VELA
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STAGIONE VELICA 2005
maxi yacht e le barche d’epoca in Costa
Smeralda, le vele latine a Stintino e a
Carloforte, le derive nel Golfo degli angeli.
La stagione della vela, binomio ormai quasi
inscindibile con il turismo, si preannuncia
anche quest’anno ricca di avvenimenti non
solo nella parte settentrionale dell’isola, presa
sempre più d’assalto dai vacanzieri, ma anche
in quella meridionale, più tranquilla rispetto a
quella del nord. Una stagione, quella che ha
appena salpato, piena di novità ed eventi collaterali di carattere mondano, che faranno da
supporto alle tante regate veliche che avranno come scenario le trasparenti acque isolane. A fare da apri pista saranno le acque della
Costa Smeralda, che propone gli appuntamenti più spettacolari. Il primo assaggio della
vela verrà dato ai primi di giugno, quando
l’omonimo Yacht Club di Porto Cervo proporrà, dal 3 al 5, la coppa Europa, riservata ai
monotipo Smeralda 888 dei soci del sodalizio
della Costa Smeralda, del Gstaad e del New
York Yacht Club. Mentre non si sarà ancora
spenta l’eco della prima regata, dall’8 all’11
giugno, si disputerà la Grand Soleil Cup,
raduno mediterraneo riservato alle prestigiose imbarcazioni costruite nei cantieri Del
Pardo. Ma l’appuntamento più suggestivo,
quello che ha trovato sempre il consenso dei
turisti, sarà senz’altro il Veteran Boat Rally. La
manifestazione, prevista sempre a giugno dal
22 al 25, ritornerà nel mare di Porto Cervo
I
dopo due anni d’assenza e riproporrà uno
spettacolo mozzafiato grazie alle barche
d’epoca, provenienti da ogni parte del
mondo. Una sorta di passerella di tante regine del mare che, oltre a dare un tocco in più
di colore al tipico paesaggio mediterraneo,
farà compiere come d’incanto un tuffo nel
passato alla Costa Smeralda, che fino a due
anni fa riservava alle imbarcazioni d’epoca il
mese di settembre. Mentre a Porto Cervo la
stagione sarà entrata nel vivo, le acque meridionali della Sardegna si incresperanno non
tanto a causa del maestrale ma soprattutto
per due manifestazioni veliche, che tornano
dopo un anno: a Cagliari si svolgerà il trofeo
Marisardegna e la Coppa dell’Ammiraglio,
tradizionali regate d’altura organizzate dalla
Lega Navale. Ma anche in Gallura l’attività continuerà intensa grazie allo Sporting Club
Portisco che curerà a fine giugno, dal 20 al 25,
il campionato italiano Beneteau 25, poi dal 6 al
9 luglio il tricolore Melges 24. Ma ai primi di
luglio sarà l’isola di San Pietro, tradizionale
patria di maestri d’ascia, ad ospitare per la
prima volta il campionato italiano di vela latina, che si svolgerà in Sardegna per la seconda
volta consecutiva. Gozzi, lance e guzzette
approderanno (dal 1° al 3) a Carloforte, che
grazie allo Yacht Club organizzerà la manifestazione, che non si limiterà al solo fatto agonistico. Diversi gli eventi collaterali, come il
convegno nazionale sul tema: “la vela latina
dalle remote origini alle odierne regate veliche”, che si svolgerà nei tre giorni precedenti
le regate, nei ristrutturati magazzini di
Toccarossa. Una ghiotta occasione, il campionato italiano riservato alle barche armate con
vela latina, per la città tabarchina, che allestirà
un vero e proprio villaggio sulla banchina
Mahon, dove saranno ricostruiti i luoghi dei
mestieri marinari. Dalle botteghe dei velai ai
magazzini dei pescatori e dei battellieri.
Ad agosto, invece, Cagliari, dal 21 al 27, con il
suo Golfo degli angeli si colorerà nuovamente
d’azzurro, grazie alle derive olimpiche della
classe Laser, che si confronteranno nel campionato italiano. Base logistica della manifestazione sarà Marina Piccola, dove ha sede lo
Yacht Club, che ospiterà circa quattrocento
equipaggi della classe Laser, suddivisa nelle
categorie Standard, Radial e 4.7. Ad assegnare un titolo tricolore, singolo e a squadre,
riservato alle derive, infine, sarà anche
Alghero dove dal 23 al 29, è previsto il campionato italiano 420. Il passo è breve, dal mare
della Riviera del Corallo a quello di Stintino,
che farà da scenario in contemporanea, dal 26
al 28, a due importanti manifestazioni di vela
latina: il Trofeo Presidente della Repubblica e il
campionato del Mediterraneo. Intanto, a settembre, in Costa Smeralda ritornerà la vela
d’altura con le sue maestose regine del mare,
che si confronteranno (dal 4 al 10) al Maxi
Yacht Rolex Cup, il campionato del mondo
delle signore del mare, dove trionfano l’estetica e la tecnologia. Alle regate dei Maxi yacht
iridati, seguiranno quelle della Settimana delle
Bocche, una classica di Porto Cervo che non
perde mai il suo fascino. Poi, il timone passa
allo Yacht Club di Porto Rotondo, che a cavallo tra settembre e ottobre, dal 27 al 2, organizzerà la Gold Cup Beneteau 25. Mentre a
Cagliari, sempre a settembre dal 12 al 18, tra il
suo porto e il Poetto si disputerà per la quinta
volta la Tiscali Cup, la grande kermesse velica
a metà tra l’agonismo e l’amatoriale, fiore
all’occhiello del Sandalion Mare Club, l’associazione composta da un gruppo di appassionati che ha trasformato il molo Ichnusa, adiacente la vecchia Capitaneria di porto, in una
sorta di banchina di Auckland, dove oltre al
maestrale soffia ancora il vento di Luna Rossa.
Alcune immagini delle
regate di Porto Cervo
dei maxi yacht.
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cultura
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ROCCO
PASQUA
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I MURALES AD ORGOSOLO
I
l piccolo paese di Orgosolo si trova nel
cuore della Barbagia a soli 20 chilometri
dal capoluogo di provincia, Nuoro, a ridosso del Supramonte. L’etimologia del nome è
di origine greca, orgosa, che indica un luogo
ricco di acque. Il suo territorio ha mantenuto
un aspetto selvaggio ed è ancora in parte inesplorato. Le radici di Orgosolo sono antichissime, risalgono addirittura al periodo nuragico, e l’archeologia ha contribuito in maniera
fondamentale a ricostruire le fasi dello sviluppo di questa zona dell’isola. Sono numerosi i
monumenti che attestano la sua antica origine; basti pensare ai Nuraghi, alle domus de
janas. Ciò che è ancora immerso nel mistero
è l’origine della sua popolazione, perché sono
scarse, o quasi inesistenti, le notizie sui primi
stanziamenti.
Le prime notizie sugli abitanti di Orgosolo risalgono al V secolo per opera di scrittori classici.
La comunità Orgolese, stimata oggi in 5000
anime, ha sempre vissuto in una condizione
d’isolamento, forse data dall’asprezza del suo
territorio.
l’isolamento ha prodotto un malessere che ha
trovato un punto di sfogo nell’espressione
artistica che caratterizza il paese: i murales.
Questi hanno contribuito in maniera determinante alla conoscenza di Orgosolo attraendo
sempre più turisti grazie all’originalità dei
dipinti e dai temi trattati. I murales esprimo-
Manifesto a favore
delle donne: 8 marzo
1908.
Nella pagina accanto
Murales a favore dei
pastori e operai:
“Pastori e operai uniti
contro gli agrari e il
governo dei padroni”.
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no, in forma artistica, le problematiche sociali, politiche, ma anche le speranze dell’intera
comunità barbaricina.
Rappresentano attraverso l’effetto decorativo
la denuncia, soprattutto politica, verso i
governi sopraffattori e nei confronti delle
disparità sociali.
La nascita dei murales viene fatta risalire agli
anni sessanta quando un gruppo anarchico di
Milano denominato Dioniso, espresse sulla
parete di un edificio il suo malessere giovanile.
Sul finire del decennio ci fu un’iniziativa d’intervento di riuso dei muri esterni delle case
del paese da parte di un gruppo di ragazzi
della scuola media locale. Passarono alcuni
anni perché si affinasse la coscienza politica e
si realizzassero opere di grande significato
sociale. Nacque così un dipinto che traccia le
linee essenziali della vita di un grande personaggio politico: Antonio Gramsci. Il murales a
lui dedicato si trova nella via omonima.
Ogni muro libero del paese rappresentava
una tela bianca per gli artisti, libro su cui
esprimere le proprie opinioni, i propri sentimenti e le proprie prese di posizione.
È il 1975 l’anno di maggiore espressione pittorica e di denuncia politica, quando un insegnante Senese, Francesco del Casino, insieme ai suoi alunni volle commemorare il trentesimo anniversario della Liberazione d’Italia.
La sua attività è molto prolifica, a lui si devo-
no molti dei murales orgolesi. Le sue opere di
denuncia citano il presidente Leone, sostengono la lotta contro la Nato, ma mettono
anche in evidenza le dure condizioni dei carcerati e dei famigliari. Non si tralasciano
neanche le problematiche più strettamente
legate al nostro territorio, con opere sulla
piaga degli incendi, sulla pastorizia, sul brigantaggio. Accanto ai temi politici, sul finire
degli anni ottanta, con l’attenuarsi delle tensioni politico-sociali, Del Casino volge la sua
attività alla trattazione di temi più “leggeri”.
Compaiono sui muri delle case donne che
tengono in grembo i loro figli, uomini a cavallo, pastori che curano le loro greggi.
Finalmente scene di vita quotidiana.
In concomitanza con il calo della tensione
politica, ci fu un rallentamento del muralismo,
corrispondente ad una fase di stasi nel paese,
dovuto anche al trasferimento degli artisti in
altre città alla ricerca di migliori possibilità di
vita. Nasce una fase legata ad una migliore
realizzazione artistica e alla cura dei particolari e del colore, quindi ad una migliore espressione.
Gli anni novanta però segnano un ritorno alla
denuncia politica. Nel 1991 lo scoppio della
Guerra nel Golfo suscitò una grande ondata
di emotività e provocò grande rabbia, ispirando ancora una volta Francesco del Casino. Il
suo murales rappresenta le atrocità della
guerra e gli orrori che questa porta con se, ma
la sua non fu la sola opera di sfogo. Infatti, i
giovani del paese, toccati da questa piaga realizzarono un murales dedicato alla lotta del
popolo Palestinese per la propria terra.
I giovani furono attenti a denunciare le problematiche connesse al loro mondo, così
affrontarono il tema sull’uso delle droghe
pesanti e sull’eccesso di alcool.
Non mancano opere di artisti locali, come
quella realizzata sulla parete di quella che fu
la Biblioteca comunale negli anni settanta,
realizzato da Pasquale Busca, Vincenzo Floris,
sempre con la collaborazione di Francesco del
Casino. Le opere non affrontano unicamente
il tema politico ma vogliono celebrare personaggi che hanno “fatto storia”. Sulla parete di
Via Garibaldi troviamo l’immagine di Ghandi,
sostenitore della non violenza e della pratica
della non-violenza; un omaggio alla pittrice
messicana Frida Kahlo e del suo compagno
Diego Rivera, per poi giungere al ricordo di
un personaggio del cinema dei nostri giorni,
Massimo Troisi nella sua più grande interpretazione, “Il postino”. La peculiarità fondamentale dei murales è quella di essere un
miscuglio di stili e di tendenze che provengono da diverse parti del mondo, e che ogni
muralista fa proprio dando un tocco d’originalità e imprimendo il proprio stile. Lo stile
cubista è quello che lega il maggior numero di
dipinti, nei quali si trovano delle vere e proprie
citazioni, come nel caso della Guernica di
Picasso che troviamo raffigurato nella via principale del paese. Si scoprono le espressioni
artistiche dei muralisti messicani degli
anni’20. I loro colori sono brillanti le figure
In basso
”Caccia grossa:
Murgulai 1899” banditismo in Sardegna.
81
cultura
Abbigliamento di velluto, tipico di alcune
persone davanti al
murales di “Franco
Boia”.
Murales che colorano
le pareti di alcuni vicoli
e le facciate dei bar.
Murales del manifesto
del film“Banditi ad
Orgosolo”.
appaiono solide e squadrate; l’influenza cubista è ben decifrabile soprattutto nelle figure
femminili dai larghi fianchi e negli uomini
dalle mani e dai volti assimmetrici e nodosi.
In periodi più recenti i murales sono stati
impreziositi da nuovi stili pittorici che spaziano dal trompe-l’oail al surrealismo. Ma pur
essendo contaminati da influenze diverse il
loro linguaggio rimane semplice e diretto per
agevolare la comunicazione e la comprensione di ciò che l’artista vuole esprimere e per
cogliere l’essenza vera del messaggio.
I murales possono essere definiti frammenti
di vita e memoria, passando con grande
disinvoltura dai colorati racconti di vita quotidiana a raffigurazioni di eventi e lotte. Oggi
l’unico limite delle opere è rappresentato dal
tempo e dalla scarsa tutela, perciò molti di
questi sono andati perduti in seguito alle
opere di ristrutturazione degli edifici, ma in
particolar modo all’azione degli agenti atmosferici. Alcuni fortunatamente sono stati
restaurati, altri però stanno completamente
scomparendo. Si dovrebbe fare di più per salvaguardare un bene, che pur nella sua semplicità non è più monopolio di una sola comunità ma di chiunque ne apprezzi il suo valore,
non solo artistico ma anche culturale.
Oggi Orgosolo conta più di 250 murales che
hanno fatto del paese una vera e propria pinacoteca all’aperto. I murales sono uno dei tanti
esempi delle ricchezze, culturali e ambientali,
della nostra terra.
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Gastronomia
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B
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Le fave
tra superstizione e tradizione
1
Da vicina, convici-
na: una sostanza
tossica contenuta
nelle fave.
2
Da cotenna, detta
anche crosta de
lardu.
3
Da Maccus, ma-
schera della commedia antica latina o
meglio dell’atellana,
farsa popolare diffusa nel mondo latino
fino al I sec. d.C.,
nella quale si adoperava, data l’origine
campana, il dialetto
osco; il termine indicava il babbeo, il
mangione.
Fonti “I legumi
alimenti plastici ed
energetici”.
Istituto Nazionale
della nutrizione,
1992.
E. Paratore “Storia
della letteratura latina”. Sansoni editore.
Baccelli di non
più di 7-9 cm
84
e fave, dal latino faba, appartengono alla
famiglia delle leguminose; il termine con
cui vengono catalogate scientificamente
1
è Vicia faba . Crescono su piante erbacee
annuali dal busto eretto che producono fiori
bianchi: da questi si sviluppano i baccelli che
contengono i semi verdi.
È stata comprovata l’antichità di questa pianta che risale all’epoca del bronzo e del ferro;
addirittura pare che siano stati i primi legumi
consumati dall’uomo, perché non necessitano di essere cucinati per poter essere mangiati.
Originaria della Persia e dell’Africa settentrionale si è diffusa in Italia, soprattutto nelle
regioni del centro e del sud; attualmente è
coltivata in diverse varietà e con semi di differente grandezza e colore.
Legate a questa leguminosa sono sorte molte
leggende e create nel tempo, numerosissime
variazioni gastronomiche. A riprova della sua
grande diffusione, a Venezia esiste ancora la
denominazione di calle della fava; è molto
nota in Sardegna, a Sassari e provincia, ed
anche nel resto dell’isola; nei tempi passati
ad Oristano tra le classi abbienti vi era l’abitudine di distribuire, in occasione delle festività
di San Giuseppe, considerevoli quantità di
fave alle famiglie più indigenti.
A Sassari, quando i semi sono ancora piccoli
e teneri, vengono consumati freschi (crudi),
accompagnati da formaggio pecorino o da
ricotta salata oppure lessati, conditi con
abbondante olio d’oliva e insaporiti con aglio
e prezzemolo tritato, oppure ancora, con soffritto di cipolla e pancetta e profumati da
foglioline di menta o accompagnati da cicoria
e finocchietto selvatico.
Nel sassarese il piatto più diffuso e apprezza-
L
to è la Favata, dall’alto valore nutrizionale e
dal gusto particolarissimo, eseguita con fave
secche, cotte dopo parecchie ore di ammollo.
A questo proposito, si deve precisare che nel
periodo di carnevale si svolge a Sassari ed in
provincia una ricerca accurata di fave “di buon
cotto” come si usa dire, ossia di buona cottura, requisito essenziale per la riuscita di questo
piatto: se infatti le fave non fossero tali, difficilmente diventerebbero morbide al punto giusto ma non sfatte, così come richiede la puntigliosa tradizione dei veri intenditori.
Per la realizzazione di questa pietanza, le fave
vengono cotte con acqua, lardo, abbondante
finocchietto, foglie di cavolo, cipolla, aglio e
prezzemolo, trito di pomodori rossi essiccati
al sole e conservati a questo scopo, olio d’olive ed inoltre carne di maiale: dalla polpa, alla
2
costole, agli zampini, alla testa ed al corzolu .
È possibile gustare questo piatto in tantissime località della Sardegna, ma esso apparirà
sempre diverso e unico, caratterizzato da
maggiore o minore intensità, più povero o
più ricco a seconda che si privilegino le verdure o le carni.
Curiosità
Quando ad Atene, in Senato, si doveva deliberare sulle varie questioni, gli interventi
venivano prima scritti, poi letti ad alta voce
ed infine si procedeva ai voti usando delle
fave nere o bianche: se il numero delle fave
bianche superava quello delle nere, il progetto di legge era confermato; veniva respinto,
se il numero di quelle nere era maggiore.
Presso i Greci comunque, le fave non godevano di ottima fama perché ad esse erano legate molte superstizioni, si pensava infatti che
dentro le fave si nascondessero la anime dei
defunti. Anche presso i Romani vi erano molti
pregiudizi al riguardo: in occasione di alcune
festività sacre le fave, in segno di buon augurio, venivano buttate sulla folla, ma finita la
cerimonia, il legume diventava ancora impuro
e questo perché come i Greci, anche i Romani
consideravano le fave cibo dei defunti.
Questa credenza però non impediva che
durante la dinastia Giulio Claudia nel I sec.
d.C., un noto esperto di gozzoviglie, M. Gavio
Apicio, in un formulario di cucina pervenutoci,
scrivesse molte ricette a base di fave, ricette di
gran moda e tenute in grande considerazione.
Spesso le fave secche venivano macinate e la
farina prodotta, usata per panificare o per
3
ricavare una specie di polenta, il maccus .
Anche presso la casta sacerdotale egiziana le
fave, per lo stesso motivo, continuità tra vita
e morte, erano oggetto di forti tabù.
Successivamente la cultura della fava, prima
diffusa per il suo alto rendimento, diminuì
progressivamente e scomparve sia dalle tavole dei ricchi che da quelle dei poveri, divenendo foraggio per gli animali. Nella seconda
parte del Novecento, il rilancio della cucina
regionale “povera” di grassi e “ricca” di fibre,
di proteine e carboidrati, porta ad una ripresa in grande stile favorendo la diffusione di
ricette che associavano legumi a pasta, pane
e riso fornendo una miscela proteica di alto
valore biologico. Ma del resto, già gli antichi
popoli mediterranei, quelli dell’America precolombiana, della Cina e del sud-est asiatico,
avevano verificato che l’associazione tra legumi ed una anche minima quantità di sostanza
grassa vegetale o animale poteva realizzare
un “pasto completo” come si direbbe oggi,
capace di surrogare la mancanza di carne.
Lasciando, per finire, le considerazioni di ordi-
ne scientifico e storico bisogna riconoscere
che i piatti tradizionali della cucina mediterranea sia che usino fave o altri legumi, con i
loro semplici condimenti a base di carni bovine o suine e con le innumerevoli varietà di
erbe e profumi, creano un panorama di sapori equilibrati, di incredibili armoniosità e
gustosità.
FACCIAMO RIVIVERE UN VECCHIO PIATTO:
fAVETTE ALLA MANIERA ANTICA
Caratteristiche: Per questo semplice e gustoso piatto, molto in uso nei tempi passati, si devono adoperare i baccelli appena spuntati, quando cioè misurano non più di 7-9 cm. Questa non deve apparire un’eccentricità se
non addirittura uno spreco: era infatti proprio delle famiglie contadine, sfruttare quando possibile, i prodotti della terra nei vari
momenti della vita vegetativa, di qui la necessità di “sacrificare”,
con un piatto peraltro ottimo, questo prodotto non ancora arrivato a piena maturazione.
Ingredienti: 500gr. di piccoli baccelli di fave; 3-4 patate di media
grandezza; olio; acqua; passata di pomodoro. Odori: barbe di
finocchietto selvatico, foglioline di menta e di prezzemolo, cipolla,
aglio, sale fino, acqua.
La ricetta: Si lavano rapidamente i baccelli, si scolano bene e si spezzettano con le mani. In poco olio di
oliva si soffriggono leggermente due spicchi di aglio che si tolgono prima che prendano colore, un trito
finissimo di cipolla, barbe di finocchietto selvatico e foglioline di prezzemolo. Al soffritto appena dorato
si uniscono i baccelli che si fanno rosolare una decina di minuti a fuoco basso. Si uniscono poi le patate
sbucciate e tagliate a tocchetti ed una tazza di acqua calda e salata nella quale sia stata sciolta una cucchiaiata di passata di pomodoro. Se necessario, si “aggiusta” ancora di sale e si fa cuocere per circa un’ora
a fuoco basso, rimestando con un cucchiaio di legno; non appena il liquido si raddensa e le patate diventano morbide si rifinisce con foglioline di menta tagliuzzate con le forbici e si decora con foglioline intere. Si mangia caldo.
85
VELA
L ATINA
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Campionato Nazionale
LE REGATE DI VELA LATINA
di Vela Latina 2004.
Una Partenza spettacolare. Quest’anno a
D
A destra La Feluca statunitense Nuovo
Mondo, proveniente da
San Francisco, ha partecipato lo scorso anno
a Stintino alla ventiduesima edizione della
Regata della Vela
Latina. L’edizione 2005
si disputa nelle acque
stintinesi dal 26 al 28
d’agosto.
urante la stagione estiva sono numerosissime le regate riservate ad
imbarcazioni armate a vela latina che
si disputano in Sardegna, da tutti considerata
la terra del rinascimento di questo straordinario armo velico, motore un tempo delle
imbarcazioni da pesca e da piccolo cabotaggio dell’intero bacino mediterraneo. A dare il
via alle tante manifestazione è la sezione
Golfo dell’Asinara della Lega Navale che, dal
2 al 5 giugno organizza, nell’ordine la regata
“Il Postalino” a Porto Torres, seguita dalla
manifestazione cultural-filatelica “Il Viaggio
del Postale”, con trasferta da Porto Torres a
Stintino, e ancora, nelle acque stintinesi la
regata ”Sulla Rotta dei Tonni”. Il 25 e il 26 giugno prende il via a Calasetta la prima regata
in calendario per l’Aivel, l’associazione di
classe riconosciuta dalla Federazione Italiana
Vela, con la prima prova del campionato
zonale. In concomitanza, ancora a Porto
Torres, organizzata dalla locale Asso.Ve.La. si
tiene la “IVª bordeggiata a vela latina”, anche
questa nell’arco di due giornate. Subito a
seguire, a Carloforte, uno degli appuntamenti
di maggior interesse della stagione, il
Campionato Nazionale di Vela Latina, che si
svolgerà dal 29 giugno al 3 di luglio. Il 10
Luglio si torna nel nord Sardegna per “Il
Postalino” parte seconda che prevede una
regata-trasferimento da Stintino a Cala Reale,
sull’isola dell’Asinara, per poi fare ritorno a
Stintino, dal 26 al 28
Stintino. La domenica successiva, 17 di luglio,
un’altra regata di trasferimento, organizzata
dall’Asso.Ve.La., da Porto Torres a Stintino.
Ancora una concomitanza con il Sulcis, dove,
nell’arco di due giornate, il 16 e 17 luglio, a
cura del Windsurfing Vela Club Portoscuso si
disputa la Rotta delle Tonnare. Il 23 e 24
d’agosto, si terrà la
prima edizione del
Campionato del
Mediterraneo.
A sinistra: La splendida
lancetta Aurora regata
nelle acque di
Carloforte in occasione
dell’edizione 2004 della
Vinetta Cup. Quest’anno Carloforte, dal 29/6
al 3/7, ospiterà il
Campionato Nazionale
di Vela Latina.
L’imbarcazione stinti-
Una splendida immagine del veliero olbiese
Terranoa, durante una
regata con vento forte
nelle acque algheresi.
Edizione 2004 della
Regata di Sant’Elm.
luglio, ad Alghero, seconda prova del campionato zonale, manifestazione dello Yacht
Club Alghero. Il 30 e il 31 di luglio si torna al
sud, a Sant’Antioco, con il Trofeo Presidente
Regione Sardegna, organizzata dall’Ass.
Marinai d’Italia. Quindi il 14 agosto a
Carloforte il Trofeo Giuseppe Covacivich, in
ricordo di un grande appassionato della vela
latina recentemente scomparso. Il 17 e 18
agosto terza prova del campionato zonale a
Bosa, organizzata dal Circolo Nautico Bosa. Il
20 e 21 agosto, sotto l’egida della Lega
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Navale di Alghero, si disputa la tradizionale
Regata di Sant’Elm. Quindi si arriva al clou
della stagione con le due concomitanti manifestazioni stintinesi, il Campionato del
Mediterra-neo, regata internazionale in calendario ISAF, la federazione internazionale della
vela, organizzata dal Circo-lo Nautico Torres,
e la 23^ Regata Vela Latina-Trofeo Presidente
della Repub-blica, organizzata dallo Yacht
Club Sassari. Entrambe le manifestazioni si
tengono negli stessi giorni, il 26 e il 28 di agosto. Il 10 Settembre, sempre a Stintino, organizzata dalla LNI Golfo dell’Asinara, la
“Regata dei 45” da Stintino a Cala d’Oliva. Il
24 e il 25 settembre, a cura del Circolo
Nautico Olbia quarta ed ultima prova del
campionato zonale di vela latina. Quindi si
passa al mese conclusivo con il Trofeo
Peppino Ferrando e la Vinetta Cup a
Carloforte il 1 ed il 2 ottobre, la manifestazione Vele Latine a Porto Rotondo l’8 e il 9 del
mese, curata dallo Yacht Club Porto Rotondo,
per chiudere con la “Vendemmia Cup”, il 16
di Ottobre a Porto Torres, manifestazione conclusiva della ricca stagione turritana e dell’affollata stagione isolana. Ventuno regate nell’arco di quattro
mesi e mezzo.
Più
di
una
manifestazione
per ogni fine
settimana.
nese Anna impegnata
in una bolina stretta
durante il primo
Campionato Nazionale
di Vela Latina, disputato lo scorso anno a
Stintino.
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cultura
e
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A
storia
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IL MACHIAVELLI
L
a storia del Machiavelli, bilancella carlofortina di dieci metri miracolosamente
giunta sino a nostri giorni, comincia
nell’Isola di San Pietro nel lontano 1869. In
quell’anno il mastro d’ascia Giuseppe Biggio
“du Gastordi”, all’epoca 37enne, varò l’imbarcazione, battezzandola col nome dell’illustre fiorentino per un motivo di natura strettamente venale: una legge del Regno d’Italia
prevedeva, infatti, un contributo economico a
favore di coloro che assegnavano il nome
d’italiani eminenti ad un’imbarcazione.
Il Machiavelli nacque di quercia e di pino
d’Aleppo, essenze disponibili sulle due isole
sulcitane di San Pietro, dove sorge Carloforte,
e di Sant’Antioco. Chiglia e dritti di poppa e di
prua di robusta quercia, coperta e fasciame
del più leggero e duttile pino mediorientale,
ormai diffuso in tutto il bacino mediterraneo,
come anche oggi testimoniano le colline di
San Pietro. Anche l’albero, di dieci metri d’altezza, la lunga antenna di quattordici, ed il
bompresso furono realizzati con legno di
pino. Vele di lino. Di chi abbia commissionato
la nuova bilancella nulla sappiamo.
L’imbarcazione risulta registrata al n° 169 dei
Registri Navali (RRNN) di Cagliari a nome di
Maria Luxorio vedova Biggio: al tempo però
accadeva spesso che il titolare del cantiere
costruttore fosse registrato come primo proprietario. Sappiamo invece dell’uso per cui fu
costruita: fare trasporto del minerale di piombo, la cosiddetta “galanza”, dalle vicine
miniere di Masua, Irgurtosu, Gennamari,
Nebida ed altre, tutte poste sulla terra ferma.
Dalle miniere il materiale veniva portato a
Carloforte, porto sicuro per i grandi bastimenti, provenienti dalla penisola, che trasportavano poi il minerale alla destinazione finale. I
marinai che si occupavano del trasporto del
minerale dalle miniere al porto di Carloforte
erano chiamati “galanzieri”. L’utilizzo delle
piccole bilancelle, tutte rigorosamente armate
a vela latina, era reso necessario dalla conformazione costiera delle zone minerarie.
L’unico modo per caricare il minerale era
quello di accostarsi il più possibile alle spiagge aperte, raggiungere la battigia per mezzo
di lunghe e strette tavole e, con l’ausilio di
ceste, portare a bordo la preziosa, se non
nobile, “galanza”. Le barche venivano stivate
all’inverosimile, a volte anche oltre la sicurezza, e non sono mancati i casi di perdite d’imbarcazioni e di vite umane lungo quel tratto di
88
costa che può diventare tutto ad un tratto infido per via del maestrale.
Questo era il traffico commerciale cui fu destinato il Machiavelli, figlio nobile di quella tradizione cantieristica, nata sull’isola sin dal
1738, anno d’inizio della colonizzazione dell’isola di San Pietro da parte di un nucleo di
famiglie di pescatori, originarie di Pegli, provenienti da Tabarka, in Tunisia. Fondata
Carloforte, i tabarkini continuarono la loro
attività di pescatori e corallari, importando
anche l’attività cantieristica navale. Questa
però raggiunse il suo massimo sviluppo con
l’inizio dell’attività estrattiva delle miniere e la
conseguente necessità del trasporto del
materiale estratto. La bilancella, o battello, la
prima tipologia costruttiva autenticamente
carlofortina, che molto ricorda il leudo di
Liguria, nasce proprio per soddisfare queste
esigenze. Intanto navigava il Machiavelli ed
oltre a trasportare la “galanza” dalle coste
vicine, si diede anche al traffico di terraglie
dalla lontana isola di Malta. Fu la prima
imbarcazione carlofortina a raggiungere l’isola, impresa non di poco conto per una bilancella di 12 tonnellate, di soli 10 metri di lunghezza. Il Machiavelli fu quindi acquistato da
un mugnaio, noto “Serafinu u mugnà”, il
quale le mutò il nome, ribattezzandola
“Battista figlio” e la adibì al trasporto del
grano. Ne ritroviamo tracce negli anni prece-
denti il secondo conflitto mondiale quando,
comandata da Serafino D’Amico, usava trasportare materiali per l’edilizia da e per
Sant’Antioco. Molto probabilmente fu in quel
periodo che sull’imbarcazione fu montato un
motore: svedese, marca Bolinderis, tipo W3M-15. Nel 1964 il nostro Macchiavelli passa
ancora di mano e muta nome, viene chiamata “Testuggine”, e subisce dei cambiamenti
importanti ad opera dei nuovi proprietari, tali
Livio Marceddu e Mario Poddine. Il glorioso
armo latino viene sostituito da una velatura di
tipo marconi, nasce una grande tuga con le
sue cabine, e la Macchiavelli-Testuggine
diventa una barca da diporto. Dal 1985 al 1987
altro passaggio: diventano armatori Luciano
Carboni e Salvatore Uggias, che continuano
ad usarla come panfilo. Nell’87 viene venduta
ad Arturo Cappellini, sempre col nome di
“Testuggine”, che ne rimane proprietario sino
al Novembre 2004. Oggi il Machiavelli” è in
fase di ristrutturazione a Porto Torres presso il
cantiere
“Costruzioni
Navali
Golfo
dell’Asinara” dei fratelli Di Meglio. È il più
antico battello carlofortino sopravvissuto di
quella grande flotta che, già prima della
Grande Guerra, superava le 250 unità. Quasi
tutte quelle imbarcazioni sono andate perdute. Per quanto a nostra conoscenza attualmente sono soltanto tre le imbarcazioni provenienti da quella flotta che navigano ancora:
il “Ruggero II”, del 1893, che si trova a
Carloforte, il “Maria”, del 1895, di stanza a La
Maddalena, e il “Miriella”, del 1898, anch’essa a La Maddalena. Il “Machiavelli”, con i suoi
136 anni, è quindi destinato a diventare la più
antica imbarcazione a vela latina della
Sardegna, probabilmente anche dell’Italia
intera. Un patrimonio nautico e culturale
d’inestimabile valore. Il “Machiavelli”, allora
“Testuggine” è stato rintracciato, non senza
difficoltà, da Vincenzo Ginatempo, l’attuale
armatore, nel porto di Torre Grande, presso
Oristano, mentre cercava la bilancella
“Battista Figlio”. Questa barca, presente sino
alla fine degli anni ‘40 a Carloforte, era poi
stata venduta e trasferita a Cagliari. La
“Testuggine”, nonostante fosse radicalmente
mutata d’aspetto a causa delle sovrastrutture
aggiunte col tempo, conservava le tipiche
linee costruttive carlofortine. Il dubbio che
potesse non essere il “Battista Figlio”, ma
un’altra bilancella sopravvissuta è stato fugato dalle ricerche effettuate sui Registri Navali,
che hanno confermato che si trattava della
stessa barca. L’intenzione dell’armatore è
quello di riportare il “Machiavelli” al suo iniziale splendore, dando luogo ad un opera di
restauro che ne rispetti, quanto più possibile,
forme, materiali e
armo originari. Per
questo è stata avviata, a Carloforte, una
ricerca storica ed
iconografica, avvalendosi di vecchie
foto, progetti originari d’imbarcazioni
analoghe, traendo
spunti e consigli dai
mastri d’ascia locali,
in special modo da
Tonino Sanna, grande esperto di questa
tipologia d’imbarcazioni. Le prime operazioni sono state
quelle dello smantellamento delle parti
aggiunte nel corso
degli anni (tuga, cabine, cuccette, bagno)
e della bruciatura ed
asportazione dei vari strati di vernice che erano
stati sovrapposti sulle tavole del fasciame.
Sono stati quindi individuati i vari tipi di legno
utilizzati e se n’é assaggiato lo stato di salute.
Purtroppo la situazione generale è risultata
più grave di quanto ci si aspettasse, e gli
interventi necessari al completo restauro interesseranno gran parte dell’imbarcazione.
Un’operazione costosa e lunga, ma certamente giustificata dalla necessità, e dalla soddisfazione, di recuperare un bene di valenza
storica, unico in termini d’età, linee costruttive e trascorsi. La più antica bilancella esistente solcherà presto il mare, partecipando a
regate di vela latina e raduni d’imbarcazioni
d’epoca. Il varo è previsto per la fine di giugno. Il “Machiavelli” sarà presente, con tutta
probabilità, a Stintino, in occasione del
Campionato del Mediterraneo di Vela Latina,
organizzato dal Circolo Nautico Torres, che si
terrà dal 26 al 28 agosto 2005. La manifestazione, che si svolgerà sotto l’egida della
Federazione Italiana Vela, è inserita nel calendario I.S.A.F., la Federazione Internazionale di
Vela. Un evento che si annuncia di sicuro interesse, sia dal punto di vista agonistico, ma
anche in quanto opportunità di promozione
del territorio e valorizzazione delle tradizioni
locali. La presenza del “Machiavelli” a
Stintino è d’obbligo. Informazioni sullo svolgimento del Campionato del Mediterraneo e
sul ricco programma d’eventi collaterali sono
disponibili sul sito o prendendo contatto con
la Segreteria Organizzativa: 3cento60°
Marketing e Comunicazione - tel. 079.2857562
89
cultura E STORIA
D I
G
I U L I A
F
O N N E S U
CAGLIARI “UNDERGROUND”
a città di Cagliari offre un interessante
viaggio attraverso le sue numerosissime
strutture sotterranee: un intrico di cisterne, cunicoli, anfratti si snoda sotto la sua
superficie, offrendo testimonianze relative a
un amplissimo periodo storico.
In particolare lo studio delle cisterne permette di ricostruire la storia della città: l’antica
Karales non era provvista di fontane o sorgenti naturali, e la costruzione delle cisterne
seguì l’andamento urbano, dall’VIII sec. a.C.
col periodo Fenicio Punico, al periodo romano, pisano, aragonese e spagnolo, fino ai
giorni nostri. Sono numerose le cisterne scavate in periodo punico, per la ricerca e la
custodia dell’acqua. Esistono in questo periodo due tipologie differenti: - le più diffuse
sono quelle di piccole dimensioni, scavate per
una profondità non superiore ai sei metri,
smaltate, provviste di canalette per convogliare all’interno le acque, con una capienza di
circa 25 metri cubi; esse avevano la funzione
di serbatoi per nuclei o piccoli gruppi familiari. - I cisternoni, di notevoli dimensioni, erano
invece destinati a soddisfare un’utenza più
ampia e strutture di carattere pubblico.
Gli insediamenti relativi a questo periodo si
concentravano tra la necropoli di Tuvixeddu e
il viale Fra Ignazio: il degradare della collina
verso il mare costituiva la condizione essenziale per costruire dei serbatoi, all’interno dei
quali l’acqua era convogliata in canalette, scavate nella roccia, che raccoglievano le acque
piovane. La cisterna cartaginese più importante, notevole per le dimensioni e l’ottimo
stato di conservazione, è situata sotto l’antico
Orto dei Cappuccini, in un’area oggi occupata
dalla Casa di riposo degli anziani, in viale Fra
Ignazio. Vi si accede tramite alcuni gradini
scavati nella roccia e si può percorrere per
circa 45 metri di lunghezza e una trentina di
L
Cagliari, il bastione di
Saint Remy.
I giardini pubblici.
90
metri di larghezza; le pareti sono alte 7-8
metri. Una galleria di epoca romana la collega all’Anfiteatro Romano. Nell’Orto Botanico
si trovano altre importanti cisterne di periodo
punico, almeno una cinquantina; altre cisterne, anche limitrofe alla strada, si incontrano
in via Bainsizza, in via Trento e in via Is
Maglias. Sono numerose le cisterne che in
Castello testimoniano la frequentazione della
zona da parte dei Punici: nella Cittadella dei
Musei, in una delle sale destinate all’esposizione, è stata evidenziata con illuminazione
interna una cisterna di dimensioni classiche,
che ben ci illustra le forme di questi manufatti. In periodo romano la zona di Piazza del
Carmine, viale Trieste e altre zone limitrofe
ospitò un insediamento di circa 20 mila persone; fu quindi necessario attrezzare la zona con
opere che potessero soddisfare l’approvvigionamento idrico, non solo per i privati, ma
soprattutto per le terme e i bagni pubblici.
Le opere in sotterraneo della città di Cagliari
più importanti sono da attribuire a questo
periodo. I Romani riutilizzarono le precedenti
cisterne di periodo fenicio e portarono avanti
grandi opere di canalizzazione.
Le cisterne fenice furono tutte modificate,
sfondando parte del fondo per portare l’acqua
in un’altra cisterna verso un più profondo
pozzo situato a valle; la singola cisterna punica diventò quindi un serbatoio d’alimentazione per una seconda cisterna, riutilizzata o
costruita in periodo romano. In questo perio-
do furono ricercate anche falde sotterranee:
nell’Orto Botanico un cisternone, il Libarium,
risulta ancora oggi fornito di abbondante
acqua di falda; esso era utilizzato in occasione
di spettacoli nel vicino anfiteatro.
L’opera di canalizzazione più imponente portata avanti dai Romani fu la costruzione dell’acquedotto, distrutto probabilmente dai
Vandali. In periodo pisano il Castello assume
la struttura urbanistica che ancora oggi mantiene. Risalgono a questo periodo e al successivo periodo spagnolo nuove e profonde
opere di scavo, per il prelievo di grandi quantità d’acqua da falde sotterranee.
Ogni palazzo fu anche dotato di piccole cisterne per uso privato, impermeabilizzate, costruite per convogliare le acque piovane dai tetti.
Sotto i palazzi si trovavano anche le cisterne
relative alle stalle, in muratura, parzialmente
scavate nella roccia. Nel Palazzo Amat si apre
una grande cisterna di periodo pisano, completamente scavata nella roccia, profonda 120
m; questa funzionava, fino agli inizi del secolo scorso, a trazione animale.
Nel 1825 Carlo Boyl progettò un’opera di
razionalizzazione dell’impianto: tutte le strutture furono interrate e convogliate in una condotta che portava l’acqua nella zona attualmente occupata dal palazzo Azara, presso il
bastione di Santa Croce. All’interno del palazzo è ancora presente una lapide in marmo che
ricorda l’evento. Altre cisterne si trovano in
edifici della via Corte d’Appello e della via dei
Genovesi. Tutte rispecchiano gli stessi schemi
di costruzione: scavo nella roccia profondo da
3 a 6 metri; piccole dimensioni; presenza di
tubi impermeabilizzati, che portavano le
acque piovane direttamente dai tetti.
Erano accessibili mediante un condotto verticale in muratura, largo circa 60 cm. e comunicavano tramite una piccola apertura con le
soprastanti abitazioni. Potevano servire abitazioni dislocate su piani diversi: ogni abitazione aveva, al posto del rubinetto, l’accesso alla
cisterna privata tramite un secchio, che veniva calato con una funicella per essere riempito ed era alloggiato in una nicchia all’interno
del condotto. in diversi scantinati, dove alloggiavano anche i cavalli, si trovavano anche tre
cisterne, per servire appartamenti diversi o
per assicurare una maggiore fornitura d’acqua. Alcune erano accessibili da un unico
condotto per tutti i palazzi, altre avevano
diversi condotti. La piccola cisterna presente
in un muro della sacrestia della Chiesetta di
Santa Lucia, quasi nascosta in via Martini, ci
illumina meglio sul funzionamento delle
cisterne. Sono circa seicento le cisterne presenti nel quartiere. Successivamente le tecni-
che si evolvono, con lo scavo di grandi pozzi
non più di raccolta delle acque esterne, ma
per la ricerca di una falda acquifera sufficiente a soddisfare i bisogni della popolazione,
con un uso prevalentemente pubblico. A queste si affiancavano numerose altre cisterne
sempre adibite a contenitori come quelle
puniche, ma con alcune novità sostanziali:
non è più il declivio naturale della roccia a
convogliare le acque, ma una struttura artificiale che dai tetti delle abitazioni permette di
riempire questi contenitori.
Oltre al serbatoio scavato e impermeabilizzato è presente una parte in muratura per il passaggio dei secchi di raccolta, e sia nella
costruzione in muratura che nella volta della
cisterna si trovano tubi in terracotta per l’immissione delle acque. Il fabbisogno familiare
o di più famiglie, così come l’abbeveraggio
degli animali, era assicurato; in alcuni
ambienti si trovano, oltre alle cisterne, anche
le mangiatoie per i cavalli, gli anelli per assicurarli e gli abbeveratoi.
Cagliari, i Bastioni.
Cagliari, panoramica
del Castello.
91
MANIFESTAZIONI
D I
S
E R G I O
C
A S A N O
MEDITERRANEO
A
E
VELIERI
fine estate Cagliari farà un passo
indietro nel tempo di oltre un secolo
o forse più, quando le banchine del
porto della via Roma ospitavano antichi bastimenti a vela che incrementavano i traffici nel
Mediterraneo. Dal 22 al 26 settembre, il capoluogo isolano ospiterà il raduno “Mediterraneo e velieri”, che negli scorsi anni si è
svolto nei paesi del Nord Europa. Brigantini,
golette, navi a palo armate di vele quadre e
auliche, provenienti da dodici paesi, alcuni
dei quali molto lontani, come Indonesia e
India, invaderanno il porto della città, quello
che si affaccia su Marina, uno dei quattro
quartieri storici del capoluogo. La maggior
parte sono navi scuola civili e militari che
svolgono principalmente un’attività di crociera e di addestramento degli allievi che si
apprestano ad imparare le regole basilari dell’andar per mare. Una manifestazione ricca di
fascino e magia, il raduno delle antiche marinerie, che approda a Cagliari grazie
all’Associazione “Amici dei velieri”, un sodalizio fondato appena sei anni fa e composto
da una sessantina di soci, tutti con un denominatore comune: la passione per il mare e i
velieri: “Riuscire a far approdare a Cagliari il
raduno - spiega Pierpaolo Del Rio, presidente
dell’Associazione Amici dei velieri - non è
stato facile, ci sono voluti diversi anni, durante i quali sono stati stabiliti contatti con ambasciate di diversi paesi, che hanno avuto sempre una grande tradizione nel campo dei
velieri. Prima di poter realizzare il nostro progetto abbiamo partecipato ad alcuni raduni
internazionali. Il primo è stato nel 2000 a
Brest, in Bretagna, poi è seguita la conferenza
di Anversa, in Belgio, dove la nostra associazione è stata presente con un proprio stand e
ha proposto la città quale rotta del
Mediterraneo e sede di raduno di velieri. Nel
2003 l’associazione è stata poi a Rouen, in
Francia, dove ha partecipato al raduno internazionale “Armada de Rouen”.
Grazie a questi incessanti contatti con alcuni
paesi europei, l’associazione in questi ultimi
tre anni è riuscita a far approdare a Cagliari i
primi velieri, che con i loro equipaggi hanno
iniziato a conoscere il capoluogo e familiarizzare con la cittadinanza. Si calcola che non
meno di trentamila visitatori siano saliti a
bordo richiamati dal fascino e dalla maestosità delle navi. Il primo veliero a gettare l’ancora nel molo della via Roma è stato il
92
Khersones, una nave scuola della Marina
ucraina. Tre alberi, 108 metri di lunghezza
fuori tutto, quasi tremila metri quadrati di
superficie velica, scafo in ferro con poppa
tronca dove spicca la scritta in caratteri cirillici color oro, la nave ucraina è abbastanza giovane ma nonostante sia stata costruita appena quindici anni fa conserva il fascino dei vecchi velieri, dal momento che le manovre vengono fatte manualmente. È giunta in città con
a bordo centodieci persone, tra le quali quaranta cadetti, provenienti da una lunga crociera che ha fatto tappa nei più importanti porti
del Mediterraneo. A Cagliari il veliero è stato
preso d’assalto dalla cittadinanza che lo ha
potuto visitare per alcuni giorni. Un entusiasmo ripagato dagli uomini del Khersones (il
suo nome è legato ad una regione
dell’Ucraina) che dopo un anno hanno reinserito la tappa cagliaritana nel diario di bordo.
Ma il Khersones è stato solo un primo assaggio: un mese dopo, ad ormeggiare nel porto
del capoluogo è stato il Sedov. Lunga centoventotto metri, larga sedici, seimila tonnellate
di stazza, quattromiladuecento metri quadri di
superficie velica, il Sedov è il veliero più grande del mondo. È nato come nave mercantile
ed è stato varato a Kiell, in Germania, nel
1921. Ha navigato per oltre vent’anni nelle
rotte tra l’Australia e il Sud America fino alla
fine della seconda guerra mondiale, durante
la quale riparò nel Mar Nero e fu requisita
dall’Unione Sovietica, che la trasformò in
nave riservata all’addestramento degli ufficiali della Marina. Attualmente ospita 170 cadetti dell’Università di Murmansk e quaranta tra
ufficiali e docenti. Un equipaggio eterogeneo,
quello del Sedov, che ha allestito una sorta di
mercatino sulla banchina lungo il bordo della
nave, dove sono stati messi in vendita i carat-
teristici oggetti dell’artigianato russo. Anche
in quest’occasione la nave è stata presa d’assalto da tantissimi appassionati che a bordo
hanno potuto visitare un museo dove, attraverso vecchie immagini in bianco e nero,
viene raccontata la storia del veliero. L’ultimo
è stato il Pogoria, un brigantino polacco
costruito nei cantieri di Gdynia, che aveva a
bordo una sorta di college navigante, composto da ventidue ragazze e venti ragazzi di
diverse nazionalità: svedese, polacca, francese, inglese e tedesca.
Ora, dopo le prime visite dei bastimenti a
vela, Cagliari si appresta ad assomigliare a
Stoccolma o Copenaghen, dove non fa sensazione vedere ormeggiati velieri provenienti da
tutto il mondo. Al “Mediterraneo e velieri” in
programma a fine settembre è prevista la presenza di una quindicina di navi provenienti
dai paesi più lontani, come l’Indonesia, da
dove ha già salpato, per far rotta verso la
Sardegna, la nave scuola Dewaruci. Diverse,
comunque, le regine del mare che prenderanno parte alla grande kermesse che avrà come
base logistica il porto di Cagliari tra la vecchia
darsena e il molo Ichnusa, dove verrà allestito il villaggio del Mediterraneo. Tra le più interessanti il Mir, veliero russo gemello del
Khersones, il francese Belem, che qualche
lustro fa potenziava la flotta della Marina italiana sotto il nome di Giorgio Cini, e il
Tarangini della Marina indiana. Alla festa del
mare dei velieri ci sarà anche la nave scuola
italiana Amerigo Vespucci, varata nel lontano
1931. Durante i quattro giorni del raduno i
visitatori della manifestazione potranno
anche prenotare una crociera su alcuni velieri, che salperanno per San Pietroburgo,
Cadice,
Barcellona,
Nizza,
Taormina,
Rotterdam e Montecarlo. La manifestazione è
ricca di eventi collaterali, che avranno come
tema il mare e le antiche marinerie del
mondo. I velieri prima di lasciare Cagliari si
esibiranno a vele spiegate in una sorta di
parata di fronte alla spiaggia del Poetto,
dando l’arrivederci alla città, che si propone di
ospitare i velieri con cadenza biennale.
PROGRAMMA DELLA MANIFESTAZIONE
Giovedì 22 Settembre 2005
ore 8,00
Arrivo a Cagliari dei velieri
partecipanti
ore 10,00-19,00 Visita ai velieri
Venerdì 23 Settembre 2005
ore 10,00-19,00 Visita ai velieri
ore 12,00
Cocktail di benvenuto
ore 20,00
Serata musicale al
Villaggio Mediterraneo
Sabato 24 Settembre 2005
ore 10,00-19,00 Visita ai velieri
ore 15,00
Gare di abilità
degli equipaggi
ore 18,00
Sfilata degli equipaggi
in via Roma e dintorni
ore 21,00
Serata musicale al
Villaggio Mediterraneo
Domenica 25 Settembre 2005
ore 10,00-19,00 Visita ai velieri
ore 20,00
Serata musicale al
Villaggio Mediterraneo
ore 22,00
Spettacolo pirotecnico
al Porto
Lunedì 26 Settembre 2005
ore 12,00
Parata dei velieri
nel Golfo di Cagliari
93
ITINERARI
D I
ARCHEOLOGICI
M
A R C O
A
G O S T I N O
A
MONUMENTI
F
DEL TERRITORIO DI
ondata dai Punici nel IV secolo e probabilmente diventata municipium dopo la
conquista romana, Olbia, così come
anche il suo territorio, costituiscono un privilegiato “laboratorio” di ricerca per l’archeologia della Sardegna, grazie alla ricchissima
quantità di attestazioni monumentali ed agli
studi ed attività di scavo archeologico che da
oltre un secolo sono loro rivolti. Se nomi
come quelli di Pietro Tamponi, Doro Levi e
Dionigi Panedda hanno fatto la storia dell’archeologia locale, oggi sono gli operatori della
Soprintendenza Archeologica per le Province
di Sassari e Nuoro i nuovi protagonisti di
un’indefessa attività di scavo protratta da
quasi venticinque anni con risultati di straordinaria importanza, quali lo scavo del porto
antico condotto da Rubens D’Oriano, che ha
portato al rinvenimento di ben 24 relitti di
navi romane e medievali.
Se la maggior parte degli innumerevoli reperti olbiesi confluirà nell’ultimata, avveniristica
struttura del Museo Archeologico Comunale
che attende solo di essere arredato ed allestito, esiste anche un museo a cielo aperto nel
territorio circostante alla città, ed alcuni dei
più importanti monumenti archeologici sono
adesso gestiti e visitabili per il periodo primaverile ed estivo grazie all’interessamento
dell’Assessorato alla Cultura del Comune di
Olbia. I più noti sono il pozzo sacro di Sa Testa
ed il complesso nuragico di Riu Mulinu o
Interno Tomba dei
giganti.
Pozzo sacro nuragico
di Sa Testa.
94
GESTIONE SITI ARCHEOLOGICI
M U C A N O
OLBIA
Cabu Abbas. Il primo, visitabile nei pressi del
porto industriale della città, fu messo in luce
da Doro Levi nel 1938, e restaurato da Ercole
Contu nel 1969, e costituisce l’esempio di
pozzo sacro nuragico meglio conservato dell’intera Gallura. Si osservano infatti un ampio
cortile, grosso modo circolare, delimitato ai
lati da una panchina e pavimentato in lastre
irregolari di scisto, quindi il vestibolo e la
lunga scala, composta da 17 gradini che conducono alla sorgente perenne, e superiormente coperta da una sequenza di architravi
monolitici digradanti. Lungo complessivamente m 17,5, il monumento venne realizzato
in blocchi irregolari di granito e scisto, mentre
i numerosi materiali trovati nel corso degli
scavi non sono mai stati pubblicati integralmente, ma sappiamo dai reperti che a partire
dall’Età del Bronzo medio il culto delle acque
perdurò con vivacità in età punica per esaurir-
si nell’età romana primo-imperiale. Di straordinaria importanza il ritrovamento di una statuetta votiva in legno di ginepro oggi ritenuto
uno xoanon (ossia letteralmente “statua di
legno”, in lingua greca) risalente alla fine
della prima metà del VI secolo a. C., di probabile provenienza greco-orientale, e che nel
suggerire affascinati rapporti fra Punici e
Greci sembra confortare l’ipotesi di un non
meglio definibile insediamento greco nel territorio già nel VI secolo a. C.
Non molto distante è il nuraghe di Cabu
Abbas o Riu Mulinu, databile attorno all’Età
del Bronzo recente (1300-1200 a. C.), anch’esso scavato da Doro Levi nello stesso periodo.
Costituito da un grande recinto anulare che
circonda la vetta dell’altura, sulla cui sommità
è posto il nuraghe monotorre vero e proprio, il
complesso si segnala - oltre che per questo
inusuale grande recinto - anche per le dimensioni “miniaturistiche“ del nuraghe, e pure per
il grandioso panorama che vi si gode.
Sempre dell’età nuragica è la nota “tomba di
giganti” di Monte ‘e S’Abe, la più grande
della Sardegna coi suoi oltre 28 metri di lunghezza. Le tombe di giganti - sepolture collettive in uso dal 1500 al 1100 a. C. circa - sono
così chiamate per l’antica credenza popolare
dovuta alle loro notevoli dimensioni, come
per le pietre che le compongono. Preceduto
da un’ampia esedra di lastroni infissi verticalmente nel terreno, il corridoio, che costituiva
lo spazio di deposizione, si sviluppa per quasi
14 metri di lunghezza, ricoperto da una
sequenza di lastroni architravali affiancati.
Nello scavo degli anni ‘60 si rinvennero vasi
di terracotta ed un pugnale di bronzo.
A poca distanza, lungo la strada per Loiri, è
visitabile la fattoria romana de S’Imbalconadu
(II sec. a. C.), complesso archeologico scavato
negli Anni Novanta, costituito da un recinto
esterno a pianta quadrangolare ed una corte
interna al cui centro è la base di una casatorre. Durante gli scavi vennero scoperti dei
vani per la vinificazione e la panificazione. La
casa-torre trova stretti confronti con analoghi
edifici di età romana, rinvenuti nella parte
meridionale della Penisola Iberica, dalla
Betica alla Lusitania.
Poco più a nord della città, in località Sa
Rughitta, è visitabile ciò che resta dell’acquedotto romano e dell’annessa grande cisterna
di fine II secolo d. C. Costituisce il tratto monumentale meglio conservato dell’antico acquedotto che riforniva la città nella piena età imperiale. Insieme alla fattoria romana di
S’Imbalconadu questo è l’unico monumento
d’età romana visitabile per tutta la Sardegna
nord-orientale, fatta eccezione per le cave
Via Barcellona, 149 • 07026 OLBIA
Tel. +39 340 8119340 • 340 8119341
Sito web: www.iolao.it
e-mail: [email protected]
La Cooperativa IOLAO si occupa delle attività di controllo, manutenzione e gestione delle principali
aree archeologiche presenti nel territorio comunale di
Olbia. Il servizio di gestione e l’accompagnamento si svolgono nel periodo compreso tra il mese di maggio e metà
ottobre, mentre durante gli altri mesi e nei giorni festivi la
visita dei siti avviene dietro prenotazione.
La visita guidata con archeologo di uno o più monumenti
avviene dietro prenotazione, e per un numero minimo di
cinque visitatori.
La Cooperativa gestisce i seguenti siti archeologici:
Pozzo sacro di “Sa Testa”
Nuraghe di “Riu Mulinu”
Tomba dei Giganti di “Su Monte ‘e S’Abe”
Acquedotto romano di “Sa Rughitta”
Fattoria romana di “S’Imbalconadu”
Oltre a queste attività, la IOLAO opera in diversi ambiti di
intervento:
•Ideazione ed organizzazione di mostre, convegni e
seminari
•Progetti editoriali di supporto (cataloghi, guide, opuscoli)
finalizzate alla conoscenza ed alla valorizzazione del
patrimonio storico, architettonico ed archeologico
•Percorsi didattici per scuole e turisti
•Progettazione di realizzazione di itinerari archeologiconaturalistici nel territorio
romane di Capo Testa, presso S. Teresa
Gallura. La grande cisterna romana posta negli
immediati pressi, ora visitabile al suo interno
dopo lo scavo degli Anni Novanta, era di pertinenza di una fattoria scomparsa e non dell’acquedotto come comunemente si pensa.
Tutti i monumenti qui elencati sono gestiti
dalla Cooperativa Iolao per conto del Comune
di Olbia, e visitabili dalle ore alle ore:
9.30 – 13.00 / 16.00 – 19.30.
Nuraghe di Riu Mulinu.
95
TRADIZIONI
D I
C
MARINARE
AT E R I N A
S
AT TA
Un nuovo gozzo dei
A PORTO TORRES
fratelli Polese appena
varato.
I VELIERI DEI FRATELLI
Alcune foto storiche
della famiglia Polese
POLESE
I
l maestro d’ascia non è solo un mestiere
originale in via di estinzione ma è anche
soprattutto un’arte e una grande passione.
Infatti, intagliare il legno e modellarlo fino ad
ottenere un’imbarcazione richiede un lavoro
lungo e certosino che, malgrado l’estrema
specializzazione degli intagliatori, fa sudare
ma non arricchisce. Se in passato il legno era
l’unico materiale utilizzato dalla nautica, in
tempi moderni, l’impiego di materiali alternativi come il vetroresina, nonché forme di progettazione computerizzate, ha progressivamente contribuito al lento declino della professione. Il mercato dei natanti inoltre non
aiuta. Comprare una barca in legno, sebbene
di indiscutibile fascino e bellezza, è costoso e
poco pratico. Bisogna essere degli amatori
del genere per superare i disagi dovuti alla
incessante richiesta di manutenzione dello
scafo. Oggi in Sardegna, tra i pochissimi maestri d’ascia in attività, si devono citare i fratelli Alessandro e Gianni Polese di Porto Torres.
La famiglia Polese conta ben 5 generazioni di
maestri d’ascia, dal 1850 ad oggi. Iniziò il trisnonno che emigrò in Sardegna insieme ad
altri pescatori di Torre del Greco. Da allora,
prima ad Alghero e poi a Porto Torres, il
mestiere si è tramandato senza pause di
padre in figlio consolidando la lunga tradizione familiare. Pasqualino, padre di Alessandro
e di Gianni, ci racconta com’era il mestiere
quando, 50 anni fa, ci si recava di persona alla
ricerca dei migliori rami di querce, ginepri,
ulivi dalle forme curve adatte alla lavorazione
per poi trasformarli, da anonimi pezzi amorfi,
in legni con anima e identità. Oggi il “timone”
è passato ai figli Alessandro e Gianni che, sin
da ragazzi, nei pomeriggi rubati alla loro grande passione per la musica, hanno appreso un
mestiere antico di secoli. Nonostante gli odori
della banchina nella zona industriale di Porto
Torres siano acri e spesso rendano l’aria
quasi irrespirabile, e anche quando le condizioni meteorologiche sono avverse, i due fratelli lavorano a ritmo serrato. Si impegnano
duramente anche per realizzare il loro sogno
nel cassetto: la costruzione di un gozzo da
esporre al salone Nautico di Genova, magari
già per il prossimo autunno. E così, fin dalle
prime ore del giorno, è facile sentire, se ci si
trova nei dintorni del cantiere, la pialla che
leviga il legno e il martello che assembla i
pezzi migliori. Tutto sotto l’egida di papà
Pasqualino che, nonostante i suoi 72 anni
conserva intatto il suo entusiasmo. Molti dei
velieri più belli in navigazione, sono stati
varati dal cantiere Polese dagli avi Giovanni e
nonno Antonio, quest’ultimo realizzatore
della “mitica” Sant’Elena, il gioiello a cui tut96
tora si ispirano i nipoti Alessandro e Gianni. È
visibile in cantiere e nonostante sia stata più
volte rimaneggiata per restituirle l’antica foggia, vanta ancora i chiodi originali: simbolo di
una tradizione che rischia seriamente di
scomparire.
97
A
ll’interno della rubrica guida vacanze troverete i numeri utili per organizzare i
vostri soggiorni in Sardegna. Tutte le informazioni e gli
indirizzi delle attività turistiche dell’isola, complete e
a portata di mano per programmare e scegliere dove
trascorrere dei giorni indimenticabili.
v a c a n z e
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(Nei prossimi numeri di Mare Nostrum inseriremo
delle nuove categorie e completeremo gli elenchi
degli indirizzi)
Agriturismo
Alberghi e residence
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Campeggi e ostelli
charter
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Immobiliari e case
noleggio auto e moto
ristoranti e pizzerie
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99
g u i d a
v a c a n z e
l’isola di Sardegna
S
i n t r o d u z i o n e
e per un attimo ci si discosta dalla figura geografica classica che relega la Sardegna su un lato defilato dell’Italia, se si prende invece in
mano una cartina fisica dell’Europa (senza confini politici) e si riosserva l’isola, ci si accorge di come sorga nel bel mezzo del Mediterraneo, vicino all’Europa ed all’Africa, affacciata sull’Italia ma anche sulla Francia e
sulla Spagna. A questo punto si può iniziare a capire l’isola, la sua geografia, la sua storia ed i suoi popoli, da sempre al centro delle vicende
Europee. Oggi la Sardegna è famosa per le spiagge, l’ambiente incontaminato ed il buon cibo, la stessa situazione era valida per gli uomini primitivi, che nell’isola trovarono i materiali adatti per fabbricare armi, selvaggina
a sufficienza per sfamarsi ed un luogo ideale per rifugiarsi, grazie alla presenza di grotte e ripari sotto roccia. Da allora la Sardegna non è mai stata
abbandonata dall’uomo, che vi ha scavato le famose domus de janas (piccole necropoli nella roccia), innalzato centinaia di menhir e dolmen,
costruito templi ed altari megalitici. I nuraghi sono solo le costruzioni più
recenti della preistoria sarda, il culmine della società e non l’inizio della
vita sull’isola, come volevano invece alcune superficiali analisi del passato.
100
Cabras
g u i d a
v a c a n z e
Di seguito su questo lembo di terra si sono succeduti i più grandi imperi mediterranei, come quello
fenicio, quello punico e quello romano e dopo la breve parentesi vandala fu il turno di quello bizantino, fino al periodo di autogoverno conosciuto come la gloriosa età giudicale. A tutto questo viavai
di conquistatori i sardi non assistettero passivamente, ma opposero una resistenza mai debellata, riparandosi dietro i bastioni delle impervie montagne. A riprova di questa resistenza c’è il toponimo
Barbaria, affibbiato dai romani alle zone più impervie, chiamate come i regni esterni all’impero, con
la piccola differenza che queste erano nel suo cuore. La Sardegna, su una superficie di 24.090 Km2,
ha un solo lago naturale, tutti i maggiori fiumi hanno carattere torrentizio ed è battuta quasi costantemente dal maestrale, che palesa il suo impeto nei bizzarri alberi che fungono da bussola, nella loro
crescita angolata verso sud-est. Per ovviare a questa situazione, nell’ultimo secolo si è dato il via a
numerose opere di sbarramento dei principali corsi d’acqua, creando dei vasti laghi che hanno favorito la nascita di centri abitati e modificato l’economia. Seppure nell’isola ci siano delle brevi parentesi minerarie e industriali, i suoi capisaldi economici sono sempre stati l’agricoltura e la pastorizia.
Da questi ne è derivato un prolifico settore artigianale, che solo ultimamente è stato scoperto dal
mondo esterno, dando il via ad un’attivissima esportazione. Ma ovunque si vada nell’isola si respira
che la nuova tendenza economica va tutta per il turismo ambientale, per la valorizzazione del territorio, delle tradizioni e dei prodotti locali, generati da quella Sardegna millenaria che un tempo veniva
considerata come un grossolano residuo di un’era arcaica, mentre oggi è indiscutibilmente ritenuta lo
scrigno di bellezze senza tempo.
Superficie
24089 Kmq ca. isole comprese
Popolazione 1.651.888
Province
Cagliari, Sassari, Nuoro, Gallura, Ogliastra,
Sulcis, Medio Campidano, Oristano
Coste: 1.850 Km
i n t r o d u z i o n e
Informazioni Generali:
E.S.I.T. Ente Sardo Industrie Turistiche
Cagliari Tel. 070.60231
102
Enti Provinciali Turismo:
Cagliari Tel. 070.651698
Sassari Tel. 079.299544
Nuoro Tel. 0784.30083
Oristano Tel. 0783.74191
Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo
Alghero Tel. 079.974881
Arzachena Tel. 0789.81090
Cagliari Tel. 070.664195
La Maddalena Tel. 0789.736321
Olbia Tel. 0789.21453
Palau Tel. 0789.709570
Santa Teresa di Gallura
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Sassari Tel. 079.233534
Unione Sarda Albergatori
Cagliari Tel. 070.288370
I.S.O.L.A Istituto Sardo Organizzazione
Lavoro Artigianato
Tel. 070.400707
Numeri Utili
Carabinieri 112
Polizia 113
Vigili del fuoco 115
Oristano,
Tharros
Corpo forestale 1678.65065
Guardia Costiera 167.090090
Soccorso Stradale 116
Soccorso Alpino 070.728163-0784.31070
Come Arrivare
Linee Aeree
Alitalia Aeroporto di Elmas
(CA) Tel. 070.240079
Volare Airlines
Aeroporto di Elmas (Ca) 070.2128263
Meridiana
Olbia Aeroporto Costa Smeralda
Tel. 079.52637
Cagliari Aeroporto di Elmas
Tel. 070.240169
AirOne prenotazioni
Tel. 848 848 880
Alghero Aeroporto di Fertilia
Tel. 079/974747
Collegamenti Marittimi
Tirrenia
Olbia (SS) viale Isola Bianca Tel. 0789.24691
Cagliari (CA) via Campidano Tel. 070.654664
Porto Torres (SS) Stazione Marittima
Tel. 079.514107
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Piombino per Olbia e Cagliari e viceversa
Olbia Tel. 0789.21411
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