L L ibri del mese / segnalazioni G. Tourn, I protestanti 3. Una cultura. Da Locke a Mandela, Claudiana, Torino, 2013, pp. 505, € 29,50. 9788870169508 I l gesto fu come un nuovo inizio: il 31 ottobre 1517 a Wittemberg, come vuole la tradizione, un monaco agostiniano affisse sul portone della cattedrale un foglio in latino riportante 95 tesi con le quali si scagliava contro gli effetti devastanti che provocavano le indulgenze nell’animo dei credenti. Qualcuno lesse il foglio e reputò che fosse opportuno tradurlo in tedesco affinché si diffondesse: le parole affisse da quell’anonimo monaco agostiniano il cui nome, Martin Lutero, era destinato nei secoli successivi a incarnare l’immagine dell’eretico per antonomasia, furono la scintilla di un’autentica rivoluzione che non solo riconfigurò i campi del sapere teologico, ma i cui effetti ricaddero sull’etica, sulla filosofia, sulla concezione dello stato: una scomposizione e una ricomposizione a opera di un diverso modo di essere cristiani. I protestanti, dunque, chi sono? Effettivamente li conosciamo? Che cosa vuol dire per Locke, Kant, Martin Luther King, Nelson Mandela essere stati protestanti; che cosa vuol dire esserlo oggi in questo inizio millennio? Giorgio Tourn, storico, pastore valdese, allievo a Basilea di Karl Barth e di Oscar Cullmann, per anni presidente della Società di studi valdesi e del Centro culturale valdese di Torre Pellice (TO), un uomo «nascosto» ma senza la cui opera questo paese sarebbe ancor più provinciale, ha portato a termine un lavoro iniziato nel 1993 quando Claudiana diede alle stampe il suo primo volume dedicato ai cristiani che pro-testano, vale a dire che rendono testimonianza della fede evangelica in famiglia, sul lavoro, nelle istituzioni con una sensibilità spirituale e con un’antropologia che a volte disorienta, destabilizza, in ogni caso interroga. Nel 1993 Tourn partiva da una considerazione: in Italia la Riforma protestante è stata per secoli un argomento da sussurrare sottovoce, un tabù che comportava come sua ricaduta pratica un conformismo, un formalismo bigotto, un’autocensura indotta, tra l’altro, anche dalla storica presenza della santa Inquisizione. In quel suo primo volume, intitolato I Protestanti. Una rivoluzione. Dalle origini a Calvino (1517-1564), si manifestava la voglia, innanzitutto spirituale prima ancora che storica, di narrare il cammino delle Chiese nate dalla Riforma. Tourn con questo suo primo tassello non solo ci narrava dei grandi riformatori come Martin Lutero, Giovanni Calvino, Huldrich Zwingli, Martin Butzer (quest’ultimi due, invero, CXXXVII ancora piuttosto ignoti), ma presentava una folla di uomini e di donne che ebbero il coraggio di testimoniare la loro fede in Cristo tra mille traversie anche a costo della loro stessa vita. Quegli anonimi protagonisti del Cinquecento erano semplici latori della «scoperta» di un Evangelo declinato assieme all’aggettivo «solus»: sola gratia, sola fide, sola Scriptura, solus Christus. I quattro pilastri attorno ai quali la galassia protestante non cessa mai di ruotare. Fu un letterato, Fulvio Tomizza, con il suo Il male viene dal Nord (1984), a narrare la storia di uno di quei messaggeri: il nunzio Pier Paolo Vergerio che aderì alla Riforma trovando rifugio prima in Val Bregaglia nei Grigioni, svolgendo in modo esemplare il ministero pastorale e poi, nel 1553, come consigliere presso il duca Cristoforo del Wüttemberg chiamato da quest’ultimo per la vasta cultura religiosa e diplomatica che possedeva. Tourn osservava come una bizzarria il fatto che in Italia fosse stato uno scrittore profugo istriano a scrivere di Vergerio mentre gli storici, anche quelli più raffinati come Carlo Ginzburg, si erano fermati al «mugnaio benandante»: come se il protestantesimo fosse un tabù. Anche se lo stesso Ginzburg, in un memorabile libro del 1970, mai più ripubblicato, indagò il fenomeno del nicodemismo, ovvero la simulazione e la dissimulazione religiosa nell’Europa del XVI secolo contro cui non a caso Giovanni Calvino si scagliò con violenti opuscoli polemici (Il nicodemismo, Einaudi, Torino, 1970). Ma quella folla di evangelici, per un certo pubblico quasi del tutto sconosciuta, aveva invece costruito una società. Così nel 2007 Tourn aggiungeva un secondo tassello con I protestanti. Una società. Da Coligny a Guglielmo d’Orange (1565-1690) – dedicato allo storico valdese Mario Miegge scomparso da pochi mesi – nel quale si proponeva d’illustrare al grande pubblico italiano come i protestanti fossero non un concetto astratto ma carne, sangue, passione, errori, lungimiranza, sconfitte e vittorie di esseri umani, desiderosi di realizzare il progetto di una nuova cristianità. Se per il fondatore dell’ordine dei gesuiti, sant’Ignazio di Loyola, preso da Tourn più che altro come simbolo, significò riconfigurare il progetto cristiano alla luce dell’antico, per Calvino e i calvinisti – anch’essi presi come simbolo – usciti dalla cinta muraria di Ginevra tale progetto assunse un significato ben diverso: per costoro la nuova cristianità ebbe come significato la sfida di reinventarne una assolutamente inedita basandosi sui fondamenti istituzionali della Scrittura e dell’età apostolica. Ecco allora la descrizione dei puritani di Cromwell della Rivoluzione inglese del Seicento; ecco i dissidenti dei Paesi Bassi, i calvinisti riuniti tra il 1618 e il 1619 a Dordrecht; o i sociniani polacchi; o ancora gli immigrati del Massachusetts: tutti rappresentati da Tourn in modo da percepire vividamente la loro incredibile energia e creatività. Certamente furono sconfitti – come gli stessi gesuiti dal loro canto – perché la cristianità volgeva ormai al termine. Restava, però, la cultura. Il terzo e ultimo volume edito nel 2013 proprio di questa tratta. Bayle, Spener, l’autore dei Pia desideria che darà luogo al fenomeno storico del pietismo, il filosofo inglese campione della tolleranza John Locke, lo scienziato Isaac Newton sono – come scrive nell’Introduzione Tourn – «espressione di quel movimento culturale e teologico che troverà piena espressione nel secolo successivo»: la narrazione, dunque, che segue ci introduce negli snodi fondamentali non solo della storia del protestantesimo ma di tutta la cultura occidentale che va oltre i confini europei giungendo sino in Africa. È una storia di protestanti che determinano i grandi filoni del pensiero politico dell’Ottocento, il liberalismo e il socialismo innanzitutto alle prese con la nascita e lo sviluppo del capitalismo, di intelligenze che portano avanti con volontà di ferro l’ecumenismo, di sensibilità che pongono il problema della condizione femminile e della lotta al razzismo. Da Lutero a Mandela: protestanti da conoscere, da studiare a partire da questi tre volumi scritti da un pastore valdese «nascosto» che ha saputo «svelare» un segreto posto sotto gli occhi di tutti. Domenico Segna Il Regno - attualità 14/2014 483