79 Antichi “angoli di studio” a Bolzano: biblioteche ed organizzazione del sapere Johannes Andresen Al Decano Johannes Noisternigg in occasione del suo 70º compleanno Come e dove si studiava in passato? Questo è il tema della mostra. Fin dai tempi antichi, le biblioteche furono “angoli di studio”. Tradotta letteralmente la parola “biblioteca”, di origine greca, significa “scaffale per libri”. Oggi definiamo così le collezioni di libri, pubbliche o private, organizzate seguendo dei criteri stabiliti. Già da questa breve definizione emergono due aspetti importanti: la distinzione tra biblioteche pubbliche e private ed il fatto che i libri debbano essere ordinati in base a dei principi definiti. Se pensiamo alle biblioteche in Alto Adige, ci vengono in mente, innanzi tutto, le biblioteche civiche e quelle dei paesi; e poi la Biblioteca Universitaria, di recente istituita, o le due biblioteche provinciali “Dr. Friedrich Tessmann” e “Claudia Augusta”. La storia delle biblioteche di oggi affonda le sue radici in un’antica tradizione bibliotecaria. Nel corso dei seco- li, nobili, conventi, città e borghesi raccolsero diverse collezioni di libri, in parte conservatesi fino ai nostri giorni. Il presente saggio intende far luce su quali fossero, allora, le idee legate all’istituzione di una biblioteca. Cronologicamente prende le mosse dall’invenzione della stampa, alla fine del XV secolo. Partendo dalla definizione di biblioteca sopra esposta, indagherà sul significato di “pubblico” e “privato”; cercherà di scoprire quali fossero, allora, le biblioteche e chi poteva accedervi. Che cosa significava per i nostri ante196 nati collezionare seguendo dei criteri precisi? Il testo vuole offrire un excursus nel mondo delle biblioteche storiche dell’Alto Adige. Se affreschi e dipinti illustrano scenari ideali del sapere e per lo più personalità famose dedite allo studio, uno sguardo nella quotidianità delle biblioteche dei tempi passati ci farà capire come era organizzato il sapere. Molte delle biblioteche di cui tratteremo esistono ancor oggi e sono in buona parte visitabili su prenotazione. Cominciamo ora il nostro viaggio ed immergiamoci nella Bolzano del 1500. Già a quel tempo esistevano diverse biblioteche, di cui oggi conosciamo solo il nome. I frati francescani, che risiedevano in città già da 300 anni, possedevano una biblioteca con manoscritti ed incunaboli (Ill. 196). Lo stesso possiamo dire per gli altri ordini religiosi presenti in città: i domenicani e gli agostiniani di Gries, il cui convento è abitato oggi dai benedettini. Spesso l’impulso a creare una biblioteca veniva proprio dalle regole degli ordini religiosi monastici. Esse determinarono l’atteggiamento positivo delle comunità religiose nei confronti della formazione e del sapere. In base al capitolo 48 della regola benedettina, a cui facevano riferimento diversi ordini, ogni monaco era obbligato, nel periodo di quaresima, a prendere in prestito un libro dalla biblioteca e leggerlo fino alla fine. Da questa disposizione emerge chiaro che anche la lectio, ovvero la lettura spirituale e lo studio, erano parte importante del noto motto benedettino “ora et labora”. Ciò sarebbe stato impossibile senza una biblioteca. Allo stesso modo, la regola di San Bruno (1030/1035-1101), fondatore dei certosini, prevede- 196. Diurnale dei francescani, 1500 ca., manoscritto su pergamena, miniato, Bolzano, Biblioteca della Prepositura 80 va, per gli appartenenti all’ordine, un regolare lavoro di scrittura e lo studio costante dei testi sacri. Per i certosini, che conducevano un’esistenza appartata, la parola scritta rappresentava uno dei pochi legami con il mondo esterno. Copiare e leggere i testi sacri era parte della formazione spirituale. Questo portò a far si che in ogni convento ci fossero, di regola, sia uno scrittorio sia una biblioteca. In ambito tirolese sono particolarmente noti gli scrittori della certosa di Senales (Mons Omnium Angelorum) e quello del convento di Stams, nel Tirolo del Nord. Con l’invenzione della stampa, questa stretta connessione tra biblioteca e scrittorio divenne obsoleta. Oltre alle comunità monastiche, erano le famiglie nobili a possedere preziose collezioni di libri. La famiglia Vintler, ad esempio, possedeva con buona probabilità una biblioteca privata. Nel XVI secolo, era particolarmente famosa la biblioteca dei baroni di Wolkenstein, oggi andata dispersa. Tutte queste biblioteche erano accessibili solo ad una ristretta cerchia di privilegiati. Nelle comunità monastiche l’accesso ai libri era regolato severamente. Il bibliotecarius (Ill. 189) sorvegliava la biblioteca; non tutti i confratelli avevano accesso incondizionato al sapere. Cosa leggeva un abitante di Bolzano? Quali erano i suoi “angoli di studio”? Gli antichi inventari del XVI secolo ci aiutano a farci un’idea delle case dei bolzanini di allora. La maggior parte della popolazione non aveva in casa nemmeno un libro. Non sappiamo nemmeno quanti sapessero leggere e scrivere. Se qualcuno possedeva dei libri, era perché gli occorrevano per il lavoro. Così, ad esempio, alla morte del pittore Hans Stockhmayr nel settembre 1569, oltre a molti quadri, furono rinvenuti nella sua abitazione diversi libri con storie bibliche illustrate, libri di araldica e collezioni di incisioni, che utilizzava come modello per i suoi schizzi. Le fonti riferiscono anche di una barbiera, tale Dorothea Hagedorn, che nella stube superiore di casa sua “presso la vite in via dei calzolai” teneva quadri e libri. Alcuni di questi, come un erbario, un libro di chirurgia e diversi volumi di astrologia con le costellazioni dei pianeti, vanno considerati in relazione al suo mestiere. Altri, come il nuovo testamento o un libro storico, rappresentano le “classiche” letture di quel tempo: letteratura edificante e storia/e (Ill. 190). La stube, il cuore delle abitazioni di allora, era lo spazio riservato alla lettura. Dopo una stancante giornata di lavoro, si leggeva a lume di candela, da soli o in compagnia. Chi sapeva leggere, leggeva ad alta voce anche per gli altri. Era una lettura intensa. I pochi libri posseduti venivano letti e riletti più volte. Se il latino era la lingua del sapere, cominciarono ad essere pubblicati, a quel tempo, sempre più libri nelle lingue nazionali. Essi si rivolgevano ad un vasto pubblico. I best seller del XVI secolo erano dei quadernetti sottili, in cui si narravano le avventure di cavalieri e nobiluomini. Venivano venduti a prezzi accessibili nei mercati e nelle fiere. Erano letture d’intrattenimento. Il XVI secolo fu anche il tempo delle lotte religiose, che coinvolsero ampi strati della popolazione. Grazie all’invenzione della stampa, fu possibile far conoscere, attraverso fogli volanti ed opuscoli, le idee riformiste prima, e controriformiste poi, a gran parte della popolazione. Anche nei mercati bolzanini giunsero, tramite i com- 197 mercianti stranieri, gli scritti di Martin Lutero e dei suoi seguaci. Il principe prese provvedimenti contro la diffusione di tali scritti, per impedire che la “peste” riformista contagiasse il paese. Nel 1523 l’arciduca Ferdinando emanò un decreto contro la stampa e la vendita di libri eretici. Veniva punito anche chi leggeva o trascriveva i libri luterani. Ai librai e fornitori dovevano essere sottratti questi libri, se necessario anche con violenza; doveva inoltre venirne impedita l’importazione. A causa dei frequenti abusi, il divieto venne più volte rinnovato. Questa notizia ci mostra quanto potere venisse attribuito ai libri stampati, ad appena settant’anni dall’invenzione della cosiddetta ”arte nigra”. In questi anni nascono a Bolzano anche i primi mestieri legati all’editoria. Dalle liste dei cittadini apprendiamo che, nella seconda metà del XVI secolo, erano presenti in città diversi librai. All’inizio del XVII secolo, si stabilì a Bolzano la famiglia di 81 198 rilegatori Herzog, che esercitò il mestiere per diverse generazioni. Il lavoro di rilegatura era importante, perché, al contrario di oggi, il libro si acquistava senza rilegatura. Si doveva e si poteva così farlo rilegare 197. Un esempio di “studio intenso” di un libro nel XVI secolo, Bolzano, Biblioteca della Prepositura 198. Una ricetta di quattrocento anni fa sulla preparazione dell’inchiostro secondo i propri gusti. Anche la presenza di stamperie è testimoniata relativamente presto. La più antica officina del Tirolo fu a Trento. Dal 1475 al 1482 Albrecht Kunne da Duderstadt prima, Hermann Schindeleyp e Giovanni Leonardo Longo poi, pubblicarono diversi fogli volanti e scritti d’occasione. Qui venne stampato anche quell’inglorioso incunabolo con la “Geschichte des zu Trient ermordeten Christenkindes”. Appena due mesi dopo l’annuncio della pena capitale contro gli ebrei accusati della morte di Simonino, uscì un’edizione in folio in lingua tedesca, illustrata da xilografie (Ill. 191). A Trento non era presente, però, un’officina stabile. Si trattava di stampatori ambulanti, che, stabilitisi per qualche tempo in città, lavoravano su incarico. Negli anni Venti del XVI secolo ci fu per breve tempo una stamperia nel castello Sigmundlust a Vomp, presso Schwaz. Dal 1521 al 1526 vi lavorò lo stampatore Josef Piernsieder per i fratelli Jörg e Hans Stöckl, che possedevano ricche miniere d’argento e rame. Spinti da interessi umanistici e senza considerazione per gli aspetti economici, i due fratelli avevano approntato una stamperia privata, che doveva fungere da organo di pubblicazione del circolo umanistico nato intorno alla scuola latina di Schwaz. Solo verso la metà del XVI secolo nacquero delle stamperie nei centri del potere temporale e spirituale del Tirolo: Ruprecht Höller iniziò a stampare ad Innsbruck, Donatus Faetius a Bressanone. La lettura e lo studio si svolgevano, 500 anni fa, negli spazi privati e nei circoli di studio. Mentre la maggior parte dei cittadini possedevano solo pochi libri, alcuni nobili e qualche ricco borghese istruito votati agli studia umanistica si erano decisi a raccogliere una biblioteca privata, che veniva curata personalmente nei conte- nuti e nell’aspetto esteriore. Una di queste rare biblioteche umanistiche finì, più tardi, a Bolzano. Si trova ancor oggi nella biblioteca della prepositura: si tratta della biblioteca dello studioso Erasmus Fend (1532-1585), o Fendius nella versione latinizzata, come amava chiamarsi in onore dell’antica tradizione umanistica. Fend era bibliotecario, archivista e consigliere alla corte del duca Alberto V di Baviera (15281579). Il suo interesse spaziava dalle lingue antiche all’attualità delle lotte religiose; dalla storia, alla teologia, sino alla filosofia. Egli fece rilegare tutti i suoi libri allo stesso modo, con pelle di vitello chiara decorata con ornamenti simili da volume a volume. Per contrassegnarli come di sua proprietà, la famiglia fece realizzare e stampare un proprio ex libris, ovvero un’etichetta di possesso, che venne applicata in tutti i libri (Ill. 193). Spesso veniva aggiunto a mano un detto latino, adeguato al contenuto del libro. Alla fine di molti volumi vennero rilegati dei fogli vuoti, per le osservazioni personali. Chi possedeva libri simili, li leggeva approfonditamente e non si tratteneva dal sottolineare passi importanti o aggiungere osservazioni a margine (Ill. 197). Una manina disegnata con l’indice teso ad indicare un passo importante, aiutava poi a ritrovarlo in un colpo d’occhio; non esistevano, infatti, indici o registri. Alcune cose non sono molto cambiate da allora. Mentre si studiava, si cercava all’improvviso un pezzo di carta per prendere appunti; e così è facile ritrovare nei libri dei classici latini ricette su come fare l’inchiostro o un conto vecchio di 400 anni (Ill. 198). A quel tempo, la biblioteca era spesso solo un aspetto di un ampio interesse collezionistico. Così il duca Alberto V di Baviera, presso cui Erasmus Fend prestava servizio, tra il 1563 ed il 1567 cominciò a crearsi una Kunstkammer. Oltre alla biblioteca e all’archivio, 82 essa comprendeva anche quadri e carte geografiche, manufatti d’oreficeria, apparecchiature scientifiche rare, monete, medaglie di personaggi famosi. La “camera dell’arte” del duca non era, allora, un caso isolato. La “kunstcamer” dell’arciduca Ferdinando II del Tirolo (1529-1595), presso il castello di Ambras, era nota anche oltre i confini nazionali. Ferdinando fece costruire un complesso di edifici, concepito appositamente per ospitare la collezione (Ill. 199). Per il collezionista la collezione rappresentava un’unità di oggetti rari e preziosi. Solo col tempo si comprese che una suddivisione della collezione in sotto collezioni poteva esser utile e necessaria. I singoli oggetti si differenziavano troppo, infatti, per tipologia, destinazione d’uso e percezione. Gli oggetti della Wunder-kammer volevano essere studiati, ammirati o semplicemente osservati. I libri della biblioteca, invece, stavano l’uno accanto all’altro, senza distinguersi particolarmente. Esteriormente sembravano quasi tutti uguali. Solo nel loro complesso, in quanto biblioteca, costituivano un “oggetto” capace di impressionare esteticamente (Ill. 192). Per ogni sotto collezione delle Wunderkammern del Rinascimento si svilupparono criteri d’ordine specifici. La biblioteca come sotto collezione si trasformò gradualmente da oggetto d’arte a strumento di lavoro scientifico. I contenuti dei libri e gli strumenti per accedervi iniziarono a rivestire un’importanza particolare. Per poter trovare velocemente le informazioni giuste nei libri, occorrevano nuovi criteri d’ordine e nuovi strumenti dell’organizzazione delle biblioteche. Allora la collocazione dei libri nello spazio si basava, generalmente, sul canone delle materie insegnato nelle università e nelle facoltà, che a sua volta si ispirava alla tradizione medioevale delle sette arti liberali. Al trivio, che comprendeva la grammatica, la retorica e la logica, seguiva, nello studio, il quadrivio, con l’aritmetica, la musica, la geometria e l’astronomia. A queste si aggiungevano la teologia, la giurisprudenza e la medicina come ulteriori discipline. Nel suo “Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi” (1565), Samuel Quiccebergh (1529-1567) fece uno dei primi tentati199 vi di dividere la biblioteca ideale in questi dieci gruppi principali, con i loro rispettivi sottogruppi. La sua opera rispecchia una prassi a quel tempo molto diffusa. Possiamo vedere l’applicazione delle sue teorie in molte incisioni raffiguranti biblioteche del XVIII secolo, che rispecchiano la divisione del sapere allora conosciuto nei titoli degli scaffali (Ill. 200). Ogni materia aveva un proprio scaffale. Poiché lo spazio era prezioso, e lo si voleva sfruttare al meglio, i libri venivano ordinati secondo il formato. Negli scaffali inferiori trovavano posto i volumi in folio, grandi e pesanti; in mezzo i quarti, di dimensioni medio grandi e gli ottavi, ancora più piccoli. Infine, negli scaffali più alti, stavano i volumetti in dodicesimo, piccoli come una mano. Poiché questo tipo di ordinamento ricorda un albero di natale, in cui i rami si accorciano procedendo dalla base alla cima, si parla di una “disposizione ad albero di Natale della biblioteca”. I nomi dei formati derivano dal numero di pagine che si potevano fabbricare con un foglio di carta. Da un foglio si ricavavano, nei libri di formato ottavo, otto pagine; nei quarti scendevano a quattro e nel dodicesimo, invece, arrivavano a dodici. Quando i libri cominciarono a diventare numerosi, questa divisione degli scaffali in formati e materie non bastò più per trovare un libro in particolare. Ancor peggio se il contenuto del libro non poteva attribuirsi con precisione ad una data materia. Oltre ad ordinare i libri per materie, divenne perciò necessario catalogare e segnare ogni singolo volume, se lo 199. “Das fürstliche Schloss Ambras” in Matthäus Merian, Topographia Germaniae, Francoforte 1649 83 si voleva poi ritrovare nello scaffale. Que- 200 sto ragionamento stava dietro alla creazione dei cataloghi, che seguivano criteri d’ordine totalmente diversi. Certo, già in tempi ancora più antichi, i proprietari di libri preziosi e di manoscritti avevano iniziato a redigere dei cataloghi. Negli antenati dei cataloghi, gli inventari, i volumi venivano descritti con un breve riferimento al contenuto ed un numero progressivo, in base all’ordine d’ingresso nella collezione. Autore e titolo spesso non venivano nemmeno menzionati. Si desiderava semplicemente avere una visione d’insieme dei propri beni e si dava per scontato che tutti sapessero quale opera si celava dietro “libro con storie dell’imperatore”. I cataloghi ruppero con questa tradizione e suddivisero i libri in base ad un nuovo criterio, per noi assolutamente scontato, ma per i tempi di allora una rivoluzione: l’alfabeto. Il fenomeno storico del tempo, ovvero la crescente importanza attribuita all’individuo, trovò riflessi anche nella storia del libro, con l’introduzione, all’inizio del XVI secolo, del frontespizio, in cui venivano nominati l’autore, il curatore o il traduttore. Di qui derivarono le regole, non ancora fissate per iscritto, che stabilivano quali dati di un’opera dovesse contenere il catalogo. Grazie all’ordinamento alfabetico, fu possibile ordinare con precisione anche una biblioteca di migliaia di volumi. Da questo momento saranno due i sistemi di ordinamento delle biblioteche a farsi concorrenza. I libri venivano ordinati negli scaffali secondo le diverse materie, mentre nel catalogo venivano elencati in ordine alfabetico secondo l’autore (Ill. 201). Per poter individuare negli scaffali un libro trovato 201 consultando il catalogo, occorreva stabilire un collegamento tra questi due sistemi. La segnatura assolse a questo compito. Essa fu, dopo l’ordinamento alfabetico, la seconda novità fondamentale introdotta. In pratica, possiamo definire la segnatura come l’indirizzo di ogni singolo libro. È la guida che porta il lettore al posto giusto nello scaffale. Ad esempio, se si cercava la famosa opera di Cicerone “Contra Catilinam” bisognava consultare il catalogo alla lettera “C” e trovare la segnatura, che avrebbe quindi indicato la via giusta verso il volume nello scaffale (Ill. 202). Oltre a seguire dei criteri precisi per l’organizzazione, gli “angoli di studio” del passato si diedero, nel corso dei secoli, delle regole anche per la catalogazione. Rimasero comunque angoli privati, per lo più religiosi, a cui poche persone avevano accesso. Anche all’interno di questa ristretta cerchia di confratelli, non tutti potevano leggere ciò che vole- vano. Le proibizioni vanno considerate alla luce dei conflitti religiosi dell’era moderna. Nella lotta ideologica, libri, fogli volanti e scritti si trasformarono in vere e proprie armi spirituali. Tutti gli scritti di 200. La suddivisione del sapere in una biblioteca, in Joseph Valentin Eybel, Introductio In Jus Ecclesiasticum Catholicorum, Vienna 1778 201. Una pagina dal catalogo della Biblioteca della Prepositura di Bolzano 84 Lutero e dei suoi seguaci, ma anche molte opere delle nascenti scienze naturali, venivano considerate dalla chiesa ufficiale opera del diavolo ed erano quindi vietati. Dal concilio di Trento (1545-1563) in poi venne pubblicato regolarmente un catalogo dei “libri prohibiti” (Ill. 194). Tramite il catalogo, la chiesa comunicava ai credenti quali libri potessero esser letti e quali no. Proprio nelle biblioteche monastiche non tutti i confratelli avevano accesso ai libri proibiti. Solo chi era ben ancorato nella fede poteva confrontarsi con il pensiero eretico, e quindi confutarlo. Anche la biblioteca della prepositura di Bolzano possedeva dei “libri prohibiti”, accuratamente catalogati, fino al XVIII secolo, da un bibliotecario zelante. Tuttavia, egli annotò nel catalogo solo l’autore ed il titolo dei libri incriminati e non le segnature; in questo modo, senza il suo aiuto, nessuno era in grado di trovarli. In altre biblioteche conventuali c’erano appositi armadi chiusi per queste “opere del diavolo”. Ad un certo punto nel catalogo in volume lo spazio nella pagina sotto la “c” non fu più sufficiente per annotare tutti gli autori, il cui nome iniziava con questa lettera. Così nacquero i primi cataloghi a schede mobili, che potevano essere aumentati a volontà, semplicemente aggiungendo la scheda con la nuova registrazione. Le schede venivano conservate in cassetti, un sistema conservatosi fino ai nostri giorni, anche se nel frattempo il computer ha reso superfluo il catalogo a schede nelle biblioteche. In epoca barocca, l’intero spazio dedicato alla biblioteca divenne un angolo di studio rappresentativo. Caratteristica delle biblioteche di questo periodo sono le architetture sontuose ed i preziosi arredi, 202. Esempi di segnature da tre secoli, Bolzano, Biblioteca della Prepositura come dimostrano la splendida sala del seminario vescovile di Bressanone (Ill. 195), quella della biblioteca di Novacella o della biblioteca della prepositura di Bolzano purtroppo distrutta. Nella sala della biblioteca prepositurale i ritratti dei prevosti si alternavano agli scaffali con gli antichi volumi. La biblioteca trovava spazio su due piani e si affacciava come un portico sull’attuale via Alto Adige; sul soffitto troneggiava un affresco di Carl Henrici. La biblioteca divenne così il luogo rappresentativo di abati, vescovi e prevosti. I libri custodivano il sapere universale e perciò la biblioteca era considerata un luogo immortale. In essa tutta la storia era accessibile ed imperitura. Non era infrequente, perciò, che un collezionista desiderasse sostenere ed incrementare la propria biblioteca anche dopo la morte. A tal scopo c’erano le donazioni e le disposizioni testamentarie, come quelle che lasciò il prevosto di Bolzano Josef David Alexander, conte di Sarnthein. Egli donò alla “sua” biblioteca prepositurale un capitale annuo di 1.000 fiorini per l’acquisto di nuovi libri, con l’obbligo però di renderla accessibile a tutti i monaci di Bolzano come biblioteca di studio. Il suo ritratto ce lo mostra, ovviamente, circondato da libri. Nell’area tirolese, le prime biblioteche veramente accessibili al pubblico nacquero solo all’inizio del XVIII secolo. Nel 1746 venne inaugurata la “Bibliotheca publica Oenipontana” come biblioteca per l’Università di Innsbruck e come biblioteca centrale regionale. Era nata con lo scopo di mettere a disposizione la letteratura scientifica per la ricerca e l’insegnamento; essa aveva anche il compito di raccogliere la letteratura regionale. Nel 1764 venne creata ,grazie al lascito di Girolamo Tartarotti, una “libreria d’uso pubblico” a Rovereto. Essa rappresenta il nucleo storico dell’odierna biblioteca civica. 202 Le prime biblioteche accessibili al pubblico nel tardo XIX secolo furono quelle delle parrocchie; non mancarono però le biblioteche con fini di lucro, come ad esempio la “grande biblioteca circolante” della libreria Pötzelberger di Merano, allora noto luogo di cura, che vantava 22.000 volumi. Oggi l’Alto Adige dispone di un moderno sistema bibliotecario, che comprende biblioteche pubbliche e scientifiche. Al contrario del passato, è sottinteso, oggi, che tutte le biblioteche siano organizzate per servire al meglio i propri lettori.