In copertina: La moltiplicazione dei pani.
Vetrata, Laboratorio d’Arte e Restauro Todisco”.
Chiesa del SS. Sacramento (Andria).
Con approvazione ecclesiastica
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Diocesi di Andria
Caritas Diocesana
Cinque pani e due pesci
Le opere di misericordia corporali nella Diocesi di Andria
a cura di Domenico Francavilla
A don Salvatore,
che ha sapientemente coltivato
l’albero della carità,
sotto le cui foglie molti potranno
trovare conforto.
PREFAZIONE
Cinque pani e due pesci.
Le opere di misericordia corporali nella diocesi di Andria
S.E. mons Raffaele Calabro
Tale pubblicazione nasce dall’esigenza di raccogliere i materiali e le
iniziative prodotte negli ultimi due anni dedicati dagli organismi internazionali: il primo alla povertà; il secondo al volontariato.
Don Domenico Francavilla, direttore della Caritas diocesana, coglie
l’occasione per rileggere il cammino compiuto dalla Caritas diocesana
in circa quarant’anni, che si spingono fino alla proto-storia, rappresentata da San Riccardo, Vescovo e Patrono di Andria (sec. XI) e dal
Venerabile Mons. Giuseppe Di Donna, che ha operato in Andria dal
1940 al 1952.
Che dire? L’impresa, seppur ardua ed impegnativa, si può giustificare con l’intento di far notare che la storia della diocesi è percorsa da un
filo rosso che viene da lontano e dalle origini. Andria si è rivelata nel corso
dei secoli terreno fertile per attecchirvi il seme fecondo della carità, o
meglio agapé, che è il cuore pulsante del Vangelo e quindi dell’opera di
evangelizzazione.
Sintomatico il binomio tracciato dalla Conferenza Episcopale Italiana
per il decennio 1990-2000 “Evangelizzazione e testimonianza della carità”.
“La carità – si diceva - è molto più impegnativa di una beneficenza occasionale: la prima coinvolge e crea un legame, la seconda si accontenta di un gesto.
Sempre seguendo l’esempio di Gesù, il Vangelo della carità ci stimola non solo
alle opere di misericordia corporale, per soccorrere le povertà materiali dei nostri
fratelli, ma anche alle opere di misericordia spirituale, per rispondere alle povertà umane più profonde e radicali, che toccano lo spirito dell’uomo e il suo assoluto bisogno di salvezza, e che oggi, in un paese come il nostro, sono anche socialmente le più diffuse e non di rado le più gravi” (n. 39).
7
Nella corposa mia Lettera Pastorale del 1994 “Solleciti per le necessità
dei fratelli. Educare la famiglia e la parrocchia alle opere di carità”, al cap. 6,
proponevo anche alcune iniziative concrete, quali:
1. pastorale organica (catechesi, liturgia e carità);
2. ruolo nevralgico della Caritas diocesana nelle ramificazioni delle
Caritas zonali;
3. valorizzare e sostenere il volontariato;
4. scuola di formazione teologica;
5. scuola di formazione all’impegno sociale e politico;
6. Osservatorio e mappe delle povertà.
Sento il dovere di elogiare i successivi Direttori della Caritas diocesana nel corso del mio più che ventennale servizio episcopale, ed in particolare il compianto Mons. Salvatore Simone e l’attuale, Don Domenico
Francavilla. Tutti si sono impegnati al massimo, andando oltre il limite
ordinario. Hanno tutti dimostrato fervore ed intuito creativo ed inventivo. Ci hanno aiutati tutti a pensare, come dicevo nella Lettera Pastorale,
alla carità in grande.
Né intendo trascurare tutti i miei confratelli presbiteri ed in particolare i parroci, per poi estendere un grazie sentito alle centinaia di laici
operanti nelle strutture parrocchiali e nei vari centri di ascolto o Caritas
zonali.
Non sono mancate né continuano a mancare alcune smagliature e ne
ho fatto partecipe di quando in quando i Direttori diocesani. Ma insistere più di tanto su questi limiti tipici della natura umana sarebbe forse
ingeneroso. Meglio guardare a quanto (ed è tanto, come attesta questa
pubblicazione) dovuto non solo ai nostri sforzi ma anche, e soprattutto,
all’opera della grazia divina.
Quando si opera nell’ambito della carità, ci si accorge subito che non
esistono limiti: più si opera e più i bisogni aumentano, specie in questo
periodo di forte crisi economica e di recessione, una sorta di supplizio di
Tantalo (il frutto ed il cibo sembrano vicini e quasi alla portata di mano,
e invece… il supplizio decretato dagli dei fa sì che la meta sempre si
allontani).
Questa pubblicazione, spero, serva a non farci perdere la fiducia e a
non cadere nello scoraggiamento.
8
Il fiume carsico sotterraneo che ha alimentato e continua ad alimentare la diocesi fin dai suoi albori, si va via via ingrossando. Il seme sepolto
nel terreno fertile (formelle in pietra delle opere di San Riccardo, custodite nella cappella del Santo in Cattedrale) producono nuove gemme.
“Il campo da coltivare – osservavo nella mia citata Lettera Pastorale – è
così ampio che può scoraggiare anziché invogliare a fare del proprio meglio perché almeno qualcosa cambi. Il meglio è nemico del bene. Inoltre, quello che supera le possibilità e le energie del singolo, può essere affrontato con fondate possibilità di riuscita dall’intera comunità ecclesiale nella varietà e molteplicità dei suoi
ministeri e carismi”.
Andria, 14 febbraio 2012,
festa dei Santi Cirillo, monaco, e Metodio, vescovo, Patroni d’Europa.
9
INTRODUZIONE
don Domenico Francavilla
Cinque pani e due pesci è il prosieguo delle altre due pubblicazioni curate dalla Caritas diocesana di Andria, Il cuore e le mani (2006), Il cielo e la
terra (2009), con lo scopo di raccogliere e riconsegnare i materiali che
descrivono i percorsi della comunità impegnata nel realizzare le opere di
misericordia corporali in Diocesi.
La convinzione è che non si debba disperdere tutta quella ricchezza di
idee, progetti, valori, atteggiamenti, azioni che la carità propone e fa realizzare in questa comunità particolare.
Nessun intento celebrativo o autoreferenziale. Semplicemente indicare ciò che siamo a partire da una educazione sapiente della carità “la carità educa il cuore dei fedeli e svela agli occhi di tutti il volto di una comunità che
testimonia la comunione, si apre al servizio, si mette alla scuola dei poveri e degli
ultimi, impara a riconoscere la presenza di Dio nell’affamato e nell’assetato, nello
straniero e nel carcerato, nell’ammalato e in ogni bisognoso” (CEI, Educare alla
Vita Buona del Vangelo, n. 39).
La genesi del testo è da rintracciare nei due anni che si sono succeduti dedicati dalla Commissione Europea alla lotta alla povertà e all’esclusione sociale (2009) e al volontariato (2010) e alle diverse attività svolte
nel biennio.
Abbiamo voluto leggere insieme queste due dimensioni che caratterizzano il vissuto e l’operato della Caritas diocesana e delle sue articolazioni. Se è vero che la Caritas deve preoccuparsi dei poveri (“particolare
attenzione agli ultimi”, art. 1; cfr. art. 2b.c.d) è altrettanto vero che compito
della Caritas diocesana è promuovere e formare i volontari (“promuovere
il volontariato e favorire la formazione degli operatori pastorali della carità”, art.
2; cfr. art. 11).
11
Cinque pani e due pesci rimandano subito alla pagina evangelica di
Giovanni 6,1 ss. e brani paralleli che combinano insieme lo sguardo di
Gesù sulla folla (“Gesù, alzati gli occhi e avendo visto che una grande folla
veniva a lui”), la domanda/risposta degli apostoli (“Dove potremo comprare pani perché costoro abbiano da mangiare?” / “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci”) e l’invito / compito di Gesù (“Voi stessi date
loro da mangiare” / “li distribuissero….”).
Un episodio evangelico che può essere un paradigma per l’essere e il
fare della carità. L’importanza della gestualità preceduta dalla capacità di
vedere (Benedetto XVI parla di “cuore che vede”) per poter cogliere la realtà profonda di ciò che si presenta dinanzi. Nel nostro contesto il bisogno
si fa esplicito, materiale, ma ciò non può oscurare la dignità dell’uomo!
Di fronte all’aumento dei bisogni, dei volti nuovi che assume la
povertà, siamo attraversati anche noi dalla consapevolezza del limite
(“non sono sufficienti/non bastano”). L’apostolo Filippo “chiarisce che la
‘fonte’ della risposta ai bisogni, la ‘fonte’ e l’origine del cibo non può essere ‘comprata’, cioè non può essere ottenuta sulla base di quello che possiedo e che posso
investire: neppure ‘duecento denari’ possono bastare per soddisfare minimamente quel bisogno. Chi non può comprare è colui che non è autosufficiente, ma
dipende dal dono, dipende dalla gratuità di qualcosa che può solo ricevere. C’è
un’origine che non ci possiamo dare da soli, ed è quell’origine che risponde al
bisogno profondo, quell’origine che è il principio della vita stessa. Gesù conduce
non semplicemente alla presa di coscienza del proprio limite, ma ancora di più
alla presa di coscienza della propria non-autosufficienza” (Suor Benedetta
Rossi, Signore da chi andremo? L’Eucaristia, pane per la vita quotidiana (Gv
6,1-71), 34° Convegno nazionale delle Caritas diocesane, San Benedetto
del Tronto, 26 – 29 aprile 2010). Rileggere la nostra storia ci porterà a comprendere come, sulla scorta del vangelo, il dono del pane che sfamerà i
cinquemila uomini viene da chi si pone a servizio con ciò che ha. “Il gesto
di sfamare la folla, il gesto della distribuzione di un pane che si moltiplica non è
tanto o semplicemente il gesto di ‘carità’, ma è quel gesto che svela la verità
nascosta dentro il proprio limite, la propria piccolezza, che – se riconosciuta e
offerta – può sfamare una moltitudine” (Rossi). Il servizio potrà porsi come
cifra che ci fa superare il limite e ci apre all’abbondanza, dal poco al molto
al sovrabbondante (dodici canestri…).
12
Nell’episodio evangelico ci sono gli aspetti sui quali abbiamo indagato, riflettuto, pregato. L’amore di Gesù Cristo, il bisogno dell’uomo, i beni
condivisi, la gratuità del servizio.
Ben presto, però, la prospettiva della pubblicazione si è ampliata. La
coincidenza con la celebrazione del 40° anniversario di Caritas Italiana ha
suggerito di rileggere la storia della nostra Caritas diocesana e della carità nella nostra Diocesi.
Non è scontato che si conosca quando la Caritas, quale organismo
pastorale del vescovo, è stato istituito in Diocesi. Certo non sarebbe potuta nascere prima del 2 luglio 1971, quando per volere di Paolo II fu sciolta la Pontificia Opera Assistenza (POA) e avviata la Caritas Italiana, ma
sicuramente poteva nascere con tutte le indicazioni emerse dal Concilio
Vaticano II visto che è stato il motore di un rinnovamento per la Chiesa e,
dunque, anche per la carità.
Ma la storia della Caritas non coincide con la storia della carità che è
stata sempre presente e ha accompagnato la nostra Chiesa locale sin dal
suo nascere. I due poli sono costituiti da due pilastri della carità: San
Riccardo e il venerabile mons. Di Donna. La carità non ha bisogno solo di
azione, ma anche di intelligenza e di cuore: la rilettura del magistero del
nostro vescovo Raffaele Calabro ci permette di verificare il cammino fatto
finora.
In questo tempo di riflessione e di azione abbiamo dovuto privarci
della presenza di don Salvatore Simone, deceduto il 22 maggio 2011,
grande animatore della carità in Diocesi, ma in vista della pubblicazione
lo avevamo intervistato il 7 giugno 2010. Avvertiremo come la passione
di un cuore che ama non si spegne mai e continua a far scorrere ancora
linfa vitale.
Il confronto si concentra sulla povertà che in questi anni sta aumentando, complice la crisi economico-finanzaria e stili di vita incentrati sul
consumismo, attraverso i report che annualmente vengono redatti dalla
Caritas diocesana. I numeri non sono mai asettici; ci descrivono un percorso di sofferenza, a volte di umiliazione che investe tanti nostri fratelli.
La comunità non resta distratta e lontana: negli anni ha attivato una rete
di sostegno e, grazie al IV° Censimento delle opere socio-assistenziali,
possiamo parlare di risorse della Chiesa investite direttamente sul territorio per alleviare le mille forme di privazione.
13
La Chiesa non è un’entità astratta. È fatta di persone costantemente
sollecitate e chiamate all’Amore. I laici, in modo particolare, diventano
protagonisti di questa grande avventura. Abbiamo voluto raccogliere i
contributi di tre grandi figure che hanno accompagnato la Caritas Italiana
in questi 40 anni: mons. Giuseppe Pasini, mons. Vittorio Nozza e mons.
Giancarlo Perego. Il volontario è colui che fa della gratuità la cifra della
propria esistenza. Perciò, una delle indicazioni degli Orientamenti pastorali dice che “vanno incentivate proposte educative e percorsi di volontariato
adeguati all’età e alle condizioni delle persone, mediante l’azione della Caritas e
delle altre realtà ecclesiali che operano in questo ambito” (EVBV, n. 39).
La consegna ha lo scopo, quindi, di rilanciare una sfida, quella educativa, perché dalla testimonianza della carità di una comunità i propri figli
possano continuamente essere sollecitati a vivere e a rispondere con
amore.
14
I PASTORI
FORMELLE DEL CAPPELLONE DI SAN RICCARDO
Caecus illuminatus
(Gli occhi del cieco si aprono alla luce)
Su di Andria
con le case, le torri, i segni del potere politico, la Cattedrale,
si apre in alto il Rotolo della Scrittura.
Prima di entrare nella Città, Riccardo
dona la vista a un cieco,
come aveva fatto Gesù, «luce del mondo»,
nelle vicinanze di Gerusalemme (Gv 9,1-7).
Questa scultura
si ispira alla Vita di San Riccardo
dell’ANONIMO autore del Quattrocento;
è evidente il richiamo alla pagina del Vangelo.
San Riccardo traduce la Parola nella pratica della vita
la incarna nelle opere dell’amore
vicino al suo popolo.
La carità di san Riccardo, “solamen miserorum”
don Carmine Catalano1 e mons. Luigi Renna2
Nell’atrio della Curia Vescovile di Andria è collocata da tempo la
pietra sepolcrale dell’antica confraternita di San Riccardo (sec. XVII)
che riporta lo stemma del pio sodalizio: una mano che impugna la catena di un prigioniero liberato e un cartiglio con le parole del più antico
inno conosciuto del Santo patrono di Andria: “O solamen miserorum”,
ossia “O conforto dei poveri”3. Questa testimonianza è una delle tante
che narrano una storia di fede che si intreccia con la carità, lungo la
millenaria storia di Andria. Di San Riccardo uomo di carità e conforto
dei poveri si può trattare in due modi: sia attingendo alla “leggenda”
della sua vita, attribuita al feudatario che restituì le spoglie del santo
vescovo al culto il 23 aprile del 1438, sia illustrando le azioni caritative
che nel nome del santo patrono sono state compiute nel corso dei secoli. In questo breve articolo seguiremo entrambe queste strade, tra loro
complementari.
Sono ormai passati i tempi nei quali gli storici locali discutevano e
scrivevano con animosità e orgoglio di Riccardo come di un santo del V
1
2
3
Vice postulatore Causa beatificazione mons. Giuseppe Di Donna.
Docente di teologia morale sociale presso la Facoltà Teologica Pugliese - Istituto
Teologico “Regina Apuliae”- Molfetta (Ba)
Cf. Antiphonarium De Sanctis (sec. XV), presso Biblioteca Diocesana di Andria. Nella liturgia del sec. XIX abbiamo un’antifona con questo titolo dato a Riccardo alle Lodi della festa:
“O solamen miserorum, Sancte Richarde gloriosissime, interveni pro nobis ad Deum”.
Officia sanctorum in civitate et dioecesi andriensi recitanda, Bononiae 1884, 131.
17
secolo, che partecipò con San Ruggiero di Canne e San Sabino di Canosa
alla consacrazione della Basilica di San Michele Arcangelo al Gargano4.
Già il bollandista Paperbrock (1628-1714) aveva messo in discussione la
storicità di questa tradizione di origine liturgica, partendo da un dato inequivocabile: nel V secolo Andria non esisteva come città5. È ormai chiaro
che Riccardo, vescovo “anglicus”, di probabile formazione monastica
come tanti missionari allora provenienti da Irlanda e Inghilterra, fu consacrato durante il papato di Adriano IV (1154-1159), pontefice anch’egli di
origine anglosassone. Di Riccardo si ha menzione nell’elenco dei vescovi
partecipanti al Concilio Lateranense del 1179 e in un documento trascritto dallo storico Ughelli, che testimonia del trasferimento di reliquie dei
santi Erasmo e Ponziano nella chiesa di san Bartolomeo nel 11966. Le scarne notizie storiche sulla biografia di Riccardo “anglicus”, furono colmate
dalla leggenda scritta dal duca mecenate e fine uomo di cultura Francesco
II del Balzo, che nel 1438 restituì ad Andria il culto ormai andato in oblìo
del santo vescovo. Nel periodo felice dei Del Balzo, con le prime tracce
della riscoperta di San Riccardo, secondo un disegno religioso e politico
che ritroviamo anche a Bisceglie - anch’essa feudo di Francesco II, nel
quale il duca si fece promotore della “invenctio” dei tre santi Mauro,
Sergio e Pantaleone - la città di Andria riacquista una sua chiara dignità
fatta di fede e cultura: “I Del Balzo hanno lasciato alla comunità civile e religiosa andriese una preziosa eredità di beni culturali, unici nella regione. Il ducato, infatti, godette di grande prestigio e ricchezza, dando origine ad una vera
4
5
6
18
Basti per tutti lo storico Riccardo D’Urso in R. D’URSO, Storia della città di Andria dalla sua
origine sino al corrente anno 1841, Napoli 1842, 20-36. Anche agli inizi del Novecento ci sono
stati dei sostenitori della presenza di un San Riccardo e dell’esistenza della città nel V
secolo: si tratta di uomini animati più da amor di patria che da rigore storico. Cf. D.
MORGIGNO, Risposta al libro di San Riccardo del prof. Riccardo Zagaria con appendice, Andria
1931; R. D’AZZEO, La Chiesa di San Pietro in Andria e l’epoca in cui vissero S. Riccardo e S.
Ruggiero. Osservazioni ad analogo opuscolo di Mons. Nicola Monterisi, Subiaco 1939.
È interessante notare come l’argomentazione storica del Paperbrock, che poi si è rilevata
più probabile, venga da D’Urso contestata con scarsità di prove storiche e con l’esclusivo
riferimento al testo liturgico della vita scritto solo nel secolo XV. Cf. D’AZZEO, o.c., 31 - 36.
Per un quadro completo del periodo storico cf. A. CARICATI, Andria, in S. PALESE - L. DE
PALMA (a cura di) Storia delle chiese di Puglia, Ecumenica, Bari 2008, 77-78.
‘rinascenza andriese’ nelle arti e nello sviluppo urbanistico e socio-economico
della città”7. A partire dal 1438 la leggenda, il culto, l’arte, le istituzioni, ci
danno uno stupendo affresco di una storia di carità nel nome di san
Riccardo, che è una costante ormai da circa sei secoli.
La carità di San Riccardo
Come interpretare la vita del santo scritta dal Duca del Balzo, la
Legenda miraculorum e la Vita scritta dall’Anonimo? Nel senso etimologico di “legenda”: storia, cioè, da interpretare, da leggere, nella quale c’è un
nucleo di verità, quello dell’esistenza di un vescovo che “rivoluzionò” la
vita religiosa e civile della città, ma anche una vicenda della quale non
conosciamo i dettagli e che viene colmata da uno sguardo di fede. La storia può essere sintetizzata in questi pochi versi, riportati dal prevosto
Giovanni Pastore nella sua storia manoscritta ormai andata dispersa, e
riportati dal Morgigno:
Beatus Richardus/ Ingrediens Urbem coecos aegrosque levavit/ tingit aqua
cives/ tollit in arce crucem 8 (Beato Riccardo/ entrando nella città sollevò i ciechi
e i malati/ disseta con l’acqua i cittadini/ innalza la croce nella città).
La sua opera è evangelizzatrice (tollit in arce crucem), ma anche taumaturgica e caritativa (coecos aegrosque levavit). Già nell’antica vita scritta dal
Del Balzo si dice: “…offrì se stesso come esempio di buone opere nella castità,
nell’astinenza, nella carità, nell’elargizione di elemosine, nell’ospitalità”9. In
maniera significativa, la seconda lettura dell’Ufficio delle letture presenta un testo di san Beda, anche lui “anglicus”, che in un passaggio dice: “La
lucerna del corpo è l’occhio. Il corpo significa le opere che appaiono davanti a
tutti. L’occhio è l’intenzione con cui si opera e dalla quale dipende il merito delle
opere della luce (…) Se pure e rette sono le intenzioni, tutte le cose che puoi fare,
il bene che cercherai, saranno opere della luce e davanti agli uomini non avranno imperfezione alcuna”10. La pietà ha colmato il vuoto del dettaglio storico
attribuendo a San Riccardo le virtù di un autentico pastore santo: l’an-
7
8
9
10
Cf. ivi, 79.
Cit. MORGIGNO, o.c., 62.
Officia sanctorum…, 126. La traduzione dal latino è nostra.
Ivi, 131.
19
nuncio del Vangelo con la predicazione e l’esempio, la carità, la riforma
della vita cristiana nel clero e in tutti i fedeli. A questo riguardo, scrive
Mons. Giuseppe Lanave con fine intuito: “San Riccardo arriva in Andria
verso il 1154. vi rimane per oltre 40 anni, sino al 1196. Dà un volto a questo
popolo. Lo compagina in una fede squisitamente evangelica, chiara, liberatrice,
operante. Lo libera dagli inquinamenti e dagli equivoci morali che conseguono
alla indisciplina ed alla decadenza dei costumi. San Riccardo non attua solo la
riforma, la ricristianizzazione del popolo di Andria. Garantisce la sua opera con
la collaborazione di un clero che immette nelle responsabilità di una pastorale”.11
La legenda miraculorum è stata visivamente raffigurata nel grande arco
della cappella omonima in Cattedrale: mentre nelle formelle dell’arco
sono raffigurati i profeti, allusione all’opera evangelizzatrice e riformatrice di san Riccardo – ma a volte interpretati come i protagonisti della
invenctio12 o come lo stesso Riccardo raffigurato più volte nel gesto di
annunciare la Parola di Dio13 -, sui pilastri le sedici formelle rendono visibili i miracoli e gli episodi di carità del vescovo, sia in vita che in morte.
Bene scrive Schiavone: “Attraverso queste sedici sculture giungono a noi,
come in un documento di pietra, alcuni frammenti di vita dell’Andria del
Quattrocento e della sua gente: dei suoi bisogni e delle sue difficoltà, delle ansie
e delle sofferenze esistenziali, della fiducia che dà la presenza nella città di un
Santo che assiste,, protegge, esaudisce, vicino al suo popolo come rifugio e come
speranza”14. Una formella, in maniera sintetica di tutti i prodigi compiuti
dal santo, ci rappresenta le folle di disperati che andavano da lui, con la
scritta Omnes q(ui) affereba(n)tur infirmi sanaba(n)tur (tutti coloro che infermi venivano condotti, erano guariti).
Mons. Giuseppe Ruotolo, vescovo di Ugento - S. Maria di Leuca
(1937-1968), nel riportare alcuni brani della biografia anonima del santo,
mette in relazione le guarigioni con l’opera di evangelizzazione: come per
il Signore Gesù, la guarigione rimanda alla presenza del Regno di Dio e
11 G. LANAVE, Alla scoperta del volto di San Riccardo, supplemento alla Rivista Diocesana
Andriese, Andria 1985, 5.
12 Così in una stampa ottocentesca.
13 Cf. V. SCHIAVONE, San Riccardo protettore di Andria riscoperto come vescovo del vangelo e della
carità nei bassorilievi della cattedrale, Grafiche Guglielmi, Andria 1989, 114-115.
14 Ivi, 119.
20
all’avvento di una salvezza che coinvolge tutto l’uomo. Ad esempio, la
quarta parte della biografia anonima parla diffusamente dell’ingresso del
santo in città e così comincia: “Avendo trovato innanzi alla città un cieco ed
una paralitica, che chiedevano l’elemosina, cominciò a predicar loro la parola di
Dio, ascoltato attentamente, essendo egli professore di teologia e di una straordinaria eloquenza. E, accorgendosi che il cieco prestava particolare attenzione, gli
domandò se intendeva credere e battezzarsi con la speranza di ricevere la vista. Il
cieco rispose: Credo in Gesù Cristo che tu predichi e chiedo di essere da te battezzato. Ciò detto, dopo che San Riccardo fece un segno di croce sugli occhi, il cieco
immediatamente acquistò la vista e, gettato via il bastone, con l’aiuto del quale
camminava quando era cieco, rese grazie a Dio e al beato Riccardo, per opera del
quale aveva visto la luce”.15 La testimonianza del vescovo Riccardo chino
sulle necessità del suo popolo non è limitata al secolo XV-XVI, ma accompagna tutta la storia di Andria, con la sua quotidianità e le sue attività.
Uno degli episodi del suo patrocinio sull’economia della città è la guglia
eretta nel 1741 a piazza la Corte, un ex voto cittadino per la liberazione di
un’invasione di voraci cavallette, pericolo temibile per i raccolti che
rischiava di ridurre alla fame la popolazione. Così parla di questo miracolo, in maniera pittoresca, lo storico D’Urso: “…mentre parte (delle cavallette) ne cadeva in città, nella guisa che discende a spessi fiocchi la neve, e n’empiva i tetti, le pareti, le strade; parte s’intrometteva nelle case e tormentava i cittadini nelle cucine, nelle tavole e ne’ letti. Percossa la popolazione da un sì orribile castigo, corse alla mediazione dell’inclito Protettore s. Riccardo, affinché
avesse liberati i figli suoi da sì triste calamità. S’incominciò la novena nella sua
Cappella, coll’intervento di tutto il Clero Secolare e Regolare, nonché di questa
Università. Quando nella notte dell’ultimo giorno compiacendosi Iddio, ad intercessione del suo santo, accordarne la grazia, tutte morirono”16. Più vicina a noi
nel tempo è la testimonianza pittorica di un ex-voto del sec. XIX, oggi
posto nel Cappellone del Santissimo Sacramento accanto alla statua del
nostro patrono. Si tratta dell’espressione di gratitudine per uno scampato pericolo sul lavoro, e raffigura un contadino accanto ad un ulivo. Così
è scritto sulla tela: “Michele Cassano di Andria nel dì 19 settembre 1855, mentr’era con altri nel fondo denominato Palombaro si vide in un baleno trasportato
15 G. RUOTOLO, Il volto antico di Andria fidelis, Grafiche Guglielmi, Andria 1990, 109.
16 R. D’URSO, o.c., 163.
21
da impetuoso alluvione, nel quale i suoi compagni perirono, ed esso invocando il
nome del santo protettore, miracolosamente fu libero, pel sostegno di un albero di
olivo, che punto non si scosse all’impeto di quell’elemento ferale. Ond’è, che in
memoria e devozione al santo fa pingere questa effige”.
La fede del popolo andriese ha visto in San Riccardo il conforto dei
poveri nelle varie situazioni di precarietà di salute fisica o economica, e
ancora oggi nel responsorio invoca il suo patrocinio per allontanare i
pericoli che minacciano l’uomo di ogni tempo: “…et a nobis averte pestem,
famem et bellum”, e “da noi tieni lontano peste, fame e guerra”.
La carità in nome di san Riccardo
La devozione a san Riccardo si è da subito tradotta in carità, e accanto al culto del santo patrono abbiamo costantemente l’attenzione alle
povertà che nelle varie epoche hanno provato la vita dei cittadini andriesi. Risale già al 1265, secondo il D’Urso, la presenza di due ospedali
accanto alla Porta Santa, cosiddetta perché secondo la tradizione da essa
sarebbero entrati sia San Pietro che San Riccardo. È proprio nella chiesa
di Porta Santa che abbiamo una delle testimonianze artistiche più belle
della carità andriese: un piedritto dell’altare della Madonna della Neve
raffigura i malati distesi sui letti dell’ospedale mentre vengono curati dai
confratelli ( sec. XVI). Se è plausibile la presenza di ospedali e luoghi di
accoglienza dei forestieri all’ingresso della città già nel secolo XIII, la
dedicazione di un ospedale a San Riccardo risale solo al periodo di
Francesco II del Balzo, il quale nel 1420 lascia una rendita ai quattro spedali della città: quello di S. Maria della Misericordia (forse il più antico),
quello di san Riccardo e quelli di san Bartolomeo e della SS. Trinità.
Questi ultimi due erano stati fondati dalle famiglie Quarti, Marulli,
Fanelli, Madia, Superbo.17 Successivamente l’ospedale intitolato al patrono fu trasferito dal luogo angusto accanto alla summenzionata chiesa, ad
uno più ampio vicino alla Cattedrale, nell’attuale via Gammarota. Infine
nel 1528, sotto l’episcopato di mons. Florio, rimasero solo quello della
Misericordia e quello di san Bartolomeo, mentre gli altri due furono sop-
17 Ivi, 80.
22
pressi per dare vita al monastero benedettino della SS. Trinità e di san
Riccardo.18 Anche la città di Andria, come altri luoghi d’Italia e d’Europa,
ha avuto quindi i suoi primi luoghi pubblici di cura, gli ospedali, come
frutto dell’impegno caritativo di confratelli che si sentivano sollecitati a
prendersi cura sia dei loro concittadini, sia dei forestieri ammalati e dei
pellegrini di passaggio.
Uno dei problemi sociali di sempre è stato quello degli orfani e delle
orfane. Soprattutto queste ultime rischiavano di non avere la possibilità
di sposarsi perché non possedevano una dote. Una delle opere di carità a
favore del maritaggio delle zitelle orfane o povere, è legata al culto di san
Riccardo. Ad istituirla fu il duca Ettore II Carafa , per sciogliere un voto
fatto a San Riccardo, alla cui intercessione, insieme alla moglie Francesca
Guevara, si era affidato per avere il dono di un figlio maschio, che nacque e fu chiamato Riccardo. Il duca nel 1739 donò sessanta mucche alla
cappella di san Riccardo, che costituirono un capitale di seicento ducati:
fu questo il Monte del Cumulo di San Riccardo. Quattro amministratori e
il canonico priore di San Riccardo, fino al 1861, amministravano questi
beni per “usi pii” e per “maritaggi”19. Tre lapidi nel passaggio dalla cappella di san Riccardo alla sagrestia capitolare attestano questa pia opera,
che molto bene ha fatto non solo per il decoro del luogo di culto, ma
anche per la costituzione di nuove famiglie.
San Riccardo ha incarnato nel ministero episcopale la difesa dei
poveri, attraverso i compiti propri del vescovo: l’evangelizzazione e la
carità (“Il Signore mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio”
Lc 4,18) e così edifica la porzione di Chiesa affidatagli. Il Pastor anglicus
vive così il suo episcopato: immerso nelle vicende del popolo, unifica e
fortifica la fede di ogni andriese, anche dopo la sua morte. L’esempio di
San Riccardo illumina la vita ecclesiale anche nei tempi odierni, ed è in
piena consonanza con quanto scrive l’esortazione post-sinodale
“Pastores gregis”, quando sottolinea lo spirito di carità che deve essere
vissuto nel ministero episcopale: “Essere procurator pauperum è stato
sempre un titolo dei pastori della Chiesa e deve esserlo concretamente anche
18 Ivi, 132.
19 Ivi, 165. Cf. AGRESTI, o.c., 299
23
oggi, per rendere presente ed eloquente il messaggio del Vangelo di Gesù Cristo
a fondamento della speranza di tutti, ma specialmente di coloro che solo da Dio
possono attendere una vita più degna e un migliore avvenire. Sollecitate dall’esempio dei Pastori, la Chiesa e le Chiese devono mettere in atto quella “opzione preferenziale per i poveri”20.
Ancora più esplicitamente il beato Giovanni Paolo II esortava i vescovi con queste parole: “Nell’azione pastorale del Vescovo non può mancare una
particolare attenzione alle esigenze di amore e di giustizia che derivano dalle condizioni sociali ed economiche delle persone più povere, abbandonate, maltrattate,
nelle quali il credente vede altrettante speciali icone di Gesù. La loro presenza
all’interno delle comunità ecclesiali e civili è un banco di prova per l’autenticità
della nostra fede cristiana. Ai Vescovi del terzo millennio è chiesto di fare ciò che
tanti santi Vescovi seppero fare lungo la storia, sino ad oggi. Come san Basilio,
ad esempio, il quale volle addirittura costruire, alle porte di Cesarea, una vasta
struttura di accoglienza per i bisognosi, una vera cittadella della carità, che da
lui prese il nome di Basiliade: traspare da ciò chiaramente che «la carità delle
opere assicura una forza inequivocabile alla carità delle parole». Questa è la strada che anche noi dobbiamo percorrere: il Buon Pastore ha affidato il suo gregge
ad ogni Vescovo, perché lo alimenti con la parola e lo formi con l’esempio”21.
20 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione post-sinodale Pastores gregis, 2003, n. 20.
21 Ivi, n. 69.
24
“Mons. Giuseppe Di Donna,
servo di Cristo e della Chiesa”
don Carmine Catalano
La Diocesi di Andria, nella serie dei tanti testimoni di carità che annovera, ha avuto dalla Provvidenza un grande servo della Chiesa, il
Vescovo Giuseppe Di Donna, oggi riconosciuto Venerabile.
È stato vescovo nel secolo delle due guerre mondiali, nel periodo che
va dal 1940 al 1952.
Chi è ancora in vita lo ricorda come uomo di carità operosa e le numerose testimonianze scritte sono l’ulteriore prova.
Sin dal suo motto sullo stemma episcopale possiamo evidenziare questa particolare attenzione: “Gloria tibi, Trinitas, et captivi libertas”.
Non solo l’impegno spirituale a consacrare la propria vita alla gloria
di Dio Trinità, ma anche un programma preciso, il cui obiettivo era quello della liberazione integrale dell’uomo.
Da qui deriva l’impegno a rivestire l’uomo nudo, privo di sostegno
materiale e spirituale in un periodo triste della vita sociale.
Il Vescovo Di Donna fece il suo ingresso nella Diocesi di Andria il 5
maggio 1940 e il 10 giugno dello stesso anno, Mussolini annunciava al
mondo che l’Italia entrava in guerra.
Gli avvenimenti della seconda guerra mondiale incidono profondamente nell’animo e nella prassi pastorale del Venerabile.
Il biografo racconta che “appena ricevuta la notizia, il Vescovo si ritirò nella
sua cappella privata e sprofondò nell’adorazione al Santissimo Sacramento. In questa intensa adorazione ebbe chiara visione di un mondo che cadeva in una profonda rovina. A questo abisso di malvagità bisognava ricorrere, bisognava riparare”22.
22 VASCO LUCARELLI, Luce dalla Murgia. Vita del Servo di Dio Mons. Di Donna, Roma 1983,
pag. 276.
25
Ecco l’idea-progetto di consacrare la Diocesi di Andria al Sacro Cuore.
In risposta all’odio, all’egoismo e agli orrori della guerra, si proponeva
l’abisso d’amore che scaturiva dal Cuore di Cristo.
Ancora il biografo immortalava questa decisione: “le notizie della barbarie della guerra, dell’odio che si era sostituito al desiderio di vita, dell’egoismo
che aveva rotto i rapporti tra gli uomini, sempre più gli offrivano l’immagine di
Gesù abbandonato, di Gesù sofferente che mostrava il suo cuore martoriato dalla
malvagità degli uomini”23.
Oltre alla reazione della coscienza e dello Spirito, il santo Vescovo si
adoperò molto per sollevare le membra doloranti del suo popolo in
maniera concreta, dando a chi bussava alla sua porta ciò che possedeva,
anche i suoi paramenti e le sue scarpe.
A questo riguardo, ci sono tante testimonianze, voglio citarne una,
quella di suor Lorenza della Madre di Dio, Suora Trinitaria al servizio del
Venerabile dal 1942: “Ha praticato la povertà. A volte dovevamo chiudere il
cambio della biancheria per impedirgli di darlo in elemosina. Aiutava tanto i
poveri e i bisognosi. Li alloggiava nell’episcopio quando avevano bisogno”24.
Tuttavia non si fermò ad una carità fatta di semplice elemosina, ma
costituì nel 1947, immediato dopo secondo guerra, associazioni laicali, il
cui obiettivo era quello di “portare un valido contributo con lo studio e
l’opera, alla soluzione dei problemi locali inerenti alla disoccupazione ed
al disagio economico, sanitario e morale della città, onde ottenere condizioni generali di vita più rispondenti alla dignità di uomini e di cristiani
per tutti i suoi abitanti”25; infatti l’associazione si chiamava “Centro
d’Azione Sociale pro Andria”.
Nello stesso anno, ottenne dalla Pontificia Opera di Assistenza l’istituzione di un centro operativo con un vasto programma assistenziale nei
confronti del bracciantato agricolo. Era il primo germe di quella che sarà
la “Comunità Braccianti”. L’obiettivo di tale associazione era quello di
“abbracciare la categoria (dei braccianti) nella molteplicità dei bisogni individuali, coordinandole e completandole sul piano etico ed economico”26.
23 Idem, pag. 277
24 POSITIO SUPER CAUSAE INTRODUCTIONE. Summarium. XX testis, Suor Laurentia a Matre
De, Roma 1983, pag. 143.
25 Cfr. STATUTO CENTRO D’AZIONE SOCIALE PRO ANDRIA.
26 Cfr. PREMESSA ALLO STATUTO COMUNITÀ BRACCHIANTI.
26
Il nostro Vescovo-pastore-padre incarnava con queste scelte di fondo
sia nella sua vita quotidiana, che nel suo ministero episcopale, il suo essere servo di Cristo e della Chiesa.
Il suo era servizio a Cristo per il semplice fatto che in quei disperati si
nascondeva il volto di Cristo, secondo l’insegnamento del Maestro: “In
verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più
piccoli, lo avete fatto a me”.
La lunga esperienza in Madagascar lo aveva allenato a coniugare l’impegno dell’evangelizzazione con l’attenzione ai più poveri.
Infatti, già nella Quaresima del 1943 aveva pubblicato una lettera
pastorale di contenuto religioso-sociale. Il pastore e servo del suo gregge
esortava i suoi figli a rifugiarsi nella Divina Provvidenza. Da buon conoscitore dell’animo umano, aveva messo in atto una pedagogia semplice e
per questo efficace, fatta di concretezza, che aveva potuto verificare nella
sua vita e nella storia della evoluzione dell’uomo.
Anche in quell’ora tremenda e buia della storia, la mano della
Provvidenza aiuterà ad uscire l’umanità dal baratro della malvagità della
guerra.
Ma gli avvenimenti che seguiranno furono ancor più tragici e precari
e culminarono nei famosi moti di Andria con l’eccidio delle sorelle Porro.
Come sappiamo, questo avvenimento fu la classica “goccia che fece traboccare il vaso” dell’odio e della contrapposizione feroce tra i cattolici e i
socialisti-comunisti.
Il Venerabile Mons. Di Donna in quel momento storico divenne perfetta e limpida immagine dell’uomo, sacerdote e Vescovo al servizio della
Verità e della Carità. Infatti mise in atto tante iniziative di mediazione tra
le diverse fazioni. Di notte vegliava in preghiera nella cappella privata
dell’episcopio, di giorno incontrava in municipio autorità, sindacalisti e
rivoltosi per sedare gli animi e riportare la calma in città. Benediceva le
vittime, visitava i carabinieri presi in ostaggio.
Coinvolgeva tutto il popolo cristiano, dopo quei fatti gravi, attraverso una grande processione penitenziale, che percorreva a piedi nudi, reggendo tra le mani la teca della Sacra Spina.
Anche in questa veste di mediatore e ambasciatore di pace e, nello
stesso tempo, mistico, intravediamo i tratti del servo per eccellenza, Gesù
Cristo.
27
Il Vescovo Di Donna ha saputo leggere e discernere i segni dei tempi,
quelli tetri e oscuri della guerra, e così ha potuto essere per il popolo a Lui
affidato segno di Cristo servo.
Nell’ambito della pastorale che oggi chiamiamo sociale il nostro Mons.
Di Donna è stato lungimirante e ha visto prima di tutti, organizzando le
prime cooperative agricole, realtà normali nei nostri tempi, ma che in
quel momento storico (secondo dopo guerra) furono straordinariamente
un atto di coraggio e di sapienza pastorale. Facendo così attirò molti braccianti che vedevano la Chiesa lontana dai loro bisogni e problemi.
Il suo esempio, e quindi la conoscenza del suo operato può dare a noi
lo slancio e l’entusiasmo perché la nostra chiesa locale, leggendo i segni
dei tempi, possa trovare strumenti efficaci per la lotta ed esclusione
sociale.
28
Carità e Caritas nel magistero di mons. Raffaele Calabro
don Domenico Francavilla
Il 29 gennaio 1989 mons. Raffaele Calabro iniziava il suo ministero
pastorale nella nostra Diocesi. In questi lunghi 23 anni molto ha fatto per
la carità: come non ricordare che l’istituzione della quasi totalità della storia della Caritas diocesana coincide con il suo ministero o la realizzazione della Casa di accoglienza “Santa Maria Goretti” e la progettazione
dell’Oasi Madonna della Pace, oltre all’impulso per la nascita e la costituzione dei Centri interparrocchiali27?
In questi anni ci ha donato lo Statuto della Caritas diocesana (29 aprile 1993), le indicazioni di carattere pastorale per la nascita delle Caritas
parrocchiali e il loro Statuto – tipo (8 marzo 1995), lo Statuto
dell’Osservatorio socio-politico e delle povertà in Canosa di Puglia (22
ottobre 1996), il Regolamento – tipo dei Centri di solidarietà (4 luglio
1997)28.
In questo breve articolo non considereremo l’impegno del vescovo
per le opere, ma rileggeremo il magistero delle lettere pastorali e i messaggi per la Quaresima scritti in questi anni e donati alla Chiesa di
Andria.
27 Nella sua preoccupazione di pastore, oltre ad aver favorito la nascita di tutte le strutture necessarie per un servizio capillare e consono ai tempi, il vescovo ha saputo
muovere anche quelle osservazioni necessarie per una verifica puntuale della testimonianza della carità. Nella Lettera pastorale sul sovvenire e povertà evangelica, “Da ricco
che era si è fatto povero” (2Cor 8, 9), Grafiche Guglielmi, Andria 1999, ad esempio evidenzia “il non perfetto funzionamento di tutti i Centri di accoglienza e di assistenza costituiti a livello zonale, come pure la segnalazione di indigenza e di povertà da parte delle parrocchie…” (pg. 19).
28 Cfr. RAFFAELE CALABRO, Norme giuridiche della Diocesi di Andria, Grafiche Guglielmi,
Andria 1999.
29
Sono diverse le lettere pastorali scritte dal vescovo e diverse sono le
occasioni che le hanno generate, mentre i messaggi per la Quaresima
hanno la funzione di invitare a vivere con intensità questo tempo di conversione per l’intera comunità cristiana.
Non seguiremo l’ordine cronologico di questi scritti, ma partiremo
dalla lettera più significativa per il tema che stiamo trattando “Solleciti per
le necessità dei fratelli (Rm 13,13)”. Educare la famiglia e la parrocchia alle opere
di carità del 14 settembre 199429 (d’ora in poi SNF), e procederemo con
alcuni collegamenti tematici.
Uno sguardo al contesto ci fa comprendere due attenzioni pastorali: il
magistero del vescovo, nei primi anni del suo ministero pastorale, si concentra sul tema della famiglia30 e gli anni ’90 sono dedicati dalla Chiesa
Italiana al Vangelo della Carità31.
Come per il magistero di papa Benedetto XVI32 così per il nostro
vescovo possiamo dire che la lettera del 1994 rappresenta il tema di fondo
e l’orientamento della sua azione di pastore33.
Una lettera per una Chiesa sollecita nella carità
La lettera pastorale SNF, che inaugura un triennio pastorale, risponde
alle seguenti esigenze espresse direttamente dal vescovo “…non vogliamo
perdere di vista la famiglia né l’opera educativa, ma allarghiamo il campo di
osservazione, rivolgendolo all’intera comunità ecclesiale… Senza una comunità
cristiana che, nel suo insieme, testimonia la carità e non soltanto l’annuncia e la
29 RAFFAELE CALABRO, Solleciti per le necessità dei fratelli (Rm 13, 13). (Educare la famiglia e
la parrocchia alle opere di carità), Grafiche Guglielmi, Andria 1994.
30 È del 1992 la lettera pastorale “La famiglia sulle orme del risorto”, Stampa Poligrafico
Andriese, Andria 1992. Il vescovo vuole indicare una prospettiva nuova per l’azione
pastorale non più incentrata solo sulla persona. Infatti, afferma: “Porre la famiglia al
centro comporta aprire la pastorale in genere e le sue varie dimensioni (vocazionale, liturgica,
caritativa, missionaria) alla famiglia…” (p. 11)
31 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Evangelizzazione e testimonianza della carità.
Orientamenti pastorali per gli anni ’90. Interessante rileggere il testo del Programma
pastorale diocesano 1991 – ’94, “Insieme per costruire comunità parrocchiali vive nel territorio”, estratto della Rivista Diocesana Andriese, Anno XXXIV, n. 4 – 5.
32 La prima enciclica del papa Benedetto XVI è stata la Deus Caritas Est del 25 dicembre
2005.
33 Temi che si trovano accennati nella lettera “La famiglia sulle orme del risorto” saranno
sviluppati ampiamente in “Solleciti per le necessità dei fratelli…”.
30
predica, anche la ‘carità familiare’ perde vigore e smarrisce le ragioni…dell’apertura e della sensibilità alle necessità dei fratelli”34.
Sempre nella introduzione viene indicata un’altra motivazione per cui
il vescovo si accinge a scrivere una lettera sulla carità: “L’ultima ragione
risiede nella situazione della nostra Diocesi, ove ad un occhio esercitato e responsabile non sfuggono i numerosi e talora drammatici bisogni di una cospicua parte
della nostra popolazione, dalla disoccupazione e sottoccupazione giovanile, alle
ristrettezze economiche conseguenti alle crisi ricorrenti nel mondo agricolo e nei
settori chiave della produzione, (..) al problema della sofferenza e della malattia,
dei disabili, dei malati di mente, della carenza e malfunzionamento delle strutture sanitarie pubbliche e private, dal problema degli anziani, a quello della tossicodipendenza e dell’AIDS, al problema dei minori e delle devianze minorili, al
problema delle persone sole, al problema dei migranti ed extracomunitari o terzomondiali presenti in mezzo a noi”35.
a) I fondamenti
La lettera pastorale è suddivisa in 6 capitoli.
Il primo tratta del tema “La Carità nella Sacra Scrittura”36. A partire
dall’Antico Testamento ricerca i fondamenti biblici della carità che “deve
manifestarsi nella vita quotidiana”37 e avere il “carattere della gratuità”38. È
nelle pagine del Nuovo Testamento che emerge il tratto di mistero della
carità di Dio, “oggetto di rivelazione (..) Accogliere la Rivelazione divina non
significa soltanto credere che Dio ci ama, ma anche aprire la porta della nostra
esistenza al dono divino dell’amore”39. Nel confronto con i Vangeli sinottici
34 SNF, p. 4.
35 Ibidem, p. 6
36 Vedi anche RAFFAELE CALABRO, “Uomo dei dolori che ben conosce il patire” (Is 53, 3).
Lettera pastorale per la quaresima 2003, Grafiche Guglielmi, Andria 2003, pp. 72 – 77.
37 SNF, p. 11
38 Ibidem, p. 13
39 Ibidem, pp. 13 – 14. Nella Lettera pastorale alle famiglie della Diocesi per la
Quaresima 2005 e l’Anno del Perdono, Care famiglie, vi scrivo, Grafiche Guglielmi,
2005, parla del Vangelo della sofferenza di Gesù che “continua a narrarci e testimoniare
l’amore di Cristo e l’amore del Padre per l’umanità e ciascuno di noi e illumina la zona d’ombra che costituiscono da sempre per l’umanità il dolore, la sofferenza, la malattia, la morte” (p.
13) e conclude “Né soltanto per i malata, i poveri, gli agonizzanti la croce gloriosa del
Signore irradia luce, ma essa dà la carica ai buoni samaritani, che, come Lui, continuano a chinarsi sui malati, gli oppressi, gli sfiduciati…” (p. 14).
31
il Mistero si misura concretamente a partire da alcuni esempi offerti dal
Maestro stesso. Commentando Matteo 25 il vescovo afferma: “le opere di
carità ricordate sono una manifestazione del comandamento fondamentale dell’amore, e non semplici opere benefiche compiute senza spirito di benevolenza”40.
L’incursione nella Sacra Scrittura termina con il riferimento all’apostolo
Paolo, a colui che ci ha donato l’Inno alla Carità e che ci ha fatto comprendere come “la carità è sì un comandamento divino, ma, ancor più ed
ancor prima, è un dinamismo nuovo che il Padre ci dona”41. Il vescovo conclude dicendo che “la carità, in altri termini, è una forza che costruisce la comunità cristiana ed anima la crescita e lo sviluppo armonico del corpo di Cristo”42
(cf Ef 4, 16).
Le modalità con cui si vive la carità sono trattate nel 2° capitolo.
Dopo aver illustrato che la carità ha una sua sorgente divina e trinitaria, il vescovo giunge a dire che “spetta al credente ed alla comunità cristiana, animata dallo Spirito, dare un nome alla concreta forma di impegno nelle differenti situazioni storiche ed esistenziali”43 e mettendo in guardia da ogni formalismo, aggiunge che: “limitarsi alle forme della carità già codificate, cristallizzate, a tutti note e da tutti riconosciute vorrebbe dire rendere angusto, inadeguato, inattuale il compito sempre nuovo della carità”44. Parte così la ricerca
nella Dottrina Sociale della Chiesa e nel magistero più recente del pontefice Giovanni Paolo II sulla “opzione preferenziale dei poveri”, che richiede oggi “un’analisi oggettiva del tipo e grado di povertà, con riferimento ad una
serie di indicatori attendibili circa la reale situazione. Solo così si possono apportare rimedi efficaci, senza cadere nella retorica o nelle proposte vaghe che lasciano le cose invariate”45.
Il vescovo si sofferma ampiamente sul “privilegio” del povero, dedicandogli un paragrafo e attingendo, perché condiviso profondamente, da
quanto la stessa Caritas Italiana affermava in quegli anni. Ricorda, anche,
che “non spetta alla comunità cristiana sostituirsi alle istituzioni pubbliche” ma
40
41
42
43
44
45
32
SNF, p. 22
Ibidem, p. 23
Ibidem, p. 24
Ibidem, p. 27
Ibidem, p. 28
Ibidem, p. 34
che “spetta tuttavia ad essa far emergere energie e criteri capaci di formare cristiani sensibili, attivi nella società e nelle istituzioni”46.
Non manca il riferimento alle “Opere di misericordia corporale e spirituale” come tradizione propria della Chiesa, che, anticipa il più ampio
riferimento al rapporto tra carità e giustizia47 e la carità nel sociale e nel
politico48.
Il vescovo si sofferma anche sul concetto di solidarietà verificandone
la fondatezza per la fede cristiana nei documenti pontifici. Nella sua azione di analisi giunge anche ad esprimere una valutazione: “Si direbbe, paradossalmente, che il ripetuto appello alla solidarietà è oggi inversamente proporzionale alla pratica effettiva di questo valore nella società contemporanea”49. Alla
critica ad una società e ad una concezione dell’uomo fortemente ripiegato su se stesso, si evidenzia il fermento presente in “aree quantitativamente limitate, una promettente riscoperta del valore della solidarietà”50.
b) I testimoni
I soggetti della Carità sono messi in evidenza nel terzo capitolo di
SNF. Il vescovo traccia in questo capitolo una mappa a partire dall’idea
che la “carità è il cuore della Chiesa”, espressione mutuata da Giovanni
Paolo II. La carità non è vista come le cose da fare, ma costituisce l’essenza stessa della Chiesa, la sua ragion d’essere51.
46 Ibidem, p. 37
47 Cfr. DCE nn. 26 – 29.
48 Sempre più si è fatta strada la consapevolezza che i laici devono operare secondo i
valori cristiani nella società e nella politica per la ricerca e l’affermazione del bene
comune. Afferma Benedetto XVI: “la carità deve animare l’intera esistenza dei fedeli laici
e quindi anche la loro attività politica, vissuta come «carità sociale»” (DCE, 29).
49 Ibidem, p. 46
50 Ibidem, p. 47
51 “La carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche
lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa
essenza” (DCE, 25). Nella Lettera Lo Spirito e la Missione, Grafiche Guglielmi, Andria
1997, il vescovo denuncia, tra i tratti di una comunità poco idonea alla missione “il
disinteresse per il fratello” (p. 65) e poco oltre aggiunge “L’ascolto della Parola, la vita e i
bisogni della gente vanno sempre di pari passo” (p. 67).
33
I soggetti della Carità dunque sono: la Diocesi, la Parrocchia, il Popolo
di Dio e i ministeri del vescovo, dei presbiteri52, dei diaconi, dei religiosi
e religiose, gruppi, associazioni e movimenti, la Caritas Diocesana.
In questo elenco molto spazio si concede alla parrocchia, che è il “concreto attualizzarsi della Chiesa particolare nell’ambito di un dato territorio”53
riscoprendone l’unità che deve intercorrere tra Parola – Sacramento –
Carità54, “cammino unitario non solo per il singolo cristiano, ma anche della
comunità cristiana”55.
Il vescovo pone anche un interrogativo: “Come si riesce a percepire che una
parrocchia è soggetto di carità o che sta crescendo nella dimensione comunitaria?”56. A questo interrogativo non possiamo sottrarci neanche noi anche se
sono passati tanti anni. Il vescovo ci aiuta nel dare la risposta facendo
innanzitutto un elenco di cose che non bastano: la presenza di qualche
gruppo di volontariato, la presenza di Istituti assistenziali gestiti da religiosi, la presenza di un Centro di Ascolto. Riprendendo le parole dell’allora
direttore di Caritas Italiana, mons. Giuseppe Pasini, indica quattro segnali:
1) crescita dei volontari, condivisione dei beni, condivisione di vita, servizio di volontariato, impegno sul territorio;
2) affrontare insieme i problemi dei poveri e impegnarsi a rispondere,
attivare gli strumenti di comunione e partecipazione;
3) centralità dei poveri nella vita parrocchiale;
4) conoscenza e confronto dei problemi del territorio e delle sue risorse.
52 Nella Lettera “Da ricco che era si è fatto povero per voi” (2Cor 8,9), alle pagine 30 – 34 è
possibile leggere il “Decalogo della povertà” per la formazione dei presbiteri alla
povertà.
53 Ibidem, p. 52
54 Cfr. DCE, 22: “La Chiesa non può trascurare il servizio della carità così come non può tralasciare i Sacramenti e la Parola”. Cfr. RAFFAELE CALABRO, Eucaristia e Comunità. Spunti di
riflessione per il Congresso Eucaristico Diocesano, Grafiche Guglielmi, Andria 2000.
55 Ibidem, p. 53. Nel Documento di base per il programma pastorale diocesano 1996 –
1997, La Catechesi degli Adulti, Grafiche Guglielmi, Andria 1996, riprende questi contenuti insistendo sulla “necessaria integrazione con la formazione liturgica e la formazione
alla carità” (p. 7) e all’art. 6 parla diffusamente di “Un nuovo stile di servizio” (pp. 20 –
24) elencando alcuni segni: il segno del perdono (ex-carcerato, drogato, figlio scappato di casa…), il segno dell’accoglienza (povero, indifeso, non autosufficiente…), il
segno della collaborazione nella vita sociale e pubblica.
56 Ibidem, p. 55
34
Presentando la Caritas diocesana, recupera la dimensione della prevalente funzione pedagogica e ne specifica la peculiarità rispetto alla stessa
parrocchia o agli altri soggetti titolari di carità: “la Caritas è autorevolmente indicata come soggetto istituzionale con compiti di promozione, coordinamento, attivazione dello spirito e dell’opera caritativa, con particolare attenzione agli
ultimi”57.
Il 4° capitolo stabilisce un rapporto tra “Famiglia e Carità”.
Il tema proprio del biennio pastorale 94 - 96 è la famiglia. Ecco perché
all’interno di questa lettera programmatica sulla carità un intero capitolo
è dedicato alla famiglia.
Il vescovo dichiara in apertura del capitolo che “deliberatamente ho tralasciato di collocare tra i soggetti (della carità, ndr) passati in rassegna la famiglia, per poterne parlare più diffusamente a parte, a motivo del ruolo preminente che essa occupa nella Chiesa e nella società”58.
La famiglia, detta anche chiesa domestica, si presenta come immagine speculare della Chiesa stessa per questo “l’amore reciproco degli sposi e
l’amore per i figli non li ‘esonera’ dal riversare l’amore coniugale e familiare al di
là delle mura domestiche, verso gli altri fratelli”59.
A questo punto il vescovo divide il capitolo in due parti: ‘Doveri verso
la famiglia’ e ‘La famiglia a servizio dell’uomo e della società’.
Nella prima parte viene analizzata la famiglia in stato di bisogno,
nella seconda viene sottolineato l’impegno della famiglia: famiglia oggetto di attenzione e soggetto di azione.
Inizia col parlare delle ‘famiglie povere’ con parole che sembrano scritte nel contesto odierno tanto sono reali le situazioni richiamate, ovvero di
come le conseguenze erano già implicite nel modo di vivere degli anni
novanta e si potevano cogliere tutte le premesse. Continua con il paragrafo la ‘famiglia nel disagio’ dove opera una sottolineatura e cioè che la
povertà non è solo di ordine economico, bensì è causata anche da altre
situazioni come ad esempio una malattia, una disabilità60.
57
58
59
60
Ibidem, pp. 64 - 65
Ibidem, p. 67
Ibidem, p. 69. Cfr. RAFFAELE CALABRO, Care famiglie, vi scrivo, p. 34.
Il vescovo interviene spesso a favore della carità ed esorta a prendersi cura dei più
deboli e delle famiglie nel disagio. Cfr. RAFFAELE CALABRO, Rinnovate la vostra mentalità per rivestire l’uomo nuovo (Ef 4, 23 – 24). Lettera pastorale per la Quaresima, Andria
1998, p. 20.
35
Anche le ‘persone sole’ rappresentano una categoria cui prestare attenzione. Anzi la solitudine può distinguersi in solitudine – condanna (pensionati, anziani, invalidi e ammalati), solitudine – estraneità (isolati,
chiusi nell’anonimato), solitudine – vuoto (di personalità, di idee e sentimenti).
Un paragrafo viene dedicato anche alla ‘famiglie povere spiritualmente’.
Non si può ignorare anche questa forma di povertà presente nel nostro
contesto sociale e sulla scia del magistero pontificio e delle indicazioni
della CEI si offrono delle linee di orientamento.
Nella seconda parte del capitolo il vescovo indica le molteplici forme
di partecipazione delle famiglie alla testimonianza della carità mutuandole dal Direttorio di Pastorale familiare61. All’interno della famiglia occorre promuovere una vera comunità di persone, soprattutto nell’accoglienza, attenzione e vicinanza agli anziani.
All’esterno si tratta di scoprire in ogni fedele battezzato, nel povero,
nel debole, nel sofferente e nelle vittime di ingiustizie, il volto sofferente
di Cristo; vivere forme quotidiane di solidarietà e vicinanza verso le famiglie in difficoltà; essere premurosi nell’ospitalità; vivere le pratiche dell’adozione e dell’affidamento.
Il vescovo apre una prospettiva e fa intravedere un orizzonte entro il
quale impegnarsi come famiglia esortando ad intervenire nel sociale e nel
politico, nella scuola, nel mondo del lavoro e nei mass media62.
c) I gesti
Il 5° capitolo si sofferma sul tema dell’educazione: l’educazione è uno
dei gesti più lungimiranti per la carità. È interessante leggere a distanza
di anni quanto è oggi oggetto di una attenta riflessione dell’intera Chiesa
Italiana. Riprendo solo alcuni passaggi che possono sostenere il nostro
cammino. “Educare è proporre un senso della vita, della storia, del mondo. (…)
È il convincimento che soggiace agli orientamenti dell’Episcopato italiano per gli
anni ’90. Partire dalla pratica della testimonianza della carità per giungere alla
61 “La partecipazione della famiglia alla vita ed alla missione della Chiesa non è completa se non
fiorisce e fruttifica nella carità. [..] nel quotidiano ‘servizio’ di amore a Dio e ai fratelli”.
62 Cfr. RAFFAELE CALABRO, La famiglia sulle orme del Risorto, p. 26 (Una comunità aperta e
creativa) e pp. 35 - 36.
36
verità della carità (..) è necessario che tali valori siano non solo ‘declamati’ ma
anche ‘vissuti’ dall’adulto e dall’educatore, e da una comunità che desidera essere educante”63.
Il 6° capitolo, dal titolo “Iniziative concrete”, non dà solo piccole indicazioni per essere operativi, ma traccia ampi orizzonti per un discernimento e un’azione pastorale consona ai tempi che viviamo. Infatti, il
vescovo subito chiede un “maggior coordinamento delle tre dimensioni:
Evangelizzazione – Liturgia – Testimonianza della carità”64 per una comune
progettazione pastorale dell’attività educativa e perché si possa tendere
ad obiettivi convergenti, senza disperdere le energie profuse in quest’opera educativa.
Il vescovo delinea con precisione due compiti affidati alle tre dimensioni della pastorale:
“a) dare alla carità il giusto peso: trasmettendo la convinzione che la carità è
un comandamento (non solo consiglio), è il comandamento nuovo, è l’unico
segno di riconoscimento dei cristiani e della vita individuale e comunitaria, è criterio di valutazione effettiva e definitiva della vita cristiana;
b) far passare la carità vera: in molte comunità cristiane esiste tuttora una
concezione ed una pratica della carità lontana anni luce dalla carità evangelica:
la carità ridotta ad elemosina65, come fatto isolato e marginale separato dalla vita
quotidiana, carità come optional.
La carità vera è anzitutto rapporto, condivisione, spirito di servizio, volontà
di perdono e di riscatto, di promozione e di liberazione: è costruzione di una
comunità di uguali, è apertura universale nell’ottica della scelta preferenziale
degli ultimi”66.
63 Ibidem, pp. 104 - 105
64 Ibidem, p. 107. “L’intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio
della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della
carità (diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati
l’uno dall’altro” (DCE, n. 25). Cfr. RAFFAELE CALABRO, “Ci ha raccolti in unità l’amore di
Cristo”. Verso il Congresso Eucaristico Diocesano. Lettera pastorale, Grafiche Guglielmi,
Andria 2000, pp. 31 – 34.
65 RAFFAELE CALABRO, Radicati e fondati nella carità. Lettera per la Quaresima 2001, Grafiche
Guglielmi, Andria 2001 a proposito delle opere quaresimali si afferma: “l’elemosina
non è soltanto quella delle nostre ricchezze materiali, ma anche di quelle spirituali” (p. 27).
66 Ibidem, p. 108
37
Poi passa a declinare il rapporto reciproco che ci deve essere tra catechesi e carità e tra liturgia e carità67, per soffermarsi infine su di un rapporto che per molti potrebbe suonare strano: “Caritas e carità”. Alla
Caritas viene restituito il suo compito principale (“Il lavoro si sviluppa sulla
linea dell’educazione…”)68 e quale organismo pastorale del vescovo si incarica di svolgere la sua prevalente funzione pedagogica. Sono pagine, queste da rileggere e meditare con estrema attenzione. Il vescovo anche nel
1994 indicava alcune priorità e già ravvisava alcuni rischi nei quali si può
cadere facilmente nello svolgere il proprio mandato (sia di Caritas diocesana che di Caritas parrocchiale): “tra le esigenze prioritarie ricordo:
– favorire la nascita di Caritas zonali come base per lo sviluppo della Caritas in
tutte le parrocchie;
– il problema principale è il rischio che la Caritas trascuri la propria prevalente funzione pedagogica, per dedicarsi a interventi diretti, di tipo prevalentemente assistenziale, legati all’emergenza”69.
Altre attenzioni, con il sapore di chi anticipa quelle che sarebbero state
le questioni del futuro prossimo, richiamate dal vescovo in questo capitolo sono:
– la valorizzazione e il sostegno al volontariato;
– la Scuola di Formazione Teologica;
– la Scuola di Formazione all’impegno sociale e politico
– l’Osservatorio e mappa delle Povertà;
– elemosina, obolo, offerta e colletta
– testimonianza di vita e conversione70.
67 Nella lettera Radicati e fondati nella carità, tutta incentrata sul mistero dell’Eucaristia,
nel paragrafo “Eucaristia e carità” afferma “L’Eucaristia è ‘lo specchio’ che deve riflettere
la carità di tutto il popolo, del singolo e della comunità. (..) Celebrazioni spente e senza vita
difficilmente innescheranno nelle nostre comunità la ‘scintilla’ o il ‘detonante’ dell’impegno
alacre e concreto nella vita quotidiana o nel mondo o nella società, come anche un diagramma
‘piatto’ di impegno cristiano allungherà la sua ombra su ogni Eucaristia…” (p. 24).
68 Ibidem, p. 111
69 Ibidem, p. 112
70 Questo elenco potrebbe essere ripreso e completato con quanto il vescovo suggeriva
nella Lettera pastorale in occasione del Giubileo 2000. Cfr. RAFFAELE CALABRO, Giubileo
anno di grazia, Grafiche Guglielmi, Andria 1999, pp. 22 – 28.
38
Al termine della lettura, seppure veloce, dei documenti del magistero
del nostro vescovo senza dubbio possiamo constatare come non siano
affatto superati. Si tratta di un insegnamento di estrema attualità; a volte
cerchiamo le risposte altrove o ci sforziamo di costruirne di nuove senza
accorgerci che sono tutte già presenti nei testi citati. In modo particolare
la Lettera del 1994 è un documento che ritrova tutta quanta la sua attualità in coincidenza degli orientamenti pastorali della CEI per il decennio
2010 – 202071 sulla educazione e il programma pastorale della Diocesi per
il 2011 – 201372.
Dalla lettura emerge anche come la carità sia il “filo rosso” dell’impegno a cui il vescovo invita la Diocesi, soprattutto nelle lettere quaresimali e che la storia di carità continua ininterrottamente nella nostra Diocesi
in continuità nell’azione dei pastori che si succedono con una attenzione
specifica ai tempi che si vivono.
Desidero concludere questa veloce carrellata con una citazione che
richiama tutti noi alla assunzione di stili di vita cristianamente ispirati e
che possa divenire fonte di un rinnovamento spirituale: “Non si aiutano i
poveri se non si è poveri, distaccati dai beni terreni e pronti a condividere i propri beni con quanti sono nel bisogno. Non si può essere disponibili a schierarsi
sempre e comunque dalla parte dei poveri, degli emarginati, degli oppressi di tutti
i tipi, se non si sceglie una condizione di vita ispirata alla solidarietà»73.
71 CEI, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per
il decennio 2010 – 2020, Paoline 2010.
72 DIOCESI DI ANDRIA, Dio educa il suo popolo. Discepoli di Cristo animati da una grande passione educativa, Grafiche Guglielmi, Andria 2011.
73 Ibidem, pg. 119.
39
LA CARITAS DIOCESANA
FORMELLE DEL CAPPELLONE DI SAN RICCARDO
Mulier a contractione liberata
(Una donna curva viene liberata dalla sua infermità)
Questa scena è evangelica.
Il Vescovo chiama a sè la donna
con atteggiamento umano
di delicata premura e di carità;
e, come Gesù nel Vangelo di Luca (13,11-13),
l’accoglie e la guarisce
liberandola dalla sua infermità.
Storia della Caritas
nella Diocesi di Andria
Leonardo Fasciano74
Avvertenza:
Questa cronistoria della Caritas diocesana non ha la pretesa di essere
esaustiva. Ho raccolto le informazioni che sono apparse più significative
per ricostruire, nelle linee essenziali, una storia, quella della Caritas diocesana, lunga almeno 26 anni, difficile da ridire in tutta la sua complessità e ricchezza di vita (per ulteriori elementi di conoscenza, vedi sito internet della Caritas diocesana). Ho seguito lo svolgimento cronologico per
singoli anni pastorali; talune volte, gli anni sono accorpati quando non si
è riscontrata una chiara ed evidente differenza programmatica tra un
anno e l’altro, o quando la programmazione ha assunto in modo esplicito un’articolazione temporale pluriennale. In certi casi, ho indugiato nelle
citazioni dirette dei testi consultati allo scopo di rendere meno arido il
racconto e riportare alla memoria viva i sentimenti, le sensibilità culturali e pastorali che hanno animato il servizio della Caritas e dei loro protagonisti.
Fonti consultate:
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“Rivista Diocesana Andriese” (RDA): annate 1984 - 2010
Archivio Caritas diocesana75
Sito internet Caritas diocesana: www.diocesiandria.it/andriacaritas.
74 Docente di Storia e Filosofia. Già Presidente di Azione Cattolica. La cronistoria è stata
chiusa nell’agosto 2010.
75 L’archivio è stato realizzato a partire dal 2003. Molto materiale è andato disperso a
causa dei molti traslochi che si sono effettuati negli anni: Via Arcamone, Via Flavio
Giugno, Via de Anellis, Via mons. Di Donna, Via Quarti. Attualmente, l’archivio è
custodito presso la sede degli uffici pastorali della Diocesi in Via Bottego, 36 – Andria.
43
Il sito è suddiviso nelle seguenti sezioni: HOME (pagina d’apertura):
sono inseriti tutti i dati relativi alle sedi (legale, fiscale, operativa), i
recapiti telefonici, la composizione della Commissione diocesana;
PROGETTI: sono illustrati tutti i progetti in cui la Caritas diocesana è
impegnata; NEWS: si danno informazioni sulle iniziative della
Caritas diocesana; EMERGENZE: si trovano notizie provenienti dalla
Caritas nazionale; INTORNO A NOI…: vengono fornite notizie
riguardanti realtà di volontariato, anche in altre Diocesi; RASSEGNA
STAMPA: sono riportati gli articoli e i materiali prodotti dalla Caritas
diocesana e quelli che parlano della nostra Caritas sulla stampa locale e nazionale, molti scaricabili (in questa sezione sono compresi gli
articoli pubblicati sul giornale diocesano “Insieme”, ripresi, in parte,
anche sulla “Rivista Diocesana Andriese”, cui si fa riferimento in questa cronistoria); è possibile, anche, leggere l’elenco di tutte le pubblicazioni presenti nella biblioteca della Caritas diocesana.
I Direttori della Caritas diocesana:
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00.00.1985 - 11.XI.1988:
12.XI.1988 - 31.VIII.1990:
01.IX.1990 - 14.IX.1994:
15.IX.1994 - 28.IX.2002:
29.IX.2002 -
don Antonio Basile
don Salvatore Simone
don Savino Calabrese
mons. Salvatore Simone
don Domenico Francavilla
Quando nasce la Caritas nella diocesi di Andria76
Come attività strutturata e organizzata, la Caritas diocesana nasce
nella prima metà degli anni ’80, per volontà del Vescovo mons. Giuseppe
Lanave. Fino ad allora, esistevano solo “gesti” di carità affidati alla buona
volontà di singoli e gruppi, senza un’organizzazione precisa che ne promuovesse e coordinasse l’azione. L’idea di organizzare la carità in una
struttura diocesana matura per un fatto increscioso che si verifica in
Diocesi: il furto di statue nella Cattedrale di Andria nel dicembre 1983.
Così, in una lettera indirizzata alla Diocesi, il Natale del 1984, il Vescovo
spiega com’è nata quest’idea:
76 La Caritas Italiana nasce il 1971; cfr. Caritas Italiana, Perseveranti nella carità, EDB, 2003
44
“Finora, per noi, la Caritas è rimasto un nome di risonanza internazionale,
conosciuta per i suoi interventi tra nazioni e popoli colpiti da sinistri. In
Diocesi la Caritas si è limitata a episodi, a casi in cui gruppi di fedeli hanno
offerto il loro aiuto a famiglie e persone. Credo che sia arrivato il tempo di
ricostituire la Caritas diocesana adeguandola a necessità e bisogni che il
tempo ha messo in evidenza o ha stemperato. I fatti determinanti. Il 6 dicembre 1983 furono rubati dalla cattedrale di Andria tre statue d’argento.
Bisognava decidere se rifarle o no. Ci fu chi si espresse per il no. Chi, invece,
energicamente chiese il ripristino almeno della statua della Madonna dei
Miracoli. Le ragioni addotte dalle due parti furono diverse: alcune speciose,
altre vere. La più valida fu che bisogna pensare alle opere di carità. Ma le
opere di carità dispensano dai doveri di culto e di un culto che sia degno del
passato? Il Vescovo decise per le due cose da farsi insieme: rifacimento della
statua d’argento della Madonna e opere di carità. Ordinò la statua ad una
bottega di meridionali operanti nel Nord e si impegnò a costituire una comunità di tossicodipendenti (…). Le ragioni che sollecitano a costituire opere di
carità incalzano. C’è troppa gente che soffre nel mondo ed anche qui tra noi.
Ci sono vecchi che hanno bisogno di assistenza in casa, ci sono giovani handicappati, ammalati mentali dimessi dalle cliniche e abbandonati, ci sono ex
carcerati, disoccupati, giovani amaramente delusi dalla vita, ci sono tante
mamme e papà che soffrono e domandano aiuto per liberare i figli dalla infatuazione della droga… C’è dunque tanto dolore che attende l’interessamento
degli uomini di buona volontà. Non possiamo tirarci indietro (…). La Caritas
sia l’anima coordinatrice di tutte le attività caritative della Diocesi” (…).77
Ho riportato solo qualche stralcio di una lunga lettera in cui il Vescovo
sviluppa più ampiamente le ragioni che lo hanno indotto a lanciare l’idea
di una Caritas diocesana, ragioni che vengono sintetizzate in un manifesto pubblico (sempre nel Natale ’84), con un accorato appello rivolto a
tutta la cittadinanza. Vi si legge, tra l’altro:
“Io, come Vescovo, lancio un appello a tutta la diocesi. Chiedo che chi può,
giovane o anziano, pensionato o lavoratore, mamma o papà, si metta volontariamente a disposizione (…). Mettiamoci dunque insieme; rendiamoci
77 Cfr. RIVISTA DIOCESANA ANDRIESE, luglio - dicembre/1984, p. 65. Da un documento di
archivio, riprodotto in fotocopia, con la data alquanto illeggibile e a firma di Mons.
Lanave, c’è l’idea di costituire, nel 1980, una Commissione diocesana per la carità.
45
conto dei bisogni dei fratelli; impariamo a servirli nelle loro necessità.
Attendo le vostre adesioni, i vostri nomi, gli indirizzi, i numeri di telefono”.78
Davvero commovente questa richiesta di nomi, indirizzi e recapiti
telefonici, a far intendere che ci sono urgenze che reclamano un intervento immediato, con una mobilitazione generale per fare la “guerra” a tutte
le forme di povertà, non solo materiali, che affliggono tanti fratelli sofferenti!
Nella lettera di cui sopra, il Vescovo fa riferimento ad una comunità
di tossicodipendenti che intendeva realizzare. In effetti, l’impegno viene
mantenuto e, nella lettera, si menziona esplicitamente l’opera che, nel
frattempo, sta prendendo corpo, grazie alla donazione generosa fatta
alla Chiesa di Andria, da parte della famiglia Azzariti, dell’intero complesso di fabbricati e terreni costituenti la masseria San Vittore.
Successivamente alla lettera, più volte il Vescovo dà conto sui lavori di
ristrutturazione e completamento dell’opera che, finalmente, il 30 giugno 1988 viene ufficialmente inaugurata: nasce così, per la ferma volontà del Vescovo Mons. G. Lanave, una significativa e concreta testimonianza di carità, la “Comunità Incontro”, tuttora operante, una comunità di accoglienza e di recupero dei giovani imbrigliati nelle trappole
della tossicodipendenza.
Intanto, il progetto di una Caritas diocesana si avvia, nel 1985, con
precisi atti concreti da parte del Vescovo: viene individuata una sede adeguata nei locali ristrutturati della casa canonica della Cattedrale di
Andria, in via Arcamone, con un numero telefonico a disposizione; è
nominato un direttore della Caritas nella persona di don Antonio Basile;
a novembre si inaugura ufficialmente l’attività della Caritas con una conferenza tenuta da Luciano Tavazza (fondatore del Movimento di
Volontariato italiano) su un tema proposto dallo stesso Vescovo: “Carità e
giustizia in difesa degli emarginati”79.
78 Ivi, p.69
79 La relazione, trascritta dal registratore, è pubblicata sulla RDA, n. 1/1985, pp. 32 - 41.
L’Autore è scomparso 10 anni fa.
46
ANNI PASTORALI 1985 - 1988
Il direttore della Caritas, don Antonio Basile, provvede a definire le
prime linee programmatiche80. L’obiettivo di fondo, vi si legge, è quello di
“approntare un progetto organico di ‘Pastorale della Carità’, attraverso lo studio
dei problemi e la sperimentazione di possibili soluzioni da presentare al Vescovo
a integrazione del Piano Pastorale Diocesano”. Tre sono gli orientamenti operativi indicati:
–
–
–
“Incoraggiare la nascita e lo sviluppo delle Caritas parrocchiali”. A tale
scopo, ci si impegna a: rendere più funzionale la sede centrale (dotandosi di segreteria, sale per riunioni e conferenze, biblioteca…); programmare visite nelle parrocchie da parte del direttore e collaboratori; organizzare corsi di formazione per animatori di Caritas parrocchiali; offrire strumenti e sussidi per le varie attività delle Caritas parrocchiali (per es. Avvento di fraternità e Quaresima di carità).
“Conoscere razionalmente la realtà locale e i bisogni del territorio”. A tale
scopo, si prevede di: preparare un questionario concernente i bisogni
più gravi presenti nelle parrocchie; censire i gruppi che operano nel
campo della carità a livello diocesano e parrocchiale; costituire
un’équipe di coordinamento a livello diocesano.
“Educazione comunitaria alla pace”. A tale scopo, si conta di effettuare:
la promozione e organizzazione del servizio civile nella nostra
Diocesi; la realizzazione di incontri e dibattiti sui vari temi della pace;
manifestazioni varie, tipo mostre, recital, concorsi artistico-letterari…
In queste prime linee programmatiche sono tracciate delle piste che
ritroveremo come delle costanti in tutte le future programmazioni della
Caritas diocesana, vuoi perché, evidentemente, certi impegni sono irrinunciabili (ad es. quello della formazione), vuoi, anche, perché certi altri si fa
fatica mantenere (ad es. la costituzione della Caritas in ogni parrocchia).
Coerentemente con l’impegno assunto nelle linee programmatiche a
proposito del servizio civile, la Caritas diocesana appronta una bozza di
progetto diocesano “per l’accoglienza e la valorizzazione dell’obiezione di
coscienza e del servizio civile”81. Questo è uno di quei temi costanti che carat-
80 Ivi, pp. 42 - 45.
81 Ivi, pp. 46 - 49.
47
terizzeranno l’azione pastorale della Caritas diocesana negli anni successivi. Si manifesta anche un’altra attenzione importante (che si conserverà
con forme diverse fino ai nostri giorni): è quella verso gli immigrati.
Nell’ambito della Caritas diocesana, infatti, l’UCEI (il cui delegato regionale è don Riccardo Zingaro) apre un “Centro di accoglienza per immigrati stranieri” (C.A.C.I.S.), presso la Casa Sociale della Comunità
Braccianti ad Andria82.
ANNO PASTORALE 1988 - 1989
La direzione della Caritas diocesana passa a don Salvatore Simone.
Nel tracciare un primo bilancio di vita della Caritas diocesana nell’anno
di riferimento, due sono gli obiettivi, fa sapere il nuovo direttore, che si
è voluto perseguire: “promuovere la costituzione del gruppo Caritas in ogni
parrocchia e coordinare il lavoro di tutte le associazioni che operano nel settore
della carità, in vista di un progetto organico e capace di rispondere alle reali esigenze presenti nella Chiesa locale, in maniera adeguata e non con iniziative
tampone”83. Nei due obiettivi indicati, appare evidente la continuità con i
propositi programmatici degli anni precedenti, dentro un cammino che
vede fare dei progressi. Dal direttore viene segnalato che ben 22 parrocchie hanno comunicato alla Caritas diocesana i nomi dei responsabili
parrocchiali di settore, i quali hanno assicurato la partecipazione a un
Corso di formazione e la collaborazione nella realizzazione di iniziative
comuni; inoltre, anche associazioni e gruppi di volontariato hanno
comunicato i nomi dei loro rappresentanti per intraprendere un cammino comune: UNITALSI, Volontariato Vincenziano, Comunità Braccianti,
Mani Tese, Fratres. Viene istituito un Consiglio direttivo di cui fanno
parte, oltre al direttore, i rappresentanti di alcune parrocchie, nonché
delle associazioni e gruppi di volontariato (c’è anche un delegato
dell’Istituto “Quarto di Palo”). Tra gli interventi di rilievo effettuati, da
ricordare: iniziative a favore degli immigrati stranieri, in collaborazione
con l’Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Andria (mensa calda
a Natale e Pasqua, distribuzione di sacchetti con alimenti, servizio docce
82 Ivi, pp. 50 – 51 (bozza di regolamento del Centro)
83 Ivi, nn. 1 - 2/1989, p. 68
48
e lavanderia, disbrigo di pratiche sociali…); “Avvento di fraternità” per
i terremotati dell’Armenia; soggiorno invernale per “portatori di handicap” (da notare quest’espressione usata all’epoca, poi modificata nella
più opportuna “diversamente abili”); Corso di formazione per animatori della pastorale della carità84.
C’è un’idea nuova lanciata da don Simone (un suo “chiodo fisso” su
cui insisterà anche in futuro con tenacia): costituire in Diocesi un
“Osservatorio delle povertà”. L’idea era nata al Convegno ecclesiale
nazionale di Loreto nel 1985 ed ecco come il direttore ne illustra le funzioni:
“L’Osservatorio delle povertà, quale strumento d’azione pastorale, avrà la
funzione di: captare, come antenna, i bisogni; leggerli ed analizzarli nelle
cause, nei sintomi, nella loro evoluzione, per poter dare gradualmente le
risposte più pertinenti; organizzare l’attività pastorale secondo un piano
organico così da coinvolgere tutti e intervenire non più con iniziative saltuarie e di tipo riparatorio o assistenziale, ma prevenendo, per quanto è possibile, l’ampliarsi di una situazione di disagio e portando ogni caso a giusta e
definitiva soluzione”85.
A questo scopo, viene preparato un sussidio con tutte le informazioni
e indicazioni adeguate per avviare l’iniziativa.
Intanto, nel 1988, per iniziativa delle Caritas delle parrocchie di
Sant’Andrea, San Paolo, Sacre Stimmate e SS. Trinità nasce il primo
nucleo di un centro di prima accoglienza (sito in via don Luigi Sturzo 21,
dapprima per fronteggiare l’emergenza immigrazione, in seguito esteso
all’accoglienza dei cittadini italiani), che, poi, nel 1992, prenderà il nome
di Centro “Mamre”, costituito, con un atto notarile, dalle parrocchie della
prima zona pastorale nel 199486.
84 Ibidem.
85 Ivi, n. 3, 1989
86 Per la storia del centro “Mamre”, cfr. RDA, nn. 3 - 4/2006, pp. 142 - 143, a firma di
Vincenzo Caricati. La direzione del Centro è stata affidata nel 1991 a don Domenico
Francavilla che lo ha organizzato e strutturato. Il nome “Mamre” viene dato in occasione della Giornata mondiale delle Migrazioni, nel novembre 1992. Don Domenico
ne è stato direttore fino al 1996.
49
ANNO PASTORALE 1989 - 1990
Il programma pastorale della Caritas è articolato in tre punti precisi
che mettono ben in evidenza, fin dal titolo dato alle tre parti in cui è suddiviso il programma, le situazioni di povertà di cui occuparsi e gli atteggiamenti che devono maturare in tutta la comunità cristiana87:
1. “Immigrati stranieri: dal rifiuto all’accoglienza”
2. “Portatori di handicap: dall’isolamento alla condivisione”
3. “Anziani non autosufficienti: dalla tolleranza al servizio”.
Ritorna, nella programmazione della Caritas, l’attenzione specifica
per la condizione degli immigrati e dei “portatori di handicap”, mentre si
aggiunge in modo esplicito quella per gli anziani, specialmente i non
autosufficienti: sarà quest’ultima una preoccupazione ricorrente di don
Simone, accanto ad altre, in tutti gli anni in cui guiderà la Caritas diocesana. Per tutte e tre le problematiche indicate, il programma è ricco non
solo di considerazioni di principio (ci sono riferimenti alle encicliche di
Giovanni Paolo II Laborem exercens e Sollicitudo rei socialis ), ma anche di
dettagliati orientamenti all’azione, rivolti sia alla comunità cristiana sia
alle istituzioni pubbliche. Lo sguardo, insomma, è a 360 gradi, nella consapevolezza che le situazioni di disagio e di bisogno vadano affrontate
nella sinergia degli sforzi e degli interventi da parte delle istituzioni civili ed ecclesiali, ciascuna secondo le proprie competenze e vocazioni.
Un’ottica, questa, che non mancherà mai , fino ai nostri giorni, nell’azione pastorale della Caritas diocesana.
–
–
Da segnalare:
l’esperienza, ormai collaudata da qualche anno (e continueranno
negli anni successivi), dei soggiorni invernali (“settimana bianca”) ed
estivi (“settimana azzurra”) per i “portatori di handicap”, grazie
all’impegno diretto dell’UNITALSI e al sostegno finanziario del
Comune di Andria88;
partecipazione di nostri seminaristi ad un convegno nazionale della
Caritas89;
87 Ivi, nn.4 - 5/1989, pp. 49-54
88 Ivi, n. 1/1990, pp. 48 - 49: relazione sulla “Settimana bianca” a Rivisondoli, a firma di
Paolo Latorre.
89 Ivi, n. 2/1990, pp. 59 - 60: relazione a firma di Luigi Renna e Domenico Basile.
50
–
partecipazione di nostri rappresentanti ad un convegno regionale
della Caritas, in cui la relazione di apertura è tenuta dal nostro
Vescovo sul tema: “Eucaristia e pastorale della carità”90.
ANNI PASTORALI 1990 - 1993
Nel maggio 1990, don Salvatore Simone riceve l’incarico di Vicario
generale, mentre nel luglio successivo la direzione della Caritas diocesana passa a don Savino Calabrese. Nel blocco dei tre anni che consideriamo, la nuova direzione della Caritas si caratterizza per l’impegno profuso in tre direzioni:91
1. “Formazione”:
- incontri periodici di formazione, a livello cittadino e diocesano, per
animatori parrocchiali della Caritas92;
- partecipazione a convegni nazionali della Caritas93;
- partecipazione di seminaristi al convegno nazionale della Caritas94;
2. “Solidarietà”:
- “Avvento di fraternità” e “Quaresima di carità” a sostegno dell’opera missionaria in Brasile di don Giuseppe Giuliani, in particolare per la costruzione di un ambulatorio sanitario e aule scolastiche;
- più viaggi in Albania per progetti concreti di solidarietà a favore del
villaggio Rrushkull95;
3. “Pace”:
- riprendendo uno dei primi temi qualificanti l’impegno della
Caritas diocesana (v. sopra la programmazione 1985/’86), il nuovo
direttore elabora un organico “Progetto di educazione alla pace e promozione del servizio civile”, in cui sono definiti con chiarezza e preci-
90
91
92
93
94
95
Ivi, pp. 60 – 61.
Ivi, n. 6/1991, pp. 74 – 75.
Ivi, v. anche pp. 80 – 81.
Ivi, nn. 4 - 5/1990, pp. 84 - 85: relazione a firma di Anna Rapanaro.
Ivi, n. 3/1993, pp. 132 - 133: relazione di Pasquale Gallucci.
Ivi, n. 3/1992, pp. 55 - 57; n.6/1992, pp. 88 - 90; n. 1/1993, pp. 95 - 99: con relazioni
dettagliate di don S. Calabrese, della dott.ssa Teresa Calvario e di Padre Nicola Rocca.
51
sione motivazioni, obiettivi e linee operative del servizio civile
alternativo a quello militare96. In Diocesi già sono operanti alcuni
obiettori ai quali vengono proposti itinerari formativi specifici.
Vengono anche individuati alcuni Centri operativi diocesani ove
poter svolgere il servizio civile: Ospizio Bilanzuoli (Minervino
Murge), Centro di Accoglienza e di Orientamento “Gruppo
Giovanile” (Canosa), Istituto “Quarto di Palo” (Andria), Gruppo
“Camminare Insieme” (Andria), Centro interparrocchiale di Prima
Accoglienza “Mamre” per immigrati (Andria)97;
- sensibilizzazione per la guerra fratricida in Jugoslavia98.
Nei giorni 23 – 25 ottobre 1992, si celebra ad Andria uno dei primi
Convegni diocesani delle Caritas parrocchiali sul tema: “Parrocchia, testimonianza della carità, Caritas”, con la partecipazione di don Luciano
Baronio, sulla traccia del documento della CEI per gli anni novanta
Evangelizzazione e testimonianza della carità.
Tra il novembre 1992 e il giugno 1993, il direttore fa presente al
Vescovo, con diverse lettere, che:
– la Caritas diocesana necessita di un finanziamento più adeguato;
– si avverte l’esigenza di dotarsi di un foglio di collegamento tra i gruppi parrocchiali Caritas;
– occorre risolvere il problema dell’alloggio per gli obiettori di coscienza per fare vita comunitaria;
– è auspicabile la costituzione di una “Consulta diocesana del volontariato” per un più efficace coordinamento dell’azione di volontariato in
Diocesi99.
Il 29 aprile 1993 viene ufficialmente varato lo Statuto della Caritas diocesana.
96 Ivi, n. 3/1991, pp. 89 - 96. Il 14 giugno 1991, il direttore della Caritas Italiana, mons.
G. Pasini, è ospite della Caritas diocesana per un incontro – dibattito sul tema:
“L’obiezione di coscienza oggi”.
97 Ivi, n. 6/1991, p. 79. Un programma particolareggiato di lavoro per il servizio civile
all’Istituto “Quarto di Palo” è presentato in RDA, n. 2/1992.
98 Ivi, n. 6/1991, p. 75.
99 Le lettere sono conservate nell’archivio della Caritas diocesana.
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Sul giornale della Caritas nazionale, “Italia Caritas” (3/1993), viene
pubblicato un articolo sull’opera compiuta dalla Caritas diocesana di
Andria. È una valutazione estremamente positiva del lavoro svolto. Dopo
aver indicato le povertà presenti nel nostro territorio (disagio giovanile,
immigrati, disabili, anziani, tossicodipendenti, disoccupazione giovanile), si mette in luce come la Caritas diocesana “da tempo si sta muovendo
perché, a partire da questi problemi, la comunità diocesana e, soprattutto le parrocchie, diano una risposta che sia adeguata alla sfida”100.
ANNO PASTORALE 1993 - 1994
Il programma della Caritas viene pensato in sintonia con quello diocesano: “La famiglia: comunità educante”. I principali impegni assunti
sono i seguenti101:
– incontri parrocchiali (in collaborazione con l’Ufficio per la pastorale
familiare) anche ai fini di una sensibilizzazione sull’adozione a
distanza e sull’affido;
– incontri cittadini sul volontariato e sul rapporto parrocchia-territorio;
– formazione degli operatori Caritas tramite partecipazione alla Scuola
di formazione teologica e pastorale, in particolare all’ora settimanale
di teologia e pastorale della carità;
– “Avvento di fraternità” e “Quaresima di carità” per i bisogni locali.
Successivamente, la “Quaresima di carità” è destinata al completamento del piano di aiuti in Albania, fornendo tutto il materiale e le
suppellettili scolastiche occorrenti ai bambini del villaggio di
Rrushkull102.
Questi gli impegni presi, ma, in un incontro di verifica, a fine anno, si
lamenta con una certa amarezza che:
“…ancora oggi le nostre parrocchie sono carenti di amore, viene dato tutto
per scontato e, il più delle volte, siamo proprio noi cristiani elementi di
discordia. Inoltre, oggi, quando si deve parlare di Carità, ben volentieri si
100 Per il testo completo cfr. RDA n. 2/1993, pp. 88 – 89.
101 Ivi, nn. 4 - 5/1993, pp. 130 - 131; cfr. anche Verbale del Consiglio direttivo, pp. 128 129.
102 Ivi, n. 1/1994, pp. 70 - 71 e 2/1994, pp. 105 – 106.
53
sostituisce il termine con la parola Solidarietà; perché i cattolici, molto spesso, quando devono muoversi nel territorio per incontrare altre forze, devono
tacere la loro identità cristiana? Siamo consapevoli che l’anima della Carità
è Dio? Perché dunque si fatica ancora a parlare di Carità e, quindi, di
Amore? (…) alcuni problemi che i gruppi Caritas devono affrontare: primo
fra questi la fatica che ancora oggi si fa per coinvolgere altra gente e, soprattutto, i giovani (…). Qualche operatore ha affermato che, purtroppo, alcuni
sacerdoti e parroci non lasciano molto spazio per lavorare e che la voce
Caritas non ha quell’importanza che dovrebbe avere anche all’interno dei
Consigli pastorali parrocchiali. Altro punto critico è stato quello dell’educazione che riguarda sia gli operatori sia la gente. Per quale motivo i volontari
Caritas non hanno sentito il bisogno di partecipare alla Scuola di formazione
teologica e pastorale? Come possono pretendere, in questo modo, di insegnare ad amare e a servire gli altri? (…)”103
Sono motivi di lamentela che fanno riflettere ancora oggi. Sono le
nostre parrocchie più ricche di amore? Abbiamo il coraggio di non annacquare la nostra identità di cristiani, pur mantenendo un costante e fraterno dialogo con tutti? E i giovani dove sono e cosa fanno nelle nostre
comunità? Quale posto occupa l’impegno della carità nella vita pastorale? Si sarebbe tentati di dire con il Qohelet: “Non c’è niente di nuovo sotto
il sole!”
ANNO PASTORALE 1994 - 1995
La direzione della Caritas diocesana passa di nuovo nelle mani di don
Salvatore Simone. I principali obiettivi:104
– costituzione della Caritas in ogni parrocchia. Viene distribuito un
questionario in ciascuna parrocchia per monitorare la situazione105.
Dai risultati del questionario (hanno risposto 24 su 36) emergono
situazioni che è bene richiamare sinteticamente alla memoria106:
- ”…la preponderante presenza della Caritas nelle comunità”;
103
104
105
106
54
Ivi, nn. 4 - 5/1994, pp. 127 – 128.
Ivi, n. 6/1994, pp. 61 – 63.
Ivi, pp. 64 – 66.
Ivi, n. 1/1995, pp. 92 - 97: i risultati vengono esposti con dei grafici.
–
–
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–
–
- ”…è ancora alta la percentuale dei casi in cui mancano veri itinerari di
educazione al servizio della carità”;
- “Tra gli ambiti d’azione promossi dalle Caritas parrocchiali sono emersi
nell’ordine: le famiglie in difficoltà soprattutto finanziarie, gli anziani, gli
immigrati, i disabili”;
- “L’indagine ha confermato l’esistenza, in diversi territori parrocchiali, di
problemi sociali quali disoccupazione, lavoro nero e minorile, microcriminalità, usura e forme varie di illegalità e di emarginazione”;
- “Più approfondita risulta la conoscenza di situazioni riguardanti il mondo
della sofferenza”, specialmente gli anziani soli e gli ammalati, ma
metà delle parrocchie “rivela una mancanza di programmazione e di
risposta”107.
Alla luce di questi dati, il Vescovo appronta un sussidio operativo
sulla Caritas parrocchiale.
Formazione degli operatori Caritas con varie iniziative formative tra
cui la partecipazione alla “Settimana della fede” sul tema della lettera pastorale del Vescovo Solleciti per le necessità dei fratelli.
Avvio di un nuovo progetto di servizio, accanto a quello degli obiettori: l’Anno di Volontariato Sociale femminile. Il progetto viene presentato a coronamento della marcia della pace di fine anno.
Convenzione con il Comune di Andria per la gestione del Polivalente
per gli anziani, dove operano 8 obiettori che fanno vita comunitaria.
Inserimento nel Coordinamento delle Associazioni di Volontariato
“La Città Solidale”, con altre associazioni di volontariato, anche non
di ispirazione cristiana, per una progettualità comune.
Primi passi per la costituzione di un “Osservatorio delle povertà”, con
una fase di studio, in collaborazione con la Scuola di formazione
all’impegno socio-politico.
Realizzazione di un’opera-segno: una casa alloggio (individuato già il
suolo) per anziani soli e non autosufficienti, disabili giovani e adulti
soli, immigrati bisognosi di prima accoglienza. Per sensibilizzare la
comunità sul problema degli anziani, vengono realizzati, in occasione
107 Ivi, n. 3/1995, pp. 122 - 127: è pubblicata la relazione di verifica di tutto l’anno pastorale.
55
–
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–
–
del Natale, biglietti augurali che riproducono un anziano in stato di
abbandono, e ispirati alla lettera pastorale del Vescovo.
Continuazione dell’impegno tradizionale per la pace, ad esempio, con
la diffusione nelle parrocchie e nelle scuole della rivista di educazione alla pace “Mosaico” (ed. Meridiana), con momenti cittadini di preghiera e di solidarietà per la Bosnia.
Presso il Centro “Mamre”, attivazione di un punto di distribuzione
dei prodotti del commercio equo e solidale.
Finalmente nasce il foglio di collegamento “AndriaCaritas”.
Creazione del logo “Andria Caritas” dove alla confluenza delle due
lettere due mani si intrecciano in segno di collaborazione e aiuto fraterno.
ANNO PASTORALE 1995 - 1996
Continua l’impegno della Caritas diocesana nella linea degli obiettivi
dell’anno precedente108. In particolare:
– s’insiste per l’attivazione dell’ ”Osservatorio delle povertà”, avvalendosi della collaborazione di una sociologa di Napoli, invitata in
Diocesi;
– prende corpo l’Anno di Volontariato Sociale con 12 ragazze che aderiscono alla proposta, mentre gli obiettori si costituiscono
nell’Associazione “Don Milani”;
– si ribadisce la necessità di una pastorale d’insieme con tutte le associazioni di volontariato d’ispirazione cristiana, invitate ad un incontro
con il Vescovo per superare le difficoltà che rendono ancora molto
incerto un cammino comune;
– per la formazione culturale degli operatori vengono proposti:
- conferenze mensili, con relatori di spessore nazionale (tra gli altri:
G. P. Di Nicola, D. Boffo, p. M. Rastrelli, d. M. Operti), su temi quali:
ruolo della donna nella famiglia e nella società, la disoccupazione
nel Sud, la pastorale della carità, il ruolo dell’informazione cattolica, le politiche sanitarie, l’usura, lo Stato sociale, Giorgio La Pira109;
108 Ivi, nn. 4 - 5/1995, pp. 110 – 113.
109 Ivi, pp. 115 - 116: programma completo degli incontri.
56
–
–
–
- una settimana di formazione teologico-pastorale su bibbia, carità e
Caritas110;
si presta un’attenzione specifica ai “portatori di handicap”: a
Minervino Murge, su impulso della Caritas interparrocchiale, si costituisce un’Associazione “Comunità e disabile” al fine “di creare nella
gente una cultura diversa nei confronti di quei fratelli che, per le loro condizioni fisiche, fanno fatica ad inserirsi nella società”111;
per la solidarietà, ancora a Minervino Murge, la Caritas interparrocchiale inaugura il “Centro di ascolto e di prima accoglienza Emmaus” che
“vuole essere una risposta concreta a chi chiede, informando e orientando
quanti si trovano nel bisogno e in situazioni di povertà e, al tempo stesso,
‘segno’ di solidarietà cristiana (…). I servizi offerti sono rivolti ai poveri della
nostra città, persone singole e famiglie, agli immigrati, ai ‘senza fissa dimora’ e comprendono: prima alfabetizzazione, servizio doccia, distribuzione
indumenti e alimenti”112;
per stare ancora alla solidarietà, da segnalare, tra le altre, la colletta
“Quaresima di carità” per un fondo di solidarietà antiusura in Diocesi
(si raccolgono quasi 22 milioni di vecchie lire)113.
Nel novembre del 1995, la Chiesa italiana celebra a Palermo il suo 3°
Convegno nazionale. Don Salvatore ne cura tutta la preparazione a livello diocesano; a partire da settembre, su Teledehon, tiene una rubrica di
catechesi “Percorsi”, 6 puntate dedicate al Convegno di Palermo.
ANNO PASTORALE 1996 - 1997
La Caritas diocesana avverte la necessità di ribadire quella che è la
logica qualificante del servizio della carità nella comunità, cioè che è tutta
la comunità a dover farsene carico e non singoli testimoni di buona
volontà. È una verità scontata, persino elementare, ma, evidentemente,
non ancora patrimonio comune. Questa necessità rappresenta il primo
110 Ivi, n. 1/1996, p. 89: programma completo. Le relazioni sono state in seguito stampate e hanno dato vita ad una collana “Quaderni Caritas”.
111 Ivi, nn. 4 - 5/1995, p. 141.
112 Ivi, pp. 139 – 140.
113 Ivi, n. 2/1996, p. 73: prospetto delle offerte.
57
degli orientamenti pastorali assunti dalla Caritas diocesana. Ecco come
don Salvatore ne parla:
“Superare la logica dell’atto di carità privato-individuale e dell’assistenzialismo, in favore della testimonianza di tutta una comunità che si fa carico delle
povertà presenti nel territorio e crea la cultura della condivisione e del bene
comune da anteporre a quello personale”. Dopo aver richiamato il documento CEI “Evangelizzazione e testimonianza della carità” e la nota
pastorale del Vescovo “La Caritas parrocchiale”, così si prosegue:
“L’educazione alla carità e il servizio pratico ai poveri deve entrare nella catechesi, nella liturgia e in tutti gli itinerari educativi per giovani e adulti, come
parte integrante del processo formativo. Ogni comunità parrocchiale, camminando in questa prospettiva, deve saper promuovere, più che iniziative occasionali ed estemporanee, servizi stabili in risposta alle diverse forme di povertà presenti nel territorio e visualizzare la carità con strutture, così come sono
‘visibili’ i luoghi della liturgia e della catechesi”114.
Per gli altri punti del programma, ritroviamo degli impegni già assunti negli anni precedenti, ripresi e rilanciati:
– formazione di tutti gli operatori della carità: ciclo di incontri culturali mensili, in collaborazione con altri gruppi ecclesiali e con relatori
importanti (don G. Benzi, S. Zamagni, mons. G. F. Brambilla, U.
Arrigo, l’Assessore regionale alla sanità), su temi quali: AIDS, politiche sanitarie in Puglia, etica ed economia, questione meridionale,
politica e carità; una tre - sere su Caritas, Osservatorio e volontariato;
un programma specifico di formazione e spiritualità per obiettori e
ragazze AVS115;
– costituzione di una Commissione operativa per la creazione
dell’“Osservatorio socio-politico e delle povertà”;
– attenzione specifica, per una Chiesa più aperta al mondo, a temi come
la pace, la giustizia, lo sviluppo dei popoli, la solidarietà concreta
attraverso il Servizio civile, l’AVS, l’accoglienza degli immigrati, il
commercio equo e solidale. A questo proposito, alcune iniziative da
segnalare:
114 Ivi, nn. 4 - 5/1996, p. 97.
115 Ivi, pp. 101 - 102; n. 6/1996, pp. 78 - 81 e pp. 83 – 84.
58
- collaborazione con la terza zona pastorale per l’apertura del Centro
di solidarietà per le famiglie, chiamato “Nazareth”116;
- costituzione con atto notarile dell’Associazione di volontariato
“Emmaus” per la realizzazione del centro di accoglienza
“Madonna della Pace” ad Andria;
- progetto “Fermati una sera a cena con il tuo fratello povero nella
Casa della Carità” (in via Quarti ad Andria): a turno, le Caritas parrocchiali e gruppi di volontariato preparano la cena calda ad immigrati e persone in difficoltà;
- progetto di recupero scolastico “Doposcuola solidale”, in collaborazione con la scuola secondaria di primo grado “A. Manzoni” di
Andria;
- gemellaggio con l’AVS di Milano, con scambio reciproco di ospitalità delle ragazze AVS;
- manifestazione pubblica ad Andria, in collaborazione con il coordinamento delle Associazioni di volontariato cittadino “La casa solidale”, sul tema: “Quale accoglienza dei profughi albanesi?”. Un
gruppo di albanesi è ospite nella “Casa della carità”117.
ANNO PASTORALE 1997 - 1998
L’idea prevalente nella programmazione è quella di occuparsi delle
problematiche connesse allo Stato sociale per spingere la comunità ecclesiale e civile ad assumere un ruolo più attento e competente rispetto alle
esigenze dei poveri del nostro tempo e del nostro territorio. L’input arriva da un convegno nazionale delle Caritas diocesane a Paestum sul tema:
“Lo Stato sociale cambia: questione di carità e di giustizia”. Al ritorno dal convegno, in una riflessione su “AndriaCaritas”, don Salvatore, richiamandosi al documento CEI dopo il convegno di Palermo “Con il dono della
carità dentro la storia”, così afferma, tra l’altro:
116 Il Centro viene inaugurato il 29 aprile 1996 in Via Vittoria, 50, nei locali messi a disposizione della Curia.
117 Per tutte queste iniziative, cfr. nn. 4 - 5/1996, pp. 103 - 106; n. 6/1996, p. 82; n. 1/1997,
pp. 113-117; n. 2/1997, pp. 98 - 101.
59
“La Chiesa non può restare indifferente di fronte ad uno Stato sociale che
cambia. La carità non è un narcotico sui mali e sulle disgrazie umane, ma
potente forza di cambiamento e di trasformazione per costruire una società
più giusta”. Rispetto a ciò, anche la Caritas diocesana si sente fortemente coinvolta “perché le consapevolezze maturate [a Paestum] non
restino semplici dichiarazioni di intenti, ma davvero diano forma ad un programma di rinnovamento personale e pastorale”118 .
Lo studio della riforma dello Stato sociale è uno dei punti programmatici prioritari e si auspica la costituzione di una commissione ad hoc
che affronti in modo organico la questione, sull’esempio di una commissione istituita a livello regionale (don Salvatore è diventato delegato
regionale della Caritas). Ecco perché, in questa ottica, rimane urgente
dare concretezza operativa all’”Osservatorio socio-politico delle povertà e
delle risorse, quale strumento privilegiato per una mirata ed efficace pastorale
della carità”119. A questo proposito, una prima tappa importante che il
direttore della Caritas segnala, per realizzare una collaborazione sinergica tra Caritas diocesana, volontariato e Ufficio Servizi sociali del Comune
di Andria, potrebbe essere quella relativa all’attuazione di un provvedimento varato dal Ministero per gli Affari sociali, che include Andria tra le
42 città-campione scelte per la sperimentazione del “reddito minimo” o
“assegno di povertà” a beneficio delle famiglie più bisognose. La Caritas
si offre per dare un contributo nell’azione di monitoraggio ai fini dell’individuazione delle vere situazioni di povertà e propone di promuovere
una ricerca scientifica e un rapporto finale su “Disagio, povertà ed esclusione e possibili risposte di servizi sociali”120. Non sembra che ci sia stato
un riscontro concreto a questa proposta.
Altri punti programmatici ripropongono gli impegni di sempre, già
ribaditi nei programmi precedenti:
–
formazione degli operatori della carità; formazione specifica per gli
obiettori e le ragazze dell’AVS con un programma di “educazione alla
mondialità”121;
118
119
120
121
Ivi, n. 3/1997, pp. 84 – 87.
Ibidem
Ivi, n. 3/1998, pp. 109 – 110.
Ivi, pp. 92 – 93.
60
–
iniziative di solidarietà:
- si rafforza il servizio della “mensa di carità” in via Quarti;
- Avvento di fraternità per i terremotati in Umbria - Marche, con proposta di vivere, con loro, “vacanze alternative” a Natale; a beneficio dei terremotati, uniti a noi da un gemellaggio, anche un concerto di M° Frisina, organizzato in collaborazione con il Comune di
Andria;
- si realizzano due progetti per ragazzi, in collaborazione con la scuola media “A. Manzoni”, rispettivamente, per la crescita personale
(progetto “Arnia”) e per l’educazione al volontariato (progetto
“Filo d’Arianna”)122;
- collaborazione per l’istituzione del Centro di solidarietà “San
Riccardo” nella seconda zona pastorale e per il funzionamento
degli altri Centri. Il direttore della Caritas offre un contributo particolare di riflessione pastorale per la vita dei Centri zonali di solidarietà, definiti “Laboratori di progetti e servizi” per una Chiesa
accanto alla gente123;
- progetto “Accanto ai sacerdoti con il dono della carità”: si tratta di
un servizio richiesto agli obiettori, ma non solo a loro, “a favore di
sacerdoti anziani, soli e ammalati, comunque bisognosi”. È un appello
alla solidarietà rivolto a tutti, “assicurando una presenza significativa
sempre, attraverso una telefonata, una visita, la disponibilità ad accogliere una confidenza. Si tratta di restare vicini l’un l’altro, uniti da rapporti
di comunione fraterna e di servizio, da quella solidarietà che (…) chissà
perché è così difficile tra sacerdoti”124. Sono parole che, oggi, nella condizione personale di malato di don Salvatore, acquistano una risonanza tutta particolare.
Significativo, nelle linee programmatiche, è l’invito a non farsi prendere dalla tentazione della spettacolarizzazione e dell’efficientismo nell’azione pastorale, a tutto danno dei valori dell’interiorità:
“Volendo educare a prendere le distanze da una cultura dello spettacolo e dell’efficienza, che rischia di contagiare anche la pastorale, allontanandola dal-
122 Ivi, n. 1/1998, pp. 84 – 85.
123 Ivi, pp. 83 - 84; n. 2/1998, pp. 93 – 96.
124 Ivi, pp. 97 – 98.
61
l’essenzialità e dall’amore per la contemplazione, si mirerà al recupero della
dimensione interiore della vita cristiana, specie in riferimento agli operatori
pastorali”125.
Sulla lunghezza d’onda di questa sensibilità, s’inserisce la bella lettera che il direttore della Caritas indirizza al Sindaco di Andria, in occasione delle festività natalizie, ringraziando l’Amministrazione comunale per
aver voluto coinvolgere anche la comunità ecclesiale nella programmazione delle iniziative del periodo natalizio, ma, allo stesso tempo, esprimendo la preoccupazione che
“le diverse iniziative culturali da organizzare non siano tali da salvare alla
fine solo il pretesto religioso e tante da ‘occupare’ un po’ tutto il periodo
natalizio. È necessario che la celebrazione di un evento così importante per
il cristiano non venga soffocata o distratta da sia pur pregiate iniziative
culturali. Non solo: tenendo ben presenti i destinatari di questa nostra
gradita collaborazione culturale e formativa, sarà bene salvaguardare
l’aspetto dell’educazione alla sobrietà in un periodo, quale quello natalizio,
in cui tutto acquista l’aspetto di un esasperato richiamo al consumismo.
Infine, non si può non tener conto del momento difficile che il nostro Paese
sta vivendo, per il peso che stanno assumendo forme antiche e nuove di
povertà, alcune delle quali ci riguardano più da vicino, come la disoccupazione giovanile e non, la condizione di precariato di molte famiglie, la
situazione di molti anziani soli e non autosufficienti, gli immigrati che,
soprattutto in questo periodo, si affacciano numerosi sul nostro territorio
e ai quali non riusciamo ad offrire un minimo di ospitalità dignitosa, che
li ripari dai rigori del tempo. Ciò comporta la necessità che parte delle
risorse destinate alle proposte culturali da programmare o ad altri capitoli nel bilancio comunale vengano messe a disposizione per progetti di solidarietà e di condivisione, tipici della spiritualità del Natale” (seguono
delle proposte concrete)126.
È un messaggio che ha valore ancora oggi e che don Salvatore ripeterà nei successivi periodi natalizi.
125 Ivi, n. 3/1997, p. 88.
126 Ivi, n. 4/1997, pp. 93 – 94.
62
ANNO PASTORALE 1998 - 1999
Si sta avvicinando il Giubileo e la Caritas diocesana avverte la necessità di indicare, a sè stessa e a tutta la comunità, atteggiamenti e impegni
per vivere bene questo tempo di preparazione. La prospettiva suggerita:
“Prepararsi a vivere il Giubileo significa per la nostra Chiesa locale organizzare il prossimo anno pastorale perché sia un tempo di riconciliazione con
Dio e con i fratelli, soprattutto i poveri. Ciò dovrà comportare maggiore
attenzione a fatti della realtà che chiedono riconciliazione: lo scandalo della
divisione dei cristiani, la violenza sui minori, l’evasione fiscale che priva la
comunità di risorse utili al bene comune, le piaghe della disoccupazione e dell’usura, veri tarli per la famiglia…a cui contrapporre linguaggi di solidarietà attraverso la scelta di attività ‘non profit’, l’educazione alla legalità, l’individuazione di spazi di occupazione giovanile e non solo. Per frenare il consumismo senza creare altri disoccupati, ci vuole il Vangelo della carità che
genera nuova cultura”. L’impegno di riconciliazione va vissuto “innanzitutto tra i sacerdoti”, poi “anche con e tra i laici, tra gruppi, movimenti
parrocchiali, associazioni a vari livelli, tra parrocchie e comunità civile”.
All’interno di questa prospettiva, il ruolo della Caritas resta quello di
essere “l’organo privilegiato per l’animazione comunitaria della carità […],
procedendo, se occorre, a ‘ridisegnarla’ come presenza educante accanto alla
gente nel territorio”127.
I compiti che la Caritas si assume possiamo riassumerli secondo le
piste tradizionali:
• formazione:
- convegno di studio su “Le politiche sociali ed il ruolo della comunità locale”: è l’evento che apre, a settembre, l’anno pastorale, in cui
il direttore della Caritas tiene una relazione per l’avvio dei lavori di
gruppo finalizzati ad individuare interventi a favore di: famiglia,
infanzia, adolescenza e giovani; diritto allo studio, alla formazione
e all’orientamento professionale; persone disabili; tossicodipendenti, alcoldipendenti e tutela della salute mentale; anziani; immigrati
ed emigranti128;
127 Ivi, n. 2/1998, 105 – 108.
128 Ivi, n. 3/1998, pp. 111 – 114.
63
- progetto “NonSoloAzione”: è un corso di formazione per tutti gli
operatori della carità, giustificato in base ad una lettura critica delle
Caritas parrocchiali la cui situazione viene così descritta (vale la
pena rileggere i punti critici):
. “La Caritas parrocchiale è presente nella maggior parte delle nostre
comunità, ma si fatica a scorgervi con chiarezza gli obiettivi e la prevalente sua funzione pedagogica”;
. “la comunità non sente la carità come un suo dovere proprio, ma delega
facilmente ad altri, a gruppi di volontari, ad associazioni, ecc.”;
. “spesso si opera con approssimazione, in modo disarticolato, per una
carenza cronica di una formazione solida, di una spiritualità profonda, di
orientamenti chiari, di una conoscenza della realtà in cui si vive ordinariamente”129.
Sono parole molto forti e amare, come se si volesse dire: in tutti questi anni abbiamo lavorato invano, dobbiamo ricominciare quasi da
zero!
- progetto “Punto d’incontro…nel quartiere”: sono incontri culturali
organizzati nei quartieri, in collaborazione con i Centri di aggregazione e con l’Amministrazione comunale, di cui il primo si tiene
nella scuola elementare in via dott. Camaggio ad Andria, con Sergio
D’Antoni, segretario generale CISL, sul tema: “I diritti dimenticati
degli ultimi della fila - I diritti e le opportunità nell’infanzia e nell’adolescenza previsti dalla legge n. 285/1997”. L’auspicio è che, a
partire da questi incontri, nelle diverse città della Diocesi si possa
avviare una serie di interventi a favore dei ragazzi e degli adolescenti, fino alla costituzione di un vero e proprio Segretariato sociale “che possa assicurare, come previsto per legge, interventi socio-educativi per la prima infanzia e di sostegno alla relazione genitori-figli; di contrasto della povertà e del disagio; interventi educativi per arginare la
dispersione scolastica e il lavoro sottopagato e interventi ricreativi per il
tempo libero”130.
- Incontro pubblico con autorità politiche e magistrati sul problema
dell’usura e della criminalità organizzata, in cui viene preannuncia-
129 Ivi, n. 3/1998, p. 120.
130 Ivi, pp. 115 – 116.
64
ta la costituzione di un’associazione “Il Buon Samaritano” che si
propone “come scopo principale quello di promuovere una cultura ‘antidebito’ e di educare ad una vita più sobria, che contrasti fermamente le tendenze proprie di una società consumistica e spendacciona”131;
- l’Associazione degli obiettori “Don Milani”, ora si trasforma in
associazione di volontariato, aperta a tutti coloro che vogliono
impegnarsi per la diffusione della cultura della pace.
• solidarietà:
- presso la Casa della carità continua il servizio mensa, cui si aggiungono lo “Spaccio della solidarietà” (per la distribuzione di alimenti) e il “Servizio ospitalità” (alloggio fino ad un massimo di 10 persone);
- progetto “Accanto a…”: obiettori, ragazze AVS, volontari assicurano una presenza a domicilio accanto a persone anziane o ammalate;
- “Quaresima di carità” a favore di tre famiglie della Diocesi, segnate dalla malattia e dalla sofferenza;
- continua la collaborazione con la scuola media “A. Manzoni” per i
progetti dell’anno precedente “Arnia” e “Filo d’Arianna”, cui si
aggiunge il progetto “Mi diverto… ma penso”, finalizzato a costruire per e con i ragazzi uno spazio di tempo libero in cui esprimersi
liberamente, con capacità critica e insieme agli altri; anche a Canosa
la Caritas interviene con un’iniziativa che coinvolge le scuole elementari sul tema del disagio e delle povertà;
- emergenza alluvione in Campania: “Triangolare di calcio della solidarietà”, allo stadio di Andria, a favore delle popolazioni colpite;
- emergenza Kosovo: iniziative di sensibilizzazione, di preghiera e di
raccolta di offerte, accoglienza dei profughi132.
Particolarmente significative sono le riflessioni che il direttore della
Caritas propone in determinate occasioni:
– per la preparazione al Giubileo, ribadisce un concetto, già espresso
nell’anno precedente, a non farsi contagiare dal “morbo della spettaco-
131 Ivi, n. 1/1999, pp. 97 – 99.
132 Per tutte queste iniziative di solidarietà, cfr. n. 2/1998, pp. 109 - 114; n. 4/1998, pp. 112
- 113; n. 2/1999, pp. 156-161; 165 – 172.
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66
larizzazione e del presenzialismo”, ma a riscoprire “la via ‘feriale’ della carità, la via semplice dei gesti”, quali possono essere: “mitigare, con la telefonata amica, la solitudine di persone anziane, terribilmente sole, che aspettano con ansia che qualcuno parli al loro cuore […]; visitare un malato per
recargli un po’ di conforto […]; essere portatori nelle relazioni quotidiane di
parole buone (…) capaci di riaccendere la speranza in chi è scoraggiato e
depresso […]; essere comprensivi, tenendo presente che la maggior parte delle
rotture di rapporti in famiglia e altrove, sono frutto di incomprensione, di
mancanza di dialogo […]; allontanare i sentimenti di antipatia e nutrire sempre quelli di benevolenza per tutti […]; condividere non solo le gioie, ma
anche le preoccupazioni, il dolore di chi ci sta accanto […]; parlare con tutti,
senza mormorazioni (…), perdonarsi scambievolmente […]”133;
in prossimità del Natale, si rilancia un messaggio che l’anno prima era
stato rivolto al Sindaco di Andria, ma che, questa volta, viene indirizzato, contestualmente, alle Amministrazioni comunali delle tre città,
alle comunità ecclesiali, alle famiglie cristiane, un messaggio che invita “a ricercare insieme, con creatività, le strade da percorrere perché la città,
in tutte le sue componenti, possa investire le sue migliori energie umane e le
sue risorse economiche non solo per un benessere materiale e per un profitto
di parte, ma soprattutto per il bene comune e perché si affermi e diffonda lo
spirito di solidarietà”134. Per l’Avvento-Natale, vengono preparati dei
sussidi (manifesto, cartolina, opuscoli) per aiutare a vivere con spirito giusto questo periodo135;
in occasione della Quaresima, si esorta ad una vera e propria “conversione pastorale” per vivere autenticamente il Vangelo della carità: “La
nostra azione pastorale dovrebbe dare meno attenzione a liturgie sempre
meno baroccheggianti, a processioni che stanno diventando delle parate esibizionistiche, ad una predicazione disincarnata, ad incontri catechistici occasionali che hanno lo stile del ‘talk show’ di intrattenimento e ad altre manifestazioni di pura facciata per vivere decisamente ed inequivocabilmente il
Vangelo della carità ed impegnarsi per una presenza di servizio nel territorio
accanto alla gente ed ai suoi problemi”136. Parole forti anche queste, e chis-
Ivi, n. 4/1998, pp. 102 – 103.
Ivi, pp. 104 – 106.
Ivi, pp. 107 – 111.
Ivi, n. 1/1999, pp. 95 – 96.
sà come saranno state accolte!? Anche per questo periodo la Caritas
diocesana prepara un sussidio liturgico-pastorale137.
ANNO PASTORALE 1999 - 2000
Pure quest’anno viene impostato nella luce del Giubileo e vengono
poste alla comunità ecclesiale due esigenze di fondo:
– “Che venga promossa, in generale, un’azione organica e continua tale da
incidere decisamente sull’attuale organizzazione ecclesiale, passando da una
pastorale di conservazione ad una più innovativa, più estroversa e missionaria”. In queste parole risuona ancora l’eco del Convegno ecclesiale
nazionale di Palermo;
– “Si dovrà recuperare pienamente la dimensione comunitaria della pastorale della carità (…); e che la comunità in quanto tale diventi soggetto della
carità”138.
Su questa necessità di una pastorale organica e comunitaria, don
Salvatore interviene altre volte, come ad esempio in un articolo su
“AndriaCaritas”, dal titolo molto chiaro “Sinergia e non concorrenza…”,
in cui si possono leggere queste parole forti e inequivocabili, come è nello
stile dell’Autore: “Dev’essere impegno di tutti respingere e contrastare le seduzioni del muoversi a ‘briglia sciolta’ e ricondurre con determinazione lo straripamento delle iniziative personali o di parte in quei programmi che danno significato alla corsa di tutti”139.
Dopo aver posto le esigenze di fondo suddette, di più specifico e concreto la Caritas diocesana propone:
– una più ampia diffusione del Notiziario “AndriaCaritas” quale strumento di informazione e formazione;
– incontri mensili consueti di formazione per tutti gli operatori della
carità e del volontariato; ciclo di incontri nelle zone pastorali, in collaborazione con l’Ufficio Migrantes, in preparazione alla Giornata
nazionale delle Migrazioni;
137 Ivi, pp. 100 – 101.
138 Ivi, n. 2/1999, p. 162.
139 Ivi, n. 4/1999, pp. 86 – 87.
67
–
–
–
–
valorizzazione delle indicazioni, contenute nella Bolla d’indizione del
Giubileo, circa i modi di ottenere l’indulgenza, in particolare quelli
che invitano a “rendere visita” ai fratelli in difficoltà “quasi compiendo
un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro”;
realizzazione di alcune “opere-segno”: una rete di compartecipazione
intorno alla Casa d’accoglienza “Madonna della Pace” (la prima pietra è posta nel gennaio 2000); il potenziamento dei servizi offerti dalla
“Casa della carità”; la costituzione di un’associazione antidebito e
antiusura (riprendendo un’idea già lanciata l’anno precedente);
la promozione da parte dei “Centri di solidarietà” di altrettanti
“Osservatori zonali delle povertà” (ritorna l’idea dell’ “Osservatorio”,
ma questa volta decentrato nelle diverse zone pastorali);
da parte di ogni comunità parrocchiale: “adozione” di una famiglia in
difficoltà e attuazione di un progetto di adozioni a distanza o di
gemellaggio con un Paese estero, in collaborazione con l’Ufficio
Missionario diocesano140.
Si ripete il messaggio, in vista delle festività natalizie, rivolto a tutta la
comunità ecclesiale e civile, perché la festa non sia semplicemente associata alla solidarietà, come fossero due momenti separati, ma diventi una
forte esperienza di condivisione, in particolare: con gli immigrati (“programmando, con l’intervento dell’Amministrazione e della società civile, servizi
di prima accoglienza e, poi, mettendo in bilancio la creazione di strutture e di servizi particolari”) e con gli anziani e ammalati cronici (con “un’organica assistenza domiciliare medica e infermieristica”). Il messaggio, pubblicato su
“AndriaCaritas” dal titolo “Festa e solidarietà…o non piuttosto condivisione della festa?”, così si conclude: “E mettere ogni uomo nella condizione di
dividere con noi la festa è il solo onesto segno dei ‘tempi nuovi’ del Giubileo che
spetta alle nostre comunità ecclesiali e civili, più che i ‘botti’, i fuochi d’artificio,
momenti pseudoculturali ed altre iniziative d’immagine, inventate da una società
borghese dal tenore di vita irrispettoso verso i poveri”141. Parole profetiche!
Un altro messaggio viene formulato in occasione delle elezioni comunali e regionali, in cui si chiede quale posto sia riservato ai poveri nei pro-
140 Ivi, n. 2/1999, pp. 162 – 164.
141 Ivi, n. 4/1999, pp. 88 – 89.
68
grammi elettorali. Il messaggio è indirizzato non solo agli
Amministratori, ma alla stessa comunità ecclesiale, affinché tutti si sentano responsabili nella “realizzazione di un progetto comune di città a misura
d’uomo, attenta a tutti, particolarmente ai deboli”142.
Da segnalare, in ultimo, la presentazione e divulgazione di sussidi
della Caritas nazionale sulla riduzione del debito estero dei Paesi poveri,
secondo lo spirito del Giubileo.
ANNI PASTORALI 2000 - 2002
Sono gli ultimi due anni di guida della Caritas da parte di don
Salvatore. La fine del 2000 corrisponde alla chiusura dell’Anno Santo e il
direttore vi dedica una riflessione che vuol essere un programma di vita
e di servizio. La riflessione ha come titolo: “Si chiude una Porta…se ne
dovrà aprire un’altra”. La Porta che si chiude è quella della Basilica di San
Pietro, mentre l’altra porta è “quella del cuore per accogliere gli altri”, in particolare i poveri e gli emarginati. Il messaggio è rivolto alla comunità
ecclesiale e alle Amministrazioni comunali, perché, insieme, ci si impegni
a “riorganizzare una solidarietà a misura d’uomo”: “Occorre un più articolato
disegno comune, che impegni tutti, pubblico e privato, comunità ecclesiale e
Amministrazioni locali, in progetti sinergici dal respiro lungo, a servizio degli
uomini, innanzitutto, e d’ogni uomo in particolare”143.
Per vivere degnamente la conclusione del Giubileo, in coincidenza
con il tempo liturgico d’Avvento, vengono suggerite delle proposte operative:
– diffusione nelle comunità e nelle scuole di videocassette con documentari trasmessi da RaiTre su situazioni di disagio e di sottosviluppo;
– “C’è posta per… noi”: raccolta di offerte a beneficio delle povertà
locali;
– ”Mensa condivisa”, presso la “Casa della carità”, con i poveri e gli
immigrati;
142 Ivi, n. 2/2000, pp. 78 – 79.
143 Ivi, n. 4/2000, pp. 70 – 71.
69
–
–
“Aggiungi un posto a tavola…”: ospitare in famiglia, a pranzo o a
cena, per le festività natalizie, “chi è lontano dalla propria terra e dai suoi
affetti”;
impegno delle Caritas parrocchiali a creare una cultura contro gli
sprechi e di un autentico servizio ai poveri, superando “quella sorta di
‘buonismo’, proprio del tempo natalizio, che vede il moltiplicarsi scatenato di
iniziative di beneficenza, promosse e organizzate da più parti, che si servono
dei poveri per anestetizzare il senso di colpa del proprio benessere, più che
servire i poveri, aiutandoli a liberarsi dal proprio bisogno”144.
Per il Natale dell’anno successivo (2001), viene lanciata la “campagna
anti-botto”: il denaro risparmiato, evitando i “botti”, è devoluto
all’emergenza dei bambini profughi dell’Afghanistan e della
Palestina145.
Nel mese di febbraio 2001, mons. Vittorio Nozza, direttore della
Caritas Italiana, tiene una conferenza al Convegno diocesano su “Il Pane
spezzato dall’altare alla tavola della vita”146.
Come si ricorderà, nel settembre 2001, ci fu l’attentato spaventoso alle
“torri gemelle” negli Stati Uniti, che la Caritas non poteva ignorare.
Infatti, vengono proposti momenti di preghiera e di digiuno, con il ricavato devoluto alle vittime dell’odio e della guerra147.
–
–
Da ricordare le attività:
del Centro “Mamre”: formazione spirituale dei volontari; iniziative di
assistenza materiale e non a favore di anziani soli, tossicodipendenti,
alcolisti, disabili, depressi; doposcuola per ragazzi di prima media in
difficoltà della scuola “A. Manzoni”148;
del Centro “Nazareth”: formazione dei volontari; accoglienza degli
ospiti immigrati; laboratorio di studio a favore dei minori; indagine
conoscitiva del territorio; rapporto permanente con altre agenzie di
solidarietà149.
144 Ibidem.
145 Ivi, n. 1/2002, p. 122.
146 Mons. Vittorio Nozza ritornerà ad Andria nel mese di novembre 2010 per una conferenza sull’impegno dei laici nella testimonianza della carità.
147 RDA, n. 4/2001, pp. 78 – 79.
148 Ivi, n. 4/2000, p. 75; 4/2001, pp. 80 - 81 (con relazione di Anna Rapanaro).
149 Ivi, n. 4/2001, pp. 82 - 83 (con relazione di don Raffaele Daniele).
70
Nel mese di novembre 2001, conclusi i lavori di ristrutturazione, viene
inaugurata ufficialmente la Casa d’accoglienza “Santa Maria Goretti” ad
Andria.
ANNO PASTORALE 2002 - 2003
Da quest’anno, la direzione della Caritas diocesana è nelle mani di
don Domenico Francavilla. Chiare le linee operative150:
– fare una ricognizione dello stato di salute delle Caritas parrocchiali e
dei “Centri di ascolto e di prima accoglienza” nelle 5 zone pastorali :
“Mamre” (1ª zona-Andria), “San Riccardo” (2ª zona-Andria),
“Nazaret” (3ª zona-Andria), “Villaggio della solidarietà” (Canosa di
Puglia), “Emmaus” (Minervino Murge);
– riallacciare i ponti con le Associazioni ecclesiali per un cammino di
diocesanità;
– ancorare l’operato della Caritas alla quotidianità, più che inseguire le
emergenze, secondo le indicazioni del 28° Convegno Nazionale della
Caritas sul tema “Lungo le strade del quotidiano”. Per far circolare
meglio questa idea, ci s’impegna ad incontrare periodicamente la
Caritas a livello parrocchiale e zonale; viene realizzato, sullo stesso
tema, un Convegno diocesano con la partecipazione del direttore
della Caritas dell’Arcidiocesi di Trani – Barletta – Bisceglie, don
Raffaele Sarno151;
– avvio del “Progetto Barnaba - dare credito alla speranza”152, in collaborazione con l’Ufficio della pastorale sociale e della Pastorale giovanile: il progetto, figlio del “Progetto Policoro” (nato dopo il Convegno
150 Ivi, n. 4/2002, pp. 74 – 75.
151 Ivi, n. 1/2003, pp. 106 – 107.
152 Si promuove ogni anno nella Comunità diocesana un servizio – segno che esprima la
consapevolezza di una Chiesa vicina alle molte situazioni di povertà che emergono
nel territorio e colpiscono le persone. Il servizio – segno o opera – segno (primo ambito principale dell’attività della Caritas) è nella linea della promozione umana, cioè
tende a far diventare le persone di cui ci si prende cura soggetti della propria liberazione, e va oltre l’assistenza già mirabilmente servita nei Centri di Ascolto. Il servizio/opera è segno per i poveri di un Dio che è amore, accoglienza, perdono; segno
per i cristiani di come essere fedeli al vangelo; segno per il mondo di cosa sta a cuore
alla Chiesa.
71
ecclesiale di Palermo nel ’95), è una forma concreta di sostegno ai giovani attraverso la formazione e la promozione di imprese individuali
e cooperative153. Due collette, “Avvento di fraternità” e “Quaresima di
carità”, sono destinate al finanziamento del progetto, permettendo la
costituzione di un fondo di garanzia presso la Banca Popolare Etica di
Padova154.
L’Ufficio catechistico diocesano e quello per la pastorale familiare
organizzano un convegno diocesano sulla famiglia; la Caritas s’interroga
sul tema, offrendo un proprio contributo in cui si sottolinea “come la famiglia cristiana debba aprirsi ad un’autentica prospettiva di famiglia solidale come
garanzia di identità e autenticità (…). La solidità di una famiglia è legata strettamente alla sua solidarietà”155.
Nella verifica conclusiva di fine anno pastorale, emerge un dato critico, insieme con uno positivo: quello positivo è che la Caritas è presente,
(“almeno nominalmente”, si annota) nella maggior parte delle parrocchie; il
dato negativo è che “non tutte esprimono la stessa vitalità e la stessa partecipazione”; di qui, l’impegno assunto per il futuro di programmare, come
precisa il direttore, un “laboratorio diocesano per la promozione e l’accompagnamento delle Caritas parrocchiali”, quale “strumento utile a favorire la crescita di una realtà che non sempre è compresa nella sua identità e funzione (…).
Il laboratorio si distingue non tanto per i contenuti, ma per la metodologia che
insiste sull’ascoltare – osservare – discernere, che si traduce in analisi della situazione/punto di partenza – scoprire le ragioni, fondarsi sulle motivazioni – individuare percorsi, fare progetti, darsi delle mete”156.
153 Ivi, n. 4/2002, pp. 76 - 77, con il progetto illustrato da don Domenico Francavilla; si
vedano anche: Marina Galati (a cura di), Microcredito. Banca Etica, capitale sociale e mezzogiorno, L’ancora del mediterraneo, Napoli 2006, pp. 65 – 71; Fabio Salviato, Ho
sognato una banca. Dieci anni sulla strada di banca Etica, Feltrinelli, Milano 2010, pp. 222
– 224.
154 Rendiconto delle collette: n. 1/2003, pp. 108 - 109 e n. 2/2003, pp. 155. Il progetto è
monitorato dal 2005 dall’Agenzia cborgomeo&co che produce un rapporto annuale
sul microcredito in Italia. Il Progetto sarà più volte oggetto di studio in tesi discusse
presso diverse Università italiane.
155 Ivi, n. 2/2003, pp. 151 - 152: il contributo di riflessione è firmato dal direttore.
156 Ibidem, pp. 153 – 154.
72
ANNO PASTORALE 2003 - 2004
La Caritas assume fondamentalmente i seguenti impegni157:
–
–
–
attivazione dei “laboratori diocesani delle Caritas parrocchiali”158, in linea
con quanto stabilito nella verifica dell’anno pastorale precedente: uno
mensile per le zone pastorali di Andria e un altro mensile per Canosa
di Puglia e Minervino Murge (cui si aggiungono gli incontri con le
singole Caritas parrocchiali);
coordinamento, su mandato del Vescovo, dei “Centri di ascolto e di
prima accoglienza”, che, sulla base della propria attività di accoglienza e di solidarietà, ogni anno diffonde un rapporto diocesano sulle
povertà presenti nel territorio; in questo modo, il Coordinamento
diventa, di fatto, quell’ “Osservatorio” auspicato più volte in passato;
“Cammini di pace e scelte di giustizia” che si concretizzano in:
- avvio del Servizio Civile Volontario (istituito con la legge 4/2001);
- “Avvento di fraternità” per la costruzione di un ospedale in Iraq159;
- “Quaresima di carità” per un progetto di gemellaggio con la diocesi di Edea in Camerun (con realizzazione di un oratorio per ragazzi), in collaborazione con l’Ufficio Missionario diocesano;
- Avvio dei progetti di accoglienza di minori provenienti dalla
Bielorussia, colpita nel 1986 dal disastro nucleare di Chernobyl160;
- collaborazione con altri Uffici diocesani per la pianificazione delle
attività del Centro servizi “Polincontro” – Progetto “Policoro”;
- proposte per l’animazione della pace, scaturite dal convegno diocesano delle Caritas parrocchiali, con la partecipazione di don Tonio
dell’Olio sul tema “Educare ed educarsi alla pace”161. Da quest’anno, insieme alla presentazione di un’opera – segno (progetto di sal-
157 Ivi, n. 4/2003, pp. 111 – 112.
158 È il secondo ambito principale dell’azione Caritas: la promozione della stessa Caritas
nella comunità ecclesiale.
159 Si tratta di una campagna lanciata dalla Delegazione Regionale della Caritas su proposta del pugliese mons. Filoni, allora Nunzio in Iraq.
160 Prende avvio in forma stabile in Diocesi l’educazione alla mondialità, il terzo pilastro
dell’azione Caritas. Dal 2003 sono più di 300 gli arrivi dei minori e più di 100 le famiglie che si sono sperimentate nell’offrire ospitalità.
161 Ivi, n. 1/2004, pp. 127 - 141, con informazioni, testimonianze, esperienze.
73
vaguardia del creato con l’installazione di pannelli fotovoltaici in
alcune strutture di proprietà della Diocesi), sarà consegnato a tutti
i partecipanti un piccolo oggetto che possa educare al cambiamento del proprio stile di vita162.
Dopo l’abolizione della leva militare, la Caritas si chiede, ora, se ha
ancora senso parlare di obiezione di coscienza. “Noi pensiamo di sì.”,
risponde il responsabile degli Obiettori: “Infatti, sparendo la leva, non spariscono né le guerre né le ingiustizie sociali sulle quali intrervengono gli obiettori con il loro servizio civile”163.
A conclusione dell’anno pastorale, tracciando un breve bilancio, il
direttore fa notare “che si avverte l’esigenza di coordinare sempre più le espressioni caritative della nostra Diocesi e di far emergere tutta la ricchezza presente
nelle nostre comunità”; quindi, si chiede: “Avremo la capacità di presentarci
come ‘chiesa della pentecoste’, parrocchia che diventa ‘casa e scuola di comunione e di missione’ accanto alle persone, dentro il territorio?”164.
ANNI PASTORALI 2004 - 2006
Sollecitata dalla nota pastorale CEI, Il volto missionario delle parrocchie
in un mondo che cambia, la Caritas diocesana prende come impegno, per
due anni, quello di “interrogarsi sul proprio servizio alle/nelle parrocchie”165,
operando in una triplice direzione:
–
“Ripartire dalla parrocchia…per preferire gli ultimi”. In questa direzione,
alcuni fatti significativi meritano di essere ricordati:
- il Convegno diocesano delle Caritas parrocchiali (14 aprile 2005) sul
tema: “Ripartire dagli ultimi per costruire comunità” (relatore don
Giancarlo Perego, responsabile Area Nazionale della Caritas
162 Nel 2004: una saponetta di olio di oliva proveniente dalla Palestina; nel 2005: una
borsa di juta; nel 2006: una confezione di cacao del circuito del Commercio equo e
Solidale (CEeS); nel 2007: una confezione di caffè del CEeS; nel 2009: un flacone di
detersivo a km 0; nel 2010: una confezione di tisane del CEeS.
163 Ivi, n. 3/2004, pp. 74 - 78, con relazione dell’esperienza dell’obiezione di coscienza
Caritas in Andria a firma di Sebastiano Cicciarelli.
164 Cfr. sito web, “Rassegna stampa”: “Insieme”, giugno-agosto 2004.
165 Cfr. RDA, n. 4/2004, pp. 89 – 90.
74
Nazionale), voluto per confrontarsi intorno a domande quali: “Chi
sono gli ultimi, oggi? Come riconoscerli? Quale diritto di cittadinanza
hanno? Devono rimanere sempre ultimi?”166. Al termine del Convegno,
vengono definite delle consegne rivolte alla comunità cristiana, alla
comunità civile, alle Amministrazioni comunali delle Città della
Diocesi, in cui si invita a mettere i poveri al centro dell’azione
pastorale e politica167;
- sostegno ai Progetti già noti e avviati: “Progetto Barnaba”168; 2°
Corso di formazione “Orientamento al lavoro”169; Servizio Civile
Volontario; accoglienza dei minori della Bielorussia; ecc. Si concretizza il progetto della salvaguardia del creato, con installazione,
quale opera-segno, di impianti fotovoltaici presso il Seminario
vescovile e la parrocchia Madonna di Pompei170. L’interesse della
Caritas per la salvaguardia del creato e per i temi della sobrietà e
del consumo critico prosegue nel corso di questi due anni con
diverse iniziative e attività (l’impegno continuerà anche negli anni
successivi)171. Da parte, poi, della Cappellania dell’Ospedale civile
di Andria, e con il sostegno della Caritas, come segno giubilare
dell’Anno del Perdono nel 2005, viene lanciato il progetto “Casa di
ospitalità Betania”, un appartamento, nei pressi dell’Ospedale,
messo a disposizione di parenti dei ricoverati lungo-degenti, non
provenienti dal nostro distretto sanitario172. La Casa viene inaugurata a maggio 2006;
166 Ivi, n. 2/2005, pp. 76 - 78, con la mozione finale scaturita dal Convegno.
167 Ibidem
168 Ivi, n. 2/2006, pp. 89 - 90, con un bilancio del Progetto, nei suoi 3 anni di vita, a firma
di Francesco Delfino.
169 Ivi, n. 2/2005, pp. 79 – 81.
170 Ivi, n. 4/2005, p. 99.
171 Cfr. il sito web e il libro, a cura della CARITAS DIOCESANA, Il Cielo e la Terra (v. sotto
“Anno pastorale 2009 - 2010”). Inoltre, si ha traccia di quest’impegno anche in PAOLO
TARCHI – SIMONE MORANDINI, Emergenza rifiuti. Una proposta tra orizzonti teologici ed
esperienze operative, EMI, Bologna 2007, pp. 36 – 43; CARITAS ITALIANA, È già futuro. Gesti
di amore per il cielo e la terra, Sintesi grafica srl – Roma, 2007, vol. 3°, pp. 15 – 21; SABINA
LEONETTI, Parrocchia e seminario? Ad Andria non inquinano, in “Sovvenire”, Anno 8, n.
3/ 2009. Il 3 marzo 2007 don Domenico Francavilla ha relazionato sul progetto all’interno del Seminario organizzato dalla CEI – Ufficio di pastorale sociale e del lavoro.
172 RDA, n. 3/2005, pp. 72 – 73.
75
- il Convegno diocesano delle Caritas parrocchiali (15 marzo 2006)
sul tema: “Parrocchia, Caritas parrocchiale e territorio” (relatore don
Gennaro Matino, della Facoltà teologica dell’Italia Meridionale), in
cui viene presentato il progetto “Nuovi orizzonti”: attività di accoglienza e di reinserimento delle donne vittime della “tratta e della
prostituzione”173.
–
“Promozione delle Caritas parrocchiali e Laboratorio diocesano”:
- moduli formativi per gli operatori delle Caritas parrocchiali e ritiri
spirituali;
- incontri con le singole Caritas parrocchiali;
- pubblicazione del volume Luoghi e volti della carità. Abbecedario per
declinare la carità: uno strumento prezioso per qualificare il servizio
delle Caritas nella pastorale della carità174;
–
“Coordinamento dei Centri di ascolto e di prima accoglienza”:
- nell’ambito del “Progetto Rete” (progetto di coordinamento dei
Centri di ascolto, della Casa della carità e del progetto “Barnaba”),
sono organizzati il 1° (2005) e il 2° (2006) corso di formazione per gli
operatori dei Centri, con formatori esperti;
- aggiornamento informatico degli operatori dei Centri e utilizzo di
un programma per la raccolta dati, messo a disposizione dalla
Caritas Italiana, OsPo/3;
- creazione, nel novembre 2004, del sito internet della Caritas diocesana;
- condivisione delle risorse e integrazione dei servizi.
Di rilievo è l’incontro che don Domenico Francavilla tiene con il presbiterio diocesano per illustrare la situazione della Caritas diocesana, i
progetti, le problematiche. Dalla lunga relazione (suddivisa nei seguenti
paragrafi: Equipe diocesana, Formazione, Laboratorio diocesano delle Caritas
parrocchiali, Progetto Chernobyl, Servizio civile volontario, Coordinamento
Centri di Ascolto, Collette, Convegni, Progetti 8xmille, Caritas e mass media,
Bilanci), traggo solo qualche spunto. Per esempio:
173 Ivi, n. 2/2007, pp. 137 – 138.
174 Ivi, n. 2/2006, pp. 91 – 93.
76
–
a proposito della parrocchia: “I cristiani delle parrocchie hanno ricevuto
il battesimo, ma non sembrano esserne consapevoli. Urge riscoprire, senza
darlo per scontato, il valore del primo annuncio, svincolandolo da prassi
ormai stanche e puntando su strumenti realmente capaci di promuovere
comunità (…); le parrocchie, soprattutto oggi, devono crescere nella capacità
di dire il Vangelo anche attraverso la carità (…); la collaborazione tra le parrocchie [nella zona pastorale] deve crescere non perché mancano i sacerdoti, ma perché oggi è condizione indispensabile per realizzare una pastorale di
qualità (…). Vicino alle case di persone diverse per età, cultura, fede, la parrocchia è chiamata a farsi laboratorio di relazioni che aiuta i singoli e le comunità a costruire legami e tessere amicizia (…). Le Caritas parrocchiali sono
chiamate a sostenere lo sviluppo di relazioni autentiche attorno ai poveri, al
Vangelo, ai sacramenti”;
–
una nota critica a proposito del Laboratorio diocesano delle Caritas
parrocchiali: “Non è stato molto positivo il risultato finale dei due
Laboratori realizzati lo scorso anno pastorale. Sicuramente, hanno messo in
discussione i partecipanti, ma non si sono riversate nelle comunità le provocazioni e i suggerimenti che venivano offerti”;
–
sul Servizio Civile Volontario: “È una sfida importante per noi, per evitare che il tutto si riduca ad uno stipendio mensile da percepire e non all’acquisizione di uno stile di vita, come è accaduto per l’obiezione di coscienza
che, soprattutto nell’ultima parte, era una scusa per non rallentare o rinunciare ad altre attività, quindi senza nessun incremento di quella cultura della
solidarietà per la creazione di una civiltà della verità e dell’amore”;
–
sul rapporto tra Caritas diocesana e mass media: “Come Caritas diocesana abbiamo scelto di dialogare con la stampa per dare maggiore visibilità
alle azioni e ai contenuti, lontani però dalla tentazione della vanagloria, solo
per mettersi a servizio delle realtà e delle persone (si tratta anche di rendere
giustizia e di promuovere una cronaca bianca in alternativa alle tante pagine di cronaca nera che affollano soprattutto le pagine locali)”175.
Anche a livello regionale si intensifica l’impegno oltre che lo scambio.
Si partecipa al Progetto Rete regionale. Il contributo offerto dalla Caritas
175 Ivi, n. 1/2005, pp. 91 - 103. L’incontro si tiene il 21 gennaio 2005.
77
di Andria sarà notevole anche negli anni successivi. Si realizzano seminari, conferenze e si pubblicano le ricerche sui dati delle povertà e delle
risorse176.
Nell’ambito della Scuola di Formazione Teologica per gli Operatori
Pastorali viene inserita l’“Area della Testimonianza della Carità”, con due
moduli in ciascuno dei tre anni. Si tratta di un riconoscimento e di un’assunzione di impegno notevole, perché permetterà agli operatori pastorali di conoscere più da vicino e in maniera sistematica questa dimensione
fondamentale della vita della Chiesa nonché l’organismo pastorale deputato alla traduzione concreta del comandamento dell’amore.
ANNO PASTORALE 2006 - 2007
Il profilo tematico dell’anno è dato dall’enciclica di Benedetto XVI,
Deus caritas est, cui si ispira il Convegno diocesano annuale delle Caritas
parrocchiali: “Dalla Deus caritas est all’animazione pastorale della carità”
(relatore don Antonio Mastantuono, della Facoltà teologica dell’Italia
meridionale). Al convegno viene presentata l’Agenda della carità, una preziosa guida per conoscere e orientarsi tra i servizi socio-assistenziali presenti nel territorio della Diocesi: servizi offerti dalla Diocesi e dalla
Caritas, dal Volontariato, dal Terzo Settore, dagli Enti pubblici; vi si trovano anche informazioni sugli interventi in materia di politiche sociali
previsti dalla legge finanziaria 2007 e dai Piani sociali di zona dei Comuni
di Andria, Canosa e Minervino Murge177.
L’Agenda è preceduta da un’altra importante pubblicazione (diffusa
all’inizio dell’anno pastorale), Il cuore e le mani. Le opere di misericordia corporale nella Diocesi di Andria. Il volume, con prefazione del nostro Vescovo,
è suddiviso in 3 parti: nella prima, si parla del Progetto Rete e del
Coordinamento dei Centri di Ascolto; nella seconda, si racconta l’attività
decennale del Centro interparrocchiale di prima accoglienza “Emmaus”
a Minervino Murge; nella terza, si illustrano le caratteristiche del
“Progetto Barnaba: dare credito alla speranza”178.
176 Cfr. DELEGAZIONE REGIONALE CARITAS PUGLIA, Le Chiese di Puglia in ascolto del territorio
(2006) e La persona cuore della pastorale (2007).
177 Ivi, n. 2/2007, pp. 134 - 136. Il testo è riportato sul sito web.
178 Ivi, nn. 3 - 4/2006, pp. 137 - 138. Il testo è riportato sul sito web.
78
L’anno pastorale si apre, a settembre, con la celebrazione della prima
“Giornata nazionale per la salvaguardia e la difesa del creato”, presso,
non a caso, la parrocchia Madonna di Pompei, dove è installato l’impianto fotovoltaico. Al convegno si annuncia la costituzione dei GAS (Gruppo
di Acquisto Solidale), in collaborazione con l’Associazione “Filomondo –
fatti dai sud della terra” che si occupa del commercio equo e solidale in
Diocesi. Altri temi legati all’ambiente, come il consumo responsabile dell’energia e la difesa dell’acqua - bene comune, sono al centro dell’attenzione della Caritas179.
–
–
Due particolare progetti da ricordare:
Progetto “O.S.P.E.S.” (Ospitare Sempre Per Esprimere Solidarietà): si
tratta di un progetto finanziato dall’ 8xmille per sostenere tre opere
già presenti in diocesi: la “Casa Betania”, la Casa per anziani a
Minervino “L. Bilanzuoli”, l’attività di contrasto del fenomeno della
prostituzione180;
nell’ambito del progetto Rete, il consueto Corso di formazione per gli
operatori dei Centri di Ascolto, condotto da una psicologa181.
Non manca, come al solito, la solidarietà concreta grazie all’“Avvento
di fraternità” e alla “Quaresima di carità”, a beneficio del progetto
“Barnaba”, di un pozzo in un villaggio nel Congo e di un progetto della
Casa di Accoglienza “Santa Maria Goretti”, chiamato “Apprendi-gioco
continua… oltre la scuola”, per la prevenzione della devianza minorile182.
ANNO PASTORALE 2007 - 2008
Il tema dell’anno è lo stesso del Programma pastorale diocesano che
ben s’addice ai compiti propri della Caritas: “Una comunità che educa alla
solidarietà”. Il convegno annuale della Caritas viene sostituito da quello
della Chiesa diocesana sul tema del Programma (relatore è don Vinicio
Albanese).
179
180
181
182
V. sopra nota n. 97.
RDA, n. 1/2007, 100 – 101.
Ivi, n. 2/2007, pp. 132 – 133.
Ivi, nn. 3 - 4/2006, pp. 144; n. 1/2007, p. 105; n. 2/2007, pp. 138 – 139.
79
Alcuni progetti di educazione interculturale, oltre che di solidarietà,
caratterizzano in modo significativo l’impegno della Caritas:
– il progetto “Invitati per Servire”, all’interno dell’Anno di Volontariato
Sociale, che mira all’integrazione degli immigrati nel nostro territorio,
attraverso una loro partecipazione diretta ad attività di volontariato183;
– rapporto diretto (fatto anche di sostegno finanziario con la colletta
“Quaresima di carità”) con l’opera di una suora comboniana, suor
Annamaria Sgaramella, nostra condiocesana, che a Il Cairo, in Egitto,
sta portando avanti, con la sua famiglia religiosa, un programma di
integrazione dei sudanesi rifugiati, in cui sono coinvolti centinaia di
studenti di scuole medie184;
– progetto “Chernobyl”: una delegazione della Caritas diocesana si reca
in Bielorussia per programmare degli interventi al fine di rimuovere
situazioni di povertà presenti in quel territorio, in continuità con
l’ospitalità offerta da tante nostre famiglie ai bambini bielorussi185;
– campi estivi di lavoro per i giovani dell’AVS, in diverse località diocesane, nazionali ed estere (ad es. a Lourdes)186.
Continua l’attenzione per i temi dell’ambiente, aderendo al “Forum
per lo sviluppo e la mobilità sostenibile”, un coordinamento di associazioni ambientaliste costituito ad Andria e promotore di varie iniziative di
sensibilizzazione della cittadinanza187.
Non manca il corso annuale di formazione per i volontari dei Centri
d’ascolto, così pure l’attenzione alle emergenze del mondo (v. raccolta di
fondi per le popolazioni nell’ex Birmania investite dal ciclone “Nargis”).
ANNO PASTORALE 2008 - 2009
La Caritas assume il Programma pastorale diocesano: “Una comunità
che educa alla cittadinanza: abitare la città”, apportando un proprio peculia-
183 Ivi, n. 1/2008, pp. 98 - 101. Per una recensione del progetto, si veda DOMENICO
FRANCAVILLA – TERESA FUSIELLO, Invitati per Servire. L’Anno di volontariato sociale nella
diocesi di Andria, in “Orientamenti Pastorali”, 12/2009, pp. 78 – 83.
184 Ivi, pp. 101 – 103.
185 Ivi, n. 2/2008, pp. 151 – 153.
186 Ivi, pp. 156 – 158.
187 Cfr. sito web, “Rassegna stampa”: “Insieme”, febbraio 2008.
80
re contributo con il convegno diocesano delle Caritas parrocchiali (il 30
marzo) sul tema “Ripartire dagli ultimi” (relatore Francesco Marsico, vicedirettore della Caritas nazionale). Al convegno viene presentato il progetto “Fondo fiducia e solidarietà”: è un progetto di credito solidale che si
affianca a quello del micro-credito del progetto “Barnaba”, sempre in collaborazione con la Banca Popolare Etica di Padova188. A questo “Fondo” è
anche finalizzato l’”Avvento di fraternità”.
Costante permane l’attenzione per i problemi dell’ambiente. Alla celebrazione della terza “Giornata nazionale per la salvaguardia e la difesa
del creato”, nell’ambito del progetto “Chiesa e fonti di energia rinnovabili”,
si annuncia l’installazione di nuovi impianti fotovoltaici presso altre parrocchie della Diocesi (Santissima Trinità, Santa Maria Addolorata alle
Croci, San Luigi a Castel del Monte, San Michele Arcangelo, San
Giovanni Battista). Il progetto prevede anche corsi di formazione per
ragazzi e adulti e una mostra di manufatti creati dai ragazzi in un laboratorio ri-creativo, in collaborazione con l’Assessorato all’ambiente del
Comune di Andria189. La Caritas, inoltre, unendo ambiente e solidarietà,
aderisce alla campagna nazionale “Io faccio la mia parte. Almeno un giorno
alla settimana per un commercio equo e solidale”190.
Ancora per la solidarietà: “Quaresima di carità” per micro-progetti in
Bielorussia, mentre si fa sapere che ben 90 nostre famiglie hanno ospitato nel tempo bambini bielorussi191; terremoto in Abruzzo: raccolta di
fondi, gemellaggio con la Chiesa dell’Aquila e presenza di nostri volontari, a più riprese, in quelle terre martoriate192.
Per la formazione: il corso annuale per i volontari; diffusione di un
sussidio della Caritas nazionale per l’animazione comunitaria della parrocchia, in cui, nella sezione “Si può fare” (scheda n. 10), la Caritas diocesana è indicata come esempio da imitare (non possiamo che esserne orgogliosi!)193. Per incentivare la formazione, presso la sede di Andria, don
188
189
190
191
192
193
Cfr. RDA, n. 2/2009, pp. 105 – 106.
Ivi, pp. 107 – 109.
Cfr. sito web, “Rassegna stampa”: “Insieme”, marzo 2009.
Ibidem.
Ivi, “Insieme”: maggio, settembre-ottobre e novembre 2009.
Ivi, aprile 2009.
81
Domenico raccoglie più di 700 volumi, costituendo la Biblioteca Caritas e
mettendone on line i titoli per una più rapida consultazione. La Biblioteca
è suddivisa nelle seguenti aree: Caritas Italiana/teologia della Carità;
Atti/Report/Dossier; Immigrazione/Tratta; Volontariato/Biblioteca della
Solidarietà; Globalizzazione/Ambiente; Caritas diocesane; Pace/Servizio
Civile/Finanza Etica; Africa/Europa/Carcere/Droga; Chiesa e Società.
ANNO PASTORALE 2009 - 2010
Anche per quest’ultimo anno, l’attività della Caritas si inserisce nel
cammino diocesano indicato nel Programma pastorale: “Una comunità che
educa alla cittadinanza: abitare il mondo”. A questo proposito, sul giornale
diocesano “Insieme”, don Domenico Francavilla interviene più volte per
approfondire alcuni temi del Programma pastorale e richiamare all’attenzione gli impegni già assunti dalla Caritas diocesana in ordine alle esigenze prospettate dal Programma stesso. Le riflessioni proposte sono le
seguenti: cosa significa “una comunità che educa”, qual è il valore della
“cittadinanza”, cosa vuol dire “abitare il mondo”, il progetto
“Accoglienza dei bambini di Chernobyl”, come la Chiesa di Andria
“guarda al sud del mondo”, quale rapporto tra educazione alla mondialità e la figura di Maria, Madre di Gesù194.
Il convegno diocesano delle Caritas parrocchiali si rifà al tema del
Programma pastorale in una prospettiva di natura prevalentemente
pedagogica: “Animare alla mondialità attraverso l’accompagnamento educativo-formativo” (relatore Paolo Beccegato, responsabile area internazionale
della Caritas Italiana). Al convegno, viene presentato il progetto “Una
finestra sul mondo” che assicura un finanziamento, grazie all’8xmille,
all’Associazione Filomondo – bottega del commercio equo e solidale; vi
si raccolgono anche firme per la campagna “Zero poverty”, in occasione
dell’“Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale” 195.
La proposta formativa della Caritas diocesana si arricchisce di un’altra pubblicazione: Il cielo e la terra. Le opere di misericordia corporale nella
Diocesi di Andria, che viene presentata alla conferenza celebrativa della
194 Ivi, “Insieme”: novembre e dicembre 2009; gennaio, febbraio, aprile e maggio 2010.
195 Ivi, “Insieme”, aprile 2010.
82
quarta “Giornata Nazionale della salvaguardia e difesa del creato”196. Il
volume contiene i 4 messaggi CEI per la “Giornata Nazionale” e il racconto ampio e documentato, anche con un ricco apparato fotografico, di tutta
l’attività della Caritas diocesana a favore della tutela dell’ambiente e della
promozione di nuovi stili di vita improntati alla sobrietà. Il testo, scrive il
direttore nella presentazione, “raccoglie i momenti significativi del lavoro
svolto dalla Caritas diocesana, le persone incontrate e che ci hanno incoraggiato
e accompagnato con la loro parola in questo cammino, le persone che hanno accettato la sfida del cambiamento, in modo particolare le comunità parrocchiali coinvolte nel progetto, le proposte e le reti per costruire nuovi stili di vita”.
–
–
–
–
Alcune iniziative per la solidarietà concreta:
“Avvento di fraternità” a beneficio della Casa “Betania”197;
“Quaresima di carità” a beneficio della scuola interculturale dei comboniani in Egitto; da ricordare, a tal proposito, un campo di lavoro,
proposto dalla Caritas diocesana, proprio in questa scuola dove opera
sr. Annamaria Sgaramella;
all’Ufficio “Migrantes” è affidato il compito di gestire la Casa d’accoglienza “Onesti”, ad Andria: sono 2 appartamenti, in comodato d’uso
alla Diocesi, destinati ad ospitare famiglie di sfrattati e persone senza
fissa dimora. Un altro bel segno di carità operosa nella nostra comunità diocesana198;
progetto “Invitati per Servire”, nell’ambito dell’ Anno di Volontariato
Sociale”, per 20 giovani dai 16 ai 25 anni: un’esperienza di volontariato che prosegue nel tempo, aperta anche a giovani non italiani199.
Il nuovo anno pastorale si apre con la presentazione del programma
pastorale diocesano sul tema del laicato. Sarà questa l’occasione per invitare il 4 novembre 2010 ancora una volta mons. Vittorio Nozza, direttore
di Caritas Italiana. La sua conferenza “I Laici e la testimonianza della
carità” aiuterà la nostra comunità a prendere coscienza del cammino percorso e di quale impegno potrà caratterizzare la ministerialità dei laici.
196 RDA, n. 3/2009, pp. 140 – 141.
197 Ivi, pp. 152 - 154: si racconta la storia di quest’opera di carità, a firma di don Sabino
Lambo, cappellano dell’Ospedale Civile di Andria, e di don Domenico Francavilla.
198 Cfr. sito web, “Rassegna stampa”: “Insieme”, gennaio 2010.
199 Ivi, sezione “Progetti”.
83
Conclusione
Ecco, termina qui questo lungo racconto della vita della Caritas diocesana, un racconto che non ha voluto o non ha potuto essere completo
ed esauriente, perché non è facile sintetizzare 26 anni di un servizio che
nessuna storia, anche la più documentata, può rendere perfettamente in
tutti i suoi risvolti, umani e di fede, in tutte le sue esperienze, riuscite e
meno riuscite, in tutta quella fitta rete di relazioni e di incontri, di sentimenti e di emozioni, che hanno segnato un cammino così lungo e così
ricco. In questi 26 anni si è potuto registrare un’effervescenza di idee e di
proposte e molte sono state le opere realizzate. Da una carità fatta individualmente si è passati ad una carità vissuta in maniera ecclesiale.
Una storia scritta, anche la più fedele, non è mai come la storia vissuta concretamente dalle tante persone che, più o meno direttamente, più o
meno attivamente, hanno dato qualcosa di sé per il servizio alla comunità e ai fratelli nel bisogno, o che, in qualche modo, hanno incrociato il
cammino della Caritas. Quest’altra storia non si può mettere per iscritto,
perché è nascosta nel segreto dei cuori dove solo Dio riesce a leggere. Con
questa nostra “Cronistoria” abbiamo appena potuto decifrare qualche
“lettera” (mi si passi questa metafora) di un “alfabeto di vita” che, nella
sua totalità, sfugge sempre al cronista. Un “alfabeto” che si può anche
intuire, ma mai ricomporre e ritrascrivere esaurientemente.
Alla Caritas diocesana (dai direttori che si sono succeduti nel tempo,
a tutti i collaboratori e volontari che, a vario titolo, si sono resi disponibili), va tutta la riconoscenza della comunità, non solo ecclesiale, per una
testimonianza che ha saputo offrire (e continua a farlo), alleviando le sofferenze, intervenendo nel bisogno, mettendosi accanto ai poveri, condividendo e servendo, formando le coscienze, contribuendo a realizzare quella “civiltà dell’amore”, che è il Vangelo fatto storia, di cui il mondo ha terribilmente bisogno.
Grazie Caritas di esistere. Anche questo cronista ne è rimasto edificato.
84
“Intervista a mons. Salvatore Simone”
Gabriella Santovito 200
1. Se dovessi presentare la Caritas con un’icona biblica, quale immagine
sceglieresti?
–
Un’icona biblica che potrebbe rappresentare la Caritas è senz’altro quella dell’incontro di Abramo e il Signore presso Mamre (Genesi 18,1-8).
“1Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della
tenda nell’ora più calda del giorno. 2Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in
piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, 3dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar
oltre senza fermarti dal tuo servo. 4Si vada a prendere un pò di acqua, lavatevi i piedi e
accomodatevi sotto l’albero. 5Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore; dopo, potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal
vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». 6Allora Abramo andò in fretta
nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce». 7All’armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono e lo diede al
servo, che si affrettò a prepararlo. 8Prese latte acido e latte fresco insieme con il vitello, che
aveva preparato, e li porse a loro. Così, mentr’egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. (Genesi 18,1-8)
È l’icona dell’accoglienza sollecita, generosa, gratuita, senza risparmio, è
l’inno dell’incontro relazionale che promuove, profuma di autenticità e di
rispetto autentico.
2. Sei stato direttore della Caritas Diocesana dal 1988 al 1990 e poi dal
1994 al 2002. Quale era lo stato della Caritas in Diocesi?
–
Era meno burocratica, era “porta a porta”: essenziale.
200 Formatrice Caritas. L’intervista è stata effettuata il 7 giugno 2010. Don Salvatore,
dopo una lunga malattia, è deceduto il 22 maggio 2011.
85
3. Quale è stato il significato della Carità che da subito hai socializzato e
ti sei adoperato perché ciascuno facesse proprio?
–
Da subito ebbi modo di condividere che la carità della Chiesa è aperta a tutti,
è come il cuore di Cristo; non privilegia persone e situazioni trascurando
altre; è sempre attenta a cogliere il grido dell’umanità bisognosa e a servire
ogni forma di povertà.
4. Quali sono stati i punti fermi e i criteri dell’azione pastorale e del programma che hai realizzato gradualmente e in modo deciso?
–
I punti fermi sono stati
- Lavorare in continuità con quanto realizzato in passato
- Programmare ed operare in stretta collaborazione con gli altri Uffici pastorali dell’area catechistica e liturgica, per una pastorale d’insieme
- Coordinare gli uffici che compongono l’area della testimonianza della carità per un lavoro più ordinato ed incisivo
–
Tra i criteri ho avuto cura di:
- avviare un lavoro sistematico;
- promuovere servizi stabili, senza improvvisazioni ed iniziative occasionali;
- sollecitare la costituzione della Caritas in ogni parrocchia e seguirne più
direttamente il cammino;
- curare particolarmente la formazione degli operatori pastorali a tutti i
livelli (Consiglio diocesano - obiettori di coscienza – volontari parrocchiali e di associazioni);
- sostenere il servizio degli obiettori di coscienza;
- offrire un contributo specifico nell’azione di coordinamento tra le varie
associazioni di volontariato d’ispirazione cristiana e nell’ambito dell’organismo cittadino costituitosi circa nel 1992 con il nome di “Città solidale”;
- mantenere contatti stretti con la Caritas nazionale, di cui ero membro, e
regionale, assicurando partecipazione e collaborazione nell’accogliere e
seguire i progetti in risposta alle emergenze particolari.
5. Quali sono state le difficoltà incontrate?
–
86
Le difficoltà, come in ogni esperienza, ci sono state ma le ho accolte e superate grazie alla vigilanza e amorevolezza di Dio che non mi ha fatto mai sentire solo.
6. Hai avuto a cuore la formazione degli operatori che, a diverso titolo,
hai coinvolto nell’azione caritativa. In che modo hai sensibilizzato le
comunità ecclesiali e i singoli fedeli al senso della carità e in forme
consone ai bisogni e ai tempi?
–
La Caritas ha una funzione pedagogica ed è vero che ho avuto a cuore la formazione degli operatori, mi sono adoperato perché ci fossero incontri di formazione a più livelli. Durante il servizio reso sono stati organizzati incontri
di studio riguardanti l’Osservatorio socio – politico e delle povertà, seminari
di formazione per la preparazione al Convegno di Palermo, anche il foglio di
collegamento “Andria Caritas”, pensato sia come spazio per le comunicazioni provenienti dalle Caritas parrocchiali e sia come angolo con la voce dei
gruppi e delle associazioni di volontariato che può essere senz’altro considerato una scelta che permise di sensibilizzare al servizio caritatevole.
7. Durante il mandato di direttore della Caritas Diocesana, affidatoti, hai
avuto modo di sensibilizzare al Convegno di Palermo e di partecipare allo stesso. Leggendo, nella relazione conclusiva,le prospettive di
sviluppo di ciascuna via preferenziale si ha la sensazione che la
Caritas, in quegli anni, sia stata propedeutica a ciò che stiamo vivendo oggi. È così?
–
Per quanto concerne il Convegno di Palermo ricordo che ci fu un’ampia consultazione di base. I contributi pervenuti alla Caritas diocesana e raccolti in
sintesi in una relazione coinvolsero, nella riflessione comune, circa duecentocinquanta persone, rappresentative di tutte le categorie che rientravano nelle
vie preferenziali presentate dalla traccia e della maggior parte delle componenti ecclesiali, quali i consigli presbiterale e pastorale, i gruppi parrocchiali, gli istituti religiosi, le commissioni e gli uffici pastorali.
Nella preparazione al Convegno di Palermo fummo chiamati come Chiesa
locale ad interrogarci sulle cinque vie preferenziali, quali “la cultura e la
comunicazione sociale”,“l’impegno sociale e politico”, “l’amore preferenziale
per i poveri”,” la famiglia” e “ I giovani.” Per ogni area dovevamo individuare i segni di vita e di morte e in essi le prospettive di sviluppo.
Riguardo a “La cultura e la comunicazione sociale” emerse che più consapevole ed esteso era l’interesse che la comunità cristiana volgeva al vasto e
complesso mondo della comunicazione e della cultura. Attraverso la diffusione di pubblicazioni e l’attivazione di TV e radio locali (Tele Dehon –
87
Telecattolica - Radio Christus) avemmo a dire che c’era una maggiore fruizione immediata della Bibbia e del Magistero della Chiesa. Anche la presenza
della comunità ecclesiale nel territorio, attraverso la creazione delle zone
pastorali, di centri di ascolto e delle C.E.B. (Comunità Ecclesiali di Base),
permetteva:
- di conoscere meglio alcuni fenomeni culturali e di leggerli alla luce del
Vangelo,
- di stabilire un rapporto di comunicazione più diretta con i lontani e di
incarnare più facilmente l’annuncio.
Nel 1995 dicemmo che le prospettive di sviluppo intraviste in tale ambito
passavano attraverso una fruizione di centri di formazione culturale: le scuole di formazione teologico-pastorale e socio-politica, quella per animatori
Caritas, le scuole parrocchiali per la formazione dei catechisti, il gruppo operatori culturali dell’Università cattolica. Ci sembrò necessario rilanciare
“Avvenire”, celebrandone la giornata annuale e curando la redazione di una
pagina diocesana almeno una volta al mese, incrementare il centro di diffusione della stampa cattolica e la biblioteca del Seminario.
Altra prospettiva di sviluppo ci parve quella che le nostre comunità avessero
bisogno di acquisire una coscienza maggiormente critica nei confronti della
televisione e individuarne forme concrete di collaborazione. Il Vangelo, ci
sembrava dovesse fare la sua corsa ed entrare in ogni casa ed in ogni cuore
attraverso i nuovi pulpiti, quali sono i mass media, per questo nacque l’esigenza che la Commissione diocesana per le comunicazioni sociali con programmi adeguati proponesse rubriche culturali a servizio della Parola.
Tuttavia la frattura tra vangelo e cultura, tra fede e vita ci sembrò un segno
di morte e la responsabilità di tale fenomeno era da attribuirsi in parte alla
distanza che per troppo tempo aveva allontanato il popolo dal fare un’esperienza personale della verità creduta per fede, in parte allo scarso impegno per
la promozione di un laicato culturalmente e spiritualmente adulto . Ci sembrò allora di intravedere tra le prospettive di superamento l’urgenza di cogliere le potenzialità del mondo, i segni positivi per conoscerne “ i linguaggi”,
uscire dall’ambito del “giudizio” ed entrare in quello della “compagnia”
verso il mondo. Ci sembrò urgente proporre di adeguare la liturgia e le proposte pastorali al popolo, individuando i mezzi per una mediazione efficace e
concreta, promuovere esperienze di fede più solidamente fondate, capaci di
alimentare stili alternativi di vita e formare gli “educatori della strada”, i
nuovi missionari del Vangelo, ripensare e irrobustire la presenza cristiana
88
nella scuola, tenendo sotto costante esame il problema dell’insegnamento religioso: non doveva risultare un’occasione mancata!
Relativamente alla seconda via preferenziale quale quella de “l’impegno
sociale e politico” emerse che in ambito ecclesiale c’era stato il risveglio di
una nuova – anche se ancora confusa- coscienza sociale e politica. La diaspora dei cristiani in politica aveva portato – scrivevamo nel 1995 - a forti crisi
di coscienza già nel 1993, quando ancora si tentava di costituire un partito
unico dei cattolici. Molti avevano intrapreso l’impegno politico in altri schieramenti e sentivano di percorrere una strada nuova, non priva di difficoltà.
Nella allora situazione di diaspora dei cattolici impegnati in politica, il suggerimento forte che veniva dalla riflessione era l’esigenza di tradurre in termini di efficacia politica l’unità sui valori cristiani (rispetto della vita, bioetica, famiglia, solidarietà, scuola, …)
Ci sembrò urgente riscoprire il valore della Scuola di formazione socio – politica, segno di una Chiesa “super partes” e segno di “una Chiesa libera”; dalla
riflessione emerse che la stessa predicazione doveva denunciare fenomeni
quali il secondo lavoro, l’evasione fiscale, il lavoro nero per tradurre in “pillole” i contenuti di una morale sociale. Occorreva abituarsi nuovamente
all’idea della necessità e della nobiltà della politica come servizio autentico
per la promozione di ogni uomo.
La terza via “L’amore preferenziale per i poveri” ci permise di fotografare la nostra Diocesi in merito ai segni tangibili del suo essere serva degli ultimi e da un’attenta analisi emerse
a. una maggiore e più diffusa sensibilità e attenzione concreta alle varie
forme di emarginazione emergenti nel territorio ed oltre;
b. il sorgere di centri di accoglienza in diverse zone pastorali che cominciavano ad assicurare servizi stabili;
c. il moltiplicarsi di gruppi e associazioni di volontariato: esperienze queste
che contribuivano a diffondere la cultura della condivisione
Ovviamente tali segni di vita andavano sostenuti e potenziati con opportuni
programmi di intervento. L’impegno conseguente fu quello di promuovere ed
organizzare un piano organico di educazione alla carità che avrebbe formato
non solo i volontari ma anche gli animatori dell’apostolato, i responsabili dei
gruppi e l’intera comunità. Un compito questo delle Caritas che dovevano
strutturarsi adeguatamente in ogni comunità. Frutto della riflessione fu la
consapevolezza che ogni comunità doveva sentire la necessità di attrezzarsi
89
di strutture di ascolto (nella comunità della SS. Trinità nacque l’associazione “La Tenda”) e di mezzi di rilevazione dei dati per conoscere in modo adeguato il territorio e assicurare in esso una rete di presenze e di servizi di solidarietà collaborando con Enti pubblici e associazioni di volontariato che operavano sul territorio.
“La famiglia” fu il quarto ambito di ricerca.
Leggendo il fenomeno all’interno della nostra comunità ecclesiale registrammo il recupero della centralità della famiglia nella pastorale ecclesiale, come
oggetto e soggetto di pastorale.
Tuttavia si raggiunse la consapevolezza che occorreva proporre una pastorale familiare che mettesse in risalto la validità del disegno di Dio sul matrimonio: i corsi per i fidanzati, si propose a più voci, dovevano essere un vero catecumenato di formazione e di esperienza cristiana. Tra le prospettive di sviluppo si avvertì la necessità di costituire i centri di ascolto come punti di osservazione di situazioni familiari precarie in modo che la comunità si facesse
carico di esse, si avvertì l’esigenza di valorizzare gli anniversari della coppia
e di visite pastorali sistematiche alle famiglie.
L’ultimo ambito di ricerca, propostoci dalla preparazione al Convegno di
Palermo, fu quello de “I giovani”. Da un esame effettuato all’interno della
nostra comunità ecclesiale si evinse che nella pastorale giovanile, la comunità parrocchiale continuava ad essere un punto d’incontro, un luogo di scambio per una crescita umana e cristiana. Perché tale crescita fosse ben guidata,
occorrevano figure educative adulte, capaci di porsi significativamente tra i
giovani e invece spesso ci si imbatteva:
- in percorsi educativi che non portavano a maturità i giovani, ad essere soggetti attivi della propria crescita umana e cristiana, ad essere protagonisti
di un servizio alla comunità;
- percorsi educativi riduttivi che si ispiravano cioè alla visione di un cristianesimo facile, sentimentale, privo della “teologia del sacrificio”;
- gruppi chiusi in se stessi, elitari,selezionati, paghi e gratificati di vivere la
propria esperienza cristiana, magari anche intensa, ma dimentichi di
aprirsi agli altri, soprattutto ai “lontani” per cultura e livello sociale, come
i giovani lavoratori.
Per superare questa situazione di stallo emerse che era urgente pensare ad
una pastorale giovanile coordinata ed organica,coraggiosa nel proporre itinerari di fede più esigenti. Pertanto emerse la necessità che la parrocchia diven90
tasse punto di incontro e di collaborazione, luogo dove costruire un progetto
di vita attraverso rapporti autentici e che nel proprio percorso di crescita non
prescindano da Cristo.
8. La Caritas diocesana e la pastorale giovanile. Quali esperienze durante il tuo mandato sono state trampolino di lancio per aiutare i giovani a determinarsi in scelte di servizio secondo lo stile evangelico?
Senz’altro il percorso che molti giovani hanno scelto di fare attraverso l’obiezione di coscienza e dal 1995 al 1999 dell’Anno di Volontariato Sociale possiamo considerarle esperienze che hanno aiutato i giovani a determinarsi in
modo evangelico.
L’obiettivo fondamentale della pastorale giovanile è quello di far riecheggiare
nell’esistenza di ciascuno la scoperta che Gesù è il senso della vita, fino a confessarlo, celebrarlo e testimoniarlo nella comunità dei credenti e nella società,
con una vita spesa al servizio della crescita comune.
L’obiezione di coscienza e l’Anno di volontariato si collocano in questo tracciato di pastorale giovanile come una scelta alternativa alla montagna di
parole e di progetti aleatori che si dicono e si fanno sul conto dei giovani,
senza offrire loro spazi di partecipazione.
L’Anno di volontariato Sociale è lo spazio vitale dove con coraggio e umiltà
si progetta il futuro, dove si può vivere un vero protagonismo partendo dal
quotidiano e dalla condivisione con i più deboli. È un’esperienza che vede le
ragazze in prima persona impegnate per sostituire la violenza con il dialogo
della pace, l’emarginazione con la scelta preferenziale con i poveri, l’individualismo con l’apertura alla dimensione comunitaria, l’anonimato con l’attenzione alla dignità e alla storia di ciascuno.
9. Secondo te quali sono i concetti della prassi pastorale della Caritas che
con difficoltà entrano nel vissuto della comunità parrocchiale?
Ad onor della verità devo dire che nella mia esperienza di servizio alla Chiesa
locale, come coordinatore della Caritas Diocesana, ci sono stati esempi di collaborazione libera e significativa, tuttavia ritengo che l’individualismo e l’interesse spesso erano, e sicuramente lo sono anche in questo nostro tempo, i
tarli che entrando nel vissuto delle comunità parrocchiali non permettevano
ieri, come oggi, ad esse stesse di vivere la carità secondo il Vangelo.
10. In prospettiva futura quale Caritas immagini per la chiesa di Andria?
Per la Chiesa di Andria sogno una “Una Caritas libera da ogni forma di potere”.
91
LA POVERTÀ
FORMELLE DEL CAPPELLONE DI SAN RICCARDO
Omnes qui afferebantur infirmi sanabantur
(I malati tutti venivano a lui, e li risanava)
S. Riccardo si china sul dolore umano.
Dalla porta della Città
si affollano i sofferenti, uomini e donne;
anche un innocente fanciullo
in ginocchio, implorante
è ai piedi del Santo,
che lo tocca con la mano.
Il latino della didascalia
richiama il discorso di Pietro negli Atti (10,38):
«Gesù di Nazareth passò
facendo del bene a tutti risanando,
perchè Dio era con Lui».
Report sulla povertà nel 2009201
Natale Pepe202
1. Premessa
Il rapporto annuale sull’attività dei Centri di Ascolto Caritas della
Diocesi di Andria nel 2009 è una occasione per interrogarsi sull’attività di
accoglienza e di servizio che essi svolgono e sulle persone che ad essi si
rivolgono. È l’occasione per riannodare i fili delle singole storie e cercare
di tessere un arazzo. Un arazzo fatto di centinaia di fili colorati che sono
organizzati in modo da rappresentare un’immagine dotata di significato
per chi la osserva.
Proveremo anche noi a rappresentare, attraverso le storie a cui rimandano i dati raccolti, un paesaggio dotato di senso. Vivere in una condizione di bisogno, di povertà, è una esperienza che tocca la carne viva di una
persona, ma è anche una esperienza collettiva.
Per rappresentare e comparare la molteplicità delle storie sono stati
utilizzati alcuni indicatori, cioè alcune caratteristiche anagrafiche e sociali degli utenti Caritas. Vediamo in sintesi quali sono:
A) il sesso, la fascia di età, la cittadinanza, lo stato civile, la condizione
professionale, il grado di istruzione,
B) la dimora, le caratteristiche del nucleo di convivenza, la presenza del
coniuge convivente,
C) i bisogni rilevati dagli operatori Caritas, le richieste di aiuto formulate, gli interventi forniti dal Centri di Ascolto.
201 L’articolo è apparso sulla Rivista Diocesana Andriese, Anno LIII, n. 3 (Settembre –
Dicembre 2010), pp. 194 – 204.
202 Sociologo. Si ringrazia Antonella Ricciardelli per la elaborazione dei dati e la realizzazione dei grafici. I dati sono comunicati annualmente dalle strutture caritative coordinate dalla Caritas diocesana con l’utilizzo del programma informatico OsPo/3.
95
Sono tre le dimensione della persona che vengono sinteticamente rappresentate: la prima riguarda alcune caratteristiche socio-demografiche
dell’individuo, la seconda rimanda al contesto delle relazioni, la terza al
rapporto di aiuto attivato con il Centro Caritas.
In questo rapporto i dati raccolti sono stati oggetto di una analisi
monovariata. Sono riferiti ad una popolazione di 451 persone che nel
corso del 2009 si sono rivolte ai Centri di Ascolto della Diocesi. Le percentuali utilizzate nella analisi dei dati fanno riferimento ai casi validi. I valori assoluti di riferimento e le percentuali delle modalità assunte dalle
variabili sono riportati integralmente nella sezione Tabelle e Grafici.
I dati sono stati raccolti dai Centri di Ascolto e dalle Parrocchie partecipanti al Progetto Rete della Caritas Diocesana, il cui elenco, organizzato per zone pastorali, è di seguito riportato.
–
Andria 1:
Centro interparrocchiale di prima accoglienza Mamre;
–
Andria 2:
Parrocchia M. SS. dell’Altomare
Parrocchia San Riccardo
Parrocchia San Francesco d’Assisi
Parrocchia M. SS. Annunziata
Parrocchia San Nicola di Myra
Parrocchia Santa Maria dei Miracoli
Parrocchia Santa Maria Addolorata alle Croci;
–
Andria 3:
Centro interparrocchiale per le famiglie Nazaret;
–
Canosa di Puglia:
Parrocchia M. SS. del Rosario
Parrocchia S. Maria Assunta
Parrocchia San Sabino
Parrocchia Gesù, Giuseppe, Maria;
–
Minervino Murge:
Centro Interparrocchiale di prima accoglienza Emmaus;
–
Caritas Diocesana di Andria:
Progetto Barnaba e Fondo Fiducia e Solidarietà
96
Il rapporto è composto da una analisi-riflessione sui dati raccolti dai
Centri di Ascolto (chi sono le persone che ad essi si sono rivolti, quali i
bisogni e le richieste fatte e gli interventi offerti) e dalle tabelle e dai grafici relative ai dati raccolti.
2. L’ analisi dei dati ed alcune riflessioni
Nel 2009 la crisi economica ha mostrato, in tutta la sua crudezza, i
suoi effetti. Cresce la povertà, crescono i bisogni di chi vive nel territorio
della Diocesi di Andria. Tra il 2008 ed il 2009 è aumentato il numero delle
persone rivoltesi ai Centri di Ascolto della Caritas. Nel solo 2009 l’utenza
monitorata già negli anni precedenti, è cresciuta dell’81,3% (!), incremento dovuto a cittadini italiani [Tabella 1 e Grafico 1]. Un dato che deve
indurci a pensare in termini straordinari rispetto ad una fase straordinaria della vita delle nostre comunità locali. Un territorio, una comunità
locale, che drammaticamente si impoverisce.
Chi sono le persone rivoltesi ai Centri di Ascolto Caritas e che caratteristiche comuni hanno? Cosa ci dicono di loro e cosa possiamo capire di
noi?
La prima cosa che capiamo è che nel 2009 agli sportelli di ascolto si
sono rivolti più uomini (53,4%) che donne (46,6%) [Grafico 2] e che sono
stati soprattutto adulti a farlo. Circa il 55% degli utenti aveva un’età compresa tra i 35 e i 54 anni [Grafico 3]. Chi è più giovane difficilmente si è
rivolto ai Centri di Ascolto. I giovani sono “meno poveri” oppure trovano altri canali di sostegno al soddisfacimento dei loro bisogni? I dati raccolti confermano che sono le famiglie di origine a svolgere un ruolo di
sostegno economico e non solo. I figli minori conviventi delle 451 persone rivoltesi al sistema Caritas diocesana sono 504 [Tabella 2].
Osserviamo poi un’altra cosa importante. Gli utenti sono principalmente cittadini italiani (93,4%). E gli stranieri? Sono sempre tra noi e sappiamo che la loro presenza nei Centri Caritas è assolutamente rilevante.
Fanno però riferimento ad alcuni Centri “specializzati” su questa tematica, i cui dati non confluiscono in questo rapporto. I dati qui trattati ci
mostrano le condizioni di difficoltà, se non di povertà, dei cittadini italiani [Grafico 4].
97
Essere disoccupato è la condizione largamente maggioritaria di chi
chiede aiuto. Una percentuale altissima pari al 59,2% [Grafico5]. Da
affiancare a questo dato è il basso livello di istruzione. La maggioranza
assoluta degli utenti non ha adempiuto agli obblighi scolastici [Grafico 6].
Il 52,1% non è arrivata a conseguire il diploma di scuola media inferiore!
Come non pensare al detto indiano “Se qualcuno ti chiede un pesce tu
insegnagli a pescare”. Disoccupazione e mancato adempimento degli
obblighi scolastici sono la condizione comune della maggioranza assoluta delle persone rivoltesi alla Caritas. All’interno dell’emergenza educativa, autorevolmente segnalata da Benedetto XVI, credo debba essere collocata quella relativa all’istruzione: adempimento degli obblighi scolastici e qualità del percorso.
I dati raccolti mostrano che i Centri hanno una utenza composta
soprattutto da persone coniugate (53%). Una quota minoritaria ma significativa è rappresentata dai separati/divorziati (15,2%) [Grafico 7].
La prevalenza tra gli utenti di coniugati deve essere valutata assieme
ad altre due variabili: lo stato di convivenza con il coniuge e la convivenza all’interno di un nucleo familiare. I dati parlano chiaro: la maggioranza assoluta di chi si è rivolto ai Centri di Ascolto vive assieme al coniuge
(60%) e con i propri familiari (82,7%) [Grafico 9]. Tra gli utenti solo il
13,2% vive da solo. A conferma di questa utenza fatta di persone che
vivono in famiglia (o comunque in nuclei di convivenza stabile) c’è il
dato sulla dimora. Il 96% ha una domicilio (è elevata però la percentuale
di dati mancanti). I senza fissa dimora sono una esigua minoranza (2,4%).
Nulla sappiamo e quindi nulla aggiungiamo circa le caratteristiche e
l’adeguatezza delle abitazioni [Grafico 10].
Riassumendo, si può affermare che nel 2009 si sono rivolti agli sportelli Caritas in maggioranza adulti (prevalgono leggermente gli uomini)
di cittadinanza italiana, coniugati che vivono all’interno di un nucleo
familiare, con una dimora fissa, in prevalenza disoccupati, che non hanno
adempiuto gli obblighi scolastici.
I Centri di Ascolto Caritas sono stati frequentati prevalentemente da
persone che vivono in famiglia e pertanto bisogni e richieste sono
influenzati da questa condizione. L’aiuto è stato offerto soprattutto a
nuclei familiari, a famiglie in difficoltà, a famiglie in povertà. A tal fine è
importante considerare il numero delle persone conviventi che sono state
98
raggiunte dalle prestazioni della Caritas. A fronte di 451 utenti “diretti”
dei Centri Caritas abbiamo avuto un bacino di utenza “indiretta”, di conviventi nel nucleo familiare, pari a 1.389 persone, per un totale di almeno
1.840 persone.
I bisogni rilevati dagli operatori Caritas per due terzi riguardano la
povertà ed i relativi problemi economici e le questioni relative alla disoccupazione e al lavoro. Nel primo caso la percentuale tocca il 45,9% degli
utenti e nel secondo il 26,3% [Grafico 11].
Di conseguenza le richieste fatte sono state soprattutto di beni e servizi materiali come cibo e vestiario (76%). Appare comunque significativa
la domanda di ascolto e di sostegno non immediatamente riconducibile a
necessità materiali (21,2%) [Grafico 12].
È evidente che Centri di Ascolto orientati prevalentemente alla distribuzione di cibo e di vestiario in qualche modo formino la domanda. La
redistribuzione di beni materiali è un servizio che a livello locale non
trova altre agenzie e il suo venir meno avrebbe un impatto molto pesante su chi vive situazioni di bisogno.
Le prestazioni erogate nel 2009 sono state 7.309. Di queste il 74,6%
rientrano nella categoria beni e servizi materiali ed il 23,4% in interventi
di ascolto. La precisazione da fare è che qualunque intervento porta con
sè una dimensione relazionale e quindi di ascolto e sostegno, per cui si
deve considerare questa dimensione presente, con un maggiore o minore
grado di intensità, anche nelle prestazioni classificate come materiali.
Questa considerazione permette di dare una maggiore rilevanza al dato
riguardante gli interventi classificati come esclusivamente di ascolto
[Grafico 13].
Ai Centri di Ascolto si rivolgono singoli individui ma l’errore da evitare è di considerarli fuori dal sistema di relazioni nel quale sono collocati. Il quadro complessivo che emerge nella Diocesi di Andria, l’arazzo di
cui abbiamo parlato in premessa, è quello di Centri di Ascolto che si trovano a trattare in prevalenza povertà familiari. E se ci riferiamo a povertà familiari è evidente la rilevanza che assume il ruolo della donnamadre.
Questa constatazione fatta a livello locale è utile collocarla in un contesto di studio e di ricerche più ampio. A tal fine mi sembra particolarmente interessante l’indagine su “Le condizioni di povertà tra le madri in
99
Italia” effettuata dalla Associazione “Save the Children Italia” e dalla
“Fondazione Cittalia dell’ANCI”, pubblicata nello scorso maggio.
In Italia ci sono oltre 1 milione di donne in povertà. Nel nostro Paese
è in ripresa la povertà tra le madri soprattutto con bambini. Per Save the
Children, le donne povere203 nel nostro paese sono 4,2 milioni di cui
1.678.000 sono madri e di queste circa un milione ha almeno un figlio
minorenne.
Se poi si considera il totale delle famiglie povere, pari all’11,3% delle
famiglie italiane, l’incidenza della povertà in un nucleo costituito da una
donna in coppia con un figlio minorenne è superiore alla media del 4%
posizionandosi sul 15,4%. Una percentuale che sale al 16,5% con due figli
di cui almeno uno minorenne e al 26,1% se i figli sono 3 di cui almeno uno
minore.
Tutto ciò ci dice che la maternità può essere considerata come un fattore di rischio povertà per molte donne e che le famiglie con figli minorenni sono le più esposte a questo rischio anche perché si riduce sensibilmente la possibilità di lavoro, di produzione di reddito, della madre con
bambini piccoli. Il dato nazionale viene confermato a livello locale. Come
già esposto, tra gli utenti dei Centri di Ascolto della Diocesi, sono ben 594
i figli minorenni conviventi.
Le difficoltà economiche delle famiglie in Italia emergono drammaticamente dai dati ISTAT 204:
tra le madri in coppia con un bambino piccolo il 18,6% non ha i soldi
per far fronte a tutte le spese del mese; il 16,3% ha pagato in ritardo almeno una bolletta; il 10,3% non è stato in grado di sostenere regolarmente le
spese scolastiche dei figli; il 5% non ha potuto sempre acquistare generi
alimentari. Se poi la madre è sola con almeno un figlio minore la situazione è ancora più grave: il 44% arriva a fine mese con molta difficoltà. E in
un tempo di profonda crisi economica come quello che stiamo attraversando, tali problemi tendono ad accentuarsi.
203 Fonte ISTAT 2008. Per povertà relativa si intende la condizione di una famiglia di due
persone con una spesa media mensile inferiore a 999,67.
204 Fonte ISTAT 2008.
100
In Italia l’intervento pubblico mostra i suoi limiti. Nella classifica
dell’Europa a 15 l’Italia risulta, assieme a Spagna e Portogallo, ultima
nella spesa per la famiglia in rapporto al Pil. Per la famiglia e la maternità l’Italia spende solo l’1,2% del prodotto interno lordo, mentre
nell’Unione Europea si spende decisamente di più (2,1% nella Ue a 15 e
2,0% nella Ue a 27).
Per quanto riguarda invece la quota di spesa nell’ambito di tutte le
prestazioni di protezione sociale, l’Italia tra i 27 Paesi europei precede
solo la Polonia. Nel nostro Paese la quota per la famiglia e la maternità,
nell’ambito della spesa per welfare, pesa il 4,7% (in Polonia il 4,5%).
Ma la media complessiva dei Paesi europei è dell’8%. È quanto risulta dall’ultima Relazione Generale sulla situazione economica del Paese
del Ministero dell’Economia. Se poi si guarda alle voci del Bilancio dello
Stato, e in particolare a quelle delle prestazioni di protezione sociale,
emerge che nel 2009 la spesa pubblica per assegni familiari è scesa a 6,390
miliardi di euro dai 6,675 del 2008 (-4,3%).
In calo anche la spesa per l’indennità di maternità, che è in un’unica
voce di bilancio assieme all’indennità di malattia e per infortuni: la riduzione delle uscite è stata nel 2009 del 2,5% rispetto al 2008.
Lo ricordiamo nuovamente: le persone che si rivolgono ai Centri di
Ascolto della Diocesi di Andria riportano bisogni e povertà dei loro
nuclei familiari. È la famiglia che vive un momento drammatico: crescenti difficoltà economiche e occupazionali assieme ad una bassa spesa pubblica di supporto. La presenza di madri con figli piccoli è un ulteriore fattore che aggrava la situazione del nucleo familiare.
In conclusione, il quadro emerso comporta la necessità di pensare agli
interventi di assistenza non come rivolti ad individualità decontestualizzate ma a persone portatrici di bisogni, necessità, dell’intero nucleo familiare, pensate in una rete di relazioni specifiche. La famiglia e le sue
povertà richiede una particolare attenzione. Ciò non significa trascurare
altre tipologie di utenza (persone sole, non coniugati, separati e senza
fissa dimora, ecc.) quanto piuttosto cercare di personalizzare gli interventi sulla base della diversità dei bisogni.
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Responsabili degli altri205
don Domenico Francavilla
Nell’odierno contesto socio-economico è più facile utilizzare il termine astratto “povertà” che il termine concreto e diretto “povero” riferito ad
una determinata persona per esprimerne la sua condizione.
Ciò rende più difficile l’individuazione dei “poveri” in mezzo a noi e
quindi la possibilità di intervento.
Chi è povero oggi? Stando alla soglia di povertà relativa (nel 2009:
983,01 euro mensili per due persone) in Italia sono 2 milioni 657 mila e
rappresentano il 10,8% delle famiglie residenti, cioè 7 milioni e 810 mila
persone povere, il 13,1% dell’intera popolazione! Ma ciò che può interessarci maggiormente è quante persone rischiano di cadere al di sotto di
quella soglia trascinando con sè tutto ciò che fino a quel momento non
poteva essere considerato povero/povertà.
Guardandoci intorno si vedono ingrossare le fila di coloro che si rivolgono alla Mensa della carità (nella sola città di Andria di poco meno
100.000 abitanti nel 2009 sono stati distribuiti 103.000 pasti!!!) prevalentemente immigrati, è vero! Ma sono circa 500 (quasi 2.000 persone) i nuclei
familiari che vengono assistiti direttamente dai Centri di ascolto interparrocchiali o dalle parrocchie della Diocesi.
Si ingrossano anche le fila di coloro che non sono poveri ma che il
sistema ha impoverito (carte di credito, revolving, micro - finanziamenti,
gioco e gioco d’azzardo) oppure perché vittime di una malattia, di un
lutto, di un licenziamento…
205 Articolo pubblicato su Cercasi un fine, periodico di Cultura e Politica, Novembre
2010 (anno VI), n. 54, pg. 2. Il numero è stato distribuito in occasione del Focus Week
sull’Anno Europeo della Lotta alla Povertà e all’Esclusione Sociale, Bari 15 – 19
novembre 2010.
109
Questi non si considerano poveri e con difficoltà accettano di modificare il proprio stile di vita soprattutto per quanto riguarda l’aspetto esteriore, cioè quella sfera della propria persona che entra in contatto o in
relazione con gli altri.
Gli effetti sono ancora più negativi perché si vanno a tagliare dal
bilancio familiare le spese che riguardano l’istruzione, la salute, la casa,
l’alimentazione… spese di prima necessità, che modificano negativamente le condizioni generali di vita.
C’è ancora un dato più preoccupante: sono più di 500 i minori che
vivono nelle famiglie seguite dai Centri coordinati dalla Caritas diocesana. Quale è il loro presente? Quale sarà il loro futuro?
Come Caritas diocesana stiamo registrando in questi anni l’andamento (o meglio l’aumento; è di 81,30 % il saldo attivo tra il 2008 e il 2009) di
coloro che si rivolgono ai nostri servizi per cui ci stiamo muovendo su
due binari:
il primo, potenziamento della rete di prima accoglienza con più interventi, più risorse (ma siamo nella linea dell’assistenza, purtroppo ancora
necessaria);
il secondo, creazione o potenziamento di strumenti finanziari come il
microcredito sia socio-assisenziale (Fondo Fiducia e Solidarietà) sia di
sostegno alla micro-imprenditorialità (Progetto Barnaba - dare credito
alla speranza) e ciò perché crediamo che la promozione della persona, il
suo coinvolgimento, la renda responsabile di un prestito (piuttosto che di
una donazione) e crei una circolarità virtuosa.
C’è anche un terzo binario che desideriamo promuovere: quello del
coinvolgimento della intera comunità nella condivisione di una responsabilità perché attraverso una scelta di attenzione delle proprie spese, di
sobrietà, di consumo critico, possa scardinare un sistema che basa la sua
efficienza e ricchezza sui poveri ed evitare l’indifferenza - “tanto io non
sono povero” – mentre Benedetto XVI insegna che “la solidarietà è anzitutto sentirsi tutti responsabili di tutti”.
La Caritas ha sviluppato sin da subito la sua funzione prevalentemente pedagogica che mette in atto proprio in queste situazioni per formare
la coscienza di tutti i battezzati. E questa è la sfida che porterà a riscoprire come la beatitudine sulla povertà detta da Cristo non è solo spirituale
ma anche materiale: “beati i poveri, guai a voi ricchi” (Lc 6, 20.24).
110
Analisi dell’utenza e dell’attività
dei Centri di Ascolto Caritas della Diocesi di Andria anno 2010206
Natale Pepe
1. Premessa
Il Rapporto Annuale Caritas 2010 della Diocesi di Andria fotografa
l’utenza e il lavoro svolto dai Centri di Ascolto (CdA) che operano ad
Andria, Canosa di Puglia e Minervino Murge. I dati e le riflessioni che
esso contiene devono essere collocate nello scenario dell’attuale crisi economica internazionale che si è sovrapposta e ha potenziato le preesistenti povertà locali.
La crisi che in questi mesi sta mettendo a dura prova l’Europa è una
crisi di sistema. Alberto Melloni, storico della Chiesa, propone di utilizzare la categoria evangelica di “krisis” per comprenderla. Non è la “fine
del mondo” ma la fine di un mondo, un “giudizio” su uno stile di vita tenuto dall’Occidente nel quale il debito dei paesi ricchi, alimentato dalle
risorse provenienti dal resto del mondo, agiva come sistema di dominio.
In particolare, dobbiamo essere consapevoli che, come scrive il sociologo Marco Revelli in “Povero noi” (Einaudi, 2010), “l’Italia non è come ce la
raccontano: abbiamo creduto di crescere e stiamo declinando, la nostra presunta
modernizzazione è un piano inclinato verso la fragilità e l’arretratezza”. La
dimensione locale ci consente di percepire più chiaramente e drammaticamente il processo in atto: l’Italia è un paese che vive un ciclo di progres206 I dati qui presentati sono stati oggetto di discussione e approfondimento nelle singole sedi interessate all’accoglienza (Parrocchie, Zone Pastorali, Centri di Ascolto,
Equipe diocesana) e comunicati alla Comunità ecclesiale attraverso il mensile diocesano “Insieme” nel numero Settembre – Ottobre 2011. Questa relazione, inoltre, è
stata pubblicata integralmente sulla Rivista Diocesana Andriese LIV - 2011/n. 2 - pp.
90-95. Si ringrazia Antonella Ricciardelli per la elaborazione dei dati e la realizzazione dei grafici. I dati sono comunicati annualmente dalle strutture caritative coordinate dalla Caritas diocesana con l’utilizzo del programma informatico OsPo/3.
111
sivo impoverimento del ceto medio e di crescenti disuguaglianze della
popolazione, un paese fragile in cui è grande la sfiducia nella possibilità
di migliorare la propria condizione di vita. Non è un caso che il X
Rapporto di Caritas Italiana e della Fondazione Zancan si intitoli “In
caduta libera”. Tale documento bene illustra come siano fuorviati i dati
Istat 2010 sulla povertà in Italia. Non è vero che essa sia sostanzialmente
stabile rispetto al 2008, si tratta di una “illusione ottica”. I ricercatori della
Fondazione Zancan calcolano un incremento dei poveri del 3,7% rispetto
al 2008 (per le argomentazioni tecniche si rimanda al X Rapporto Caritas).
Lo studio conferma, inoltre, che la povertà riguarda soprattutto il Sud
Italia, le famiglie numerose (3 o più figli specie se minori), i nuclei con un
solo genitore e chi ha un livello basso di istruzione.
Questo è il contesto in cui collocare l’analisi e le riflessioni che nascono a partire dall’incontro quotidiano dei volontari Caritas con le povertà
e i bisogni delle nostre città. I Centri di Ascolto sono un osservatorio privilegiato per avere il “polso” della situazione. Ma attenzione i dati dicono anche dei Centri, dei volontari che prestano il loro servizio, delle peculiarità delle città in cui operano: quale l’ “orientamento” dato all’offerta,
quale la concezione che si ha della povertà.
Il rapporto diocesano è composto da una analisi-riflessione sui dati
raccolti (chi sono le persone che si sono rivolti ai CdA, quali i bisogni e le
richieste fatte e gli interventi offerti) e da tabelle e grafici relativi.
I Centri Caritas raccolgono sistematicamente dati statistici che consentono di conoscere le caratteristiche degli utenti. Sono tre le dimensione che vengono rappresentate: la prima riguarda alcune caratteristiche
socio-demografiche (sesso, classe d’età, cittadinanza, stato civile, condizione professionale, grado di istruzione), la seconda rimanda al contesto
delle relazioni (dimora, caratteristiche del nucleo di convivenza, presenza di figli minori), la terza al rapporto di aiuto attivato (bisogni rilevati
dagli operatori, richieste di aiuto formulate, interventi forniti). Queste
informazioni confluiscono nel sistema informativo di Caritas Italiana e
sono alla base dei rapporti da questa stilati. I valori assoluti di riferimento e le percentuali delle modalità assunte dalle variabili sono riportati
integralmente nella sezione Tabelle e Grafici. Le informazioni provengono dai Centri di Ascolto e dalle parrocchie partecipanti al Progetto Rete
della Caritas Diocesana, il cui elenco, organizzato per Zone Pastorali, è di
seguito riportato:
112
–
Zona Pastorale Andria 1:
Centro interparrocchiale prima accoglienza “Mamre”;
–
Zona Pastorale Andria 2:
Parrocchia M. SS. dell’Altomare;
Parrocchia San Riccardo;
Parrocchia San Francesco d’Assisi;
Parrocchia M. SS. Annunziata;
Parrocchia San Nicola di Myra;
Parrocchia Santa Maria dei Miracoli;
Parrocchia Santa Maria Addolorata alle Croci;
–
Zona Pastorale Andria 3:
Centro interparrocchiale per le famiglie “Nazaret”;
–
Canosa di Puglia:
Parrocchia M. SS. del Rosario;
Parrocchia S. Maria Assunta;
Parrocchia San Sabino;
Parrocchia Gesù, Giuseppe, Maria;
Parrocchia Santa Teresa;
–
Minervino Murge:
Centro Interparrocchiale di prima accoglienza “Emmaus”;
–
Caritas Diocesana di Andria
Progetto Barnaba e Fondo Fiducia e Solidarietà.
2. Analisi e commento
Il rapporto 2010 pone una particolare attenzione alle caratteristiche
dell’utenza e delle attività dei Centri di Ascolto dei tre comuni della
Diocesi al fine di meglio capire le peculiarità di chi riceve assistenza e di
chi la offre.
Lo scorso anno è cresciuto il numero di persone che si sono rivolte ai
Centri di Ascolto: da 596 del 2009 a 716 del 2010, con un incremento del
20,1%. In particolare, ai Centri di Ascolto di Andria si sono rivolti 448
individui, a Canosa 195 e a Minervino Murge 73 [Grafico 1 e Tabella 1].
La crisi continua a far sentire i suoi effetti. Cresce la povertà, crescono
i bisogni di chi vive nel territorio della Diocesi di Andria, cresce la
113
domanda di aiuto. La Caritas ha risposto con l’apertura di nuovi centri di
ascolto. In questi ultimi anni il loro numero è passato dagli 8 del 2008 ai
15 del 2009 arrivando ai 16 del 2010 [Grafico 2].
Gli utenti sono stati quasi esclusivamente cittadini Italiani, gli stranieri solo 36 di cui 27 seguiti a Minervino. È necessario precisare che gran
parte degli interventi a favore dei cittadini non Italiani (anche se
Comunitari) sono concentrati presso il Centro di Accoglienza “S. M.
Goretti” di Andria e non sono oggetto di questo rapporto.
Proviamo a costruire un identikit dell’utente 2010 di cittadinanza italiana. Lo faremo sottolineando le specificità che emergono nei diversi
comuni.
Andria (433 utenti). Agli sportelli di ascolto si sono rivolte principalmente donne (56,0%), gli utenti avevano in prevalenza un’età compresa
tra i 35 ed 54 anni (51,6%), coniugati (60,5%), con un livello di istruzione
basso (il 49,1 % non ha conseguito la licenza di scuola media di 1° grado
e il 14, 3% è analfabeta o senza alcun titolo di studio), disoccupati (38,2%)
o casalinghe (30,4%) [Grafici 3- 7].
Canosa di Puglia (195 utenti). Diversa la situazione per quanto riguarda il sesso prevalente tra gli utenti: in questo caso il 54% sono uomini. Più
alta l’incidenza di coloro che hanno un’età compresa tra i 35 e 54 anni
(61,0%). Anche a Canosa prevalgono i coniugati (57,95%), il livello di
istruzione è basso, mentre elevato appare quello dei disoccupati (39,0%)
e delle casalinghe (20,0%) [Grafici 8 – 12].
Minervino Murge (46 utenti). Tra i cittadini italiani che si sono rivolti
al Centro di Ascolto le donne sono state in leggera prevalenza: 23 rispetto a 21 uomini (per 2 utenti il dato non è stato rilevato). La maggioranza
ha un’età compresa tra i 35 ed i 54 anni (36 su 46 utenti complessivi), è
coniugato (25 su 46 individui), con un basso livello di istruzione (25 su 46
non hanno conseguito il diploma di scuola media di 1° grado), la condizione lavorativa maggioritaria è quella di disoccupato (21 persone) seguita da quella di casalinga (13 donne) [Grafici 13 – 17].
Da questi dati emerge come la composizione socio-demografica dell’utenza si differenzi nei tre comuni sostanzialmente per età, sesso e stato
civile. In tutti i comuni è la fascia di età “centrale” ad essere prevalente.
Esaminiamo le diversità. Ad Andria gli over 65 sono una componente
consistente pari al 13,6% a differenza di Canosa (5,6%) e di Minervino. In
particolare è a Canosa che la classe d’età centrale 35 – 54 anni ha maggio114
re consistenza (61,0%) rispetto agli altri due comuni. Canosa inoltre si differenzia per la prevalenza dell’utenza maschile. A Minervino la presenza
di coniugati, pur essendo maggioritaria è meno significativa rispetto ad
Andria e Canosa.
Un breve inciso per quanto riguarda gli stranieri rivoltisi al Centro di
ascolto di Minervino. A differenza di Andria e Canosa, qui gli stranieri
sono stati in numero consistente (27 su un totale di 76 individui). Quasi
uguale il numero degli uomini e delle donne (14 gli uni 13 le altre), di età
decisamente minore degli italiani (11 su 24 di età compresa tra i 19 e i 34
anni), in maggioranza coniugati, con livello di istruzione medio - basso
(superiore però a quello degli italiani) e con una consistente componente
di disoccupati [Grafici 18 – 22].
Essere disoccupato è la condizione largamente maggioritaria di chi
chiede aiuto. Disoccupazione e mancato adempimento degli obblighi scolastici sono la condizione comune alla maggioranza assoluta delle persone rivoltesi alla Caritas. La relazione tra povertà e basso livello di istruzione viene ampiamente confermata. Da qui la consapevolezza che la
lotta alle povertà non può prescindere da un forte impegno per la crescita del livello d’istruzione in termini di quantità e qualità.
Chi si è rivolto ai Centri di Ascolto per circa l’80% (con piccole variazioni percentuali nei diversi comuni) vive all’interno di un nucleo familiare e ha una dimora fissa. Chi vive da solo rappresenta una percentuale minoritaria (un dato medio che oscilla intorno al 10%). Quasi inesistente la presenza di senza fissa dimora (unico dato è quello di Canosa con 4
persone). Si conferma ancora che i Centri sono frequentati prevalentemente da persone che vivono in famiglia, non importa se “tradizionale”
o di fatto. Gli interventi sono stati rivolti soprattutto a nuclei familiari,
molti dei quali con figli minori. Ad Andria i figli minori delle persone
rivoltesi agli sportelli di ascolto sono 366, a Canosa 173 e a Minervino 61.
Ai Centri di Ascolto si rivolgono singoli individui, bisogna però evitare
l’errore di considerarli fuori dal sistema di relazioni familiari nel quale
sono collocati [Grafico 23 e Tabella 2].
L’analisi dei bisogni dell’utenza mostra alcune specificità che caratterizzano i Centri di Ascolto dei tre comuni. Si tratta di una analisi che
passa attraverso la valutazione della domanda effettuata dall’operatore e
che quindi risente della sua capacità di interpretazione e classificazione.
Ciò nonostante le differenze che emergono meritano attenzione. Comune
115
a tutte le realtà locali è la prevalenza di due categorie di bisogni: quelli
riconducibili ai problemi economici (59,7% a Canosa, 47,5% ad Andria e
30,6% a Minervino) e quelli riguardanti l’occupazione e il lavoro (25,8%
ad Andria, 22,2% a Canosa 22,4% a Minervino) [Tabella 3 – 5]. Ma già qui
emergono le prime differenze. La “forbice” percentuale riguardante i problemi economici appare estremamente ampia tra Canosa e Minervino. Se
si analizzano poi le altre voci è evidente come a Minervino i bisogni
emersi dai colloqui con gli operatori Caritas riguardino una molteplicità
di tematiche praticamente assenti a Canosa mentre Andria si pone in una
posizione intermedia. Esaminiamole in dettaglio: innanzitutto emergono
le problematiche familiari (15,7%) seguite da quelle relative ai problemi
di salute (10,5%) e dalle problematiche abitative (8,2%). Ciò non significa
che gli utenti di Canosa non abbiano anche loro bisogni riconducibili a
queste aree. È probabile, in questo caso, che sia l’offerta ad orientare la
domanda.
Questa ipotesi può trovare una ulteriore conferma considerando la
richiesta di intervento rivolta ai Centri di Ascolto. La domanda riguarda
nella quasi totalità dei casi beni e servizi materiali (98,2% a Canosa, 87,8%
a Minervino e 79,7% ad Andria). Nulla di strano considerata la natura di
questi Centri che hanno tra i loro obiettivi anche quello di fornire alimenti, vestiario, ecc.. Pur consapevoli di questa caratteristica dai dati emergono alcune differenze degne di nota. Ad Andria ben il 20,1% delle richieste di intervento sono state di ascolto. Si tratta di una domanda di aiuto
relazionale esplicito. È importante ricordare che qualunque richiesta di
tipo materiale porta implicita una dimensione relazionale ma in questo
caso il dato ci segnala, probabilmente, un maggiore orientamento dei
Centri di Ascolto della città in questa dimensione. Una tale differenziazione, anche se di più modeste dimensioni, appare anche a Minervino
dove assumono una qualche consistenza richieste di tipo sanitario (4,6%)
e di ascolto (3,9%) [Tabelle 6 – 8].
Queste considerazioni sono confermate dai dati riguardanti gli interventi effettuati presso i centri di ascolto dei tre comuni della Diocesi. Le
percentuali relative alle richieste degli utenti coincidono sostanzialmente
con quelle degli interventi effettuati dagli operatori [Tabelle 9 – 11].
Si può formulare l’ipotesi, meritevole di ulteriori approfondimenti e
verifiche, che i Centri di Ascolto di Canosa siano meno “orientati” verso
una offerta di tipo relazionale, ovvero che minore sia la percezione di tale
116
componente. È altresì vero che la distribuzione di cibo e di vestiario sono
un servizio che a livello locale non trova altre agenzie e il suo venir meno
avrebbe un impatto molto pesante su chi vive situazioni di disagio.
Il quadro che emerge dal rapporto chiede di pensare gli interventi di
assistenza non come rivolti ad individualità decontestualizzate ma a persone portatrici di bisogni riconducibili al proprio nucleo familiare. La
famiglia e le sue povertà richiede una particolare attenzione. Ciò non
significa trascurare altre tipologie di utenza (persone sole, senza fissa
dimora, ecc.) quanto piuttosto cercare di personalizzare gli interventi
sulla base della diversità dei bisogni.
In conclusione, questo tempo di crisi chiede alla Chiesa locale, intesa
come “communio”, di leggere attentamente i segni dei tempi, di avere la
capacità di cogliere il tempo favorevole offerto dalla “krisis” per un profondo cambiamento degli stili di vita, di proporne altri improntati alla
giustizia e alla fraternità. È questo il servizio grande che essa può offrire
partendo dai suoi Centri di Ascolto.
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I Centri di Ascolto interparrocchiali si raccontano
Simona Inchingolo207
Sono passati più di quindici anni da quando i Centri di Ascolto (CdA)
sono nati e operano in tre zone pastorali della nostra Diocesi. Luoghi,
strutture e persone che a nome delle comunità parrocchiali si sono fatti
più vicini ai problemi dei territori e sono divenuti punto di riferimento
stabile per tutte quelle persone che, nel corso di questi anni hanno bussato alle loro porte, trovando accoglienza e collaborazione per sollevare
assieme il fardello della povertà in cui ci si veniva a trovare. Tanti i volontari, gli amici, laici e religiosi, che si sono succeduti nei Centri per garantire la continuità della missione che ci si era riproposti di vivere accanto
agli ultimi, dedicando del tempo agli altri.
A distanza di anni, i nomi “Mamre” e “Nazaret” nella città di Andria
ed “Emmaus” a Minervino Murge, non sono nomi sconosciuti e la loro
credibilità è frutto di impegno quotidiano e costante di persone che si
spendono con gratuità per garantire dei servizi coordinati dalla Caritas
diocesana a nome delle parrocchie della intera comunità ecclesiale della
Diocesi.
La chiacchierata con Gino, Tonio, Vincenzo e Maria Carmela, responsabili rispettivamente dei Centri Nazaret, Emmaus e Mamre vuol essere
un raccontare a trecentosessanta gradi la loro esperienza di servizio nei
Centri di Ascolto.
Iniziamo con alcuni cenni storici relativi alla nascita dei Centri:
“Il 29 aprile del 1996 è stato aperto il Centro Nazaret da don Raffaele
Daniele; il Centro nasce per volontà delle parrocchie della Zona Pastorale Andria
207 Referente comunicazione della Caritas diocesana. Presidente della Cooperativa
Filomondo.
129
tre ed è tuttora da esse sostenuto; si mette a servizio del territorio per affrontare
e risolvere quanto non potrà fare la singola comunità parrocchiale; il Centro
viene costituito per ascoltare e leggere in profondità le problematiche delle famiglie della zona e accogliere le istanze socio-morali e religiose delle famiglie con
gravi problemi e tentare di dare risposte possibili; il Centro promuove, senza
sostituire, l’azione delle singole parrocchie e della Diocesi, la formazione permanente delle famiglie; il Centro cerca di farsi voce delle famiglie presso le istituzioni perché siano aiutate nei bisogni e nelle urgenze.
Si chiama Centro Nazaret perché è un Centro nato per dare sostegno alle
famiglie e quindi il nome deriva dalla prima sacra famiglia, quella di Nazareth”;
“Il Centro Emmaus è stato costituito con atto notarile il 31 marzo 1995.
Dall’ottobre 1990, l’allora Direttore della Caritas, Don Sabino Calabrese, dette
vita alla Caritas Interparrocchiale a Minervino Murge con un corso di formazione specifico dal titolo “Teologia della Carità”. Da allora si sentì il bisogno di
incontrarsi per curare la formazione, analizzare le povertà del territorio, effettuare interventi urgenti occasionali e promuovere progetti a media e a lunga scadenza (primo fra gli interventi straordinari fu l’attenzione ad una famiglia albanese
in difficoltà con la sensibilizzazione di alcune persone che fornirono loro un lavoro ed un soggiorno decoroso nel nostro Comune fino al loro rimpatrio, sostenendoli finanziariamente anche per la costruzione di una casa in Albania).
Seguirono altri interventi straordinari in favore di famiglie disagiate della nostra
comunità cittadina. Un’attenzione particolare fu data agli anziani e alle loro esigenze: furono organizzati pellegrinaggi, momenti di liturgia e di svago in collaborazione con le rispettive famiglie, fu allestita una sede gestita direttamente da
loro e, per conoscere meglio le condizioni e i loro bisogni, la Caritas interparrocchiale avviò un’indagine su tutto il territorio, della durata di circa un anno con
il coinvolgimento di tutte le forze della comunità. Tale lavoro così minuziosamente svolto fu la base per l’avvio di un osservatorio permanente delle povertà. Dopo
tale indagine, la Caritas interparrocchiale costituì diversi gruppi e associazioni:
“Ala di riserva”, “Comunità e disabili”, l’Associazione per la raccolta del sangue
“4%” che successivamente si è affiliata al gruppo “FRATRES”, e il nostro
Centro di ascolto e di prima accoglienza “Emmaus”:
– “Emmaus” richiama la vicenda di due discepoli profondamente delusi che
mentre ritornano a casa ricevono la visita di Gesù che si accosta illuminando i loro dubbi, ravvivando la loro fede, nutrendo le loro speranze. Da quell’incontro essi ripartono per un annuncio gioioso.
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È l’esperienza che prima di tutto sono chiamati a fare i volontari che dalla
mensa eucaristica ripartono costantemente per vivere la comunione con i fratelli.
È l’esperienza che potrebbero fare coloro che si rivolgono al Centro quando
scoprono che nel cammino della vita qualcuno si affianca a loro e condivide
la strada.
È un segno visibile e concreto di carità nella nostra comunità; è un richiamo
costante a credenti e non ad accogliere i più poveri, i più piccoli, i più provati dalla vita e di offrire loro il primo posto perché amati dal Signore”;
“A riguardo di Abramo, nostro padre nella fede, nella Bibbia si dice che accogliendo tre forestieri nella sua tenda presso Mamre, egli abbia “accolto degli
angeli senza saperlo”; ciò rende sacra l’ospitalità per tutte le civiltà e soprattutto per noi cristiani.
Siamo un gruppo di volontari che proviene dalle sette parrocchie dalla Zona
Pastorale Andria uno e a nome delle nostre comunità, offriamo un servizio alle
famiglie in difficoltà del territorio. Il nucleo iniziale, di quattro parrocchie è nato
nell’88, ma dal 1994 siamo regolarmente costituiti con un proprio statuto, con la
finalità di aiutare gli immigrati che in quegli anni stavano giungendo numerosi
nella nostra città. Dal 1995 abbiamo anche introdotto una cultura di economia
solidale, attraverso la proposta della Finanza etica e del Commercio Equo e
Solidale, attualmente gestiti dalla cooperativa Filomondo”.
Il modello organizzativo ed operativo dei Centri è ben definito con le
varie figure di volontari che si alternano con compiti specifici; in tutti i
CdA si ritrovano almeno dieci volontari che costantemente dedicano
tempo, coadiuvati anche dai ragazzi del progetto AVS (Anno di
Volontariato Sociale, promosso dalla stessa Caritas Diocesana); in ogni
Centro è prevista la figura del Direttore o Responsabile, del vice – direttore, dei responsabili dell’ascolto, della distribuzione viveri e indumenti
e degli operatori dell’immissione dei dati OsPo/3, assolvendo ad un
compito fondamentale per quanto riguarda l’osservatorio della povertà
in Diocesi.
Gli spazi fisici presso i quali sono ubicati i Centri di Ascolto rappresentano un punto debole. Sono piccoli, sono mal divisi, non riescono a
soddisfare tutte le esigenze che il Centro di Ascolto vive:
131
“Lo spazio fisico consiste in questo ampio locale; abbiamo chiesto di poter
avere un altro locale perché prima qui si riunivano e si ricevevano 25 – 30 famiglie settimanalmente, mentre adesso se ne accolgono circa 80 famiglie con un
totale di 230 persone in difficoltà, pertanto questo locale non è più idoneo per
poter svolgere neanche l’attività primaria; abbiamo suddiviso il locale in uno spazio per l’accoglienza, uno successivo per l’ascolto (anche se non salvaguarda del
tutto la riservatezza), e infine uno spazio per la preparazione dei sacchetti degli
alimenti e relativo deposito”.
“C’è la stanza dove accogliamo gli ospiti per l’ascolto, invece per la distribuzione degli alimenti c’è un piccolo locale adibito a deposito, accanto alla sede del CdA.
In un altro locale posto al piano terra è situato il magazzino di tutti i prodotti alimentari, indumenti selezionati e conservati in apposite scatole, alcuni mobili e articoli per neonati”.
“È stato diviso in due spazi all’ingresso, nel senso che sia all’entrata, sia nella
stanza successiva si fa ascolto. Anche gli spazi non sono più idonei e sufficienti
e questo si deve sapere; il locale è lungo e stretto per questo in fondo è stato ubicato il deposito per gli indumenti, a destra c’è la dispensa e poi siccome i locali
sono insufficienti abbiamo dovuto sacrificare gli altri spazi che pure sono funzionali alla vita del Centro”.
Le risorse economiche che “tengono in vita” i Centri di Ascolto sono
minime e vengono per lo più dalle stesse parrocchie che compongono la
Zona Pastorale:
“Dalla diaria mensile che ci danno le 7 parrocchie che poi in realtà sono 6,
perché la parrocchia di S. Luigi a Castel del Monte partecipa solo nei tre mesi
estivi e poi non ha più possibilità di intervenire e inoltre il ricavato dello scarto
che diamo al macero di indumenti usati”.
“Offerte raccolte nelle rispettive parrocchie e rimesse al Centro, offerte in suffragio di defunti e in occasione delle feste di prime comunioni e di matrimoni;
contributi della Diocesi e della Caritas Diocesana”.
“Le quote delle parrocchie, un contributo del vescovo e qualche contributo
volontario sporadico”.
Dopo aver analizzato la loro storia e la loro “casa”, soffermiamoci ora
sulle loro peculiarità d’intervento e su come si passa alla modalità di
accoglienza e di ascolto degli utenti:
132
“Inizialmente gli utenti si rivolgono ai parroci e sono loro a fare il primo
ascolto, dopodichè i parroci ci preparano una lettera e loro si rivolgono a noi; noi
li accogliamo e facciamo ascolto, prepariamo una scheda personale e poi iniziamo
a capire quando possono venire qui a prendere i viveri o il vestiario e se magari
poi ci sono altri problemi che non ci hanno detto subito; noi facciamo il possibile
per poter alleviare in parte tali problematiche. Ogni mese noi volontari facciamo
un incontro tra di noi; per quanto riguarda invece l’ascolto delle famiglie noi
ogni due – tre mesi risentiamo le famiglie, con la cadenza di tre – quattro ascolti al giorno; qualcuno non torna ma altri sì. Utilizziamo sia una scheda cartacea
che un programma informatico di archiviazione dati degli utenti. Noi non diamo
a nessuno soldi, ma dietro lettera del parroco chi ha da pagare le varie utenze, può
rivolgersi a noi; poi noi chiamiamo il coordinatore di Zona, gli facciamo presente tale situazione e andiamo noi stessi a pagare le varie bollette e consegniamo la
ricevuta all’interessato; però noi soldi non ne diamo; diamo beni di prima necessità; dall’inizio abbiamo deciso e stabilito che la distribuzione dei viveri avviene
ogni quindici giorni”.
“La persona viene al nostro Centro con una lettera di presentazione del proprio parroco e nel modo più riservato viene fatto l’ascolto da due operatori. Per
l’immigrato, invece, quando non riesce a parlare l’italiano, viene accompagnato
da un suo connazionale (che ci conosce e si rivolge già alla nostra struttura) e,
dopo un attento ascolto dei bisogni si procede alla compilazione della scheda.
Esistono le verifiche periodiche e nei casi particolari vi sono incontri fra operatori per cercare soluzioni adeguate per risolvere il bisogno o accompagnare o fornire indicazioni. Il Centro utilizza una scheda cartacea e ha aderito al progetto
della Caritas Italiana (programma OsPo) per l’immissione dei dati in formato
elettronico.
Per quanto riguarda l’erogazione di beni primari, dopo l’ascolto dei bisogni
viene consegnato alla persona un cartellino con l’indicazione dei giorni di apertura del Centro e la data in cui lo stesso si dovrà presentare per la consegna di
viveri, indumenti, ecc. Per gli aiuti economici – che sono di natura straordinaria
– la richiesta viene valutata attentamente dagli operatori addetti all’ascolto, dal
Presidente del Centro e alcune volte dai rispettivi parroci”.
“Il giovedì ci sono cinque volontari che ascoltano gli utenti che vengono ricevuti, in genere muniti del biglietto di presentazione del parroco della parrocchia
di appartenenza e viene chiesto loro quale è il bisogno che li spinge a rivolgersi
qui da noi e nella maggior parte dei casi la natura del problema è di ordine eco133
nomico e in merito a ciò poi si concede un sacchetto contenente dei generi alimentari che però non risolve molto; qualche volta ci fanno richieste di lavoro poiché
c’è un volontario che si occupa della domanda – offerta di lavoro; qualche volta si
riesce a soddisfare tale esigenza, specialmente se si tratta di lavoro domestico, ma
il più delle volte no, specialmente se si tratta di lavoro maschile, anche perché è
gente che si è già rivolta ai servizi sociali o presso altre strutture. Esiste una verifica periodica degli utenti, poiché essi stessi tornano qui e quindi abbiamo modo
di monitorare la loro situazione di costante assistenza e purtroppo dipendenza
dal nostro Centro. Utilizziamo sia una scheda cartacea che un programma di
archiviazione dati degli utenti. Continuiamo ad erogare solo beni primari, mentre i beni economici non riusciamo più a garantirli, prima sì, riuscivamo a garantirli; ora considerato che gli utenti sono più che raddoppiati i beni economici vengono utilizzati per l’acquisto dei beni primari, che vengono distribuiti secondo le
necessità che emergono durante la fase dell’ascolto”.
Affinché non si pensi ai Centri di Ascolto come a realtà che rispondano solo ad “emergenze momentanee”, senza una progettualità e continuità nel servizio e senza alcuna capacità di accompagnamento, abbiamo
chiesto ai nostri interlocutori come progettano incontri strutturati con gli
utenti e come passano dal semplice ascolto con essi ad una presa in carico progettuale e personalizzata, attraverso la realizzazione di progetti di
accompagnamento con tutta la mole di ostacoli e/o positività:
“Attraverso l’ascolto continuo e rotatorio, cercando di non dimenticare nessuno e di seguire ciò che accade loro.
L’aspetto negativo è il fatto che alcune volte gli utenti non si presentano agli
appuntamenti e soprattutto nel periodo in cui operava una psicologa avevano
timore di parlare con lei, perché la sentivano estranea e non volevano comunicare in sua presenza.
Fino ad ora tutto ciò che ci hanno richiesto siamo riusciti, nei limiti del possibile, ad aiutarli sia a livello economico che a livello di viveri e vestiario”.
“Nel rispetto della libertà della persona l’accompagnamento si realizza attraverso il dialogo, la condivisione di un cammino, ponendo un attento ascolto alla
qualità delle relazioni, promuovendo l’autonomia e il protagonismo della persona nella ricerca della risposta ai propri bisogni, in vista di aumentare la consapevolezza personale, evitando forme di dipendenza e sostituzione.
Gli ostacoli sono molteplici: la non “apertura” della persona durante l’ascolto; alcune volte la nostra “preparazione” insufficiente rispetto al caso e le diffi134
coltà che nascono; la mancata collaborazione degli altri enti preposti (servizi
sociali comunali, ecc.).
Gli elementi positivi che favoriscono tali progetti sono invece, l’ascolto attento e la conoscenza del bisogno; la collaborazione con le realtà sociali esistenti nel
nostro territorio. Esistono anche delle situazioni di bisogni che non si riescono a
prendere in carico direttamente e riguardano prevalentemente le questioni
riguardanti il lavoro, le difficoltà economiche, il problema degli anziani e delle
dipendenze (droga, alcolismo)”.
“Non abbiamo un vero e proprio progetto di accompagnamento alla persona;
solo l’ascolto continuo può considerarsi tale; la motivazione sta nel fatto che non
abbiamo volontari giovani con idee più innovative e che non ci sono professionisti che prestano volontariamente il loro tempo e la loro professionalità. Penso che
più che parlare di povertà qui bisogna parlare di miseria, poiché alcune delle persone che si rivolgono ai nostri Centri non si rivolgono né ai servizi sociali e né al
consultorio; forse dovremmo iniziare a fare rete anche e soprattutto con le realtà
educative in primis con la scuola, affinché i ragazzi non prendano a modello i
propri genitori e seguano un’altra via educativa, senza ritrovarceli qui a ritirare
il sacchetto tra 20 anni”.
Abbiamo poi chiesto ai nostri interlocutori se i Centri di Ascolto, di
cui sono responsabili, sono inseriti in una rete più ampia di enti, associazioni o realtà locali che hanno medesimi obiettivi e finalità; le varie
domande hanno analizzato i vari livelli di rete:
Quali sono le modalità di coinvolgimento e di collaborazione tra il
CdA e le altre risorse territoriali?
a. Che tipo di collaborazione esiste con gli altri CdA e altri soggetti
Caritas presenti nella Diocesi?
“Solo con il centro Mamre c’è collaborazione perché Emmaus a Minervino ha
altre problematiche diverse dalle nostre. Con il Centro Mamre, essendo nella
stessa città, c’è lo scambio d’informazioni perché molti utenti possono fare i
furbi, perché si possono rivolgere sia a noi che a loro. Con la Caritas diocesana c’è una collaborazione nel senso che ci offre possibilità di formazione e coordina tutti i centri e i servizi presenti; la collaborazione la valuto positiva”.
“Vi è una condivisione delle finalità e un coordinamento assicurato dalla
Caritas diocesana. Le singole realtà, però, lavorano in maniera indipendente
e isolata”.
135
“Abbiamo solo uno scambio di notizie e di informazioni per evitare il turismo
della carità, trasmettendoci gli elenchi delle famiglie che provengono dalle
altre parrocchie. Non c’è altro; sarebbe auspicabile invece un incontro tra
tutti i responsabili dei Centri con una certa cadenza, oltre quelli già organizzati dalla caritas diocesana”.
b. Che tipo di collaborazione esiste con i soggetti pubblici (Servizi
Sociali, ASL)?
“Fino ad ora non abbiamo avuto nessun contatto perché non abbiamo avuto
richieste che potessero spingerci a collaborare con questi soggetti”.
“Con l’ASL, S.I.M. , Consultorio, i rapporti di collaborazione sono buoni.
Diversi invece sono i rapporti con i servizi sociali comunali, c’è molto impegno da parte nostra a creare un’intesa di lavoro ma troviamo molte volte difficoltà, a causa anche della mancanza dell’assistente sociale a tempo pieno e
al cambio degli assessori in seno all’Amministrazione Comunale.
Ultimamente sono proprio loro che chiedono aiuto per le scarse disponibilità
economiche in cui momentaneamente si vengono a trovare”.
“Anche con questi ci sono stati scambi di informazioni per valutare se gli
utenti che si rivolgevano da noi realmente si erano rivolti ad essi o no, ma
semplicemente scambi d’informazioni, ma sono rari e improduttivi”.
c. Che tipo di collaborazione esiste con i soggetti del privato sociale
(cooperative, patronati, ecc.)?
(A questa domanda risponde positivamente solo il responsabile del
Centro Emmaus)
“Con i patronati (riguardante questioni di lavoro, pensioni, problemi immigrati) c’è un buon rapporto e una grande sensibilità da parte loro nei nostri
confronti”.
d. Esistono convenzioni e protocolli di intesa, tra CdA ed enti locali? Se
sì, di che tipo?
(A questa domanda risponde positivamente solo il responsabile del
Centro Emmaus)
“Dopo un intenso lavoro di preparazione, dal 2008 è pronta una bozza di
convenzione tra CdA e Comune che non è stata ancora sottoscritta dall’Ente
Comune”.
136
e. Secondo voi come siete percepiti e valutati dai soggetti sopraindicati?
“Penso che siamo ben percepiti sia dal territorio e sia dagli altri Centri di
Ascolto che dalla Casa di accoglienza “Santa Maria Goretti”. Penso anche
che se gli utenti tornano da noi vuol dire che per loro siamo una garanzia”.
“In loco si ha una chiara consapevolezza della nostra presenza e delle modalità del nostro operato. Manca invece una volontà di collaborazione e di coordinamento degli interventi, visto che di solito siamo coinvolti dagli enti preposti (servizi sociali, Sim ecc.) per interventi tempestivi e di emergenza.
In alcuni casi abbiamo constatato che parlare di povertà genera un senso di
“disturbo – fastidio – intralcio” alle varie attività”.
“O siamo illustri sconosciuti oppure sanno che esistiamo e quindi ci fanno
lavorare per quel che possiamo fare”.
Passiamo ora alle esigenze e competenze formative che ciascun operatore e volontario Caritas possiede nel suo background di esperienze;
abbiamo chiesto ai nostri interlocutori se è stato offerto loro un accompagnamento formativo per il loro servizio in Caritas, quale era la loro valutazione in merito e quali, invece, sono le attuali esigenze formative di cui
sentono il bisogno.
“Ho seguito un corso formativo con una psicologa mentre già operavo nel
Centro di Ascolto, riguardo alle modalità dell’ ascolto e la mia valutazione in
merito è ottima; ovviamente nella formazione sono inclusi tutti gli incontri organizzati dalla Caritas diocesana; al momento mi sento preparato nel mio operato”.
“All’inizio (negli anni 93 - 94) ho seguito un corso di formazione sulla
Caritas e alcune indicazioni riguardanti i Centri di Ascolto. Negli anni successivi ho frequentato diversi Convegni e dal 2003 diversi corsi di formazione specifici organizzati dalla Caritas Diocesana all’interno del Progetto Rete. È necessaria una formazione permanente sempre più rispondente ai nuovi e diversificati bisogni”.
“Erano corsi proposti dalla Caritas, seguiti a rotazione dai volontari del
Centro, tenuti da psicologi e assistenti sociali scaglionati durante l’anno con una
certa assiduità e profitto, nel quale ho trovato giovamento e beneficio. Io, invece
non ho trovato questa possibilità, perché sono arrivata qui da poco e non ho ancora avuto la possibilità di parteciparvi, tranne dei corsi interni tenuti dai parroci
delle sette parrocchie di appartenenza.
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Le attuali esigenze formative sono di un accompagnamento formativo in primis, soprattutto di tipo pratico, sarebbe opportuno un coinvolgimento di tutte le
istituzioni che si occupano di questi problemi, perché queste persone passano da
tutti questi enti, prendono tutto quello che possono prendere ma non c’è mai la
risoluzione del problema”.
Le ultime domande poste hanno riguardato le situazioni di povertà e
di disagio incontrate nei Centri di Ascolto e se negli ultimi anni stanno
emergendo nuovi fenomeni o nuove forme di povertà o di disagio sociale e se gli interlocutori sono a conoscenza di persone che vivono in forme
di povertà ma che non si rivolgono ai Centri di Ascolto.
“Sono molteplici: perdita di lavoro, pagamento della rata del mutuo, problemi legati alla detenzione, problemi di prostituzione per necessità e vengono qui
da noi a chiedere aiuti materiali; le nuove povertà si riferiscono tutte alla mancanza di lavoro. Quando abbiamo saputo di persone o famiglie che non si rivolgevano a noi ma che avevano bisogno di un aiuto siamo andati noi presso di loro
e abbiamo scoperto che la causa di questo non incontro era la vergogna e un senso
di pudore”.
“Povertà – immigrazione - problemi economici, di lavoro, familiari – problematiche abitative. Sì, sono in aumento le famiglie a “rischio povertà” (licenziamento, cassa integrazione), disagio giovanile, crisi della famiglia; sì esistono nel
nostro territorio famiglie che non si rivolgono al nostro Centro: famiglie con problemi di tossicodipendenza, conflitti di coppia, situazioni di “nuove” povertà (es.
perdita improvvisa del lavoro). In questi casi le famiglie tendono a nascondere
queste situazioni di povertà e riescono a farsi aiutare dai loro genitori o altri
parenti”.
“Miseria e ignoranza, mondo dei disoccupati e dei mai occupati, dei carcerati, dei separati, dei divorziati, delle famiglie numerose e doppie e triple famiglie.
Qui c’è un lavoro enorme da fare a livello della promozione umana da parte delle
istituzioni, della scuola, della Chiesa. Le nuove povertà sono quelle dei licenziati, dei disoccupati e dei cassintegrati che in un anno sono raddoppiati. Noi non
abbiamo la capacità di carpire se ci sono persone che non si rivolgono da noi
anche se ne avessero la necessità”.
Dal Centro Emmaus ci arrivano due storie di casi risolti, cioè di utenti che si rivolgevano al Centro di Ascolto in un momento di difficoltà ma
che poi hanno definitivamente risolto il loro problema originario. Anche
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dai Centri Mamre e Nazaret ci hanno detto che qualche famiglia ha risolto la propria situazione di disagio iniziale.
Terminiamo in questo modo questa parte fatta di racconti a più voci
ringraziando tutti coloro che pazientemente hanno dedicato tempo e
dedizione a questo lavoro.
Una donna di Minervino di anni quarantuno, viveva in Germania con il
marito e la figlia di dodici anni, affetta da un grave handicap psichico.
Il marito, abbandonato moglie e figlia, si trasferì in un altro paese. Lei, non
lavorando in Germania, fu costretta a rientrare in Italia. Si rivolse al nostro
Centro per chiedere un alloggio, in quanto nemmeno i genitori, che vivevano a
Minervino, vollero aiutarla. Fu ospite nella nostra casa accoglienza e le fornimmo alimenti e vestiti. Con grosse difficoltà, riuscimmo anche a far frequentare la
scuola alla bambina, nonostante parlasse poco l’italiano, fosse senza residenza e
avesse quel grave handicap.
Dopo diversi incontri avuti con il personale dell’ufficio assistenza, le fu concesso un contributo economico e, grazie ad un’ingiunzione del giudice dei minori, anche una casa da parte del Comune.
In seguito riuscimmo a coinvolgere anche i genitori che le offrirono finalmente un aiuto, costruendo così un ottimo rapporto con la figlia.
Ora lei è tornata in Germania e lavora. Di recente è ritornata a Minervino ed
è venuta al centro per salutarci: le condizioni della figlia sono migliorate e pare
torni a convivere con suo marito.
Una famiglia albanese
Arturo venne al nostro Centro e chiese aiuto: parlava poco l’italiano, cercava
un lavoro e un posto per dormire, in quanto non aveva la possibilità di prendere
una casa in affitto.
In quel momento avevamo la disponibilità della casa accoglienza e gli fu offerta ospitalità. Riuscimmo a trovargli un impiego e, grazie al contratto stipulato
con il datore di lavoro, ottenne il permesso di soggiorno. A quel punto si recò
subito in Albania e, al rientro, portò con sé tutta la sua famiglia (nove persone
tra adulti e bambini). Una figlia di Arturo, sposata con un bambino, arrivò in
Italia che era già al 9° mese di gravidanza: un pomeriggio fummo chiamati e,
d’urgenza, con un nostro mezzo, fu portata all’ospedale di Canosa, dove partorì
un bellissimo bimbo. Dimessa dall’ospedale, tornò a vivere con il neonato a
Minervino con il resto della famiglia.
139
In tutto il periodo di soggiorno a Minervino, visto che tutti non parlavano
bene l’italiano e visto che il lavoro di Arturo era saltuario (e non gli permetteva
di sostentare costantemente le dieci persone), la famiglia ha sempre ricevuto, oltre
naturalmente all’ospitalità nella nostra casa accoglienza, anche alimenti, vestiti
e l’accompagnamento presso le varie strutture amministrative e soprattutto sanitarie, specie per il bambino appena nato che, purtroppo, aveva qualche problema
di salute.
Dopo circa un mese dal loro arrivo, sono partiti per raggiungere alcuni loro
parenti, nella speranza di una possibilità di lavoro per tutti.
Oggi vivono in un paese vicino Caserta: stanno bene, tutti lavorano e un
altro figlio di Arturo si è sposato con una ragazza italiana. Ci sentiamo spesso
telefonicamente e di recente Arturo mi ha chiesto dei certificati (in quanto aveva
ottenuto la residenza a Minervino) che gli occorrevano per inoltrare la domanda
di pensione all’INPS, avendo lavorato in Italia per diversi anni.
140
IV censimento delle opere socio-assistenziali in Diocesi
don Domenico Francavilla
La Caritas e il coordinamento delle opere socio-assistenziali
La Caritas diocesana ha per statuto il compito di “curare il coordinamento delle iniziative e delle opere caritative ed assistenziali di ispirazione cristiana” (art. 2c, vedi anche art. 11). Ciò scaturisce dal fatto che unica deve
essere l’azione della Chiesa sul territorio, e la Caritas quale organismo
pastorale del vescovo e della Chiesa locale, assicura che ciò sia consono
alla missione affidata dal Signore alla comunità e ai tempi che viviamo.
La Caritas diocesana ha attivato negli anni sia il coordinamento delle
opere caritative, soprattutto socio-assistenziali, attraverso il Progetto Rete
(2003), sia il coordinamento delle associazioni e strutture socio – assistenziali – sanitarie per la promozione del volontariato(2004; 2011).
Cosa è il censimento?
La Caritas Italiana, in questi 40 anni di vita, ha promosso 4 censimenti a cadenza decennale.
Questo 4° censimento dal titolo “Rilevazione delle opere sanitarie e sociali ecclesiali in Italia”, denominata anche Programma S.In.O.S.S.I. (acronimo per Sistema di Indagini sulle Opere ecclesiali Sanitarie e Sociali in
Italia), è stato promosso dalla Consulta ecclesiale nazionale degli organismi socio-assistenziali, da Caritas Italiana e dall’Ufficio nazionale per la
pastorale della sanità della CEI, in collaborazione con l’Osservatorio
socio-religioso e con il Servizio informatico della CEI (SICEI).
Le finalità del progetto sono collocate in particolare all’interno di una
triplice attenzione pastorale condivisa con le diocesi, ossia conoscere non
solo le povertà, ma anche le risorse “buone” presenti nel proprio territorio; avere cura di queste risorse, sostenerle là dove ce n’è bisogno, o cambiarle se non più adeguate, infine tesserle in rete, a partire dagli ambiti
comuni di impegno (minori, anziani, ecc.).
141
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Gli obiettivi individuati per perseguire la finalità sono molteplici:
cogliere il processo di evoluzione dei servizi ecclesiali attivi nelle
Chiese che sono in Italia;
rilevare la presenza di risposte particolarmente significative e innovative;
verificare eventuali carenze dei servizi in rapporto ai bisogni e alle
esigenze della società, e dei poveri soprattutto;
promuovere e favorire all’interno di ogni diocesi italiana un efficace
lavoro di rete, in modo da concretizzare una risposta sinergica e integrale coerente con la visione antropo-logica cristiana;
porre le basi per un dialogo nei diversi livelli con il servizio pubblico
e con le pubbliche autorità, nell’ottica della solidarietà e della sussidiarietà;
avviare in alcune regioni il processo di regionalizzazione della
Consulta ecclesiale degli organismi socio-assistenziali;
elaborare una fotografia il più possibile fedele dei servizi sul territorio e di ciò che essi rappresentano per le comunità di riferimento.
La novità del decennio
La rilevazione ha avuto come oggetto tutte le strutture o servizi attivi
al 31 dicembre 2009 operanti in ambito ecclesiale (nell’accezione più
ampia e inclusiva del termine), indipendentemente dalla natura giuridica secondo il diritto civile o canonico, che offrono assistenza alla persona,
di tipo sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, classificati secondo
i codici Istat.
Questi sono stati i criteri – guida per inserire le diverse strutture nel
censimento:
a) appartenenza alla Chiesa o collegamento ad essa
b) stabilità temporale
c) stabilità strutturale
d) effettiva operatività in ambito sanitario, sociosanitario o socio-assistenziale.
–
–
–
142
Le informazioni rilevate riguardano i seguenti aspetti:
l’ubicazione territoriale (con riferimento sia alla ripartizione civile che
ecclesiastica);
il soggetto promotore e l’ente gestore;
il tipo di attività, distinguendo tra quella principale, che caratterizza
il servizio, ed eventuali attività “secondarie”;
–
–
–
–
–
l’anno di inizio del servizio
l’eventuale cambio di attività rispetto al precedente censimento;
il volume di attività, considerando sia gli accessi (ricoveri o contatti)
che – per i soli servizi residenziali – i posti letto;
il numero di operatori coinvolti;
i rapporti di accreditamento o convenzionamento.
Alla luce di tutto ciò ecco alcuni dati riguardanti la nostra Diocesi.
Rispetto al 1999, anno del 3° censimento, i servizi nella nostra Diocesi
sono passati da 24 a 58, mentre nella regione ecclesiastica della Puglia si
è passati da 500 a 1.036. in Italia i servizi censiti sono stati 14.274. Se nel
1999 i servizi della nostra Diocesi rappresentavano in Puglia il 4,8 %, ora
rappresentano il 5,6 %.
La tavola sottostante ci fa comprendere quale è l’incidenza dei servizi attivati in Diocesi sulla popolazione residente, confrontati con i dati
della regione ecclesiastica pugliese. Si nota che, pur essendo cresciuti in
percentuale dello 0,8 %, l’incidenza sul territorio regionale è maggiore.
PUGLIA
Andria
Totale Puglia
Servizi
Popolazione residente
Servizi per 10.000 abitanti
58
1.036
140.212
4.082.193
4,14
2,54
143
Questo primo grafico evidenzia la distribuzione territoriale dei servizi nei comuni della nostra Diocesi (valore assoluto; percentuale).
Nei prossimi tre grafici sono indicati il tipo di assistenza e il numero
di attività presenti nella nostra Diocesi (valore assoluto; percentuale).
Nelle attività sanitarie sono comprese i seguenti servizi (sono indicati i numeri delle strutture e di accesso/prestazioni del servizio nel 2009):
N°
N° contatti l’anno
Totale servizi/strutture SANITARIE
7
22.858
servizi di riabilitazione (ex art. 26)
1
9.000
servizi ambulatoriali ambulatori per immigrati STP
1
2.612
altre attività sanitarie servizi di ambulanza
2
9.484
altre attività sanitarie: banche del sangue
3
1.762
144
Totale servizi/strutture ASSISTENZA SOCIALE
SANITARIA RESIDENZIALE
N°
N° contatti l’anno
11
1.095
servizi residenziali per persone affette da disturbi mentali
o che abusano di sostanze stupefacenti
1
20
residenze sanitarie assistenziali (RSA) per anziani
1
18
assistenza residenziale per anziani e disabili
case di riposo per anziani
3
182
altre strutture di assistenza sociale residenziale
2
55
assistenza residenziale per minori comunità educative
1
20
assistenza residenziale per famiglie gruppi appartamento
1
6
sassistenza residenziale per persone senza fissa dimora dormitori 1
623
assistenza residenziale per persone senza fissa dimora
altri servizi residenziali per persone senza fissa dimora
171
1
145
146
N°
N° contatti l’anno
40
157.742
Totale servizi/strutture
ASSISTENZA NON RESIDENZIALE
assistenza non residenziale per anziani e disabili
centri diurni per disabili
1
32
altri servizi non residenziali per anziani/disabili
2
50
assistenza non residenziale per minori centri diurni per minori
1
30
2
4.730
4
490
2
77
1
15
1
5.594
di assistenza non residenziale centri erogazione beni primari
17
25.999
altre strutture/servizi di assistenza non residenziale mense
1
105.144
1
5
2
4
1
14.917
3
135
1
520
assistenza non residenziale per anziani e disabili
assistenza non residenziale per minori
sostegno socio-educativo scolastico
assistenza non residenziale per minori
centri di aggregazione giovanile
assistenza non residenziale
per famiglie consultori familiari e centri aiuto vita
assistenza non residenziale
per famiglie altri servizi non residenziali per famiglie
altre strutture/servizi
di assistenza non residenziale unità di strada
altre strutture/servizi
altre strutture/servizi di assistenza
non residenziale assistenza ai detenuti e assistenza post-carcere
altre strutture/servizi di assistenza
non residenziale fondazioni antiusura
altre strutture/servizi di assistenza
non residenziale assistenza a persone senza fissa dimora
altre strutture/servizi di assistenza
non residenziale altri servizi assistenziali non residenziali
altre strutture/servizi di assistenza
non residenziale centri di ascolto per immigrati
147
I posti letto ai disposizione nella nostra Diocesi sono in totale 232,
suddivisi secondo le diverse tipologie:
ASSISTENZA SOCIALE-SANITARIA
RESIDENZIALE
servizi residenziali per persone affette da disturbi mentali
o che abusano di sostanze stupefacenti
residenze sanitarie assistenziali (RSA) per anziani
assistenza residenziale per anziani e disabili case di riposo per anziani
altre strutture di assistenza sociale residenziale
assistenza residenziale per minori comunità educative
assistenza residenziale per famiglie gruppi appartamento
assistenza residenziale per persone senza fissa dimora dormitori
assistenza residenziale per persone senza fissa dimora
altri servizi residenziali per persone senza fissa dimora
N° posti letto
13
232
1
1
3
2
1
1
1
30
14
141
19
12
4
8
4
4
Destinatari
Dalle Tabelle sopra riportate si comprendono anche quali sono i destinatari a cui si rivolgono i servizi. E’ chiaro che non si riesce ad assicurare
una risposta a tutti i bisogni e alle nuove povertà che sempre più emergono, comunque nel complesso la nostra Diocesi riesce a coprire una
buona fetta di casi problematici.
Servizi per soggetto promotore (valori assoluti e percentuali)
In tutti questi anni sono molte le realtà che hanno dato avvio ad
un’opera all’interno della nostra Diocesi, segno di una capacità di lettura
del bisogno e di una attenzione che ha saputo rendere responsabili i diversi attori. Importante è il dato relativo alla parrocchia. Ben 19 parrocchie
della nostra Diocesi hanno promosso un servizio. E’ la traduzione concreta del comandamento dell’amore e della carità che non viene delegata ad
altri. La carità è effettivamente una delle tre dimensioni che chiariscono
l’agire della Chiesa “La Chiesa non può trascurare il servizio della carità
così come non può tralasciare i Sacramenti e la Parola” (DCE, 22)208.
208 “L’intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola
di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità
(diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro. La carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza
sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza” (DCE, 25a).
148
Periodo di avviamento dell’attività
Dalla tabella qui sotto riportata comprendiamo come in questi ultimi
anni è stato dato un notevole impulso alla creazione di servizi. La spinta
sicuramente è partita dai bisogni e dalle nuove povertà emergenti, ma
anche da una accresciuta sensibilità da parte degli operatori e delle comunità. Ricordiamo che c’è stato il Concilio Vaticano II con il recupero della
centralità della persona, la nascita di Caritas italiana (1971), il decennio
sulla Promozione Umana nella Chiesa Cattolica, il Convegno sul
Volontariato a Napoli e l’opera instancabile di L. Tavazza. Ai servizi
cosiddetti storici, nati per opera delle congregazioni e delle associazioni,
si sono affiancati quelli promossi dalle comunità parrocchiali, dalla
Caritas Diocesana e dalle nuove forme di volontariato.
Numero di servizi per anno di inizio dell’attività
1860
1903
1938
1950
1962
1975
1984
1988
1989
1990
1991
1992
1
1
1
1
1
3
1
2
2
5
1
2
1993
1994
1995
1998
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2009
2
2
3
5
6
2
2
2
1
4
4
4
totale
58
149
Raggruppando per i grandi periodi storici otteniamo la seguente
tabella:
1860 – 1962 = 5
1975 – 1989 = 8
1990 – 1998 = 20
2001 – 2009 = 25
Ciò ci fa comprendere come nonostante siano intervenuti alcuni
grandi cambiamenti (legge 266 sul volontariato, legge 328 sulle politiche
sociali, la strutturazione nei Piani Sociali di Zona…), la Chiesa locale,
nelle sue diverse ramificazione, è chiamata sempre ad un compito di
testimonianza. Diventano vere le parole del santo Padre Benedetto XVI
nella Deus Caritas est: «Le organizzazioni caritative della Chiesa costituiscono un suo opus proprium, un compito a lei congeniale, nel quale essa non collabora collateralmente, ma agisce come soggetto direttamente responsabile, facendo quello che corrisponde alla sua natura. La Chiesa non può mai essere dispensata dall’esercizio della carità organizzata dei credenti e, d’altra parte, non ci
sarà mai una situazione nella quale non occorra la carità di ciascun singolo cristiano, perché l’uomo al di là della giustizia, ha e avrà sempre bisogno dell’amore» (29).
Volume di attività
Consideriamo ora il volume di attività delle diverse strutture e servizi
N° strutture
N° contatti l’anno
Totale servizi/strutture ASSISTENZA
SOCIALE-SANITARIA RESIDENZIALE
11
1.095
Totale servizi/strutture
ASSISTENZA NON RESIDENZIALE
40
157.742
Totale servizi/strutture SANITARIE
7
22.858
Il numero complessivo dei contatti ricevuti dai diversi servizi è stato
di 181.695.
Personale utilizzato
La tabella seguente ci indica il numero dei volontari impegnati nella
gestione dei servizi, sia laici che religiosi:
150
vol. LAICI
SANITARIE
vol. RELIGIOSI
141
7
0
2
servizi ambulatoriali ambulatori per immigrati STP
18
4
altre attività sanitarie servizi di ambulanza
100
0
altre attività sanitarie banche del sangue
23
1
servizi di riabilitazione (ex art.26)
vol. LAICI
ASSISTENZA SOCIALE-SANITARIA
RESIDENZIALE
48
vol. RELIGIOSI
20
servizi residenziali per persone affette da disturbi mentali
o che abusano di sostanze stupefacenti
5
1
residenze sanitarie assistenziali (RSA) per anziani
3
2
assistenza residenziale
per anziani e disabili case di riposo per anziani
27
8
altre strutture di assistenza sociale residenziale
5
4
assistenza residenziale per minori comunità educative
0
2
assistenza residenziale per famiglie gruppi appartamento
0
2
assistenza residenziale
per persone senza fissa dimora dormitori
5
0
assistenza residenziale per persone senza fissa dimora
altri servizi residenziali per persone senza fissa dimora
3
1
vol. LAICI
ASSISTENZA NON RESIDENZIALE
1.610
vol. RELIGIOSI
28
assistenza non residenziale per anziani
e disabili centri diurni per disabili
12
0
assistenza non residenziale per anziani
e disabili altri servizi non residenziali per anziani/disabili
212
1
assistenza non residenziale per minori
centri diurni per minori
0
2
assistenza non residenziale per minori
sostegno socio-educativo scolastico
26
3
assistenza non residenziale per minori
centri di aggregazione giovanile
38
6
assistenza non residenziale per famiglie
consultori familiari e centri aiuto vita
14
0
151
assistenza non residenziale per famiglie
altri servizi non residenziali per famiglie
10
2
altre strutture/servizi di assistenza
non residenziale unità di strada
30
4
altre strutture/servizi di assistenza
non residenziale centri erogazione beni primari
190
7
altre strutture/servizi di assistenza non residenziale mense 1.000
2
altre strutture/servizi di assistenza non residenziale
assistenza ai detenuti e assistenza post-carcere
5
0
altre strutture/servizi di assistenza
non residenziale fondazioni antiusura
12
0
altre strutture/servizi di assistenza
non residenziale assistenza a persone senza fissa dimora
30
1
altre strutture/servizi di assistenza
non residenziale altri servizi assistenziali non residenziali
15
0
altre strutture/servizi di assistenza
non residenziale centri di ascolto per immigrati
16
0
Il dato relativamente negativo è rappresentato dalla scarsa capacità di
realizzare opportunità di lavoro (i nostri servizi sono cosiddetti “leggeri”
e a basso profilo di professionalità). Infatti, coloro che sono impegnati stabilmente nelle strutture sono laici = 260, religiosi =1, mentre 1.799 sono i
volontari laici e 55 i volontari religiosi. Numeri significativi che ci fanno
comprendere come il volontariato continui ad essere una risposta concreta e attraverso la quale è possibile gestire molti dei nostri servizi. col moltiplicarsi dei servizi, è moltiplicato il numero dei volontari.
La valutazione sui dati della nostra Diocesi
Senza dubbio possiamo affermare come negli ultimi decenni (dal
1990) sono nate quasi tutte le opere presenti sul territorio e che rispondono a nuove povertà e bisogni, risposte consone ai tempi, con strutture
prevalentemente leggere e gestibili con l’intervento del volontariato.
Sono servizi che rappresentano opere – segno e non hanno la pretesa di
esaurire il fabbisogno, che comunque deve essere preso in carico dalle
istituzioni.
I dati sinteticamente esposti introducono il tema, squisitamente pastorale, della specificità e del significato della presenza nel sistema di welfare delle opere in vario modo collegate con la Chiesa. Esse rappresentano
152
l’occasione per offrire una testimonianza cristiana che sa incarnarsi in un
contesto ben preciso sino ad assumerne una rilevanza civile, concretamente ci dice il contributo che la Chiesa continuamente offre al bene dei
nostri paesi.
Bisogna fare attenzione al rischio di “ambiguità” delle opere ispirate
cristianamente rispetto all’efficacia della comunicazione e della professione della fede. Non può essere un dato secondario. Attraverso le opere si
svolge l’opera di evangelizzazione della Chiesa.
Molto efficacemente don Vittorio Nozza al 32° Convegno nazionale
(2008) aveva affermato: “sollecitati da povertà e ingiustizie, sempre più
gravi e urgenti, rischiamo di dimenticare che i poveri e non i servizi, l’amore e non le prestazioni, sono i luoghi attraverso cui Dio parla e provoca il
mondo. E che all’organismo pastorale Caritas è chiesto di costruire ponti
soprattutto tra Dio, che parla e si impone attraverso i poveri, e la comunità ecclesiale e il territorio. (..) le opere parlano. E come parlano. Ma non
sempre dicono ciò che vorremmo in termini di animazione, di evangelizzazione. (..) anche il modo con cui la Chiesa gestisce le opere, dice al mondo
il modo di essere Chiesa”.
153
Quali piste e orientamenti sul piano civile e pastorale? Quali sviluppi
del Censimento per trasformarlo in uno strumento stabile di conoscenza,
di valutazione, di stimolo, di promozione, di disseminazione?
Alcuni passaggi impegneranno direttamente la Caritas diocesana e la
consulta delle opere socio-sanitarie-assistenziali come “incontrare e
sostenere” le opere.
Infine, il rapporto fra Chiesa locale e servizi socio-assistenziali deve
essere inserito nel contesto di una pastorale integrata capace di dare unità
alla testimonianza della carità e delle opere segno e nello stesso tempo
tener conto della diversità dei carismi ispirati dallo Spirito per il bene
della comunità. Infatti, diventerà questo il banco di prova per le nostre
comunità ecclesiali per continuare a sperimentare “una prassi di vita
caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri
e ai sofferenti (Benedetto XVI, discorso al Convegno ecclesiale di Verona,
19 ottobre 2006).
154
L’IMPEGNO DEI LAICI
E IL VOLONTARIATO
La lavanda dei piedi (Gv 13,1-15)
Vetrata, Laboratorio d’Arte e Restauro Todisco”.
Chiesa del SS. Sacramento (Andria).
I laici e la testimonianza della carità
Mons. Vittorio Nozza209
Premessa
Il capitolo quarto della nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il
quarto Convegno ecclesiale nazionale “Rigenerati per una speranza viva
(1Pt.1,3): testimoni del grande - sì - di Dio”, intitolato “la Chiesa della speranza”, ci offre un quadro di riferimento significativo e ampio per dare sviluppo al tema.
Un capitolo,quello della nota pastorale della CEI dopo Verona, che si
sviluppa su questi paragrafi:
– Una Chiesa e una santità “di popolo” (n. 20)
– Per una pastorale rinnovata (n. 21)
– La persona, cuore della pastorale (n. 22)
– La cura delle relazioni (n. 23)
– La corresponsabilità, esigente via di comunione (n. 24)
– Una pastorale molto più “integrata” (n. 25)
– Dare una vocazione laicale (n. 26)
– Una forma della comunione: la convergenza tra le aggregazioni (n. 27)
– Una nuova pastorale vocazione (n. 28)
Tentando di dare sviluppo al tema assegnatomi spero, nella chiarezza
e nella semplicità, di riuscire a portare la vostra attenzione sui seguenti
passaggi:
• Quale volto ha Dio, la Chiesa e la Caritas?
• Quali possibili e doverose scelte di animazione alla comunione e alla
testimonianza comunitaria della Carità?
209 Direttore della Caritas Italiana. Conferenza tenuta ad Andria il 4 novembre 2010. la
relazione è già stata pubblicata sulla Rivista Diocesana Andriese LIII (2010), n. 3, pp.
168 – 184.
157
• Dove e come realizzare queste scelte di animazione alla comunione e
alla testimonianza comunitaria della carità?
• Un itinerario di conversione pastorale per una vera animazione alla
comunione e alla testimonianza comunitaria della Carità.
1.
Quale volto ha Dio, quale volto ha la chiesa e quale volto ha la
Caritas?
“L’amore del prossimo radicato nell’amore di Dio è anzitutto un compito per
ogni singolo fedele, ma è anche un compito per l’intera comunità ecclesiale, e questo a tutti i suoi livelli: dalla comunità locale alla chiesa particolare fino alla
Chiesa universale nella sua globalità. Anche la Chiesa in quanto comunità deve
praticare l’amore. Conseguenza di ciò è che l’amore ha bisogno di organizzazione
quale presupposto per un servizio comunitario ordinato” (Deus caritas est, 20).
1.1 Quale volto ha Dio?
La cultura che respiriamo ci immerge in un individualismo libertario,
inadatto ad affrontare le grandi sfide del nostro tempo. Una cultura che è
complessata nei confronti di Dio: non c’è buona, equilibrata armonia tra
Dio e l’uomo, tra la sapienza divina e la sapienza umana. I più evoluti, i
più moderni preferiscono relegare Dio nel privato delle singole coscienze. In questa situazione difficile è urgente trovare una bussola, trovare
ciò che è essenziale alla nostra vita. Essenziale, oggi, è un rinnovato
accordo con Dio una rinnovata capacità di dialogo con la sola sapienza e
il suo amore. “Quale volto ha l’amore? Quale forma, quale statura, quali piedi,
quali mani? Nessuno lo può dire. Tuttavia l’amore ha piedi che lo conducono alla
Chiesa, ha mani che donano ai poveri, ha occhi con i quali si scopre chi è nella
necessità, ha orecchi riguardo ai quali il Signore dice: chi ha orecchi per intendere intenda”. Queste parole di S. Agostino nel suo commento alla prima
lettera di S. Giovanni esprimono bene , da un lato, la grande fluidità dei
contorni della virtù teologale della carità ma, d’altro lato, anche la sua
concretezza e rilevanza.
“Dio è amore. Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”. Così
Giovanni nella sua prima lettura e così Benedetto XVI inizia la prima
enciclica del suo pontificato dal titolo “Deus caritas est”. Non sfugge a nessuno il richiamo di Benedetto XVI: alla centralità dell’amore, alla passione per l’amore, all’identificazione tra amore e “caritas”, alla forza e alla
mitezza dell’amore. Da Dio alle sue creature e da una creatura all’altra
158
l’amore segue due percorsi di luce:
• un percorso che scende da Dio e risale verso Dio;
• un altro, circolare, che avvolge in un abbraccio comunitario l’umanità
intera, tutti e ciascuno, senza distinzione di razza e di fede.
La prima enciclica di Benedetto XVI si offre a noi come una grande
catechesi sull’amore di Dio per l’uomo che si prolunga nei rapporti tra gli
uomini, con tutte le conseguenze ed implicazioni.
1.2 Quale volto ha la Chiesa?
La domanda non è priva di rilevanza se vogliamo pensare e progettare una pastorale e una testimonianza di Chiesa in termini di risposta al
dono di amore e all’appello all’amore che viene dal Signore. Una risposta
che ha bisogno di verificarsi sulla realtà, ma che non può prescindere
dalle intenzioni. Alla base di queste intenzioni c’è anzitutto la volontà di
essere Chiesa che non si rinchiude in un’introversa difesa della propria
identità, ma vuole spendersi quotidianamente dentro la storia. Una
Chiesa che innamorata perdutamente del suo Signore, osa pensare in termini progettuali per promuovere percorsi nuovi, per incontrare Cristo e
diventare così ogni giorno più cristiani.
Tale prospettiva è maturata nella Chiesa italiana attraverso le grandi
linee e gli orientamenti che ci hanno guidati nei decenni scorsi fino ad
oggi. In questi cammini c’è una precisa consapevolezza dell’urgenza dell’evangelizzazione, un asse di sintesi attorno al quale le nostre comunità si
sono protese per rinnovare educativamente il loro volto alla scuola del
Concilio.
Al convegno ecclesiale di Palermo, nel 1995, si chiese un salto di qualità congiungendo una più intensa spiritualità e una più coraggiosa presenza di Chiesa nelle vicende della storia: contemplazione e missione,
appunto. Da questo volto di Chiesa intenzionalmente più contemplativo
e missionario scaturiscono alcune scelte che possono delineare per oggi e
domani il profilo della Chiesa in Italia:
• cresce la sete di ascolto, di incontro e di relazione;
• cresce l’esigenza di frequentare gli spazi di vita della gente per provocarli, per “iniziarli” al Vangelo e per arricchirli della sua proposta
di vita.
• emerge l’esigenza di una Chiesa più aperta al confronto e alla presenza culturale nei luoghi più diversi;
159
• si sente il bisogno di dare un respiro nuovo al rapporto Padre nel
sociale e nel servizio proprio della politica, cioè della ricerca del bene
comune;
• cresce l’esigenza di preservare e rilanciare la natura popolare della
Chiesa, soprattutto attraverso un’attenzione più missionaria alla parrocchia.
1.3 Quale volto ha la Caritas?
Dentro questo cammino la comprensione della Caritas, come
Organismo pastorale, è facilitata se la si considera alla luce di alcune convenzioni quali:
• la concezione della Chiesa come comunione-comunità che si sviluppa
attorno alle tre dimensioni fondamentali: l’annuncio della parola, la
celebrazione dei sacramenti e la testimonianza della carità;
• la visione di Chiesa come soggetto di pastorale, responsabile del suo
insieme di tutta la vita ecclesiale e quindi anche dell’esercizio della
carità;
• la rivalutazione della Chiesa particolare nella quale si fa evento e si
rende presente la Chiesa universale con l’accentuazione della presenza della Chiesa nel mondo come anima e fermento di ogni espressione di umanità;
• e infine la riscoperta della cultura della carità, in fedeltà alla visione
evangelica, con la sottolineatura della sua valenza liberatoria e del
suo conseguente stretto legame con la giustizia e la pace: “Non sia dato
per carità ciò che deve essere dato per giustizia” (AA.8).
La Caritas chiamata a questo modo di presenza deve sempre più dare
sviluppo ad uno stile di approccio alla realtà attraverso un metodo di
lavoro pastorale basato costantemente sull’ascolto, l’osservazione e il
discernimento per arrivare ad animare l’intera comunità e il territorio.
Tutto questo impegna la Caritas a sviluppare le sue tre grandi vocazioni:
• la promozione di una cultura evangelica sulla carità che recuperi e
traduca in termini visibili e comunitari le caratteristiche della carità di
Gesù;
• l’inserimento della dimensione caritativa, nella pastorale organica
della Chiesa locale;
• l’educazione comunitaria, secondo il metodo della pedagogia dei
fatti, che impegna la comunità a partire dai problemi, dai fenomeni di
160
povertà, dalle sofferenze delle persone, dalle lacerazioni presenti sul
territorio, per costruire insieme a loro risposte di prossimità, di solidarietà e per allargare il costume della partecipazione e della corresponsabilità.
2. Quali possibili e doverose SCELTE di animazione alla comunione e
alla testimonianza comunitaria della carità?
2.1 Prima SCELTA.
Curare la spiritualità della speranza, che dà senso alla testimonianza di carità, negli animatori e operatori pastorali.
Un’attenzione che dovrà attraversare tutti i confronti e gli approfondimenti, i vari progetti, le presenze dentro il vissuto e i mondi dei poveri, nella comunità e nel territorio è quella di una spiritualità di povertà e di
condivisione nella prospettiva del Regno che viene (Carta pastorale Caritas –
Lo riconobbero nello spezzare il pane, 42). Gli operatori e gli animatori
della carità, dice Benedetto XVI: “…devono essere persone mosse innanzitutto dall’amore di Cristo, persone il cui cuore Cristo ha conquistato con il suo
amore, risvegliandovi l’amore per il prossimo. Il criterio ispiratore del loro agire
dovrebbe essere l’affermazione di Paolo: l’amore del Cristo ci spinge
(2Cor.5,14)”(Deus caritas est, 33).
Questa spiritualità non è un’attività parallela e a fianco del prendere corpo della propria vocazione in un luogo e in un tempo determinanti, vicino a fratelli e sorelle che non siano scelti, davanti a problemi
che ci interpellano e ci chiedono di vestire i panni testimoniali del buon
Samaritano (Lc.10,25-37). Una spiritualità che ci fa stare ogni giorno
sulla strada della prossimità, che da Gerusalemme porta a Gerico e che
dalla domenica porta alla ferialità, per imparare a partire sempre da
una radicata familiarità con il pane della parola, dell’eucaristia e della carità per garantire gratuitamente prossimità nelle disperazioni e negli
abbandoni che caratterizzano il vissuto dei poveri. Per assumere un
vedere e un osservare orientato agli altri e al territorio, ricco di misericordia, dialogo e riconciliazione, profondo e ampio, capace di farci essere
sentinelle dentro il territorio e la comunità. Per imparare a sentire e ad
esprimere compassione mettendo concretamente le proprie mani a servizio dei fratelli. Per esserci nel tentativo di farci essere gli altri (comunità
e territorio) operando sempre più per favorire la costruzione del mosai161
co dell’amore, educando e animando a vedere, ad ascoltare, ad intervenire e a coinvolgere: “va’ e anche tu fa’ lo stesso”. Una spiritualità che si
realizza nel proporre e propugnare una visione unitaria della vita personale e comunitaria, che rifiuta ed evita ogni pericolosa schizofrenia e
ogni contrapposizione, che indica lo stretto e connaturale legame che
abbraccia fede, preghiera e amore. Parola, sacramento e testimonianza
di carità.
Una spiritualità dove le situazioni di bisogno e i molti volti della sofferenza, della fragilità, del disagio e dello sfruttamento interrogano la vita
dell’intera comunità, le sue attività ordinarie, il senso profondo di gesti
spesso dati per scontati. Questi volti e storie esortano a camminare nella
carità caratterizzandola di concretezza e immediatezza, di competenza e
passione, di progettualità e gratuità, di spiritualità e speranza. Gesti concreti, impegni personali e familiari, accoglienza e ospitalità nella propria
casa o nelle locande dell’accoglienza comunitaria, messa a disposizione
gratuita del proprio tempo e delle proprie capacità, presa in carico da
parte della comunità cristiana di un servizio continuativo, legami durevoli nel tempo con una comunità del Sud del mondo, prossimità e interventi di solidarietà nelle emergenze, …devono essere le occasioni, “il kairòs”, per crescere come famiglia di Dio, per aprirsi a una fraternità sempre più ampia e vera. Agire nel quotidiano, sporcarsi le mani con i poveri, progettare insieme le risposte e riflettere sul senso di quello che si fa,
di che cosa cambia nella vita degli ultimi e della comunità che li accoglie,
della gente che vede, valuta, critica, prende le distanze o si lascia coinvolgere in questo agire, sono orizzonti che si aprono percorrendo la via della
povertà, della prossimità, del servizio e del dono di sé. Ed ancora, lo stretto collegamento tra impegni di carità e doveri di giustizia, la percezione
che per risolvere i problemi bisogna risalire alle cause e contrastarle, il
legame esistente tra lo sviluppo dei popoli e lo sviluppo della pace nel
mondo, la necessità di saldare insieme le grandi prospettive di cambiamento sociale e politico con i piccoli passi quotidiani e con la coerenza
personale e comunitaria.
Una spiritualità dove il modo di ascoltare la parola di Dio si trasforma,
diventa spada penetrante, buona notizia che chiede riscontro là dove la
vita è più offesa, degradata e crocifissa. Conseguenza di ciò è il dono di sé,
non ostentato né scontato, sottoposto a continua verifica sulla capacità di
rinnovare la vita per fedeltà alla Parola. La spiritualità di cui c’è bisogno
162
per dare un’anima alla testimonianza della carità è la spiritualità di speranza capace di tenuta di fronte alle prove e agli insuccessi, che accetta la fatica del servizio meno gratificante, che vede un cammino di salvezza anche
nelle situazioni umane più degradate, che mette in crisi l’efficienza paga
dei suoi risultati, dell’organizzazione e delle strutture, dell’uso del denaro e del rapporto con la politica. Una spiritualità che fa sì che non ci si
accontenti della beneficienza e della filantropia. E perché ciò possa accadere è indispensabile un profondo legame tra l’azione pastorale della
Caritas e tutta la vita della comunità cristiana, tra la professione di fede e
l’agire del credente, tra il dono dell’Eucaristia e la disponibilità a farsi
dono ai fratelli.
La spiritualità che nasce dall’esercizio della carità è una spiritualità
con un movimento e una dinamica missionaria che fa dell’incontro, del
rapporto e del dialogo i suoi capisaldi, perché è capace di scorgere
sapienzialmente la presenza e l’opera di Dio dentro le realtà create. È
una spiritualità che concerne l’uomo, e non solo i suoi problemi, la sua
intera esistenza personale e sociale: la scuola, l’ambiente professionale e
di lavoro, la comunità politica, la salute e la malattia, l’amore e la famiglia, come pure i valori della pace e della mondialità, del servizio e della
solidarietà, della giustizia e della carità. È una spiritualità che si traduce
e si avvale della pedagogia dei fatti e in un certo senso si misura su di
essi, non tanto nella ricerca esasperata di essere presenti e attivi ovunque, quanto piuttosto con la certezza che la fede non si esaurisce nella
sua professione, ma si manifesta nella sua incarnazione. È una spiritualità che ci porta a fare la proposta, per le comunità parrocchiali, di stili di
vita alternativi alla cultura e alle mode correnti: l’attenzione ai poveri;
l’uso ricco di gratuità del proprio tempo e del proprio denaro; il senso e
la dignità dell’altro; l’accoglienza e il rispetto della diversità; l’apertura
delle proprie case; una qualche forma di condivisione di beni; il rifiuto
dello spirito di codificazione, di litigiosità e di maldicenza; le azioni di
ascolto, di relazione, di dialogo e di riconciliazione nei contesti di vita
ordinaria. In questo senso circolare che tocca realtà esterne ed interiori,
materiali e spirituali, teologia e organizzazione, spiritualità e strutture, si
colloca la finalità pedagogica specifica, la finalità animativa che è affidata alla comunità cristiana, alle realtà più vivaci di essa e all’organismo
pastorale Caritas.
163
2.2 Seconda SCELTA.
Abitare e frequentare i territori,
la vita e la culture degli uomini d’oggi.
È necessario assumere la fatica di individuare e di offrire strumenti
per realizzare lo slancio missionario che segna i propositi delle Chiese in
Italia. Al desiderio di stare con amore tra le case, di andare dentro le case,
di frequentare le ordinarie relazioni tra le persone occorre dare braccia e
gambe concrete. Si pone qui innanzitutto la necessità di moltiplicare e
qualificare i luoghi di incontro con gli uomini del nostro tempo, di scoprire, di sperimentare e proporre nuove forme di ascolto, condivisione,
osservazione con tutte le persone. Ma emerge anche l’esigenza di costruire e offrire spazi liberi da ansie operative per impastare pensieri e saperi
diversi, comporre visioni differenti e diversi punti di vista sulla realtà,
sulle tematiche e problematiche del nostro tempo. Occorre, al riguardo,
investire energie e risorse nella costruzione di un nuovo rapporto tra carità e cultura, tra le azioni e le progettualità che donano amore e i modi
ordinari e correnti di pensare e di agire della gente.
Certamente non si tratta di far assumere all’organismo pastorale
Caritas e alle realtà caritative della Chiesa una dimensione accademica
né, semplicemente, di costruire un cappello culturale per le molteplici
attività. È indubbio che per l’organismo pastorale sono i fatti, le opere di
misericordia il modo più vero e più ricco di fare cultura, di proporre scelte e stili di vita, di far stare dentro una dimensione comunitaria del vivere la carità nella propria vita. Ma non possiamo nasconderci la difficoltà,
sperimentata ogni giorno, di incidere concretamente nella mentalità della
comunità ecclesiale e civile. Ad esempio, quanta distanza e contrapposizione permanente, in larghe fasce di popolazione anche nelle nostre
comunità parrocchiali, tra le molteplici azioni di accoglienza messe in
atto in questi anni dalle numerose realtà della Chiesa e la disponibilità
all’accoglienza, alla relazione e all’integrazione degli immigrati nelle
ordinarie situazioni della vita quali il condominio, il lavoro, la scuola, le
amicizie, il tempo libero. È come se tutta la ricchezza delle molteplici
opere ed esperienze donate in questi anni fosse una “luce sotto il moggio”.
Non illumina e non scalda, né le menti, né i cuori, né la prassi, né le scelte di vita e di politica dei nostri territori. Perché?
164
2.3 Terza SCELTA.
Occorre un impegno coinvolto e ampio nel tessere reti, promuovendo incontro, relazione e comunione.
L’impegno pastorale di animazione della comunità al senso della carità chiede, in modo particolare alla Caritas la disponibilità e la capacità di
promuovere l’incontro tra le realtà e le culture diverse di ascolto e osservazione, di discernimento e servizio, di formazione e promozione, di
intervento e condivisione facilitando la relazione, la comprensione, lo
scambio di esperienze e cammini tra realtà diverse , nel far emergere da
ciascuna di esse ciò che può migliorare questo processo e “tenerle insieme” in modo costruttivo. Alla Caritas diocesana e alle Caritas parrocchiali, chiamate prioritariamente ad animare, è chiesto di porsi a servizio di
tutto questo, cioè di viversi come lievito nella massa, come luce nella casa,
come sale della terra. Alle Caritas, chiamate ad essere costantemente in
ascolto, in relazione e a servizio dei poveri, è chiesto anche di essere a servizio di tutte le realtà caritative, promozionali e assistenziali, espressione
della propria Chiesa locale, per conoscerle, capirne i bisogni e le difficoltà, porle a confronto tra di loro, sostenerle con risorse e apporti formativi, le opere, i servizi ai poveri, così da essere aiutate ad esprimersi sempre più a dimensione comunionale-comunitaria-ecclesiale.
Si tratta di crescere nella capacità di animazione, di coordinamento e
di tessitura a rete come animatori e operatori della pastorale della carità
per favorire comunione e costruire comunità. Alle Caritas compete la diffusione dei luoghi di comunione, di confronto, di partecipazione e di collaborazione tra le varie espressioni caritative della Chiesa. Un compito
peculiare che – diversamente dalla pura attivazione di opere (necessarie)
– nessun’altra realtà può svolgere. Forme di coordinamento socio-pastorale, generate dalla convinzione del carattere ecclesiale della carità, in cui
l’organismo Caritas possa servire animazione per avere non solo le mani,
ma anche la testa e il cuore in pasta.
Puntare a realizzare questo servizio di coordinamento e di tessitura a rete
delle opere caritative della chiesa implica, per le Caritas, un serio impegno a investire maggiormente e concretamente sulla promozione e animazione delle opere caritative ecclesiali: in termini di supporto formativo ed economico, attraverso forme più o meno raffinate di mappatura e
messa in rete, senza disattendere quel ruolo di denuncia e di stimolo nei
confronti delle istituzioni perché siano garantite le giuste risposte alle
persone, in particolare delle più in difficoltà.
165
2.4 Quarta SCELTA
Gestire, in modo ricco, il supporto della formazione del cuore e la
promozione delle esperienze educative.
Si coglie sempre più la necessità di predisporre e servire concrete e
costanti proposte di formazione base, specifica e permanente in grado di «sollecitare la presenza di animatori che, oltre ad un’adeguata preparazione professionale, siano attenti alla “formazione del cuore”, al percorso, quindi, che riguarda la fede, la spiritualità e le ragioni del proprio servizio». La formazione professionale – potremmo dire la formazione della carità non è solo formare
operatori perché “facciano qualcosa nell’ambito della carità”, ma perché possano assumere stili, scelte e impegni ricchi di quella dimensione di carità
che li fa essere presenti nel mondo per visibilizzare il volto di un Dio che è
amore. Come, però, raggiungere un traguardo così ambizioso?
Se la sfida quotidiana è l’integrazione tra fede e vita e se questa integrazione è la misura dell’efficacia del sistema educativo ecclesiale allora
la formazione da mettere in atto deve interpellare continuamente la vita
e, dalla vita stessa, lasciarsi costantemente interrogare. Si tratta di investire in percorsi ed esperienze educative per produrre cambiamento nelle
persone e nelle organizzazioni. Proposte di formazione in cui l’esperienza (l’incontro, il servizio, la comunicazione, l’osservazione della realtà,
l’accompagnamento delle Caritas parrocchiali, …) si impasti con le riflessioni e le proposte in aula, ne venga illuminata e le completi a sua volta.
È un metodo pedagogico che la Chiesa assume dal suo Signore, il quale
non comunica solo attraverso messaggi verbali, ma si serve di esperienze
e luoghi di relazione. La stessa fede, secondo Benedetto XVI, nasce in
questo modo: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una
grande idea, bensì l’incontro con avvenimento, con una Persona, che dà alla vita
un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus caritas est, 1).
Pertanto le proposte formative non dovranno puntare all’abilitazione
di maxi esperti, ma alla formazione dell’animatore pastorale della carità..
Colui che, partendo da qualsiasi ambito di presenza ed impegno (centro
di ascolto, servizio civile, laboratorio promozione Caritas parrocchiali,
opera segno, centro di accoglienza, …) sia capace di utilizzarlo a mo’ di
leva, di grimaldello per la prioritaria finalità che è quella di animare al
senso della carità la comunità e il territorio. Gli esempi possono essere
numerosi. I processi di animazione si realizzano attraverso azioni che
mirano a sollecitare e attivare diversi mondi e specificità locali: l’informa166
zione e la sensibilizzazione; la promozione di reti di realtà caritative,
pastorali e non; l’intercettazione e la proposta di spazi e luoghi di servizio; la promozione di luoghi di conforto, discernimento e verifica; l’accompagnamento delle esperienze; … Sono queste azioni comuni ai diversi ambiti d’impegno delle Caritas diocesane: dal servizio civile al laboratorio caritas parrocchiali, dalle progettualità 8xmille al tavolo delle politiche sociali, dai centri di ascolto ai vari strumenti e luoghi dell’osservazione permanente,…
L’esigenza, pressante per la Chiesa tanto quanto per la società civile,
è quella di contare su animatori capaci di vedere il tutto, pur operando e
servendo, nel particolare, i poveri, la Chiesa e il territorio. Formare un
animatore significa proporre e gradualmente aiutarlo a maturare una
visione di insieme, globale appunto, capace di orientare uno stile di presenza e di impegno – più che un impegno specifico – nella Chiesa e nel territorio: uno stile di animazione, fortemente segnato dalla gratuità. La gratuità, infatti, segna il profilo specifico della carità. Ne è l’espressione più
significativa. Non può essere schiacciata nella dimensione economica e
utilitaristica, ma dice che la carità è “un di più”, che supera la giustizia e
sarà sempre necessaria. È una nota di stile, il gusto di vivere per gli altri
da cui nasce un modo di essere presenti in termini vocazionali: da volontari, operatori retribuiti, ministri ordinati, consacrati, …
2.5 Quinta SCELTA
Il tuo messo a servizio della crescita
del volto missionario delle parrocchie.
Una parrocchia missionaria è chiamata a mettersi in ascolto delle
domande reali della gente e ad accompagnare la vita secondo i suoi ritmi
reali. Dal territorio fisico occorre alzare lo sguardo verso i molteplici territori antropologici della vita delle persone. Da una parrocchia centrata
su se stessa occorre passare ad una parrocchia che scopre le proprie “periferie”, i luoghi in cui la gente vive. Questa parrocchia è chiamata continuamente ad assicurare la dimensione popolare della Chiesa, rinnovandone il legame con il territorio nelle sue concrete e molteplici dimensioni
sociali e culturali: c’è bisogno di parrocchie che siano case aperte a tutti,
si prendano cura dei poveri, collaborino con gli altri soggetti sociali e con
le istituzioni, promuovano cultura in questo tempo della comunicazione.
È fondamentale, pertanto, assumere lo sforzo di collocare ogni esito del
167
ricco confronto tra esperienze molteplici e ogni risultato delle riflessioni
sull’animazione di questa Assemblea pastorale diocesana e del cammino
che ne seguirà, al livello delle parrocchie, luoghi pastorali ordinari sebbene non unici, per la promozione e l’animazione alla testimonianza comunitaria della carità. Si tratta di farci seriamente in modo convinto carico di
quella fatica ed impegno a far crescere il volto missionario delle parrocchie in
un mondo che cambia.
Per la Chiesa locale, per le Caritas questo comporta l’assunzione di un
assetto organizzativo più funzionale a questo servizio: «L’amore – dice
Benedetto XVI nella Deus Caritas est – ha bisogno anche di organizzazione quale
presupposto per un servizio comunitario ordinato» (DCE, 20). Dal 1999 lo strumento pastorale che la Caritas Italiana propone per realizzare questo impegno è il Laboratorio diocesano per la promozione e l’accompagnamento delle
Caritas parrocchiali. Sembra sempre più necessario, utilizzando il metodo
pastorale: osservare, ascoltare e discernere, sviluppare la capacità di proporre
alle parrocchie un accompagnamento mirato nella realizzazione di azioni e
percorsi educativi che da un lato promuovano la sperimentazione del
metodo e dall’altro ne garantiscano la diffusione. Si tratta di far maturare il
metodo come stile, anzitutto nei luoghi di partecipazione e discernimento,
negli spazi di conforto e intervento, anche con le istituzioni e le altre realtà
del territorio, nella realizzazione di possibili progetti comuni.
L’avvio di un centro di ascolto, la realizzazione di uno studio sulle
povertà, la mappatura delle risorse presenti sul territorio, ma anche la
valorizzazione della scelta di servizio civile di alcuni giovani , la proposta di sostegno economico ad un progetto di cooperazione internazionale, un centro diurno, un progetto per i rifugiati, una mensa per i senza
dimora, un centro di accoglienza per donne sfruttate, … Tutto deve essere internazionalmente finalizzato, secondo una progettualità graduale, ad
aiutare le parrocchie e i gruppi in essa presenti a costruire relazioni, a
comprendere la realtà in cui si muovono, a conoscere e far conoscere
risorse, fatiche, esigenze, ad attivare le risorse presenti a partire dai bisogni, a proporre azioni e ad accompagnare percorsi per moltiplicare attenzioni, sensibilità, risposte, esperienze di giustizia e solidarietà, accompagnamento alla difesa dei diritti, … È tempo, insomma, di lavorare per fare
sì che ciò che realizziamo in termini di ascolto, osservazione, discernimento e opere non rimanga solo sui dossier, sui rapporti, sui bilanci, ma
entri nell’anima della comunità, aiutandole a crescere a loro volta nella
168
capacità di evangelizzare attraverso l’ascolto, l’osservazione, il discernimento, le opere di misericordia corporali e spirituali.
3. La cura delle opere che animano ed educano alla testimonianza della
carità (la pedagogia dei fatti, delle opere).
La pedagogia dei fatti impegna ad attuare il passaggio dalla carità delle
parole alla carità delle opere. Il passaggio dalla carità della parole alla carità
delle opere è un passaggio che chiede costantemente la messa in atto,
nella quotidianità, di costanti azioni di discernimento e di alcune scelte per
promuovere nella comunità e nel territorio la testimonianza comunitaria
della carità.
• L’opera della COMUNIONE (carità di comunione)
La scelta di curare e accompagnare la costruzione della vita di comunione con i fratelli nella fede
I cristiani sono chiamati ogni giorno a costruire il vivere insieme fraternamente per essere lievito dentro la società nelle sue diverse espressioni: “vi riconosceranno che siete miei discepoli se vi amerete gli uni gli altri”.
È nella cura delle espressioni particolari del nostro pensare, sentire, dire
e agire che si gioca il compito della comunità cristiana ad essere segno
di comunione e di corresponsabilità tra fratelli nella fede a livello personale e familiare, nel condominio e nel contesto delle relazioni quotidiane, tra gruppi di operatori pastorali impegnati nei diversi ambiti
della pastorale ordinaria: catechesi, liturgia e servizi di carità.
• Le opere di MISERICORDIA (carità di popolo)
La scelta di vivere la solidarietà nel quotidiano: le opere di misericordia corporali e spirituali
Frequentemente si pensa che per avere una comunità cristiana a servizio dell’uomo si debbano: costruire opere, costruire e avviare gruppi
di volontariato in risposta a specifici bisogni, avviare iniziative organizzate da sostenere nel tempo anche con impegni sempre più gravosi.
Certamente tutto questo doverosamente va fatto, quando risulta essere necessario. Ma la gran parte dei credenti non sarà mai nella possibilità e non sarà mai chiamata a fare queste cose. E allora dovranno
delegare gli altri? L’esercizio della carità non è delegabile perché essenziale alla vita cristiana, così come il nutrirsi e il respirare non è delegabile perché essenziale nella vita.
169
La Parola di Gesù ci indica in modo chiaro, semplice e dentro ogni
momento e occasione della nostra vita quotidiana che cosa concretamente va testimoniato. Il Signore dopo averci preavvertiti che alla fine
della nostra vita ci dirà: “Io ho avuto fame…, io ho avuto sete…,”dice:
“Ogni volta che avete fatto questo al più piccolo dei miei fratelli l’avete fatto
a me” (Mt. 25).
Occorre fermare seriamente l’attenzione su quell’avverbio temporale
ogni volta. Questi passaggi del Signore vicino a noi non sono opere
programmate e organizzate, non sono neppure programmabili: sono
momenti-occasioni di vita scomodi, disturbanti, provocanti il nostro
quieto vivere. È a questi passaggi, a queste presenze del Signore che
occorre dire di sì, ogni volta. In una società fortemente frastagliata,
dove il frenetico vivere quotidiano non facilita l’incontro tra persona
e persona, è necessario recuperare e intensificare questa molteplicità
di piccole azioni perché solo attraverso di esse è possibile costruire la
solidarietà del quotidiano, di base, la solidarietà delle relazioni corte.
Solo attraverso questa solidarietà di base è possibile segnare l’intera
nostra esistenza di carità e quindi renderla linguaggio visibile, vivo per
gli altri, scelta solidale e stile di vita.
• L’opera della POLITICA, del BENE COMUNE (carità politica)
La scelta di vivere l’essere cittadino credente nell’impegno sociale e
politico, nella ricerca e costruzione del bene comune
Di fronte al paventato rischio di uno sviluppo di un laicato ad intra,
talora più propenso all’animazione liturgica cha alla presenza e
all’impegno tipicamente laicale nella famiglia, nel mondo del lavoro,
nella politica, un approfondimento teologicamente e pastoralmente
corretto – soprattutto la percezione della pedagogia dei fatti e dell’intimo nesso tra carità e giustizia – costruirebbe uno stimolo per molti a
prepararsi alla “particolare forma di carità che è l’azione politica”.
Sembra di poter affermare che oggi una carenza pericolosa è proprio
quella della passione per la costruzione della ‘polis’, come città in cui
ciascuno trova armonicamente la propria dimensione nel costruire cittadinanza solidale, e quindi vera politica. Manca un contatto di base
con la vita, i bisogni, le attese della gente. La Chiesa con la sua presenza, proprio in ragione dell’impegno ad essere vicina alla gente, offre
molte occasioni e strumenti per una conoscenza concreta e costruttiva
170
della situazione come condizione di partenza per chiunque è chiamato a governare il ‘bene comune’. Nell’essere cittadino credente la testimonianza di carità si esprime attraverso alcune doverose scelte di vita
che coniugano insieme carità e giustizia. Il documento Evangelizzazione
e testimonianza della carità indica l’impegno dei cristiani nel sociale e
nel politico come una delle tre vie preferenziali per annunciare e testimoniare il Vangelo della carità. Dice infatti: “Sono aumentati tra i cristiani… l’attenzione e la volontà di impegno riguardo ai problemi attuali
della politica, dell’economia, della società nel suo insieme. Appare quindi
ridimensionata una certa tendenza a limitare l’orizzonte del servizio sociale
a coloro con cui sia possibile un rapporto diretto e che versino in necessità
immediate” (Evangelizzazione e testimonianza della carità, 50).
Dare testimonianza del Vangelo della carità nel costruire il bene
comune attraverso le istituzioni significa cose molto concrete. Ne
accenno solo tre:
- La prima forma di condivisione e di solidarietà è fare ciascuno il proprio dovere nella professione, nel lavoro, nello studio,… soprattutto
nei luoghi dove vengono espressi servizi alla persona e alla comunità.
- La seconda forma obbligatoria di condivisione e di solidarietà per il
bene comune è il pagare le tasse, è fare giustizia, costruire giustizia.
- Una terza forma concreta di solidarietà collegata soprattutto con la
prima e rivolta soprattutto ai giovani: la scelta delle professioni.
- …
• Le opere del VOLONTARIATO come ‘SCUOLA di VITA’ (carità
scuola di vita)
Le scelte di stare dentro tempi e azioni di volontariato vissuti come
“scuola per la vita”
Il territorio e la comunità cristiana ha a che fare ogni giorno con molteplici bisogni che:
- vanno considerati in modo continuativo,
- con una appropriata preparazione
- e possibilmente dentro forme e servizi strutturali per garantire in
modo corretto dei servizi alle persone in situazione di particolari
bisogni e necessità.
171
Le forme di volontariato, in gruppi e associazioni, già presenti nel territorio e nella parrocchia sono luoghi opportuni per imparare a mettere
a disposizione, non solo qualcosa, ma anche il proprio tempo, le proprie abitudini, le proprie attitudini e sensibilità, le proprie amicizie e
relazioni. L’invito è a visibilizzare, a far parlare concretamente, in tempi
e modalità di intervento messi a disposizione dei bisogni concreti
della comunità, il vivere in modo personale la vita cristiana e l’esprimere la propria appartenenza alla comunità, non solo nel ricevere e
dare servizi catechistici e liturgici, ma anche nel costruire, soprattutto,
l’essere famiglia di Dio.
• Le opere ‘SEGNO’ (carità ‘cattedra’ della comunità)
La scelta di promuovere “opere-segno” come cura dei poveri ed educazione alla carità
“La Caritas ha il compito di promuovere, coordinare e valorizzare molteplici
energie, in base alla prevalente finalità pedagogica, affinchè sempre più la
comunità intera si coinvolga. Qualora la Caritas si trovi a farsi carico direttamente e in via provvisoria di servizi da gestire, deve tener conto…” di
alcuni criteri imprescindibili e di costanti verifiche su quanto va
gestendo (Carta pastorale Caritas: lo riconobbero nello spezzare il
pane, nn.35-36). I luoghi e le iniziative per l’accoglienza e il servizio,
anche alla luce del documento CEI dopo Palermo (la casa della carità,
le opere-segno): “Nelle parrocchie più grandi è opportuno realizzare anche
una struttura di servizio ai poveri che, aggiungendosi agli edifici destinati al
culto e alla catechesi, sia segno della dimensione caritativa della pastorale”
(Con il dono della carità dentro la storia,35), mentre traducono in
segni visibili la testimonianza comunitaria della carità, sono altresì
occasione di educazione al servizio attraverso il coinvolgimento concreto delle persone
• L’opera dell’ACCOMPAGNAMENTO FORMATIVO-EDUCATIVO (carità che forma, che plasma)
La scelta di investire in progetti di formazione: competenza professionale e spiritualità del cuore
L’esser degni dei poveri deve trovare il punto nodale nel rinnovato
impulso all’impegno educativo. Non si può infatti prescindere dal
promuovere una formazione integrale – spirituale e professionale –
capace di sostenere tutti i nostri animatori-operatori nel duro lavoro
172
quotidiano. Si tratta di una proposta di crescita integrale verso una
testimonianza della carità “che non si accontenta di un gesto occasionale”
ma punta a promuovere legami, alleanze, orientamenti di vita.
Dobbiamo coltivare con passione il nostro “patrimonio genetico”: la
scelta educativa, una pedagogia dei fatti che si pone come obiettivo la
crescita di ogni persona e dell’intera comunità cristiana attraverso
esperienze educative concrete, significative, partecipate e condivise:
- concrete, in quanto realmente trasformabili in realtà;
- significative, perché non casuali ma inserite in una attenta e progettuale dimensione educativa;
- partecipate e condivise, cioè parte del cammino della comunità che
diventa nel tempo sempre più soggetto.
Si tratta di una fatica e di uno stile di presenza che dobbiamo continuare promuovendo una formazione attenta a coniugare i contenuti
con il metodo all’interno di un processo di crescita progettuale capace di vedere oltre il problema contingente e il bisogno immediato e
che oltre a trasmettere contenuti, abiliti le persone e le comunità:
- a leggere i segni dei tempi,
- a interrogarsi sulle cause delle povertà,
- a incidere su stili di vita e comportamenti rinnovati nel quotidiano.
L’azione caritativa della Chiesa «non si dissolve nella comune organizzazione assistenziale, diventandone una semplice variante» (DCE, 31),
ma ha alcune caratteristiche essenziali: risposta a una necessità immediata (CDE, 31), competenza professionale (CDE, 31), ricchezza umanitaria (CDE, 31), indipendenza da ideologie (CDE, 33), gratuità (CDE,
33), umiltà (CDE, 35), preghiera (CDE, 37) e speranza (CDE, 39).
• L’opera dell’ACCOMPAGNARE e dell’EDUCARE i GIOVANI
(carità proposta, accompagnamento)
La scelta di educare i giovani alla pace, giustizia e carità attraverso
itinerari ed esperienze
Un’ulteriore scelta da attuare e in cui incrementare la propositività è
quella dell’educazione dei giovani alla pace, giustizia e carità. La
riflessione, il confronto che si sta conducendo, in questo periodo, è
incentrato su tre parole chiave: progettualità, formazione e coordinamento. Sono grandi ed inedite le inquietudini che oggi attraversano il
mondo giovanile. Se ci sono delle persone da osservare, da ascoltare
173
e rispetto a cui saper operare discernimento, sono sicuramente i giovani. Il servizio civile in Caritas non potrà non essere che un autentico spazio di libertà in cui i giovani possano acquisire quegli strumenti di osservazione, di ascolto e di discernimento per costruire il proprio futuro e quello della comunità.
Il servizio civile, in Caritas, ha l’ambizione di proporre un’esperienza
che può diventare stile, scelta di vita, a livello personale, professionale, familiare; un servizio civile, quindi, in cui la pace, la solidarietà, la
nonviolenza, la mondialità, non sono solo declamate ma sono praticate e da questa concretezza traggono la forza del contagio che fa cambiare la vita. Nei prossimi mesi saremo impegnati, oltre che a qualificare il servizio civile degli obiettori di coscienza, nello sforzo di delineare il “nuovo servizio civile” ed in particolare:
- avviare e o intensificare le esperienze di servizio civile femminile
(1.64/01);
- consolidare le esperienze di servizio civile all’estero;
- rafforzare il Progetto dei Caschi Bianchi, individuando meglio lo
specifico di un intervento non armato di difesa nonviolenta per prevenire e intervenire nelle situazioni di conflitto e fare opera di
riconciliazione laddove lo scontro si è oramai consumato.
4.
ITINERARIO di conversione pastorale per una vera animazione
alla comunione e alla testimonianza comunitaria della carità.
Cerco di concludere collocando la conversione che deve avvenire nelle
nostre parrocchie, perché la testimonianza di carità sia via di evangelizzazione, su un itinerario che ci impegni a compiere almeno sette passi
in una possibile, giusta e condivisa direzione:
- Dalla carità individuale alla carità a dimensione comunitaria (occorre
dare un minimo di organizzazione alla pastorale della carità:
Caritas parrocchiale, centro di ascolto, osservatorio delle povertà e
risorse, casa-opere della carità, …).
- Dall’aiuto occasionale, emotivo, una tantum all’aiuto di virtù di carità
occorre educare alla virtù della carità: sentimenti, pensieri, parole e
opere di carità, …).
- Dall’elemosina alla solidarietà (attuare costantemente il passaggio da
una carità elemosina ad una carità politica: carità e giustizia coniugate insieme).
174
- Dalla carità ecclesiale alla carità di rete con le istituzioni pubbliche (noi
con loro, noi con le realtà dell’intero territorio, noi nello stile della
partecipazione, collaborazione e corresponsabilità territoriale: cittadini credenti).
- Dall’aiuto materiale all’attenzione alla persona in tutta la sua globalità
(ascolto, osservazione, ospitalità, accoglienza, prossimità, relazione, farsi carico, condivisione, …).
- Dalla solidarietà alla fraternità (riconoscere l’altro come fratello, come
portatore di dignità e di dono, l’altro non solo destinatario di dono
ma soggetto di dono, …).
- Dall’assistenza alla promozione (azioni non solo di assistenza ma di
promozione, di accompagnamento, di liberazione, …).
Tutto questo con la duplice preoccupazione di attenzione ai poveri per
rivelare il volto di Dio che è AMORE e di sviluppo delle tre funzioni
ecclesiali, poiché la Chiesa evangelizza attraverso quello che essa:
- È (segni – celebrare la carità);
- DICE (parole – annunciare la carità);
- e FA (opere – testimoniare la carità).
175
Volontariato: presente e futuro210
Mons. Giuseppe Pasini
Introduzione
Considero particolarmente opportuna una riflessione sul fenomeno
sociale del volontariato per una serie di motivi:
1. Anzitutto perché esso viene incoraggiato dalla Chiesa. Voglio ricordare in particolare il cenno che sull’argomento fa Papa Benedetto XVI
nella sua prima Enciclica: “Vorrei indirizzare una particolare parola di
apprezzamento e di ringraziamento a tutti coloro che partecipano in vario
modo alle attività di volontariato. Tale impegno diffuso costituisce per i giovani una scuola di vita che educa alla solidarietà e alla disponibilità a dare
non semplicemente qualcosa, ma se stessi… All’anticultura della morte, che
si esprime ad es. nella droga, si contrappone così l’amore, che non cerca se
stesso, ma che, proprio nella disponibilità a “perdere se stesso” per l’altro, si
rivela come cultura della vita” (DCE-30/b
2. Inoltre perché permane una forte confusione sulla realtà “volontariato” che investe sia la sua dimensione quantitativa, - i dati delle varie
inchieste sono così lontani gli uni dagli altri, da porre seri punti interrogativi sia sulla loro attendibilità -sia soprattutto la specificità del
volontariato rispetto ad altre presenze sociali e solidaristiche (si tende
a confondere il volontariato con il no profit’ o genericamente con il
cosiddetto ‘Terzo settore’ del quale è al più una delle espressioni).
3. Infine perché il volontariato è considerato, a torto o a ragione, una
realtà sociale in crisi, ed essendo una componente preziosa della
società, per il carico di valori che porta con sè, è doveroso che venga
210 Relazione tenuta da mons. Giuseppe Pasini ad Andria il 27 ottobre 2011 in occasione
dell’Anno europeo del Volontariato. Mons. Pasini è presidente della Fondazione
Zancan ed è stato direttore della Caritas Italiana negli anni 1986 – 1996.
177
riproposto e potenziato, da parte di tutte le realtà civili ed ecclesiali,
che hanno un ruolo educativo e civilmente promozionale. La circostanza dell’“Anno del volontariato” indetto dall’Unione Europea,
costituisce un’opportunità favorevole di chiarificazione e di rilancio.
4. In questa prospettiva penso di articolare la mia proposta in 4 punti:
l’identità del volontariato e le sue caratteristiche valoriali; il volontariato dentro la società, impegnato a trasferire nella società i valori in
cui crede, in particolare la solidarietà e l’uguaglianza; i cambiamenti
emergenti dalle ricerche; le prospettive di impegno pastorale
I° Identità del volontariato
1. Presento una definizione di “volontariato” datata e risalente al primo
Convegno Nazionale, tenuto a Napoli nel settembre 1975:
“Il volontario è il cittadino che, adempiuti i suoi doveri di stato (famiglia,
professione…) e quelli civici (vita amministrativa, vita politica, sindacato…)
pone se stesso a gratuita disposizione della comunità. Egli impegna prioritariamente sul suo territorio, le sue capacità e il suo tempo, in risposta creativa ai bisogni emergenti. Ciò attraverso un impegno continuativo di servizio,
di coscientizzazione della comunità, di intervento politico, attuato preferibilmente a livello di gruppo”.
Una seconda definizione è ricavabile dalla Legge Quadro sul volontariato varata diversi anni dopo, con riferimento però alle associazioni
di volontariato, che si rapportano con l’Ente pubblico. Essa chiarisce
in premessa qual è il senso che la legge intende dare al temine ‘volontariato’.
Per “attività di volontariato deve intendesi quella prestata in modo personale, spontaneo, gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte,
senza fini di lucro anche indiretto, ed esclusivamente per fini di solidarietà”
(266/81 a.1).
Tra le due definizioni ci sono differenze e convergenze.
- Differenze: la prima definizione mette l’accento sulla persona del
volontario e pone il lavoro in gruppo come opzione preferenziale;
la seconda prende in esame solo le associazioni quali strutture indispensabili, sia per la formazione permanente dei volontari, sia per
una presenza incisiva nella cultura sociale della popolazione, sia
per una pressione sulle istituzioni.
178
Inoltre la prima definizione evidenzia l’offerta da parte del volontario, delle proprie capacità e del proprio tempo; la seconda sottolinea
che l’attività dev’essere assicurata personalmente. Per parlare quindi
di volontariato non è sufficiente dare un contributo in denaro e
nemmeno pagare una persona perché attui un servizio, ma è necessario ‘servire di persona’.
Infine la prima parla di impegno continuativo di servizio, mentre la
seconda suppone che la continuità sia garantita dall’associazione.
- Convergenze: la convergenza tra le due emerge chiaramente sulla
qualità del servizio e sulla sua gratuità. La seconda a scanso di
equivoci, precisa che la gratuità esclude sia vantaggi economici
diretti (ossia il pagamento per il servizio fatto) sia vantaggi indiretti, quali potrebbero essere la promozione in carriera, l’acquisizione
di un posto di lavoro retribuito, la crescita di prestigio ecc. Il servizio deve attuarsi perciò esclusivamente per fini di solidarietà, ossia
con la coscienza di dovere aiutare gli altri, essendo tutti parte di un
unico organismo e quindi corresponsabili gli uni e gli altri.
II° Caratteristiche di valore del volontariato
Le varie forme di volontariato presenti alla prima grande assemblea, avevano in comune tre tensioni: il senso del servizio, l’attenzione preferenziale ai più deboli, la gratuità.
a. Il senso del servizio anzitutto. Servire era recepito non semplicemente
come il fare qualcosa per gli altri, ma come il fare quello che gli altri
richiedono o comunque ciò di cui hanno oggettivamente bisogno.
I bisogni cambiano, così come cambia la società. Per questo il volontariato è impegnato in una lettura seria e continua, per cogliere i bisogni emergenti. Una lettura che aiuti a verificare e a valutare anche i servizi presenti nel territorio, pubblici e privati.
Il senso del servizio implica anche la disponibilità del volontariato a
modificare il proprio impegno, evitando risposte standardizzate e anacronistiche, e adattandosi alle nuove domande e alle nuove povertà. Sta
qui anche l’esigenza della formazione permanente del volontariato.
b. L’attenzione preferenziale ai più deboli è la seconda caratteristica comune
alle varie espressioni di volontariato. La solidarietà infatti non può
prescindere dalla constatazione che, al di là delle dichiarazioni costi179
tuzionali, esiste una sostanziale disuguaglianza tra i cittadini, sotto il
profilo culturale, sociale, economico. Di qui la necessità di garantire
un ‘surplus’ di attenzioni e di risorse alle fasce deboli, per non condannarle all’emarginazione e comunque per non allargare la forbice
tra chi ha mezzi economici, cultura e potere e chi ne è privo.
La scelta preferenziale ai più deboli non è scelta ‘graziosa’, una specie
di gesto compassionevole, ma è un contributo di giustizia sociale,
giacché l’uguaglianza è sempre una prospettiva da costruire più che
una realtà da contemplare. Ad es. è del tutto evidente che un bambino proveniente dai campi nomadi non si ritrova a scuola con le medesime opportunità e facilitazioni del figlio di un medico o di un professore universitario.
c. La gratuità è la terza caratteristica comune alle varie forme di volontariato. Tocchiamo questo tema non sotto il profilo dei valori, ma per la
ricaduta che esso ha nei servizi nei quali il volontariato opera.
Quali servizi sono sostenibili da un’associazione di volontariato, che
desidera tener fede alla regola della gratuità e insieme aprirsi alle persone di ogni categoria sociale e di ogni età?
Sembra evidente che i servizi accessibili al volontariato sono quelli
cosiddetti “leggeri”, ossia traducibili in attività di integrazione dei servizi sociali ‘pesanti e complessi’, che esigono professionalità e tempo
pieno. Ci possono essere eccezioni, quali ad es. servizi realizzati da
volontari professionisti, che sistemando il tempo parziale di ciascuno
con il tempo parziale di altri professionisti volontari, coprono il tempo
pieno del servizio. Un esempio è quello dall’ambulatorio dentistico,
organizzato dalla Caritas di Roma. Ma si tratta di eccezioni. Nella
norma i volontari vivono del loro lavoro professionale e possono dare
al volontariato solo un tempo parziale, che va ad integrare i servizi
garantiti o dalle istituzioni pubbliche o da imprese sociali libere.
Dev’essere scoraggiata perciò la prassi, presente in alcune associazioni sedicenti di volontariato, di erogare rimborsi spese forfettarie, che
in taluni casi coprono vere e proprie forme di lavoro nero.
Se ci sono spese sostenute nel servizio, vanno rimborsate ‘a piè di
lista’: anche per evitare di avere solo volontari benestanti. La gratuità,
infatti, riguarda la prestazione offerta personalmente, non le spese
sostenute per realizzare il servizio. Si deve però evitare di contrabbandare una retribuzione con il rimborso delle spese sostenute.
180
III° Un volontariato parte viva della società
Una nota d’identità del volontariato, emersa al primo convegno
nazionale di Napoli, e rafforzata nei successivi convegni nazionali,
riguarda il suo rapporto con la società. Non va dimenticato che tutte le
grandi associazioni moderne del volontariato ( dal Gruppo Abele di
Torino; alla Comunità Agape di Reggio Calabria; alla Comunità Giovanni
23° di Rimini; alla Comunità S. Egidio; alle numerose comunità terapeutiche sorte per affrontare il problema della droga e della dipendenza,) con
le quali poi si sono successivamente sintonizzate altre realtà di volontariato già operanti, quali le San Vincenzo, le Pubbliche Assistenze ecc.
sono uscite dalla rivoluzione culturale del ’68, e pur avendo escluso la
strada della violenza, hanno conservato intatte l’esigenza e la volontà di
cambiamento sociale. Questo ha comportato:
–
Il sentirsi parte viva della società civile: quindi non un’isola di solidarietà autoreferenziale, ma una realtà responsabile della società nel suo
insieme, per natura chiamata ad essere solidale.
–
Conseguentemente, il volontariato si sente impegnato, assieme anche
ad altre realtà sociali e culturali, a fungere da coscienza critica nei confronti della società organizzata, a partire dai grandi valori fatti propri
dal volontariato (la solidarietà, l’uguaglianza dei cittadini, il rispetto
delle diversità, il superamento del profitto come regola suprema);
chiamato pertanto a contrastare le disfunzioni esistenti quali la povertà, le varie forme di emarginazione, le disuguaglianze sociali, le
espressioni di malcostume serpeggianti ( evasione fiscale, l’accaparramento di privilegi da parte della politica ecc.)
–
Nei confronti infine dei poveri e delle fasce marginali, il volontariato
recepisce il proprio compito, non come un contributo semplicemente
consolatorio e assistenziale, ma anche come recupero della dignità di
ogni persona e come riscatto di diritti fissati nella Costituzione. Il termine per tale funzione, che emergerà nel corso dei decenni, è quello
dell’“Advocacy”, ossia della tutela dei diritti dei poveri.
IV° Tre dimensioni complementari
Conseguentemente, sono emerse tre funzioni complementari del
volontariato:
181
–
La prima riguarda il servizio prestato personalmente dai volontari.
Può riguardare il servizio alla persona, oppure il servizio di tutela dell’ambiente, oppure il servizio di conservazione e di promozione della
cultura. Al centro anche nelle ultime due dimensioni vige la preoccupazione di salvaguardare la centralità della persona e in particolare
delle persone più deboli.
–
La seconda funzione sta nel diffondere nella società i valori considerati importanti per una vita sociale degna: la solidarietà, la fraternità,
l’uguaglianza, l’apertura universale, la cultura del dono, ossia la gratuità, lo spirito di servizio ecc. Molte sofferenze provengono oltre che
dalle limitazioni fisiche e mentali delle persone, anche dal trattamento emarginante , di rifiuto, di disprezzo che esse incontrano: si pensi
ad ed. al modo con cui vengono spesso trattati i cosiddetti ‘diversi’,
ossia i disabili fisici e psichici, gli zingari, gli immigrati, gli anziani
non-autosufficient, i senza-fissa-dimora ecc. Se non cambia la cultura
ossia il modo di vedere e di trattare le persone, l’opera dei volontari
risulterà bella ma inefficace per assicurare la qualità della vita delle
persone più deboli.
–
Infine c’è la funzione che possiamo chiamare ‘politica’, ossia quella
tendente a modificare le strutture, le leggi, le politiche dei servizi,
ossia gli interventi in grado di garantire alle persone tutte, comprese
le più deboli, i diritti proclamati dalla Costituzione: dal diritto al
lavoro e alla propria promozione umana, al diritto a partecipare alla
vita pubblica, al diritto all’informazione corretta, senza la quale è difficile vivere una qualche forma di cittadinanza attiva. Solo il potere
politico ha la possibilità e gli strumenti di garantire i diritti alle persone
Alcune esemplificazioni
Delle tre funzioni sopra accennate la prima è accettata pacificamente
da tutto il volontariato. Meno recepite sono le altre due, forse perchè esigono una visione più ampia del volontariato, ma forse soprattutto perché
non è maturato in tutti la visione del volontariato come forza di cambiamento. Se anzicché partire da noi stessi, e dalle nostre organizzazioni,
partiamo dalle attese della società e soprattutto da bisogni fondamentali
dei più deboli, riusciamo a capire quanto è importante operare per cam182
biare la cultura condivisa diffondendo i valori, oltre le nostre piccole
esperienze e modificando i meccanismi del potere.
Porto alcune esemplificazioni che possono aiutare a cogliere l’importanza.di quanto affermato:
–
Un valore del volontariato è la solidarietà.
Si tratta di un valore che scaturisce non solo dalla spontaneità, ma
anche e anzitutto dai doveri civici.
La Carta costituzionale parla di solidarietà nell’art.2 “La Repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali dove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento
dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Faccio notare l’aggettivo ’inderogabile’ posto accanto alla solidarietà.
Inderogabile significa imposto nell’ambito di un’immutabile obbligatorietà. Il legislatore sembra affermare che, se manca la coscienza di
questo dovere la società non sta in piedi; inevitabilmente si disgrega.
Si parla di una triplice solidarietà: politica, economica e sociale. Tutte
e tre queste forme di solidarietà oggi sono in crisi, sono poco percepite come dovere e soprattutto poco praticate.
La solidarietà politica richiama anzitutto il dovere civico del voto
(a.48). Nella situazione attuale, se vengono sommati i cittadini che
disertano il voto, con quelli che votano scheda bianca o nulla, si raggiungono percentuali preoccupanti. In alcuni appuntamenti elettorali, il partito del ‘non voto’ è risultato il primo in assoluto.
La Solidarietà politica si esprime anche nell’impegno del popolo ad affidare la propria sovranità a persone competenti, oneste, capaci di governare. Oggi, questo diritto-dovere è fortemente limitato oltre che dalla
legge elettorale, anche da una insufficiente e deformata informazione.
Ecco, allora, un primo interrogativo: il volontariato sarà in grado e a
quali condizioni di rafforzare la solidarietà politica?
La solidarietà economica chiama in causa anzitutto il nodo delle tasse.
L’a.53 recita:”Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione
della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di
progressività”. Su questo problema l’Italia gode di una specie di primato in negativo nel contesto europeo e internazionale: l’evasione fiscale e l’economia sommersa sono stimate equivalenti al 20% del Pil.
183
Contribuiscono a produrre questo vulnus vari fattori: anzitutto l’impostazione asimmetrica del sistema fiscale, che ad una parte dei cittadini – i lavoratori dipendenti - preleva la tassazione alla fonte, senza
possibilità di evasione. Ad un’altra parte invece consente di presentare, sulla fiducia, la propria consistenza reddituale. Di conseguenza,
questa parte di cittadini spesso denuncia e corrisponde un contributo
inferiore al dovuto o addirittura irrisorio.
Oggi purtroppo l’evasione fiscale oltrepassa i singoli episodi. Esiste
una cultura diffusa che considera il dovere fiscale un onere imposto
ma non giustificato, al quale si sottomettono gli ingenui e al quale gli
scaltri e i furbi si sottraggono, senza scrupoli di coscienza. Una parte
anzi dei cittadini, adducendo come pretesto il fatto che i servizi offerti dall’amministrazione sono inadeguati al bisogno, considera l’evasione fiscale una specie di legittima difesa contro lo Stato prevaricatore. Siamo in una situazione di ‘necrosi’ sociale progressiva.
Infine la Costituzione ricorda il dovere della solidarietà sociale. Essa
viene esplicitata principalmente dall’articolo 4 della Carta:”La
Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività e una funzione che concorra al progresso materiale o
spirituale della società”. L’impegno suggerito dalla Carta esalta la
responsabilità e la creatività di ciascuno e aiuta a capire che tutti sono
responsabili della realizzazione del bene comune, della costruzione di
una prassi di legalità, della salvaguardia dei valori etici nella gestione
della vita pubblica.
Anche quest’ultimo aspetto della solidarietà non può fondarsi sul
puro volontarismo. Il cittadino è aiutato a concorrere al progresso
della società, se è messo in condizione di agire, di esercitare il proprio
diritto al lavoro.
L’interrogativo che emerge a questo punto è: qual è il ruolo del volontariato?
Senza dubbio dare personalmente testimonianza di solidarietà politica, economica e sociale. Il volontario, per essere coerente, deve, pertanto, pagare le tasse, rispettare la legalità, compiere coscienziosamente il proprio dovere, come tutti i buoni cittadini. Ma questo impe184
gno personale, pur importante come testimonianza e condizione di
credibilità, non è sufficiente a modificare la cultura e la prassi del
nostro Paese. Il volontariato deve diventare, attraverso strade tutte da
creare, fermento di novità. Questo richiede una sua presenza’ politica’, non partitica, ma nella veste di forza di pressione e di coscienza
critica.
–
Un secondo valore che ispira il volontariato è l’uguaglianza sociale.
I volontari attuano questo valore mettendosi a servizio degli ultimi,
degli anziani, dei disabili, degli immigrati, dei carcerati, di quanti non
hanno il diritto della parola. Per i volontari, queste persone hanno la
stessa dignità delle altre.
Anche questo valore ha una portata costituzionale.
L’a. 3 recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali
davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di
tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Si deve onestamente riconoscere che questo articolo della Carta è tuttora più una dichiarazione di intenti che una fotografia della situazione italiana. Non si tratta quindi di difendere un valore già esistente,
quanto piuttosto di promuoverne l’attuazione.
Il volontariato, scegliendo preferenzialmente il servizio agli ultimi, a
modo suo dà testimonianza di uguaglianza, ma non riduce, solo con
il suo servizio, le disuguaglianze sociali. Il suo è solo un ‘segno’.
L’uguaglianza sociale infatti non può essere realizzata senza la
Politica. Oggi permangono gravi ingiustizie sociali. Si possono ricordare a sostegno della necessità di cambiamento alcuni dati evidentissimi:
- Il primo è costituito dalla distribuzione iniqua della ricchezza.
Dividendo la popolazione italiana in dieci parti, il primo decile,
ossia il 10% dei cittadini italiani più benestanti, possiede il 48%
della ricchezza complessiva del nostro Paese. Per contro, gli ultimi
5 decili, messi insieme, ossia metà della popolazione, possiede solo
il 10% della ricchezza italiana. I dati sono relativi al 2008. La crisi ha
185
aggravato la situazione. Nei 4 anni della crisi i lavoratori dipendenti e i pensionati hanno diminuito di 3 punti percentuali il loro potere d’acquisto, mentre i lavoratori autonomi e i professionisti lo
hanno accresciuto di 6 punti.
Nessuno sogna un egualitarismo utopico e innaturale. È però difficile parlare di uguaglianza in presenza di una società nella quale
alcuni non sanno come sopravvivere e altri nuotano nella ricchezza.
- Il secondo ‘vulnus’ che il volontariato è impegnato, assieme alla
Caritas Italiana ad approfondire è la permanenza della povertà.
La povertà andrebbe affrontata sotto il profilo quantitativo, sotto
quello qualitativo e nell’analisi delle cause. La Caritas Italiana,
assieme alla Fondazione Zancan e ad altre forze di volontariato, ha
ripetutamente sollecitato le forze governative a farsi carico di un
progetto di lotta alla povertà, proprio in vista dell’attuazione dei
principi costituzionali. Nessun piano di lotta alla povertà è stato
finora attuato a livello nazionale.
Il problema è grave anzitutto sotto il profilo quantitativo. I poveri
di povertà relativa si aggirano attorno agli 8 milioni 272 mila (oltre
il 13% della popolazione); la parte di essi che si trova in condizione
più grave, - i poveri di ‘povertà assoluta’- è valutata a 2 milioni
893.000, circa un terzo del totale dei poveri.
- Un altro aspetto preoccupante del problema povertà è la sua concentrazione nelle famiglie numerose con più di due figli. Ciò finisce
con lo scoraggiare dal programmare nuove nascite. I tagli progressivi imposti ai Comuni hanno impoverito i servizi a sostegno alla
famiglia, sia quelli destinati all’infanzia, sia quelli destinati ai disabili: in tal modo tutto ricade sulle famiglie. In termini talvolta
drammatici.
Un terzo elemento che mette in discussione l’uguaglianza dei cittadini è costituito dalla massa di giovani che si trovano impediti dall’accedere al lavoro. Vengono identificati come ‘invisibili’, e tali sono per la
scuola, per l’università, per l’INPS e per il fisco. Gli effetti oggettivi di
questa situazione sono facilmente intuibili: è quasi impossibile per
questi giovani programmare l’avvio di una loro famiglia; inoltre cresce facilmente il lavoro autonomo ’irregolare’; infine questi giovani
diventano facile preda della malavita organizzata.
186
Un’ulteriore provocazione al volontariato: il valore dell’uguaglianza
che sta alla base del loro impegno esige un’ulteriore apertura alla
dimensione politica.
V° Il volontariato dai dati delle ricerche
Cosa è rimasto del grande patrimonio di idee, di esperienze, di intuizioni del volontariato degli anni ’80-’90 ? Questo interrogativo è emerso
più volte, negli ultimi anni, in vari convegni di studio.
La Fondazione E. Zancan ha deciso di interpellare direttamente i
volontari, attraverso una ricerca nazionale. Ha intervistato 1400 volontari,
rappresentativi del mondo del volontariato, sulla base di un volumetto di
mons Giovanni Nervo, fondatore della Fondazione Zancan, dal titolo
provocatorio: “Ha un futuro il volontariato”.
I risultati della ricerca, commentati anche da due sociologi: Giovanni
Sarpellon dell’Università di Venezia e Renato Frisanco della ‘Fondazione
Roma Terzo Settore’, sono stati pubblicati dalla Fondazione Zancan nel
volume dal titolo ”Il volontariato guarda il futuro”. Elenchiamo qui di
seguito, alcune affermazioni in merito all’interrogativo: il volontariato è
in crisi?
–
Il volontariato è cambiato rispetto agli anni ’80-90’. La spinta propulsiva registrata in quegli anni è diminuita sensibilmente. I volontari
sono diminuiti numericamente: oggi, realisticamente, i volontari non
superano il milione di unità. Secondo “Astra Ricerche”, negli ultimi tre
anni il calo è stato del 10%. Sono diminuiti soprattutto i giovani. Sono
invece aumentate le associazioni di volontariato: se ne contano circa
40.000. Si tratta soprattutto di associazioni piccole: il 61% di esse non
supera i 10 membri; solo il 6% di esse supera il numero di 50 associati.
L’età media dei volontari è alta: l’85% dei volontari è tra i 45 e i 65 anni.
–
È diminuita anche l’incidenza del volontariato nell’opinione pubblica e il peso nelle decisioni legislative concernenti il Welfare, il contrasto alla povertà, il superamento delle disuguaglianze sociali, la difesa
dei diritti delle classi deboli. In sintesi viviamo in una società meno
solidale, nella quale i volontari, salvo lodevoli eccezioni, costituiscono una componente autoreferenziale e poco influente nell’auspicato
cambiamento. È cambiata la gente, è cambiata la cultura: viene spontaneo domandarci se sia cambiata l’identità dei volontari.
187
–
Una prima risposta a questo interrogativo propende per il sì. È significativo che proprio dall’interno del mondo del volontariato si tenda
a parlare meno di volontariato (inteso come realtà omogenea ) e si
parli di ‘volontariati’, cioè di modi differenti di intendere questa realtà. Differenti in che cosa?
Il primo elemento di verifica sull’identità del volontariato, riguarda il
principale valore di riferimento, ossia la gratuità.
Dalle due indagini emergono tre particolari significativi. Anzitutto
alla domanda sui valori portanti del volontariato emerge che il primo valore è la solidarietà sociale; il secondo è l’utilità sociale e solo al terzo posto c’è
l’assenza di lucro , ossia la gratuità.
Il secondo elemento sta nel fatto che riaccompagna il termine ‘gratuità con l’aggettivo ‘relativa’.
Il terzo elemento che possiamo considerare degenerativo, rispetto alla
visione di volontariato definito nella legge 266/91, è costituito dal fatto
che il 25% degli Organismi di volontariato (OdV) danno ai volontari un
rimborso spese forfettarie. Anzi una parte di essi, soprattutto nel
Meridione, chiede all’utenza un contributo su base obbligatoria o facoltativa.
Infine molte organizzazioni di cooperazione sociale che si definiscono
di volontariato, non rispettano la norma secondo la quale i soci volontari
devono essere la maggioranza assoluta: di fatto invece la maggioranza
dei soci è costituita da dipendenti pagati.
Il quadro, sotto questo profilo, si presenta sinceramente sconsolante.
È noto che ci sono tuttora associazioni storiche- ricordo a titolo di esempio il Volontariato Vincenziano- rigidamente fedeli alla legge del servizio gratuito. Anche i piccoli gruppi che fioriscono nelle Parrocchie, normalmente operano gratuitamente. In generale però, soprattutto per le
grandi associazioni che pesano, il valore ‘gratuità’ è da ricuperare e da
rivalutare.
Non fa meraviglia che i Media ormai parlando del volontariato comprendano indifferentemente almeno 4 categorie di realtà:
› il volontariato in linea con la legge 266/91;
› associazioni in cui i volontari sono solo una minoranza e pesano poco
sulle linee dell’associazione;
188
›
›
realtà prive dei requisiti di democraticità voluti dalla legge 266 ( e
dispiace che vengano comprese in questa categoria oltre la protezione
civile anche impropriamente il volontariato Caritas);
infine gruppi di socializzazione di anziani. Non si tratta di un arbitrio
dei giornalisti: essi leggono e interpretano la realtà.
–
Una seconda verifica sul cambiamento di identità del volontariato
riguarda l’impegno di sensibilizzazione della società ai valori considerati importanti dal volontariato, quali la solidarietà, il senso della
giustizia, lo spirito di servizio, l’attenzione alle fasce deboli della
popolazione ecc.
Dalle ricerche emergono due osservazioni importanti. Anzitutto c’è
difficoltà a coinvolgere i giovani: manca la capacità di fare proposte di
valore, di creare ambienti ‘caldi’, stimoli formativi,e forse manca
anche la disponibilità ad assegnare ai giovani posti di responsabilità.
Inoltre un progetto di sensibilizzazione della popolazione suppone la
presenza di una ‘rete’ di associazioni operanti in sinergia, sostenute
da forti motivazioni, da chiarezza di obiettivi, con un metodo condiviso e con un certo numero di persone trainanti. Ma questo è l’aspetto debole delle associazioni: hanno difficoltà ad operare ‘in rete’; ciascuna si muove per conto proprio, c’è difficoltà a superare visioni particolaristiche e ad esprimere rappresentanze unitarie competenti .
L’età media dei soci inoltre non facilita l’uscita in campo aperto con
larghezza di orizzonti.
–
L’ultimo aspetto da verificare riguarda il rapporto con le istituzioni.
Gli interrogativi posti ai volontari e alle organizzazioni di volontariato riguardavano la loro collaborazione con l’Amministrazione pubblica locale, la loro capacità critica di fronte a lacune nella gestione dei
servizi, la loro autorevolezza nella tutela dei diritti dei più deboli.
La risposta abbastanza condivisa è che tutte o quasi le associazioni
erano inserite nei registri pubblici comunali e regionali; che in buona
parte (39,4%) erano convenzionate; che operavano in modo integrato
con i servizi pubblici (84%), che nella loro azione dipendevano(dai
finanziamenti pubblici. (83%) Tutto questo però aveva provocato la
perdita di autonomia rispetto al potere politico, le rendeva facilmente
strumentalizzabili dalle Istituzioni pubbliche; scarsa in ogni caso era
la loro rappresentanza nei Piani di Zona e debole la loro capacità di
189
sperimentare nuovi servizi di taglio profetico. In sintesi, quasi tutte le
associazioni avevano inserito nello statuto l’impegno a sviluppare il
ruolo di ‘advocacy’ dei diritti dei poveri, ma era bassa la propensione
a garantire questa difesa.
Orientamenti pastorali
La ricerca della Fondazione Zancan era partita da un interrogativo: c’è
un futuro per il Volontariato? Le risposte riportate nell’ultima parte della
relazione possono apparire alquanto deludenti. Dobbiano ricordare però
che il mondo è cambiato.
1. ll punto nodale è la presa di coscienza che ci troviamo in una fase storica assolutamente diversa dagli anni nei quali è esploso il fenomeno
del volontariato. Allora si operava in una fase di piena espansione
economica.Tutti avevano un lavoro; addirittura molti giovani interrompevano gli studi, attratti da un facile guadagno. C’era del tempo
libero e nasceva più spontaneo il bisogno di guardare fuori di noi, di
interessarci di chi era meno fortunato, di allargare i confini della solidarietà e di impegnarci per i diritti di tutti.
Oggi siamo in piena e prolungata crisi economica, la disoccupazione
giovanile raggiunge quasi il 30% dei giovani; esiste un impoverimento generalizzato delle famiglie. Non fa meraviglia, che sia sottovalutato il valore della gratuità e che nell’immaginario collettivo il termine “solidarietà sociale “ e quello di” utilità sociale” prevalgano su
quello di “attività senza fine di lucro”. È oggettivamente difficile chiedere ad un giovane disoccupato da lunghi anni di impegnarsi in un
servizio gratuito. Questo spiega perché molti gruppi di ‘volontariato’
abbiano sentito la necessità di offrire agli associati una qualche rimunerazione, in cambio di un servizio, con il rischio di scadere a livello
di lavoro nero.
2. Il ricupero del volontariato deve partire dal ricupero dei valori portanti della convivenza sociale: la solidarietà, la giustizia, il valore di
ogni persona, il senso del servizio, l’altruismo, la cultura del dono, il
superamento delle disuguaglianze sociali, la gratuità.
Si tratta di valori da ricuperare all’interno di una sana cultura civica,
giacchè essi sono iscritti nelle nostra Costituzione. Vanno ricuperati,
per quanto ci riguarda come cristiani, all’interno di una educazione
190
alla fede, che si preoccupi meno delle pratiche esteriori e più di assicurare solide basi di vita, apertura e responsabilità verso il prossimo,
senso della legalità, dovere di vivere la carità nella cittadinanza attiva. Il senso del dono e della gratuità è radicato profondamente nel
Vangelo. Sorprende che nelle motivazioni addotte dai volontari delle
due ricerche, sopra ricordate, per il loro impegno nel volontariato,cioè
nell’indicare ciò che li ha spinti ad impegnarsi, ci siano al primo posto
la ‘spinta altruitica’, poi ’l’autogratificazione’, poi ‘il bisogno di fare
qualcosa per gli altri’, poi ‘il bisogno di socializzazione’ e solo dopo
‘la spinta derivante dalla propria fede’. Possibile che l’incontro con
Cristo, che si è donato per gli uomini, non abbia creato nel credente il
desiderio di donarsi a sua volta?
3. Infine la spinta all’impegno sociale esige una lettura corretta della
situazione sociale, con il corredo di povertà, di disuguaglianze, di
diritti infranti, di discriminazioni, di umiliazioni nascoste. La sensibilità diffusa reclama di fronte a queste ingiustizie, non solo interventi
consolatori e riparatori, ma la rimozione delle cause e l’avvio di un
processo di profonda bonifica e di liberazione e di promozione umana
di tutti e in particolare dei membri più deboli della società.
Dalla ricerca operata dalla Fondazione Zancan sono emerse due indicazioni operative che io lascio al termine di questa riflessione:
- anzitutto è essenziale lavorare in rete, superando ogni tentazione di
inutile e sterile individualismo, in rete con le altre forze di volontariato e in rete con le altre realtà sociali ( cooperative sociali, associazionismo pro-sociale, forme di auto-aiuto, forme di autogestione
popolare, fondazioni con finalità culturali e scientifiche…) che condividono la medesima piattaforma culturale del volontariato. Da
soli oggi non si riesce a cambiare nulla.
- Inoltre instaurare con le Istituzioni pubbliche rapporti dignitosi di
stimolo alla giustizia, di advocacy dei diritti dei poveri, di collaborazione a ricercare nuove strade di rinnovamento e di valorizzazione delle tante energie sane presenti in ogni territorio.
La condizione però è di lavorare insieme. Solo unendo le forze sane
del Paese, si riuscirà a cambiarlo in termini più umani e vivibili.
191
Il dono, per costruire la civiltà dell’amore:
la profezia della Caritas in veritate
Mons. Luigi Renna
A quarant’anni circa dalla Populorum progressio, l’enciclica Caritas in
veritate ha segnato il passo della dottrina sociale della Chiesa rispondendo alle esigenze di senso della globalizzazione delle relazioni, della cultura, dei mercati, con la profezia di una proposta che mette il concetto di
dono al centro dell’agire sociale, politico ed economico. La proposta di
una enciclica non è “calata dall’alto”, non è di carattere deduttivo (dedurre da un concetto le indicazioni per l’azione), ma è frutto di quel triplice
metodo del vedere-giudicare-agire che Giovanni XXIII nella Mater et
Magistra, la sua prima enciclica sociale, nel 1961, indicava come la strada
per la comprensione della realtà, per la sua interpretazione alla luce della
Parola di Dio, per trovare degli orientamenti che il cristiano deve avere
per essere all’altezza del suo compito, che è quello di portare frutto nella
carità per la vita del mondo211. Il portare frutto nella carità è la profezia
grande del cristiano, in ogni ambiente, e non può essere “ingabbiata” né
in una ideologia, né in un sistema economico: Giovanni Paolo II lo afferma nella Sollicitudo rei socialis, quando dice che la dottrina sociale non è
una “terza via” alternativa al collettivismo socialista o al capitalismo liberale, né è una ideologia, ma è parte della teologia morale212, di quella
riflessione teologica, cioè, che orienta l’agire del credente ed è un segno
di speranza, ma anche in alcuni casi di contraddizione, per tutti gli uomini. Quello che andremo a comprendere del significato del dono non è
quindi né una pia esortazione per pochi eletti, né un proclama di caratte-
211 Cf. Optatam totius, 16.
212 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Sollicitudo rei socialis, 41.
193
re politico-economico, ma è insegnamento sociale della Chiesa, che proprio così rivela la sua identità di comunità di credenti che è compagna
delle gioie e delle speranze degli uomini del nostro tempo, di ogni tempo.
Non si può parlare di carità senza riferimento alla verità
Non possiamo comprendere il concetto di dono senza contestualizzarlo nel rapporto tra verità e carità. Era proprio necessario fare questa
precisazione, al n. 2 dell’enciclica? Non si tratta di una dotta discussione
per teologi, ma di un sentimento diffuso, di un luogo comune, quello che
relega la carità ai buoni sentimenti, da sfoderare solo nelle occasioni pietose, ma che non ha diritto di parola nelle questioni di politica e di economia, come ad esempio quando bisogna prendere decisioni sugli immigrati o su un bilancio. Si fa volontariato per donare il proprio tempo, ma
si vive la propria responsabilità nel pagamento delle tasse dimenticando
il proprio dovere di giustizia. In tali occasioni si dice infatti che una cosa
è la carità, un’altra cosa sono gli interessi e il bene da perseguire: così la
carità diviene una cosa relativa. Il papa fa notare questa schizofrenia del
cuore e della mente, quando afferma: “Sono consapevole degli sviamenti e
degli svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro, con il conseguente rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico e, in ogni caso,
di impedirne la corretta valorizzazione. In ambito sociale, giuridico, culturale,
politico, economico, ossia nei contesti più esposti a tale pericolo, ne viene dichiarata facilmente l’irrilevanza a interpretare e a dirigere le responsabilità morali”213. Come ridare dignità alla carità in una cultura dove sono scomparsi
dei punti fermi e imprescindibili? Ritornando a parlare di verità, di senso
profondo e assoluto che illumina e quindi rende vere le cose umane: “La
verità va cercata, trovata ed espressa nell’«economia» della carità, ma la carità a
sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità. In questo
modo non avremo solo reso un servizio alla carità, illuminata dalla verità, ma
avremo anche contribuito ad accreditare la verità, mostrandone il potere di
autenticazione e di persuasione nel concreto del vivere sociale. Cosa, questa, di
non poco conto oggi, in un contesto sociale e culturale che relativizza la verità,
diventando spesso di essa incurante e ad essa restio”214.
213 BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, 2.
214 Ivi.
194
Cosa possiamo dire della carità e del dono senza la verità? Ben poco.
Il papa rileva il rischio di sentimentalismo, di avere un contenitore vuoto
da riempire arbitrariamente, di affidarsi ad opinioni contingenti, di considerare la carità come una parola abusata e distorta, fino a trasformarla
nel suo contrario215. Non è forse quello che è avvenuto nei totalitarismi,
nei quali la condivisione di beni, ad esempio, era il punto di arrivo di una
escalation di ingiustizie che negavano la dignità di una parte dell’umanità? Non è avvenuta la stessa cosa nella società di un capitale e di un
benessere senza etica, di una carità senza giustizia, che dà le briciole,
senza passare dalle esigenze di dare a ciascuno il suo, ciò che gli è dovuto
in quanto uomo? E quanto volontariato viene fatto senza che si cambi nel
proprio stile di vita economico e politico? Richiamare il valore della verità prima di parlare del dono, significa collocarlo su un solido fondamento, quello della ragione e della fede. La ragione è logos, come dicevano i
greci, che crea dia-logos, comunione e comunicazione: “La verità, facendo
uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive, consente loro di
portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nella
valutazione del valore e della sostanza delle cose”216. È l’autentico umanesimo,
quello che parte dalla verità dell’uomo e della sua dignità. Lo troviamo
inscritto nei codici etici universali di tutti i tempi, quelli che hanno voluto il bene dell’uomo e dell’umanità. Oggi è comprensibile a tutti perché è
alla base della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che riconosce ogni uomo uguale all’altro, nonostante appartenga a cittadinanze
diverse, perché condivide con gli altri la verità della sua natura umana.
La fede cristiana illumina questa visione dell’uomo, perché crede in un
Dio che è “insieme «Agápe» e «Lógos»: Carità e Verità, Amore e Parola”217.
Il papa ricolloca Dio al centro della questione dell’uomo e del bene dell’umanità, perché, spiega, nella verità la carità riflette la dimensione personale e nello stesso tempo pubblica della fede nel Dio biblico: credere in
Dio non è solo un fatto privato, ma è pubblico, perché la natura del Dio
in cui credo è Agape, amore, relazione, dono. Con l’affermazione del
legame tra verità e carità, tra ragione e fede, tra Dio ed immagine di Dio
215 Cf. ivi, 3.
216 Ivi, 4.
217 Ivi, 3.
195
che è nell’uomo, prende forma il senso della nostra vita, delle nostre relazioni, il logos dell’agape, che è l’agape nel logos di Dio e dell’uomo. La questione sociale posta da Benedetto XVI è quindi questione antropologica218,
cioè scelta dell’alternativa fra un’umanità chiusa alla verità, sorda ad ogni
prospettiva di senso e per questo facile preda del potere economico e
delle ideologie o riconoscimento dell’umanità che si autocomprende non
come somma di individui egoistici e famelici, ma come chiamata ad essere per sua natura una comunità di persone. Proviamo a cosa questo significhi praticamente nell’impegno di volontariato: il volontario che agisce
gratuitamente e sa perché agisce cambia l’antropologia egoistica imperante, cioè fa sì che l’idea di persona riguardi non solo che “si fanno un
nome” nello spettacolo e nell’economia, ma che ogni uomo, anche colui
che vive ai margini della società e della storia. Il cambiamento antropologico non è solo questione di filosofia, ma di vita buona, di chi “si rimbocca
le maniche” per servire il fratello.
L’autentico sviluppo tra menzogna e verità, tra egoismo e dono
La verità, quando viene proclamata, può chiedere il coraggio di indignarsi e di puntare il dito su ciò che vero non è. Non è forse questo uno
dei compiti del credente, che in questo è supportato dalla dottrina sociale della Chiesa, della quale il Compendio dice che ha la funzione di annunciare e denunciare219? Uno degli aspetti dell’enciclica Caritas in veritate è
quello di denunciare le contraddizioni dello sviluppo economico e tecnologico. Una crescita meramente economica non è ancora lo sviluppo di
ogni uomo e di tutto l’uomo, ma l’unica crescita che meriti il nome di sviluppo è quella fondata sulla verità dell’uomo. Nei numeri che vanno dal
17 al 19, il papa ricorda come la Populorum progressio denunciava queste
incongruenze nei vari modi di concepire lo sviluppo: la menzogna di uno
sviluppo nato in un clima di mancanza di libertà, di quello nato nella
negazione dell’apertura dell’uomo alla trascendenza e della negazione
della libertà religiosa, di quello che ha negato la fraternità e la carità.
Queste forme di sviluppo sono state solo apparenti e parziali e hanno
218 Cf. ivi, 75.
219 Cf. PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della dottrina sociale
della Chiesa, 6.
196
piuttosto dato delle false risposte alle esigenze della natura stessa dell’uomo. L’analisi del papa giunge a considerare poi le menzogne dell’era
della globalizzazione: la crescita della ricchezza in termini assoluti, ma
l’aumento delle disparità220; il progresso economico e tecnologico che non
sempre è progresso umano221; la globalizzazione dei mercati, ma allo stesso tempo la riduzione di reti di sicurezza sociale in cambio della ricerca di
maggiori vantaggi competitivi222; la globalizzazione culturale che ha prodotto in molti casi appiattimento culturale223. I segnali inequivocabili continuano con la situazione di fame nella quale versa buona parte dell’umanità e con la mancanza di rispetto per la vita nascente. Si può quindi parlare di autentico sviluppo, o solo di una parvenza, limitata a pochi, di
quella che dovrebbe essere la vocazione dell’uomo, di ogni uomo? È
necessario quindi un ritorno alla verità che ci dice che lo sviluppo si
costruisce solo se è presente una dimensione di gratuità: “Lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di
fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità”224. La verità a
cui si fa riferimento, ancora una volta, non è la semplice verifica di un
fatto (l’economia oggi è questa), ma la ricerca del senso di una realtà
(l’economia è autenticamente umana, è un’attività che porta allo sviluppo, se esprime la sua vocazione). Ecco aprirsi una prospettiva inedita,
inconcepibile per una economia attenta solo al profitto, ma che, sola, può
aprire allo sviluppo integralmente umano. Anche qui occorre fare una
riflessione sul volontariato e sull’impegno caritativo: esso è essenzialmente motivato da un principio di gratuità che, come ci ricorda san Paolo
nella 1 Cor 13, “non cerca il proprio interesse”, non cede a logiche umane,
ma guarda all’altro come a un fratello.
Una verità per l’agire sociale: dal regalo al dono.
La categoria del dono sembra simile a quella del regalo, ma proprio la
differenza tra i due concetti ci può dare il vero significato di cosa vuol
220
221
222
223
224
Cf. BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, 22.
Cf. ivi, 23.
Cf. ivi, 25.
Cf. ivi, 27.
Ivi, 34.
197
dirci l’enciclica parlando di gratuità. Scrive il sociologo contemporaneo
Marcel Mauss (1870-1950): “Nelle società convenzionali, impostate sull’individualismo, non si fanno doni, si fanno regali. Nel regalo, l’intensità di presenza
del soggetto è misurata da quanto vale la cosa regalata, perché il soggetto è impersonale; nel dono, viceversa, il vero valore della cosa donata è l’intensità di presenza del soggetto che in essa si dona”225. Nel dono c’è la persona con la sua soggettività che si apre all’altro e muove alla risposta, che non è restituzione,
ma reciprocità. Il legame sociale appare perciò determinato dal dono più
che dal contratto, dalla gratitudine nella relazione più che dall’intereresse: “Simmel evidenzia come l’importanza eccezionale che dal punto di vista
sociale riveste la gratitudine, in assenza della quale la vita e la coesione sociale
risulterebbero modificate in modo imprevedibile; essa vien considerata come un
fenomeno che ha radici interne nell’uomo, come il ‘residuo soggettivo dell’atto del
ricevere, o anche del dare’, e anche come una sorta di memoria morale dell’umanità”, la cui eventuale cancellazione produrrebbe un risultato di sfaldamento nella società”226. Ricerche sociologiche e conclusioni filosofiche
oggi ci riportano alla centralità della fiducia, della reciprocità, della gratuità come tratti caratteristici dell’agire umano. Molto interessante, ad
esempio, è la conclusione alla quale arriva Martin Hollis riferendosi allo
studio di Richard Titmuss sul fenomeno ormai diffuso della donazione
del sangue: “la fiducia che traspare dal dono fatto a sconosciuti non è riconducibile né a una razionalità solo strumentale né a pura irrazionalità, ma ad una
idea diversa di razionalità, che consente agli individui di considerarsi ‘membri
per un’impresa comune’, soggetti allo stesso tempo interessati e vincolati. I donatori di sangue mostrano di possedere una visione del mondo sociale come ‘costruzione intersoggettiva intessuta di significati comuni’, come insieme di ‘reti interdipendenza’ ”227.
Fiducia, reciprocità e dono, sembrano solo parole da utilizzare nelle
relazioni familiari, amicali o ecclesiali, ma da escludere in tutto ciò che
riguarda l’economia e il mercato. Un “segno dei tempi” va colto però in
una lettura dei fenomeni economici che nascono all’ombra della recipro-
225 M. MAUSS, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nella società arcaiche, in Teoria
generale della magia ed altri saggi, Bollati Borighieri, Torino 1965, 153.
226 G. MANZONE, Una comunità di libertà. Introduzione alla teologia sociale, Messaggero,
Padova 2008, 105.
227 Ivi,109.
198
cità, così come afferma l’economista Zamagni: “Si pone la domanda: quanto diffusa è nella realtà la pratica della reciprocità? A differenza di quel che
potrebbe sembrare, l’osservazione, anche casuale, suggerisce che si tratta di un
fenomeno alquanto diffuso nella realtà delle società avanzate. Non solamente esso
è all’opera, in varie forme e gradi, nella famiglia, nei piccoli gruppi informali,
nelle associazioni di volontariato, ma la rete di transazioni basata sulla reciprocità, come principio regolativo, è presente in tutte quelle forme di impresa che
vanno dall’impresa cooperativa, nella quale la reciprocità assume la particolare
forma della mutualità alla impresa sociale fino alle organizzazioni non profit,
dove la reciprocità sconfina nella pura gratuità. Sui risultati economici finora
raggiunti da tali soggetti e sulle modalità concrete del loro operare, l’evidenza
empirica è ormai ampia e molto accurata. Non è dunque il caso di occupare qui
spazio. Basti solo ricordare che, come parecchi studi sullo sviluppo economico italiano hanno posto in rilievo, il cosiddetto modello della ‘nuova competizione’ presuppone, per la sua praticabilità, sia la disposizione a cooperare da parte degli
agenti, sia un fitto reticolo di transazioni, la struttura delle quali è molto simile
a quella che caratterizza le relazioni di reciprocità. Invero, è proprio in ciò il
segreto delle storie di successo dei nostri distretti industriali, storie che, mentre
non cessano di ricevere attenzioni crescenti da parte di studiosi e operatori stranieri, suscitano al tempo stesso rammarico per le difficoltà di applicarle altrove,
soprattutto nel nostro Mezzogiorno. È un fatto ampiamente documentato che il
modello della nuova competizione nel nostro paese si è consolidato ed è fiorito in
quelle regioni che, nel corso dei secoli passati, hanno visto nascere e irrobustirsi
forti strutture di reciprocità. Troppo semplicistico e riduttivo sarebbe parlare, a
tale proposito, di mera correlazione o di semplice coincidenza storica”228. Quello
che in ambito sociologico ed economico si rileva come un dato tenue e a
volte nascosto, viene dilatato dalla fede, orientato e animato nella prospettiva di quella «civiltà dell’amore» il cui seme Dio ha posto in ogni
popolo229. È l’unica via di verità per costruire lo sviluppo, perché coinvolge davvero tutti gli uomini, costituendo una società fraterna: “Infatti il
mercato, lasciato al solo principio dell’equivalenza di valore dei beni scambiati,
non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben fun-
228 S. ZAMAGNI, Dono gratuito e vita economica nella Caritas in veritate, in “Rivista di scienze religiose” 2010/1, 19.
229 Cf. BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, 33.
199
zionare. Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non
può pienamente espletare la propria funzione economica”230. Alla base di questa idea di reciprocità c’è una visione di socialità costitutiva dell’essere
umano, e non frutto di un contratto: “La rivelazione cristiana sull’unità del
genere umano presuppone un’interpretazione metafisica dell’humanum in cui la
relazionalità è elemento essenziale”231. Questa visione dell’uomo trova un’illuminazione decisiva nel rapporto tra le Persone della Trinità: “La Trinità
è assoluta unità, in quanto le tre divine Persone sono relazionalità pura”232. La
reciprocità di tale relazione, nel credente, trova in Cristo la sua profonda
motivazione, la sua causa esemplare, il suo sostegno: l’agire del cristiano
è mosso dall’amore “come e perché” Cristo ci ha amato ed ha dato se stesso per noi (Gv 15,12), si carica di gratuità e contribuisce a costruire la
civiltà dell’amore. La reciprocità ci toglie anche dalla tentazione di sentirci migliori perché possiamo dare, ci affranca dal paternalismo tipico di un
certo volontariato che poi diviene assistenzialistico. Il povero è capace di
dare, e fin quando non avrò ricevuto o imparato a ricevere da lui, non
potrò essere sicuro di avergli donato con un cuore limpido, gratuito,
rispettoso della sua stessa dignità.
Icone bibliche del dono
Moltissimo ci sarebbe da scrivere e da… vivere, tenendo presente le
tante icone bibliche del dono. Ne richiamiamo solo alcune, che sollecitano a farsi dono nei confronti dei poveri di ogni tempo, di chi è vittima di
schiavitù, di chiunque richiede la nostra prossimità.
La prima icona biblica è quella in cui il Signore raccomanda al popolo di Israele di prendersi cura di coloro che sono indifesi e, allo stesso
tempo, crea nei loro confronti uno stile di reciprocità. Particolare attenzione è data nell’Antico Testamento alla relazione che ogni israelita deve
avere con i poveri, identificati soprattutto con l’orfano e la vedova. La triade delle povertà in realtà comprende anche lo straniero, che viene ad essere considerato quindi anche una persona bisognosa. A questa triade si fa
riferimento quando Israele è chiamato a gioire per la terra che Dio gli ha
230 Ivi, 35.
231 Ivi, 55.
232 Ivi, 54.
200
dato in eredità (Dt 16,11-12), quando riceve l’obbligo di dare ogni tre anni
le decime dovute al Tempio (Dt 14,28), o gli viene chiesto di lasciare i
rimasugli della mietitura e degli altri raccolti (Dt 24,19-21): “Israele deve
avere una cura particolare per questa triade stereotipata, sotto cui è raggruppata
ogni sorta di indigenti, sbandati, marginali, la cui esistenza è minacciata”233. Le
relazioni privilegiano il povero, e chiedono all’Israelita di avere compassione della sua condizione, e allo stesso tempo si allargano al di fuori dei
confini di Israele, non per un universalismo compiuto e chiaro, ma a
causa della consapevolezza che lo straniero che dimora presso di sé è una
persona che ha un’esistenza precaria, che non può contare sull’appartenenza ad un gruppo. Il dono diviene un atteggiamento che permette a
queste categorie di persone di inserirsi e allo stesso tempo crea in loro
delle condizioni di fiducia.
Lo schiavo nell’antichità è una non-persona: non ha diritti, non ha
nessuno, neppure la legge, che possa difenderlo. I cristiani non si pongono nei confronti di questa categoria con un atteggiamento che rivendica
presso l’impero romano una condizione nuova, di riconoscimento della
loro dignità, ma si pongono loro stessi, nei confronti di chi è privo della
dignità, con atteggiamento di accoglienza. Nella Lettera a Filemone, san
Paolo rimanda al ricco Filemone uno schiavo di nome Onesimo, che egli
stesso aveva battezzato ed esorta a trattarlo non più come un non-uomo,
ma come un fratello nel Signore. Così abbiamo non un rivolgimento e od
una liberazione di tipo sociale, ma un rinnovamento dall’interno delle
qualità delle relazioni che si vengono ad instaurare anche per chi per la
società non ha diritti. Non c’è quindi un richiamo alla responsabilità politico- sociale nei confronti del mondo, ma piuttosto un orientamento fondamentale che rilegge tutte le relazioni nell’ottica della Signoria di Cristo
e della carità.
L’immagine biblica del dono, per eccellenza, è quella del buon
Samaritano, il protagonista della parabola nella quale il Signore risponde
alla domanda “chi è il mio prossimo”, insegnando che è la nostra scelta
di vita che crea vicinanza, prossimità, cura di chi è solo e abbandonato (cf
Lc 10). Riferendosi a questa parabola, Benedetto XVI, nella Deus Caritas
est, afferma: “Il programma del cristiano — il programma del buon Samaritano,
233 A. BONORA, Lo “straniero” in Deuteronomio, in “Parola Spirito e Vita” 27, 32.
201
il programma di Gesù — è «un cuore che vede». Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente. Ovviamente alla spontaneità del singolo deve aggiungersi, quando l’attività caritativa è assunta dalla Chiesa come
iniziativa comunitaria, anche la programmazione, la previdenza, la collaborazione con altre istituzioni simili.234” Lo stile del dono è quello della carità che non
chiede nulla in contraccambio, neppure l’adesione alla propria fede. È la carità
che trova spazio creativamente nel mondo del volontariato, che si struttura per
poter servire meglio, ma è anche carità che entra in luoghi “impensabili”.
Luoghi impensabili per il dono: la profezia della Caritas in veritate.
Le affermazioni sulla gratuità, sul dono, sulla fraternità, costituiscono
una sfida quando sono applicate ad ambiti impensabili. Che un volontario agisca gratuitamente è un dato di fatto, è nobile e meritorio, ma individuare luoghi di vita nei quali l’utile e il profitto sembrano l’unico scopo
dell’agire, e la spregiudicatezza e la deregulation sono secondo alcuni
l’unico mezzo da mettere in atto, è davvero profetico. L’enciclica Caritas
in veritate si spinge in questa direzione, indicandoci un compito che è proprio del credente e degli uomini di buona volontà. Quali sono gli ambiti
che possono essere umanizzati dalla reciprocità? Anzitutto il mercato.
Già con l’enciclica Centesimus annus si guardava al mercato come ad una
realtà non intrinsecamente negativa, ma come ad un mezzo necessario
all’economia. Giovanni Paolo II, facendo delle distinzioni precise, affermava infatti: “Se con capitalismo si indica un sistema economico che riconosce
il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva”235 (n.
42) Si parlerà quindi di un mercato che va inquadrato in un sistema
democratico, e che non neghi la solidarietà, ma affermi se stesso nel
rispetto della persona e con lo stile della sussidiarietà. Con la Caritas in
veritate si continua su questa scia e si dice che: “…anche nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della
fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica (…) La vita economica ha senz’altro bisogno del contratto, per regolare i
234 BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 31.
235 GIOVANNI PAOLO II, Centesimus annus, 42.
202
rapporti di scambio tra valori equivalenti. Ma ha altresì bisogno di leggi
giuste e di forme di ridistribuzione guidate dalla politica, e inoltre di opere
che rechino impresso lo spirito del dono…”236. L’impresa è un altro ambito
nel quale la reciprocità è chiamata ad operare il miracolo della umanizzazione dell’economia e di un autentico sviluppo. Di essa l’enciclica dice: “è
un fatto che si va sempre più diffondendo il convincimento in base al quale la
gestione dell’impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari
della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che
contribuiscono alla vita dell’impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento”237. Anche le diverse forme di
impresa, fra cui quelle non profit, nelle quali la dimensione della gratuità
è più evidente, permette lo sviluppo di una economia sana e animata da
fiducia reciproca: “È la stessa pluralità delle forme istituzionali di impresa a
generare un mercato più civile e al tempo stesso più competitivo”238.
C’è poi il rapporto tra Stato, società e mercato: quest’ultimo tenta di
sganciarsi dalle regole dello Stato, e la società civile, d’altra parte, è tentata, in un sistema di Welfare state, di non adottare il criterio della reciprocità, ma quello univoco di chi vuole sentirsi assistito. A questo proposito c’è bisogno di creare un circolo virtuoso tra Stato, società e mercato:
“Il binomio esclusivo mercato-Stato corrode la socialità, mentre le forme economiche solidali, che trovano il loro terreno migliore nella società civile senza ridursi ad essa, creano socialità. Il mercato della gratuità non esiste e non si possono
disporre per legge atteggiamenti gratuiti. Eppure sia il mercato sia la politica
hanno bisogno di persone aperte al dono reciproco”239. La reciprocità riguarda
anche i rapporti internazionali, resi più intensi dalla globalizzazione, ma
non divenuti più giusti e capaci di creare uguaglianza. Anch’essi possono essere vissuti in un clima di fiducia e di reciprocità: “L’interesse principale è il miglioramento delle situazioni di vita delle persone concrete di una certa
regione, affinché possano assolvere a quei doveri che attualmente l’indigenza non
consente loro di onorare. (…) le persone beneficiarie dovrebbero essere coinvolte
direttamente nella loro progettazione e rese protagoniste della loro attuazione. È
236
237
238
239
Ivi, 37.
Ivi, 40.
Ivi, 47.
Ivi, 39.
203
anche necessario applicare i criteri della progressione e dell’accompagnamento —
compreso il monitoraggio dei risultati –, perché non ci sono ricette universalmente valide. Molto dipende dalla concreta gestione degli interventi. «Artefici del
loro proprio sviluppo, i popoli ne sono i primi responsabili. Ma non potranno realizzarlo nell’isolamento». Oggi, con il consolidamento del processo di progressiva integrazione del pianeta, questo ammonimento di Paolo VI è ancor più valido”240. Infine il rapporto con l’ambiente, che nasce dalla consapevolezza
che la natura è un dono, è creato, affidato a noi ma anche alle generazioni future. Il dono qui si carica di una particolare coloritura di gratuità: è
fatto alle generazioni future, dalle quali riceveremo riconoscenza per
come avremo custodito la Terra: “Dobbiamo però avvertire come dovere gravissimo quello di consegnare la terra alle nuove generazioni in uno stato tale che
anch’esse possano degnamente abitarla e ulteriormente coltivarla. Ciò implica
l’impegno di decidere insieme, «dopo aver ponderato responsabilmente la strada
da percorrere, con l’obiettivo di rafforzare quell’alleanza tra essere umano e
ambiente che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino»”241.
Le realtà prese in esame (economia, politica, impresa, ambiente), sono
i luoghi nei quali si producono delle attività, ma si costruisce soprattutto
l’uomo. Se la gratuità fosse solo per ambiti più ristretti della vita dell’individuo, non avrebbe molto senso, perché costruirebbe una riserva felice
nella quale rifugiarsi. Se la reciprocità e la tensione alla fraternità, non
potessero cambiare dal di dentro l’attività dell’uomo, allora l’uomo sarebbe condannato ad una triste solitudine. Ci piace credere che l’uomo, creato ad immagine di Dio cerca la relazione e la reciprocità per due motivi:
perché una legge di sovrabbondanza è inscritta nel suo essere e perché ha
dei bisogni che possono essere soddisfatti solo nell’integrazione sociale,
nella intersoggettività.242 Quella sovrabbondanza non è eccedenza di qualcosa che costituisce un di più, ma afferisce alla sua natura, perché l’uomo
nell’incontro con l’altro esprime la sua natura, il suo essere. Afferma il
filosofo francese Maritain: “…in questo senso si deve dare il massimo rigore al
detto di Aristotele, che l’uomo è naturalmente un animale politico; animale politico perché è un animale razionale, perché la ragione chiede di svilupparsi, gra240 Ivi, 47.
241 Ivi, 50.
242 Cfr. J. MARITAIN, La persona e il bene comune, Morcelliana, Brescia 1978, 29.
204
zie all’educazione, all’insegnamento e al concorso di altri uomini, e perché la
società è così richiesta al compimento della dignità umana”243. Quella dignità
umana, in rapporto con gli altri, nel bene comune di una società è un
tutto: “Il bene comune è tale perché viene ricevuto in persone ognuna delle quali
è come uno specchio del tutto”244. Ecco perché la reciprocità salverà l’uomo e
il mondo, perché in essa si potrà costruire quel bene comune nel quale
l’altro non è un’ape anonima in un alveare, ma un tutto, che ha un nome,
un volto, una dignità.
243 Ivi, 30.
244 Ivi.
205
Il Volontariato, tra gratuità e accoglienza
Mons. Giancarlo Perego245
Premessa: Farsi prossimo: rileggere il gesto educativo del dono
“Chi è il mio prossimo”? “Chi si è fatto prossimo”?
Vogliamo oggi, ricordando e ripentendo l’immagine del Buon
Samaritano che Paolo VI presentava alla Chiesa come modello di un’ecclesiologia conciliare, e in occasione dell’Anno europeo del volontariato,
rileggere una delle esperienze più originali della Chiesa del Concilio e
della società italiana di oggi, il volontariato, tra alcune istanze teologiche
e l’esperienza storica. Il volontariato lo rileggiamo a partire dalla categoria di prossimità, che è quella che meglio caratterizza un’esperienza gratuita che, in Italia, interessa un milione di persone quotidianamente e altri
sei milioni di persone saltuariamente.
a. Le istanze teologiche del volontariato: la Tradizione
1. La prossimità come esperienza educativa di Dio
Dio cammina con l’uomo nella storia. Non lo lascia solo. E questo perché sa il valore della famiglia, della relazione. Trinità, infatti, è il nome
del Dio cristiano. Non solo. Trinità è il modo di agire di Dio. Ma prima
ancora la prossimità è il modo di essere di Dio. Dio ama da vicino, non
da lontano. E cercare e non solo aspettare l’uomo, sempre, sono modi
del suo amare. Un modo di amare vicino che è presente fin dalla creazione, ma raggiunge l’uomo nella relazione cristologia, ma permane
nell’uomo ‘segnato’ dal dono dello Spirito. La prossimità di Dio
all’uomo, aiuta l’uomo a riconoscere se stesso, la sua origine e il suo
destino, la sua vocazione: l’amore.
245 Direttore generale della Fondazione Migrantes. Relazione a Santa Cesarea Terme (LE)
il 17 giugno 2011 al Convegno regionale delle Caritas di Puglia.
207
2. La prossimità come espressione dell’amore umano
Il Dio amore, relazione, vicino è a fondamento del comandamento
dell’amore: l’amore al prossimo è copia, espressione dell’amore di Dio
e trova la sua verità in un duplice riferimento: all’amore di Dio e
all’amore per se stessi. Il comandamento dell’amore chiama in causa
tre persone: Dio, io, l’altro.
3. La prossimità come esperienza della creatività umana
Dio aspetta dalla libertà dell’uomo forme originali, creative dell’amore al prossimo. Come ricordava già il card. Martini e Don Tonino Bello
negli anni ‘80, sia la parabola del buon samaritano come anche le
descrizioni paoline della carità – come perdono, tenerezza, pazienza,
sopportazione, speranza… - manifestano che la carità non è scontata,
stereotipata, formalizzata, ma è aperta a una continua novità. Il dono
sente la necessità del cambiamento, dell’originalità. Per questo parliamo di “volontariato e di volontariati”, mediando questo binomio da
un testo magnifico del sociologo Achille Ardigò, uno dei padri del
volontariato italiano con Tavazza e don Nervo.
4. La prossimità come ‘cammino insieme’
Il card. Pellegrino, nella famosa lettera pastorale dal titolo ‘Camminare
insieme’, frutto dell’ecclesiologia conciliare, ha connesso strettamente
la prossimità con la vocazione della Chiesa ad essere sacramento “dell’unità di tutti i cristiani, ma anche di tutto il genere umano” (GS, 1).
Il camminare vicino alla gente non è un elemento aggiuntivo ma costitutivo dell’essere Chiesa radunata nell’ascolto della Parola, nella celebrazione eucaristica, nella condivisione. Il cammino insieme precede
la differenza dei ruoli e dei compiti.
5. La prossimità che ha una preferenza: gli ultimi
“Ripartire dagli ultimi” è un volumetto di Caritas Ambrosiana, pubblicato nel 1984, a commento del magistero del card. Martini, che prepara il Convegno di Assago. La prossimità cristiana ha una preferenza per i poveri, ricerca gli ultimi, siede vicino ai soli, ospita i forestieri, visita i sofferenti. Nessuno escluso. Una prossimità vissuta da tutto
il popolo di Dio, in particolare dal mondo laicale.
208
b. La prossimità originale nella storia della Chiesa: la memoria
1. Prossimità come dono
Nella Chiesa delle origini l’esperienza della colletta ha il valore della
condivisione, ma anche indica l’esperienza dell’essere Chiesa ‘cattolica’, universale. La colletta, la decima monastica prima e parrocchiale
poi, le questue, le raccolte fino alla cassa rurale, al fondo di oggi sono
segni che indicano la permanenza del valore della condivisione e di
una economia di comunione, ricordata anche da Benedetto XVI nell’enciclica “Caritas in veritate”. Al tempo stesso dicono il limite del
denaro, che ha valore solo se in relazione al bene personale, familiare
e comune (cfr. il volume recente L’argent e l’Eglise).
2. La prossimità come non dimenticanza dei poveri
L’esperienza diaconale che accompagna in maniera continuativa i
primi secoli della storia della comunità cristiana in Occidente e continua in Oriente fino ad oggi racconta la prossimità per gli ultimi come
vocazione speciale nella Chiesa, grado dell’Ordine sacro. Stefano e
Filippo sono prossimi alle vedove e all’eunuco, due figure di emarginati della storia, come Lorenzo, Vincenzo e la lunga schiera di diaconi santi. Il tradimento di questa vocazione alla prossimità, per il potere, il denaro, ma anche per una scelta elitaria farà morire un dono, una
vocazione nella Chiesa, che tenterà di rifiorire con la Riforma
Cattolica (S. Carlo Borromeo e S. Roberto Bellarmino), ma ritroverà il
suo posto nella Chiesa solo al Concilio Vaticano II.
3. La prossimità come sintesi di una fede personale
Le opere di misericordia corporali e spirituali diventano la sintesi di
una fede non solo pensata, ma vissuta nel quotidiano, nell’attenzione
a ciò che conta della vita delle persone, perché non siano escluse. Il laicato medioevale, illuminato da Paolo e Agostino, tradurrà l’amore a
Dio e al prossimo in queste opere. La qualità della fede si esprime
anche nella qualità delle opere, ma soprattutto dalla qualità di una
prossimità che si pone in cammino, esce di casa, dalla città murata,
scopre il mondo (Francesco, Domenico).
209
4. La prossimità come ‘perfetta carità’
L’esperienza della Riforma cattolica ripropone il valore di una prossimità che non è gesto o opera, ma cammino di vita spirituale, vocazione di speciale consacrazione, donazione di sé più che di cose. Le
nuove Congregazioni religiose che – aspetto interessante – scelgono la
laicità consacrata (‘fratelli’) prima e più che l’ordine sacro. È la valorizzazione di un laicato chiamato ad essere protagonista di una ‘riforma della Chiesa’ non solo sul piano liturgico e catechistico, ma anche
caritativo. Il ‘mondo’ – anche con le nuove scoperte, i viaggi – diventerà il nuovo luogo di prossimità (Francesco Saverio, Matteo Ricci).
5. La prossimità come ricerca della felicità
La carità cristiana illuminista o illuminata – si veda il trattato ‘Della
carità cristiana’ di Ludovico Antonio Muratori – scopre il valore di
una prossimità non legata a un gesto o a un’opera, ma a un progetto
di felicità per l’uomo, fondato anche su una ‘polis’ nuova. La carità da
gesto diventa compito istituzionale, che accompagna l’educazione cristiana (S. Alfonso Maria de’ Liguori) e la promozione dei diritti e
doveri dell’uomo (Spedalieri, Agnesi).
6. La prossimità come movimento sociale
La cooperazione sociale diventa una storia originale di prossimità,
dove non conta solo il dono, ma la mutualità, l’interesse comune, i
comuni obiettivi. L’enciclica ‘Rerum Novarum’ di Leone XIII (1891)
inaugura una storia nuova e un nuovo magistero della prossimità, che
legge anche i nuovi fenomeni sociali – industrializzazione, mondo
operaio, emigrazione – come luoghi di prossimità cristiana in forma
laicale organizzata e anche attraverso nuove forme di consacrazione
(Don Bosco, Francesca Cabrini, e la miriade di Istituti ottocenteschi e
di figure nel nostro Paese come ad esempio don Gnocchi, don Monza,
don Orione) di carità verso gli orfani, disabili, i ragazzi, le ragazze in
particolare.
7. La prossimità come ricerca del bene comune
La politica e la democrazia moderne nascono su un concetto di bene
comune che rilegge in maniera nuova non solo la città, ma anche la
prossimità. Don Murri, Don Sturzo, De Gasperi, Don Mazzolari, Don
210
Milani fondano la politica sulle attese della povera gente, aprendo con
intelligenza la politica a una mutualità europea e mondale (Piano
Marshall). Allargare i confini, gli interessi non significa perdere l’identità e la felicità, ma acquisire le ricchezze della mutualità e della prossimità. Assumere la mobilità significa crescere e non indebolirsi, perdersi, morire: significa rinnovarsi, sperare, avere un futuro.
8. La prossimità condivisa
L’esperienza allargata e giovanile del volontariato apre una nuova
stagione della prossimità. Il ’68 cattolico genera il volontariato. È il
frutto più maturo di una doppia rivoluzione: ecclesiale e sociale o di
costume. È un volontariato aperto al mondo, internazionale (pensiamo a Emmaus, a Mani tese), ecumenico (pensiamo a Taizè, ma anche
ai Focolarini, alla comunità di S. Egidio, a Capodarco), educativo
(G.S.), attento alle nuove povertà (Gruppo Abele, Comunità Incontro,
Papa Giovanni XXIII), ma anche alla giustizia sociale e alla legalità;
laico cioè aperto a tutti, cooperativo e di rete (CNCA). La prossimità
diventa un’esperienza di condivisione, ma anche condivisa in tante
forme. Cresce il numero dei volontari (fino a 7 milioni nel 2009) e
delle associazioni (35.000 nel 2009), ma anche dei gruppi informali
(più di 10.000). Crescono i giovani, soprattutto al Sud, anche sulla
scorta di una straordinaria esperienza nata tra gli anni 60 e 70: il servizio civile.
9. La prossimità integrale
La globalizzazione della prossimità è la sfida del nuovo volontariato,
che si apre anche a una prossimità integrale o personale, attenta a
tutte le dimensioni della vita della persona. È la prossimità proposta
dalla ‘Caritas in veritate’ di Benedetto XVI che sembra riprendere una
suggestione già espressa negli anni ’70 dal filosofo Garaudy: il lontano è il nuovo volto del prossimo. La prossimità integrale chiede un
forte investimento educativo: alla mondialità, all’intercultura, alla cittadinanza responsabile, al bene comune. Chiede di mettersi ancora in
cammino alla ricerca, come Chiesa, di un mondo nascosto, tradito,
trafitto, emarginato, sfruttato: per una nuova advocacy, per una
nuova mutualità, per una conversione sociale di strutture di peccato,
per nuovi stili di vita, per una nuova città globale.
211
10. La prossimità chiede di ripartire
La prossimità oggi chiede di ripartire, rimettersi in strada, in viaggio.
Chiede nuove processioni non come segni di un’identità, ma come
luoghi di prossimità, di ascolto, di conforto e di confronto, di dialogo,
di accompagnamento, di sfida, di denuncia, di progetto: di speranza.
E se c’è una parola che oggi si coniuga con volontariato, dentro le
nostre comunità, è speranza. Sperare contro la paura dell’altro; sperare contro la diffidenza dell’altro; sperare contro l’uso degli altri; sperare contro la povertà e il limite degli altri. Si riparte dalla speranza.
Si riparte con uomini, fedeli laici, testimoni di speranza.
c. La prossimità volontaria: quale identità oggi
In questa rilettura della prossimità tra istanze teologiche e momenti
storici ecclesiali, quale “rilancio” intendiamo fare della prossimità
volontaria dentro le nostre comunità, i nostri servizi di carità e di
accoglienza?
La prima indicazione progettuale è riattivare la capacità di ascoltare davvero il territorio. L’ascolto rimane la vera forza del volontariato; un volontariato radicato tra la gente, tra coloro soprattutto che
hanno bisogno e che sono in difficoltà - l’ascolto suppone un movimento di reciprocità, per costruire insieme – chi dona e chi riceve il
dono – un mondo nuovo che vede entrambi protagonisti.
Nell’ascolto/relazione si rompe la logica filantropica e compassionale del semplice dono/aiuto, che vede l’altro solo come
destinatario/utente e non un soggetto con il quale costruire qualcosa
di nuovo. L’ascolto è anche la prima strada educativa che ci indicano
i nostri vescovi per questo decennio.
Una seconda indicazione progettuale è di riscrivere il lessico della
solidarietà. Si tratta davvero di rideclinare questa parola oggi consumata, abusata e poco compresa. Ma con quali parole? Una è certamente ‘responsabilità’: responsabilità personale e comunitaria nella logica
del ‘mi sta a cuore’, ‘m’interessa’. L’altra è ‘comunità’: è il luogo dei
legami forti e della costruzione di un comune destino.
L’individualismo esasperato e la competizione non aiutano a far crescere il volontariato. Responsabilità e comunità fanno la “vera qualità
212
della vita”, perché costruiscono legami, aiutano la vita in tutte le sue
fasi e componenti, costruiscono città e Chiesa, in un dialogo tra loro
rinnovato di gioia e di speranza.
Riprendere la sfida culturale di incidere sugli stili di vita, come
terza indicazione progettuale. Dietro la proposta di un servizio gratuito c’è un’idea di uomo e di società e dunque di comportamenti e
stili di vita coerenti. Il volontariato diventa la metafora di una vita vissuta bene, di stili di vita sostenibili e di comportamenti fraterni. Ecco
perché il valore della gratuità che il volontariato difende non è semplicemente un valore da “appiccicare” all’attività di volontariato, da
rivendicare contro l’altro terzo settore che non è gratuito. Ciò che si
testimonia nell’attività di volontariato non è altro che il paradigma
della vita personale e lo stile con cui io vivo le relazioni anche nella
professione, nella quotidianità della vita. E qui riemerge la funzione
pedagogico/educativa che dovrebbe essere sottesa a tutte le attività
volontarie. Il volontariato oggi deve crescere su questa frontiera e non
abita nelle strutture complesse, nei grandi apparati del terzo settore
che pure esistono. Essa parte dalle strutture più flessibili, apparentemente deboli come quelle del volontariato, ma che dicono l’investimento sulle relazioni e sull’accoglienza ospitale.
Una quarta indicazione progettuale è rilanciare l’impegno di cittadinanza nell’agire politico. Di fronte al processo di riforma della politica e della partecipazione, a fronte di apparati che tendono ad essere
autoreferenziali, il volontariato è chiamato a ricostruire una società
civile coesa. La coesione sociale - come insegnano sociologi come
Habermas e Dahrendorf, ma anche come ci insegna Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate – è un compito sociale ed economico che
dobbiamo assumere con grande senso di responsabilità coltivando
maggiormente la dimensione orizzontale delle relazioni, anche delle
nuove relazioni con chi arriva, si muove. In questi anni abbiamo coltivato molto più la verticalità, il rapporto con il Comune, con l’assessore e meno una sana e autonoma progettualità sul territorio. La stagione della legge 266 ha aperto questa prospettiva di relazione paritaria
con le Istituzioni locali: oggi forse occorre riprendere la dimensione
orizzontale, facendoci più attenti alle relazioni con le altre formazioni
presenti sul territorio. Perché è chiaro che se coltiviamo solo la vertica213
lità va da sé che si innescano meccanismi di collateralismo assai devastanti. Il nostro Paese ha bisogno, invece, di una società civile autonoma e libera, che non è sinonimo di neutralità (essa deve essere profondamente radicata nei valori costituzionali) ma di impegno originale.
La rappresentatività del volontariato non deriva dal sedere su tavoli e
Consulte, ma sull’interpretare e testimoniare il disagio dei poveri,
degli ultimi – al volontariato oggi spetta il dovere di riaprire una
nuova stagione di impegno politico rispetto a una cultura che sembra
voler tornare al corporativismo e alla delega. Il bene comune non è affidato soltanto al Consiglio o ad una Giunta, ma a una pluralità di soggetti sul territorio. È tempo di inaugurare una nuova stagione della
politica – come ha ricordato Benedetto XVI da Verona a Cagliari a
Viterbo ad Anagni e in altre occasioni: di una politica dei diritti, della
solidarietà e della giustizia sociale, della democrazia e della partecipazione. Di una politica laica, competente, autonoma, che, da una profonda e continua lettura del territorio, sa ascoltare e quindi rappresentare i bisogni, le speranze, i desideri della gente, e costruire consenso
attraverso il dialogo paziente con le formazioni sociali.
Una quinta indicazione progettuale è quella di passare dal dono
alla relazione: ritornare alla centralità della relazione personale.
Sembra importante passare dal dono alla relazione nel volontariato.
Una relazione coniugata con la Tradizione (Identità o differenza), la
cittadinanza, la fragilità, il lavoro e la festa, gli affetti: è la consegna
importante e stimolate dei testi e dei dibattiti del Convegno ecclesiale di Verona246, ma anche dalla Settimana sociale dei cattolici italiani a
Reggio Calabria. Oggi assistiamo a una vulnerabilità sociale rispetto alla centralità della partecipazione e della costruzione delle relazioni, perché la disgregazione e la rottura delle relazioni è uno degli
elementi per i quali cresce la vulnerabilità sociale. Il passaggio da una
situazione di normalità a una situazione di vulnerabilità, quindi
anche il cosiddetto impoverimento del ceto medio, può essere rappresentato dalla rottura delle relazioni nell’ambito del lavoro, della famiglia e del contesto sociale.
246 CEI, Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo (Atti del 4° Convegno ecclesiale nazionale, Verona, 16-20 ottobre 2006), Bologna, EDB, 2008.
214
Se in un territorio esiste un livello di relazionalità diffusa particolarmente basso, una situazione di crescita della vulnerabilità sociale o
dell’impoverimento è molto più facile e pesante per la persona e la
famiglia che la vivono, perché non trovano sostegni e supporti relazionali adeguati. Dove c’è un’assenza completa di questo tessuto relazionale di base, le persone sono ancora più povere, più vulnerabili,
più a rischio, più sole. C’è bisogno allora di una nuova prossimità
volontaria.
Un’ultima indicazione progettuale riguarda l’impegno per l’accoglienza. Accogliere oggi significa rileggere la nostra vita tra differenze (persone e popoli di 193 nazionalità diverse), tra minoranze (pensiamo al popolo rom), tra nuovi e continui arrivi (pensiamo agli sbarchi in Puglia e, più numerosi negli ultimi mesi, a Lampedusa in
Sicilia). Pensiamo alla necessità di una educazione all’alterità, a riconoscere l’altro come hospes e non come hostis, come ospite e non come
nemico, che chiede uomini e donne di mediazione, di non violenza,
luoghi educativi all’alterità, all’intercultura, al dialogo.
Conclusione
Chiudo con il riprendere l’invito evangelico di partenza. La prossimità è una domanda che chiede una risposta. È un impegno morale, una storia di vita che chiede tempo, denaro, condivisione in una parola. Per questo il volontariato è uno dei percorsi educativi sul quale aiutare a crescere le persone nelle nostre comunità e sfidare la città nel suo rinnovamento globale: uno dei percorsi per ‘belli’ educare oggi alla “ vita buona del
Vangelo”.
215
«Invitati per Servire»
L’Anno di Volontariato Sociale nella Diocesi di Andria247
don Domenico Francavilla e Teresa Fusiello248
A partire dalla fine degli anni ottanta si è sviluppato nella nostra
Diocesi il Servizio Civile con l’obiezione di coscienza dei ragazzi e, quasi
contemporaneamente, si è fatta una piccola esperienza di Anno di
Volontariato Sociale (AVS) per le ragazze.
Con la Legge 64/2001, che istituiva il Servizio Civile Volontario
(SCV), è partita dal 2004 anche per la nostra comunità la possibilità di
favorire nei ragazzi e nelle ragazze un anno a servizio dei progetti di educazione e di assistenza.
Da subito si è notato il gran numero dei ragazzi che si presentavano
alle selezioni motivati da spirito di gratuità e servizio, ma al tempo stesso si registrava una scarsa preparazione ai temi della cittadinanza, della
pace e della nonviolenza.
Pochi erano coloro che venivano da percorsi di fede o di servizio
all’interno delle nostre comunità ecclesiali o associazioni di volontariato.
Inoltre, lo statuto della Caritas diocesana individua tra i compiti propri «dell’organismo pastorale della Chiesa» la promozione del volontariato, anch’esso soggetto alla «pedagogia dei fatti» per esplicitare meglio
la «funzione pedagogica» dell’attività della Caritas.
Allora, si è pensato ad un’attività propedeutica e complementare al
SCV e nel 2007 è partito il primo progetto di AVS, “Invitati per Servire”,
per ragazzi e ragazze dai 16 ai 25 anni.
Il titolo/slogan coniuga l’aspetto vocazionale (invitati) con la dimensione della gratuità/disponibilità (servizio).
247 L’articolo è stato pubblicato sulla Rivista Orientamenti Pastorali, anno LVII, n. 12,
dicembre 2009, pp. 78 – 83.
248 Formatrice e responsabile del progetto.
217
Si rivolge a ragazzi e ragazze, sia studenti che lavoratori e prevede
una quota per ragazzi immigrati o figli di immigrati per favorire l’integrazione a partire dalla cultura del dono.
Il progetto non è vissuto in solitudine dalla Caritas, ma vede il coinvolgimento sia di alcuni uffici pastorali sia di alcune strutture per l’espletamento del servizio. così si realizza una rete sul territorio a partire dall’ambito ecclesiale. La formazione, invece, è affidata alla Caritas diocesana.
L’obiettivo generale del progetto è promuovere percorsi di educazione al servizio, alla pace, alla nonviolenza, alla cittadinanza dei giovani e
nelle comunità.
L’intero progetto poggia su cinque pilastri: formazione – promozione
– servizio – vita comunitaria – campo di lavoro in estate.
Per declinare il progetto ci siamo avvalsi della voce e della testimonianza degli stessi ragazzi.
Il primo passo è stato quello di individuare le sedi in cui svolgere il
servizio: Biblioteca Diocesana “San Tommaso d’Aquino”, le parrocchie
Madonna di Pompei e Sant’Andrea apostolo per l’attenzione ai minori; la
Bottega del Commercio Equo e Solidale “Filomondo – fatti dai sud della
terra” per l’educazione alla mondialità; Casa Accoglienza “S. Maria
Goretti” e Centro di ascolto e di prima accoglienza “Emmaus”, a
Minervino, per il disagio adulto e immigrati; l’UNITALSI per il servizio
ai diversamente abili e ammalati.
All’individuazione delle sedi segue un’azione di volantinaggio nelle
scuole, nelle parrocchie e nei luoghi informali frequentati dai giovani per
pubblicizzare il progetto: “Io mi chiamo Fabio, ed ho scelto di prestare servizio presso l’U.N.I.T.A.L.S.I perchè accostarsi alla sofferenza è accostarsi al mistero di Cristo”; “È stata per me l’occasione per sperimentare il piacere e il gusto del
servizio. Il mio nome è Rita, ed ho scelto di dedicare il mio tempo libero prestando servizio presso la bottega Filomondo, mi sono messa in gioco anche in ambiti
che sentivo lontani”.
Cinque i pilastri a fondamento di questa esperienza
FORMAZIONE: l’AVS è soprattutto formazione.
Gli incontri hanno cadenza quindicinale della durata di 2 ore ciascuno dispiegati durante tutto l’anno. Inizialmente si illustra il progetto, le
218
sue finalità e gli obiettivi. In questo modo i ragazzi possono scegliere consapevolmente la sede di servizio.
In seguito, gli incontri prevedono un insieme di attività che facilitino
la conoscenza reciproca dei volontari e favoriscano lo scambio di esperienze: “ Il percorso di quest’anno, 2008 - 2009, ha previsto un primo momento
in cui abbiamo imparato a conoscerci perché il dialogo fra noi non fosse sterile e
permettesse a tutti di crescere e superare i piccoli momenti di difficoltà. Mi chiamo Roberta e ho svolto il mio servizio presso la parrocchia S. Andrea”.
Il filo conduttore di tutti i nostri appuntamenti è da rintracciare nella
triade: cittadinanza – servizio – nonviolenza. Essere cittadini attivi: uomini e donne impegnati nell’educare alla legalità e promuovere l’impegno
civico. Si coinvolgono alcune persone che possano, con la loro testimonianza, offrire delle risposte.
Diritti e doveri del cittadino. È stato questo, ad esempio, il tema centrale dell’incontro con l’assessore alle politiche giovanili del comune di
Minervino Murge, Francesco Delfino. La sua testimonianza è stata preziosa perché Francesco, che ha prestato servizio in qualità di volontario
in Servizio Civile in Caritas, ha saputo tradurre in pratica, i frutti del suo
servizio.
Ma non ci si ferma qui. Ci si rende conto che si conosce poco la realtà
cittadina, troppo lontana da noi e dalla vita dei ragazzi. Con il prof. Paolo
Farina, ad esempio, abbiamo scoperto che le nostre città offrono numerosi spazi per l’incontro con i giovani: luoghi culturali, borse lavoro, tirocini formativi.
Suscita numerosi interrogativi il tema della legalità. L’incontro con i
responsabili del presidio di Libera ha reso consapevoli delle problematiche presenti sul territorio e dell’urgenza di non restare a guardare.
Gli altri incontri sono stati dedicati alla comunicazione e alla gestione del
conflitto.
“Alcuni degli incontri ci hanno aiutato ad affrontare le situazioni di conflitto che abbiamo incontrato durante il servizio. Abbiamo imparato a gestirle serenamente prendendone coscienza, eliminando gli elementi che ne ostacolano il
riconoscimento. Mi chiamo Riccardo è ho svolto il servizio a Filomondo”.
SERVIZIO: incontrare ogni settimana degli sconosciuti e regalare loro
due ore del proprio tempo e delle proprie energie. Dopo la scelta della
sede di servizio è questo l’impegno che si assume durante tutto l’anno: “
219
Il servizio, come stile di vita, non è semplice ma possibile. Ho deciso di impegnarmi in questo anno nell’ AVS perché sentivo che poteva essere un’esperienza che
mi avrebbe dato tanto, soprattutto la possibilità di offrirmi agli altri. Sono
Debora e ho scelto di prestare servizio in Biblioteca”.
Al termine dell’esperienza il bilancio è più che positivo. I ragazzi
hanno imparato a non fermarsi all’apparenza, a non aspettarsi nulla.
Hanno scoperto che è bello sentirsi utili e che servire, con la consapevolezza di farlo, rende il cuore libero e capace di donare a tutti senza alcuna differenza. Il servizio, come stile di vita, non è semplice ma possibile.
“Avevo voglia di non limitare le mie scelte. Mi chiamo Alessia e per il secondo
anno ho ripetuto l’esperienza dell’AVS presso la parrocchia Madonna di Pompei
dove ho seguito alcuni bambini nello studio pomeridiano. Qualcosa nella mia
vita è cambiata proprio perché per la prima volta mi sento ‘invitata per servire’
donando parte del mio tempo agli altri”.
PROMOZIONE: ai ragazzi è consegnata una felpa e un berretto, con
il logo della Caritas, perché diventi segno visibile della propria scelta.
Ogni volta che si parla dell’esperienza a scuola, nelle parrocchie, durante i convegni, le manifestazioni i ragazzi, fanno promozione: non ci si
nasconde ma si mostra il proprio impegno nella comunità civile ed ecclesiale. “Due gli appuntamenti nel mese di dicembre: abbiamo camminato per le
strade della città per sostenere il valore della pace e con tutta la cittadinanza,
abbiamo ricordato i 60 anni della dichiarazione dei diritti dei bambini. L’infanzia
è troppo spesso ancora violata e troppo pochi sono gli spazi in cui i bambini possono vivere come bambini. Non serve andare in altri luoghi. Avete mai pensato
che possano essere i bambini della porta accanto? Io, dopo quell’incontro, ho iniziato a riflettere su questo (Stefania)”.
“Il 12 marzo scorso abbiamo partecipato al VI incontro nazionale dei giovani in SCV e AVS a Pozzuoli dal tema ‘Combattere la povertà e costruire la pace’.
La giornata di san Massimiliano è stata l’occasione per ricordare l’esempio di due
figure importanti: don Giuseppe Diana, impegnato a favore dei ragazzi contro la
cultura mafiosa e ucciso nella sua sagrestia, e Alcide de Gasperi, esempio di come
fedeltà alla coscienza per la lotta alla povertà e la pace possono e debbono essere
criteri di azione anche e soprattutto di chi ha responsabilità politiche per il governo e il bene comune (Nunzianna)”.
VITA COMUNITARIA: sono due le settimane di vita comunitaria
che i ragazzi vivono durante l’anno con altri volontari e un responsabile
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in un appartamento della Caritas in città. Si trasferisce la propria vita in
un’altra casa, mantenendo gli impegni di ogni giorno.
Vivere insieme comporta la gestione della casa, il rispetto e l’accoglienza dell’altro, la capacità di modulare il proprio modo di fare, le proprie abitudini sul modo di fare e le abitudini degli altri: “La settimana di
vita comunitaria è stata fantastica ed ha senso all’interno dell’AVS perché aiuta
a convivere con gli altri, a rispettare gli spazi, a rivedere i propri modi di porsi
agli altri. Sono Francesca e ho prestato servizio a Filomondo”.
CAMPI DI LAVORO: non si può perdere l’occasione di proporre ai
ragazzi un’esperienza che allarghi il significato del servizio con attività
continuative confrontandosi con altre povertà o bisogni durante l’estate:
i campi di lavoro dove si alternano momenti di lavoro a momenti di riflessione e ludici.
Non si dimenticheranno facilmente i giorni trascorsi a Lourdes. Dai
racconti dei ragazzi traspare l’emozione provata. L’incontro con la sofferenza suscita meraviglia per la gioia e la serenità con cui gli ammalati
affrontano il quotidiano:“Mi sono sentita parte di una famiglia… numerosissima. La prova di ciò è l’armonia, la serenità e la semplicità che c’era nell’aria.
Non avrei mai potuto immaginare che prestare servizio potesse essere così: persone splendide che con semplici gesti hanno riempito le mie giornate rendendole
uniche e indimenticabili” (Adriana).
A Borgo Mezzanone con la Caritas di Manfredonia – Vieste per essere “Giovani dal cuore grande” tra gli immigratio del campo di accoglienza: “All’inizio è stato difficile abituarsi ad un modo di vivere il quotidiano così
diverso dal mio. Ma è durato poco…Ho capito realmente la condizione degli
immigrati, le loro difficoltà e la bellezza della loro cultura, dei loro colori. Con
alcuni di loro siamo ancora in contatto. Mi chiamo Mariagrazia e ho prestato servizio a Casa Accoglienza S. Maria Goretti”.
Hanno vissuto il loro campo di lavoro impegnandosi durante l’oratorio estivo presso la parrocchia Madonna di Pompei. Un impegno per
molti abituale ma per loro una vera scoperta: “Ero incuriosita dall’esperienza dell’oratorio estivo che non avevo mai fatto. Avevo voglia anch’io di passare
un’estate diversa e non limitarmi alle mie solite cose” (Mara).
Hanno scelto di trascorrere, parte delle loro vacanze, presso
l’Associazione di volontariato Dins Une Man-diamoci una mano di
Tolmezzo (UD) che offre ai disabili la possibilità di trascorrere dei perio221
di di vacanza al mare: “All’inizio avevo paura di non farcela ma poi ho conosciuto Matilde. La sua vicinanza mi ha permesso di crescere” (Gilda).
Hanno gustato la scelta, il modo di vivere e l’impegno, vissuti quotidianamente dalla famiglia comboniana che ogni estate organizza
momenti che si rivelano luoghi di incontro, spiritualità e servizio con i
più poveri. Sono stati ospitati a Palermo per collaborare alla costruzione
di un Centro di accoglienza per immigrati in città. I loro momenti formativi hanno avuto come tema: “Lo straniero: icona del Dio viandante”: “Il
campo di lavoro a Palermo è stato importantissimo per la mia crescita umana e
spirituale. Mi accorgo dello squallore e della totale indifferenza in cui versa la
gente povera palermitana e soprattutto gli extracomunitari. Il tema del campo è
stato proprio “Lo straniero: icona del Dio viandante”. I brani letti mi hanno fatto
scoprire che il nostro salvatore era un extracomunitario!” (Stefano).
Hanno lavorato nelle serre della Locride all’interno delle cooperative solidali nate per coltivare la terra confiscata alla mafia. Hanno riflettuto sul tema: “La speranza non delude” alla ri-scoperta dei segni di speranza e di legalità con la gente della Calabria: “Al termine del primo giorno qualcuno ha voglia di prendere le valige e scappare dopo le 5 ore giornaliere di preghiera e riflessione: sembrano troppe. Il passo del vangelo, però, ci
riporta al perché del nostro campo: abbiamo lasciato tutto per venire qui, dove
abbiamo tutto da perdere. Siamo operatori di iniquità quando non condividiamo i doni che il Signore ci ha fatto. Non basta parlare, bisogna agire. La nonviolenza attiva sta nella ricerca di modi sempre nuovi di protestare e ribellarsi” (Domenico).
“Stili di vita insieme” è il tema del campo organizzato
dall’Associazione Mani Tese, a Vicchio (FI), che promuove la tutela dei
diritti umani e dell’ambiente: “Il filo conduttore del campo ha motivato la
nostra presenza lì, non solo come volontari per Mani Tese ma anche come gente
che per la prima volta si affaccia ad uno stile differente dal quotidiano” (Marisa).
Al termine dei primi due anni… Che ve ne pare?
52 i giovani con un’età compresa fra i 16 e 25 anni che hanno accolto
l’invito. Diversi i motivi che li hanno spinti ad accettare: dalla possibilità
di incrementare i crediti formativi, ad un modo alternativo di impegnare
il proprio tempo, alla possibilità di conoscere realmente altre storie e di
confrontarsi con esse.
222
Ragazzi che in alcune occasioni sono state persone umane, irripetibili,
capaci di gioia e di solidarietà che hanno qualificato il loro impegno con la
gratuità e la reciprocità.
Invitati per Servire, e invece sono… stati serviti… dalle stesse persone
che hanno incontrato e che hanno permesso loro di vivere un tempo alla
riscoperta di sé e nel dono per gli altri. I volti che all’inizio erano anonimi, ora hanno lasciato più di un bel ricordo. È il racconto di un pezzetto
di vita di giovani che hanno preferito fare e non lasciarsi ingabbiare nei
tanti discorsi e buoni propositi senza un risvolto pratico: Ponete il cuore un
passo avanti all’intelletto perché il fare non sia eseguire un servizio ma mettersi al servizio della persona
“Il nostro percorso non è terminato. Aver aderito all’anno di volontariato
sociale è il mio primo passo e la conferma che i giovani non sono così distratti
come si pensa ma hanno voglia di trovare un ruolo nella comunità civile ed ecclesiale che non li releghi a semplici fruitori ma a protagonisti indiscussi del tempo
che vivono. NOI CI STIAMO PROVANDO. Sono Valerio e continuo a prestare servizio al Centro Emmaus di Minervino”.
Alcuni di loro al termine del progetto hanno maturato il desiderio di
partecipare al bando del Servizio Civile svolgendolo sia in Caritas che
presso altre realtà cittadine, segno che il germe della vocazione seminato
inizia a cerare una continuità nella vita dei ragazzi.
Anche negli stessi ragazzi si è creata una aspettativa per l’avvio del
nuovo progetto, il terzo, perché possano sperimentarsi e fare qualcosa di
concreto. È la prova di come un orientamento sia necessario da parte
degli adulti e non lasciare soli i ragazzi nell’individuare e scegliere delle
realtà in un mondo che ancora non conoscono.
Spesso ci si è trovati di fronte a delle scelte o prese di posizione da
parte dei giovani volontari che ci hanno fatto comprendere come c’è spazio realmente per parlare di pace – servizio – cittadinanza e che se formati adeguatamente proprio loro permetteranno al nostro mondo e al contesto nel quale viviamo una nuova stagione di impegno e di responsabilità.
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INDICE
PREFAZIONE
Cinque pani e due pesci.
Le opere di misericordia corporali nella diocesi di Andria
S.E. mons. Raffaele Calabro .
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pag.
7
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11
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17
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25
INTRODUZIONE
don Domenico Francavilla
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I PASTORI
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La carità di san Riccardo, “solamen miserorum”
don Carmine Catalano e mons. Luigi Renna.
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“Mons. Giuseppe Di Donna, servo di Cristo e della Chiesa”
don Carmine Catalano .
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Carità e Caritas nel magistero di mons. Raffaele Calabro
don Domenico Francavilla
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29
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43
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85
LA CARITAS DIOCESANA
–
Storia della Caritas nella Diocesi di Andria
Leonardo Fasciano.
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“Intervista a mons. Salvatore Simone”
Gabriella Santovito
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225
LA POVERTÀ
–
Report sulla povertà nel 2009
Natale Pepe.
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pag.
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95
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109
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111
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129
I Centri di Ascolto interparrocchiali si raccontano
Simona Inchingolo
–
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Analisi dell’utenza e dell’attività
dei Centri di Ascolto Caritas della Diocesi di Andria anno 2010
Natale Pepe.
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Responsabili degli altri
don Domenico Francavilla
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IV censimento delle opere socio-assistenziali in Diocesi
don Domenico Francavilla
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141
L’IMPEGNO DEI LAICI E IL VOLONTARIATO
–
I laici e la testimonianza della carità
Mons. Vittorio Nozza
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157
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177
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193
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207
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217
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«Invitati per Servire»
L’Anno di Volontariato Sociale nella Diocesi di Andria
don Domenico Francavilla e Teresa Fusiello.
226
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Il Volontariato, tra guatuità e accoglienza
Mons. Giancarlo Perego .
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Il dono, per costruire la civiltà dell’amore:
la profezia della Caritas in veritate
Mons. Luigi Renna
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Volontariato: presente e futuro
Mons. Giuseppe Pasini .
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Finito di stampare
nelle Grafiche Guglielmi
Andria - Marzo 2012
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Cinque pani e due pesci - Caritas Diocesi di Andria