LUPPE 1977, 89-99;
TURNER 1987, 14; BASTIANINI 1995, 25-33 e, specificamente sui sillyboi, DORANDI 1984, 185-9.
In TURNER 1987, 14 vengono elencati sei testimoni di II-III d.C.: P.Berol. inv. 9780v; P.Mich. IV 390;
P.Mich. inv. 4968; P.Harr. I 123; P.Oxy. III 568 e P.Oxy. XI 1366. BASTIANINI 1995, 29-32 ne aggiunge altri otto databili tra la fine del I d.C. e la fine del III d.C.: con titolo nell’ agraphon, P.Lond.
108+115 = P.Lond.Lit. 132; P.Oxy. IV 663; P.Oxy. LX 4026 e, in ambito documentario, P.Mil.Vogl. I
25. Senza titolo, P.Lond. 107; P.Lond. 135; P.Oxy. II 223; P.Lond. 131 verso. È grazie alle revisioni
degli originali effettuate da Capasso e Del Mastro che a queste liste si possono aggiungere sei papiri
ercolanesi databili tra il II a.C. e il I d.C. (cfr. CAPASSO 1998; DEL MASTRO 2002): il papiro ercolanese
cosiddetto “di Fania” [P.Hercul. 1008]; P.Hercul. 222; P.Hercul. 253; P.Hercul. 1457; P.Hercul. 1583;
P.Hercul. 1786. Nel 2001, inoltre, Bastianini e Gallazzi editarono gli Epigrammi di Posidippo di Pella
conservati da P.Mil.Vogl. inv. 1295 recto e notarono che il papiro testimonia un agraphon di età tolemaica (III a.C. – cfr. BASTINAINI/GALLAZZI (eds.) 2001, 13).
BASTIANINI 1995, 29-31.
60 ― M. Centenari / L. Iori, Ad apertura di libro
phon (6,5 cm) sia prossima a quella originaria, P.Tebt. 269 farebbe parte di quel
gruppo di papiri, individuato dallo studioso11, in cui l’agraphon che conteneva il
titolo occupava uno spazio piuttosto ristretto, dell’ordine di grandezza di una decina di centimetri.
2. Lettura parallela di P.Tebt. 269 e di P.Ryl. 514
L’esame formale di P.Tebt. 269, ed in particolare l’analisi paleografica condotta sul frammento con lo scopo di verificarne la datazione, ci ha portati a confrontare il nostro pezzo con altri testimoni della scrittura maiuscola rotonda. Basando le nostre ricerche soprattutto sul contributo che nel 1967 G. Cavallo ha dedicato alla descrizione di questa tipologia scrittoria 12, abbiamo considerato gli
esemplari da lui elencati, ritrovando particolari affinità tra P.Tebt. 269 e i testimoni della fase matura del canone13.
Nel corso di questi confronti abbiamo inoltre notato una sorprendente somiglianza tra il nostro pezzo e P.Ryl. 51414. Sebbene i due frammenti non siano mai
stati accostati, alcune prove “esterne” ed “interne” ci hanno condotto a proporre
una possibile lettura parallela dei due frammenti.
Innanzitutto è bene ricordare che, a differenza di ciò che si è detto per P.Tebt.
269, ritrovato in un contesto residenziale, P.Ryl. 514 è un papiro d’acquisto, di
provenienza, dunque, sconosciuta. Entrambi i frammenti, inoltre, si presentano
vergati solo sul recto con una scrittura che quasi sempre appare calligrafica, improntata ad un rigido bilinearismo, infranto solamente dalle lunghe phi e psi, con
11
12
13
14
Ibid., 28.
Cfr. CAVALLO 1967a, 209-20, ristampato in CAVALLO 2005, 151-62. Sulla maiuscola rotonda cfr. anche
TURNER 1987, 38, CAVALLO 1972, 131-40, ristampato in CAVALLO 2005, 73-83 e CAVALLO 2008, 95-8.
Si vedano la forma non occhiellata e semicircolare dell’epsilon con curva superiore e tratto mediano
staccati; la linea mediana dell’omega che tende a raddrizzarsi; il virtuosismo calligrafico senza affettazione e l’equilibrio di tratteggio che, mantenendo la regolarità dell’angolo di scrittura, evita marcati
effetti chiaroscurali (cfr. CAVALLO 1967a, 214-5).
La nostra indagine sul frammento è stata condotta sulla tavola contenuta nell’editio princeps (ROBERTS
(ed.) 1938, pl.VII). Segnaliamo che l’editore principe di P.Ryl. 514 aveva ricondotto la scrittura del
frammento alla tipologia della “maiuscola biblica”. Questa errata valutazione è stata individuata e cor retta da Cavallo (cfr. CAVALLO 1967b, 17) che ha giustamente riconosciuto nel papiro un testimone della maiuscola rotonda.
Papyrotheke 1 (2010) ― 61
lettere ben distanziate e disegnate da curve eleganti nella continuità della scriptio.
Sebbene, poi, G. Cavallo citi P.Ryl. 514 come esempio di “decadenza del canone”, egli non lo colloca oltre i limiti del II secolo d.C., cioè richiama una datazione compatibile con quella di P.Tebt. 26915. Inoltre, più in generale, lo stesso
autore lascia intendere che in alcuni casi l’attribuzione dei frammenti all’una o
all’altra fase del canone non dovrebbe essere condotta troppo rigidamente. Ad
esempio egli stesso ritrova vari punti di contatto tra la scrittura di P.Oxy. 2624
(associato alla stessa fase decadente a cui anche P.Ryl. 514 viene attribuito) e il
cosiddetto Omero di Hawara, uno degli esempi più raffinati di maiuscola rotonda
“matura”16.
Dall’analisi delle scritture dei frammenti si è notato che le mani di P.Tebt.
269 e di P.Ryl. 514 sono quasi del tutto sovrapponibili. Anche se nell’ambito della regolarità tipica della maiuscola greca rotonda i caratteri personali del ductus
erano tanto ridimensionati rispetto a quelli “tipici”, le coincidenze che si riscontrano nello studio paleografico di questi documenti sono davvero significative.
Dapprima si notino, nei due papiri, le notevoli somiglianze riscontrabili nella
forma delle lettere più caratteristiche di questa scrittura canonizzata 17: il my si
presenta ampio ed elegante, con i tratti mediani fusi in un’unica linea ricurva e
ornato alla sommità delle aste verticali da uncini orientati verso sinistra (cfr. P.Tebt. 269 rr.2 – dove se ne ha una versione rimpicciolita in fine di rigo – e 8; P.Ryl. 514 col. I, rr. 1-2).
P.Tebt. 269, r. 8
15
16
17
CAVALLO 1967a, 218.
Ibid., 218.
Ibid., 210.
P.Ryl. 514, col. I r. 2
62 ― M. Centenari / L. Iori, Ad apertura di libro
In entrambi i papiri la linea mediana di omega tende, inoltre, ad essere disposta secondo la normale al rigo di base (cfr. P.Tebt. 269 rr. 6-7; P.Ryl. 514 col. I,
r. 5), come avviene nella fase matura del canone:
P.Tebt. 269, r. 6
P.Ryl. 514, col. I r. 5
Il kappa ha un’attaccatura piuttosto alta e l’asta obliqua discendente si presenta leggermente arcuata (cfr. P.Tebt. 269, rr. 5; 7-8; P.Ryl. 514, col. I, rr. 1; 4 e
col. II r. 1):
P.Tebt. 269, r. 7
P.Ryl. 514, col. II r. 1
Le maggiori somiglianze, poi, si riscontrano nelle dimensioni delle lettere.
Ecco una tabella riassuntiva delle rispettive misure18:
18
Si segnalano altezza x larghezza in cm. Le misurazioni sono state eseguite non tenendo conto delle
lettere rimpicciolite ai rr. 1 e 2 di P.Tebt. 269 e stimando, per ambo i frammenti, una media delle dimensioni degli esemplari della medesima lettera, che talvolta variavano leggermente tra un rigo e l’al tro.
Papyrotheke 1 (2010) ― 63
Lettere
P.Tebt. 269
P.Ryl. 514
Α
Β
Γ
Δ
Ε
Ζ
Η
Θ
Ι
Κ
Λ
Μ
Ν
Χ
Ο
Π
Ρ
Σ
Τ
Υ
Φ
Χ
Ψ
Ω
0,4 x 0,4
0,4 x 0,4
/
0,4 x 0,5
0,3 x ?
/
? x 0,4
0,4 x 0,4
0,4 x 0,1
0,4 x 0,4
0,4 x 0,4
0,4 x 0,6
0,4 x 0,4
/
0,3 x 0,4
0,4 x 0,5
/
0,3 x 0,4
0,4 x 0,4
0,4 x 0,4
1,1 x 0,5
/
0,7 x ?
0,3 x 0,6
0,4 x 0,4
/
/
/
0,3 x 0,4
/
0,4 x 0,4
/
0,4 x 0,1
0,4 x 0,4
0,4 x 0,4
0,4 x 0,6
0,4 x 0,4
/
0,3 x 0,4
0,4 x 0, 5
0,4 x 0,3
0,3 x 0,4
0,4 x 0,5
/
1,1 x 0,5
/
/
0,3 x 0,6
Anche i criteri d’impaginazione utilizzati nei due papiri presentano alcune interessanti coincidenze. Le interlinee di P.Tebt. 269 si aggirano tra gli 0,4 e gli 0,3
cm e corrispondono perfettamente a quelle che separano i 10 righi di scrittura disposti su due colonne in P.Ryl. 514 (0,3 cm ca). Questo dato merita attenzione
perché non è abituale nei rotoli che Johnson definisce come “elegant” 19, tra i qua19
JOHNSON 2004, 156
64 ― M. Centenari / L. Iori, Ad apertura di libro
li probabilmente dovremmo far confluire P.Tebt. 269 e P.Ryl. 51420. Infatti, solo
il 32% dei rotoli letterari di alta qualità formale che egli considera porta interlinee così ampie.
Si noti, poi, che gli scribi di entrambi i papiri usarono particolare cura nell’inserire a testo segni interpuntivi o diacritici. In P.Tebt. 269 compaiono delle stigmai (due punti in alto ai rr. 3 e 7) e al r. 8 si trova un trattino riempitivo, che giustifica la colonna. Nel papiro Rylands notiamo un segno di paragraphos nell’interlinea che separa il r. 4 dal r. 5 (II col.) e un trattino riempitivo dello stesso genere di quello appena ricordato per il frammento tebtunense al r. 3 della prima
colonna: entrambe sono piccole virgole rovesciate e volte a sinistra. Questo è un
aspetto rilevante se si nota che, data la loro funzione solo esornativa, tali trattini
assumevano spesso forme differenti a seconda dello scriba che li disegnava.
Riserviamo, infine, un ultimo cenno al contenuto dei testi. Senza pronunciarci
sul genere letterario dei due frammenti, notiamo che P.Ryl. 514, come P.Tebt.
269, è un frammento letterario di prosa adespoto che testimonia al r. 7 della col. I
la sequenza τωϲοφι21. Essa, pur nella lacunosità del contesto, pare rimandare al
termine ὁ ϲοφιϲτήϲ presente al genitivo plurale ai rr. 6-7 di P.Tebt. 269.
Il tentativo di una lettura parallela dei testi, insomma, crediamo possa trovare
una solida base di giustificazione nell’aspetto paleografico distintivo esibito da
entrambi i manufatti. La prima considerazione che si è naturalmente spinti a formulare a questo proposito è che i due frammenti possano provenire da rotoli approntati dalla stessa mano, ma forse sarebbe possibile spingersi oltre e pensare
che essi appartenessero allo stesso rotolo originario, una possibilità quest’ultima
che andrà esplorata con attenzione sulla base delle pur limitate porzioni di testo
conservato nelle frammentarie colonne superstiti.
Margherita Centenari / Luca Iori
Università degli Studi di Parma
[email protected] / [email protected]
20
21
Come nota JOHNSON 2004, 156, l’unica prova attendibile per riconoscere i rotoli librari di lusso è lo stile scrittorio, che nei nostri papiri, come si è visto, è particolarmente raffinato.
Cfr. ROBERTS (ed.) 1938, 133; 139.
Papyrotheke 1 (2010) ― 65
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Papyrotheke 1 (2010) ― 67
Le attività e le attestazioni di un prefetto d’Egitto:
Lucius Munatius Felix
Questo lavoro dedicato alla carriera politica di Lucius Munatius Felix nasce
dall’esigenza di approfondire il suo operato in qualità di prefetto d’Egitto, quale
compito preliminare alla lettura e all’interpretazione di un papiro ancora inedito e
di prossima pubblicazione1. Il papiro in questione, databile all’anno 152/153 d.C.,
al rigo sesto cita, in un contesto particolarmente frammentario, i κελευϲθέντα del
κράτιϲτοϲ ἡγεμών Munatius Felix; da qui nasce la necessità di raccogliere la
documentazione relativa ai provvedimenti presi dal prefetto nell’arco del suo
mandato.
Il dossier consta di una citazione letteraria, alcune iscrizioni e naturalmente
una serie di papiri che sono senza dubbio la nostra migliore fonte d’informazione
sulle attività del nostro prefetto. Le iscrizioni, infatti, citano solamente Munatius
e la carica che ricopriva senza fornire dettagli sul suo operato 2. L’unica testimonianza letteraria a nostra disposizione, invece, ricorda l’episodio di un giovane
cristiano che chiedeva, a supporto del suo intento di vivere castamente, di poter
diventare eunuco. L’operazione non poteva essere eseguita senza il consenso del
prefetto Munatius, che rifiutò l’autorizzazione3.
A conclusione di questo contributo sono raccolte, in un elenco (Tav. 1), le in1
Il papiro da Tebtynis UC 2435, che include sul recto la citazione del prefetto Munatius, sarà pubblicato come esito del “Seminario su papiri inediti da Tebtynis” (Università di Parma).
2
MILNE 1905, 13, nr. 9307 (= BRECCIA 1911, nr. 69) del 01-02.151-154: Munati]o Felice praef(ecto) |
[A]eg(ypti); IGR I 1176 (= MILNE 1905, 41, nr. 9266 = SB 8816) del 25.05.150-154: Λυκίου
Μουνατίου Φήλικοϲ ἐπάρχου Αἰγύπτου; IGR I 1290 B, 6 (= CIG 4863 III 9 = SB 8392, 11 (?) ) del
07-08.149-153: Λυκίου...ἐπάρχου Αἰγύπτου; AE 1952, nr. 248 (= BERNARD 1977, nr. 53): Munatio
Felice [praef(ecto) Aeg(ypti)].
3
Justin. Apol. I, 29, 2 ss.
68 ― M. Nuti, Le attività e le attestazioni di un prefetto d’Egitto
dicazioni dei papiri che citano il prefetto d’Egitto Lucius Munatius Felix4, il quale rimase in carica sotto l’impero di Antonino Pio (138-161 d.C.) certamente per
il periodo che va dal 17 aprile 1505 al febbraio-marzo del 1546. Il suo mandato,
comunque, dovrebbe essere andato molto oltre questo arco cronologico, poiché
l’ultima attestazione riferibile al possibile predecessore, Marcus Petronius Honoratus, è datata 11 novembre 148 d.C., e la prima testimonianza riconducibile al
successore di Munatius, Marcus Sempronius Liberalis, è databile al 29 agosto del
154 d.C.7.
Le testimonianze disponibili sull’operato di Lucius Munatius Felix rendono
bene conto delle principali responsabilità che un praefectus Aegypti doveva avere8. La maggior parte dei documenti in questione si riferisce al prefetto quale
massima autorità giudiziaria, che esercita le sue funzioni nel tribunale permanente ad Alessandria oppure nei conuentus, tenuti in itinere nei diversi distretti egi4
L’elenco delle attestazioni allegato è stato redatto sulla base degli studi di BURETH 1988, 485, e di
BASTIANINI 1988, 509. L’elenco segue un ordine cronologico raggruppando dapprima le citazioni del
prefetto che si riferiscono ad uno specifico anno della prefettura di Munatius (# 1-14), poi quelle per
le quali si può indicare una forbice più o meno ampia all’interno del periodo in cui il prefetto è rima sto in carica (# 15-22); infine si riportano le attestazioni che sono riferibili ad un tempo successivo alla
prefettura di Munatius e che lo indicano quale ex prefetto (# 23-29).
5
P.Ryl. II 75 (# 2).
6
P.Oxy XLI 2961-2963 (# 12-14). Secondo l’editore di PSI V 447, la testimonianza # 24 del nostro
elenco, è possibile supporre che L. Munatius Felix sia stato prefetto anche durante il regno di Adriano,
poiché al rigo 21 di questo papiro si cita l’ex prefetto Munatius con la datazione imperiale che risale a
questo imperatore. La lettura, tuttavia, è frutto di un’integrazione e il contesto è decisamente frammentario, mancando le successive linee di testo. L’ipotesi di una prefettura di Munatius in epoca
adrianea pare comunque doversi escludere, poiché non è attestata da nessun altro papiro e perché nessun prefetto d’Egitto sembra aver ricevuto l’incarico in due periodi distinti sotto due diversi imperatori.
7
Si vedano rispettivamente P.Meyer I 3, 8 (11.11.148 d.C.) e BGU II 372, 1 (= SB XX 14662;
29.08.154 d.C.). Ipoteticamente si può inserire prima oppure dopo la prefettura di Munatius quella di
Dinarchus, che però è attestata solo da un passo di Malalas (XI, 367), per di più d’incerta interpretazione (cfr. BASTIANINI 1975, 291 n. 1). La testimonianza di PSI IX 1026, B, 16 (= CPL 117), la prima
del nostro elenco, è datata al 22 gennaio del 150 e, nonostante sia semplicemente nominata la carica
del praefectus Aegyptius, viene generalmente attribuita alla prefettura di L. Munatius Felix.
8
Sull’attività del prefetto d’Egitto si veda ora il lavoro di JÖRDENS 2009.
Papyrotheke 1 (2010) ― 69
ziani. A queste prerogative fa riferimento l’unica testimonianza letteraria disponibile, quella già ricordata in precedenza, mentre le sentenze del prefetto conservateci nei papiri, almeno per i contesti in cui è possibile comprenderne il contenuto9, si riferiscono in due casi ad azioni per debiti. In una di queste occasioni Munatius, di fronte alla rinuncia al proprio patrimonio da parte di un debitore insolvente, stabilisce che tale rinuncia non sia valida se il debitore è in buona fede e
non ha compiuto atti fraudolenti nei confronti dei creditori10. In un altro caso viene ricordato un giudizio dell’ormai ex-prefetto che si esprimeva sull’impossibilità di sottrarsi al pagamento di un debito portando nuove accuse contro il creditore11.
Sempre ai poteri giudiziari del prefetto d’Egitto fa riferimento anche la petizione di un veterano di guerra che richiede l’apertura del testamento di un familiare12. Infine, bisogna segnalare un altro papiro che riporta quattro giudizi prefettizi: i primi due e l’ultimo riferibili a Munatius, il terzo al suo successore Libera9
In un caso (P.Ryl IV 678, 6 e 9 = # 4) il testo è troppo frammentario per poter comprendere a cosa si
riferisse il giudizio espresso dal prefetto Munatius. Per altri papiri si comprende in linea di massima
cosa riguardava la disputa, ma non è chiaro l’intervento di Munatius: in un’occasione il prefetto si
pronunciava su di una vicenda di furto non ricostruibile nei dettagli (P.Mich. inv. 160 + P. Oslo 18 = #
20); in un’altra, su una questione non meglio precisabile che coinvolgeva kynegoi e kamelotrophoi
(P.Oxf. 4, 1 = # 22). Da un papiro proveniente dall’Arsinoite sappiamo dell’intenzione di un abitante
di Soknopaiou Nesos di ricorrere nella successiva occasione al conuentus di Munatius dopo non aver
avuto soddisfazione in merito ad una disputa monetaria (P.Lond. II 358 = # 19). Infine in un altro papiro dall’Arsinoite si citano gli hypomnēmata dell’ex-prefetto Munatius all’interno di una disputa su
un’eredità (BGU II 613 = # 26).
10
P.Ryl. II 75 (# 2).
11
P.Oxy. II 237 (# 8). Si tratta della nota petizione, inviata nel 186 da Dionysia al prefetto Pomponius
Faustianus, che contiene un resoconto di una complicata vertenza in atto tra la richiedente e il padre
Chaeremon. Oggetto della causa è una questione monetaria, legata ad una proprietà gravata da ipoteca, parte della dote della figlia. Contro il giudizio favorevole a Dionysia, Chaeremon richiede che la
figlia sia separata, contro la sua volontà, dal marito, il quale lo aveva minacciato. Di fronte all’accusa
del padre, Dionysia espone al prefetto una serie di precedenti giudizi sull’inammissibilità della richiesta e rivendica che in ogni caso non è possibile sottrarsi al pagamento di quanto dovuto ponendo una
nuova questione giudiziaria. Da questo punto di vista Dionysia cita una sentenza di Munatius che va
in questa direzione.
12
BGU II 448 (# 21).
70 ― M. Nuti, Le attività e le attestazioni di un prefetto d’Egitto
lis13. Di quelli che riguardano il nostro prefetto si può affermare che il primo, tenuto nel corso di un conuentus a Pelusium, riguarda l’affidamento di una liturgia,
l’amphodarchia, mentre l’ultimo pare riferirsi a questioni di tasse. Sebbene non
sia ulteriormente specificabile il contenuto delle sentenze di Munatius, ed anzi
della seconda non sia comprensibile nemmeno il contesto, a causa delle cattive
condizioni del papiro, il documento è significativo perché i giudizi citati rimandano, per la materia trattata, ad un’altra importante competenza del prefetto: il
controllo finanziario e fiscale. A questa prerogativa si riferiscono alcuni testi relativi a requisizioni di viveri nell’Ossirinchite e nel Prosopite durante il periodo
della prefettura di Munatius, e precisamente tra il 152 e il 154.
Una prima testimonianza è nota da un papiro della Società Italiana che risale
al 152 d.C. Si tratta di una dichiarazione da parte di alcuni proprietari di poderi di
un villaggio dell’Ossirinchite, i quali asseriscono di aver fornito vino ad Herakleides (oinemporos), secondo i keleusthenta del praefectus Munatius14. Alcuni
papiri di Ossirinco, databili al febbraio 154, contengono ricevute del pagamento
da parte dei banchieri pubblici (demosioi trapezitai) per il grano che era stato requisito al prezzo di 8 dracme, secondo gli ordini (keleustheis) del prefetto15. Infine, un altro papiro di Ossirinco che risale al periodo successivo alla prefettura di
Munazio, e probabilmente all’anno 154/155 d.C., riporta il testo di un’altra ricevuta del pagamento da parte di banchieri reali (basilikoi trapezitai) al prezzo che
l’ex prefetto Munatius Felix aveva ordinato per il grano requisito nel nomo Prosopite16.
Un’altra responsabilità del prefetto era il controllo dei lavori pubblici, che in
Egitto rivestivano particolare importanza soprattutto per la loro relazione con le
inondazioni del Nilo. Ancora un papiro di Ossirinco, infatti, testimonia che sotto
la prefettura di Munatius le casse pubbliche stanziarono una somma che doveva
servire a completare i lavori comatici lungo il Nilo, o lungo un canale, che erano
13
P.Mich. inv. 2964 (vedi # 6, 16 e 17).
14
PSI X 1123 (# 9).
15
P.Oxy. XLI 2961-2963 (# 12-14).
16
P.Oxy. LX 4056 (# 23).
Papyrotheke 1 (2010) ― 71
stati affidati ad un liturgo17.
Tra i compiti del praefectus Aegypti vi era anche quello di ordinare, tramite
editto, il censimento provinciale. Tale operazione si svolse regolarmente, ogni 14
anni, nel periodo tra il 19/20 e il 257/258 d.C., e dunque durante la prefettura di
Munatius nessun censimento dovette essere indetto. Esisteva comunque una forma di aggiornamento delle registrazioni della popolazione, che consisteva nelle
richieste di epikrisis. Tale procedura prevedeva l’accertamento, attraverso l’esame dei titoli, della possibile appartenenza di un individuo ad una determinata categoria di abitanti che godevano di alcuni privilegi, soprattutto quello di pagare
una quota ridotta della laographia (la tassa pro capite); tra questi privilegiati vi
erano i cittadini romani, le cui dichiarazioni di status venivano vagliate dal prefetto mediante un suo rappresentante. Due papiri, entrambi datati dopo il 160
d.C., fanno riferimento ad epikriseis avvenute sotto Munatius18. Al conferimento
di particolari prerogative è collegato anche un altro papiro, che costituisce l’unica
attestazione, all’interno del nostro dossier, di un editto di Munatius Felix, riferito
ai privilegi dei cittadini di Antinopoli, che però non sono meglio precisabili a
causa dello stato frammentario del documento19.
Il prefetto d’Egitto non era solo la massima autorità in campo civile nella regione, ma era anche il comandante delle legioni stanziate nella provincia – due al
tempo di Antonino Pio – e il capo delle forze di polizia. Gli ultimi due papiri che
rimangono per completare la nostra breve rassegna paiono riferirsi proprio all’autorità militare del nostro prefetto. Il primo documento in questione è una petizione, indirizzata al governatore della Giudea da parte di veterani originari di Alessandria che intendevano ritornare in patria dopo il servizio. Costoro richiedono
un documento che attesti lo scioglimento del giuramento militare e che sia valido
di fronte al prefetto dell’Egitto. L’altro papiro di natura militare in cui compare
Munatius contiene una lista di soldati, forse segnalati per qualche riconoscimento
o promozione; il testo è lacunoso ma, secondo l’editore, è possibile che la cita17
P.Oxy. IV 800 (= SB XVI 12374; # 10); cfr. MARTIN 1979.
18
SB X 10219 (161 d.C.; # 3) e PSI V 447 (166/7 d.C.; # 24).
19
P.Iand. VII 140 (# 7).
72 ― M. Nuti, Le attività e le attestazioni di un prefetto d’Egitto
zione di alcuni prefetti del periodo 147-163 d.C. non sia semplicemente un sistema di datazione, bensì si riferisca al reclutamento di truppe ausiliarie da questi
condotto durante il loro mandato20.
MASSIMILIANO NUTI
Università degli Studi di Parma
Dipartimento di Storia
[email protected]
Bibliografia
G. BASTIANINI (1975), Lista dei prefetti d’Egitto, ZPE 17, 263-328.
G. BASTIANINI (1988), Il Prefetto d'Egitto (30 a.C. - 297 d.C.): addenda (1973-1985), in ANRW,
t. II, 10, 1, Berlin/New York, 503-517.
A. BERNARD (1977), Pan du désert, Leiden.
E. BRECCIA (1911), Iscrizioni greche e latine nel Museo Greco-Romano di Alessandria, Il Cairo.
P. BURETH (1988), Le préfet d’Égypte (30 av. J.-C. - 297 ap. J.-C.): état présent de la
documentation en 1973, in ANRW, t. II, 10, 1, Berlin/New York, 472-502.
A. JÖRDENS (2009), Statthalterliche Verwaltung in der Römischen Kaiserzeit. Studien zum
Praefectus Aegypti, Stuttgart (“Historia Einzelschriften” 175).
A. MARTIN (1979), Le P. Oxy IV 800 et le financement des travaux publics, CE 54, 131-3.
J.G. MILNE (1905), Greek Inscriptions, Oxford (“Catalogue Général des Antiquités
Égyptiennes”).
20
P.Mich. VII 447 (= Ch.L.A. XLII 1225; # 6 e 11).
Papyrotheke 1 (2010) ― 73
74 ― M. Nuti, Le attività e le attestazioni di un prefetto d’Egitto
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76 ― M. Nuti, Le attività e le attestazioni di un prefetto d’Egitto
Papyrotheke 1 (2010) ― 77
NOTE e RECENSIONI
Papyrotheke 1 (2010) ― 81
Un ambulatorio medico antico:
due libri recenti sul “Chirurgo di Rimini”
Questo contributo prende spunto dalla lettura dei seguenti volumi:
Medici e pazienti nell’antica Roma, La medicina romana e la domus “del Chirurgo” di Rimini. Atti del Convegno internazionale (Rimini, 12 giugno 2008), a cura
di Stefano DE CAROLIS e Valeria PESARESI, “Historica” 40, Verucchio (RN),
Pazzini, 2008 (“Bollettino dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri
della Provincia di Rimini” 9/1-2), 156 pp., € 10,00 | ISBN 8862570589.
ARS MEDICA. I ferri del mestiere. La domus del ‘Chirurgo’ di Rimini e la chirurgia nell’antica Roma, a cura di Stefano DE CAROLIS, Rimini, Guaraldi, 2009,
103 pp., € 30,00 | ISBN 8880493515.
Nel 1989, a Rimini, durante i lavori di risistemazione di piazza Ferrari, vide
casualmente la luce uno dei ritrovamenti archeologici più interessanti per la storia della medicina, il complesso della domus “del Chirurgo”1 (Fig. 1). Distrutto
nel corso di eventi bellici nella seconda metà del III secolo d.C. 2, il sito ha conservato in loco una grande quantità di materiali, tra i quali spicca una ricchissima
dotazione di strumenti chirurgici in metallo e di altri oggetti terapeutici in pietra e
ceramica3. Lo strumentario fu rinvenuto in due vani presumibilmente adibiti al1 Le circostanze, del tutto fortuite, in cui avvenne il ritrovamento della domus, sono descritte in ORTALLI
2009, 22.
2 Più precisamente, la data proposta per il crollo dell’edificio dovrà essere intorno al 260 d.C.; l’evento
bellico sarebbe dunque da identificare con un’invasione da parte degli Alamanni. L’analoga sorte di
altri edifici di Ariminum, ed il ritrovamento di armi insieme al resto dei reperti (se non si tratta di un
semplice trofeo già presente nella domus) sono ulteriori testimonianza di questa ricostruzione. Cfr. anche ORTALLI 2009, 26.
3 I fatti che provocarono la distruzione della domus dovettero culminare in un incendio, che causò la distruzione o il danneggiamento di tutti materiali vulnerabili al fuoco, come ad esempio i testi che il nostro medicus doveva certamente avere sottomano per la consultazione (ricettari, appunti, manuali e
82 ― G. Ghiretti, Un ambulatorio medico antico
l’esercizio della professione medica (vd. infra).
Notevole è, in particolare, il fatto che durante e dopo gli eventi che ne causarono la distruzione nulla fu asportato dalla domus (dove è stato rinvenuto, tra le
altre cose, anche un gruzzolo di monete; anche il set di strumenti aveva di per sé
grande valore4); si ha dunque la discreta certezza di avere a che fare con un armamentario medico completo, conservato nel proprio contesto d’uso ed accuratamente scavato, a differenza di quanto si riscontra nel caso delle più importanti testimonianze materiali sulla medicina antica, quelle provenienti da Pompei (spesso spostate in antico durante la fuga dei proprietari dall’eruzione e ritrovate secoli
fa, con ciò che ne consegue dal punto di vista del metodo 5) o dalle numerose sepolture documentate in gran parte del mondo greco-romano, probabilmente solo
una selezione (per di più fuori contesto) degli strumenti appartenuti al defunto 6.
Dopo descrizioni più scarne della domus7, l’attenzione degli studiosi si è dunque, a ragione, soffermata sul medicus riminese, sul suo ricco armamentario e
sulla pratica medica in generale con diversi articoli apparsi su periodici specializzati8 e, in particolare, con due volumi miscellanei usciti negli ultimi anni, al termine dell’indagine archeologica e della musealizzazione del sito e dei reperti.
Il primo in ordine cronologico è un numero monografico del bollettino dell’Ordine del Medici della provincia di Rimini, che raccoglie gli atti del convegno
internazionale “Medici e pazienti nell’antica Roma”, tenutosi a Rimini nel 2008
in occasione del X Festival del mondo antico 9. Come suggerisce il titolo, la prospettiva degli interventi in esso contenuti è piuttosto ampia; i più interessanti per
quanto riguarda la lettura del sito sono i contributi di Jacopo Ortalli 10 (direttore
4
5
6
7
8
9
10
trattati).
Cfr. ORTALLI 2009, 22 e 32 ss., JACKSON 2009.
A questo proposito cfr. BLIQUEZ 1994, 6 ss. e JACKSON 2009, 73.
Dà conto dei ritrovamenti in ambito sepolcrale, sia per quanto riguarda le tipologie riscontrate che la
distribuzione geografica, KÜNZL 1983.
Si veda ad esempio ORTALLI 2000.
Lo strumentario è stato studiato in particolar modo da Ralph Jackson: cfr. ad esempio JACKSON 2003.
Si veda supra per i dettagli sulla pubblicazione.
ORTALLI 2008.
Papyrotheke 1 (2010) ― 83
scientifico dello scavo) e Ralph Jackson11.
La seconda pubblicazione12 (edita nel 2009 in occasione del congresso della
Società Italiana di Chirurgia), che contiene anch’essa alcuni articoli non immediatamente connessi alla domus ed al suo ultimo fruitore13, risulta di particolare
importanza per una più dettagliata descrizione del sito grazie a due contributi, focalizzati rispettivamente sul sito archeologico14 e sullo strumentario medico15.
Notevole è la buonissima qualità delle illustrazioni contenuti nel volume, specialmente per quanto riguarda i ferri chirurgici e gli altri oggetti destinati alla pratica
terapeutica.
Non è mia intenzione, in questa sede, fornire una dettagliata recensione delle
pubblicazioni citate, bensì dare conto delle nuove informazioni sulla domus riminese in esse riportate e rilevare se e come queste confermino o completino i dati
già noti da altri tipi di fonti (prevalentemente scritte) relative alla pratica medica
antica, specialmente nel suo svolgersi concreto e quotidiano.
1. L’ambulatorio medico
Il complesso della domus è descritto in modo chiaro, organico e dettagliato da
Jacopo Ortalli nel volume del 2009; oltre a ricostruire evoluzione e caratteristiche
generali del sito, particolare attenzione è dedicata agli ambienti in cui si svolgeva
l’attività del medicus.
Un elemento che emerge immediatamente, ed è giustamente sottolineato, è il
fatto che l’attività terapeutica testimoniata dai numerosi strumenti medici e chirurgici si svolgesse non in una struttura di tipo ospedaliero, ma nelle stanze a
pianterreno di quello che doveva anche essere il domicilio del medicus (sembra
11 JACKSON 2008.
12 Si veda in bibliografia, s.v. DE CAROLIS 2009a.
13 Sono presenti alcuni studi storico-medici di vari argomenti, come la patologia tiroidea nell’antichità o
gli strumenti chirurgici rinvenuti a Pompei.
14 ORTALLI 2009.
15 JACKSON 2009.
84 ― G. Ghiretti, Un ambulatorio medico antico
infatti certa la presenza di un piano rialzato di uso abitativo16).
Dal punto di vista archeologico questo dato è evidente se si confrontano dimensioni e planimetria del sito di Rimini con le uniche strutture espressamente
destinate a degenza e convalescenza attestate in epoca classica, i ualetudinaria
utilizzati dall’esercito romano: questi ultimi sono strutture generalmente piuttosto
grandi17, riconoscibili dalla caratteristica pianta con spazi comuni e stanze più
piccole per i pazienti attorno ad un cortile centrale (Fig. 2), mentre il sito della
domus è di dimensioni assai limitate e, come si è detto, privo di locali pensati per
la degenza (Fig. 3).
Pertanto risulta equivoca – ma è l’unico e limitato appunto che si può muovere a questo utilissimo contributo – l’ipotesi che quello del medicus di Rimini si
possa definire, oltre che come taberna medica domestica, come un “piccolo valetudinarium a conduzione privata18”, nonostante, come si vedrà infra, il nostro
Chirurgo possa forse essere connesso con l’ambito militare. Più cauta la formulazione di Ralph Jackson nel dibattito riportato in appendice agli Atti del 2008, in
cui si nota come l’abitudine, dovuta alla sua provenienza dall’ambito militare, a
curare i pazienti in ambito “ospedaliero” abbia portato il medico riminese ad usare talvolta la sua domus come una clinica “just as he had accomodated his military patients in a valetudinarium”19. Anche la presenza di un “lettino” nel cubiculum può essere, in questo senso, un elemento di ambiguità. Sono però ampiamente testimoniate pratiche curative “private”, chirurgiche e non, in cui il paziente
doveva rimanere sdraiato20 ed è noto che i pazienti non in condizione di muoversi
16 Cfr. ORTALLI 2009, 29 e 26, fig. 6.
17 Per i ualetudinaria cfr. NUTTON 2004, 171 ss. Non mancano, in insediamenti di estensione più modesta, versioni rimpicciolite di questa struttura, ma sempre con la stessa impostazione: è il caso di Vindolanda (la planimetria è disponibile all’indirizzo http://vindolanda.csad.ox.ac.uk/exhibition/army-11.shtml).
18 Cfr. ORTALLI 2009, 30 e 41.
19 DE CAROLIS/PESARESI (eds.) 2008, 140; subito dopo De Carolis traduce, forse un po’ liberamente, con
“la struttura riminese è stata in un certo senso adattata a piccolo valetudinarium, proprio in virtù di
quella passata esperienza” (i.e. la pratica in ambiente militare).
20 Si veda ad esempio, per quanto riguarda i testi giunti su papiro, P.Oxy. VIII 1088: “fai distendere il
paziente in posizione supina ed effettua il trattamento (…) applica una borsa di acqua calda ai piedi e
coprilo con una coperta”.
Papyrotheke 1 (2010) ― 85
autonomamente potevano rimanere ospiti del loro medico per un breve periodo 21.
Tuttavia questa rappresentava un’eccezione: molto più spesso, infatti, gli ammalati erano curati al domicilio oppure a livello “ambulatoriale”.
Questa informazione si integra perfettamente con i dati contenuti nelle fonti
letterarie e documentarie, così come in quelle iconografiche: è il caso di una attestazione assai lontana nel tempo e nello spazio, la scena effigiata sull’aryballos
Peytel (V secolo a.C.) raffigurante un medico al lavoro nel suo studio, identificato per mezzo di strumenti “archetipici” come le ventose, il bacile e il flebotomo,
con una vera e propria coda di pazienti in attesa di essere visitati (Fig. 4). Le fonti documentarie, inoltre, ed in particolare quelle di carattere papirologico, ci restituiscono altri elementi, più pratici, a proposito della sua organizzazione: sappiamo così che era una sorta di “bottega” spesso annessa all’abitazione e condotta a
“gestione famigliare”, come sembra ad esempio testimoniare il P.Oxy. LIX 4001
(IV secolo d.C.), una lettera indirizzata dal mittente (un certo Eudaimon, presumibilmente medico, che si trova lontano da casa) al destinatario (sue parenti
strette) παρὰ ἰατρεῖον, cioè presso l’ambulatorio. I nomi utilizzati per definire
questa struttura erano infatti ἰατρεῖον, attestato sia nei papiri che in letteratura 22,
il più generico ἐργαστήριον23 e, in latino, taberna medica.
Tornando allo ἰατρεῖον riminese, questo si trovava, dal punto di vista urbanistico, in una buona posizione: il complesso della domus è ubicato entro il perimetro cittadino, delimitata su due lati da un cardo e da un decumano e, su un terzo
lato, quello obliquo (l’insula ha forma trapezoidale), dalla strada che doveva
fiancheggiare quella che allora era la linea di costa 24. Si noti, a questo proposito,
che uno dei rarissimi altri documenti che testimoniano l’ubicazione di un ambulatorio medico, il P.Oxy. LXIV 4441 (IV secolo d.C.), lo colloca anch’esso in posizione piuttosto centrale, dentro o accanto alla stoa di Ossirinco, e comunque al21 Cfr. De CAROLIS 2009b, 47 s. e nn. 8-9.
22 Le attestazioni su papiro sono quattro (P.Oxy. LIX 4001, P.Oxy. LXIV 4441, BGU II 647 e P.Ross.
Georg. III 2); per quanto riguarda le altre fonti letterarie, si può citare un trattatello del Corpus Hippocraticum dedicato - in parte - alla corretta organizzazione dello spazio di lavoro del medico, per l’appunto il Κατ’ ἰητρεῖον (Hp. Off.).
23 Termine più generico, attestato in P.Ross.Georg. III 2 come alternativa di ἰατρεῖον.
24 Cfr. ORTALLI 2009, 24.
86 ― G. Ghiretti, Un ambulatorio medico antico
l’interno del perimetro cittadino. Sempre a proposito dell’aspetto architettonico,
un dettaglio interessante è la migliore illuminazione di alcuni dei vani, ed in particolare quello ad est dell’ambiente con il mosaico di Orfeo, un fatto la cui importanza per la pratica clinica è sottolineata sia nello scritto del Corpus Hippocraticum dedicato all’organizzazione dell’ambulatorio, sia nei recuperi archeologici dei ualetudinaria che conservano traccia dell’organizzazione interna dei locali25.
Lo ἰατρεῖον era inoltre decorato con mosaici e affreschi e dotato di suppellettili assai ricercate, delle quali si parlerà meglio di seguito poiché hanno importanza soprattutto ai fini di una possibile ricostruzione dell’origine e della personalità
del Chirurgo. Un’ultima curiosità, menzionata per la prima volta nel volume del
2009, riguarda un secondo “abitante” della domus. In uno dei vani dell’ambulatorio furono infatti rinvenute le ossa del piccolo cane di casa 26: una presenza (anche
se forse non molto in sintonia con i nostri attuali standard igienici) che oltre ad
aggiungere un tocco di vivacità alla ricostruzione della vita quotidiana nello
ἰατρεῖον ci fornisce, come giustamente si nota nel testo, un’ulteriore garanzia
della repentinità del crollo della costruzione e dunque di come la sistemazione
del materiale corrisponda con fedeltà a quella in antico.
2. Gli strumenti chirurgici
Lo strumentario chirurgico è senza dubbio il ritrovamento di maggiore importanza sia per quantità che per qualità del materiale. Il contributo di Ralph Jackson
contenuto nel volume edito nel 2009 ne dà la descrizione fino ad ora più dettagliata (non esiste ancora un catalogo dell’intero kit); la pubblicazione contiene
inoltre numerose riproduzioni fotografiche ed illustrazioni di buona qualità, cosa
che risulta particolarmente utile se si considerano le modalità di conservazione
dei ferri. Gli strumenti, infatti, forse perché conservati in rotoli di cuoio o stoffa
simili a quelli utilizzati al giorno d’oggi dai gioiellieri 27, sono stati rinvenuti fusi
25 Cfr. Hp. Medic. 2; per i ualetudinaria si veda invece NUTTON 2004, 179.
26 Cfr. ORTALLI 2009, 21, e il particolare della fig. 6 di 26 (in basso a sinistra).
27 Cfr. ORTALLI 2009, 33 e JACKSON 2009, 77.
Papyrotheke 1 (2010) ― 87
tra loro in gruppi (presumibilmente divisi per utilizzo): risulta quindi molto difficile distinguere i singoli strumenti da una fotografia di piccole dimensioni.
Ralph Jackson dà ragione dell’importanza del ritrovamento e delle caratteristiche generali dello strumentario: si tratta di un set di circa 150 strumenti in bronzo
(generalmente i manici) e ferro (le lame dei bisturi o degli scalpelli) (Figg. 5-6).
L’enorme valore dell’insieme non è dato tanto dall’aspetto formale, non particolarmente raffinato anche se con dettagli curati, quanto dalla ricerca di completezza e funzionalità28. Questo, del resto, era l’atteggiamento che il paziente si aspettava da un bravo medico: in Luciano, ad esempio, troviamo una critica agli incompetenti dotati di strumenti preziosi che non sono però in grado di usare nel
momento del bisogno29.
Sono poi esaminati i cluster (questo il termine usato da Jackson) in cui si sono
conservati gli strumenti, un indizio assai importante poiché, come si è detto, presumibilmente i diversi raggruppamenti erano correlati all’uso. Il quadro che ne
emerge è particolarmente interessante sia per la presenza di due set che Jackson
definisce come strumentario di base30 e che forse si possono ricollegare all’invito,
già presente nel Corpus Hippocraticum, ad avere sempre pronto il necessario in
caso di visite a domicilio31, sia per la notevole dotazione relativa alla chirurgia
ossea. Quest’ultima rimanda peraltro a operazioni anche molto ardite e rischiose,
come la trapanazione del cranio (sono presenti sgorbie, scalpelli e archetti di trapano) o la litotomia, le cui procedure sono descritte, sempre nella pubblicazione
del 2009, da Stefano De Carolis32.
Per quanto riguarda la completezza e la varietà dello strumentario, Jackson
cita a ragione un trattato di Galeno ritrovato ed edito proprio nel 2008 33, in cui è
28
29
30
31
32
33
Cfr. JACKSON 2009, 77 s.
Luc. Ind. 29.
Cfr. JACKSON 2009, 77.
Si veda ad esempio Hp. Decent. I 1-3.
DE CAROLIS 2009b.
Si tratta del De indolentia (περὶ ἀλυπία), la cui editio princeps tradotta è in BOUDON-MILLOT 2008. Si
veda la recente nuova edizione in Galien, Oeuvres Tome IV: Ne pas chagriner. Texte établi et traduit
par V. Boudon-Millot et J. Jouanna avec la collaboration de A. Pietrobelli, Paris, Les Belles Lettres
2010.
88 ― G. Ghiretti, Un ambulatorio medico antico
testimoniata la pratica di forgiare strumenti unici, eseguiti da fabbri specializzati
a partire da modelli di cera plasmati dai medici stessi 34. Compaiono, in effetti, nel
set del Chirurgo, numerosi ferri assai rari, quando non unici: alcuni bisturi di forme altamente specializzate come lo pterigiotomo, sgorbie e scalpelli, staphylagra
e staphylocaustes, ferri per la litotomia ed infine il cosiddetto “cucchiaio di Diocle”, uno strumento dalla concezione assai raffinata utilizzato per estrarre punte
di freccia dalle ferite, di cui è proposta anche una bella riproduzione fotografica35.
Risultano di particolare interesse le sgorbie e gli scalpelli di diversi tipi: alcuni di essi, non attestati archeologicamente in precedenza, sono stati identificati
grazie all’abbinamento con gli strumenti assieme ai quali erano conservati e alle
testimonianze letterarie36. Questo tipo di approccio, che associa lo studio di tipologia e aspetto materiale a quello delle fonti scritte, potrà sicuramente dare ulteriori risultati nello studio dello strumentario riminese (e non solo).
Va infine segnalato come il numero e la qualità degli strumenti destinati alla
chirurgia ossea e al trattamento di traumi e ferite, soprattutto se comparato alla
minore presenza di altri tipi di oggetti terapeutici (ad esempio quelli destinati a
cure ostetrico-ginecologiche) abbia permesso considerazioni sulla provenienza e
la carriera del medicus; si tornerà infra su questo argomento.
3. Altre pratiche terapeutiche
La descrizione del sito di Rimini fornita dalle due pubblicazioni in esame fornisce interessanti spunti anche per quanto riguarda l’aspetto non strettamente chirurgico della pratica medica, nonostante molto del materiale ad esso pertinente
sia andato perduto nell’incendio della domus.
Si sono conservati alcuni oggetti destinati alla preparazione di farmaci: tra
questi, due vasetti per sostanze medicinali di cui si parlerà meglio infra, un cuc34 Gal. De indolentia 5.
35 DE CAROLIS 2009a, 34 s.
36 Cfr. JACKSON 2009, 78 ss.
Papyrotheke 1 (2010) ― 89
chiaio con beccuccio (dosatore?) non descritto in precedenza 37 e un gruppo di
mortai e pestelli in pietra di grandi dimensioni e di forme differenti. Vi sono inoltre tracce di contenitori per strumenti ed altri oggetti sia del tipo a scatoletta con
coperchio scorrevole che del tipo cilindrico (νάρθηξ); a questo proposito è interessante l’osservazione di Jackson sulla posizione relativa di alcuni gruppi di
strumenti fusi tra loro, che suggerirebbe un contenitore rettangolare del tipo a
cerniera (δελτάριον)38, attestato nelle fonti scritte39 e nell’iconografia ma assai
raramente in campo archeologico.
Nel dibattito trascritto in appendice agli Atti del 2008 40, e poi più diffusamente nel volume seguente41, viene giustamente collegata la presenza di un praefurnium e di una stanza con riscaldamento ad ipocausto e a tubuli parietali (interpretata come laconicum o sudatorium) con la diffusa pratica dei bagni di vapore e
delle cure di tipo termale attestate in numerosi trattati medicinali antichi. Anche
altri reperti hanno probabilmente a che fare con questo genere di terapia, che prevede l’applicazione di liquidi caldi o freddi: mi riferisco in particolare al bacile
bronzeo a intercapedine, anch’esso non descritto in precedenza42, ed al bellissimo
vaso in forma di piede umano, sempre ad intercapedine, di cui si parlerà in seguito. L’esistenza di una vasta gamma di oggetti destinati a queste pratiche è rispecchiata dalla varietà di termini ad essi riferiti nella documentazione scritta, dall’usuale φάκος43 al rarissimo πυριατήρ44.
4. Il medicus
37 Ben visibile nelle illustrazioni in DE CAROLIS 2009a, 80-1.
38 Cfr. JACKSON 2009, 77; così anche DE CAROLIS 2009b, 53 s.
39 È ancora una volta il prezioso P.Oxy. LIX 4001 a testimoniare questo vocabolo; per l’interpretazione
si vedano anche ANDORLINI 1996, n. 5, e FISCHER 1997.
40 Cfr. DE CAROLIS/PESARESI (eds.) 2008, 141-3.
41 Cfr. ORTALLI 2009, 29.
42 Cfr. ORTALLI 2009, 33 e 31 fig. 19.
43 Numerosissime le attestazioni nel Corpus Hippocraticum ed anche nei papiri, come il già citato P.Oxy.
VIII 1088.
44 Il termine è attestato solamente in Sorano (Gyn. III 10, 3) e nel già citato P.Oxy. LIX 4001.
90 ― G. Ghiretti, Un ambulatorio medico antico
Il sito archeologico di Rimini ha fornito materiale sufficiente non solo per la
ricostruzione dell’ambulatorio medico e delle pratiche che in esso si svolgevano,
ma anche della personalità di chi vi lavorava e del suo background culturale45.
Più concentrato sulla singola figura dell’abitante della domus è Jacopo Ortalli,
che nei suoi contributi in entrambi i volumi getta luce sull’identità del nostro medicus, ricavata a partire dai ritrovamenti del sito, talvolta assai particolari: l’immagine che ne emerge è quella di un professionista di alto livello e di condizione
agiata, come si può intuire dal ricchissimo corredo di cui si è trattato poco supra.
È poi sottolineata l’assai probabile provenienza orientale e la cultura ellenizzata
del Chirurgo, comprovata dalle caratteristiche degli oggetti sia di carattere terapeutico, come il vaso a intercapedine a forma di piede, attestato in ambito cipriota46 (Fig. 7), che decorativi e cultuali: il tondo in pasta vitrea raffigurante tre pesci, una preziosa coppa in vetro intarsiato47, una mano votiva bronzea che rimanda al culto (originario della Siria e diffuso tra i militari romani) di Iuppiter Dolichenus48 e la statua del filosofo epicureo Ermarco, elemento che peraltro ha aperto la questione dell’eventuale appartenenza del Chirurgo alla “setta” o scuola metodica49. Completano il quadro due vasetti contenenti sostanze curative vegetali
(abrotono e camedrio, entrambe citate da Dioscoride50) la cui indicazione è graffita sui contenitori stessi in greco51. Le belle riproduzioni fotografiche e grafiche
mostrano due sole parole, che fanno però rimpiangere la perdita dei testi che dovevano sicuramente essere in possesso del medico riminese, come si è detto supra e come anche l’autore giustamente sottolinea, e che sono andati anch’essi
perduti nell’incendio che distrusse il sito.
Ultimo elemento di rilievo è il resto di un graffito conservato dagli intonaci
45 Accenni al ruolo dei medici nell’antichità, dello svolgersi della loro professione, del loro status sociale
e del rapporto con i pazienti si possono trovare sia negli Atti del 2008 che nel volume pubblicato l’an no seguente.
46 Cfr. NICOLAU 1989.
47 Cfr. ORTALLI 2009, 31 s. e 28 fig. 15.
48 Cfr. ibid., 32 e 28 fig. 16.
49 Cfr. ORTALLI 2009, 31 e DE CAROLIS 2009b, 58.
50 Cfr. Dsc. III 98, 1 s e III 24, 1 s.
51 Cfr. ORTALLI 2009 (riproduzione fotografica a p. 36 e disegno alla pagina seguente, fig. 24).
Papyrotheke 1 (2010) ― 91
crollati del cubiculum, citato negli Atti del 2008 e poi ripreso nel volume del
200952.
Come si è già accennato, a fronte di questi indizi Ortalli propone per il medicus l’ipotesi di un’origine orientale, forse in Galazia, se l’Eutyches della domus è
lo stesso di un’altra iscrizione riminese contemporanea53, di una formazione in
area ellenistica, come del resto ci si aspetterebbe da un medico antico, e di una
militanza nell’esercito romano che lo portò infine a fermarsi a Rimini. Il quadro è
plausibile e gli elementi coerenti con quanto sappiamo della condizione dei medici nell’antichità: l’esempio più noto e documentato, di poco precedente all’epoca
del nostro Chirurgo, è sicuramente la biografia di Galeno.
Un ultimo spunto di interesse testimoniato dagli Atti del 2008 54 (ed accennato
anche nel volume del 200955) è l’acceso dibattito tra Jacopo Ortalli e Lorenzo
Braccesi, autore di una pubblicazione che ipotizza l’esistenza di una “scuola medica riminese” di alto livello e strettamente collegata all’ambito magico-religioso,
tesi che porterebbe a conclusioni sull’identità del medicus piuttosto diverse da
quelle qui in breve riassunte56; il dibattito svolto dai due studiosi è trascritto fedelmente in appendice agli Atti.
I due volumi in esame, ed in particolar modo il più recente, offrono dunque
una più dettagliata ed organica descrizione della domus rispetto alla frammentata
letteratura precedente, delineando un quadro del sito, del suo occupante e dell’attività che esso vi svolgeva che risulta piuttosto preciso e coerente con altri tipi di
testimonianza (scritta, materiale, iconografica); la condizione di vero e proprio
unicum per integrità e ricchezza dei reperti rende la domus del Chirurgo un modello assai utile non solo per illustrare gli aspetti già noti, ma per integrare o spiegare quanto è lasciato in ombra dalle fonti scritte.
52 Lo riporto qui così come l’editrice lo ha proposto: [...Eut]ych[es] | [ho]mo bonus | [hic h]abitat. | [Hic
su]nt miseri. Cfr. DONATI 2005.
53 Cfr. ORTALLI 2009, 38 e relative note.
54 Cfr. ORTALLI 2008 ed il dibattito in appendice al volume.
55 Cfr. ORTALLI 2009, 42 n. 44.
56 Cfr. rispettivamente BRACCESI 2008 e ID. 2009.
92 ― G. Ghiretti, Un ambulatorio medico antico
Rimangono alcuni desiderata, che saranno senza dubbio esauditi a tempo debito: primo tra tutti è un catalogo completo dello strumentario medico/chirurgico,
corredato da illustrazioni e possibile identificazione. L’auspicio è, inoltre, che
studi ulteriori vengano condotti, come già avvenuto in questi due volumi, in una
prospettiva il più possibile interdisciplinare, unendo all’indagine storico-archeologica anche il bagaglio di conoscenze della medicina moderna: solo con l’integrazione di livelli diversi di analisi comparativa, infatti, l’interpretazione di un
materiale così complesso potrà svelare nuove conoscenze al pubblico degli specialisti di scienza medica antica e a quello più vasto dei curiosi.
GIULIA GHIRETTI
Università degli Studi di Parma
[email protected]
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94 ― G. Ghiretti, Un ambulatorio medico antico
Fig. 1: spaccato della Domus del Chirurgo di Rimini.
(DE CAROLIS [ed.] 2009a, 26, Fig. 6)
Fig. 2: planimetria del ualetudinarium di Wallsend
(Tyne and Wear Museum, da: http://vindolanda.csad.ox.ac.uk/exhibition/army-1-1.shtml )
Fig. 3: planimetria della Domus del Chirurgo di
Rimini
(da: http://www.archeobologna.beniculturali.it/rimini_domus/
domus_chirurgo.htm)
Papyrotheke 1 (2010) ― 95
Fig. 4: “Pittore della Clinica”,
Aryballos “Peytel”: pratica della flebotomia (Musée du Louvre, 480-70 a.C. c.). L’ambulatorio è rappresentato sinteticamente con ventose, bacile e
sgabello.
(da Wikimedia Commons, http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Medicine_
aryballos_Louvre_CA1989-2183.jpg)
Fig. 5: Disegno degli scalpelli chirurgici rinvenuti nella Domus.
(DE CAROLIS [ed.] 2009a, 82, Fig. 4, nn. 32-6)
96 ― G. Ghiretti, Un ambulatorio medico antico
Fig. 6: tenaglie a becco, dal corredo degli strumenti chirurgici rinvenuti nella Domus.
(Rimini, Museo della Città; da: http://www.archeobologna.beniculturali.it/rimini_domus/domus_chirurgo.htm )
Fig. 7: Vaso terapeutico a intercapedine, a forma di piede umano, dai reperti della Domus. (Rimini, Museo della Città; da http://www.archeobologna.beniculturali.it/rimini_domus/domus_chirurgo.htm)
Papyrotheke 1 (2010) ― 97
Dalla magia alla filologia:
documenti su libri e biblioteche nell’Antichità
Questa discussione scaturisce dalla lettura delle seguenti opere:
Biblioteche del mondo antico. Dalla tradizione orale alla cultura dell’Impero, a
cura di Angela Maria ANDRISANO, “Lingue e Letterature Carocci” 75, Roma,
Carocci, 2007 (rist. 2009), 206 pp., € 19,80 | ISBN 884304236X
Horst BLANCK, Il libro nel mondo antico, a cura di Rosa Otranto, “Paradosis” 15,
Bari, Dedalo, 2008, 379 pp., € 27,00 (Das Buch in der Antike, Beck, München
1992) | ISBN 8822058143
Jean IRIGOIN, Il libro greco dalle origini al Rinascimento, a cura di Adriano Ma­
gnani, “Studi e Testi di Papirologia, Nuova Serie” 3, Firenze, Istituto Papirologico
“G. Vitelli”, 2009, 89 pp., € 20,00 (Le livre grec des origines à la Renaissance, Bi­
bliothèque Nationale de France, Paris 2001) | ISBN 888782939X
La riproposizione italiana di due “classici” recenti della storia del libro antico
– la pubblicazione francese delle quattro conferenze parigine “Leopold Delisle”
(1999) di Jean Irigoin e il manuale di Horst Blanck – contemporaneamente alla
prima ristampa del volume che raccoglie vari contributi italiani sulla storia delle
biblioteche antiche, a cura di Angela Maria Andrisano, consente alcune riflessioni
intorno alle interessanti e fondamentali tematiche trattate, attualizzate da una
sempre più costante attenzione allo sviluppo dei mezzi di comunicazione, e ulti­
mamente riproposte dall’esposizione dedicata alla Forma del libro, organizzata
presso la Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze, di cui è disponibile un utile
catalogo illustrato1.
1 ARDUINI (ed.) 2008. Non possono non essere citate, in partenza, due datate ma ancora in parte autore­
voli opere in materia: BIRT 1882 e SCHUBART 1921.
98 ― N. Reggiani, Dalla magia alla filologia
1. I problemi del passaggio dal rotolo al codice
L’agile volumetto contenente i testi di Irigoin, arricchito da un cospicuo corre­
do iconografico, ripercorre la storia bibliologica greca, romana e bizantina attra­
verso un’originale scansione che individua in quattro grandi centri – Atene, Ales­
sandria, Roma, Costantinopoli – altrettanti momenti cardinali dell’origine e dello
sviluppo delle forme librarie. L’articolazione geo-culturale non appare immotiva­
ta, giacché il libro antico è stato contraddistinto, nella sua lunga e problematica
trasformazione, da una serie di peculiarità direttamente dipendenti sia dalle con­
dizioni geografiche che dai contesti culturali di riferimento.
Ad Atene si concretizza infatti la codificazione del rotolo papiraceo (biblos)
quale standard librario dell’antichità tardoclassica2, che troverà la propria apoteo­
si nel mondo ellenistico che in Alessandria d’Egitto vede la quasi indiscussa capi­
tale culturale. Il mondo romano, dal canto suo, fornisce gli spunti per la “rivolu­
zione” scrittoria del codice pergamenaceo, la cui eredità è raccolta dall’Oriente
greco, che la restituirà, in massima parte intatta, al nostro Rinascimento. Ma le
tappe segnalate così vistosamente dall’Autore (ogni città dà il titolo ad un capito­
lo distinto, corrispondente ad ognuna delle originarie conferenze) costituiscono
dei punti di rottura nella storia del libro antico, oppure quest’ultima può essere
definita come una vicenda lineare, in cui poter riconoscere, al massimo, degli
snodi significativi?
Il punto di svolta decisivo (“the most momentous development in the history
of the book until the invention of printing”3) è segnato, naturalmente, dal passag­
gio dal rotolo al codice quale supporto scrittorio preferenziale. Una volta lasciata
la teoria “meccanicistica” dell’abbandono del rotolo per le difficoltà di lettura ed
i costi di produzione4, la comprensione di questo fenomeno era stata monopoliz­
2 Cfr. P.Thessaloniki, IV sec.a.C. (“Papiro di Derveni”); P.Berol. inv.9875, IV sec.a.C. (parte di rotolo
librario con il testo dei Persiani di Timoteo) (Figg. 9-10); BLANCK 2008, 158-9. Sul papiro di Timoteo
come standard librario ateniese, cfr. TURNER 2002, 6-9; vd. anche infra sulla cultura editoriale ad Atene
dalla fine del V sec.a.C.
3 ROBERTS/SKEAT 1987, 1.
4 Cfr. SKEAT 1976, 35-6; ROBERTS/SKEAT 1987, 45-53.
Papyrotheke 1 (2010) ― 99
zata dalle schematiche dicotomie “rotolo vs codice” = “papiro vs pergamena”,
con minime variazioni sul tema, che miravano essenzialmente a fare del protocri­
stianesimo il milieu socio-culturale d’origine della “forma”, materiale e mentale,
del codex, che costituiva, secondo questo modello, la polemica alternativa al vo­
lumen pagano, oltretutto caricata di peculiari significati sacrali 5. La pergamena di
tradizione orientale sarebbe venuta a sostituire il papiro egiziano, e con la nuova
impaginazione sarebbe stato molto più agevole consultare e citare brani e verset­
ti, nonché unire più “libri” a formare un corpus unitario di testi sacri, possibil­
mente ortodossi6.
È stato Guglielmo Cavallo ad allargare l’orizzonte fino a comprendere il qua­
dro d’insieme della società e delle sue trasformazioni nella Tarda Antichità, in cui
il codex diveniva il simbolo del riscatto culturale di una classe “media” che aveva
conquistato il potere politico ed economico. In questo modo, il primo Cristianesi­
mo, nel cui àmbito è indubitabile il grande successo della forma del codice (“the
early Christian obsession with the codex” 7), veniva ad essere un parziale tassello
di un fenomeno di maggiore portata8 che, muovendo dall’uso scolastico/privato
degli appunti su “tavolette rilegate”, lignee e cerate (tabulae)9 (Figg. 3-4) ovvero
5 È la celebre ipotesi di C.H. Roberts relativa agli “appunti” dell’evangelista Marco, che sarebbero stati
redatti sui blocchetti pergamenacei per appunti così diffusi a Roma (vd. infra) e quindi replicati in
un’imitazione anche formale e strutturale del venerato originale (ROBERTS 1954, passim; SKEAT 1976,
28-9; ROBERTS/SKEAT 1987, 54-7)
6 Sulla storia delle osservazioni relative al rapporto fra codice e Cristianesimo (già dal 1902 col Ke­
nyon, seguito dal Gregory nel 1907, culminando negli anni Trenta con il rinvenimento dei codici papi­
racei Chester Beatty fino all’opera del Roberts del 1952), si veda la rassegna presentata da SKEAT
1976, 24-8, con le principali obiezioni alle prime interpretazioni. Sempre lo Skeat (ibid., 28-30) pre­
senta le due ipotesi che costituiscono l’elaborazione più alta in relazione a questo problema, riprese e
sviluppate poi da ROBERTS/SKEAT 1987, 35-74 (oggi disponibile con aggiornamenti in KRAFT (ed.) 2008,
[[35-74]]), in polemica con le obiezioni del Cavallo (vd. infra); recentemente, ancora, SKEAT 1994
pone l’adozione del codice in rapporto alla creazione del canone neotestamentario. Per un inquadra­
mento riassuntivo si rimanda a MCCORMICK 1985, che è la recensione del volume di Roberts e Skeat.
Va segnalato che tuttora l’ipotesi “cristiana” viene utilizzata per spiegare l’ascesa del codice, anche
senza tener presenti le osservazioni di Cavallo, come in WINSBURY 2009, 25-6.
7 MCCORMICK 1985, 154.
8 Cfr. CAVALLO 1994, 619-22 e 645-7.
9 Cfr. GMAW2 4 (London, British Library, Add. MS. 34186(1)), II sec.d.C. (tavoletta cerata con eserci­
zio di scrittura). Per esempi più antichi cfr. le due tavolette illustrate alla pl. I di ROBERTS/SKEAT 1987,
dal Petrie Museum di Londra (III sec. a.C.). Si ricorda che la stessa parola codex deriva da caudex,
“tronco d’albero”, in specifico riferimento alle tavolette lignee cerate (cfr. Sen. Dial. 10 = Breu.Vit.
100 ― N. Reggiani, Dalla magia alla filologia
papiracee o pergamenacee10 (Fig. 5), approda alle prime “edizioni tascabili”
(“economiche”?) di “classici” letterari11 e, di qui, alla letteratura ed alla manuali­
stica ellenistico-romana12, destinata a quei lettori medi che sarebbero poi assurti
alle posizioni di comando13.
Ma questo non era che il ritorno ad una vecchia tradizione romana 14, che op­
poneva, secondo istanze conservatrici, i supporti a tavolette rilegate, di antichissi­
ma origine mediterranea-orientale15 (Figg. 1-2) e che si sarebbero conservati nel­
le aree più marginali in forme aberranti (come le tavolette lignee di Vindolanda 16
(Fig. 6) o i codici a tavolette rilegate di Kellis 17), alla “moda” ellenizzante del vo­
lumen in papiro, importata direttamente dalla Graecia capta18. Rotolo e codice,
13; ROBERTS/SKEAT 1987, 12-3).
10 Hor. Sat. II 3, 1-2; Ars 386-90 (attestazioni di fogli pergamenacei in blocchi per appunti, equiparati
alle tavolette cerate); cfr. ROBERTS/SKEAT 1987, 15-23; VAN HAELST 1989, 18-9. La prima testimonianza
materiale dei block notes pergamenacei è P.Berol. inv.7358/9, II sec.d.C., con annotazioni di pagamen­
ti.
11 Si tratta della famosa testimonianza di Marziale sui testi classici pubblicati in piccoli codici pergame ­
nacei, adatti alla lettura “da viaggio”: Mart. I 2 (...hos eme, quos artat breuibus membrana tabellis...) e
XIV 7 (pugillares membranei), 184 (Homerus in pugillares membranei), 186 (Vergilius in membra­
nis), 188 (Cicero in membranis), 190 (Titus Liuuius in membranis) e 192 (Ouidi Metamorphosis in
membranis); cfr. ROBERTS/SKEAT 1987, 24-9; VAN HAELST 1989, 20-1.
12 Vd. infra.
13 La teoria della classe media (o della “spinta dal basso”) risale inizialmente al 1975 (prima edizione di
CAVALLO 2002; la formula della “spinta dal basso” è a p. 85) ed è stata poi variamente ripresa; si veda
in particolare CAVALLO 1984 (riedito in ID. 2005, 209-12), che fornisce una replica alle obiezioni di Ro­
berts e Skeat.
14 Sulla tradizione romana delle tavolette lignee, cfr. ROBERTS/SKEAT 1987, 12-4; CAVALLO 1989a, 696-708;
ID. 1989b, 319-21; ID. 1992, 98-9.
15 SKEAT 1976, 21-2; IRIGOIN 2009, 4. Si vedano il dittico ligneo rinvenuto nel relitto di Ulu Burun (XIVXIII sec. a.C.) o il polittico eburneo assiro da Nimrud (VII sec. a.C.).
16 Cfr. T.Vindol. 21, I-II sec.d.C. (lettera in inchiostro su sottile foglio di legno ripiegato specularmente,
“a codice”); sul rapporto fra le tavolette britanniche e le forme librarie si veda BOWMAN 1975, passim;
BLANCK 2008, 68-70.
17 BLANCK 2008, 66-8; vd. infra.
18 Cfr. CAVALLO 1989b, 322-4 e 327, sul rotolo papiraceo nel mondo romano. Da questo punto di vista si
può forse leggere come una reazione in senso conservatore la “innovazione” di Giulio Cesare che, se­
condo Svetonio, nell’invio dei resoconti di guerra al Senato, primus uidetur ad paginas et formam me­
morialis libelli conuertisse, cum antea consules et duces non nisi transuersa charta scriptas mitterent
(Iul. 56, 6). Cesare avrebbe soppiantato l’uso del rotolo papiraceo scritto contro le fibre (transuersa
charta) con quello del codice papiraceo ad imitazione dei memorialis libelli, affini al τῶν
ὑπομνημάτων δέλτοϲ del Senatus consultus del 73 a.C. e dunque, di fatto, identificabili con codici
Papyrotheke 1 (2010) ― 101
papiro e pergamena, sono dunque costantemente interrelati: se i primi codices per
appunti attestati erano costituiti da fogli pergamenacei (membranae) rilegati “a li­
bro”, alcuni dei primissimi libri (anche cristiani) e quaderni “a codice” erano co­
stituiti da fogli di papiro anziché di pergamena 19 (Figg. 13-17), un uso che sicura­
mente si protrae per tutti i primi secoli dell’era cristiana20 (Figg. 36-38) .
Il libro d’Irigoin, nella sua essenzialità, non entra nel merito del dibattito, ma
l’angolazione prescelta, che valorizza le testimonianze di Marziale, chiarisce il
suo punto di vista: “l’uso della pergamena per la confezione dei libri e la nuova
forma nata dal suo impiego [sc. il codice] sono fenomeni tipicamente e indiscuti­
bilmente romani”21. L’Autore preferisce addentrarsi nei vantaggi dell’uso del co­
dice rispetto al rotolo, e in una disamina delle motivazioni dell’apparente “resi­
stenza” alla diffusione della nuova tipologia di supporto, dedicando appena un
paio di righe alla tematica cristiana22. Tralasciando del tutto l’inquadramento sto­
rico-sociale del fenomeno, sembra quasi suggerire che questa epocale transizione
sia stata solamente un momento nodale in una vicenda, tutto sommato, lineare.
Nel complesso, Irigoin traccia un percorso approfondito nei vari aspetti e nel­
le altrettanto varie problematiche della storia del libro antico, risalendo alle sue
origini, che vengono affrontate a partire dalle origini stesse della scrittura greca.
Da qui, attraverso un itinerario che richiama le prime testimonianze dei rotoli pa­
piracei – figurate, come alcune coppe attiche a figure rosse di V sec. (Fig. 12), e
materiali, come il papiro di Timoteo e quello di Derveni (Figg. 9-10) – ed accen­
19
20
21
22
di tavolette lignee (deltoi): cfr. ROBERTS/SKEAT 1987, 18-9; CAVALLO 1992, 190-1; KRAFT (ed.) 2008,
[[19]] n. 58 (ma, contra: VAN HAELST 1989, 19-20).
Cfr. P.Yale 1, 80-100 d.C. (frammenti di codice papiraceo con testo della Genesi); P.Ryl. III 457, pri­
ma metà del II sec.d.C. (frammenti di codice papiraceo con Vangelo di Giovanni); codici papiracei
Chester Beatty, II-IV sec.d.C. (libri vetero- e neotestamentari); P.Bodm. II, inizi III sec.d.C. (codice
papiraceo con Vangelo di Giovanni); P.Lond.Lit. 5+182 (= GMAW 2 14), seconda metà del III sec.d.C.
(quaderno papiraceo per uso scolastico con testo dell’Iliade e spazi marginali per appunti)
Cfr. PSI XIV 1371, V sec.d.C. (frammento di codice papiraceo con parte del Salmo 36); Cambridge
University, Library Add. MS. 6366, V sec.d.C. (frammento di codice papiraceo con le Olimpiche di
Pindaro); P.Oxy. LXI 4094, VI sec. d.C. (frammento di codice papiraceo con commedie di Menandro).
IRIGOIN 2009, 61.
“Solo i cristiani hanno adottato molto presto la nuova forma di libro: vi intuirono un mezzo per distin­
guersi dagli ebrei e dai rotoli della Torah” (ibid., 63).
102 ― N. Reggiani, Dalla magia alla filologia
na ad alcune sue teorie relative alla prima trasmissione scritta dell’epica omerica
23
, l’Autore intraprende il suo viaggio, fra descrizione di esemplari e citazioni di
fonti letterarie, dedicando ove possibile veloci approfondimenti ad esempi della
cura e dell’attenzione dedicate al testo scritto in quanto tale: le annotazioni stico­
metriche, i primi tentativi stenografici24, i segni critici e diacritici della filologia
alessandrina, la corsivizzazione della grafia, le note tironiane, gli acrostici, fino
ad arrivare alle abbreviazioni tipografiche delle edizioni umanistiche di Aldo Ma­
nuzio. E il XV secolo della nostra era è il punto d’arrivo dell’indagine di Irigoin,
che conclude con l’osservazione che la tipografia contemporanea, nelle edizioni
dei classici, riunisce in sé le due estremità della storia dei manoscritti greci, la
scrittura libraria attica nei caratteri capitali e la grafia dei copisti rinascimentali
nelle minuscole.
2. Scritture per l’eternità, scritture per il momento
Di diversa impostazione, manualistica e approfondita, è la struttura del volu­
me del Blanck, che gli apparati iconografici, bibliografici e di indici (dei passi ci­
tati; delle testimonianze scritte; dei nomi antichi e moderni; dei luoghi geografici;
analitico), ampliati ed aggiornati nell’edizione italiana curata da Rosa Otranto,
rendono uno strumento indispensabile per gli studi bibliologici antichistici. L’o­
pera, articolata in dieci parti, muovendo dalle origini e diffusione della scrittura
antica (I-II) approda alla materialità dei supporti e degli strumenti scrittori (III-I­
V-V), toccando poi un tema tralasciato dall’Irigoin, quello delle illustrazioni li­
brarie (VI), ed uno solamente accennato dall’Autore precedente, quello della dif­
fusione e del commercio dei libri (VII), per concludere con un’ampia panoramica
relativa alla storia delle biblioteche antiche (VIII-IX-X).
La spiccata preferenza accordata alla storia della cultura materiale, evidente
nelle ampie digressioni epigrafiche e nell’attenzione riservata agli aspetti più
concreti della bibliologia (i libri come oggetto e prodotto, gli strumenti, le biblio­
23 Vd. infra.
24 In due epigrafi, da Atene (IG II2 2783) e Delfi (FD III 1, 558).
Papyrotheke 1 (2010) ― 103
teche), fa proporre al Blanck, in merito al nostro tema di partenza – il rapporto tra
forme e materiali scrittori – un’integrazione alla visione di Cavallo, che egli co­
munque accetta, opponendola decisamente all’interpretazione “cristiana” 25. L’Au­
tore, infatti, osservando che “resta tuttavia da chiarire […] perché gli strati sociali
più bassi non nutrivano, nei confronti del codice, le stesse riserve che venivano
dai ceti più alti”, propone che possano “essere state determinanti solo motivazio­
ni di carattere pratico”, e specificamente la maneggevolezza, l’economicità, la re­
sistenza, la facilità di consultazione26. Egli recupera dunque una serie di argo­
menti già contestati dai fautori delle ipotesi cristiane27, ed in particolare da Skeat
il quale, ancora recentemente, ha rivalutato i vantaggi della lettura dal rotolo 28.
Ciò rende necessari ulteriori chiarimenti.
Dopo le testimonianze di Marziale sui primi tentativi 29 di riversare opere lette­
rarie in breuibus tabellis, la prima fonte letteraria che ci parli di codices pergame­
nacei è il giurista romano Ulpiano che, all’inizio del III sec. d.C., attesta una si­
gnificativa diversificazione fra codici e rotoli. Nel definire la questione (in una
causa ereditaria) se la categoria di libri potesse riferirsi tanto ai volumina quanto
ai codices, scrive: librorum appellatione continentur omnia uolumina, siue in
charta siue in membrana sint siue in quauis alia materia: sed et si in philyra aut
in tilia (ut nonnulli conficiunt) aut in quo alio corio, idem erit dicendum. quod si
in codicibus sint membraneis uel chartaceis uel etiam eboreis uel alterius mate­
riae uel in ceratis codicillis, an debeantur, uideamus 30. Questa precisazione può
25
26
27
28
BLANCK 2008, 138-9.
Ibid., 139.
Vd. supra.
Si veda in particolare SKEAT 1990, che riprende una sua teoria sperimentale tesa a dimostrare l’agevole
chiusura del rotolo papiraceo (SKEAT 1978, 373-6) ora verificata su di un esemplare reale, sottolinean­
do i vantaggi “psicologici” di una lettura “continua” che potrebbe essere stata comune nel mondo anti­
co (l’Autore la paragona alla fruizione di opere quali il fregio del Partenone e la Colonna Traiana); sui
rapporti fra tecniche di lettura e forme librarie cfr. anche CAVALLO 1994 (qualche cenno già in ID.
1989b, 330-1).
29 “But note that ‘newness’ or ‘innovation’ are not mentioned or even hinted at by Martial – apparently
use of this format on the part of some booksellers was already known and accepted by his imagined
Roman audience” (KRAFT (ed.) 2008, [[25]]).
30 Dig. XXXII 52 praef.; cfr. anche Paul. Sent. III 6, 87 (libris legatis tam chartae uolumina uel mem­
branae et philyrae continentur: codices quoque debentur: librorum enim appellatione non uolumina
104 ― N. Reggiani, Dalla magia alla filologia
significare solo che a quell’epoca vi potevano essere dubbi circa la qualificazione
dei codices come libri, e ciò porta ad interrogarsi su cosa fossero i libri, e in cosa
potessero diversificarsi dai codici.
La seconda lettera a Timoteo, attribuita a San Paolo, in cui sono giustapposti i
termini βιβλία e μεμβράναϲ, non offre un contesto sufficientemente chiaro per
rispondere al quesito31. Ma, richiamando la fondamentale derivazione di queste
ultime dai pugillares, le tavolette romane per appunti, cerate e/o pergamenacee,
che Orazio accomunava nella prerogativa di un’agevole cancellazione e riscrittu­
ra32, è possibile che la distinzione sottintesa (e rigettata) da Ulpiano riguardasse
tipologie scrittorie destinate alla conservazione e altre destinate, viceversa, al
consumo. Non si spiegherebbe altrimenti il motivo per cui, secondo quanto rac­
conta Diogene Laerzio, Filippo di Opunte avrebbe trascritto su papiro le Leggi di
Platone, fino a quel momento conservate, presso l’Accademia, su tavolette cerate
(ἐν κηρῶ33): queste ultime non potevano in alcun modo essere “un esemplare uf­
ficiale”34, stante il carattere aleatorio per antonomasia di questi supporti, ma do­
vevano essere verosimilmente appunti o trascrizioni temporanee di Platone 35, de­
stinate alla copia su papiro a scopo di conservazione.
Giustamente, dunque, Cavallo vede strettamente connessa la diffusione dei
codici allo sviluppo di certi generi (semi-)letterari destinati ad un’utenza non cer­
to incolta ma media e professionale: romanzi ellenistici, testi oracolari, manuali,
31
32
33
34
35
chartarum, sed scripturae modus qui certo fine concluditur aestimatur). A proposito di questo e di al­
tri passi, si veda ROBERTS/SKEAT 1987, 30-4, che non dà però conto dei motivi per cui Ulpiano sarebbe
dovuto intervenire su questo problema. Per ulteriori dettagli su altri riferimenti ai libri nei testi giuridi ­
ci tardo-antichi si veda KRAFT (ed.) 2008, [[34]].
2Ep.Ti. 4, 13: ...φέρε, καὶ τὰ βιβλία, μάλιϲτα τὰϲ μεμβράναϲ; cfr. CAVALLO 1994, 615. Pace SKEAT
1979, non è possibile attribuire all’avverbio μάλιϲτα il senso di “particolarizzazione” di una sotto-ca­
tegoria di βιβλία: si vedano al proposito le obiezioni di MCCORMICK 1985, 155 n. 16.
Hor. Ars 386-90; cfr. anche Mart. XIV 7; ROBERTS/SKEAT 1987, 20.
D.L. III 37.
CAVALLO 1992, 97.
È certo difficile che l’intero testo delle Leggi fosse stato scritto su tavolette cerate: l’espressione signi­
ficherebbe dunque “in una stesura provvisoria” (DORANDI 2004, 22); una tradizione antica raccontava
in effetti degli appunti di Platone su tavolette (Quint. Inst. I 8, 64; D.H. Compl.Lit. 25). Sugli appunti
preparatorî d’autore, redatti su “codici” (papiracei, pergamenacei o lignei), cfr. DORANDI 2004, 13-28 e,
parzialmente, ss.
Papyrotheke 1 (2010) ― 105
esercizi scolastici, manuali medici36 (Figg. 18-23 e 26-27). Ma va considerato an­
che l’aspetto più strettamente d’uso. “Proprio in quanto circolanti entro un pub­
blico che non era quello delle élites tradizionali, codici contenenti Trivialliteratur
erano destinati a perdersi giacché la mentalità stessa di conservazione è preroga­
tiva delle classi sociali elevate”37: perché non pensare che, proprio in quanto ge­
neri “di consumo”, ad essi venisse riservata quella forma libraria già da tempo as­
sociata proprio alla scrittura temporanea, non conservativa? Fondamentale risulta
a questo proposito la possibilità che molti di questi codici – stanti le grafie poco
accurate – siano stati scritti dagli stessi lettori, situazione da leggere in parallelo
alla copiatura di simili testi su rotoli papiracei sicuramente di riuso 38. A ciò si può
aggiungere la prerogativa che Marziale assegnava alle “tavolette pergamenacee”,
ovvero la maneggevolezza e la facilità di trasporto 39: “we may begin to wonder
what it was about the novel format that appealed alike to some ancient doctors
and teachers. One possibility lies in the geographical mobility that characterized
the two professions: ancient doctors and teachers were often on the move, see­
36 CAVALLO 1984, 120-1; ID. 1994, 616-8. I documenti considerati, tutti inizialmente datati al II o II-III
sec.d.C., sono: P.Mil.Vogl. III 124 (Achille Tazio, Leucippe e Clitofonte); P.Col. inv. 3328 (Lolliano,
Phoinikika); P.Bon. I 3 (Homeromanteion); P.Mil.Vogl. II 33 (Omero, Iliade V); P.Oxy. XXX 2517
(lessico omerico); PSI VII 849 e P.Harr. 59 (manuali di grammatica); P.Mil.Vogl. I 15 (trattato medi­
co); BKT I 3, 29-30 (manuale medico). La lista compilata da VAN HAELST 1989, 23-4, aggiunge P.Yale
inv.1534 (commento a Demostene, Contra Aristocratem) e P.Harr. 119 (Iliade); si veda anche, sempre
di II-III sec. d.C., PSI VI 728 (trattato di palmomanzia). Per un recente aggiornamento, basato sugli
esemplari catalogati nel Mertens- Pack3 (ma una simile indagine andrebbe ampliata ed effettuata anche
su strumenti più articolati quali il Leuven Database of Ancient Books oppure Trismegistos), si rimanda
a KRAFT (ed.) 2008, passim (soprattutto [[35]] ss.), che pone in particolare l’accento su calendari e do­
cumenti astronomici/astrologici, comunque tutti pertinenti alle categorie “tecnico-professionali” o “di
consumo”. Sullo spostamento cronologico di alcuni di questi esemplari si veda per esempio ANDORLINI
1994, passim.
37 CAVALLO 1984, 120. Sulla letteratura di consumo e i suoi veicoli materiali si veda anche ID. 2005, pas­
sim.
38 Cfr. CAVALLO 2005, 219 (riuso di rotoli) e 223 (autografia dei lettori); specialmente in comparazione
con i testi scritti su rotoli “librari”, con grafie accurate e di qualità (ibid., 221 ss.). Va segnalato in par­
ticolare il caso – non isolato – dei Phoinikika di Lolliano, attestati in forma di rotolo, con scritture li­
brarie (P.Oxy. XI 1368, II-III sec. d.C.), accanto al codice di minor qualità (P.Col. inv.3328, cit. supra)
(Fig. 20): “lo stesso testo risulta proposto in forme materiali diverse, che sembrano riverberare il diva ­
rio tra un libro da lettore abituale e un libro ad uso di un qualche lettore che ha accesso ad un prodotto
distribuito secondo altri meccanismi...” (ibid., 223).
39 Cfr. per esempio Mart. XIV 188: si comes ista tibi fuerit membrana, putato | carpere te longas cum
Cicerone uias.
106 ― N. Reggiani, Dalla magia alla filologia
king new business and better economic opportunities”40.
I resti di codici di II-III sec.d.C. di contenuto letterario più “alto” 41 (Figg. 2425 e 28-31) non vanno dunque guardati come un’eccezione che precorre i tem­
pi42, ma come attestazioni del fenomeno già descritto da Marziale – oppure come
altri esemplari di testi scolastici. D’altra parte, il libraio ambulante di cui ci parla
P.Petaus 30 (II sec. d.C.) vendeva codici (pergamenacei – chiamati membranai
come i loro predecessori, i taccuini), non rotoli in papiro 43, mentre due dei codici
lignei di Kellis, pur nella coincidenza strutturale, contengono rispettivamente un
registro contabile privato ed una silloge di orazioni isocratee 44 (Figg. 32-33), dis­
solvendo ogni dubbio sul rapporto fra contenuto e forma 45, da rivedere alla luce
di quello fra forma e finalità d’uso46.
All’interno, dunque, delle più generali spinte sociali o ideologiche che devono
aver influito, in quanto sovrastrutture, sulle scelte “editoriali”, non possono esse­
re dimenticati i significati profondi che dovevano esistere nel rapporto fra conte­
nuto e contenitore, in quella che potremmo definire come una sociologia, o
un’antropologia, dei supporti scrittori, in particolare in relazione alle finalità del­
40 MCCORMICK 1985, 157. Esistevano certo rotoli papiracei di ridottissime dimensioni (cfr. CAVALLO 1994,
629; BLANCK 2008, 118), ma per opere “monumentali” (e su questo punto insiste, non a caso, Marzia ­
le) era indubbiamente più vantaggiosa la forma del codice.
41 Papiracei: PSI II 147 (Pindaro, Peani); P.Oxy. IV 697 (Senofonte, Ciropedia); P.Oxy. XLIV 3157
(Platone, Repubblica). Pergamenacei: P.Oxy. I 30 (De bellis Macedonicis – Pompeo Trogo?), del 100
d.C.; molto più controversa la datazione di P.Lond.Lit. 127 (Demostene, De falsa legatione); BKT V
2, 73-9 (Euripide, Cretesi); P.Duke inv.G5 (Platone, Parmenide).
42 Il fatto che siano numericamente ridotti (cfr. CAVALLO 1984, 121) non influisce più di tanto in un cam­
po, quale quello papirologico, in cui le basi materiali dipendono da una doppia casualità, quella della
loro conservazione e quella del loro ritrovamento, peraltro limitato all’area egiziana (su quest’ultimo
problema, in specifico, cfr. ID. 1994, 633-6).
43 Cfr. VAN HAELST 1989, 21-3 (si veda in particolare quanto scrive a conclusione l’Autore: “les copies de
ces pocket-books avant la lettre étaient probablement de moindre qualité, ce qui amène les acheteurs à
comparer les manuscrits”, come nel caso dell’estensore della missiva che ci ha conservato questo pa­
piro); CAVALLO 1994, 616.
44 P.Kell. III 95 (Isocrate) e IV 96 (registro), IV sec.d.C. Si confrontino con P.Flor. I 71, quaderno papi­
raceo a “codice” con registro fondiario di IV sec. d.C., a fronte dei codici papiracei letterari che anco­
ra sono attestati in quei secoli (vd. supra) (Figg. 34 e 36-38).
45 “Books existed for the sake of texts, not the other way around. A book’s identity was more precisely
defined by its textual contents than by its physical form or the material on which it was written”
(HENRICHS 2003, 210).
46 Cfr. una prima riflessione su questo aspetto in CAVALLO 1994, 636-7.
Papyrotheke 1 (2010) ― 107
la scrittura. Mutatis mutandis, si può ricondurre a questa dimensione anche la di­
cotomia riscontrata, alla fine dell’epoca antica, quando ormai viene abbandonata
la forma del rotolo, nella circolazione di codici papiracei da una parte, pergame­
nacei dall’altra: la pergamena si associa preferenzialmente a scritture librarie for­
temente canonizzate, mentre il papiro è destinato in modo maggioritario a grafie
informali, o corsive, o comunque meno curate: ad una destinazione provvisoria,
d’uso (“codici ‘da lavoro’”47), e non di conservazione bibliotecaria48. Di ciò po­
trebbe essere un riflesso l’accertata differenza dimensionale tra codici papiracei
(più stretti ed alti) e pergamenacei (più “quadrati”)49.
La vera rivoluzione, dunque, come aveva peraltro notato Cavallo 50, sta nel­
l’associazione di scritture librarie – cioè di una destinazione “conservativa” – a
codici pergamenacei che in precedenza avevano rappresentato, insieme ai codici
papiracei e contro i rotoli, le scritture “temporanee” 51; ed è propriamente in que­
sto fenomeno, piuttosto che nella generica transizione dal rotolo al codice, che
dobbiamo vedere il riflesso dei cambiamenti sociali, ideologici e religiosi della
Tarda Antichità. La produzione “alta” di codici di autori antichi, sia in Occidente
che in Oriente, si lega alla necessità di conservare un patrimonio culturale di cui
si sta percependo la scomparsa ma di cui ci si vuol presentare, specialmente nel
mondo bizantino, eredi e continuatori. Si tratta di un mondo in cui i pilastri con­
cettuali sono costituiti dalla Legge cristiana e dalla Legge imperiale 52, i cui conte­
nuti si erano sempre espressi, fino a quel momento, nella forma del codice, in
47 CAVALLO 2002, 105.
48 Cfr. ad esempio CRISCI 2003: il fenomeno interessa, trasversalmente, testi sacri e profani. Tale tenden­
za era già stata sottolineata da CAVALLO 2002, 91: “nella prima età bizantina […] i codici degli autori
antichi (e più in generale della letteratura laica, anche coeva) erano di preferenza di papiro quando si
trattava di copie destinate allo studio, all’insegnamento e, più in generale, alla corrente circolazione
letteraria. […] a parte poche eccezioni, in concomitanza con l’affermarsi del codice, alla degradazione
del papiro a copie di minor pregio sotto il profilo tecnico (ma non contenutistico) corrisponde la pro­
mozione della pergamena a materia scrittoria dei libri di buona o superiore qualità...”.
49 Cfr. BLANCK 2008, 121.
50 CAVALLO 2002, 93-4.
51 Vd. infra.
52 Ibid., 126-9.
108 ― N. Reggiani, Dalla magia alla filologia
quanto manualistica di vita53 e di lavoro54 (Fig. 39).
Una volta istituzionalizzati questi àmbiti, ad una classe dirigente di formazio­
ne media e tecnico-professionale la scelta di conservare l’originaria forma a codi­
ce, deve essere apparsa naturale e spontanea, se non ideologicamente significati­
va, come segnale di distacco e di novità rispetto all’epoca precedente 55 (Fig. 40).
Il codice pergamenaceo sarebbe così divenuto anche il veicolo istituzionale per la
conservazione della letteratura classica precedente 56, mentre il codice papiraceo,
che forse ne era stato un adattamento egiziano, rimase legato alle scritture “tem­
poranee”, per libri “d’uso” e di mediocre livello qualitativo.
3. Le biblioteche antiche, dalla magia alla filologia
Sebbene fondata su antitesi differenti (dapprima tavolette cerate/rotoli papira­
cei, quindi codici/rotoli, infine codici papiracei/pergamenacei), appare dunque
costante, per tutta l’Antichità, la percezione di una sostanziale divergenza fra
scritture conservative e scritture temporanee. Il discrimine, naturalmente, sta nel­
l’esigenza di conservare o meno un dato testo, sicché il ruolo giocato da bibliote­
che e archivi, pubblici o privati, risulta indubbiamente di primo piano. Già il ma­
nuale del Blanck offre, rispetto alle cursorie menzioni dell’Irigoin, un’ampia se­
zione dedicata allo sviluppo ed alle principali caratteristiche delle biblioteche
greco-romane57, dalle prime semi-leggendarie costituite dai tiranni arcaici, Pisi­
strato di Atene e Policrate di Samo, alla più famosa e travagliata raccolta libraria
53 L’immagine del Vangelo (e della reinterpretazione cristiana della Bibbia) come manuale per la vita e
per la liturgia è di VAL HAELST 1989, 34.
54 Per i “manuali” giuridici si veda PSI XI 1182 (IV sec.d.C.), con parte di due fogli di codice pergame­
naceo delle Institutiones del giurista Gaio, con testo in latino e glosse interlineari e marginali in greco.
55 Già Costantino, quando nel 332 aveva voluto dotare dei testi sacri le nuove chiese di Costantinopoli,
aveva commissionato allo scriptorium di Eusebio di Cesarea cinquanta codici pergamenacei della
Bibbia, di cui sarebbe un esemplare giunto fino a noi almeno il Codex Sinaiticus (CAVALLO 2002, 109 e
114-5). Per San Girolamo membrana era già sinonimo di Sacra Scrittura (In Gal. I 3, 8 s. = 26, 353A
Migne; cfr. CAVALLO 2002, 109).
56 Significativo a questo proposito che il codice fosse una tipologia così adatta alla “canonizzazione” di
corpora o sillogi letterarie, dai Vangeli cristiani alle opere degli autori classici: cfr. per esempio
CAVALLO 1998, 10-1).
57 BLANCK 2008, 181-303, ovvero quasi la metà del testo.
Papyrotheke 1 (2010) ― 109
privata, quella di Aristotele, per giungere naturalmente all’istituzione più celebre
dell’Antichità, la Biblioteca del Museo di Alessandria, analizzata in dettaglio as­
sieme alla sua principale “rivale”, quella di Pergamo. Dopo una panoramica sui
ginnasi, l’Autore passa a descrivere, in tre capitoli distinti, le biblioteche private
e pubbliche a Roma (in primis, quella di Calpurnio Pisone ad Ercolano e quelle
pubbliche di età imperiale) e in tutto il territorio imperiale. Seguono approfondi­
menti sulla loro architettura, arredamento, funzionamento e amministrazione.
Ma è il volume miscellaneo curato dalla Andrisano ad affrontare criticamente
il concetto di biblioteca, mostrando come esso sia potuto variare, nel corso del
tempo, dalla biblioteca orale delle epiche omeriche alla sistemazione filologica
ellenistica58, passando attraverso la conservazione archivistico-templare 59 e le bi­
blioteche private degli autori classici greci e romani, spesso ricostruibili, almeno
parzialmente, attraverso suggestioni e citazioni rintracciabili nelle loro opere 60
per giungere anche in questo caso – come già nei saggi d’Irigoin – all’Umanesi­
mo, alle “biblioteche” dei volgarizzatori61.
Per il taglio che abbiamo deciso di dare alla nostra indagine, risultano partico­
larmente illuminanti i primi due contributi, di Federico Condello e Lorenzo Peril­
li, che in un certo senso si distinguono dal resto della raccolta – incentrata sull’i­
dentificazione ed il recupero delle “biblioteche”, a volte solo “virtuali”, dell’auto­
re, “nel senso ampio di complesso di libri cui egli poteva accedere” 62 – nel tenta­
tivo di tracciare un quadro più generale sulla circolazione della conoscenza nel
mondo antico, prima che essa venga codificata nella forma del libro.
Condello infatti, nel ricostruire la “biblioteca orale” degli Omeridi, affronta la
spinosa questione della pseudoepigrafia – la fittizia attribuzione di opere (o peri­
copi) ad Omero – dimostrando che per l’età arcaica essa era concepita come un
58 CONDELLO 2007.
59 PERILLI 2007.
60 PAVINI 2007 (suggestioni librarie virtuali o reali nell’opera di Aristofane); FUNAIOLI 2007 (Fania e Timo­
creonte come fonti della Vita di Temistocle di Plutarco); ANDRISANO 2007 (il poeta giambico Alceo nel­
la biblioteca di Luciano di Samosata); FIORENTINI 2007 (lirici greci nella biblioteca di Virgilio);
QUERZOLI 2007 (libri dei giuristi nelle Notti attiche di Gellio).
61 LONGONI 2007.
62 QUERZOLI 2007, 146.
110 ― N. Reggiani, Dalla magia alla filologia
manifesto di affiliazione all’illustre tradizione omerica, tanto più che “nulla assi­
cura che i confini fra le singole opere omeriche – e fra le singole ‘tracce’ narrati­
ve che certo ne costituivano il canovaccio orale – fossero così fermamente stabi­
liti da consentire una precisa identificazione del passo, o almeno dell’opera, pre­
senti al poeta citante”63. Tutt’altra cosa, dunque, rispetto all’assunzione della
pseudoepigrafia arcaica come “problema” da parte della filologia alessandrina,
che trasforma il nomen auctoris “in un mero strumento di attribuzione e classifi­
cazione differenziale, così come appare caratteristico […] della authorship mo­
derna e contemporanea”64.
Ora, questa fondamentale distinzione ci sembra estendersi oltre il confine del­
le riflessioni sulla pseudoepigrafia (che nella continuazione del saggio procedono
a interessanti osservazioni sul “panellenismo” omerico e sulle reazioni epicoriche
fondate sulla riattribuzione ad autori locali65), a includere il più vasto problema
relativo alla trasmissione dei testi omerici. Infatti, se la codificazione di un “ca­
none omerico” ad opera della filologia alessandrina sottintende un’attenzione ri­
volta al libro in quanto tale, ovvero come contenitore/conservatore di un’opera
specifica, un testo stabilito, potrebbe risultarne indebolita la teoria dell’Irigoin, il
quale aveva sostenuto che l’originaria scansione dei canti di Iliade e Odissea pre­
supporrebbe una loro primitiva trascrizione su rotoli di cuoio d’uso ionico 66, quali
sarebbero stati acquistati, dalle mani degli Omeridi di Chio, dal tiranno ateniese
Ipparco, per l’uso panatenaico67.
È pur vero che numerosi indizi fanno ritenere che l’edizione di riferimento de­
gli eruditi alessandrini fosse quella ateniese 68, ma proprio per alcuni di essi (per
esempio, gli influssi linguistici attici, nonché le famigerate “interpolazioni”) non
possiamo credere ad un originale “omeride”, ionico. L’origine della suddivisione
63
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66
67
68
CONDELLO 2007, 18.
Ibid., 24; vd. infra.
Ibid., 30-5.
Sull’uso ionico dei rotoli di cuoio (diphthērai), cfr. Hdt. V 58.
IRIGOIN 2009, 9; poi sviluppate in ID. 2001.
IRIGOIN 2001, 17. Che ad Atene si fosse pervenuti ad un canone standard di Omero era già noto in anti­
co (cfr. Ael. VH XIII 14).
Papyrotheke 1 (2010) ― 111
in canti dei poemi omerici è questione controversa, anche se non vi sono partico­
lari motivi per dubitare che potesse risalire alle composizioni originarie 69, ma
proprio la tradizione che le qualificava come rhapsōdiai e che assegnava lo stes­
so nome ai “libri” omerici ne rivela l’aspetto essenzialmente recitativo, orale. Gli
Ὁμήρου ἔπη che Ipparco avrebbe portato per la prima volta in Attica (πρῶτοϲ
ἐκόμιϲεν εἰϲ τὴν γῆν), secondo le parole dell’omonimo dialogo pseudo-platoni­
co70, dovrebbero dunque essere i canti stessi, quei medesimi che Cineto avrebbe
cantato a Siracusa alla fine del secolo71.
Fondamentali risultano le osservazioni di Antonio Aloni, una delle massime
autorità in materia: “La norma panatenaica non dipende dall’esistenza di un testo
già fissato e messo per iscritto dei poemi, che non esistono in una dimensione
monumentale: questa dimensione è conseguenza della norma stessa. D’altra parte
la registrazione scritta non può neppure essere considerata una conseguenza di­
retta della norma panatenaica. In una cultura tradizionale non esiste necessità di
una registrazione scritta di un testo, la cui esistenza è sempre e comunque resa
possibile dalla realizzazione in performance. La scrittura è qualcosa di diverso, le
cui ragioni vanno cercate fuori o oltre la fruzione del testo”72.
La creazione del “canone ateniese”, concomitante alla fissazione scritta dei
poemi omerici, è funzionale alla politica dei Pisistratidi, e in questo modo posso­
no essere spiegate le varie interpolazioni atticizzanti. L’attenzione dei tiranni al
testo scritto è stata ben colta nella misura in cui essa si proponeva di eternare e
sacralizzare una struttura epica nazionalizzata e ideologizzata 73, in un’operazione
parallela alla costituzione di un corpus oracolare scritto che, ancora all’epoca
della cacciata di Ippia, veniva custodito sull’Acropoli74. Si trattava, cioè, di dare
69
70
71
72
73
74
Si veda per esempio HEIDEN 1998 e 2000.
[Pl.] Hipparch. 228b-c.
Hippostratos 568F5 FGH: τὰ Ὁμήρου ἔπη.
ALONI 2006, 98; cfr. anche THOMAS 1992, 34 ss.
Si veda già ALONI 1984, e poi ID. 2006, 101-18.
Hdt. V 90, 2. Doveva trattarsi di una miscellanea oracolare tratta dai manteis più famosi come Museo
e Bacide, e l’attenzione al testo dimostrata dai Pisistratidi emerge anche nell’episodio della cacciata
dell’orfico Onomacrito, accusato di aver falsificato uno degli oracoli, alla cui trascrizione egli stava
evidentemente collaborando (Hdt. VII 6, 3-4). Su queste raccolte oracolari si veda PRANDI 1993.
112 ― N. Reggiani, Dalla magia alla filologia
fissazione scritta a tradizioni orali, che proprio sull’oralità fondavano la propria
autorevolezza75.
Le prime scritture “librarie” hanno, dunque, un carattere sacrale-autoritativo,
e sono di preferenza collocate in un tempio, come la tradizione attesta per l’opera
filosofica di Eraclito76. Questo aspetto conduce al secondo contributo della rac­
colta in esame, quello di Perilli, dedicato a conservazione dei testi e circolazione
della conoscenza in Grecia. L’Autore propone svariati casi, oltre a quello eracli­
teo, di testi collocati in strutture sacre: le poesie di Crantore di Soli; la stele con
un progetto di Eratostene; il racconto autobiografico di Abrocome e Antia, i pro­
tagonisti degli Ephesiaka di Senofonte d’Efeso77, ai quali possiamo aggiungere,
di maggiore antichità, la tavoletta lignea col testo dell’Inno omerico ad Apollo
dedicata dai Delî nel tempio di Artemide, quella plumbea con gli Erga esiodei
conservata presso i Beoti dell’Elicona, la dedica della settima Olimpica di Pinda­
ro nel tempio di Atena Lindia78. Quest’usanza, secondo l’Autore, risale ai tempi
in cui “gli archivi di templi e santuari svolgevano una funzione pubblica, ad essi
erano infatti affidati i documenti relativi alla città”79.
Ma l’associazione fra tempio e archivio scribale non risiede nella funzione le­
gittimante del primo, bensì nel valore consacrante della scrittura: “la scrittura
materializza qualcosa che materiale non è, e rende possibile l’offerta e la dedica
al dio”80. Lo ricordava anche Irigoin: “il libro permetteva di conservare, negli ar­
chivi familiari, le tracce di un fatto memorabile celebrato da un poeta o poteva
essere l’offerta a una divinità, a guisa di ex voto”81. La cosa singolare, in queste
75 Si veda, allo specchio della parodia, la raccolta degli oracoli di Bacide portata in scena dal chrēsmolo­
gos degli Uccelli di Aristofane, con il suo costante riferimento al “testo” (HENRICHS 2003, 216-22).
76 Cfr. D.L. IX 6: ἀνέθηκε δ' αὐτὸ εἰϲ τὸ τῆϲ Ἀρτέμιδοϲ ἱερόν, ὡϲ μέν τινεϲ, ἐπιτηδεύϲαϲ
ἀϲαφέϲτερον γράψαι, ὅπωϲ οἱ δυνάμενοι <μόνοι> προϲίοιεν αὐτῷ καὶ μὴ ἐκ τοῦ δημώδουϲ
εὐκαταφρόνητον ᾖ.
77 PERILLI 2007, 39-46.
78 Certamen 315-21 Allen; Paus. IX 31, 4; Gorgon 515F18 FGH. Questi casi sono citati da ALONI 2006,
97-8.
79 PERILLI 2007, 50.
80 ALONI 2006, 99.
81 IRIGOIN 2009, 8; e cfr. anche CAVALLO 1998, 8-9, su un certo tipo di scrittura “atta a realizzare l’intento
del testo magico racchiuso nella fissità della gabbia grafica”.
Papyrotheke 1 (2010) ― 113
testimonianze di “scritture sacre” (ed è un’osservazione che si può agevolmente
estendere anche ad ogni documento conservato presso quegli archivi arcaici cui
fa riferimento Perilli), è che i supporti utilizzati sono quelli che noi conosciamo
come destinati alle scritture temporanee: soprattutto tavolette di legno, cerate o
meno, ma anche lamine di piombo, analoghe a testi commerciali di VI e V sec.
a.C. (lettere da Emporion e Pech-Maho82) (Fig. 7). Quasi come se, in un’epoca
ancora dominata dalla tradizione orale, quest’ultima fosse sufficiente a garantire
la memoria e la correttezza del testo tràdito 83, e la scrittura – su supporti cadùchi
– volesse semplicemente cogliere un aspetto momentaneo della tradizione stessa,
affidato ad un appunto estemporaneo84.
L’impressione è confermata dalla casistica esaminata dal Perilli a conclusione
del suo saggio85, consistente nelle “tavolette” (pinakia) con annotazioni mediche
– cartelle cliniche o schede diagnostiche – conservate presso i santuari e note tec­
nicamente come iatrika grammateia86. La collocazione templare rispondeva qui
anche a criteri utilitari, dato che nei santuari di Asclepio trovavano ospitalità tanti
malati, bisognosi delle pratiche mediche e religiose ivi condotte: gli edifici sacri
fungevano così anche da “luogo per la raccolta e la conservazione di dati relativi
alle malattie e alle terapie […] sul modello di quanto accadeva da secoli in Egitto
e in Mesopotamia”, dove esistevano archivi e biblioteche templari contenenti “i
materiali necessari all’esercizio dell’attività che in quegli spazi si svolgeva –
dunque la medicina e la religione”87.
La pratica delle scritture mediche come “trasposizioni scritte di prescrizioni
verbali”, cui viene assegnato valore quasi magico-sacrale, possiede un’antica tra­
dizione, come dimostra l’incipit del Papiro Ebers, il più antico prontuario medi­
82 Sul piombo come materiale di potenziale riuso cfr. THOMAS 1992, 82.
83 Si vedano le fondamentali riflessioni di HAVELOCK 1995, passim.
84 Un caso analogo e parallelo può essere visto nello sviluppo delle scritture “pubbliche”, epigrafico-mo­
numentali, per le quali Rosalind Thomas aveva suggerito la discendenza dalle “imprecazioni”, o in ge­
nere dall’uso di sancire al momento, con l’efficacia di una formula magica, i documenti ufficiali
(THOMAS 1992, specialmente 59-61 e 78-88).
85 PERILLI 2007, 55-71.
86 Si veda la testimonianza di IG II2 1533, un’epigrafe ateniese di seconda metà del IV sec.a.C. con una
lista di proprietà del tempio di Asclepio).
87 PERILLI 2007, 57.
114 ― N. Reggiani, Dalla magia alla filologia
co, scritto in ieratico verso il 1550 a.C.: Thot è la sua guida, colui che fa parlare
lo scritto. Egli è colui che elabora il ricettario, che concede l’intelligenza ai suoi
seguaci, scienziati e medici88. La medicina, arte di magistero essenzialmente ora­
le, poteva avvalersi – è l’ipotesi sostenuta dal Perilli – anche di supporti scritti
per la trasmissione del sapere specialistico-professionale 89; questi si configurava­
no inizialmente come annotazioni, appunti estemporanei in una sintassi schemati­
ca e abbozzata di cui è rimasto ancora qualche testimone90 e che sarebbe poi stata
aggiustata ed elaborata per la “pubblicazione” nella trattatistica medica.
L’analogia è evidente: anche l’altra grande arte trasmessa oralmente, l’aedica,
si poteva avvalere di registrazioni momentanee per integrare i propri contenuti. E
così ogni altra disciplina tecnica che potesse aver bisogno di un supporto scritto
per la fissazione momentanea di un canone in continuo divenire, che fosse al
tempo stesso punto d’arrivo e di partenza di “un sapere progressivo, al quale ogni
generazione aggiunge il proprio contributo”91. La sostanziale differenza della
scrittura in Grecia rispetto all’Egitto, l’essere una scrittura di uomini e non di di­
vinità, non ne preclude la sacralità, che in questo caso si esprime però nella fon­
damentale funzione di segnalare l’appartenenza92. Consacrare un testo che fissa
un momento di una tradizione “tecnica” nell’opera di un singolo autore significa­
va dunque sottoporlo, per dir così, ad un copyright ante litteram93.
88 Cfr. ANDORLINI 2006, 142-5.
89 Sul rapporto fra medicina e scrittura si veda anche MARGANNE 2004, 15-34. Segnaliamo inoltre ibid.,
35-58, a proposito del ruolo dell’illustrazione figurativa nella trasmissione del sapere medico, perché
si riconnette al capitolo del Blanck relativo ai libri illustrati (BLANCK 2008, 141-54).
90 Hp. Epid. VI 8, 7; Gal. Diff.resp. VII 855, 4-5 Kühn (τὰ ἐκ τοῦ ϲμικροῦ πινακιδίου); non va trascura­
ta la testimonianza dello stesso Galeno (Comp.med.loc. XII 423, 13-5 Kühn) a proposito di una ricetta
che il collega Claudiano avrebbe ricavato ἐκ πυκτίδι διφθέρα di proprietà di un suo associato, poiché
fa esplicito riferimento ad un supporto pergamenaceo che doveva essere analogo ai casi preservati da
P.Ryl. I 29 e PSI VI 718, due fogli pergamenacei con prescrizioni mediche di III e IV sec. d.C. (cfr.
ANDORLINI 1994, 413) (Fig. 35).
91 PERILLI 2007, 60, che fa anche l’esempio di geometria e scultura.
92 “Une fonction primordiale de l’écriture chez les Grecs – et elle ne devait jamais la perdre – fut d’indi ­
quer une appartenance” (LABARBE 1991, 517). Non è un caso se “our evidence for the earliest Greek
writing suggests that it was first used at least to mark objects or to make a memorial, even to write
down verse. But it is not clear in this context that writing would yet be intended to fix a text for ever”
(THOMAS 1992, 48; primo corsivo mio); cfr. poi ibid., 58 ss.
93 Sulle problematiche del “diritto d’autore” nell’Antichità e alcune forme di tutela, si vedano le osserva­
Papyrotheke 1 (2010) ― 115
Che la stesura scritta di una tradizione orale venga ammantata di un’aura sa­
crale è provato anche dalla tradizione religioso-sapienziale. Abbiamo già incon­
trato la “canonizzazione” pisistratica degli oracoli; vi possiamo aggiungere tutte
le hierai bibloi recentemente analizzate da Albert Henrichs: le “scritture sacre”
dei misteri orfici, dionisiaci o di Sabazio variamente attestate dalle nostre fonti 94
e che possono essere identificate in qualche esemplare giunto fino a noi, come il
Papiro di Derveni o P.Gur. 195 (Figg. 10-11). Si tratta di momenti trascrittivi di
hieroi logoi, le tradizioni orali sacre note da alcuni passi erodotei 96, e se anche il
termine biblos ci rimanda alla tipologia del rotolo97, vi sono prove sufficienti per
ritenere che inizialmente essi fossero affidati ai supporti “temporanei”, come la­
minette di rame98 o di stagno99. Questi testi hanno alcuni caratteri fondamentali,
riconoscibili nella marginalità/esclusività, nell’autorevolezza di un “autore” vero
o presunto, nella trasmissione ereditaria di un sapere iniziatico100, destinato ad
essere tramandato ma non “pubblicato” su supporti monumentali. È ciò che li ac­
comuna ai testi medici, alle raccolte oracolari, ai trattati tecnico-professionali,
agli scritti filosofici, ma anche alle Scritture per eccellenza, i testi cristiani 101.
L’esito di queste premesse è palese: qualsiasi prodotto librario riconducibile
zioni di DORANDI 2004, 103-6, che però non cita le forme di protezione delle opere mediante consacra­
zione templare.
94 Su “libri” attribuiti ad Orfeo ci informa un passo dell’Ippolito di Euripide (927); su Dioniso, il decreto
tolemaico BGU VI 1211; su Sabazio, la polemica antieschinea dell’orazione Sulla corona di Demoste­
ne (259). Su tutto ciò cfr. HENRICHS 2003, 212-6 e 222-31.
95 Vasta è la bibliografia su entrambi i documenti (si rimanda a HENRICHS 2003, 213 n. 17 e 233 n. 87); si
segnalano solo i recenti KOUREMENOS/PARÁSSOGLOU/TSANTSANOGLOU (eds.) 2006 e HORDERN 2000.
96 II 48, 3; 51, 4; 62, 2; 81, 2; cfr. anche II 46, 2 e 47, 2; HENRICHS 2003, 235-9.
97 Interessanti osservazioni sulle tendenze “librarie” dell’Orfismo si trovano in SANTAMARÍA ÁLVAREZ
2008, 72-8.
98 Così il testo sacro dei misteri di Dioniso e Demetra a Lerna, secondo Paus. II 37, 3, coincidente con le
ben note laminette d’oro orfiche (Fig. 8) (PUGLIESE CARRATELLI 2001; HENRICHS 2003, 242-5).
99 Così il testo sacro dei misteri dei Megaloi Theoi ad Andania, in Messenia, raccontato da Paus. IV 20
ss. Questo, in particolare, ci illustra in modo chiarissimo il passaggio dal supporto “temporaneo” al ro ­
tolo di papiro (27, 5; cfr. HENRICHS 2003, 245-8).
100 Sull’insegnamento “familiare” delle tradizioni sapienziali, cfr. HENRICHS 2003, 229 n. 68; per il resto,
ibid., passim.
101 Cfr. HENRICHS 2003, 240-2. Degno di nota è, come già sottolineava per esempio CAVALLO 1994, 621,
che i Cristiani continuarono ad usare il rotolo come supporto per scritti letterari (patristici).
116 ― N. Reggiani, Dalla magia alla filologia
alla tipologia del codice rappresenta il contenitore per eccellenza di conoscenze
“speciali” in scritture transitorie, laddove il rotolo verrà via via destinato alla fis­
sazione ed alla conservazione di un modello testuale diverso102, al quale già guar­
da la cultura “editoriale” dei sofisti ateniesi 103 e sul quale si eserciterà poi l’acri­
bia filologica degli eruditi alessandrini104, entrambe confluite nelle pratiche libra­
rie romane105. La “vittoria” del codice è conseguenza della fine del rotolo papira­
ceo come strumento di trasmissione del sapere, e non a caso muove da un conte­
sto post-ellenistico: quando i poemi di Omero, il Corpus Hippocraticum, il Ca­
none di Policleto, i testi orfici diventano dei reperti da collezione, cristallizzati
nei libri papiracei secondo le aristoteliche classificazioni del Museo 106, il codice,
forma “democratica” della fruizione testuale107, torna ad avere il sopravvento, ma
ormai la magia del testo si è del tutto perduta.
NICOLA REGGIANI
Università degli Studi di Parma
Dipartimento di Storia
[email protected]
102 Questa distinzione si può seguire bene sul versante delle tipologie di scritture, come estesamente in­
dagato da G. Cavallo: “i primi codici si mostrano libri di seconda qualità, ad uso privato o di scuola,
caratterizzati come sono di regola da manifattura tecnicamente modesta e scritture informali” (CAVALLO
1998, 9), a fronte del progressivo delinearsi di grafie “librarie” canonizzate (ibid., 5-7).
103 Si vedano le polemiche dei “conservatori”, come Aristofane (Tagenistai, fr. 490K; Ra. 943 ed altri
passi satirici contro la biblioteca privata di Euripide; interessante sul tema DENNISTON 1927, 117-9, per
le osservazioni di carattere lessicale su biblion) e Platone (nel Fedro), contro la “cultura del libro” as­
sociata in particolare alla diffusione del sapere sofistico (cfr. SANTAMARÍA ÁLVAREZ 2008, 65-71). Per un
ottimo inquadramento della cultura editoriale ad Atene dalla fine del V sec.a.C. si veda TURNER 2002,
16-24, integrato da KLEBERG 2002, 27-30.
104 Vd. supra; cfr. BLANCK 2008, 191-5. Un’interessante prospettiva sulla catalogazione dei libri e la bi­
blioteconomia antica è offerta da OTRANTO 2000.
105 KLEBERG 2002, 40-80.
106 Sui rapporti fra la Biblioteca di Alessandria e i principî aristotelici si veda Str. XIII 1, 54, 5-9. Sulla
critica testuale alessandrina, l’elaborazione del canone dei “classici” letterari e la filologia ellenistica
si vedano le interessanti pagine di MAEHLER 1998.
107 CAVALLO 1994, 638-9. L’Autore estende le sue considerazioni sulla “democraticità” del codice ai suoi
rapporti privilegiati con la narrativa “di consumo”, aperta al gusto di tutti i lettori (ibid., 642-5), il che
spiega l’adozione di questa forma libraria nonostante si fosse ormai usciti dall’ottica della hiera bi­
blos, che rimaneva però sicuramente fondamentale nel caso degli scritti cristiani. Ancora sulla “vitto­
ria” del codice, cfr. CAVALLO 1989b, 327-8 (dal punto di vista romano).
Papyrotheke 1 (2010) ― 117
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R. WINSBURY (2009), The Roman Book, London.
Papyrotheke 1 (2010) ― 121
(a) Tavolette e altri supporti “temporanei”
Fig. 1: tavolette cerate dal relitto di Ulu Burun, XIV-XIII sec. a.C.
(da: http://ina.tamu.edu/images/Uluburun/miscellaneous/ Kw4376.jpg)
Fig. 2: tavolette eburnee cerate da Nimrud, VII sec. a.C.
(da: http://lds.org/ldsorg/v/index.jsp?hideNav=1&locale=166&sourceId=0c7167700817b010VgnVCM1000004d82620a____&vgnextoid=2354fccf2b7db010VgnVCM1000004d82620aRCRD)
122 ― N. Reggiani, Dalla magia alla filologia
Fig. 3: Tavoletta cerata con conto di spese, III sec. a.C.
(UCL, Petrie Museum, UC36089; ROBERTS/SKEAT 1987, pl. I)
Fig. 4: Tavoletta cerata con esercizi scolastici di scrittura, II sec. d.C.
(GMAW2 4; IRIGOIN 2009, 4, fig. 4)
Papyrotheke 1 (2010) ― 123
Fig. 5: frammento di taccuino pergamenaceo per appunti, note di lavoro, II sec. d.C.
(P.Berol. inv.7358/9; ROBERTS/SKEAT 1987, pl. II)
Fig. 6: lettera su tavoletta lignea sottile ripiegata “a codice” da Vindolanda, I-II sec. d.C.
(T.Vindol. 21; VAN HAELST 1989, fig. 2)
124 ― N. Reggiani, Dalla magia alla filologia
Fig. 7: laminetta mercantile in piombo iscritta da Pech-Maho, VI-V sec. a.C.
(da: http://www.archaeogate.org/print/photo.php?src=341_article_204_5.jpg)
Fig. 8: laminetta d’oro con testo magico orfico, da Hipponion, V sec. a.C.
(da: http://www.archeocalabria.beniculturali.it/archeovirtualtour/calabriaweb/laminetta.htm )
Papyrotheke 1 (2010) ― 125
(b) Bibloi/Volumina: i rotoli papiracei
Fig. 9: frammento del rotolo con i Persiani di Timoteo, IV sec. a.C.
(P.Berol. inv.9875)
Fig. 10: parte del rotolo di Derveni con commentario orfico, IV sec. a.C.
(P.Thessaloniki; KOUREMENOS/PARÁSSOGLOU/TSANTSANOGLOU (eds.) 2006)
126 ― N. Reggiani, Dalla magia alla filologia
Fig. 11: frammento di papiro con
hieros logos orfico, III sec. a.C.
(P.Gur. 1; HORDERN 2000, taf. III)
Fig. 12: lettori di rotoli papiracei nell’Atene classica, da coppe a figure rosse di Duride
(c. 490-80 a.C.) e Onesimo (c. 480 a.C.) (Berlin, Staatliche Museen, Preußischer Kulturbesitz Antikensammlung F2285, ph. M.Daniels; Oxford G138,3; da http://ccat.sas.upenn.edu/rak/courses/735/book/vert-scrolls.jpg )
Papyrotheke 1 (2010) ― 127
(c) tipologie di codici
Fig. 13: pagina di “quaderno” papiraceo per uso scolastico, con testo dell’Iliade e spazi marginali
per appunti, seconda metà del III
sec. a.C.
2
(GMAW 14 = P.Lond.Lit. 5+182)
Fig. 14: frammento di codice papiraceo con testo della Genesi,
80-100 d.C.
(P.Yale 1)
128 ― N. Reggiani, Dalla magia alla filologia
Fig. 15: frammenti di codice papiraceo con il Vangelo di Giovanni, prima metà del II
sec. d.C. (P.Ryl. III 457; VAN HAELST 1989, fig. 7)
Fig. 16: codice papiraceo Chester Beatty II, testo delle lettere di Paolo, III sec. d.C.
(Dublin, Chester Beatty Library, Papyrus II, ff. 15r & 90r; ROBERTS/SKEAT 1987, pl. III)
Papyrotheke 1 (2010) ― 129
Fig. 17: codice papiraceo con il Vangelo di
Giovanni, c. 200 d.C.
(P.Bodm. II, p. 66; da:
http://www.earlham.edu/~seidti/iam/tc_pap66.html )
Fig. 18: frammento di codice
papiraceo con Leucippe e Clitofonte di
Achille Tazio, III sec. d.C. ex.
(P.Mil.Vogl. III 124; CAVALLO 2005, pl. 58b)
Fig. 19: frammento di codice papiraceo con Homeromanteion e Catabasi orfica, II o IIIII sec. d.C. (P.Bon. 3+4, MALTOMINI, ZPE 85 (1991), 239-43, taf. V)
130 ― N. Reggiani, Dalla magia alla filologia
Fig. 20: frammento di codice papiraceo
con i Phoinikika di Lolliano, II-III sec.
d.C. (P.Col. inv.3328)
Fig. 21: frammento di codice papiraceo
con un lessico omerico, II-III sec. d.C.
(P.Oxy. XXX 2517, da Oxyrhynchus Online)
Fig. 22: frammento di codice papiraceo
Fig. 23: frammento di codice papiraceo
con manuale di grammatica, II-III sec. d.C. con trattato di palmomanzia, II-III sec.
(PSI VII 849; CAVALLO 1998, nr. 32, tav. XXVII)
d.C. (PSI VI 728; CAVALLO 1998, nr. 45, tav. XXXVI)
Papyrotheke 1 (2010) ― 131
Fig. 24: frammento di codice papiraceo
con la Ciropedia di Senofonte, II-III sec.
d.C. (P.Oxy. IV 697; da )
Fig. 25: frammento di codice papiraceo
con la Repubblica di Platone, II-III sec.
d.C. (P.Oxy. XLIV 3157; da Oxyrhynchus Online)
Fig. 26: frammento di codice papiraceo
con manuale medico, III sec. d.C.
(BKT I 3, 29-30; ANDORLINI 1994, pl. 30)
Fig. 27: frammento di codice papiraceo
con trattato medico, IV sec. d.C. in.
(P.Mil.Vogl. I 15; ANDORLINI 1994, pl. 30)
132 ― N. Reggiani, Dalla magia alla filologia
Fig. 28: frammento di codice pergamenaceo Fig. 29: pagina di codice pergamenaceo
con De Bellis Macedonicis, c. 100 d.C.
con i Cretesi di Euripide, II-III d.C.?
(P.Oxy. I 30; da http://www.historyofscience.com/G2I/ti(BKT V 2, 73-9; SCHUBART, Papyri Graecae
meline/images/fragmentum_de_bellis_macedonicis.jpg)
Berolinenses, Bonn 1911, pl. 30)
Fig. 30: frammento di codice pergamena- Fig. 31: frammento di codice pergamenaceo con la De falsa legatione di Demoste- ceo con il Parmenide di Platone, II-III sec.
ne, II-III sec. d.C.?
d.C.? (P.Duke inv.G5; da http://scriptorium.lib.duke.e(P.Lond.Lit. 127; ROBERTS/SKEAT 1987, pl. IV)
du/papyrus/records/5a.html)
Papyrotheke 1 (2010) ― 133
Fig. 32: codice ligneo con orazioni di Isocrate da Kellis, IV sec. d.C.
(P.Kell. III 95; da http://www.lib.monash.edu.au/exhibitions/egypt/xegy.html )
Fig. 34: quaderno papiraceo a codice
Fig. 33: codice ligneo con un registro contabile da Kellis, IV sec. d.C. (P.Kell. IV 96; da
http://www.lib.monash.edu.au/exhibitions/egypt/xegy.html)
con un registro fondiario, da Hermopolis Magna, IV sec. d.C.
(P.Flor. I 71; ARDUINI (ed.) 2008, fig. 17)
134 ― N. Reggiani, Dalla magia alla filologia
Fig. 35: foglio pergamenaceo di taccuino
con prescrizioni mediche, IV sec. d.C.
(PSI VI 718; Pap.Flor. Suppl. XII)
Fig. 36: pagina di codice papiraceo con
parte del Salmo 36, V sec. d.C.
(PSI XIV 1371; ARDUINI (ed.) 2008, fig. 19)
Fig. 37: frammento di codice papiraceo Fig. 38: frammento di codice papiraceo con
con le Olimpiche di Pindaro, V sec. d.C.
commedie di Menandro, VI sec. d.C.
(Cambr. Univ., Libr.Add.MS.6366; CAVALLO (ed.) 2002, tav.10)
(P.Oxy. LXI 4094; da Oxyrhynchus Online)
Papyrotheke 1 (2010) ― 135
Fig. 39: Frammento di codice pergamenaceo
con le Institutiones di Gaio, IV sec. d.C.
(PSI XI 1182; ARDUINI (ed.) 2008, fig. 20)
Fig. 40: due fogli del Codex Sinaiticus, IV sec. d.C.
(ROBERTS/SKEAT 1987, pl. V)
INDICI
Papyrotheke 1 (2010) ― 139
Index locorum
Papiri
P.Col.
inv.3328: 105n36; 105n38
P.Coll.Youtie II 86: 49-50
BGU
BKT
II 372: 68n7
P.Dryton
37: → P.Grenf. I 14
II 448: 69n12
P.Flor.
I 71: 106n44
II 613: 69n9
P.Duke
inv.G5: 106n41
II 647: 85n22
P.Grenf.
I 14: 52
VI 1211: 115n94
P.Gur.
1: 115
I 3,29-30: 105n36
P.Harr.
I 59: 105n36
V 2,73-9: 106n41
I 119: 105n36
Cambridge Univ.Libr.Add.MS.6366: 101n20
Codex Sinaiticus: 108n55
I 123: 59n9
P.Hercul.
222: 59n9
codici Chester Beatty: 99n6; 101n19
253: 59n9
Ch.L.A.
XLII 1225: → P.Mich. VII 447
1008: 59n9
CPJ
I 14: 39
1457: 59n9
117: → PSI IX 1026, B
1583: 59n9
4: 99n9
1786: 59n9
CPL
GMAW
2
P.Berol.
14: → P.Lond.Lit. 5+182
P.Iand.
VII 140: 71n19
inv.7358/9: 100n10
P.Kell.
III 95: 106n44
inv.9780v: 59n9
inv.9875: 98n2
IV 96: 106n44
P.Lond.
I 107: 59n9
P.Bodm.
II: 101n19
I 108+115: → P.Lond.Lit. 132
P.Bon.
I 3: 105n36
I 131v: 59n9
P.Cair.Zen.
I 59069: 51
I 135: 59n9
III 59353: 38
II 358: 69n9
140 ― Index locorum
VII 2141: 52
XI 1368: 105n38
5+182: 101n19
XVII 2144: 49
127: 106n41
XXX 2517: 105n36
132: 59n9
XXXI 2580: 46
P.Mert.
III 123: 51
XXXII 2624: 61
P.Meyer
I 3: 68n7
XXXIV 2728: 51
P.Mich.
IV 390: 59n9
XLI 2961-2963: 68n6; 70n15
VII 447: 72n20
XLIV 3157: 106n41
XVIII 773: 46
XLV II 3354: 39n8
inv.160 (+ P.Oslo 18): 69n9
XIV 1631: 40n13
inv.1812: → P.Coll.YoutieII 86
XIV 1692: 40n13
inv.2964: 70n13
XLVII 3354: 40n13
inv.4968: 59n9
LIX 4001: 85
I 15: 105n36
LX 4026: 59n9
II 25: 59n9
LX 4056: 70n16
II 33: 105n36
LXI 4094: 101n20
III 124: 105n36
LXIV 4441: 85
P.Lond.Lit.
P.Mil.Vogl.
inv.1295r: 59n9
P.Petaus
30: 106
P.Oslo
18: → P.Mich. inv.160
P.Petr.
II 6r: 40n12
P.Oxf.
4: 69n9
P.Ross.Georg. III 2: 85
P.Oxy.
I 20: 61
I 30: 106n41
V 57v: 46
P.Ryl.
I 29: 114n90
II 223: 59n9
II 75: 68n5; 69n10
II 237: 69n11
III 457: 101n19
III 568: 59n9
III 514: 61 ss.
IV 663: 59n9
IV 678: 69n9
IV 697: 106n41
P.Tebt.
II 269: 57 ss.
IV 800: 71n17
III.1 796: 53n34
VI 978: 53-4
III.1 815, fr.6: 37 ss.
VIII 1088: 84n20; 89n43
UC 2435: 67
XI 1366: 59n9
P.Thessaloniki 98n2;115
Papyrotheke 1 (2010) ― 141
P.Vind.Sal.
8: 40n13
II 156: 31; 35
P.Yale
1: 101n19
II 181: 31
inv.1534: 105n36
II 294: 31
Papiro demotico 1120 di Pavia: 9
II 310: 31
Papiro Ebers
II 591: 31
113
Papiro Regio di Torino: 7n17
II 592: 31
PSI
III 586: 31
II 147: 106n41
IV 393: → CPJ I 14
IV 427: 53n34
V 447: 68n6; 71n18
Ostraka
VI 667: 51
VI 718: 114n90
CRISCUOLO ZPE 173 (2010), 204-7: 45-6; 47-8
VI 728: 105n36
VII 849: 105n36
IX 1026, B: 68n7
Iscrizioni
X 1123: 70n14
XI 1182: 108n54
XIII 1338: 40n13
XIV 1371: 101n20
SB
X 10219: 71n18
XIV 11958: 50n26
XVI 12374: → P.Oxy. IV 800
XX 15077: 40n12
XX 14662: → BGU II 372
AE
1952, 248: 67n2
BERNARD
53: → AE 1952, 248
BRECCIA
69: → MILNE 9307
CIG
4863: → IGR I 1290, B
FD
III 1,558: 102n24
I.CariaKaun
X, fr. 1: 46
I.Délos
461B, fr. b: 46
IG
II2 1533: 113n86
II2 2783: 102n24
IGR
I 1290, B: 67n2
Tavolette
MILNE
T.Vindol.
I 1176: 67n2
9307: 67n2
I 21: 100n16
II 154: 31; 34
II 155: 31 ss.
9266: → IGR I 1176
SB
8816: → IGR I 1176
8392: → IGR I 1290, B
142 ― Index locorum
Letteratura
Fest.
17, 3-5 L.: 53
Gal.
VII 855,4-5 K.: 114n90
XII 228,3 K.: 46n6
2Ep.Ti.
4,13: 104n31
XII 423,13-5 K.: 114n90
Ael.
VH XIII 14: 110n68
XIV 79,8-12 K.: 48
Apoc.
6,12: 53n34
De indolentia: 87n33
Ar.
fr. 490 K.: 116n103
De indolentia 5: 88n34
Ra. 943: 116n103
Gorgon
515F18 FGH: 112n78
Arist.
Mir. 833b11: 46n6
Greg.Nyss.
In Basil.fratrem IX 60,8: 46n6
Aur.
IV 15 (et al.): 47
Hdt.
II 46,2: 115n96
Certamen
315-21 A.: 112n78
II 47, 2: 115n96
CGL
III 302,13 G.: 53
II 48,3: 115n96
III 302, 14-5 G.: 55
II 51,4: 115n96
IV 2,1: 40
II 62,2: 115n96
IV 16,2 e 4: 40
II 81,2: 115n96
V 4,1: 40
V 58: 110n66
V 5, 16: 40n15
V 90,2: 111n74
D.
De corona 259: 115n94
VII 6,3-4: 111n74
D.H.
Compl.Lit. 25: 104n35
Hier.
In Gal. I 3,8 s.: 108n55
D.L.
II 10: 46n6
Hippol.
Haer. IV 28,12,7: 47
III 37: 104n33
Hippostratos
568F5 FGH: 111n71
IX 6: 112n76
Hor.
Ars 386-90: 100n10; 104n32
Colum.
D.S.
Dsc.
III 14,3: 46n6
Carm. III 8,2: 53n36
V 35,2: 46n6
Ep. II 1, 269-70: 47
I 81: 50n27
Sat. II 3,1-2: 100n10
III 24,1-2: 90n50
E.
Hp.
Decent. I 1-3: 87n31
III 98,1-2: 90n50
Epid. VI 8,7: 114n90
fr. 203,2 K.: 38
Medic. 2: 86n25
fr. 783 Nauck: 46n6
Off.: 85n22
Hipp. 927: 115n94
Or. 983-4: 46n6
Hsch.
μ 319 L.: 52
ϲ 2062 H.: 37
Papyrotheke 1 (2010) ― 143
Iuu.
XIII 115-8: 47
Sapph.
fr.58,10 V.: 37n2
J.
IV 479: 46n6
schol. A.R.
I 496-8b, p.44,9-10 W.: 46n6
Justin.
Apol. I 29,2 ss.: 67n3
Sen.
Breu.Vit. 13: 99n9
Luc.
Ind. 29: 87n29
Seru.
Aen. V 745,646,8-11 T.-H.: 53
LXX
Si. 22,15: 46n6
Sor.
Gyn. III 10,3: 89n44
M.Ant.
II 2,4; 6,2; V 31,3; VI 30,1; X Stat.
Silu. 9, 10-3: 48
15,1: 47n9
III 2,8: 46n6
Str.
IV 15: 47n8
VII 5: 46n6
Malalas
XI 367: 68n7
XIII 1,54,5-9: 116n106
Mart.
I 2: 100n11
Suda
μ 226 A.: 52
III 2, 2-5: 48
Suet.
Iul. 56,6: 100n18
XIV 7: 100n11; 104n32
Theoc.
29,25-6: 37n2
XIV 184: 100n11
Thphr.
HP IX 4,5-6: 48n19
XIV 186: 100n11
Vlp.
Dig. XXXII 52: 103n30
XIV 188: 100n11; 105n39
XIV 190: 100n11
XIV 192: 100n11
Paul.
Sent. III 6,87: 103n30
Paus.
II 37,3: 115n98
IV 20 ss.: 115n99
IX 31,4: 112n78
Pers.
1, 41-3: 48
Pl.
Phdr.: 116n103
[Pl.]
Hipparch. 228b-c: 111n70
Plb.
I 22,4: 38
XXXIV 9: 46n6
Plin.
Nat. XII 45: 48n15
Nat. XII 61-2: 50n27
Nat. XIII 76: 48n15
Nat. XXXVII 150: 46n6
Quint.
Inst. I 8,64: 104n35
144 ― Index nominum et verborum
Index nominum et verborum
Nomi e cose notevoli
Asclepio: 113
Atene: 98; 102n24; 108; 110n68; 113n86
Abrocome e Antia: 112
–
canone omerico panatenaico: 110-1
abrotono: 90
–
cultura editoriale: 98n2; 108; 116
Achille Tazio: → P.Mil.Vogl. III 124
assistenza medica: 35
Alessandria: 98; 109
―
–
Biblioteca: → biblioteche antiche, di
Alessandria
–
filologia alessandrina: 110; 116
Aloni, A.: 111
Bacide: → canoni e corpora testuali, raccolte
oracolari
bacile: 85
–
a intercapedine: 89
ambulatorio: → iatreion
bagni di vapore: 89
Amenemone (’Imn-m-int): 13
bibliologia: → passaggio dal rotolo al codice;
tecnica libraria dell’agraphon
analisi paleografica: → maiuscola rotonda
Andania: → culti misterici
biblioteche antiche: 97; 102-3; 108 ss.
–
a Roma: 109
–
biblioteconomia: 116n104
–
dei tiranni: 108
Aristofane: 109n60; 112n75; 116n103
–
di Alessandria: 109; 116n106
Aristotele: 109
–
di Pergamo: 109
armi (nella Domus del Chirurgo): 81
–
orali: → canoni e corpora testuali,
canone omerico
–
private: 108-9; 116n103
Anti, C.: 8
Archivio demotico da Deir el-Medineh: 13
Ariminum: → Rimini
aryballos Peytel: 85
Papyrotheke 1 (2010) ― 145
templari: 109; 113
Černý, J.: 7n17; 8
Blanck, H.: 97; 102-3; 108; 114n89
Chesterholm: 31
bottega del medico: → iatreion
chirurgia ossea: 87-8
Botti, G.: 3 ss.
cluster: → strumenti chirurgici, conservazione
–
–
attività al Museo Archeologico di
Parma: 12-3
–
formazione: 5-6
–
origini della famiglia: 4-5
codice: → passaggio dal rotolo al codice;
supporti scrittori, tavolette e codici
lignei; block notes pergamenacei;
codici papiracei; codici
pergamenacei
–
periodo fiorentino: 7-10
collezione “Drovetti”: 6
–
periodo romano: 10-11
coltivazione della vite: 37 ss.
–
periodo torinese: 6-7
–
riscoperta: 3-4
–
ultimi anni: 13-4
Condello, F.: 109
contenitori per strumenti chirurgici
–
buste di cuoio o stoffa: 86
–
cilindrici: → narthēx
―
–
rettangolari: 89
Calpurnio Pisone: 109
–
rettangolari a cerniera: → deltarion
Britannia: 31
cane (nella Domus del Chirurgo): 86
Corpus Hippocraticum: 85n22; 86-7; 89n43; →
canoni e corpora testuali, manuali
e trattati medici
canoni e corpora testuali: 114
Costantino: 108n55
camedrio: 90
–
canone neotestamentario: 99
Costantinopoli: 98; 108n55
–
canone omerico: 109-11; 116
Crantore di Soli: 112
–
Canone di Policleto: 116
cucchiaio con beccuccio: 88-9
–
manuali e trattati medici: 113-4; 116
“cucchiaio di Diocle”: 88
–
hierai bibloi: 115-6
–
raccolte giuridiche: 107-8
culti misterici: → canoni e corpora testuali,
hierai bibloi
–
raccolte oracolari: 111; 115
Castra uetera: 31n5
Cavallo, G.: 60-1; 99; 103-4; 107; 116n102
―
De bellis Macedonicis: → P.Oxy. I 30
Deir el-Medina: 7; 13
146 ― Index nominum et verborum
Demostene, De falsa legatione: → P.Lond.Lit. Housesteads: 31n3
127
―
demotico: 8-9
incenso, forme e contenitori: 45 ss.
Dioniso: → culti misterici
forme:
Domus del Chirurgo di Rimini: 81 ss.
– blocchetti/panetti (kollyria): 49-50
―
– grani/masserelle (bōloi) : 46-7
Emporion: 113
– grumi/tavolette (plasmata): 49
Eraclito: 112
contenitori:
Eratostene: 112
– carta di papiro (chartēs): 47-9
Ercolano: → Calpurnio Pisone
– contenitori sigillati: 51-2
Ermarco: 10
– sacchetti (marsippoi): 50-3
Eudaimon: 85
– scatole (libanothēkai/arcae): 53-5
Euripide: 116n103
Inchthutil: 31n5
Eusebio di Cesarea: 108n55
Eutyches: 91
interpunzione: → paragraphos; stigmai
―
ipocausto: 89
Fayyum: 8; 11n45
Ipparco, Ippia: → Pisistrato, Pisistratidi
farmacia: 89
Irigoin, J.: 97-8; 101-2; 108-10; 112
Filippo di Opunte: 104
Iuppiter Dolichenus: 90
―
―
Gaio: → PSI XI 1182
Kellis: 100; 106; → P.Kell. III 95; IV 96
Galeno: 87; 91; 114n90
―
Girolamo: 108n55
lamine, laminette: → supporti scrittori, lamine
metalliche
Giornale della necropoli di Tebe: 7
Giulio Cesare: 110n18
graffito (nella Domus del Chirurgo): 90
―
hierai bibloi: → canoni e corpora testuali,
hierai bibloi
“lettino” (nella Domus del Chirurgo): 84
Leucippe e Clitofonte: → Achille Tazio
Lexa, F.: 8
Libro per entrare nel mondo sotterraneo e per
raggiungere la sala della verità:
12
Papyrotheke 1 (2010) ― 147
Libro per respirare: 14
litotomia: 87-9
Lolliano: → P.Col. inv.3328; P.Oxy. XI 1368
―
maiuscola biblica: 60n34
maiuscola rotonda: 58; 60 ss.
Marco (Evangelista): 99n5
Marziale: 100n11; 101; 103; 105-6
medicina militare: 84
medicus: 81n3; 82-4; 88-91
–
identità e condizione sociale: 88-91
–
Marcus: 35
monete (nella Domus del Chirurgo): 82
mortai e pestelli: 89
Munatius Felix, L.: 67 ss.
Museo (mantis): → canoni e corpora testuali,
raccolte oracolari
Onomacrito: → canoni e corpora testuali,
raccolte oracolari
Orazio: 104
Orfeo, Orfismo: → culti misterici; Papiro di
Derveni
ospedale: 34
Ossirinco: 85
―
Paolo (Apostolo): 104
paleografia: → maiuscola rotonda
papiri della necropoli di Tebe: 7
papiri di Tebtynis: 7-8; 10; 57
papiro: → supporti scrittori
Papiro di Derveni: → P.Thessaloniki
Papiro di Fania: → P.Hercul. 1008
Papiro di Timoteo: → P.Berol. inv.9875
passaggio dal rotolo al codice: 98 ss.
–
origine romana del codice: 100-1
Museo Archeologico di Parma: 12-3
–
ruolo dei fattori materiali: 99; 103
Museo Egizio di Torino: 6-7; 13-4
–
ruolo della finalità scrittoria: 103 ss.
Museo Egizio Vaticano: 12; 14
–
teoria cristiana: 98-9; 103
Myos Hormos: 45
–
teoria della “spinta dal basso”: 99-100;
103
Museo Archeologico di Firenze: 8-9; 10n42
Neuss: 31n5
Nouaesium: 31n5
―
Omeridi: → canoni e corpora testuali, canone
omerico
“Omero di Hawara”: → P.Oxy. I 20
Pech-Maho: 113
Peet, T.E.: 7
pergamena: → supporti scrittori
Perilli, L.: 109; 112-4
Phonikika:: → Lolliano
148 ― Index nominum et verborum
Pisistrato, Pisistratidi: 108; 110-1; 115; →
rotolo: → passaggio dal rotolo al codice;
biblioteche antiche, dei tiranni;
supporti scrittori, rotoli papiracei;
canoni e corpora testuali, canone
rotoli di cuoio
omerico; hierai bibloi
―
Platone: 104; 116n103
Sabazio: → culti misterici
Policrate di Samo: → biblioteche antiche, dei
Sabei: 48n19
tiranni
Schiaparelli, E.: 5-6
Pompei: 81; 83n13
scuola medica
Pompeo Trogo: → De bellis Macedonicis
– metodica: 90
Posidippo di Pella: 59n9
– riminese: 91
prefetto d’Egitto: 67 ss.
segni diacritici: 102; → paragraphos; stigmai
– autorità giudiziaria: 68-70
Skeat, T.C.: 99n6; 100n13; 103
– autorità militare: 71-2
strumenti chirurgici: 31; 81 ss.
– competenze di censimento: 71
– aspetto e funzionalità: 87
– controllo dei lavori pubblici: 70-1
– bisturi: 87-8
– controllo finanziario/fiscale: 70
– conservazione: 81n3; 87
―
– contenitori: → contenitori per
raccolte oracolari: → canoni e corpora testuali,
strumenti chirurgici
raccolte oracolari
– flebotomo: 85
restauro virtuale: 33
– materiali: 81; 87
Roma: 98
–
–
biblioteche: → biblioteche antiche, a
Roma
–
pterigiotomo: → bisturi
–
scalpelli: 87-8
pratiche scrittorie ed editoriali: 98;
99n5; 100-1; 103n29; 116
–
sgorbie: 87-8
–
studio e tipologia: 87-9
Romanzo del Faraone Petubastis: 10
Romezzano di Bedonia (PR): 4
Rimini: 81-2; 84; 89-91
Roletto di Vanzone (VB): 5
supporti scrittori: 98 ss.
–
tavolette cerate: 99-100; 104; 108; 1123
–
tavolette e codici lignei: 31; 99-100;
104n35; 106; 112-3
Papyrotheke 1 (2010) ― 149
–
lamine metalliche: 113; 115
Vallo di Adriano: 31
–
rotoli papiracei: 98; 100n18; 101;
103n28; 105-6; 108; 115n99; 116
Vanzone con San Carlo (VB): 4-6
–
rotoli di cuoio: 110
vaso a intercapedine: 89-89
–
block notes pergameacei: 100n10; 101; ventose: 85
104
Vercouicium: 31n3
codici papiracei: 99n6; 100n18; 101;
Vindolanda: 31 ss.; 84n17; 100
104n35; 106n44; 107-8
Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana:
codici pergameacei: 98; 100n11; 101;
6
103; 104n35; 105-8
Volten, A.: 10
–
–
―
taccuini pergamenacei: → supporti scrittori,
block notes pergamenacei
vasi per sostanze medicinali: 89-91
―
Xanten: 31n5
tavolette: → supporti scrittori, tavolette cerate;
tavolette e codici lignei; block
notes pergamenacei
tecnica libraria dell’agraphon: → agraphon
Tebtynis: → papiri di Tebtynis
terme: 34-5
Parole greche e latine
N.B. Per agevolare la ricerca i vocaboli greci sono
traslitterati e inseriti secondo l’ordine alfabetico latino
Testi demotici: 9
Testi demotici II: 14
testi di medicina: 81n3; 91; → canoni e
acerra: 53
corpora testuali, manuali e trattati
agraphon: 57-60
medici
arca turaria: 53
Thomas, R.: → 113n84
arōmata: 45; 51n28; 52; 55n42
Thot: → Papiro Ebers
―
trapanazione del cranio: 87
biblos, bibloi, biblia: 98; 104; 115; 116n107
trapano: 87
bikos: 52
―
bōlos: 46-7; 50
Ulpiano: 103-4
―
―
150 ― Index nominum et verborum
cardo: 85
insula: 85
caudex: 99n9
―
charakes: 39
kalamourgia: 39n8
chartēs, chartion: 47-9; 59n8
keleusthenta: 67; 70
codex, codices: 99; 101; 103-4
kollēma: 58
conuentus: 68; 78
kollyra: 50n26
cubiculum: 84; 91
kollyrion: 50
―
―
decumanus: 85
laconicum: 89
deltarion: 89
libanos: 49; 51-2
deltoi: 101n18
–
libanothēkē: 53-4
diphthēra, diphthērai: 110n66; 114n90
–
libanōtos: 47; 49; 55n42
―
libri: 103-4
epikrisis: 71
―
ergastērion: → iatreion
marsippos, marsippion: 51-2
―
fabrica: 32
membrana, membranae, membranai: 100n11;
101; 103-4; 105n39; 106; 108
―
―
hierai bibloi: → canoni e corpora testuali,
hierai bibloi
narthēx: 89
hieroi logoi: 115
―
hospitium: 32n4; 35
paragraphos: 64
―
peripatos: 40
iatreion: 81 ss.
phakos: 90
navicula: 53
–
gestione famigliare: 85
pinakia, piniakidion: 113; 114n90
–
posizione urbanistica: 85-6
plasma: 49
–
illuminazione: 86
praefurnium: 89
–
arredo e decorazione: 86; 90
pugillares: 100n11; 104
iatrika grammateia: 113
pyriatēr: 90
Papyrotheke 1 (2010) ― 151
―
sakkos: 53n34
selis: 58
sillyboi: 59n8
sophistēs, sophistai: 58n5; 64
staphylagra: 88
staphylocaustes: 88
stigmai: 64
stoa: 86
structor, structores: 34-5
styagon: 37
stylos, stylarion, stylaton: 38-40
styma, stymata: 37-8
stypos: 38
sudatorium: 89
―
tabellae: → tabulae
taberna medica: → iatreion
tabulae, tabellae: 99; 100n11; 103
trapezitai: 70
tubuli: 89
―
ualetudinarium: 31 ss.; 84; 86
uolumen, uolumina: 99-100; 103
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