A cura di Giorgio Bertini
FARE IL PAPÀ
Corso di formazione
per genitori
riservato esclusivamente ai papà
Libera Università Popolare della Valpolicella
Istituto Statale Comprensivo “B.Lorenzi” di Fumane
Istituto Statale Comprensivo “C. Aschieri” di S. Pietro in Cariano
Azienda Sanitaria ULSS n. 22 Servizio di Psicologia dell’età evolutiva
“Un giorno smetterò di essere figlio e mi sentirò terribilmente solo.
Un giorno ripenserò a tutti i contrasti, le distanze, i silenzi con mio padre,
alla nostra generazione che voleva mettere tutto in discussione,
la famiglia, i genitori, la società – ed era giusto – e sarà inevitabile
trovare lui al centro dei ricordi, nei tempi dell’infanzia;
lui, punto fermo con la sua presenza quotidiana, con la sua protezione.
Lo rivedrò piegarsi e sollevare il nipotino così come sollevava noi.
Attraverso lui forse ritroverò me stesso”
Carlo Grande, Padri – Avventure di maschi perplessi
(Ponte Alla Grazie – 2006)
Introduzione
Ogni generazione ha dovuto affrontare lo scontro con la figura paterna intesa
come metafora dell’autorità, del dominio, in quanto il padre diventa il punto
di riferimento della legge. È colui che istituisce la morale e che idealmente
istituisce il legame con le radici e con la tradizione.
Questo aspetto è stato messo in rilievo non solo nei casi di forte autoritarismo
o di dominio indiscutibile della figura paterna, di cui è diventato simbolo
assai significativo il “padre padrone” raccontato dal pastore sardo, Gavino
Ledda, nel famoso libro che è poi diventato un film diretto dai fratelli Taviani,
ma anche in altre situazioni meno estreme.
Per poter intuire il valore della figura paterna, per metterne in luce
l’autorevolezza sembra che per il figlio sia necessario operare uno scontro
violento, una contestazione radicale della figura e del ruolo del padre. È
l’ottica del figlio che, per crescere e per diventare “padre” egli stesso, sente la
necessità di “mettere alla prova” fino in fondo la struttura di questo ruolo.
Di contro emerge invece un ulteriore passaggio che porta i figli, dopo
le contestazioni a oltranza, una volta raggiunta una propria maturità, a
rivalutare la figura paterna, intraprendendo un affascinante percorso di
“ritorno” alla figura del padre, che comporta anche la riscoperta del mondo
che gli è appartenuto, dei valori che ha trasmesso, della tradizione culturale
che ha affrontato. Sono aspetti che non vengono più contestati, ma che sono
intuiti come un patrimonio da tutelare per sé e per la propria riscoperta del
mondo.
Negli ultimi anni si è assistito in realtà ad una confusione del ruolo e
dell’identità paterna (padri-mammoni; padri-amiconi; padri-adolescenti…),
ad una sovrapposizione e più frequentemente ad un rovesciamento delle
funzioni paterne e materne. Tutto questo ha determinato una diminuzione
della conflittualità intergenerazionale all’interno della famiglia tra padri e
figli e una “fuga” dei padri all’esterno del nucleo familiare.
Molti uomini hanno cercato di sopperire a questa confusione con l’affettività,
ma essa non è sufficiente a garantire da sola ciò di cui i bambini hanno
bisogno per crescere. Si assiste sempre di più , soprattutto in adolescenza, e
non solo per l’”assenza” dei padri, a ragazzi senza il senso della misura e del
limite, incapaci di fare progetti, carenti di valori e di passioni. Sembra essere
carente la formazione di un super-io interno e strutturato perché è stata
carente, durante lo sviluppo del bambino, la presenza della funzione paterna
di contenimento e di “autorità”.
Molti padri si interrogano su quello che sta accadendo mettendo spesso a
confronto ciò che hanno vissuto come figli con i loro padri con quello che sta
succedendo con i propri figli. Si ha però la consapevolezza che negli ultimi
quarant’anni sono avvenuti dei grandi cambiamenti sociali e culturali tali da
rendere difficoltoso il confronto. La vita di tutti i giorni sembra allora assorbire
gran parte delle energie personali, dove ciascuno cerca di “fare il padre” nel
migliore dei modi possibili.
L’interrogarsi insieme agli altri, il confrontarsi reciprocamente su ciò che
sta avvenendo dentro di noi, nel quotidiano, sembra diventare sempre più
un’esigenza, anche se i luoghi sociali del confronto sono pochi, soprattutto in
ambito educativo, e quasi tutti occupati, spesso per delega , dalle donne.
Il progetto, che viene qui presentato e documentato, ha avuto un riscontro
molto positivo sia nell’adesione inaspettata di molti papà, sia soprattutto
nella capacità che essi hanno dimostrato di interrogarsi, di mettersi in
gioco, di confrontarsi, di esprimere le proprie emozioni… Ne è emersa una
immagine variegata di padri, tutti desiderosi però di riprendersi la propria
funzione genitoriale “specifica”, in un confronto con l’universo femminile
all’interno della coppia e in una “società senza padri” come diceva il sociologo
A. Mitscherlich.
La prima parte presenta il progetto ed il resoconto degli incontri così come è
stato presentato di volta in volta ai partecipanti del gruppo.
La seconda parte raccoglie l’intervista che è stata fatta a Carlo Grande durante
l’incontro di presentazione del suo libro di racconti “Padri – Avventure di
maschi perplessi” (Ed Ponte alle Grazie , 2006); inoltre viene presentato un suo
racconto dal titolo “ Fhater’s in arms”.
La terza parte presenta uno strumento di narrazione utilizzato durante gli
incontri che è il Disegno del Cerchio Familiare con alcune esemplificazioni.
La quarta parte raccoglie degli articoli che sono stati presi da libri, o apparsi
su riviste o in internet, che affrontano alcuni aspetti della figura del padre e
che sono stati utilizzati durante gli incontri come stimolo per la riflessione ed
il confronto. Particolarmente interessante è il contributo della psicoanalista
Simona Argentieri dal titolo “I nuovi papà”, tratto dal suo libro “Il padre
materno. Da San Giuseppe ai nuovi mammi”. (Meltemi, 1999).
Vi sono poi delle informazioni dettagliate sul progetto di adozione a distanza
“Adotta una mamma e il suo bambino” di CINI Onlus al quale ha aderito il
gruppo dei papà utilizzando una parte della quota di iscrizione al corso di
formazione. Ci sembrava bello questo gesto simbolico, che poi non è solo
simbolico visto che permette ad una madre dell’India di essere seguita ed
assistita durante la gravidanza e nei primi due anni di vita del bambino.
Infine vi è una bibliografia, aggiornata, con testi di facile lettura e reperibilità,
sulla figura del padre per chi volesse fare degli ulteriori approfondimenti su
questo tema.
I ringraziamenti da fare sono tanti. Innanzitutto ai papà che in questi due
anni hanno partecipato con interesse alla proposta formativa del gruppo:
Gabriele, Ivo, Luca, Massimiliano, Giorgio, Fabio, Luca, Pierangelo, Gianni,
Giuseppe, Marco, Lodovico, Giacomo, Sergio, Gianfranco, Giovanni, Graziano,
Mario, Luca, Giampaolo, Gaetano, Marco, Riccardo, Oscar, Fabiano, Luca,
Roberto, Davide, Vincenzo, Guido, Maurizio, Oriano, Giovanni, Fulvio, Gianluigi,
Stefano, Emanuele, Stefano, Paolo, Renzo, Ennio, Amedeo, Giorgio, Edoardo,
Vincenzo, Corrado, Remo, Alberto, Paolo, Alessandro, Pierluigi, Fabio, Enrico,
Nello, Antonio, Gualtiero, Pietro, Giorgio, Gianluigi.
A Carlo Grande, a Cristina, a Lorenzo, a Susanna, al Circolo Malacarne, alle
Cantine Nicolis, ad Enrico e Barbara dei Dvakuna Duo, a Nello e Silvana, al
Gigi e al suo buonissimo “codeghin”, per il contributo dato alla realizzazione
dell’incontro di presentazione del libro di Carlo.
Alla Libera Università della Valpolicella, a Giovanni Viviani Dirigente Scolastico
di Fumane , a Bianca Pellegrini Dirigente Scolastico di S. Pietro in Cariano, a
Celeste Zorzi, che hanno sostenuto e organizzato il progetto.
A Paolo Giavoni del settore sociale dell’Azienda ULSS 22 sempre attento e
disponibile a sostenere progetti sulla genitorialità.
A Paolo Dalla Vecchia che ha condotto insieme a me il terzo incontro del
gruppo dei papà.
Alle mie figlie Camilla e Marta e a mio padre Aldo, per quello che mi hanno
insegnato.
Un riconoscimento e un abbraccio a tutti.
Bertini Giorgio
Psicologo dell’età evolutiva dell’Azienda Sanitaria
ULSS n. 22
“FARE IL PAPA’” – Corso di formazione per genitori riservato esclusivamente ai papà
Introduzione
La complessità della vita che conduciamo, il rapido evolvere dei riferimenti valoriali
e culturali, il diffondersi di conoscenze psicologiche e pedagogiche inducono
sempre più uomini e donne ad interrogarsi sul proprio modo di essere genitori.
Essere genitori appare oggi come una funzione sociale, educativa ed affettiva che
non può più essere svolta con le competenze ricevute in eredità dai propri genitori
ma va coltivata ed accresciuta sia di consapevolezza che di conoscenze teoriche; si
è affermata la convinzione che essere genitori oggi non è come esserlo stati venti
o trenta anni fa, proprio in virtù dell’accresciuta complessità della nostra società
che tende sempre più ad acuire le distanze fra le generazioni.
Molti genitori sentono il bisogno di esaminare e confrontare le loro strategie
educative accompagnati spesso dalla paura di sbagliare o di attuare
comportamenti ritenuti inadeguati o addirittura dannosi nella relazione con i figli.
Pertanto assistiamo ad una domanda crescente di luoghi, eventi, occasioni in cui
l’essere genitori sia posto al centro di un processo di riflessione e di trasferimento
di conoscenze, anche con l’apporto di persone “esperte”.
Il presente progetto intende creare un’occasione di confronto riservandola
soltanto ai papà, con l’obiettivo di interrogarsi in modo specifico sulla paternità e
farlo con un approccio che tenga conto delle esigenze specifiche dei partecipanti
di sesso maschile. Se risulta evidente che sempre più papà assumono un ruolo
attivo nella gestione della relazione con i figli e si interrogano su questo, è però
altrettanto vero che le donne possiedono per tradizione molti più luoghi di
confronto, anche separate dai mariti, e sono pertanto molto più abituate a parlare
di sé e a confrontarsi con altre mamme, anche in contesti informali.
Spesso, all’interno della coppia genitoriale, la tradizionale centralità del ruolo
materno inibisce o quanto meno rappresenta un punto di riferimento anche per
la dimensione paterna della funzione genitoriale; come se i padri, pur presenti ed
attenti nella relazione con il figlio, fossero in grado di essere al massimo una copia
della madre.
La funzione paterna infatti rischia, nella suddivisione dei ruoli all’interno della
coppia, di venir relegata a sostituta del ruolo materno laddove ad esempio la
madre è assente per lavoro.
Il percorso che viene proposto, oltre ad essere riservato solo ai papà, pone
l’attenzione, non tanto sulle caratteristiche evolutive e sulle esigenze dei figli, ma
sull’esperienza di paternità dei partecipanti coinvolti.
Si vuole creare un’opportunità per i papà di confrontarsi con altri sulla propria
esperienza, attraverso un percorso che, partendo dalle rappresentazioni culturali
e sociali della paternità, passando attraverso il ricordo del proprio padre, arrivi a
focalizzare la dimensione quotidiana della paternità così come i partecipanti la
vivono.
ARTICOLAZIONE DEL PERCORSO
Il percorso è strutturato in 5 incontri; per ciascun incontro sono individuati
gli obiettivi specifici ed è indicata una traccia di lavoro.
1° Incontro
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PAPÀ A CONFRONTO
incontro introduttivo
2° Incontro
COME SI È TRASFORMATA L’IDEA
DI PATERNITÀ NEL TEMPO
3° Incontro
ASSENTE O CASTIGATORE: QUALE
MODELLO DI PATERNITÀ ABBIAMO VISSUTO
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4° Incontro
“FACCIO IL PAPÀ:
QUALE PARTERNITÀ VIVIAMO
5° Incontro
“SEI FORTE PAPÀ,
COSA NE PENSANO I FIGLI
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Il progetto di formazione si rivolge a tutti i papà, indipendentemente dall’età
dei figli.
Il corso è organizzato dalla Libera Università della Valpolicella in collaborazione
con gli Istituti Scolastici di Fumane e San Pietro in Cariano e l’Azienda Sanitaria
U.L.S.S. n. 22.
La partecipazione prevede una quota di partecipazione di 10 euro che verrà
utilizzata per aderire al Progetto di CINI onlus “Adotta una mamma”.
Gli incontri sono a cadenza quindicinale a partire da mercoledì 7 febbraio
2007.
Sede degli incontri : Sala Civica di Valgatara.
Conduttore: Bertini Giorgio, psicologo, psicoterapeuta, coordinatore del
Servizio di Psicologia dell’età evolutiva dell’Azienda Sanitaria ULSS n. 22. Ha
ideato, condotto e coordinato numerosi progetti di sostegno alla genitorialità.
Su questi temi ha curato il libro “Genitori di un figlio che cambia – Il mestiere di
genitore in adolescenza”, Ombre Corte, 2001 e, insieme a Paolo Dalla Vecchia,
gli opuscoli “Genitori e ragazzi a confronto” (2005) e “Stili di vita modelli e valori
in adolescenza” (2006).
Resoconto degli incontri
Ogni resoconto veniva dato ai partecipanti prima dell’incontro successivo
1° Incontro
“Papà a confronto: incontro introduttivo”
-Presentazione del percorso formativo :
• perché parlare della figura paterna ?
• i contenuti
• le modalità di lavoro
• i riferimenti teorico-concettuali
• il confronto tra i partecipanti
Il conduttore ha definito alcune “regole” da prendere in considerazione
nelle relazioni all’interno del gruppo: la piacevolezza dell’incontrarsi,
la libertà, il rispetto, l’ascolto come strumento fondamentale della
comunicazione interpersonale.
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- Presentazione dei partecipanti e del proprio nucleo familiare
attraverso il “Disegno del cerchio familiare”
Viene consegnato un foglio con il disegno di un grande cerchio; le
richieste sono due:
1. “Questo cerchio rappresenta la tua famiglia; traccia con la matita
all’interno del cerchio l’area che pensi di occupare come padre”.
2. “Ora delimita, sempre all’interno di questo cerchio, lo spazio che pensi
occupino gli altri membri della tua famiglia”.
-Cosa mi aspetto dal corso
Durante il racconto e la discussione, in un clima di ascolto e di partecipazione
emotiva, sono emersi i seguenti temi:
- I figli in adolescenza cambiano e cambia anche la relazione con loro
- Il binomio libertà-autorità in adolescenza
- Il ruolo “tradizionale” del padre funziona con difficoltà in adolescenza:
il rischio di conflitti è molto elevato
- I figli che scelgono di stare con il padre nel momento della separazione
dei genitori
- Il padre che ha un rapporto “fluido” con figli, nel poco tempo a
disposizione, e gli viene chiesto di svolgere una funzione più normativa
dalla madre
- Gli spazi per i figli possono essere diversi perché la loro età è diversa, il
loro carattere, o perché stanno vivendo un momento difficile
(es. una malattia)
- La relazione in famiglia è dinamica per cui è necessario cambiare
la propria collocazione e spostarsi più al “centro” da una posizione
magari precedentemente più defilata
- Padre-amico: quale confine; quale equilibrio tra la confidenza e il
rispetto; la vicinanza nel rispetto
- L’immagine del padre che abbiamo avuto: come e quanto ci condiziona;
il rischio di ripetere con i figli il negativo che abbiamo subìto quando
eravamo bambini
- La frenesia del tempo: il poco tempo a disposizione da dedicare ai figli
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2° Incontro “Come si è trasformata l’idea di paternità nel tempo”
- Presentazione dei nuovi partecipanti e resoconto dell’incontro
precedente
-
Presentazione del progetto “Adotta una mamma” di CINI: il contributo di 10 euro di ciascuno dei partecipanti andrà a finanziare
un progetto di adozione a distanza (India) di una mamma e del suo
bambino, dalla gravidanza ai primi due anni di vita.
- La rappresentazione della paternità e della maternità da parte del
gruppo dei partecipanti. Brainstorming: “cosa evocano in voi le parole
PADRE e MADRE” ; scegliere i tre-cinque termini che meglio definiscono
queste parole.
Padre (2 scelte)
Autorità (4)
Sicurezza (11)
Sostegno (5)
Guida (3)
Educazione (3) Protezione (2) Presenza (2)
Affetto (7)
Modello (6) Disponibilità (6)
Dolcezza
Compagno di giochi
Razionalità (1)
Soldi: sicurezza economica Assenza
Sapiente (1)
Amore incondizionato
Equità
Confidente
Controllo
Madre (1 scelta)
Amore (6)
Calore
Comprensione (4)
Complicità (1)
Serenità (1)
Accoglienza
Tranquillità
Tenerezza
Mediazione (2)
Razionalità (1)
Ascolto
Confidenza (1)
Presenza (5)
Intuito
Intimità
Risoluzione
Autorevolezza
Casa (1)
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Per la parola PADRE sono stati scelti: SICUREZZA, AFFETTO, DISPONIBILITA’,
MODELLO, SOSTEGNO.
Per la parola MADRE sono stati scelti: AMORE, PRESENZA, COMPRENSIONE,
MEDIAZIONE
Quindi vi è una rappresentazione del padre come figura che garantisce
sicurezza e sostegno ma anche affetto e disponibilità, che cerca di
coniugare aspetti della “tradizionale” figura paterna con gli aspetti
affettivi tradizionalmente svolti dalla madre. Vi è poi una sottolineatura
dell’importanza di essere modelli di identificazione positiva per i figli,
soprattutto per i maschi.
Per la madre vengono sottolineati gli aspetti affettivi “tradizionali”della sua
figura: l’amore, la comprensione, la presenza …
-
La figura del padre rappresentata in alcuni frammenti di films
• Il desiderio di paternità : Le avventure di Pinocchio di Comencini con Nino
Manfredi nella parte di Geppetto
• Il padre-padrone: film dei fratelli Taviani dal romanzo omonimo di Ledda
• Il padre assente: Evelina e i suoi figli con Moni Ovadia e S. Sandrelli
• Il padre che dà le regole e controlla: Caruso zero in condotta di F. Nuti
• Il padre che abbiamo avuto : Caruso zero in condotta
• Il padre-materno – Il padre-amicone: Caterina va in città di Virzì
• Il padre che non c’è (anche la madre): Matilde sei mitica di W. Disney
• Le aspettative genitoriali: Ricordati di me di Muccino
Discussione e confronto tra i partecipanti
Per l’incontro successivo viene data
una consegna: “Portate una foto di vostro
padre e voi (all’età di uno dei vostri figli)
o un oggetto che ricorda vostro padre”.
(Nino Manfredi in Geppetto
nel film Le avventure di Pinocchio)
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3° Incontro
“Assente o castigatore: quale modello di paternità
abbiamo vissuto”
Proposta: partendo dalle foto raccontare dell’immagine che abbiamo di nostro
padre e di come questa immagine ci condizioni positivamente o negativamente
nell’essere padre nei confronti dei nostri figli.
Dai racconti, molti sul filo dell’emozione, anche perché alcuni di loro non ci sono più,
traspare un’immagine variegata dei “padri che abbiamo avuto” condizionata dalle
storie personali, dalle vicissitudini familiari, dall’epoche della vita e dai contesti sociali
e culturali del tempo.
Si ricordano: padri “autoritari, ma non violenti”; padri “severi”; padri con quali c’era
poco dialogo, ma che bastava un colpo d’occhio per comunicare qualcosa di
importante e chiaro”; padri collaborativi; “padri assenti, molto dediti al lavoro”; padri
che “mettevano d’accordo tutti”; padri che “hanno insegnato un lavoro”, padri con
i quali si lavora ancora insieme; padri trascuranti; “superpapà”; padri fedeli ai valori
del tempo; …
Il ricordo è prevalentemente positivo, a volte idealizzato e a volte recuperato.
Rimane un po’ di nostalgia e quasi il timore di non esserlo altrettanto con i nostri figli.
Vi è la consapevolezza che è necessario non ripetere con i nostri figli le esperienze
negative che abbiamo vissuto da bambini nella relazione
con nostro padre e salvaguardare ciò che di positivo ci
portiamo ancora dentro.
La “coazione a ripetere” (Freud) è quella tendenza psichica
che spinge il soggetto a ripetere comportamenti,esperienze,
situazioni già vissuti e , nel loro meccanismo, già in qualche
modo acquisiti. È un meccanismo a volte micidiale perché
l’essere umano tende a ripetere le condotte peggiori:
vedi “le storie che si ripetono” nelle situazioni di grave
trascuratezza, maltrattamento e abuso. In queste situazioni
il meccanismo che determina inconsciamente il ripetere
storie di grande sofferenza vissute durante l’infanzia
sembra essere “l’identificazione con l’aggressore”.
E’ necessario comunque per essere padri “sufficientemente
buoni” (Winnicott) fare i conti con l’immagine interna del
padre che abbiamo avuto.
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4° Incontro
“Faccio il papà: quale paternità viviamo ?”
Proposta: prendete una giornata tipo (feriale e/o festiva): indicate quale e
quanto tempo passate con i vostri figli e a quali attività viene dedicato questo
tempo.
Il tempo per stare con i figli è diverso e dipende dagli impegni lavorativi del
padre , dall’età e dal carattere dei figli, dai giorni della settimana: c’è chi sta
con i figli alla sera per cena, possibilmente senza TV, e questo è il momento
privilegiato, spesso l’unico della giornata, di incontro e comunicazione, e può
diventare a volte il momento delle tensione e dei conflitti; c’è chi cerca di
esserci anche in altri momenti quotidiani (colazione, pranzo...) ; c’è chi utilizza
il momento dell’accompagnamento a scuola per trovare un po’ di tempo per
stare con il figlio; c’è chi non ha tempo; c’è chi si prende di tanto in tanto
una giornata o mezza giornata da passare con loro (i “giretti”); c’è chi segue
i figli nei compiti; c’è chi si sostituisce totalmente alla madre quando questa
non c’è; c’è chi cerca di essere disponibile quando i figli lo chiedono; c’è chi
accompagna e segue il figlio nelle attività sportive spesso condividendone
la passione;…..
Il sabato e soprattutto la domenica sono giornate diverse nelle quali si dedica
più tempo alla famiglia e ai figli.
Certamente la qualità è più importante della quantità dello stare, anche se
la possibilità di poter decidere quanto tempo dedicare ai nostri figli dipende
anche dalle scelte che facciamo e dalle priorità che diamo alle cose della
nostra vita. A volte trovare del tempo per dedicarsi ai figli è importante al di
là di quello che facciamo.
La quotidianità ci logora. Gli eventi eccezionali riusciamo quasi sempre a
fronteggiarli trovando energie inaspettate, ma il ripetersi quotidiano di eventi,
spesso simili tra di loro tutti i giorni, con i ritmi frenetici che essi richiedono,
ci stressa e ci confonde.
Per questo è utile riflettere su quello che ci accade, banalmente, ogni giorno.
La televisione disturba la comunicazione e per questo è importante
spegnerla nell’unico momento in cui si è insieme, la sera, a cena, Non si può
dialogare con la televisione accesa.
Il dialogo è spesso un resoconto della giornata, un riassunto ridondante
di quello che è accaduto durante la giornata : forse può diventare
qualcos’altro?
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E’ importante tener conto della relazione tra fratelli, spesso fonte di
discordie, invidie, rivalità , conflitti ma anche di compagnia, aiuto reciproco
e solidarietà,
Certamente è più facile relazionarsi in una situazione duale: noi con nostra
moglie o con la nostra compagna, noi con uno dei nostri figli; più complesso
e relazionarsi tutti insieme. Bisogna imparare a farlo, anche se è importante di
tanto in tanto dedicare un tempo esclusivo a ciascuno dei nostri figli.
Coniugare in modo armonico gli aspetti personali, con quelli di coppia
e con quelli genitoriali è fondamentale. Non è possibile essere genitori
“sufficientemente buoni” come diceva Winnicott se il rapporto di coppia
è insoddisfacente o siamo molto frustrati a livello personale. E’ necessario
prendersi cura di tutti questi aspetti.
Vi è poi l’importanza delle regole, come rinforzare i comportamenti positivi,
come intervenire su quelli negativi, come gestire i conflitti, come usare le
punizioni ?
Dialogare è solo parlare, o è anche imparare ad ascoltare e ad osservare visto
che le comunicazioni più importanti spesso non avvengono con le parole ?
Infine siamo modelli congruenti; vi è coerenza tra quello che diciamo e quello
che facciamo?
Per ultimo: in cosa si specifica l’essere padri all’interno della coppia
genitoriale?
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5° Incontro
“Sei forte papà: cosa ne pensano i figli”
1) Quali sono le aspettative che i nostri figli hanno su di noi? Cosa si aspettano
dal padre ?
In preadolescenza i ragazzi, pur nelle diverse situazioni personali, si aspettano
maggiore libertà, autonomia, di essere lasciati in pace, maggiore fiducia : a
volte ciò avviene attraverso il dialogo e la comprensione reciproca, a volte
avviene con conflitti e difficili mediazioni. Ai padri in particolare viene
richiesto questo “lasciapassare” per staccarsi dai genitori e investire sempre
di più sui coetanei. Una funzione che molti padri preferiscono non prendersi
e delegare alla madre.
I più piccoli richiedono maggiore presenza dei padri e condivisione nei
momenti di vita quotidiana, soprattutto nel gioco, o nelle attività che essi
svolgono. Vi è anche una richiesta affettiva che molti padri soddisfano.
2 - L’ideogramma giapponese che rappresenta il bambino dalla nascita fino
all’adolescenza
si può tradurre letteralmente con “il fiume che scorre tra due rive”. Gli argini
che descrivono i ruoli genitoriali come ve li immaginate? Esiste una specificità
della funzione paterna nella relazione e nello sviluppo del bambino ?
Il fiume è il bambino che diventa grande , dalle sorgenti al mare, e le rive
sono i genitori, i quali devono essere più contenenti e contenitori quanto più
i ragazzi crescono. Il genitore può guidare il figlio, può cercare di contenere
l’effetto delle grandi burrasche o delle piogge per cercare di dare una
direzione, ma non può evitarle.
Molti dei genitori non hanno un fiume solo (un unico figlio), ma ne hanno
due e qualcuno tre. E’ necessario, con tutti questi fiumi diversi, che i genitori
si calibrino con essi, con i bisogni diversi dei figli ed anche il ruolo genitoriale
può essere contemporaneamente diverso.
Ci può essere un argine più basso e uno più alto: quali le conseguenze quando
il padre e la madre si pongono diversamente nei confronti del figlio?
In realtà gli argini per la maggior parte dei casi sono fluttuanti, non è sempre
che uno è più alto e uno più basso, dipende … funziona bene la coppia
genitoriale se gli argini cercano di essere sullo stesso piano.
Esiste sicuramente la possibilità di coniugare l’affetto con l’autorevolezza,
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essere padri affettivi che svolgono anche la funzione normativa con i figli.
Questo non avviene mettendosi semplicemente sullo stesso piano dei figli,
essere amici dei figli o semplici compagni dei loro giochi.
Ragioni economiche, sociali e culturali hanno trasformato la famiglia e i ruoli
al suo interno, per cui padri e madri svolgono ora entrambe le funzioni : quella
affettiva, di cura e accadimento che tradizionalmente sono “ materne”, e quella
normativa, delle regole, delle leggi, della sicurezza, che tradizionalmente sono
“paterne”. Un bambino ha bisogno di entrambe, anche se non è indispensabile
che siano interpretate o dall’uno o dall’altro.
In passato tutto era più facile , i modelli erano chiari e i ruoli ben diversificati,
ma questa non è una giustificazione per abdicare al ruolo genitoriale di un
padre che pur essendo “affettivo” è capace di stabilire dei “limiti” ai propri
figli.
Anche se il rischio più grande è di una fuga all’esterno della famiglia,
rinunciando al proprio ruolo e delegando alla madre tutte le funzioni
genitoriali.
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La Libera Università Popolare della Valpolicella
in collaborazione con il Circolo “Malacarne” di Verona
per la rassegna eno-letteraria “Dar a bere storie”
Venerdì 25 maggio 2007 ore 18.00
Cantina Azienda Agricola Nicolis – S. Pietro in Cariano - Via Villa Girardi, 29
Incontro con l’autore
CARLO GRANDE
presenta
PADRI – avventure di maschi perplessi
(Ed. Ponte alle Grazie – 2006)
Racconti
“Un giorno smetterò di essere figlio e mi sentirò terribilmente solo. Un giorno ripenserò a tutti i contrasti, le
distanze, i silenzi con mio padre, alla nostra generazione che voleva mettere tutto in discussione, la famiglia,
i genitori, la società – ed era giusto – e sarà inevitabile trovare lui al centro dei ricordi, nei tempi dell’infanzia;
lui, punto fermo con la sua presenza quotidiana, con la sua protezione. Lo rivedrò piegarsi e sollevare il
nipotino così come sollevava noi. Attraverso lui forse ritroverò me stesso ”.
Carlo grande, ha 50 anni, è giornalista della Stampa. Dal 1996 al 2003 è stato direttore responsabile di Italia
Nostra. Ha pubblicato La via dei lupi (2002) che ha vinto la prima edizione del premio Grinzane Civiltà della
montagna e il premio Letterario San Vidal, e La cavalcata selvaggia (2004). Vive e lavora a Torino.
Presenta e intervista l’autore Giorgio Bertini
Letture di Susanna Bissoli e Lorenzo Folrlati
Musiche dei Dvakuna Duo con Barbara Wolf e Enrico Sartori
(fisarmonica)
(clarinetto)
Istituto Comprensivo
“C. Aschieri”
S. Pietro in Cariano
Istitruto Comprensivo
“B. Lorenzi” Fumane
22
Azienda Sanitaria
U.L.S.S. n. 22
Bussolengo
(info:3494464234)
Carlo Grande
Carlo grande, ha 50 anni, è giornalista della Stampa. Dal 1996 al 2003 è stato
direttore responsabile di Italia Nostra. Ha pubblicato La via dei lupi (2002)
che ha vinto la prima edizione del premio Grinzane Civiltà della montagna e
il premio Letterario San Vidal, e La cavalcata selvaggia (2004). Vive e lavora a
Torino. E’ attaccante della nazionale di calcio scrittori, la “Soriano futbol club”.
Padri – Avventure di maschi perplessi
Il libro è una raccolta di racconti , ciascuno dei quali narra una paternità. Paternità di
padri che sono stati figli, di padri nella veste di figli, di padri che cercano di entrare
in relazione con i figli, di padri disposti all’estremo sacrificio per i figli come la storia
di Manuel Bravo (“Josè”) a cui è dedicato il libro, di padri imbarazzati, di padri trovati
al di fuori della famiglia, di padri alla ricerca di una perduta identità.
Le chiavi di lettura con cui leggere questi racconti così diversi tra loro e unificati da
un elemento trasversale alle varie situazioni descritte sono: l’incertezza del ruolo,
un senso di colpa irrisolto e costante, un disagio del proprio essere stato figlio
inconsapevole e un uguale disagio dell’essere padre incapace di porsi come punto
di riferimento.
È un rincorrere i bisogni del figlio più che un proporre, è il desiderio di essere
accettato più che l’attenzione ad accettare, è il tentativo di nascondere le proprie
debolezze più che la volontà di porsi come punto di forza su cui il bambino o il
ragazzo può temprare le proprie fragilità.
All’apparenza, le storie sono tutte differenti l’una dall’altra. Ciò, tuttavia, non
deve ingannare: c’è una grande compattezza nel libro, che non deriva tanto dal
contenuto quanto dai sentimenti, dalle emozioni, dalle riflessioni che accomunano
i vari protagonisti e rendono i racconti strettamente collegati tra di loro, quasi a
costituire i capitoli di un romanzo.
L’allegria forzata che il padre separato propone al figlio (Gli angeli dell’Alevè) o
l’accondiscendenza nei confronti dell’adolescente distratta portata in vacanza in
un luogo a lei (e forse solo a lei) congegnale (Sulla giostra del Geò) individuano
un nodo cruciale di questa assenza della figura paterna che al di là dell’assenza
di tempo, non ha più il prestigio di far condividere al figlio qualcosa che lo
appassioni.
Il primo racconto di carattere autobiografico mostra invece una figura paterna
23
forte che, pur nella diversità delle scelte compiute dal figlio una volta adulto, non
potrà mai essere né tradita né negata, ma diventa (recuperata la tenerezza senza
pudori dell’uomo adulto) simbolo di affetti solidi e di insegnamenti duraturi. (Il
cappello di mio padre)
Vi è poi la storia di Josè, un padre disperato allontanato dalla propria terra africana
(Angola), che, imprigionato con il figlio bambino, si uccide perché solo così potrà
assicurare la vita a suo figlio.(E liberaci dal male)
Poi quella di una padre antimilitarista che si relazione con imbarazzo e difficoltà
con il figlio “guerrafondaio” (Fathers in arms) e quella di un padre che passeggia allo
zoo con la figlia sedicenne e rimugina, tenta di scrutarne i pensieri e di osservarne
le reazioni, imbarazzato e incerto.(Un cretino in giro)
E poi la figura di un padre-prete, Don Nino, da cui tanti ragazzi hanno imparato il
significato dell’esistenza, hanno appreso la gioia di vivere e di stare insieme, un
padre-prete che ha inculcato in loro la speranza e l’entusiasmo.(Quattro passi)
Ma forse il problema non si limita alla difficoltà d’interpretare il proprio ruolo
paterno in un mondo problematico, in rapida e spietata evoluzione come il
nostro, quanto nel ritrovare un nuovo senso del proprio essere maschio (avventure
di maschi perplessi, recita il sottotitolo) che, frantumatasi la vecchia maschera
millenaria, inventi diverse e più avanzate capacità di relazione non solo con tutto
l’universo femminile, finalmente in un rapporto “tra uguali”, ma anche con gli altri
uomini. Da questa reinvenzione, che non si basa più su una società“fallocratica”,può
nascere anche il corretto ruolo paterno del terzo millennio, capace di soddisfare
chi lo riveste e nuovamente prezioso per chi, come i figli, vi si confronta.
La narrazione si articola su due linee che spesso coincidono: da un lato l’affetto
particolare, speciale per la natura e per la montagna (quanto è grande il
significato dell’imponente Monviso e quanto è importante riuscire a scalarlo!)
(Il mio Kailash); dall’altro la straordinaria semplicità del raccontare, la leggerezza
di una narrazione che, procedendo filata e senza inciampi, mai trascura
l’attenzione per la vita, spesso nascosta nelle cose piccole o nelle pieghe
oscure, l’attenzione per i momenti di malinconia.
Intervista a Carlo Grande
Padri inquieti, soli, divorziati; uomini che sono ancora figli e che desiderano
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cambiare; maschi alle prese con mogli e prole che non bastano più, persone che
vedono sbiadire la loro autorevolezza e prevalere il branco di maschi in lotta l’uno
contro l’altro, a caccia di donne, sesso, potere. Dopo due fortunati romanzi, La
via dei lupi e La cavalcata selvaggia, Carlo Grande pubblica Padri. Storie di maschi
perplessi, raccolta di racconti legati a un tema moderno e antico nello stesso
tempo: la paternità. Storie intense, spregiudicate nella loro ricerca di verità, che
portano sulla scena una galleria di uomini alle prese con i tanti modi di essere
padre: uno ”status“ non solo biologico. Essere
padri significa crescere, lottare con gli istinti del
maschio e diventare affidabili, andare attraverso la
vita a testa alta, con consapevolezza e audacia. Ne
abbiamo parlato con lui.
D. Apparentemente un cambio di rotta, rispetto ai
libri precedenti.
R. In realtà è lo stesso discorso che continua: ho
declinato in termini contemporanei i protagonisti
dei miei primi due romanzi, il ribelle Francesco di
Bardonecchia e il pilota Gaspare Pribaz, due figure
inquiete, irriducibili, che cercano in sé e nelle loro
azioni, pagando di persona, il “vir” latino, l’uomo
per eccellenza. Ogni scrittore scrive sempre
lo stesso libro, in forme diverse. Sono storie
simboliche, ho cercato di riflettere su cosa vuol
dire essere uomini oggi.
D. Con che cosa devono combattere, oggi, gli uomini?
Immagini dell’incontro con Carlo Grande
R. Quelli dei miei racconti sono individui incerti
ma passionali, ironici, gente alla ricerca di un punto fermo, di una via di scampo
al conformismo, al senso di inadeguatezza nel quale ci costringe la società delle
macchine e della pseudo-efficienza. Spesso sono persone sole, a volte sbandate,
in fuga senza che nessuno le insegua; alla ricerca di un’identità che ai giorni nostri
pare sempre più sfocata, indefinibile.
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D. La figura antica e solida del padre, lei sembra dire, sta scomparendo.
R. Da un lato è un bene, se pensiamo al dio-padre, al padre-monarca o al padrepadrone. Ma è la perdita generale di autorevolezza, che crea scompiglio e
solitudine. Si naviga a vista: in un racconto narro di un padre pacifista di fronte al
bambino che adora guerra; in un altro descrivo un padre sessualmente inquieto,
in piena crisi di mezza età, con la voglia di scappare di casa: allo zoo, con la
giovane figlia, assiste esterrefatto alle evoluzioni erotiche dei bonobo, scimmie
che hanno sostituito la violenza con il sesso: lo fanno ogni 65 minuti, con tutti i
partner possibili e in tutte le posizioni immaginabili, compreso il bacio in bocca
con la lingua. Per questo sono adorate da pacifisti, femministe (nella società
bonobo comandano le femmine) e gay. Forse è quello che di più simile ai nostri
progenitori ci rimane.
D. I nostri antenati e il sesso ”estremo“: un paradosso che fa riflettere.
R. Sì, ma non c’è compiacimento. È un tema coinvolgente e a tratti divertente,
questo sì. Tutti parliamo o fantastichiamo del sesso, ma viviamo in un immenso,
pornografico e commerciale ”vorrei ma non posso“. Il più bel “gioco” del mondo
è ridotto a merce, come il corpo della donna e le pulsioni maschili. Anche
noi uomini rischiamo di rimanere frullati da quest’orgia di stimoli fasulli, che
producono solo frustrazione.
D. In questo racconto si è ispirato al lavoro di uno psicanalista?
R. Sì, Luigi Zoja, junghiamo, bravissimo, in un saggio straordinario intitolato
“Il gesto di Ettore” indaga la drammatica “psicopatologia collettiva” in cui
viviamo. A partire da figure letterarie come Ettore, Ulisse, Achille, Enea, analizza
la scomparsa del padre, cioè dell’uomo che deve avere in sé la forza e la
dolcezza insieme, che dev’ essere affidabile, che sa combattere e fare una scelta.
Ripeto, oggi noi uomini, per motivi spesso squisitamente commerciali, siamo
risucchiati indietro nei millenni, dalla condizione di padri torniamo a essere solo
maschi che cercano l’avventura sessuale e la promiscuità. Mentre io penso che
bisognerebbe possedere il sesso, non esserne posseduti, perché è la cosa più
seria, più divertente e più rivoluzionaria del mondo. Non è una ginnastica, non
è uno squallido espediente per vendere prodotti. Così parlo delle origini della
coppia e dei padri, della natura profonda dei maschi e delle femmine, del piacere
e del sesso, non ginnastica o esercizio di potere, ma legame,“laboratorio della
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vita psichica”. Di impulsi ne riceviamo persino troppi, oggi. Per questo parlo del
fiume impetuoso degli istinti e dell’argine per contenerlo, della nave di Ulisse che
parte e dell’ancora per fermarla. Oggi chi battezza più, con l’acqua del padre?
Pochi padri, pochi nonni. Nessuno racconta più come si fa a diventare uomini. Il
fondamento del vivere civile, colui che si assume le responsabilità, è al tramonto,
almeno in questa epoca. Sono scomparsi Enea, Ettore e Ulisse, la voce dei padri è
sprofondata nell’inconscio, non si sente più. Rimane il branco dei maschi, in lotta
tutti contro tutti. Il padre del mio racconto si accorge che a lui chiedono solo di
essere maschio, di consumare merci, donne e sentimenti. E a modo suo si ribella,
con tutte le sue contraddizioni.
D. E gli altri “padri” quali crisi vivono?
R. Crisi simili: rimpiangono l’autorevolezza, anche se è fatta di luci e ombre.
Un uomo a metà della vita ricorda la prima battuta di caccia con suo padre,
quand’era ragazzino e dovette sparare con un fucile vero. Una specie di rito di
passaggio, compiuto per compiacerlo. Un altro va al Club vacanze con moglie
e figlia e lotta tutto il tempo con garruli animatori, sempre allegri e invadenti,
mentre moglie e figlia li adorano. Dovrà confrontarsi anche con loro, per amore
della ragazzina. In un racconto descrivo le ultime ore di Manuel Bravo, l’angolano
che si è ucciso in Inghilterra pensando di dare un futuro al figlio. Un padre d’altri
tempi, un padre-eroe. Storia-limite, certo, ma ci fa intuire che qualche padre vero
esiste ancora.
D. Il padre come luogo dello spirito, insomma.
R. Sì, che ci spinge a essere migliori.
D. Insomma, dopo il romanzo storico l’attualità.
R. Faccio fatica a ragionare in questi termini. Se una storia è bella, in qualsiasi
epoca si sia svolta, vale la pena di raccontarla. Continuo a pensare che sentimenti
e necessità umane siano sempre gli stessi: stomaco pieno, tetto sulla testa, sesso
soddisfacente e, last but not least, una qualche risposta al bisogno di spiritualità,
di arte, di assoluto. Ho cercato soprattutto di abbandonarmi all’emozione di
certe situazioni, e di raccontarle. Non scrivo per fare saggi di bravura o esercizi di
intelligenza. Non mi basta.“Only emotions endures”, diceva Pound.“L’essenziale
è invisibile agli occhi”, dico con Saint-Exupéry. Troppo a lungo lo abbiamo
dimenticato.
27
Father’s in arms
Racconto di Carlo Grande
Mattia guarda con certi occhi sgranati, davanti al metal detector
dell’aeroporto: sembra avere qualcosa da farsi perdonare. Ficca le mani in
tasca: “Ho dimenticato il Kalashniskov” dice. Fruga ed estrae un pezzetto di
plastica di due centimetri, l’arma di un soldatino. La mostra, sul palmo della
mano.“Dallo a me” dico,“tanto è scarico”. La signorina in divisa sorride e lascia
passare.
Mio figlio è un bambino meraviglioso: ha sette anni e scrive raccontini,
cammina in montagna,sa nuotare e andare sott’acqua;parla inglese e ha ottimi
voti a scuola. Ma ha la passione per la guerra e per le armi: i suoi videogiochi
sono “Call of Duty”, “Age of Empire”, un’infinità di “sparatutto” e “picchiaduro”.
Grandi battaglie, eroiche missioni e spostamenti di truppe. Grandi macelli. Il
gioco del “Tu eri …” (“Tu eri un capitano, tu eri un pilota …”) lo porta lontano,
su fronti di guerra: Midway, Stalingrado, Selva di Teutoburgo. Passa molto
tempo tra pistole, mitra e fucili, conosce a menadito carriarmati, contraeree
“Flack 88 mm” e MG42, MP40 e obici da 89. I suoi occhi di bambino vedono
interminabili schieramenti di eserciti, elicotteri, autoblindo, incrociatori e
bombardieri.
“Papà, è solo per gioco” dice. Speriamo. In certi momenti mi appare così
fragile.
“Il faut regarder toute la vie avec des yeux d’enfants” diceva Henri Matisse. E la
Dolto consigliava di stare dalla parte dei piccoli selvaggi anche se calpestano
i fiori, schiacciano le formiche e molestano gli animali. I bambini, distruttori
per aimance, diceva lei che era psicologa.
Ma io che sono un padre perplesso di fronte a queste piccole gioie crudeli,
prive di sensi di colpa, ricordo con una punta di rimorso quando andavo a
caccia di uccelli e facevo la posta ai pesci dell’acquario, come un gatto. E mi
interrogo sull’istinto di menare le mani dei maschi, sul sadismo e sull’indole
violenta che alberga in ognuno di noi.
Spio mio figlio al ristorante, mentre impugna la forchetta come un pugnale,
la bocca piena e la guancia appoggiata alla mano, guardando in aria. Chissà
a cosa pensa. Avrà cento desideri, come tutti i bambini. Prende il cucchiaio e
comincia a colpire il tavolo, sempre più forte. “Non battere” gli dico. Adesso è
così, penso. Passerà. Ma ho paura. Diventerà un violento, una di quelle persone
aggressive, che sempre più spesso si vedono in giro e che detesto ? Forse sono
troppo apprensivo. Forse dovrei sorriderci su e basta, come davanti a Charlot
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che offre un fiore all’innamorata e poi lo mangia. L’altro giorno, ai giardinetti,
correvano in cinque, armati fino ai denti, con elmetti e calzoni mimetici. Una
signora li ha fermati: “Ehi bambini, alla vostra età dovreste giocare con le
gru e i camioncini” ha detto. “Mica è una guerra vera” ha risposto Mattia, “è
per finta”. E’ senz’altro così. C’è tempo per Thoreau, Von Clauserwitz, Gandhi
e l’Hagakure. Ma io, che da bambino tenevo per gli indiani e per i sudisti,
io che ho fatto l’obiettore di coscienza, ho un figlio che sta dalla parte dei
tedeschi e del generale Custer. E’ solo un gioco, mi dico, cerco di spiegargli. Lo
tengo d’occhio e non gli compro quella roba, ma è difficile, gli fanno i regali,
io faccio quel che posso, con il carattere di Mattia mica è facile.
Al campeggio staremo finalmente un po’ insieme. In spiaggia ha costruito un
fortino: cannoni, bunker, sottopassi, camminamenti. Prendo un pezzetto d’alga
e ci metto un campo di calcetto: “ I soldati faranno un po’ di sport, no ?”. Rincalza
le mura e butta l’alga, senza dir niente. Macché sport. Solo guerra.
“Cattura” tre bambine, le arma e le mette di guardia al fortino. Lo spalmo di crema.
“Che caldo!” dice. “Sembra come quando faccio i videogiochi, che ho sempre le
orecchie caldissime e rossissime. Se prendo una scottatura…mi rado al suolo”.
Un adolescente, davanti a noi, dorme vicino alla fidanzatina, sconvolto dalla
canicola e dalla notte insonne passata in spiaggia. Lo guardo e immagino
l’uomo che sarà Mattia.
“Miii, Antonio, sei tutto rosso…” dice lei. Ecco, si è scottato. La ragazza va verso
il mare, riempie la lattina vuota di coca, torna e gliela versa pietosamente
sulle spalle.
Mattia dovrà badare a se stesso un giorno. Ci sarà qualcuno, ad accudirlo? Non
voglio che cresca indifeso, che lo feriscano. Dicono che i fucili per certa gente
siano un simbolo di virilità. A me sembra ridicolo, non voglio che diventi così.
Non voglio che diventi cattivo.
Ricordo quando avevo due anni e ancora non parlava: mi sorrideva dal
seggiolone, un sorriso timido, mentre mi avvicinavo, come se dicesse “Posso
fidarmi?”. Dondolava le testa e la inclinava di lato in un modo vezzoso, mi
sono avvicinato per accarezzarlo, lui ha allungato il palmo della mano e l’ha
appoggiato sulla mia faccia, poi mi ha preso il mignolo e ha cominciato a
succhiarlo. C’era tutto, in quei gesti, c’erano paura e stupore, l’immenso
stupore per il mondo.
Vorrei dirgli di fare il bravo, di non avere mai paura e di coltivare la speranza.
Di avere la compassione vera, insomma, quella profonda, che salva. Vorrei che
fosse coraggioso, indipendente, imprevedibile: e pazienza se qualche volta il
prezzo che pagherà sarà la paura.
29
E’ che a quarant’ anni, specie di questi tempi, le cose sono maledettamente
complicate. Mica è come nei film americani, che le famiglie si ritrovano in
salvo, che lui e lei si baciano e i bambini abbracciano i genitori. Viviamo in una
grande melassa nella quale è facile perdere la strada. Navighiamo a vista.
La verità sono i kamikaze, quelli che sparano dai tetti, che vanno a scuola
armati, quelli col coltello fra i denti, anche in ufficio.
Speriamo, speriamo tanto.
Ascolto l’MP3. “Cosa senti?” chiede Mattia. “Brothers in Arms, la canzone
pacifista dei Dire Straits”.
“E’il titolo di un videogioco di guerra” risponde.
Guarda verso la collina. “Bello quel boschetto, andiamo a giocare?”
“Andiamo” dico. E’ quasi ora di pranzo, mi sono stufato della spiaggia.
Attraversiamo la pineta, respiro a pieni polmoni una brezza che sembra
di montagna. Che ci vede lui, nel bosco? Guerriglia, imboscate, azioni di
commando o la quiete, il mistero, sentieri da esplorare e alture da raggiungere,
come vedo io?
Raccoglie rami e foglie, costruisce un rifugio. Prende cinque bastoni, li
battezza: quello medio è un Kalashnikov, quello corto un Luger, il più lungo
un KR 98, “con ottica” precisa. Da e riceve ordini con amichetti immaginari,
mitraglia e sputa facendo i botti del mortaio, si tappa le orecchie, lancia una
granata e crolla a terra, rotola ferito. Si rialza, si apposta dietro a una roccia.
“Basta” ordino, “andiamo a mangiare”. Fa ancora due balzi, resta lontano,
completa l’azione di guerra.
Gira un po’ alla larga poi ritorna verso di me, come fanno i gatti.
Mi dà la mano e abbandona le armi
“Non prendi la Luger” chiedo.
“Macché, Luger, sono solo pezzi di legno”.
Così ci incamminiamo,disarmati, verso la pastasciutta.
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La figura del padre nel Disegno del Cerchio Familiare
Il cerchio circoscrive lo spazio di vita del nucleo familiare ed il suo scopo è quello di
valutare, in base all’individuazione dei territori e delle linee impiegate, la fiducia o
l’importanza che l’individuo, in questo caso il padre, immagina di godere all’interno del
proprio nucleo familiare.
I presupposti teorici di questo test sono pertanto da ricercarsi nei principi su cui si
basano tutti i test grafici proiettivi e primo fra tutti il test del disegno della famiglia. Ma
il disegno della famiglia mal si adatta ad essere proposto agli adolescenti e agli adulti in
quanto, finita l’infanzia, vi è una inibizione di ogni espressione raffigurativa a meno che
non vi sia una predisposizione naturale al disegno.
Gli spazi che entro il cerchio delimitano le singole persone del nucleo familiare acquistano
un vero significato simbolico, quello delle persone stesse; o meglio assumono il
significato del nostro spazio relazionale in riferimento al personaggio rappresentato. Di
conseguenza , l’ampiezza dello spazio, la sua collocazione all’interno del cerchio, il tratto
con cui è segnato, l’ordine che occupa nella sequenza dell’esecuzione costituiscono
importanti indici per la valutazione dei vissuti e dei legami che un soggetto, nel nostro
caso il padre, intesse all’interno della propria famiglia.
Il cerchio familiare desidera evidenziare la composizione della famiglia interna di un
soggetto, i membri per lui più significativi, la posizione che ciascun membro occupa
all’interno del suo spazio mentale. Lo scopo non è interpretativo ma principalmente
narrativo perché consente a ciascuno, una volta effettuata la rappresentazione grafica,
di raccontare di sé come padre e dei suoi rapporti con gli altri componenti della
famiglia.
Viene consegnato un foglio con il disegno di un grande cerchio; le richieste sono due:
1. “Questo cerchio rappresenta la tua famiglia; traccia con la matita all’interno del cerchio
l’area che pensi di occupare come padre”.
2. “Ora delimita, sempre all’interno di questo cerchio, lo spazio che pensi occupino gli altri
membri della tua famiglia”.
Pd
Md
Fg
Figura 1. – Disegno del cerchio familiare di G.
padre di un figlio di 4 anni. Il padre si rappresenta
in una parte limitata del cerchio. La parte centrale,
più ampia, è occupata dalla madre che ingloba lo
spazio occupato dal figlio. “Io mi sento ai margini
della famiglia, un po’ tagliato fuori. Mio figlio tende a
riferirsi sempre alla madre”.
31
Figura 2. - Disegno del cerchio familiare di P.
padre di due figli, uno di 12 anni (Fg1) e uno di
Pd
16 anni (Fg.2). Padre e madre , secondo la sua
rappresentazione grafica, occupano una metà
Fg1
Fg.2
del cerchio in quanto entrambi si occupano
della gestione della casa e dei figli in ugual
Md
misura dovendo lavorare tutti e due. Vi è
una sovrapposizione tra di loro nei compiti
e nei ruoli all’interno della famiglia. I due
figli non sembrano avere uno spazio proprio
in quanto il loro spazio si interseca equamente con quello dei genitori. Il
figlio di 16 anni occupa uno spazio maggiore perché nell’ultimo periodo ha
avuto dei momenti difficili e questo ha creato preoccupazione nei genitori
e un coinvolgimento maggiore da parte loro. “Il fatto che occupi uno spazio
così grande non è positivo, è più il frutto di una nostra preoccupazione per lui
in questo momento difficile della sua vita”. Tra i fratelli non vi sono spazi di
interazione significativa presumibilmente per la differenza di età.
Figura 3. – Disegno del cerchio familiare di F.
di 16 anni. Il ragazzo che fa parte del nucleo
Pd
familiare rappresentato precedentemente dal
padre, si disegna in un settore del tutto separato
Io
dagli altri. Tutti occupano un loro settore senza
intersecazioni tra di loro. F. sta vivendo un
Md
Fr
momento di difficoltà che lui reputa essere
principalmente legato alle limitazioni che i suoi
genitori gli impongono e ai conflitti che per
questo avvengono tra di loro. Il suo desiderio
è di staccarsi dalla famiglia e vivere maggiori
momenti fuori casa, soprattutto con gli amici. Col padre in particolare in
questo momento avvengono i contrasti maggiori : “ … si preoccupa troppo e
crede che io faccia chissà cosa, fuori casa. Io voglio vivere la mia vita…”.
E’ interessante notare le differenti rappresentazioni che padre e figlio danno
della stessa dinamica familiare. La realtà oggettiva , come quella familiare,
viene percepita e vissuta in modo diverso a seconda dei vari componenti
e sembra determinare delle rappresentazioni diverse che è necessario
conoscere per capire come soggettivamente viene interpretata la realtà (“La
mappa non è il territorio”) ed agire di conseguenza.
32
Figura 4. - I genitori sono separati da due
anni e il padre rappresenta la distanza
che vi è tra di loro separando i due
Fg1
settori che rappresentano padre e madre.
I figli di 8 e 11 anni vivono con la madre
Pd
Md
e vedono regolarmente il padre più volte
la settimana e per questo lo spazio che i
Fg2
due figli occupano nel cerchio interseca
quello di entrambi i genitori. “ Mi sento
un genitore ad ore, mi manca la continuità
del quotidiano; ma quando ci sono cerco di
essere disponibile a tempo pieno anche se vi
è il rischio di diventare solo il padre dello svago e del divertimento”.
Riferimento bibliografico: Quaglia Rocco, Il Disegno del Cerchio familiare,
Torino, Utet, 2000.
33
I nuovi papà
di Simona Argentieri
Sono teneri e sensibili, cambiano i pannolini e danno il biberon, alternandosi
alle mamme senza ostentazione né imbarazzo. Ma fino a che punto sono
meglio dei padri di una volta?
Le profonde mutazioni della coppia e della famiglia dei nostri tempi confusi
(meno figli, più divorzi, unioni instabili e atipiche...) sono spesso evocate da
psicologi e sociologi con toni di cupa inquietudine. C’è però un fenomeno
- semplice, comune, ben visibile a tutti - che è invece, almeno a prima
vista, tenero e rassicurante: quello dei nuovi padri. Sono uomini capaci di
rivoltare abilmente nelle loro manone un neonato da cambiare, disponibili
ad alternarsi con la madre al biberon o ad accorrere se il piccolo si sveglia
di notte: sensibili e gentili, sono in grado di assolvere a tutte le funzioni del
maternage con grande naturalezza, senza alcuna ostentazione ideologica
(come invece avveniva da parte degli uomini delle passate generazioni
quando eccezionalmente e occasionalmente prendevano il posto della
mamma): e, soprattutto, senza lo scompiglio emotivo che contraddistingueva
i papà di un tempo, imbarazzati solo a tenere in braccio un neonato, capaci di
comunicare con i figli solo dopo che avessero imparato sport e congiuntivi.
Questa trasformazione - forse proprio perché è generalmente vissuta come
positiva - ha sollevato finora poche riflessioni teoriche, anche nell’ambito
della psicoanalisi moderna, tutta assorbita invece a esplorare i livelli precoci
del rapporto madre-bambino.
In una prospettiva storica, non si può dire che la psicoanalisi abbia trascurato
di dare rilievo al tema della figura paterna. Sigmund Freud e i suoi seguaci
di prima generazione hanno indicato il padre come colui che promuove il
conflitto e la crescita; fulcro del complesso di edipico maschile o femminile,
è inteso come il depositario della parola e della legge. Tuttavia la sua figura
è stata considerata pressoché esclusivamente dal versante del figlio, per il
senso che assume nel suo processo di sviluppo. Raramente, invece, ci si è
impegnati di analizzare le complesse vicissitudini dell’identità e degli affetti
che accompagnano il diventare padre di un giovane uomo.
La nascita di un bambino può riattivare in lui antichi timori di abbandono,
gelosia e rivalità nei confronti del piccolo, oltre che invidia per la capacità
34
generatrice della compagna. Da circa mezzo secolo, inoltre, da quando
il sociologo Alexander Mitscherlich intitolò la sua opera più conosciuta
Verso una società senza padre, domina nella cultura occidentale la retorica
dell’assenza della figura paterna.
Da tiranno ad assente
In effetti, il generale decadimento del cosiddetto principio d’autorità non
poteva non travolgere - nel bene e nel male - anche l’immagine del Padre
(con la maiuscola) e la sua valenza simbolica di potere assoluto. Spesso, per
esempio,nelle notazioni cliniche psicologiche relative alla storia familiare di un
paziente , troviamo annotata “l’assenza del padre”, seguendo uno stereotipo
che ormai non richiede più specificazioni su quanto tale mancanza sia una
latitanza materiale oppure affettiva. Con sgomento assistiamo al passaggio,
quasi senza soluzione di continuità, del padre padrone al padre che non c’è.
Il padre tiranno del passato, affettivamente lontano e deputato solo
al sostentamento economico e all’amministrazione delle punizioni, è
definitivamente uscito di scena, mentre si determinano nuovi tipi di assenza.
A seguito di separazioni e divorzi che quasi sempre vedono i figli affidati
alle madri, aumentano i padri emarginati; talora ben lieti di sentirsi liberi e
scaricati dalle responsabilità familiari; talora invece rancorosi e sofferenti.
Così la comparsa dei nuovi padri materni (detti talvolta con una nota di
svalutante ironia i nuovi “mammi”) si intreccia con la crisi della figura paterna
tradizionale.
D’altronde, oggi siamo in grado di capire come – parallelamente allo
sconvolgimento che si determina in una donna quando diventa madre
– anche diventare padre scateni inevitabilmente una crisi d’identità, che si
manifesta in modi collaterali e camuffati: fughe, tradimenti, crisi depressive,
malattie del corpo, incidenti… Lo psicoanalista Adolfo Pazzagli lo chiama
“il travaglio della paternità”; troppo spesso gli uomini a fronte della
responsabilità di diventare padre praticano essenzialmente tre soluzioni; o
fuggono, o fanno i bambini o fanno le mamme.
I “padri materni” non sono però un frutto esclusivo del nostro tempo; a mio
parere, sono invece la rappresentazione di una fantasia segreta – eterna
e universale di maschi e femmine – di ricevere protezione da una figura
35
genitoriale che assommi le caratteristiche di un papà e di una mamma
idealizzati: un’immagine forte e protettiva, ma anche tenera e buona,
esente da conflitti, contrasti, sessualità, aggressività. In passato, l’emblema
del padre materno era la figura di San Giuseppe, dalla virilità svalutata ma
rassicurante.
Ciò sembra testimoniare che, grazie alle battaglie femminili, che hanno
conquistato ormai solidamente per le donne il diritto a un esistenza completa
di intelletto e di affetti, anche i maschi, sia pure dopo drammatici travagli,
hanno beneficiato di questa rivoluzione. A loro volta, hanno acquistato la
possibilità di vivere simmetricamente una parte di sé negletta e ripudiata per
secoli: quella della sensualità primitiva, della tenerezza, dei livelli simbiotici
arcaici senza conflitto. Non possiamo però nasconderci l’inquietudine che
di queste conquiste venga fatto un uso distorto. Ne conseguono infatti
nuovi interrogativi: per esempio che cosa possa comportare nel processo
di sviluppo di un bambino ricevere fin dai primi momenti dell’esistenza gli
accadimenti sia della madre che del padre; se un uomo o una donna svolgano
in modo differente la cosiddetta funzione materna e se questi cambiamenti
comportamentali corrispondano anche a trasformazioni delle strutture
psicologiche sottostanti dei genitori.
Personalmente, penso che conti abbastanza poco come i papà cullano i
bambini, come li tengono in braccio, con quale timbro di voce cantano la
ninna nanna. Nella prima infanzia il bisogno è quello di cure costanti, e
poco importa il sesso anagrafico di chi le fornisce e di chi le riceve. Ma in
questo nuovo assetto non è facile per nessuno trovare la giusta misura. Per
un uomo, per esempio, è arduo condividere l’esperienza delle cure primarie
ai figli senza usurpare l’identità della madre: poter essere, insomma, un padre
materno senza diventare un mammo.
Talvolta nelle coppie si possono stabilire nuove collusioni inconsce, in cui
le donne sfuggono alle ansie del rapporto primario con il neonato (parti in
anestesia, separazione precoce madre-bambino, rinuncia all’allattamento al
seno…) mentre gli uomini occupano prontamente questo spazio vacante,
“risolvendo” in modo apparentemente pacifico la loro invidia ed eludendo
clandestinamente la fatica di esprimere la loro incerta mascolinità.
36
I padri hanno conquistato aspetti autentici del rapporto con i bambini, ma
talora ad altri livelli: quelli delle funzioni paterne, che un tempo (a torto) si
consideravano specificamente maschili. In realtà si tratta delle funzioni adulte,
al servizio del conflitto sano e vitale, delle passioni, della strutturazione della
personalità e della crescita psicologica.
Nell’attuale tendenza collettiva alla regressione verso l’indifferenziato,
uomini e donne sono disponibili a fare le mamme, ma nessuno fa più il padre.
E sempre più spesso vediamo famiglie cosiddette monogenitoriali, nelle
quali i figli – o magari l’unico figlio – crescono con un genitore solo, quasi
sempre una mamma single, a sua volta priva di modelli consolidati, che deve
svolgere come sa e come può tutte le funzioni.
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Sufficientemente buono
L’uomo che fa la mamma a oltranza si identifica segretamente con una
madre idealizzata, ma al tempo stesso si identifica con il bambino. La fantasia
inconscia è di essere lui quel piccolo adorato, e di appagare attraverso le cure
che gli profonde il proprio inesauribile nostalgico bisogno di regressione
senza conflitto. Un’ambiguità fascinosa che, sia detto a onor di giustizia, per
secoli, troppo spesso, hanno esercitato impunemente le madri.
Passata la prima infanzia, anche il “mammo” più devoto diventerà però
deludente. Tenero sì, ma forte? Quale autentica protezione potrà continuare
a offrire rispetto agli insulti della realtà? L’idillio, come ogni rapporto basato
sull’idealizzazione, è destinato a un’inesorabile delusione, e il prezzo del
disinganno può essere allora molto oneroso: carico di rabbia e di sterili
rivendicazioni da parte dei figli; di umiliazione, depressione, risentimento da
parte del padre, che non si vede più rispecchiato come perfetto. Il genitore
migliore, infatti, secondo le concezioni psicoanalitiche, non è quello perfetto,
ma quello “sufficientemente buono”, che prepara gradualmente il figlio alle
frustrazioni della vita.
L’esperienza clinica e quella quotidiana testimoniano che per molti non ha
più molto senso sfidare l’autorità dei genitori che, da almeno due generazioni,
sembrano avere abdicato non solo dall’autorità e dall’autorevolezza:ma anche
dalla funzione adulta normativa, punitiva e protettiva. Il paradosso è che se
il superamento dell’asimmetria tra genitori e figli ha prodotto significativi
vantaggi sul piano della libertà e del rispetto umano, per contro ha smorzato
la spinta propulsiva verso l’uccisione simbolica, quell’aggressività sana che
favorisce la crescita.
Un’identità più completa
In conclusione, sembra inutile – e anche ingiusto – continuare ad alimentare
il coro delle lamentazioni sul padre assente, sull’uomo debole. In una società
di eterni adolescenti, senza “padri della patria”, senza padri celesti, perché
dovremmo pretendere proprio dai giovani uomini – e non solo da loro –
l’esercizio della norma e della legge, della funzione “ortopedica” normativa,
del saldo argine dell’aggressività altrui? I più onesti, i più intelligenti, i più
sensati tra gli uomini moderni hanno già fatto le loro autocritiche; non hanno
alcuna voglia di riprendersi il peso di un potere tanto scomodo e neppure di
sentirsi perpetuamente in debito per le colpe dei loro avi.
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Padri e madri, biologici o adottivi, uomini e donne, nonni e tate, coppie e
single, omosessuali ed eterosessuali… Questa è ormai la società nella quale
viviamo, con strutture familiari sempre più variabili e atipiche. La psicoanalisi,
d’altronde, non ha e non può avere una teoria normativa su come debbano
essere le relazioni “giuste”: può solo indagare ciò che accade ai livelli
profondi, interpersonali e intrapsichici, dietro le trasformazioni dei nostri
comportamenti.
In tale contesto, è naturale e necessario – e comunque già accaduto – che
ciascuno di noi, per vivere e praticare un reciproco aiuto, svolga tante
funzioni, dinamicamente variabili e interscambiabili, non più rigidamente
codificate dal sesso e dalle generazioni come avveniva un tempo. Tutto ciò
offre a donne e uomini possibilità nuove per costruirsi un’identità ricca e
completa, libera dalle mutilazioni e dalle scissioni del passato; ma, come è
inevitabile, fa anche correre il rischio di rifugiarsi in soluzioni regressive, verso
l’indifferenziazione come difesa.
Un benvenuto, dunque, ai nuovi padri che fanno le mamme, se non usano
questo ruolo per spodestare le madri e per eludere il compito paterno; ma
sarà giusto che si aspettino dalle loro compagne altrettanta duttilità e la
disponibilità a condividere la fatica di svolgere le funzioni adulte.
(Tratto dal libro di Simona Argentieri Il padre materno. Da San Giuseppe ai
nuovi mammi, Meltemi, 1999).
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IDENTIKIT DEL PAPÀ ITALIANO
Curiosando tra statistiche, ricerche e sondaggi: ecco cosa fanno e
cosa non fanno i padri di casa nostra
E’ piuttosto deprimente l’immagine del papà italiano che esce fuori da
statistiche, ricerche e sondaggi. Anzi, in alcuni casi non “esce” neppure.
Eppure questo è un dato da valutare. Quanti anni hanno i papà italiani? A
che età gli uomini decidono oggi di diventare papà? Quanti figli hanno in
media? Difficile saperlo: “Analisi statistiche di questo tipo, rivelano all’Istat,
sono elaborate soprattutto al femminile”.
Papà fantasma. Oppure sotto accusa. Il colpo di grazia è arrivato nel novembre
scorso da “Help me”, una associazione di psicologi volontari che sulla base di
una ricerca realizzata in otto Paesi ha decretato:“il padre italiano è il peggiore
d’Europa”. Secondo i risultati di oltre 3 mila interviste i nostri papà dedicano
mediamente ai figli solo 22 minuti al giorno. Peggio dei portoghesi (34
minuti), peggio degli spagnoli (36 minuti) e molto, molto lontano dai bravi
papà svedesi e danesi, che alla prole dedicano un’ora al giorno. E non basta,
quando ci sono, sottolineava la ricerca di “Help me”, i papà italiani certo non
si occupano dei problemi veri: solo il 7%, ad esempio, si dedica attivamente
nell’aiutare i figli a fare i compiti scolastici.
Ci sarebbe di che vergognarsi, se non fosse che, come capita spesso, per ogni
ricerca che afferma una cosa, ce ne sempre un’altra che assicura il contrario.
Poco meno di un anno e mezzo fa, infatti, una indagine svolta dal mensile
“Insieme” aveva rivelato che il 48% dei papà italiani trascorre con i figli tre
ore al giorno e solo il 12% dedica loro meno di un’ora. Meno disastrosi, per
quanto riguarda il rapporto dei padri con l’impegno scolastico dei figli, anche
i risultati di una ricerca svolta dall’Istat nel 1998 e resa nota lo scorso anno.
Secondo l’Istituto statistico nazionale il 20% dei bambini delle elementari
sono seguito dai papà, anche se la percentuale si riduce al 10,6% alle medie
e al 6,4% alle superiori.
Certo, i papà potrebbero fare di più. Ma l’analisi dei dati può essere soggettiva:
c’è chi considera il bicchiere mezzo vuoto e chi lo considera mezzo pieno.
L’Annuario statistico dell’Istat 1999 ha rivelato come si rendono utili in casa
i papà italiani alle prese con bambini piccoli da zero a 2 anni: il 23,9% dei
padri mette a letto i figli tutte le sere, il 19,2% fa da mangiare, il 18,4% cambia
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il pannolino, il 15,7% veste i figli e solo il 7,7% si occupa regolarmente del
bagnetto. Non è molto, ma se consideriamo che solo da pochi decenni i padri
sono alle prese con questo nuovo “ruolo domestico” forse non è neppure
poco.
Diamogli tempo. Riconoscendo loro che almeno sul fronte del tempo libero
passato con i figli qualche passo avanti lo hanno fatto. Qui il divario con
le mamme è meno grave. Nei giorni feriali, rivela sempre l’Istat, i bambini
giocano con la madre nel 30,4% dei casi e con il padre nel 22%. Ma nei giorni
festivi le quote salgano e le posizioni si invertono: il 38,7% dei bambini gioca
con la mamma, il 39,9% con il papà. Con i padri si fanno soprattutto giochi di
movimento (43,% dei bambini) e ci si sfida davanti al computer (30% circa).
Tra i videogiochi preferiti le corse d’automobili. Che ai padri piacciono però
solo sul computer.
Una curiosa ricerca dell’Unione delle autoscuole ha rivelato che sono
soprattutto i padri a preoccuparsi quando i figli neopatentati si mettono
al volante. Ogni volta che prende la macchina il 57% dei giovani riceve
puntualmente dal padre raccomandazioni e consigli. Considerati ovviamente
“assillanti ed inutili”.
Eccoli qua i papà italiani. Troppo assenti quando i figli sono piccoli e troppo
presenti quando sono grandi. Giovani padri inconsapevoli e maturi papà
rompiscatole.
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I PADRI DELLA PUBBLICITÀ
Maltrattati, dimenticati, ridicolarizzati: ecco i risultati impietosi di una
indagine del Censis sugli spot
È lontana, ormai, l’epoca in cui Gavino Ledda descriveva la sua infanzia
nel romanzo culto Padre padrone come un periodo colmo di ristrettezze
e dominato dall’autoritaria figura del genitore.
Oggi, nella società
dell’immagine, non sono più i papà “a portare i pantaloni”, creando, secondo
alcuni, una serie di squilibri all’interno del nucleo familiare. E se ne sono
accorti tutti, anche i maghi della comunicazione. Secondo uno studio del
Censis sulla pubblicità - Il bambino Mediato – condotto attraverso un
osservatorio biennale, la figura del padre è, attualmente, praticamente
inesistente. L’uomo è privato del suo ruolo di capofamiglia, dei suoi spazi ed
è ridimensionato nelle sue competenze. A differenza della madre, sempre
bella e seducente, raffigurata molto più competente nell’ambito domestico
e in quello professionale.
Il padre… dimenticato
Nella pubblicità, l’immagine del padre è presente nel 18.2 per cento dei casi,
a differenza di quella della madre che appare nel 30.2 per cento degli spot
televisivi, radiofonici e sulla cartellonistica. Tra i soggetti che interagiscono
con il minore in una pubblicità, il padre si piazza così al terzo posto, dopo
la consorte e i gruppi di bambini (25.6 per cento). Una situazione simile si
presenta anche nel campo della fiction. Il rapporto padre-figlio è fortemente
determinato dalla presenza della madre (28 per cento). In questo caso, la
presenza del capofamiglia (20) è superata non solo da quella di gruppi di
minori (28), ma anche da quella di giovani adulti (20.7). Eppure, sia nella
pubblicità che nella fiction, la casa e la famiglia sono le ambientazioni più
ricorrenti, rispettivamente con il 36.7 e il 44.8 per cento dei casi.
Stando all’analisi degli esperti del Censis, puntare tutto sulla figura materna
causa nel bambino una nuova forma di solitudine. Risultando assente il
principio paterno a causa della forte determinazione di quello materno, il
minore si troverebbe privo di un esempio e una guida importanti per la sua
crescita. La mamma non sembra in grado di riassumere in sé entrambi i ruoli,
creando in questo modo un vuoto nei piccoli e mistificando nelle percezioni
degli stessi i due ruoli. In più, gli adulti che nella pubblicità appaiono accanto
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ai bambini, hanno, solitamente, atteggiamenti affettivi, complici e paritari, il
che priverebbe il minore di quella guida, a volte necessariamente autoritaria,
che gli garantisca chiarezza e sicurezza.
Il padre… infantile
Questa rappresentazione virtuale deriverebbe dall’attuale concreta difficoltà
degli adulti a trovare una precisa collocazione all’interno delle dinamiche
socio-culturali, ancora a cavallo tra tradizione e modernità. Sarebbe perciò
manifestazione del tentativo dell’uomo di ridefinire il suo ruolo e della donna
di coltivare sempre più interessi. Lo studio del Censis porterebbe perciò in
luce un bimbo privo di punti di riferimento reali e strutturanti per la sua
evoluzione. Indefinite e marginali, le figure fondanti la crescita del bambino
sarebbero spesso più infantili dello stesso minore.
Lo “pseudo-papà pubblicitario”,detto anche “padre-fratello”,non accetterebbe
l’impegno dell’età adulta, il ruolo di guida, la responsabilità e le sfide che ne
derivano. Il padre tornerebbe ad essere un bambino, addirittura un neonato,
che soffre una condizione di quasi inferiorità nei confronti del figlio.
La parola agli spot
A dimostrazione di quanto sostenuto, il rapporto del Censis sceglie tre diversi
spot pubblicitari televisivi, ormai storici. In Francobolli del mondo De Agostini
il figlio, un adolescente, ha un atteggiamento saccente e supponente nei
confronti del padre. L’uno seduto di fronte al ragazzo, “e non fianco a fianco
come di solito accade tra madre e figlio”, osservano alcuni francobolli. Ad un
tratto la domanda del padre: “Cos’è?”, indicando un pezzo. “È il Penny Black”,
risponde il ragazzo già un po’ infastidito. Ma il padre non capisce: “Sarebbe?”.
“Ma dai pa’: è un’emissione speciale del primo francobollo della storia”, sbotta
il figlio.
In Filtro-fiore Bonomelli il padre siede sul divano accanto alla figlioletta che
tiene tra le mani un libro. L’uomo beve la camomilla e si addormenta sereno
mentre la figlia lo copre con una coperta e gli dà un bacio sulla guancia tutta
soddisfatta. E quando la madre entra nella stanza, le due si scambiano un
gesto complice con uno sguardo amorevole portandosi l’indice verso il naso
in segno di silenzio.
In Termometro Brown Thermoscan si spiega che lo strumento sanitario
pubblicizzato è adatto sia per i piccoli che per i “più grandi”,rappresentati da un
uomo febbricitante con grandi occhi ironici ma rassegnati. Presto la soluzione:
viene usato lo stesso termometro per l’orecchio ideato per i bambini.
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ADOTTA UNA MAMMA E IL SUO BAMBINO
Il gruppo dei papà ha aderito a questo progetto utilizzando la quota prevista
per l’iscrizione al corso.
Perché questo progetto?
- Le donne in gravidanza nei villaggi poveri lavorano per molte ore al giorno,
mangiano meno degli altri componenti della famiglia e non hanno accesso
a cure medico-sanitarie
- Queste donne hanno rischi maggiori di complicanze durante la gravidanza
e il parto
- Danno alla luce bambini già malnutriti, con peso inferiore ai 2,5 Kg
- La malnutrizione nei primi mesi di vita è direttamente correlata ad un ritardo
nello sviluppo fisico e cerebrale
Come opera?
- Le operatrici sanitarie formate da CINI identificano nei villaggi le donne in
gravidanza
- Attraverso regolari visite a domicilio e consulenze, assicurano un’adeguata
assistenza sanitaria, nutrizionale e sociale, e incoraggiano il supporto da
parte, del marito, della suocera e degli altri membri della famiglia durante la
gravidanza e i primi due anni di vita del bambino
- Assicurano adeguati trattamenti medici e clinici nel caso di malattia della
madre o del bambino ed assistenza adeguata durante il parto
Obiettivi:
- Assicurare una gravidanza sana attraverso un monitoraggio della crescita
fetale e controlli regolari della madre
- Assistere un parto sicuro con levatrici professionali
- Ottenere un peso alla nascita di almeno 2,5 Kg
- Promuovere l’allattamento al seno, vaccinare il nuovo nato e seguirne la
crescita
- Assicurare trattamenti sanitari tempestivi per le malattie infantili comuni
presso l’ospedale e gli ambulatori di CINI o pubblici
- Promuovere il controllo delle nascite con metodi di pianificazione familiare
- Dopo i primi due anni di vita del bambino, continuano ad essere assicurati
alla madre e al bambino regolari controlli e cure mediche
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Cosa ricevono i soci?
- Un totale di 3 rapporti con fotografie della madre e del bambino per un
periodo di 33 mesi (9 mesi di gravidanza e 24 mesi di vita del bambino):
- il primo rapporto descrive la madre e la situazione familiare
- il secondo rapporto, con una fotografia della madre col bambino appena
nato, informa sull’andamento del parto e sulle condizioni di madre e
bambino
- il rapporto finale, con una fotografia della madre e del bambino all’età di
un anno e mezzo, informa sulla crescita fisica del bambino e mostra i suoi
progressi da un punto di vista nutrizionale e della salute
- 2 circolari di aggiornamento all’anno sull’andamento del progetto “Adotta
una Mamma e Salva il Suo Bambino” e degli altri progetti di CINI Italia nel loro
complesso per poterne valutare l’impatto sanitario e sociale sulla realtà di
vita nei villaggi e sul territorio
- La possibilità di poter partecipare all’Assemblea dei soci, di consigliare le
politiche dell’Associazione, la scelta dei progetti e i bilanci
- La possibilità di visitare il Progetto e CINI a Calcutta
- L’opportunità di “adottare” un’altra mamma alla fine dei due anni
- La possibilità di ricevere i rapporti di aggiornamento su supporto cartaceo
oppure visionarli direttamente sul sito di CINI a Calcutta.
Quanto costa?
- Puoi effettuare un versamento unico di Euro 250, oppure rateizzare
il pagamento in tre rate annuali di Euro 84 ciascuna, oppure in 11 rate
trimestrali di Euro 23 l’una.
CINI ITALIA E’ UNA ONLUS
Aderisce al Coordinamento Nazionale per il Sostegno a Distanza “La
Gabbianella”
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FARE IL PAPÀ - Istituto Comprensivo Carlotta Aschieri