FACOLTA’ DI PSICOLOGIA
Corso di Laurea: Scienze Psicologiche
Indirizzo: Analisi e intervento psicologico per l’età adulta
LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA:
promozione, prevenzione e psicoterapia
Relatore:
Chiar.mo Prof. Mario Fulcheri
Laureando:
Conti Giorgio
A. A. 2006/2007
La sola cosa di cui si è certi
a proposito della natura umana,
è che essa cambia
Oscar Wilde (Aforismi)
Alla mia famiglia che mi ha cresciuto e
mi ha permesso di proseguire gli studi.
A tutti i docenti e collaboratori, che mi
hanno sollecitato con nozioni e la loro
sagacia.
Ai miei colleghi che mi accompagnano
con la loro preziosa e sempre nuova
compagnia.
Ai miei amici, per la loro presenza che
non risente delle distanze.
INDICE
CONTENUTI
1
2
3
4
5
6
Introduzione
1
Principi etici nell‟intervento psicologico
2
Caratteristiche degli interventi
2.1
Obbiettivi: cosa stiamo cercando di modificare?
2.2
Processi: come produciamo dei cambiamenti?
2.3
Tempi: quando intervenire?
Promozione e prevenzione
1
L‟aumento dell‟incidenza di alcuni problemi
Sieropositività e AIDS
Depressione maggiore
Violenza sulle donne
Ridurre l’incidenza di questi problemi
2
Concetti chiave in promozione e prevenzione
Salute e benessere
Fattori di rischio e fattori protettivi
3
Approcci alla prevenzione
Esempi di programmi di prevenzione e promozione
1
Promozione della salute
Dieta ed esercizio fisico
Gestione dello stress
Ottimismo, autoregolazione, autoefficacia
Promozione delle competenze sociali
Programmi multi-componenti
2
Prevenzione di psicopatologie e disturbi
Interventi durante la gestazione
La prevenzione dell’abuso di sostanze
Prevenzione di aggressività, violenza e delinquenza
Prevenzione del DPTS nelle vittime di violenza
sessuale
Perdita del posto di lavoro e disoccupazione
Prevenzione della sieropositività
Far fronte al divorzio
Prevenzione della depressione
La psicoterapia come trattamento
Sommario
Conclusioni
Bibliografia
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
1 INTRODUZIONE
La
presente
trattazione
sulla
prevenzione
psicologica
fa
riferimento
al
testo
INTROCUCTION TO CLINICAL PSYCHOLOGY, di B. E. Compas, I. H. Gotlib, edito dalla Mc
Graw Hill, 2002. Prima di introdurre il concetto di prevenzione ed alcuni esempi di applicazioni,
prenderò in considerazione il contesto in cui si sviluppa la psicologia clinica come strumento di
intervento. È da questi indispensabili assunti che prenderà corpo la trattazione successiva. Vedremo
allora da cosa nasce l‟esigenza della prevenzione, come si rende operativa, da quali altre possibilità
si differenzia.
L‟espressione „psicologia clinica‟ accosta due termini dal significato diverso, definendo un
concetto nuovo ed articolato. La parola „psicologia‟ deriva dal greco , psiché, dal significato
di alito, respiro, soffio che vivifica, in relazione al segno e condizione di vita, successivamente
tradotto in latino nel più generale significato di anima, spirito (Bini, Bazzi, 1954). Fa la sua
comparsa nella lingua moderna nel 1590 ad opera del filosofo R. Gokel (1547-1628) per indicare lo
studio delle facoltà superiori dell‟uomo e della sua mente. Semplificando, oggi il termine indica la
scienza che studia la condotta ed i processi mentali dell‟uomo, manifesti e latenti. Il termine
„clinica‟ invece viene dal greco , cliné, che significa letto, e che nell‟etimologia della parola
sta ad indicare la persona che visita il malato allettato (Fulcheri, 2005). Il termine oltre ad una
disciplina indica anche un metodo, quello clinico appunto, che viene mutuato dal campo della
medicina ed è introdotto ed utilizzato nell‟ambito della psicologia nel 1896. Artefice di questa
disciplina è lo psicologo americano Witmer, che la definisce per primo all‟interno di un articolo
pubblicato dall‟American Psychological Association. Viene quindi ritenuto il fondatore ufficiale
della Psicologia Clinica. In questa nuova branca della scienza psicologica Witmer intende
introdurre il metodo clinico nella pratica psicologica al fine di istituire un servizio ambulatoriale
pubblico, capace di sintetizzare un momento operativo e uno di ricerca. La psicologia clinica
sintetizza aspetti disciplinari propri della medicina e della psicologia, campi che differiscono
sostanzialmente per aspetti metodologici ed epistemiologici e che rendono non sempre facile una
sintesi ed una definizione univoca. Ad esempio ricordiamo che la medicina fa parte delle scienze
positive, in cui si assume una visione lineare e deterministica degli eventi. Ciò significa che le
stesse cause comporteranno sempre i medesimi effetti. Proprio questo principio rende gli
esperimenti scientifici attendibili e replicabili. La psicologia invece fa parte delle scienze umane.
Per la natura complessa e non manifesta dei fenomeni che indaga, non può beneficiare del
determinismo delle scienze positive. Si parla in questo caso di prevedibilità, ovvero della
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probabilità relativa che si presenti un evento saliente, applicando le regole della statistica
inferenziale. Alcuni di questi aspetti verranno ripresi e trattati successivamente.
Per rispondere alla domanda iniziale „Cos‟è la psicologia clinica‟ prendiamo a riferimento
una definizione: è “l‟attività praticata da colui che si china al letto del paziente e mette a
disposizione competenze tecniche e qualità umane di fronte ai problemi del malato (vengono
sorpassate le nette distinzioni teoriche tra l‟approccio organicistico e psicologico al concetto di
malattia, tenendo come riferimento che l‟esperienza della sofferenza unisce in modo indissolubile
aspetti biologici e istanze mentali). Nell‟ambito clinico si assolvono insieme lo scopo scientifico ed
il fine antropologico, inscindibili e caratterizzanti le professioni della cura. Colui che esercita la
clinica ha dunque come azione intenzionale e finalizzata quella di curare” (Fulcheri, 2005). Inoltre
la psicologia clinica costituisce uno specifico settore scientifico disciplinare all‟interno del
raggruppamento della psicologia (M-PSI), contraddistinto dalla sigla M-PSI/08. Si riporta quanto
indicato nel D.M. del 04/10/2000: “il settore comprende le competenze relative ai metodi di studio e
alle tecniche di intervento che, nei diversi modelli operativi, caratterizzano le applicazioni cliniche
della psicologia a differenti ambiti, persone gruppi sistemi, per la soluzione dei loro problemi. Nel
campo della salute e sanitario, del disagio psicologico, degli aspetti psicologici delle psicopatologie,
dette competenze, estese alla psicofisiologia e alla neuropsicologia clinica, sono volte all‟analisi e
alla soluzione di problemi tramite interventi di valutazione, prevenzione, riabilitazione psicologica e
psicoterapia”. Possiamo quindi notare che la psicologia clinica occupa un‟area di confine tra varie
discipline, congiunge lo studio della patologia con la terapia per assolvere una precisa finalità
operativa: risolvere lo stato critico e ripristinare la funzionalità normale, tanto su singoli individui
che su gruppi (Drazen Grmek, 1998).
Il metodo clinico utilizza il rapporto interpersonale come strumento di conoscenza. Per
questo non raggiunge i rigorosi criteri di obbiettività del metodo sperimentale, in quanto considera
l‟individuo nella sua globalità e all‟interno del suo ambiente naturale, piuttosto che nelle condizioni
artificiali del laboratorio. A differenza del metodo scientifico permette però la raccolta di dati ed
informazioni altrimenti impossibili da ottenere. Supera l‟approccio statistico in quanto si occupa
principalmente dello studio di singoli casi e di singoli gruppi operando generalizzazioni a partire da
questi. Questioni aperte di ordine teorico vogliono che la quantificazione e la verifica rappresentino
un impedimento e una limitazione all‟approccio del fenomeno studiato (Galimberti,1992). Ciò non
toglie l‟opportunità di utilizzare, quando necessario a fini di ricerca, metodi statistici e tecniche
psicometriche. Una differenziazione rispetto all‟applicazione clinica in senso generale, è che nella
realtà medico-sanitaria la domanda può essere validata ed accettata dal medico a partire dalla
sintomatologia che il paziente presenta. Nell‟applicazione della psicologia clinica invece è la stessa
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domanda del paziente a costituire il sintomo. La domanda si iscrive storicamente in una relazione
passata e che si realizza attualmente entro il rapporto con lo psicologo stesso (Carli, 1987).
All‟interno di una disciplina scientifica sono di importanza centrale il ruolo della teoria e
della ricerca. Tutti gli interventi sono basati su un modello esaustivo del comportamento umano e
sul metodo scientifico applicato alla psicologia (Borkavec, 1997; Davison, 1997). Il collegamento
della psicologia con la scienza permette di regolare gli interventi, in modo da conferirgli requisiti
ben precisi. Tutto ciò che non è basato e conforme ad una teoria di riferimento e a dati emersi dalla
ricerca, nonché sottoposto ad una accurata verifica empirica dell‟effettiva efficacia, non può essere
compreso nella psicologia.
Condizione essenziale per condurre un intervento volto a „curare‟, è poter dare una
definizione di malattia. Più chiaramente sarà definito l‟insieme dei casi significativi, più facilmente
sarà possibile intervenire. Questa definizione in psicologia non è univoca e definitiva ma varia
all‟interno dei vari modelli teorici di riferimento. In risposta a tale necessità la psicologia, ai suoi
albori, si è interrogata proprio sulla patogenesi e successivamente sull‟eziologia dei disturbi
mentali. Un segno rappresentativo in tal senso è l‟approccio nosografico della psichiatrica
ottocentesca, in cui attraverso l‟autorità conferita alla medicina dai sui progressi, sulla base di un
forte modello anatomo-patologico, si tenta di approdare ad un nuovo campo e di operare
raggruppamenti e differenziazioni in un‟ottica operativa (Zilboorg, 2002). Anche se questo tentativo
rappresenta il culmine di un approccio antipsicologico, risponde ad una precisa opposizione al
periodo romantico e ad una necessità di conoscenza che animerà ancora tutta la successiva ricerca
psicologica. Infatti costituisce una tappa centrale per la psichiatria, ma anche un momento
importante e considerato all‟interno della storia della psicologia. Ma man mano che la psicologia
acquisterà autonomia, potrà raggiungere una propria identità, scostandosi dalle contingenze e dalle
contaminazioni degli altri settori. Occorre ricordare che l‟approccio descrittivo e nosografico, grazie
ai vantaggi che comporta, ma che in questa sede non tratteremo, è in vigore ancora oggi nel DSMIV-TR (A.P.A., 2000), strumento universalmente in uso dagli psichiatri e dagli psicologi.
La psicologia clinica inizia la sua attività nell‟ultimo decennio del 1800 dedicandosi alla
psicopatologia. Questa viene definita come lo studio sistematico delle esperienze, delle cognizioni e
dei comportamenti abnormi, dei prodotti di una mente alterata. Indaga pertanto il funzionamento
anormale dell‟attività psichica, nella prospettiva dello sviluppo psichico anziché delle modificazioni
organiche, mirando ad individuarne la cause specifiche (Fulcheri, 2005). Il sintomo è un segno che
indica un diverso modo di elaborare l‟esperienza, in un orizzonte dove normalità e patologia
esprimono due modi diversi di fare esperienza, pur rispondendo alle medesime leggi che governano
la vita psichica (Rossi Monti,2001). Ma lo sviluppo ed i progressi apportati dai vari orientamenti
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della psicologia nella comprensione dell‟eziologia, nonché la frequente evidenza della limitazione
di un approccio psichiatrico al solo contenimento dei sintomi, hanno consentito e stimolato
l‟ampliamento delle possibilità di intervento e il tentativo di anticipare, quando possibile,
l‟insorgenza stessa del disturbo.
Riassumendo la psicologia clinica nasce dall‟esigenza di offrire una cura alle problematicità
di origine non organica, un supporto nei casi di malattia organica. Nel prefiggersi questo obbiettivo
emerge e definisce una propria autonomia a partire da un modello medico. Raggiunge una propria
identità non senza superare difficoltà metodologiche e questioni inerenti l‟epistemiologia. Alcune
restano inevitabilmente aperte, ad esempio la questione mente/cervello, nella ricerca l‟applicabilità
del metodo inferenziale solo agli eventi ripetibili. Altre questioni trovano nella teoria una
definizione che nella pratica non costituisce una certezza, per esempio il metodo della verifica delle
ipotesi come probabilità logica che un evento accada, metodo che però conserva un margine di
errore, lo studio dei singoli casi, caratterizzante il metodo clinico, la necessità di una nosografia e di
un linguaggio condivisi, la mancanza di una definizione univoca di malattia, la necessità che
l‟interdisciplinarità operativa non sfoci in eclettismo. I notevoli traguardi raggiunti da questa
disciplina vengono continuamente ridefiniti proprio dall‟esigenza di rispondere a criteri di
scientificità e di mantenere un‟operatività sempre all‟altezza dei bisogni mutevoli. Importante è
anche la necessità di una costante ridefinizione di metodi e competenze, che mantengono ben chiara
l‟identità della disciplina, nonché quella dei suoi operatori, in un orizzonte in continua evoluzione.
La storia e lo sviluppo della psicologia clinica quindi devono costituire un valido riferimento nel
conservare un‟identità e al contempo possono essere spunto per conoscere le attuali risorse, gli
inevitabili limiti, al fine di orientare nel presente le possibili prospettive future.
Molto del lavoro condotto dagli psicologi clinici è basato sulla convinzione che le persone
possono modificare i loro comportamenti, i loro pensieri, la percezione delle emozioni. Questo
assunto che vuole gli individui capaci di migliorare se stessi e la qualità delle loro vite è
profondamente radicato nella cultura americana (Seligman, 1994). I metodi sviluppati dalla
psicologia clinica promuovono e facilitano il cambiamento incarnando la fiducia americana nella
connaturata malleabilità umana. Inoltre i metodi usati dagli psicologi nell‟occuparsi di salute
mentale offrono un‟importante alternativa ai metodi sviluppati dalla psichiatria ad orientamento
organicista, che si avvalgono di farmaci psicoattivi (Seligman). Lo psicologo clinico conduce le
persone al cambiamento attraverso l‟azione su fattori ambientali, e aiutando a modificare il modo di
pensare, a gestire l‟emotività, a modulare le relazioni sociali, oltre ad altre possibilità. Agisce quindi
su vari piani: ambientale, razionale, emotivo, interpersonale.
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
Si parla di intervento quando lo psicologo cerca di produrre cambiamento nel cliente.
Prenderemo in considerazione tre tipologie di intervento.
1. La psicologia clinica (e la psicologia in generale) recentemente ha posto molta attenzione sulla
“positive psychology”, che comprende promozione della salute e comportamenti volti al
benessere (Seligman & Csikszentmihalyi, 2000). Questo paradigma, a confronto con i seguenti,
solitamente interessa le popolazioni più ampie ed eterogenee. E‟ rappresentato, ad esempio, da
programmi che insegnano la gestione dello stress, l‟esercizio fisico e una sana alimentazione,
competenze sociali.
2. I programmi creati per prevenzione delle psicopatologie e dei disturbi hanno una tradizione più
lunga (Coie, Miller-Johnson, & Bagwell, 2000). Questi programmi solitamente riguardano
gruppi, definiti ed omogenei, ad elevato rischio di sviluppare disordini (per esempio bambini con
basso peso alla nascita, figli di madri depresse, vittime di aggressioni). Sono destinati a ridurre le
probabilità di conseguenze negative dovute all‟esposizione a fattori di rischio.
3. Il più comune degli interventi in psicologia è la psicoterapia, ovvero l‟insieme dei processi
utilizzati nel trattamento dei vari tipi di disordini in cui si è incorsi. Per trattare problemi come
depressione, ansia, disordini di personalità ed altri di natura psicologica, sono state sviluppate
differenti forme di psicoterapia.
Gli interventi proposti dalla psicologia clinica hanno un ampio spettro di obbiettivi e
assumono una varietà di forme differenti. L‟intervento psicologico è sviluppato al fine di modificare
il comportamento delle persone, ad esempio per ridurre il rischio di contrarre AIDS (Ross & Kelly,
2000), prevenire comportamenti violenti (Stoolmiller, Eddy, & Reid, 2000), promuovere modelli
salutari di alimentazione e di esercizio fisico (Perry, Story, & Lytle, 1997), migliorare
l‟apprendimento e le prestazioni scolastiche (Adelman, 1995), ridurre l‟abuso di alcool (Marlatt &
George, 1998), curare le vittime di traumi (Resnick, Acierno, Holmes, Kilpatrick, & Jager, 1999),
gestire problemi di attenzione e di aggressività nei bambini (Barkley, 1998), trattare la depressione
(Hollon, DeRubeis, & Evans, 1996), e prolungare la vita di malati gravi (Fawzy et al., 1993). Questi
sono solo alcuni esempi dell‟ampia gamma di interventi sviluppati all‟interno della clinica
psicologica e delle altre professioni inerenti la salute mentale.
A dispetto dell‟apparente diversità tra i vari tipi di intervento, questi hanno molti aspetti in
comune. Vi è anzitutto il ruolo della teoria e della ricerca – gli interventi sono basati su un modello
esaustivo del comportamento umano e sul metodo scientifico applicato alla psicologia (Borkovec,
1997; Davison, 1997). Il collegamento della psicologia con la scienza permette di regolare gli
interventi, in modo da conferirgli requisiti ben precisi e da poterli distinguere da una moltitudine di
altre attività che, piuttosto, sono guidate dalla cultura popolare e dal senso comune. La letteratura
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popolare abbonda di programmi per il miglioramento personale e per il superamento di gravi
problemi affettivi, e questi spesso sono classificati, a torto, come “psicologia”. Le librerie sono
piene di manuali di auto-aiuto, si possono trovare con facilità dei seminari per risolvere problemi
personali, le informazioni commerciali per attività per il miglioramento personale abbondano sugli
schermi degli aeroporti. Tutto ciò che non è basato e conforme ad una teoria di riferimento e a dati
emersi dalla ricerca, nonché sottoposto ad una accurata verifica empirica dell‟effettiva efficacia,
non può essere compreso nella psicologia. Anche se alcuni di questi ritrovati che possiamo definire
„popolari‟, alla fine si possono rivelare efficaci, la mancanza di dati sulla loro reale validità li rende
dubbi e problematici. I programmi di auto-miglioramento e di auto-aiuto non possono essere
considerati come efficaci finché mancano dei dati che lo dimostrino. L‟obbiettivo di questa
trattazione è fornire una panoramica sulla natura e sui processi messi in atto negli interventi di
psicologia clinica. Inoltre si vogliono offrire le linee direttive e degli esempi dei tipi di intervento
più specifici.
1.1 PRINCIPI ETICI NELL’INTERVENTO PSICOLOGICO
Tutte le attività svolte dallo psicologo clinico sono guidate da una serie di principi che
tutelano gli interessi ed il benessere degli individui destinatari degli interventi. Queste sono
condotte perseguendo come priorità assolute i migliori interessi e la cura del cliente e della società.
La professione dello psicologo clinico è basata su un insieme di principi etici e deontologici
(American Psychological Association, 1992). Torneremo ora sulle linee guida etiche per vedere
come sono connesse alla pratica psicologica.
I partecipanti ad ogni tipo di attività hanno il diritto di essere pienamente consapevoli della
natura dell‟intervento cui stanno per sottoporsi; si tratta del consenso informato. La decisione di
intraprendere e continuare una terapia deve essere presa consapevolmente e volontariamente
(O‟Neill, 1998; Pope & Vasquez, 1998). Gli psicologi hanno l‟obbligo di informare in modo
esaustivo, e prima di iniziare, i loro clienti riguardo le caratteristiche ed i parametri di un
trattamento. Nella psicoterapia i terapeuti sono tenuti ad informare i possibili clienti su cosa
accadrà, o potrebbe accadere, nel corso del trattamento, quanto potrebbe durare, i possibili rischi, i
metodi alternativi (O‟Neill). Sfortunatamente queste informazioni non vengono sempre trasmesse.
Gli utenti del servizio spesso sono ignari della natura e delle specificità del trattamento psicologico,
e qualche professionista è riluttante nell‟informare in modo completo il cliente riguardo cosa
aspettarsi dal processo terapeutico. Questa reticenza deriva in parte dall‟assunto, sostenuto da alcuni
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psicologi, che i meccanismi inconsci ed i meccanismi di difesa impediscono ai clienti la
comprensione dell‟origine o della soluzione ai loro problemi. Assicurare il consenso informato ai
bambini ed agli adolescenti che iniziano un trattamento è un‟operazione resa difficile dalla giovane
età e dalla loro limitata capacità di comprendere gli obbiettivi terapeutici (Jensen, McNamara, &
Gustafson, 1991; Taylor & Adelman, 1998). Ad ogni modo ciò non toglie che l‟utenza ha tutto il
diritto di essere ben istruita sulla natura e sui potenziali benefici e rischi dei processi che verranno
adottati.
Come nella maggior parte degli interventi psicologici, i clienti sono ben disposti a svelare
anche gli aspetti più intimi e personali delle loro vite. Rivelare contenuti emotivi richiede la
garanzia di segretezza e confidenzialità – informazioni trasmesse durante un intervento verranno
trattate con rispetto e rimarranno private (Smith-Bell & Winslade, 1994; Vasquez, 1994). Un
terapeuta è obbligato a tutelare la privacy del cliente, è tuttavia tenuto a non farlo in alcune
situazioni previste dalla legge. Queste linee guida indicano che i professionisti devono assicurare e
assicurarsi che le notizie in loro possesso sull‟identità delle persone, e quelle che emergono in sede
terapeutica, rimangano esclusive tra cliente e terapeuta. Solamente con il consenso del cliente
alcune informazioni possono essere date a enti di pubblica sicurezza, scuole, datori di lavoro e
simili. La confidenzialità prevede inoltre che un membro della famiglia non possa avere accesso ad
informazioni riguardo il trattamento cui è sottoposto il cliente (i familiari hanno diritto all‟accesso
ad alcune informazioni solo quando un cliente è minorenne). Anche per questi motivi i terapeuti
devono assicurarsi che le terapie avvengano in un luogo riservato e sicuro. Le eccezioni
comprendono casi in cui è implicato un aspetto della tutela del cliente stesso, o di terzi. Un
terapeuta potrebbe essere obbligato a svelare informazioni confidenziali collegate a suicidi,
comportamenti aggressivi rivolti verso gli altri, abusi fisici e sessuali su bambini. In questi casi è
richiesto a termini di legge che riveli agli organi legali o sociali di competenza le informazioni
salienti in suo possesso (per esempio Polizia o Servizi Sociali).
Gli psicologi clinici sono tenuti a definire le loro aree di competenza e abilità, a operare
all‟interno di questi limiti. (Overholser & Fine, 1990). I terapeuti non possono fornire prestazioni
professionali che esulino della loro competenza, basata sui tirocini e sul percorso di formazione,
sulla supervisione che hanno ricevuto da altri professionisti esperti, o sulle proprie esperienze
professionali. Per esempio, uno psicoterapeuta che abbia effettuato la sua supervisione in psicologia
sociale e del lavoro non può qualificarsi come psicologo clinico. Un clinico che non abbia ricevuto
una formazione nell‟impiego clinico dell‟ipnosi o del biofeedback, eticamente non può impiegare
questi metodi nella pratica clinica. Inoltre gli psicologi non possono dichiarare il falso su loro stessi
e su ciò che fanno, non possono falsificare, gonfiare, sostenere l‟assoluta efficacia dei loro metodi e
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del paradigma che adottano. In molti stati l‟aggiornamento e la verifica delle abilità sono regolate
dalla legge e dagli albi professionali. Questa continua formazione si realizza attraverso la
partecipazione ad attività professionali educative, regolate dall‟APA e da altri raggruppamenti
professionali. Sfortunatamente però non sempre sono definiti dei chiari riferimenti su cosa sia una
corretta conoscenza della materia. Per esempio l‟APA non ritiene che continui corsi di
aggiornamento e sessioni pratiche possano insegnare metodi, empiricamente comprovati, di
assessment e di trattamento. Quindi parte della normativa definita per assicurare all‟utenza il
mantenimento dei più alti livelli di professionalità degli psicologi, funziona meglio nella teoria che
nella pratica (Dawes, 1995).
Le linee guida sono state regolate in considerazione della natura della relazione che può
scaturire tra lo psicologo ed il cliente (Pope et al., 1995; Pope, Sonne, & Holroyd, 1993). Gli
psicologi non possono intrattenere alcun rapporto con i clienti all‟infuori della relazione terapeutica;
in altre parole relazioni duali o di gruppo come amicizia o affari con i clienti non rispecchiano
criteri di eticità. Ancora più importante, è proibito avere rapporti sessuali o relazioni sentimentali
con i clienti. Queste regole sono state definite per una tutela dallo sfruttamento del cliente, per
proteggere gli interessi e la salute dell‟utente, per assicurare la maggiore obbiettività dei terapeuti.
Quindi uno psicologo non dovrà avere rapporti di amicizia, di affari o altre relazioni sul piano
professionale del cliente, rapporti intimi; non dovrà condividere con il cliente attività sociali.
Alcune relazioni sono intese essere dannose per i clienti, causando conflitti d‟interesse e
confondendo la distinzione tra le attività terapeutiche e quelle non terapeutiche.
Coloro che si rivolgono ad un sevizio psicologico hanno il diritto di conservare la loro
libertà fondamentale e di partecipare ad un setting che comporti loro le minori restrizioni a queste
libertà. Per esempio soggetti con deficit evolutivi come un ritardo mentale, hanno il diritto a vivere,
apprendere, lavorare in ambienti che forniscono opportunità di vivere in comunità con la maggior
indipendenza che sono in grado di gestire. Gli psicologi clinici lavorano per assicurare che i clienti
non siano costretti o manipolati durante il trattamento.
1.2 CARATTERISTICHE DEGLI INTERVENTI
Tutti gli interventi psicologici condividono i principi etici che abbiamo discusso in questo
libro. Comunque gli interventi nella clinica si differenziano per un numero di aspetti, i più
importanti dei quali sono gli obbiettivi specifici, i mezzi per produrre cambiamenti, i tempi.
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
1.2.1 Obbiettivi: cosa stiamo cercando di modificare?
Gli interventi differiscono negli aspetti del funzionamento umano che si prefiggono di
modificare. Solo uno psicologo può scegliere di valutare e quantificare pensieri, sentimenti,
comportamenti, processi fisiologici, ambiente, e aiutare le persone a cambiare alcuni di questi
aspetti (Kanfer & Goldstein, 1991). Alcuni interventi sono mirati a modificare ciò che delle persone
fanno, a modificare particolari problemi comportamentali. Per esempio si può effettuare un
intervento per ridurre la quantità e la frequenza del consumo di alcol o sigarette. Altri interventi si
prefiggono un cambiamento nella sfera emotiva, diminuendo il livello di distress e incrementando il
benessere emotivo, come quando un intervento mira a ridurre il sentimento di ansia e paura. Altri
interventi ancora intendono modificare il modo in cui la gente pensa; per esempio fermare pensieri
intrusivi derivanti da un‟esperienza traumatica o aiutare a sviluppare credenze più positive ed
ottimistiche sul futuro. Gli interventi psicologici possono anche dedicarsi a modificare i sottostanti
processi fisiologici. Esempi includono l‟uso di tecniche psicologiche per ridurre la pressione
sanguigna, rallentare il battito cardiaco, diminuire il mal di testa. Come ultima possibilità si può
modificare l‟ambiente piuttosto che la persona, come nel cambiare la struttura e le risorse di una
scuola elementare o media, per diminuire l‟entità dei cambiamenti e lo stress che generano negli
studenti delle prime classi. Molti interventi sono progettati per apportare variazioni a più di uno
solo di questi livelli di funzionamento.
La maggior parte dell‟attività concerne prevenzione e trattamento di forme specifiche di
psicopatologia, come definito nel DSM-IV. Ma gli interventi clinici si estendono anche a
disadattamenti più generici e di natura sociale e problematicità nell‟arco della vita, che non sono
incluse come specifiche categorie diagnostiche nel DSM-IV (Adelman, 1995). Questi comprendono
problemi dell‟apprendimento e dello sviluppo, difficoltà nella vita quotidiana, problemi nelle
relazioni interpersonali. Gli sviluppi nella clinica e nella medicina comportamentale hanno allargato
l‟attenzione degli interventi a includere vari disordini organici e malattie – gli psicologi
contribuiscono direttamente alla prevenzione e al trattamento, ad esempio, di cancro, diabete,
ipertensione, AIDS (vedi quadro 1).
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
QUADRO 1
ESITI
DEGLI
INTERVENTI
PSICOLOGICI:
MIGLIORAMENTO
DELLA
SALUTE E PROLUNGAMENTO DELLA VITA
Gli interventi nella psicologia clinica furono in origine limitati ai problemi del
comportamento, ai problemi della vita quotidiana, e alla psicopatologia. In anni recenti, comunque,
i continui sviluppi della psicologia della salute e della medicina del comportamento hanno visto
aumentare il coinvolgimento degli psicologi clinici negli ambienti medici. Gli obbiettivi degli
interventi nella psicologia clinica sono cresciuti esponenzialmente fino ad includere la salute e la
malattia fisica, in aggiunta alla salute mentale e alla psicopatologia (Anderson, Kiecolt-Glaser, &
Glaser, 1994; Belar, 1997).
La recente ricerca sulle relazioni tra fattori psicologici e malattia organica hanno fornito la
spinta per progettare degli interventi volti a cambiare comportamenti connessi con la salute. Esempi
di ricerca recente includono i seguenti:
 lo stress diminuisce la capacità del corpo di schermarsi dai virus della stagione fredda (Cohen,
Doyle, & Skoner, 1999; Cohen et al., 1998) e la capacità del corpo di guarirsi dalle ferite,
comprese quelle da operazioni chirurgiche (Kiecolt-Glaser, Page, Marucha, MacCallum, &
Glaser, 1998).
 uno stile della personalità caratterizzato da ostilità, competitività, e fretta (riferito come
personalità di Tipo A) è un significativo fattore di rischio per malattie coronarie (Friedman,
Fleischmann, & Price, 1996), col massimo aumento nel rischio associato all‟ostilità (Iribarren et
al., 2000).
 i sintomi della depressione nelle settimane successive un attacco cardiaco accrescono
significativamente il rischio di un secondo attacco (Frasure-Smith, Lesperance, & Talajic, 1995;
Frasure-Smith et al., 1999).
Basati su queste ed altre scoperte, gli interventi sviluppati dagli psicologi clinici attualmente
non sono indirizzati solo a migliorare la qualità della vita, ma anche ad prolungare la vita e a
diminuire il rischio di mortalità in soggetti con malattie gravi. Due studi sugli effetti degli interventi
su pazienti affetti da cancro sono particolarmente rappresentativi (Fawzy et al., 1995; Spiegel et al.,
1989). Psicologi, psichiatri, operatori del sociale e altri professionisti della salute mentale
originariamente erano i candidati nel trattamento di pazienti affetti da cancro per aiutarli a
fronteggiare lo stress e la diagnosi di una patologia che compromette le loro vite, per aiutarli a
gestire gli effetti lesivi della chemioterapia, per migliorare la qualità delle loro vite dato che
convivono contemporaneamente con l‟incertezza di una recidiva nel futuro e la necessità di
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
fronteggiare una diagnosi terminale. La ricerca ha mostrato che gli interventi possono accrescere sia
la durata che la qualità della vita di questi pazienti (Fawzy et al., 1993; Spiegel et al. 1989). I
risultati suggeriscono che un modo in cui gli interventi possono contribuire ad accrescere le
probabilità di sopravvivenza è attraverso gli effetti positivi che sortiscono sul funzionamento del
sistema immunitario e sulla sua funzionalità nel contrastare il cancro (Andersen et al., 1998).
Gli obbiettivi di un intervento possono non essere i medesimi per le varie persone trattate
all‟interno dello stesso. Per esempio i genitori e gli insegnati di un adolescente che è assegnato ad
un trattamento per dei comportamenti dirompenti e problemi di condotta potrebbero non
condividere gli stessi fini per farlo migliorare. L‟adolescente potrebbe avere obbiettivi
completamente differenti rispetto quelli auspicabili per genitori ed insegnanti, e se il suo entourage
non si modificasse lui potrebbe non desiderare un proprio cambiamento. Similmente un cliente
potrebbe avere obbiettivi differenti da quelli formulati dallo psicologo. Una struttura per capire le
differenze negli obbiettivi dell‟intervento è stata descritta dallo psicologo Hans Strupp (Strupp,
1996; Strupp & Hadley, 1977). Il modello tripartito di Strupp distingue tra i criteri per interventi
ritenuti con esito positivo dai clienti, dalla società, e dai professionisti della salute mentale. I clienti
sono principalmente preoccupati di raggiungere un cambiamento nel loro personale senso di
benessere e di ridurre il loro senso di distress soggettivo. Diversamente, la società è più spesso
preoccupata di realizzare interventi che portino cambiamenti nei comportamenti disorganizzati o
dannosi. Infine, i professionisti della salute mentale sono interessati ai cambiamenti che possono
essere valutati in accordo con i criteri che sono specificati nei modelli della personalità o della
psicopatologia. Quindi, gli obbiettivi degli interventi e la valutazione del loro successo prevedono la
considerazione delle differenti prospettive e frequentemente usano differenti criteri di successo.
1.2.2 Processi: come produciamo dei cambiamenti?
Gli obiettivi sono spesso distinti dai processi o dai meccanismi usati per realizzare questi
traguardi. Molti interventi sono progettati per modificare un livello di funzionamento come strategia
per modificarne un secondo. La ricerca sui meccanismi responsabili dell‟efficacia terapeutica
supporta un modello di determinazione reciproca (Bandura, 1986, 1997). Il concetto di
determinazione reciproca implica che vari livelli del funzionamento umano (cognizione, emozione,
comportamento, biologia) e l‟ambiente, si influenzano a vicenda ed un cambiamento su uno di
questi fattori guida una modifica sugli altri (Lazarus, 1991). L‟intervento avvia una serie di
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
complessi processi in cui pensieri, comportamenti, emozioni e biologia, come del resto l‟ambiente
circostante, si influenzano in un‟attivazione reciproca.
Ecco alcuni esempi:
 la modifica delle cognizioni porta cambiamenti nella biologia, nelle emozioni, nel
comportamento. Gli interventi sono sviluppati per aiutare gli individui a modificare modi di
pensare disadattivi con la finalità di cambiare i loro comportamenti, le loro emozioni, la loro
fisiologia. Un esempio è la terapia cognitiva per la depressione sviluppata dallo psichiatra Aaron
Beck (Beck, Rush, Shaw, &Emery, 1979). Una componente centrale di questo trattamento
implica step successivi in cui si identificano e si modificano modi di pensare disfunzionali (per
esempio, biasimarsi per i problemi, aspettarsi che accada il peggio, considerare soltanto gli
aspetti negativi di uno stato di cose).
 la modifica del comportamento porta cambiamenti nella biologia, nelle cognizioni, nelle
emozioni. Gli psicologi spesso aiutano le persone a cambiare le loro azioni in modo da
modificare le loro emozioni, cognizioni e i processi biologici sottesi. Per esempio un elemento
importante nella terapia comportamentale dei disturbi d‟ansia consiste nel preservare il cliente
dalla possibilità di produrre alcuni comportamenti e questo consente l‟evitamento o
l‟allontanamento dalla situazione fonte di ansia (per esempio, Franklin, Abramowitz, Kozak,
Levitt, & Foa, 2000). Prevenire l‟esposizione allo stimolo ansiogeno porta all‟estinzione dei
sentimenti di ansia e porta a cambiare le credenze riguardanti lo stimolo che ne è alla fonte
(Tarrier & Humphreys, 2000).
 le modifiche dell‟ambiente portano cambiamenti nella biologia, nei pensieri, nelle emozioni e nel
comportamento. Cambiamenti negli stimoli che sono segnali antecedenti il comportamento
(condizionamento classico) o di stimoli che sono contingenti a specifici comportamenti
(condizionamento operante), entrambe avranno effetti nel modificare i comportamenti in
questione. Per esempio, l‟approccio del condizionamento classico può comprendere
l‟associazione di uno stimolo condizionato per produrre risposte emotive avversive con un altro
associato ad una risposta positiva. Il condizionamento operante implica la somministrazione di
una ricompensa per i comportamenti desiderati e l‟estinzione dei comportamenti disadattivi
attraverso la somministrazione di rinforzi positivi. I fattori ambientali possono avere anche un
impatto indiretto sui processi di apprendimento, attraverso l‟osservazione di modelli in
determinati ambienti.
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
Questi esempi suggeriscono che i processi attraverso cui l‟intervento psicologico opera il
cambiamento nel comportamento, nella sfera emotiva e in quella cognitiva sono complessi e
poliedrici.
1.2.3 Tempi: quando intervenire?
Qual è il miglior momento per intervenire nell‟ottica di modificare gli schemi
comportamentali, cognitivi ed emotivi di una persona? Forse prima che uno psicologo per
modificare uno stato di cose impieghi il suo tempo e la sua esperienza, nonché il tempo e le finanze
dei suoi clienti, è importante avere l‟evidenza dell‟esistenza di un problema. Più precisamente,
prima che sia ingaggiato un servizio di psicologia clinica, potrebbe essere importante l‟evidenza
della diagnosticabilità di un disordine psichiatrico, che possa rientrare quindi nei criteri proposti dal
DSM-IV (per esempio, Nathan & Gorman, 1998). In alternativa una volta che un disordine è
conclamato, potrebbe essere troppo tardi per un intervento che sia utile ed efficace: potrebbe essere
meglio intervenire ai prodromi. Quando potranno sopraggiungere seri disordini emotivi e
comportamentali, una prevenzione con un costo sostenibile potrebbe valere più di una cura
dispendiosa (Muñoz, Mrazek, & Haggerty, 1996; Price, Cowen, Lorion, & Ramos-McKay, 1988).
Il momento migliore per intervenire potrebbe essere quando c‟è evidenza di un alto rischio di
sviluppare un problema o quando potrebbe essere presente un precursore precoce di un serio
problema, quando questo non ancora si è reso pienamente manifesto. Un‟altra posizione possibile
consiste nel ritenere che il miglior utilizzo degli interventi psicologici sia nella promozione degli
stili di vita più salutari (Kaplan, 2000). Quando non rispettiamo una serie di regole essenziali per
una vita salubre, noi tutti diventiamo soggetti a rischio di sviluppare gravi malattie che vanno dal
cancro all‟AIDS. Analogamente se falliamo nello sviluppo di uno stile di vita funzionale, sia a
livello comportamentale che cognitivo, possiamo essere tutti a rischio di sviluppare problemi
psicologici, come depressione e disturbi d‟ansia. Quindi l‟utilizzo ottimale degli interventi potrebbe
essere nella promozione di uno sviluppo funzionale come nel miglioramento generale della qualità
del funzionamento umano.
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
FIGURA 1
Il modello sequenziale di promozione, prevenzione e trattamento come strategia nella psicologia clinica.
Promozione della
salute:
 interventi rivolti a
tutta la
popolazione
 obbiettivo di
accrescere la
salute e il
benessere
Prevenzione:
 interventi rivolti
verso gruppi a
rischio
 obbiettivo è
ridurre il rischio
di sviluppare un
disturbo
Trattamento:
 interventi rivolti a
soggetti che
manifestano già
dei disturbi
 obbiettivo di
alleviare il
disturbo
La gestione pratica di problemi psicologici coinvolge tre livelli d‟intervento: promozione,
prevenzione e trattamento, posti in sequenza su un‟unica linea strategica. (vedi figura 1). La
promozione della salute rappresenta la prima possibilità di intervento con l‟obbiettivo di costruire e
sviluppare comportamenti, attitudini e stili di vita congrui e funzionali in tutti i membri di una
popolazione. Del resto è improbabile che anche i programmi più efficaci per promuovere il
benessere possano essere in grado di preservare tutte le persone da fattori che contribuiscono alla
psicopatologia e alla malattia. I programmi di prevenzione offrono un secondo gruppo di risorse per
quei soggetti che sono esposti a situazioni di alto rischio. Gli interventi preventivi si dimostrano
verosimilmente più efficaci nell‟evitare problemi se i problemi sono distribuiti selettivamente a
gruppi che versano in situazioni di palese e maggiore necessità. Ma analogamente agli interventi
finalizzati a promuovere comportamenti salutari, è improbabile che gli interventi preventivi
risultino di assoluta efficacia nello scongiurare l‟inizio di disordini in soggetti ad alto rischio. Al
terzo livello, i trattamenti rispondono alla necessità di rimediare problematicità che sono
conclamate o solo parzialmente manifeste. Gli approcci di più ampie vedute sull‟intervento
suggeriscono che questi tre livelli sono parimenti importanti nel coordinamento del contributo della
psicologia clinica alla gestione dei problemi di salute psicologica e fisica (Adelman, 1995; Compas,
1993; Kaplan, 2000).
Questi tre livelli sono esemplificati dalla necessità di interventi differenziati sul consumo di
alcol e nelle dipendenze (alcolismo). L‟andamento della prevalenza nell‟età dell‟abuso di alcol e
della dipendenza sta raggiungendo valori sconcertanti negli Stati Uniti – approssimativamente il 5%
delle donne e più del 20% degli uomini (Grant et al., 1994). Il costo sociale, economico e l‟impatto
emotivo dell‟alcolismo è altrettanto schiacciante in termini di vite compromesse, conflitti e
discordie familiari, perdita di produttività lavorativa associata. I figli di genitori alcolisti sono a
rischio di sviluppare un ampio spettro di problematiche emotive e comportamentali (Chassin, Pitts,
DeLucia, & Todd, 1999). Del resto gli sforzi sostenuti per trattare i casi identificati non possono
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
essere mantenuti dato l‟emergere di casi sempre nuovi. D‟altro lato i programmi per prevenire
l‟alcolismo diminuiscono l‟incidenza dei nuovi casi, ma non hanno nulla da poter offrire ai milioni
di persone già coinvolte da questo fenomeno e alle loro famiglie. Quindi un intervento a più livelli è
indicato per i seguenti motivi:
 innanzi tutto, la promozione di alternative più salutari rispetto all‟uso di alcol può essere
insegnata ai giovani durante l‟infanzia e l‟adolescenza (Leventhal & Keeshan, 1993; Marlatt &
George, 1998);
 in secondo luogo, l‟evidenza che l‟alcolismo è in crescita nelle famiglie è chiara (Schuckit,
2000), situazione che fa dei figli che crescono in queste famiglie un gruppo particolarmente a
rischio di sviluppare dipendenza. Gli interenti preventivi possono essere usati per rendere questi
ragazzi l‟oggetto di azioni per ridurre il loro rischio di alcolismo (Short, Roosa, Sandler, &
Ayers, 1995);
 concludendo, i programmi di trattamento possono essere rivolti a individui che fanno abuso e che
sono dipendenti dall‟alcol, in modo da facilitare l‟astinenza e ridurre il rischio di ricadute quando
abbiano smesso di bere (Marlatt & George, 1998).
Un esempio di come il continuum degli interventi può assumere una struttura circolare è che il
trattamento dei problemi di un individuo (un genitore alcolizzato) può rappresentare una
componente della prevenzione dello sviluppo di problematicità in un altro individuo (i figli di
genitori alcolizzati) (Short et al., 1995).
QUADRO 2
DIETA E PERDITA DI PESO: E’ IMPORTANTE INTERVENIRE?
Gli interventi finalizzati ad agevolare il cambiamento nelle persone costituiscono la maggior
parte della clinica psicologica. Del resto non è sempre chiaro se occorre intervenire. Un esempio è
costituito negli interventi connessi a diete e alla perdita di peso. Questioni come il peso e l‟aspetto
fisico sono fonte di un forte dibattito tra la posizione assunta dalla psicologia e dalla restante cultura
americana. Da un lato ci sono i sostenitori delle diete e del controllo del peso, questi asseriscono
che l‟obesità e il peso eccessivo costituiscono un significativo rischio per la salute (Brownell &
Rodin, 1994). D‟altro lato ci sono coloro che mettono in discussione i programmi di controllo del
peso perché sostengono che il peso è strettamente influenzato dalla biologia ed è fuori dalla
possibilità di controllo del singolo (Stunkard, 1991). Qualche oppositore delle diete crede che i
rischi per la salute correlati ad un peso eccessivo siano frutto di sopravvalutazioni e che gli
individui in sovrappeso siano parte di una minoranza socialmente stigmatizzata (Cogan &
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
Ernsberger, 1999). Gli psicologi clinici sono nel mezzo di questo dibattito. Alcuni psicologi sono
coinvolti attivamente nello sviluppo di programmi per cambiare abitudini alimentari e procedure di
dimagrimento. Recentemente, gli psicologi hanno iniziato a rivolgersi ai soggetti in sovrappeso per
aiutarli a cambiare le inclinazioni nei confronti del proprio corpo e percepirsi in modo meno
negativo (Rosen, Orosan, & Reiter, 1995). La questione ora è se gli psicologi devono interessarsi ed
aiutare le persone a dimagrire e ad avere abitudini più sane o impegnarsi in programmi per
supportarle ad accettare sé stesse indifferentemente dal loro peso.
Le argomentazioni a sostegno del dimagrimento e del perdere peso sono centrate in genere
sul rischio di salute collegato all‟obesità. L‟obesità risulta associata con il diabete ad insorgenza
nell‟età adulta, l‟ipertensione, le malattie cardiovascolari, con alcune forme di cancro. Inoltre il
31% degli uomini ed il 24% delle donne in America, basandosi sugli attuali standards, sono
considerati sovrappeso, con il 12% della popolazione totale che è in una situazione di sensibile
obesità. La percezione dell‟essere sovrappeso è invece considerata solo come dato informativo,
infatti il 37% degli uomini e il 52% delle donne riferisce di esserlo: questi dati non sono confermati
dalla ricerca precedentemente illustrata. L‟attenzione su questo fenomeno deriva dalla statistica
indicante che la percentuale di individui sovrappeso è cresciuta considerevolmente dal 1900. Questa
crescita nella popolazione è stata accompagnata dall‟aumento costante nella proporzione di uomini
e donne che si sottopongono a diete. I dati raccolti tra il 1950 e metà degli anni ‟60 indicano che il
7% degli uomini e il 14% delle donne si erano sottoposti a una dieta per dimagrire, invece in studi
condotti negli anni ‟90, il 24% degli uomini e una percentuale compresa tra il 40 e il 45% delle
donne riportarono che stavano seguendo una dieta. Un modello generale suggerisce la tendenza che
gli americani stanno diventando più pesanti, godono di una salute meno buona, si sottopongono più
spesso a diete. Una soluzione è l‟uso di diete per regolare il peso corporeo e, indirettamente, gli altri
problemi di salute.
Le questioni riguardanti le possibili conseguenze negative del sottoporsi ad una dieta e la
tendenza all‟obesità sono aumentate ad iniziare dagli anni ‟70 al punto che ora c‟è un accanimento
contro entrambi questi temi. Qualche dibattito si è accresciuto. Per primo c‟è che le diete possono
non essere efficaci. Le riviste di ricerca sui programmi dimagranti indicano che solo una parte dei
partecipanti perde peso e che solo una piccola percentuale è in grado di mantenere il risultata
raggiunto. Secondo aspetto, le critiche suggeriscono che la tendenza a riprendere il peso perduto è
collegata ad una dieta a “yo-yo” – una serie di diete, la ripresa di massa, una dieta successiva,
un‟ulteriore riacquisto di peso. Terzo ed ultimo punto, alcune critiche sostengono che il peso è
determinato primariamente dalla genetica e che per questo è fuori del controllo della persona. Le
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
diete rendono le persone responsabili del loro peso e danno la falsa speranza che potranno dimagrire
modificando il proprio comportamento.
Preso atto di questo dibattito, che ruolo dovrebbe ricoprire uno psicologo clinico? Ci sono,
infatti, vari contributi che la psicologia clinica può offrire in quest‟area (per esempio, Brownell &
Rodin, 1994; Rosen et al., 1995). È servita molta ricerca per stabilire la reale efficacia dei
programmi di dimagrimento. Innanzitutto molti studi introduttivi hanno valutato gli effetti delle
diete tra i soggetti che si sono rivolti a dietologi professionisti, e questi sono soltanto una parte de
una popolazione molto più ampia. Poi l‟efficacia dei programmi in questo gruppo non può essere
considerata e generalizzata con quella della restante popolazione. Inoltre la decisione ed il regime di
una dieta sono parametri che non si prestano ad un‟applicazione sommaria e globale. Per esempio la
decisione di sottoporsi ad un regime dietetico è valutata con attenzione differente per persone obese
e per coloro che hanno un peso normale o sono lievemente sovrappeso. Inoltre i benefici apportati
anche da modeste perdite di peso, possono essere sostanziali, soprattutto in soggetti obesi. Ancora,
le diete possono essere vanificate dal successiva ripresa di massa, quando al termine della dieta si
perdono i benefici acquisiti. Come ultimo aspetto, un‟alternativa all‟intervento è aiutare le persone a
sviluppare una percezione più positiva rispetto se stessi modificando la percezione dell‟immagine
corporea. Le decisioni sull‟opportunità di intraprendere una dieta riflette le delicate questioni che
sono tipiche anche degli interventi psicologici. Non è sufficiente sviluppare tecniche per agevolare
il cambiamento delle abitudini. Molti fattori vengono considerati nel definire se un intervento può
essere pienamente giustificato.
QUADRO 3
DEPRESSIONE
ADOLESCENZIALE:
ESEMPI
DI
PROMOZIONE,
PREVENZIONE E TRATTAMENTO
Uno psicologo clinico come potrebbe aiutare un adolescente a superare una depressione
provocata dallo sforzo di superare gli effetti del divorzio dei genitori? Questa situazione fornisce un
eccellente esempio del ruolo dei tre livelli di intervento sopra descritti. Iniziamo con il trattamento e
l‟analisi dei problemi attuali. La sintomatologia spesso incontra i criteri definiti nel DSM-IV per
definire una depressione maggiore, che includono sintomi affettivi, irritabilità, disturbi del sonno,
sensazione di disperazione e pensieri suicidiari (American Psychiatric Association, 1994). Ci sono
trattamenti collaudati disponibili per il trattamento della depressione adolescenziale (Lewisnhon &
Cllarke, 1999). In particolare si è dimostrata efficace una terapia cognitivo-comportamentale
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
sviluppata da dagli psicologi Greg Clarke, del Kaiser Permanente Center for Healt Research di
Portland, Oregon, e Peter Lewinsonh dell‟Oregon Research Institute (Clarke, Rohde, Lewinsohn,
Hops, &Seeley, 1999; Lewinsohn & Clarke 1999). Questo trattamento chiama in causa i pensieri
negativi caratteristici della depressione e offre tecniche comportamentali per alterare il ritiro sociale
associato a questo disturbo.
È comunque possibile che l‟episodio depressivo causato dalle tensioni connesse al divorzio
potesse essere prevenuto dato che gli effetti della separazione dei genitori sono visibili da subito.
Da alcuni studi sono stati sviluppati programmi preventivi per supportare bambini ed adolescenti a
fronteggiare gli effetti della separazione dei propri genitori (per esempio, Wolchik et al., 2000).
Questi programmi solitamente sono attuati nelle scuole e provvedono a dare supporto ed a dare
formazione sulle abilità di coping bambini e adolescenti con un intervento gruppale. I partecipanti
condividono le esperienze collegate alla separazione dei genitori e vengono insegnate tecniche
specifiche per risolvere i problemi connessi al divorzio ed a far fronte alle emozioni negative che
possono essere esperite in questo contesto. Il motivo di questi programmi è fornire supporto e
abilità a bambini al fine di aiutarli a gestire i cambiamenti che avvengono all‟interno delle loro
famiglie e prevenire l‟insorgenza di disturbi quali depressione, disturbi comportamentali, che
possono emergere dalla tensione cui espone un divorzio.
Su un altro grande livello i programmi per promuovere un armonico sviluppo psicologico
nell‟adolescenza avrebbero potuto fornire agli soggetti a rischio, prima che accadesse, delle abilità
delle quali avrebbero poi avuto bisogno per gestire l‟esperienza del divorzio. I programmi per
insegnare ai giovani abilità sociali sono rivolti a tutti gli studenti, indifferentemente dall‟esposizione
a fattori di rischio o la possibilità che hanno di sviluppare un disagio psicologico (Weissberg, 2000).
I programmi per la promozione delle competenze sociali puntano sull‟apprendimento sociale ed
emotivo, insegnando ai bambini abilità basilari di problem-solving, abilità sociali utili a instaurare
relazioni con gli altri, abilità a gestire e regolare le proprie emozioni. Un programma di questo tipo
potrebbe preparare i giovani ad affrontare i problemi che potrebbero incontrare successivamente.
Gli psicologi clinici sono impegnati in tutti questi livelli di intervento. Loro forniscono
direttamente una terapia agli adolescenti che presentano una depressione. I programmi di
promozione e prevenzione di solito sono realizzati nelle scuole, e gli psicologi clinici spesso
realizzano consulenze a scuola per promuovere lo sviluppo e il miglioramento di questi programmi.
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
2. PROMOZIONE E PREVENZIONE
Dedicheremo ora la nostra attenzione sulla prima di due categorie generali di intervento – la
promozione della salute e di comportamenti salutari, la prevenzione di problemi e disturbi.
Considereremo innanzitutto la necessità della prevenzione e degli interventi preventivi.
Successivamente esamineremo alcuni concetti chiave sottesi.
2.1 L’aumento dell’incidenza di alcuni problemi
I tassi di incidenza di alcuni tipi di disturbi mentali e di malattie infettive sono in crescente
aumento. L‟aumentata incidenza (la quantità di nuovi casi nell‟arco di un determinato periodo di
tempo) di alcuni disturbi implica la chiara presenza di qualche problema. Il trattamento di solito non
può ridurre direttamente l‟incidenza dei nuovi casi, perché l‟attenzione del trattamento è sui
problemi che sono già conclamati. Tra gli interventi solo la promozione e la prevenzione possono
ridurre la comparsa di nuovi casi. La prevenzione dell‟aumento di alcuni fenomeni rappresenta una
nuova sfida per la psicologia clinica e per le altre scienze del comportamento. Tre esempi specifici
sono particolarmente rappresentativi.
Sieropositività e AIDS L‟epidemia di immunodeficienza (human immunodeficiency virus
HIV) e la sindrome da immunodeficienza acquisita (acquired immunodeficiency syndrome AIDS)
continuano a colpire gli Stati Uniti e il resto del mondo. Dati epidemiologici indicano che nel 1982
negli USA erano segnalati 250 casi di AIDS, un numero che è andato crescendo fino ai circa
300.000 casi del 1993, e più di 750.000 nel 2000 (Centres for Disease Control, 2001). Nel 2000
sono riportate più di 430.000 morti per AIDS. Il tasso dei nuovi casi sottostima le dimensioni di
questa epidemia, perché affinché si sviluppi la sindrome da immunodeficienza acquisita occorre che
trascorra un periodo di 10 anni dal contagio del virus. Ugualmente inattendibili sono le statistiche
per il resto del mondo – ci sono attualmente più di 36 milioni di casi, il 95% dei quali nei paesi in
via di sviluppo.
Depressione maggiore
Determinare l‟incidenza di una patologia psicologica è più
difficoltoso rispetto ad una di natura organica perché incidono nella diagnosi le diversità nei criteri
diagnostici e la retrospettività della diagnosi sull‟insorgenza. Malgrado ciò evidenze indicano
l‟attuale aumento dei casi di depressione in molti paesi (Cross National Collaborative Group, 1992;
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Klerman & Weissman, 1989). Klerman e Weissman hanno esaminato le differenze nei tassi di
depressione in funzione della decade in cui erano nate le persone costituenti il campione (19051915, 1915-1925, ecc.). Per esempio, il gruppo nato tra il 1945 e il 1955 (dell‟età compresa tra i 30
ed i 40 anni al momento della ricerca) avevano una probabilità doppia di sviluppare episodi
depressivi, comparati al gruppo di soggetti nati tra il 1925 e il 1935 (che durante la ricerca avevano
un‟età compresa tra i 50 e 60 anni). Questi esiti hanno stimolato una ricerca cross-culturale in cui
dati simili sono stati raccolti in paesi come gli USA, Canada, Puerto Rico, Francia, Libano, Italia. I
risultati, fatta eccezione per l‟Italia, mostrano la stessa tendenza – a dispetto degli altri gruppi i più
alti tassi di depressione sono stati riportati nell‟età di 25 anni per il gruppo nato dopo il 1955, con
tassi più elevati nei soggetti più giovani (Cross National Collaborative Group).
Violenza sulle donne La violenza sulle donne rappresenta una questione di salute pubblica
di grandi proporzioni (Aciero, Resnick, &Kilpatrick, 1997; Kross, 2000). È stimato che il 15% delle
donne negli Stati Uniti sono state violentate e più del 20% ha subito un‟aggressione fisica
all‟interno di una relazione intima (Tjaden &Theonnes, 2000). I livelli di atti violenti a scapito delle
donne sono comunque più elevati nel resto del mondo, perché una donna su tre è stata picchiata,
costretta ad avere rapporti sessuali o abusata (Kross, 2000). Oltre gli evidenti danni fisici ci sono
conseguenze emotive psicologiche. La minaccia della violenza maschile è maggior fonte di paura e
tensione tra le donne, indifferentemente dall‟età, etnia, stato socio-economico, orientamento
sessuale (L.A. Goodman, Kross, Fitzgerald, Russo, & Kieta, 1993; Kilpatrick, Resnick, & Acierno,
1997). La prima conseguenza documentata a questi eventi è il disturbo post traumatico da stress
(DPTS), con stime del 95% immediatamente dopo nel caso dello stupro e una percentuale compresa
tra il 45% e il 50% continua a soffrire di DPTS ad una distanza di tre mesi (Kross, 1993). È
essenziale che le conseguenze della violenza siano trattate efficacemente, la risposta a questo
problema pervasivo si trova nella prevenzione di questi comportamenti.
Ridurre l’incidenza di questi problemi Nella misura in cui le cause di questi problemi
(AIDS e HIV, depressione maggiore, violenza sulle donne) sono associate al comportamento
umano, la psicologia clinica può assumere un ruolo giuda nella modifica delle abitudini che ne
aumentano la suscettibilità. I fattori di rischio (vedi la sezione intitolata “Fattori di rischio e fattori
protettivi”) che possono essere modificati attraverso l‟intervento psicologico includono
comportamenti ad alto rischio, l‟esposizione a condizioni sfavorevoli e di stress, valori e credenze
sociali. La psicologia clinica può influire su tutti questi fattori.
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
Non è ancora disponibile un vaccino che possa prevenire la diffusione dell‟infezione da HIV
e l‟AIDS. La sofferenza associata all‟AIDS potrebbe essere eliminata, attraverso la prevenzione di
comportamenti connessi alla diffusione di questa infezione ad alta trasmissibilità. In particolare la
riduzione dei rapporti sessuali a rischio è l‟obbiettivo di molti interventi psicologici per contenere
questo fenomeno (Ross & Kelly, 2000). I comportamenti sessuali possono essere modificati,
soprattutto con la riduzione del numero dei partner e l‟uso del preservativo. I tassi dei nuovi casi
riportati negli USA raggiungono un picco tra il 1992 e il 1993 e dopo questo periodo decrescono
(Centers for Disease Control, 2001). Questa diminuzione può essere ascritta direttamente ai
cambiamenti nel comportamento sessuale.
La depressione risponde a differenti tipologie di trattamento, incluse tra le altre due forme di
psicoterapia e vari tipi di psicofarmaci. Sono necessari strumenti efficaci per prevenire la crescente
tendenza alla depressione nelle recenti generazioni. Il trend in aumento di episodi iniziali soprattutto
nella fascia di età degli adolescenti suggeriscono che un intervento precoce nell‟arco di vita è
importante per ridurre la crescita del fenomeno. Per esempio Hankin et al. (1998) trovarono che i
tassi di incidenza aumentavano esponenzialmente dopo i 15 anni di età (vedi figura 2). Queste
ricerche indicano che la prima adolescenza è il momento più adatto per gli interventi preventivi al
fine di ridurre i nuovi casi.
FIGURA 2
Dati longitudinali dell‟andamento del tasso di depressione nell‟età durante l‟adolescenza (da Hankin,
Abramson et al., 1998).
Percentuale dei soggetti clinici
Sviluppo della depressione
30
25
20
Femmine
15
Totale
Maschi
10
5
0
11
13
15
Età
21 / 49
18
21
LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
La violenza contro le donne riflette valori ed attitudini più generali della società, come
l‟inclinazione verso la discriminazione e il condono delle violenze. La psicologia può contribuire a
cambiare le attitudini nelle famiglie, nelle scuole, in altre strutture sociali, formali ed informali.
Azioni in questo senso includono il cambiamento della risposta della società verso i crimini contro
le donne, nell‟ottica di proteggere le vittime e ridurre le recidive dei colpevoli, sensibilizzando il
sistema pubblico come i comportamenti individuali (Kross, 2000).
2.2 Concetti chiave in promozione e prevenzione
Salute e benessere La promozione di attività quali uno sviluppo armonico, il corretto
adempimento di funzioni e la salute psicologica, necessita di una chiara definizione dei concetti
centrali. Alcuni termini utilizzati per descrivere un funzionamento psichico ottimale includono
„benessere psicologico‟ (Cowen, 1991, 1994), „competenze emotive e sociali‟ (Weissberg, 2000), e
positive mental health (Compas, 1993). È improbabile che una sola definizione possa essere
generalizzata e che possa soddisfare le molteplici e diversificate prospettive necessarie per
comprendere in modo ottimale il benessere psicologico. Piuttosto, per considerare e spiegare le
differenze nella positive mental health in funzione delle prospettive che gli individui adottano nelle
loro vite (anche in relazione agli altri: coniugi, bambini, genitori, insegnanti, pari, professionisti
della salute mentale), del loro livello di sviluppo, e dei fattori socio-culturali, è necessaria una
struttura multidimensionale (Compas).
Le prime due dimensioni della positive mental health includono lo sviluppo di abilità e
risorse per:
a.
proteggere il singolo dallo stress e dalle frustrazioni;
b.
coinvolgere il singolo in attività o iniziative personali, in modo da produrre un senso di
auto-efficacia e di competenza (Compas, 1993; Weissberg, 2000).
Queste funzioni protettive della positive mental health sono centrate sulle abilità e sulle
motivazioni, con lo scopo di reagire adeguatamente a tensioni ed avversità (per esempio, Compas,
Connor-Smith, Saltzman, Thomsen, & Wadsworth, 2001). Saper gestire le problematicità in modo
efficace contribuisce alla positive mental health fornendo modi per trattare gli effetti avversivi delle
sollecitazioni situazionali più intense e di quelle croniche. La seconda dimensione della positive
mental health è caratterizzata da funzioni creative che includono capacità personali e motivazione
per coinvolgersi in attività significative, finalizzate o espressive, che sono centrate su un obbiettivo,
che vengono esperite come attività autonome ed originate da sé. Essere personalmente artefici delle
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attività significative e delle relazioni assume centralità all‟interno di molte teorie psicologiche, nei
comportamenti, nello sviluppo e nell‟adattamento (per esempio, Diener & Suh, 2000; Fredrickson,
2000; Ryan &Deci, 2000).
Fattori di rischio e fattori protettivi I fattori di rischio sono definiti come caratteristiche
di una persona o di un ambiente che rendono più probabile lo sviluppo di un disturbo, sia in un
singolo individuo che in una popolazione (NIMH, 1993). La ricerca legittima alcune
generalizzazioni:
1. i rischi esistono su più ambiti. Per esempio nel caso di abuso di sostanze, i fattori di rischio sono
stati identificati negli individui stessi, nell‟ambiente familiare, nelle esperienze scolastiche, nelle
interazioni sociali e nel gruppo dei pari, nei contesti comunitari;
2. gli individui esposti a più fattori di rischio hanno un grado complessivo di rischio maggiore. In
altre parole sono di natura addittiva: il loro sommarsi ne accresce la potenza;
3. un determinato fattore di rischio può accrescere le probabilità di insorgenza di più disordini. Per
esempio le discordie matrimoniali nella coppia sono caratterizzate da alti livelli di conflitti
genitoriali, quindi cioè ne saranno implicati anche dei figli. Entrambe queste condizioni sono
correlate con stati depressivi nelle donne più giovani e nei figli.
I fattori di rischio servono come indici della probabilità che un individuo o un gruppo
possano sviluppare una problematicità, del resto non informano però sui motivi e sulle modalità di
questo aumento. Per esempio la depressione in un genitore è un fattore di rischio significativo sulla
psicopatologia del figlio (Goodman & Gotlib, 1999). Malgrado le chiare correlazioni delle
probabilità di rischio con altri problemi scatenanti, ci sono più meccanismi possibili che spiegano
l‟aumento della suscettibilità tra i figli di genitori depressi (Gotlib & S. H. Goodman, 1999). Sono
possibili: meccanismi biologici, perché il rischio per la psicopatologia, più precisamente quello di
depressione, è trasmesso geneticamente; processi sociali, perché genitori depressi sono molto più
introversi, meno attivi, e più irritabili ed ostili nelle interazioni con i figli rispetto ad un campione
non clinico; meccanismi cognitivi, perché i figli di genitori depressi acquisiscono attraverso
l‟osservazione e l‟interazione dei valori e pensieri disfunzionali. Gli interventi preventivi con figli
di genitori depressi si differenziano in base a quali – e quanti – di questi meccanismi sono
significativi nello spiegare la trasmissione del problema.
La controparte dei fattori di rischio sono quegli individui e quelle configurazioni ambientali
che sono associate con una decrescente probabilità di psicopatologia e, più in generale, di problemi
psicologici, a dispetto dell‟esposizione a cause di rischio. I fattori protettivi sono caratteristiche
delle persone o dell‟ambiente che accrescono la resistenza al rischio e rafforzano la resistenza
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individuale allo sviluppo di disordini (Coie et al., 1993; NIMH, 1993). Ci sono molteplici evidenze
che l‟esposizione al rischio può essere ridotta da una varietà di caratteristiche sociali o dei singoli
individui che agiscono come fattori protettivi. Questi fattori espletano un‟azione preventiva in
differenti modi: uno diretto, secondo un‟azione lineare; interagendo con i fattori di rischio per
contrastare la disfunzione; interrompendo la catena di eventi attraverso cui i fattori di rischio
operano la disfunzione; prevenendo precocemente l‟azione dei fattori di rischio. Questi metodi
possono essere utilizzati precocemente per progettare strategie, che si possono sviluppare a livello
di individuo, gruppo, comunità, o a più livelli.
2.3 Approcci alla prevenzione
La conoscenza dei fattori protettivi e di quelli di rischio è usata per formulare interventi
preventivi finalizzati a ridurre gli effetti negativi dell‟esposizione al rischio e per intensificare i
benefici effetti dei fattori protettivi. Gli interventi preventivi intendono contrapporsi ai fattori di
rischio ed a creare fattori protettivi per minimizzare o dissolvere i processi che contribuiscono allo
sviluppo della disfunzione (Coie et al., 2000). Si descrivono tre livelli di intervento preventivo:
universale, selettivo ed dedicato (Mrazek & Haggerty, 1994). Gli interventi di prevenzione
universale sono diretti ad una popolazione generale ed a fattori di rischio che agiscono
globalmente. Per esempio la depressione si riscontra ad un tasso elevato nella popolazione,
dall‟adolescenza in poi, e gli interventi preventivi possono essere rivolti ad un‟ampia popolazione
per insegnare abilità cognitive e comportamentali capaci di ridurre il rischio di andare incontro ad
un episodio depressivo. Gli interventi di prevenzione selettiva sono rivolti ai gruppi più esposti
rispetto alla norma a fattori di rischio, ma che non ancora manifestano sintomi conclamati e
disordini. Per esempio nei figli di genitori depressi vi è una condizione di rischio molto elevata per
lo sviluppo della stessa patologia; allora gli interventi possono essere rivolti alle famiglie in cui uno
o entrambe i genitori hanno sofferto di un episodio di depressione maggiore. Gli interventi di
prevenzione dedicati si concentrano sugli individui esposti ad un rischio elevato, riconoscibili
perché manifestano una sintomatologia appena visibile, ma che presagisce un disturbo. Sempre
riguardo la depressione è stato riscontrato che livelli elevati di sintomi accrescono il rischio di una
manifestazione clinica. I metodi di screening possono essere utilizzati per identificare in una
popolazione gli individui che esperiscono alti livelli di sintomi, e questi soggetti possono essere
oggetto di un intervento per ridurre la loro vulnerabilità.
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Gli interventi preventivi fanno storicamente parte e sono competenza della psicologia di
comunità – una branca della psicologia clinica che si prefigge di comprendere i rapporti tra persone
e loro comunità e contesti sociali, di potenziare persone e comunità a identificare e individuare le
problematiche che di volta in volta si presentano, a prevenire la psicopatologia ed i problemi sociali.
Nasce tra gli anni “60 e”70 a causa de diversi eventi (Rappaport & Seidman, 2000), come la
deistituzionalizzazione dei pazienti psichiatrici, la formazione di servizi territoriali rivolti ai
cittadini, la crescente consapevolezza delle origini sociali, e non solo individuali, di alcuni
problemi, il far riferimento alla prevenzione come uno degli strumenti più efficaci per incontrare il
bisogno di benessere psicologico espresso dalla società.
C‟è un reciproco beneficio nella collaborazione tra psicologia clinica e psicologia di
comunità. Questa attinge metodi e tecniche di prevenzione sviluppati nell‟ambito della psicologia
clinica. D‟altra parte la psicologia clinica necessita della consapevolezza dei limiti del trattamento
della patologia mentale in una prospettiva di mero soddisfacimento del bisogno di salute mentale
interpretato dalla società. Le distinzioni tra queste discipline, come la maggior parte delle
distinzioni operate all‟interno della psicologia, si dimostrano più controproduttive che utili, specie
con la necessità attuale – che i professionisti si vogliano identificare preferenzialmente come
psicologi clinici o di comunità – di combinare gli sforzi per aumentare l‟efficacia e massimizzare i
risultati della prevenzione.
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3. ESEMPI DI PROGRAMMI DI PREVENZIONE E PROMOZIONE
3.1 Promozione della salute
La promozione di stili di vita salutistici è diventato un fenomeno pervasivo nella cultura
americana. Programmi e centri che promuovono diete, esercizio aerobico, gestione dello stress,
modo di vivere ottimistico permeano la nostra società. Molte di queste attività e programmi
riflettono solo una moda che è guidata dal mercato che alimentano. Comunque la psicologia,
inclusa la psicologia clinica, ha contribuito al raggiungimento di questi obbiettivi attraverso la
ricerca, e con programmi di sviluppo che si basano su risultati convalidati empiricamente.
Lo stile di vita è composto dai comportamenti caratteristici delle persone, comportamenti su
cui si ha un certo grado di scelta e di controllo, che definiscono un modello distintivo di vita
(Kaplan, 2000). La ricerca li ha distinti nettamente in stili valorizzanti la salute e stili
compromettenti lo stato di salute. Gli stili valorizzanti comprendono comportamenti che sono
associati con una minore morbilità e minori condizioni di malattia, con livelli maggiori di salute e
capacità. Per esempio la ricerca sulle abitudini degli adolescenti ha dimostrato che comportamenti
che promuovono la salute risultano correlati gli uni con gli altri; questi comportamenti sono:
esercizio fisico, sonno, dieta salutare, cura dentale, guida sicura, attività prosociali (Jessor, 1998).
Ci sono evidenze che i comportamenti a rischio e comportamenti compromettenti lo stato di salute
si presentano contestualmente, esempi di comportamenti a rischio sono l‟abuso di sostanze,
comportamenti antisociali, rapporti sessuali a rischio, guida in stato di ebbrezza (Jessor). Gli
interventi di promozione sono programmati sia per migliorare la salute che per ridurre il suo
peggioramento. La maggior parte degli interventi mirano all‟acquisizione di un aspetto specifico di
un‟abitudine salutare, altri hanno obbiettivi più generali e propongono contemporaneamente più
comportamenti migliorativi.
Dieta ed esercizio fisico Ricerche hanno dimostrato che una dieta povera di grassi e ricca
di fibre, combinata con regolare attività aerobica, è associata a diversi effetti positivi per la salute.
La sfida per gli psicologi consiste nel riuscire ad aiutare le persone ad aderire ad una dieta. Gli
interventi in ragazzi in età scolare si sono dimostrati efficaci nello sviluppare l‟adozione di una
dieta sana e di un regolare esercizio fisico (per esempio, Lytle, Stone, Nichaman, & Perry, 1996;
Sallis et al., 2000). Soltanto un‟educazione nutrizionistica troppo semplicista sembra scarsamente
efficace, ma deve essere accompagnata a dei metodi specifici al fine di produrre cambiamenti
apprezzabili. Diversi interventi che riscuotono successo comprendono programmi comportamentali
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strutturati, e sono molto brevi: solo 5 o 6 sessioni. Per esempio il Child and Adolescent Trial for
Cardiovascular Helath (CATCH) comporta il cambiamento dei cibi serviti nelle mense scolastiche,
aumenta la qualità della pratica dei corsi scolastici di educazione fisica, dissuade dall‟abitudine al
fumo. Questo programma porta nei ragazzi dei risultati significativi rispetto al regime alimentare,
l‟esercizio fisico e il consumo di sigarette (Perry et al., 1997).
Gestione dello stress Si può dire che l‟attuale generazione appartenga all‟era dello stress.
Adulti e ragazzi riportano nella loro esperienza quotidiana elevati livelli di stress, compresi eventi
maggiori di rilevanza clinica che comprendono perdite significative e separazioni come lo stress
cronico minore e altri disturbi che caratterizzano la vita quotidiana della nostra società altamente
tecnologica. La pressione a cui si è esposti nel lavoro e nella scuola, le separazioni ed i conflitti
familiari, problemi economici, la presenza di violenza nelle comunità, ed i ritmi incalzanti delle
nostre vite, contribuiscono allo stress. Le sue conseguenze sono ben documentate e includono
l‟aumento di rischio a malattie fisiche, ansia, depressione (per esempio, McEwen, 1998; Sapolosky,
1998). Per combatterne gli effetti, gli individui possono scegliere tra varie possibilità. Molti
programmi di gestione dello stress consistono di un unico intervento tecnico – metodi di
rilassamento. Il rilassamento è usato per destituire un‟eccessiva attivazione emotiva o fisica dovuta
ad un accumulo di tensione e per prevenire le conseguenze nocive, sia emotive che fisiche, dello
stress (per esempio, Kabat-Zinn et al., 1998).
Ottimismo, autoregolazione, autoefficacia La positive mental health è caratterizzata da
una sere di credenze individuali o da uno stile cognitivo che includono una prospettiva ottimistica
sul futuro, un senso di controllo sulla propria vita e di autoefficacia (per esempio, Bandura, 1997;
Carver & Scheier, 1998; Ryan & Deci, 2000). Queste attitudini sono associate a varie emozioni
positive ed una migliore salute fisica, anche ad una maggiore capacità nell‟affrontare lo stress. Gli
interventi sono efficaci nel facilitare lo sviluppo di questi stili cognitivi adattivi. Per esempio
Seligman e colleghi hanno mostrato che stili di pensiero più ottimistici possono essere insegnati con
successo ai ragazzi di età scolare come fase di un impegno più ampio nella prevenzione della
depressione (per esempio, Gillham, Shatte, & Freres, 2000).
Promozione delle competenze sociali Durante l‟infanzia e l‟adolescenza quali sono le
componenti di una crescita sana ed armonica? Di cosa necessitano i ragazzi per diventare adulti
felici e attivi? Oltre ad abilità di base per l‟apprendimento, i giovani hanno necessità di competenze
nel creare e mantenere relazioni sociali e nella risoluzione di problemi quotidiani (Caplan,
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Weissberg, Grober, & Sivo, 1992; Weissberg, 2000). Psicologi clinici e di comunità hanno
sviluppato programmi per promuovere le competenze sociali, che sono diventati parte integrante di
alcuni programmi scolastici. I programmi più usati mirano alla produzione di una serie di risultati
positivi definiti come competenze sociali o life skills (Weissberg). Condividono un insieme di
assunti centrati sullo sviluppo nell‟adolescente di capacità adattive.
Programmi multi-componenti I più completi programmi di promozione della salute hanno
evoluto struttura formata da più unità singole, o moduli, per realizzare alcuni dei risultati sopra
citati, come insegnamento degli stress management skills, rafforzamento dell‟ottimismo, pratica
delle competenze sociali. Per esempio Ornish e colleghi (1998) hanno testato gli effetti di un
programma multi-componenti in un progetto più ampio volto a ridurre il rischio di cardiopatie.
Questo intervento sullo stile di vita includeva una dieta vegetariana „10% fat‟, esercizio aerobico,
un training di gestione dello stress, smettere di fumare, un supporto psicologico di gruppo I
programmi che includono più unità riguardanti la pratica di comportamenti salutari possono
condurre con efficacia degli effetti benefici nella salute fisica e psicologica.
A dispetto dei risultati promettenti, questi programmi sono ancora ad una fase iniziale del
loro sviluppo e dell‟applicazione. Alcuni fattori hanno ostacolato l‟applicazione diffusa degli sforzi
nella promozione della salute. Un impedimento è costituito dalla storia stessa della psicologia
clinica, che è focalizzata sui problemi della gente piuttosto che sulle loro risorse. Ci sono anche
limiti economici, perché il mercato della cura della salute è organizzato a pagare per la cura dei
problemi, non per promuovere il benessere. Questo problema è sempre maggiore per la psicologia,
per le difficoltà metodologiche nella definizione e nella misura del benessere. Nonostante questi
ostacoli la promozione della salute e di uno sviluppo sano giustifica continui e crescenti
investimenti come primo passaggio dell‟intervento psicologico.
3.2 Prevenzione di psicopatologie e disturbi
Gli interventi preventivi sono dedicati a contrastare i fattori di rischio e rinforzare i fattori
protettivi in modo da dissipare i processi che contribuiscono alla disfunzione psicologica (Coie et
al., 1993). Considereremo ora i programmi preventivi che hanno dimostrato un‟efficacia testata in
differenti fasi della vita. Questi riflettono la natura mutevole dei fattori di rischio e dei problemi
dell‟arco dello sviluppo – i problemi che necessitano di prevenzione nell‟infanzia sono differenti da
quelli da quelli presenti in adolescenza e nell‟età adulta. La prevenzione riflette l‟idea che un
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intervento precoce è il migliore. Così abbiamo posto la nostra attenzione sugli interventi durante
l‟adolescenza partendo dalla premessa che è possibile prevenire alcuni disturbi riscontrabili nell‟età
adulta prevenendo le loro cause ad una fase iniziale della loro azione. Si possono così risolvere i
precursori di alcuni problemi, ma non ci si può limitare a questo. I cambiamenti apportati dal
normale sviluppo ed i processi che continuano in tutto l‟arco della vita rappresentano degli stressor
importanti che possono esercitare degli effetti, indipendentemente dai fattori di rischio cui si è
esposti durante la giovinezza. Quindi è importante considerare gli interventi preventivi rivolti
unicamente agli adulti.
Interventi durante la gestazione I primi interventi rispetto al corso dello sviluppo sono
quelli mirati a migliorare l‟ambiente prenatale e lo sviluppo del feto. Sono stati prodotti vari
programmi per migliorare la salute ed i comportamenti di gestanti al fine di prevenire problemi e
disordini che possono poi verificarsi nei figli. Un eccellente esempio di come un programma nel
Prenatal/Early Infancy Project dedicato alle madri che versano in condizioni di povertà, è stato
sviluppato dallo psicologo David Olds (per esempio, Olds, 1988, 1989; Olds, Henderson, &
Tatelbaum, 1994). Tali programmi interdisciplinari comprendono visite a domicilio dedicate alla
cura delle madri e dei nascituri, per la prevenzione di una vasta serie di sindromi e problemi
comportamentali nei nascituri associati alla povertà. Obbiettivi principali sono di migliorare salute e
sviluppo nel nascituro, attuando pratiche salutiste prenatali sulle madri, aumentando la qualità delle
cure materne durante le primissime fasi dello sviluppo, incrementando il supporto sociale
comunitario, formale ed informale, per le gestanti e le neo mamme (Olds, 1986). È dimostrato che
queste attività accrescono il QI dei bambini (Olds et al., 1994); riducono inoltre le lesioni infantili,
le disfunzioni prenatali e quelle comportamentali, il ricorso a interventi presso dipartimenti di
emergenza per problemi legati ai minori. Negli interventi è anche prevista una osservazione delle
madri per coinvolgerle maggiormente verso i figli e sensibilizzarle ad utilizzare metodi educativi e
punitivi più efficaci (Olds et al., 1994). Le ricerche inoltre mostrano che questi interventi portano ad
una notevole riduzione dei costi sociali per gli interventi di tutela rivolti alle madri che hanno figli
nella fasci di età dei 3-4 anni (Olds, Henderson, Phelps, Kitzman, & Hanks, 1993).
La prevenzione dell’abuso di sostanze Il consumo di sigarette, alcol, droghe, emerge
come un problema comportamentale e inerente la salute, significativo della tarda infanzia e
dell‟adolescenza. Modelli stabili di uso durante questa età hanno implicazioni immediate per la
salute e per le altre conseguenze comportamentali, per il successivo abuso e dipendenza. I piani
preventivi per l‟adolescenza sono centrati sull‟uso di sigarette, l‟abuso di droghe e la dipendenza da
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
alcol (Botvin, 1999; Dusenbury & Falco, 1997). Vengono usati due approcci: provvedimenti sul
fronte dell‟informazione e nella modifica di comportamenti specifici. Le tecniche inerenti
l‟informazione sono guidate innanzitutto dalle ricerche nell‟educazione, inoltre dalle teorie della
psicologia sociale sulla comunicazione e l‟attitudine al cambiamento, le tecniche comportamentali
fanno riferimento sulla terapia comportamentale e poi sulle teorie dell‟apprendimento sociale. Le
ricerche hanno mostrato che programmi basati unicamente sull‟informazione non sempre hanno
successo (Leventhal & Keeshan, 1993). Le tecniche comportamentali, che solitamente includono
programmi multi-componenti, più eterogenee e che spesso combinano informazione, presa di
decisioni (decision making), realizzazione di un programma ideato dall‟individuo stesso (selfconcept), sviluppo di abilità di rifiuto (refusal skills) si sono mostrate più efficaci (Botvin).
Prevenzione di aggressività, violenza e delinquenza Pochi problemi nella nostra società
possono essere più incalzanti della violenza e dell‟aggressività giovanile (per esempio, Margolin &
Gordis, 2000). Il tasso dei comportamenti violenti si accresce velocemente durante l‟adolescenza,
con un picco tra i 17 ed i 19 anni, con una notevole differenza di genere, che compare nella tarda
adolescenza, negli arresti per atti violenti, con un rapporto tra maschi e femmine di 10 a 1
(Farrington, 2000). Uno degli sforzi più completi nella prevenzione su larga scala dei
comportamenti violenti, è uno studio di intervento su più aree, chiamato programma FAST Track
(Families and Schools Together) (Conduct Problems Prevention Research Group, 1992). La ricerca
indica che è possibile individuare precocemente ragazzi che probabilmente svilupperanno in
adolescenza modelli delinquenziali durevoli. Il FAST è stato realizzato per individuare in età
prescolare quei bambini che sono a rischio di pattern comportamentali aggressivi e condotte
antisociali e interviene sui bambini nelle famiglie, nelle scuole, nelle comunità, per ridurre la
probabilità di comportamenti negativi. L‟intervento include cinque livelli: (a) formazione dei
genitori; (b) visite domestiche e gestione familiare; (c) formazione nelle abilità sociali (social skills
training); (d) tutoraggio scolastico; (e) interventi dei professori in aula (Coie et al., 2000).
Prevenzione del DPTS nelle vittime di violenza sessuale Il numero delle vittime di
aggressioni sessuali negli Stati Uniti è incerto (National Victim Centre and Crime Victims Research
Center, 1992). Tra le conseguenze psicologiche più importanti tra chi ha subito una violenza è la
presenza di sintomi da DPTS, che includono paura e ansia, riproposizione della scena del trauma
attraverso flash-back e pensieri intrusivi, evitamento di situazioni e stimoli correlati all‟evento,
aumento generalizzato dell‟attivazione emotiva (Resnick ,Kilpatrick, Dansky, & Saunders, 1993;
Rothbaum, Foa, Riggs, & Murdock, 1992). Edna Foa ed i suoi colleghi hanno riportato gli effetti di
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
un programma cognitivo-comportamentale in quattro sessioni per le vittime di aggressioni (Foa,
Hearst-Ikeda, & Perry, 1995). L‟intervento include l‟informazione sulle più comuni reazioni alle
aggressioni, addestramento al rilassamento, rivivere l‟aggressione attraverso tecniche immaginative,
confronto delle situazioni non traumatiche temute, ma sicure, con quella dell‟aggressione reale,
modifica dei pensieri disfunzionali collegati all‟aggressione. Confrontate con un gruppo di controllo
non trattato, le partecipanti mostrano sintomi di DPTS meno severi e persistenti; a due mesi dal
trauma solo il 10% del gruppo sperimentale, a cospetto del 70% del controllo, mostra sintomi
descritti nei criteri diagnostici del DPTS. Cinque mesi e mezzo dopo le partecipanti all‟intervento
sono significativamente meno depresse e hanno molti meno segni della persistenza del trauma
rispetto il gruppo di controllo (Foa et al.). queste scoperte iniziali sono incoraggianti – interventi
tempestivi possono rivelarsi efficaci contro le conseguenze emotive a lungo termine.
Perdita del posto di lavoro e disoccupazione
Perdita del lavoro e lunghi periodi di
disoccupazione rappresentano consistenti cause di stress. Anche durante momenti di benessere
economico, negli USA si è stimato che una percentuale tra il 3 e il 4% dei lavoratori è disoccupata.
Il problema psicologico più frequente è la depressione. Dato che si tratta di eventi inevitabili anche
nei periodi migliori, un obbiettivo importante per gli psicologi è prevenire le conseguenze
psicologiche avverse e promuovere abilità e comportamenti utili ad un reimpiego. Richard Price,
Amiram Vinokur ed i loro colleghi della Univesity of Michigan hanno condotto due prove di
prevenzione su larga scala per valutare un programma ideato per conseguire gli obbiettivi sopra
esposti (Caplan, Vinokur, Price, & Van Ryn, 1989; Vinokur, Price, & Schul, 1995). Il programma,
denominato JOBS, insegna strategie concrete per cercare nuove posizioni e rendere più efficace
l‟abilità nel cercare lavoro. Inoltre il programma mira a ridurre le conseguenze psicologiche
debilitanti potenziando l‟autostima, l‟autocontrollo ed il senso di autoefficacia nei processi di
ricerca di una nuova attività, e il senso di competitività. I risultati del campione sono stati
incoraggianti ma lo sono stati particolarmente per il sottogruppo ad alto rischio. I partecipanti al
programma, paragonati ad un controllo che ha ricevuto solo un opuscolo di tre pagine sulle strategie
di ricerca del lavoro, provano un maggiore senso di competenza, riportando meno sintomi
depressivi e trovano un migliore reinserimento (Vinokur et al.).
Prevenzione della sieropositività I soli metodi disponibili per bloccare la diffusione di
HIV e dell‟AIDS comprendono la modifica dei comportamenti a rischio. Sono stati riportati vari
tentativi promettenti negli interventi di prevenzione (Carey, 2000; Kelly et al., 1993; Ross & Kelly,
2000). La ricerca ha evidenziato diverse popolazioni ad alto rischio: gay, consumatori di droghe
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
iniettabili, donne dei paesi del terzo mondo, giovani afro-americani, adolescenti ribelli. Gli
interventi sono centrati su questi gruppi, ottengono risultati variabili ma incoraggianti (Coates &
Collins, 1999). Allen et al. (1993) riportano uno studio condotto su 1458 donne del Ruanda
assegnate all‟interno dello studio al gruppo sperimentale e al controllo. I soggetti sperimentali
ricevono interventi educativi di counselling, la visione di filmati informativi, controlli medici,
profilattici. Verifiche di follow-up a 2 anni hanno mostrato risultati durevoli: in queste donne è
aumentato l‟uso del preservativo e sono diminuiti i tassi di gonorrea e di infezione da HIV. St.
Lawrence et al. (1995) hanno condotto uno studio in cui degli adolescenti afro-americani erano
assegnati ad un programma educativo di 8 settimane che combina training di abilità
comportamentali, comprendenti corretto uso dei profilattici, assertività sessuale, sviluppo della
capacità di diritto di rifiuto, provvedimenti informativi, gestione di sé (self management), problem
solving, conoscenza dei rischi. I partecipanti formati a tali abilità hanno ridotto il numero dei loro
rapporti, aumentato l‟uso del preservativo, e si è osservato un miglioramento dei comportamenti più
esteso rispetto ai soli partecipanti che hanno ricevuto informazioni. La riduzione dei comportamenti
a rischio è stata accertata ad un anno di distanza. È stato trovato che il 30% dei giovani che
venivano da una situazione di astinenza sessuale hanno iniziato attività sessuali ad un anno dopo il
programma, mentre solo il 10% dei partecipanti sono rimasti sostanzialmente sessualmente attivi.
Kelly e colleghi hanno condotto una serie di studi sui gay, compresi alcuni avvenuti in un
intervento di tipo comunitario con clienti di locali abitualmente frequentati da omosessuali,
comparato con gruppi di controllo di altre comunità (Ross & Kelly, 2000). I ricercatori hanno
identificato, formato e stabilito dei rapporti formali con i leader popolari delle associazioni di gay
affinché loro stessi promuovessero un cambiamento dei comportamenti abituali e diffondessero le
informazioni tra amici e conoscenti. Le ricerche hanno confermato a livello dell‟intera comunità
una riduzione dei rapporti sessuali non protetti. Il programma si è dimostrato molto efficace
soprattutto se confrontato con le comunità di controllo, in cui il livello dei comportamenti a rischio
non era cambiato.
Far fronte al divorzio Discordie tra genitori, conflitti e divorzio rappresentano fattori di
rischio rappresentativi per le difficoltà emotive e comportamentali che generano soprattutto nei
bambini e negli adolescenti (per esempio, Emery & Forehand, 1996). Sebbene gli effetti
sull‟adattamento dei figli che possono essere attribuiti direttamente al divorzio siano pochi, resta
che sono significativi; è chiara l‟evidenza che i più lontani effetti avversivi sono ascrivibili ai
conflitti familiari. Dato che i rischi derivano principalmente dai conflitti e le discordie tra genitori,
gli interventi mirano ad aiutare i ragazzi a sviluppare abilità per fronteggiare lo stress legato al
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
divorzio, ridurre il rischio di implicazioni emotive e comportameentali (Alpert-Gillis, PerdoCarroll, & Cowen, 1989; Pedro-Carroll & Cowen, 1985; Stolberg & Mahler, 1994; Wolchick et al.,
2000). I programmi preventivi sono centrati sull‟insegnamento di abilità di coping e sulla gestione
dello stress, sull‟impegno ulteriore per formare i genitori, attraverso un training comportamentale,
ad abilità per ridurre il conflitto tra gli adulti e fornire maggiori risorse ai figli affinché possano
superare le loro esperienze negative. I risultati sono promettenti. Durante prove controllate è stato
riscontrato che i bambini che hanno ricevuto il trattamento avevano un‟attività più funzionale sul
piano comportamentale ed emotivo rispetto ai bambini di controllo. Verifiche dimostrano che i
programmi conducono alla riduzione di ansia, oppositorietà, problemi di apprendimento, e
l‟aumento di assertività, socievolezza con il gruppo dei pari, altri adattamenti comportamentali (per
esempio, Wolchick et al.).
Prevenzione della depressione Sono emersi vari modelli differenti per spiegare l‟aumento
di rischio per la depressione durante l‟adolescenza, di conseguenza si sono definiti diversi modelli
di intervento (Compas, Connor, & Wadsworth, 1997; Sandler, 1999). Un approccio preventivo
usato sui giovani investe direttamente i processi cognitivi negativi che possono contribuire allo
sviluppo della sintomatologia depressiva (Gillham & Revich, 1999). Il Penn Prevention Program
sviluppato presso la University of Pennsylvania usa tecniche cognitivo-comportamentali in modo
proattivo per insegnare ai bambini strategie per far fronte ad eventi di vita negativi ed accrescere il
loro senso di padronanza e competenza nei confronti delle varie situazioni (Jaycox, Reivich,
Gillham, & Seligman, 1994). Al programma seguono nei bambini, se comparati al gruppo di
controllo, congrue riduzioni dei sintomi (Jaycox et al.). Gli effetti sono più marcati nei bambini con
famiglie con alti livelli di conflittualità rispetto alle altre famiglie. Così gli interventi più efficaci si
hanno nei casi a maggior rischio, almeno in parte attraverso la modifica del modo in cui i bambini
interpretano le cause degli eventi negativi. Gli effetti sono mantenuti come dimostra un follow-up a
12, 18 e 24 mesi (Gillham, Reivich, Jaycox, Seligman, 1995). Clarke, Lewinsohn e colleghi hanno
condotto un importante serie di studi rivelatori sulla natura e sul decorso della depressione durante
l‟adolescenza, durante il trattamento dei ragazzi e, più recentemente, l‟uso di un intervento
preventivo dedicato tra gli adolescenti a rischio di depressione (Clarke, 1999; Clarke et al., 1995).
Nell‟arco di un periodo di follow-up a 12 mesi, il 27.5% del gruppo di controllo (18 su 70) ha avuto
un episodio di depressione maggiore o di disturbo distimico, contro il 14.5% (8 su 55) del gruppo
sperimentale: una significativa differenza statistica.
I programmi per la prevenzione della depressione durante l‟infanzia e l‟adolescenza
costituiscono una prima linea importante degli interventi preventivi nel loro complesso, questo
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
impegno dovrebbe essere seguito da interventi analoghi anche nell‟età adulta (Price & Johnson,
1999; Seligman, Schulman, DeRubies, & Hollon, 1999). In uno dei primi lavori sulla depressione
dell‟adulto, Muñoz et al. (1995) hanno condotto un intervento di prevenzione selettiva –
individuando con precisione un sottogruppo ad alto rischio. Queste ricerche indicano che gli adulti
ai primi stadi dello sviluppo della malattia e quelli che sono ad alto rischio di sviluppo, e che quindi
non ancora presentano una forma conclamata, possono essere entrambi identificati agevolmente in
una fase molto precoce in cui al paziente si offrono le prime attenzioni. L‟intervento preventivo
consta di metodi cognitivo-comportamentali per guadagnare un miglior controllo sugli stadi
d‟animo che gli psicologi elicitano nei pazienti seguendo uno specifico protocollo (the Depression
Prevention Course; Muñoz, Ying, Perez-Stable, & Miranda, 1993). Da un confronto tra i gruppi
esaminati gli esiti riportano dei livelli nettamente più bassi di sintomatologia depressiva, a 6 mesi e
ad 1 anno di distanza. Gli effetti sui sintomi dei partecipanti sono attribuibili alle modifiche operate
sui pensieri negativi.
Per riassumere, per prevenire problemi psicologici e malattia fisica è stata sviluppata
un‟ampia serie di interventi. Molti di questi programmi condividono un approccio cognitivocomportamentale alla formazione dei partecipanti e all‟insegnamento di abilità per la gestione di
stress e difficoltà, per essere capaci di intraprendere attività personali e relazioni gratificanti. I
ricercatori impegnati nel campo della prevenzione hanno affrontato alcuni dei più impellenti
problemi di salute pubblica. A dispetto dei progressi che sono stati fatti, restano alcuni ostacoli. La
maggior sfida per la prevenzione è rappresentata dal raggiungere un nuovo traguardo – la psicologia
deve ancora riuscire a prevenire con efficacia le maggiori forme di psicopatologia. Il mancato
raggiungimento del traguardo è in parte attribuibile alla complessità dei processi che causano i
disordini. Infatti i disordini sono il risultato dell‟interazione di differenti fattori di rischio che ne
determinano l‟insorgenza, e che possono agire secondo modalità differenti a seconda delle
specificità dei singoli casi. Ne consegue che i programmi di prevenzione devono prefiggersi degli
scopi molto ampi per coprire tutte le possibili fonti di rischio di una popolazione. Comunque la
ricerca in prevenzione è un processo lento e coscienzioso, perché i risultati necessitano di un
periodo sufficiente affinché le differenze statistiche tra i gruppi coinvolti nella sperimentazione
diventino apprezzabili. Le procedure metodologiche richiedono spesso lo studio di ampi campioni,
per lunghi periodi di tempo, in alcuni casi per anni. Nonostante queste sfide restino tutt‟ora aperte,
gli interventi preventivi giocano un ruolo critico nel repertorio degli strumenti in possesso degli
psicologi clinici, utili nella lotta ai disturbi psicologici.
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
4. LA PSICOTERAPIA COME TRATTAMENTO
L‟impegno degli psicologi clinici è rivolto su un‟ampia gamma di forme di intervento,
quella cui fanno più ricorso è la psicoterapia, individuale, di gruppo e familiare. Con le varie
possibilità di trattamento sviluppate, il termine psicoterapia è arrivato a rappresentare un campo
così ampio da rendere una definizione univoca fuorviante o quasi inutile. L‟ampiezza del settore
rende difficoltoso dare una definizione di psicoterapia o determinare se è un metodo efficace per
trattare la psicopatologia. Rispondere a questa domanda è simile al dare risposte riguardo la
medicina. Nessuno può definire il vasto dominio della medicina in modo da comprendere la grande
varietà di trattamenti che la circondano, né nessuno può dire perentoriamente se la medicina
„funziona‟. Analogamente è difficoltoso definire la psicoterapia e se possa „funzionare‟ o meno. A
dispetto di tali questioni, ci sono sufficienti elementi riscontrati attraverso cui è possibile
comprendere la psicoterapia, insieme ai quali ci è possibile iniziare a considerarla in un‟ottica più
ampia. Nel definire la psicoterapia è di aiuto considerare i contributi comuni a ogni approccio, così
come le dimensioni su cui specifici approcci possono distinguersi gli uni dagli altri.
Tutti gli approcci sono basati su di una singolare interazione tra due persone. All‟interno di
essa un professionista esperto e riconosciuto cerca di aiutare un cliente o un paziente a pensare,
sentire, comportarsi, in modo differente. Si presume che le interazioni tra il terapeuta ed il cliente,
sia verbali che non verbali, come unica e sola forma di relazione instaurata, costituiscano elementi
importanti nell‟agevolare il cambiamento nel cliente. La relazione tra terapeuta e cliente è
caratterizzata dalla confidenzialità, dalla fiducia, dal rispetto. In questa relazione il terapeuta
solitamente segue una serie di procedure che sono, in maggiore o minore misura, prescritte da una
teoria dimostrata o da una scuola di pensiero (Davison & Neale, 1998).
Lo psichiatra Jerome Frank (1982; Frank & Frank, 1991) descrive quattro caratteristiche
distintive della relazione terapeuta-cliente che potrebbero risultare comuni a tutte le forme di
psicoterapia. Egli riteneva che vi fossero delle analogie importanti tra psicoterapia e altre forme di
cura socialmente accettate, esistite nelle diverse culture attraverso la storia. Le quattro
caratteristiche sono:
a. una relazione terapeutica che sia altamente emotiva a riservata;
b. un setting o un contesto per lo svolgimento di questa relazione che si ritenga propizio per la cura
dei problemi psicologici;
c. una teoria o una serie di principi (che Frank riporta come un „mito‟ culturale o condiviso) che
provvede ad una ragionevole spiegazione ai problemi portati dal cliente e alle procedure usate in
terapia;
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
d. un insieme di procedure (che Frank nella sua terminologia chiama „rituali‟) che sia il terapeuta
che il cliente ritengono possano essere il mezzo per risolvere i problemi del cliente e che
ristabiliscano la salute mentale.
Tutte le forme di psicoterapia sono condotte all‟interno della cornice di una relazione privata e
confidenziale tra cliente e terapeuta. Il sistema di credenze sotteso e le tecniche specifiche usate
variano a seconda delle differenti forme di terapia. Comunque Frank sostiene che importante
caratteristica di tutti gli approcci è la presenza di un insieme di procedure, rituali, credenze, che
creano una interazione strutturata tra le parti componenti la diade.
Knafer e Goldstein (1991) hanno identificato caratteristiche delle relazioni d‟aiuto che le
distingue dalle altre relazioni sociali. Le relazioni d‟aiuto sono unilaterali, sistematiche, formali,
limitate. Mentre la maggior parte delle relazioni sociali riguardano questioni e bisogni che
interessano entrambe le parti e sono bilaterali, invece le relazioni d‟aiuto sono unilaterali in quanto
implicano un contratto centrato sulla risoluzione dei problemi del cliente. Le relazioni d‟aiuto sono
sistematiche, perché terapeuta e cliente convengono fin dall‟inizio di seguire un insieme di regole in
modo rigoroso, così da trovare vicendevolmente un accordo sugli obbiettivi. La formalità
all‟interno della relazione d‟aiuto è introdotta nei limiti in cui la relazione stessa è posta – il contatto
verrà limitato a tempi e modalità specifici, e queste limitazioni sono rispettate da entrambe le parti.
Concludendo, le relazioni d‟aiuto hanno un preciso confine temporale, solitamente definito dalla
risoluzione del problema del cliente.
Altre ricerche hanno cercato di identificare una serie di fasi o stadi caratterizzanti più forme
di psicoterapia. Lo psicologo Ken Howard della Northwestern University ed i suoi colleghi hanno
presentato un modello periodico della psicoterapia che definisce all‟interno del processo terapeutico
tre momenti (Howard, Lueger, Maling, & Martinovich, 1993). Il modello periodico comprende (a)
un progressivo miglioramento del senso di autoefficacia e benessere, (b) la riduzione dei sintomi
psichici, (c) la comparsa di un differente adattamento alla vita. Gli autori sostengono che un cliente
farà progressivi miglioramenti, ultimando quelli di ogni livello prima di passare al successivo. La
prima fase della psicoterapia è il recupero della fiducia (remolarization) o di superamento della
demoralizzazione (Howard et al.). Frank e Frank (1991)descrivono la demoralizzazione come uno
stato in cui il paziente “è consapevole di aver fallito nel raggiungere le proprie aspettative o quelle
legate agli altri, o di non essere capace a superare dei problemi che incalzano. Si sente così
demotivato a cambiare la situazione o se stesso e non riesce a districarsi da questa condizione” (p.
35). La seconda fase è la risoluzione (remediation) dei problemi più attuali del cliente, la
remissione dei sintomi sottesi al problema, o di entrambi. Il trattamento comprende la mobilitazione
delle abilità di coping del cliente, delle sue risorse, incoraggiare una ulteriore e maggiore efficacia
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
delle sue capacità. L‟ultima fase è la riabilitazione (rehabilitation), in cui il processo è centrato sul
dimenticare gli aspetti prolematici, quelli che risultano maladattivi, le modalità connaturate, e
centrato sullo stabilire dei nuovi modi di agire e considerare vari aspetti di sé e della propria vita.
Howard et al. hanno presentato dei risultati che confermano il loro modello periodico a tre fasi. Il
recupero della fiducia solitamente accade in tempi brevi (nell‟arco delle prime due sedute) e riflette
un aumento del senso di benessere soggettivo. La risoluzione subentra successivamente e si riflette
nella riduzione dei sintomi e deve essere preceduta da un senso di maggior fiducia verso sé. La
riabilitazione (il miglioramento nel funzionamento quotidiano) arriva per ultima dopo i
miglioramenti nell‟umore e nei sintomi psicologici.
È ugualmente importante, oltre il tentativo di identificare gli elementi comuni ai vari
approcci psicoterapeutici, riconoscere le differenze esistenti tra i vari modelli di terapia. Una
dimensione notevole su cui varie scuole si diversificano è il grado in cui queste enfatizzano come
loro obbiettivo primario l‟insight rispetto le azioni, i nuovi comportamenti (per esempio, London,
1986). Le terapie orientate all‟insight presuppongono che il comportamento, le emozioni ed i
pensieri vengono alterati perché gli individui non comprendono in modo adeguato le proprie
motivazioni, specialmente quando bisogni e valori sono in conflitto tra loro. Queste forme di terapia
cercano di aiutare le persone a scoprire le vere motivazioni che sono alla base dei comportamenti,
dei sentimenti, dei pensieri. Il presupposto è che una maggiore consapevolezza delle motivazioni
produrrà un più alto grado di controllo e quindi un successivo miglioramento dei pensieri,
dell‟emotività, del comportamento. Le terapie orientate al comportamento, al contrario, sono
centrate sulla modifica del comportamento manifesto e non considera l‟insight come necessario alla
terapia e al cambiamento.
Una seconda dimensione su cui differiscono le terapie è il rilievo attribuito agli eventi, in
base che possono accadere all‟interno, piuttosto che all‟esterno, della sessione. Le terapie
psicodinamiche ed umanistiche attribuiscono importanza centrale delle sessioni stesse e a ciò che
accade al loro interno, specialmente su cosa traspare nella relazione terapeuta-cliente. Al contrario,
le terapie comportamentali e cognitive, pur riconoscendo l‟importanza alla relazione terapeutacliente, attribuiscono una centralità maggiore su cosa accade nella vita quotidiana del cliente al di
fuori della sessione terapeutica. Questo approccio è chiaramente orientato alla prescrizione di
appositi homework e compiti da svolgere tra le sessioni, assegnati all‟interno delle terapie cognitive
e comportamentali. L‟importanza attribuita agli eventi esterni al contesto terapeutico, rispecchia il
profondo orientamento all‟azione che caratterizza queste terapie.
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
5. SOMMARIO
La psicologia clinica riveste un ruolo importante nella promozione della salute psicologica e
fisica, così come nella prevenzione della psicopatologia e della malattia organica. Le tecniche e i
metodi che si sono riscontrati efficaci nel trattare i problemi, possono essere utilizzati anche per
prevenirli. I tentativi compiuti per promuovere la salute e prevenire i disturbi, necessitano di essere
considerati all‟interno di un contesto più ampio – che includa non solo le abilità e le competenze
degli individui, ma che consideri anche il contesto sociale allargato in cui il soggetto vive e agisce.
Alcuni principi possono essere delineati riferendosi alle attuali ricerche e alla conoscenza della
promozione della salute e della prevenzione delle malattie. Tali principi coadiuveranno la
formazione della futura psicologia clinica.
Possediamo sufficienti conoscenze dei fattori di rischio e dei processi da poter predire la
possibilità di rischio per una varietà di problematiche fisiche e psicologiche. Questa conoscenza può
essere usata per alimentare lo sviluppo di interventi preventivi ben pianificati, per rivolgersi alle
fonti di rischio o per attuare strategie protettive. Usando la ricerca empirica condotta sui fattori di
rischio e protettivi, sui processi in cui intervengono, lo psicologo clinico può sviluppare un
intervento preventivo, con grande precisione e notevole sicurezza che gli interventi si rivolgano con
precisione proprio a quei fattori che contribuiscono lo sviluppo di problemi e disordini.
Gli interventi preventivi più efficaci sono incentrati sullo sviluppo, a livello cognitivo e
comportamentale, di capacità adattive. Tali abilità potranno ridurre il rischio di patologia, al
contempo accrescere le probabilità di risultati positivi, anche di fronte all‟esposizione a fattori di
rischio noti. Le caratteristiche di questi interventi sono simili a quelle degli approcci congitivocomportamentali alla psicoterapia. Agli individui viene insegnato a gestire e regolare le emozioni
nelle loro relazioni sociali, per sviluppare modi di pensare positivi e funzionali, per risolvere
problemi, per sviluppare e mantenere delle relazioni interpersonali soddisfacenti. Inoltre vengono
insegnate importanti abilità per evitare situazioni e comportamenti ad alto rischio. Attraverso questi
interventi le persone diventano capaci di accrescere la loro competenza personale e affrontano con
maggiore efficacia stress e tendenze disadattive della vita quotidiana e, allo stesso modo, eventi
traumatici e gravi dell‟esistenza.
La psicoterapia è la forma di intervento più largamente praticata dagli psicologi clinici.
Tutte le forme di psicoterapia condividono dei fattori comuni e seguono una stessa progressione di
fasi di cambiamento. Vari approcci alla terapia si diversificano nelle tecniche specifiche che
vengono impiegate, nell‟enfasi che danno all‟insight piuttosto che all‟azione, e nel loro centrarsi su
eventi interni al setting terapeutico piuttosto che esterni ad esso.
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
6. CONCLUSIONI
L‟evoluzione epistemiologica comporta una ridefinizione, alla luce delle nuove esigenze, anche
delle differenziazioni operate precedentemente. In questo caso l‟intento è quello di delineare un
quadro completo ed aggiornato delle competenze dell‟intervento preventivo. Sarà così possibile un
confronto ed una parziale, quanto consapevole sovrapposizione tra termini vecchi e nuovi concetti,
che sia capace di considerare le differenze tra gli approcci adottati.
Vediamo ora come si sia giunti nel tempo fino a questo attuale sviluppo e quali mutamenti
epistemiologici siano intervenuti. L‟esigenza di interventi più flessibili e che agissero anche ad un
livello precauzionale nasce pochi decenni dopo la psicologia clinica. Tale infatti è la datazione
dell‟introduzione del concetto di igiene mentale. Questo indica la “serie di misure precauzionali atte
a prevenire l‟insorgenza di malattie mentali, a mantenere l‟equilibrio psichico e a favorire
l‟adattamento all‟ambiente” (Galimberti, 1992). Questo approccio nasce in America agli inizi del
„900, su iniziativa di C. W. Beers e di A. Meyer, al fine di migliorare i metodi e l‟efficacia
terapeutica attraverso un più ampio coinvolgimento delle strutture pubbliche e di volontariato.
Quindi l‟igiene mentale si prefigge, partendo sempre da una definizione di psicopatia, di tutelare la
salute psichica degli individui. Si introduce così a pieno titolo il concetto di prevenzione anche se,
come vedremo, in questo passaggio avviene un significativo cambio di prospettiva che rappresenta
una notevole evoluzione nel paradigma. Passiamo ora ad una definizione del termine che ci aiuterà
a comprendere tale cambiamento. La prevenzione è l‟atto, l‟effetto del prevenire, parola composta
dai termini „pre‟ e „venire‟. Appunto, venire prima, nel significato di anticipare, agendo in anticipo
su un evento, o impedire un fenomeno prima della sua manifestazione. Prevenzione è “tutto ciò che
concorre a ridurre l‟insorgenza di malattie o di devianze. In questa accezione si usa anche il termine
di […] psicoprofilassi quando si tratta di prevenire l‟insorgenza di comportamenti patologici, come
ad esempio l‟assunzione di droghe o di alcool […]” (Galimberti, 1992). Obbiettivo della
prevenzione è di individuare ed intercettare dei fattori che possono essere validi predittori di un
evento di rilevanza clinica. Il fine è modificare alcune variabili per preservare, nei singoli individui
o nei gruppi, un equilibrio stabile e funzionale, un mantenimento della qualità della vita. In questo
possiamo dire, compiendo un‟approssimazione che rettificheremo oltre, che gli interventi preventivi
si collocano su un continuum in una posizione intermedia tra la promozione della salute e la terapia.
La prevenzione assolve questo compito attraverso tre livelli (Fig. 3):
-
Prevenzione primaria: “il miglioramento delle condizioni di vita […] con il risanamento di tutti
quei fattori che possono contribuire a far emergere stati di disadattamento, di criminalità, o vere
e proprie patologie psichiche”;
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
-
Prevenzione secondaria: “o diagnosi tempestiva di ogni turba mentale e cura immediata già ad
un suo primo manifestarsi”;
-
Prevenzione terziaria: “o cura degli esiti delle malattie psichiche […]” (Galimberti, 1992).
FIGURA 3
Schema esemplificativo dei tre livelli di prevenzione (Galimberti, 1992).
Prevenzione primaria
miglioramento delle condizioni di
vita
Prevenzione secondaria
diagnosi tempestiva, cura
immediata già al primo manifestarsi
di un problema psicologico
Prevenzione terziaria
cura degli esiti delle malattie
psichiche
Come possiamo osservare con l‟introduzione del concetto di prevenzione non ci si scosta
definitivamente dalla definizione di malattia, presente anche nella definizione di igiene mentale.
L‟ottica non è meramente riparativa, condizione presente invece nel concetto di “cura”, ma si cerca
di scongiurare una condizione abnorme o lesiva, fisica o comportamentale. Igiene mentale e
prevenzione condividono l‟intento di tutelare la salute psichica in relazione alla definizione di
malattia mentale.
Passiamo ora ad introdurre il concetto di salute e quello di benessere al fine di evincere le loro
analogie e in cosa differiscono dai precedenti concetti di igiene mentale e prevenzione. Questo ci
permetterà di comprendere il passaggio dall‟assunto di cura a quello di igiene mentale, fino a
giungere alla più moderna accezione che sembra assumere la parola “prevenzione”. La salute è
definita come “condizione di piena efficienza funzionale che, nell‟uomo, comprende anche funzioni
logiche, affettive, relazionali, in contesti interpersonali e sociali. Tale condizione varia con le fasi
della cultura e non può essere tipizzata in modo definitivo. Il concetto di salute va distinto da quello
di norma i cui parametri sono definiti dai sistemi di riferimento adottati”. Notiamo che non essendo
riconducibile all‟assenza di malattia, non può essere ridotta a categoria medica, restando esclusiva
pertinenza dello psicologo. “Se è specifico dell‟uomo esser al mondo per decifrarne i significati
attraverso un sistema di segni, ogni compromissione di questa capacità di lettura investe
globalmente il suo stato di salute, che ha dunque riferimenti non solo organici, ma anche culturali”
(Galimberti, 1992). La definizione di benessere rimanda a quella di cenestesi, di cui ci avvaliamo:
“la consapevolezza del Sé somatico da parte di un soggetto è data da sensazioni di benessere,
generalmente associato al vigore o al rilassamento, […] è il risultato di una complessa interazione
tra condizione fisica e condizione emotivo-affettiva, per cui tanto i disturbi psichici, quanto le
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
malattie organiche possono determinare una sensazione di cenestesi negativa” (Galimberti, 1992).
Notiamo e ci limitiamo a considerare che il benessere come consapevolezza del Sé somatico risulta
dall‟interazione della sfera fisica e di quella psicologica. La stessa interazione è presente nella
definizione di salute. Inoltre entrambi le definizioni assumono esplicitamente forma positiva e non
rimandano al semplice aspetto di „assenza di malattia‟. Il riferimento alla parola “malattia” e alla
sua problematica definizione è definitivamente superato. Nonostante le inevitabili difficoltà
metodologiche nella definizione e nella misura del benessere, la promozione della salute e di un
sano sviluppo giustifica continui e crescenti investimenti, interessando gli sforzi più attuali.
L‟odierno approccio alla prevenzione enfatizza gli aspetti di promozione della salute partendo
appunto da una definizione di salute e benessere. Quindi la psicologia clinica si trova a rovesciare,
in certo senso, il primario assunto di cura del malato -ricordiamo a tal proposito l‟etimologia del
termine “clinico”, che deriva proprio dalla parola „letto‟, luogo di cura del paziente
istituzionalizzato. Ma nell‟operare questa inversione non si scosta dagli assunti tracciati da Witmer,
ovvero quelli di introdurre il metodo clinico nella pratica psicologica al fine di istituire un servizio
ambulatoriale e pubblico, tanto meno da quelli riportati nella definizione di psicologia clinica come
settore scientifico disciplinare. Anzi, si inserisce così un‟ulteriore applicazione all‟interno della
pratica psicologica che mobilita tutte le risorse possibili per il mantenimento della salute e del
benessere. L‟intervento resta attuabile comunque e preferenzialmente nell‟ottica di un servizio
territoriale.
Avendo inizialmente definito la prevenzione come “tutto ciò che concorre a ridurre l‟insorgenza di
malattie o di devianze”, la promozione della salute rientra a pieno titolo al suo interno e ne
costituisce una precisa categoria subordinata. Meno chiaro risulta il collegamento tra prevenzione e
trattamento, inteso come cura. Infatti nella definizione di “igiene mentale” si fa riferimento alla
prevenzione terziaria come “cura degli esiti delle malattie psichiche”. Questo legame può essere
colto partendo dalla prospettiva che anche la psicopatia conclamata può essere suscettibile di
peggioramenti, degenerando in una sintomatologia più severa o in una differente categoria
diagnostica. Quindi anche qui è possibile compiere un‟azione preventiva, ma questo uso della
parola prevenzione è collegato unicamente all‟aspetto della malattia, inoltre l‟evento saliente della
malattia o della devianza si è già verificato, vanificando gli sforzi di un‟azione che possa risultare
realmente preventiva, secondo la definizione prima indicata, ovvero di azione „che concorre a
ridurre l‟insorgenza di malattie o di devianze‟. Questi argomenti ci portano ad escludere il
trattamento, e quindi la prevenzione terziaria, da quelle che sono delineate come azioni preventive
nell‟accezione del termine qui definita. Tuttavia per maggior coerenza con la terminologia in uso si
è affrontato brevemente anche il campo del trattamento. Quindi come abbiamo avuto modo di
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
vedere, i concetti di prevenzione primaria, secondaria e terziaria nel campo della psicologia trovano
una parziale approssimazione, e forse una miglior definizione, in quelli più recenti di promozione,
prevenzione e trattamento (Fig. 4).
FIGURA 4
Il modello sequenziale di promozione, prevenzione e trattamento come continuum della linea di intervento nella
strategia della psicologia clinica (tratto da Introduction to Clinical Psychology, di Compas, Gotlib, Mc Graw Hill, 2002)
a confronto con i tre livelli di prevenzione: primaria, secondaria e terziaria (Galimberti, 1992).
Promozione della
salute:

interventi
rivolti a tutta la
popolazione

obbiettivo di
accrescere la
salute e il
benessere
Prevenzione:

interventi
rivolti verso
gruppi a rischio

obbiettivo è
ridurre il rischio
di sviluppare un
disturbo
Prevenzione
primaria:
 miglioramento
delle condizioni
di vita
Prevenzione
secondaria:
 diagnosi
tempestiva, cura
immediata già al
primo
manifestarsi del
problema
Trattamento:

interventi
rivolti a soggetti
che manifestano
già dei disturbi

obbiettivo di
alleviare il
disturbo
Prevenzione
terziaria:
 cura degli esiti
delle malattie
psichiche
Operando un confronto si nota una buona sovrapposizione concettuale tra quelli che genericamente
abbiamo chiamato livelli di intervento, ovvero promozione prevenzione e trattamento, e i livelli di
prevenzione: primaria secondaria e terziaria. Nei “livelli di intervento” la definizione della
popolazione cui è rivolto l‟intervento stesso e gli obbiettivi che questo si prefigge, rendono la
differenziazione immediata e fruibile. I riferimenti a termini come „problema‟ o „malattia psichica‟
sono sostituiti da quello più generico di „disturbo‟, che intende un turbamento nella funzionalità di
un organo o di un individuo e che in un contesto psicologico fa riferimento soprattutto al piano
comportamentale, senza però escludere un significato su un piano medico-organico. Possiamo
notare inoltre che mentre la prevenzione secondaria consiste in una cura immediata già al primo
manifestarsi di un problema -prende anche il nome di „diagnosi tempestiva‟-, la prevenzione come
categoria di intervento non rimanda alla manifestazione di una sintomatologia clinica, ma alla
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
presenza di fattori di rischio. L‟intervento sui fattori di rischio, piuttosto che sulla malattia
esordiente, enfatizza il concetto di prevenzione, distinguendola chiaramente da un intervento che
può essere inteso sul piano operativo e teorico come una cura, se pur tempestiva. Mentre il concetto
di cura è qui riferito ad un approccio e ad una pertinenza psicologica, per cui la prevenzione
secondaria potrebbe non interessarsi a malattie organiche o disturbi comportamentali, ma solo alla
generica psicopatia, l‟intervento preventivo sui fattori di rischio si rivolge indistintamente alla
psicopatia, ai disturbi comportamentali e alla malattia organica, senza per questo creare situazioni di
ambiguità tra competenze psicologiche e mediche. Ricordiamo che il concetto di “salute” non
essendo riconducibile all‟assenza di malattia, non può essere ridotto a categoria medica, restando
esclusiva pertinenza dello psicologo clinico.
Sembra invece esserci una buona affinità e nessuna incongruenza degna di nota tra i concetti di
prevenzione della salute e di prevenzione primaria, tra trattamento e prevenzione terziaria.
Questo confronto permette il passaggio da un approccio che parte da una precedente definizione
teorica (quello di “prevenzione primaria, secondaria e terziaria”), ad un altro che parte invece da
una prospettiva applicativa (promozione prevenzione e trattamento come livelli di intervento), che
semplifica e esclude questioni teoriche e riconduce l‟attenzione unicamente su un piano di realtà,
conservando comunque coerenza nelle definizioni e nelle pertinenze. Sembra opportuno
sottolineare che si stanno confrontando due realtà e due approcci storicamente differenti: quello
europeo, tipicamente interpretativo ed esistenziale, e quello americano, di formazione cognitivocomportamentale. La nostra trattazione si è riferita principalmente a due dei tre campi applicativi
esaminati: la promozione della salute e la prevenzione. Infatti secondo la definizione data e il
confronto con altri autori come B. E. Compas e I. H. Gotlib, questi due campi applicativi rientrano a
pieno titolo nelle competenze e perseguono gli obbiettivi propri di un intervento di tipo preventivo.
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LA PREVENZIONE IN PSICOLOGIA CLINICA: Promozione, prevenzione e psicoterapia
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la prevenzione in psicologia clinica, promozione