Anno 7, n. 11
Sabato 12 marzo 2016
La coscienza
www.identitaeinnovazione.it
autonomista
Editoriale
La coscienza autonomista
Notizie per il Friuli
Le sfide per il 2016
Il ricorso della Regione contro la
legge di stabilità
Il prossimo sindaco di Trieste
sarà per la città metropolitana
Identità linguistiche
I simboli della friulanità
Presentazione del libro di
Gianluca Franco
La conclusione del corso di Nedisko
La riforma regionale francese
colpisce la minoranze occitana
Attività
Pagjinis furlanis
Opinioni e documenti
Gli autonomisti talvolta si perdono puntando su
obiettivi di secondaria importanza. Il trattino nel nome
della Regione, i privilegi supposti o reali a favore di
Trieste, i contatti con espressioni politiche minori e
per di più schierate sull’estrema destra di minoranze
linguistiche italiane o estere, eventi storici di scarso
impatto sulle situazioni e le dinamiche attuali, le
polemiche sugli sprechi dell’attuale classe politica, e
altri temi che o non interessano l’opinione pubblica o
che sono agitati da tutte le forze politiche antisistema,
dai leghisti ai Grillini, e quindi non qualificano una
azione politica autonomista. Temi come le auto blu, gli
sprechi nella gestione della pubblica amministrazione,
il clientelismo politico, le vessazioni fiscali,
rappresentano argomenti che possono essere agitati da
tutti i movimenti protestatari, che tuttavia non
individuano uno specifico argomento autonomista. Si
tratta di temi certamente importanti, ma che non
giustificano la nascita e lo sviluppo di un movimento
autonomista friulano. Il quale deve reggere su di una
cosciente azione per rendere responsabile e autonoma
la nostra comunità, per rivendicare i benefici in
termini di crescita civile, di maturazione culturale e di
sviluppo economico del popolo friulano che deve
ricavare dalle proprie capacità d’iniziativa, dal senso
di consapevolezza e dalla ricchezza delle proprie
risorse naturali, umane ed economiche i motivi del
proprio sviluppo.
Il popolo friulano deve liberarsi dai legami di
dipendenza politica, amministrativa ed economica nei
confronti di altre realtà e di altre comunità che son
animati da principi e da finalità diverse. Deve
sprigionare energie proprie che finora sono state
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compresse dai condizionamenti operativi e dai vincoli
normativi e dalle rigidità burocratiche che si ispirano a
modelli estranei alla cultura e agli schemi
comportamentali propri del popolo friulano. Una
burocrazia ispirata a un intreccio di modelli borbonici,
napoleonici e piemontesi, una cultura della pubblica
amministrazione
ispirata
al
clientelismo,
all’irresponsabilità e alla disorganizzazione, una prassi
politica e amministrativa incapace di muoversi verso
obiettivi di medio e lungo termine: queste sono le ragioni
dei ritardi accumulati dalla nostra Regione che malgrado
le competenze particolari di cui dispone e le risorse che
ricava dal reddito prodotto dai propri operatori si pone a
livelli assai più bassi del vicino Veneto.
Ma autonomia non significa guadagnare livelli elevati di
libertà rispetto ai centri di potere espressi dalle collettività
confinanti, ma soprattutto vuol dire coltivare e adottare
principi di autonomia in tutti i settori della vita sociale e
culturale. Essere autonomisti significa credere in tre
principi fondamentali e muoversi per la loro allocazione in
tutti i campi: l’autogoverno, la sussidiarietà e l’identità
locale.
Il principio di autogoverno e cioè quello di una piena
manifestazione della capacità delle popolazioni di
scegliere le soluzioni e gli itinerari necessari per risolvere i
propri problemi e le proprie esigenze, deve essere
applicato a tutti i livelli, a partire da quelli di base:
quartieri, frazioni, comuni devono esprimere propri
organismi di autogoverno, considerando che le soluzioni
migliori sono quelle espresse da chi i problemi li conosce
e li vive.
Il principio della sussidiarietà, espresso dalla dottrina
sociale della Chiesa ancora nell’Ottocento, è ora un
principio fondamentale su cui si basa l’Unione europea. E’
un principio legato al precedente e significa che i problemi
devono essere affrontati e risolti al livello territoriale e
sociale ove si pongono. Le esigenze devono essere
affrontate al livello più basso e devono essere trasferite ai
livelli superiori solo quando per ragioni tecniche non
possono trovare una soluzione a quel livello. E così
vengono innanzitutto le famiglie, poi le istituzioni private
locali, poi le istituzioni pubbliche di livello inferiore, per
poi passare a quelle intermedie (province) e a quelle
superiori (regioni), per poi passare alla massima
espressione della sovranità (stato, nella sua forma
nazionale o federale).
Il principio della identità può assumere una forma debole,
quando la comunità si articola in sottocomunità
debolmente differenziate dal punto di vista culturale e
linguistico, oppure in forma forte, quando la
sottocomunità è dotata di una lingua propria. Soprattutto
in quest’ultimo caso ogni sforzo deve essere fatto dalla
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società e dalla pubblica amministrazione per conservare e
valorizzare queste caratteristiche distintive. Se è giusto che
il Veneto e la Lombardia difendano le tradizioni e le
culture locali, è maggiormente importante che le comunità
che sono minoranze linguistiche trovino strumenti e azioni
che favoriscano il mantenimento e la valorizzazione di tali
caratteristiche locali, che offrono motivi di coesione e di
specificazione delle comunità stesse. I friulani hanno la
fortuna di disporre di una propria lingua, che giustifica un
trattamento particolare da parte della Costituzione: si tratta
di una grande ricchezza e di un potente strumento di
diversificazione. La difesa della lingua rappresenta un
importante obiettivo dell’azione autonomista. E
quest’azione può essere efficacemente perseguita solo
dopo che dalla comunità friulana sarà estratto quel corpo
estraneo che è costituito dalla città veneta di Trieste, la
causa maggiore e strutturale della debolezza dell’azione
regionale a favore della lingua friulana, fonte di ricchezza
culturale e strumento di giustificazione della specialità.
Notizie per iI Friuli
Le sfide di quest’anno
Quest’anno si presenteranno importanti appuntamenti per
il movimento autonomista, che potrebbero influenzare
profondamente il futuro del Friuli. L’assetto istituzionale e
quindi e quindi il meccanismo di funzionamento del nostro
sistema economico potrebbero essere profondamente
modificati da alcuni eventi di notevole rilievo che si
verificheranno nel corrente anno. Si tratta del referendum
di conferma della riforma costituzionale che prevede lo
svuotamento del Senato e l’abolizione delle Province, il
referendum abrogativo della legge Serracchiani-Panontin
d’indebolimento dei comuni e di costituzione delle Unioni
Territoriali Intercomunali, il referendum propositivo di
modifica dello Statuto regionale e di profonda riforma
della Regione da trasformarsi nella federazione di due
province autonome del Friuli e di Trieste, e la costituzione
di un forte movimento autonomista che sia rappresentato
in Consiglio regionale e che sia un valido difensore della
specialità regionale. Sono tutti eventi che si verificheranno
nel 2016 e che se avranno l’esito che noi auspichiamo
avranno grandi conseguenze nei due anni successivi e più
in generale per il futuro della nostra regione.
Il
referendum
costituzionale
confermativo
della
riforma
La riforma costituzionale portata avanti dal Governo
Renzi che prevede il depotenziamento del Senato, che
viene notevolmente ridotto di competenze e di poteri, oltre
che nel numero dei suoi componenti, che abolisce le
province e indebolisce le regioni, sarà approvato
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definitivamente a maggioranza assoluta ma non qualificata
e dovrà quindi essere sottoposta a referendum
confermativo. Esso si svolgerà presumibilmente
nell’autunno di quest’anno. Si tratta di una riforma
assolutamente negativa.
Essa, infatti, prevede non la abolizione del Senato, ma la
sua conservazione ma con poteri assai deboli. Un
organismo inutile nella configurazione finora pensata,
mentre sarebbe dovuto essere semplicemente soppresso.
La seconda camera ha senso nei paesi federalisti, dove la
Camera Bassa (in Italia la Camera dei Deputati)
rappresenta le opinioni e le impostazioni espresse dai
partiti, considerate in modo indifferenziato, nel senso che
gli elettori hanno uguale peso ovunque siano residenti e
dove i suoi componenti vengono eletti per lo più con un
sistema proporzionale, mentre la Camera Alta (in Italia il
Senato) rappresenta le Regioni, con un numero di membri
uguale o debolmente variabile, a segnare la uguale dignità
delle entità che formano la struttura statale (Regioni, Stati,
Province, Länder) e le sue competenze sono limitate ad
alcune materie, prevalentemente di interesse regionale e
territoriale.
La riforma prevede altresì la abolizione delle Province,
che rappresentano un ente di area vasta che è
indispensabile per una razionale ed equilibrata
distribuzione delle competenze e delle risorse, esistenti in
tutto il mondo, dalla Francia, alla Germania, alla Spagna,
agli Stati Uniti. La loro abolizione apre un grave vuoto per
l’ordinato esercizio delle funzioni di area vasta (ambiente,
lavoro mobilità, viabilità, istruzione superiore, cultura),
che deve essere colmato con una riforma che definisca
meglio le funzioni della Regione.
IL terso settore in cui incide la riforma costituzionale è
costituito dalla divisione di competenze tra Stato e
Regione, che naturalmente nel clima centralista e
personalistico che ispira Renzi, vengono spostate a favore
dei ministeri.
Si tratta di una riforma da abbattere, e da sostituire con un
intervento fortemente federalistico all’interno dei confini
italiani e di forti devoluzioni di poteri a favore dell’Unione
europea.
Il referendum per l’abrogazione della legge di riforma
degli enti locali
In Regione dovrà effettuarsi un referendum di abrogazione
della Legge regionale 26/2014 che la Serracchiani ha
voluto far approvare e l’assessore Panontin da fido
scudiero ha portato avanti, incontrando gravi difficoltà e
l’opposizione di un grande numero di sindaci che hanno
impugnato la legge davanti al Tar. I difetti della legge
sono ben noti. Il primo è quello di impoverire di poteri i
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Comuni e di trasferirli a nuovi enti, le Unioni Territoriali
Intercomunali, in numero di 17, che indeboliscono
gravemente il Friuli e che sostituiscono a tre enti ai area
vasta (le Province) ben diciassette aree sovra comunali che
sono troppo vaste per esercitare le competenze dei comuni
e troppo piccole per assumere le funzioni territoriali, tant’è
che molte funzioni già provinciali sono state trasferite alla
Regione, provocando un processo di passaggio di funzioni
amministrative e gestionali ad una unica struttura centrale,
quella regionale, violando in tal modo le norme dello
Statuto regionale, della Costituzione e dei più ovvi
principi della organizzazione pubblica. Il secondo è quello
di promuovere e attraverso appositi piani di fusione la
aggregazione dei comuni, secondo una impostazione del
gigantismo comunale che fu uno dei principi fondamentali
degli stati autoritari (fascismo in Italia e comunismo in
Jugoslavia).
Il referendum sulla riorganizzazione della Regione
A livello regionale si dovrà realizzare il secondo
referendum, quello propositivo di un nuovo Statuto
regionale che preveda lo sdoppiamento della Regione in
due Province autonome, sulla base del modello di
successo adottato nel Trentino Alto Adige, dove
all’interno della Regione sono state costituite due Province
autonome, quella di Bolzano rappresentativa della
minoranza tedesca del Sud Tirolo e quella di Trento
rappresentativa della componente alpina italiana e ladina
delle valli trentine. che raggiungono i più elevati livelli di
sviluppo di tutta Italia. Tale modello dovrebbe essere
portato da noi, dove la Regione dovrebbe articolarsi nella
Provincia autonoma del Friuli rappresentativa della
minoranza friulano - ladina delle attuali province di
Gorizia, Udine e Pordenone, e nella Provincia autonoma
della città marittima di Trieste, italiana slovena. Si tratta di
una trasformazione di grande importanza, che
realizzerebbe due entità istituzionali omogenee dal punto
di vista linguistico, culturale ed economico che darebbe
slancio ai processi di sviluppo delle due aree. Anche nella
nostra regione convivono due comunità linguistiche
fondamentali (a parte quelle slovena e tedesca), la friulana
in gran parte della Regione e la italiana nella città di
Trieste. Basterebbe riprendere le linee fondamentali degli
Statuti del Trentino Alto Adige per realizzare una grande
riforma dei nostri ordinamenti, costruendo un assetto
istituzionale destinato a introdurre forti spinte
all’innovazione e allo sviluppo economico.
La proposta di articolazione bipolare della Regione
lanciata dal Sindaco di Rivignano Teor rappresenta una
concreta sintesi operativa data alle richieste
dall’autonomismi friulano. La Comunità friulana deve
trovare l’espressione rappresentativa e operativa in una
propria struttura istituzionale, dove la componente friulana
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sia maggioranza non solo numerica ma anche politica e
non si lasci fuorviare dall’attivismo e dalle reti di
collegamento della comunità triestina con i mondi
nazionali e internazionali. Chi produce il reddito e quindi
il gettito fiscale che mantiene la struttura amministrativa
della Regione deve mantenere il pieno controllo del
bilancio e delle strutture amministrative che lo gestiscono,
senza i pesanti condizionamenti di una minoranza
compatta, attiva e protetta come quella triestina. Questo
significa garantire la ragioni della piena autonomia del
Friuli.
Vi sono tre passi da effettuare. La raccolta di 500 firme
per la presentazione della proposta in Consiglio regionale,
obiettivo agevolmente raggiunto. La raccolta delle 15.000
firme per l’indizione per l’indizione del referendum,
obiettivo non agevole ma alla portata di una convinta
azione di raccolta. La campagna referendaria e il
raggiungimento della maggioranza dei consensi, che
richiederà una vastissima mobilitazione delle migliori
forze del Friuli. Dobbiamo prepararci adeguatamente per
questi due obiettivi.
La formazione di un partito regionale
La nostra Regione è l’unica tra le speciali a non
annoverare un Partito regionale, che sia slegato dalle
centrali politiche nazionali, e che sappia agevolmente
resistere ai condizionamenti dei partiti politici che
governano a Roma e che molto spesso non pongono in
prima linea gli interessi della comunità friulana.
In Trentino vi è il Partito Autonomista Trentino Tirolese e
altre formazioni autonomiste, in Alto Adige la Südtiroler
Volkspartei, in Val d’Aosta la Union Valdostane e altri
partiti autonomisti di estrazione francese: in tali Regioni e
Province autonome tali partiti hanno il governo di tali enti
senza alcun coinvolgimento dei partiti italiani. In Sardegna
vi è il Partito Sardo d’Azione che insieme ad altre liste
sardiste partecipa il più delle volte al governo regionale,
ance se la prevalenza viene mantenuta da partiti nazionali.
Solo il Friuli non è riuscito ad esprimere una forza politica
locale, fortemente impegnata a difendere i diritti e gli
interessi della comunità nazionale. Di questa si sente da
anni l’esigenza, e riteniamo che sia venuto il momento
dell’aggregazione di energie e di volontà di riscossa che
dia luogo ad una forza politica regionale che ponga al
primo punto del suo programma il perseguimento degli
interessi della comunità friulana, che consistono nella
costruzione di un assetto istituzionale che garantisca la
prevalenza degli interessi della comunità friulana e il
completo controllo delle risorse finanziarie che tale
comunità produce e utilizza, nella valorizzazione
dell’impianto pluralistico dei suoi insediamenti, nel
rispetto del principio di sussidiarietà che pone al primo
posto la difesa delle piccole comunità e delle sue
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amministrazioni, nella tutela delle sue specificità
linguistiche e culturali.
La costruzione di una rappresentanza autonomista richiede
pertanto un notevole sforzo di iniziativa politica e di
costruzione di reti organizzative, che richiede un forte
impegno e un grande lavoro di radicamento territoriale. Se
si guarda all’orizzonte temporale costituito dal 2018, è il
2016 l’anno decisivo per il raggiungimento di tale
obiettivo. Nel 2017 i giochi saranno già fatti.
Notizie per iI Friuli
Il ricorso della Regione sul patto di stabilità
Lo Stato, già a suo tempo con Tremonti ministro
dell’economia di Berlusconi, e ora con Padoan. Ministro
dell’economia di Renzi, vanno effettuando una azione
diretta a ledere i diritti e l’autonomia delle Regioni e
Province a statuto speciali. E infatti la legge di stabilità
2016 chiama le regioni speciali a contribuire al
risanamento della finanza pubblica reclamando un
contributo al bilancio dello Stato, che dovrebbe essere
fissato sulla base di una negoziazione tra Regioni e Stato,
ma che comunque è fissato in 3.980 milioni per il 2017 e
in 5.480 milioni per il 2018 e rispettivamente per il 2019.
Se non v sarà u accordo su come distribuire questo
contributo, che a questo punto è obbligatorio, provvederà
lo Stato, con un Decreto del Presidente del Consiglio. La
norma è gravemente lesiva dell’autonomia finanziaria
delle Regioni speciali. La legge costituzionale, infatti,
prevede che i bilanci regionali si formino con una
compartecipazione in quote fisse al gettito tributario
raccolte nelle singole regioni. Lo Stato con una legge
ordinaria impone la restituzione di una parte del gestito a
favore dello Stato, per coprire parte del disavanzo che lo
Stato ha provocato con decisioni alle quali le regioni non
hanno in alcun modo in alcun modo partecipato. La
scorrettezza delle burocrazie ministeriali che hanno ideato
questo meccanismo e l’impreparazione degli esponenti
parlamentari e ministeriali che hanno approvato questa
norma e la relativa incostituzionalità appare evidente.
Le Regioni Friuli Venezia Giulia e Sardegna e le Province
autonome di Trento e di Bolzano hanno presentato ricorso
di costituzionalità. Mentre le dichiarazioni del Presidente
autonomista di Trento Ugo Rossi sono assai dure, quelle
della Serracchiani e di Jacop fanno pensare che il ricorso
della nostra regione non sia stato presentato con
entusiasmo. Si parla di leale collaborazione tra Stato e
Regione e del principio che i conflitti non si risolvono in
Tribunale con opportuni negoziati. La cos appare naturale.
E naturale che il Presidente della Regione Serracchiani
presenti di malavoglia un ricorso contro il Presidente del
Consiglio Renzi, di cui la stessa Serracchiani è
vicesegretaria nel partito democratico. E’ un modo di
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scaricare sui Giudici costituzionali ogni responsabilità,
invece di impegnare tutto il proprio peso politico per far
saltare una norma che è politicamente vergognosa e
costituzionalmente illegittima.
Notizie per iI Friuli
Il prossimo Sindaco di Trieste sarà per la
città metropolitana
Le primarie del Partito democratico Trieste hanno dato
una forte maggioranza (65%) al sindaco uscente Roberto
Cosolini, contro il suo sfidante sen. Francesco Russo.
Risultato prevedibile. Quello che a noi importa che
entrambi i candidati sono decisamente a favore della Città
metropolitana quale, se realizzata, darebbe un argomento
di notevole forza all’organizzazione delle attuali tre
province friulane in una unica entità, la Comunità friulana
o Provincia autonoma del Friuli. Contro Cosolini si batterà
per il centro-destra Roberto Di piazza, già sindaco di
Trieste, che i due sondaggi organizzati dal Partito
democratico e da questo resi noti solo attraverso alcune
indiscrezioni, appare dieci punti contro lo stesso Ciosolini.
Chiunque vinca, il prossimo sindaco sarà un convinto
sostenitore della Città metropolitana, il darà convincenti
argomenti ai friulani che si battono per una Comunità
autonoma del Friuli, comunque verrà chiamata.
Identità linguistiche
I simboli della friulanità
Il 5 aprile alle ore 17,30 nella Sala del Consiglio di
Palazzo Belgrado si terrà la conferenza sul tema “I simboli
della friulanità”. Parleranno il Presidente della Provincia
Pietro Fontanini, il Presidente dell’’Ente Friuli nel Mondo
Adriano Luci, il Presidente della Filologica Prof. Federico
Vicario, il vice vicario generale della Diocesi di Udine.
Mons. Guido Genero e il dott. sa Maria Beatrice Bertone.
Si tratterà di un importante incontro in cui si discuterà sui
simboli dell’identità friulana, cui tutti sono invitati a
partecipare.
Identità linguistiche
Mostra sul Friuli a Portogruaro
A memoria di quegli eventi, la Provincia di Udine ha
organizzato, come ogni anno, una serie di iniziative che
partono sabato 12 marzo alle 16.30 con l’inaugurazione,
negli spazi del centro commerciale Adriatico 2 di
Portogruaro, della mostra “Il Friuli: una Patria”, attraverso
la quale si propone un approfondimento sulla storia del
Friuli con particolare riferimento al periodo dello Stato
patriarcale. Parte di uno studio corposo sul periodo 10778
1797 (progetto culturale di Giuseppe Bergamini e
Gianfranco Ellero), l’esposizione descrive in modo
semplice e moderno l’evoluzione politica, sociale,
economica e culturale di una pagina importante della
storia friulana, attraverso pannelli esplicativi, riproduzioni
di oggetti, documenti, ricostruzioni.
Identità linguistiche
Presentazione del libro di Gianluca Franco a
Gorizia
In occasione della Festa del Friuli a Gorizia sabato 9
aprile si presenta il nuovo romanzo storico di Gianluca
Franco, già autore del romanzo storico in lingua friulana
“Re Ricart in Friul”, pubblicato dalla Clape cultural
Acuilee e giunto già alla seconda edizione.
Gianluca Franco nato a Gorizia e residente a Capriva,
lavora al Dipartimento di Matematica e Informatica
dell’Università di Udine. Fondatore di Identità e
Innovazione e della Societât Sientifiche e Tecnologjiche
Furlane, ha sempre dato contributi importanti allo sviluppo
della lingua friulana. Ha lavorato scientificamente con
Furio Honsell.
Dopo il primo romanzo storico che gli ha fatto guadagnare
importanti riconoscimenti, e che è stato la base anche per
una cantata in re minore per voci e orchestra insieme a
Fabio Rivolt e presentata dall’Ensemble d’Anjou al
Premio Friuli 2013 e apprezzato al Premio di letteratura
friulana San Simon di Codroipo, ora ha pubblicato sempre
con la Clape Culturâl Acuilee il suo secondo romanzo
sempre in friulano che verrà presentato a Gorizia.
Identità linguistiche
Il corso di Nedisko a Pulfero
Si é svolta, presso la sede dell’ Associazione culturale e
socio-assistenziale “Tarcetta” di Pulfero, con grande
partecipazione di pubblico ed in presenza dei
rappresentanti delle Amministrazioni comunali di Pulfero,
San Pietro al Natisone, San Leonardo e Grimacco promotrici dell’iniziativa - finanziata dalla con dalla
comunità Montana Collio, Torre, Natisone con fondi
regionali, la cerimonia di chiusura del secondo Corso di
cultura
e
lingua
locale.
Nel suo saluto, il vice-sindaco di Pulfero, Mirko Clavora dopo essersi complimentato con i partecipanti, gli
insegnanti e ringraziato l’Istituto Slavia Viva per l’ottima
organizzazione pratica del progetto e l’Associazione di
Tarcetta per aver messo la propria sede a disposizione - ha
sottolineato l’importanza del pronunciamento della Giunta
regionale che con sua delibera n. 2603 del 29 dicembre
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2015, riconosce l’esistenza nelle Valli del Natisone, di una
componente identitaria che non si identifica nella
minoranza slovena e non giudica “essere un dialetto
sloveno la lingua parlata storicamente nel territorio del
loro comprensorio (detta natisoniano o nediško)”.
“La presa d’atto ufficiale” - ha proseguito Mirko Clavora “che i cittadini di questo territorio esprimono un
sentimento di appartenenza non riferito alla comunitá
nazionale slovena costituisce un significativo atto di
responsabilità democratica del quale va dato atto alla
Giunta regionale. A differenza di quanto avveniva fino ad
ora, la voce di chi ritiene una forzatura antistorica ed in
contrasto con il comune sentire della quasi totalità dei
cittadini l’assimilazione delle popolazioni del Natisone,
del Torre e di Resia agli sloveni delle Province di Trieste e
Gorizia, viene finalmente riconosciuta per quella che é: la
legittima e democratica espressione di un sincero
sentimento nazionale che non intende assolutamente
ledere i diritti delle altre sensibilitá nazionali ma solo come lo fa giá la legislazione vigente in materia riconoscere questa differenziazione, prevedendo misure
specifiche
per
la
provincia
di
Udine.”
Concludendo, il vice-sindaco di Pulfero ha auspicato
l’avvio di “una nuova stagione nei rapporti tra
l’Amministrazione regionale e la comunitá delle Valli del
Natisone, in particolare per quanto riguarda la tutela delle
specificitá linguistiche e culturali. Oltre alla sostanziosa
tutela di coloro che, per vari motivi, si sentono appartenere
alla minoranza nazionale slovena, sarebbe opportuno
rafforzare l’attenzione per coloro che, in numero ben piú
consistente,
esprimono
un’identitá
differente.”
Al termine dell’intervento di Mirko Clavora, i due
insegnanti - Nino Specogna e Simone Clinaz - hanno
riferito del lavoro svolto con i rispettivi gruppi e illustrato
i contenuti delle tre pubblicazioni realizzate: Appunti del
Corso di nediško, Parve nediške stopienje e Nediška
kultura. Particolare attenzione ha suscitato la
presentazione di due “manifesti” - con le illustrazioni di
Sergio Metus - relativi all’alfabeto “nediško” ed ai termini
relativi alle parti del corpo umano. Prima della consegna
degli attestati di partecipazione al Corso, il gruppo guidato
da Simone Clinaz, ha svolto alcune letture in italiano (un
importante testo di Gianfranco Ellero relativo alla
comunitá della Slavia) ed in nediško (in particolare testi di
Renzo Onesti e Giovanni Rossi tratti dal opuscolo
“Nediška kultura”, da considerarsi come la prima
antologia di testi originali in lingua nediška. Infine, é stato
presentato il nuovo gruppo teatrale in lingua locale
“Nediški kazaunjak” che si esibito in una breve ma
simpatica e divertente conversazione in nediško,
Poguorienje.
Considerando il grande interesse ed apprezzamento per
l’iniziativa, dimostrato dal pubblico presente e la serietá e
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qualitá del lavoro svolto dagli insegnanti e dai corsisti si
ritiene che sia giunta l’ora di una concreta applicazione dei
commi 1 e 2 dell’articolo 12 della legge di tutela che
prevedono che nelle scuole materne site nei comuni della
provincia di Udine compresi nella tabella di cui
all’articolo 4, la programmazione educativa comprenderá
anche argomenti relativi alle tradizioni, alla lingua ed alla
cultura locali e che tale insegnamento sia compreso
nell’orario curricolare obbligatorio determinato dagli
stessi istituti nell’esercizio dell’autonomia organizzativa e
didattica.
Traendo spunto di quanto emerso in precedenza che
confermava l’estrema delicatezza della questione
dell’insegnamento linguistico proposto ai bambini della
Slavia, il presidente dell’Istituto Slavia Viva Ferruccio
Clavora formulava una stimolante ipotesi. Da genitore
prima e nonno poi e cittadino che quotidianamente vive a
stretto contatto con i paesani, cogliendo le loro incertezze,
le loro titubanze, ma anche lo loro speranze, mi sento di
poter o dover suggerire alla Scuola del nostro territorio se si vuole consentire a questa comunitá di crescere in
armonia con la proprie radici e la propria storica ed
inconfondibile identitá – di favorire in ogni modo il
recupero e la diffusione, la piú ampia possibile dell’uso
della lingua locale, ma anche lo studio della propria storia,
delle tradizioni e degli usi e costumi, tramandati per secoli
ma oggi in pericolo per causa della dilagante
omologazione.
In questo delicato processo, che tocca equilibri
estremamente delicati della psicologia individuale, non
sono consentite scorciatoie di comodo in funzione
dell’ottenimento di qualche dollaro in piú. Anche per
questo, per tutte le scuole del territorio, andrebbe
formulato ed attuato un grande progetto educativo che
rafforzi nei nostri giovani l’orgoglio della loro
appartenenza e nel contempo fornisca loro gli strumenti
per maturare piú aggiornati sensi di identitá.
Perché non cominciare a parlare per la Slavia - nella logica
della “globalizzazione”- di una Scuola sperimentale trilingue: italiano-nediško-inglese? Identitá storica e apertura
al mondo !
Identità linguistiche
La riforma regionale francese colpisce
la minoranza occitana
Sulla rivista degli occitani del Piemonte Novas
d’Occitania” Ines Cavalcanti pubblica un articolo sulla
recente riforma regionale francese che merita di leggere, e
comprendere come lo spirito giacobino, accentratore e
livellatore, è duro da morire. Si tratta di un articolo che
merita di leggere.
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“Francia la riforma regionale ha portato un nuovo assetto
territoriale. Molte Regioni sono state accorpate, uno di
questi nuovi accorpamenti riguarda le Regioni LanguedocRoussillon e Midi- Pirénèes. Una grande nuova Regione
sulla quale il territorio ha innestato una democratica
discussione in merito al nome da darle. Gli occitanisti e
coloro che sono radicati nel territorio propongono
Occitania o Occitania centrala, altri propongono Gran Sud
e suoi derivati.
Sul nome da dare a questa nuova Regione si è sviluppato
un grande dibattito che ha coinvolto anche i mezzi di
comunicazione, un sondaggio è già stato effettuato sugli
indici di gradimento della popolazione. E il nome
Occitania ha avuto un significativo gradimento. Sembra
una questione di poco conto ma non lo è. Sappiamo tutti
che l’immaginario collettivo si forma attraverso le parole
che ci vengono comunicate. Per dire la mia è evidente che
in queste due Regioni batte il cuore dell’Occitania, li c’è la
sua storia principale con i trovatori, con le vicende legate
al catarismo e, ancora oggi le due regioni attuali sono
quelle che danno impulso alla creatività, a progetti
strategici territoriali e anche a progetti pan-occitani. Basta
pensare al Cirdoc di Beziers e all’Estivada di Rodez, per
citare due esempi che tutti più o meno conoscono.
Questa nuova situazione che con la riforma territoriale
regionale si viene a creare, potrebbe rappresentare una
magnifica occasione per la Francia di effettuare quello che
in altri campi e in altri luoghi, con coraggio hanno fatto
grandi personaggi: riconsiderare la storia di Francia in
modo oggettivo, e procedere ad una riparazione storica al
fine di sanare una ferita che nel terrritorio di lingua d’oc
sanguina ancora oggi. Dando alla nuova Regione il nome
che maggiormente la contraddistingue.
Ma le cose non sembrano andare così: è infatti di questi
giorni la notizia riportata sul blog di Fre viure al pais che
il governo propone per decreto un nome per ogni regione.
Mentre le collettività territoriali regionali si organizzano
per dare un nome, - la nuova Regione Languedoc R-Midi
P. ha lanciato una iniziativa di consultazione on line che
avrà il suo epilogo il 24 giugno con il chiaro intento di
aprire una riflessione collettiva che può dare frutti positivi
per una crescita territoriale consapevole-,il governo ha
trasmesso ai Prefetti le sue istruzioni per una rapida
riflessione con la procedura che intende seguire per la
determinazione dei nomi. Una lettera firmata dal nuovo
Prefetto Pascal Mailhos in Languedoc R-Midi P. chiede al
Consiglio Economico, Sociale e Territoriale Regionale
(CESAR) di riflettere ai criteri che permetteranno la
determinazione del nome. Riunito il Consiglio, per la
prima volta a Monpellier sotto la Presidenza di Carol
Delga, uno dei Presidenti dell’Assemblea Regionale, il
CESAR, organo con funzione solo consultiva, preconizza
il nome di Languedoc-Pyrénées.
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Nulla di sorprendente nella scelta perchè Jean-Louis
Chauzy suo Presidente aveva indicato che il Prefetto della
Regione aveva scelto CESAR per definire i decreti di
nomina in vista di un decreto governamentale stabilendo il
nome Languedoc per la cultura e la storia e Pyrénées per
la geografia.
E “Occitania”, un nome giunto in testa ai sondaggi?
Secondo lui nemmeno il 10% dei membri del CESAR
l’hanno proposto.
Cosa dire? Di fronte alla modernità del mondo lo Stato
francese continua imperterrito a ragionare in modo
giacobino. Ancora una volta è il vecchio che avanza!
Peccato, ancora un’altra occasione persa?
Attività
Pordenone martedì 8 marzo:
Riunione del Circolo di Pordenone guidato dal
Coordinatore Walter Vergani e del Comitato di
coordinamento per il Friuli Occidentale diretto dalla
Coordinatrice Emiliana Gennari, per concordare le
iniziative da prendere per la Festa del Friuli.
Udine giovedì 10 marzo:
Riunione dell’esecutivo per dare esecuzione a quanto
deliberato dal Consiglio direttivo del 2 febbraio e in
partuicolare per l’organizzazione della Festa del Friuli.
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Pagjinis furlanis
Pubblichiamo un articolo del Prof. Franco Finco sul convegno sulla toponomastica friulana
apparso su “Il Messaggero Veneto dell’8 marzo 2016.
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Opinioni e documenti
Pubblichiamo la relazione di base tenuta al Convegno dell’AFE dal Prof. Sandro Fabbro
dell’Università di Udine il giorno 27 febbraio scorso.
Associazione Friuli-Europa
Verso una nuova specialità del FVG.
La società civile interviene
Udine, 27 febbraio, 2016
1. LA SPECIALITA’ REGIONALE NON NASCE CON LA REPUBBLICA ITALIANA MA HA ANTICHE
RADICI STORICHE, GEOGRAFICHE E CULTURALI CHE DEFINISCONO UNA DIVERSITA’
“NATURALE” DI QUESTE TERRE
La “specialità” del territorio che sta tra l’Alto Adriatico e l’arco alpino orientale e tra il fiume
Livenza ed il Carso goriziano e triestino e che oggi si riconosce nei confini della Regione
Autonoma Friuli-Venezia Giulia, è un dato naturale preesistente alla Repubblica Italiana. La
Specialità statutaria del 1963 è solo la forma contemporanea della specialità di questo
territorio che ha, in una storia millenaria ed in una geografia particolare le sue basi
originarie.
Una particolare posizione geografica tra Alpi e Adriatico e tra area latina ed aree germanica e
slava, hanno plasmato l’identità culturale e linguistica delle popolazioni locali. Con le diverse
condizioni geografiche (di terra, di monte e di mare) si sono intrecciate non omogenee
vicende storiche (in particolare nel caso di Trieste -prima principale porto austroungarico e
poi città al centro di due conflitti mondiali) dando però luogo alla convivenza, in una unica
Regione istituzionalmente e funzionalmente organizzata, di molteplici realtà territoriali e
comunità linguistiche.
La specialità del FVG ha, quindi, origini antiche e motivazioni moderne e tende a riconoscere
alla regione, anche grazie alla sua composita struttura e variegata articolazione territoriale,
una missione unificata di “crocevia” internazionale. Questa diversità di “crocevia” (o di
“snodo” come diremo poi) rende il territorio regionale, per organizzazione funzionale e per
comune destino geo-strategico, significativamente diverso dal resto del territorio nazionale,
anche perché vocazionalmente “europeo”.
L’autonomia speciale contemporanea (che nasce con la Costituzione Italiana del 1948 e si
invera con lo Statuto della Regione Autonoma del 1963), è fortemente radicata negli eventi
della storia europea del XX secolo. I conflitti militari -e le relative nefaste conseguenze- che
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hanno attraversato l’Europa e di cui l’Italia è stata partecipe ed, in parte non marginale,
anche corresponsabile, hanno visto i territori dell’attuale FVG collocarsi sui fronti di guerra e
farsi carico, obbedendo alle richieste dello stato, anche di inevitabili tragiche conseguenze:
le vittime e le distruzioni della prima e della seconda guerra mondiale; la “cortina di ferro”;
le servitù militari; le basi militari della Nato ecc. sono i principali tributi pagati da queste
terre allo stato italiano. I contributi offerti alla Liberazione sono inoltre di primo piano (i
primi territori liberati dal nazi-fascismo nel Nord Italia si hanno con la Repubblica libera della
Carnia del 1944 ed il contributo del Friuli alla Liberazione è tale da meritare, alla città di
Udine, la medaglia d’oro al valor militare). Durante tutto il cosiddetto “secolo breve”,
pertanto, è speciale ed eccezionale il tributo “di confine” (in sangue, patriottismo, ma anche
privazione di risorse umane e materiali, mancato sviluppo locale ecc.), che questo territorio
dona allo stato italiano. Si tratta di vicende umane tragiche e di costi sociali enormi che non
possono essere messi nel dimenticatoio in nome di momentanei interessi politico-statali.
A parziale risarcimento dei ritardi accumulati a causa dei precedenti eventi storici,
l’attuazione della Regione, con lo Statuto del 1963, crea le condizioni per una rilevante
ripresa socio-economica. Con l’istituzione della Regione, ai sensi degli artt. 5 e 6 della
Costituzione italiana ripresi dall’art. 3 dello Statuto, viene anche stretto un nuovo patto con
lo Stato: la Regione Autonoma e Speciale deve garantire la tutela e favorire la convivenza
delle minoranze linguistiche dei territori in questione. La difesa della nostra Specialità
statutaria è fondata, quindi, in primo luogo, sul combinato disposto degli artt. 5 e 6 della
Costituzione italiana (quest’ultimo articolo ha anche trovato attuazione nella Legge
482/1999). Le diversità linguistiche che abbiamo ricordato al punto precedente sono,
pertanto, alla base della Specialità regionale. Peraltro, in un’Europa che nei suoi Trattati
internazionali (sottoscritti anche dalla Repubblica italiana)1, riconosce nelle minoranze
linguistiche un valore importante da tutelare, una regione in cui la quasi totalità dei Comuni
dichiara che sul suo territorio vivono “minoranze linguistiche storiche riconosciute”, non può
che essere ad “autonomia speciale”.
Successivamente, il concreto esercizio dell'autonomia speciale (all’interno della quale si
collocano esempi di grande ed efficace mobilitazione ed organizzazione sociale, come nel
caso della ricostruzione post-terremoto, mai avvenuti in Italia né prima né dopo) ha poi
contribuito ad alimentare i suoi stessi fondamenti statutari. L'esercizio nei fatti
dell'autonomia ha pertanto rafforzato e non indebolito o modificato le ragioni originarie
della specialità.
E’ evidente, pertanto, che, se lo Stato venisse meno a tutti questi principi, romperebbe
unilateralmente il patto esplicito stipulato da più di un secolo con le popolazioni del
territorio regionale e, più tardi, con l’ istituzione della Regione.
2. L’ATTACCO ALLA SPECIALITÀ ED ALLE AUTONOMIE LOCALI È UN ATTACCO ALLA
SUSSIDIARIETÀ ED ALLA CITTADINANZA
Oggi però lo Stato italiano si trova di fronte ad un percorso di trasformazione radicale del
suo strumento costitutivo. La Carta costituzionale è al centro di modifiche relative alla
rappresentanza democratica, al rapporto tra esecutivo e legislativo, alla connessione di
poteri tra stato e territori. In questo quadro, pur nell’ambito di un dibattito politico
Si fa riferimento in particolare a: “La CARTA EUROPEA DELLE LINGUE REGIONALI
O MINORITARIE (Consiglio d'Europa) entrata in vigore il 1 marzo 1998. La
CONVENZIONE-QUADRO PER LA PROTEZIONE DELLE MINORANZE NAZIONALI
(Consiglio d'Europa). Entrata in vigore il 1 febbraio 1998.
1
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nazionale che rimane fortemente contrario alle autonomie, la definizione del futuro delle
autonomie regionali e provinciali speciali, è rimasta aperta.
La norma transitoria, che sospende l’applicazione, alle “speciali”, della nuova concezione
centralista applicata invece alle regioni ordinarie (fino alla stipula di una “intesa” per la
“revisione” degli statuti regionali di autonomia), è un salvacondotto provvisorio che dovrà
essere verificato e gestito con consapevolezza e forza da tutte le voci che in FVG vogliono
esprimere la volontà di battersi per il mantenimento e l’aggiornamento dei contenuti
dell’attuale specialità regionale.
Non è ancora chiaro quali saranno i contenuti e gli spazi della revisione statutaria e neppure
si sa quali saranno i tempi e le modalità, ma è evidente che, a questa scadenza, la società
civile regionale si deve preparare per tempo interrogandosi su cosa serve oggi al nostro
territorio per governare le diversità che lo contraddistinguono e per riprendere, con
modalità anche nuove, un percorso di rilancio e di minor precarietà economica e sociale
rispetto a quella che ha caratterizzato la crisi regionale a partire, forse, da prima del 2008.
I segnali che giungono dalla politica italiana non sono comunque incoraggianti. La specialità
viene considerata come un privilegio dissipatore e ogni particolarità viene tendenzialmente
negata nella chimera del perseguimento di nuovi dimensionamenti istituzionali, quali le
macroregioni, di dubbia efficienza ed efficacia ma tali, comunque, da suscitare attese
nazionali di nuovi riposizionamenti politico-partitici.
La politica regionale sembra, e non da oggi, vittima di una specie di “sindrome di Stoccolma”,
quella sindrome, cioè, che impone di conformarsi ai voleri del proprio persecutore pur di
catturarne la benevolenza. Ciò si evince da una sorta di autolimitazione nelle materie che
sono ancora, per il momento, di competenza regionale e da una attività legislativa che, in
alcuni campi di tradizionale competenza regionale, è largamente mancata (pensiamo al
governo del territorio) e che, in altri, invece, va in direzioni assai discutibili, in rapporto ai
diritti ed agli interessi dei propri cittadini. Il tutto viene ammantato con la retorica del “senso
di responsabilità” e di “utilità” verso il resto del paese. Si dissimula, in questo modo, la
massiccia riduzione delle entrate regionali avvenuta in queste due ultime legislature ed il
fatto che la stretta finanziaria che ne è derivata (pari a circa un miliardo di euro) ha
determinato una accelerazione di processi di crisi e di perdita di PIL da cui non sarà certo
facile risollevarsi.
Oggi, la partita della specialità va riaperta in tutta la sua importanza e complessità. Per farlo
è necessario però posizionarsi nella maniera corretta e capire fino in fondo di cosa si stia
veramente parlando per trovare quegli elementi di unità possibile che, soprattutto a partire
dagli interessi sociali, economici e culturali, permettano una compattezza di interlocuzione
con lo stato. A questo proposito, le parole d’ordine che ci sentiamo di proporre sono:
- la specialità del FVG è un dato storico e geografico ed un valore culturale e, come
tale, non negoziabile;
- i territori di questa regione stanno dimostrando la loro responsabilità ed utilità verso
lo stato da almeno un secolo;
- la nostra regione rimane, nonostante tutti i suoi avversari, uno dei non molti esempi
di efficienza ed efficacia amministrativa del regionalismo italiano;
- le difficoltà e l’inefficienza dello stato nazionale non si mascherano inventando
privilegi locali e nascondendo invece i grandi privilegi esistenti negli enti istituzionali,
economici e finanziari statali e l’endemica dissipazione e corruzione operanti tra le
maglie dello stato nazionale.
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3. LE DEBOLI DIFESE IN ATTO O PREVEDIBILI. UNA RISPOSTA A PIÙ LIVELLI
Il sistema politico regionale, in quanto espressione di rapporti di forza interni alla Regione
stessa, sembra alla perenne ricerca di posizionamenti rispetto alle scadenze elettorali ma,
soprattutto, è luogo di continui condizionamenti provenienti da Roma e non sembra poter
dare, quindi, alcuna garanzia di essere, da solo, in grado di assolvere alla funzione di difesa
adeguata della specialità.
Le situazioni contingenti relative, da un lato, alle norme di modifica dello Statuto Regionale
del FVG attualmente all’esame del Parlamento e, dall’altro, lo stato di confusione
istituzionale determinato dal conflitto sulla applicazione della L.R.26/2014 in materia di
abolizione delle Provincie e di organizzazione delle UTI, non promettono nulla di buono. Non
si tratta qui di dare un giudizio di merito sui provvedimenti, che comunque sembrano
difettare sia per carenza di conoscenza e di adeguati approfondimenti delle materie che
affrontano sia per la tempistica imposta all’iter decisionale ed applicativo. Quello che è
necessario mettere in evidenza è, invece, l’impressione di frantumazione che connota il
dibattito tra le forze politiche che si riverbera negativamente anche in termini di divisione
nel territorio e tra le istituzioni. Su queste divisioni reali, nella politica, nel territorio e nella
società civile, emerge la posizione, momentaneamente autorevole, sul piano nazionale, della
Presidente della Giunta Regionale del FVG, ma si tratta di una posizione assai rischiosa che
apre ampi margini di incertezza per il futuro perché la tendenza ad esautorare le necessarie
reti istituzionali, sociali e territoriali può dare luogo, in presenza di mutate condizioni, ad una
“balcanizzazione” della regione che tutti pagheremmo a caro prezzo.
E’ chiaro che ci si riferisce anche, ma non solo, alla L.R.26/2014. Questa legge un merito l’ha
comunque avuto, anche se non intenzionale. Ha aperto un dibattito su questioni importanti:
non tanto la questione dell’efficienza ed efficacia degli Enti locali (perché, riconosciamolo, su
queste questioni non esistono veri e riconosciuti modelli di riferimento), quanto la questione
delle identità territoriali regionali, della distribuzione dei poteri tra i vari livelli istituzionali e
della distribuzione dei poteri tra i vari ambiti territoriali. Non intendiamo qui aprire queste
questioni perché oggi qui il tema è quello della specialità e di quello che serve per
preservarla ed allargarla. Ma è chiaro che, se qualcuno (persona, gruppo, parte del territorio,
istituzione) forzasse la mano, a proprio esclusivo vantaggio, sui principi che fondano il patto
di solidarietà e di coesione di questa regione (tra cui il policentrismo è, per noi,
fondamentale), dovrà assumersene tutte le responsabilità.
C’è un’altra questione che il dibattito sulle UTI involontariamente ha aperto: se sia giusto e,
eventualmente, come cambiare le regole ed i rapporti tra cittadinanza e democrazia. Da anni
assistiamo, infatti, ad una continua erosione degli spazi di democrazia, sostituiti da gestioni
spesso oligarchiche e dalla riduzione della partecipazione popolare a momenti elettorali
sempre meno decisivi rispetto alle questioni di fondo. Riaprire un dibattito pubblico su
queste questioni, vuol dire, in una regione speciale come il FVG, riaffidarsi al territorio come
contesto nel quale, comunità più capaci di coesione al loro interno, siano messe in grado di
confrontarsi su temi importanti che devono, prima di tutto, percepire e conoscere. Questo
può avvenire se si ricrea una rete di poli di aggregazione pubblici, privati e sociali (di
sussidiarietà verticale ed orizzontale) affinché questi percorsi di democrazia di base possano
determinare risultati concreti e non solo vuote retoriche sui diritti né tantomeno la sola
selezione degli amministratori.
E’ probabile che, per raggiungere obiettivi di questa portata, sia necessario ripensare e
rifondare l’intero sistema regionale del FVG immaginandolo come sistema dove, con logiche
tra loro indipendenti, la tradizionale politica di Giunta e di Consiglio regionale, torni a
confrontarsi con una rete articolata di amministrazioni locali e di democrazia di base,
collegata con le realtà territoriali effettive.
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Come diversi studi giuridici mettono in evidenza, non si può sostenere che gli ordinamenti
speciali costituiscano una situazione atipica o addirittura di privilegio poiché si tratta di
soluzioni istituzionali adeguate per il governo di situazioni non omologabili, per ragioni
oggettive e soggettive, all’intero contesto di una nazione. Il “costituzionalismo multilivello”,
che caratterizza oggi lo spazio giuridico europeo, impone, invece, di prendere atto di una
serie di dati ineludibili: a. che uno Stato accentratore non è più concepibile proprio perché il
contesto sovranazionale lo ha già da tempo ridimensionato; b. che le tendenze globalizzatrici
inducono un processo di riscoperta del territorio e della sua infungibile valenza di supporto
ai processi di sviluppo e di ricomposizione del senso di appartenenza identitaria.
Diventa quindi necessario cercare di ordinare, per tempi e livelli di importanza, le questioni
istituzionali che oggi hanno di fronte i cittadini della nostra Regione e secondo un percorso di
riappropriazione dei temi collettivi sul tappeto:
-
va ricomposta nell’immediato la frammentazione disastrosa che attualmente, a causa
della L.R. 26/2014, coinvolge l’universo degli enti locali del FVG e che non si può pensare
di risolvere con atti di forza come quello che può provenire dalle modifiche dello statuto
in approvazione da parte del Parlamento; una soluzione autoritaria non sarebbe nello
spirito e nei principi costitutivi della Regione autonoma!
-
va costruito un percorso di chiarificazione sulla necessità di riconoscimento delle diverse
identità dei territori regionali con le relative ricadute istituzionali, dove, alle città, alle
diversità territoriali, alle minoranze linguistiche vengano riconosciuti poteri reali di
governo del territorio in una logica cooperativa;
-
va avviato un forte contrasto nei confronti della legge elettorale “Italicum” non solo e non
tanto per l’artificiosità dei collegi elettorali lì definiti ma soprattutto per l’incostituzionale
trattamento discriminatorio delle minoranze linguistiche del Friuli Venezia Giulia rispetto
al Trentino/Sud Tirolo e Valle d’Aosta;
-
vanno costruite le premesse per la definizione del pacchetto irrinunciabile di poteri di cui
dovrà essere dotata la Regione in rapporto alla “intesa” per la revisione dello Statuto
speciale (da attuarsi in conseguenza dell’entrata in vigore delle modifiche costituzionali
già definite) e comunque da contrattare con lo Stato anche in caso di bocciatura di tali
modifiche in sede di referendum confermativo. Con ogni probabilità questa sarà la
battaglia decisiva su cui anche molti dei temi spinosi sul tappeto potranno o meno
trovare soluzione.
Il senso che l’Associazione Friuli Europa e, presumiamo anche i tanti soggetti della società
civile qui oggi convenuti, vogliono attribuire a questo confronto è proprio quello di trovare
delle modalità efficaci per coinvolgere l’intera società regionale su temi che spesso risultano
ostici per la loro complessità giuridica e per la non immediata concretezza delle soluzioni, ma
che tuttavia hanno grandi ricadute sulle condizioni di vita delle popolazioni, dei cittadini e
delle imprese del territorio. Mai come in questo momento la partecipazione dei cittadini e
della società civile, può rivelarsi elemento decisivo per un risultato positivo.
4. UNA PROPOSTA OPERATIVA PER LA PROMOZIONE DELLA PARTECIPAZIONE AI
CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI DEL FVG.
Per affrontare le scadenze dei prossimi mesi, è necessario predisporre una metodologia e
strumenti di lavoro che devono soddisfare, in particolare, due aspetti:
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la attuazione di un percorso partecipato che definisca gli ambiti della specialità da
rivendicare a partire da una visione strategica del futuro della Regione. Pare difficile una
trattativa con questo Stato fatta sul contendersi le materie di competenza (come è
avvenuto, in maniera decisamente autoritaria, con le regioni ordinarie). Probabilmente
dovrà essere impostata una revisione che sostanzialmente mantenga i poteri regionali storici
(con il dubbio relativo ai poteri concorrenti la cui eliminazione è forse il vero oggetto
dell’adeguamento previsto dalla “revisione”!) ma che cerchi anche spazi per modalità nuove
di gestione di materie su cui l’interesse regionale è decisivo come, ad es., una logistica che
veda l’intera regione come snodo internazionale, il governo pubblico della risorsa idrica,
l’adeguamento del sistema scolastico alle specificità territoriali, le relazioni istituzionali
trans-frontaliere e trans-statali, etc.. Il problema da affrontare, pertanto, non è soltanto chi
fa la trattativa sulla “revisione” ma anche come si costruisce l’agenda della trattativa. Non
può non esserci, a tal proposito, una agenda che nasca dal territorio e dalle istanze dei
cittadini e della società civile;
si tratta poi di capire e proporre una modalità per arrivare ad una sintesi delle istanze che
possono provenire dalla società civile ed identificare un soggetto che autorevolmente operi
questa sintesi ed indirizzi il Consiglio regionale nella formulazione degli atti di competenza.
Ci vorrebbe un organismo snello, ma autorevole, per la promozione della partecipazione
della società civile e per l’alta vigilanza sull’intero processo di revisione. Un organismo che
non operi per linee interne ma garantisca flussi formativi e informativi tra la società civile e
l’istituzione regionale.
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Una Associazione di iniziativa e cultura politica per
l’autonomia friulana: Identità Innovazione
Identità Innovazione - Associazione per l’Autonomia del Friuli - è un’associazione di cultura
e iniziativa autonomista fondata nel 2005 con lo scopo di diffondere una coscienza
autonomista a tutti i livelli della società e del territorio friulani, al fine di rivalutare tutti gli
aspetti della identità friulana, e di trovare e applicare tutti gli strumenti necessari per bloccare
e invertire le tendenze alla snaturalizzazione della comunità del Friuli, poste in essere dalla
Regione Friuli Venezia Giulia, dagli uffici dello Stato e dalle strutture scolastiche, e dalle
spinte verso la globalizzazione. Il tutto inserendosi in un filone di pensiero politico moderato
e popolare, che rifiuta ogni posizione estremista, ma che si schiera con forza a favore della
rivendicazione degli interessi della comunità friulana.
L’Associazione è nata nella consapevolezza che i problemi fondamentali che indeboliscono la
comunità friulana sono i seguenti:

l’insufficiente livello di coscienza del valore della comunità friulana, come entità
distinta dalle comunità contermini, cui si legano i complessi di inferiorità e di sudditanza
ancora troppo diffusi;

la dipendenza da un capoluogo regionale, Trieste, assolutamente estraneo ai valori,
comportamenti, cultura e lingua del Friuli;

la presenza di un sistema scolastico che diffonde una concezione riduttivistica, quando
non apertamente ostile, riguardo alla lingua e identità friulana, considerata ancora un dialetto
o una parlata di rango inferiore, non meritevole di attenzione, malgrado quanto sancito dalla
Costituzione e dalla legge sulle minoranze linguistiche, la Legge 482/1999.
L’Associazione intende chiamare a raccolta i friulani che sono orgogliosi di essere tali per
realizzare una grande opera di risveglio della coscienza friulana, attraverso:

il lancio di iniziative concrete di animazione sul territorio;

la costruzione di una rete autonomista su tutto il territorio del Friuli: una rete di
aderenti e di strutture locali in grado di sviluppare una continua azione diretta a contrastare il
centralismo e la snaturalizzazione.
21
Aderire e sostenere Identità e Innovazione
Vi invitiamo ad aderire all’Associazione compilando il seguente modulo:
SCHEDA DI ADESIONE
Il/La sottoscritto/a
_____________________________________________________________
Cognome e nome
______________________________________________
Nato a
_________________________________
Via/Piazza
__________________
il
_____ ___________________
Numero
Comune
______
CAP
___________________________________________
Professione
__________________________________________
Ente o Azienda di appartenenza
_________________________________________
Amministratore di Ente o Associazione
______________________ ___________________
Cellulare
Telefono
__________________________________
Posta elettronica
CHIEDE
di aderire alla Associazione “Identità e Innovazione”, sottoscrivendo la
quota annuale di adesione di Euro 10 nonché un eventuale contributo di
sostegno di Euro__________.
Note:
1)
per perfezionare l’iscrizione si prega di restituire per posta
elettronica la presente scheda di adesione;
2)
la quota di iscrizione si fa pervenire attraverso un versamento sul
conto corrente bancario
CREDIFRIULI,n.18210017275, Udine, Via Crispi45
IBAN IT 20 E 07085 12302 018210017275
22
Presentazione di Gnovis pai Autonomiscj
L’Associazione intende informare periodicamente i propri quadri, iscritti e
simpatizzanti sui più grandi problemi che riguardano la crescita del Friuli
come autonoma entità, la cui conservazione e valorizzazione richiede un
impegno costante da parte di coloro che credono indispensabile rafforzare
la nostra comunità e impedire che essa anneghi in una indistinta realtà
friul-giuliana o, peggio, friul-veneta.
Chiediamo ai destinatari di questo notiziario di collaborare in tre modi:

fornire indirizzi mail di persone che potrebbero essere interessate
a riceverlo,per ampliare la sua diffusione;

formulare critiche e suggerimenti per un suo miglioramento;

inviare o segnalare notizie per un suo arricchimento.
Viene utilizzata la lingua italiana come mero strumento di comunicazione e
non certo come scelta culturale: useremmo volentieri la lingua friulana se
la scuola italiana ci avesse insegnato a leggerla e soprattutto a scriverla
con facilità.
Riferimenti:
corrispondenza: [email protected]
sito web ufficiale: www.identitaeinnovazione.it
pagina Facebook: identitaeinnovazione
Redazione
Comitato di Redazione: Gianluca Falcomer, Valeria Grillo, Giorgio Lodolo,
Lauro Nicodemo, Franco Rosa, Raimondo Strassoldo
Coordinatore: Marzio Strassoldo, [email protected],
cell. 334 6210176
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