XX GIORNATA FAI DI PRIMAVERA 24-25 marzo 2012 Palazzo Sormani Biblioteca Centrale Corso di Porta Vittoria, 6 - Milano Delegazione FAI di Milano Schede per la formazione degli Apprendisti Ciceroni Giornata FAI di Primavera 2012 Cari studenti e gentili insegnanti, il testo che leggerete è stato elaborato dalla Delegazione FAI di Milano per la preparazione degli “apprendisti ciceroni”, protagonisti della XX Giornata di Primavera 2012, che prevede la visita allo storico Palazzo Sormani, sede della Biblioteca Civica. Il materiale di studio che vi offriamo permetterà di approfondire la conoscenza del “bene” che sarà vostro compito presentare al pubblico sotto due aspetti, quello storico-architettonico del palazzo e quello del servizio bibliotecario. A questo scopo abbiamo concordato con i responsabili della Biblioteca un percorso per i visitatori. La documentazione fornita è strutturata secondo i seguenti punti: 1. LE VICENDE DEL PALAZZO NEL TEMPO ATTRAVERSO I SUOI PROPRIETARI E I SUOI ARCHITETTI 2. IL GIARDINO DEL PALAZZO 3. LA SALA DEL GRECHETTO 4. IL CENTRO STENDHALIANO 5. IL PATRIMONIO DELLA BIBLIOTECA 6. IL PERCORSO DELLA VISITA 7. BIBLIOGRAFIA E SITI UTILI La formazione dei ciceroni prevede un sopralluogo al Palazzo Sormani e alla Biblioteca, lo studio del materiale fornito con approfondimenti in classe, infine la preparazione della visita guidata con prove sul campo. Buon lavoro a tutti dalla Delegazione FAI di Milano! Milano, febbraio 2012 1 Giornata FAI di Primavera 2012 Il Palazzo nella Milano del Settecento Palazzo Monti in un’incisione di Marc’Antonio Dal Re. Il Palazzo, che attualmente chiamiamo “Sormani”, nella seconda metà del Seicento e nel Settecento fu proprietà della famiglia Monti. Marc’Antonio Dal Re (Bologna 1697- Milano 1766) Incisore, stampatore ed editore. Oltre alla famosa pianta della città di Milano del 1734, realizzò 88 incisioni raffiguranti vedute di Milano (1745) in cui ritrasse vie, piazze, chiese e palazzi della città della prima metà del sec.XVIII, grazie alle quali è possibile conoscere l'aspetto originario di architetture e luoghi milanesi spesso oggi trasformati o scomparsi. Marc’Antonio Dal Re, Pianta di Milano, 1734 1 Palazzo Monti Sormani 2 Cerchia dei Navigli 3 S. Stefano e S. Bernardino 4 Porta Tosa (nelle due collocazioni) 5 Palazzo Trivulzio 6 Duomo 7 Arcivescovado 8 Verziere 9 Collegio della Guastalla 10 Ospedale Maggiore 11 Rotonda (della Besana) o Foppone Marc’Antonio Dal Re, Pianta di Milano, 1734, particolare 2 1. Le vicende del Palazzo nel tempo attraverso i suoi proprietari e i suoi architetti L'edificio, noto ai milanesi come Palazzo Sormani, attuale sede della Biblioteca Comunale, è situato nell'angolo formato dalle vie Francesco Sforza e della Guastalla, composto da quattro corpi di fabbrica di due piani e da un giardino situato nello spazio retrostante al palazzo. Facciata su Corso di Porta Vittoria in stile barocchetto (1741-44, Arch. Francesco Croce) Una particolarità di questo palazzo è che possiede una doppia facciata, una che dà sull'attuale Corso di Porta Vittoria, l'altra sul giardino. Facciata sul giardino in forme classiciste (1756, Arch. Benedetto Alfieri) L’edificio sorgeva nelle vicinanze della Porta Tosa e si affacciava proprio sulla piazzetta, a fianco della quale si snodava il corso del Naviglio. La proprietà era delimitata ai lati dallo stradone affiancato dal Naviglio e dalla via che portava al Collegio della Guastalla, mentre il vasto giardino retrostante confinava con quello dello stesso attiguo Collegio (di cui ancora esiste un muro divisorio). Due sono le ipotesi di attribuzione: che l'edificio sia dovuto interamente all'intervento di Francesco Croce (1736), o, ipotesi più accreditata, che sia stato costruito nel XVII secolo per la famiglia del cardinale Cesare Monti e rimaneggiato successivamente dal Croce. Molti proprietari si succedettero nel tempo e il nome del Palazzo dovrebbe portarli tutti: Monti, Andreani, Sormani, Verri. Altrettanto numerosi furono gli architetti: Francesco Maria Richini o Ricchino (sec.XVII), Francesco Croce, Benedetto Alfieri e Leopoldo Pollack (sec.XVIII), Arrigo Arrighetti (sec.XX). Nel 1930 il palazzo fu acquistato dal Comune e nel 1935 divenne sede del Museo di Milano. Ricostruito in seguito ai danni subiti durante la seconda guerra mondiale da Arrigo Arrighetti (1953-1956), da allora ospita la civica Biblioteca, oggi una delle più importanti in Italia. Secondo i documenti, molti conservati nell’Archivio del Seminario Arcivescovile di Venegono Inferiore (Varese), e le ricerche della studiosa Irene Giustina, l'edificio fu segnato da diverse fasi edilizie: quella più antica, cinquecentesca, quella seicentesca, ad opera di Francesco Maria Ricchino, e quella settecentesca ad opera di Francesco Croce. Scorcio sull’area dell’antico verziere (oggi Largo Augusto) dal balcone angolare di Palazzo Sormani 3 Giornata FAI di Primavera 2012 La vicenda cinquecentesca del palazzo Un edificio di dimensioni più ridotte rispetto a quelle attuali doveva già esistere nel XVI secolo. Come testimonia una lapide nell’atrio d’ingresso, il Palazzo fu proprietà del marchese Giovan Battista Castaldo, condottiero al servizio dell’imperatore Carlo V. Divenuto ricchissimo e molto apprezzato anche dalla nobiltà regale europea per le sue imprese militari, fu lui ad avviare i primi consistenti lavori del complesso di Porta Tosa e a dare all'edificio una cospicua importanza. IO. BAP.CASTALDI.MARCH.CASSANI. SUB.FERD.I.ET MAXIMIL.II. A.A. IO.II.ET.ISABEL..I.HUNG.R.R. IN.TRANSYLVANIA.ADVERSUS.TURCAS. DUCIS.FORTISS. HARUM.AEDIUM.OLIM.DOMINI. ET.MATTHEAE.STAMPAE.CONIUGIS INSIGNIA. IN.AMPLIANDA. DOMO. E.RUDERIBUS.EFOSSA. AD.MEMORIAM.PERPETUI.NOMINIS. COMES.CAESAR.MONTIUS. P.C. A. M.D.CC.XXXVII Le insegne/ di Giovanni Battista Castaldo, marchese di Cassano, / il quale / sotto Ferdinando I e Massimiliano II Augusti / imperatori d’Austria/ e sotto i Re d’Ungheria Giovanni II ed Isabella I / fu / validissimo condottiero nella guerra contro i Turchi in Transilvania e / fu/ un tempo proprietario di questo edificio,/ queste insegne/ anche di Mattea Stampa sua moglie/ estratte dalle macerie durante i lavori di ampliamento della casa/ il conte Cesare Monti pose/ a memoria perpetua del nome/ nell’anno 1737 Lapide Castaldo La proprietà passò poi alla famiglia dei Medici di Marignano. La nipote di Castaldo, Livia, infatti, sposando il cugino Gian Giacomo II dei Medici di Marignano (1558-1599), fece confluire all'interno di questa famiglia la propria dote, comprendente anche il palazzo in Porta Tosa. E’ plausibile ipotizzare che l'intervento di rifacimento del palazzo, motivato da esigenze di prestigio sociale, si debba attribuire a Gian Giacomo II e alla moglie Livia. Antonio Moro Ritratto di Gian Battista Castaldo, 1550 Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid Giovan Battista Castaldo (1493-dopo il 1565) Generale napoletano, nato presso Cava dei Tirreni. Si distinse come condottiero al servizio di Carlo V d’Asburgo nelle guerre in Italia e in campagne militari all’estero. Nel 1525 prese parte nell’esercito spagnolo all’occupazione di Milano (nella battaglia di Pavia catturò e fece prigioniero il re di Francia, Francesco I di Valois!) e nel 1527 al Sacco di Roma. Nel 1535 si trovava a Milano al momento della morte di Francesco II Sforza e gli venne affidato l’incarico di recarne notizia in Spagna all’imperatore. Per i meriti acquisiti in successive campagne militari, ottenne da Carlo V i titoli di conte di Piadena e marchese di Cassano. Nel 1550 per le sue qualità di stratega fu incaricato da Carlo V, con piene responsabilità politiche e militari e una notevole provvigione annua, di dirigere le operazioni di guerra in Ungheria contro i Turchi. Nel 1555 tornò a Milano dall’Ungheria per probabili ragioni di salute, ma il riconoscimento per il suo operato gli valse un feudo in Transilvania. Sebbene nel 1551 gli fosse stata offerta la carica di tenente generale dell’esercito mediceo da Cosimo de’ Medici, non sembra tuttavia si sia allontanato da Milano. Nonostante l’età, ebbe ancora importanti incarichi da Filippo II, figlio di Carlo V. Nel 1560 fece testamento a favore della moglie, la milanese Mattea Stampa, e del figlio Ferdinando che ereditò il titolo di marchese di Cassano. Dobbiamo considerare, infatti, quanto la nobile famiglia milanese dei Medici di Marignano fosse importante a quel tempo. Tra i suoi membri, Giovanni Angelo Medici era stato eletto papa nel 1559 col nome di Pio IV. Quest’ultimo, zio di San Carlo Borromeo, fu promotore dell’arte e dell’architettura milanese, committente del Palazzo dei Giureconsulti e del sepolcro gentilizio in Duomo. Alla stessa famiglia era appartenuto anche il famoso capitano di ventura Gian Giacomo Medici, detto il Medeghino (1498-1555) (“piccolo Medici”, in dialetto milanese), cui si devono i lavori di abbellimento del Castello di Melegnano (Marignano). Sembra che proprio in questo palazzo nel 1559 sia stata festeggiata la Pace di Cateau Cambrésis tra Francia e Spagna, che definì gli equilibri europei per il secolo successivo. Il Palazzo passò poi nelle mani del primogenito di Livia, Ferdinando, che però, a causa della complicità con il fratello in un omicidio, subì la confisca dei beni e nel 1600 venne esiliato. Leone Leoni, Monumento funebre a Gian Giacomo Medici, detto il Medeghino, Duomo di Milano, 1563 4 Giornata FAI di Primavera 2012 La vicenda seicentesca: dell’architetto Ricchino la famiglia Monti e l'intervento Nel 1642 il Palazzo divenne proprietà della famiglia Monti, in particolare dell’arcivescovo Cesare Monti, successore di Federico Borromeo e possessore di un’importante collezione d’arte. Egli sostenne ingenti spese oltre che per l’acquisto del palazzo, già descritto nei documenti dell’epoca come magnifico, anche per il suo rinnovamento che venne affidato a Francesco Maria Ricchino (o Ricchino), architetto affermato e al centro della scena milanese Il rapporto tra l’arcivescovo Monti e Ricchino fu verosimilmente molto stretto. Consideriamo infatti che l’intero periodo del legato arcivescovile di Cesare Monti fu caratterizzato da un’intensa attività edificatoria, soprattutto religiosa, e coincise con gli anni di massimo fulgore dell’attività di Ricchino, che per le famiglie milanesi progettò importanti palazzi. Presso l'Archivio del Seminario Arcivescovile di Venegono Inferiore (Varese) è conservato un nucleo fondamentale di documenti e disegni che illustrano i lavori condotti durante l'intero periodo della proprietà Monti. Essi sono stati attentamente analizzati dalla studiosa Irene Giustina. Allo scopo di consolidare l’immagine dell’importante famiglia, furono realizzati dal Ricchino due fondamentali interventi, che sappiamo essere due elementi qualificanti dell’architettura civile cinqueseicentesca: la trasformazione del cortile centrale del Palazzo e l'inserimento di uno scalone monumentale, raccordati tra loro dal porticato a cinque arcate in fondo al cortile. Il ruolo di Cesare Monti fu fondamentale nella ripresa della città dalla crisi economica e sociale dopo la peste del 1630. Durante il suo episcopato (1634 - 1650), rifiorirono forme d’arte religiosa e vennero ripresi lavori di restauro e costruzione di chiese, oratori, seminari. Raffinato collezionista, Monti raccolse in Arcivescovado una quadreria con dipinti di artisti di cerchia leonardesca e altri come Correggio, Veronese, Tintoretto, Campi, Procaccini, Carracci, Reni. Per suo volere a Milano vennero completati i lavori del Seminario Maggiore e ampliato il Palazzo Arcivescovile. Lo scalone doveva condurre al salone di ricevimento che venne spostato dal piano terra al nuovo piano nobile. Cortile d’onore Il disegno della pavimentazione del cortile non è quello originale che un tempo recava due corridoi a lastre di pietra in direzione dalla facciata sulla via verso l'interno del palazzo e il giardino: ciò era dovuto alla necessità di far transitare agevolmente le carrozze fino all'andito ove scendeva chi doveva accedere allo scalone d’onore. Successivamente, il disegno è stato modificato poiché è stata posta al centro della corte la vera da pozzoun tempo in un cortile laterale di servizio, detto “delle donne”- per cui le pietre pavimentali vennero sistemate in forma di croce. I ciottoli sono collocati secondo la tecnica tipicamente lombarda della rizzada. 5 Giornata FAI di Primavera 2012 L'impianto planimetrico dello scalone è complesso e riconducibile a modelli romani cinquecenteschi. La scenografia venne studiata da Ricchino appositamente per rispondere alle esigenze del prestigio sociale dell’arcivescovo. Tra il portico e lo scalone venne introdotto un vestibolo d'entrata come prolungamento dell'asse maggiore del portico stesso. Il vestibolo si compone di una rampa di dieci gradini e di un pianerottolo illuminato da una grande finestra su cui perpendicolarmente si apre lo scalone. Già dal Rinascimento esso svolgeva la funzione di vero e proprio "baldacchino cerimoniale" per il saluto agli ospiti di alto rango. Francesco Maria Richini o Ricchino (Milano1583-1658) E’ il più importante rappresentante dell’architettura barocca milanese. Compì la sua educazione artistica a Roma. A Milano fu al servizio della Curia e delle autorità spagnole. Insieme al collega Fabio Mangone fu l’ architetto di fiducia del cardinale Federico Borromeo e, dal 1605, capomastro del Duomo di Milano. Il suo capolavoro nell'edilizia religiosa è la chiesa di San Giuseppe (1607, via Verdi). Ricordiamo tra le sue opere Palazzo Annoni (1631), Palazzo Durini (1644-48), Palazzo Arese, poi Litta, (1648), la facciata curvilinea del Collegio Elvetico (1627), il Palazzo di Brera, il cortile grande dell'Ospedale Maggiore (1625, oggi Università degli Studi di Milano). Opere del Ricchino nelle incisioni di Marc’Antonio Dal Re del 1745 Chiesa di San Giuseppe Come ha sottolineato Irene Giustina, i documenti e i disegni conservati nel Seminario di Venegono sono oggi molto importanti per ricostruire la storia dell’edificio e l’organizzazione del cantiere tra la metà del ‘600 e gli ultimi decenni del ‘700. Essi fanno anche emergere un quadro interessante sul profilo professionale di Ricchino, il quale non stravolse l'impianto cinquecentesco dell'edificio, ma, studiando ben sette diverse ipotesi di intervento, seppe adattare elasticamente il rinnovamento alle preesistenze. Egli impiegò elementi dedotti dal repertorio del Classicismo rinascimentale romano che era alla base della sua formazione. Collegio Elvetico 6 Giornata FAI di Primavera 2012 Alle pareti dello scalone d’onore sono conservati oggi due pregevoli arazzi di manifattura fiamminga dei secoli XVI e XVIII. In uno di essi è rappresentato un episodio dell’Eneide con Didone che invita i suoi sudditi ad accogliere il profugo Enea; nell’altro, è rappresentato il soggetto biblico del Passaggio del Mar Rosso (visibile purtroppo solo parzialmente). Arazzo di manifattura fiamminga, sec.XVI Arazzo di manifattura fiamminga, sec. XVIII (particolare) 7 Giornata FAI di Primavera 2012 La vicenda settecentesca: l'intervento di Francesco Croce e quello di Benedetto Alfieri L’architetto Francesco Croce, esponente di punta del nuovo gusto barocchetto, fu il responsabile dell'ampliamento del Palazzo verso la piazzetta di Porta Tosa quando proprietario era il conte Cesare Monti Stampa. Ai Monti era stato concesso di ampliare il Palazzo verso la piazza sull'area trapezoidale antistante, ma i lavori dovettero ben presto fermarsi per il contenzioso che si creò tra il conte Monti e i principi Trivulzio, il cui palazzo si ergeva parallelo a quello dei Monti lungo lo stradone costeggiato dal Naviglio. Francesco Croce (1696-1773) Fu tra gli esponenti più rilevanti del barocchetto lombardo. Lavorò all’inizio presso il Raffagno, architetto dell’Ospedale Maggiore di Milano, portando a termine la costruzione del porticato della Rotonda o Foppone (oggi della Besana) a Porta Tosa (172631), che fungeva da cimitero per l’Ospedale Maggiore. Oltre al Palazzo Monti (poi Andreani, poi Sormani) e altre realizzazioni in Milano e Lombardia, svolse un ruolo di primo piano come architetto nella fabbrica del Duomo sul cui tiburio costruì la guglia principale. I Trivulzio lamentavano il forte danno del valore del proprio immobile provocato dall'ampliamento del palazzo Monti, che avrebbe chiuso la visuale verso il vivace Borgo della Fontana dalle stanze di ricevimento e dalla terrazza sul Naviglio situate al piano terreno del loro palazzo. Fu proprio il contenzioso a determinare il ridisegno della facciata di Palazzo Monti e del sito ad essa antistante, quali rimangono ancora oggi. La controversia si concluse nel settembre del 1736 e la fabbrica della nuova facciata verso la piazza terminò negli anni 1741-1744. Rotonda (della Besana) o Foppone Famiglia Trivulzio (X-XX sec) L'intervento di Croce fu fondamentale per quanto riguarda l’aggiunta del nuovo corpo di fabbrica della facciata sulla piazza. Esso presenta un corpo centrale sporgente, sottolineato da forti paraste che sostengono una grande balconata e si prolungano fino al timpano curvo che contiene l'arme gentilizia e corona l’edificio. Il corpo centrale è raccordato ai due laterali da spigoli curvi, sostenenti terrazze con balaustra che costituiscono lo sviluppo della balconata centrale. L’edificio venne considerato all’epoca uno dei più fastosi esempi di dimora patrizia. Celebre famiglia milanese, menzionata tra le duecento famiglie patrizie all’epoca di Ottone Visconti (sec.XIII). Detentori di numerosi feudi tra cui Melzo, Borgomanero, Vigevano, Mesocco, Cologno, la casata toccò il suo apogeo nella seconda metà del XV secolo, al tempo degli Sforza, che ne favorirono l’ascesa, venendo però poi traditi dagli stessi Trivulzio, che passarono al servizio del re di Francia. Il più importante membro della famiglia fu Giangiacomo Trivulzio (1448-1518), maresciallo di Francia. Tra i numerosi edifici della famiglia, l’omonimo palazzo a Milano in piazza S. Alessandro, rifatto per il marchese Giorgio nel 1713. Al figlio di questi, Teodoro Alessandro, si deve la fondazione della Biblioteca e Collezione Trivulziana, un tempo conservate nel palazzo avito, oggi al Castello Sforzesco. 8 Giornata FAI di Primavera 2012 Nel 1756 la famiglia Monti impegnò un altro architetto per il rinnovamento della facciata verso il giardino, il piemontese Benedetto Alfieri. Essa si distingue da quella prospiciente sul Corso di Porta Vittoria per le sue forme classiciste. Alfieri impostò il disegno del nuovo prospetto su una serrata scansione di lesene di ordine composito gigante, coronato da un'alta balaustrata decorata da sculture e da un fastigio centrale con orologio. Benedetto Alfieri (1699-1767) Cugino del poeta Vittorio Alfieri, nacque da nobile famiglia astigiana. Intraprese studi universitari in legge e parallelamente si dedicò all’architettura come autodidatta. Entrato in contatto con la corte sabauda, ricevette da Carlo Emanuele III l’incarico di terminare il Teatro Regio. Nel giugno 1739 venne nominato primo architetto civile della corte sabauda e decorò gli interni del Palazzo Reale di Torino ispirandosi, nell’impiego di grandi specchi e di una misurata ornamentazione, al rococò francese. I capolavori di Alfieri, sensibile alla lezione di Juvarra e orientato verso uno stile di grande austerità, sono il Duomo di Carignano e la facciata del Duomo di Vercelli. Da Vita di Vittorio Alfieri: “Ed un cugino di mio padre, mio semizio, chiamato il conte Benedetto Alfieri. Era questi il primo architetto del re; ed alloggiava contiguamente a quello stesso regio teatro da lui con tanta eleganza e maestria ideato e fatto eseguire. Io andava qualche volta a pranzo da lui, ed alcune volte a visitarlo… Era appassionatissimo dell’arte sua; semplicissimo di carattere, e digiuno quasi di ogni altra cosa, che non spettasse le belle arti. Tra molte altre cose, io argomento quella sua passione smisurata per l’architettura, dal parlarmi spessissimo e con entusiasmo, a me ragazzaccio ignorante d’ogni arte ch’io m’era, del divino Michelangelo Buonarroti, ch’egli non nominava mai senza o abbassare il capo o alzarsi la berretta con un rispetto ed una compunzione che non mi usciranno mai dalla mente.” 9 Giornata FAI di Primavera 2012 Le decorazioni settecentesche degli ambienti interni In alcune sale del primo piano sono visibili tracce della decorazione settecentesca dell’edificio. Purtroppo è andata distrutta sotto i bombardamenti della II guerra mondiale la grande Sala da ballo (oggi sala di lettura), affrescata da Biagio Bellotti, di cui resta al piano terra del Palazzo un affresco nella Sala Giuridica. Biagio Bellotti (Busto Arsizio 1714-1789) Pittore, architetto, musicista e scrittore. Di lui rimangono molti affreschi nelle chiese di Busto Arsizio e nella Certosa di Garegnano, in cui è riconoscibile l’influenza di G.B.Tiepolo. Affresco soffitto Sala Giuridica, piano terra Sala da ballo con affresco prima della distruzione Alcune sale presentano stucchi realizzati nella prima e nella seconda metà del sec. XVIII. La Sala Putti prende il nome dai preziosi stucchi rococò di autore ignoto che ne ornano la volta. Agli stucchi del soffitto del Centro Stendhaliano lavorarono forse congiuntamente, nella seconda metà del Settecento, Giocondo Albertolli e Agostino Gerli, quando il Palazzo era proprietà degli Andreani. Stucchi soffitto Sala Putti Stucchi soffitto Centro Stendhaliano Dipinto soffitto Sala Periodici, piano terra Rococò Il termine si riferisce a uno stile che nacque in Francia nella prima metà del Settecento e si diffuse in tutta Europa. Considerato un estremo raffinamento dello stile barocco o una sua degenerazione, si caratterizzò per l’agile grazia dell’ornamentazione in superficie, che si contrappose al possente e dinamico plasticismo barocco. Si affermò presso le corti reali (Versailles), ma anche presso le dimore delle famiglie aristocratiche. Gli interni (salotti, salottini, sale da conversazione, studi, anticamere, boudoirs) furono i protagonisti del nuovo stile. Lo stile neoclassico nella seconda metà del secolo fu quasi una reazione moralistica alle frivolezze rococò. 10 Giornata FAI di Primavera 2012 Il Palazzo tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento La vicenda costruttiva del Palazzo continuò senza soste con il passaggio della proprietà agli Andreani nel 1783, che affidarono all’architetto Leopoldo Pollack il ridisegno del giardino alla moda romantica. Macchie d’alberi disposte irregolarmente diedero l’impressione di una maggiore ampiezza del parco che confinava col giardino della Guastalla. , Il Palazzo passò successivamente ai Sormani, infine nel 1831 ai Sormani-Verri. Scarse sono le testimonianze di rilievo sulla storia ottocentesca del palazzo, ma tra queste vale la pena di ricordare una curiosità, rappresentata da una sfera metallica rimasta incastrata nella strombatura di una finestra della cappella situata al piano terra nel corpo di fabbrica della facciata del Palazzo: si tratta di un proiettile d'artiglieria sparato a Porta Tosa durante le Cinque Giornate di Milano (1848), mentre la città insorgeva contro la dominazione austriaca. Carlo Canella, Porta Tosa,1848 olio su tela, Collezione Intesa San Paolo Milano, Gallerie d’Italia Proiettile nella strombatura in alto a sinistra 11 Giornata FAI di Primavera 2012 Le famiglie proprietarie del Palazzo dopo i Monti: Andreani, Sormani, Verri Famiglia Andreani (XIII-XIX sec.) Di antichissime origini, gli Andreani si fanno risalire già al 1271. La famiglia vanta nomi di medici illustri, tra cui si ricorda Girolamo (1700-1775) “fisico generale” dello Stato di Milano. Un membro molto importante degli Andreani fu Pietro Paolo (1706-1772), avvocato fiscale, Capitano di giustizia e Senatore di Milano, il quale sposò nel 1752 Cecilia Sormani da cui ebbe due figli, Gian Mario e Paolo. Il primo fu anche l’ultimo esponente della stirpe e alla sua morte tutti i titoli e i beni furono ereditati da Giuseppe Sormani. Paolo (1763-1823) fu uno dei più eccentrici membri della famiglia Andreani. Nacque nell’attuale Palazzo Sormani. Fu socio di numerose e prestigiose accademie scientifiche, tra cui la Royal Society di Londra. Appassionato di aeronautica e geografia, compì il primo volo su mongolfiera in Italia (13 marzo 1748). In seguito, effettuò esplorazioni in Nord America e in Canada. Famiglia Sormani (XII-XX sec.) La famiglia Sormani pianta le sue radici nel periodo anteriore al X secolo e prende il nome dal villaggio di Sormano (Como), dove sorgeva il castello degli omonimi signori feudali, forse vassalli dell’arcivescovo di Milano. I primi documenti storici relativi alla famiglia si fanno risalire al XII secolo. La casata si suddivise in tre rami principali: i Sormani di Reggio Emilia, quelli di Savona e i Sormani di Milano. Questi ultimi alla fine del XIV secolo risiedevano stabilmente a Milano. Con la Repubblica Ambrosiana (1447-1450) iniziò la partecipazione della famiglia al governo della città con incarichi di decurioni e notai e nel corso dei secoli la famiglia divenne una delle più importanti dell’aristocrazia meneghina. Giuseppe Sormani, erede del cugino, conte Gian Mario Andreani, aggiunse al proprio cognome quello del cugino. Nacque così la famiglia Sormani Andreani che acquisì per eredità il palazzo di Porta Vittoria. Suo figlio Alessandro (1815-1880) sposò Carolina Verri e il loro figlio Pietro (1849-1934) nel 1902 aggiunse al cognome paterno quello materno, dando origine al ramo Sormani Andreani-Verri. Famiglia Verri (XIV-XX sec.) Originari della zona di Monza, alcuni membri della famiglia nella prima metà del XIV secolo si trasferirono a Milano dove ricoprirono cariche in vari consigli cittadini. La ricchezza fondiaria dei Verri fu notevolmente incrementata nei primi anni del XVI con l’acquisizione di terre a Biassono, Macherio e Sovico. Alcuni membri della famiglia fecero parte del Collegio dei Giureconsulti ed acquisirono cariche importanti. La ricchezza e il prestigio della famiglia si consolidarono nel tempo. Nel XVIII secolo la famiglia Verri fu una delle più rappresentative della cultura milanese. Tra i suoi esponetti più importanti ricordiamo: Pietro (letterato ed economista), Alessandro (letterato), Carlo (prefetto e senatore del Regno d’Italia) e Giovanni (noto anche per essere il probabile padre naturale di Manzoni). Essi furono tra i più importanti esponenti della cultura illuminata del loro tempo. I loro interessi spaziarono dalla giurisprudenza alla storia, dall'economia e dalla letteratura alla agronomia e all’agricoltura. Pietro e Alessandro furono tra i fondatori dell’Accademia dei Pugni e della rivista Il Caffè. Pietro scrisse il Discorso della felicità, considerato il manifesto dell’Illuminismo lombardo. L’ultimo figlio di Pietro, Gabriele, sposò la contessa Giustina Borromeo Arese, la cui figlia Carolina a sua volta sposò Alessandro Sormani Andreani: da questa unione nacque Pietro (1849-1934) che alla morte della madre (1902) aggiunse al suo il cognome materno. Si venne così a formare il ramo Sormani Andreani - Verri. Una nipote di Pietro Sormani Andreani Verri, Luisa (nata nel 1931e coniugata Castelbarco), nel 1980 decise di depositare presso l’Archivio di Stato di Milano (AS MI) l’intero archivio di famiglia. Olio di F.Battaglioni raffigurante il volo compiuto da Paolo Andreani a Brugherio il 13 marzo 1784 Pietro Verri, statua nel Cortile di Brera 12 Giornata FAI di Primavera 2012 Il Palazzo nel Novecento Arrigo Arrighetti (Milano1922-1989) Nel 1930 il Palazzo fu acquistato dal Comune e nel 1935 divenne sede del Museo di Milano. In seguito ai danni subiti durante la seconda guerra mondiale, l’edificio, che utilizzava solo una parte del primo piano (piano nobile), venne ricostruito da Arrigo Arrighetti (1953-1956) e dal 1955 ospita la civica Biblioteca, oggi una delle più importanti in Italia. Dopo gli studi tecnici, nel 1940 venne assunto dal Comune di Milano. Nel 1947 si laureò in Architettura ed iniziò a collaborare come assistente alla Cattedra di Tecnica delle Costruzioni e di Tecnologia dei materiali al Politecnico. Dal 1956 al 1961 diresse l’Ufficio Progetti Edilizi del Comune di Milano. Tra le sue molte opere, oltre alla Biblioteca Civica di Palazzo Sormani, le Case Ina/casa (1949) in piazza G. Rosa/via Barzoni, la Stazione per Tram in piazzale Biancamano (1950), vari edifici scolastici, la Piscina coperta al Parco Solari (1963), il Quartiere Sant’Ambrogio (1964-71, Famagosta). L’architetto Arrigo Arrighetti dell’ufficio Tecnico del Comune si trovò di fronte a un edificio per buona parte distrutto. Il nuovo progetto prevedeva come primo elemento di restauro la ricostruzione del corpo di fabbrica su via Guastalla. Lo scorcio prospettico dal Corso di Porta Vittoria ha suggerito l’idea di una facciata razionalista con aperture a ritmo fitto su via della Guastalla che mette in risalto l’architettura barocca dell’edificio storico riprendendone gli allineamenti principali. Sul giardino, è visibile “la torre dei libri” che si presenta come un volume dalle pagine sfogliate. La struttura della facciata a lamelle para-sole ha la funzione di proteggere i magazzini dei libri dai raggi solari. Il nuovo edificio contiene circa cinquecento posti di lettura e un milione di volumi. I lavori di ristrutturazione si protrassero fino al 1956 con l’adozione di alcuni accorgimenti tecnici, quali la chiusura con vetrate dei due portici prospicienti il cortile interno. Epigrafe posta nell’atrio d’ingresso alla Biblioteca a memoria del restauro completato nel 1955. (Trad.: I reggitori del municipio di Milano qui in nuova sede posero nell’anno 1955 la biblioteca civica, quasi distrutta dal fuoco della guerra, trasferendola dal Castello di Porta Giovia, dopo averla restaurata e notevolmente ingrandita) Veduta della torre libraria nell’ala nuova della Biblioteca 13 Giornata FAI di Primavera 2012 Uno sguardo ai dintorni del Palazzo PORTA TOSA Il Palazzo anticamente sorgeva nelle vicinanze della medioevale Porta Tosa. Il luogo è tuttora riconoscibile per l’andamento lievemente rialzato della strada in corrispondenza del ponte a valico del canale (v. crocicchio Cavallotti-Battisti-Sforza-Visconti di Modrone). Nel secolo XVI, un’altra porta Tosa venne costruita in corrispondenza del punto più orientale delle mura spagnole (attuale piazza Cinque Giornate). Essa balzò alla ribalta durante l’insurrezione antiaustriaca del marzo 1848, tanto che fu ribattezzata “porta Vittoria”. Porta Tosa durante le Cinque Giornate di Milano, Civica Raccolta Bertarelli NAVIGLI I Navigli sono canali artificiali costruiti a partire dal Medioevo per il trasporto delle merci e per il collegamento tra Milano e i fiumi Ticino e Adda, quindi i laghi Maggiore e di Como e, attraverso questi, il nord Europa. I navigli esterni (Naviglio Grande, Pavese, Martesana) erano collegati alla cerchia interna dei navigli (ricoperta nel 1929) che costeggiava le mura medioevali e corrispondeva all’attuale circonvallazione interna (vie Fatebenefratelli, Senato, San Damiano, Visconti di Modrone, Francesco Sforza, Santa Sofia, Molino delle Armi, Carducci, De Amicis, Piazza Castello e Pontaccio). Il Naviglio di via Francesco Sforza nel 1927. Milano, Civico Archivio Fotografico In fondo, ponte dell’Ospedale Maggiore; a sinistra, recinzione del Giardino della Guastalla 14 Giornata FAI di Primavera 2012 VERZIERE Nell’attuale Largo Augusto si trovava il Verziere, sede per secoli del mercato ortofrutticolo (da cui derivò l'appellativo) che venne lì trasportato sul finire del Settecento per ordine del conte Carlo Firmian, ministro plenipotenziario dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria, trasferendolo dalla vicina area alle spalle del Duomo (attuale Piazza Fontana). Al centro del Verziere si ergeva una colonna di pietra, una delle tante in città, volute da S. Carlo Borromeo in ringraziamento per la fine della peste, innalzata solo nel 1673 su disegno del Ricchino. In cima ad essa venne posta la statua di Cristo, che regge nella sinistra una croce in ferro, realizzata da Giuseppe e Gio. Battista Vismara. Nel 1860, per deliberazione del Consiglio Comunale, essa fu destinata a ricordare i caduti delle Cinque Giornate e delle lotte per l'indipendenza, con l'incisione di 358 nomi sulle lapidi in bronzo del basamento. Largo Augusto GIARDINO DELLA GUASTALLA L’ultima contessa di Guastalla (Reggio Emilia), Lodovica Torelli, si ritrovò vedova a 25 anni e dopo un periodo di potere, divertimenti e lusso, ebbe una crisi mistica e decise di cambiare vita. Verso il 1530 si traferì a Milano insieme a padre Battista da Crema. La difficile condizione delle donne della città colpì fortemente Lodovica che decise di vendere i possedimenti emiliani al governatore di Milano, Ferrante Gonzaga, per iniziare i suoi progetti religiosi, tra cui la chiesa di San Paolo Converso e il Monastero delle Angeliche. Divenuta monaca nel 1535, abbandonò poi il monastero nel 1553 per la richiesta di clausura delle altre monache. Nel 1556 acquistò una casa con giardino dal medico Matteo delle Quattro Marie e la trasformò in collegio per ragazze di famiglie nobili decadute. La casa venne recintata insieme al meraviglioso giardino con alberi di vario tipo e il laghetto alimentato dalle acque del vicino Naviglio. Dopo la morte della fondatrice nel 1569, l’istituzione continuò la propria attività e il giardino si arricchì con la trasformazione del laghetto in peschiera barocca e la collocazione di altri monumenti ed opere d’arte. Tra Ottocento e Novecento, in seguito all’apertura della via Andreani, il Giardino, che era confinante con il parco Monti (poi Sormani), venne da questo separato. Nel ventennio fascista rischiò di diventare area edificabile. Nell’agosto del 1939 venne aperto alla città. In quell’occasione si sostituì l’alto muro di cinta con una recinzione costituita da pilastri in ceppo alternati a cancellate. Chiostro del Collegio della Guastalla Giardino della Guastalla con l’edificio dell’ex Collegio Giardino della Guastalla, Peschiera 15 2. IL GIARDINO DEL PALAZZO Il giardino retrostante al Palazzo venne sistemato alla fine del Settecento dall’architetto Leopoldo Pollack, il più importante ed originale allievo di Giuseppe Piermarini, secondo i criteri e il gusto dei cosiddetti romantici giardini all’inglese. Piacevoli effetti prospettici vennero creati grazie a leggeri dislivelli, a vialetti tortuosi e a un corso d’acqua varcato da un ponticello. Una statua settecentesca Leopoldo Pollack (Vienna 1751- Milano 1806) Architetto austriaco, collaborò con G.Piermarini al Palazzo Reale. Favorito dalla nobiltà milanese, per essa costruì fastosi edifici di stile neoclassico aggiornato sugli esempi dell’architettura delle grandi capitali europee. Sua opera principale è l'elegante Villa Belgiojoso (1790-93; ora sede della Galleria d'Arte Moderna di Milano), dalla sapiente distribuzione planimetrica, immersa in un elaborato giardino all’inglese, uno dei primi del genere in Italia. Giardino all’inglese Il cosiddetto “giardino all’inglese” si contrappone a quello “all’italiana”, rinascimentale e barocco, in cui gli elementi vegetali (alberi, siepi, aiuole) e artificiali (vialetti, scalinate, panchine) sono ordinati secondo figure geometriche. Il giardino all’inglese dispone ogni cosa apparentemente in modo casuale. Di esso sono caratteristici i vialetti tortuosi, i dislivelli, le pendenze, la disposizione irregolare degli arbusti con l’aggiunta di false rovine che suscitano nello spettatore sentimenti di commozione (cfr. il giardino all’inglese di villa Belgioioso Bonaparte, Villa Reale, Milano). Nel giardino di Palazzo Sormani, negli anni in cui gli Andreani erano proprietari della casa, ebbe sede l’Arcadia lombarda. La pregevole statua settecentesca che ancora vi si trova ne è una suggestiva evocazione. Stilisticamente essa si può ricollegare al gusto classicheggiante tardobarocco/rococò, sia per la postura teatrale, che implica una moderata verticalizzazione del corpo, sia per la trattazione morbida delle superfici. Dal punto di vista iconografico con molta probabilità si tratta di un’allegoria, soggetto alquanto diffuso nell’estetica del tempo. Arcadia L’Accademia dell’Arcadia deve il suo nome alla regione dell’antica Grecia, nel Peloponneso, considerata, nella trasfigurazione letteraria, come luogo di una serena vita pastorale, dedita ai piaceri procurati dalla vicinanza fisica e spirituale con la natura e dal canto. Fondata a Roma nel 1690 dopo la morte della regina Cristina di Svezia (che era solita accogliere nel Palazzo Riari, oggi Corsini, a Roma, poeti, storici, archeologi, naturalisti, filosofi), l'Arcadia diede vita, in nome di un ideale di classica semplicità, a una poesia limpida ed elegante, non esente però da atteggiamenti convenzionali e leziosi. Il più celebre ed assiduo dei frequentatori, G.M. Crescimbeni, pensò di continuare quelle riunioni e con tredici amici costituì l’Accademia dell’Arcadia. 16 Giornata FAI di Primavera 2012 La caccia al cinghiale di Agenore Fabbri Agenore Fabbri (Barba, PT, 1911 - Savona 1998) Artista toscano, si forma a Firenze frequentando l’accademia e il caffè delle “Giubbe Rosse”, luogo di ritrovo di giovani intellettuali tra cui Carlo Bo ed Eugenio Montale. Forte degli stimoli assimilati in quegli anni, si trasferisce nel 1935 ad Albisola (Savona), dove si forma alla pratica della ceramica nel piccolo laboratorio La Fiamma e ha la possibilità di stringere amicizia con Lucio Fontana. Nel 1947 la sua forte individualità si manifesta nel segno di una drammaticità esasperata che caratterizza prima le sue terracotte e quindi i suoi bronzi. Nel '48 è invitato alla Biennale di Venezia, dove continuerà ad esporre fino agli anni Sessanta. Negli anni Cinquanta produce un ciclo di opere che continuano a manifestare il suo espressionismo figurativo. Metalli fusi, legni recisi diventano simbolo di disagio fisico e mentale. Solo nelle ultime opere sembra nascere la speranza nel riconoscimento della dignità dell’uomo. Nel giardino settecentesco spicca oggi un insolito gruppo di sculture, opera dell’artista Agenore Fabbri. Si tratta de La caccia al cinghiale, terracotta a gran fuoco, composta da vari pezzi staccati di scultura, esposta nel 1949 alla Triennale di Milano dove venne acquistata dalla Amministrazione Comunale che nel 1955 la destinò alla Biblioteca Sormani. Quando il gruppo scultoreo venne trasportato nel giardino e collocato nello spazio antistante l'elegante facciata neoclassica del Palazzo, lo stesso scultore si occupò con grande attenzione e abilità tecnica di rimontare l’opera. Le sculture rappresentano uomini a cavallo armati di lance a caccia di un poderoso cinghiale. Nel racconto della lotta feroce e negli squarci profondi dei corpi lacerati di uomini e animali l’artista esprime drammaticamente il senso della vita e della morte e offre una riflessione sincera, non retorica, sulla crudele recente esperienza della guerra. La seconda guerra mondiale segnò infatti la biografia di Agenore Fabbri, come quella di tutta la sua generazione, e la sua scultura divenne ancora più dura e violenta, interessata non tanto al modellato, quanto alle fratture e alle ferite della materia. I tre pezzi distinti, pensati per essere osservati da qualsiasi punto di vista e secondo prospettive sempre nuove, sono disposti come ai vertici di una base triangolare e legati tra loro dalle linee delle lance proiettate su piani che si intersecano. Ne deriva una composizione ricca di movimento, da cui si sprigiona una grande energia vitale. A gran fuoco “A gran fuoco”, cioè ad alta temperatura, è una tecnica di cottura della terracotta e della ceramica attraverso cui si riesce anche ad intervenire sul colore creando, per ossidazione o riduzione, effetti di speciale iridescenza. Fabbri mostrò un precoce interesse per la terracotta, materiale per lo più relegato alla produzione artigianale, ma legato alle radici pistoiesi dell’artista (v. Della Robbia). Ad Albisola, dove lavorò nelle celebri manifatture di ceramica della cittadina ligure, la sua opera venne apprezzata da Arturo Martini e da Lucio Fontana. 17 Giornata FAI di Primavera 2012 Franco Russoli, che fu Soprintendente alla Pinacoteca di Brera negli anni ’70, scrisse a proposito di Agenore Fabbri nel 1961: ”Dalle sue terracotte rosse di pelle bruciata dal vento e dal sole e nere di lutti e di lividi, ai suoi bronzi rosi dalla furia di lotte con gli elementi naturali, dalla sua gente popolana che urla il terrore e il diritto al rispetto agli eroi grotteschi e ridicoli e nobilissimi di una guerra per l’ideale, dai suoi famelici animali di strada agli insetti ed ai mostri di un incubo che deve essere un memento per tutti, l’espressionismo di Fabbri è sempre caratterizzato da un tono di epica semplice, cruda e non retorica, né iniziata da compiacimenti idealistici. Tutte le sue sculture formano un racconto teso, eccitato, ma pietoso. Illuminato, durante ogni sua fase espressiva, dalla stessa luce di partecipazione umana”. 18 Giornata FAI di Primavera 2012 Il Villaggio della madre e del fanciullo Il giardino di Palazzo Sormani fu sede per cinque anni, dal 12 ottobre 1945 al 12 settembre 1950, del Villaggio della madre e del fanciullo, istituzione assistenziale fondata da Elda Scarzella Mazzocchi (19042005), che fu una fucina di esperienze sociali riconosciuta a livello internazionale. La Scarzella era rientrata a Milano dalla Sardegna dove negli anni dal 1922 al 1933 aveva svolto attività di carattere sociale creando giardini d’infanzia per arginare l’alta mortalità infantile diffusa tra i figli dei minatori. In Sardegna aveva maturato il profondo convincimento della centralità della donna in quanto madre e del suo ruolo fondamentale nella formazione degli individui e della società. Il Villaggio sorse nell’immediato dopoguerra, quando avvenne il doloroso ritorno dalla Germania dei reduci dalle prigioni e dai campi di concentramento. Per loro, e in particolare per le donne superstiti accompagnate dai loro bambini, vennero messe a disposizione dall’allora sindaco, Avv. Antonio Greppi, sei baracche. Queste vennero installate all’interno dell’ampio giardino di Palazzo Sormani dal quale, in previsione dei bombardamenti, era stato precedentemente sgombrato il Museo di Milano. E’ interessante ricordare come la sistemazione delle baracche sia stata fatta con scrupoloso rispetto di ogni pianta del giardino per affermare lo stretto legame tra il rispetto dell’individuo e quello della natura. Per la salubrità e la vicinanza agli Istituti Ospedalieri, l’ampio giardino si prestava all’accoglienza di persone bisognose. L’inaugurazione del Villaggio avvenne il 12 ottobre 1945 con il matrimonio celebrato nella Cappella stessa del Palazzo di una delle reduci sposatasi con un giovane marinaio da cui aveva avuto un bambino che venne battezzato lo giorno stesso. 19 Giornata FAI di Primavera 2012 Sin dall’inizio fu chiara la finalità umana e sociale del Villaggio, cioè l’accoglienza delle madri abbandonate, affinché queste non venissero separate dai loro figli. Rispetto ad altre istituzioni assistenziali del tempo, nel Villaggio non vi erano condizioni prestabilite per l’accettazione e vi erano accolte madri bisognose di assistenza, senza distinzione tra madri legittime (come donne profughe, sfrattate, con marito in carcere o disoccupato, vedove, abbandonate, convalescenti, dimesse dalla clinica dopo il parto) e madri illegittime (giovani cacciate dalla famiglia, abbandonate, in attesa di regolarizzare la situazione con il marito). Grazie alla sua buona organizzazione, il Villaggio poté accogliere eccezionalmente anche bimbi senza madre e qualche caso di non maternità, come quello di tre ragazze profughe forestiere. O.N.M.I. (Opera Nazionale Maternità e Infanzia), sciolta nel 1975, e gli Istituti Provinciali di Maternità. L’ O.N.M.I. si occupava della gestante e del figlio “legittimo”, mentre gli Istituti Provinciali prendevano in carica il figlio “illegittimo”. Il ricovero non aveva una scadenza prestabilita per favorire nelle madri fiducia nel futuro, un allattamento sereno e la ricerca di una adeguata sistemazione dopo la dismissione dal Villaggio. L’assistenza era il più possibile individualizzata, particolarmente seguita dal punto di vista igienico-sanitario (frequenti le visite mediche eseguite da specialisti) e si protraeva anche dopo l’uscita dal Villaggio. Le “casette” ospitate all’interno del giardino restituivano un caldo ambiente familiare. Erano tutte illuminate con luce elettrica e dotate di un gabinetto e di un lavabo con acqua corrente ogni quattro camere. Al piano terra del Palazzo, nelle sale oggi utilizzate per la lettura periodici, era collocato l’Ufficio di Elda Scarzella e il guardaroba. La vita all’interno del Villaggio era organizzata secondo il principio della solidarietà familiare. La giornata era scandita dai tempi dell’allattamento e da quello dei lavori di cucito nel laboratorio. Inoltre erano mantenuti ragionevoli contatti con l’esterno ed erano previste uscite settimanali e anche gite in campagna. L’attuale sede del Villaggio della Madre e del Fanciullo, in Via Francesco Goya n. 60, al QT8 (Quartiere Sperimentale dell’Ottava Triennale), è stata inaugurata il 12 ottobre 1957, su un’area di 4.000 mq. La sua struttura architettonica, opera di Alberto Scarzella, figlio di Elda, figura su pubblicazioni di architettura italiane ed estere. 20 3. LA SALA DEL GRECHETTO Lo scalone d’onore del Palazzo dà accesso alla cosiddetta Sala del Grechetto. Essa contiene 23 tele appartenenti a un ciclo pittorico raffigurante il mito di Orfeo, attribuito in passato al pittore genovese Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto. La data di esecuzione delle tele è da situare intorno al 1650/1670. Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto (1610-1665) Giovanni Benedetto Castiglione nacque a Genova. Probabilmente giovanissimo entrò nella bottega del pittore Giovanni Battista Paggi. Fu attento alle opere di A. Van Dyck a Genova e di N. Poussin a Roma, dove nel 1632 si trasferì e divenne un artista apprezzato. Nel 1634 venne ammesso all’Accademia di San Luca, dove poté entrare in contatto con artisti di notevole importanza. La sua bottega si specializzò in nature morte e rappresentazioni di carattere mitologico e biblico-pastorale, sempre affollate di animali delle più svariate specie ritratte con realismo. Fu inoltre un incisore molto dotato, ispirato a Rembrandt. Il soprannome gli venne dato per la bizzarria dell'abbigliamento. Studi recenti e approfonditi hanno attribuito il ciclo ad un anonimo artista di estrazione nordica, definito con il nome convenzionale di “Pittore di Palazzo Lonati Verri”. I dipinti provengono infatti dal palazzo della famiglia milanese Verri (un tempo in via Montenapoleone), in cui vennero collocati dopo il 1759, anno di acquisto del Palazzo Lonati da parte dei Verri. Le opere vennero nuovamente trasferite nell’attuale sede all'inizio del Novecento a cura dell'architetto Achille Majnoni (1855-1935), con l'intento di riprodurne l'originale sequenza narrativa. Questa è documentata da un dipinto (oggi conservato in Sala Putti) dell'artista cremonese Francesco Colombi Borde (1846-1905), eseguito negli ultimi decenni del secolo scorso. Esso riproduce la sala di Palazzo Verri in cui le tele erano collocate e dove si riunivano i fratelli Verri e i loro giovani amici dell’Accademia dei Pugni. Francesco Colombi Borde, Palazzo Lonati Verri Fine ‘800 Palazzo Sormani, Sala Putti 21 Giornata FAI di Primavera 2012 La struttura architettonica della nuova sala non ha permesso di attenersi in modo fedele alla disposizione originaria, cosicché la tela raffigurante Orfeo che incanta gli animali, fulcro della scena, oggi si trova relegata in un angolo e ha dunque perduto il suo valore originale all’interno del dipinto. Dello stesso ciclo fa parte una grande tela con Fauno e Baccanti, conservata nella Sala Putti di Palazzo Sormani, come pure altri brani pittorici conservati oggi nei Civici Musei del Castello Sforzesco. Sulle tele l'autore riproduce un paesaggio fantastico animato da una grande varietà di specie del regno animale ritratte con naturalismo. L’atmosfera che se ne ricava è quella di un serraglio barocco. Nella composizione sono affiancati, come in un ideale compendio di zoologia, animali comuni a rari esemplari della fauna esotica, come il quetzal, uccello del Guatemala (America Centrale). Fauno e baccanti, Palazzo Sormani, Sala Putti L'autore del ciclo Lonati Verri alterna brani di grande realismo, degni di un illustratore scientifico, ad elementi meno fedeli al dato naturale (il pinguino e il felino di fianco al cinghiale e ai gallinacei) o addirittura desunti dalla fantasia dei bestiari medievali, come è il caso dell'unicorno. 2 1. Asino, mucca, bufalo, fenicotteri 2. Bucero, pellicano, spatola, airone 3. Cerbiatto, gallinacei 1 3 Serragli I serragli (zoo ante litteram) vennero creati nei secoli XVI e XVII nei parchi e nei giardini reali grazie all’arrivo in Europa di animali sconosciuti in seguito alla scoperta di nuovi continenti. Il primo scopo del serraglio non fu quello di studiare la fauna esotica, ma piuttosto quello di esprimere potere e ricchezza. Il famoso serraglio voluto da Luigi XIV per la reggia di Versailles (1664) ospitava animali esotici ed era destinato ad esaltare l’onnipotenza del re e a stupire i suoi ospiti di riguardo. Esso favorì tuttavia anche gli interessi e gli studi scientifici (anatomia comparata degli animali). Il serraglio divenne meta di naturalisti, ma anche di pittori, come ad esempio a Versailles il pittore fiammingo Pieter Boel. 22 Giornata FAI di Primavera 2012 La stesura pittorica, ricca di innumerevoli sfumature di colore ottenute con raffinate velature, rende più evidente l'effetto mimetico. L’alternanza di elementi tratti dalla realtà e di immaginario si riscontra anche nei trattati di scienze naturali e nelle collezioni di età barocca (Wunderkammern), nei quali l'interesse per l'osservazione scientifica si accompagna al gusto per il raro ed il meraviglioso. Ricordiamo che a Milano l'enciclopedico canonico Manfredo Settala aveva creato un museo ricco di esemplari della fauna e della flora provenienti da ogni parte del mondo. 1 2 Wunderkammern Dal tardo Cinquecento e per tutto il Seicento si diffuse il fenomeno collezionistico delle Wunderkammern, o camere delle meraviglie, raccolte naturali e artificiali sistemate in stanze o ali di palazzi allo scopo di appagare la curiosità dei ricchi proprietari e dei loro ospiti. Manfredo Settala (1600-1680) Manfredo Settala, collezionista e scienziato, amico del cardinale Federico Borromeo, aveva a Milano una raccolta di esemplari animali e vegetali che provenivano da tutto il mondo. La Galleria di Manfredo Settala nella incisione di Cesare Fiori 3 1. Cavallo 2. Daino, gallina 3. Leone, leopardo, tacchino, faraona 23 Giornata FAI di Primavera 2012 1 2 1. Natura morta Palazzo Sormani, Sala Putti 2. Cervo 3. Fenicotero, pipistrello, rondini, anatre Già Arcore, Villa Casati, vendita Christie’s, 16 maggio 1986 4. Gufo, barbagianni, pavoncella combattente, uccelli del paradiso, scimmie Già Arcore, Villa Casati, vendita Christie’s, 16 maggio 1986 L'attribuzione tradizionale al Grechetto oggi è considerata priva di credibilità data la distanza stilistica dal maestro genovese; suggerisce però di rintracciare parentele stilistiche in quel territorio geografico, che nella prima metà del Seicento era all'avanguardia nella produzione animalistica. Ancora più puntuale risulta il confronto con la produzione di un artista fiammingo attivo a Genova in quel tempo, Jan Roos, celebrato dalle fonti locali come uno dei primi specialisti di natura morta, genere prediletto nelle terre di Fiandra. 3 4 Il mito di Orfeo Mitico cantore e poeta, Orfeo viene solitamente ritratto come un giovane dal capo coronato d’alloro che suona la cetra, o altro strumento a corda, circondato da numerosi animali. Secondo il mito, al suono della sua voce melodiosa e della sua musica si placavano gli uomini e persino gli animali feroci. Narra la leggenda che Orfeo scese agli Inferi per cercare la giovane sposa Euridice morta a causa del morso di un serpente. Con il suo canto straordinario egli riuscì a commuovere le divinità infernali che lasciarono andare la fanciulla a patto che Orfeo non la guardasse prima di essere giunto alla luce del sole. Ormai prossimo alla meta, Orfeo, non resistendo alla tentazione di guardarla, si volse verso la sposa. All’improvviso Euridice scomparve tra le nebbie infernali e Orfeo fece ritorno da solo sulla terra. Orfeo, secondo il mito, venne ucciso dalle Baccanti, gelose della fedeltà del cantore ad Euridice. Nel Seicento e nel Settecento Orfeo fu tema frequente in pittura (v. Brueghel) e anche in composizioni musicali (Monteverdi, Gluck) Cerchia di Jan Brueghel il Vecchio, Orfeo,1690-1700, Roma, Galleria Borghese 24 4. IL CENTRO STENDHALIANO La Biblioteca Sormani ospita al suo interno il Centro Stendhaliano che riveste un’importanza internazionale ed è particolarmente prezioso e significativo per la nostra città. Milano si può considerare, infatti, città stendhaliana per eccellenza, dal momento che nel celebre epitaffio "Arrigo Beyle milanese" lo scrittore stesso, nato in Francia, decise di fregiarsi orgogliosamente della cittadinanza meneghina. Inaugurato nel 1980, il Centro custodisce due importanti raccolte: il Fondo Stendhaliano Bucci e la Raccolta Stendhaliana Pincherle. I due fondi, integrati da una ricca bibliografia aggiornata nel corso degli anni grazie ad un'attenta politica di acquisizioni ed oggi arricchiti anche da alcuni esemplari appartenuti a Stendhal, permettono a coloro che frequentano il Centro di trovarvi quanto indispensabile per l'approfondimento e le realizzazione dei loro studi. La massiccia presenza di note autografe di Stendhal sui volumi della sua biblioteca italiana e una devota amicizia hanno fatto sì che i libri dello scrittore, rimasti nello Stato Pontificio al momento della sua morte (1842), non andassero dispersi, ma fossero conservati proprio a Civitavecchia, dove Stendhal fu console di Francia, prima dal fedele amico Donato Bucci (morto nel 1870), poi dal figlio di costui. Nel 1970 la Banca Commerciale Italiana, presieduta dal colto banchiere Raffaele Mattioli, trattò l’acquisto dell’intera raccolta che venne donata alla città di Milano. Libri, opuscoli, fascicoli di riviste, lettere, documenti, manoscritti, alcune stampe di Civitavecchia, un ritratto ad olio di Stendhal eseguito nel 1835 a Roma dal pittore Jean-Louis Ducis, un bastone da passeggio raffigurato nel dipinto con il suo legittimo proprietario, un piccolo ritratto a pastello su carta di Donato Bucci (1863), un barattolo di legno di pero completamente postillato anche all'interno - unica testimonianza sopravvissuta dell'irrefrenabile impulso di Stendhal di scrivere ovunque -, alcuni oggetti di cancelleria e due librerie entravano così a far parte della storia della Biblioteca Comunale. A completamento di questo fondo pervenne negli stessi anni un'altra donazione, quella del triestino Gino Pincherle (1905-1983) che volle esaudire le ultime volontà del fratello Bruno (1903-1968), medico pediatra, bibliofilo, "dilettante" stendhaliano ed ironico disegnatore. Jean-Louis Ducis, Stendhal, olio, 1835 Stendhal (1783-1842) Stendhal, nome d’arte di Henri Beyle, nacque a Grenoble. Arruolatosi nell’esercito napoleonico, partecipò alla campagna militare in Italia e nel 1800 fece il suo ingresso a Milano. Amante dell’arte e appassionato dell’Italia, fu un brillante letterato (Le rouge et le noir, 1830; La Chartreuse de Parme, 1839) e attento scrittore di viaggi (Mémoires d'un touriste, 1838). Nel 1817 pubblicò il diario di viaggio Roma, Napoli, Firenze, firmato per la prima volta con lo pseudonimo di Stendhal. Scrisse anche una Storia della pittura in Italia. L’Italia fu la sua patria spirituale, la terra dove tutti i suoi ideali di amore, musica e arte trovarono fondamento. Dopo la caduta di Napoleone, visse in Italia a Civitavecchia come console francese nello Stato Pontificio. Raffaele Mattioli Raffaele Mattioli (Vasto 1895 - Roma 1973) Banchiere e bibliofilo, anzi “uomo di lettere e cifre”, secondo la felice definizione del suo maestro Benedetto Croce, Mattioli fu una delle personalità di maggior rilievo nel dopoguerra italiano, preziosa per la rinascita della città di Milano. Attraverso la Banca Commerciale Italiana, di cui fu presidente, Mattioli svolse nel dopoguerra un’intensa opera di mecenatismo culturale finanziando riviste, istituzioni, case editrici e sostenendo scrittori. La Raccolta è composta da circa 3000 volumi e da una vasta bibliografia sull'autore. 25 Giornata FAI di Primavera 2012 SALA MONTALE Il Fondo Montale è costituito da oltre 3000 libri e fascicoli di periodici appartenuti a Montale. Erano conservati in via Bigli, nella casa in cui il poeta abitò durante gli ultimi anni della sua vita. Essi, che in molti casi riportano le dediche autografe dei più grandi rappresentanti della letteratura del ‘900, rappresentano un utile strumento per lo studio e l’approfondimento del pensiero e dell’attività letteraria del poeta. Nel 1982 gli eredi del poeta ne fecero dono alla Biblioteca Comunale, luogo non solo caro alla cultura milanese, ma noto allo stesso scrittore che, tra 1960 e 1970, aveva fatto parte della Commissione consultiva dell’Istituto. Sala Montale DANTEUM Nella Sala Putti è conservata l’opera di maggior formato della Biblioteca, la Divina Commedia di Dante Alighieri nell’edizione illustrata da Amos Nattini, stampata in tre volumi corrispondenti alle tre cantiche, contenenti tavole dipinte a mano dall’Istituto Nazionale Dantesco di Milano dal 1931 al 1941. Eugenio Montale (1896-1981) Nacque a Genova da agiata famiglia borghese. Per problemi di cattiva salute compì studi irregolari ed ebbe un’adolescenza difficile e distaccata dalla normale vita borghese. Appassionato di musica e canto, fu chiamato alle armi nel 1917. La sua prima pubblicazione, un gruppo di versi dal titolo Accordi, apparve sulla rivista Primo Tempo nel 1922, e il suo primo libro, Ossi di Seppia, venne pubblicato nel 1925. Nello stesso anno firmò il manifesto antifascista di Benedetto Croce. Raggiunse l’indipendenza economica nel ’27, dopo aver ottenuto un impiego a Firenze presso l’editore Bemporad. La sua situazione migliorò ancora quando nel ’29 fu nominato direttore del Gabinetto di Vieusseux di Firenze e fu uno degli animatori della vivace vita intellettuale fiorentina. Conobbe Drusilla Tanzi, che fu sua compagna, soprannominata da lui “Mosca”; mantenne stretti contatti con gli ambienti della cultura antifascista e a causa del suo rifiuto di iscriversi al partito fu esonerato nel ’38 dalla direzione del Vieusseux. La sua vita cambiò profondamente quando nel 1948 fu assunto come giornalista al Corriere della Sera dove pubblicò anche numerosi articoli di attualità e racconti. Il 10 dicembre 1975 ricevette il premio Nobel per la Letteratura. Gran parte della vecchiaia fu da lui trascorsa a Milano assistito dalla fedele governante Gina Tiossi che donò la foto che ritrae il poeta e il dipinto raffigurante le Cinque Terre. La legatura è pregiata in cuoio e oro. Questo è uno degli esemplari, il n°587, stampato per Angelo Valdameri. L’opera e forse anche il mobile di alta qualità, il cosiddetto Danteum, furono realizzati su sottoscrizione. Questo esemplare fu tra i pochi libri di pregio messi in salvo in sotterranei prima del bombardamento dell’agosto 1943 che distrusse tutta la Biblioteca Comunale che aveva allora sede nel Castello Sforzesco. L’illustratore Amos Nattini (1892-1985), genovese e milanese, fu anche illustratore di opere di Gabriele D’Annunzio. Il suo successo negli anni ’20 e ’30 va considerato all’interno della cultura ufficiale che magnificava le opere ritenute più rappresentative della “nazionalità” italiana. L’opera si trova oggi nel catalogo nazionale on-line della Biblioteca. Danteum 26 5. IL PATRIMONIO DELLA BIBLIOTECA (dal sito www.comune.milano.it/biblioteche) Il patrimonio di pubblicazioni, italiane e straniere, possedute dalla Biblioteca comprende: Libri 665.000 libri, con incremento annuo di circa 6.000 titoli tra le più importanti novità editoriali di narrativa e saggistica. I rilevanti fondi storici, frutto del mecenatismo di enti, istituzioni e privati cittadini legati alla storia e alla cultura della città, connotano la raccolta libraria in senso prevalentemente storico-umanistico. Periodici 20.125 testate di quotidiani e riviste internazionali, tra cui anche numerosi periodici storici di interesse locale. Gli abbonamenti in corso sono circa 2.000, tra cui 50 a quotidiani. Alcune testate sono disponibili in versione microfilmata. La sezione raccoglie inoltre materiale di carattere giuridico-legislativo: testi di legge, atti parlamentari, sentenze, contratti di lavoro, etc. Parte dei documenti è conservata presso il Deposito Esterno di via Quaranta 43, a cui si accede per appuntamento. Audiovisivi 56.372 fra dvd, cd e precedenti tipologie di supporti (a partire dai dischi in vinile a 78 giri), con incremento annuo di circa 3.000 titoli. La fonoteca raccoglie opere di tutti i generi musicali, opere teatrali, antologie di brani letterari, corsi di lingue, discorsi di uomini politici. La videoteca mette a disposizione per la consultazione in sede opere cinematografiche (dal muto ai nostri giorni), rappresentazioni teatrali, balletti, opere liriche, programmi di attualità e informazione, documentari, corsi di lingue. Grazie a un contributo regionale e alla collaborazione di Arcipelago Musica (www.arcipelagomusica.it), la Biblioteca è impegnata dal 2006 in un progetto di recupero e valorizzazione del patrimonio di un fondo di più di mille dischi in vinile a 78 giri, acquisiti negli anni ‘70. Si tratta di una ricca antologia di musica classica, folk e jazz, al cui interno è stato identificato un primo gruppo di LP, rappresentativi della musica dei primi decenni del XX secolo (da Glenn Miller alle Four King Sisters), che sono stati digitalizzati in formato mp3. È possibile ascoltare tali brani dalle postazioni informatiche della biblioteca dotate di cuffie, a partire dal catalogo audiovisivi, seguendo il percorso Liste>Titoli Speciali>78 Digitalizzati Risorse elettroniche 650 tra cd-rom di opere generali quali enciclopedie, repertori di periodici, raccolte di leggi, bibliografie e cataloghi di biblioteche; opere monografiche di varie discipline; banche dati online. 27 Giornata FAI di Primavera 2012 Fondi storici e manoscritti La Biblioteca conserva oltre 18.000 libri antichi, tra i quali una raccolta di Cinquecentine e una cospicua rappresentanza di edizioni del Seicento e del Settecento. Tra le pubblicazioni dell’Ottocento meritano una segnalazione l’importante raccolta di periodici milanesi e il fondo leopardiano, con rarissime edizioni di opere giovanili del poeta. Le collezioni storiche del Novecento comprendono 5.650 edizioni originali di autori del secolo scorso, la saggistica più autorevole e le più notevoli riviste letterarie, artistiche e di attualità dell’epoca, fonti primarie per lo studio delle avanguardie e dell’evoluzione della storia del costume, nonché 3.000 libri della biblioteca privata di Eugenio Montale. Significativi il fondo storico di narrativa per l’infanzia, la collezione di libri d’artista e di edizioni a tiratura limitata con originali di grafica, il fondo di musica a stampa e di libretti d’opera (oltre 15.000 partiture e spartiti musicali), la collezione di dischi in vinile e una serie di materiali relativi a cinema e spettacolo. Circa 22.000 documenti sono conservati nella sezione Manoscritti, si tratta di archivi di alcuni personaggi del mondo della cultura milanese del Novecento tra cui Paolo Buzzi, Giuseppe Cartella Gelardi, Luigi Motta, Antonio Curti, Francesco Cazzamini Mussi e Roberto Aloi. Di particolare rilevanza i fondi librari e documentari delle Raccolte Stendhaliane Bucci e Pincherle (circa 3.900 volumi di cui 987 appartenuti a Stendhal). Questi archivi sono caratterizzati dalla presenza di testi letterari e carteggi, sia in versione manoscritta sia in forma di dattiloscritto, documenti personali e ricordi, ritagli di giornale, fascicoli di riviste e materiale iconografico, mobili e oggetti. 28 6. IL PERCORSO DELLA VISITA Il percorso presenterà il Palazzo sotto due aspetti, quello storico, architettonico-artistico, e quello culturale relativo al patrimonio della biblioteca e ai suoi servizi. 1. Giardino breve presentazione GFP ringraziamento a direzione Biblioteca finalità FAI, invito a iscrizione Dove ci troviamo. Antica Porta Tosa. Cerchia navigli. Giardino all’inglese del Pollack. Estensione originaria. Statua settecentesca e Arcadia. Facciata Alfieri. Torre libraria Arrighetti. Villaggio Scarzella. Scultura Fabbri. 2. Portico (audiovisivi), cortile Funzione attuale portico (anni ’80). Funzione originaria. Affaccio su cortile d’onore. Mostrare piantina P.T. e confini. Datazione Palazzo. Vicende costruttive del Palazzo nel ‘600: intervento Ricchino. I Monti. Cortile 3. Scalone (baldacchino). Arazzi. 4. Sala Grechetto Funzione attuale. Storia collocazione originaria e trasferimento. Attribuzione e datazione. Descrizione soggetto Orfeo. Osservazione alcuni particolari. Inquadramento nella cultura scientifica del tempo. 5. Centro Stendhaliano PIANO TERRA Storia della raccolta. Suo valore e significato per Milano. Indicazione ritratti (Stendhal e Bucci) e oggetti. Ambiente e soffitto. Dare dépliant. 6. Sala Putti Notare soffitto rococò e mobili. Frammenti Grechetto. Danteum. Affaccio da balcone su Verziere. 7. Sala Montale Perché. Valore libri. Dediche 8. Scala a chiocciola e Atrio Scala in granito di Baveno. Sguardo al cortile. Lapide Castaldo. Periodo più antico dell’edificio. Cenno ai Medici di Marignano. Ricapitolazione famiglie proprietarie: Castaldo, Medici, Monti, Andreani, Sormani, Verri. Invito a guardare facciata Croce e sue caratteristiche. Ricapitolazione architetti principali: Ricchino, Croce, Alfieri, Pollack, Arrighetti. Presentazione patrimonio Biblioteca e sua importanza PRIMO PIANO 29 7. BIBLIOGRAFIA E SITI Cinque anni di vita del villaggio della madre e del fanciullo, Milano 1950 G.Bellini, La Biblioteca Comunale di Milano. Palazzo Sormani, Milano 1961 M.Ronchi, La caccia. Terracotta di Agenore Fabbri, in “Città di Milano”, aprile-maggio 1964 Milano nel Settecento e le vedute architettoniche disegnate e incise da Marc’Antonio Dal Re, a cura di Adele Mazzotta Buratti, Edizioni Il Polifilo, Milano 1976 R. Middleton, D. Watkin, Architettura dell’Ottocento, Electa, 1977. A. Bellini, Benedetto Alfieri, Electa, Milano,1978 Milano, Guida d'Italia, Touring Club Italiano,1985 G.C. Bascapè, I palazzi della vecchia Milano, Hoepli Editore, Milano, 1986 A. Morandotti, Pittore di Palazzo Lonati-Verri, in La natura morta in Italia, a cura di F. Porzio, Electa, Milano, 1989 Carla Bodino (a cura di), Arrigo Arrighetti architetto, Archivio Storico Civico di Milano, 1990 Le stanze del Cardinale Monti, catalogo mostra, Leonardo Arte, 1994. I. Giustina, Un inedito progetto di Francesco Maria Ricchino e alcune precisazioni sulle vicende di Palazzo Monti Sormani a Milano, in “Palladio. Rivista di storia dell’architettura e restauro”, 16,1995 Enciclopedia di Milano - Franco Maria Ricci, Milano, 1998 D. Watkin, Storia dell'architettura occidentale, Zanichelli, seconda edizione, Bologna,1999 Silvio Leydi, Sub umbra imperialis aquilae: immagini del potere e consenso politico nella Milano di Carlo V, Firenze, Olschki, 1999 Giuseppe Dicorato, Paolo Andreani: aeronauta, esploratore, scienziato nella Milano dei Lumi:1763-1823, Milano, 2000 Comune di Milano, Politecnico di Milano, DIIAR, Università IUAV di Venezia, DIRCE, Milano. Il fotopiano digitale in CD-Rom,Venezia 2004 Giardino della Guastalla: l’antica magia delle piante, Milano, Comune, Settore parchi e giardini, Servizio di vigilanza ecologica volontaria, Consiglio di zona 1, 2005. Milano. Le grandi famiglie. Nobiltà e borghesia. Le radici del carattere milanese e lombardo, a cura di Roberta Coldani, Ed. Celip, Milano, 2008 30 Giornata FAI di Primavera 2012 www.comune.milano.it/biblioteche www.digitami.it/stendhal www.treccani.it www.architettilombardia.com www.procura.milano.giustizia.it www.navigli.net www.storiadimilano.it www.archiviodistatomilano.it Hanno collaborato alla stesura del testo: Prof. Paola Rapelli con Sebastiano Airaghi, Laura Caramia, Silvia Delvecchio, Bianca Fagetti, Simone Pregnolato, Valentina Rovere, Serena Toniolo Si ringrazia il Signor Mario Rovere, consulente bibliotecario della Biblioteca Sormani, per la documentazione fornita e per il prezioso contributo alla conoscenza della storia del Palazzo Foto copertina: Antonio Mauri Redazione: Anna De Lellis Broggi, Delegazione FAI Milano Milano, febbraio 2012 31