QUADERNO DI DOCUMENTAZIONE STORICA
GENOVA, DICEMBRE 1900:
PRIMO SCIOPERO GENERALE IN ITALIA
A cura di Nicolò Bonacasa
2
Pubblicato dalla Camera del Lavoro di Genova
SOMMARIO
GENOVA, DICEMBRE 1900: PRIMO SCIOPERO GENERALE IN ITALIAIL CONTESTO STORICO
LO SCIOPERO DEL DICEMBRE 1900 SUI LIBRI DI STORIA
LO SCIOPERO GENERALE DI GENOVA VISTO DAI GIORNALI
CITTADINI DELL’EPOCA
LO SCIOPERO DI GENOVA IN PARLAMENTO VISTO DAI GIORNALI
CITTADINI DELL’EPOCA
BIOGRAFIE DI PERSONAGGI DELL’EPOCA
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
ALLEGATI reperibili presso l’Ufficio Stampa della CdLM di Genova via S.
G. d’Acri 6 Genova
3
GENOVA, DICEMBRE 1900: PRIMO SCIOPERO
GENERALE IN ITALIA
Nel dicembre 1900 i lavoratori genovesi scesero in sciopero generale contro lo scioglimento
della Camera del Lavoro, avvenuto con decreto prefettizio del 18 dicembre, comunicato il 19 ai
segretari camerali.
La sera stessa del 19 fu proclamato lo sciopero generale, che il giorno successivo investì il
porto di Genova, Sampierdarena e Sestri Ponente; venerdì 21 l’astensione dal lavoro si estese
ancora fino ad essere quasi totale sabato 22.
Il 22 dicembre gli operai genovesi eleggevano la nuova commissione esecutiva di diciotto
membri, che ridava vita alla Camera del Lavoro e domenica 23 dicembre festeggiavano la loro
vittoria al Teatro Carlo Felice.
Il 24 dicembre il lavoro riprendeva: i lavoratori genovesi con la loro forza e la loro
compattezza avevano vinto. Nel febbraio 1901 il governo Saracco dava le dimissioni proprio in
conseguenza dello sciopero di Genova e si costituiva il governo Zanardelli-Giolitti. che chiudeva
un periodo durissimo di reazione della classe padronale contro i lavoratori.
Questi i fatti in estrema sintesi: ma per comprenderli meglio occorre inquadrarli nel contesto
storico degli avvenimenti dell’ultimo decennio del secolo XIX.
IL CONTESTO STORICO
In quel periodo grande era la miseria dei ceti popolari, forte l’emigrazione verso l’estero,
diffuso il desiderio di giustizia sociale fra ampi strati della classe lavoratrice, spietata e sanguinosa
la repressione di ogni rivolta popolare da parte delle classi dirigenti dell’epoca.
Quegli anni di fine secolo videro la nascita del movimento operaio organizzato, del Partito
socialista, dei Fasci siciliani. Le prime Camere del Lavoro, sul modello delle Borse del Lavoro sorte
in Francia nel 1887, furono costituite nel 1891 a Milano , Torino e Piacenza, cui se ne aggiunsero
altre dieci nel 1893, anno in cui si tenne a Parma il primo congresso delle Camere del Lavoro.
Sempre nel 1891 il Partito operaio si trasformava in Partito dei Lavoratori italiani, che a
Genova il 14-15 agosto 1892 diede vita al Partito socialista italiano. In Sicilia, sempre in quegli
anni, tra il 1891 ed il 1893, si formarono i Fasci dei lavoratori, molti dei quali si collegarono poi col
Partito socialista: ad essi aderirono migliaia e migliaia di operai e contadini, che, per la prima volta,
organizzati, miravano ad ottenere la revisione dei patti agrari e la divisione dei terreni demaniali.
Questo movimento si estese anche ai lavoratori delle miniere, dove erano occupati anche ragazzi di
otto anni.
Nell’isola le condizioni di miseria e di arretratezza, comuni a tutto il Mezzogiorno, erano
particolarmente pesanti a causa dell’enorme potere dei proprietari terrieri, appoggiati dal clero e
dalla mafia. Bestiale in particolare era lo sfruttamento della manodopera minorile: in alcune
zolfatare le ragazze di 9-16 anni lavoravano 10-12 ore al giorno, trasportando sulle spalle carichi di
35 chili.
Il 1893 cominciò con una strage di 13 contadini, uccisi dall’esercito dopo un’occupazione di
terre demaniali avvenuta il 20 gennaio nel poverissimo paese di Caltavuturo, in provincia di
Palermo;
+ 10 furono i contadini uccisi il 10 dicembre a Partinico, in provincia di Palermo, dove il giorno
precedente contadini e donne erano scesi in piazza al grido. ” Viva il re! viva la regina! viva il Fascio! viva il
4
Le forze più reazionarie dell’isola, compresi i prefetti, chiedevano lo scioglimento dei
Fasci, accusati di fomentare le rivolte contadine, ma Giolitti, allora presidente del Consiglio, si
oppose nonostante le pressioni in tal senso dello stesso re Umberto I.
La situazione peggiorò con l’avvento di Crispi alla presidenza del Consiglio il 15 dicembre
1893. Il 25 dicembre ci furono 11 morti a Lercara, l’1 gennaio 1894 ben 20 morti a Gibellina, 8 a
Pietraperzia e 2 a Belmonte, il 3 gennaio 1894 18 morti a Marineo e due giorni dopo 13 morti a S.
Caterina Villarmosa. Tutte le vittime erano contadini tranne un soldato.
Non contento di queste stragi, Crispi ottenne da Umberto I la proclamazione dello stato
d’assedio, che fu firmato dal re il 3 marzo 1894.
Iniziò così una lotta spietata contro i Fasci, accusati da Crispi di essere un’associazione
delinquenziale. Ed i tribunali emisero durissime condanne contro i loro capi: De Felice Giuffrida
ebbe 22 anni di carcere, 14 furono inflitti a Barbato e Verro, 12 a Bosco e Montalto.
Ma l’obiettivo di Crispi era quello di colpire il movimento operaio nel suo complesso Partito socialista, Camere del Lavoro, Leghe, Cooperative - che egli definì come “anarchia sociale e
politica “, e così, mentre capi o presunti capi dei Fasci ricevevano “...mostruose condanne, il presidente del
Socialismo!”
Consiglio non tardò a giungere - come aveva predeterminato - alla totale soppressione di ogni libertà di associazione
col decreto del 22 ottobre 1894 che sciolse tutte le associazioni “anarchiche” ossia Camere del Lavoro, Leghe,
Mutue, Circoli ricreativi e culturali e tutti i Circoli socialisti ( e cioè sostanzialmente veniva sciolto il Partito socialista,
che ormai aveva più di trecento sedi in tutt’Italia) “. 1
La politica di Crispi, repressiva sul piano interno, fu accesamente colonialista ed
imperialista in politica estera, dirigendosi verso l’Abissinia, stato confinante con la colonia italiana
dell’Eritrea. Crispi decise di scatenare contro questo stato una violenta offensiva per sottoporlo al
protettorato italiano, spinto a ciò anche dai circoli monarchici più reazionari.
Le truppe italiane, mal organizzate, scarsamente equipaggiate e soprattutto non motivate
verso una guerra che non sentivano, subirono una gravissima sconfitta ad Adua (1 marzo 1896),
dove caddero circa cinquemila tra ufficiali e soldati.
A causa di questa disfatta, Crispi rassegnò le dimissioni il 5 marzo 1896, il re le accettò ed
ebbe così fine la sua carriera politica: morirà nel 1901 all’età di 82 anni. Gli succederà il marchese
Antonio Di Rudinì, che fu costretto a chiudere l’avventura africana, firmando con l’Abissinia il 26
ottobre 1896 il trattato di pace, che riconosceva l’indipendenza e la sovranità del Negus e del suo
stato.
Ma sul piano interno Di Rudinì non fece rimpiangere Crispi quanto ad atteggiamenti
reazionari, come dimostrerà nella repressione dei moti popolari, i cosiddetti “moti della fame”, che
sconvolsero l’Italia tra il 1897 e il 1898.
Il 1896 aveva visto la luce il giornale socialista Avanti!”, su decisione assunta a Firenze dal
IV Congresso del partito: il primo numero apparve il 15 dicembre di quell’anno e le 40.000 copie
stampate andarono subito esaurite. Inoltre il 5 aprile 1897 alle elezioni politiche le sinistre
aumentarono i loro consensi : radicali e repubblicani alleati conquistarono 51 seggi e 16 deputati li
ebbero i socialisti, che raddoppiarono i loro voti.
Il 1897 fu un anno in cui la miseria dilagava nelle città e nelle campagne: il popolo non
riusciva a sopportare l’alto prezzo del pane su cui gravavano per il 38% il dazio della farina e quello
sul consumo. Scoppiarono scioperi e manifestazioni un po’ ovunque, al grido di “ pane e lavoro “: tra
la fine del ‘97 ed il febbraio ‘98 si ebbero tumulti e saccheggi con assalti ad uffici daziari in molte
località e ci furono anche una decina di morti in Sicilia tra Modica e Troina.
I “moti della fame” ripresero nell’aprile del ‘98 a Molinella, in concomitanza con
l’agitazione delle braccianti agricole, tumulti si ebbero il 26 di quel mese a Faenza, su iniziativa
delle donne, con dimostrazione generale il 27, che diede l’assalto ai caffè ed alle case delle famiglie
1
- G.Trevisani- S.Canzio, Compendio di storia d’Italia, vol. III, Ed. La Pietra, Milano, 1969, p. 179.
5
aristocratiche e clericali. Nello stesso giorno si ebbero tumulti a Finale Emilia ed a Foggia e
un’autentica sommossa a Bari, dove fu preso d’assalto il municipio e furono saccheggiati forni e
magazzini. Alla fine del mese altri tumulti scoppiarono a Faenza, in Puglia ed in provincia di
Napoli: in questa città, dove il prezzo del pane era più alto che altrove, una manifestazione di un
centinaio di donne spinse il prefetto a proclamare lo stato d’assedio e furono piazzati 22 cannoni nei
punti strategici della città.
L’incendio ormai divampava dappertutto: “... fatti gravi avvennero a Minervino Murge ( un medico,
per allontanarli dalla sua casa, in cui la moglie era gravemente inferma, sparò sui dimostranti, uccidendone uno e fu, a
sua volta, ucciso), a Molfetta, a Bagnacavallo, ad Ascoli Piceno, a Piacenza, a Torre Annunziata, a Sesto Fiorentino, a
Soresina , a Livorno, quasi dappertutto con morti ( tre, quattro, cinque per località ) e molti feriti fra i dimostranti. Il 5
maggio fu proclamato lo stato d’assedio a Firenze, Non ci fu, può dirsi, grande o piccola città d’Italia senza
partecipazione al generale rivolgimento. Nel complesso vi furono 51 morti fra i dimostranti e uno solo della forza
pubblica, il che si spiega chiaramente perchè, mentre questa faceva uso delle armi, il popolo dimostrante non possedeva
2
che sassi e bastoni.”
Ma l’azione repressiva del governo si manifestò nel modo più tragico nel maggio ‘98, in
occasione dei “moti di Milano”,durante i quali ebbe modo di esibirsi per la sua ferocia il generale
Bava Beccaris.
Tutto iniziò il 6 maggio, quando arbitrariamente la questura di Milano vietò la diffusione di
un manifesto socialista diretto alla cittadinanza : essendo stato arrestato un operaio che distribuiva
il manifesto, gli operai dello stabilimento Pirelli chiesero la liberazione del loro compagno.
Nacquero i primi tafferugli ed inutilmente Turati ed altri dirigenti socialisti intervennero per placare
gli animi. La questura chiese l’intervento dell’esercito, che si scontrò con alcune centinaia di donne
e bambini che sfilavano cantando l’Inno dei Lavoratori. Furono lanciate pietre dai dimostranti e la
truppa rispose sparando sulla folla: si contarono tre morti, un agente in borghese mischiatosi a scopo
provocatorio tra i dimostranti e due di questi.
Il giorno successivo, 7 maggio, entrarono in sciopero le sigaraie di via Moscova, che scesero
in piazza insieme agli operai dello stabilimento Pirelli. Il generale Bava Beccaris proclamò lo stato
d’assedio, trasformò Piazza del Duomo in quartier generale, concentrando cannoni, artiglieria e
fanteria ed ordinando di sparare a vista contro ogni assembramento di più di tre persone. Si sparerà
anche sui tetti: fra i caduti vi furono ragazzi di 12- 13 anni, tutti inermi.. L’8 ed il 9 maggio furono i
giorni della carneficina, che si concluse con un bilancio ufficiale di 80 morti e 450 feriti. Secondo
Paolo Valera i moti furono 126, di cui 118 identificati, e fra essi diversi bambini di 10-12-13-14
anni, una bimba di 9 anni, uccisa alla finestra della sua casa, ed un bambino di 3 anni e 6 mesi.3
L’episodio più famoso fu l’assalto del convento dei frati cappuccini di piazza Monforte che,
secondo i militari era un “covo di rivoluzionari”, che fu devastato a cannonate: attraverso la breccia
aperta penetrarono i soldati che arrestarono una trentina di frati e di vecchi mendicanti con la
scodella della minestra in mano.
Ma oltre alla repressione violenta e sanguinosa che colpì tanti innocenti, si scatenò quella
non meno dura contro i presunti capi della rivolta. Furono arrestati i socialisti Turati, Bissolati,
Costa, Morgari, Lazzari e la Kuliscioff , il repubblicano De Andreis ed il sacerdote Don
Albertario, acerrimo nemico dei socialisti.
I tribunali militari condannarono centinaia di imputati a secoli e secoli di carcere. Filippo
Turati fu condannato a 12 anni di reclusione, Don Albertario a 3, la Kuliscioff a 2, Costantino
Lazzari, Paolo Valera, Caldara, l’on. De Andreis e l’on. Morgari a pene fra i 2 e i 3 anni.
2
3
- G.Trevisani- S.Canzio, op.cit., pp. 206-207.
- Paolo Valera, La sanguinosa settimana del maggio ‘98, Libreria Moderna , Genova 1907, pp.568-576.
6
Furono sciolte le Camere del Lavoro, il Partito socialista, le Società operaie, l’Umanitaria.
E mentre Bava Beccaris indirizzava l’11 maggio un messaggio alle sue truppe per avere
“...reso un grande servizio al Re, alla Patria, alla Civiltà “, altri messaggi di ringraziamento giunsero al
generale massacratore da parte del sindaco di Milano e da varie associazioni “patriottiche” ed infine
dallo stesso re con la concessione di una “ricompensa”.
Scrive a tal proposito U. Alfassio Grimaldi: “ La borghesia esprime il suo “giubilo feroce” per la
vittoria delle truppe. E’ in questo clima che Umberto firma il famoso messaggio a Bava Beccaris -diversamente
inconcepibile, essendo rivolto ad un generale che in realtà non aveva combattuto nessuna battaglia-; che cioè firma è
stato detto, il proprio atto di morte: “Roma, addì 6 giugno 1898, ore 21,20. Ho preso in esame la proposta delle
ricompense presentatemi dal ministro della guerra a favore delle truppe da lei dipendenti e col darvi la mia approvazione
fui lieto e orgoglioso di onorare la virtù della disciplina, abnegazione e valore di cui esse diedero mirabile esempio. A
Lei poi personalmente volli conferire motu proprio la Croce di Grand’Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia, per
rimeritare il servizio che Ella rese alle istituzioni ed alla civiltà e perchè Le attesti col mio affetto la riconoscenza mia e
4
della Patria. Umberto “. E’ un lusso di ringraziamenti di lodi, di ricompense, “ sottolinea Napoleone Colajanni.”
A tutto ciò si aggiunse il 16 giugno da parte dello stesso Umberto la nomina a senatore del
generale.
Bava Beccaris era convinto di avere stroncato una cospirazione anarchico- repubblicanasocialista con collegamenti all’estero; in realtà - come dice Croce - i tumulti milanesi del maggio
‘98 erano “...predisposti dalla miseria del popolino e dal rincaro del prezzo del pane a causa del cattivo raccolto e
della guerra che allora si combatteva tra la Spagna e gli Stati Uniti, e dal non aver saputo o potuto il governo apportare
a tempo rimedi per lenire in qualche misura il malanno...” ed “...anche più certo è che in nessun luogo, e neppure a
Milano, i tumulti ebbero preparazione politica insurrezionale, con direzione e guida da parte di socialisti e repubblicani,
e che essi furono veri e propri moti incomposti di non molti popolani, con molte donne e ragazzi, senz’armi , senza
5
combattimenti e resistenze.”
Con quella tremenda strage i gruppi dirigenti della borghesia pensavano di aver schiacciato
quelli che essi definivano “ sovversivi”, i socialisti in primo luogo, ma la violenza della
repressione, ed in particolare le pesantissime condanne inflitte dai Tribunali militari, in contrasto
con lo stesso Statuto del Regno, suscitarono solidarietà con le Sinistra anche da parte dei moderati:
Zanardelli, ad esempio, in contrasto con quella politica, si dimise dal governo.
A Di Rudinì successe come presidente del Consiglio il senatore e generale Luigi Pelloux,
persona mediocre, che si presentò alla Camera il 4 luglio, non parlando di amnistia, ma insistendo
sulla tutela delle istituzioni e sulla necessità di combattere apertamente coloro che le avessero
combattute.
Vana fu perciò la richiesta di un’amnistia per i condannati politici in occasione del
Capodanno 1899: fu liberata solo la Kuliscioff perchè molto ammalata ed amnistiati solo alcuni
reati minori.
Il 4 febbraio 1899 Pelloux, mostrando il suo vero volto di reazionario, degno emulo dei due
predecessori, presentò alla Camera alcuni progetti di leggi eccezionali, che tendevano a
militarizzare il personale di poste, telegrafi e ferrovie, punire lo sciopero nei pubblici servizi;
istituire il domicilio coatto per i recidivi; vietare le riunioni all’aperto; sciogliere le associazioni
accusate di sovvertire le istituzioni. Fu istituita la censura con possibilità di sospendere per tre mesi
la pubblicazione del giornale incriminato.
Contro questo progetto liberticida insorse anche l’Associazione della stampa ed in
Parlamento si ebbe uno schieramento di opposizione, formato da radicali, repubblicani, socialisti e
da un gruppo di liberali, guidati da Giolitti e Zanardelli.
4
5
- Ugoberto Alfassio Grimaldi , Il re “ buono,” Feltrinelli Editore, Milano 1973, p.419.
- Benedetto Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Terza Edizione, Giuseppe Laterza e Figli, Bari, 1928, p.213.
7
Scrive Giolitti che il Pelloux si era posto su questo piano ultrareazionario, “...cedendo alle
intimazioni della parte più intransigente del partito conservatore e forse anche impressionato dal fatto che, nonostante la
repressione del ’98, il movimento operaio e socialista si propagava in tutta l’alta Italia, con grande spavento dei
conservatori.” 6
Oltre a liberali, come Giolitti e Zanardelli, anche uomini della Destra, come il famoso
meridionalista Giustino Fortunato, passarono all’opposizione contro Pelloux e così fece lo stesso
Gabriele D’Annunzio.
Il piccolo gruppo socialista condusse per un anno la lotta contro le leggi liberticide,
trovando spesso l’appoggio della sinistra di Zanardelli e Giolitti.
Fu adottata
la tattica dell’ostruzionismo, in cui si distinsero i deputati Ferri, Costa,
Bissolati, Prampolini e Colajanni, il repubblicano Barzilai, i radicali Basetti e Pantano. Pelloux
tentò di pubblicare il decreto con i provvedimenti liberticidi, ma ciò gli fu impedito sia dalla Corte
dei Conti, che annullò il decreto, sia dalla Corte di Cassazione, che lo dichiarò privo di effetti
legislativi.
Mentre quindi durante tutto il 1899 il piccolo gruppo socialista con altri democratici
conduceva la lotta contro il tentativo di soffocare le libertà previste dello Statuto, in tutto il Paese si
rafforzava il Partito socialista, che raggiunse quell’anno i 10.000 iscritti, aumentò notevolmente la
diffusione dell’Avanti! e nacquero molti periodici socialisti.
Ma un riscontro positivo della battaglia per la democrazia e per la libertà condotta in
Parlamento si ebbe nelle elezioni amministrative del giugno-luglio 1899 con grandi successi dello
schieramento di sinistra , ed in particolare dei socialisti, che a Milano elessero l’avvocato Luigi
Maino, il quale aveva difeso davanti ai Tribunali militari le vittime della reazione. Forse anche
questo risultato elettorale positivo per le sinistra contribuì a far sì che il governo promulgasse un
provvedimento generale di amnistia con decorrenza 1 gennaio 1900 in favore di tutti i condannati
per i moti del maggio ‘98.
Ma molto più significativi ed importanti furono i risultati delle elezioni politiche del 3-10
giugno 1900: i partiti popolari, socialisti, repubblicani e radicali ottennero 445.594 voti,
l’opposizione costituzionale 303.891, per un totale di 749.485 voti. I candidati governativi ne
ottennero 611.425,
pari al 43%, cioè 138.060 voti meno dell’opposizione. I socialisti passarono da 16 a 33 deputati, 30
li ebbero i repubblicani e quasi altrettanto i radicali. Quindi l’Estrema Sinistra si presentava alla
Camera con un centinaio di deputati, il doppio rispetto alla precedente legislatura.
Alla riapertura della Camera apparve subito che la vecchia maggioranza di Pelloux aveva
solo trenta voti di maggioranza sull’opposizione, per cui furono inevitabili le dimissioni del capo
del governo ed Umberto il 24 giugno diede l’incarico all’ottantenne senatore Saracco, col cui
governo avrebbe dovuto esserci una svolta verso una politica meno ottusa nei riguardi delle classi
popolari rispetto ai governi precedenti. Ma ciò non avvenne: proprio durante il suo governo si ebbe
lo scioglimento della Camera del Lavoro di Genova , che si era ricostituita il 20 luglio di quell’anno
dopo il primo scioglimento avvenuto nel 1896 durante il governo Di Rudinì.
Sempre nello stesso anno, il 29 luglio, si ebbe a Monza l’assassinio di re Umberto I ad opera
dell’operaio anarchico Gaetano Bresci, originario di Prato e proveniente dagli Stati Uniti. Il Bresci,
che sarà poi condannato all’ergastolo dal tribunale, dichiarerà al processo di aver voluto punire il re
per le lodi e le ricompense concesse dal sovrano a Bava Beccaris dopo la strage di Milano del
maggio ‘98.
A proposito del regicidio Giolitti scrive che “...il doloroso evento...da molti era riconosciuto come un
7
effetto su un cervello squilibrato, della politica reazionaria seguita negli anni antecedenti.”
E Benedetto Croce.,
6
7
- Giovanni Giolitti, Memorie della mia vita, Garzanti Editore, Milano, 1982, p.106.
- G.Giolitti, op.cit., p.118.
8
pur definendo Umberto I come re “buono e cavalleresco”, rileva come quel delitto “...doveva
pungere di qualche rimorso gli stolti consiglieri di reazione., quando si seppe che l’incentivo ne era stato offerto dalla
8
lettera del re al generale repressore dei moti di Milano e autore dello stato d’assedio colà e dei tribunali militari.”
L’atto illegale compiuto il 18 dicembre 1900 dal prefetto di Genova Garroni, con l’avallo di
Saracco, di scioglimento dalla Camera del Lavoro di Genova si inserisce quindi in questo quadro
storico di violente e sanguinose repressioni compiute dai ceti dominanti contro le classi popolari in
una fase di crescita politica ed organizzativa: Partito socialista, sindacato, leghe , cooperative.
Tale atto repressivo compiuto contro la classe lavoratrice genovese può considerarsi come
l’estremo conato autoritario a conclusione di un settennio di politica reazionaria dei governi Crispi,
Di Rudinì e Pelloux.
La risposta dei lavoratori genovesi pronta, immediata e responsabile, segna un passaggio
d’epoca: si chiude con quello sciopero generale, il primo in Italia, un periodo di reazione e se ne
apre un altro- col nuovo secolo- di una cauta apertura delle classi dominanti rispetto alle esigenze
della classe lavoratrice, prima col governo Zanardelli (1901-03) , poi coi governi Giolitti (1903-05;
1906-09; 1911-14).
Inizia realmente una nuova epoca; si rafforza il movimento dei lavoratori: nel 1901 e nel
1902 sono migliaia gli scioperi con centinaia di migliaia di lavoratori in lotta. Nel 1904, nonostante
la svolta in senso liberale delle classi dominanti, si torna a sparare sui lavoratori ed il 16 settembre
1904, proprio in conseguenza di nuovi eccidi di lavoratori, fu proclamato da Milano lo sciopero
generale, che si estese a tutta Italia e durò quattro giorni.
Nel 1906 nasce la la Confederazione Generale del Lavoro (C.G.L.), che si scioglierà nel
1927, durante la dittatura fascista, ricostituendosi col “Patto di Roma” del 3 giugno 1944 ed
assumendo la denominazione C.G.I.L.
Il massimo organo sindacale - come dice lo Statuto del 1906- venne “...costituito per disciplinare
la lotta delle classi lavoratrici contro il regime capitalistico della produzione e del lavoro e per la direzione generale del
movimento proletario industriale e contadino al di sopra di qualsiasi distinzione politica.”
LO SCIOPERO DEL DICEMBRE 1900 SUI LIBRI DI STORIA
Diversi sono i libri di storia che trattano l’argomento. Il più documentato è ovviamente il
libro STORIA DELLA CAMERA DEL LAVORO DI GENOVA-DALLE ORIGINI ALLA
SECONDA GUERRA MONDIALE, autori G.Perillo, C.Gibelli, Editrice Sindacale Italiana,
Roma 1980.
Nel capitolo secondo “ Le origini della Camera del lavoro (1890-1900)”, l’argomento
viene sviluppato in tre distinti paragrafi: Fondazione e primo scioglimento (pagg. 37-49)Ricostituzione e secondo scioglimento (pagg. 50-57) - Lo sciopero generale del dicembre 1900
(pagg.57-69).
Nel primo capitolo si parla della costituzione della Camera del Lavoro di Sampierdarena
avvenuta il 24 marzo 1895, quindi di quella di Genova, formatasi il 5-6 gennaio 1896, su iniziativa
di Pietro Chiesa ed inaugurata il 31 maggio di quell’anno in piazzetta Tre Re Magi nell’ex oratorio
di Sant’Agostino.
8
- B.Croce, op.cit., pag. 221.
9
Essa venne sciolta con decreto del prefetto di Genova l’8 dicembre 1896 ed analogo
provvedimento colpì le consorelle di Sampierdarena e Sestri Ponente ed i circoli socialisti della
provincia. Il decreto fu eseguito il 12 “...quando le varie sedi furono perquisite e chiuse ed i dirigenti della
Camera del Lavoro ,con quelli della Federazione socialista, furono denunciati per eccitamento all’odio fra le varie classi
sociali.” ( pag.47)
Alla Camera del Lavoro si imputavano due fatti: aver promosso l’organizzazione operaia, sì
da turbare la pubblica tranquillità e di aver impedito ai lavoratori portuali di recarsi ad Amburgo per
sostituire i facchini in sciopero.
Immediato l’intervento dei deputati socialisti in Parlamento con un’interrogazione al
presidente del Consiglio e al ministro dell’Interno Di Rudinì. Quest’ultimo si assunse la
responsabilità di quanto accaduto, affermando: “...che i Circoli socialisti e le Camere del Lavoro del
Genovesato compromettevano l’ordine pubblico, senza addurre tuttavia alcun fatto a sostegno della sua affermazione:
del resto, aggiunse, la questione è ormai davanti all’autorità giudiziaria e spettava a questa decidere.
Una lettera di protesta contro lo scioglimento, inviata all’autorità politica dai membri della Commissione
esecutiva, non ebbe altro effetto che quello di promuovere contro di essi una nuova imputazione, con conseguente
processo davanti al pretore: secondo l’accusa, infatti, la protesta significava che la Camera del Lavoro continuava a
vivere e quindi che i suoi firmatari erano incorsi nel reato di trasgressione a un ordine dell’autorità, per il quale il codice
comminava un arresto fino a un mese e l’ammenda da 20 a 300 lire. Comparvero dinanzi al magistrato Pietro Chiesa,
Luigi Casorati, Giovanni Lanzetta, Vittorio Magnini, Gaetano Pendola e quattro organizzati che si erano uniti con essi.
Tutti furono condannati al pagamento di un’ammenda di 40 lire.
Il processo per le maggiori imputazioni, quello che fu chiamato il ”processone” dei socialisti genovesi, ebbe
inizio il 4 maggio 1897. gli imputati -laureati, studenti, operai, artigiani- erano venticinque: Giuseppe Canepa, Luigi
Casorati, Pietro Chiesa, Massimo Frixione, Camillo Lattes, Giovanni Lauretta, Giovanni Lerda, G.B. Magnini, Mario
Malfettani, Luigi Murialdi, Gaetano Pendola, Giovanni Vacca, Luigi Anselmi, Attilio Capeccioni, Dante Garfagnini,
Girolamo Giunti, Giuseppe Marazzini, Carlo Mora, Vittorio Mussato, Stefano Penco, Giuseppe Piana, Bernardo
Tortorolo, Cesare Toso, Carlo Venier e Raimondo Vittoretti. Degli imputati erano assenti Camillo Lattes, combattente
in Grecia nella colonna Bertet, e G.B. Magnini, che si trovava in Francia per lavoro.
Tutti erano accusati di avere, associati fra loro, mediante conferenze e adunanze tenute nei Circoli socialisti di
vico Alabardieri e di via San Fruttuoso e nelle Camere del Lavoro di Genova, Sampierdarena e Sestri, con diffusione di
stampati di vario genere, incitato alla disubbidienza della legge e all’odio fra le classi sociali, in modo pericoloso per la
pubblica tranquillità, secondo gli articoli 247 e 251 del codice penale. A sostegno dell’accusa, fra l’altro, si citavano un
articoletto sulla bandiera rossa pubblicato dall’ Era Nuova, una dimostrazione promossa contro la Spagna per la guerra
di Cuba, alcuni incidenti avvenuti durante una manifestazione per l’isola di Candia e la diffusione di migliaia di opuscoli
socialisti al prezzo di un centesimo l’uno.
Tutti gli accusati respinsero le imputazioni di cui erano oggetto e quanto alla Camera del Lavoro, Chiesa e
Lauretta ne illustrarono la funzione e l’attività. Fu poi sentito un teste d’accusa, tale Bruzza, capitano marittimo, che
sostenne di essere stato ostacolato nell’invio di operai al lavoro in America; ma la difesa potè facilmente dimostrare che
la Camera del Lavoro -con la quale il capitano aveva effettivamente avviato trattative sull’argomento- si era
semplicemente disinteressata della questione, perchè egli non aveva potuto fornire le garanzie richiestegli circa le
condizioni e la durata del lavoro.
L’indomani dovevano essere sentiti gli altri testi d’accusa -funzionari e agenti di polizia- e fu allora che il
presidente del Tribunale annunciò che il principale testimone, il delegato di PS Boschi, era ammalato di tifo, un altro
delegato era stato trasferito venti giorni prima a Perugia e due agenti erano partiti improvvisamente il giorno innanzi per
Torino in seguito a ordine superiore.
Il processo venne rinviato e fu ripreso in sordina il 12 luglio. L’accusa fu ritirata per diciannove imputati,
mentre fu mantenuta per Lerda, Chiesa, Vacca, Frixione, Murialdi e Penco. Gli ultimi tre furono assolti, e furono
condannati Lerda a tre mesi e quindici giorni di carcere e 60 lire di ammenda, Chiesa e Vacca a tre mesi e 50 lire.
Durante il processo, importante fu la testimonianza del comm. Malnate, ispettore di P.S. del porto, il quale ammise che
la lotta contro la Camera del Lavoro era stata condotta principalmente dai “confidenti” del porto - notoriamente legati
agli ambienti armatoriali e mercantili - preoccupati per le conseguenze dell’opera di organizzazione che l’istituzione
era andata svolgendo tra i lavoratori.” (pag.49)
Nel seguente paragrafo, “Ricostituzione e secondo scioglimento”, sono narrati i fatti relativi
allo scioglimento della Camera del Lavoro di Genova nel dicembre 1900.
10
“La reazione che infuriava in Italia e l’opposizione della borghesia genovese, zelantemente servita dai prefetti
Silvagni e Garroni., impedirono durante tre anni la ricostituzione della Camera del Lavoro. Dopo i fatti sanguinosi del
1898, però, l’opposizione che nel paese incontrava la politica del governo, l’autorità che andava acquistando il Partito
socialista, i risultati delle elezioni politiche del giugno 1900 modificarono la situazione in modo tale che nell’ultimo
anno del secolo fu possibile la ripresa del lavoro di organizzazione dei lavoratori.
Gli organizzatori socialisti, nella prima metà del 1900, promossero tutta una serie di riunioni e di assemblee fra
gli operai del Genovesato, allo scopo di preparare la riorganizzazione delle diverse categorie e porre a ciascuna il
problema della ricostituzione della Camera del Lavoro, il quale fu poi discusso in una affollatissima riunione dei
rappresentanti delle categorie medesime, tenutasi la sera del 28 giugno. La discussione si concluse con l’approvazione
del seguente ordine del giorno:
La classe lavoratrice di Genova, riconoscendo nella Camera del Lavoro la vera organizzazione ispirata a
principi di civile progresso, mediante la quale con pacifici intendimenti i lavoratori possono migliorare le loro
condizioni economiche-sociali, e considerando che in tutte le principali città d’Italia tale istituzione è già un fatto
compiuto: delibera:
1) nominare una commissione con l’incarico di redigere una circolare da inviarsi a tutte le associazioni di
Genova;
2) dare incarico alla commissione stessa di convocare al più presto un’assemblea generale fra le
rappresentanze delle associazioni aderenti onde addivenire alla nomina della commissione esecutiva provvisoria.
La commissione nominata in base all’ordine del giorno e composta di 30 membri, dopo aver preso contatto
con le associazioni operaie esistenti nella città, indisse un’assemblea dei rappresentanti di queste ultime, che ebbe luogo
la sera del 20 luglio nella sala della Confederazione Operaia Genovese, in piazza Embriaco n. 5. All’assemblea
parteciparono le rappresentanze di 34 società , e altri 6 sodalizi fecero pervenire la loro adesione. Dopo il saluto del
presidente dell’assemblea, che era il tipografo Ricciotti Leoni, prese la parola il parrucchiere Alessandro Buratti,
segretario della commissione, il quale riferì sul lavoro di organizzazione svolto fino allora e concluse sottoponendo
all’approvazione dei convenuti la proposta di ricostituzione della Camera del lavoro di Genova. Approvata la proposta
per unanime acclamazione, si procedette alla nomina della Commissione esecutiva provvisoria, che risultò composta
come segue: Arturo Bonelli, sarto; Alessandro Buratti, parrucchiere; Luigi Casorati, conciapelli; Giuseppe Genovesi,
falegname; Ricciotti Leoni, tipografo; Giacinto Menotti, calderaio in ferro; Pietro Nosetti, muratore; Carlo Priori,
commesso di commercio; Vincenzo Repossi, orefice, Buratti fu eletto segretario della Camera del Lavoro, Leoni
secondo segretario- contabile e Casorati cassiere. L’operaio Alessandro De Giovanni fu eletto presidente del Consiglio
generale.
L’annuncio della rinascita della Camera del Lavoro fu dato l’indomani 21 luglio dai giornali cittadini e dal
primo numero dell’Era Nuova (recante la data di domenica 22), che rinasceva anch’essa dopo oltre due anni dalla
cessazione imposta nel 1898 dalla bufera reazionaria. Il settimanale, organo della Federazione Socialista Ligure, così
salutò l’avvenimento:
La riunione ieri nella sua calma serena, nell’espressione ferma di tutte quelle categorie di lavoratori, ci riempì
l’animo di conforto. Essa ci rivelò l’intimo lavorio prodottosi nella coscienza dell’operaio genovese; ci disse che la
Genova operaia risorge, che l’antica ribelle è stanca dell’asservimento a cui per tanti anni fu sottoposta (...) Bravi
operai! Voi avete rialzato il prestigio di Genova. Al lavoro e sempre avanti!
La Commissione esecutiva deliberò di rivolgere agli operai un manifesto per invitarli ad iscriversi alla Camera
del Lavoro, ma la Questura, che ovviamente agiva su istigazione del prefetto Garroni, ne vietò l’affissione, sicché
l’appello fu reso noto soltanto attraverso la pubblicazione fattane dall’Era Nuova. Dopo una breve stasi seguita
all’uccisione di Umberto I, il lavoro di organizzazione -al quale partecipò attivamente Pietro Chiesa, eletto deputato nel
collegio di Sampierdarena- procedette con buoni risultati nei mesi successivi durante i quali la Camera del Lavoro,
dapprima fu ospitata nei locali della Società di mutuo soccorso Balilla, in piazza Sarzano, n. 28, al secondo piano e
poi, dai primi di ottobre, ebbe sede in via delle Grazie al n. 36 rosso.
Di grande importanza fu soprattutto l’organizzazione dei lavoratori portuali. Nel porto -dove, come si è detto,
la “libera scelta “ o “libertà di lavoro” aveva portato a un abbassamento notevolissimo delle condizioni dei lavoratoritutte le categorie avevano costituito le loro leghe e aderivano alla Camera del Lavoro, mostrando così il progredire del
processo di rigenerazione e di elevazione, al quale già da alcuni anni avevano posto mano gli organizzatori socialisti.
La Camera del Lavoro, oltre a sviluppare un’attività organizzativa, intervenne in varie vertenze, portandole
felicemente a conclusione; specialmente importante fu la vertenza riguardante le tariffe degli scaricatori di cereali. In
un comunicato stampa, la Camera così ebbe a parlare di questa sua funzione.
La stampa cittadina registra l’opera arbitrale e pacificatrice di questa istituzione operaia. Da questo controllo
risulta che la Camera di Commercio e anche i negozianti hanno riconosciuto coadiuvando il suo lavoro, la funzione
civile e umana della moderna emanazione del lavoro. E da ora in poi , dopo aver preso atto della dichiarazione fatta
dal presidente della Camera di Commercio e dai principali negozianti di grano di Genova, che riconobbero la Camera
degli operai, trattando con essa da pari a pari, molto più facile riuscirà il compito suo.
11
La Camera del Lavoro, dal canto suo, rimanendo estranea a qualsiasi spirito politico e religioso, prosegue nel
suo lavoro di organizzazione e di difesa degli associati, fidente com’è nella fiducia che gode presso questi e la
cittadinanza intera.
In quello stesso periodo la Commissione esecutiva della Camera rivolse all’Amministrazione comunale la
domanda intesa ad ottenere un sussidio annuale così come avevano ottenuto le Camere del Lavoro di altre città; la
richiesta però non venne accolta.
Se la Camera di Commercio e alcuni negozianti trovarono conveniente venire a certi accordi con la Camera del
Lavoro, l’avversione verso questa ultima era vivissima nella classe padronale, e in particolare in coloro che avevano
sempre considerato il porto come campo riservato al loro arbitrio e alle loro speculazioni. L’accusa di sovversivismo fu
lanciata contro la Camera del Lavoro, mentre minacce e provocazioni furono usati nei confronti degli operai per
intimidirli e spingerli ad azioni che potessero provocare l’intervento delle autorità.
L’Era Nuova in quei mesi accennò più volte alle manovre degli avversari della Camera del Lavoro
denunciando le provocazioni che andavano tentando o preparando “confidenti” o “vecchi arnesi della bassa polizia”,
ammoniva i lavoratori del porto a stare in guardia e a non rispondere alle provocazioni. Le aziende che operavano nel
porto, gli impresari, i proprietari di chiatte, i “ confidenti” avevano l’appoggio delle autorità e risultò poi dalle
discussioni parlamentari che in quei mesi il prefetto Garroni espose al Governo l’assoluta urgenza dello scioglimento
della Camera del Lavoro, fra le quali che essa si era costituita illegalmente, che intendeva a promuovere con i partiti
sovversivi e repubblicani lo sciopero ed a sommuovere il principio monarchico con grave pericolo dell’ordine
pubblico.
L’attacco aperto, pubblico, contro la risorta Camera del Lavoro fu sferrato il 28 novembre dal quotidiano Il
Secolo XIX, notoriamente legato agli industriali deI porto, con un articolo intitolato “Il pericolo del porto di Genova” a
firma del direttore Luigi Arnaldo Vassallo. Il Vassallo -dopo aver riconosciuto che la vertenza degli scaricatori di
cereali, “ la cui causa era giustissima”, si era potuta risolvere per il senso di misura dimostrato dagli operai- osservava
però: “ il passato pericolo consiglia a tutti le precauzioni necessarie”. Prendeva poi le difese dei “confidenti” in questi
termini:
La libertà di lavoro creò la classe dei “confidenti”. La capacità di taluni fra costoro, dicesi, ha prodotto non
poche antipatie da parte dei lavoratori, i quali si son quasi abituati a considerarli sotto l’aspetto di sfruttati e
parassiti. Ciò non è giusto. Essi compiono una funzione utile e necessaria: soltanto bisognerebbe che di tal funzione
essi mai non abusassero o almeno vi fosse un’autorità speciale, capace di richiamarli e subito ai propri doveri.
Constatava poi il Vassallo come il prefetto, il questore e la Camera di Commercio non fossero mai interpellate
dai datori di lavoro o non amassero intervenire in caso di divergenze con i lavoratori, mentre questi ultimi regolarmente
si rivolgevano alla Camera del Lavoro e a proposito di questa scriveva:
La cosiddetta Camera del Lavoro, come tutti sanno, altro non è che il comitato d’azione del Partito socialista.
I suoi conferenzieri, i suoi membri ne chiariscono l’indole al di là del bisognevole. Nell’opera sua, bisogna dirlo,
spiegò una tattica mirabile e prudente, attraendo a sè le questioni più vive delle classi. Non ho preconcetti e dichiaro
che non solo la Camera del Lavoro, dal suo punto di vista, fece opera logica e sotto certi aspetti civilmente lodevole,
ma nessuno vorrà contrastare ch’essa è fatalmente guidata dall’interesse soverchiante dell’organizzazione del partito.
Essa dunque presenta un esempio, un ammonimento e un futuro pericolo. Esempio e monito ai partiti
sonnacchiosi dell’ordine, i quali si sono neghittosamente disinteressati ai movimenti, alle aspirazioni dei lavoratori e
non hanno saputo loro offrire uno sfogo legittimo alle questioni di equità e di concordia sociale. Pericolo perchè
inevitabilmente, gli apostoli di Marx (i quali, a cominciare dall’on. Chiesa, ignorano che il vangelo di Marx è
tramontato da un bel po', sbugiardato dalla pratica di un cinquantennio, demolito dagli stessi maestri socialisti come
il Bernstein e compagni) per ora si schiudono il varco mediante atteggiamenti filantropi, ma poi vorranno dedicarsi
all’opera loro suprema di demolizione e di propaganda, trovando più facile ascolto alle illusioni dei fantastici
programmi.
Davanti a tutto ciò, ripeto essere più che mai necessaria l’istituzione di un magistrato speciale, a cui si
possano rivolgere con fiducia commercianti e lavoratori (...) Chi ha orecchie intenda. Se poi avete orecchi foderati di
prosciutto, aspettatevi il danno e la vergogna.
A questo attacco, che si ricollegava all’azione svolta dai datori di lavoro presso il prefetto e ai passi (in quel
momento ancora ignorati dal pubblico) di quest’ultimo presso il Governo, l’Era Nuova del 2 dicembre replicò con
veementi e durissime parole all’indirizzo del direttore del giornale borghese:
Il signor Luigi Arnaldo Vassallo non solo è un mantenuto degli industriali, ma anche un bugiardo delatore.
Ha scritto su “Il Secolo XIX”, l’organo classico della diffamazione e dell’ingiuria, un articolo sulla Camera del
Lavoro che dovrebbe avere soltanto una risposta: venti centesimi gettati sulla faccia fatta apposta per gli sputi.
Nessuno a Genova ignora la funzione pacifica della Camera del Lavoro: industriali e Camera di Commercio
ne hanno riconosciuta la preziosa utilità, tutti sanno che essa è soltanto una associazione economica: vi possono
aderire cittadini d’ogni fede politica e religiosa.
12
Che dice invece il signor Vassallo? “ La cosiddetta Camera del Lavoro, come tutti sanno, altro non è che il
comitato d’azione del partito socialista .I suoi conferenzieri e i suoi membri ne chiariscono l’indole al di là del
bisognevole”. Ha dei meriti, “ ma nessuno vorrà contrastare ch’essa è fatalmente guidata dall’interesse soverchiante
dell’organizzazione di partito. Essa dunque presenta un esempio, un ammonimento e un futuro pericolo”.
“ Chi ha orecchie intenda”- conclude Luigi Arnaldo Vassallo - Cioè voi, prefetto Garroni, dovete sciogliere la
Camera del Lavoro.
A tutti gli onesti denunciamo le manovre del signor Luigi Arnaldo Vassallo. Consigliamo poi agli operai di
regalargli, nel giorno del suo onomastico una completa uniforme di poliziotto. Noi non abbiamo mai conosciuto un
giornalista così basso, così mascalzone.
Era chiaro ormai che il ceto padronale - e specialmente quello i cui interessi erano legati all’attività del porto mirava ancora una volta allo scioglimento della Camera del Lavoro, scioglimento che, ripetutamente sollecitato dal
prefetto Garroni presso il governo, fu infine da questo autorizzato. Evidentemente il Garroni era convinto che la
reazione al provvedimento, come nel 1896, non sarebbe andata oltre gli ordini del giorno di protesta e gli attacchi della
stampa socialista. Prevedendo la tempesta, i dirigenti della Camera del Lavoro in quella prima quindicina di dicembre
furono in costante contatto con i lavoratori e prepararono gli animi alla lotta.
Il decreto prefettizio di scioglimento, firmato il 18 dicembre, subito dopo che la Camera dei deputati aveva
preso le vacanze, venne notificato il 19 ai due segretari della Camera del Lavoro Buratti e Leoni, nella sede di via delle
Grazie, dall’ispettore di pubblica sicurezza del Molo. I mobili, i registri e tutti i documenti, compresi quelli delle leghe
che lì avevano la loro sede, furono sequestrati e i locali vennero chiusi. I due segretari della Camera elevarono contro il
provvedimento prefettizio una protesta, che fu inserita a verbale; successivamente un’altra protesta fu da essi diramata
alla stampa, mentre l’on. Chiesa telegrafava al presidente del Consiglio e ministro dell’Interno Saracco, interrogandolo
sull’accaduto.
Nello stesso giorno 19 a Sampierdarena furono sciolti il Circolo popolare e la Lega metallurgica e navale e a
Sestri Ponente il Circolo ricreativo e istruttivo e la Sezione sestrese della Camera del Lavoro. Buratti, Leoni, Chiesa e
altri furono deferiti all’autorità giudiziaria.” (pagg. 49-57)
Il seguente paragrafo, “Lo sciopero generale del dicembre 1900”, è dedicato allo sciopero
generale ed alla sua vittoriosa conclusione:
“Pronta ed energica fu la reazione della classe operaia. La sera del 19 i dirigenti della Camera del Lavoro e
delle leghe si riunirono alla periferia della città, consci della gravità del momento, dell’importanza delle decisioni da
prendere, della responsabilità che stavano per assumersi. La discussione fu lunga e animata, e vivaci furono i contrasti:
poi l’idea, sostenuta dalla maggioranza degli organizzatori socialisti, di resistere all’arbitrio e alla violenza, prevalse fra
i convenuti; e infine, superata ogni divergenza, all’unanimità venne deliberato di rispondere al decreto prefettizio con lo
sciopero generale. Subito dopo, mentre i segretari Buratti e Leoni partivano per Roma con l’incarico di prendere
contatti con il Governo, vennero impartite le disposizioni per rendere prontamente nota a tutti i lavoratori la decisione
presa.
La mattina successiva- giovedì 20 dicembre- il movimento ebbe inizio con l’astensione dal lavoro dei portuali,
degli operai dei bacini di carenaggio e di quelli degli stabilimenti metallurgici posti nell’ambito del porto; nel
pomeriggio lo sciopero si estese agli operai dell’Officina Allestimento Navi Ansaldo, al Molo Giano, e a quelli del
cantiere Odero, alla Foce; cominciarono le astensioni dal lavoro anche a Sampierdarena e a Sestri Ponente.
Le ragioni dello sciopero vennero spiegate alla cittadinanza da un manifesto delle organizzazioni operaie, in
cui si metteva in rilievo come il provvedimento emanato dal prefetto significasse disconoscimento del diritto di
associazione; seguì un manifesto della Camera di Commercio, in cui senza dir parola del decreto, si lamentava il danno
recato al porto di Genova e si auspicava la pronta ripresa del lavoro. Era la prima volta che uno sciopero generale
veniva attuato in una città italiana, e la notizia diffusasi in un baleno in tutto il paese, suscitò sorpresa, preoccupazione e
anche sgomento.
La mattina medesima Pietro Chiesa aveva telegrafato al ministro Saracco nei seguenti termini:
L’arbitrario scioglimento della Camera del Lavoro e di alcune associazioni economiche di Genova e Sestri ha
provocato stamane astensione totale degli operai dal lavoro causando danni incalcolabili commercio nazionale. Urge
provvedere per ripresa lavoro, per pacificazione animi. Occorre revocare almeno temporaneamente decreto prefettizio;
proporrei sottoporre operato Camera del Lavoro commissione arbitrale cittadini genovesi senza distinzione di classe.
Saracco era un conservatore, ma sapeva che lo scioglimento delle associazioni era illegale. Sapeva anche che
l’uccisione di Umberto I, avvenuta pochi mesi innanzi, era stata la conseguenza della politica reazionaria delle classi
dirigenti italiane, e temeva che la repressione dello sciopero con la forza potesse determinare, oltre che spargimento di
sangue, una situazione grave e pericolosa nel paese, all’alba del nuovo regno. Ritenne perciò che fosse miglior avviso
andare incontro ai lavoratori facendo concessioni, e in tal senso fece pervenire istruzioni al prefetto di Genova, mentre
così rispondeva al telegramma di Chiesa:
13
Ricevo suo telegramma. Sono disposto a concessioni possibili per pacificazione degli animi. Ella comprenderà
che un atto di governo non può essere sottoposto ad arbitrato. Ad ogni modo faccia capo al prefetto per proposte di
altra natura.
Il colloquio che quel giorno stesso Pietro Chiesa ebbe col prefetto non portò tuttavia ad alcun risultato, e una
riunione di circa 800 operai delle diverse categorie, tenutasi alla spianata di Castelletto si concluse con la deliberazione
di continuare lo sciopero. La classe padronale, sbigottita dalla reazione operaia, si astenne dall’assumere atteggiamenti
bellicosi, e il Corriere Mercantile, che ne esprimeva gli interessi, in un breve commento, nel quale tentò quella sera una
difesa dell’operato del prefetto, usò un linguaggio molto cauto.
La mattina seguente -venerdì 21- entrarono in sciopero gli operai dello stabilimento Criste, al Lagaccio, degli
stabilimenti grafici Armanino, Cabella, e Montorfano, del laboratorio Novi, del mobilifici Waser, Isel e Brocchi , e i
lavoratori di molte imprese edili, scioperarono per circa mezza giornata anche i tranvieri. Quasi completa fu l’astensione
negli stabilimenti di Sampierdarena, Cornigliano e Sestri Ponente.
La stessa mattina, nella sede della Società scaricatori di carbone, in piazza Tre Corone, - con l’intervento dei
deputati Pietro Chiesa e Gustavo Chiesi, dell’avvocato Antonio Pellegrini e di Pio Schinetti, direttore del Giornale del
Popolo - ebbe luogo una riunione di trecento rappresentanti delle leghe operaie. Dopo due ore di discussione furono
formulate le seguenti condizioni per la ripresa del lavoro: 1) che tutti i documenti sequestrati nei locali della disciolta
Camera del Lavoro fossero restituiti; 2) che agli operai fosse data facoltà di eleggere una commissione per stabilire una
nuova Camera del Lavoro; 3) che tutte le leghe della città del porto potessero confederarsi. Una commissione di nove
operai ebbe l’incarico di presentare le richieste al prefetto.
A Roma, intanto, il governo si trovava di fronte alle indignate proteste dei deputati dell’estrema sinistra e delle
organizzazioni operaie. Una interrogazione del repubblicano Gustavo Chiesi ai ministro dell’Interno chiedeva quali
provvedimenti intendesse prendere verso il prefetto di Genova il quale , “ con proditorio scioglimento della Camera del
Lavoro, da nessuna ragione d’ordine pubblico o d’ambiente giustificabile, gettava le masse operaie, offese nel loro
diritto e nel loro sentimento civile, in grave agitazione”. Consigli di moderazione, di prudenza, intesi a risolvere la
questione riconoscendo il diritto degli operai, pervenivano da più parti.. A Chiesa, che aveva sollecitato l’istituzione dei
probiviri per le questioni del lavoro, nel porto, Saracco rispose col seguente telegramma:
Vado ad esaminare se la legge attuale provveda ai lavoratori del porto. In caso negativo provvederemo,
introducendo un progetto speciale di disposizione per decreto-legge. Assisto con dolore allo sciopero, che lungi dal
condannare, serve a dimostrare la legalità e la ragione del provvedimento governativo. Ella, sono certo, aiuterà la
pacificazione nei limiti del possibile; io farò altrettanto.
Nonostante il tentativo di difendere il provvedimento di scioglimento, si intuiva che il governo, purché fossero
salve le forme, era disposto a dare soddisfazione ai lavoratori genovesi.
Quando la commissione operaia, nelle prime ore del pomeriggio, fu ricevuta in prefettura e presentò le proprie
richieste, incontrò dapprima una forte resistenza nel prefetto, ma, infine, dopo una lunga discussione, nel corso della
quale l’avvocato Pellegrini sostenne calorosamente le ragioni dei lavoratori, si poté elaborare una formula per la
soluzione della vertenza, formula che occorreva sottoporre ai rappresentanti delle leghe. Questi furono nuovamente
convocati alle ore 17 nei locali di piazza delle Tre Corone sotto la presidenza di Chiesa, e ad essi Pellegrini presentò il
testo del progettato accordo, che era così formulato:
E’ deliberata la convocazione di un comizio di operai, che eleggerà un comitato rappresentante della classe
nei suoi interessi permanenti, da discutersi in accordo con la Camera di Commercio, prima fra tutti l’istituzione dei
probiviri.
Il Comune, che nella persona dell’assessore Boraggini, aveva partecipato alla discussione svoltasi in prefettura,
avrebbe concesso al nuovo comitato un proprio locale, e il prefetto avrebbe disposto la restituzione dei documenti
sequestrati alle leghe.
La soluzione proposta non era la ricostituzione o il ripristino della Camera del Lavoro disciolta, era la
commissione esecutiva senza la Camera del Lavoro, ma di questa -osservò Pellegrini- sostanzialmente significava la
rinascita, pur mancando la denominazione; egli, pertanto, consigliò agli operai di accettarla. Nella discussione che seguì
si manifestò qualche esitazione, sembrando a una parte dei convenuti che convenisse insistere perchè fosse riconosciuto
dalle autorità il diritto degli operai a istituire la Camera del Lavoro; ma il parere dell’avvocato Pellegrini, sostenuto da
Pietro Chiesa, ebbe infine il sopravvento. La deliberazione dell’assemblea fu quindi comunicata da Chiesa ai lavoratori,
che, in numero di quindicimila affollavano via Milano e le terrazze dei Magazzini Generali; e subito dopo Chiesa,
Pellegrini e Ballestrero si recarono in Municipio per prendere accordi circa il luogo e l’ora in cui sarebbero avvenute le
votazioni per l’elezione del comitato.
La sera, alle 23, la commissione operaia, accompagnata da Ballestrero, ritornò dal prefetto per comunicargli
che all’indomani, convocato da un manifesto del Comune, gli operai avrebbero proceduto nell’ex-oratorio di San
Filippo , in via Lomellini, all’elezione del comitato. Riferì all’indomani il Corriere Mercantile che
14
il prefetto -protestando le sue buone disposizioni verso gli operai, in favore dei quali fu sempre pronto ad
intervenire ogni qualvolta fu possibile, e affermando ancora una volta che egli vedeva con piacere il sorgere di un
istituto legalmente costituito, il quale mirasse alla sincera protezione del benessere dei lavoratori- insistette nel fermo
proposito di non poter permettere che si rieleggessero a far parte del futuro Comitato esecutivo della nuova istituzione
operaia gli otto membri appartenenti al Comitato esecutivo della disciolta Camera; e ciò per il semplice motivo che
essi si trovavano sotto giudizio, essendo essi stati deferiti all’autorità giudiziaria.
I delegati operai non si ritennero autorizzati a sottostare alla condizione posta dal prefetto, condizione che si
riservavano di comunicare ai compagni nella riunione indetta per l’indomani.
Il tema fondamentale posto dallo sciopero degli operai genovesi, cioè il riconoscimento e l’esercizio del diritto
di associazione dei lavoratori, sancito dallo Statuto e tuttavia manomesso dalle autorità, fu appena sfiorato dalla stampa
borghese cittadina, per la quale l’elemento più importante consisteva nel danno che lo sciopero arrecava al commercio.
A molti pareva che la Camera di commercio, il Comune di Genova e i deputati liguri di parte conservatrice non
avessero svolto un’azione adeguata per la difesa degli interessi del commercio e in appoggio all’operato del prefetto. Il
Corriere Mercantile così scriveva:
Come mai la Camera di Commercio, che pochi giorni or sono trattò a tu per tu colla Camera del Lavoro, non
dice una parola nel suo manifesto sullo scioglimento di quest’ultima associazione? Come mai il Municipio rimane
pienamente estraneo ad un conflitto che paralizza le più vive attività di Genova? Ed i deputati liguri - mentre qui sono
già rappresentanti dell’Estrema Sinistra e di altri si annunzia l’arrivo - dove sono essi i deputati liguri e che cosa
pensano?
Il prefetto, almeno, sta fermo al proprio posto. La condotta sua potrà essere diversamente giudicata. Ma gli si
deve rendere questa giustificazione: che non è né dormiente, né uomo di pasta frolla. Sente le sue responsabilità e
coraggiosamente le affronta, e tutto il rischio rimane dalla parte sua.
Data la situazione delle cose e delle persone, non è forse un pericoloso artificio quello di prendersela coll’on.
Chiesa e di insegnarli l’a b c de’ propri doveri di deputato? L’on. rappresentante di Sampierdarena è deputato
socialista e fa bene gli interessi della parte sua. Ma fanno ugualmente gli interessi del loro partito i deputati che si
dicono monarchici e tacciono, mentre tutt’intorno si grida alle violate libertà statutarie?
Gli scioperi e le proteste, come quella che minaccia di arrestare per un istante la prosperità di Genova, non
avverrebbero se le così dette classi dirigenti avessero un briciolo solo dello slancio sincero e della forza di resistenza
di cui danno prova le classi lavoratrici. Che cosa facciamo noi, invece? Ci lasciamo chiudere entro un cerchio di ferro,
che aiutiamo noi stessi a ribadire ben bene; e quando qualcuno ci fa la grazia di spezzare il ferreo cerchio perchè non
ci soffochi, allora noi, contenti di essere scampati al pericolo, corriamo... a nasconderci.
Il Caffaro, che si professava di idee liberali, si guardò dal prendere le difese del prefetto, ma non volle perdere
l’occasione per condannare
gli “abili mestatori”, che avevano saputo infondere “nella massa facilmente
suggestionabile” la convinzione che il trionfo spetta sempre “ non all’agitazione pacifica e legale , ma alla violenza
bruta, alla violenza freddamente, persistentemente minacciosa “ e aggiungeva:
Questo sciopero rappresenta per Genova la perdita di un milione al giorno. Pare agli operai che la causa
della Camera del Lavoro, ch’essi hanno sposato ad occhi chiusi, per quanto giusta possa essere, meriti d’imporre a
Genova, all’intera nazione un simile sacrificio?
Anche La Stampa di Torino richiamò i lavoratori genovesi al danno derivante all’economia nazionale, senza
omettere di insinuare che i piroscafi, che avessero dirottato per Marsiglia per ivi scaricare le merci destinate a Genova,
sarebbero certamente bene accolti dai portuali marsigliesi, i quali forse si sarebbero mostrati generosi inviando agli
scioperanti il loro obolo.
Quando poi si delineò la soluzione dello sciopero il Corriere della Sera si affrettò a definirla “poco
consolante” e ad esprimere le proprie preoccupazioni per le conseguenze che ne sarebbero venute:
Lo scioglimento che la questione nella migliore delle ipotesi avrà è già di per se stesso poco rassicurante: il
prefetto Garroni ha voluto, sciogliendo la Camera del Lavoro fare atto d’autorità, opporsi al cammino rapido del
socialismo, forse troppo poco contrastato da quanti avrebbero dovuto opporre una resistenza naturale in difesa dei
propri interessi; ma quest’atto si è malauguratamente rivolto contro lo stesso principio d’autorità e ha accresciute le
preoccupazioni per l’avvenire.
Infatti, per quanto siasi cercato di salvare la forma, nella sostanza la Camera del Lavoro potrà dirsi
ricostituita e non ci sarà da meravigliarsi se la cosidetta Commissione sarà composta dagli stessi principali elementi
dell’organismo che si è voluto sciogliere.
E, d’altra parte, le preoccupazioni vengono dalla facilità , dalla spontaneità e dalla solidarietà colle quali gli
operai si sono posti in sciopero: gli stessi socialisti e repubblicani si sono meravigliati che la loro propaganda abbia
potuto fare tra questa gente un così rapido cammino. Più che contenti, essi ne sono impressionati, come dimostra
l’atteggiamento preso dal deputato Chiesa. Il notevole successo che gli operai hanno ottenuto, le concessioni che
comunque hanno strappato all’autorità politica non potranno che rimbaldanzirli. E da molti osservatori imparziali si
15
domanda.: - Se così fanno gli operai trattandosi di una questione d’indole astratta, che solo indirettamente può
nuocere i loro interessi, cosa non potranno fare allorché questi loro interessi fossero direttamente in giuoco?
L’esercizio del diritto d’associazione era tutt’altro che una questione astratta, e i lavoratori genovesi, col loro
movimento, dimostravano di esserne ben consapevoli: se essi si battevano con tanta energia e compattezza, gli è che
avevano compreso il valore dell’organizzazione e, pertanto, non intendevano rinunciare ad essa. E, del resto, perchè agli
operai genovesi doveva essere impedito di avere ciò che gli operai di altre città avevano già da anni?
Il particolare accanimento con cui a Genova era stata combattuta l’istituzione della Camera del Lavoro era
certamente dovuto alle particolari caratteristiche della classe padronale genovese, più retriva, più gretta, più incolta di
quella di altre città. Ora però essa si avvedeva che un mutamento si era prodotto nel corso degli ultimi anni, che i
lavoratori non erano più disposti a subire imposizioni umilianti e che occorreva abbandonare posizioni di intransigenza
non più compatibili con i tempi.
Il sabato 22 dicembre - terza giornata di sciopero -altre maestranze aderirono al movimento e l’astensione fu
quasi totale a Genova, totale a Sampierdarena, Cornigliano e Sestri Ponente. Nelle prime ore del mattino fu affisso il
manifesto della commissione operaia, che convocava i lavoratori a mezzogiorno, nell’ex-oratorio di San Filippo,
concesso dal Comune per procedere all’elezione dei diciotto loro compagni che avrebbero costituito il nuovo comitato
operaio permanente.
Alle nove, nel locale della Società degli scaricatori di carbone, ebbe inizio l’adunanza dei dirigenti delle leghe
per la formazione della lista dei candidati da presentare al suffragio dei lavoratori. Era presente Leonida Bissolati, il
quale pronunciò espressioni di elogio per gli operai genovesi, concludendo con queste parole:” Voi, operai, avete
destato l’ammirazione di tutti i lavoratori d’Italia, compresi quelli delle campagne; lo sciopero che avete proclamato è
la più bella dimostrazione della conoscenza dei vostri diritti”.
Ai convenuti la commissione operaia riferì quanto il prefetto aveva detto nel colloquio della sera precedente, e
seguì una animata discussione, al termine della quale tutti i dirigenti delle leghe, essendo d’accordo per includere fra i
candidati i membri della disciolta commissione esecutiva, approvarono il seguente ordine del giorno:
Le Commissioni delle Leghe, riunite per protestare contro l’imposizione del prefetto, riaffermano la più
completa fiducia nell’amministrazione della Camera del Lavoro disciolta, sottoponendola al suffragio dei lavoratori
organizzati.
Dopo ciò furono concordati i nomi degli altri candidati da sottoporre al voto degli operai.
A Roma, quella mattina stessa, Saracco ( che il giorno innanzi al generale Stefano Canzio aveva dichiarato di
essere disposto a permettere agli operai genovesi l’istituzione della Camera del Lavoro ), ricevette Buratti e Leoni, che
erano accompagnati dal deputato repubblicano Pilade Mazza. Dopo l’esposizione dei due organizzatori, il deputato
rilevò che v’erano in Italia 35 Camere del Lavoro funzionanti e che proprio la sera precedente il Consiglio Comunale di
Roma aveva riconfermato alla locale Camera del Lavoro il sussidio annuo di 6.000 lire, che la Prefettura aveva
precedentemente cassato dalle voci di bilancio; trattavasi, pertanto, di una istituzione ritenuta utile e necessaria, alla
quale gli operai avevano diritto, e l’averla combattuta in Genova era stato un grave errore, che aveva messo in
agitazione tutta la classe lavoratrice. Saracco riconobbe la gravità della situazione e, pur affermando di non poter
revocare il decreto del prefetto di Genova, si dichiarò disposto a consentire agli operai genovesi l’istituzione della
Camera del Lavoro, con tale denominazione, e la rielezione dei membri della disciolta commissione esecutiva. Il
presidente del Consiglio si riservò di confermare successivamente tali intendimenti e li confermò infatti in un nuovo
colloquio avvenuto nel pomeriggio.
Gli operai avevano vinto. La sera stessa, i due organizzatori, insieme col deputato Mazza partivano alla volta di
Genova, dove, da parte sua , il ministro Saracco inviava il conte Gioia, portatore di istruzioni per il prefetto.
A Genova, intanto, gli operai procedevano alle elezioni. Durante tutto il pomeriggio e tutta la sera, via
Lomellini e le adiacenze mostrarono un aspetto insolito per l’affollamento dei lavoratori. Il seggio, stabilito nell’exoratorio di San Filippo, era presieduto da Pietro Chiesa, dieci tavole con altrettante urne erano state disposte nella sala.
Le operazioni di voto, cominciate alle ore 14, durarono fino alle 22 e lo spoglio delle schede, cominciato per alcune
urne già alle 17, continuò fino all’una dopo mezzanotte, alla luce di poche candele, non essendovi nell’oratorio né luce
elettrica né gas. La scena, all’indomani fu descritta dal Corriere Mercantile con queste significative parole:
Chi entrava in quella semioscurità, rischiarata da poche fiammelle giallognole e vedeva quel via vai serio e
composto degli operai che si recavano alle urne riceveva un’impressione che difficilmente potrà dimenticare. Pareva
un episodio grandioso, per la sua imponenza, della Rivoluzione francese. Al banco stettero quasi sempre l’on. Chiesa
e l’avv. Pellegrini, quest’ultimo dominante la folla col suo cilindro, in abito rigorosamente nero e guanti, che al
mattino forse erano stati bianchi, ma che alla sera non avevano più un colore definibile-. L’on. Bissolati assistette alla
votazione e allo spoglio delle schede dalle 21 alle 22; egli si disse meravigliato della serietà, dell’ordine dei nostri
operai.
I votanti furono 9.200 circa e pochissime furono le schede bianche o nulle. Tutti i candidati presentati dai
dirigenti delle leghe furono eletti con votazione plebiscitaria e con scarti di voti insignificanti, risultato questo, che
dimostrò, più che la disciplina e la compostezza dei lavoratori, la loro consapevolezza del valore di quelle elezioni:
16
_
Eletti
1) Di Giovanni Alessandro,
lavorante in legno
2) Buratti Alessandro,
barbiere
3) Genovesi Giuseppe,
falegname
4) Leoni Ricciotti,
tipografo
5) Casorati Luigi,
conciapelli
6) Besutti Luigi,
pesatore portuale
7) Priori Carlo,
commesso in commercio
8) Calda Lodovico,
tipografo
9) Nosetti Pietro,
muratore
Voti
9174
9173
9172
9172
9171
9171
9169
9169
9169
Eletti
10) Pinferi Ricardo,
muratore
11) Bosco Marco,
metallurgico
12) Canonica Guido,
tipografo
13) Torraca Luigi,
scaricatore portuale
14) Minetti Giacinto,
calderaio in ferro
15) Reposi Vincenzo,
orefice
16) Viola Vittorio,
scaricatore portuale
17) Grossi Paolo,
orefice
18) Rossi Giovanni,
tranviere
Voti
9168
9168
9168
9168
9167
9166
9165
9165
9162
L’indomani - 23 dicembre - giunsero da Roma i due organizzatori operai e il rappresentante di Saracco, e non
rimase che consacrare - sulla base delle dichiarazioni del presidente del Consiglio dei ministri - la vittoria dei
lavoratori, con la duplice proclamazione della rinascita della Camera del Lavoro e degli eletti a membri della
Commissione esecutiva. La solenne manifestazione si svolse nel pomeriggio nel Teatro Carlo Felice, gremito di
operai. Al banco della presidenza sedevano il deputato Pietro Chiesa, Leonida Bissolati, Gregorio Agnini, Pilade
Mazza e Luigi De Andreis, l’avvocato Antonio Pellegrini e gli esponenti locali del Partito socialista e del Partito
repubblicano. Chiesa fece la proclamazione degli eletti e annunciò la rinascita della Camera del Lavoro, che
dall’indomani avrebbe ripreso a funzionare nell’ex-chiesa della Pace, in via XX Settembre, concessa dal Comune quale
sede dell’istituzione. Seguirono altri discorsi, fra cui uno di Bissolati, il quale disse: “ E’ naturale che per difendere la
libertà i lavoratori abbiano usato la forza dell’organizzazione. Essi sanno che la libertà è pane e che il pane è la libertà”.
Poi l’imponente comizio si sciolse fra le manifestazioni d’entusiasmo dei lavoratori.
Il giorno successivo nell’articolo di fondo del Corriere Mercantile, intitolato “Lo sciopero è finito” si leggeva:
Sì, lo sciopero è finito. Ma con esso sono finite anche parecchie altre cose. E’ finita, per esempio, la speranza
di vincere, con la dolcezza e la tolleranza. le controversie che sorgeranno d’ora in poi tra operai e padroni, tra
lavoratori e autorità.
E’ finita anche l’illusione, nella quale si cullarono i nostri padri facendo l’Italia, che non dovesse mai
scalzarsi il principio d’autorità, per non togliere efficacia a quei sentimenti del dovere, i quali rendono una nazione
potente e capace di farsi rispettare.
Lo sciopero è finito. Il Governo ha ceduto su tutta la linea e il Prefetto ha conceduto tutto ciò che gli era
chiesto. Con chi è adesso il popolo? Con l’Estrema Sinistra, senza dubbio.
Dio salvi non solo il porto di Genova, ma l’Italia tutta.
Invero l’agitazione si era conclusa con la piena vittoria degli operai, la cui fermezza e compattezza fu oggetto
dell’ammirazione di tutti. Messaggi di solidarietà, prima, di felicitazioni, poi, vennero inviati da ogni parte d’Italia e da
molti paesi dell’estero -dalla Francia, dalla Germania, dall’Austria, dall’Olanda - e l’Era Nuova rivolse alla classe
operaia genovese queste parole:
Gloria a voi , lavoratori genovesi, poiché la vittoria che voi riportaste è tale che mai fino ad ora forse
essa fu eguagliata.
Non è stato lo stimolo di un aumento di salario, o di una diminuzione delle ore di lavoro, non l’ambascia della
miseria dell’oggi o lo spettro cupo del domani doloroso che vi ha spinti alla lotta, che vi ha indotti a gettare il guanto
di sfida. No. Voi lavoratori, smentendo coloro che dicono di voi, che non sapete assurgere a una concezione che non
si commisuri col meglio dell’ora che corre, avete vinto e avete combattuto in nome e per rivendicazione di un ideale
altissimo. Avete combattuto e avete vinto in nome della libertà.
Voi avete compreso che la lotta per il pane quotidiano, la lotta per la vostra elevazione morale ed intellettuale,
devono avere per base la libertà, quella libertà per la quale tante vittime hanno salito il calvario, tante esistenze si
sono consumate nelle buie e umide segrete (...)
17
L’anima vostra collettiva, all’insulto di chi tentava di distruggere ancora l’opera vostra cresciuta faticosa
nell’incertezza e nell’ansia del sacrificio, l’anima vostra si è levata ad un grido sublime. E quel grido bastò. Gloria a
voi, o lavoratori genovesi, poiché avete saputo dare esempio magnifico ai lavoratori di tutto un mondo, che con
ammirazione e stupore hanno seguito le rapide fasi dell’insorgere e del trionfo.
Avete vinto. Ma ricordate che il nemico è forte e l’insidia non è l’ultima delle sue armi. La vittoria che avete
ottenuta vi ammonisca che contro di voi esso prevarrà se non sarete uniti in un’anima e in un intento. Avete vinto , ma
pensate che la vita è lotta, e che ogni giorno si deve combattere e che ogni giorno si deve vincere.
Lo sciopero di Genova scosse fortemente la posizione del governo, ebbe immediate conseguenze sul piano
parlamentare e costituzionale e aprì la via a un mutamento della situazione interna. Come ebbe a scrivere Arturo
Labriola:
I conservatori erano rivoltati. Essi pensavano al prestigio di quel tal principio d’autorità fatalmente
compromesso. Quanto ai liberali, essi non potevano fare a meno di pensare che se l’on. Saracco aveva riparato
prontamente aveva però tollerato che si offendesse leggermente il principio di associazione.
Ai primi di febbraio del 1901, cadde per una convergenza di voti dell’estrema sinistra e della destra su un
ordine del giorno che disapprovava la condotta del governo nella questione della Camera del Lavoro di Genova: gli
successe il ministero Zanardelli.
L’esito vittorioso dello sciopero segnò l’inizio di una fase nuova nella storia del movimento operaio italiano e
nella vita stessa della nazione. Fino ad allora, nonostante le disposizioni dello Statuto albertino, le organizzazioni degli
operai erano state considerate fuori della legalità, tollerate talvolta, ma più spesso soggette alla repressione delle
autorità. Da allora, invece, cessò la pratica dello scioglimento delle associazioni e fu riconosciuto ai lavoratori il diritto
all’organizzazione e alla lotta per la difesa dei loro interessi. La classe dirigente italiana dava inizio a una politica nuova
che alla classe operaia e al Partito socialista pose nuovi problemi. “
L’ENCICLOPEDIA NUOVISSIMA, Editrice “Il Calendario del Popolo”, Milano, 195962, tratta l’argomento nel IV volume, a pagina 184.
Dopo aver parlato dei governi Crispi , Di Rudinì e Pelloux, della sconfitta di quest’ultimo
alle elezioni politiche del 3-10 giugno, dell’uccisione di Umberto I , dice che la borghesia, la quale
“...aveva, fino ad allora, appoggiato e sostenuto la reazionaria politica umbertina, decise di cambiare metodo.
Ciononostante, non mancavano dei nostalgici crispini, come il prefetto di Genova, marchese Camillo Garroni, che il 19
dicembre 1900, mentre il Parlamento era chiuso, sciolse la Camera del Lavoro di Genova.. Al decreto di scioglimento
rispose con una strepitosa vittoria, partendo dal porto, il primo grande sciopero generale - e il primo sciopero politico in Italia. Il 15 febbraio 1901 il ministero Saracco fu battuto ed ebbe il nuovo incarico l’on. Zanardelli...Dal 1901, dato
l’indirizzo liberale, furono centinaia e centinaia gli scioperi che portarono in lotta centinaia di migliaia di salariati
agricoli e di braccianti, di operai qualificati e non qualificati, mentre comincia finalmente anche in Italia, una vera e
propria, anche se limitata legislazione sociale.”
La STORIA UNIVERSALE DELL’ACCADEMIA DELLE SCIENZE DELL’URSS VOL. VII - Edizioni del Calendario, Milano, 1967, tratta l’argomento nell’ambito del capitolo XXII,
intitolato “ Lo sviluppo dell’imperialismo in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone.
L’inasprimento della lotta di classe”.
Questo brano, tratto dalle pagine 369-370, è intitolato “Italia - Lo sviluppo economicoL’ascesa del movimento degli scioperi:”
“Gli ultimi anni del XIX secolo e in particolare i primi anni del XX fino al 1908 furono per l’Italia un periodo
di progresso industriale. Con l’aiuto del capitale straniero e sotto la tutela dei dazi protezionistici si sviluppava
rapidamente la grande industria. Nell’Italia settentrionale, e in particolar luogo nel “ triangolo “ industriale MilanoGenova- Torino, di svilupparono la metallurgia, l’industria meccanica e chimica e quella automobilistica. In questo
periodo cominciò la trasformazione del capitalismo italiano in imperialismo. In questo processo svolsero una funzione
importante le grandi banche, con alla testa la Banca Commerciale Italiana, nella quale v’era una grossa partecipazione
di capitale tedesco. Molte grandi imprese italiane erano sorte con i mezzi di questa banca oppure poco dopo cadevano
sotto la sua influenza finanziaria. Nel 1902 la Banca Commerciale Italiana aiutò la società metallurgica “Terni” ad essa
collegata ad ottenere la concessione delle miniere di ferro nell’isola d’Elba, che fino ad allora erano appartenute ai
capitalisti belgi. Impadronitasi della fonte di una materia prima scarseggiante in Italia , la “Terni” e la Banca
Commerciale Italiana assoggettarono al loro controllo molti cantieri navali e le maggiori compagnie di trasporti
marittimi.
Il livello di vita degli operai italiani rimaneva al di sotto di quello dei maggiori paesi dell’Europa occidentale;
la giornata lavorativa era in media di 12-13 ore. Anche la condizione dei contadini era sempre dura. Nei latifondi
dell’Italia meridionale gli affittuari dovevano consegnare al proprietari fino a tre quarti del raccolto.
18
Con lo sviluppo della grande industria la lotta del proletariato italiano assunse forme nuove, sempre più
organizzate. Già nel 1901 il numero degli scioperi (essenzialmente economici) era stato di 1671 e quello degli
scioperanti di 420 mila. Per la maggior parte gli scioperi terminavano con un successo. Grande importanza ebbe lo
sciopero .generale di protesta contro lo scioglimento della locale Camera del Lavoro avvenuto a Genova nel dicembre
1900. Fu questo il primo sciopero organizzato di tutta una città, in Italia; vi parteciparono 20 mila persone e si
concluse con una vittoria”.
Questo è un altro brano, tratto da pag.370, intitolato “ I liberali al potere. Giovanni Giolitti”:
“L’ascesa del movimento operaio costrinse la borghesia italiana, all’inizio del XX secolo, a rinunciare ai
metodi di governo apertamente reazionari, caratteristici del XIX secolo. Poco dopo lo sciopero genovese uno dei leader
dei liberali italiani, Giovanni Giolitti, dichiarò in Parlamento che il socialismo poteva essere vinto solo con “l’arma della
libertà”. Nel 1901-1903 Giolitti fu ministro degli interni, e dal 1903 al 1904, con brevi intervalli, fu presidente del
Consiglio dei ministri. Con una politica di compromessi e di concessioni Giolitti cercò di attenuare le contraddizioni di
classe e di “conciliare” gli operai italiani con lo stato borghese. Egli fece molti tentativi per dividere il movimento
operaio, privarlo delle sue caratteristiche rivoluzionarie e imporgli l’ideologia borghese. Contando sull’appoggio degli
elementi opportunisti nel movimento operaio, Giolitti nel 1901 legalizzò le organizzazioni operaie e riconobbe agli
operai il diritto di sciopero. Furono inoltre introdotte alcune leggi sulla tutela del lavoro, e nel 1904 fu esteso in una
certa misura il diritto di voto. I leaders riformisti del partito socialista, Bissolati, Turati eccetera, appoggiavano la
politica di Giolitti e i deputati socialisti votavano in Parlamento a favore del governo. Essi asserivano che il marxismo
era “invecchiato” e conducevano il partito sulla via dell’aperto patteggiamento con la borghesia liberale.”
STORIA D’ITALIA - Volume quarto - Dall’Unità a oggi -3 -Giulio Einaudi Editore,
Torino 1976. In questo volume si parla dello sciopero di Genova nell’ambito della Parte seconda L’Italia nell’età dell’imperialismo-, capitolo I “La crisi di fine secolo”, nel paragrafo 2 “ Il ‘98: un
mancato colpo di Stato della borghesia”.
Da pag. 1859 pag.1861 leggiamo: “Chi ricostruisca il dibattito parlamentare e pubblicistico che si snoda
negli ultimi anni del secolo, ha l’impressione di trovarsi di fronte a una sottile e quasi sotterranea compenetrazione di
programmi di origine diversa, provvidenzialisticamente destinata a sfociare nel rinnovamento politico. L’osmosi tra le
proposte delle varie forze politiche fu probabilmente maggiore di quanto si è spesso presunto, frutto com’era non
soltanto di bisogni largamente avvertiti, ma anche di una temperie culturale comune a tanti dei partecipanti a questo
dibattito. Ma difficilmente, o assai più lentamente, i risultati di questo filtraggio politico-culturale si sarebbero
concretizzati, senza un deciso intervento delle masse. Fu il loro ingresso nella lotta per difendere la propria presenza
organizzata nel paese a dare la spinta risolutiva. Nel dicembre 1900 i lavoratori di Genova scioperarono in segno di
protesta contro lo scioglimento della loro Camera del lavoro ad opera del prefetto Garroni. Si trattò di uno sciopero che
non aveva precedenti in Italia, non soltanto per il numero dei partecipanti (che raggiunsero i ventimila) , ma anche e
soprattutto perchè deciso da lavoratori consapevoli di difendere il diritto di esistenza di una loro autonoma
organizzazione. La conclusione vittoriosa dello sciopero ebbe un’eco vastissima in tutto il paese in quanto sembrò
riconoscere, assieme alla forza dei lavoratori nell’affermare con la lotta il loro diritto ad associarsi, anche la loro
capacità di dirigere con disciplina e fermezza le proprie organizzazioni: “chi entrava in quella semioscurità rischiarata
da poche fiammelle giallognole e vedeva quel via vai di operai seri e composti che si recavano alle urne, ed udiva i loro
discorsi, ne riceveva un’impressione tale che difficilmente potrà dimenticare: Pareva un episodio grandioso, per la sua
imponenza, della Rivoluzione francese” scrisse “Il corriere mercantile”, commentando lo svolgimento delle elezioni
del nuovo comitato operaio permanente al termine dello sciopero vittorioso.9
Soprattutto, però, al di là dell’ammirato terrore per questa capacità di lotta, si impose presso gli ambienti
industriali e gli ambienti politici più sensibili alle esigenze della moderna produzione capitalistica , la necessità di
deporre le illusioni di una conduzione paternalistica delle aziende per prendere atto dell’esistenza di organizzazioni di
lavoratori con cui trattare. Lo sciopero di Genova risultò una cartina di tornasole per una tendenza alla ripresa di poteri
dell’istituto parlamentare: La caduta del governo Saracco avvenne proprio al termine di una discussione che aveva
avuto come oggetto il comportamento delle autorità governative nello scioglimento della Camera del lavoro di Genova.
“Per la prima volta - scriverà Arturo Labriola - dopo dieci anni di un governo personale larvato, riusciva alla Camera di
9
Commento del “Corriere mercantile” alla rielezione dei membri della commissione esecutiva della Camera del
Lavoro, citato in G. Perillo, Ricostituzione e secondo scioglimento della Camera del lavoro di Genova. Lo sciopero
generale del dicembre 1900 in“Movimento operaio e contadino in Liguria” n. 1956, p.72 . Il più significativo
commento di un contemporaneo allo sciopero di Genova è quello di Luigi Einaudi, pubblicato originariamente in “ La
Riforma sociale” gennaio 1901, ora in Lotte del lavoro , a cura di P. Spriano, Torino 1972, pp. 51-78. (nota della “
Storia d’Italia” Einaudi)
19
esprimere un voto sulla condotta del governo. Il sistema di Umberto era stato di far ritirare prima i ministri”.10 Il famoso
discorso pronunciato da Giolitti il 4 febbraio 1901 coronava la formulazione del suo programma di governo, che si
veniva caratterizzando in modo più dinamico, per l’esplicito riconoscimento dalla necessità di più alti salari e del diritto
all’esistenza delle organizzazioni dei lavoratori, entrambi frutti improcrastinabili delle trasformazioni sociali del paese.”
Giuliano Procacci, nel libro STORIA DEGLI ITALIANI, Editori Laterza, Bari 1978 , tratta
l’argomento nel capitolo IX , intitolato “ La crisi di fine secolo” , nel paragrafo “ Fine di secolo,
inizio di secolo”, da pag. 448 a pag. 450, partendo dalla caduta di Pelloux al cosidetto governo di
transizione di Saracco, allo sciopero di Genova ed alle successive dimissioni di Saracco.
Scrive Procacci: “Il 4 febbraio 1899 il Pelloux presentò all Camera un complesso di provvedimenti intesi a
proibire lo sciopero nei servizi pubblici, a limitare la libertà di stampa e il diritto di riunione e di associazione che, se
approvati, avrebbero probabilmente segnato la fine dello Stato liberale. La battaglia condotta dall’Estrema Sinistra, alla
quale si aggiunse in un secondo tempo anche la sinistra costituzionale di Giolitti e Zanardelli, fu memorabile e culminò
nella seduta del 29 in cui alcuni deputati socialisti ruppero le urne per protestare contro la pretesa del presidente della
Camera di chiudere la discussione che essi avevano trascinato in lungo attuando l’ostruzionismo. a non minore fu la
tenacia con cui Pelloux , che aveva nel frattempo rimpastato il suo governo escludendone gli elementi più liberali,
difese i suoi progetti di legge e si mostrò deciso a renderli esecutivi, anche senza l’approvazione del Parlamento,
trasformandoli in decreti legge, prassi che però venne dichiarata incostituzionale dalla Corte di cassazione. Questo
pronunciamento della suprema autorità costituzionale del paese e il passaggio a un’aperta opposizione dei deputati della
sinistra costituzionale costrinsero Pelloux a dichiararsi per vinto e a ricorrere alle elezioni. Queste -le quarte nel breve
giro di dieci anni- furono combattutissime e segnarono un netto progresso dei partiti dell’Estrema e della sinistra di
Zanardelli e Giolitti. Pelloux fu costretto perciò a dimettersi e venne costituito un nuovo gabinetto, presieduto da un
vecchio parlamentare, il Saracco, e con tutte le caratteristiche di un governo di transizione.
Ma la normalità si ostinava a non venire. A un mese di distanza dalla costituzione del governo Saracco, il 29
luglio 1900 re Umberto cadde vittima di un attentato anarchico. L’impressione fu enorme e annullò in parte
dell’opinione pubblica lo choc psicologico dell’affermazione delle sinistre nelle recenti elezioni. Si determinò così
nuovamente una situazione di incertezza e di malessere. Decisamente il paese sembrava non riuscire a trovare la
propria strada e il proprio equilibrio. Ora, dopo che i partiti di opposizione avevano condotto una battaglia vittoriosa
all’insegna del rispetto della legalità costituzionale, questa legalità veniva scossa da un rigurgito del vecchio anarchismo
fermentante nel fondo della società italiana. Perchè domani non avrebbe potuto esserlo da un nuovo ritorno della
reazione novantottesca?
Eppure la schiarita era più vicina di quanto non pensassero coloro che, avendo vissuto la convulsa cronaca
dell’Italia di fine secolo, non avevano avuto il tempo di realizzare quanto quegli eventi e quelle esperienze avessero
inciso nel profondo dell’opinione pubblica e del popolo. Attraverso le lotte contro Crispi e contro Pelloux si era
diffusa in larghissimi strati popolari , che forse per la prima volta avevano seguito con partecipazione e con piena
cognizione di causa le vicende della lotta politica e parlamentare, la sensazione che indietro non si poteva tornare e che
il secolo XX sarebbe stato quello di un’Italia nuova. Se ne ebbe la prova quando nel dicembre 1900, avendo il prefetto
di Genova decretato lo scioglimento della locale Camera del lavoro, gli operai del grande porto ligure, della città di
Mazzini, non scesero in piazza a tumultuare, come due anni prima era accaduto nella civilissima Milano, ma si
limitarono ad incrociare le braccia. Era il primo “sciopero generale”, sia pure su scala cittadina, dei molti che conterà
l’Italia dei futuri decenni ed esso si svolse senza il minimo incidente, in una calma impressionante e quasi ostentata. Gli
scioperanti sapevano di essere dalla parte del diritto, ed erano decisi ad ottenere riparazione: Di fronte a questo fatto
insolito e nuovo di un’intera città che diceva con risolutezza e con calma il suo no all’arbitrio, il governo Saracco, che
aveva in un primo tempo avallato le decisioni del prefetto, si trovò disorientato e fu costretto a revocare lo scioglimento
della Camera del lavoro.
Criticato da destra per la sua arrendevolezza tardiva e da sinistra per il suo primitivo sopruso, Saracco dette le
dimissioni . A succedergli, il nuovo re Vittorio Emanuele III designò Zanardelli, l’esponente più in vista di quella
sinistra costituzionale che aveva condotto anch’essa la battaglia contro Pelloux. Ministro degli Interni fu Giovanni
Giolitti il quale nel dibattito conclusosi con le dimissioni di Saracco, aveva pronunciato a proposito dello sciopero di
Genova le seguenti dichiarazioni:
Per molto tempo si è cercato di impedire l’organizzazione dei lavoratori. Ormai chi conosce le condizioni del
nostro paese, come di tutti gli altri paesi civili, deve essere convinto che ciò è assolutamente impossibile ... Noi siamo
all’inizio di un nuovo periodo storico, ognuno che non sia cieco lo vede. Nuove correnti popolari entrano nella vita
quotidiana, nuovi problemi ogni giorno si affacciano, nuove forze sorgono con le quali qualsiasi governo deve fare i
conti... il moto ascensionale delle classi popolari si accelera ogni giorno di più, ed è un moto invincibile perchè
10
Arturo Labriola, Storia di dieci anni, cit., p. 102. (nota della “ Storia d’Italia” Einaudi)
20
comune a tutti i paesi civili, e perchè poggiato sul principio dell’uguaglianza fra gli uomini. Nessuno si può illudere
di poter impedire che le classi popolari conquistino la loro parte di influenza economica e di influenza politica, gli
amici delle istituzioni hanno un dovere soprattutto, quello di persuadere queste classi, e di persuaderle con i fatti, che
dalle istituzioni attuali esse possono sperare assai più che dai sogni dell’avvenire.
Erano concetti e accenni nuovi, detti con ponderazione e con un tanto di ovvietà che rivelava la loro profonda
maturazione. La lunga battaglia contro la reazione era davvero vinta e il secolo nuovo si apriva con un auspicio di
progresso.”
Le conseguenze positive dell’esito vittorioso dello sciopero di Genova per le lotte dei
lavoratori di tutta Italia sono dettagliatamente illustrate all’inizio del X capitolo: La “Belle
Epoque” dura quindici anni, nel paragrafo intitolato: “L’ora del socialismo “ (pp. 451-452).
Scrive lo storico: “La vittoriosa conclusione dello sciopero di Genova e l’avvento al potere del governo
Zanardelli- Giolitti fu per le classi lavoratrici italiane come il segnale che esse da tempo attendevano. I sindacati e le
Camere del lavoro si moltiplicarono con una rapidità inaspettata e la curva degli scioperi, che sino allora si era
mantenuta a livelli modesti, subì una brusca impennata. Nel 1901 gli scioperi furono 801 con 189.271 partecipanti e nel
1902 essi furono 1034 con 196.699 partecipanti, cifre che non erano neppure paragonabili con quelle degli anni
precedenti che di rado superavano qualche migliaio. Dai cantieri del traforo del Sempione in costruzione all’estremo
Nord, sino alle zolfare della Sicilia nell’estremo Sud, dalle sartine di Milano ai portuali di Genova e di Napoli, ai
metallurgici di Terni, migliaia e migliaia di operai appresero in questo infuocato inizio di secolo gli elementi
fondamentali del sindacalismo moderno. Talvolta la lotta, iniziata in un luogo di lavoro coinvolgeva l’intera città:
scioperi generali sul tipo di quelli di Genova del 1900 si ebbero a Torino nel febbraio 1902, a Firenze nell’agosto dello
stesso anno e a Roma nell’aprile del 1903.
Né il mondo della campagne fu di meno. Tutt’altro: l’intera Valle padana, dalle risaie della Lomellina e del
Vercellese fino alle terre di bonifica del Ferrarese e del Polesine, si coprì di una fitta rete di leghe e di cooperative e
ogni centro, piccolo o grande, ebbe il suo sciopero agricolo, di braccianti, di compartecipanti, di mezzadri. Nelle
province della Valle padana in cui , come si è visto, l’organizzazione contadina si era sviluppata già in precedenza, il
movimento contadino assunse negli anni 1901 e 1902 l’aspetto di un vero e proprio fiume in piena, inarrestabile e
possente. Ma il fermento in atto non si limitò alle campagne dell’Italia settentrionale: in Sicilia le leghe organizzate al
tempo dei Fasci riprendevano vigore e coraggio e cospicui scioperi agricoli si ebbero nel Corleonese, nel Trapanese e ,
in un secondo tempo, nelle campagne del Siracusano. In Puglia, una delle regioni italiane in cui il movimento contadino
assumerà caratteri più spiccatamente rivoluzionari, sorgevano le prime leghe e avevano luogo i primi scioperi. Più lenti
e contrastati furono i progressi del movimento contadino nelle campagne a mezzadria dell’Italia centrale: qui si ebbero
solo agitazioni sporadiche e circoscritte. Nell’insieme del paese i lavoratori impegnati in scioperi agricoli furono
222.283 nel 1901 e 189.271 nel 1902, superando , come si vede, le già alte cifre dell’industria. L’Italia degli umili,
l’Italia dell’emigrazione e della fame faceva finalmente sentire la sua voce, gettava il suo peso nella lotta politica in
corso.
Il maggior beneficiario di questo improvviso e larghissimo risveglio della coscienza democratica delle masse fu
naturalmente il Partito socialista, il partito cioè che scriveva nella sua bandiera il principio della lotta di classe. Le
oscure fatiche degli organizzatori e dei propagandisti socialisti negli anni della reazione crispina erano largamente
compensate: gli operai e contadini che ora accorrevano a migliaia a iscriversi alle leghe e alla Camere del lavoro non
facevano distinzioni tanto sottili tra coscienza sindacale e coscienza politica, tra sindacato e partito”.
Luigi Salvatorelli nel suo libro STORIA DEL NOVECENTO, Arnoldo Mondadori
Editore, Milano, 1957, tratta l’argomento nel capitolo I , intitolato ”Alba di secolo”, nei due
paragrafi “ Fine Fine dell’anarchismo, inizio del socialriformismo “ (pp. 52-53) e “Il ministero
Zanardelli -Giolitti” “(pp.53-55). .
Scrive il noto storico nel primo paragrafo: “Nell’Europa costituzionale... se c’era un fenomeno che
facesse pensare all’uomo comune a un rivolgimento rivoluzionario, era la lotta di classe. Ma adesso anche questa
entrava in una nuova fase riformistica piuttosto che rivoluzionaria. Si effettuava un avvicinamento reciproco tra i
governi costituiti - esponenti secondo la teoria marxista degli interessi capitalisti - e i partiti proletari, che ricordava
quello del terzo quarto del secolo fra i governi di allora e i partiti liberal-democratici. In seno al regime costituzionaleparlamentare si accennava a passare dal compromesso politico a quello sociale e si preparava, secondo la frase
divenuta comune ai nostri giorni, l’inserimento delle classi lavoratrici nella vita politica della nazione. Era in via di
superamento quello stato di cose che aveva fatto pronunciare agli agitatori socialisti la sentenza (bestemmia per i patrioti
e gli uomini d’ordine): il proletario non ha patria.”
Poi nel secondo paragrafo, “Il ministero Zanardelli-Giolitti”, Salvatorelli scrive: “Il paese in
cui, a questo momento, il fenomeno è più evidente, è l’Italia. Quivi la spinta reazionaria avviata da Crispi nel secondo
21
ministero e poi ripresa dall’ultimo Di Rudinì e da Pelloux - sostenuto quest’ultimo da una maggioranza capitanata da
Sonnino, già ministro eminente con Crispi - aveva generato una controspinta liberale, che risultò efficace e durevole.
Questa opera convergente , anche se non formalmente combinata, di gruppi parlamentari di sinistra costituzionale
(capitanati da Zanardelli e Giolitti) e di estrema sinistra, fra cui primeggiava quello socialista. C’erano già gli elementi
per quell’avvicinamento sul terreno sociale di cui testé parlavamo: ma ad ogni congiuntura più favorevole occorre pur
sempre, per il pieno rendimento l’occasione e l’uomo, l’uno e l’altro si manifestarono alla svolta del secolo.
Nel dicembre 1900 si ebbe tra i lavoratori del porto di Genova uno sciopero, e in occasione di questo lo
scioglimento da parte del prefetto di Genova della Camera del Lavoro locale. Le circostanze dello scioglimento e le
motivazioni del decreto prefettizio erano tali da sollevare, al di là dell’episodio singolo, la questione della libertà di
organizzazione operaia. La classe operaia genovese rispose con lo sciopero generale. Dinanzi ad esso, il ministro
Saracco capitolò revocando il decreto di scioglimento della Camera del lavoro.
Questi provvedimenti contraddittori fornirono lo spunto alla battaglia parlamentare che decise le sorti del
ministero Saracco. Questo ministero era stato un compromesso voluto dal re che la ex maggioranza pellouxiana
(precedentemente crispina), capitanata da Sonnino, aveva accettato in forza della sua sconfitta morale, senza tuttavia
rinunciare al sogno di un governo autoritario. Le opposizioni democratico-costituzionali e di Estrema sinistra avevano
considerato a loro volta il ministero come il liquidatore della politica pellouxiana e della situazione di lotta civile da
essa derivata; ma non potevano riconoscersi in esso.
Nella grande discussione alla Camera, iniziata il 2 febbraio 1901, le posizioni opposte di politica
costituzionale, rappresentate rispettivamente da Sonnino e Giolitti, si delinearono nettamente. Paternalismo e
democrazia erano di fronte. Il discorso di Giolitti del 4 febbraio - veramente un discorso storico - affermò
vigorosamente non solo e non tanto la liceità giuridica, quanto l’utilità nazionale delle organizzazioni operaie; e a
mostrare l’avanzata ineluttabile di queste, fece anche riferimento alla recentissima enciclica Graves de communi (26
gennaio), dando ad essa un significato più vasto e profondo che in realtà non avesse.
La maggioranza guidata da Sonnino aveva presentato un ordine del giorno Daneo che, pur rilevando la
condotta incerta e contraddittoria del ministero, non formulava un voto esplicito di sfiducia , né si pronunciava
nettamente sui criteri da seguire. Giolitti rispose alla manovra avversaria facendo presentare un emendamento Fulci
all’ordine del giorno Daneo in cui la sfiducia era espressa formalmente. Secondo le norme regolamentari,
l’emendamento ebbe la precedenza nella votazione , e risultò approvato con 318 voti contro 102. Allora la parte
sonniniana ritirò il suo ordine del giorno, dichiarandolo superato, per non essere battuta su di esso, ma la Sinistra ne
richiese il mantenimento. Sempre per non rimanere scoperti, i sonniniani votarono contro il loro ordine del giorno, che
fu respinto all’unanimità , meno il proponente. La manovra dei sonniniani per evitare una indicazione parlamentare a
loro danno era inefficace, perchè l’indicazione c’era già stata con l’approvazione dell’emendamento Fulci
rappresentante la Sinistra. L’indicazione rispondeva alle inclinazioni del nuovo re, in favore di un cambiamento di rotta,
e Vittorio Emanuele III pertanto dette l’incarico a Zanardelli.
Questi tentò una concentrazione di tutte le Sinistre costituzionali, comprendendo in esse anche il gruppo
radicale, per cui si rivolse a Sacchi e Marcora. Ma l’accordo fallì a causa della riduzione delle spese militari chiesta
dai radicali, e che Zanardelli non era in grado di concedere per il veto reale di ormai lunga tradizione. Al mancato
ingresso dei radicali - che tuttavia promisero in massima il loro appoggio - si cercò un consenso dall’altra parte, in un
gruppetto di cui il maggiore esponente fu l’industriale lombardo Prinetti, che già negli ultimi mesi della battaglia
contro Pelloux si era messo decisamente alla opposizione, e aveva stretto rapporti con Giolitti. Egli assunse il
portafoglio degli Esteri, ove non si poteva pensare a mantener Visconti Venosta, esponente spiccato dei moderati
lombardi. La personalità maggiore del ministero era Giolitti, che ebbe gli Interni, rinunziando Zanardelli contrariamente alla consuetudine italiana - a prendere un portafoglio. Uomini di sinistra erano pure il guardasigilli
Cocco Ortu, sardo, il ministro delle Finanze Wollemborg, quello dell’Istruzione Pubblica Nunzio Nasi (siciliano),
mentre al Centro destro apparteneva Di Broglio, ministro del Tesoro , e alla Destra (oltre Prinetti), Guisso, ministro dei
Lavori Pubblici
Il ministero si presentò alla Camera il 7 marzo, ponendo al primo numero del suo programma l’applicazione
dei principi di libertà. Seguivano riforme tributarie, intese a una più equa distribuzione d’imposte e progetti di legge
sociali (lavoro delle donne e dei fanciulli, Cassa nazionale di previdenza per gli operai). Il programma terminava
dichiarando supremo proposito del governo quello “di rendere ognora più sacra all’affetto del paese la monarchia
liberale fondata sui plebisciti” e invitando alla collaborazione “quanti chieggono un regime di libertà nella legge, di
progressive ed efficaci riforme, di ordinata democrazia”.
Contrariamente a quanto scrive Salvatorelli, lo scioglimento della Camera del Lavoro non
avvenne in occasione dello sciopero dei lavoratori portuali , ma prima: infatti lo sciopero dei
portuali fu proclamato dopo lo scioglimento della Camera del Lavoro e fu uno dei momenti dello
sciopero generale dei lavoratori genovesi contro l’atto arbitrario compiuto dal prefetto. Ciò
risulta dalle testimonianze di tutti i giornali dell’epoca.
22
Giorgio Galli nel suo libro MA L’IDEA NON MUORE - Storia orgogliosa del
Socialismo italiano, Marco Tropea Editore, Milano, 1996, tratta l’argomento nel capitolo “Gli
alleati di fine secolo”, dopo aver illustrato la vittoria dei socialisti alle elezioni del 3 giugno 1900 e
la successiva caduta del governo Pelloux, inserisce lo sciopero di Genova anche nel quadro del VI
Congresso nazionale socialista, svoltosi a Roma l’8-11 settembre 1900 ( pagg. 38-40).. .
Scrive Galli: “Il re Umberto prende atto della sconfitta politica di Pelloux , e il 24 giugno incarica della
formazione del nuovo governo l’ottantenne senatore piemontese Giuseppe Saracco. Può essere interessante rilevare che
, ottant’anni dopo , il segretario del Psi sarà molto polemico sulle massime cariche repubblicane affidate a
ottuagenari.11
L’incarico a Saracco è l’ultimo atto politico del sovrano. Poco più di un mese dopo., il 29 luglio 1900, cade
sotto la pistola dell’anarchico Gaetano Bresci, che era giunto dagli Stati Uniti per vendicare le vittime delle repressioni
dal 1893 al 1898. Come di consueto, l’opinione pubblica reazionaria coinvolge i socialisti nella campagna contro gli
anarchici.” A Roma gli strilloni dell’ Avanti! sono aggrediti, a Milano Turati riceve decine di lettere anonime che gli
preannunciano la morte.12
Ma l’ondata reazionaria è bloccata non tanto dai propositi concilianti del nuovo sovrano, Vittorio Emanuele III,
e dall’accentuazione della politica legalitaria del Psi al congresso di Roma, quanto dalla prova di forza degli operai di
Genova che porta alla caduta del governo Saracco.
Il VI Congresso ( 8- 11 settembre ), il primo tenuto nella capitale, è infatti caratterizzato dalla soddisfazione per
i successi parlamentari ed elettorali, dalla riproposizione di posizioni precedenti ( il programma minimo, la legislazione
operaia, sempre relatrice Anna Kuliscioff) e dalla questione delle alleanze tattiche.
E’ su questo punto che l’accentuazione della posizione legalitaria si traduce nell’ammissione dell’opportunità
di collaborazioni affidate a decisioni locali.: L’OdG Treves, Modigliani, Prampolini, che ottiene 106 voti contro 69 ( e
due astenuti), muove infatti dalla .considerazione della “ varietà delle condizioni politiche, economiche e morali in cui
versa il proletariato d’Italia “ per dichiarare “ la piena autonomia delle organizzazioni collegiali nel contrarre alleanze
coi partiti dell’estrema sinistra”.
Il congresso sancisce anche quel dualismo tra direzione politica del partito e gruppo parlamentare che
caratterizza la vita del Psi sino al primo dopoguerra. La direzione eletta dal congresso (Lucci, Barbato, Alessandri,
Soldi, Lerda) verrà infatti poi completata coi cinque rappresentanti del gruppo parlamentare (Turati, Rigola, Costa,Ferri,
Bertesi) e dal direttore dell’Avanti! Bissolati, non rieletto deputato. E’ facile rilevare come le più rilevanti personalità
dal partito provengono dal gruppo parlamentare, che darà l’impronta .più specificamente politica (il partito si
specializza come organizzazione di propaganda e di raccolta di consenso).
Comunque, in questa fase, la saldatura tra comportamenti collettivi di classe e gli intellettuali che ispirano il
partito è ancora evidente. Lo prova, appunto , lo sciopero di Genova con l’insegnamento che Turati ne trae.
La Camera del lavoro di Genova, già sciolta nel 1896, viene nuovamente colpita il 18 dicembre 1900 da un
decreto prefettizio di scioglimento, perchè “ fa opera contraria all’ordine pubblico e cerca di sovvertire istigando anche
pubblicamente a delitti contro la libertà di lavoro, all’odio fra le diverse classi sociali e alla disobbedienza alle leggi”
(venivano richiamati gli articoli del codice penale che contemplano l’istigazione a delinquere). I dirigenti della Camera
del lavoro replicavano non solo affermando la piena legalità del loro comportamento, ma sostenendo che con l’azione
svolta potevano “ provare d’essere stati elemento d’ordine e di pace” : tant’è che i membri della Camera di Commercio
e altre autorità cittadine li ringraziavano per l’ “azione pacificatrice” da essi svolta”.13
La replica operaia è molto dura. Il giorno 20 lo sciopero che parte dai portuali investe tutta la città. Si chiede
la revoca del provvedimento, e dopo trattative condotte con lo stesso presidente del Consiglio, viene raggiunto a Genova
un accordo che prevede la ricostituzione della Camera del lavoro in una nuova sede messa a disposizione dal comune.
20.000 operai avevano partecipato allo sciopero, circa 10.000 partecipano il 22 dicembre alle elezioni della nuova
commissione esecutiva che prende possesso della nuova sede. Domenica 23 dicembre gli operai genovesi celebrano
la loro vittoria al teatro Carlo Felice. Sono presenti Bissolati e Agnini, e per la nuova commissione esecutiva parla il
tipografo Lodovico Calda. Il 24 il lavoro riprende: la prova di forza si è risolta in meno di una settimana. Vi sono
analogie con quanto accadrà sessant’anni dopo, quando gli operai e i portuali liguri vinceranno la prova di forza col
11
B.Craxi ironizza alcune volte , tra il 1978 e il 1979, sul ruolo degli “ottuagenari “ come Saragat e La Malfa,
quest’ultimo incaricato per la formazione del governo nel febbraio 1979. Si noti che il primo presidente della
Repubblica di militanza socialista, Pertini, viene eletto nell’estate 1978, all’età di 82 anni. (nota di G.Galli)
12
U. Levra, Il colpo di Stato...cit. p.400. (nota di G.Galli)
13
In R. Rigola , Storia del movimento operaio...cit. p.198. (nota di G. Galli).
14
Il testo del discorso è in Critica sociale, 16 febbraio 1901. (nota di G. Galli).
23
governo Tambroni ( giugno- luglio 1960). L’episodio segna la fine del governo Saracco, che si dimette il 6 febbraio
1901. Nel dibattito parlamentare sulla vicenda, Turati aveva detto: L’on. Saracco disse in sostanza : lo scioglimento
della Camera del lavoro di Genova (...) si dovette cancellare perchè ad esso rispose la reazione degli operai, una
reazione formidabile; perchè si vide che un formidabile incendio minacciava ; tanto che gli industriali stessi , e non di
Genova solo, ne tremarono”. E il leader del partito ne trae una conclusione in forma di appello ai lavoratori : “ Siate
forti e uniti, perchè questa forza cosciente è dessa il vostro diritto (...) essa sola farà il vostro diritto riconosciuto dai
giudici, dal governo, da quello stesso parlamento che sembra svegliarsi trasognato innanzi allo spettacolo di questa forza
nuova al servizio di un interesse che pure riassume gli interessi della civiltà”. 14
Forse trasognato, ma il parlamento comunque è sveglio. Forse l’incendio non c’è, ma comunque arriva il
pompiere. E’ l’uomo che “ ha capito ” i socialisti. Giovanni Giolitti, che entra come ministro dell’Interno nel nuovo
governo Zanardelli, del quale sarà presto il successore alla presidenza del Consiglio.”
Giovanni Giolitti - MEMORIE DELLA MIA VITA , Garzanti Editore, Milano 1982.
Uno dei maggiori protagonisti di quel periodo, Giovanni Giolitti, tratta ampiamente nelle
sue “Memorie” la questione dello scioglimento dalla Camera del Lavoro di Genova e la successiva
caduta del governo Saracco , individuando in quello scorcio di secolo l’inizio “...di un nuovo periodo
storico ...dopo il fallimento della politica reazionaria.”
Nuovo periodo storico che - secondo lo statista piemontese - è caratterizzato dal “...moto
ascendente delle classi popolari...moto invincibile perchè comune a tutti i Paesi civili e perchè poggiava sui principi
dell’uguaglianza fra gli uomini”.
Giolitti , in sostanza, a differenza dei ceti borghesi reazionari, in cui - tutto sommatorientrava lo stesso Saracco, auspicava il coinvolgimento delle masse popolari nelle istituzioni per
rafforzarle. Quindi pieno riconoscimento delle loro organizzazioni, partiti, sindacati, leghe,
cooperative, ed inserimento delle classi popolari nelle istituzioni , come “... nuova forza conservatrice, ...”
per “...aumentare grandezza e prosperità alla Nazione”.
Era la svolta liberale della parte più aperta della borghesia , che intendeva chiudere con il
precedente periodo reazionario.
Vent’anni dopo, a conclusione della I Guerra mondiale, la borghesia riprenderà contro le
classi popolari la carta reazionaria, appoggiando il movimento fascista, che prenderà il potere,
instaurando per un ventennio quello che sarà definito un “ regime reazionario di massa”.
I brani che qui riportiamo sono tratti dalle MEMORIE, sopra citate e sono compresi nel
capitolo VII “Il ritorno al liberalismo” , da pag. 117 a pag. 122.
Scrive Giolitti: “ La caduta di Pelloux avvenuta , più che in seguito a un voto parlamentare, alla solenne
manifestazione che il Paese a mezzo delle elezioni, aveva fatta contro la politica reazionaria, apriva finalmente dopo i
torbidi esperimenti reazionari, la strada al ritorno delle tradizioni liberali. Se non che, dopo un così lungo conflitto di
interessi e di passioni, appariva opportuno un periodo di transizione durante il quale le passioni sbollissero e si
ritornasse gradatamente allo stato normale della politica; e la Corona non fu male consigliata a chiamare per allora al
potere, in luogo di qualcuno dei capi partito della Camera., che si erano trovati involti nella lotta, un senatore; e la
scelta cadde sul senatore Saracco , il quale fu infatti accettato da tutti i gruppi del partito liberale nella persuasione
che con lui si sarebbe rientrati nell’orbita costituzionale...” (p.117)
Il testo quindi prosegue a pag. 118, parlando della composizione del governo Saracco e
dell’uccisione di Umberto I : ” Il Saracco aveva preso Visconti Venosta come ministro degli Esteri, Gianturco
alla Giustizia, Carcano all’Agricoltura; Rubini al Tesoro; Branca ai Lavori Pubblici e Gallo all’Istruzione: in
complesso il nuovo ministero era liberale con qualche elemento temperato di destra, quale il Chimirri, e durò dal 24
giugno del 1900 al 15 febbraio dell’anno dopo. La sua breve vita fu funestata da un orribile delitto; l’assassinio di re
Umberto consumato a Monza nel luglio del 1900. Io ne ebbi la notizia a Valdieri, dove mi trovavo ai bagni; e dove era
pure in quei giorni l’Alfazio, prefetto di Milano. Il doloroso evento non ebbe alcuna influenza a modificare la politica
liberale del ministero, non ispirò nessuna idea o proposito di reazione; anzi da molti era riconosciuto come un effetto
su un cervello squilibrato della politica reazionaria seguita negli anni antecedenti. Il regicidio colpì in re Umberto, un
sovrano che aveva avuto vivo ed alto il sentimento del proprio dovere e che si era dedicato con spirito equanime alle
cose dello Stato , ed era un uomo che era stato un costante esempio di bontà e di cortesia.”
Seguono brani con riferimento a cordiali incontri fra Giolitti ed il re “buono”. Poi il testo
così prosegue da pag. 119 sino a pag. 122: “ Il ministro Saracco poco fece, del resto, in qualunque campo,
24
causa anche la sua breve durata; e cadde per avere prima sciolto la Camera del lavoro di Genova, col quale
provvedimento si attirò l’opposizione della parte liberale e della estrema ; poi, per avere permesso, allarmato da questa
opposizione, che fosse ricostituita , il che gli tirò addosso i conservatori. Nella mia opinione, come io pensavo che
l’esperimento liberale dovesse compiersi sino in fondo, e senza tentennamenti e riserve, la cosa era assai grave, e
toccava come osservai in un discorso che pronunciai durante la grande discussione che seguì quell’avvenimento, le più
alte questioni di diritto e di politica interna, soprattutto nel rispetto dei rapporti fra le classi lavoratrici ed il governo
nei conflitti fra capitale e lavoro, ed a mio parere la pace sociale dipendeva in massima parte dalla retta soluzione di
tali quesiti. Quantunque infatti i metodi della violenza reazionaria fossero stati condannati dai fatti ed ormai in gran
parte abbandonati, persisteva ancora nel governo, ed in molti dei suoi rappresentanti nelle province., la tendenza a
considerare come pericolose tutte le associazioni dei lavoratori; tendenza che era l’effetto di una scarsa conoscenza
delle nuove correnti economiche e politiche che da tempo si erano formate nel nostro come in tutti i Paesi civili, e che
rivelava come non si fosse ancora compreso che la organizzazione degli operai camminava di pari passo col
progresso generale della civiltà. Osteggiare questo movimento non avrebbe potuto avere altro effetto che di rendere
nemiche dello Stato le classi lavoratrici , che si vedevano costantemente guardate con occhio diffidente anziché
benevolo da parte del governo, il cui compito invece avrebbe dovuto essere di tutela imparziale di tutte le classi di
cittadini. Un governo che non interveniva mai, e non doveva di fatto intervenire, come qualche volta faceva, quando la
misura del salario, per la legge economica della domanda e dell’offerta, avesse pure raggiunto una cifra che ai
proprietari paresse eccessiva. Questa non era funzione legittima del governo.
La ragione principale per cui si osteggiavano le Camere del lavoro era appunto questa: che l’opera loro
tendeva a far aumentare i salari. Ma se tenere i salari bassi poteva essere un interesse degli industriali nessun interesse
poteva avervi lo Stato. Ciò a prescindere dal fatto che è un errore ed un pregiudizio credere che il basso salario giovi ai
progressi dell’industria; salari bassi significano cattiva nutrizione e l’operaio mal nutrito è debole fisicamente ed
intellettualmente, ed i Paesi ad alti salari sono alla testa del progresso industriale . Si lodava allora come fosse una
virtù la frugalità dei nostri contadini: anche quella lode è un pregiudizio: chi non consuma non produce. Ad ogni modo
però, a mio avviso, quando il governo interveniva per tenere bassi i salari, commetteva una ingiustizia , e più ancora un
errore economico ed un errore politico. Una ingiustizia, perchè turbava il funzionamento della legge economica della
domanda e dell’offerta, la quale è la sola legittima regolatrice della misura dei salari come del prezzo di qualsiasi altra
merce.- Ed infine un errore politico, perchè rendeva nemiche dello Stato quelle classi che costituiscono la grande
maggioranza del Paese. Il solo ufficio equo ed utile dello Stato in queste lotte fra capitale e lavoro è di esercitare
un’azione pacificatrice, e talora anche conciliatrice, ed in caso di sciopero esso ha il dovere di intervenire in un solo
caso: a tutela cioè della libertà di lavoro, non .meno sacra della libertà di sciopero, quando gli scioperanti volessero
impedire ad altri operai di lavorare.
Ora a me pareva che a questi concetti liberali la condotta del governo venisse meno osteggiando l’azione delle
Camere del lavoro. Le Camere del lavoro non avevano per se stesse nulla di illegittimo; esse erano la rappresentanza
degli interessi delle classi operaie, con la legittima funzione di cercare il miglioramento di quelle classi, sia nella
limitazione ragionevole delle ore di lavoro, sia nell’aumento dei salari, sia nell’insegnamento che giovasse ad
accrescere sempre più il valore della loro opera; ed io consideravo che se bene adoperate dal governo, esse avrebbero
potuto essere intermediarie utilissime fra capitale e lavoro. E come c’erano la Camere di Commercio regolate per legge,
io non vedevo alcuna ragione perchè lo Stato non potesse , anzi non dovesse, disciplinare legislativamente le
Camere del lavoro, mettendo così allo stesso livello, di fronte alla legge, tanto il capitalista quanto il lavoratore, ognuna
delle due parti con la legittima rappresentanza riconosciuta dallo Stato. Si era per molto tempo cercato di impedire
le organizzazioni dei lavoratori, temendone l’azione e l’influenza. Per conto mio credevo assai meno temibili le forze
organizzate che non quelle inorganiche, perchè sulle prime l’azione del governo si può esercitare efficacemente ed
utilmente, mentre contro i moti disorganici non vi può essere che l’uso della forza. Ma ormai, a chi conosceva le
condizioni del nostro Paese, come pure le tendenze generali del mondo civile, era evidente che ostacolare
l’organizzazione dei lavoratori era un compito inane. L’unico effetto di una resistenza inconsulta da parte dello Stato
sarebbe stato quello di dare sempre più un fine politico a quelle organizzazioni le quali non dovrebbero avere che il fine
economico nell’interesse delle classi lavoratrici. Per il caso speciale di Genova i conservatori portavano appunto
avanti, come uno scandalo, il fatto che esso avesse assunto anche carattere politico. E questo era una ingenuità, perchè
chi conosceva il movimento operaio, quale si era venuto svolgendo in quegli anni specialmente nell’Alta Italia, sapeva
perfettamente che gli operai avevano compreso il nesso intimo, indissolubile, che esiste fra le questioni economiche e
le questioni politiche, ed a farlo loro comprendere, più che la propaganda dei loro organizzatori, aveva giovato l’azione
dei governi reazionari, dimostratasi costantemente alleata agli interessi delle classi capitaliste contro quelli delle classi
popolari, sia nelle lotte fra capitale e lavoro, sia nella legislazione tributaria.
Io consideravo insomma che, dopo il fallimento della politica reazionaria , noi ci trovavamo all’inizio di un
nuovo periodo storico , e che ognuno che non fosse cieco doveva ormai vederlo. Nuove correnti popolari entravano
ormai nella nostra vita politica, nuovi problemi si affacciavano alla vita politica, nuovi problemi si affacciavano ogni
giorno, nuove forze sorgevano con le quali il governo doveva fare i conti. Il moto ascendente delle classi popolari si
25
accelerava sempre più, ed era un moto invincibile, perchè comune a tutti i Paesi civili, e perchè poggiava sui principi
dell’uguaglianza fra gli uomini. Nessuno poteva illudersi di potere impedire che le classi popolari conquistassero la
loro parte di influenza , sia economica che politica: ed il dovere degli amici delle istituzioni era di persuadere quelle
classi, e persuaderle non con le chiacchiere, ma coi fatti, che dalle istituzioni attuali esse potevano sperare assai più che
dai sogni avvenire, e che ogni loro legittimo interesse avrebbe trovato tutela efficace negli attuali ordinamenti politici e
sociali. Solo con un tale atteggiamento e una tale condotta da parte dei partiti costituzionali verso le masse popolari, si
sarebbe ottenuto che l’avvento di queste classi, invece di essere come un turbine distruttore, riuscisse a introdurre nelle
istituzioni una nuova forza conservatrice, e ad aumentare grandezza e prosperità alla Nazione.
Il ministero Saracco aveva avuto il merito di chiudere la fase della reazione, di uscire dalla strada perigliosa
in cui da alcuni anni i governi precedenti si erano smarriti. Ma esso pareva ormai giunto ad un punto morto, ed episodi
come quello dello scioglimento della Camera del lavoro di Genova, mostravano che lo spirito reazionario non era del
tutto vinto, e che non era del tutto passato il pericolo che su quella strada noi fossimo ancora respinti; mentre a mio
avviso, era ormai giunto il momento di avviarsi risolutamente sulla strada opposta. E la commozione che quei fatti
produssero alla Camera, come pure lo svolgimento della susseguente discussione ed il suo esito, confermarono
pienamente la giustezza dei miei giudizi, e mostrarono che i concetti da me proclamati entravano ormai nella coscienza
generale”.
Il volume IL NORD NELLA STORIA D’ITALIA - Antologia politica dell’Italia
industriale - a cura di Luciano Cafagna, Editori Laterza, Bari 1962, tratta l’argomento nel capitolo
“ Lo sciopero di Genova e il nuovo indirizzo della politica liberale “, alle pagine 365- 381. Dopo
una breve premessa del curatore, viene riportato integralmente il discorso pronunciato da Giolitti
alla Camera dei deputati nella tornata del 4 febbraio 1901.
LO SCIOPERO GENERALE DI GENOVA VISTO DAI GIORNALI CITTADINI
DELL’EPOCA
I giornali cittadini di quel periodo “Caffaro” , “Corriere Mercantile”, “Il Secolo XIX” ed
il settimanale socialista “Era Nuova” parlarono sia del primo scioglimento della Camera del
Lavoro, sia del processo ai sindacalisti, sia del secondo scioglimento e relativo sciopero generale.
Da notare che i giornali di allora avevano un formato modesto: soltanto quattro pagine con
impaginazione su cinque o su sei colonne, i titoli delle notizie, tranne casi eccezionali, erano quasi
sempre su una colonna: Non vi erano fotografie, ma solo disegni e vignette e qualche piccolo
comunicato commerciale a scopo pubblicitario.
A) IL PRIMO SCIOGLIMENTO E I PROCESSI AI SINDACALISTI
Il “Corriere Mercantile” del 15 dicembre 1896 riporta in prima pagina un’interrogazione
dei deputati Badaloni, Costa, Fasce e Cavagnari al presidente del Consiglio Di Rudinì sullo
scioglimento della Camera del Lavoro di Genova. (vedi: allegato 1)
Il settimanale “Era Nuova” del 20 dicembre 1896 titola su tutta la prima pagina, a quattro
colonne:
Lo Scioglimento delle Camere del Lavoro e dei Circoli Socialisti della Provincia di Genova
Il “Supplemento al Caffaro” del 17 gennaio 1897 riporta la notizia del processo ai
sindacalisti nella rubrica “Corriere Giudiziario”, su una colonna, col titolo: Socialisti in Pretura Per aver protestato contro lo scioglimento dei circoli. (vedi all.2)
“Era Nuova” dell’8 maggio 1897 riporta in prima pagina con titolo su due colonne la
notizia del processo con il titolo in grassetto: Il processone di Genova.
“Era Nuova” del 15 luglio 1897 riporta su due colonne a pag. 1, e prosecuzione del servizio
alla pagina seguente, l’intero resoconto del processo con il titolo in grassetto: Il processo dei
26
socialisti. Il servizio giornalistico si conclude con la sentenza “... colla quale il Lerda è condannato a tre
mesi e quindici giorni di reclusione e 60 lire di multa - il Chiesa e il Vacca a tre mesi di reclusione e 50 lire di multa”,
mentre tutti gli altri imputati vennero assolti “...per non provata reità”.
Il “Corriere Mercantile” dello stesso giorno, riporta nella rubrica “I TRIBUNALI” il
processo ai sindacalisti, con un titolo analogo a quello di “Era Nuova”: “Il processo ai socialisti”.
Il “Corriere Mercantile” del 20 luglio 1897 dà la notizia che i sindacalisti hanno fatto
ricorso in appello, nella rubrica “I TRIBUNALI” con il titolo: I socialisti in appello. (vedi all.3)
B) LA RICOSTITUZIONE DELLA CAMERA DEL LAVORO
“Il Secolo XIX” del 21-22 luglio 1900 riporta a pag.3 la notizia della ricostituzione della
Camera del Lavoro, con il titolo in grassetto su una colonna: Fondazione della Camera del lavoro.
(vedi all.4)
“Il Secolo XIX” del 24-25 luglio 1900 a pag. 3 nella rubrica “CRONACHETTA” riporta la
riunione della C.E. della Camera del Lavoro, che elesse la nuova segreteria, mentre in prima pagina
presenta un servizio dal titolo Giornate parigine, in cui si parla di alcuni personaggi, rappresentati
con appositi disegnini. (vedi: all.5)
“Era Nuova” del 29 luglio 1900 riporta il testo del manifesto della commissione esecutiva
della Camera del Lavoro a cui l’autorità di polizia aveva negato l’affissione. (vedi: all.6).
“Il Secolo XIX” dell’11-12 ottobre 1900 dà notizia a pag. 3 nella rubrica
“CRONACHETTA” che la Camera del Lavoro ha preso possesso dei propri locali. (vedi: all. 7)
“Il Secolo XIX” del 28-29 novembre 1900 pubblica un editoriale dal titolo “Il pericolo del
porto di Genova” , firmato dal direttore del quotidiano L.A. Vassallo, il cui testo è riportato alle
pagine 8 e 9 di questa pubblicazione.
“Era Nuova” del 2 dicembre 1900 prende posizione contro l’editoriale di Vassallo con un
altro dal titolo “Chi ha orecchio intenda” sulla prima colonna del settimanale, il cui testo è
riportato a pag. 9 di questa pubblicazione.
C) IL SECONDO SCIOGLIMENTO E LO SCIOPERO GENERALE DEL DICEMBRE 1900
Il “Caffaro” del 20-21 dicembre 1900 riferisce l’atto del prefetto di Genova nella rubrica
“Cronaca Genovese” sulla sesta colonna, a fondo pagina, col seguente titolo (vedi all.8):
Lo scioglimento della Camera del Lavoro di Genova e di altri
Circoli politici a Sampierdarena e a Sestri Ponente.
A sua volta “Il Supplemento del Caffaro” del 20 dicembre 1900 scrive sulla prima colonna
della “Cronaca Genovese”:
Astensione generale dal lavoro in Porto
Ciò che si temeva dallo scioglimento della Camera del Lavoro accadde. Stamane gli operai di qualunque
categoria appartenenti alle squadre per il carico e scarico delle merci in Porto, si astennero dal lavoro su tutte le calate.
Fino all’ora in cui scriviamo non si ha da lamentare il minimo accenno a disordini.
Si stanno riunendo i negozianti colle autorità portuarie e coi rappresentanti degli operai per trattare gli accordi
atti a far riprendere il lavoro.
Il “Corriere Mercantile” del 20 dicembre 1900 nella rubrica “CRONACA CITTADINA”
dedica due colonne allo scioglimento e alla proclamazione dello sciopero con questo titolo:
Scioglimento della Camera del Lavoro
27
Si riporta il testo integrale del decreto prefettizio, si parla delle prime azioni di sciopero e si
commenta criticamente l’azione dei lavoratori, senza fare altrettanto nei riguardi dell’atto arbitrario
compiuto dal prefetto:
“ Lo sciopero scoppiato improvvisamente, sarà una grave iattura per il nostro porto. I negozianti per esimersi
dai danni delle controstallie, potranno addurre la forza maggiore, ma chi rimborserà le perdite volontarie che gli operai
scioperanti infliggono a loro medesimi?...
Non basta dire: - Pensi il Governo e provveda!
A mantenere alto il buon nome del nostro porto e a impedire che da esso fuorvi , anche per un solo istante , la
corrente naturale dei traffici, dobbiamo pensare e provvedere tutti quanti, operai compresi.
In ogni caso, a quella che è creduta violenza, mai si risponde con una violenza maggiore; e lo sciopero, ove
continuasse, finirebbe appunto per suonare giustificazione del provvedimento che con esso si mira a combattere. Cioè,
il gran pubblico direbbe:
Il danno è grave, ma sarebbe stato irreparabile se l’autorità non avesse preveduto e provveduto in tempo .“
“Il Secolo XIX” del 20-21 dicembre 1900 riporta la notizia nella rubrica “CRONACA” ,
sulla sesta colonna , a fondo pagina , col seguente titolo:
Scioglimento della Camera del Lavoro. A Genova.
Si riporta integralmente il testo del decreto prefettizio, si descrivono le modalità
dell’operazione poliziesca nella sede sindacale, poi si descrive l’analoga operazione compiuta a
Sampierdarena ed infine a Sestri Ponente, dove- riferisce il giornale- “...il delegato Gambescia procedette
allo scioglimento di quella Camera di Lavoro alla quale appartenevano numerosissimi operai”.
Il “Caffaro” del 21-22 dicembre 1900 dedica alla questione sulla prima pagina, seconda
colonna, un editoriale non firmato, dal titolo:
Lo scioglimento della Camera di Lavoro e lo sciopero in Porto.
Poi, nella rubrica “Cronaca Genovese” un resoconto degli avvenimenti sulla prima colonna e titolo
in grassetto: Lo sciopero in Porto. (vedi all.9). In esso -tra l’altro- si riporta un telegramma di
protesta dell’on. Chiesa al presidente del Consiglio Saracco, si parla di “voci contraddittorie di altri
scioperi” e si informa che i rappresentanti dalla Camera del Lavoro sono stati ricevuti a Roma dal
presidente del Consiglio. Nella stessa pagina la “nota satirica del giorno” è dedicata allo sciopero.
“Il Secolo XIX” del 21-22 dicembre 1900 dedica tre colonne della cronaca cittadina agli
avvenimenti col seguente titolo su due colonne:
Lo sciopero generale dei lavoratori-L’invio di una Commissione a Roma
Nessun disordine
Il “Corriere Mercantile” del 21 dicembre 1900 dà un maggior spazio agli avvenimenti, con
titolo su due colonne della prima pagina e prosecuzione su altre due colonne nella seconda. Il titolo
è il seguente:
Lo sciopero a Genova, Sampierdarena e Sestri.
Un manifesto degli scioperanti e uno della Camera di Commercio.
Come il Prefetto giustifica lo scioglimento della Camera del Lavoro
“Il Secolo XIX” del 21-22 dicembre 1900 in prima pagina, quinta colonna, nella rubrica
“Telegrammi particolari del Secolo XIX” riporta, sotto il titolo
I rappresentanti degli operai liguri
la seguente notizia: “Sono giunti a Roma due rappresentanti della disciolta Camera del lavoro, della vostra città, per
patrocinare, presso il ministero dell’Interno, la causa dei lavoratori liguri. Essi domanderanno, possibilmente stasera, un
colloquio all’on. Saracco, cui saranno presentati dal deputato Mazza.” Nell’interno, la pag. 3 della “Cronaca
cittadina” è dedicata per metà allo sciopero, con il seguente titolo:
Lo sciopero generale dei lavoratori
L’invio di una Commissione a Roma - Nessun disordine.
28
Il “Corriere Mercantile” del 22 dicembre 1900 dedica alla lotta dei lavoratori genovesi tre
su sei colonne della prima pagina: un editoriale, intitolato: LO SCIOPERO e due colonne alla cronaca
degli avvenimenti col seguente titolo:
LO SCIOPERO CONTINUA E SI ESTENDE.
La riunione di stamane e l’intervento di Bissolati.
Gli operai vogliono rieleggere i membri della Camera del lavoro
La cronaca degli avvenimenti prosegue su due delle sei colonne della pag. 2, dove si dà notizia
della votazione in corso nell’ex Oratorio di San Filippo in via Lomellini e si pubblica la lista dei 18
candidati a formare la nuova Commissione esecutiva della Camera del Lavoro. Il servizio del
giornale è abbastanza ampio ed in riferimento alla votazione scrive: “...Mentre andiamo in macchina la
votazione continua regolarmente. Gli operai sono chiamati alla votazione dai segretari delle varie urne. La
circolazione è regolata dalle guardie e dai pompieri.”
Il servizio infine si conclude con una notizia telegrafica da Roma, intitolata: Dichiarazioni di Saracco ai
signori Buratti e Leoni - Stamane il Presidente del Consiglio, on. Saracco, ricevette i signori Buratti e Leoni, membri del
Consiglio della disciolta Camera del Lavoro di Genova, presentatigli dal deputato Mazza. L’on. Saracco li ricevette
affabilmente ed udì la dettagliata esposizione della questione; dopo di che ripetè le dichiarazioni fatte ieri a Canzio;
cioè -- non poter ritirare il decreto di scioglimento del quale si mantiene il disposto; essere però pronto a permettere la
ricostituzione della Camera sotto l’antica denominazione. Acconsentirà a far restituire le carte e i documenti non
incriminabili. L’on. Mazza fece rilevare all’on. Saracco che iersera il Consiglio comunale di Roma stabilì il sussidio di
6000 lire alla Camera del lavoro di quella città, malgrado che la Prefettura lo avesse cancellato. I signori Buratti e
Leoni presero atto delle dichiarazioni dell’on. Saracco, riservandosi di telegrafare a Genova i risultati del colloquio
avuto.
Il “Caffaro” del 22-23 dicembre 1900 dedica l’editoriale di prima pagina allo sciopero:
l’articolo, non firmato, su una colonna, s’intitola: Continuando lo sciopero.
La rubrica “Cronaca Genovese” dedica tre colonne su sei allo sciopero, con il titolo in grassetto su
una colonna: Lo sciopero generale dei lavoratori.
“Il Supplemento al Caffaro” del 22 dicembre nella rubrica “Cronaca Genovese”, sotto il
titolo “Lo sciopero”, inserisce anche l’arrivo della corazzata “Saint-Bon”, poi notizie sullo
sciopero a Sestri Ponente e quindi la riunione dei lavoratori con l’on. Bissolati. Questi -riferisce il
giornale- “...rivolse alcune parole di plauso agli scioperanti che hanno suscitato l’ammirazione di tutti gli operai
d’Italia e gli incitò a perseverare nella presa deliberazione”
L’arrivo della corazzata è così riferito: L’arrivo della “Saint-Bon” - Stamane è giunta come era stato
annunciato dai nostri dispacci da Spezia, la corazzata Saint-Bon, che si è ormeggiata al Molo Lucedio.
Secolo XIX” del 22-23 dicembre 1900 dedica tre delle sei colonne della “Cronaca
cittadina” allo sciopero , con il seguente titolo su due colonne:
La giornata degli operai scioperanti
I negoziati col Prefetto - Le assemblee
Su questo giornale, a differenza del “Caffaro”, la notizia dell’arrivo della corazzata “SaintBon” è chiaramente collegata con lo sciopero (vedi: all. 10). Dice il giornale: La partenza di una
“Il
corazzata per Genova- Enotrio ci telegrafa da Spezia, 21, ore 21: E’ partita improvvisamente per Genova la nave
Saint Bon , sulla quale presero imbarco vari telegrafisti della regia marina. E si riporta anche un’altra notizia
relativa alle preoccupazioni delle autorità: Rinforzo di carabinieri. Ci telegrafano da Bologna: Lo sciopero
di Genova ha impressionato molto. Sono partiti alla volta di Genova quaranta carabinieri della nostra legione.”
Il “Corriere Mercantile” del 23 dicembre 1900 pubblica un editoriale non firmato, dal titolo “LA
DIFESA DEL PORTO”, in cui , senza tenere in alcun conto il diritto dei lavoratori, gravemente
leso dal provvedimento prefettizio, si preoccupa solo del danno economico derivato dallo sciopero
con la perdita di un milione al giorno e si chiede se è possibile che lo Stato possa “..permettere che un
porto, dove il lavoro assiduo e fecondo produce il benessere di una buona parte della nazione, corra pericolo di
29
avere, da un momento all’altro, paralizzata la vita economica con danno enorme suo e dell’Italia!... Questo il
problema -secondo il giornale- che così conclude: “E noi crediamo che uno Stato, il quale sia armato in difesa
della legge e del diritto, abbia l’imprescindibile dovere di assicurare, in ogni tempo e in ogni modo, le sorti del porto di
Genova.- Volete dunque la violenza dei funzionari governativi? - ci si chiederà. Ecco, noi non vogliamo nè la
prepotenza, nè l’impotenza. La prima inasprisce gli avanzati; la seconda disanima i moderati. Noi vogliamo che la legge
provveda nel supremo interesse della collettività sociale”.“Il Secolo XIX” del 22-23 dicembre 1900 pubblica in prima pagina, un editoriale intitolato
“IL MOMENTO”, siglato V. (che sta per Vassallo, il direttore del giornale) nel quale l’articolista si
difende dall’accusa, apparsa su alcuni giornali nazionali circa l’esistenza a Genova di una cricca
imperante accomunata alla camorra napoletana e alla mafia palermitana. Dopo aver detto
ironicamente che detta cricca non può certo trovarsi fra i senatori, fra i deputati, fra gli industriali,
fra i commercianti o addirittura nel Consiglio comunale, si chiede retoricamente: “Dov’è dunque, da chi
sarebbe rappresentata questa cricca ipotetica e assorbente, che dovrebbe, con la complicità supina del governo
centrale, spadroneggiare la cosa pubblica ? A noi, come a tutti, non appare altro che un prefetto regolarmente alle
prese, ora, come prima e come probabilmente poi, coi nuclei socialisti. Tutta la cricca è qui e non c’è altro, e
sfidiamo chiunque a provare che altro ci sia”.
Sempre in prima pagina, quarta colonna, vi è il seguente trafiletto: “I SOCIALISTI e lo
sciopero di Genova - Roma, 21 (ore 21) - E. Rossi - Il giornale socialista Avanti! registrato il colloquio dei
rappresentanti della Camera di lavoro di Genova coll’onorevole Mazza, deputato di Roma, il quale a sua volta ha
conferito col pesidente del consiglio, dice di non fare commenti e aggiunge: - Intanto sappiamo che la direzione del
partito socialista, radunatasi d’urgenza, sta prendendo gli opportuni provvedimenti per sostenere i dimostranti -”
Sempre nello stesso numero , a pag. 3 sono dedicate allo sciopero tre colonne su sei della rubrica
“CRONACA CITTADINA”, con titolo su due colonne:
La giornata degli operai scioperanti - I negoziati col prefetto - Le assemblee.
Il “Caffaro” del 23-24 dicembre 1900 dedica metà della quarta colonna della prima pagina
allo sciopero ed alle trattative a Roma con Saracco; il titolo del servizio è: “Lo sciopero e il
Governo”, (vedi: all. 11) sormontato da una vignetta (“La nota satirica del giorno”) relativa
all’argomento: il disegno raffigura due operai in conversazione e la didascalia dice:
Fra scioperanti:
-Vorrei comperare un cappone pel Natale, ma non mi restano più quattrini...
- Come! Non ti bastano ... i discorsi dell’on. Bissolati!...
- ??...
- Fa conto che sia la stessa roba...Pare grassa, ma è piena di vento.
Nella rubrica “ Cronaca Genovese” circa due colonne sono dedicate allo sciopero, con il titolo in
grassetto: Lo sciopero generale dei lavoratori. Si parla, in particolare, della votazione in via
Lomellini, pubblicando integralmente la lista del diciotto candidati a far parte del nuovo Comitato
esecutivo della Camera del Lavoro. Poi , “in cauda venenum”: si conclude l’articolo con un brano
che sottolinea le gravi conseguenze dello sciopero per gli operai. Questo il brano: “Le conseguenze
dello sciopero. Chiusura di Stabilimenti. Siamo informati che le direzioni degli Stabilimenti Industriali della nostra
città più gravemente danneggiati dallo sciopero hanno deciso di tener chiusi gli opifici per altrettanti giorni quanto è
durato lo sciopero stesso. Così il danno che gli operai hanno arrecato alla città e a se stessi sarà doppio”.
Con un trafiletto di venti righe si annuncia che in via Lomellini si è conclusa la votazione per
l’elezione dei nuovi membri della Commissione esecutiva della Camera del Lavoro: sono
pubblicati tutti i nomi con i relativi voti ottenuti e si dice che, finita la comunicazione dei voti,
“...l’on. Chiesa annuncia che stamane saranno di ritorno da Roma i segretari Buratti e Leoni , e che alle ore 10 nello
stesso locale ci sarà la proclamazione degli eletti e si prenderanno le opportune deliberazioni per la ripresa del lavoro.
Alla una e trentacinque la seduta è sciolta. Il titolo del trafiletto è :
LA QUISTIONE OPERAIA RISOLTA
L’esito della votazione
Il nuovo Comitato
30
Seguono altre notizie del giorno, come “La Regina Margherita di passaggio” e “La
commemorazione di Umberto I nella Scuola Normale Lambruschini”. Poi, nella rubrica
“Ultimissimi dispacci della nottel”, si informa che è stata sospesa la partenza per Genova di alcuni
deputati socialisti e si riporta un commento sulla situazione del giornale Patria. Scrive l’articolista:
“La Patria, commentando lo scioglimento della Camera del Lavoro si chiede: Se la ricostituzione della Camera del
Lavoro era illegale, perchè le autorità tardarono tanto a colpirla? E se invece, non l’illegalità della sua costituzione
ma altri motivi determinarono lo scioglimento, perchè non si rendono pubblici e si denunziano i caporioni al
magistrato? E aggiunge: - Da noi, se si agisce, non è mai il momento opportuno e si colpisce sempre troppo tardi o
troppo presto; così le masse finiscono col convincersi che il Governo ha torto o paura. -”.
“Il Secolo XIX” del 23-24 dicembre 1900 riporta in prima pagina, su una colonna, che i delegati
della Camera del Lavoro di Genova sono stati ricevuti da Saracco, il quale nello stesso giorno invia
a Genova un suo rappresentante di fiducia, il conte Gioia. Sempre nella stessa pagina , un trafiletto
dà notizia di un’interrogazione al ministro dell’Interno da parte dell’on. Bissolati sullo scioglimento
della Camera del Lavoro di Genova. Ed a pag, 3, nella rubrica “CRONACA CITTADINA”, tre
colonne sono dedicate alla conclusione dello sciopero; il titolo su due colonne è:
LA RISOLUZIONE DELLO SCIOPERO
L’elezione del Comitato esecutivo
L’on. Bissolati
Nello stesso servizio si dà notizia sia dell’arrivo di nuovi rinforzi a Genova di guardie e carabinieri,
sia di un telegramma del ministro dell’Interno Saracco, rivolto al prefetto di Genova, col quale gli
si chiede di “... adoperarsi per comporre in ogni modo lo sciopero al più presto possibile. Perciò il Governo
concedeva al Prefetto facoltà ampia purchè stasera stessa si riprendesse il lavoro”.
E sempre a pag. 3 vi è un trafiletto dal titolo “Lo sciopero di Genova e la stampa romana.”. E’
interessante la lettura di questo brano, in quanto sono espressi due opposte valutazioni sullo
sciopero: uno, quello del giornale Patria dal taglio decisamente reazionario e l’altro, quello del
Giorno, che elogia la lotta dei lavoratori. Ecco il testo: “Il nostro E.Rossi ci telegrafa da Roma 22: ore 23. La
Patria commentando i fatti di Genova dice: - Bisognerebbe conoscere ben addentro il retroscena per poter dare un
giudizio sereno sul provvedimento cui ricorse il prefetto Garroni, a cagione del quale enormi danni si accumulano ogni
giorno. Tuttavia, come ben disse Saracco, il fatto stesso dello sciopero permette di argomentare che l’autorità prefettizia
doveva avere le sue buone ragioni - e cioè per parlar chiaro- che la Camera del lavoro alle attribuzioni proprie della sua
natura, altre ne aveva aggiunte, così da dovere essere considerata come centro di azione e di propaganda politica. E
l’ipotesi diventa sempre più attendibile, ove si consideri che il primo scioglimento non fu seguito che da platoniche
proteste, pur essendo stata allora legale la costituzione della Camera, , mentre questo secondo scioglimento che colpisce
la Camera la quale si dichiara arbitrariamente e illegalmente costituita, diede luogo a una immediata azione
indubbiamente preparata da lunga mano. - Il Giorno scrive: I lavoratori liguri sono uniti, tenaci, tranquilli, usano dei
loro diritti, si valgono dell’arma dello sciopero con la serenità che hanno i forti, insieme col vigore di chi ha l’anima
scaldata dal fuoco dell’ideale. Il governo ha sciolto le loro associazioni contro la legge e contro il buon diritto. Essi
senza uscire dalla legge oppongono violenti, una resistenza gagliarda che non si doma.”
Il “Caffaro” del 24-25 dicembre 1900 dedica alla conclusione dello sciopero l’editoriale, la nota
satirica del giorno (vedi: all. 12) e due colonne della: “Cronaca Cittadina” col titolo:
La fine dello sciopero.
La cronaca è divisa in due parti: “La radunanza all’ex oratorio di S.Filippo per la proclamazione
degli eletti della nuova Camera del Lavoro” e “L’imponente comizio al Carlo Felice .” In questi due
“pezzi” sono riportati in maniera sintetica gli avvenimenti e poi l’ordine del giorno dell’avv.
Pellegrini con cui si dichiara ricostituita la Camera del Lavoro, una notizia sull’Ansaldo, su un
comizio di Bissolati a Sestri, una notizia infondata su voci di dimissioni del prefetto ed infine
un’interpellanza degli onorevoli Fasce ed Imperiale sullo sciopero (vedi: all. 13 e 14).
L’editoriale di questo giornale, intitolato “Dopo lo sciopero” ha un taglio paternalistico nei
confronti degli operai. Inizia dicendo che i lavoratori genovesi “...dopo due giorni di sciopero, veggono
31
Poi
completamente tolta di mezzo la causa della loro agitazione, veggono soddisfatte le loro aspirazioni”.
l’articolista si rivolge agli operai genovesi con i quali ritiene di “...dividere in piena coscienza e in piena
forza le lotte aspre del lavoro e dell’esistenza” affermando che essi dovrebbero con lui convenire “...che mai
atto di reazione, per quanto legittimo, fu più violento, più inopportuno, più sconsiderato di questo che si risolse nello
sciopero generale”. Perchè inopportuno e sconsiderato? Perchè, secondo l’estensore dell’articolo
”...sciopero dovuto esclusivamente a motivi politici; essenzialmente dovuto a ragioni di partito”.
E l’articolista così conclude: “...Gli operai che hanno or ora ripreso il lavoro sanno benissimo che le conquiste
della violenza - sia morale o materiali, non monta - sono amare e durano poco. Comunque, oggi che veggono ricostituita
la Camera del Lavoro, che hanno legalizzata innanzi alla cittadinanza ed alle autorità la commissione che deve tutelarli
e rappresentarli in ogni circostanza, debbono dimostrare coi fatti che veramente sono uomini coscienti e volenterosi.
Rivendicato quel diritto che ad essi appariva -forse era- conculcato, ritornino al dovere radioso e lo compiano con quella
volontà e con quella nobiltà che attestano la forza che tutto vince e tutto supera. Solo compiendo con scrupolo il proprio
dovere, possono veramente tutelare e difendere i propri diritti, senza dover chiedere l’aiuto fallace e non disinteressato
dei politicanti”.
Alcune notizie del giorno in prima pagina: l’arrivo della regina Margherita a Roma, proveniente da
Torino; la guerra in Cina.
Il “Corriere Mercantile” del 24-25 dicembre 1900 pubblica un editoriale di due colonne con
il titolo “Lo sciopero è finito” (vedi: all. 15).
“Il Secolo XIX” del 24-25 dicembre 1900 dà la notizia della fine dello sciopero in terza
pagina, nella rubrica “Cronaca Cittadina”, con il seguente titolo su due colonne:
La fine dello sciopero
Il Comizio al Carlo Felice - I deputati socialisti.
Ampio spazio dà il giornale alla cronaca della grande manifestazione al teatro Carlo Felice, con un
resoconto particolareggiato di tutti gli interventi, l’elenco completo dei diciotto operai eletti ed i
relativi voti riportati. Ecco una sintesi di quella fatidica giornata nella cronaca, come riferita dal
giornale: “Il comizio al Carlo Felice - Alle ore 13, mentre la pioggia cadeva sottile ed uggiosa, dai tre portoni aperti
del Carlo Felice, la folla degli operai entrava a fiotti riversandosi nella platea del nostro massimo teatro: mentre un’altra
onda di popolo penetrava dall’ingresso di Piccapietra sul vastissimo palcoscenico. Sul quale, a tre metri circa dalla
ribalta era stato disposto un tavolo coperto di juta dai cui lati pendevano due manifesti invitanti i lavoratori alla grande,
definitiva assemblea. Disposti ad arco intorno al banco si pigiavano ritti centinaia e centinaia di uomini.
Dal magnifico lampadario centrale e dalle varie lampade ad arco pendenti sul palcoscenico la luce si diffondeva a fasci
illuminando quella insolita calca di spettatori silenziosi e compostissimi. Sotto il palcoscenico, appoggiati tra i leggii
dell’orchestra, ravvolti nelle loro fodere di tela grezza, giacevano muti controbassi e violoncelli.”
Il testo prosegue, riferendo che alla Presidenza vi erano il deputato socialista di Sampierdarena
Pietro Chiesa, l’avv. Antonio Pellegrini, il deputato repubblicano di Roma, Pilade Mazza, il
deputato repubblicano De Andreis, i deputati socialisti Agnini e Bissolati e i membri della nuova
Commissione della Camera del Lavoro, eletti la notte precedente nei locali dell’ex-oratorio di San
Filippo.Un po' prima delle 13, Pietro Chiesa legge la lista del diciotto operai eletti con accanto ad
ogni nome i relativi voti ottenuti ed annuncia che i votanti erano stati circa 10170. Salutata con un
grande applauso la proclamazione degli eletti, Chiesa dà lettura dei telegrammi di solidarietà
pervenuti alla Camera del Lavoro di Genova da Milano, Firenze, Brescia, Savona, Voghera,
Marsiglia, Trieste.
Quindi Chiesa fa riferimento “...alle vicissitudini passate della Camera del lavoro e riassume inoltre questo
periodo novissimo per rivolgere parole di encomio alla calma, alla fierezza, alla dignità che guidarono nella loro
resistenza le falangi dei lavoratori che difesero nel modo più ammirabile il maggiore dei loro diritti, quello della libertà
indispensabile per ogni civile progresso, davanti al quale sono tutti uguali gli operai di qualunque regione, poichè sono
artefici tutti del lavoro nazionale. Accenna infine che la sede provvisoria della nuova Camera sarà d’ora innanzi per
concessione del Municipio, nella demolenda chiesa della Pace in via XX Settembre.
32
Dopo quello dell’on. Chiesa, ci furono i discorsi del repubblicano on. Mazza, del socialista on.
Bissolati, del repubblicano on. De Andreis e del socialista on. Agnini. Poi, invitato dalle grida
insistenti della platea, prese la parola l’avvocato Pellegrini, che disse -fra l’altro-: “...La vostra Camera
rinnovellata, ebbe dai padri del Comune per culla l’oratorio di San Filippo. Là ebbe il battesimo: qui nel tempio
magnifico del Carlo Felice, ha adesso la cresima. Più solenne inaugurazione non era lecito sperare. Domani nella chiesa
della Pace, trarrete dal nome gli auspici della nuova vita pacificamente operosa.” Poi l’oratore concluse il suo
intervento, dicendo che “...come gli operosi trafficanti della città nostra si radunano dall’alba al tramonto intorno
alla Camera de Commercio che ne regola i rapporti e le controversie, così è giusto che anche i lavoratori tornino a
radunarsi intorno alla loro Camera; a questo altare che non dovrà mai essere abbattuto nell’avvenire dal primo
iconoclasta al primo burocrate capitato tra noi!”
Seguì quindi un saluto del tipografo Calda, a nome dei 18 eletti, e concluse la manifestazione l’on.
Chiesa , che espresse “...la sua soddisfazione per l’ordine in cui gli avvenimenti si svolsero: soddisfazione tanto
più forte in quanto chè poteva allora annunciare la restituzione in libertà di tre operai arrestati- senza che quasi se ne
sapesse niente in questi tre giorni.- Se nessuno dei deputati di Genova è qui presente, la colpa non è nostra. Noi, il
nostro dovere l’abbiamo compiuto tutti , nel modo migliore. Ed ora non ci resta che tornare alle opere usate. Da
domani, adunque, tutti al lavoro! “
E il giornale così conclude la cronaca di quella memorabile giornata: “...La esortazione finale fu coronata
da applausi . Quindi tranquilli e compatti come erano entrati gli operai se ne uscirono all’aperto. Erano circa le ore 16.”
Il giornale registra anche una lettera di plauso pervenuta dagli operai milanesi e nella rubrica
“TEATRI E CONCERTI” annuncia che, per la riapertura del Carlo Felice, si reciterà l’opera IL
CREPUSCOLO DEGLI DEI, “...una delle più poderose opere wagneriane... La concertazione è quasi
completamente matura, e le prove danno affidamento di una buona esecuzione”.
Il “Corriere Mercantile” del 25-26 dicembre 1900 dà notizia della conclusione della vicenda nella
“Cronaca Cittadina” in modo molto modesto su una colonna, col titolo:
Dopo lo sciopero
La ricostituzione della Camera del Lavoro
LO SCIOPERO DI GENOVA IN PARLAMENTO VISTO DAI GIORNALI CITTADINI
DELL’EPOCA
Grande rilievo ebbe sui giornali cittadini il dibattito parlamentare che portò alle dimissioni
del governo Saracco: Genova, o meglio lo sciopero dei lavoratori genovesi era alla ribalta nazionale
ed i quotidiani genovesi, superando il tradizionale riserbo nella titolazione, diedero titoli a tutta
pagina.
Il “Caffaro” del 6-7 febbraio 1901 dedica quasi integralmente le cinque colonne della prima
pagina all’argomento con titolo su cinque colonne:
Le dichiarazioni del presidente Saracco sui fatti di Genova.
Rudinì e l’Estrema favorevoli al Governo- Rimpasto ministeriale- L’on. Sacchi ministro?
Nella cronaca del dibattito, di particolar rilievo le dichiarazioni di Saracco e l’ intervento dell’on.
Chiesa.
Ecco alcuni punti della dichiarazioni di Saracco : “ ...Riconosco con dolore che l’autorità
politica di Genova mancò di oculatezza, di prudenza e di previdenza. La manifestazione clamorosa di Genova che si
trasformò in uno sciopero politico, si doveva prevedere e non s’avrebbe mai sospettato che ad un funzionario così
accorto, ciò dovesse o potesse sfuggire. Nè ciò dico per sfuggire alla responsabilità che mi compete, tanto è vero che
non presi immediati provvedimenti contro il prefetto di Genova, appunto perchè sono convinto che sia necessario
mantenere alto finchè è possibile, il principio d’autorità, e perchè volli attendere, come attendo, il giudizio della
rappresentanza nazionale. Parlando più specialmente del decreto di scioglimento della Camera del Lavoro, ammette che
sia stato inopportuno per il momento, ma non che sia stato illegale ed arbitrario”. Saracco ammette poi di aver
autorizzato il prefetto Garroni a sciogliere la Camera del Lavoro , su presunte intenzioni criminose
di cui il sindacato dovrebbe rispondere all’autorità giudiziaria. Ecco il pensiero del capo del
33
governo al riguardo: ”..La Camera del Lavoro di Genova, secondo le informazioni del prefetto, era una grave
minaccia per l’ordine politico e sociale, e il Governo non poteva mancare al suo dovere di autorizzarne la dissoluzione.
Seimila associazioni di vario genere, furono, date queste condizioni, sciolte in Italia e nessuno sostenne che ciò non si
potesse fare in ossequio della legge. Ripetendo che il decreto di scioglimento della Camera del Lavoro fu da me
autorizzato il 9 dicembre, domando se il Governo debba essere chiamato responsabile del fatto che fu applicato
solamente il 20, a meno di volere interamente distruggere l’azione dei poteri locali. Si voti pure contro il Governo ma
non in base a così meschini ragionamenti. Invito la Camera ad attendere il responso dell’autorità giudiziaria sulla
denunzia fatta da quella politica circa l’azione che asseriscono criminosa, della Camera del Lavoro, e ripeto che, date
quelle asserzioni, lo scioglimento s’imponeva come un dovere del Governo”.
Intervennero poi nella discussione altri deputati, fra cui l’on. Chiesa, che sostenne con vigore il
valore dell’azione svolta dalla Camera del Lavoro nel pieno rispetto della legge. Questi i punti
essenziali dell’intervento del deputato socialista. “...Si è sciolta la nuova Camera di Lavoro perchè si è detto
che era la ricostituzione di quella del 1896, ma poichè risultò che quella del 1896 non aveva commesso alcun reato, il
decreto di scioglimento è una violenza ed una illegalità. L’azione della Camera di Lavoro era perfettamente legittima
anche nelle vertenze tra capitale e lavoro. L’opera della Camera di lavoro fu pacificatrice ed educatrice. I lavoratori non
domandano privilegi, domandano solamente che anche in loro sia rispettata la legge... La maggior parte degli industriali
vedono in Liguria come ovunque con simpatia le Camere di Lavoro. E’ un piccolo nucleo di speculatori che le
combatte, e s’impone al Governo. Sono lieto che la Camera di Lavoro sia stata deferita ai Tribunali. anche questa volta
sarà facile dimostrare che essa non ha mai violato la legge”.
Il “Corriere Mercantile” del 6 febbraio 1901 dedica al dibattito parlamentare circa quattro
delle sei colonne della prima pagina con il seguente titolo su due colonne:
I fatti di Genova alla Camera
Si riporta il discorso del presidente del Consiglio Saracco e l’intervento dell’on. Sonnino, il cui
discorso è ritenuto dal giornale “... coraggioso, degno di un uomo che sdegna l’equivoco e che sa soprattuuto
quello che vuole”. Come riferisce il giornale , Sonnino aveva detto: “..Dalla discussione, e dalle dichiarazioni
dell’on.Saracco non fu tolta efficacia al dilemma sullo scioglimento della Camera del lavoro di Genova. O è giusto lo
scioglimento e allora non si doveva farla ricostituire, o non era giusto e non si doveva scioglierla. Il governo ha dunque
esorbitato, a sua confessione. E’ uno strano modo di prendere la responsabilità quello usato verso il prefetto Garroni.
Rileva le gravi conseguenze della condotta del Ministero: Afferma il diritto nel Governo di difendere sempre e contro
tutti, quando ve n’è bisogno; ma non ammette incertezze o resipiscenze. In questa situazione non può approvare il
Governo”.
“ Il Secolo XIX” del 6-7 febbraio 1901 titola su sei colonne, a tutta pagina:
I
FATTI
DI GENOVA ALLA CAMERA DEI DEPUTATI
Una grande battaglia parlamentare
Cinque colonne su sei sono dedicate al dibattito, mentre la sesta, dal titolo “Note e
Macchiette”, riporta due notizie : la morte del patriota Marco Cossovich, l’inaugurazione di un
monumento a Garibaldi a Chicago, illustrate ognuna da un disegnino e una vignetta sulla situazione
politica, intitolata “Ministri a consiglio”. Il disegno rappresenta alcuni parlamentari a consulto e la
didascalia dice:
- Bisognerebbe chiudere il discorso con una energica affermazione di principio
- Già! Il principio...della fine!
Il “Supplemento al Caffaro” del 7 febbraio riporta un editoriale fortemente critico nei
riguardi del dibattito parlamentare, dal titolo: “In attesa d’una soluzione - Previsioni e giudizi”, a
firma Politicus, che si conclude affermando che “ ...con queste lotte, con questi intrighi non si rinvigoriscono
gli istituti parlamentari , e vanno trascurati i provvedimenti che migliorar possano veramente i pubblici servizi. Lo
sfogo di pettegole querimonie non è certo l’alto ed ideale bene della Patria, che tutti dovrebbero inspirarle.. La
conclusione? Forse la più giusta è quella del parigino Temps il quale occupandosi della situazione in Italia, osserva che
questa soffre per l’egemonia persistente delle vecchie generazioni e anela di vedere quelle nuove seguire le iniziative
del giovane Re.”
34
Il “Corriere Mercantile” del 7 febbraio 1901 titola con tre colonne su sei della prima
pagina:
I fatti di Genova alla Camera
SCHIACCIANTE VOTAZIONE CONTRO IL MINISTERO
Il giornale riporta il dibattito parlamentare e alla fine della cronaca dello stesso così conclude:
Presidente pone ai voti l’emendamento concordato che suona così:
“ La Camera non approva l’azione del Ministero.”
Fra un silenzio religioso si procede all’appello nominale
Risultato della votazione.
Votanti
Favorevoli alla mozione contro il Ministero
Contrari
Astenuti
427
318
102
6
La mozione è approvata.
E’ una nuova VITTORIA DEI LAVORATORI GENOVESI: Saracco è sconfitto in Parlamento e si
apre la via alla svolta liberale col governo Zanardelli- Giolitti.
Il “Caffaro” del 9-10 febbraio 1901 apre con un editoriale , dal titolo: SARACCO.
All’uomo politico sconfitto si concede l’onore delle armi, dicendo che “è caduto in piedi.” “Egli scrive l’articolista-...cade da forte, con l’indicazione al Parlamento di un indirizzo...La Corona è al bivio. Bisogna
che si decida per un ministero sinceramente democratico, con tutte le concessioni concedibili alla plebe o per un
ministero ostinatamente reazionario, per quanto reazionario all’inglese, secondo la frase fatta e di moda presso i destri,
che non hanno il coraggio di dichiararsi apertamente reazionari.”
Nei giorni successivi tutti i giornali cittadini continuano a dar rilievo alla crisi di governo ed
a sottolinearne le difficoltà, finchè si arriva alla soluzione, riportata dai vari giornali.
Il “Caffaro” del 15-16 febbraio presenta la notizia con titolo su una colonna in prima
pagina: La crisi risolta
con la lista del nuovo ministero.
Il “Corriere Mercantile” del 15 febbraio con titolo su una colonna, in prima pagina:
IL NUOVO MINISTERO.
“Il Secolo XIX” del 15-16 febbraio , che pubblica anch’esso la lista dei ministri su una
colonna in prima pagina col titolo:
L’incarico ufficiale.
Il nuovo gabinetto.
Il “Caffaro” del 15-16 febbraio accompagna la notizia della soluzione della crisi con la “
nota satirica del giorno”. Il disegnino raffigura alcuni operai in conversazione e la didascalia dice:
La politica in piazza.
- Credi, non c’è proprio sugo ad essere laboriosi... Guarda la crisi...
- Non vedo che cosa c’entri la crisi...
- Ma sì! non leggi i giornali? Più la crisi è laboriosa... e meno riesce a concludere!
La lista dei ministri del governo Zanardelli , pubblicata sul citato numero del giornale “Il Secolo
XIX”,
35
è riportata nell’allegato 16.
BIOGRAFIE
DI
PERSONAGGI DELL’EPOCA
FIORENZO BAVA BECCARIS, generale (Fossano, 1831- Roma 1924). Ufficiale d’artiglieria, maggiore
generale (1882) e poi comandante di corpo d’ armata, fu investito dei pieni poteri politici e militari nella provincia di
Milano durante i moti del 1898. In tale occasione intervenne duramente nei confronti della popolazione provocando
numerosi morti. Fu nominato senatore nel 1898.
LEONIDA BERGAMASCHI BISSOLATI, uomo politico (Cremona 1857- Roma 1920). Repubblicano,
socialista e compagno di studi di Filippo Turati, a cui rimase sempre legato da solida amicizia, collaborò dal 1891 alla
Critica sociale e fu attivista sindacale nelle campagne cremonesi e mantovane. Direttore dell’ Avanti dalla fondazione
(1896) al 1904 ( e successivamente dal 1908 al 1910), deputato dal 1897, fu arrestato dopo i moti milanesi del 1898,
ma fu poi liberato per la mancata autorizzazione a procedere del Parlamento. Favorevole alla collaborazione governativa
e all’inserimento delle masse popolari e delle loro organizzazioni di lotta nel sistema politico- sociale dello Stato,
andò assumendo una posizione riformista di stampo laburista che lo distaccò sempre più nettamente dalla sinistra
rivoluzionaria, sinchè alcuni suoi atteggiamenti “ filogovernativi” offrirono il pretesto agli avversari capeggiati da B.
Mussolini per espellerlo dal partito. (Congresso di Reggio dell’Emilia , 1912). Nel medesimo anno fondò con Bonomi,
Cabrini e Podrecca il Partito Socialista Riformista (P.S.R.), che tuttavia non riuscì mai ad ottenere lo sperato seguito tra
gli operai e i contadini. Scoppiata la guerra , fu dapprima neutralista, ma presto passò tre le file dell’interventismo
democratico, propugnando vivacemente l’emancipazione di tutte le nazionalità oppresse. Volontario al fronte, ferito e
decorato, dal 1916 fu ministro senza portafoglio nel gabinetto Boselli e dall’ottobre 1917 ministro dell’Assistenza
Militare con Orlando, dedicandosi ufficiosamente anche al mantenimento dei rapporti tra governo e comando supremo
e tra governo e socialisti. Filoiugoslavo e contrario all’annessione del Tirolo tedesco, alla fine del 1918 si dimise dal
governo a causa di insanabili contrasti con la politica estera di Sonnino, precisando poco dopo il suo punto di vista in
un famoso discorso alla Scala di Milano (11 gennaio 1919) che provocò la violenta reazione di Mussolini e dei
nazionalisti.
GAETANO BRESCI, anarchico (Coiano, Prato, 1869- Santo Stefano 1901). Operaio tessile, nel 1898 emigrò
a Paterson (U.S.A.) e si mise in contatto con i gruppi anarchici del luogo. Ritornato in Italia nel giugno 1900 per
uccidere Umberto I, attuò il suo disegno a Monza il 29 luglio del medesimo anno. Condannato all’ergastolo , morì poco
dopo in circostanze alquanto oscure..
LODOVICO CALDA (Parma 1874-Genova 1947), tipografo, fu tra i promotori dello sciopero generale di
Genova del dicembre 1900 e segretario della Camera del Lavoro di Genova sino al 1920.
EMILIO CALDARA (1868- 1942) , uomo politico italiano, socialista riformista. Deputato al Parlamento e,
dal 1914 al 1920, sindaco di Milano. Collaboratore di Critica sociale ed altre riviste.
STEFANO CANZIO (Genova 1837- 1909), patriota. Partecipò nel 1859 alla guerra contro l’Austria
militando fra i carabinieri; fu tra gli organizzatori della Spedizione dei Mille; combattè a Calatafimi e fu ferito a
Palermo. Nel 1861 sposò a Caprera la figlia di Garibaldi, Teresita. Nel 1866 guidò la “carica” di Bezzecca (meritando
la medaglia d’oro). A Mentana salvò Garibaldi dalla morte e a Digione, comandando due brigate, conquistò ai
Prussiani l’unica bandiera che essi perdettero in quella guerra. Tornato in Italia, istituì e diresse il Consorzio del Porto
di Genova. Fu sempre repubblicano e amico dei lavoratori.
FELICE CAVALLOTTI (Milano 1842-Roma 1898), uomo politico, giornalista e scrittore. Volontario
garibaldino partecipò alle spedizioni del 1860 e del 1866. Laureato in legge, partecipò come difensore a numerosi
processi politici, svolgendo nel contempo una vastissima opera pubblicistica, soprattutto dalle colonne del Gazzettino
rosa, che si batteva in favore della democrazia e dell’ idea laica e repubblicana.. Allo stesso tempo uomo di pensiero e
di azione, C. passò da una polemica a un duello, dalla stesura di un dramma a un comizio. La sua irruente produzione
letteraria, fu tuttavia viziata in genere da dilettantismo e assenza di capacità costruttiva ( I pezzenti, Alcibiade, I
messeni, Il cantico dei cantici, ecc.). C. resta importante soprattutto come polemista e politico, apostolo convinto del
progresso e della democrazia repubblicana. Eletto al Parlamento nel 1873, C. divenne ben presto capo dell’opposizione
costituzionale e diresse una violentissima campagna contro la corruzione del governo Crispi, a seguito dello scandalo
della Banca Romana, suscitando la celebre “questione morale”. Nonostante i notevoli meriti, C. non seppe vedere il
sorgere e lo svilupparsi del proletariato e considerò le sue rivendicazioni sotto l’aspetto paternalistico e piccolo-
36
borghese proprio del radicalismo. Morì per le ferite riportate nel suo 33° duello, ad opera del deputato clericale
Ferruccio Macola.
PIETRO CHIESA (Casale Monferrato 1858- Sampierdarena 1915), operaio verniciatore, organizzatore
socialista, eletto deputato nel 1900, si presentò alla Camera con la sua blusa di operaio.
NAPOLEONE COLAJANNI , uomo politico (Enna 1847- 1921). Dopo aver combattuto con Garibaldi ad
Aspromonte e nella terza guerra d’indipendenza, si laureò in medicina ed emigrò in Argentina (1871). Rientrato in
patria, rappresentò in Parlamento il collegio di Castrogiovanni dal 1890 al 1921. Nel 1892 denunciò alla Camera lo
scandalo della Banca Romana. Professore di statistica delle università di Palermo e di Napoli, studiò i fenomeni
criminali osservandoli sempre nel contesto economico e sociale in cui nascono. Fu tenacemente avverso a Lombroso e
alla sua scuola; Fra le sue opere: La sociologia criminale (1889), L’Italia nel 1898: tumulti e reazione (1898), Manuale
di statistica e di demografia (2 vol. 1904).
ANDREA COSTA (Imola 1851- 1910), uno tra i primi e più importanti capi del movimento operaio in Italia;
con CAFIERO e MALATESTA capeggiò dal 1873 (e dalla fine del ‘71 aveva collaborato al “Fascio operaio” di
Bologna) la corrente anarchica, bakuniniana del movimento internazionalista. Organizzò il moto insurrezionale che
avrebbe dovuto partire da Bologna l’8 agosto 1874 ma il 5 fu arrestato e scarcerato solo nel giugno 1876, quando il
processo contro gli internazionalisti finì con la generale assoluzione.. Nel 1879 impresse la grande svolta al movimento
operaio, con la “ Lettera agli amici di Romagna “ in cui li invitava ad abbandonare l’utopia anarchica per andare
incontro al movimento reale della classe operaia, guidato dal socialismo marxista. Dal 1872 al 1879, subì arresti,
ammonizioni , come” ozioso e vagabondo”, condanne come “malfattore”, sorveglianza; e fu carcerato anche in Francia,
dove fu costretto ad emigrare dal ‘77 al ‘78; all’esilio fu costretto perfino quando era deputato, avendo la Camera, nel
1889, autorizzato un processo contro di lui, dopo la condanna, l’arresto. Come deputato, lottò, fra l’altro contro le
convenzioni ferroviarie (1884) e contro l’impresa africana ( 1887), lanciando la parola d’ordine “ Nè un uomo nè un
soldo”. Diede grande impulso alla stampa socialista, fra l’altro, fondò nel 1880 la Rivista internazionale del Socialismo
e nel 1881 l’Avanti! (Imola-Bologna). Nel 1893 fu sindaco di Imola.
FRANCESCO CRISPI (Ribera, pr. Agrigento 1819- Napoli 1901), statista.
Il padre era avvocato ed anch’egli fu avvocato, prima a Palermo, poi a Napoli (1842), dove entrò nelle cospirazioni
politiche. Avvenuta la rivoluzione di Palermo (12 gennaio 1848) giunse qui il 14 e fu nominato segretario del comitato
speciale per la guerra presieduto dal Principe di Pantelleria; fondò il giornale rivoluzionario Apostolato di idee
repubblicane e radicalissime e propugnò col La Masa e l’Errante la convocazione di una Costituente; fu eletto
deputato di Ribera alla Camera dei Comuni, sedendo a sinistra come mazziniano. Sopravvenuta la reazione emigrò a
Marsiglia , poi a Torino, dedicandosi al giornalismo; dopo il 6 febbraio 1853 , fu arrestato ed espulso : riparò a Malta,
dove, vedovo, sposò con rito religioso la savoiarda Rosalia Montmasson; nel ‘55 fu a Londra, dove collaborò
attivamente con Mazzini. Tra la primavera del 1859 e quella del 1860, svolse intensa attività rivoluzionaria tra Londra,
Malta e l’Italia; il 3 maggio , in Genova, ebbe influenza decisiva sulla spedizione dei Mille, a cui partecipò; Garibaldi
lo nominò Segretario di Stato ed egli tenne anche i dicasteri dell’Interno e delle Finanze fino al 28 giugno. Nel 1861 fu
eletto deputato al Parlamento italiano e sedette all’estrema sinistra radicale; ma tre anni dopo passò alla monarchia,
costituendo uno dei primi, ed il più clamoroso, esempio della involuzione della borghesia avanzata che aveva
partecipato al Risorgimento.. Coniò la frase: “La Monarchia ci unisce, la Repubblica ci dividerebbe”; Al che Mazzini
rispose: “Voi non siete che un opportunista”.
Fu in Parlamento, per l’autorità del suo ingegno e del suo passato, fra gli uomini più avanzati della sinistra monarchica.
Salita questa al potere, fu nel ‘76 presidente della Camera e nel ‘77 ministro dell’Interno con Depretis. Nel ‘78 , sposò ,
col rito civile, Rita Barbagallo. Accusato di bigamia dovè dimettersi; e fu tenuto per nove anni lontano dal governo;
partecipò, intanto, in Parlamento alla Pentarchia di sinistra, e nel 1887 tornò ministro dell’Interno con Depretis,
succedendogli (7 agosto) come presidente del Consiglio. Il suo ministero, iniziato sotto l’etichetta di sinistra (e che sarà
rimaneggiato nel 1889) manifestò presto un indirizzo nettamente reazionario. In politica estera (trattato del 1887) C.
legò l’Italia alla Triplice Alleanza (il che gli valse il Collare dell’Annunziata dal re), ruppe i rapporti con la Francia eid
inaugurò il periodo di lotta doganale con la stessa, con ripercussioni gravissime sul nostro Paese , e riprese la politica
dell’africanismo. In politica interna, attuò misure poliziesche accanite sia contro il movimento operaio sia contro gli
irredentisti. Egli è “ l’uomo forte” il “pugno di ferro” atteso dalla borghesia più reazionaria: inaugura il periodo
rovinoso della insincerità del bilancio.
Il suo ministero cadde nel 1891: due anni dopo, caduto Giolitti egli tornò al potere, trionfando, provvisoriamente, sul
suo rivale. Nel gennaio 1894 C. represse nel sangue la rivolta dei contadini siciliani e ne trasse pretesto per sciogliere il
Partito Socialista e le associazioni sindacali. Nello stesso anno (11 dicembre) Giolitti presentò alla Camera documenti
sulla Banca Romana da cui emersero gravi fatti di indelicatezza e di disonestà politica a cui il C. era stato spinto dagli
sperperi della vita lussuosa sua e della moglie. Cavallotti lo attaccò violentemente; ma C. fu sorretto dal re che, il giorno
15 dicembre, quando egli avrebbe dovuto rispondere per giustificarsi, sciolse la Camera. Cavallotti lo accusò anche di
avere, in cambio della concessione di onorificenza, accettato denaro da un avventuriero straniero. Per creare un
diversivo, C. riprese i suoi piani africanistici, affrontando la rovinmosa guerra d’Africa. Dopo la tragica disfatta (1
37
marzo 1896) C. si dimise. Il re lo sconfessò, accettando le dimissioni, e tale annunzio fu accolto con esultanza dalla
Camera. Su accuse rivoltegli successivamente, la Camera non accordò il rinvio del C. all’Alta Corte di Giustizia, ma lo
censurò politicamente (marzo 1898). La sua riabilitazione fu fatta dal fascismo, che vide in lui un precursore di
Mussolini.
GIUSEPPE DE FELICE GIUFFRIDA, uomo politico, nato a Catania il 17 settembre 1899, morto ivi il 19
luglio 1920. Si distinse giovanissimo nel giornalismo e per la sua calda propaganda socialista, che nel 1892 lo portò alla
Camera dei deputati come rappresentante di Catania. Attivo organizzatore dei Fasci dei lavoratori in Sicilia, fu
condannato durante lo stato d’assedio, proclamato dal ministero Crispi (1894). Amnistiato, rappresentò
ininterrottamente Catania alla Camera , dalla XVIII alla XXV legislatura, salvo le due volte in cui
fu eletto a Paternò e a Massa Carrara. Seguì il socialismo con indipendenza cosicchè potè essere fautore dell’impresa
libica e arruolarsi volontario nella guerra italo- austriaca, della quale fu uno dei più decisi assertori.. Lo sviluppo
economico di Catania è legato al nome di De F. Vanno ricordati alcuni dei suoi vasti se pur molto discussi tentativi di
municipalizzazione dei servizi pubblici.
GIOVANNI GIOLITTI (Mondovì 1842- Cavour 1928), statista. Funzionario dell’Amministrazione statale
asceso rapidamente fino a Consigliere di Stato, entrò nella vita politica a quarant’anni, con la sua elezione a deputato di
Cuneo. Militò nella Sinistra, insorse contro la “finanza allegra” del ministro delle Finanze Magliani, fu avverso al
“trasformismo” di De Pretis e, con un netto distacco dalla cecità della classe dirigente sulla questione operaia, fu il
primo, nel campo monarchico-costituzionale, ad avere la visione dei problemi che sorgevano dal formarsi e dallo
svilupparsi di un proletariato industriale. E quando , ai principi del nuovo decennio sorsero la Camere del Lavoro, ne
riconobbe la funzione nel tempo stesso in cui additava come nociva allo stesso padronato la politica dei bassi salari. Nel
1889 fu ministro del Tesoro con Crispi, ma si dimise nel 1890. Due anni dopo, era Presidente del Consiglio; ma nel
dicembre 1893, scoppiato lo scandalo della Banca Romana, dovè dimettersi. Da accusato non tardò a rovesciare la
situazione mercè la presentazione di documenti gravissimi su Crispi. Nel 1900, allorchè la borghesia, convinta
dell’errore di insistere in quella politica grettamente e pesantemente reazionaria che aveva caratterizzato il periodo
umbertino, addivenne ad una svolta verso il liberalismo, G. fu il rappresentante di questo indirizzo, prima entrando nel
ministero Zanardelli come ministro dell’Interno ( (15-2-1901), poi con ministero da lui presieduto (5-11-1903). Diede,
dal 1901, piena libertà alla Camera del Lavoro, proclamò il non intervento dello Stato negli scioperi, e il movimento
operaio si giovò, naturalmente, della nuova politica liberale del governo, anche se, appunto in occasione di scioperi, non
mancarono, poco appresso, sanguinose azioni della polizia.
Con particolare riferimento ai suoi tentativi di attrarre nell’orbita costituzionale la parte riformista del Partito
Socialista ed all’essere passato dopo il fallimento di questo piano, ad intese coi cattolici, basterà dire che egli,
respingendo i metodi grettamente reazionari e considerando in notevole misura le esigenze delle classi lavoratrici, fu il
conservatore più intelligente , rispetto agli statisti che lo avevano preceduto, e il più valido difensore della borghesia e
della monarchia. Perciò egli spinse il suo indirizzo progressivo fino al limite oltre il quale gli interessi borghesi e
monarchici avrebbero risentito danno anzichè beneficio. Nel suo Discorso su Giolitti, P. Togliatti ha scritto che
”occorre concentrare l’attenzione sui contrasti profondi che il sistema giolittiano ricopre, che non gli consentono di
consolidarsi come schieramento democrastico, lo rendono labile e non consistente proprio come ordinamento
democratico , incapace di dominare le forze avverse che maturano nel suo seno, destinato a soccombere sotto il loro
urto”. La guerra di Libia , da lungo preparata ed attuata da G. , segnò il punto di esplosione di queste contraddizioni.
Di fronte al conflitto mondiale , egli sostenne la neutralità e fu violentemente bersagliato dalle correnti interventiste
più accese. Tornò al governo dal giugno ‘20 al giugno ‘21 ma si dimostrò stavolta incapace a risolvere sul piano liberale
la crisi della borghesia nel dopoguerra; cedè anch’egli al fascismo, permettendo che la polizia tollerasse e spesso
spalleggiasse le violenze. Solo nel 1924 passò all’opposizione antifascista e il 16 marzo 1928 pronunziò in Parlamento
un memorabile discorso contro la legge sulla Camera delle Corporazioni.
Un notevole contributo alla biografia del G. dà il libro di G. Natale Giolitti e gli italiani, ed. Garzanti.
ANNA MICHAJLOVNA KULISCIOFF, socialista russa (Moskaja Herson, 1857- Milano 1925). Seguace
di Bakunin, dopo aver cospirato giovanissima contro il governo zarista si rifugiò in Svizzera nel 1877 e l’anno dopo in
Italia. Compagna di Andrea Costa e quindi (dal 1885) di Turati, diresse insieme a quest’ultimo dal 1891 la rivista del
socialismo italiano Critica sociale. Donna di intelligenza vivissima e di forte carattere, si dedicò con spirito missionario
al riscatto delle classi popolari non solo con un’intensa e lungimirante attività politica, ma prestando anche una continua
e gratuita opera di medico a favore dei poveri di Milano.
ARTURO LABRIOLA, uomo politico ed economista (Napoli 1873-1959). Militò in campo socialista, pur
spostandosi progressivamente dalle iniziali posizioni sindacaliste rivoluzionarie verso altre sempre più moderate.
L’esilio in Svizzera e in Francia, dovuto alla sua partecipazione ai moti del 1898, gli aveva permesso di conoscere le
38
teorie di Sorel, di cui divenne fervido sostenitore, appoggiandone le idee sull’ Avanguardia socialista, da lui fondata e
diretta (1902-06) al suo ritorno in Italia. Come molti sindacalisti rivoluzionari, L. sostenne nel 1911 la conquista della
Libia e nel 1914 l’intervento nella I guerra mondiale. Eletto deputato nel 1913 come socialista indipendente e poi
sindaco di Napoli, entrò nel 1920-21 nel gabinetto Giolitti come ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale,
proponendo il controllo sindacale nelle aziende. Emigrato in Francia e in Belgio dopo il 1925 per sfuggire al regime
fascista, che aveva osteggiato fin dalle origini ( Le due politiche: fascismo e riformismo, 1923; La dittatura della
borghesia,1924), rimase però ai margini dell’attività politica dei fuorusciti, pubblicando tuttavia due studi importanti:
L’etat et la crise (1933) e Le crepuscule de la civilisation, nello stesso anno (1937) in cui tornò in Italia, per ritirarsi a
vita privata. Nel 1945 venne eletto deputato alla Costituente nelle lista dell’Unione Democratica Nazionale, e quindi,
nel 1948 , senatore. Altre opere: La teoria del valore di K. Marx (1899), Il capitalismo (1910), L’attualità di Marx
(1945), Spiegazioni a me stesso (1945), a carattere autobiografico, La crociata anticomunista (1955) e Negazione.
Appunti sul problema dell’ateismo (1958).
LUIGI PELLOUX, generale e uomo politico (La Roche, Savoia, 1839- Bordighera 1924). Entrato
giovanissimo nella carriera militare, prese parte alla II e alla III guerra d’indipendenza distinguendosi a Custoza. Nel
1870 comandò l’artiglieria che aprì la breccia di Porta Pia e si guadagnò la croce di cavaliere dell’ordine militare di
Savoia. Deputato di sinistra dal 1880 e senatore dal 1895, fu ministro della Guerra con Di Rudinì (1891-92), Giolitti
(1892-93) e ancora Di Rudinì (1896-97). Nel 1898 nominato presidente del Consiglio dopo i moti che avevano
sconvolto un po' tutta la penisola, parve voler restaurare una politica moderata e di pacificazione, ma dopo alcuni
provvedimenti liberali presentò alla Camera una serie di provvedimenti restrittivi delle libertà costituzionali, che gli
sollevarono contro l’ostruzionismo della sinistra e diedero origine a una delle più acute crisi parlamentari del regno.
Costretto a dimettersi dall’esito delle elezioni anticipate (1900), riprese la carriera militare, assumendo il comando del.
corpo d’armata di Torino. Nel 1905 fu collocato a riposo.
GIUSEPPE SARACCO, uomo poltico (Bistagno, Alessandria, 1821-1907) . Eletto deputato al Parlamento
cisalpino dal 1851, acquistò rapidamente autorevolezza e competenza in questioni economiche e finanziarie. Fu
segretario geneale ai Lavori Pubblici (1862) e alle Finanze (1864), entrò al Senato nel 1865,ministro dei Lavori Pubblici
nei gabinetti Depretis (1897) e Crispi (1887-89, 1895-96). Nel 1898 fu chiamato alla presidenza del Senato. Dopo le
dimissioni di Pelloux (1900) fu incaricato di formare il governo nella speranza che il suo eqiìlibrio e il suo prestigio
placassero gli animi. La sua opera di pacificazione era appena iniziata quando scoppiò l’ultimo episodio di violenza
politica: l’assassinio di re Umberto I (29 luglio). Dopo le dimissioni (1901) tornò alla presidenza del Senato fino al
1904.
GIORGIO SIDNEY, barone SONNINO (Pisa, 1847 - Roma, 1922), statista italiano.
Entrò in diplomazia ma ne uscì nel 1873. Studioso di problemi economici e sociologici fu tra i più apprezzati
meridionalisti, soprattutto per la inchiesta condotta (1875) sulle condizioni agrarie della Sicilia. Deputato dal 1880 , fu
più volte ministro ( con Crispi dopo essere stato sottosegretario al Tesoro nel 1889 fu nel 93-94 ministro delle Finanze
e dal 94 al 96 del Tesoro; con Salandra nel 1914 agli Esteri e poi , ancora agli Esteri, fino al 1919 con Boselli prima e
con Orlando poi) e due volte, entrambe per breve tempo, Presidente del Consiglio ( nel 906 e nel 909-910). Con un
articolo pubblicato il 16 settembre 1900 sulla Nuova Antologia prendeva posizione contro la svolta liberale giolittiana
patrocinando una “Unione di partiti nazionali”, da contrapporre alla “ Unione dei partiti cosiddetti popolari”, cioè
diceva “ per due terzi apertamente sovversivi”. Erano i primi germi del nazionalismo. Più tardi attenuò il suo
conservatorismo ma non fino al punto di non essere, quando fu Presidente del Consiglio, battuto la prima e la seconda
volta da Giolitti.
ANTONIO STARABBA, marchese di RUDINI’, uomo politico (Palermo 1839- Roma 1908). Di nobile
famiglia, partecipò ai moti antiborbonici dell’aprile 1860, in seguito ai quali fu costretto a esulare dapprima a Genova e
poi a Torino dove fu addetto per qualche tempo al ministero degli Esteri. Ritornato in patria dopo la liberazione della
Sicilia ed eletto sindaco di Palermo (1864), fronteggiò con risoluta fermezza la rivolta borbonico-clericale del
settembre 1866. Fu quindi prefetto di Palermo (1866) e di Napoli (1868), dove rivelò doti tali di abile amministratore
che nel 1869 fu chiamato da Menabrea al ministero degli Interni, quantunque non fosse ancora membro del Parlamento.
Deputato e capo della destra più conservatrice dopo la morte di Minghetti, nel 1891 succedette a Crispi a capo di un
governo con cui inaugurò una politica della lesina a causa del dissesto in cui si trovavano le finanze nazionali,
abbandonò i sogni imperialistici del suo predecessore e tentò, sia pure inutilmente, un accostamento alla Francia e
all’Inghilterra. Costretto a dimettersi nel 1892, succedette di nuovo al Crispi dopo la sconfitta di Adua (1896) e ancora
una volta ne ribaltò la politica. Concluse la pace con l’Etiopia e cedette Cassala agli Inglesi, ridusse le spese militari
anche a costo di mettersi in urto con la corona, emanò provvedimenti di amnistia per i condannati dei fatti di Sicilia e di
Lunigiana e riprese i tentativi di intesa con la Francia, richiamando al ministero degli Esteri il vecchio Visconti
Venosta. Di fronte alle agitazioni del 1898 non seppe però reagire che coi vecchi metodi dell’autoritarismo più retrivo.
Avversato perciò dall’opposizione liberale e avversato dal re a cui del resto non era stato mai ben accetto, dovette dare
le dimissioni nel giugno del medesimo anno e ritirarsi a vita privata.
39
FILIPPO TURATI (Canzo 1857- Parigi 1932). Uomo politico socialista, capo riconosciuto della tendenza
riformista nel P.S.I. Avvocato, letterato, proveniente da una facoltosa famiglia borghese, appartenne prima alla
Alleanza Democratica, poi, per protesta contro le persecuzioni governative in danno del Partito Operaio, fu tra i primi
intellettuali che si professarono socialisti e abbandonò le file dell’ “Alleanza”. Scrisse nel 1896 le parole dell’ “Inno
dei Lavoratori”. Fondò nel 1891 la rivista Critica sociale che compì opera se non rigorosamente marxista, certo
educativa e propulsiva di studi. Si formò intorno a lui un movimento di intellettuali che il Congresso del 2-3 agosto
1891 fuse con i vecchi militanti del Partito Operaio, il quale si trasformò , così, in quel “Partito dei Lavoratori” che a
sua volta un anno dopo, diventò il Partito Socialista. Nel 1894 difese strenuamente la causa dei Fasci siciliani contro la
reazione crispina. Nel 1898 fu condannato a 12 anni di reclusione pei moti di Milano e ne scontò circa due.
Deputato dal 96, fu tra i più autorevoli parlamentari. A differenza di altri riformisti ( Bissolati, Bonomi, Cabrini ) si
rifiutò di partecipare al governo dell’estrema destra riformista e si differenziò anche per la sua opposizione alla guerra
libica così come, a differenza dei socialisti della II Internazionale nei rispettivi Paesi si schierò contro la guerra
imperialista e l’intervento nella stessa, tenne, però, più tardi, dopo Caporetto un contegno di parziale cedimento, che fu
oggetto, nel Partito, di critiche dell’ala sinistra. Dopo le leggi eccezionali del fascismo, emigrò in Francia con una
fuga avventurosa organizzata da Rosselli, Parri, Bauer e altri compagni. Morì a Parigi. Sua fedele collaboratrice fu
Anna Kuliscioff.
UMBERTO I (Torino 1844- Monza 1900), re d’Italia , nell’infausta giornata di Custoza del 24 giugno 1866 si
comportò valorosamente nell’episodio di Villafranca; nel 1868 sposò sua cugina Margherita; successe al padre, Vittorio
Emanuele II, il 9 novembre del 1878. Il suo regno (“periodo umbertino”) andò anche per l’influenza della moglie,
verso una sempre più accentuata reazione che culminò col governo Crispi e col triste settennio che vide la persecuzione
dei Fasci siciliani (per le quali è accertato che egli premette personalmente sul governo) e lo scioglimento delle
organizzazioni operaie nel 1894; la guerra d’Africa nel 1896; i moti della fame e le sanguinose giornate di Milano nel
1898, dopo le quali egli insignì di onorificenze ( “per aver salvato la patria e le istituzioni”) il generale massacratore
Bava Beccaris, ed alle quali seguirono i feroci processi dei Tribunali di guerra. Tale condotta costituì il movente della
sua condanna a morte deliberata da un gruppo di anarchici all’estero ed eseguita da Gaetano Bresci.
PAOLO VALERA, giornalista e scrittore (Como 1850- Milano 1926). Partecipò giovanissimo alla campagna
garibaldina del 1866; quindi, ottenne un impiego al Dazio, cominciò ad occuparsi di letteratura e di giornalismo,
fondando i periodici aspramente polemici La plebe e La folla , di carattere democratico - popolare. Anche i suoi scritti
narrativi ebbero tutti lo scopo di dibattere temi sociali, divenendo mezzi di propaganda politica e di denuncia. Per questa
ragione V. subì processi e condanne. Si ricordano: Alla conquista del pane (1882), Amori bestiali (1884), La
sanguinosa settimana del maggio ‘98 (1907), I miserabili di Milano (1904), La vitaccia di un povero Cristo (1921),
Mussolini (1924) eccetera.
VITTORIO EMANUELE III (1869-1947). Terzo re d’Italia. Firmò la guerra alla Turchia (1912) e contro
l’Impero Austro-Ungarico nel 1915, nel 1922 diede il passo al Fascismo, solidarizzò con esso in occasione
dell’assassinio di Matteotti e successivamente, finchè nell’imminenza dell’irreparabile sconfitta non tentò di separare la
sua responsabilità e di salvarsi con la connivenza di alti gerarchi, facendo arrestare Mussolini. L’8 settembre 1943
fuggì a Pescara. Nel luglio 1944 dovè abdicare in favore del figlio Umberto.
(Ndr: L’ abdicazione in favore di Umberto avvenne in realtà il 9 maggio 1946, mentre dal 5
giugno 1944 Umberto aveva assunto la funzione di luogotenente del regno.)
GIUSEPPE ZANARDELLI, uomo politico (Brescia 1826- Maderno 1903). Dopo aver preso parte
all’insurrezione di Brescia (1848) e alle successive Dieci Giornate (1849), dovette rifugiarsi in Toscana dove collaborò
al giornale mazziniano La Costituente Italiana. Ritornato in patria nel 1851, fu tra i protagonisti dei moti antiaustriaci
del 1859. Eletto deputato (1860) tra le file della Sinistra, fu più volte ministro: dei Lavori Pubblici (Depretis 1876-77),
dell’Interno (Cairoli 1878) e della Giustizia (Depretis 1881-83). Dimessosi quindi per protestare contro il trasformismo
fondò la pentarchia con Crispi, Nicotera, Cairoli e Baccarini, ma ritornò al governo come ministro della Giustizia
insieme al Depretis (1887) e al Crispi (1887-91). Nel 1893, caduto Giolitti per lo scandalo della Banca Romana, tentò
invano di formare un suo gabinetto e nel 1897 fu nuovamente Guardasigilli con il Di Rudinì. Abbandonato però il
governo l’anno successivo per dissensi col Visconti Venosta e la politica conservatrice del presidente del consiglio, fu
tra i leader dell’opposizione di sinistra contro il Pelloux e nel 1901 fu infine chiamato da Vittorio Emanuele III a
formare un governo che con Giolitti al ministero degli Interni diede l’avvio alla svolta liberale dell’inizio del secolo. Di
sentimenti accesamente anticlericali ma non settari, autore di un codice penale (1890) tra i più avanzati del tempo e
fautore dell’allargamento del suffragio elettorale, mirò costantemente all’introduzione di riforme sociali a favore delle
classi subalterne. Tre volte presidente della Camera (1892-94; 1897; 1898-99) , nel 1901 fu insignito del collare
dell’Annunziata.
40
Le biografie di Bava Beccaris,Bissolati, Bresci, Colajanni, Di Rudinì, Kuliscioff, Labriola, Pelloux,
Saracco, Turati, Valera e Zanardelli sono tratte dalla Grande Enciclopedia, Istituto Geografico De
Agostini; quelle di Caldara, Canzio, Chiesa, Costa, Crispi, Giolitti, Sonnino, Umberto I e Vittorio
Emanuele III dall’ Enciclopedia Nuovissima, Editrice “ Il Calendario del Popolo”; quella di De
Felice Giuffrida dall’Enciclopedia Italiana, Istituto G. Treccani; quella di Calda dal libro di Marco
Massa.
RIFERIMENTI
BIBLIOGRAFICI
Enciclopedia Italiana, Vol XII, Istituto Giovanni Treccani, Milano , 1931
Enciclopedia Nuovissima, Editrice “Il Calendario del Popolo”, Milano, 1959-62
Grande Enciclopedia De Agostini, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1972-77
Storia universale dell’Accademia delle Scienze dell’URSS - Vol. VII- Edizioni del Calendario,
Milano, 1967
Storia d’Italia - Volume quarto - Dall’Unità a oggi - 3 - Einaudi Editore, Torino, 1976
Luciano Cafagna (a cura di), Il Nord nella storia d’Italia - Antologia politica dell’Italia industriale,
Editori Laterza, Bari, 1962
Benedetto Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Giuseppe Laterza e Figli, Bari, 1928
Giorgio Galli, Ma l’idea non muore - Storia orgogliosa del Socialismo italiano, Marco Tropea
editore, Milano, 1996
Ugoberto Alfassio Grimaldi, Il re “buono”, Feltrinelli Editore, Milano, 1973
Marco Massa, Sciopero! Dicembre 1900: la riscossa del proletariato inizia da Genova con Lodovico
Calda, Provincia di Genova-Assessorato al Patrimonio Culturale, 2000
G.Perillo, C.Gibelli, Storia della Camera del lavoro di Genova - Dalle origini alla seconda guerra
mondiale, Editrice Sindacale Italiana, Roma, 1980
Giuliano Procacci, Storia degli Italiani, Editori Laterza, Bari, 1978
Luigi Salvatorelli, Storia del Novecento, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1957
GiulioTrevisani, Stefano Canzio, Compendio di storia d’Italia, vol III di G.Trevisani, Edizioni La
Pietra, Milano, 1969
Paolo Valera, La sanguinosa settimana del maggio ‘98, Libreria moderna, Genova, 1907
FONTI DEI GIORNALI DELL’EPOCA:
Biblioteca Civica Berio e Biblioteca Universitaria di Genova
41
Genova, 15/12/2000
Scarica

QUADERNO DI DOCUMENTAZIONE STORICA GENOVA