XX GIORNATA FAI DI PRIMAVERA
24-25 marzo 2012
Palazzo Sormani
Biblioteca Centrale
Corso di Porta Vittoria, 6 - Milano
Delegazione FAI di Milano
Schede per la formazione degli Apprendisti Ciceroni
Giornata FAI di Primavera 2012
Cari studenti e gentili insegnanti,
il testo che leggerete è stato elaborato dalla Delegazione FAI di Milano
per la preparazione degli “apprendisti ciceroni”, protagonisti della XX
Giornata di Primavera 2012, che prevede la visita allo storico Palazzo
Sormani, sede della Biblioteca Civica.
Il materiale di studio che vi offriamo permetterà di approfondire la
conoscenza del “bene” che sarà vostro compito presentare al pubblico
sotto due aspetti, quello storico-architettonico del palazzo e quello del
servizio bibliotecario.
A questo scopo abbiamo concordato con i responsabili della Biblioteca
un percorso per i visitatori.
La documentazione fornita è strutturata secondo i seguenti punti:
1. LE VICENDE DEL PALAZZO NEL TEMPO ATTRAVERSO I SUOI
PROPRIETARI E I SUOI ARCHITETTI
2. IL GIARDINO DEL PALAZZO
3. LA SALA DEL GRECHETTO
4. IL CENTRO STENDHALIANO
5. IL PATRIMONIO DELLA BIBLIOTECA
6. IL PERCORSO DELLA VISITA
7. BIBLIOGRAFIA E SITI UTILI
La formazione dei ciceroni prevede un sopralluogo al Palazzo Sormani
e alla Biblioteca, lo studio del materiale fornito con approfondimenti in
classe, infine la preparazione della visita guidata con prove sul campo.
Buon lavoro a tutti dalla Delegazione FAI di Milano!
Milano, febbraio 2012
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Giornata FAI di Primavera 2012
Il Palazzo nella Milano del Settecento
Palazzo Monti in un’incisione di
Marc’Antonio Dal Re.
Il Palazzo, che attualmente chiamiamo
“Sormani”, nella seconda metà del
Seicento e nel Settecento fu proprietà
della famiglia Monti.
Marc’Antonio Dal Re
(Bologna 1697- Milano 1766)
Incisore, stampatore ed editore.
Oltre alla famosa pianta della città di
Milano del 1734, realizzò 88 incisioni
raffiguranti vedute di Milano (1745) in
cui ritrasse vie, piazze, chiese e palazzi
della città della prima metà del
sec.XVIII, grazie alle quali è possibile
conoscere l'aspetto originario di
architetture e luoghi milanesi spesso
oggi trasformati o scomparsi.
Marc’Antonio Dal Re, Pianta di Milano, 1734
1 Palazzo Monti Sormani
2 Cerchia dei Navigli
3 S. Stefano e S. Bernardino
4 Porta Tosa (nelle due collocazioni)
5 Palazzo Trivulzio
6 Duomo
7 Arcivescovado
8 Verziere
9 Collegio della Guastalla
10 Ospedale Maggiore
11 Rotonda (della Besana) o Foppone
Marc’Antonio Dal Re, Pianta di Milano, 1734, particolare
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1. Le vicende del Palazzo nel tempo attraverso i suoi
proprietari e i suoi architetti
L'edificio, noto ai milanesi come Palazzo Sormani, attuale sede della
Biblioteca Comunale, è situato nell'angolo formato dalle vie Francesco
Sforza e della Guastalla, composto da quattro corpi di fabbrica di due
piani e da un giardino situato nello spazio retrostante al palazzo.
Facciata su Corso di Porta Vittoria
in stile barocchetto
(1741-44, Arch. Francesco Croce)
Una particolarità di questo palazzo è che possiede una doppia facciata,
una che dà sull'attuale Corso di Porta Vittoria, l'altra sul giardino.
Facciata sul giardino
in forme classiciste
(1756, Arch. Benedetto Alfieri)
L’edificio sorgeva nelle vicinanze della Porta Tosa e si affacciava
proprio sulla piazzetta, a fianco della quale si snodava il corso del
Naviglio. La proprietà era delimitata ai lati dallo stradone affiancato dal
Naviglio e dalla via che portava al Collegio della Guastalla, mentre il
vasto giardino retrostante confinava con quello dello stesso attiguo
Collegio (di cui ancora esiste un muro divisorio).
Due sono le ipotesi di attribuzione: che l'edificio sia dovuto interamente
all'intervento di Francesco Croce (1736), o, ipotesi più accreditata, che
sia stato costruito nel XVII secolo per la famiglia del cardinale Cesare
Monti e rimaneggiato successivamente dal Croce.
Molti proprietari si succedettero nel tempo e il nome del Palazzo
dovrebbe portarli tutti: Monti, Andreani, Sormani, Verri.
Altrettanto numerosi furono gli architetti: Francesco Maria Richini o
Ricchino (sec.XVII), Francesco Croce, Benedetto Alfieri e Leopoldo
Pollack (sec.XVIII), Arrigo Arrighetti (sec.XX).
Nel 1930 il palazzo fu acquistato dal Comune e nel 1935 divenne sede
del Museo di Milano. Ricostruito in seguito ai danni subiti durante la
seconda guerra mondiale da Arrigo Arrighetti (1953-1956), da allora
ospita la civica Biblioteca, oggi una delle più importanti in Italia.
Secondo i documenti, molti conservati nell’Archivio del Seminario
Arcivescovile di Venegono Inferiore (Varese), e le ricerche della
studiosa Irene Giustina, l'edificio fu segnato da diverse fasi edilizie:
quella più antica, cinquecentesca, quella seicentesca, ad opera di
Francesco Maria Ricchino, e quella settecentesca ad opera di
Francesco Croce.
Scorcio sull’area dell’antico verziere
(oggi Largo Augusto) dal balcone
angolare di Palazzo Sormani
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Giornata FAI di Primavera 2012
La vicenda cinquecentesca del palazzo
Un edificio di dimensioni più ridotte rispetto a quelle attuali doveva già
esistere nel XVI secolo.
Come testimonia una lapide nell’atrio d’ingresso, il Palazzo fu proprietà
del marchese Giovan Battista Castaldo, condottiero al servizio
dell’imperatore Carlo V. Divenuto ricchissimo e molto apprezzato anche
dalla nobiltà regale europea per le sue imprese militari, fu lui ad avviare
i primi consistenti lavori del complesso di Porta Tosa e a dare all'edificio
una cospicua importanza.
IO. BAP.CASTALDI.MARCH.CASSANI.
SUB.FERD.I.ET MAXIMIL.II. A.A.
IO.II.ET.ISABEL..I.HUNG.R.R.
IN.TRANSYLVANIA.ADVERSUS.TURCAS.
DUCIS.FORTISS.
HARUM.AEDIUM.OLIM.DOMINI.
ET.MATTHEAE.STAMPAE.CONIUGIS
INSIGNIA.
IN.AMPLIANDA. DOMO.
E.RUDERIBUS.EFOSSA.
AD.MEMORIAM.PERPETUI.NOMINIS.
COMES.CAESAR.MONTIUS.
P.C.
A. M.D.CC.XXXVII
Le insegne/ di Giovanni Battista Castaldo,
marchese di Cassano, / il quale / sotto Ferdinando
I e Massimiliano II Augusti / imperatori d’Austria/ e
sotto i Re d’Ungheria Giovanni II ed Isabella I / fu
/ validissimo condottiero nella guerra contro i
Turchi in Transilvania e / fu/ un tempo proprietario
di questo edificio,/ queste insegne/ anche di
Mattea
Stampa
sua moglie/ estratte dalle
macerie durante i lavori di ampliamento della
casa/ il conte Cesare Monti pose/ a memoria
perpetua del nome/ nell’anno 1737
Lapide Castaldo
La proprietà passò poi alla famiglia dei Medici di Marignano.
La nipote di Castaldo, Livia, infatti, sposando il cugino Gian Giacomo II
dei Medici di Marignano (1558-1599), fece confluire all'interno di
questa famiglia la propria dote, comprendente anche il palazzo in Porta
Tosa.
E’ plausibile ipotizzare che l'intervento di rifacimento del palazzo,
motivato da esigenze di prestigio sociale, si debba attribuire a Gian
Giacomo II e alla moglie Livia.
Antonio Moro
Ritratto di Gian Battista Castaldo, 1550
Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid
Giovan Battista Castaldo
(1493-dopo il 1565)
Generale napoletano, nato presso Cava
dei Tirreni. Si distinse come condottiero
al servizio di Carlo V d’Asburgo nelle
guerre in Italia e in campagne militari
all’estero. Nel 1525 prese parte
nell’esercito spagnolo all’occupazione di
Milano (nella battaglia di Pavia catturò e
fece prigioniero il re di Francia,
Francesco I di Valois!) e nel 1527 al
Sacco di Roma. Nel 1535 si trovava a
Milano al momento della morte di
Francesco II Sforza e gli venne affidato
l’incarico di recarne notizia in Spagna
all’imperatore. Per i meriti acquisiti in
successive campagne militari, ottenne
da Carlo V i titoli di conte di Piadena e
marchese di Cassano. Nel 1550 per le
sue qualità di stratega fu incaricato da
Carlo V, con piene responsabilità
politiche e militari e una notevole
provvigione annua, di dirigere le
operazioni di guerra in Ungheria contro i
Turchi. Nel 1555 tornò a Milano
dall’Ungheria per probabili ragioni di
salute, ma il riconoscimento per il suo
operato gli valse un feudo in
Transilvania. Sebbene nel 1551 gli
fosse stata offerta la carica di tenente
generale dell’esercito mediceo da
Cosimo de’ Medici, non sembra tuttavia
si sia allontanato da Milano. Nonostante
l’età, ebbe ancora importanti incarichi
da Filippo II, figlio di Carlo V. Nel 1560
fece testamento a favore della moglie,
la milanese Mattea Stampa, e del figlio
Ferdinando che ereditò il titolo di
marchese di Cassano.
Dobbiamo considerare, infatti, quanto la nobile famiglia milanese dei Medici di Marignano
fosse importante a quel tempo. Tra i suoi membri, Giovanni Angelo Medici era stato eletto
papa nel 1559 col nome di Pio IV. Quest’ultimo, zio di San Carlo Borromeo, fu promotore
dell’arte e dell’architettura milanese, committente del Palazzo dei Giureconsulti e del
sepolcro gentilizio in Duomo. Alla stessa famiglia era appartenuto anche il famoso
capitano di ventura Gian Giacomo Medici, detto il Medeghino (1498-1555) (“piccolo
Medici”, in dialetto milanese), cui si devono i lavori di abbellimento del Castello di
Melegnano (Marignano).
Sembra che proprio in questo palazzo nel 1559 sia stata festeggiata la
Pace di Cateau Cambrésis tra Francia e Spagna, che definì gli equilibri
europei per il secolo successivo.
Il Palazzo passò poi nelle mani del primogenito di Livia, Ferdinando,
che però, a causa della complicità con il fratello in un omicidio, subì la
confisca dei beni e nel 1600 venne esiliato.
Leone Leoni, Monumento funebre a
Gian Giacomo Medici, detto il
Medeghino, Duomo di Milano, 1563
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Giornata FAI di Primavera 2012
La vicenda seicentesca:
dell’architetto Ricchino
la
famiglia
Monti
e
l'intervento
Nel 1642 il Palazzo divenne proprietà della famiglia Monti, in particolare
dell’arcivescovo Cesare Monti, successore di Federico Borromeo e
possessore di un’importante collezione d’arte. Egli sostenne ingenti
spese oltre che per l’acquisto del palazzo, già descritto nei documenti
dell’epoca come magnifico, anche per il suo rinnovamento che venne
affidato a Francesco Maria Ricchino (o Ricchino), architetto affermato
e al centro della scena milanese
Il rapporto tra l’arcivescovo Monti e Ricchino fu verosimilmente molto
stretto. Consideriamo infatti che l’intero periodo del legato arcivescovile
di Cesare Monti fu caratterizzato da un’intensa attività edificatoria,
soprattutto religiosa, e coincise con gli anni di massimo fulgore
dell’attività di Ricchino, che per le famiglie milanesi progettò importanti
palazzi.
Presso l'Archivio del Seminario Arcivescovile di Venegono Inferiore
(Varese) è conservato un nucleo fondamentale di documenti e disegni
che illustrano i lavori condotti durante l'intero periodo della proprietà
Monti. Essi sono stati attentamente analizzati dalla studiosa Irene
Giustina.
Allo scopo di consolidare l’immagine dell’importante famiglia, furono
realizzati dal Ricchino due fondamentali interventi, che sappiamo
essere due elementi qualificanti dell’architettura civile cinqueseicentesca: la trasformazione del cortile centrale del Palazzo e
l'inserimento di uno scalone monumentale, raccordati tra loro dal
porticato a cinque arcate in fondo al cortile.
Il ruolo di Cesare Monti fu
fondamentale nella ripresa della città
dalla crisi economica e sociale dopo la
peste del 1630. Durante il suo
episcopato (1634 - 1650), rifiorirono
forme d’arte religiosa e vennero ripresi
lavori di restauro e costruzione di
chiese, oratori, seminari. Raffinato
collezionista,
Monti
raccolse
in
Arcivescovado una quadreria con
dipinti di artisti di cerchia leonardesca
e altri come Correggio, Veronese,
Tintoretto,
Campi,
Procaccini,
Carracci, Reni. Per suo volere a
Milano vennero completati i lavori del
Seminario Maggiore e ampliato il
Palazzo Arcivescovile.
Lo scalone doveva condurre al salone di ricevimento che venne
spostato dal piano terra al nuovo piano nobile.
Cortile d’onore
Il disegno della pavimentazione del
cortile non è quello originale che un
tempo recava due corridoi a lastre di
pietra in direzione dalla facciata sulla
via verso l'interno del palazzo e il
giardino: ciò era dovuto alla necessità
di far transitare agevolmente le
carrozze fino all'andito ove scendeva
chi doveva accedere allo scalone
d’onore. Successivamente, il disegno
è stato modificato poiché è stata posta
al centro della corte la vera da pozzoun tempo in un cortile laterale di
servizio, detto “delle donne”- per cui le
pietre pavimentali vennero sistemate
in forma di croce. I ciottoli sono
collocati
secondo
la
tecnica
tipicamente lombarda della rizzada.
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Giornata FAI di Primavera 2012
L'impianto planimetrico dello scalone è complesso e riconducibile a
modelli romani cinquecenteschi. La scenografia venne studiata da
Ricchino appositamente per rispondere alle esigenze del prestigio
sociale dell’arcivescovo. Tra il portico e lo scalone venne introdotto un
vestibolo d'entrata come prolungamento dell'asse maggiore del portico
stesso. Il vestibolo si compone di una rampa di dieci gradini e di un
pianerottolo
illuminato
da
una
grande
finestra
su
cui
perpendicolarmente si apre lo scalone. Già dal Rinascimento esso
svolgeva la funzione di vero e proprio "baldacchino cerimoniale" per il
saluto agli ospiti di alto rango.
Francesco Maria Richini o Ricchino
(Milano1583-1658)
E’ il più importante rappresentante
dell’architettura
barocca
milanese.
Compì la sua educazione artistica a
Roma. A Milano fu al servizio della
Curia e delle autorità spagnole. Insieme
al collega Fabio Mangone fu l’ architetto
di fiducia del cardinale Federico
Borromeo e, dal 1605, capomastro del
Duomo di Milano. Il suo capolavoro
nell'edilizia religiosa è la chiesa di San
Giuseppe (1607, via Verdi). Ricordiamo
tra le sue opere Palazzo Annoni (1631),
Palazzo Durini (1644-48), Palazzo
Arese, poi Litta, (1648), la facciata
curvilinea del Collegio Elvetico (1627), il
Palazzo di Brera, il cortile grande
dell'Ospedale Maggiore (1625, oggi
Università degli Studi di Milano).
Opere del Ricchino nelle incisioni di
Marc’Antonio Dal Re del 1745
Chiesa di San Giuseppe
Come ha sottolineato Irene Giustina, i documenti e i disegni conservati
nel Seminario di Venegono sono oggi molto importanti per ricostruire la
storia dell’edificio e l’organizzazione del cantiere tra la metà del ‘600 e
gli ultimi decenni del ‘700. Essi fanno anche emergere un quadro
interessante sul profilo professionale di Ricchino, il quale non stravolse
l'impianto cinquecentesco dell'edificio, ma, studiando ben sette diverse
ipotesi di intervento, seppe adattare elasticamente il rinnovamento alle
preesistenze. Egli impiegò elementi dedotti dal repertorio del
Classicismo rinascimentale romano che era alla base della sua
formazione.
Collegio Elvetico
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Giornata FAI di Primavera 2012
Alle pareti dello scalone d’onore sono conservati oggi due pregevoli
arazzi di manifattura fiamminga dei secoli XVI e XVIII.
In uno di essi è rappresentato un episodio dell’Eneide con Didone che
invita i suoi sudditi ad accogliere il profugo Enea; nell’altro, è
rappresentato il soggetto biblico del Passaggio del Mar Rosso (visibile
purtroppo solo parzialmente).
Arazzo di manifattura fiamminga, sec.XVI
Arazzo di manifattura fiamminga, sec. XVIII (particolare)
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Giornata FAI di Primavera 2012
La vicenda settecentesca: l'intervento di Francesco Croce e quello
di Benedetto Alfieri
L’architetto Francesco Croce, esponente di punta del nuovo gusto
barocchetto, fu il responsabile dell'ampliamento del Palazzo verso la
piazzetta di Porta Tosa quando proprietario era il conte Cesare Monti
Stampa.
Ai Monti era stato concesso di ampliare il Palazzo verso la piazza
sull'area trapezoidale antistante, ma i lavori dovettero ben presto
fermarsi per il contenzioso che si creò tra il conte Monti e i principi
Trivulzio, il cui palazzo si ergeva parallelo a quello dei Monti lungo lo
stradone costeggiato dal Naviglio.
Francesco Croce (1696-1773)
Fu tra gli esponenti più rilevanti del
barocchetto lombardo. Lavorò all’inizio
presso
il
Raffagno,
architetto
dell’Ospedale Maggiore di Milano,
portando a termine la costruzione del
porticato della Rotonda o Foppone
(oggi della Besana) a Porta Tosa (172631), che fungeva da cimitero per
l’Ospedale Maggiore. Oltre al Palazzo
Monti (poi Andreani, poi Sormani) e
altre
realizzazioni
in
Milano
e
Lombardia, svolse un ruolo di primo
piano come architetto nella fabbrica del
Duomo sul cui tiburio costruì la guglia
principale.
I Trivulzio lamentavano il forte danno del valore del proprio immobile
provocato dall'ampliamento del palazzo Monti, che avrebbe chiuso la
visuale verso il vivace Borgo della Fontana dalle stanze di ricevimento e
dalla terrazza sul Naviglio situate al piano terreno del loro palazzo. Fu
proprio il contenzioso a determinare il ridisegno della facciata di Palazzo
Monti e del sito ad essa antistante, quali rimangono ancora oggi.
La controversia si concluse nel settembre del 1736 e la fabbrica della
nuova facciata verso la piazza terminò negli anni 1741-1744.
Rotonda (della Besana) o Foppone
Famiglia Trivulzio (X-XX sec)
L'intervento di Croce fu fondamentale per quanto riguarda l’aggiunta del
nuovo corpo di fabbrica della facciata sulla piazza. Esso presenta un
corpo centrale sporgente, sottolineato da forti paraste che sostengono
una grande balconata e si prolungano fino al timpano curvo che
contiene l'arme gentilizia e corona l’edificio. Il corpo centrale è
raccordato ai due laterali da spigoli curvi, sostenenti terrazze con
balaustra che costituiscono lo sviluppo della balconata centrale.
L’edificio venne considerato all’epoca uno dei più fastosi esempi di
dimora patrizia.
Celebre famiglia milanese, menzionata
tra le duecento famiglie patrizie
all’epoca di Ottone Visconti (sec.XIII).
Detentori di numerosi feudi tra cui
Melzo,
Borgomanero,
Vigevano,
Mesocco, Cologno, la casata toccò il
suo apogeo nella seconda metà del XV
secolo, al tempo degli Sforza, che ne
favorirono l’ascesa, venendo però poi
traditi dagli stessi Trivulzio, che
passarono al servizio del re di Francia. Il
più importante membro della famiglia fu
Giangiacomo Trivulzio (1448-1518),
maresciallo di Francia. Tra i numerosi
edifici della famiglia, l’omonimo palazzo
a Milano in piazza S. Alessandro, rifatto
per il marchese Giorgio nel 1713. Al
figlio di questi, Teodoro Alessandro, si
deve la fondazione della Biblioteca e
Collezione Trivulziana, un tempo
conservate nel palazzo avito, oggi al
Castello Sforzesco.
8
Giornata FAI di Primavera 2012
Nel 1756 la famiglia Monti impegnò un altro architetto per il
rinnovamento della facciata verso il giardino, il piemontese Benedetto
Alfieri. Essa si distingue da quella prospiciente sul Corso di Porta
Vittoria per le sue forme classiciste.
Alfieri impostò il disegno del nuovo prospetto su una serrata scansione
di lesene di ordine composito gigante, coronato da un'alta balaustrata
decorata da sculture e da un fastigio centrale con orologio.
Benedetto Alfieri (1699-1767)
Cugino del poeta Vittorio Alfieri, nacque
da nobile famiglia astigiana. Intraprese
studi
universitari
in
legge
e
parallelamente si dedicò all’architettura
come autodidatta. Entrato in contatto
con la corte sabauda, ricevette da Carlo
Emanuele III l’incarico di terminare il
Teatro Regio. Nel giugno 1739 venne
nominato primo architetto civile della
corte sabauda e decorò gli interni del
Palazzo Reale di Torino ispirandosi,
nell’impiego di grandi specchi e di una
misurata ornamentazione, al rococò
francese. I capolavori di Alfieri, sensibile
alla lezione di Juvarra e orientato verso
uno stile di grande austerità, sono il
Duomo di Carignano e la facciata del
Duomo di Vercelli.
Da Vita di Vittorio Alfieri:
“Ed un cugino di mio padre, mio semizio, chiamato il conte Benedetto Alfieri.
Era questi il primo architetto del re; ed
alloggiava
contiguamente a quello
stesso regio teatro da lui con tanta
eleganza e maestria ideato e fatto
eseguire. Io andava qualche volta a
pranzo da lui, ed alcune volte a
visitarlo…
Era appassionatissimo dell’arte sua;
semplicissimo di carattere, e digiuno
quasi di ogni altra cosa, che non
spettasse le belle arti. Tra molte altre
cose, io argomento quella sua passione
smisurata per l’architettura, dal parlarmi
spessissimo e con entusiasmo, a me
ragazzaccio ignorante d’ogni arte ch’io
m’era,
del
divino
Michelangelo
Buonarroti, ch’egli non nominava mai
senza o abbassare il capo o alzarsi la
berretta con un rispetto ed una
compunzione che non mi usciranno mai
dalla mente.”
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Giornata FAI di Primavera 2012
Le decorazioni settecentesche degli ambienti interni
In alcune sale del primo piano sono visibili tracce della decorazione
settecentesca dell’edificio. Purtroppo è andata distrutta sotto i
bombardamenti della II guerra mondiale la grande Sala da ballo (oggi
sala di lettura), affrescata da Biagio Bellotti, di cui resta al piano terra
del Palazzo un affresco nella Sala Giuridica.
Biagio Bellotti
(Busto Arsizio 1714-1789)
Pittore, architetto, musicista e scrittore.
Di lui rimangono molti affreschi nelle
chiese di Busto Arsizio e nella Certosa
di Garegnano, in cui è riconoscibile
l’influenza di G.B.Tiepolo.
Affresco soffitto Sala Giuridica,
piano terra
Sala da ballo con affresco prima della distruzione
Alcune sale presentano stucchi realizzati nella prima e nella seconda
metà del sec. XVIII. La Sala Putti prende il nome dai preziosi stucchi
rococò di autore ignoto che ne ornano la volta.
Agli stucchi del soffitto del Centro Stendhaliano lavorarono forse
congiuntamente, nella seconda metà del Settecento, Giocondo Albertolli
e Agostino Gerli, quando il Palazzo era proprietà degli Andreani.
Stucchi soffitto Sala Putti
Stucchi soffitto Centro Stendhaliano
Dipinto soffitto Sala Periodici,
piano terra
Rococò
Il termine si riferisce a uno stile che
nacque in Francia nella prima metà del
Settecento e si diffuse in tutta Europa.
Considerato un estremo raffinamento
dello stile barocco o una sua
degenerazione, si caratterizzò per l’agile
grazia dell’ornamentazione in superficie,
che si contrappose al possente e
dinamico plasticismo barocco. Si
affermò presso le corti reali (Versailles),
ma anche presso le dimore delle
famiglie aristocratiche. Gli interni
(salotti, salottini, sale da conversazione,
studi, anticamere, boudoirs) furono i
protagonisti del nuovo stile.
Lo stile neoclassico nella seconda metà
del secolo fu quasi una reazione
moralistica alle frivolezze rococò.
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Giornata FAI di Primavera 2012
Il Palazzo tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento
La vicenda costruttiva del Palazzo continuò senza soste con il
passaggio della proprietà agli Andreani nel 1783, che affidarono
all’architetto Leopoldo Pollack il ridisegno del giardino alla moda
romantica. Macchie d’alberi disposte irregolarmente diedero
l’impressione di una maggiore ampiezza del parco che confinava col
giardino della Guastalla.
,
Il Palazzo passò successivamente ai Sormani, infine nel 1831 ai
Sormani-Verri. Scarse sono le testimonianze di rilievo sulla storia
ottocentesca del palazzo, ma tra queste vale la pena di ricordare una
curiosità, rappresentata da una sfera metallica rimasta incastrata nella
strombatura di una finestra della cappella situata al piano terra nel
corpo di fabbrica della facciata del Palazzo: si tratta di un proiettile
d'artiglieria sparato a Porta Tosa durante le Cinque Giornate di Milano
(1848), mentre la città insorgeva contro la dominazione austriaca.
Carlo Canella, Porta Tosa,1848
olio su tela, Collezione Intesa San Paolo
Milano, Gallerie d’Italia
Proiettile nella strombatura in alto a sinistra
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Giornata FAI di Primavera 2012
Le famiglie proprietarie del Palazzo dopo i Monti:
Andreani, Sormani, Verri
Famiglia Andreani (XIII-XIX sec.)
Di antichissime origini, gli Andreani si fanno risalire già al 1271. La famiglia vanta nomi di
medici illustri, tra cui si ricorda Girolamo (1700-1775) “fisico generale” dello Stato di
Milano. Un membro molto importante degli Andreani fu Pietro Paolo (1706-1772),
avvocato fiscale, Capitano di giustizia e Senatore di Milano, il quale sposò nel 1752
Cecilia Sormani da cui ebbe due figli, Gian Mario e Paolo. Il primo fu anche l’ultimo
esponente della stirpe e alla sua morte tutti i titoli e i beni furono ereditati da Giuseppe
Sormani.
Paolo (1763-1823) fu uno dei più eccentrici membri della famiglia Andreani. Nacque
nell’attuale Palazzo Sormani. Fu socio di numerose e prestigiose accademie scientifiche,
tra cui la Royal Society di Londra. Appassionato di aeronautica e geografia, compì il primo
volo su mongolfiera in Italia (13 marzo 1748). In seguito, effettuò esplorazioni in Nord
America e in Canada.
Famiglia Sormani (XII-XX sec.)
La famiglia Sormani pianta le sue radici nel periodo anteriore al X secolo e prende il nome
dal villaggio di Sormano (Como), dove sorgeva il castello degli omonimi signori feudali,
forse vassalli dell’arcivescovo di Milano. I primi documenti storici relativi alla famiglia si
fanno risalire al XII secolo. La casata si suddivise in tre rami principali: i Sormani di
Reggio Emilia, quelli di Savona e i Sormani di Milano.
Questi ultimi alla fine del XIV secolo risiedevano stabilmente a Milano. Con la Repubblica
Ambrosiana (1447-1450) iniziò la partecipazione della famiglia al governo della città con
incarichi di decurioni e notai e nel corso dei secoli la famiglia divenne una delle più
importanti dell’aristocrazia meneghina.
Giuseppe Sormani, erede del cugino, conte Gian Mario Andreani, aggiunse al proprio
cognome quello del cugino. Nacque così la famiglia Sormani Andreani che acquisì per
eredità il palazzo di Porta Vittoria. Suo figlio Alessandro (1815-1880) sposò Carolina Verri
e il loro figlio Pietro (1849-1934) nel 1902 aggiunse al cognome paterno quello materno,
dando origine al ramo Sormani Andreani-Verri.
Famiglia Verri (XIV-XX sec.)
Originari della zona di Monza, alcuni membri della famiglia nella prima metà del XIV
secolo si trasferirono a Milano dove ricoprirono cariche in vari consigli cittadini. La
ricchezza fondiaria dei Verri fu notevolmente incrementata nei primi anni del XVI con
l’acquisizione di terre a Biassono, Macherio e Sovico. Alcuni membri della famiglia fecero
parte del Collegio dei Giureconsulti ed acquisirono cariche importanti.
La ricchezza e il prestigio della famiglia si consolidarono nel tempo.
Nel XVIII secolo la famiglia Verri fu una delle più rappresentative della cultura milanese.
Tra i suoi esponetti più importanti ricordiamo: Pietro (letterato ed economista), Alessandro
(letterato), Carlo (prefetto e senatore del Regno d’Italia) e Giovanni (noto anche per
essere il probabile padre naturale di Manzoni). Essi furono tra i più importanti esponenti
della cultura illuminata del loro tempo. I loro interessi spaziarono dalla giurisprudenza alla
storia, dall'economia e dalla letteratura alla agronomia e all’agricoltura. Pietro e
Alessandro furono tra i fondatori dell’Accademia dei Pugni e della rivista Il Caffè. Pietro
scrisse il Discorso della felicità, considerato il manifesto dell’Illuminismo lombardo.
L’ultimo figlio di Pietro, Gabriele, sposò la contessa Giustina Borromeo Arese, la cui figlia
Carolina a sua volta sposò Alessandro Sormani Andreani: da questa unione nacque
Pietro (1849-1934) che alla morte della madre (1902) aggiunse al suo il cognome
materno. Si venne così a formare il ramo Sormani Andreani - Verri.
Una nipote di Pietro Sormani Andreani Verri, Luisa (nata nel 1931e coniugata
Castelbarco), nel 1980 decise di depositare presso l’Archivio di Stato di Milano (AS MI)
l’intero archivio di famiglia.
Olio di F.Battaglioni raffigurante il volo
compiuto da Paolo Andreani a
Brugherio il 13 marzo 1784
Pietro Verri,
statua nel Cortile di Brera
12
Giornata FAI di Primavera 2012
Il Palazzo nel Novecento
Arrigo Arrighetti (Milano1922-1989)
Nel 1930 il Palazzo fu acquistato dal Comune e nel 1935 divenne sede
del Museo di Milano. In seguito ai danni subiti durante la seconda
guerra mondiale, l’edificio, che utilizzava solo una parte del primo piano
(piano nobile), venne ricostruito da Arrigo Arrighetti (1953-1956) e dal
1955 ospita la civica Biblioteca, oggi una delle più importanti in Italia.
Dopo gli studi tecnici, nel 1940 venne
assunto dal Comune di Milano. Nel
1947 si laureò in Architettura ed iniziò a
collaborare come assistente alla
Cattedra di Tecnica delle Costruzioni e
di
Tecnologia
dei
materiali
al
Politecnico. Dal 1956 al 1961 diresse
l’Ufficio Progetti Edilizi del Comune di
Milano. Tra le sue molte opere, oltre alla
Biblioteca Civica di Palazzo Sormani, le
Case Ina/casa (1949) in piazza G.
Rosa/via Barzoni, la Stazione per Tram
in piazzale Biancamano (1950), vari
edifici scolastici, la Piscina coperta al
Parco Solari (1963), il Quartiere
Sant’Ambrogio (1964-71, Famagosta).
L’architetto Arrigo Arrighetti dell’ufficio Tecnico del Comune si trovò di
fronte a un edificio per buona parte distrutto. Il nuovo progetto
prevedeva come primo elemento di restauro la ricostruzione del corpo
di fabbrica su via Guastalla. Lo scorcio prospettico dal Corso di Porta
Vittoria ha suggerito l’idea di una facciata razionalista con aperture a
ritmo fitto su via della Guastalla che mette in risalto l’architettura
barocca dell’edificio storico riprendendone gli allineamenti principali. Sul
giardino, è visibile “la torre dei libri” che si presenta come un volume
dalle pagine sfogliate. La struttura della facciata a lamelle para-sole ha
la funzione di proteggere i magazzini dei libri dai raggi solari. Il nuovo
edificio contiene circa cinquecento posti di lettura e un milione di volumi.
I lavori di ristrutturazione si protrassero fino al 1956 con l’adozione di
alcuni accorgimenti tecnici, quali la chiusura con vetrate dei due portici
prospicienti il cortile interno.
Epigrafe posta nell’atrio d’ingresso alla
Biblioteca a memoria del restauro
completato nel 1955.
(Trad.: I reggitori del municipio di Milano
qui in nuova sede posero nell’anno
1955 la biblioteca civica, quasi distrutta
dal fuoco della guerra, trasferendola dal
Castello di Porta Giovia, dopo averla
restaurata e notevolmente ingrandita)
Veduta della torre libraria nell’ala nuova
della Biblioteca
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Giornata FAI di Primavera 2012
Uno sguardo ai dintorni del Palazzo
PORTA TOSA
Il Palazzo anticamente sorgeva nelle vicinanze della medioevale Porta
Tosa. Il luogo è tuttora riconoscibile per l’andamento lievemente rialzato
della strada in corrispondenza del ponte a valico del canale (v.
crocicchio Cavallotti-Battisti-Sforza-Visconti di Modrone).
Nel secolo XVI, un’altra porta Tosa venne costruita in corrispondenza
del punto più orientale delle mura spagnole (attuale piazza Cinque
Giornate). Essa balzò alla ribalta durante l’insurrezione antiaustriaca
del marzo 1848, tanto che fu ribattezzata “porta Vittoria”.
Porta Tosa durante le Cinque Giornate di Milano, Civica Raccolta Bertarelli
NAVIGLI
I Navigli sono canali artificiali costruiti a partire dal Medioevo per il
trasporto delle merci e per il collegamento tra Milano e i fiumi Ticino e
Adda, quindi i laghi Maggiore e di Como e, attraverso questi, il nord
Europa. I navigli esterni (Naviglio Grande, Pavese, Martesana) erano
collegati alla cerchia interna dei navigli (ricoperta nel 1929) che
costeggiava le mura medioevali e corrispondeva all’attuale
circonvallazione interna (vie Fatebenefratelli, Senato, San Damiano,
Visconti di Modrone, Francesco Sforza, Santa Sofia, Molino delle Armi,
Carducci, De Amicis, Piazza Castello e Pontaccio).
Il Naviglio di via Francesco Sforza nel 1927. Milano, Civico Archivio Fotografico
In fondo, ponte dell’Ospedale Maggiore; a sinistra, recinzione del Giardino della Guastalla
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Giornata FAI di Primavera 2012
VERZIERE
Nell’attuale Largo Augusto si trovava il Verziere, sede per secoli del
mercato ortofrutticolo (da cui derivò l'appellativo) che venne lì
trasportato sul finire del Settecento per ordine del conte Carlo Firmian,
ministro plenipotenziario dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria,
trasferendolo dalla vicina area alle spalle del Duomo (attuale Piazza
Fontana). Al centro del Verziere si ergeva una colonna di pietra, una
delle tante in città, volute da S. Carlo Borromeo in ringraziamento per la
fine della peste, innalzata solo nel 1673 su disegno del Ricchino. In
cima ad essa venne posta la statua di Cristo, che regge nella sinistra
una croce in ferro, realizzata da Giuseppe e Gio. Battista Vismara. Nel
1860, per deliberazione del Consiglio Comunale, essa fu destinata a
ricordare i caduti delle Cinque Giornate e delle lotte per l'indipendenza,
con l'incisione di 358 nomi sulle lapidi in bronzo del basamento.
Largo Augusto
GIARDINO DELLA GUASTALLA
L’ultima contessa di Guastalla (Reggio Emilia), Lodovica Torelli, si
ritrovò vedova a 25 anni e dopo un periodo di potere, divertimenti e
lusso, ebbe una crisi mistica e decise di cambiare vita. Verso il 1530 si
traferì a Milano insieme a padre Battista da Crema. La difficile
condizione delle donne della città colpì fortemente Lodovica che decise
di vendere i possedimenti emiliani al governatore di Milano, Ferrante
Gonzaga, per iniziare i suoi progetti religiosi, tra cui la chiesa di San
Paolo Converso e il Monastero delle Angeliche. Divenuta monaca nel
1535, abbandonò poi il monastero nel 1553 per la richiesta di clausura
delle altre monache. Nel 1556 acquistò una casa con giardino dal
medico Matteo delle Quattro Marie e la trasformò in collegio per
ragazze di famiglie nobili decadute. La casa venne recintata insieme al
meraviglioso giardino con alberi di vario tipo e il laghetto alimentato
dalle acque del vicino Naviglio. Dopo la morte della fondatrice nel 1569,
l’istituzione continuò la propria attività e il giardino si arricchì con la
trasformazione del laghetto in peschiera barocca e la collocazione di
altri monumenti ed opere d’arte. Tra Ottocento e Novecento, in seguito
all’apertura della via Andreani, il Giardino, che era confinante con il
parco Monti (poi Sormani), venne da questo separato. Nel ventennio
fascista rischiò di diventare area edificabile. Nell’agosto del 1939 venne
aperto alla città. In quell’occasione si sostituì l’alto muro di cinta con
una recinzione costituita da pilastri in ceppo alternati a cancellate.
Chiostro del Collegio della Guastalla
Giardino della Guastalla con l’edificio dell’ex Collegio
Giardino della Guastalla, Peschiera
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2. IL GIARDINO DEL PALAZZO
Il giardino retrostante al Palazzo venne sistemato alla fine del
Settecento dall’architetto Leopoldo Pollack, il più importante ed
originale allievo di Giuseppe Piermarini, secondo i criteri e il gusto dei
cosiddetti romantici giardini all’inglese. Piacevoli effetti prospettici
vennero creati grazie a leggeri dislivelli, a vialetti tortuosi e a un corso
d’acqua varcato da un ponticello.
Una statua settecentesca
Leopoldo Pollack
(Vienna 1751- Milano 1806)
Architetto austriaco, collaborò con
G.Piermarini al Palazzo Reale. Favorito
dalla nobiltà milanese, per essa costruì
fastosi edifici di stile neoclassico
aggiornato sugli esempi dell’architettura
delle grandi capitali europee. Sua opera
principale è l'elegante Villa Belgiojoso
(1790-93; ora sede della Galleria d'Arte
Moderna di Milano), dalla sapiente
distribuzione planimetrica, immersa in
un elaborato giardino all’inglese, uno dei
primi del genere in Italia.
Giardino all’inglese
Il cosiddetto “giardino all’inglese” si
contrappone a quello “all’italiana”,
rinascimentale e barocco, in cui gli
elementi vegetali (alberi, siepi, aiuole) e
artificiali (vialetti, scalinate, panchine)
sono
ordinati
secondo
figure
geometriche.
Il giardino all’inglese dispone ogni cosa
apparentemente in modo casuale. Di
esso sono caratteristici i vialetti tortuosi,
i dislivelli, le pendenze, la disposizione
irregolare degli arbusti con l’aggiunta di
false rovine che suscitano nello
spettatore sentimenti di commozione
(cfr. il giardino all’inglese di villa
Belgioioso Bonaparte, Villa Reale,
Milano).
Nel giardino di Palazzo Sormani, negli anni in cui gli Andreani erano
proprietari della casa, ebbe sede l’Arcadia lombarda. La pregevole
statua settecentesca che ancora vi si trova ne è una suggestiva
evocazione.
Stilisticamente essa si può ricollegare al gusto classicheggiante tardobarocco/rococò, sia per la postura teatrale, che implica una moderata
verticalizzazione del corpo, sia per la trattazione morbida delle
superfici. Dal punto di vista iconografico con molta probabilità si tratta
di un’allegoria, soggetto alquanto diffuso nell’estetica del tempo.
Arcadia
L’Accademia dell’Arcadia deve il suo
nome alla regione dell’antica Grecia, nel
Peloponneso,
considerata,
nella
trasfigurazione letteraria, come luogo di
una serena vita pastorale, dedita ai
piaceri procurati dalla vicinanza fisica e
spirituale con la natura e dal canto.
Fondata a Roma nel 1690 dopo la
morte della regina Cristina di Svezia
(che era solita accogliere nel Palazzo
Riari, oggi Corsini, a Roma, poeti,
storici, archeologi, naturalisti, filosofi),
l'Arcadia diede vita, in nome di un ideale
di classica semplicità, a una poesia
limpida ed elegante, non esente però da
atteggiamenti convenzionali e leziosi. Il
più celebre ed assiduo dei frequentatori,
G.M. Crescimbeni, pensò di continuare
quelle riunioni e con tredici amici costituì
l’Accademia dell’Arcadia.
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Giornata FAI di Primavera 2012
La caccia al cinghiale di Agenore Fabbri
Agenore Fabbri
(Barba, PT, 1911 - Savona 1998)
Artista toscano, si forma a Firenze
frequentando l’accademia e il caffè delle
“Giubbe Rosse”, luogo di ritrovo di
giovani intellettuali tra cui Carlo Bo ed
Eugenio Montale. Forte degli stimoli
assimilati in quegli anni, si trasferisce
nel 1935 ad Albisola (Savona), dove si
forma alla pratica della ceramica nel
piccolo laboratorio La Fiamma e ha la
possibilità di stringere amicizia con
Lucio Fontana. Nel 1947 la sua forte
individualità si manifesta nel segno di
una drammaticità esasperata che
caratterizza prima le sue terracotte e
quindi i suoi bronzi. Nel '48 è invitato
alla Biennale di Venezia, dove
continuerà ad esporre fino agli anni
Sessanta. Negli anni Cinquanta produce
un ciclo di opere che continuano a
manifestare il suo espressionismo
figurativo. Metalli fusi, legni recisi
diventano simbolo di disagio fisico e
mentale. Solo nelle ultime opere sembra
nascere la speranza nel riconoscimento
della dignità dell’uomo.
Nel giardino settecentesco spicca oggi un insolito gruppo di sculture,
opera dell’artista Agenore Fabbri.
Si tratta de La caccia al cinghiale, terracotta a gran fuoco, composta
da vari pezzi staccati di scultura, esposta nel 1949 alla Triennale di
Milano dove venne acquistata dalla Amministrazione Comunale che
nel 1955 la destinò alla Biblioteca Sormani.
Quando il gruppo scultoreo venne trasportato nel giardino e collocato
nello spazio antistante l'elegante facciata neoclassica del Palazzo, lo
stesso scultore si occupò con grande attenzione e abilità tecnica di
rimontare l’opera.
Le sculture rappresentano uomini a cavallo armati di lance a caccia di
un poderoso cinghiale. Nel racconto della lotta feroce e negli squarci
profondi dei corpi lacerati di uomini e animali l’artista esprime
drammaticamente il senso della vita e della morte e offre una
riflessione sincera, non retorica, sulla crudele recente esperienza della
guerra. La seconda guerra mondiale segnò infatti la biografia di
Agenore Fabbri, come quella di tutta la sua generazione, e la sua
scultura divenne ancora più dura e violenta, interessata non tanto al
modellato, quanto alle fratture e alle ferite della materia.
I tre pezzi distinti, pensati per essere osservati da qualsiasi punto di
vista e secondo prospettive sempre nuove, sono disposti come ai
vertici di una base triangolare e legati tra loro dalle linee delle lance
proiettate su piani che si intersecano. Ne deriva una composizione
ricca di movimento, da cui si sprigiona una grande energia vitale.
A gran fuoco
“A gran fuoco”, cioè ad alta temperatura,
è una tecnica di cottura della terracotta
e della ceramica attraverso cui si riesce
anche ad intervenire sul colore creando,
per ossidazione o riduzione, effetti di
speciale iridescenza. Fabbri mostrò un
precoce interesse per la terracotta,
materiale per lo più relegato alla
produzione artigianale, ma legato alle
radici pistoiesi dell’artista (v. Della
Robbia). Ad Albisola, dove lavorò nelle
celebri manifatture di ceramica della
cittadina ligure, la sua opera venne
apprezzata da Arturo Martini e da Lucio
Fontana.
17
Giornata FAI di Primavera 2012
Franco Russoli, che fu Soprintendente
alla Pinacoteca di Brera negli anni ’70,
scrisse a proposito di Agenore Fabbri
nel 1961:
”Dalle sue terracotte rosse di pelle
bruciata dal vento e dal sole e nere di
lutti e di lividi, ai suoi bronzi rosi dalla
furia di lotte con gli elementi naturali,
dalla sua gente popolana che urla il
terrore e il diritto al rispetto agli eroi
grotteschi e ridicoli e nobilissimi di una
guerra per l’ideale, dai suoi famelici
animali di strada agli insetti ed ai mostri
di un incubo che deve essere un
memento per tutti, l’espressionismo di
Fabbri è sempre caratterizzato da un
tono di epica semplice, cruda e non
retorica, né iniziata da compiacimenti
idealistici. Tutte le sue sculture formano
un racconto teso, eccitato, ma pietoso.
Illuminato, durante ogni sua fase
espressiva, dalla stessa luce di
partecipazione umana”.
18
Giornata FAI di Primavera 2012
Il Villaggio della madre e del fanciullo
Il giardino di Palazzo Sormani fu sede per cinque anni, dal 12 ottobre
1945 al 12 settembre 1950, del Villaggio della madre e del fanciullo,
istituzione assistenziale fondata da Elda Scarzella Mazzocchi (19042005), che fu una fucina di esperienze sociali riconosciuta a livello
internazionale.
La Scarzella era rientrata a Milano dalla Sardegna dove negli anni dal
1922 al 1933 aveva svolto attività di carattere sociale creando giardini
d’infanzia per arginare l’alta mortalità infantile diffusa tra i figli dei
minatori. In Sardegna aveva maturato il profondo convincimento della
centralità della donna in quanto madre e del suo ruolo fondamentale
nella formazione degli individui e della società.
Il Villaggio sorse nell’immediato dopoguerra, quando avvenne il
doloroso ritorno dalla Germania dei reduci dalle prigioni e dai campi di
concentramento. Per loro, e in particolare per le donne superstiti
accompagnate dai loro bambini, vennero messe a disposizione
dall’allora sindaco, Avv. Antonio Greppi, sei baracche. Queste vennero
installate all’interno dell’ampio giardino di Palazzo Sormani dal quale,
in previsione dei bombardamenti, era stato precedentemente
sgombrato il Museo di Milano.
E’ interessante ricordare come la sistemazione delle baracche sia
stata fatta con scrupoloso rispetto di ogni pianta del giardino per
affermare lo stretto legame tra il rispetto dell’individuo e quello della
natura.
Per la salubrità e la vicinanza agli Istituti Ospedalieri, l’ampio giardino
si prestava all’accoglienza di persone bisognose. L’inaugurazione del
Villaggio avvenne il 12 ottobre 1945 con il matrimonio celebrato nella
Cappella stessa del Palazzo di una delle reduci sposatasi con un
giovane marinaio da cui aveva avuto un bambino che venne
battezzato lo giorno stesso.
19
Giornata FAI di Primavera 2012
Sin dall’inizio fu chiara la finalità umana e sociale del Villaggio, cioè
l’accoglienza delle madri abbandonate, affinché queste non venissero
separate dai loro figli. Rispetto ad altre istituzioni assistenziali del
tempo, nel Villaggio non vi erano condizioni prestabilite per
l’accettazione e vi erano accolte madri bisognose di assistenza, senza
distinzione tra madri legittime (come donne profughe, sfrattate, con
marito in carcere o disoccupato, vedove, abbandonate, convalescenti,
dimesse dalla clinica dopo il parto) e madri illegittime (giovani cacciate
dalla famiglia, abbandonate, in attesa di regolarizzare la situazione
con il marito). Grazie alla sua buona organizzazione, il Villaggio poté
accogliere eccezionalmente anche bimbi senza madre e qualche caso
di non maternità, come quello di tre ragazze profughe forestiere.
O.N.M.I. (Opera Nazionale Maternità e
Infanzia), sciolta nel 1975, e gli Istituti
Provinciali di Maternità. L’ O.N.M.I. si
occupava della gestante e del figlio
“legittimo”, mentre gli Istituti Provinciali
prendevano in carica il figlio “illegittimo”.
Il ricovero non aveva una scadenza prestabilita per favorire nelle madri
fiducia nel futuro, un allattamento sereno e la ricerca di una adeguata
sistemazione dopo la dismissione dal Villaggio. L’assistenza era il più
possibile individualizzata, particolarmente seguita dal punto di vista
igienico-sanitario (frequenti le visite mediche eseguite da specialisti) e
si protraeva anche dopo l’uscita dal Villaggio.
Le “casette” ospitate all’interno del giardino restituivano un caldo
ambiente familiare. Erano tutte illuminate con luce elettrica e dotate di
un gabinetto e di un lavabo con acqua corrente ogni quattro camere.
Al piano terra del Palazzo, nelle sale oggi utilizzate per la lettura
periodici, era collocato l’Ufficio di Elda Scarzella e il guardaroba.
La vita all’interno del Villaggio era organizzata secondo il principio
della solidarietà familiare. La giornata era scandita dai tempi
dell’allattamento e da quello dei lavori di cucito nel laboratorio.
Inoltre erano mantenuti ragionevoli contatti con l’esterno ed erano
previste uscite settimanali e anche gite in campagna.
L’attuale sede del Villaggio della Madre
e del Fanciullo, in Via Francesco Goya
n. 60, al QT8 (Quartiere Sperimentale
dell’Ottava
Triennale),
è
stata
inaugurata il 12 ottobre 1957, su
un’area di 4.000 mq. La sua struttura
architettonica,
opera
di
Alberto
Scarzella, figlio di Elda, figura su
pubblicazioni di architettura italiane ed
estere.
20
3. LA SALA DEL GRECHETTO
Lo scalone d’onore del Palazzo dà accesso alla cosiddetta Sala del
Grechetto. Essa contiene 23 tele appartenenti a un ciclo pittorico
raffigurante il mito di Orfeo, attribuito in passato al pittore genovese
Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto. La data di
esecuzione delle tele è da situare intorno al 1650/1670.
Giovanni Benedetto Castiglione,
detto il Grechetto (1610-1665)
Giovanni Benedetto Castiglione nacque
a Genova. Probabilmente giovanissimo
entrò nella bottega del pittore Giovanni
Battista Paggi. Fu attento alle opere di
A. Van Dyck a Genova e di N. Poussin
a Roma, dove nel 1632 si trasferì e
divenne un artista apprezzato. Nel 1634
venne ammesso all’Accademia di San
Luca, dove poté entrare in contatto con
artisti di notevole importanza. La sua
bottega si specializzò in nature morte e
rappresentazioni di carattere mitologico
e biblico-pastorale, sempre affollate di
animali delle più svariate specie ritratte
con realismo. Fu inoltre un incisore
molto dotato, ispirato a Rembrandt. Il
soprannome gli venne dato per la
bizzarria dell'abbigliamento.
Studi recenti e approfonditi hanno attribuito il ciclo ad un anonimo
artista di estrazione nordica, definito con il nome convenzionale di
“Pittore di Palazzo Lonati Verri”. I dipinti provengono infatti dal palazzo
della famiglia milanese Verri (un tempo in via Montenapoleone), in cui
vennero collocati dopo il 1759, anno di acquisto del Palazzo Lonati da
parte dei Verri.
Le opere vennero nuovamente trasferite nell’attuale sede all'inizio del
Novecento a cura dell'architetto Achille Majnoni (1855-1935), con
l'intento di riprodurne l'originale sequenza narrativa. Questa è
documentata da un dipinto (oggi conservato in Sala Putti) dell'artista
cremonese Francesco Colombi Borde (1846-1905), eseguito negli
ultimi decenni del secolo scorso. Esso riproduce la sala di Palazzo
Verri in cui le tele erano collocate e dove si riunivano i fratelli Verri e i
loro giovani amici dell’Accademia dei Pugni.
Francesco Colombi Borde,
Palazzo Lonati Verri
Fine ‘800
Palazzo Sormani, Sala Putti
21
Giornata FAI di Primavera 2012
La struttura architettonica della nuova sala non ha permesso di
attenersi in modo fedele alla disposizione originaria, cosicché la tela
raffigurante Orfeo che incanta gli animali, fulcro della scena, oggi si
trova relegata in un angolo e ha dunque perduto il suo valore originale
all’interno del dipinto.
Dello stesso ciclo fa parte una grande tela con Fauno e Baccanti,
conservata nella Sala Putti di Palazzo Sormani, come pure altri brani
pittorici conservati oggi nei Civici Musei del Castello Sforzesco.
Sulle tele l'autore riproduce un paesaggio fantastico animato da una
grande varietà di specie del regno animale ritratte con naturalismo.
L’atmosfera che se ne ricava è quella di un serraglio barocco.
Nella composizione sono affiancati, come in un ideale compendio di
zoologia, animali comuni a rari esemplari della fauna esotica, come il
quetzal, uccello del Guatemala (America Centrale).
Fauno e baccanti,
Palazzo Sormani, Sala Putti
L'autore del ciclo Lonati Verri alterna brani di grande realismo, degni di
un illustratore scientifico, ad elementi meno fedeli al dato naturale (il
pinguino e il felino di fianco al cinghiale e ai gallinacei) o addirittura
desunti dalla fantasia dei bestiari medievali, come è il caso
dell'unicorno.
2
1. Asino, mucca, bufalo, fenicotteri
2. Bucero, pellicano, spatola, airone
3. Cerbiatto, gallinacei
1
3
Serragli
I serragli (zoo ante litteram) vennero
creati nei secoli XVI e XVII nei parchi e
nei giardini reali grazie all’arrivo in
Europa di animali sconosciuti in seguito
alla scoperta di nuovi continenti. Il primo
scopo del serraglio non fu quello di
studiare la fauna esotica, ma piuttosto
quello di esprimere potere e ricchezza.
Il famoso serraglio voluto da Luigi XIV
per la reggia di Versailles (1664)
ospitava animali esotici ed era destinato
ad esaltare l’onnipotenza del re e a
stupire i suoi ospiti di riguardo. Esso
favorì tuttavia anche gli interessi e gli
studi scientifici (anatomia comparata
degli animali). Il serraglio divenne meta
di naturalisti, ma anche di pittori, come
ad esempio a Versailles il pittore
fiammingo Pieter Boel.
22
Giornata FAI di Primavera 2012
La stesura pittorica, ricca di innumerevoli sfumature di colore ottenute
con raffinate velature, rende più evidente l'effetto mimetico.
L’alternanza di elementi tratti dalla realtà e di immaginario si riscontra
anche nei trattati di scienze naturali e nelle collezioni di età barocca
(Wunderkammern), nei quali l'interesse per l'osservazione scientifica si
accompagna al gusto per il raro ed il meraviglioso.
Ricordiamo che a Milano l'enciclopedico canonico Manfredo Settala
aveva creato un museo ricco di esemplari della fauna e della flora
provenienti da ogni parte del mondo.
1
2
Wunderkammern
Dal tardo Cinquecento e per tutto il
Seicento si diffuse il fenomeno
collezionistico delle Wunderkammern, o
camere delle meraviglie, raccolte
naturali e artificiali sistemate in stanze o
ali di palazzi allo scopo di appagare la
curiosità dei ricchi proprietari e dei loro
ospiti.
Manfredo Settala (1600-1680)
Manfredo Settala, collezionista e
scienziato, amico del cardinale Federico
Borromeo, aveva a Milano una raccolta
di esemplari animali e vegetali che
provenivano da tutto il mondo.
La Galleria di Manfredo Settala nella
incisione di Cesare Fiori
3
1. Cavallo
2. Daino, gallina
3. Leone, leopardo, tacchino, faraona
23
Giornata FAI di Primavera 2012
1
2
1. Natura morta
Palazzo Sormani, Sala Putti
2. Cervo
3. Fenicotero, pipistrello, rondini, anatre
Già Arcore, Villa Casati,
vendita Christie’s, 16 maggio 1986
4. Gufo, barbagianni, pavoncella
combattente, uccelli del paradiso,
scimmie
Già Arcore, Villa Casati,
vendita Christie’s, 16 maggio 1986
L'attribuzione tradizionale al Grechetto oggi è considerata priva di
credibilità data la distanza stilistica dal maestro genovese; suggerisce
però di rintracciare parentele stilistiche in quel territorio geografico, che
nella prima metà del Seicento era all'avanguardia nella produzione
animalistica. Ancora più puntuale risulta il confronto con la produzione
di un artista fiammingo attivo a Genova in quel tempo, Jan Roos,
celebrato dalle fonti locali come uno dei primi specialisti di natura
morta, genere prediletto nelle terre di Fiandra.
3
4
Il mito di Orfeo
Mitico cantore e poeta, Orfeo viene
solitamente ritratto come un giovane dal
capo coronato d’alloro che suona la
cetra, o altro strumento a corda,
circondato da numerosi animali.
Secondo il mito, al suono della sua voce
melodiosa e della sua musica si
placavano gli uomini e persino gli
animali feroci.
Narra la leggenda che Orfeo scese agli
Inferi per cercare la giovane sposa
Euridice morta a causa del morso di un
serpente. Con il suo canto straordinario
egli riuscì a commuovere le divinità
infernali che lasciarono andare la
fanciulla a patto che Orfeo non la
guardasse prima di essere giunto alla
luce del sole. Ormai prossimo alla meta,
Orfeo, non resistendo alla tentazione di
guardarla, si volse verso la sposa.
All’improvviso Euridice scomparve tra le
nebbie infernali e Orfeo fece ritorno da
solo sulla terra.
Orfeo, secondo il mito, venne ucciso
dalle Baccanti, gelose della fedeltà del
cantore ad Euridice.
Nel Seicento e nel Settecento Orfeo fu
tema frequente in pittura (v. Brueghel) e
anche in composizioni musicali
(Monteverdi, Gluck)
Cerchia di Jan Brueghel il Vecchio,
Orfeo,1690-1700,
Roma, Galleria Borghese
24
4. IL CENTRO STENDHALIANO
La Biblioteca Sormani ospita al suo interno il Centro Stendhaliano che
riveste un’importanza internazionale ed è particolarmente prezioso e
significativo per la nostra città.
Milano si può considerare, infatti, città stendhaliana per eccellenza, dal
momento che nel celebre epitaffio "Arrigo Beyle milanese" lo scrittore
stesso, nato in Francia, decise di fregiarsi orgogliosamente della
cittadinanza meneghina.
Inaugurato nel 1980, il Centro custodisce due importanti raccolte: il
Fondo Stendhaliano Bucci e la Raccolta Stendhaliana Pincherle. I due
fondi, integrati da una ricca bibliografia aggiornata nel corso degli anni
grazie ad un'attenta politica di acquisizioni ed oggi arricchiti anche da
alcuni esemplari appartenuti a Stendhal, permettono a coloro che
frequentano il Centro di trovarvi quanto indispensabile per
l'approfondimento e le realizzazione dei loro studi.
La massiccia presenza di note autografe di Stendhal sui volumi della
sua biblioteca italiana e una devota amicizia hanno fatto sì che i libri
dello scrittore, rimasti nello Stato Pontificio al momento della sua
morte (1842), non andassero dispersi, ma fossero conservati proprio a
Civitavecchia, dove Stendhal fu console di Francia, prima dal fedele
amico Donato Bucci (morto nel 1870), poi dal figlio di costui.
Nel 1970 la Banca Commerciale Italiana, presieduta dal colto
banchiere Raffaele Mattioli, trattò l’acquisto dell’intera raccolta che
venne donata alla città di Milano.
Libri, opuscoli, fascicoli di riviste, lettere, documenti, manoscritti,
alcune stampe di Civitavecchia, un ritratto ad olio di Stendhal eseguito
nel 1835 a Roma dal pittore Jean-Louis Ducis, un bastone da
passeggio raffigurato nel dipinto con il suo legittimo proprietario, un
piccolo ritratto a pastello su carta di Donato Bucci (1863), un barattolo
di legno di pero completamente postillato anche all'interno - unica
testimonianza sopravvissuta dell'irrefrenabile impulso di Stendhal di
scrivere ovunque -, alcuni oggetti di cancelleria e due librerie
entravano così a far parte della storia della Biblioteca Comunale.
A completamento di questo fondo pervenne negli stessi anni un'altra
donazione, quella del triestino Gino Pincherle (1905-1983) che volle
esaudire le ultime volontà del fratello Bruno (1903-1968), medico
pediatra, bibliofilo, "dilettante" stendhaliano ed ironico disegnatore.
Jean-Louis Ducis, Stendhal,
olio, 1835
Stendhal (1783-1842)
Stendhal, nome d’arte di Henri Beyle,
nacque
a
Grenoble.
Arruolatosi
nell’esercito napoleonico, partecipò alla
campagna militare in Italia e nel 1800
fece il suo ingresso a Milano. Amante
dell’arte e appassionato dell’Italia, fu un
brillante letterato (Le rouge et le noir,
1830; La Chartreuse de Parme, 1839) e
attento scrittore di viaggi (Mémoires
d'un touriste, 1838). Nel 1817 pubblicò il
diario di viaggio Roma, Napoli, Firenze,
firmato per la prima volta con lo
pseudonimo di Stendhal. Scrisse anche
una Storia della pittura in Italia.
L’Italia fu la sua patria spirituale, la terra
dove tutti i suoi ideali di amore, musica
e arte trovarono fondamento. Dopo la
caduta di Napoleone, visse in Italia a
Civitavecchia come console francese
nello Stato Pontificio.
Raffaele Mattioli
Raffaele Mattioli
(Vasto 1895 - Roma 1973)
Banchiere e bibliofilo, anzi “uomo di
lettere e cifre”, secondo la felice
definizione del suo maestro Benedetto
Croce, Mattioli fu una delle personalità
di maggior rilievo nel dopoguerra
italiano, preziosa per la rinascita della
città di Milano.
Attraverso la Banca Commerciale
Italiana, di cui fu presidente, Mattioli
svolse nel dopoguerra un’intensa
opera di mecenatismo culturale
finanziando riviste, istituzioni, case
editrici e sostenendo scrittori.
La Raccolta è composta da circa 3000 volumi e da una vasta
bibliografia sull'autore.
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Giornata FAI di Primavera 2012
SALA MONTALE
Il Fondo Montale è costituito da oltre 3000 libri e fascicoli di periodici
appartenuti a Montale. Erano conservati in via Bigli, nella casa in cui il
poeta abitò durante gli ultimi anni della sua vita. Essi, che in molti casi
riportano le dediche autografe dei più grandi rappresentanti della
letteratura del ‘900, rappresentano un utile strumento per lo studio e
l’approfondimento del pensiero e dell’attività letteraria del poeta.
Nel 1982 gli eredi del poeta ne fecero dono alla Biblioteca Comunale,
luogo non solo caro alla cultura milanese, ma noto allo stesso scrittore
che, tra 1960 e 1970, aveva fatto parte della Commissione consultiva
dell’Istituto.
Sala Montale
DANTEUM
Nella Sala Putti è conservata l’opera di maggior formato della
Biblioteca, la Divina Commedia di Dante Alighieri nell’edizione
illustrata da Amos Nattini, stampata in tre volumi corrispondenti alle tre
cantiche, contenenti tavole dipinte a mano dall’Istituto Nazionale
Dantesco di Milano dal 1931 al 1941.
Eugenio Montale (1896-1981)
Nacque a Genova da agiata famiglia
borghese. Per problemi di cattiva salute
compì studi irregolari ed ebbe
un’adolescenza difficile e distaccata
dalla
normale
vita
borghese.
Appassionato di musica e canto, fu
chiamato alle armi nel 1917. La sua
prima pubblicazione, un gruppo di versi
dal titolo Accordi, apparve sulla rivista
Primo Tempo nel 1922, e il suo primo
libro, Ossi di Seppia, venne pubblicato
nel 1925. Nello stesso anno firmò il
manifesto antifascista di Benedetto
Croce.
Raggiunse
l’indipendenza
economica nel ’27, dopo aver ottenuto
un impiego a Firenze presso l’editore
Bemporad. La sua situazione migliorò
ancora quando nel ’29 fu nominato
direttore del Gabinetto di Vieusseux di
Firenze e fu uno degli animatori della
vivace vita intellettuale fiorentina.
Conobbe Drusilla Tanzi, che fu sua
compagna, soprannominata da lui
“Mosca”; mantenne stretti contatti con
gli ambienti della cultura antifascista e a
causa del suo rifiuto di iscriversi al
partito fu esonerato nel ’38 dalla
direzione del Vieusseux. La sua vita
cambiò profondamente quando nel
1948 fu assunto come giornalista al
Corriere della Sera dove pubblicò anche
numerosi articoli di attualità e racconti. Il
10 dicembre 1975 ricevette il premio
Nobel per la Letteratura. Gran parte
della vecchiaia fu da lui trascorsa a
Milano assistito dalla fedele governante
Gina Tiossi che donò la foto che ritrae il
poeta e il dipinto raffigurante le Cinque
Terre.
La legatura è pregiata in cuoio e oro. Questo è uno degli esemplari, il
n°587, stampato per Angelo Valdameri. L’opera e forse anche il
mobile di alta qualità, il cosiddetto Danteum, furono realizzati su
sottoscrizione. Questo esemplare fu tra i pochi libri di pregio messi in
salvo in sotterranei prima del bombardamento dell’agosto 1943 che
distrusse tutta la Biblioteca Comunale che aveva allora sede nel
Castello Sforzesco. L’illustratore Amos Nattini (1892-1985), genovese
e milanese, fu anche illustratore di opere di Gabriele D’Annunzio. Il
suo successo negli anni ’20 e ’30 va considerato all’interno della
cultura ufficiale che magnificava le opere ritenute più rappresentative
della “nazionalità” italiana.
L’opera si trova oggi nel catalogo nazionale on-line della Biblioteca.
Danteum
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5. IL PATRIMONIO DELLA BIBLIOTECA
(dal sito www.comune.milano.it/biblioteche)
Il patrimonio di pubblicazioni, italiane e straniere, possedute dalla
Biblioteca comprende:
Libri
665.000 libri, con incremento annuo di circa 6.000 titoli tra le più
importanti novità editoriali di narrativa e saggistica.
I rilevanti fondi storici, frutto del mecenatismo di enti, istituzioni e
privati cittadini legati alla storia e alla cultura della città, connotano la
raccolta libraria in senso prevalentemente storico-umanistico.
Periodici
20.125 testate di quotidiani e riviste internazionali, tra cui anche
numerosi periodici storici di interesse locale.
Gli abbonamenti in corso sono circa 2.000, tra cui 50 a quotidiani.
Alcune testate sono disponibili in versione microfilmata.
La sezione raccoglie inoltre materiale di carattere giuridico-legislativo:
testi di legge, atti parlamentari, sentenze, contratti di lavoro, etc.
Parte dei documenti è conservata presso il Deposito Esterno di via
Quaranta 43, a cui si accede per appuntamento.
Audiovisivi
56.372 fra dvd, cd e precedenti tipologie di supporti (a partire dai
dischi in vinile a 78 giri), con incremento annuo di circa 3.000 titoli.
La fonoteca raccoglie opere di tutti i generi musicali, opere teatrali,
antologie di brani letterari, corsi di lingue, discorsi di uomini politici. La
videoteca mette a disposizione per la consultazione in sede opere
cinematografiche (dal muto ai nostri giorni), rappresentazioni teatrali,
balletti, opere liriche, programmi di attualità e informazione,
documentari, corsi di lingue.
Grazie a un contributo regionale e alla collaborazione di Arcipelago
Musica (www.arcipelagomusica.it), la Biblioteca è impegnata dal 2006
in un progetto di recupero e valorizzazione del patrimonio di un fondo
di più di mille dischi in vinile a 78 giri, acquisiti negli anni ‘70. Si tratta
di una ricca antologia di musica classica, folk e jazz, al cui interno è
stato identificato un primo gruppo di LP, rappresentativi della musica
dei primi decenni del XX secolo (da Glenn Miller alle Four King
Sisters), che sono stati digitalizzati in formato mp3. È possibile
ascoltare tali brani dalle postazioni informatiche della biblioteca dotate
di cuffie, a partire dal catalogo audiovisivi, seguendo il percorso
Liste>Titoli Speciali>78 Digitalizzati
Risorse elettroniche
650 tra cd-rom di opere generali quali enciclopedie, repertori di
periodici, raccolte di leggi, bibliografie e cataloghi di biblioteche; opere
monografiche di varie discipline; banche dati online.
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Giornata FAI di Primavera 2012
Fondi storici e manoscritti
La Biblioteca conserva oltre 18.000 libri antichi, tra i quali una raccolta
di Cinquecentine e una cospicua rappresentanza di edizioni del
Seicento e del Settecento.
Tra le pubblicazioni dell’Ottocento meritano una segnalazione
l’importante raccolta di periodici milanesi e il fondo leopardiano, con
rarissime edizioni di opere giovanili del poeta. Le collezioni storiche del
Novecento comprendono 5.650 edizioni originali di autori del secolo
scorso, la saggistica più autorevole e le più notevoli riviste letterarie,
artistiche e di attualità dell’epoca, fonti primarie per lo studio delle
avanguardie e dell’evoluzione della storia del costume, nonché 3.000
libri della biblioteca privata di Eugenio Montale.
Significativi il fondo storico di narrativa per l’infanzia, la collezione di
libri d’artista e di edizioni a tiratura limitata con originali di grafica, il
fondo di musica a stampa e di libretti d’opera (oltre 15.000 partiture e
spartiti musicali), la collezione di dischi in vinile e una serie di materiali
relativi a cinema e spettacolo.
Circa 22.000 documenti sono conservati nella sezione Manoscritti, si
tratta di archivi di alcuni personaggi del mondo della cultura milanese
del Novecento tra cui Paolo Buzzi, Giuseppe Cartella Gelardi, Luigi
Motta, Antonio Curti, Francesco Cazzamini Mussi e Roberto Aloi. Di
particolare rilevanza i fondi librari e documentari delle Raccolte
Stendhaliane Bucci e Pincherle (circa 3.900 volumi di cui 987
appartenuti a Stendhal).
Questi archivi sono caratterizzati dalla presenza di testi letterari e
carteggi, sia in versione manoscritta sia in forma di dattiloscritto,
documenti personali e ricordi, ritagli di giornale, fascicoli di riviste e
materiale iconografico, mobili e oggetti.
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6. IL PERCORSO DELLA VISITA
Il percorso presenterà il Palazzo sotto due aspetti, quello storico,
architettonico-artistico, e quello culturale relativo al patrimonio della
biblioteca e ai suoi servizi.
1. Giardino
breve presentazione GFP
ringraziamento a direzione Biblioteca
finalità FAI, invito a iscrizione
Dove ci troviamo. Antica Porta Tosa.
Cerchia navigli. Giardino all’inglese del
Pollack. Estensione originaria. Statua
settecentesca e Arcadia. Facciata
Alfieri. Torre libraria Arrighetti. Villaggio
Scarzella. Scultura Fabbri.
2. Portico (audiovisivi), cortile
Funzione attuale portico (anni ’80).
Funzione originaria. Affaccio su cortile
d’onore. Mostrare piantina P.T. e
confini. Datazione Palazzo. Vicende
costruttive del Palazzo nel ‘600:
intervento Ricchino. I Monti. Cortile
3. Scalone (baldacchino). Arazzi.
4. Sala Grechetto
Funzione attuale. Storia collocazione
originaria e trasferimento. Attribuzione e
datazione. Descrizione soggetto Orfeo.
Osservazione alcuni particolari.
Inquadramento nella cultura scientifica
del tempo.
5. Centro Stendhaliano
PIANO TERRA
Storia della raccolta. Suo valore e
significato per Milano. Indicazione ritratti
(Stendhal e Bucci) e oggetti. Ambiente e
soffitto. Dare dépliant.
6. Sala Putti
Notare soffitto rococò e mobili.
Frammenti Grechetto. Danteum.
Affaccio da balcone su Verziere.
7. Sala Montale
Perché. Valore libri. Dediche
8. Scala a chiocciola e Atrio
Scala in granito di Baveno.
Sguardo al cortile. Lapide Castaldo.
Periodo più antico dell’edificio. Cenno ai
Medici di Marignano.
Ricapitolazione famiglie proprietarie:
Castaldo, Medici, Monti, Andreani,
Sormani, Verri.
Invito a guardare facciata Croce e sue
caratteristiche.
Ricapitolazione architetti principali:
Ricchino, Croce, Alfieri, Pollack,
Arrighetti.
Presentazione patrimonio Biblioteca e
sua importanza
PRIMO PIANO
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7. BIBLIOGRAFIA E SITI
Cinque anni di vita del villaggio della madre e del fanciullo, Milano 1950
G.Bellini, La Biblioteca Comunale di Milano. Palazzo Sormani, Milano
1961
M.Ronchi, La caccia. Terracotta di Agenore Fabbri, in “Città di Milano”,
aprile-maggio 1964
Milano nel Settecento e le vedute architettoniche disegnate e incise da
Marc’Antonio Dal Re, a cura di Adele Mazzotta Buratti, Edizioni Il
Polifilo, Milano 1976
R. Middleton, D. Watkin, Architettura dell’Ottocento, Electa, 1977.
A. Bellini, Benedetto Alfieri, Electa, Milano,1978
Milano, Guida d'Italia, Touring Club Italiano,1985
G.C. Bascapè, I palazzi della vecchia Milano, Hoepli Editore, Milano,
1986
A. Morandotti, Pittore di Palazzo Lonati-Verri, in La natura morta in
Italia, a cura di F. Porzio, Electa, Milano, 1989
Carla Bodino (a cura di), Arrigo Arrighetti architetto, Archivio Storico
Civico di Milano, 1990
Le stanze del Cardinale Monti, catalogo mostra, Leonardo Arte, 1994.
I. Giustina, Un inedito progetto di Francesco Maria Ricchino e alcune
precisazioni sulle vicende di Palazzo Monti Sormani a Milano, in
“Palladio. Rivista di storia dell’architettura e restauro”, 16,1995
Enciclopedia di Milano - Franco Maria Ricci, Milano, 1998
D. Watkin, Storia dell'architettura occidentale, Zanichelli, seconda
edizione, Bologna,1999
Silvio Leydi, Sub umbra imperialis aquilae: immagini del potere e
consenso politico nella Milano di Carlo V, Firenze, Olschki, 1999
Giuseppe Dicorato, Paolo Andreani: aeronauta, esploratore, scienziato
nella Milano dei Lumi:1763-1823, Milano, 2000
Comune di Milano, Politecnico di Milano, DIIAR, Università IUAV di
Venezia, DIRCE, Milano. Il fotopiano digitale in CD-Rom,Venezia 2004
Giardino della Guastalla: l’antica magia delle piante, Milano, Comune,
Settore parchi e giardini, Servizio di vigilanza ecologica volontaria,
Consiglio di zona 1, 2005.
Milano. Le grandi famiglie. Nobiltà e borghesia. Le radici del carattere
milanese e lombardo, a cura di Roberta Coldani, Ed. Celip, Milano,
2008
30
Giornata FAI di Primavera 2012
www.comune.milano.it/biblioteche
www.digitami.it/stendhal
www.treccani.it
www.architettilombardia.com
www.procura.milano.giustizia.it
www.navigli.net
www.storiadimilano.it
www.archiviodistatomilano.it
Hanno collaborato alla stesura del testo:
Prof. Paola Rapelli
con Sebastiano Airaghi, Laura Caramia, Silvia Delvecchio, Bianca Fagetti,
Simone Pregnolato, Valentina Rovere, Serena Toniolo
Si ringrazia il Signor Mario Rovere, consulente bibliotecario della Biblioteca
Sormani, per la documentazione fornita e per il prezioso contributo alla
conoscenza della storia del Palazzo
Foto copertina: Antonio Mauri
Redazione: Anna De Lellis Broggi, Delegazione FAI Milano
Milano, febbraio 2012
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XX GIORNATA FAI DI PRIMAVERA Palazzo Sormani Biblioteca