A cura di Giorgio Bertini FARE IL PAPÀ Corso di formazione per genitori riservato esclusivamente ai papà Libera Università Popolare della Valpolicella Istituto Statale Comprensivo “B.Lorenzi” di Fumane Istituto Statale Comprensivo “C. Aschieri” di S. Pietro in Cariano Azienda Sanitaria ULSS n. 22 Servizio di Psicologia dell’età evolutiva “Un giorno smetterò di essere figlio e mi sentirò terribilmente solo. Un giorno ripenserò a tutti i contrasti, le distanze, i silenzi con mio padre, alla nostra generazione che voleva mettere tutto in discussione, la famiglia, i genitori, la società – ed era giusto – e sarà inevitabile trovare lui al centro dei ricordi, nei tempi dell’infanzia; lui, punto fermo con la sua presenza quotidiana, con la sua protezione. Lo rivedrò piegarsi e sollevare il nipotino così come sollevava noi. Attraverso lui forse ritroverò me stesso” Carlo Grande, Padri – Avventure di maschi perplessi (Ponte Alla Grazie – 2006) Introduzione Ogni generazione ha dovuto affrontare lo scontro con la figura paterna intesa come metafora dell’autorità, del dominio, in quanto il padre diventa il punto di riferimento della legge. È colui che istituisce la morale e che idealmente istituisce il legame con le radici e con la tradizione. Questo aspetto è stato messo in rilievo non solo nei casi di forte autoritarismo o di dominio indiscutibile della figura paterna, di cui è diventato simbolo assai significativo il “padre padrone” raccontato dal pastore sardo, Gavino Ledda, nel famoso libro che è poi diventato un film diretto dai fratelli Taviani, ma anche in altre situazioni meno estreme. Per poter intuire il valore della figura paterna, per metterne in luce l’autorevolezza sembra che per il figlio sia necessario operare uno scontro violento, una contestazione radicale della figura e del ruolo del padre. È l’ottica del figlio che, per crescere e per diventare “padre” egli stesso, sente la necessità di “mettere alla prova” fino in fondo la struttura di questo ruolo. Di contro emerge invece un ulteriore passaggio che porta i figli, dopo le contestazioni a oltranza, una volta raggiunta una propria maturità, a rivalutare la figura paterna, intraprendendo un affascinante percorso di “ritorno” alla figura del padre, che comporta anche la riscoperta del mondo che gli è appartenuto, dei valori che ha trasmesso, della tradizione culturale che ha affrontato. Sono aspetti che non vengono più contestati, ma che sono intuiti come un patrimonio da tutelare per sé e per la propria riscoperta del mondo. Negli ultimi anni si è assistito in realtà ad una confusione del ruolo e dell’identità paterna (padri-mammoni; padri-amiconi; padri-adolescenti…), ad una sovrapposizione e più frequentemente ad un rovesciamento delle funzioni paterne e materne. Tutto questo ha determinato una diminuzione della conflittualità intergenerazionale all’interno della famiglia tra padri e figli e una “fuga” dei padri all’esterno del nucleo familiare. Molti uomini hanno cercato di sopperire a questa confusione con l’affettività, ma essa non è sufficiente a garantire da sola ciò di cui i bambini hanno bisogno per crescere. Si assiste sempre di più , soprattutto in adolescenza, e non solo per l’”assenza” dei padri, a ragazzi senza il senso della misura e del limite, incapaci di fare progetti, carenti di valori e di passioni. Sembra essere carente la formazione di un super-io interno e strutturato perché è stata carente, durante lo sviluppo del bambino, la presenza della funzione paterna di contenimento e di “autorità”. Molti padri si interrogano su quello che sta accadendo mettendo spesso a confronto ciò che hanno vissuto come figli con i loro padri con quello che sta succedendo con i propri figli. Si ha però la consapevolezza che negli ultimi quarant’anni sono avvenuti dei grandi cambiamenti sociali e culturali tali da rendere difficoltoso il confronto. La vita di tutti i giorni sembra allora assorbire gran parte delle energie personali, dove ciascuno cerca di “fare il padre” nel migliore dei modi possibili. L’interrogarsi insieme agli altri, il confrontarsi reciprocamente su ciò che sta avvenendo dentro di noi, nel quotidiano, sembra diventare sempre più un’esigenza, anche se i luoghi sociali del confronto sono pochi, soprattutto in ambito educativo, e quasi tutti occupati, spesso per delega , dalle donne. Il progetto, che viene qui presentato e documentato, ha avuto un riscontro molto positivo sia nell’adesione inaspettata di molti papà, sia soprattutto nella capacità che essi hanno dimostrato di interrogarsi, di mettersi in gioco, di confrontarsi, di esprimere le proprie emozioni… Ne è emersa una immagine variegata di padri, tutti desiderosi però di riprendersi la propria funzione genitoriale “specifica”, in un confronto con l’universo femminile all’interno della coppia e in una “società senza padri” come diceva il sociologo A. Mitscherlich. La prima parte presenta il progetto ed il resoconto degli incontri così come è stato presentato di volta in volta ai partecipanti del gruppo. La seconda parte raccoglie l’intervista che è stata fatta a Carlo Grande durante l’incontro di presentazione del suo libro di racconti “Padri – Avventure di maschi perplessi” (Ed Ponte alle Grazie , 2006); inoltre viene presentato un suo racconto dal titolo “ Fhater’s in arms”. La terza parte presenta uno strumento di narrazione utilizzato durante gli incontri che è il Disegno del Cerchio Familiare con alcune esemplificazioni. La quarta parte raccoglie degli articoli che sono stati presi da libri, o apparsi su riviste o in internet, che affrontano alcuni aspetti della figura del padre e che sono stati utilizzati durante gli incontri come stimolo per la riflessione ed il confronto. Particolarmente interessante è il contributo della psicoanalista Simona Argentieri dal titolo “I nuovi papà”, tratto dal suo libro “Il padre materno. Da San Giuseppe ai nuovi mammi”. (Meltemi, 1999). Vi sono poi delle informazioni dettagliate sul progetto di adozione a distanza “Adotta una mamma e il suo bambino” di CINI Onlus al quale ha aderito il gruppo dei papà utilizzando una parte della quota di iscrizione al corso di formazione. Ci sembrava bello questo gesto simbolico, che poi non è solo simbolico visto che permette ad una madre dell’India di essere seguita ed assistita durante la gravidanza e nei primi due anni di vita del bambino. Infine vi è una bibliografia, aggiornata, con testi di facile lettura e reperibilità, sulla figura del padre per chi volesse fare degli ulteriori approfondimenti su questo tema. I ringraziamenti da fare sono tanti. Innanzitutto ai papà che in questi due anni hanno partecipato con interesse alla proposta formativa del gruppo: Gabriele, Ivo, Luca, Massimiliano, Giorgio, Fabio, Luca, Pierangelo, Gianni, Giuseppe, Marco, Lodovico, Giacomo, Sergio, Gianfranco, Giovanni, Graziano, Mario, Luca, Giampaolo, Gaetano, Marco, Riccardo, Oscar, Fabiano, Luca, Roberto, Davide, Vincenzo, Guido, Maurizio, Oriano, Giovanni, Fulvio, Gianluigi, Stefano, Emanuele, Stefano, Paolo, Renzo, Ennio, Amedeo, Giorgio, Edoardo, Vincenzo, Corrado, Remo, Alberto, Paolo, Alessandro, Pierluigi, Fabio, Enrico, Nello, Antonio, Gualtiero, Pietro, Giorgio, Gianluigi. A Carlo Grande, a Cristina, a Lorenzo, a Susanna, al Circolo Malacarne, alle Cantine Nicolis, ad Enrico e Barbara dei Dvakuna Duo, a Nello e Silvana, al Gigi e al suo buonissimo “codeghin”, per il contributo dato alla realizzazione dell’incontro di presentazione del libro di Carlo. Alla Libera Università della Valpolicella, a Giovanni Viviani Dirigente Scolastico di Fumane , a Bianca Pellegrini Dirigente Scolastico di S. Pietro in Cariano, a Celeste Zorzi, che hanno sostenuto e organizzato il progetto. A Paolo Giavoni del settore sociale dell’Azienda ULSS 22 sempre attento e disponibile a sostenere progetti sulla genitorialità. A Paolo Dalla Vecchia che ha condotto insieme a me il terzo incontro del gruppo dei papà. Alle mie figlie Camilla e Marta e a mio padre Aldo, per quello che mi hanno insegnato. Un riconoscimento e un abbraccio a tutti. Bertini Giorgio Psicologo dell’età evolutiva dell’Azienda Sanitaria ULSS n. 22 “FARE IL PAPA’” – Corso di formazione per genitori riservato esclusivamente ai papà Introduzione La complessità della vita che conduciamo, il rapido evolvere dei riferimenti valoriali e culturali, il diffondersi di conoscenze psicologiche e pedagogiche inducono sempre più uomini e donne ad interrogarsi sul proprio modo di essere genitori. Essere genitori appare oggi come una funzione sociale, educativa ed affettiva che non può più essere svolta con le competenze ricevute in eredità dai propri genitori ma va coltivata ed accresciuta sia di consapevolezza che di conoscenze teoriche; si è affermata la convinzione che essere genitori oggi non è come esserlo stati venti o trenta anni fa, proprio in virtù dell’accresciuta complessità della nostra società che tende sempre più ad acuire le distanze fra le generazioni. Molti genitori sentono il bisogno di esaminare e confrontare le loro strategie educative accompagnati spesso dalla paura di sbagliare o di attuare comportamenti ritenuti inadeguati o addirittura dannosi nella relazione con i figli. Pertanto assistiamo ad una domanda crescente di luoghi, eventi, occasioni in cui l’essere genitori sia posto al centro di un processo di riflessione e di trasferimento di conoscenze, anche con l’apporto di persone “esperte”. Il presente progetto intende creare un’occasione di confronto riservandola soltanto ai papà, con l’obiettivo di interrogarsi in modo specifico sulla paternità e farlo con un approccio che tenga conto delle esigenze specifiche dei partecipanti di sesso maschile. Se risulta evidente che sempre più papà assumono un ruolo attivo nella gestione della relazione con i figli e si interrogano su questo, è però altrettanto vero che le donne possiedono per tradizione molti più luoghi di confronto, anche separate dai mariti, e sono pertanto molto più abituate a parlare di sé e a confrontarsi con altre mamme, anche in contesti informali. Spesso, all’interno della coppia genitoriale, la tradizionale centralità del ruolo materno inibisce o quanto meno rappresenta un punto di riferimento anche per la dimensione paterna della funzione genitoriale; come se i padri, pur presenti ed attenti nella relazione con il figlio, fossero in grado di essere al massimo una copia della madre. La funzione paterna infatti rischia, nella suddivisione dei ruoli all’interno della coppia, di venir relegata a sostituta del ruolo materno laddove ad esempio la madre è assente per lavoro. Il percorso che viene proposto, oltre ad essere riservato solo ai papà, pone l’attenzione, non tanto sulle caratteristiche evolutive e sulle esigenze dei figli, ma sull’esperienza di paternità dei partecipanti coinvolti. Si vuole creare un’opportunità per i papà di confrontarsi con altri sulla propria esperienza, attraverso un percorso che, partendo dalle rappresentazioni culturali e sociali della paternità, passando attraverso il ricordo del proprio padre, arrivi a focalizzare la dimensione quotidiana della paternità così come i partecipanti la vivono. ARTICOLAZIONE DEL PERCORSO Il percorso è strutturato in 5 incontri; per ciascun incontro sono individuati gli obiettivi specifici ed è indicata una traccia di lavoro. 1° Incontro 10 PAPÀ A CONFRONTO incontro introduttivo 2° Incontro COME SI È TRASFORMATA L’IDEA DI PATERNITÀ NEL TEMPO 3° Incontro ASSENTE O CASTIGATORE: QUALE MODELLO DI PATERNITÀ ABBIAMO VISSUTO 11 4° Incontro “FACCIO IL PAPÀ: QUALE PARTERNITÀ VIVIAMO 5° Incontro “SEI FORTE PAPÀ, COSA NE PENSANO I FIGLI 12 Il progetto di formazione si rivolge a tutti i papà, indipendentemente dall’età dei figli. Il corso è organizzato dalla Libera Università della Valpolicella in collaborazione con gli Istituti Scolastici di Fumane e San Pietro in Cariano e l’Azienda Sanitaria U.L.S.S. n. 22. La partecipazione prevede una quota di partecipazione di 10 euro che verrà utilizzata per aderire al Progetto di CINI onlus “Adotta una mamma”. Gli incontri sono a cadenza quindicinale a partire da mercoledì 7 febbraio 2007. Sede degli incontri : Sala Civica di Valgatara. Conduttore: Bertini Giorgio, psicologo, psicoterapeuta, coordinatore del Servizio di Psicologia dell’età evolutiva dell’Azienda Sanitaria ULSS n. 22. Ha ideato, condotto e coordinato numerosi progetti di sostegno alla genitorialità. Su questi temi ha curato il libro “Genitori di un figlio che cambia – Il mestiere di genitore in adolescenza”, Ombre Corte, 2001 e, insieme a Paolo Dalla Vecchia, gli opuscoli “Genitori e ragazzi a confronto” (2005) e “Stili di vita modelli e valori in adolescenza” (2006). Resoconto degli incontri Ogni resoconto veniva dato ai partecipanti prima dell’incontro successivo 1° Incontro “Papà a confronto: incontro introduttivo” -Presentazione del percorso formativo : • perché parlare della figura paterna ? • i contenuti • le modalità di lavoro • i riferimenti teorico-concettuali • il confronto tra i partecipanti Il conduttore ha definito alcune “regole” da prendere in considerazione nelle relazioni all’interno del gruppo: la piacevolezza dell’incontrarsi, la libertà, il rispetto, l’ascolto come strumento fondamentale della comunicazione interpersonale. 13 - Presentazione dei partecipanti e del proprio nucleo familiare attraverso il “Disegno del cerchio familiare” Viene consegnato un foglio con il disegno di un grande cerchio; le richieste sono due: 1. “Questo cerchio rappresenta la tua famiglia; traccia con la matita all’interno del cerchio l’area che pensi di occupare come padre”. 2. “Ora delimita, sempre all’interno di questo cerchio, lo spazio che pensi occupino gli altri membri della tua famiglia”. -Cosa mi aspetto dal corso Durante il racconto e la discussione, in un clima di ascolto e di partecipazione emotiva, sono emersi i seguenti temi: - I figli in adolescenza cambiano e cambia anche la relazione con loro - Il binomio libertà-autorità in adolescenza - Il ruolo “tradizionale” del padre funziona con difficoltà in adolescenza: il rischio di conflitti è molto elevato - I figli che scelgono di stare con il padre nel momento della separazione dei genitori - Il padre che ha un rapporto “fluido” con figli, nel poco tempo a disposizione, e gli viene chiesto di svolgere una funzione più normativa dalla madre - Gli spazi per i figli possono essere diversi perché la loro età è diversa, il loro carattere, o perché stanno vivendo un momento difficile (es. una malattia) - La relazione in famiglia è dinamica per cui è necessario cambiare la propria collocazione e spostarsi più al “centro” da una posizione magari precedentemente più defilata - Padre-amico: quale confine; quale equilibrio tra la confidenza e il rispetto; la vicinanza nel rispetto - L’immagine del padre che abbiamo avuto: come e quanto ci condiziona; il rischio di ripetere con i figli il negativo che abbiamo subìto quando eravamo bambini - La frenesia del tempo: il poco tempo a disposizione da dedicare ai figli 14 2° Incontro “Come si è trasformata l’idea di paternità nel tempo” - Presentazione dei nuovi partecipanti e resoconto dell’incontro precedente - Presentazione del progetto “Adotta una mamma” di CINI: il contributo di 10 euro di ciascuno dei partecipanti andrà a finanziare un progetto di adozione a distanza (India) di una mamma e del suo bambino, dalla gravidanza ai primi due anni di vita. - La rappresentazione della paternità e della maternità da parte del gruppo dei partecipanti. Brainstorming: “cosa evocano in voi le parole PADRE e MADRE” ; scegliere i tre-cinque termini che meglio definiscono queste parole. Padre (2 scelte) Autorità (4) Sicurezza (11) Sostegno (5) Guida (3) Educazione (3) Protezione (2) Presenza (2) Affetto (7) Modello (6) Disponibilità (6) Dolcezza Compagno di giochi Razionalità (1) Soldi: sicurezza economica Assenza Sapiente (1) Amore incondizionato Equità Confidente Controllo Madre (1 scelta) Amore (6) Calore Comprensione (4) Complicità (1) Serenità (1) Accoglienza Tranquillità Tenerezza Mediazione (2) Razionalità (1) Ascolto Confidenza (1) Presenza (5) Intuito Intimità Risoluzione Autorevolezza Casa (1) 15 Per la parola PADRE sono stati scelti: SICUREZZA, AFFETTO, DISPONIBILITA’, MODELLO, SOSTEGNO. Per la parola MADRE sono stati scelti: AMORE, PRESENZA, COMPRENSIONE, MEDIAZIONE Quindi vi è una rappresentazione del padre come figura che garantisce sicurezza e sostegno ma anche affetto e disponibilità, che cerca di coniugare aspetti della “tradizionale” figura paterna con gli aspetti affettivi tradizionalmente svolti dalla madre. Vi è poi una sottolineatura dell’importanza di essere modelli di identificazione positiva per i figli, soprattutto per i maschi. Per la madre vengono sottolineati gli aspetti affettivi “tradizionali”della sua figura: l’amore, la comprensione, la presenza … - La figura del padre rappresentata in alcuni frammenti di films • Il desiderio di paternità : Le avventure di Pinocchio di Comencini con Nino Manfredi nella parte di Geppetto • Il padre-padrone: film dei fratelli Taviani dal romanzo omonimo di Ledda • Il padre assente: Evelina e i suoi figli con Moni Ovadia e S. Sandrelli • Il padre che dà le regole e controlla: Caruso zero in condotta di F. Nuti • Il padre che abbiamo avuto : Caruso zero in condotta • Il padre-materno – Il padre-amicone: Caterina va in città di Virzì • Il padre che non c’è (anche la madre): Matilde sei mitica di W. Disney • Le aspettative genitoriali: Ricordati di me di Muccino Discussione e confronto tra i partecipanti Per l’incontro successivo viene data una consegna: “Portate una foto di vostro padre e voi (all’età di uno dei vostri figli) o un oggetto che ricorda vostro padre”. (Nino Manfredi in Geppetto nel film Le avventure di Pinocchio) 16 3° Incontro “Assente o castigatore: quale modello di paternità abbiamo vissuto” Proposta: partendo dalle foto raccontare dell’immagine che abbiamo di nostro padre e di come questa immagine ci condizioni positivamente o negativamente nell’essere padre nei confronti dei nostri figli. Dai racconti, molti sul filo dell’emozione, anche perché alcuni di loro non ci sono più, traspare un’immagine variegata dei “padri che abbiamo avuto” condizionata dalle storie personali, dalle vicissitudini familiari, dall’epoche della vita e dai contesti sociali e culturali del tempo. Si ricordano: padri “autoritari, ma non violenti”; padri “severi”; padri con quali c’era poco dialogo, ma che bastava un colpo d’occhio per comunicare qualcosa di importante e chiaro”; padri collaborativi; “padri assenti, molto dediti al lavoro”; padri che “mettevano d’accordo tutti”; padri che “hanno insegnato un lavoro”, padri con i quali si lavora ancora insieme; padri trascuranti; “superpapà”; padri fedeli ai valori del tempo; … Il ricordo è prevalentemente positivo, a volte idealizzato e a volte recuperato. Rimane un po’ di nostalgia e quasi il timore di non esserlo altrettanto con i nostri figli. Vi è la consapevolezza che è necessario non ripetere con i nostri figli le esperienze negative che abbiamo vissuto da bambini nella relazione con nostro padre e salvaguardare ciò che di positivo ci portiamo ancora dentro. La “coazione a ripetere” (Freud) è quella tendenza psichica che spinge il soggetto a ripetere comportamenti,esperienze, situazioni già vissuti e , nel loro meccanismo, già in qualche modo acquisiti. È un meccanismo a volte micidiale perché l’essere umano tende a ripetere le condotte peggiori: vedi “le storie che si ripetono” nelle situazioni di grave trascuratezza, maltrattamento e abuso. In queste situazioni il meccanismo che determina inconsciamente il ripetere storie di grande sofferenza vissute durante l’infanzia sembra essere “l’identificazione con l’aggressore”. E’ necessario comunque per essere padri “sufficientemente buoni” (Winnicott) fare i conti con l’immagine interna del padre che abbiamo avuto. 17 4° Incontro “Faccio il papà: quale paternità viviamo ?” Proposta: prendete una giornata tipo (feriale e/o festiva): indicate quale e quanto tempo passate con i vostri figli e a quali attività viene dedicato questo tempo. Il tempo per stare con i figli è diverso e dipende dagli impegni lavorativi del padre , dall’età e dal carattere dei figli, dai giorni della settimana: c’è chi sta con i figli alla sera per cena, possibilmente senza TV, e questo è il momento privilegiato, spesso l’unico della giornata, di incontro e comunicazione, e può diventare a volte il momento delle tensione e dei conflitti; c’è chi cerca di esserci anche in altri momenti quotidiani (colazione, pranzo...) ; c’è chi utilizza il momento dell’accompagnamento a scuola per trovare un po’ di tempo per stare con il figlio; c’è chi non ha tempo; c’è chi si prende di tanto in tanto una giornata o mezza giornata da passare con loro (i “giretti”); c’è chi segue i figli nei compiti; c’è chi si sostituisce totalmente alla madre quando questa non c’è; c’è chi cerca di essere disponibile quando i figli lo chiedono; c’è chi accompagna e segue il figlio nelle attività sportive spesso condividendone la passione;….. Il sabato e soprattutto la domenica sono giornate diverse nelle quali si dedica più tempo alla famiglia e ai figli. Certamente la qualità è più importante della quantità dello stare, anche se la possibilità di poter decidere quanto tempo dedicare ai nostri figli dipende anche dalle scelte che facciamo e dalle priorità che diamo alle cose della nostra vita. A volte trovare del tempo per dedicarsi ai figli è importante al di là di quello che facciamo. La quotidianità ci logora. Gli eventi eccezionali riusciamo quasi sempre a fronteggiarli trovando energie inaspettate, ma il ripetersi quotidiano di eventi, spesso simili tra di loro tutti i giorni, con i ritmi frenetici che essi richiedono, ci stressa e ci confonde. Per questo è utile riflettere su quello che ci accade, banalmente, ogni giorno. La televisione disturba la comunicazione e per questo è importante spegnerla nell’unico momento in cui si è insieme, la sera, a cena, Non si può dialogare con la televisione accesa. Il dialogo è spesso un resoconto della giornata, un riassunto ridondante di quello che è accaduto durante la giornata : forse può diventare qualcos’altro? 18 E’ importante tener conto della relazione tra fratelli, spesso fonte di discordie, invidie, rivalità , conflitti ma anche di compagnia, aiuto reciproco e solidarietà, Certamente è più facile relazionarsi in una situazione duale: noi con nostra moglie o con la nostra compagna, noi con uno dei nostri figli; più complesso e relazionarsi tutti insieme. Bisogna imparare a farlo, anche se è importante di tanto in tanto dedicare un tempo esclusivo a ciascuno dei nostri figli. Coniugare in modo armonico gli aspetti personali, con quelli di coppia e con quelli genitoriali è fondamentale. Non è possibile essere genitori “sufficientemente buoni” come diceva Winnicott se il rapporto di coppia è insoddisfacente o siamo molto frustrati a livello personale. E’ necessario prendersi cura di tutti questi aspetti. Vi è poi l’importanza delle regole, come rinforzare i comportamenti positivi, come intervenire su quelli negativi, come gestire i conflitti, come usare le punizioni ? Dialogare è solo parlare, o è anche imparare ad ascoltare e ad osservare visto che le comunicazioni più importanti spesso non avvengono con le parole ? Infine siamo modelli congruenti; vi è coerenza tra quello che diciamo e quello che facciamo? Per ultimo: in cosa si specifica l’essere padri all’interno della coppia genitoriale? 19 5° Incontro “Sei forte papà: cosa ne pensano i figli” 1) Quali sono le aspettative che i nostri figli hanno su di noi? Cosa si aspettano dal padre ? In preadolescenza i ragazzi, pur nelle diverse situazioni personali, si aspettano maggiore libertà, autonomia, di essere lasciati in pace, maggiore fiducia : a volte ciò avviene attraverso il dialogo e la comprensione reciproca, a volte avviene con conflitti e difficili mediazioni. Ai padri in particolare viene richiesto questo “lasciapassare” per staccarsi dai genitori e investire sempre di più sui coetanei. Una funzione che molti padri preferiscono non prendersi e delegare alla madre. I più piccoli richiedono maggiore presenza dei padri e condivisione nei momenti di vita quotidiana, soprattutto nel gioco, o nelle attività che essi svolgono. Vi è anche una richiesta affettiva che molti padri soddisfano. 2 - L’ideogramma giapponese che rappresenta il bambino dalla nascita fino all’adolescenza si può tradurre letteralmente con “il fiume che scorre tra due rive”. Gli argini che descrivono i ruoli genitoriali come ve li immaginate? Esiste una specificità della funzione paterna nella relazione e nello sviluppo del bambino ? Il fiume è il bambino che diventa grande , dalle sorgenti al mare, e le rive sono i genitori, i quali devono essere più contenenti e contenitori quanto più i ragazzi crescono. Il genitore può guidare il figlio, può cercare di contenere l’effetto delle grandi burrasche o delle piogge per cercare di dare una direzione, ma non può evitarle. Molti dei genitori non hanno un fiume solo (un unico figlio), ma ne hanno due e qualcuno tre. E’ necessario, con tutti questi fiumi diversi, che i genitori si calibrino con essi, con i bisogni diversi dei figli ed anche il ruolo genitoriale può essere contemporaneamente diverso. Ci può essere un argine più basso e uno più alto: quali le conseguenze quando il padre e la madre si pongono diversamente nei confronti del figlio? In realtà gli argini per la maggior parte dei casi sono fluttuanti, non è sempre che uno è più alto e uno più basso, dipende … funziona bene la coppia genitoriale se gli argini cercano di essere sullo stesso piano. Esiste sicuramente la possibilità di coniugare l’affetto con l’autorevolezza, 20 essere padri affettivi che svolgono anche la funzione normativa con i figli. Questo non avviene mettendosi semplicemente sullo stesso piano dei figli, essere amici dei figli o semplici compagni dei loro giochi. Ragioni economiche, sociali e culturali hanno trasformato la famiglia e i ruoli al suo interno, per cui padri e madri svolgono ora entrambe le funzioni : quella affettiva, di cura e accadimento che tradizionalmente sono “ materne”, e quella normativa, delle regole, delle leggi, della sicurezza, che tradizionalmente sono “paterne”. Un bambino ha bisogno di entrambe, anche se non è indispensabile che siano interpretate o dall’uno o dall’altro. In passato tutto era più facile , i modelli erano chiari e i ruoli ben diversificati, ma questa non è una giustificazione per abdicare al ruolo genitoriale di un padre che pur essendo “affettivo” è capace di stabilire dei “limiti” ai propri figli. Anche se il rischio più grande è di una fuga all’esterno della famiglia, rinunciando al proprio ruolo e delegando alla madre tutte le funzioni genitoriali. 21 La Libera Università Popolare della Valpolicella in collaborazione con il Circolo “Malacarne” di Verona per la rassegna eno-letteraria “Dar a bere storie” Venerdì 25 maggio 2007 ore 18.00 Cantina Azienda Agricola Nicolis – S. Pietro in Cariano - Via Villa Girardi, 29 Incontro con l’autore CARLO GRANDE presenta PADRI – avventure di maschi perplessi (Ed. Ponte alle Grazie – 2006) Racconti “Un giorno smetterò di essere figlio e mi sentirò terribilmente solo. Un giorno ripenserò a tutti i contrasti, le distanze, i silenzi con mio padre, alla nostra generazione che voleva mettere tutto in discussione, la famiglia, i genitori, la società – ed era giusto – e sarà inevitabile trovare lui al centro dei ricordi, nei tempi dell’infanzia; lui, punto fermo con la sua presenza quotidiana, con la sua protezione. Lo rivedrò piegarsi e sollevare il nipotino così come sollevava noi. Attraverso lui forse ritroverò me stesso ”. Carlo grande, ha 50 anni, è giornalista della Stampa. Dal 1996 al 2003 è stato direttore responsabile di Italia Nostra. Ha pubblicato La via dei lupi (2002) che ha vinto la prima edizione del premio Grinzane Civiltà della montagna e il premio Letterario San Vidal, e La cavalcata selvaggia (2004). Vive e lavora a Torino. Presenta e intervista l’autore Giorgio Bertini Letture di Susanna Bissoli e Lorenzo Folrlati Musiche dei Dvakuna Duo con Barbara Wolf e Enrico Sartori (fisarmonica) (clarinetto) Istituto Comprensivo “C. Aschieri” S. Pietro in Cariano Istitruto Comprensivo “B. Lorenzi” Fumane 22 Azienda Sanitaria U.L.S.S. n. 22 Bussolengo (info:3494464234) Carlo Grande Carlo grande, ha 50 anni, è giornalista della Stampa. Dal 1996 al 2003 è stato direttore responsabile di Italia Nostra. Ha pubblicato La via dei lupi (2002) che ha vinto la prima edizione del premio Grinzane Civiltà della montagna e il premio Letterario San Vidal, e La cavalcata selvaggia (2004). Vive e lavora a Torino. E’ attaccante della nazionale di calcio scrittori, la “Soriano futbol club”. Padri – Avventure di maschi perplessi Il libro è una raccolta di racconti , ciascuno dei quali narra una paternità. Paternità di padri che sono stati figli, di padri nella veste di figli, di padri che cercano di entrare in relazione con i figli, di padri disposti all’estremo sacrificio per i figli come la storia di Manuel Bravo (“Josè”) a cui è dedicato il libro, di padri imbarazzati, di padri trovati al di fuori della famiglia, di padri alla ricerca di una perduta identità. Le chiavi di lettura con cui leggere questi racconti così diversi tra loro e unificati da un elemento trasversale alle varie situazioni descritte sono: l’incertezza del ruolo, un senso di colpa irrisolto e costante, un disagio del proprio essere stato figlio inconsapevole e un uguale disagio dell’essere padre incapace di porsi come punto di riferimento. È un rincorrere i bisogni del figlio più che un proporre, è il desiderio di essere accettato più che l’attenzione ad accettare, è il tentativo di nascondere le proprie debolezze più che la volontà di porsi come punto di forza su cui il bambino o il ragazzo può temprare le proprie fragilità. All’apparenza, le storie sono tutte differenti l’una dall’altra. Ciò, tuttavia, non deve ingannare: c’è una grande compattezza nel libro, che non deriva tanto dal contenuto quanto dai sentimenti, dalle emozioni, dalle riflessioni che accomunano i vari protagonisti e rendono i racconti strettamente collegati tra di loro, quasi a costituire i capitoli di un romanzo. L’allegria forzata che il padre separato propone al figlio (Gli angeli dell’Alevè) o l’accondiscendenza nei confronti dell’adolescente distratta portata in vacanza in un luogo a lei (e forse solo a lei) congegnale (Sulla giostra del Geò) individuano un nodo cruciale di questa assenza della figura paterna che al di là dell’assenza di tempo, non ha più il prestigio di far condividere al figlio qualcosa che lo appassioni. Il primo racconto di carattere autobiografico mostra invece una figura paterna 23 forte che, pur nella diversità delle scelte compiute dal figlio una volta adulto, non potrà mai essere né tradita né negata, ma diventa (recuperata la tenerezza senza pudori dell’uomo adulto) simbolo di affetti solidi e di insegnamenti duraturi. (Il cappello di mio padre) Vi è poi la storia di Josè, un padre disperato allontanato dalla propria terra africana (Angola), che, imprigionato con il figlio bambino, si uccide perché solo così potrà assicurare la vita a suo figlio.(E liberaci dal male) Poi quella di una padre antimilitarista che si relazione con imbarazzo e difficoltà con il figlio “guerrafondaio” (Fathers in arms) e quella di un padre che passeggia allo zoo con la figlia sedicenne e rimugina, tenta di scrutarne i pensieri e di osservarne le reazioni, imbarazzato e incerto.(Un cretino in giro) E poi la figura di un padre-prete, Don Nino, da cui tanti ragazzi hanno imparato il significato dell’esistenza, hanno appreso la gioia di vivere e di stare insieme, un padre-prete che ha inculcato in loro la speranza e l’entusiasmo.(Quattro passi) Ma forse il problema non si limita alla difficoltà d’interpretare il proprio ruolo paterno in un mondo problematico, in rapida e spietata evoluzione come il nostro, quanto nel ritrovare un nuovo senso del proprio essere maschio (avventure di maschi perplessi, recita il sottotitolo) che, frantumatasi la vecchia maschera millenaria, inventi diverse e più avanzate capacità di relazione non solo con tutto l’universo femminile, finalmente in un rapporto “tra uguali”, ma anche con gli altri uomini. Da questa reinvenzione, che non si basa più su una società“fallocratica”,può nascere anche il corretto ruolo paterno del terzo millennio, capace di soddisfare chi lo riveste e nuovamente prezioso per chi, come i figli, vi si confronta. La narrazione si articola su due linee che spesso coincidono: da un lato l’affetto particolare, speciale per la natura e per la montagna (quanto è grande il significato dell’imponente Monviso e quanto è importante riuscire a scalarlo!) (Il mio Kailash); dall’altro la straordinaria semplicità del raccontare, la leggerezza di una narrazione che, procedendo filata e senza inciampi, mai trascura l’attenzione per la vita, spesso nascosta nelle cose piccole o nelle pieghe oscure, l’attenzione per i momenti di malinconia. Intervista a Carlo Grande Padri inquieti, soli, divorziati; uomini che sono ancora figli e che desiderano 24 cambiare; maschi alle prese con mogli e prole che non bastano più, persone che vedono sbiadire la loro autorevolezza e prevalere il branco di maschi in lotta l’uno contro l’altro, a caccia di donne, sesso, potere. Dopo due fortunati romanzi, La via dei lupi e La cavalcata selvaggia, Carlo Grande pubblica Padri. Storie di maschi perplessi, raccolta di racconti legati a un tema moderno e antico nello stesso tempo: la paternità. Storie intense, spregiudicate nella loro ricerca di verità, che portano sulla scena una galleria di uomini alle prese con i tanti modi di essere padre: uno ”status“ non solo biologico. Essere padri significa crescere, lottare con gli istinti del maschio e diventare affidabili, andare attraverso la vita a testa alta, con consapevolezza e audacia. Ne abbiamo parlato con lui. D. Apparentemente un cambio di rotta, rispetto ai libri precedenti. R. In realtà è lo stesso discorso che continua: ho declinato in termini contemporanei i protagonisti dei miei primi due romanzi, il ribelle Francesco di Bardonecchia e il pilota Gaspare Pribaz, due figure inquiete, irriducibili, che cercano in sé e nelle loro azioni, pagando di persona, il “vir” latino, l’uomo per eccellenza. Ogni scrittore scrive sempre lo stesso libro, in forme diverse. Sono storie simboliche, ho cercato di riflettere su cosa vuol dire essere uomini oggi. D. Con che cosa devono combattere, oggi, gli uomini? Immagini dell’incontro con Carlo Grande R. Quelli dei miei racconti sono individui incerti ma passionali, ironici, gente alla ricerca di un punto fermo, di una via di scampo al conformismo, al senso di inadeguatezza nel quale ci costringe la società delle macchine e della pseudo-efficienza. Spesso sono persone sole, a volte sbandate, in fuga senza che nessuno le insegua; alla ricerca di un’identità che ai giorni nostri pare sempre più sfocata, indefinibile. 25 D. La figura antica e solida del padre, lei sembra dire, sta scomparendo. R. Da un lato è un bene, se pensiamo al dio-padre, al padre-monarca o al padrepadrone. Ma è la perdita generale di autorevolezza, che crea scompiglio e solitudine. Si naviga a vista: in un racconto narro di un padre pacifista di fronte al bambino che adora guerra; in un altro descrivo un padre sessualmente inquieto, in piena crisi di mezza età, con la voglia di scappare di casa: allo zoo, con la giovane figlia, assiste esterrefatto alle evoluzioni erotiche dei bonobo, scimmie che hanno sostituito la violenza con il sesso: lo fanno ogni 65 minuti, con tutti i partner possibili e in tutte le posizioni immaginabili, compreso il bacio in bocca con la lingua. Per questo sono adorate da pacifisti, femministe (nella società bonobo comandano le femmine) e gay. Forse è quello che di più simile ai nostri progenitori ci rimane. D. I nostri antenati e il sesso ”estremo“: un paradosso che fa riflettere. R. Sì, ma non c’è compiacimento. È un tema coinvolgente e a tratti divertente, questo sì. Tutti parliamo o fantastichiamo del sesso, ma viviamo in un immenso, pornografico e commerciale ”vorrei ma non posso“. Il più bel “gioco” del mondo è ridotto a merce, come il corpo della donna e le pulsioni maschili. Anche noi uomini rischiamo di rimanere frullati da quest’orgia di stimoli fasulli, che producono solo frustrazione. D. In questo racconto si è ispirato al lavoro di uno psicanalista? R. Sì, Luigi Zoja, junghiamo, bravissimo, in un saggio straordinario intitolato “Il gesto di Ettore” indaga la drammatica “psicopatologia collettiva” in cui viviamo. A partire da figure letterarie come Ettore, Ulisse, Achille, Enea, analizza la scomparsa del padre, cioè dell’uomo che deve avere in sé la forza e la dolcezza insieme, che dev’ essere affidabile, che sa combattere e fare una scelta. Ripeto, oggi noi uomini, per motivi spesso squisitamente commerciali, siamo risucchiati indietro nei millenni, dalla condizione di padri torniamo a essere solo maschi che cercano l’avventura sessuale e la promiscuità. Mentre io penso che bisognerebbe possedere il sesso, non esserne posseduti, perché è la cosa più seria, più divertente e più rivoluzionaria del mondo. Non è una ginnastica, non è uno squallido espediente per vendere prodotti. Così parlo delle origini della coppia e dei padri, della natura profonda dei maschi e delle femmine, del piacere e del sesso, non ginnastica o esercizio di potere, ma legame,“laboratorio della 26 vita psichica”. Di impulsi ne riceviamo persino troppi, oggi. Per questo parlo del fiume impetuoso degli istinti e dell’argine per contenerlo, della nave di Ulisse che parte e dell’ancora per fermarla. Oggi chi battezza più, con l’acqua del padre? Pochi padri, pochi nonni. Nessuno racconta più come si fa a diventare uomini. Il fondamento del vivere civile, colui che si assume le responsabilità, è al tramonto, almeno in questa epoca. Sono scomparsi Enea, Ettore e Ulisse, la voce dei padri è sprofondata nell’inconscio, non si sente più. Rimane il branco dei maschi, in lotta tutti contro tutti. Il padre del mio racconto si accorge che a lui chiedono solo di essere maschio, di consumare merci, donne e sentimenti. E a modo suo si ribella, con tutte le sue contraddizioni. D. E gli altri “padri” quali crisi vivono? R. Crisi simili: rimpiangono l’autorevolezza, anche se è fatta di luci e ombre. Un uomo a metà della vita ricorda la prima battuta di caccia con suo padre, quand’era ragazzino e dovette sparare con un fucile vero. Una specie di rito di passaggio, compiuto per compiacerlo. Un altro va al Club vacanze con moglie e figlia e lotta tutto il tempo con garruli animatori, sempre allegri e invadenti, mentre moglie e figlia li adorano. Dovrà confrontarsi anche con loro, per amore della ragazzina. In un racconto descrivo le ultime ore di Manuel Bravo, l’angolano che si è ucciso in Inghilterra pensando di dare un futuro al figlio. Un padre d’altri tempi, un padre-eroe. Storia-limite, certo, ma ci fa intuire che qualche padre vero esiste ancora. D. Il padre come luogo dello spirito, insomma. R. Sì, che ci spinge a essere migliori. D. Insomma, dopo il romanzo storico l’attualità. R. Faccio fatica a ragionare in questi termini. Se una storia è bella, in qualsiasi epoca si sia svolta, vale la pena di raccontarla. Continuo a pensare che sentimenti e necessità umane siano sempre gli stessi: stomaco pieno, tetto sulla testa, sesso soddisfacente e, last but not least, una qualche risposta al bisogno di spiritualità, di arte, di assoluto. Ho cercato soprattutto di abbandonarmi all’emozione di certe situazioni, e di raccontarle. Non scrivo per fare saggi di bravura o esercizi di intelligenza. Non mi basta.“Only emotions endures”, diceva Pound.“L’essenziale è invisibile agli occhi”, dico con Saint-Exupéry. Troppo a lungo lo abbiamo dimenticato. 27 Father’s in arms Racconto di Carlo Grande Mattia guarda con certi occhi sgranati, davanti al metal detector dell’aeroporto: sembra avere qualcosa da farsi perdonare. Ficca le mani in tasca: “Ho dimenticato il Kalashniskov” dice. Fruga ed estrae un pezzetto di plastica di due centimetri, l’arma di un soldatino. La mostra, sul palmo della mano.“Dallo a me” dico,“tanto è scarico”. La signorina in divisa sorride e lascia passare. Mio figlio è un bambino meraviglioso: ha sette anni e scrive raccontini, cammina in montagna,sa nuotare e andare sott’acqua;parla inglese e ha ottimi voti a scuola. Ma ha la passione per la guerra e per le armi: i suoi videogiochi sono “Call of Duty”, “Age of Empire”, un’infinità di “sparatutto” e “picchiaduro”. Grandi battaglie, eroiche missioni e spostamenti di truppe. Grandi macelli. Il gioco del “Tu eri …” (“Tu eri un capitano, tu eri un pilota …”) lo porta lontano, su fronti di guerra: Midway, Stalingrado, Selva di Teutoburgo. Passa molto tempo tra pistole, mitra e fucili, conosce a menadito carriarmati, contraeree “Flack 88 mm” e MG42, MP40 e obici da 89. I suoi occhi di bambino vedono interminabili schieramenti di eserciti, elicotteri, autoblindo, incrociatori e bombardieri. “Papà, è solo per gioco” dice. Speriamo. In certi momenti mi appare così fragile. “Il faut regarder toute la vie avec des yeux d’enfants” diceva Henri Matisse. E la Dolto consigliava di stare dalla parte dei piccoli selvaggi anche se calpestano i fiori, schiacciano le formiche e molestano gli animali. I bambini, distruttori per aimance, diceva lei che era psicologa. Ma io che sono un padre perplesso di fronte a queste piccole gioie crudeli, prive di sensi di colpa, ricordo con una punta di rimorso quando andavo a caccia di uccelli e facevo la posta ai pesci dell’acquario, come un gatto. E mi interrogo sull’istinto di menare le mani dei maschi, sul sadismo e sull’indole violenta che alberga in ognuno di noi. Spio mio figlio al ristorante, mentre impugna la forchetta come un pugnale, la bocca piena e la guancia appoggiata alla mano, guardando in aria. Chissà a cosa pensa. Avrà cento desideri, come tutti i bambini. Prende il cucchiaio e comincia a colpire il tavolo, sempre più forte. “Non battere” gli dico. Adesso è così, penso. Passerà. Ma ho paura. Diventerà un violento, una di quelle persone aggressive, che sempre più spesso si vedono in giro e che detesto ? Forse sono troppo apprensivo. Forse dovrei sorriderci su e basta, come davanti a Charlot 28 che offre un fiore all’innamorata e poi lo mangia. L’altro giorno, ai giardinetti, correvano in cinque, armati fino ai denti, con elmetti e calzoni mimetici. Una signora li ha fermati: “Ehi bambini, alla vostra età dovreste giocare con le gru e i camioncini” ha detto. “Mica è una guerra vera” ha risposto Mattia, “è per finta”. E’ senz’altro così. C’è tempo per Thoreau, Von Clauserwitz, Gandhi e l’Hagakure. Ma io, che da bambino tenevo per gli indiani e per i sudisti, io che ho fatto l’obiettore di coscienza, ho un figlio che sta dalla parte dei tedeschi e del generale Custer. E’ solo un gioco, mi dico, cerco di spiegargli. Lo tengo d’occhio e non gli compro quella roba, ma è difficile, gli fanno i regali, io faccio quel che posso, con il carattere di Mattia mica è facile. Al campeggio staremo finalmente un po’ insieme. In spiaggia ha costruito un fortino: cannoni, bunker, sottopassi, camminamenti. Prendo un pezzetto d’alga e ci metto un campo di calcetto: “ I soldati faranno un po’ di sport, no ?”. Rincalza le mura e butta l’alga, senza dir niente. Macché sport. Solo guerra. “Cattura” tre bambine, le arma e le mette di guardia al fortino. Lo spalmo di crema. “Che caldo!” dice. “Sembra come quando faccio i videogiochi, che ho sempre le orecchie caldissime e rossissime. Se prendo una scottatura…mi rado al suolo”. Un adolescente, davanti a noi, dorme vicino alla fidanzatina, sconvolto dalla canicola e dalla notte insonne passata in spiaggia. Lo guardo e immagino l’uomo che sarà Mattia. “Miii, Antonio, sei tutto rosso…” dice lei. Ecco, si è scottato. La ragazza va verso il mare, riempie la lattina vuota di coca, torna e gliela versa pietosamente sulle spalle. Mattia dovrà badare a se stesso un giorno. Ci sarà qualcuno, ad accudirlo? Non voglio che cresca indifeso, che lo feriscano. Dicono che i fucili per certa gente siano un simbolo di virilità. A me sembra ridicolo, non voglio che diventi così. Non voglio che diventi cattivo. Ricordo quando avevo due anni e ancora non parlava: mi sorrideva dal seggiolone, un sorriso timido, mentre mi avvicinavo, come se dicesse “Posso fidarmi?”. Dondolava le testa e la inclinava di lato in un modo vezzoso, mi sono avvicinato per accarezzarlo, lui ha allungato il palmo della mano e l’ha appoggiato sulla mia faccia, poi mi ha preso il mignolo e ha cominciato a succhiarlo. C’era tutto, in quei gesti, c’erano paura e stupore, l’immenso stupore per il mondo. Vorrei dirgli di fare il bravo, di non avere mai paura e di coltivare la speranza. Di avere la compassione vera, insomma, quella profonda, che salva. Vorrei che fosse coraggioso, indipendente, imprevedibile: e pazienza se qualche volta il prezzo che pagherà sarà la paura. 29 E’ che a quarant’ anni, specie di questi tempi, le cose sono maledettamente complicate. Mica è come nei film americani, che le famiglie si ritrovano in salvo, che lui e lei si baciano e i bambini abbracciano i genitori. Viviamo in una grande melassa nella quale è facile perdere la strada. Navighiamo a vista. La verità sono i kamikaze, quelli che sparano dai tetti, che vanno a scuola armati, quelli col coltello fra i denti, anche in ufficio. Speriamo, speriamo tanto. Ascolto l’MP3. “Cosa senti?” chiede Mattia. “Brothers in Arms, la canzone pacifista dei Dire Straits”. “E’il titolo di un videogioco di guerra” risponde. Guarda verso la collina. “Bello quel boschetto, andiamo a giocare?” “Andiamo” dico. E’ quasi ora di pranzo, mi sono stufato della spiaggia. Attraversiamo la pineta, respiro a pieni polmoni una brezza che sembra di montagna. Che ci vede lui, nel bosco? Guerriglia, imboscate, azioni di commando o la quiete, il mistero, sentieri da esplorare e alture da raggiungere, come vedo io? Raccoglie rami e foglie, costruisce un rifugio. Prende cinque bastoni, li battezza: quello medio è un Kalashnikov, quello corto un Luger, il più lungo un KR 98, “con ottica” precisa. Da e riceve ordini con amichetti immaginari, mitraglia e sputa facendo i botti del mortaio, si tappa le orecchie, lancia una granata e crolla a terra, rotola ferito. Si rialza, si apposta dietro a una roccia. “Basta” ordino, “andiamo a mangiare”. Fa ancora due balzi, resta lontano, completa l’azione di guerra. Gira un po’ alla larga poi ritorna verso di me, come fanno i gatti. Mi dà la mano e abbandona le armi “Non prendi la Luger” chiedo. “Macché, Luger, sono solo pezzi di legno”. Così ci incamminiamo,disarmati, verso la pastasciutta. 30 La figura del padre nel Disegno del Cerchio Familiare Il cerchio circoscrive lo spazio di vita del nucleo familiare ed il suo scopo è quello di valutare, in base all’individuazione dei territori e delle linee impiegate, la fiducia o l’importanza che l’individuo, in questo caso il padre, immagina di godere all’interno del proprio nucleo familiare. I presupposti teorici di questo test sono pertanto da ricercarsi nei principi su cui si basano tutti i test grafici proiettivi e primo fra tutti il test del disegno della famiglia. Ma il disegno della famiglia mal si adatta ad essere proposto agli adolescenti e agli adulti in quanto, finita l’infanzia, vi è una inibizione di ogni espressione raffigurativa a meno che non vi sia una predisposizione naturale al disegno. Gli spazi che entro il cerchio delimitano le singole persone del nucleo familiare acquistano un vero significato simbolico, quello delle persone stesse; o meglio assumono il significato del nostro spazio relazionale in riferimento al personaggio rappresentato. Di conseguenza , l’ampiezza dello spazio, la sua collocazione all’interno del cerchio, il tratto con cui è segnato, l’ordine che occupa nella sequenza dell’esecuzione costituiscono importanti indici per la valutazione dei vissuti e dei legami che un soggetto, nel nostro caso il padre, intesse all’interno della propria famiglia. Il cerchio familiare desidera evidenziare la composizione della famiglia interna di un soggetto, i membri per lui più significativi, la posizione che ciascun membro occupa all’interno del suo spazio mentale. Lo scopo non è interpretativo ma principalmente narrativo perché consente a ciascuno, una volta effettuata la rappresentazione grafica, di raccontare di sé come padre e dei suoi rapporti con gli altri componenti della famiglia. Viene consegnato un foglio con il disegno di un grande cerchio; le richieste sono due: 1. “Questo cerchio rappresenta la tua famiglia; traccia con la matita all’interno del cerchio l’area che pensi di occupare come padre”. 2. “Ora delimita, sempre all’interno di questo cerchio, lo spazio che pensi occupino gli altri membri della tua famiglia”. Pd Md Fg Figura 1. – Disegno del cerchio familiare di G. padre di un figlio di 4 anni. Il padre si rappresenta in una parte limitata del cerchio. La parte centrale, più ampia, è occupata dalla madre che ingloba lo spazio occupato dal figlio. “Io mi sento ai margini della famiglia, un po’ tagliato fuori. Mio figlio tende a riferirsi sempre alla madre”. 31 Figura 2. - Disegno del cerchio familiare di P. padre di due figli, uno di 12 anni (Fg1) e uno di Pd 16 anni (Fg.2). Padre e madre , secondo la sua rappresentazione grafica, occupano una metà Fg1 Fg.2 del cerchio in quanto entrambi si occupano della gestione della casa e dei figli in ugual Md misura dovendo lavorare tutti e due. Vi è una sovrapposizione tra di loro nei compiti e nei ruoli all’interno della famiglia. I due figli non sembrano avere uno spazio proprio in quanto il loro spazio si interseca equamente con quello dei genitori. Il figlio di 16 anni occupa uno spazio maggiore perché nell’ultimo periodo ha avuto dei momenti difficili e questo ha creato preoccupazione nei genitori e un coinvolgimento maggiore da parte loro. “Il fatto che occupi uno spazio così grande non è positivo, è più il frutto di una nostra preoccupazione per lui in questo momento difficile della sua vita”. Tra i fratelli non vi sono spazi di interazione significativa presumibilmente per la differenza di età. Figura 3. – Disegno del cerchio familiare di F. di 16 anni. Il ragazzo che fa parte del nucleo Pd familiare rappresentato precedentemente dal padre, si disegna in un settore del tutto separato Io dagli altri. Tutti occupano un loro settore senza intersecazioni tra di loro. F. sta vivendo un Md Fr momento di difficoltà che lui reputa essere principalmente legato alle limitazioni che i suoi genitori gli impongono e ai conflitti che per questo avvengono tra di loro. Il suo desiderio è di staccarsi dalla famiglia e vivere maggiori momenti fuori casa, soprattutto con gli amici. Col padre in particolare in questo momento avvengono i contrasti maggiori : “ … si preoccupa troppo e crede che io faccia chissà cosa, fuori casa. Io voglio vivere la mia vita…”. E’ interessante notare le differenti rappresentazioni che padre e figlio danno della stessa dinamica familiare. La realtà oggettiva , come quella familiare, viene percepita e vissuta in modo diverso a seconda dei vari componenti e sembra determinare delle rappresentazioni diverse che è necessario conoscere per capire come soggettivamente viene interpretata la realtà (“La mappa non è il territorio”) ed agire di conseguenza. 32 Figura 4. - I genitori sono separati da due anni e il padre rappresenta la distanza che vi è tra di loro separando i due Fg1 settori che rappresentano padre e madre. I figli di 8 e 11 anni vivono con la madre Pd Md e vedono regolarmente il padre più volte la settimana e per questo lo spazio che i Fg2 due figli occupano nel cerchio interseca quello di entrambi i genitori. “ Mi sento un genitore ad ore, mi manca la continuità del quotidiano; ma quando ci sono cerco di essere disponibile a tempo pieno anche se vi è il rischio di diventare solo il padre dello svago e del divertimento”. Riferimento bibliografico: Quaglia Rocco, Il Disegno del Cerchio familiare, Torino, Utet, 2000. 33 I nuovi papà di Simona Argentieri Sono teneri e sensibili, cambiano i pannolini e danno il biberon, alternandosi alle mamme senza ostentazione né imbarazzo. Ma fino a che punto sono meglio dei padri di una volta? Le profonde mutazioni della coppia e della famiglia dei nostri tempi confusi (meno figli, più divorzi, unioni instabili e atipiche...) sono spesso evocate da psicologi e sociologi con toni di cupa inquietudine. C’è però un fenomeno - semplice, comune, ben visibile a tutti - che è invece, almeno a prima vista, tenero e rassicurante: quello dei nuovi padri. Sono uomini capaci di rivoltare abilmente nelle loro manone un neonato da cambiare, disponibili ad alternarsi con la madre al biberon o ad accorrere se il piccolo si sveglia di notte: sensibili e gentili, sono in grado di assolvere a tutte le funzioni del maternage con grande naturalezza, senza alcuna ostentazione ideologica (come invece avveniva da parte degli uomini delle passate generazioni quando eccezionalmente e occasionalmente prendevano il posto della mamma): e, soprattutto, senza lo scompiglio emotivo che contraddistingueva i papà di un tempo, imbarazzati solo a tenere in braccio un neonato, capaci di comunicare con i figli solo dopo che avessero imparato sport e congiuntivi. Questa trasformazione - forse proprio perché è generalmente vissuta come positiva - ha sollevato finora poche riflessioni teoriche, anche nell’ambito della psicoanalisi moderna, tutta assorbita invece a esplorare i livelli precoci del rapporto madre-bambino. In una prospettiva storica, non si può dire che la psicoanalisi abbia trascurato di dare rilievo al tema della figura paterna. Sigmund Freud e i suoi seguaci di prima generazione hanno indicato il padre come colui che promuove il conflitto e la crescita; fulcro del complesso di edipico maschile o femminile, è inteso come il depositario della parola e della legge. Tuttavia la sua figura è stata considerata pressoché esclusivamente dal versante del figlio, per il senso che assume nel suo processo di sviluppo. Raramente, invece, ci si è impegnati di analizzare le complesse vicissitudini dell’identità e degli affetti che accompagnano il diventare padre di un giovane uomo. La nascita di un bambino può riattivare in lui antichi timori di abbandono, gelosia e rivalità nei confronti del piccolo, oltre che invidia per la capacità 34 generatrice della compagna. Da circa mezzo secolo, inoltre, da quando il sociologo Alexander Mitscherlich intitolò la sua opera più conosciuta Verso una società senza padre, domina nella cultura occidentale la retorica dell’assenza della figura paterna. Da tiranno ad assente In effetti, il generale decadimento del cosiddetto principio d’autorità non poteva non travolgere - nel bene e nel male - anche l’immagine del Padre (con la maiuscola) e la sua valenza simbolica di potere assoluto. Spesso, per esempio,nelle notazioni cliniche psicologiche relative alla storia familiare di un paziente , troviamo annotata “l’assenza del padre”, seguendo uno stereotipo che ormai non richiede più specificazioni su quanto tale mancanza sia una latitanza materiale oppure affettiva. Con sgomento assistiamo al passaggio, quasi senza soluzione di continuità, del padre padrone al padre che non c’è. Il padre tiranno del passato, affettivamente lontano e deputato solo al sostentamento economico e all’amministrazione delle punizioni, è definitivamente uscito di scena, mentre si determinano nuovi tipi di assenza. A seguito di separazioni e divorzi che quasi sempre vedono i figli affidati alle madri, aumentano i padri emarginati; talora ben lieti di sentirsi liberi e scaricati dalle responsabilità familiari; talora invece rancorosi e sofferenti. Così la comparsa dei nuovi padri materni (detti talvolta con una nota di svalutante ironia i nuovi “mammi”) si intreccia con la crisi della figura paterna tradizionale. D’altronde, oggi siamo in grado di capire come – parallelamente allo sconvolgimento che si determina in una donna quando diventa madre – anche diventare padre scateni inevitabilmente una crisi d’identità, che si manifesta in modi collaterali e camuffati: fughe, tradimenti, crisi depressive, malattie del corpo, incidenti… Lo psicoanalista Adolfo Pazzagli lo chiama “il travaglio della paternità”; troppo spesso gli uomini a fronte della responsabilità di diventare padre praticano essenzialmente tre soluzioni; o fuggono, o fanno i bambini o fanno le mamme. I “padri materni” non sono però un frutto esclusivo del nostro tempo; a mio parere, sono invece la rappresentazione di una fantasia segreta – eterna e universale di maschi e femmine – di ricevere protezione da una figura 35 genitoriale che assommi le caratteristiche di un papà e di una mamma idealizzati: un’immagine forte e protettiva, ma anche tenera e buona, esente da conflitti, contrasti, sessualità, aggressività. In passato, l’emblema del padre materno era la figura di San Giuseppe, dalla virilità svalutata ma rassicurante. Ciò sembra testimoniare che, grazie alle battaglie femminili, che hanno conquistato ormai solidamente per le donne il diritto a un esistenza completa di intelletto e di affetti, anche i maschi, sia pure dopo drammatici travagli, hanno beneficiato di questa rivoluzione. A loro volta, hanno acquistato la possibilità di vivere simmetricamente una parte di sé negletta e ripudiata per secoli: quella della sensualità primitiva, della tenerezza, dei livelli simbiotici arcaici senza conflitto. Non possiamo però nasconderci l’inquietudine che di queste conquiste venga fatto un uso distorto. Ne conseguono infatti nuovi interrogativi: per esempio che cosa possa comportare nel processo di sviluppo di un bambino ricevere fin dai primi momenti dell’esistenza gli accadimenti sia della madre che del padre; se un uomo o una donna svolgano in modo differente la cosiddetta funzione materna e se questi cambiamenti comportamentali corrispondano anche a trasformazioni delle strutture psicologiche sottostanti dei genitori. Personalmente, penso che conti abbastanza poco come i papà cullano i bambini, come li tengono in braccio, con quale timbro di voce cantano la ninna nanna. Nella prima infanzia il bisogno è quello di cure costanti, e poco importa il sesso anagrafico di chi le fornisce e di chi le riceve. Ma in questo nuovo assetto non è facile per nessuno trovare la giusta misura. Per un uomo, per esempio, è arduo condividere l’esperienza delle cure primarie ai figli senza usurpare l’identità della madre: poter essere, insomma, un padre materno senza diventare un mammo. Talvolta nelle coppie si possono stabilire nuove collusioni inconsce, in cui le donne sfuggono alle ansie del rapporto primario con il neonato (parti in anestesia, separazione precoce madre-bambino, rinuncia all’allattamento al seno…) mentre gli uomini occupano prontamente questo spazio vacante, “risolvendo” in modo apparentemente pacifico la loro invidia ed eludendo clandestinamente la fatica di esprimere la loro incerta mascolinità. 36 I padri hanno conquistato aspetti autentici del rapporto con i bambini, ma talora ad altri livelli: quelli delle funzioni paterne, che un tempo (a torto) si consideravano specificamente maschili. In realtà si tratta delle funzioni adulte, al servizio del conflitto sano e vitale, delle passioni, della strutturazione della personalità e della crescita psicologica. Nell’attuale tendenza collettiva alla regressione verso l’indifferenziato, uomini e donne sono disponibili a fare le mamme, ma nessuno fa più il padre. E sempre più spesso vediamo famiglie cosiddette monogenitoriali, nelle quali i figli – o magari l’unico figlio – crescono con un genitore solo, quasi sempre una mamma single, a sua volta priva di modelli consolidati, che deve svolgere come sa e come può tutte le funzioni. 37 Sufficientemente buono L’uomo che fa la mamma a oltranza si identifica segretamente con una madre idealizzata, ma al tempo stesso si identifica con il bambino. La fantasia inconscia è di essere lui quel piccolo adorato, e di appagare attraverso le cure che gli profonde il proprio inesauribile nostalgico bisogno di regressione senza conflitto. Un’ambiguità fascinosa che, sia detto a onor di giustizia, per secoli, troppo spesso, hanno esercitato impunemente le madri. Passata la prima infanzia, anche il “mammo” più devoto diventerà però deludente. Tenero sì, ma forte? Quale autentica protezione potrà continuare a offrire rispetto agli insulti della realtà? L’idillio, come ogni rapporto basato sull’idealizzazione, è destinato a un’inesorabile delusione, e il prezzo del disinganno può essere allora molto oneroso: carico di rabbia e di sterili rivendicazioni da parte dei figli; di umiliazione, depressione, risentimento da parte del padre, che non si vede più rispecchiato come perfetto. Il genitore migliore, infatti, secondo le concezioni psicoanalitiche, non è quello perfetto, ma quello “sufficientemente buono”, che prepara gradualmente il figlio alle frustrazioni della vita. L’esperienza clinica e quella quotidiana testimoniano che per molti non ha più molto senso sfidare l’autorità dei genitori che, da almeno due generazioni, sembrano avere abdicato non solo dall’autorità e dall’autorevolezza:ma anche dalla funzione adulta normativa, punitiva e protettiva. Il paradosso è che se il superamento dell’asimmetria tra genitori e figli ha prodotto significativi vantaggi sul piano della libertà e del rispetto umano, per contro ha smorzato la spinta propulsiva verso l’uccisione simbolica, quell’aggressività sana che favorisce la crescita. Un’identità più completa In conclusione, sembra inutile – e anche ingiusto – continuare ad alimentare il coro delle lamentazioni sul padre assente, sull’uomo debole. In una società di eterni adolescenti, senza “padri della patria”, senza padri celesti, perché dovremmo pretendere proprio dai giovani uomini – e non solo da loro – l’esercizio della norma e della legge, della funzione “ortopedica” normativa, del saldo argine dell’aggressività altrui? I più onesti, i più intelligenti, i più sensati tra gli uomini moderni hanno già fatto le loro autocritiche; non hanno alcuna voglia di riprendersi il peso di un potere tanto scomodo e neppure di sentirsi perpetuamente in debito per le colpe dei loro avi. 38 Padri e madri, biologici o adottivi, uomini e donne, nonni e tate, coppie e single, omosessuali ed eterosessuali… Questa è ormai la società nella quale viviamo, con strutture familiari sempre più variabili e atipiche. La psicoanalisi, d’altronde, non ha e non può avere una teoria normativa su come debbano essere le relazioni “giuste”: può solo indagare ciò che accade ai livelli profondi, interpersonali e intrapsichici, dietro le trasformazioni dei nostri comportamenti. In tale contesto, è naturale e necessario – e comunque già accaduto – che ciascuno di noi, per vivere e praticare un reciproco aiuto, svolga tante funzioni, dinamicamente variabili e interscambiabili, non più rigidamente codificate dal sesso e dalle generazioni come avveniva un tempo. Tutto ciò offre a donne e uomini possibilità nuove per costruirsi un’identità ricca e completa, libera dalle mutilazioni e dalle scissioni del passato; ma, come è inevitabile, fa anche correre il rischio di rifugiarsi in soluzioni regressive, verso l’indifferenziazione come difesa. Un benvenuto, dunque, ai nuovi padri che fanno le mamme, se non usano questo ruolo per spodestare le madri e per eludere il compito paterno; ma sarà giusto che si aspettino dalle loro compagne altrettanta duttilità e la disponibilità a condividere la fatica di svolgere le funzioni adulte. (Tratto dal libro di Simona Argentieri Il padre materno. Da San Giuseppe ai nuovi mammi, Meltemi, 1999). 39 IDENTIKIT DEL PAPÀ ITALIANO Curiosando tra statistiche, ricerche e sondaggi: ecco cosa fanno e cosa non fanno i padri di casa nostra E’ piuttosto deprimente l’immagine del papà italiano che esce fuori da statistiche, ricerche e sondaggi. Anzi, in alcuni casi non “esce” neppure. Eppure questo è un dato da valutare. Quanti anni hanno i papà italiani? A che età gli uomini decidono oggi di diventare papà? Quanti figli hanno in media? Difficile saperlo: “Analisi statistiche di questo tipo, rivelano all’Istat, sono elaborate soprattutto al femminile”. Papà fantasma. Oppure sotto accusa. Il colpo di grazia è arrivato nel novembre scorso da “Help me”, una associazione di psicologi volontari che sulla base di una ricerca realizzata in otto Paesi ha decretato:“il padre italiano è il peggiore d’Europa”. Secondo i risultati di oltre 3 mila interviste i nostri papà dedicano mediamente ai figli solo 22 minuti al giorno. Peggio dei portoghesi (34 minuti), peggio degli spagnoli (36 minuti) e molto, molto lontano dai bravi papà svedesi e danesi, che alla prole dedicano un’ora al giorno. E non basta, quando ci sono, sottolineava la ricerca di “Help me”, i papà italiani certo non si occupano dei problemi veri: solo il 7%, ad esempio, si dedica attivamente nell’aiutare i figli a fare i compiti scolastici. Ci sarebbe di che vergognarsi, se non fosse che, come capita spesso, per ogni ricerca che afferma una cosa, ce ne sempre un’altra che assicura il contrario. Poco meno di un anno e mezzo fa, infatti, una indagine svolta dal mensile “Insieme” aveva rivelato che il 48% dei papà italiani trascorre con i figli tre ore al giorno e solo il 12% dedica loro meno di un’ora. Meno disastrosi, per quanto riguarda il rapporto dei padri con l’impegno scolastico dei figli, anche i risultati di una ricerca svolta dall’Istat nel 1998 e resa nota lo scorso anno. Secondo l’Istituto statistico nazionale il 20% dei bambini delle elementari sono seguito dai papà, anche se la percentuale si riduce al 10,6% alle medie e al 6,4% alle superiori. Certo, i papà potrebbero fare di più. Ma l’analisi dei dati può essere soggettiva: c’è chi considera il bicchiere mezzo vuoto e chi lo considera mezzo pieno. L’Annuario statistico dell’Istat 1999 ha rivelato come si rendono utili in casa i papà italiani alle prese con bambini piccoli da zero a 2 anni: il 23,9% dei padri mette a letto i figli tutte le sere, il 19,2% fa da mangiare, il 18,4% cambia 40 il pannolino, il 15,7% veste i figli e solo il 7,7% si occupa regolarmente del bagnetto. Non è molto, ma se consideriamo che solo da pochi decenni i padri sono alle prese con questo nuovo “ruolo domestico” forse non è neppure poco. Diamogli tempo. Riconoscendo loro che almeno sul fronte del tempo libero passato con i figli qualche passo avanti lo hanno fatto. Qui il divario con le mamme è meno grave. Nei giorni feriali, rivela sempre l’Istat, i bambini giocano con la madre nel 30,4% dei casi e con il padre nel 22%. Ma nei giorni festivi le quote salgano e le posizioni si invertono: il 38,7% dei bambini gioca con la mamma, il 39,9% con il papà. Con i padri si fanno soprattutto giochi di movimento (43,% dei bambini) e ci si sfida davanti al computer (30% circa). Tra i videogiochi preferiti le corse d’automobili. Che ai padri piacciono però solo sul computer. Una curiosa ricerca dell’Unione delle autoscuole ha rivelato che sono soprattutto i padri a preoccuparsi quando i figli neopatentati si mettono al volante. Ogni volta che prende la macchina il 57% dei giovani riceve puntualmente dal padre raccomandazioni e consigli. Considerati ovviamente “assillanti ed inutili”. Eccoli qua i papà italiani. Troppo assenti quando i figli sono piccoli e troppo presenti quando sono grandi. Giovani padri inconsapevoli e maturi papà rompiscatole. 41 I PADRI DELLA PUBBLICITÀ Maltrattati, dimenticati, ridicolarizzati: ecco i risultati impietosi di una indagine del Censis sugli spot È lontana, ormai, l’epoca in cui Gavino Ledda descriveva la sua infanzia nel romanzo culto Padre padrone come un periodo colmo di ristrettezze e dominato dall’autoritaria figura del genitore. Oggi, nella società dell’immagine, non sono più i papà “a portare i pantaloni”, creando, secondo alcuni, una serie di squilibri all’interno del nucleo familiare. E se ne sono accorti tutti, anche i maghi della comunicazione. Secondo uno studio del Censis sulla pubblicità - Il bambino Mediato – condotto attraverso un osservatorio biennale, la figura del padre è, attualmente, praticamente inesistente. L’uomo è privato del suo ruolo di capofamiglia, dei suoi spazi ed è ridimensionato nelle sue competenze. A differenza della madre, sempre bella e seducente, raffigurata molto più competente nell’ambito domestico e in quello professionale. Il padre… dimenticato Nella pubblicità, l’immagine del padre è presente nel 18.2 per cento dei casi, a differenza di quella della madre che appare nel 30.2 per cento degli spot televisivi, radiofonici e sulla cartellonistica. Tra i soggetti che interagiscono con il minore in una pubblicità, il padre si piazza così al terzo posto, dopo la consorte e i gruppi di bambini (25.6 per cento). Una situazione simile si presenta anche nel campo della fiction. Il rapporto padre-figlio è fortemente determinato dalla presenza della madre (28 per cento). In questo caso, la presenza del capofamiglia (20) è superata non solo da quella di gruppi di minori (28), ma anche da quella di giovani adulti (20.7). Eppure, sia nella pubblicità che nella fiction, la casa e la famiglia sono le ambientazioni più ricorrenti, rispettivamente con il 36.7 e il 44.8 per cento dei casi. Stando all’analisi degli esperti del Censis, puntare tutto sulla figura materna causa nel bambino una nuova forma di solitudine. Risultando assente il principio paterno a causa della forte determinazione di quello materno, il minore si troverebbe privo di un esempio e una guida importanti per la sua crescita. La mamma non sembra in grado di riassumere in sé entrambi i ruoli, creando in questo modo un vuoto nei piccoli e mistificando nelle percezioni degli stessi i due ruoli. In più, gli adulti che nella pubblicità appaiono accanto 42 ai bambini, hanno, solitamente, atteggiamenti affettivi, complici e paritari, il che priverebbe il minore di quella guida, a volte necessariamente autoritaria, che gli garantisca chiarezza e sicurezza. Il padre… infantile Questa rappresentazione virtuale deriverebbe dall’attuale concreta difficoltà degli adulti a trovare una precisa collocazione all’interno delle dinamiche socio-culturali, ancora a cavallo tra tradizione e modernità. Sarebbe perciò manifestazione del tentativo dell’uomo di ridefinire il suo ruolo e della donna di coltivare sempre più interessi. Lo studio del Censis porterebbe perciò in luce un bimbo privo di punti di riferimento reali e strutturanti per la sua evoluzione. Indefinite e marginali, le figure fondanti la crescita del bambino sarebbero spesso più infantili dello stesso minore. Lo “pseudo-papà pubblicitario”,detto anche “padre-fratello”,non accetterebbe l’impegno dell’età adulta, il ruolo di guida, la responsabilità e le sfide che ne derivano. Il padre tornerebbe ad essere un bambino, addirittura un neonato, che soffre una condizione di quasi inferiorità nei confronti del figlio. La parola agli spot A dimostrazione di quanto sostenuto, il rapporto del Censis sceglie tre diversi spot pubblicitari televisivi, ormai storici. In Francobolli del mondo De Agostini il figlio, un adolescente, ha un atteggiamento saccente e supponente nei confronti del padre. L’uno seduto di fronte al ragazzo, “e non fianco a fianco come di solito accade tra madre e figlio”, osservano alcuni francobolli. Ad un tratto la domanda del padre: “Cos’è?”, indicando un pezzo. “È il Penny Black”, risponde il ragazzo già un po’ infastidito. Ma il padre non capisce: “Sarebbe?”. “Ma dai pa’: è un’emissione speciale del primo francobollo della storia”, sbotta il figlio. In Filtro-fiore Bonomelli il padre siede sul divano accanto alla figlioletta che tiene tra le mani un libro. L’uomo beve la camomilla e si addormenta sereno mentre la figlia lo copre con una coperta e gli dà un bacio sulla guancia tutta soddisfatta. E quando la madre entra nella stanza, le due si scambiano un gesto complice con uno sguardo amorevole portandosi l’indice verso il naso in segno di silenzio. In Termometro Brown Thermoscan si spiega che lo strumento sanitario pubblicizzato è adatto sia per i piccoli che per i “più grandi”,rappresentati da un uomo febbricitante con grandi occhi ironici ma rassegnati. Presto la soluzione: viene usato lo stesso termometro per l’orecchio ideato per i bambini. 43 ADOTTA UNA MAMMA E IL SUO BAMBINO Il gruppo dei papà ha aderito a questo progetto utilizzando la quota prevista per l’iscrizione al corso. Perché questo progetto? - Le donne in gravidanza nei villaggi poveri lavorano per molte ore al giorno, mangiano meno degli altri componenti della famiglia e non hanno accesso a cure medico-sanitarie - Queste donne hanno rischi maggiori di complicanze durante la gravidanza e il parto - Danno alla luce bambini già malnutriti, con peso inferiore ai 2,5 Kg - La malnutrizione nei primi mesi di vita è direttamente correlata ad un ritardo nello sviluppo fisico e cerebrale Come opera? - Le operatrici sanitarie formate da CINI identificano nei villaggi le donne in gravidanza - Attraverso regolari visite a domicilio e consulenze, assicurano un’adeguata assistenza sanitaria, nutrizionale e sociale, e incoraggiano il supporto da parte, del marito, della suocera e degli altri membri della famiglia durante la gravidanza e i primi due anni di vita del bambino - Assicurano adeguati trattamenti medici e clinici nel caso di malattia della madre o del bambino ed assistenza adeguata durante il parto Obiettivi: - Assicurare una gravidanza sana attraverso un monitoraggio della crescita fetale e controlli regolari della madre - Assistere un parto sicuro con levatrici professionali - Ottenere un peso alla nascita di almeno 2,5 Kg - Promuovere l’allattamento al seno, vaccinare il nuovo nato e seguirne la crescita - Assicurare trattamenti sanitari tempestivi per le malattie infantili comuni presso l’ospedale e gli ambulatori di CINI o pubblici - Promuovere il controllo delle nascite con metodi di pianificazione familiare - Dopo i primi due anni di vita del bambino, continuano ad essere assicurati alla madre e al bambino regolari controlli e cure mediche 44 Cosa ricevono i soci? - Un totale di 3 rapporti con fotografie della madre e del bambino per un periodo di 33 mesi (9 mesi di gravidanza e 24 mesi di vita del bambino): - il primo rapporto descrive la madre e la situazione familiare - il secondo rapporto, con una fotografia della madre col bambino appena nato, informa sull’andamento del parto e sulle condizioni di madre e bambino - il rapporto finale, con una fotografia della madre e del bambino all’età di un anno e mezzo, informa sulla crescita fisica del bambino e mostra i suoi progressi da un punto di vista nutrizionale e della salute - 2 circolari di aggiornamento all’anno sull’andamento del progetto “Adotta una Mamma e Salva il Suo Bambino” e degli altri progetti di CINI Italia nel loro complesso per poterne valutare l’impatto sanitario e sociale sulla realtà di vita nei villaggi e sul territorio - La possibilità di poter partecipare all’Assemblea dei soci, di consigliare le politiche dell’Associazione, la scelta dei progetti e i bilanci - La possibilità di visitare il Progetto e CINI a Calcutta - L’opportunità di “adottare” un’altra mamma alla fine dei due anni - La possibilità di ricevere i rapporti di aggiornamento su supporto cartaceo oppure visionarli direttamente sul sito di CINI a Calcutta. Quanto costa? - Puoi effettuare un versamento unico di Euro 250, oppure rateizzare il pagamento in tre rate annuali di Euro 84 ciascuna, oppure in 11 rate trimestrali di Euro 23 l’una. CINI ITALIA E’ UNA ONLUS Aderisce al Coordinamento Nazionale per il Sostegno a Distanza “La Gabbianella” 45 BIBLIOGRAFIA • Ambrosini Antonella (a cura di), Lo spazio e il tempo del padre: funzione e senso della paternità, Pisa, Edizioni del Cerro, 1995. • Ammaniti M., Ammaniti N., Nel nome del figlio. L’adolescenza raccontata da un padre e un figlio, Mondatori, Milano 1995. • Andolfi Maurizio (a cura di), Il padre ritrovato. Alla ricerca di nuove dimensioni paterne in una prospettiva sistemico-relazionale, Milano, Franco Angeli, 2001. • Argenteri Simona, Il padre materno: da San Giuseppe ai nuovi mammi, Roma, Meltemi, 1999. • Ballabio Luciano, Virilità. 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