L'ULTIMA GRANDE CORSA Romanzo d i D ANI EL LE THOMAS T RA DU Z I O N E D I L I D IA P E RR I A LONGANESI & C MILANO P R O P R I E T À L E T T E R A R I A R I S E R V A T A Longanesi & C. © 2001 - 20122 Milano, corso Italia. 13 Il nostro indirizzo internet è: www.longanesi.it ISBN 88-304-1890-0 Titolo originale A Far Distant Place Visita vww.lnfiniteStorie.it il grande portale del romanzo Copyright © Danielle Thomas 2000 First published 2000 by Macmillan an imprint of Macmillan Publishers Ltd. London La più straordinaria gara di slitte al mondo si svolge su un percorso di quasi duemila chilometri in Alaska, da Anchorage a Nome, sul mare di Bering, e si chiama Iditarod, la «mille miglia dei ghiacci». È una sfida alla natura impervia dell'Artico, nella quale i migliori musher (i «conduttori di slitta») si affrontano dopo mesi di preparativi estenuanti. Ispirata alla « grande corsa del siero», compiuta nel 1925 per trasportare il vaccino necessario a salvare la popolazione locale da un'epidemia di difterite, l'iditarod è «l'ultima grande corsa», un duello tra l'uomo e l'ambiente basato su regole antiche, che le moderne tecnologie sembrano aver cancellato. Ma è anche un'occasione unica, per gli inupiat - i nativi -, di rivendicare le loro radici etniche e culturali. Ed è un'occasione unica soprattutto per Natû, figlia del cacciatore inupiat Trapper Jack. Pur orgogliosa della sua terra, la giovane donna ha infatti scelto di adottare uno stile di vita «moderno », legandosi a Bud, un americano, e lavorando con lui nel bacino petrolifero della baia di Prudhoe. Alla morte dell'adorata nonna, però, Natû non può più mentire alla sua anima e al suo sangue, che la spingono irresistibilmente a riabbracciare le tradizioni, e decide di correre l'Iditarod come rappresentante del popolo inupiat. E Bud, innamorato di Natû e del suo Paese, sceglie di stare al suo fianco in quell'avventura. I due si ritroveranno a competere con lo stesso Trapper Jack, e dovranno affrontare, oltre ai rischi mortali della durissima prova, anche le manovre di alcuni concorrenti determinati a vincere con ogni mezzo. Così, sullo sfondo del paesaggio maestoso e spietato dell'Alaska - con il gelo letale dello Yukon, i venti devastanti delle colline Topkok, i ghiacci insidiosi della banchisa polare -, si consumerà una lotta terribile, in cui un manipolo di uomini e donne indomabili sfideranno la stanchezza, la paura e le allucinazioni nate dal freddo e dalla mancanza di sonno, potendo contare soltanto sui loro splendidi husky: il forte e saggio Sockeye, la coraggiosa Vega, il remissivo Clarke e la feroce Shark... Ed è proprio questo il significato dell'«ultima grande corsa»: la possibilità di confrontarsi con la natura, di entrare in contatto con essa e di poterne trarre le emozioni più intense e indimenticabili. Perché l'Iditarod è l'inferno e il paradiso. È meravigliosa e spaventosa. Ed è unica. D ANIELLE T HOMAS, nata nello Zambia da genitori inglesi, dopo aver svolto per quindici anni l'attività di insegnante, lavorò a fianco del marito, Wilbur Smith, per il quale compì innumerevoli ricerche per i suoi romanzi. Longanesi ha pubblicato: I figli del buio, Voci nel vento, Grido di silenzio (disponibili in edizione TEA) e Al ritmo dei tamburi. L'ULTIMA GRANDE CORSA Il percorso dell'Iditarod Anni dispari 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Anchorage Eagle River Wasilla Knik Yentna Skwentna Finger Lake Rainy Pass Rohn 10 11 12 13 14a 15a 16a 17a 18a Nikolai McGrath Takotna Ophir Iditarod Shageluk Anvik Grayline Eagle Island 19 20 21 22 23 24 25 26 27 Kaltag Unalakleet Shaktoolik Koyuk Elim Golovin White Mountain Safety Nome Anni pari 14a Cripple 15a Sulatna Crossing 16a Ruby 17a Galena 18a Nulato QUESTO libro ha per me un significato tutto speciale, forse per le circostanze che ne hanno accompagnato la stesura, o perché le ricerche preparatorie sono state tanto piacevoli, o per queste e cento altre ragioni. E dedicato a mio marito, Wilbur Smith. Proseguiamo il cammino, amore mio, mano nella mano, a fianco a fianco, e possa continuare sempre così. E inoltre è dedicato a mia nipote, Shannon Smith, una giovane donna affettuosa e straordinaria che, con abilità e dedizione, ha battuto a macchina due dei miei manoscritti. PROLOGO ERA inverno e sul North Slope, la terra degli inupiat, il sole non avrebbe superato la linea dell'orizzonte ancora per sessantasei giorni. L'alba era già passata da qualche ora, benché il cielo fosse nero come a mezzanotte. Un gruppetto di eschimesi, avvolti nei voluminosi parka in pelle di caribù, era assiepato intorno a una donna che aveva il volto segnato dalle intemperie, rugoso come i pezzi di legno che la corrente sospingeva sulle spiagge in estate. La donna vacillava ogni volta che le raffiche di vento la investivano, insinuandosi attraverso i varchi aperti nel circolo di uomini che l'attorniava. Il pelo di ghiottone che orlava il cappuccio degli eschimesi era appiattito dal vento. I componenti del gruppo si scambiavano poche parole, a voce bassa e roca. Socchiudevano gli occhi nel tentativo di penetrare oltre quella cortina di oscurità, scrutando senza posa la desolata pianura bianca che si apriva dalla terraferma fino alla distesa di ghiacci del mar di Beaufort. Sotto la coltre bianca che livellava tutto, riuscivano a intuire il profilo dell'isola di Pingkok, la barriera che separava la laguna di Simpson dal mare aperto, ricoperto dalla banchisa. La laguna si stendeva per oltre sei chilometri, costellata di grumi e correnti di ghiaccio che la facevano somigliare a una porzione di dentifricio strizzata dal tubo senza eccessiva cura. La conoscevano bene, visto che di solito, in quella laguna riparata, il disgelo cominciava con un mese di anticipo, il che significava che gli uomini potevano andare a caccia delle oche e delle anatre che si posavano sulle acque libere durante la migrazione. Gli eschimesi riportarono lo sguardo sulla donna quando uno di loro si staccò dal cerchio per avvicinarsi a lei. Il vento s'incanalò subito nell'apertura, sibilando nel tentativo di strappare agli uomini il parka e rovesciare i cappucci foderati di pelo. Si strinsero l'uno all'altro per chiudere il varco, facendo forza per resistere alla violenza delle raffiche. « È giusto così », disse Trapper Jack, rincalzando bene il cappuccio della giacca sulla testa della vecchia. Quelle parole fecero tacere il brusio. Trapper, robusto e piccolo di statura, era uno dei leader più rispettati della comunità, per cui nessuno si sentiva di sfidare il suo prestigio. Pur continuando a fare il cacciatore per mantenersi, era un uomo colto, letterato e poeta, un vanto per la comunità degli inupiat. « È la sua volontà. La decisione che i nostri anziani hanno sempre preso. Fa parte della nostra cultura tradizionale. » « Una cultura che al mondo appare barbara », brontolò un giovane che ora lavorava nel bacino petrolifero del North Slope, tirando più avanti il cappuccio come per nascondere il viso agli occhi di Trapper. « Coloro che sono decisi a distruggere il pianeta che dà loro la vita non hanno diritto di erigersi a giudici », tuonò Trapper Jack, assalito da una collera improvvisa. Lanciò un'occhiata a oriente, dove, nelle giornate limpide, si scorgevano delle nubi nere, il segno rivelatore delle torce accese nei campi petroliferi del North Slope. Con un volo di fantasia, le considerava segni di lutto per Natû, sua figlia, che aveva seguito l'uomo di cui era innamorata, andando a vivere e lavorare nel bacino petrolifero della baia di Prudhoe. « Io dico che Oline ha il diritto di scegliere in che modo morire», ribadì con fermezza Trapper; aveva un atteggiamento protettivo nei confronti di quella donna, la stessa che lo aveva aiutato ad allevare la figlia dopo che sua moglie era morta di parto. Il giovane distolse lo sguardo, imbarazzato. Trapper Jack passò un braccio sulle spalle della vecchia, con delicatezza. Lei tremava al punto che gli parve di tenere tra le mani un gabbiano minuscolo ed ebbe paura che, se avesse stretto troppo, quelle fragili ossa si sarebbero sbriciolate. « Non ha la forza di lottare contro il vento per attraversare la laguna e raggiungere Pingkok », obiettò qualcun altro. « Perché non resta qui? » « Noi inupiat andiamo a caccia e viviamo laggiù da oltre cinquecento anni », ringhiò Trapper. « Pingkok ci appartiene fin da quando il primo inupiat ha calcato il suolo di questa terra. » Rafforzò la stretta sulle spalle di Oline, che si appoggiava a lui. «Suo padre e suo marito sono stati grandi cacciatori, e lei desidera onorarli raggiungendo Pingkok. Ora basta con le discussioni. Mettiamoci in cammino e rispettiamo i suoi desideri. » Gli uomini le si avvicinarono istintivamente, come per proteggerla e rinviare l'esecuzione. « È giunto il momento », confermò lei, con un filo di voce che si udiva appena al di sopra del sibilare del vento. Gli uomini attraversarono lentamente la laguna ghiacciata, con andatura rigida, per raggiungere il punto in cui sapevano che si trovava l'isola. Fu un viaggio interminabile, quello verso la « Terra che sorge oltre il cumulo di ghiaccio»: questo infatti era il nome che i primi cacciatori inupiat avevano dato a quella zona. Infine raggiunsero la lunga duna di sabbia, ora coperta di neve, che proteggeva l'isola dalle tempeste del mar di Beaufort. Il viso della vecchia divenne subito radioso, come se riconoscesse d'istinto la terra nascosta sotto quel lenzuolo candido. Staccandosi dal cerchio di uomini e zoppicando a fatica verso la duna, si lasciò cadere sulla neve: le gambe si piegarono sotto di lei come se fosse un uccellino morto che piomba al suolo. « Questo è il mio posto », decretò, alzando gli occhi verso Trapper Jack. Il suo sorriso lasciò scoperti i denti logorati dalle ore trascorse a masticare pelli di animale per ammorbidirle. Trapper Jack si asciugò gli occhi con un gesto brusco. C'era stato un tempo in cui tutte le donne inupiat di una certa età avevano denti come quelli, ma ormai era insolito trovare una seguace della tradizione. Si sentì sommergere dall'affetto per la vecchia e per quello che intendeva fare. «È ora», disse lei con un altro sorriso, tirando l'allacciatura del parka per aprirlo. «Prendilo per Natû. È meglio di quello che ha comprato all'emporio. » Con tenerezza, Trapper le sfilò dalle spalle la giacca in pelle di caribù, e subito il fragile corpo della vecchia, investito dal vento, fu scosso da un tremito. Lei chinò la testa in avanti e fremette, come un'anatra appesa a frollare nell'accampamento di un cacciatore. Trapper Jack si chinò per parlarle all'orecchio, ma lei non si mosse e non diede segno di averlo riconosciuto. Gli altri, tutti uomini bassi di statura ma di stazza poderosa, voltarono le spalle per allontanarsi. I più giovani salirono a bordo di gatti della neve, e ben presto l'aria fu satura dei loro gas di scappamento, mentre il rombo dei motori sopraffaceva lo stridulo ululato del vento. Trapper Jack fece una smorfia, seguendo con lo sguardo due di quei mezzi che si dirigevano verso i giacimenti petroliferi del North Slope, sessantacinque chilometri a est. I cingoli affondavano nella fragile vegetazione della tundra, danneggiandola. Lui voltò le spalle al vento e alla vecchia, dirigendosi verso il punto in cui aveva lasciato la slitta trainata dalla muta. Gli husky, più lupi che cani, accolsero il suo ritorno con uggiolii e guaiti. Come i lupi, erano nati per correre, e tirarono le redini mentre lui allentava l'ancora infissa nella neve che impediva loro di balzare in avanti, trascinandosi dietro la slitta. « Giù, Sockeye », tuonò, quando il cane di testa tentò di andargli incontro. Poi si lasciò sfuggire un sospiro, districando i finimenti aggrovigliati e riportando l'ordine tra gli animali. Soffocò l'impulso di voltarsi a guardare. La vecchia doveva poter conservare la propria dignità. Trapper sapeva che era dotata di quinuitug, della pazienza propria della gente dell'Artico. Avrebbe atteso. Speriamo che il freddo sopisca le emozioni, pensò, placando la kappia. L'apprensione per quello che l'aspetta non sarà tanto oscura e terribile se l'ipotermia avrà già assopito i sensi. La vecchia udì il rombo dei gatti della neve e l'ululato dei cani, ma chiuse gli occhi. Era di nuovo giovane, con due figli piccoli, e viveva sull'isola di Pingkok mentre il marito e gli altri uomini andavano a caccia di oche e anatre nella laguna, catturando trote e beluga. Rammentava la gioia che dilagava nel campo quando gli uomini avvistavano le balene della Groenlandia dirette verso lo stretto di Bering, o trovavano un branco di caribù. Ricordava l'odore acre della carne di balena messa a seccare sulle rastrelliere. Ricordava bene le brevi estati artiche in cui, seduta su un ceppo, scuoiava le foche tagliandone la carne a pezzetti, orgogliosa di riuscire a smembrare una carcassa intera senza frantumarne un solo osso. Era felice, di nuovo giovane e forte, ora che stava per tornare nella terra degli avi. Aveva scelto lei in che modo andare a raggiungerli. Tutt'intorno, l'isola di Pingkok era cosparsa di fiori estivi e risuonava di canti di uccelli e ronzii d'insetti. Gli sciami di zanzare e di moscerini che si posavano sulle carni scoperte e sulla carne messa a seccare erano soltanto un ricordo lontano. Oline sorrise dentro di sé. Sul ghiaccio polare, un orso maschio che andava a caccia puntò lentamente verso il rilievo formato dall'isola di Pingkok. Le zampe anteriori si muovevano ondulando da una parte all'altra, con i piedi enormi rivolti all'interno come se fossero disarticolati. Avanzando, l'orso polare emetteva un gemito sommesso, un canto mesto e solitario. Quella regione bianca e desolata era il suo territorio. L'animale si soffermò a ispezionare una crepa nel ghiaccio, poi sbadigliò, scoprendo la lingua grigia, spessa e flaccida nella caverna viola della bocca. I lunghi canini bianchi e i molari taglienti rivelavano che l'animale era un carnivoro. D'inverno, mentre l'orso bruno va in letargo, l'orso polare si avventura sulla piatta distesa di ghiaccio, a caccia. D'un tratto la bestia, che sfiorava i quattrocentocinquanta chili di peso, alzò il naso per fiutare il vento. Percepì il lieve odore nauseabondo di un essere umano, l'unico predatore dal quale si tenesse alla larga; d'altra parte il timore che provava nei confronti degli uomini non le impediva di cacciare anche loro, se era divorata dalla fame. Deviando leggermente in direzione est, sollevò il lungo collo sinuoso per fiutare l'aria gelida. Seguiva la pista con abilità. Nella stagione fredda si accontentava di poco, ma erano già alcuni giorni che non mangiava, e aveva fame. Si avvicinò al rilievo con cautela, restando immobile per lunghi istanti, mimetizzandosi fino a scomparire nel paesaggio spoglio. Le orme, lunghe oltre trenta centimetri, venivano cancellate quasi subito dalla neve, appena sollevava la zampa dal terreno. Per essere un animale che può stordire un beluga con un solo colpo e scagliare in aria una foca di centotrenta chili, l'orso polare si muoveva con grazia incredibile. Superò la pendenza senza sforzo apparente, quasi scivolando sul terreno; poi, una volta in cima, si fermò per ispezionare il lato sottovento. L'odore era intenso. Si appiattì sulla neve per scrutare il terreno in fondo al pendio. La sua attenzione fu attirata da un movimento, lieve come il vento che si muoveva tra i peli di guardia del mantello, già eretti. Scivolò lungo il pendio in discesa, attento a cogliere la presenza di altri animali a due zampe; ma c'era soltanto la piccola figura accovacciata di fronte a lui. Il freddo intenso aveva abbassato in fretta la temperatura corporea della vecchia. Il suo metabolismo era rallentato al punto che respirava appena, ma era pur sempre un'inupiat, assuefatta a condizioni climatiche estreme e a un genere di vita che avrebbe messo a dura prova, o addirittura ucciso, un'europea. La sua gente aveva imparato a rispettare la terra e ad assecondarla. Certo, temeva la spaventosa potenza della natura, ma non tentava di combatterla. Avvertendo la presenza di una creatura vivente, la vecchia aprì gli occhi, e vide un cumulo di neve avvicinarsi lentamente. « Nanuq », disse piano. « Sei venuto. » Chiuse gli occhi, lasciandosi sopraffare dall'ilira, la trepidazione per ciò che stava per avvenire. D'improvviso avvertì nelle narici il fiato caldo e acre dell'orso. Scorgendo quel corpo enorme che giganteggiava su di lei, Oline attese di sentire i denti affondare nelle sue carni. « Nonno Nanuq », sussurrò, schiudendo appena le labbra screpolate. 1 TRAPPER amava e nel contempo temeva quella terra aspra, ma non poteva immaginare di vivere lontano dalla costa settentrionale dell'Alaska. Laggiù il vento soffia sferzante dal Polo Nord, flagellando in modo spietato la tundra artica e abbassando la temperatura a cinque gradi sotto zero. Se al freddo rigido si somma la forza del vento, si ottiene un pericoloso fattore di raffreddamento che può far calare la temperatura a meno cinquanta. La terra diventa allora un incubo oscuro e terrificante, nel quale giganteschi cunei di ghiaccio marino si spaccano e si sovrappongono nell'Artico. La banchisa si estende fino al largo, al punto che soltanto il colore nero della nebbia all'orizzonte indica la presenza di acque libere. Gli inupiat che vivono su quella costa, affacciata sul mar di Beaufort e sul mar dei Ciukci, sperimentano la paura e il perlerorneg, la cupa depressione che induce alcuni di loro a tagliarsi le vesti e la gola con il coltello. Spesso la morte è più clemente dell'oscurità apparentemente interminabile e del freddo così intenso da stordire. Eppure per Trapper Jack rappresentava la casa natia. « Via! » gridò. Si sarebbe detto che i cani volassero sulla neve, sentendo avvicinarsi il villaggio di Barrow. «Sockeye!» gridò Trapper Jack al cane di testa, che reagì al suo tono di voce rallentando la velocità. I cani aggirarono la periferia del villaggio senza forzare troppo l'andatura, e Trapper arrestò la corsa della muta davanti alla sua casa che, come la maggior parte delle costruzioni, in quel luogo, poggiava sbilenca sul permafrost. Nella terra ghiacciata non è possibile scavare fondamenta, per cui gli edifici sembravano sorgere in precario equilibrio, come un castello di carte costruito in gran fretta. Trapper offrì a tutti i cani un pezzo di pesce secco, mentre Sockeye riceveva una fetta di carne di castoro essiccata. Riservava un trattamento di favore al cane di testa, quello che Casey aveva chiamato Sockeye. A Casey, Trapper si era affezionato da quando Natû, la sua unica figlia, aveva lasciato Barrow per i giacimenti petroliferi, andando a vivere con il suo innamorato che faceva il trivellatore nei pozzi. Casey amava i cani ed era una sciatrice eccellente. Aveva completato le brevi gare di slitte che consentivano a un musher, a un conduttore di slitta, d'iscriversi alla massacrante competizione chiamata Iditarod, lunga quasi duemila chilometri, da Anchorage a Nome, sul mar di Bering. Trapper aveva riposto in lei grandi speranze. Invece Casey, che era di origine inglese, con una tenue traccia di sangue eschimese, aveva sposato Hank, un amico di Trapper che lavorava come guida per i pescatori, e i due si erano stabiliti nello Yorkhire, dove lei aveva dato alla luce due gemelli e, qualche anno dopo, una bambina. Fino alla nascita dei figli Trapper aveva sperato che Casey restasse a Barrow con Hank, diventando più inupiat che inglese, perché lei sembrava dotata di una comprensione e di un amore smisurato per i nativi. Hank e Casey continuavano a tornare ogni anno a Barrow, in estate, ma ormai Casey sembrava più interessata ai figli che alla cultura inupiat e all'addestramento dei cani da slitta. I figli di Casey invece avevano imparato in fretta le usanze della tribù e presto si erano entusiasmati davanti alle mille leggende che Trapper raccontava. Anche se avevano già raggiunto la ventina, superando l'età in cui si apprezzano certe storie, i giovani restavano ancora seduti ad ascoltarlo, affascinati dai suoi racconti. Trapper sorrise tra sé, pensando ai figliocci. Come li amava! Tra poco sarebbe venuta l'estate e i ragazzi sarebbero tornati, approfittando delle vacanze, per andare di nuovo a caccia con lui. Scott e Patrick avevano già portato a termine le prime gare di corsa con i cani su distanze brevi. Non appena erano stati abbastanza grandi, Casey aveva insegnato loro a sciare, e Trapper aveva permesso loro di controllare le trappole appena avevano avuto la forza di guidare i cani e la slitta. I due erano abili musher. Patrick, che era il maggiore dei gemelli Butler per una sola ora di scarto, era un ragazzo forte e ben piantato, che provava un'autentica gioia nel misurarsi con gli elementi. Era un beniamino dei cacciatori, perché non tradiva la minima paura e sembrava aver ereditato la pazienza instancabile dei cacciatori inupiat. Quando poteva trascorrere l'inverno con Trapper, era lui a occuparsi delle trappole. Indossava il costume tradizionale degli inupiat ed era in grado di correre accanto ai cani per ore. Patrick sembrava un clone del padre, Hank. Superavano entrambi il metro e ottanta di statura. I suoi capelli erano di un rosso più cupo di quello di Hank, ma aveva i suoi stessi occhi verdi, screziati di castano. Anche il fratello Scott era alto e robusto, ma aveva un'ossatura più delicata di Patrick. Mostrava un amore incredibile per l'Alaska e per la cultura dei suoi abitanti. Gli occhi erano dello stesso colore castano della madre, mentre i capelli erano striati di ciocche di un cupo color ambra come la barba del padre. Era un ragazzo gentile, dal sorriso pronto e attraente. Savannah, la sorella, era la «piccola di casa». I ragazzi le volevano bene, ma non capivano come potesse preferire l'inquinamento e il frastuono di Londra alla pace e all'aria pulita dell'Alaska. Era una ragazza indipendente, decisa a lavorare nel campo della grafica, e di solito trascorreva l'estate in Inghilterra. Amava l'affollamento e il frastuono della metropoli e detestava quasi tutto dell'Alaska, dagli insetti che perlustravano ogni centimetro quadrato di pelle esposta ai cani che ululavano e le saltavano addosso con le zampe infangate. La famiglia non era riuscita a indurla a visitare Barrow d'inverno, quindi la lasciavano a Londra dai nonni. A volte restava con lei anche Casey, e le due donne andavano all'opera e assistevano a tutti gli spettacoli che la città poteva offrire. Casey era felice che i figli maschi amassero la natura selvaggia e la libertà che potevano trovare in Alaska, permettendo loro di trascorrere gran parte del tempo libero con Trapper, quindi non era stato difficile ai ragazzi convincere i genitori a iscriverli all'università dell'Alaska, a Fairbanks. I giovani Butler stavano per completare il secondo anno: Patrick doveva laurearsi in ingegneria, e Scott in geologia. In quel momento erano sul ghiaccio, a caccia di foche. Patrick sedeva immobile con la lenza in mano, aspettando che la testa lucida di una foca emergesse dall'acqua nera, mentre Scott era irrequieto. «Che cosa progetti di fare, una volta ottenuta la laurea? » domandò sottovoce al fratello. «Probabilmente andrò a lavorare in uno dei nuovi campi petroliferi », rispose Patrick, senza distogliere lo sguardo dalla lenza. « Come puoi dire che appena presa la laurea andrai a lavorare in un bacino petrolifero? Sai bene che le grandi compagnie stanno tentando di scavare dei pozzi nel nostro Arctic National Wildlife Refuge», esclamò Scott in tono sprezzante, alludendo alla grande oasi naturale creata per proteggere la fauna e la flora dell'Artico. « Sì, lo so, ma possiamo pur sempre continuare a lavorare per salvare l'Arctic National Wildlife Refuge. Non rinunceremo di certo all'impegno per l'ANWR solo perché una delle grandi compagnie ci paga lo stipendio », obiettò Patrick in tono ragionevole. «E poi», aggiunse, «lavorare per loro significa avere una settimana libera su due, se entriamo in una delle grandi compagnie come la BP. Pensa, potremmo correre con i cani, andare a caccia... » « A pescare e a campeggiare », aggiunse Scott, improvvisamente interessato all'idea. « Proprio così, ragazzo », convenne Patrick, continuando a sorvegliare la lenza. Il tempo passò in fretta mentre i fratelli programmavano il loro futuro, seduti presso un buco nel ghiaccio in attesa della foca. «Andiamo», disse infine Patrick, alzandosi in tutta la sua statura, stirandosi e gettando all'indietro il cappuccio del parka. « Prendi un pezzo di gomma. » Porse al fratello una porzione di gomma da masticare eschimese, fatta di olio di foca solidificato e amenti di salice. I due ragazzi masticarono allegramente, camminando sul ghiaccio per tornare verso il punto in cui avevano lasciato i cani, e questi, annoiati per l'inattività, li accolsero con assordanti uggiolii. «Andiamo, Sockeye», gridò Patrick, prendendo posto accanto al cane di testa per correre al suo fianco. Scott invece rimase in equilibrio sui pattini della solida slitta. Era un veicolo massiccio, che pesava circa centotrentacinque chili senza carico, costruito con la legna sospinta a riva dal mare, mentre i pattini erano d'osso e avorio. Il fango e l'acqua solidificati dal gelo formavano uno strato tanto spesso da eliminare l'attrito quando i pattini correvano sul terreno. Ci vorrà una di quelle slitte leggere da corsa, rifletté Scott, mentre correva sobbalzando sulla tundra verso la casa di Trapper. Quella era fantastica per caricare caribù e blocchi di carne di balena, oppure volpi, ghiottoni e castori catturati con le trappole, ma non per l'« ultima grande corsa», l'Iditarod, il grande segreto dei fratelli Butler. Erano decisi entrambi a partecipare alla gara alla quale la madre aveva rinunciato con la loro nascita, e ne avevano calcolato con cura i costi. I ragazzi erano certi che Trapper avrebbe concesso loro Sockeye come cane di testa della muta, e sapevano che nei villaggi c'erano dei buoni animali. A volte i cani da corsa dell'Iditarod venivano affidati alle cure dei nativi, dopo la gara, e si accoppiavano con tutte le femmine che fossero in calore. Da quegli incroci nascevano dei buoni cuccioli. I ragazzi erano sicuri che, con l'aiuto di Trapper Jack, avrebbero potuto formare e allenare un equipaggio forte, forse addirittura una muta vincente. Ne parlerò con Patrick, e poi affronteremo Trapper, decise Scott. Si concentrò sul compito di guidare la slitta, sognando il giorno in cui si sarebbe trovato sui pattini della slitta alla partenza dell'Iditarod, ad Anchorage. I fratelli non avevano ancora deciso a chi dei due sarebbe toccata la possibilità di correre per primo, ma Scott temeva che Patrick facesse valere la sua posizione di fratello maggiore per rivendicare quel diritto, e l'idea lo faceva morire d'invidia. Accadeva di rado che bisticciassero. Di solito Scott compensava la minore forza fisica con la maggiore prontezza di spirito e la capacità di persuasione nei confronti di Patrick. È meglio lasciar decidere a Trapper, pensò Scott, osservando il fratello maggiore che controllava senza sforzo l'andatura di Sockeye. Sarà lui a scegliere. «Hau!» gridò all'improvviso per ordinare alla muta di curvare a sinistra, accorgendosi che Sockeye deviava verso una rastrelliera carica di muktuk, carne di beluga e di foca messa a essiccare. Patrick allontanò Sockeye dalla tentazione della carne tagliata a strisce sottili ed essiccata secondo l'usanza eschimese. Poi, appena riconobbero la loro casa, i cani uggiolarono e abbaiarono, pregustando uno spuntino. Trapper, udendo le loro voci, sorrise. I ragazzi dovevano essere altrettanto affamati dei cani. Rimescolò il contenuto della pentola sul fornello, prima di affacciarsi alla porta. Scott salutò con la mano Trapper, guidando la muta verso il retro della casa. Lì i fratelli legarono i cani ai paletti, per evitare che venissero a contatto con volpi o lupi, che spesso erano portatori di rabbia. Poi sfamarono i cani con del pesce secco mescolato con acqua calda e infine entrarono in casa. « Stufato di alce », annunciò Trapper a titolo di saluto. «Ottimo», esclamò Patrick, sfregandosi le mani. «Ho tanta fame che potrei mangiare un alce crudo. » «Corna comprese?» lo rimbeccò Scott. «Accontentati dello stufato, Pat. Sarà più digeribile. » Patrick lo fissò con ira. Detestava che il suo nome fosse abbreviato in Pat, che trovava troppo femminile. Trapper lanciò un'occhiata ai due ragazzi, mentre scodellava nei piatti montagne di stufato dalla consistenza glutinosa. Chissà che cosa è successo oggi, sul ghiaccio, pensò, perché di rado i ragazzi litigavano. Ma Scott si pentì subito. Non era colpa di Patrick se il fratello maggiore avrebbe potuto correre l'Iditarod per primo. Non ne avevano neanche discusso. «Tieni», gli disse, «prendi anche il mio panino lievitato. Tu hai più spazio da riempire. » « Grazie, ragazzo », rispose Patrick con un gran sorriso. Sembrano due giovani maschi di alce, pensò Trapper, sollevato nel constatare che non c'erano seri motivi di conflitto. Forse all'università hanno messo gli occhi sulla stessa ragazza, e ora si stanno studiando a vicenda con una certa diffidenza. Li raggiunse a tavola, ma senza mai smettere di scrutare il tratto desolato di tundra che si vedeva dalla finestra, ora bianco e del tutto privo di segni rivelatori, ma non per gli occhi di un inupiat, che intuiva e riconosceva ogni inondazione del terreno. « Domani? » disse, rispondendo a un invito di Patrick. « Mi piacerebbe molto unirmi a voi per andare a caccia di pernici delle nevi, ma devo partire per Anchorage», spiegò, scegliendo nel piatto un grosso pezzo di grasso giallastro e mangiandolo di gusto. «Anchorage?» ripeterono i ragazzi all'unisono. «Sempre per cercare d'impedire che il Congresso conceda alle grandi compagnie petrolifere il diritto di aprire pozzi nel nostro territorio tribale?» chiese Patrick, e Trapper si limitò ad annuire. Sapeva che i gemelli erano contrari quanto lui allo sfruttamento della magnifica pianura costiera e della catena montuosa che sorgeva nell'interno, ottanta chilometri a ovest della baia di Prudhoe. I giovani Butler avevano percorso con lo zaino in spalla gli itinerari che attraversavano l'Arctic National Wildlife Refuge, una regione vasta quasi nove milioni di acri che si stendeva dall'oceano Artico alla pianura costiera e alle regioni dell'interno. Nel 1960 quello splendido territorio, dove animali e piante si erano adattati a condizioni di vita proibitive, riuscendo a sopravvivere per migliaia di anni, era stato dichiarato riserva naturale, ma qualche anno dopo, quando era stata approvata la legge Wilderness Act, la catena artica non era stata inclusa nella zona protetta, perché nella baia di Prudhoe era stato scoperto il petrolio. I centosessanta chilometri di pianura costiera a ovest del Refuge - pari a un milione e mezzo di acri - venivano indicati con la sigla 10-0-2, ed erano attualmente sotto esame per un ulteriore sfruttamento dal punto di vista petrolifero. « Non lasciarglieli prendere », disse Patrick. « Possiamo anche pensare di lavorare per una compagnia petrolifera, dopo la laurea, ma guai a loro se toccano la 10-0-2. » «Sì», gli fece eco Scott. «È un terreno riservato alla mandria di caribù porcospino nel periodo in cui le femmine tornano a figliare. » « E per tutto l'anno è il territorio principale del bue muschiato», aggiunse Patrick. «Per non parlare delle centinaia di migliaia di oche delle nevi che si radunano laggiù in autunno», concluse succhiando rumorosamente un pezzo d'osso. « E non dimenticate Nanuq », rammentò a bassa voce Trapper. «È là che si trova il reparto maternità dei nostri orsi polari. » I due ragazzi annuirono, consapevoli del rispetto tributato agli orsi nella cultura inupiat. « E che cosa hanno concluso i geologi? » esclamò Scott in tono sarcastico, trascurando il fatto che tra breve sarebbe diventato uno di loro. « Che esiste il diciannove per cento di probabilità di trovare dei giacimenti redditizi nella 10- 0-2. » Dopo avere risposto alla sua stessa domanda, si lasciò sfuggire uno sbuffo spazientito. « Il diciannove per cento! » Trapper infilzò con la forchetta un altro pezzo di grasso, spostandolo qua e là nel piatto per raccogliere la salsa densa, poi se lo ficcò in bocca prima di spingere indietro la sedia. «Mi batterò per la nostra terra come se fossi l'ultimo inupiat rimasto al mondo. Farò sentire la mia voce, fosse anche l'ultima voce che sentiranno, ve lo prometto. » I due ragazzi si alzarono per sparecchiare la tavola e lavare i piatti. Trapper li guardava sorridendo. Certo, si sarebbe battuto perché il territorio restasse intatto. Giovani come quelli avevano il diritto di godere almeno di una piccola parte del pianeta rimasta ancora incontaminata dall'uomo. Gli abitanti dell'Alaska avrebbero dovuto esercitare almeno un certo controllo sul loro splendido Paese. Se la sua doveva essere l'ultima voce che si levava a difenderlo, sarebbe stata forte e chiara. Era convinto che il suo popolo dovesse avere il diritto alla decisione finale sullo sfruttamento delle risorse del North Slope. Trapper era del parere che la sorte della 10-0-2 doveva essere decisa dagli inupiat. Il problema era che esistevano oltre una dozzina di corporazioni di nativi, e altrettante opinioni. Ognuna sembrava avere delle ragioni tutte sue per proteggere il Rifugio o, al contrario, consentirne un ulteriore sfruttamento petrolifero, beneficiando così di maggiori entrate per la popolazione. Il giorno dopo, Trapper salutò i ragazzi nel piccolo terminal dell'aeroporto di Barrow, salendo a bordo dell'aereo per Anchorage che avrebbe fatto scalo all'aeroporto di Dead Horse, tra i giacimenti petroliferi della baia di Prudhoe. Mentre si avvicinavano, schiacciò il viso contro il finestrino. Di notte, i campi hanno un aspetto splendido. Il bagliore giallo delle luci si spande sulla neve, formando pozze dorate. Le strutture modulari color ruggine diventano tutte di un nero uniforme, mentre le strade, le piste per gli elicotteri e i condotti dell'oleodotto scompaiono nel buio. È come se la terra avesse inghiottito i macchinari che ne prosciugano il ventre. All'aperto si vedono soltanto uomini ben protetti contro le intemperie, che portano il casco sopra il passamontagna di lana incrostato di ghiaccio, aggirandosi tra un edificio e l'altro. Sembrano esseri alieni mentre si muovono in silenzio, lentamente, controllando tubazioni e macchinari, all'erta per individuare ogni fuoriuscita di petrolio sugli strati di protezione coperti di ghiaccio. Trapper si chiedeva se tra quelle figure, che si muovevano in mezzo alle strutture enormi con la metodica industriosità delle formiche, ci fosse anche Natû. Al pensiero dell'unica figlia che credeva perduta per sempre, Trapper chiamò la hostess per chiedere dell'acqua. Questi eschimesi non la smettono mai di bere acqua fredda, pensò lei, colmando fino all'orlo un bicchiere prima di porgerlo al vecchio. In quel momento, l'aereo incappò in un vuoto d'aria e l'acqua traboccò, bagnando la mano di Trapper e finendo sul sedile. Mentre asciugava le gocce che vi erano cadute, lui notò un cartoncino incuneato tra il sedile e il bracciolo della poltroncina e, incuriosito, lo tirò fuori. Leggendo il testo, sorrise. Di solito l'Alaska Airlines offriva ai passeggeri cartoline che raffiguravano i paesaggi straordinari dell'Alaska accompagnati da una citazione della Bibbia. Quell'immagine, invece, era dedicata ai cani dell'Iditarod. « I migliori corridori che esistano al mondo: mangiano carne cruda, corrono nudi e dormono nella neve. » Il sorriso di Trapper svanì. Aveva sperato di fare la sua parte, un giorno, aiutando qualcuno a vincere la grande corsa. Prima aveva pensato che sarebbe stata Natû, poi Casey, ma tutt'e due avevano seguito la voce del cuore. Era profondamente convinto che la gara, che ormai faceva notizia da un capo all'altro del mondo, dovesse avere dei partecipanti nativi dell'Alaska. La nostra gente dimentica che la prima edizione aveva coperto solo ottanta chilometri dell'attuale percorso dell'Iditarod, era durata due giorni ed era stata vinta da Isaac Okleasik, un eschimese di Teller, pensò. «Natû e Casey avrebbero potuto correre», sussurrò, tormentandosi i baffi radi. L'uomo seduto vicino a Trapper si allontanò da lui, per quanto glielo consentiva il sedile. Con i nativi non si può mai dire, pensava. Questo qui ha ordinato dell'acqua e sembra sobrio, ma ora comincia a parlare da solo. Trapper cancellò dai suoi pensieri Natû e Casey, con la rapidità con la quale un blizzard di terra cancella le tracce sulla neve. Il loro posto nella sua mente fu preso da un giovanotto alto, con le spalle larghe e una massa di capelli arruffati rosso cupo. «Patrick», disse Trapper, senza accorgersi di parlare a voce alta. «Lui potrebbe farcela. Quel ragazzo ha una grande forza di volontà. È ingegnoso come un nativo, possente come un orso polare di un anno, e come se non bastasse gli ho insegnato la pazienza del cacciatore artico. » Il vicino si guardò nervosamente attorno, alla ricerca di un posto libero, ma l'aereo era a pieno carico. « Sì », concluse Trapper, « gli parlerò al mio ritorno. » Poi appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi, componendo il discorso che doveva servire a convincere i presidenti che formavano la commissione del Congresso. L'uomo seduto al suo fianco lo sorvegliò con attenzione per qualche minuto, poi, rassicurato dal fatto che era addormentato e innocuo, sospirò, tornando a studiare i dettagli anatomici delle donne ritratte sulla sua rivista. Quando era arrivata a Prudhoe insieme con Bud Damas, la figlia di Trapper Jack, Natû, odiava i macchinari che depredavano la sua terra ancestrale delle risorse che teneva celate. Ora, dopo aver frequentato i corsi obbligatori sull'industria petrolifera e sulla tutela dell'ambiente, era in grado di comprendere e ammirare almeno in parte la complessità della tecnologia moderna, anche se l'avversione iniziale per le macchine non l'aveva abbandonata del tutto. Al centro di quella straordinaria attività sul campo c'era il MOC, o Main Operations Control Centre, cioè il centro operativo di controllo. Natû si sentiva in dovere di camminare in punta di piedi quando si avvicinava al « cervellone » del campo petrolifero, perché all'interno del MOC regnava un silenzio innaturale. Quelle macchine parlavano di ciò che la natura celava sotto lo strato di permafrost, le rammentavano gli sciamani, con la loro conoscenza del mondo segreto dei suoi antenati. Natû trovava interessanti soprattutto le conferenze sull'ambiente. Come tutti i nativi, aveva una conoscenza innata della terra, delle creste nevose, delle catene di monti e delle valli. Le carte geografiche erano un enigma per lei, che « sentiva » la terra. L'oleodotto Trans-Alaska era un argomento molto controverso per migliaia di abitanti dell'Alaska, tanto nativi quanto europei di origine. «L'opera attraversa alcuni dei terreni più problematici del mondo », spiegava il conferenziere con voce monotona. « Parte dall'Artico, dove i fattori di raffreddamento da vento fanno calare la temperatura a valori che si spingono a trentasette gradi sotto zero, attraversando montagne sulle quali possono accumularsi fino a quindici metri di neve. » Natû ascoltava in silenzio. Che ne sa, lui, di raffreddamento da vento e di neve? pensava intanto. Il relatore lanciò un'occhiata apprensiva alla giovane inupiat, che di solito metteva in discussione i dati da lui enunciati, e spesso aveva ragione. « La migrazione di mandrie di caribù, una fonte importante di cibo e abiti per la popolazione locale degli inupiat, non verrà influenzata dal passaggio dell'oleodotto e della strada di manutenzione, che verrà ricoperta di ghiaia. » « Quali fatti può citare a sostegno della teoria che i caribù, che pascolano da secoli sul North Slope, si lasceranno incanalare come animali d'allevamento tra le sezioni rialzate dell'oleodotto? » domandò Natû. L'uomo sospirò, accarezzandosi nervosamente la barba. Aveva imparato a sue spese che Natû era bene informata e non aveva paura d'impegnarlo in una discussione sui punti controversi del problema. Mostrava un atteggiamento fieramente protettivo nei confronti della sua terra natia. « Lei dice che questo oleodotto può sopportare una scossa di terremoto fino a otto virgola cinque gradi della scala Richter?» Natû fece una pausa, in attesa della risposta. Lui annuì: « A prezzo di un notevole aumento dei costi, abbiamo costruito un oleodotto sopraelevato, per proteggere il terreno nei punti in cui il calore sprigionato dal petrolio nel condotto sotterraneo avrebbe potuto fondere il permafrost, rendendo instabile il terreno », spiegò in tono trionfante. Stavolta toccò a Natû annuire. Lei nutriva un grande rispetto per quello che era stato realizzato a Prudhoe. Trovava affascinante il fatto che gli scienziati avessero scoperto che il petrolio di quella zona non è raccolto in sacche sotterranee, bensì intrappolato nei minuscoli pori delle formazioni rocciose, e sale verso la superficie grazie alla sua stessa pressione. Come l'anidride carbonica risale verso l'alto quando si apre una bottiglia di bibita gassata, a Prudhoe il petrolio e l'acqua arrivano in superficie insieme con il gas. Aveva studiato i diagrammi che indicavano come il petrolio venisse portato in superficie alla temperatura di centosessanta gradi Fahrenheit, pari a settantuno gradi centigradi, da una profondità di circa seicento metri, al di sotto dello strato di terreno gelato in permanenza, e istradato verso la stazione di smistamento per cominciare il viaggio di 1288 chilometri fino al porto di Valdez, libero dai ghiacci. Natû aveva appreso inoltre che nelle formazioni rocciose s'inietta dell'acqua per mantenere inalterata la pressione del bacino, e che il gas viene raccolto nella centrale, dove si separano i liquidi da inviare attraverso l'oleodotto insieme con il greggio. Una parte del gas viene utilizzata per il fabbisogno di combustibile, mentre un'altra viene iniettata di nuovo nella cappa che si accumula sopra il giacimento petrolifero, per mantenerne la stabilità. Ma la ragazza perse ogni interesse per l'argomento quando il conferenziere parlò degli 849 miliardi di metri cubi di gas naturale che formavano la calotta posta sopra i ventiquattro miliardi di barili di petrolio originale. Le cifre la confondevano e l'annoiavano, ma capiva bene che l'estrazione del petrolio era un'attività complessa, con il rischio onnipresente d'incendi. Quando giungevano i brevi giorni dell'estate, e lei sedeva sulle zolle fitte di piante di erioforo a guardare i pennacchi bianchi che sussultavano e si piegavano al vento, trattenendo i semi nel grembo, più caldo di cinque o sei gradi rispetto all'aria circostante, rimpiangeva i giorni in cui il North Slope era intatto e i tesori che conteneva erano nascosti in profondità nel suo ventre. In momenti come quelli sentiva nostalgia per il lavoro che aveva svolto controllando le trappole disposte dal padre, per l'uggiolio dei cani, per il freddo intenso e l'aria senza polvere, limpida e tagliente come il cristallo. Natû era una giovane donna divisa tra due culture. L'amore per Bud la spingeva a tentare di abbracciare lo stile di vita americano, ma gli aspetti istintivi e oscuri della mente umana che emergono nel sonno la tenevano incatenata al suo antico retaggio. Natû era seduta su una sedia di acciaio cromato e pelle rossa nella sala da pranzo della mensa, disposta su più livelli, sfregando le Nike piuttosto malandate sulla moquette rosso rubino. I colori accesi la infastidivano; preferiva i paesaggi invernali di un bianco assoluto, ingentiliti dai delicati toni rosa e verde tenue dell'aurora boreale. Aspettava Bud, che era stato inviato alla stazione di pompaggio Numero Uno, all'inizio dell'oleodotto dell'Alaska. « Sì, è così, te lo ripeto. Io c'ero, e ho visto con i miei occhi. » Natû si drizzò di scatto sulla sedia. Due inupiat scostarono le sedie dal tavolo vicino al suo, posando sul piano i vassoi carichi di un pasto di tre portate che avrebbe fatto onore a uno dei ristoranti migliori di Anchorage. Riconobbe Nilak, uno degli uomini. Faceva parte della commissione creata da Trapper Jack per tenere viva nei villaggi la cultura indigena. I bambini frequentavano le scuole, ma avevano diritto a dieci giorni di « assenza giustificata» per impratichirsi nelle attività di sussistenza. Nilak le rammentava uno degli edifici modulari di Prudhoe, forte e squadrato, costruito per resistere alle condizioni proibitive di vita nell'Artico. « Va' a raccontarlo a qualcun altro », osservò in tono sarcastico Edwin Kent, un geofisico alto e snello, dall'aria impeccabile in camicia celeste e cravatta, mentre prendeva posto al loro tavolo. Si unì alla conversazione anche il suo amico Chuck Holden. « La superstizione è tramontata quando nei villaggi sono state aperte le scuole per i nativi. » Nilak si lisciò i sottili baffi neri sotto il naso, seguendone la linea sulle guance fino al mento. «No», ribatté, «vi sbagliate entrambi. Noi apprendiamo quello che gli europei hanno da insegnarci, ma siamo fieri delle nostre tradizioni e intendiamo preservarle. » «Proprio come intendete tenervi i diritti di caccia sulle terre del North Slope. Qui a Prudhoe non possiamo neanche tenere un fucile, e dobbiamo chiedere la licenza persino per pescare», brontolò Edwin, controllando il nodo della cravatta a strisce. « Dobbiamo pescare e cacciare per poter superare l'inverno», rispose l'amico di Nilak con un lieve sorriso. «Ricordati che noi nativi siamo cacciatori di sussistenza. » «Ai bei tempi di una volta, forse, ma ora avete la rendita annuale del petrolio, i supermercati e il riscaldamento in casa. Siete soltanto... » Natû spinse indietro la sedia, stringendo la cintura che sorreggeva i blue jeans, prima di avvicinarsi al tavolo al quale erano seduti gli uomini. Nilak la guardò con una certa sorpresa. Di solito Natû si accompagnava agli amici di Bud che venivano dagli Stati Uniti, come se volesse mantenere le distanze dagli operai eschimesi che lavoravano nel giacimento. Questi a loro volta non capivano come mai l'amore per Bud la inducesse a voler diventare americana, rinunciando alle sue radici. Comunque gli uomini salutarono Natû con un sorriso. Quella ragazza dalla pelle olivastra, con i capelli neri e lisci, era apprezzata e ammirata nell'ambiente di lavoro. Tutti sapevano che era sempre pronta a fare più del suo dovere e sul campo non si lamentava mai delle avversità del clima, lavorando sodo come un uomo. « Salve, Natû», esclamò il fisico, quando lei raggiunse il tavolo al quale era seduto Nilak. « È da parecchio che non ti si vede in giro. » Nutriva per lei un amore non ricambiato e coglieva ogni occasione per parlarle e stare in sua compagnia. « È vero. Non capisco quelle tue strane macchine, Edwin. È come parlare con i morti. Quelle stanze silenziose sono tombe. Preferisco stare sul campo con Bud. » Edwin Kent, notoriamente un esperto di computer, finse di rabbrividire per l'orrore. «I computer sono prodigi della tecnologia moderna, Natû», ribatté. «Mentre l'unico prodigio dell'inverno quassù è che riusciate a sopravvivere lavorando all'aperto. » Scoppiarono tutti a ridere, e Natû accettò la sedia che le veniva offerta. « Qual è la superstizione di cui stavate parlando? » domandò poi. Nilak e i suoi amici si scambiarono un'occhiata, restando in silenzio per qualche istante. « Una sciocchezza a proposito di una vecchia che voleva andare a raggiungere i suoi antenati. Il modo che ha scelto è stato farsi dilaniare da un orso polare », rispose infine Chuck. « Immagina, restare seduti sul ghiaccio in attesa che arrivi la morte! È incredibile. » « Non per noi inupiat », replicò Natû. Rivolgendosi a Nilak, parlò con lui nella sua lingua madre. A Edwin sembravano suoni prodotti dal chiocciare di volatili. Soffiò sul caffè per raffreddarlo. L'amico di Nilak, massiccio e scuro di carnagione, con i lunghi capelli neri legati a coda di cavallo, appoggiò i gomiti sul tavolo e parlò a lungo, in tono serio. La ragazza impallidì. La donna che era andata incontro alla morte sul ghiaccio era Oline, l'inupiat che, dopo la morte della madre di Natû, le aveva cucito un berretto con la morbida pelliccia della lepre artica e capi di biancheria intessuti di piume, per fare in modo che la bambina crescendo acquistasse la sensibilità per la terra e gli animali. Gli inupiat sapevano quanto fosse importante stabilire un rapporto immediato con la terra. « No », esclamò Natû, scuotendo la testa. « Perché non ne sono stata informata? Tu eri presente, perché non me lo hai detto? » « Non volevi avere più niente a che fare con il tuo ambiente di origine e la tua gente, Natû», le rammentò Nilak, sempre lisciandosi i baffi. « La vecchia era un peso per sé e per gli altri. È andata incontro alla morte di sua spontanea volontà, serenamente. È questa la nostra usanza. » L'amico assentì. «Ricordati che ora sei una ragazza americana», commentò. « Quando è stata l'ultima volta che sei venuta a Barrow? Quand'è che hai parlato a Trapper, tuo padre? » « Sente la mancanza di sua figlia », aggiunse Nilak, sottovoce. « Pensa a tutto questo, Natû. » Lei fissò i due inupiat, e uscì dalla sala come una furia. « Cos'era questa storia? » chiese Edwin mentre lei si dileguava. Gli inupiat rimasero in silenzio. Poi scossero la testa, cominciando a mangiare. « È chiaro che voi due l'avete sconvolta. Bud non ne sarà affatto contento. Lo sapete che è innamorato pazzo di quella ragazza. » Edwin Kent si tolse gli occhiali, lustrando le lenti con il polsino della camicia per ripulirle dal vapore. « Okay, ragazzi, ma poi non dite che non vi avevo avvertito, quando Bud vorrà sapere che cosa è successo qui. » Finì il caffè prima di alzarsi. « È meglio che torni nella mia 'tomba' per parlare con i 'morti'. » Nilak sorrise. «Natû resterà sempre un'inupiat. L'amore per la terra e per le nostre usanze fa parte della sua linfa vitale. Non può rinunciarvi. » L'amico di Nilak dalla carnagione olivastra annuì. «Prima o poi si renderà conto che questa », disse, indicando la sala da pranzo disposta su più livelli, « non è stata che una lunga vacanza. » « Questo è meglio non dirlo a Bud », lo ammonì Edwin, e con un cenno di saluto uscì in fretta dalla mensa assieme a Chuck Holden. I due inupiat stavano gustando due enormi fette di torta al cioccolato, quando una voce potente li indusse ad alzare la testa. Bud aveva cominciato a lavorare nei campi petroliferi come trivellatore, ma aveva perso due dita in seguito a un incidente che gli era occorso mentre montava un'asta lunga dieci metri, uno dei tubi che penetravano nel terreno ghiacciato al di sotto dello strato di protezione del pozzo. La sua squadra si era lasciata convincere ad accogliere un « estraneo », dato che uno dei componenti aveva perso il volo di ritorno all'aeroporto Dead Horse perché doveva smaltire una sbornia ad Anchorage. Gli uomini lavoravano in gruppi compatti e ben affiatati di una settantina di persone, e nutrivano un forte risentimento contro i nuovi arrivati che venivano inseriti nella squadra. E proprio per mancanza di affiatamento, una delle aste era scivolata, e Bud aveva sacrificato due dita per impedire un incidente più grave. Sentiva ancora la nostalgia per lo spirito di squadra che regnava nel campo dei trivellatori, ma si rendeva conto che, con due dita di meno, rappresentava un pericolo per i compagni di lavoro. Ogni volta che passava vicino a un impianto di trivellazione, Bud provava un gran desiderio di lavorare con la sonda Varco, un'innovazione recente che consentiva agli operai specializzati di utilizzare aste da ventisette metri, accelerando così le operazioni di perforamento. Anche se non poteva far parte della squadra ad « alta tecnologia », Bud andava spesso a visitare il campo nel quale il suo gruppo spiegava il nuovo metodo di trivellazione direzionale, ed era entusiasta dei progressi compiuti nella progettazione della torre e nella tecnologia dei processi. Una volta penetrato il permafrost, si usavano delle trivelle direzionali per sondare una vasta zona, il che significava che si potevano aprire dei pozzi a distanza di appena tre metri l'uno dall'altro, anziché di trentasei come in passato. Partendo da una piccola piattaforma in superficie, potevano individuare il bersaglio entro un raggio di tre chilometri circa dalla posizione dell'impianto di trivellazione. In questo modo si dovevano costruire meno strade e meno condotti, e si provocavano minori danni ambientali in superficie. Bud tentava di suscitare l'interesse di Natû per la nuova tecnologia informatizzata che consentiva agli ingegneri di Prudhoe il recupero di depositi « marginali ». « Se quel petrolio è così difficile da estrarre, sarebbe meglio lasciarlo nel sottosuolo», obiettava lei. «Mi dispiace che i geologi abbiano scoperto le filtrazioni di petrolio e abbiano capito che indicavano la presenza di tesori fossili sotto il permafrost. » Bud aprì la bocca per protestare, ma Natû non si lasciò zittire. « Il mio popolo usa da migliaia di anni il petrolio che trasuda dal terreno. Non abbiamo ritenuto necessario costruire strade, oleodotti, stazioni di pompaggio per estrarlo dal terreno. Abbiamo preso soltanto quello che la terra offriva spontaneamente. » Bud non tentava di ragionare con lei. Aveva trascorso l'infanzia in Alaska, e non desiderava affatto lasciare quello splendido Paese. Rispettava la fede istintiva di Natû nella natura, pur senza comprenderla del tutto, e il suo amore per la fauna e la flora dell'Artico. Dopo l'incidente, quando era stato costretto a lasciare i compagni della squadra di trivellazione, Bud era riuscito a ottenere un posto d'ispettore nel giacimento di Prudhoe. Lavorando all'aperto, a fianco di Natû, aveva cominciato ad apprezzare la bellezza della tundra. Osservandola, aveva potuto ammirare per la prima volta l'aria maestosa di un'enorme civetta delle nevi posata su un ciuffo d'erba. Lei gli mostrava cose che fino a quel momento i suoi occhi avevano soltanto visto in modo superficiale. La vita con suo padre, «Cat» Damas, era stata dura. Bud aveva imparato ad apprezzare la compagnia di uomini che afferravano la vita a piene mani, cercando di strapparle ciò che volevano. E ora aveva trovato una compagna, una donna che amava i rigori della vita che si era scelto. « Qualcuno di voi ha visto Natû? » Bud Damas era piantato al centro della sala. Non riusciva a trovarla, e così si era deciso a gridare, rivolto a tutti i presenti. Un ragazzo allampanato puntò il pollice in direzione di Nilak e del suo amico. « Era laggiù con loro, una decina di minuti fa», rispose. «Grazie, amico.» Bud si avviò sulla folta moquette rossa, diretto verso il tavolo dove Nilak si stava leccando dalle dita la glassa al cioccolato. Bud Damas era alto e muscoloso, al punto che le cuciture della camicia di lana a quadri rossi e blu erano tese sulle spalle. I capelli neri e ricci scendevano a coprirgli il collo e parte della fronte. Gli occhi erano dello stesso limpido color acquamarina dei cumuli di ghiaccio che si formano al centro dei laghetti lasciati sulla tundra dal disgelo e avevano uno sguardo gentile, in apparente contrasto con la figura possente. Camminava con una lunga falcata decisa che induceva il prossimo a cedergli il passo. «Salve», disse rivolto agli uomini, «sapete dov'è Natû? » «No», rispose Nilak, succhiandosi il dito medio. «Non ci ha detto dov'era diretta. » «Comunque andava di fretta», aggiunse l'amico, ricevendo un'occhiata di fuoco da Nilak per quella sua disponibilità a fornire informazioni. Bud esplorò di nuovo la sala con gli occhi, poi si allontanò dal tavolo per dirigersi verso la pista di atletica. Nelle rare occasioni in cui lui e Natû riuscivano a sgattaiolare nella stanzetta di lui senza farsi vedere, restavano abbracciati ad ascoltare il tonfo ritmico dei piedi e il respiro affannoso degli uomini che si allenavano, correndo sulla pista circolare all'esterno del loro cubicolo. A volte avevano l'impressione che fossero nella stanza con loro. Al centro si godeva di ben poca privacy, ma in compenso i lavoratori avevano una settimana di ferie per ogni settimana di lavoro, con turni di dodici ore al giorno. Bud e Natû avevano trovato un posto in cui trascorrere quelle settimane lontano da Prudhoe. Era un piccolo rifugio a Chugiak, annidato nel folto dei boschi. Una lunga finestra nella parete di tronchi offriva loro la vista del monte Denali - il nome che i nativi danno al McKinley -, magico sotto la luce argentea della luna e abbagliante quando le nubi lasciavano libera la vetta e la sommità incappucciata di neve splendeva come se il sole l'avesse forgiata nell'oro fuso. Attendevano entrambi con ansia di potersi isolare laggiù. La stanza di Bud era vuota, e lui superò di corsa gli altri cubicoli per raggiungere quella di Natû. Lo accolse un suono di singhiozzi soffocati, che lo indusse a fermarsi davanti alla porta. Non aveva mai sentito Natû piangere, e quel suono lo allarmò. Che cosa era successo? Ucciderò chiunque abbia reso infelice la mia ragazza, pensò. Aprendo la porta con cautela, vide Natû seduta a gambe incrociate sul lettino stretto, con gli occhi fissi su una grande stampa appesa alla parete di fronte al letto. Era il suo poster preferito fra tutti quelli dell'Iditarod che c'erano nella stanza: un branco di lupi, appostato su un'altura ricoperta di neve, osservava una slitta tirata dai cani che stava svoltando nella valle ai loro piedi. Il giallo maligno degli occhi dei predatori mentre studiavano il musher solitario e i suoi cani era impressionante. L'artista era riuscito a cogliere perfettamente il senso di pericolo, solitudine e asprezza dell'ambiente. Bud non riusciva a capire il fascino esercitato su Natû da quell'argomento. Il poster, così come l'ululato ritmico dei lupi, gli faceva correre un brivido lungo la spina dorsale. Natû non si voltò neppure. Le lacrime scorrevano irrefrenabili lungo le sue guance, gocciolando sulla T-shirt color crema. Bud capì che quello non era il momento di parlare. Avvicinandosi al letto, prese le mani di Natû tra le sue, enormi, e lei gli si strinse contro come se si aggrappasse a un'umiak in mezzo all'oceano squassato da una tempesta. Piangeva per il tempo trascorso lontano dal padre, per il dolore che gli aveva procurato. Le sue lacrime erano per la vecchia che le aveva fatto da madre e che non vedeva da tanto tempo, Oline, che si era ricongiunta a Nanuq. Natû piangeva perché non era stata tra coloro che l'avevano scortata all'isola di Pingkok. Infine piangeva per il sogno che aveva coltivato di partecipare alla corsa più dura e difficile del mondo, l'Iditarod. Lei aveva scelto Prudhoe, e ora quel sogno le sembrava morto e sepolto. Si guardò attorno. Dovunque posasse lo sguardo nella sua stanza, non vedeva altro che cani, neve, slitte e musher, gli uomini e le donne che guidavano le mute di cani. Bud l'abbracciò. Si era lasciata sfuggire dalle dita un sogno. Gli occhi color ambra dei lupi la fissavano con uno sguardo penetrante. Vigliacca, ululavano in silenzio. Tu sei un'inupiat, puoi partecipare alla corsa. Perché te ne stai seduta in una stanza riscaldata, come se fossi un fiore raro in una serra? Natû alzò lo sguardo: persino il boccale pieno di gambi secchi di epilobio nano che recava il motto di Norman Vaughan, ABBI IL CORAGGIO DI FALLIRE, sembrava schernirla. «Vaughan, non solo sei andato al Polo Sud con l'ammiraglio Byrd, ma hai portato a termine l'Iditarod all'età di ottantaquattro anni », mormorò singhiozzando. « Torna nel luogo al quale appartieni. Metti alla prova te stessa. Realizza il tuo sogno », la sfidavano lupi e husky dai poster appesi alle pareti. Natû nascose il viso contro la spalla di Bud, tirando su col naso. Lui frugò in tasca, tirando fuori uno straccio macchiato di petrolio. « Tieni, soffiati il naso », le disse. « Ti sentirai meglio. » Natû si soffiò il naso, lasciandovi una traccia di grasso. Guardò Bud, poi il suo viso si raggrinzì e lei scoppiò subito a piangere di nuovo. «Su, su», mormorò Bud, tenendola tra le braccia, «non può essere un problema così grave.» La cullò come una bambina. «E adesso raccontami», le disse con tenerezza. « Lo risolveremo insieme.» Natû affondò il viso nella sua camicia. La lana le faceva prudere la pelle, ma si strinse ancora di più a lui. « Nessuno può aiutarmi. » La sua voce era soffocata, e Bud dovette tendere l'orecchio per sentirla. «Si tratta di me. Sono un'inupiat. » Deglutì, poi rimase in silenzio. «Ma certo. Sei la mia piccola eschimese», disse lui in tono conciliante, accarezzandole i capelli, che seguivano le sue dita come se fossero dotati di vita propria. « Vedi, Oline è morta sola », spiegò singhiozzando Natû, sforzandosi invano di controllarsi. « Mi ha fatto da madre, e avrei dovuto essere con lei mentre si preparava a compiere l'ultimo viaggio.» « Oh, Natû», bisbigliò Bud, abbassando la testa su di lei. Il momento che tanto temeva era arrivato. La sua cultura di origine l'avrebbe allontanata da lui in modo inesorabile, come le pompe estraevano il petrolio dall'arenaria di Prudhoe. Non poteva fare altro che baciarla e consolarla con il proprio corpo. Ma mentre si spostava sopra di lei, e il letto cigolava al ritmo del loro amore, Natû seguitava a fissare il poster e vedeva soltanto lo scintillio negli occhi dei lupi. « Natû», le disse Bud, respirando affannosamente mentre giaceva stretto a lei sul letto a una sola piazza, « che cosa vuoi che faccia? Lascia che ti aiuti. » Natû si sollevò su un gomito, passandogli delicatamente le dita sulle labbra. Lui chiuse gli occhi, mentre gli posava sulle palpebre baci delicati. Come poteva dire a quell'uomo che amava così profondamente che doveva lasciarlo? « Ti amo, ma devo tornare dalla mia famiglia », sussurrò, con le guance rigate da lacrime ardenti. Bud sentì la sofferenza nella sua voce, e la rabbia rischiò di travolgerlo, potente e minacciosa come un incendio scaturito dal petrolio. Non poteva aiutare la donna che amava. « Partiremo per la nostra settimana di riposo », le disse, «però andremo in aereo ad Anchorage. Prenderemo una suite al Captain Cook Hotel e... » Natû fece una smorfia, asciugandosi gli occhi con le dita. Lui non capisce, pensò. È convinto che qualche giorno trascorso fra le attrazioni di Anchorage cambierà le cose. Tirò un respiro profondo, pronta a spiegargli che il problema era serio, e spostarsi dalla loro capanna di tronchi di Chugiak ad Anchorage non avrebbe risolto nulla. Ma Bud continuò prima che lei potesse interromperlo. « Possiamo trovare un prete, e spero che tu accetterai di diventare la signora Natû Damas. » Natû si lasciò sfuggire un ansito di stupore. Dentro di sé aveva sempre sperato che un giorno Bud volesse sposarla, e i suoi occhi scuri scintillarono, mentre l'espressione passava in un attimo dalla tristezza a una gioia radiosa. Prima che potesse gettarsi tra le braccia di Bud, lui riprese a parlare. « E poi potremo costruirci una casa tutta nostra a Chugiak, oppure vicino a Fairbanks, se preferisci una grande città. Amiamo entrambi lavorare all'oleodotto, e non c'è bisogno di cambiare, finché non metteremo su famiglia. » Natû si raggomitolò al fianco di Bud. Sarebbe stato facile lasciare a lui il compito di programmare il futuro. Avanti, ammettilo, le disse una voce interiore, tu vuoi sposarlo, avere dei figli da lui e diventare una tipica donna americana. Digli di sì e dimentica questa sciocchezza dell'Iditarod. «Che ne dici, Natû?» mormorò Bud. «Vuoi sposarmi? » Natû gli accostò le labbra all'orecchio, sentendosi solleticare il naso dai suoi riccioli. Proprio mentre le sue labbra formulavano la risposta: « Sì », gli occhi vagarono ancora una volta verso la stampa dei lupi che spiavano la slitta trainata dagli husky. Gli occhi del lupo dominante tenevano avvinti i suoi, con un'aria di scherno. « Abbi il coraggio di realizzare il tuo sogno. » Quelle parole echeggiarono nel silenzio, forti come uno scampanio. Natû fece un gran respiro e chiuse gli occhi, ignorando i lupi. « Certo che voglio sposarti, Bud, ti amo tanto! » « Magnifico. Allora è deciso. » L'uomo strinse a sé Natû con tanta forza che lei dovette dibattersi per poter respirare. « Ma dovremo tornare a Barrow. » Bud allentò leggermente la stretta, mentre la sua fronte liscia veniva corrugata da un'ombra. « Oh, capisco, vorrai sposarti alla presenza dei tuoi familiari e amici. » Si grattò la guancia. « Magnifico. Vuol dire che ci sposeremo due volte, una volta ad Anchorage, al Cook, e una a Barrow. » Scoppiò a ridere, scostandosi i capelli dalla fronte. « Così sarai mia due volte. » La baciò in segno di gioia. Aveva preso una decisione importante, e ne era felice. D'un tratto, Natû si mise a sedere sul letto. « Tesoro », gli disse, « guarda quel poster con i lupi. » Bud fissò la stampa, che aveva già visto decine di volte. Non riusciva mai a ricordare se fosse di Jeff Schultz o di Lee Cable, visto che Natû collezionava le opere di entrambi. A volte, mentre era in giro d'ispezione, il silenzio della notte era squarciato dall'ululato lamentoso di quegli animali, dal loro richiamo che giungeva nitido sulle ali del vento gelido. Bud odiava il canto dei lupi. Gli faceva venire la pelle d'oca, inducendolo a precipitarsi verso la strada ghiacciata dove aveva parcheggiato l'automezzo di servizio. Preferiva lavorare all'oleodotto nei mesi estivi. La lunga oscurità invernale giocava brutti scherzi agli occhi e ai sensi. Vedeva lupi immaginari in tutti i boschi. « Sì », replicò incerto. « Che cosa vuoi dire? » «È questo il mio compito nella vita. È per questo che ho vissuto e sono stata allenata, prima di conoscerti e di venire qui a Prudhoe. » Bud era perplesso. Fissò prima lei, poi la stampa. « Per i lupi? » «No, amore. Per l'Iditarod. Voglio partecipare alla corsa. È come una febbre che mi divora. Devo fare quella gara. » Bud si lasciò sfuggire un fischio, poi tacque, massaggiandosi il mento ispido. Natû lo studiava, timorosa di dire qualcosa che potesse turbarlo mentre rifletteva. Fate che capisca, pregava rivolta agli antenati. Oline, un tempo tu mi amavi come una figlia. Ti prego, fa' che l'uomo che amo capisca che devo vivere il mio sogno. Te ne prego. D'improvviso Bud alzò le spalle, come se avesse raggiunto una decisione. Abbassando sul pavimento le lunghe gambe muscolose, s'infilò la camicia nella cintura dei jeans, chiuse la lampo dei pantaloni e si avviò alla porta. « Bud? » chiese incerta Natû. «Lasciami un po' di tempo per abituarmi all'idea», rispose lui. « Vieni, ho fame, e alla mensa si sentiva un buon odorino. » Natû non riuscì a mangiare niente, tanto era logorata dall'ansia. Si sentiva male. Bevve il caffè, mentre Bud inseguiva l'ultima patatina rimasta nel piatto, prima di scostarlo da sé. Alla fine la guardò negli occhi con intensità. Parlava a bassa voce, tanto che lei dovette chinarsi in avanti per sentirlo in mezzo al brusio degli altri commensali. «L'idea non mi piace, Natû. Tu per me sei preziosa, e quella è la gara di slitte più impegnativa che esista al mondo. Il fratello di Edwin, che ha denaro ed esperienza, ha dovuto ritirarsi tre volte perché non riusciva a sopportare la merda che Madre Natura gli lanciava addosso. » Natû si limitò ad assentire. Sapeva che era meglio lasciare che gli uomini si sfogassero. Una volta esaurita la foga iniziale, una donna poteva portare avanti i suoi piani. «D'altra parte ti conosco, mia piccola inupiat. Tu mi ascolti, annuisci, poi fai esattamente quello che avevi in mente fin dall'inizio. Quindi... » Bud fece una pausa, tirando un gran respiro profondo. « Dico: che diamine, facciamolo. » Sentì scaturire dalle sue labbra le parole che avrebbero cambiato la sua vita, e per un attimo non riuscì a credere di aver detto una frase così avventata, proprio lui, Bud Damas. Avrebbe voluto potersi rimangiare quelle parole, sostenendo di non averle mai pronunciate. « Sì, facciamolo », gli fece eco Natû. « Ma questo significa insieme, oppure: 'Fallo tu, Natû'? » « Noi », rispose Bud, ora pieno di entusiasmo per quello che un attimo prima gli era sembrato semplicemente un folle sogno. « Non penserai che possa lasciare mia moglie sola alle prese con quella corsa infernale? » Le emozioni minacciarono di sopraffare Natû, che lottò per dominarle, mentre ciascuna di esse tentava di prendere il sopravvento. Moglie, ripetè esultante dentro di sé. Vuole ancora sposarmi. Correre l'Iditarod? sussurrò una vocina dentro di lei. Non ha mai neanche controllato le trappole d'inverno, non ha mai guidato una muta di cani, non sa niente degli husky. Se si perdesse lungo la pista non riuscirebbe a sopravvivere. Puoi insegnarglielo tu, replicò una voce più forte. Devi ancora trovare il denaro e completare gli ottocento chilometri di gare minori sul percorso dell'Iditarod richiesti per dimostrare che sei in grado di guidare una slitta. Ma, del resto, si corre in marzo, e ne hai il tempo, se lavori sodo. Trapper e tutti i villaggi e le corporazioni di nativi ti aiuteranno, appena sapranno che un'inupiat partecipa alla gara. D'improvviso Natû si sentì forte e fiduciosa. Potevano farcela. Avrebbero compiuto quell'impresa che in apparenza era impossibile: avrebbero partecipato all'Iditarod. Rivolse i suoi pensieri alle parole impresse sul boccale che teneva sempre sulla mensola sopra il suo letto: ABBI IL CORAGGIO DI FALLIRE. Natû sorrise a Bud. Il frastuono nella sala da pranzo le parve svanire, mentre diceva: « Il signore e la signora Damas avranno il coraggio di fallire. Correremo l'Iditarod ». Bud sorrise, sollevandola di peso per farla girare intorno a sé. « Tesoro, ti prego, smettila », ansimò Natû mentre i suoi piedi urtavano contro la sedia infilata sotto il tavolo incassato nel muro. «Devo parlarti sul serio. L'allenamento per questa gara non è un lavoro che si possa sbrigare in un paio di mesi. È uno stile di vita. Per il resto dell'anno dovremo vivere in simbiosi con i cani. Ho letto tutti i libri che sono riuscita a trovare su questo argomento. » Bud assentì, osservando con amore il modo in cui gli angoli della bocca di Natû s'inclinavano all'ingiù quando era seria. «Il fratello di Edwin naviga su Internet, quindi credo che possa tenerci aggiornati sulle nuove regole o sulle ultime notizie. » « Oh, amore, sarà meraviglioso. » Bud non era altrettanto sicuro che quell'esperienza sarebbe stata meravigliosa, ma, come ogni altro abitante dell'Alaska e lavoratore dei campi petroliferi, ogni anno in marzo restava inchiodato alla televisione o alla radio per due settimane, nel periodo in cui i media si occupavano dell'« ultima grande corsa ». Da bambino, aveva un cane che amava profondamente. Il padre lo aveva battezzato Heinz, per via della sua ascendenza mista. Ricordando quel piccolo meticcio, Bud provò di nuovo l'impulso di sperimentare quel legame mistico tra uomo e cane. Si sedette al tavolo con Natû, filtrando in silenzio tutte le informazioni che riusciva a ricordare sulla corsa. Il suo caffè si era raffreddato, e Natû andò al banco a prenderne altre due tazze. I nomi dei musher più abili e dei loro cani di testa gli erano familiari. Aveva letto Il padre dell'Iditarod, di Joe Redington Senior, il resoconto di come fosse nata la gara, per commemorare la celebre «corsa del siero», quando una ventina di conduttori e cento cani avevano trasportato una confezione da nove chili di siero antidifterico a Nome, dove un'epidemia di «peste bubbonica» minacciava l'intera regione, dal momento che i nativi non godevano d'immunità nei confronti di quella malattia dell'« uomo bianco ». L'epica « corsa della carità » aveva reso celebri i cani da slitta, esaltandone il valore, e due terzi del percorso di quella prima corsa erano stati incorporati nel tracciato attuale della gara. Lui sapeva che l'Iditarod Dog Sled Race - questo era il nome ufficiale della competizione -, che ormai attirava l'attenzione del pubblico di tutto il mondo, era uno dei principali motivi per cui i cani husky non erano stati soppiantati del tutto dagli automezzi e dai velivoli moderni, rischiando l'estinzione. Natû intanto canticchiava uno dei motivi popolari che accompagnavano l'Iditarod, aggirando sedie e tavoli per tornare da Bud con il caffè. «Grazie», le disse lui, scostandosi i capelli dalla fronte. «Ne ho proprio bisogno. È bastata una stampa, e la mia vita è cambiata. » Scosse la testa. Natû osservava i riccioli danzare sulla nuca di Bud. Avrebbe voluto allungare la mano per avvolgerli intorno alle dita, ma la tratteneva la presenza degli altri commensali, per cui tenne le mani strette intorno alla tazza. « A te piace lavorare all'aperto », osservò. «D'estate, quando so dove sono e posso vedere quello che ho intorno », precisò l'uomo. Natû sorrise. « Ti insegnerò io a vedere nel buio, tesoro », gli assicurò. «Scoprirai che la luce delle stelle può diventare uguale a quella del sole. Devi soltanto ascoltare attentamente e percepire quello che c'è là fuori. » « Ah, sì? » replicò Bud in tono dubbioso. «Lo faremo insieme. Sarà... » «Lo so, uno sballo», disse lui, completando la frase. « Ma so che quello che tu consideri 'uno sballo' fa rimpiangere a uomini grandi e grossi di non essere rimasti a casa con la mamma. » «Uomini grandi e grossi», ripetè Natû in tono ironico. « Tu dici sempre che i trivellatori sono i più duri dei duri. Quando avrai corso l'Iditarod, vedrai che non c'è nessuno più duro dei musher. » Bud si rese conto all'improvviso che gli operai seduti intorno a loro erano ammutoliti, ascoltando la loro conversazione. « I musher saranno anche duri, ma sono pazzi da legare», sbottò un uomo corpulento. La cintura che portava era allacciata all'ultimo buco, e resisteva a stento alla pressione del ventre. Si leccò il ketchup che gli macchiava le labbra, come un rossetto applicato male. «Corrono in slitta per milleseicento chilometri, guardando l'estremità sud dei cani che punta a nord. » I suoi amici scoppiarono in una risata fragorosa, assestandogli pacche sulla schiena finché non alzò le mani, soffocato dalla tosse. Natû attese che l'ilarità si placasse. «Una buona citazione delle parole pronunciate dal direttore di gara, Niggemeyer», commentò. « Per partecipare a quella corsa deve avere delle tendenze suicide», osservò uno dei tecnici del giacimento. Lanciò un'occhiata all'orologio per controllare quanto tempo gli restava prima di dover tornare ai suoi computer e creare nuove immagini ad alta risoluzione per estrarre le risorse segrete del giacimento di Prudhoe. « Allora sia Natû sia io abbiamo tendenze suicide », dichiarò Bud con decisione, « perché abbiamo deciso di partecipare alla corsa più impegnativa del mondo. Potremo raccontare ai nostri figli che abbiamo corso l'Iditarod», e spinse indietro la sedia, facendo alzare anche Natû. « Se Joe Redington è capace di correre la sua diciottesima Iditarod all'età di settantaquattro anni, Bud e io possiamo farlo per la prima volta », dichiarò lei con fermezza. Il tecnico del giacimento li studiò per un attimo, poi batté le mani con calore. Sì, pensò. Sarà un'ottima pubblicità per i giacimenti petroliferi, e potrebbe persino far passare in secondo piano il dibattito sulla 10-0-2. L'Iditarod è l'unico avvenimento capace di unire tutti gli abitanti dell'Alaska. Sarà un'ottima occasione per dimostrare che partecipiamo. Nella sala regnò il silenzio, mentre lui saliva sul tavolo. «Signori», gridò, facendo arrivare la sua voce in ogni angolo della sala. «Abbiamo una squadra di Prudhoe che correrà la prossima Iditarod: Bud e Natû. » Nel sentir nominare l'Iditarod, si levò un applauso spontaneo. Uomini e donne rovesciarono tavoli e sedie per dare una pacca sulla schiena a Bud e abbracciare Natû: da un momento all'altro erano diventate le persone più importanti e popolari di Prudhoe. « Denaro », disse il tecnico. « Per gareggiare avranno bisogno di un mucchio di dollari. » « Quanto? » gridò una voce dalla folla. «Oggigiorno, come minimo trentamila dollari. Cinquantamila sarebbero ancora meglio. » L'annuncio fu accolto da fischi sommessi e scalpiccio di piedi. « Perché non li sponsorizza la BP? » suggerì l'uomo corpulento, con lo stomaco che gorgogliava per la massa di vivande che era riuscito a ingurgitare. « Sarebbe una buona pubblicità per l'immagine del 'magnate del petrolio'. » Ruttò e deglutì a fatica prima di aggiungere: «Possono permettersi di pagare cento bigliettoni ». « No », replicò Natû. « Soltanto cinquanta, per Bud. Io parteciperò come inupiat, e sarà la mia gente a raccogliere il denaro. » « Natû», sussurrò Bud. « Sii ragionevole. Di questi tempi è raro che i nativi gareggino, perché non se lo possono permettere. » « Lo so, ed è per questo che devo fare a modo mio. Correrò come inupiat, con i cani del villaggio e i fondi degli inupiat. » Bud l'abbracciò, cogliendo l'occasione per sussurrarle all'orecchio: « Scegliamo la via più facile, Natû. Chiediamo alla BP di sponsorizzarci. Sono certo che lo faranno. Per Prudhoe sarà una pubblicità enorme ». «La mia gente non conosce la parola 'facile', Bud. Convivono da mille anni con la potenza terrificante della natura, paralizzati dalla paura d'inverno, impegnati a cacciare e pescare d'estate soltanto per mantenersi in vita. Correrò per loro.» Bud scosse la testa. In momenti come quelli la sua intransigenza lo faceva infuriare, ma in segreto ammirava la sua fermezza. Rendendosi conto che erano oggetto di un esame attento da parte dei presenti, Bud si allontanò da Natû. «Ho un altro annuncio da fare», gridò. «Natû e io ci sposeremo la settimana prossima al Cook Hotel. Tutti quelli che si troveranno ad Anchorage quel giorno sono invitati fin d'ora. » Risuonò un altro applauso, che echeggiò nella mensa. Natû tirò per la mano Bud, che guardò la sua futura moglie, provando una profonda tenerezza per quella ragazza che aveva lasciato la sua famiglia e i suoi sogni per seguirlo in un ambiente estraneo. Guardando la folla, Bud riconobbe alcuni amici che si erano uniti al gruppo. « Un altro annuncio. » Un gemito provocatorio. « Questo è l'ultimo », assicurò. « Sposerò questa ragazza due volte. Una volta a Barrow con la sua famiglia, e poi di nuovo ad Anchorage. » Si chinò a baciare Natû con un accompagnamento di applausi, grida e fischi. «Tanto per assicurarmi doppiamente che sia mia», spiegò, affondando il viso nella pelle morbida del collo di Natû. Lei intuì il desiderio nella pressione delle sue labbra e del suo corpo. «Vieni», gli disse, prendendolo per mano e facendosi largo tra la folla. «Ehi, ehi, non siete ancora sposati», gridò uno degli amici. « Siamo invitati anche adesso? » li stuzzicò un altro. Il gruppo seguì con gli occhi Bud e Natû che si allontanavano abbracciati. 2 INVECE di andare a Chugiak per trascorrervi la settimana di ferie che gli spettava, Bud prenotò il posto in aereo per Barrow. Era venuto il momento di fare conoscenza con Trapper Jack. Appena usciti dal terminal dell'aeroporto, lui e Natû furono costretti subito a voltare le spalle al vento, chiudendo in fretta la cerniera lampo del parka e sollevando il cappuccio sulla testa. L'aria, gelida e impetuosa, soffiava a zigzag tra le case. Dovettero chinare la testa per resistere alla violenza delle raffiche mentre percorrevano lentamente le strade buie. Il riverbero delle luci accese all'interno delle case attirava la loro attenzione su una quantità di gatti della neve, umiak, barche di alluminio, cucine e apparecchiature, tutti gettati alla rinfusa tra i rifiuti intorno alle abitazioni. Bud, abituato all'ordine e alla pulizia di Prudhoe, aveva l'impressione di aggirarsi in una discarica, o nel recinto di un rivenditore di rottami di metallo. Natû invece non faceva caso ai detriti: quello era il suo ambiente, e sapeva che la sua gente non gettava via nulla, se pensava che potesse rivelarsi utile in futuro. La loro presenza nel villaggio fu segnalata dall'abbaiare dei cani legati alle catene e dal rapido aprirsi e chiudersi di porte e finestre. «Domani tutti i nativi di Barrow e dintorni sapranno che sono tornata a casa », osservò Natû, prendendo sottobraccio l'uomo che amava. «E tu, Bud Damas, sarai l'oggetto delle loro chiacchiere», aggiunse, ridendo della sua espressione perplessa. « Le voci che corrono, vuoi dire? Non c'era un gioco di società, una volta, basato sulle notizie che passano di bocca in bocca? » «È la stessa cosa. Uno degli abitanti del villaggio avrà riconosciuto me e intravisto te. La mia gente ama spettegolare: un pizzico di malizia è come un poco di ketchup su un hamburger, per loro. Quando la storia arriverà all'ultimo abitante del villaggio, neppure noi riusciremo a riconoscerci. » «Sarà interessante sentire che cosa pensano di me», scoppiò a ridere Bud, stringendola. Natû rimase in silenzio. Non era troppo sicura della reazione che avrebbe avuto la sua gente nel vederla tornare con un fidanzato. Si rese conto che era nervosa al pensiero di vedere Trapper; si sentiva oppressa dal senso di colpa, e si accorse di avere rallentato il passo. In lontananza, un lupo lanciò un lamento modulato in risposta all'ululare dei cani. Quel richiamo sonoro parve inseguirli fino alla casa del padre. Natû alzò la mano per bussare alla porta di un azzurro sbiadito, poi ci ripensò, girandosi verso Bud e gettandogli le braccia al collo come se fosse sul punto di annegare. « Va tutto bene », le disse Bud, che intuì per istinto i suoi timori. « Sarà felice di vederti, Natû, perché sei la sua unica figlia. Ti vuole bene. » Natû tornò a girarsi verso la porta, ma, prima che potesse bussare, il battente si spalancò e comparve sulla soglia un uomo alto, giovane e muscoloso. Lei non poteva scorgere i suoi lineamenti, ma era evidente che sprizzava vitalità ed energia. Non si accorse di loro due, in piedi nel buio di fianco alla porta. « Sockeye », gridò, « piantala. » L'husky lanciò un ultimo latrato di sfida prima di tacere. «Non so quanto durerà la pace», disse, sbattendo la porta e rivolgendosi a qualcuno all'interno della stanza. « Finché un altro lupo non comincerà a provocarli », rispose una seconda voce maschile. Natû era perplessa e un po' nervosa. « Questa è la casa di mio padre, ma a quanto pare ci abitano degli estranei », osservò sottovoce. « Cerchiamo almeno di sapere dov'è », replicò Bud. Bussò alla porta, e i cani scatenarono un coro assordante. « Dannazione. » Fu lo stesso giovanotto di prima ad aprire la porta. « Sì? » domandò in tono interrogativo, scrutando Bud e lottando per impedire alla porta di spalancarsi del tutto a causa del vento. «È questa la casa di Trapper Jack? » chiese Bud, piantando le gambe saldamente sul terreno per resistere alla violenza della bufera. « Sì, ma lei chi è? » ribatté Patrick in tono sospettoso. Trapper non aveva accennato a visite, quando aveva affidato la casa ai giovani Butler. Ascoltando quel dialogo, Natû rimase sconcertata. L'uomo aveva un accento inglese, ma con una lieve patina americana. Chi era, e dov'era suo padre? «Io sono la figlia di Trapper Jack, Natû», dichiarò prima che Bud potesse rispondere. Il giovane Butler rimase stupito. Tutta la famiglia conosceva la storia dell'unica figlia di Trapper, che era partita per i campi petroliferi con un trivellatore americano. I loro genitori parlavano spesso della figlia che Trapper aveva perduto e di quanto la sua defezione lo avesse ferito profondamente, anche se era difficile scorgere qualche traccia di emozione sul suo viso o nella sua voce, quando si accennava a lei. Hank, il padre dei gemelli, diceva che da anni, ormai, il vecchio musher considerava Casey sua figlia. « Evidentemente Trapper ha riconosciuto in vostra madre più tratti eschimesi di quanti ne vedessi io », aveva osservato ridendo. L'ululato del vento s'insinuò nella stanza, dissipando ogni calore attraverso la porta aperta. « Chiudi la porta, fratello », gridò Scott, stringendo i fogli di giornale sparsi sul pavimento di legno, per impedire che volassero via. Patrick lanciò un'occhiata alle sue spalle, poi spalancò la porta, facendo cenno a Bud e Natû di entrare. Scott stava per protestare di nuovo, quando, seduto com'era sul pavimento per bloccare i fogli di giornale, vide due paia di stivali infangati. I suoi occhi corsero verso il paio più piccolo, e si accorse che appartenevano a una giovane donna inupiat. La ragazza era robusta, pur senza essere mascolina, e dava un'impressione di forza ma nello stesso tempo di femminilità. Scott studiò il suo viso: a parte i capelli neri e ispidi e il lieve taglio obliquo degli occhi, avrebbe potuto essere americana. « Salve », disse lei a bassa voce. E così è americana, pensò Scott. Quassù sono tanti gli inupiat o i nativi di sangue athabascan, che è difficile capirlo di primo acchito; ma senza dubbio questi incroci producono una razza forte. Scott rivolse la sua attenzione all'uomo. Non mi piacerebbe attaccare briga con lui, rifletté. Quel tizio ha tanti muscoli da non riuscire neanche a tenerne il conto. «Scott», disse Patrick, «ti presento Natû, la figlia di Trapper, e Bud. » « Il suo futuro marito », completò Bud per lui. Il giovane balzò in piedi, urtando il tavolo con la testa. Nella fretta di alzarsi lasciò sul pavimento gli ultimi fogli di giornale, tanto era ansioso di osservare la coppia che era stata oggetto d'innumerevoli discussioni in famiglia. «Salve», esclamò, stringendo la mano a Natû. Poi la guardò mentre lei si toglieva il parka e scioglieva i capelli. Attraente, alla maniera selvaggia dei figli dell'Alaska, pensò. Bud gli serrò la mano in una stretta così forte da stritolargli le ossa. Che i trivellatori siano rudi non è affatto una fandonia, pensò Scott, ficcandosi la mano nella tasca dei jeans e resistendo alla tentazione di massaggiarsi le dita. «Prendete un po' di caffè», offrì Patrick, disponendo sul tavolo quattro boccali. I quattro giovani si sedettero intorno al tavolo, sorseggiando il caffè forte e dolce e osservandosi a vicenda. Come cani che si aggirano intorno a un nuovo venuto nel branco, annusandolo, si scambiarono domande incuriosite. « Negli anni '60, quando i controlli federali furono allentati, mio padre si vide promettere una grossa somma se fosse riuscito a portare trattori a cingoli e slitte fino al North Slope via terra », spiegò Bud a Patrick. « Come sapete, il materiale si può trasportare via mare soltanto per tre mesi l'anno, e sarebbe stato troppo costoso spedire i mezzi in aereo, dopo averli smontati. Mio padre organizzò un convoglio composto da tre trattori D7 che trascinavano un camper, più slitte cariche di equipaggiamento, combustibile e viveri. » I gemelli Butler lo ascoltavano affascinati. « Lui e altri cinque uomini partirono con l'intenzione di aprirsi una strada attraverso la natura selvaggia. Il viaggio rischiò di concludersi quasi subito, quando uno dei trattori a cingoli sfondò il ghiaccio, restando impantanato nel fango di uno stagno. Un'improvvisa burrasca di vento accumulò la neve intorno al mezzo e, quando gli uomini cercarono di rimorchiare il trattore fuori dello stagno, i cavi si spezzarono. La temperatura era scesa a meno di quindici gradi sotto zero... » « E tu dov'eri? » chiese Natû all'improvviso. « Io ero a bordo dell'altro trattore a cingoli, e ascoltavo le imprecazioni e le minacce degli uomini che volevano picchiare mio padre per convincerlo a tornare indietro. Non vedevo niente in quella bufera di neve accecante, una di quelle che chiamano white-out, ma ricordo che mi morsi la lingua sino a farla sanguinare per non chiamare mio padre. Dovevo essere forte per lui », rispose Bud. « Mio padre era un asso con quei mezzi pesanti », continuò. «Fece saltare lo stagno con la dinamite e ottenne l'impossibile: far passare un convoglio dove mai nessuno era passato prima di lui. » « Sei stato un bambino fortunato», osservò Scott. « Già », rispose Bud con un cenno di assenso, vuotando la tazza di caffè. Non aveva intenzione di parlare loro delle notti in cui si addormentava piangendo in silenzio, terrorizzato dall'ululato dei lupi che parlava di orrori notturni, temendo di morire assiderato durante la notte, spaventato all'idea che il convoglio li lasciasse indietro per procedere verso il North Slope. «Ma ora parlateci di voi», disse l'uomo, ansioso di dimenticare i terrori dell'infanzia. «Come mai conoscete Trapper? Che lavoro fate? » Ben presto le domande sfociarono in risate. « E così anche voi avete sangue inupiat nelle vene», osservò Natû, sorridendo e indicando con la tazza di caffè Scott e Patrick. I ragazzi rimasero per un attimo interdetti. « Credo di sì », rispose infine Patrick. « Questo ci rende quasi parenti », aggiunse il fratello. Soprappensiero, Natû aggiunse un altro cucchiaino di zucchero al caffè già dolce. « Se mio padre ha accettato come figlia vostra madre, Casey, significa che siamo parenti », concluse in tono deciso. « Magnifico. Questo vuol dire che abbiamo due sorelle, una a Londra e una qui. Che cos'altro si può chiedere alla vita? » dichiarò Scott. « Quando saranno sposati, Bud diventerà nostro cognato », aggiunse Patrick. « Non ci starebbe male un altro uomo per affrontare Savannah. » « Un uomo forte, che ci aiuti a tenere a freno il fiume in piena dei suoi ammiratori », ribattè Scott ridendo. Le ore trascorsero in fretta, tanto la conversazione era animata, mentre i giovani facevano amicizia. Alla fine, vedendo Natû sbadigliare, Scott guardò l'orologio. « Dovremmo dormire. Tra qualche ora tornerà Trapper. » Patrick si alzò, stirandosi e sfiorando con le dita il soffitto. « Esatto, ragazzo, e lo aspetta una bella sorpresa. » L'aria allegra fu sostituita da un'espressione tesa, mentre tutti si chiedevano quale sarebbe stata la reazione di Trapper alla vista di Bud e Natû. « Tu puoi usare il letto di tuo padre, Natû», suggerì Patrick, « mentre Bud può sistemarsi con Scott e me. » La ragazza avrebbe voluto protestare, perché aveva un disperato bisogno del conforto offerto dal corpo del suo uomo, quella notte. Avrebbe voluto aggrapparsi a lui per attingere alla sua forza prima d'incontrare suo padre. « Ha ragione Patrick, Natû», disse Bud, suggellando con quelle parole la sua ansia e la sua paura. « Al resto penseremo domani, quando arriverà tuo padre. » Ben presto la piccola casa divenne buia e silenziosa. All'aperto, i cani si accovacciarono nella neve formando un cerchio serrato, con il naso sotto la coda, come bambini raggomitolati sotto un piumino. Il crepitio minaccioso del ghiaccio marino e l'ululato implacabile del vento erano gli unici suoni che regnavano nel villaggio buio e addormentato. 3 L'AEREO sussultò, impennandosi sotto le raffiche di vento mentre puntava verso l'aeroporto di Barrow, e Trapper si aggrappò ai braccioli del sedile, distogliendo lo sguardo dal finestrino. Il riverbero delle stazioni di pompaggio di Prudhoe, che illuminavano quasi tutto il North Slope, svanì molto tempo prima che raggiungessero la cittadina di Barrow, dove la nebbia che si alza dal mare avvolge la terra e il ghiaccio in un manto di un grigio sporco. Trapper Jack chiuse gli occhi, pensando alla pace delle sterili distese di ghiaccio marino. Immaginò di sentire quel freddo così intenso da bruciare le narici, inspirando un'aria così pulita che sembrava ossigeno puro. Impose alla sua coscienza di allontanarsi dal presente, perché aveva bisogno di dimenticare che si trovava a bordo dell'aereo. Immaginò di essere chino su un foro aperto nel ghiaccio di un fiume gelato, intento a pescare. Sotto le ginocchia sentiva la pelle spessa di caribù, e vedeva l'amo ricurvo, ricavato da un dente di cane, che guizzava su e giù nell'acqua nera. L'aereo puntò verso il basso. Per calmarsi, Trapper fece finta che fosse un temolo bello grasso impalato sull'asta metallica all'estremità del gancio. Ritirò rapidamente il pesce dal foro nel ghiaccio e lo liberò dall'amo, lasciandolo dibattersi nell'agonia, sulla superficie gelata del fiume. La mente di Trapper si rilassò completamente. La rassegnazione ebbe la meglio sulla paura. « Non è questo il modo in cui vorrei raggiungere i miei antenati », mormorò, muovendo appena le labbra. « Ma se è questo il mio destino, così sia. » Intanto il pilota dell'aereo malediceva il lungo inverno senza sole, la bufera e la nebbia che regnava sulla zona, mentre guidava l'aereo nella fase di avvicinamento all'aeroporto di Barrow. Si sforzò di mantenere le ali in orizzontale prima del contatto con la pista, mentre il vento sembrava provare una gioia maligna nel mettere alla prova la sua abilità. Le ruote urtarono la pista sobbalzando. L'aereo planò per un attimo, prima di posarsi finalmente sul terreno. Trapper tenne gli occhi chiusi, con le mani serrate sui braccioli, finché il pilota non annunciò che erano arrivati a Barrow e potevano scendere dall'apparecchio. Il vecchio impiegò qualche istante a rendersi conto che il pilota era una donna. Come molti, si sentiva più sicuro se ai comandi c'era un uomo, sebbene le donne si fossero rivelate piloti estremamente competenti e prudenti. « Ora può slacciare la cintura, signore », gli disse la hostess, chinandosi su di lui. « Le chiedo scusa per l'atterraggio un po' brusco, ma questo tempo è davvero orribile. È stata una fortuna che la torre di controllo ci abbia concesso di scendere a terra. » « Sì », rispose Trapper con voce fioca, sentendosi sopraffare dalla nausea. «Non deve preoccuparsi quando ai comandi c'è Anna McInnes. Lei non 'tira mai la corda'. Quando la responsabilità tocca a lei, può ritenersi al sicuro come un neonato tra le braccia della mamma. Non è un pilota che ama correre rischi superflui. » « Grazie », rispose Trapper, alzandosi a fatica dal sedile. Stringeva in mano una cartella di plastica gonfia di carte. Alla riunione non era stata detta una parola riguardo alla decisione finale in merito all'oasi naturale, ma Trapper aveva ottenuto un'ovazione in risposta alla sua richiesta, eloquente e commovente, di lasciare intatta la regione per le generazioni future. « Dopo che abbiamo trasformato il nostro pianeta in una discarica, dobbiamo fare in modo che almeno un angolo di terra rimanga così come l'ha creato il Signore, un luogo in cui possiamo permettere alle nostre anime di cantare. Un luogo in cui, sia pure per breve tempo, siamo liberi di sentirci tutt'uno con la terra. Come ci occupiamo dei nostri figli, così dovremmo occuparci della terra. E come approviamo leggi che condannano gli abusi sui bambini, così dovremmo promulgare statuti che vietino gli abusi sui rifugi naturali. Ricordate, signori: 'C'è una sola, immensa gioia, / vivere, per ammirare la grande alba che sorge / e la luce che inonda il mondo'. » La voce di Trapper si era abbassata fino a diventare un sussurro, citando i versi di una poesia che lui aveva scritto tanto tempo prima. La sala era rimasta in silenzio, scossa da un brivido involontario. « Signori », aveva concluso, « mi auguro che l'oasi naturale del Refuge e la 10-0-2 possano diventare luoghi in cui noi e i nostri figli vedremo la luce che inonda il mondo intero. » Trapper sospirò, scendendo la scaletta dell'aereo. Superò con passo pesante edifici che ormai erano soltanto sagome confuse, tra la neve sospinta dal vento e il vapore dello scappamento dei veicoli lasciati con il motore acceso dai proprietari nel timore che, una volta spento, non si riaccendesse più. Era così immerso nei suoi pensieri, che non si accorse di essere arrivato a casa finché Sockeye non si alzò di scatto abbaiando per dargli il benvenuto. Sentendo quel suono, Natû si coprì la testa con il cuscino, rannicchiandosi tra le coltri calde del letto. Che escano i ragazzi, per controllare se è una volpe che va a caccia, pensò insonnolita. Non ho nessuna intenzione di alzarmi. Mi sono appena addormentata, e mi sembra notte fonda. D'un tratto risuonò in casa una voce profonda e familiare. «Patrick, Scott, mi aspettavo caffè e prima colazione, non due orsi in letargo. » Natû si tolse il cuscino dalla faccia, mettendosi a sedere. La porta si spalancò e lei batté le ciglia come un gufo, accecata dalla luce, di fronte alla figura robusta che si stagliava sulla soglia. Il silenzio tra padre e figlia sembrò prolungarsi per un'eternità. « Padre? » Natû fu la prima a spezzare la tensione, con voce tremante. Trapper sentì il tono che la figlia usava quando era piccola e voleva qualcosa da lui. Gli parve di rivedere la figlia com'era quando era stata prescelta per il gioco del «salto sulla coperta», e sentì di nuovo gli applausi e le risa che si erano levati quando aveva avvistato la prima balena per il villaggio. Si rammentò di com'era stato fiero quando lei aveva controllato per la prima volta le trappole d'inverno, recuperando gli animali, scuoiandoli e sistemando di nuovo le tagliole. Osservando il suo viso illuminato dalla luce che penetrava nella stanza, cercò di ritrovare l'adolescente che aveva amato e che, fino a quel momento, aveva considerato perduta per sempre. Ma la figura raggomitolata al centro del suo letto non era la figlia adolescente che ricordava. Era una donna, forte e attraente. Il naso sembrava più aquilino di come lo ricordava, e non aveva la mascella pesante così diffusa tra gli inupiat. I grandi occhi castani erano quasi a mandorla, come quelli di una volpe artica, e lo fissavano, pieni di apprensione. Trapper restò in silenzio, immobile come Nanuq quando aspettava di controllare una pista nel ghiaccio. «Padre», chiese Natû in tono esitante, «posso restare qui? » Trapper si limitò ad annuire, poi richiuse in silenzio la porta alle sue spalle e si voltò, trovandosi di fronte Scott, Patrick e un terzo uomo, riuniti vicino al fornello per cucinare. I due ragazzi facevano un gran fracasso per preparare il caffè, mentre lo sconosciuto studiò Trapper prima di fare un passo avanti, dicendo: « Sarei dovuto venire prima, signore». Il vecchio annuì, lisciandosi i baffi umidi. «Si sieda. Prendiamo un po' di caffè, così potremo parlare. » I gemelli Butler erano chiaramente sollevati nel vedere che l'esplosione di collera che avevano temuto non si era verificata. Si sedettero, circondati da un silenzio opprimente come la nebbia che soffocava Barrow. Fu Scott, sempre amante della pace, a rompere il silenzio. « Questo è Bud Damas. » Trapper annuì, senza staccare gli occhi dal viso del giovane. E così, questo è il giovane ariete che ha isolato mia figlia dal branco della famiglia e l'ha portata lontano, pensava. Forse non mi piaci per quello che hai fatto, ma mi sembri abbastanza forte da provvedere a Natû. Studiò la mano sinistra di Bud, osservò le dita mancanti. Apprezzò il fatto che Damas non tentasse di nascondere quella mutilazione, ma tenesse le mani strette intorno alla tazza di caffè. Quest'uomo è un lavoratore, decise. « Per quale motivo è qui? » gli domandò con voce burbera, asciugandosi il vapore dai baffi con la manica della camicia. « Come mai lei e Natû avete lasciato le comodità di Prudhoe per venire in questo villaggio indigeno? » Patrick e Scott rimasero immobili e silenziosi, come se osservassero il ciuffetto di piume d'oca legato a un bastoncino nei pressi dell'aglu, il foro dal quale una foca saliva in superficie a respirare. Attesero la risposta di Bud, con la stessa intensità con la quale si spia il respiro di una foca che emerge, facendo fremere le piume. «Voglio sposare Natû», rispose Bud, affrettandosi a proseguire prima che Trapper potesse obiettare. « Vorremmo celebrare un matrimonio nel villaggio con i suoi familiari e amici, e più tardi un altro ad Anchorage, con i nostri amici della compagnia petrolifera. » I l vecchio musher annuì con aria grave, senza che il suo viso tradisse la minima emozione. Bud, che si sentiva a disagio, guardò Scott e Patrick nella speranza di ricevere aiuto da loro, ma i gemelli Butler rimasero con gli occhi fissi sulla tazza di caffè. «Noi indigeni non celebriamo dei matrimoni formali. Spesso le nostre donne se ne vanno di casa con un uomo di loro scelta anche quattro o cinque volte prima di decidersi. Questo di solito avviene quando vogliono mettere su famiglia e avere dei figli», osservò Trapper in tono asciutto. « Natû ha fatto la sua scelta, e per me siete già sposati. Ma se lo desidera, organizzeremo una festa di benvenuto per lei, in modo che tutti gli amici possano augurarle un futuro di buona caccia. » Bud corrugò la fronte. « Signore, io non sono un cacciatore. Ero un trivellatore, e in gamba, per giunta. Ora mi occupo d'ispezioni all'oleodotto. » « Per noi un buon cacciatore è essenziale. Mantiene la famiglia, aiuta a nutrire gli anziani e divide le prede. Senza buoni cacciatori noi saremmo estinti. » Bud annuì, continuando a non capire. «Ti sta augurando buona fortuna per il futuro», sussurrò Scott, girandosi appena, come se volesse tossire. «Dove andrà a vivere, dopo aver sposato Natû?» s'informò Trapper, tendendo la tazza vuota a Scott per farsela riempire. Il ragazzo si alzò di scatto, rovesciando la sedia nella fretta di allontanarsi dalla tavola per riempirgli la tazza. Se solo Trapper alzasse la voce con Bud, o gli dicesse quello che pensa veramente del matrimonio, rifletté, mentre riempiva la tazza fino all'orlo e la posava con attenzione di fronte a lui. « Qui a Barrow, padre », rispose Natû, emergendo dalla camera da letto. « Dovremo trascorrere anche qualche tempo a Chugiak, perché i cani hanno bisogno di correre nella foresta e di abituarsi agli alberi. » Trapper si girò a guardare la figlia. È un bene che abbia dato ascolto a Oline, dando a Natû il nome di sua madre. L'anima di mia moglie non ha dovuto vagare sperduta nel vuoto, in cerca di una casa, non è stata costretta a vivere nel terzo mondo dei morti, dove le donne incapaci e i cacciatori falliti continuano senza posa a inseguire farfalle, il loro unico cibo. E non è scesa neppure nel mondo sotterraneo, anche se è comodo e caldo. Ha trovato subito un posto nella bambina appena nata. Negli occhi di Natû rivedo mia moglie, pensò. Ora lei rivive in Natû. L'idea che la moglie tanto amata si fosse reincarnata nella figlia lo rendeva sereno, e si rilassò leggermente, mentre Natû si dirigeva verso i fornelli per riempirsi una tazza di caffè. « Che significa questo discorso di cani e di alberi? » le chiese il padre, quando lei si sedette a tavola. Una raffica di vento scagliò la neve contro le finestre, scrollando la porta di legno azzurro. Natû attese una pausa nella tempesta prima di rispondere al padre. « Lo sai che ho sempre desiderato correre l'Iditarod, partecipare all'ultima grande corsa come nativa, come inupiat, utilizzando i fondi e i cani del posto. Questo era il mio sogno prima di lasciare Barrow. » Natû guardava Trapper con attenzione, evitando di parlare della sua partenza dal villaggio, come se schivasse gli specchi d'acqua guidando una slitta trainata dai cani. «È ancora il mio sogno, padre, e ora ho Bud con cui dividerlo. » « Bud vuole correre l'Iditarod? » esclamò Scott sbalordito. Lo stupore lo aveva spinto a entrare nella conversazione. Patrick aveva la sensazione di essere stato investito e calpestato da un alce. L'Iditarod, pensò. Ma quella è la mia corsa! Mi servono Sockeye e l'aiuto di Trapper. Ora invece darà tutto a sua figlia. Per un attimo provò un'avversione irragionevole per Natû. Prima esce dalla sua vita senza pensarci due volte, e ora, quando le fa comodo, ritorna a casa come il figliuol prodigo per ricevere tutto quello che può aiutarla a vincere la corsa. Trapper fissò Natû, poi spostò lo sguardo su Patrick. Si accorse che il giovane aveva le nocche sbiancate e le vene spiccavano in rilievo sulle sue mani mentre stringeva la tazza. Ah, le cose stanno così, pensò. Allora non c'è bisogno che parli a questo ragazzo di partecipare all'Iditarod. È un pensiero che lo ossessiona da tempo, da quando ha cominciato a controllare le trappole correndo sulla slitta trainata dalla muta, e a dare la caccia a foche e trichechi insieme con gli altri del villaggio. Ha una giusta dose di esperienza delle temibili forze della natura che entrano in azione sulla pista. Mi farà onore. Insieme potremo fare in modo che ottenga un piazzamento nella corsa. Natû si dimenò sulla sedia, a disagio. Trapper si girò verso di lei. Ma allora, che fare per la mia bambina? Lei per me è tanto figlio quanto figlia. È orfana di madre. È venuta a chiedermi aiuto. Sarebbe bello se un nativo, un inupiat, corresse di nuovo l'Iditarod, rifletté. I pensieri si agitavano nella sua mente come la neve trasportata dal vento che batteva alle finestre. Due paia di occhi erano fissi sul suo volto. Quelli scuri di Natû lo imploravano in silenzio, chiedendogli perdono e sostegno, senza i quali non poteva neppure pensare di affrontare la competizione. Trapper spostò lo sguardo da Natû a Patrick. Le pagliuzze scure negli occhi verdi del ragazzo gli sembravano quei licheni che dipingevano la tundra nei colori autunnali; e i riflessi scuri parvero incupirsi mentre Patrick fissava Trapper con decisione. Se solo ti avessi parlato della corsa prima della tua partenza per quella dannata riunione ad Anchorage, pensava intanto il ragazzo. So che mi avresti dato il tuo appoggio, e Natû sarebbe arrivata troppo tardi. Forza, Trapper, cercò d'influenzare in silenzio il vecchio. Appoggiami. Io posso e voglio farcela, e insieme potremo rientrare tra i primi venti. Che Natû si sposi e faccia dei figli. Questa dovrebbe essere una corsa di uomini. Ci sono già troppe donne che partecipano. Come se gli leggesse nel pensiero, Trapper si decise finalmente a parlare. « C'è stato un tempo, Natû, in cui credevo che potessi diventare per gli inupiat l'equivalente di una Beverly Jerue, o Dee Dee Jonrowe, Susan Butcher, Diana Moroney o Libby Riddles », disse in tono piatto, snocciolando i nomi delle donne che avevano corso e a volte addirittura vinto quella gara massacrante. «Ma è troppo tempo che vivi lontano da questa terra. Temo che tu non sia più capace di udirne il battito. Ti distruggerà. La natura tollera soltanto coloro che vivono in armonia con essa; prima o poi divora tutti gli altri. » Patrick sentì un palpito improvviso di speranza, ascoltando Trapper. Forse ho ancora una possibilità. Gli parlerò più tardi, decise dentro di sé. Scott si abbandonò sulla sedia, intuendo i pensieri del fratello. Trapper avrà bisogno della saggezza di Salomone per risolvere questo problema, pensò. D'altronde è sempre stato un uomo giusto, e prenderà la decisione migliore. Si alzò in silenzio, cercando di non attirare l'attenzione sui suoi movimenti. Prima che potesse allontanare la sedia dal tavolo, Natû replicò. « Lo so, padre. Speravo anch'io di essere la prima a superare la linea del traguardo a Nome. Sono certa di poterlo fare. Quando ero piccola tu mi hai insegnato che niente è impossibile, se lo vogliamo abbastanza e siamo disposti a lavorare e sacrificarci per ottenerlo. Ti ho creduto allora, e ti credo ancora oggi. » Fece una pausa. Trapper fissò la finestra, quasi che i fiocchi di neve che colpivano i vetri, come falene attirate dalla fiamma di una lampada, potessero risolvere il dilemma. «Ricorda, padre, che l'Iditarod è stata fondata non soltanto per incoraggiare la popolazione ad allevare e addestrare i cani da slitta e usarli nei villaggi, ma anche per onorare i conduttori delle slitte della famosa corsa. Più della metà di quegli uomini straordinari era di origine locale. Io lo sono. Le donne hanno dimostrato di poter vincere l'Iditarod, e io sono una donna. » Natû s'interruppe per respirare a fondo. Trapper batté leggermente il cucchiaino contro la tazza del caffè. «Dovresti far parte anche tu della nostra corporazione di nativi », osservò sorridendo. « Abbiamo bisogno di persone capaci di ragionare e di parlare bene. Lasciami riflettere su questa proposta, Natû. Mi hai già fatto troppe sorprese prima di colazione. Non si dovrebbero prendere decisioni a stomaco vuoto, perché questo confonde il cervello. » Scott e Patrick spinsero indietro le sedie. Ben presto la stanza fu invasa dalla fragranza del grasso che sfrigolava nella padella e del tè appena fatto, mentre le finestre si coprivano di vapore. Trapper passò un pezzo di pane sul piatto, per ripulire fino all'ultima traccia di grasso. Poi si rilassò sulla sedia, infilando le dita nodose nella cintura dei pantaloni. «Come tutti probabilmente sapete, e come Patrick e Scott sanno certamente », disse Trapper facendo una pausa mentre Bud assumeva un'espressione perplessa, «sto per parlare delle corporazioni native e della loro cronica mancanza di liquidi, Bud », spiegò rivolto a lui. «Delle tredici corporazioni iniziali, soltanto sei, con in testa la Cook Inlet Region Inc, ovvero CIRI, sono solide sul piano fiscale. Naturalmente la CIRI è l'astro del firmamento. Io conosco bene il presidente, grazie al fatto che le nostre madri erano amiche. » Natû si raddrizzò sulla sedia, con gli occhi scintillanti. Bud le mise una mano sul ginocchio, stringendo con forza. Lei posò la mano sulla sua, e Bud sentì l'eccitazione che le scorreva nelle dita. «Potrei rivolgermi a lui», disse Trapper. «Ormai la commissione dell'Iditarod e le corporazioni si stanno accorgendo che un indigeno che vive in una regione remota deve spendere circa diecimila dollari più degli altri concorrenti per prepararsi alla gara, perché è tenuto a pagare le tasse sul cibo per i cani e altre merci. I concorrenti che vivono nei pressi delle grandi città possono ottenere quello che vogliono più facilmente, e di solito a minor costo. Penso che potrebbero sponsorizzare una donna nativa che voglia concorrere. » Lo shock fece defluire il sangue dal viso di Patrick. Trapper aveva deciso a favore di Natû. È sleale, avrebbe voluto gridare. Lei è sua figlia, gli sussurrò la voce della ragione, spesso ignorata. È sua figlia. È giusto che aiuti per prima lei. Prova simpatia per te, ma per lei prova affetto. Sono dello stesso sangue. Ingiusto, ingiusto. Se c'è qualcosa che desideri con sufficiente intensità, prendilo, disse la voce che normalmente calpestava il buon senso. « Trapper, che ne dici delle altre corporazioni? » si rese conto che stava dicendo. «Potresti convincerle a sponsorizzare un uomo che ha soltanto un filo di sangue inupiat nelle vene, ma un desiderio ardente di lanciarsi sulla pista? » Il vecchio musher si tormentò l'estremità dei baffi radi con aria pensierosa, poi sorrise con un'espressione da folletto. «Sei capace di mangiare carne cruda, correre nudo e dormire nella neve? » domandò, citando il tributo ai cani sulla cartolina dell'Alaska Airlines. « No, ma posso mangiare carne secca, bere olio di foca, correre con l'abbigliamento tradizionale dei nativi e, sì, sono in grado di dormire nella neve », rispose Patrick serio. « Ne sono certo, giovanotto », convenne Trapper, colpito dal fervore di Patrick. Rimase in silenzio, immerso nelle sue riflessioni; soltanto il costante lavorio sui baffi dimostrava che era ancora sveglio. Scott notò ancora una volta l'impressionante abilità dei nativi di restare immobili per ore intere. «Potrei provare con la corporazione NANA », disse infine Trapper. « La corporazione Kotzebue Regional Corporation se la cava bene con la miniera di zinco di Red Dog. Hanno degli attivisti che sono molto ansiosi di preservare la nostra cultura. Forse posso convincerli a sponsorizzarti e usare la copertura pubblicitaria dell'Iditarod per promuovere la loro causa. » « Grazie », disse Patrick, « apprezzo la tua offerta di aiuto. » «E le altre corporazioni?» domandò Scott, pensando al futuro, quando sarebbe venuto il suo turno di correre l'Iditarod. « Che ne è stato dei novecentosessanta e rotti milioni di dollari che hanno ricevuto come risarcimento per i ricorsi presentati? » « Si calcola che oltre un milione di dollari sia stato versato agli avvocati per il loro onorario. Voi ragazzi sapete come queste cause legali siano interminabili. I nativi si citano in giudizio l'un l'altro per la divisione degli introiti della vendita delle risorse naturali; fanno investimenti poco saggi e mettono a repentaglio i diritti sulla sussistenza», spiegò Trapper scoraggiato. « Gli avvocati prosperano e le corporazioni finiscono in bancarotta », confermò Patrick, accatastando i piatti sporchi vicino al lavandino. « Posso dire una cosa? » disse Bud. Trapper annuì, cogliendo l'opportunità per studiare il futuro marito di Natû mentre parlava. Decise che sua figlia aveva scelto bene; gli sembrava un uomo forte e sano. Quando Bud si accorse che il vecchio lo osservava, non abbassò lo sguardo, anzi lo tenne fisso negli occhi di Trapper, come per cercare di valutare che cosa pensava il futuro suocero del suo suggerimento. Non voleva mettersi in contrasto con il padre di Natû, perché era evidente che lei amava e rispettava il vecchio. Bud posò sul tavolo le mani, protendendosi verso Trapper. « C'è una cosa che non le abbiamo detto », annunciò. « Correrò anch'io, come matricola. » Trapper non cambiò espressione. Si limitò a tirarsi con maggiore energia l'estremità dei baffi. «Cosa?» esclamarono Patrick e Scott all'unisono. «Ma tu... » « Non so niente, lo ammetto, e probabilmente otterrò la Lanterna rossa destinata a chi arriva ultimo sotto l'arco di legno di Nome. Posso anche non avere una goccia di sangue nativo, ma sicuramente mi scorre nelle vene l'amore per l'Alaska, l'eredità di mio padre. Fin da bambino ho capito che questa era la mia terra. Ricordo di essermi accampato sotto le stelle con mio padre, sicuro che i lupi mi avrebbero divorato, ma troppo spaventato per confessarlo, perché altrimenti mi avrebbe rimandato negli Stati Uniti da mio zio. Vivere in un campo petrolifero, in mezzo alle comodità della vita americana, non significa vivere in Alaska. » Bud fece schioccare le nocche di una mano, un suono fragoroso nel silenzio della stanza. Natû capì che era un segno di nervosismo, anche se Bud sembrava calmo e la sua voce era ferma. « Sono stato allevato in modo rude da uno di quei trivellatori indipendenti che vengono definiti wildcatter, il migliore dello Stato. Le sole compagnie che ho avuto da bambino erano paura e fame, ma l'Alaska era, e resta, il mio amore. Mi allenerò insieme con Natû. Ho risparmiato abbastanza per non dover tornare a Prudhoe per un paio di anni. » « E dopo la gara? » domandò Trapper a bassa voce. « Nei campi petroliferi c'è sempre da fare per gli uomini esperti. Troverò un lavoro e manterrò Natû. » Il vecchio restò in silenzio, con aria meditabonda, come una civetta delle nevi appollaiata su un ramo. Adesso ho tre persone che hanno bisogno di uno sponsor, pensò. A trentamila dollari a testa, sarà impossibile. Trapper scosse lentamente la testa e le estremità dei lunghi baffi gli sfiorarono il collo. «So che cosa sta pensando», disse Bud a bassa voce. « Può anche trovare uno sponsor per due persone, ma non per tre. » Trapper annuì. Patrick e Scott si sedettero a tavola, ascoltando con attenzione. «Prima che lasciassimo Prudhoe, circolava voce che la BP mi avrebbe sponsorizzato, versandomi per intero i cinquantamila dollari necessari. Forse lo farà anche per Nata. » Scott si lasciò sfuggire un fischio basso. «Bene», gridò, facendo col braccio un gesto che indicava il successo. «Se non riuscirà a convincere quelli della Kotzebue, dividerò i cinquantamila dollari con te, Patrick. Sono sicuro che insieme potremo farcela, con venticinquemila a testa. Dicono che trenta sia il minimo, ma lavorando sodo e sotto la guida di Trapper ce la faremo a raggiungere Nome. » Mia figlia ha scelto un vero uomo, pensò il vecchio padre, ascoltando Bud. « Io mi accontenterei di portare a termine la corsa », riprese Bud. «Quindi per me vanno bene dei cani giovani, slitte vecchie, attrezzatura per l'inverno presa in prestito dai nativi. Sarà come campeggiare d'inverno», esclamò ridendo. Era una risata contagiosa, alla quale si unirono i giovani. Soltanto Trapper rimase in silenzio, a testa china. « Padre? » disse Natû, preoccupata per il suo silenzio. « Che cosa c'è? » Trapper si alzò, stirandosi. Il viaggio di due giorni lontano dalla sua casa e da Barrow era stato lungo e faticoso. «No, Bud», replicò in tono burbero, «non è un campeggio. Se ti misuri contro la potenza e la maestà dell'inverno nell'Artico, ti renderai conto di quanto sei debole e insignificante. Ci saranno momenti in cui pregherai soltanto di poter sopravvivere. E questo che dovremo insegnarti, a sopravvivere. » Si diresse verso la camera da letto, fermandosi con la mano sulla porta. « Ricordati che anche se adesso ci sono posti di controllo, radio e apparecchi che lasciano cadere cibo per gli animali e prelevano i cani e i musher feriti, tra un checkpoint e l'altro si è soli, alla mercé degli elementi. No, non è un campeggio, Bud. » Sbadigliando, aprì la porta della stanza. « Comunque vada, proverai il brivido della paura», disse senza voltarsi. « Ora devo dormire. Per cena andrebbero bene ptarmigan o lepre, Patrick. Prendi Bud con te e comincia ad allenarlo », ordinò. La porta sbatté alle sue spalle. Trapper sorrise, tirandosi la coperta sotto il mento. L'uggiolio e l'abbaiare dei cani gli fecero capire che i giovani stavano impartendo a Bud la prima lezione per imbragare gli animali alla slitta. Per cena ci sarebbe stata carne fresca. 4 UN gruppo di turisti imbacuccati per difendersi dal freddo, con il parka di piumino e i piedi protetti dai mukluk, aprì le pesanti porte a vetri del Captain Cook Hotel, cercando di ripulirsi gli stivali dalla melma prima di calpestare il pavimento di piastrelle. Poi tutti si affollarono nella hall riscaldata, lieti di sottrarsi al vento. Erano stati attirati in Alaska, d'inverno, dal nuovo impulso di cui godevano gli sport invernali. I dépliant delle agenzie di viaggio pubblicavano foto invitanti di giovani che camminavano con le racchette da neve, sciavano e sfrecciavano a bordo di slitte trainate da cani su distese di neve scintillante. Quegli opuscoli non precisavano di certo che gli sport invernali non sono adatti a persone obese e fuori forma che durante l'anno fanno ben poco esercizio fisico; per questo, entrando nella hall, i turisti ansimavano e brontolavano. Superando in fretta le vetrine illuminate dei negozi dell'albergo, che offrivano in vendita orsi giocattolo e prodotti dell'artigianato eschimese, si diressero verso la caffetteria, guidati dall'aroma invitante del caffè appena fatto e delle costolette. Mentre passavano davanti a una delle sale interne dell'albergo, la porta si spalancò, e ne scaturì un'esplosione improvvisa di musica e di risate che si riversò nel corridoio. « È un matrimonio », osservò una delle turiste, slacciando la lampo del parka verde scuro. Le donne del gruppo si soffermarono per dare un'occhiata nella sala, sperando di vedere la sposa. Gli uomini, invece, si aggirarono spaesati, augurandosi che le donne perdessero ogni interesse per la cerimonia per proseguire verso la caffetteria. Il giovanotto che aveva spalancato la porta rimase fermo sulla soglia. Le luci si riflettevano sul rame cupo dei suoi capelli, mentre gli occhi castani studiavano per un attimo il gruppo di turisti. «Entrate pure», li invitò. «C'è un tavolo libero, qui, vicino alla porta. Venite a divertirvi anche voi. » « Ma se non conosciamo neppure gli sposi », rispose una delle donne, entrando nella sala. «È un matrimonio», replicò Scott, «non c'è bisogno di conoscerli. Venite a divertirvi. » Le donne accettarono subito l'invito, mentre gli uomini apparivano a disagio. «Scusatemi, gente», disse una donna che doveva aver superato da poco la ventina, con i capelli biondi raccolti sulla nuca, cercando di superare Scott e i turisti senza versare una goccia dello champagne che stava bevendo. La conversazione s'interruppe, e calò il silenzio mentre Scott e gli altri uomini seguivano l'ondulazione delle natiche sode e rotonde sotto il vestito aderente di lycra rossa. I sandali con i tacchi alti accentuavano la curva dei fianchi, attirando gli occhi di tutti sulle lunghe gambe ben tornite. « Accidenti », sibilò uno dei turisti, sottovoce. « Le invitate sono tutte così? » « Non lo so », rispose il giovane Butler, seguendo con gli occhi la ragazza che spariva in direzione della toilette per signore. Gli uomini si affrettarono a passargli davanti per entrare, raggiungendo le compagne presso il tavolo indicato da Scott. Lui rimase sulla soglia. Doveva parlare con la ragazza in rosso. La conversazione riprese, ma lei ancora non ricompariva. Andrò nella toilette delle signore fingendo di cercare quella degli uomini, pensò il ragazzo, e forse la troverò. Altrimenti, se rientra in quella calca, non la rivedrò più. Ravviandosi i capelli con le mani, si diresse con aria indifferente lungo il corridoio, con gli occhi fissi sul pavimento. Non voleva che qualche addetto alla sicurezza dell'albergo gli chiedesse come mai stava andando verso la toilette delle signore. Il rumore dei tacchi sulle piastrelle lo riscosse, e lui alzò la testa proprio mentre la ragazza svoltava l'angolo. È meravigliosa, pensò, cercando d'imprimersi nella memoria tutti i particolari del viso e del corpo nei pochi istanti che gli restavano prima che lo superasse. Hanna Mclnnes, che gli amici chiamavano Anna, era alta quasi quanto Scott, ed era così snella da dare l'impressione che l'alta cintura nera che portava in vita la tagliasse a metà, ma, a differenza delle modelle di Londra, non aveva un'aria smunta ed emaciata. Gli occhi azzurri erano cupi e misteriosi quanto quelli di Scott erano innocenti. Accorgendosi di fissare sfacciatamente la sua scollatura, Scott distolse lo sguardo e si affrettò a proseguire, ma non resistette alla tentazione di girarsi per guardare l'ancheggiare del suo corpo sotto il vestito mentre lei rientrava nella sala della cerimonia. Restò confuso nell'udire una risata scrosciante: anche lei si era voltata a guardarlo, e gli venne incontro con la mano tesa. « Io sono Anna », esclamò. Scott si asciugò la mano sudata sui pantaloni. « Scott Butler », rispose. Si scambiarono un sorriso, ancora leggermente imbarazzati per essersi fatti sorprendere mentre si voltavano, manifestando il loro interesse, ma felici di essersi conosciuti. Scott guardò la sala affollata. «In quel frastuono nessuno si accorgerà della nostra mancanza», osservò. «Lascia che trovi un po' di champagne, se non è già sparito tutto. Possiamo andare a sederci nella hall, per parlare senza procurarci danni permanenti alle corde vocali. » « Ottima idea. Ti aspetto qui. » Perse qualche minuto per aprirsi un varco in mezzo alla folla d'invitati felici. Riempì il bicchiere, e stava per tornare verso la porta, quando Patrick gli sbarrò la strada. « Non puoi lasciare il ricevimento così di soppiatto, ragazzo mio. Natû e Bud penseranno che non ti diverti. » «Devo andare», ribatté Scott, tentando di superare il fratello. « Niente da fare. Ho trovato una persona che voglio farti conoscere. È un tipo caldo, ti piacerà. » Patrick diede di gomito a Scott, ma con sua grande sorpresa quest'ultimo insistette per raggiungere la porta. « Che cosa c'è, ragazzo? » Patrick non poteva credere che Scott si lasciasse sfuggire l'opportunità di trovarsi una donna per quella sera. Aveva scoperto che le ragazze lo trovavano molto attraente, e quando erano entrambi più giovani questo fatto lo infastidiva, ma ormai lo aveva accettato, soprannominando Scott «mio fratello il playboy». « Grazie, ma ho trovato la donna che voglio sposare», ribatté con fermezza Scott. «Credevo che soltanto le femmine diventassero sentimentali ai matrimoni », esclamò Patrick in tono sarcastico, ma Scott non si girò neppure a guardarlo. Scorgendo un lampo rosso sulla soglia, fendette la folla come un trivellatore che apre un foro di prospezione nel permafrost, deciso a raggiungere Anna. Patrick scosse la testa con finto stupore, tornando a reclamare per sé la donna che aveva offerto al fratello. Anna sorrise a Scott, e lui ebbe l'impressione che fossero vecchi amici. Non provava timidezza in compagnia di una donna sconosciuta. Tenendole il bicchiere, la pilotò verso un angolo arredato con divani comodi, sui quali potevano sedersi a conversare. Una coppia di mezz'età, in attesa che il portiere completasse la loro registrazione in albergo, venne a sedersi di fronte a Scott e Anna, ma i giovani non interruppero neppure la conversazione e non alzarono neanche la testa, tanto erano assorti l'uno nell'altra. « Io credevo che qui tutti i ragazzi fossero molto semplici e portassero jeans sporchi e mukluk», osservò la donna, sbirciando la fascia di pizzo che orlava in alto le calze di Anna, quando lei accavallò le gambe senza preoccuparsi di tirare giù la gonna. Anna si girò verso Scott, e il vestito le risalì ancora più in alto. Allora la donna si voltò per guardare il banco della portineria, poi scrollò il marito. « Va' a vedere se la nostra stanza è pronta », gli disse, ma l'uomo era paralizzato dall'ammirazione e non riusciva a staccare gli occhi dalle gambe di Anna. La donna lo scosse con maggiore energia. «Subito», ordinò. «Prima che si formi un'altra coda.» Lui sussultò, fissandola come se si svegliasse da un sogno. «Adesso! » Lo guardò soddisfatta, mentre veniva superato da una coppia anziana che aveva raggiunto il banco prima di lui. L'uomo si mise in fila, girandosi per guardare la moglie, ma lei scosse la testa, facendogli segno di restare al suo posto. Accidenti, pensò, anche quando sono troppo vecchi per acchiappare la lepre, continuano a correrle dietro. Anna ripiegò le gambe sotto di sé sul divano, apparentemente ignara del fatto che quel movimento le scopriva la coscia, lasciando intravedere l'orlo dello slip nero. Era tutta presa da una conversazione animata con Scott, e non si accorse della donna di mezza età, seduta di fronte a lei, che si alzava dalla comoda poltrona di cuoio per raggiungere il marito. Non intendeva permettergli di tornare ad ammirare quella esibizione. Come la maggior parte dei giovani, Scott e Anna si rivolsero una serie di domande, ciascuno dei due cercando di farsi un'idea della vita dell'altro; ma un'ora dopo lui sapeva ben poco di lei, a parte il fatto che lavorava come pilota per l'Alaska Airlines, mentre lei sapeva tutto dell'università e della sua ambizione di correre l'Iditarod. «Perché non ti unisci ai volontari? » gli suggerì Anna, interessata. «Nelle prime settimane di marzo è un autentico manicomio, per cui abbiamo bisogno di tutte le braccia disponibili. Qualcuno ha calcolato che durante ogni corsa noi dell'Iditarod Air Force trasportiamo oltre cinquantamila chili di carico, per non parlare dei voli riservati ai funzionari e ai veterinari costretti a spostarsi da un checkpoint all'altro. » Scott, che stava per prendere il brevetto di pilota privato presso la Tri Star Flying School di Birchwood, a Chugiak, rimase impressionato. Anche il suo istruttore di volo faceva il volontario durante la corsa. Una settimana prima dell'inizio, cominciava ad alternare le lezioni agli allievi con i voli necessari per depositare il cibo per i conduttori delle slitte nei cosiddetti checkpoint. Mentre insegnava a Scott le sottigliezze dell'atterraggio con il vento trasversale, gli raccontava storie snervanti di atterraggi sui fiumi ghiacciati in mezzo ai venti invernali. Quelle lezioni restavano impresse nella mente di Scott come su una lastra di rame, tanto che aveva smesso di temere quei venti impetuosi per imparare ad affrontarli. «Non hai l'aria di un pilota», osservò Scott, e Anna scoppiò a ridere. « Aspetta a vedermi quando sono in volo. » « Mi piacerebbe. Potrei almeno aiutarti a caricare e scaricare l'aereo durante la gara? » domandò il giovane Butler in tono serio. Anna rifletté per un attimo. « Lascia che mi metta in contatto con il quartier generale dell'Iditarod Trail, a Wasilla », rispose. « Chi è il tuo istruttore di volo? » « Un tipo in gamba, Bruce Moroney. » «Bruce! Lo conosco bene. Quell'uomo è nato con le ali, il miglior pilota che ci sia da queste parti. Sei fortunato ad averlo come istruttore. Quando avrai finito il corso, sarai u n pilota di prim'ordine. » « Scott! » La voce di Patrick risuonò nel corridoio e il ragazzo alzò la testa, seccato. Gli invitati alle nozze si affollavano lungo il banco di legno della ricezione. Gli sposi non si vedevano più, sommersi da quella folla ridente. Natû si gettò sul braccio lo strascico del lungo vestito di raso bianco per evitare che gli invitati ci camminassero sopra, lacerando la stoffa. «Avanti», gridò Patrick, liberandosi dalla folla e dirigendosi verso il punto in cui erano seduti i due ragazzi. «Venite a vedere gli sposi. » « Andiamo », disse Anna, prendendo per mano Scott e tirandolo in piedi. Come tutte le donne, era facile preda delle emozioni legate alle nozze e ai battesimi. Il portiere, elegante nella livrea color grigio e borgogna, spalancò le porte, attendendo di vedere la reazione degli invitati, vestiti di abiti leggeri, quando avessero sentito il vento. Con sua grande sorpresa, invece, le grida e l'ilarità non fecero che aumentare di volume. Bud e Natû, appena saliti a bordo della slitta trainata dai cani che aspettava sulla strada, furono protetti con una coperta di pelliccia di volpe. Trapper era intento a controllare gli husky che abbaiavano eccitati. Alcuni dei suoi amici, arrivati per le nozze dall'allevamento Tri Star Kennels di Chugiak, gli avevano permesso di usare una delle loro slitte e una muta di cani per portare Bud e Natû al cottage di Chugiak, perché la coppia aveva deciso di trascorrere la luna di miele nella capanna di tronchi che avevano preso in affitto per viverci. All'insaputa di Natû, però, i ragazzi Butler avevano prenotato in albergo una suite per gli sposi, convincendo Trapper a condurre la coppia per un tratto di strada verso Chugiak, accampando poi una scusa per tornare verso l'albergo. Qui gli ospiti li avrebbero attesi per scortarli fino al loro appartamento. Sulle prime Trapper si era mostrato incerto. «Natû vuole andare nella capanna. Forse non le piacerà l'idea di restare al Cook per la notte. » « È una ragazza di spirito, vedrai che accetterà », gli avevano assicurato i ragazzi. « Anche Bud è convinto che l'idea le piacerà. » L'anziano musher era comunque perplesso, ma sperava che la neo-signora Damas vedesse il lato umoristico della situazione. Natû si strinse a Bud, mentre Trapper gridava: « Andiamo! » La sua voce si perse nel frastuono. Vega danzava sulle zampe posteriori, al ritmo dell'eccitazione che la circondava. Si girò indietro, in attesa dell'ordine di partire. Il vecchio fece un brusco gesto in avanti con la mano destra, visto che l'animale era almeno una decina di metri più avanti e non avrebbe mai sentito la sua voce. La leader della muta comprese all'istante, tese la linea di traino e puntò in avanti, seguita dagli altri cani, che si muovevano con la scioltezza di un corpo di ballo ben addestrato. Trapper controllò le otto linee di traino, dette tugline, che collegavano i cani alla slitta. Animali ben addestrati, pensò. Dovevano intuire che quella era un'occasione speciale. Niente finimenti aggrovigliati, niente lotte o salti al di là della linea di traino per raggiungere il compagno. Scosse la testa. Spero che Bud non pensi che questo è il comportamento normale dei cani. Bud si coprì il naso con il passamontagna che Patrick gli aveva ficcato sulla testa mentre lui e Natû correvano verso la slitta. L'aria ghiacciata sembrava scorticare le narici, rendendo penoso ogni respiro. Si girò a guardare Natû, scostando l'ampio collo del parka e accorgendosi stupito che lei portava ancora il passamontagna attorcigliato sotto il mento. Sorrideva, respirando senza sforzo. «Hai ancora molto da insegnarmi, piccola Natû», sussurrò. La ragazza gli appoggiò la testa sulla spalla, e la pelliccia del cappuccio solleticò il viso di Bud, che chiuse gli occhi. « Piano », gridò Trapper, e Vega rallentò a un trotto gentile. « Uau! » e si fermò, imitata dalla muta di cani alle sue spalle. «Gee», gridò Trapper, ordinando una svolta a destra, e il cane di testa eseguì alla perfezione quegli ordini contraddittori. Girando, fece descrivere alla slitta un angolo di centottanta gradi, e l'uomo annuì soddisfatto: gli husky avevano fatto un ottimo lavoro. « Che cosa c'è? » esclamò Natû, mentre la slitta tornava nella direzione da cui era venuta. «Ho lasciato in albergo qualcosa d'importante», gridò Trapper. La ragazza annuì e chiuse gli occhi, godendosi il movimento regolare della slitta e la sensazione della giacca imbottita di Bud sotto la guancia. I piedi dei cani sembravano sfiorare appena la neve, facendo quello che amavano di più: correre. Tenendo Natû stretta a sé, Bud si sentì sleale per l'inganno nei confronti della moglie. Lottò in silenzio con i propri sentimenti, poi sollevò il suo volto appoggiato alla sua spalla e le accostò le labbra all'orecchio. « Natû, devo dirti una cosa. Trapper non ha dimenticato niente al Cook. I ragazzi pensavano che dovessi goderti una notte di lusso e di attenzioni in una suite d'albergo, invece di cucinare e di preparare il letto nella capanna. Erano così eccitati da questo piano che non ho saputo impedirglielo. » Natû s'irrigidì, e Bud comprese che non avrebbe dovuto lasciarsi convincere dai ragazzi Butler. « Ti amo, Bud Damas », disse lei, « ma... » L'uomo fece l'unica cosa che gli veniva in mente per risolvere la situazione: la baciò finché le labbra rigide di lei non si ammorbidirono, schiudendosi sotto le sue. Avevano il volto affondato nel grande cappuccio del parka di Natû, e il respiro ardente. Bud non si accorgeva più del vento ghiacciato; l'aria intorno a lui era calda e sapeva del profumo di Natû. Lei fu la prima a sciogliersi dall'abbraccio. « Amore, te ne prego, mi piacerebbe cominciare la nostra vita insieme a casa nostra, non in albergo. La capanna è stata un posto così speciale, tutto per noi. Andiamo laggiù, stanotte, ti prego.» Bud annuì. Sollevò il braccio, liberandolo dalla coperta di pelliccia e fece segno a Trapper di fermarsi. « Alt! » Stavolta, con il vento alle spalle, la voce arrivò nitida al cane di testa. Vega la ignorò. La neve sotto i piedi e l'aria gelida sulla lingua pendula la eccitavano. Voleva correre. «Alt, Vega! » Al secondo ordine si fermò malvolentieri, voltandosi a guardare Trapper con aria di rimprovero. Sei un grande cane, pensò il vecchio musher, ma troppo testardo per essere un leader. I Damas si girarono per parlare a Trapper nello stesso tempo, lui in inglese e lei nella loro lingua. L'uomo alzò una mano, e Bud lasciò a Natû il compito di spiegare la situazione. Vega parve scuotere la testa quando Trapper gridò l'ordine di girare nuovamente per tornare indietro, ma i cani wheel, forti e ben allenati, che correvano davanti alla slitta sostenendone quasi tutto il peso, eseguirono la manovra, seguendo il leader della muta. « Grazie, tesoro », sussurrò Natû mentre si rannicchiava al fianco del marito. Lui le sorrise, ma subito dopo rialzò la testa di scatto. «Gli invitati», esclamò. «Sono tutti in attesa di scortarci nella nostra suite in albergo. » « Torneranno dentro, dove fa caldo e c'è da mangiare, da bere e da suonare », rispose lei con calma. « Appena avremo raggiunto la capanna, telefoneremo. » Bud sprofondò di nuovo sotto la pelliccia, che Natû coprì con la pelle di caribù. Hanno ragione, pensò lui, mentre la slitta correva sussultando lungo la strada. Ho molto lavoro da fare, prima di poter anche solo pensare di partecipare alla gara. La parte più difficile sarà imparare a guidare questi animali. Si chiedeva se sarebbe mai riuscito ad amare quei cani, tanto simili ai lupi che temeva. Un brivido involontario gli corse lungo la spina dorsale, anche se sapeva di dover superare la paura infantile e irrazionale che provava nei loro confronti. Osservò i muscoli degli husky che si contraevano e si allungavano sotto la folta pelliccia. Il movimento dei piedi e delle code che oscillavano era quasi ipnotico. La copertura della slitta, fatta di pelle di caribù, non consentiva al vento d'insinuarsi. Serrando la stretta sulla mano di Natû, Bud chiuse gli occhi e si addormentò. La ragazza osservò per un attimo l'uomo che aveva appena sposato, poi dedicò la sua attenzione ai cani, valutando il loro potenziale come partecipanti all'Iditarod, e si abbandonò al pensiero del giorno in cui avrebbe potuto tenersi in equilibrio sui pattini della slitta e realizzare il sogno della sua infanzia. 5 QUANDO la slitta che trasportava la coppia di sposi divenne soltanto una scheggia nera in lontananza, gli invitati rientrarono nel grembo caldo dell'albergo. Nella sala delle cerimonie che aveva accolto il ricevimento di nozze, la musica passò da un ritmo frenetico e pulsante a uno più lento e dolce. « Vieni », disse Scott, tendendo la mano ad Anna, che lo seguì sulla pista da ballo affollata. Era un buon ballerino, e le riuscì facile seguire i suoi passi. «Mi sembra di conoscerti da sempre», sussurrò lui a bassa voce. Per tutta risposta, Anna appoggiò la testa sulla sua spalla. Dalla parte opposta della sala, Patrick osservò la donna che il fratello teneva tra le braccia. Niente male, pensò, ma Scott è troppo giovane per pensare al matrimonio. Ha bevuto troppo champagne, e gli ormoni parlano al posto del cervello. Quando la coppia, ballando, gli passò davanti, lui si girò a guardare Anna. « Hai la lingua fuori », osservò la sua compagna di ballo, respingendo all'indietro i lunghi capelli con aria seccata. Quelle parole lo strapparono alle sue riflessioni, riportandolo alla donna che teneva tra le braccia. «Stavo semplicemente controllando il mio fratellino», spiegò. «Già, me n'ero accorta. Doveva essere il vestito rosso a impensierirti. » Patrick scoppiò a ridere, poi, accorgendosi che lo stavano chiamando, si diresse verso il tavolo principale. La sua compagna di ballo lo vide cambiare espressione mentre leggeva il biglietto che gli avevano consegnato. Poi Patrick prese il microfono, facendo risuonare la sua voce nella sala. «Silenzio, per favore! Ho un annuncio da farvi. Bud e Natû non torneranno al Cook. Hanno intenzione di restare a Chugiak. » La notizia fu accolta da un coro di gemiti. « Ma vogliono che continuiate a festeggiare per tutta la notte! » La delusione cedette il posto agli applausi, mentre l'orchestra attaccava Purple Rain. La stanza cominciò a vibrare al ritmo dei piedi che pestavano il pavimento di legno. Anna si allontanò dalle braccia di Scott, scatenandosi in una frenesia di movimenti al ritmo della musica. Lui la fissò per un attimo, interdetto, poi scoppiò a ridere e la imitò. Ben presto ballavano al centro di un circolo di ammiratori. Patrick tentò di farsi largo tra la folla per tornare dalla ragazza che aveva lasciato sulla pista, ma nessuno volle cedergli il passo. Gli invitati battevano le mani e cantavano sulle note della canzone di Prince, mentre Scott e Anna ballavano. Alla fine Patrick rinunciò al tentativo, fermandosi ai margini del cerchio. L'alta statura gli consentiva di scorgere la coppia. Suo malgrado, si accorse di battere le mani e cantare a gran voce le parole di Purple Rain. D'improvviso la musica s'interruppe, cambiando ritmo. Scott tornò a reclamare Anna, che respirava in fretta, ansimando. La strinse, cercandole la bocca con la sua, senza badare agli altri invitati che li circondavano. L'unica cosa che esisteva al mondo era la morbidezza serica delle labbra di Anna, la sua lingua calda e indagatrice. Non sentivano neppure il lieve fruscio dei ballerini che si muovevano lentamente intorno a loro. Erano persi in un mondo che soltanto gli innamorati conoscono. « Anna », mormorò il giovane con voce roca. « Anna. » Lei si scostò appena, facendo oscillare i fianchi contro il suo corpo con la cadenza di un pendolo, e sulle sue labbra affiorò un lieve sorriso, mentre osservava il viso di Scott. Lui gemette, affondando le dita nelle sue natiche per attirarla a sé « Andiamo via », sussurrò Anna. Uscirono dalla stanza e si allontanarono abbracciati. Patrick resistette all'impulso di richiamare il fratello. Non è il suo tipo, pensò, mentre guardava il fratello chinare la testa per sentire quello che gli diceva Anna. Di solito viene attirato da un tipo di ragazza dolce e timida, la classica rosa inglese. Questa invece è un'orchidea scarlatta ed esotica. Dovrei avvertirlo di andarci piano. Ci cascherà in pieno, e lei gli spezzerà il cuore. Il mio fratellino ha ancora molto da imparare sulle donne. Patrick lottò con il senso di protezione che provava per Scott, guardandolo baciare con tenerezza la testa di Anna mentre varcavano la soglia. Poi scosse la testa. Quello non era il momento di fargli delle prediche. Lasciamo che passi una notte con lei, pensò. Di più non potrà dargli. Una ragazza come quella deve avere sicuramente un amico; è troppo bella per essere sola. Patrick si riempì il bicchiere, dirigendosi verso un tavolo dove due biondine graziose sussurravano e ridacchiavano tra loro. « Vuoi ballare? » propose, infilando il braccio sotto il gomito della più carina. Le strade del centro di Anchorage erano tranquille, in confronto alla baldoria del ricevimento di nozze. Anna guidò Scott verso la Fourth Avenue, che a quell'ora di notte sembrava deserta. Il vento sibilava, spazzando l'ampia carreggiata della strada. Anna rabbrividì, ritirando il braccio col quale cingeva la vita di Scott per affondare le mani nelle tasche del piumino lungo che indossava. S'incamminò con decisione, procedendo svelta con i mukluk che aveva calzato prima di uscire dal Cook Hotel. « Il punto di partenza dell'Iditarod », disse Scott, riconoscendo l'enorme insegna al neon con la M, vicino a un McDonald's. « Si estende per cinque isolati lungo la Fourth Avenue », confermò Anna. « E un gran divertimento, il migliore che ci sia. » « Dove andiamo? » chiese Scott, guardando incerto la strada deserta. « Siamo arrivati », rispose Anna, fermandosi vicino a una vettura sportiva Mercedes. Aperta la borsetta, estrasse un mazzo di chiavi. « Tua? » domandò il giovane, stupito che un pilota potesse permettersi un tale lusso. « Sì, tutta mia », rispose lei brusca, quasi leggendogli nel pensiero. « Salta a bordo. » Scott affondò con un sospiro nel sedile di cuoio. «Potrei abituarmi a questo genere di cose», osservò, sporgendosi in avanti per studiare il cruscotto. « Io l'ho già fatto. » Scott alzò di scatto la testa, ma Anna l'aveva già abbassata, armeggiando con la chiave di accensione. Il motore si avviò con un rombo profondo. Anna scoppiò a ridere, premendo alcuni pulsanti, e le note struggenti di una delle cassette di Solitude riempirono l'abitacolo. Il lugubre ululato dei lupi si alzò, fondendosi con la musica e spegnendosi. «Il canto dei lupi», disse la ragazza, rispondendo alla domanda che Scott non aveva formulato. Il giovane Butler scostò il lembo del piumino di lei per posarle la mano sulla coscia calda, poi si appoggiò con la testa allo schienale e chiuse gli occhi, accarezzandola delicatamente al di sopra della calza. Anna studiò il suo viso alla luce dei lampioni. È davvero un gran bel ragazzo, si disse, ma dovrò stare attenta con lui. Dentro quel corpo così sexy c'è molta gentilezza. Reagirà come un cucciolo preso a calci nella pancia. Intanto sulle labbra di Scott aleggiava un lieve sorriso. Anna sterzò bruscamente, e lui aprì gli occhi, raddrizzandosi. « Che cosa c'è? » « Niente. Ho sbagliato la traiettoria della curva. » No, pensò Anna, non posso ferirlo proprio stanotte. Potrà scoprire più tardi l'esistenza del mio affezionato maritino « Double Dick ». Molto più tardi. La corsa parve durare un'eternità. Scott si accorse che avevano lasciato Anchorage ed erano diretti verso i monti Chugach. Alla fine Anna frenò di colpo, spegnendo il motore. Scott si guardò attorno, ma riuscì a distinguere soltanto la sagoma di una piccola capanna. «Entro per prima», disse Anna, lasciando aperto lo sportello da cui entrò un fiotto d'aria gelida. Sollevando la mano che il giovane le teneva posata sulla coscia, la fece ricadere sul sedile. « Entra quando ti chiamerò io. » Scott si mise a sedere, perplesso e incuriosito. Di colpo le luci si accesero alle finestre della capanna, dando l'impressione di scaldare la neve. « Vieni », gridò Anna, mentre la porta d'ingresso si apriva. Il giovane scese dalla macchina, aggirando alcune rocce coperte di neve. « C'è un sentiero che gira sul retro ed è più facile », gli spiegò ridendo, quando lui raggiunse finalmente il patio di legno. « Che cos'è? » chiese Scott, indicando il soggiorno con i divani e le sedie di legno, ricoperti di soffici cuscini, e il caminetto pieno di legna. « Casa mia: il mio rifugio segreto », rispose la donna, frugando nel cassetto superiore di una dispensa dipinta con i fiori della tundra. « Ecco. » Sollevò trionfante una scatola di fiammiferi e si accovacciò davanti al caminetto di pietra, mentre il piumino si allargava sul pavimento intorno a lei. Scott si tolse di dosso il parka, gettandolo sulla spalliera di una poltrona. Si avvicinò per aiutarla, ma, prima che potesse prendere in mano i fiammiferi, le fiammelle dorate lambirono la carta, consumandola poi con avidità. «Ecco fatto», disse Anna, sfregando le mani insieme e guardando soddisfatta le fiamme che divoravano la legna. Voltando le spalle al fuoco, urtò Scott, ancora fermo vicino a lei. « Scusami, non ti avevo visto. » Il ragazzo non rispose, facendole scivolare delicatamente dalle spalle il lungo piumino color crema che gli riempì le braccia, voluminoso e soffice come uno strato di nuvole. Lo posò sul tappetino di fronte al fuoco, dove le fiamme vi proiettarono riflessi color arancio e oro. Anna lo guardò in silenzio, poi, allungando la mano dietro le spalle, abbassò la lampo del vestito rosso aderente come una seconda pelle, che le ricadde intorno alle ginocchia. Scott rimase a bocca aperta. Era splendida. Il suo corpo era snello e candido come lo stame che sboccia dai rossi petali ricurvi di un anthurium. I seni, liberati dalla costrizione dell'abito, apparivano pieni e pesanti. Scott dovette reprimere un'esclamazione di desiderio, tendendo la mano verso di lei, ma Anna scosse la testa, facendogli segno di spogliarsi. Si strappò letteralmente di dosso i vestiti, gettandoli sopra il parka. Quando fu nudo, s'inginocchiò davanti ad Anna sul piumino color crema, e si studiarono a vicenda per lunghi istanti, senza muoversi. Infine lei si distese sul piumino, che si gonfiò intorno al suo corpo. Scott s'inginocchiò tra le sue gambe, quasi timoroso di toccarla. Anna sollevò la mano per passargli le dita tra i peli rossicci del torace muscoloso, sfiorando appena con le unghie la sua virilità, poi lo fissò, quasi stupita della sua reazione. Scott le afferrò le mani, tenendole inchiodate le braccia lungo i fianchi, e si abbassò su di lei. Anna cominciò a respirare in modo concitato e affannoso, mentre la bocca di lui cercava e trovava i capezzoli eretti. La donna lottò per liberare le mani e controllare i movimenti della sua testa, ma Scott la bloccò senza fatica. Solo dopo avere percorso un lento itinerario, che lo portò a leccare e mordicchiare delicatamente il pube turgido e perfettamente rasato, le lasciò le braccia libere. Anna gli serrò subito la testa tra le mani, come se volesse attirare la sua bocca su di sé. Scott tentò di sollevarla per tornare ai seni sodi e rotondi, ma lei lo tenne bloccato, lasciandosi sfuggire gemiti sommessi. Scott restò sorpreso dalla sua forza. No, Anna, pensò. Stasera sei stata tu a condurre il gioco, ma adesso farai a modo mio. Continuando ad affondare le labbra e la lingua nelle carni calde di Anna, si liberò con una mossa fulminea delle mani che gli serravano i capelli, poi si protese in avanti per tornare a leccare i capezzoli rigidi. « Non smettere », lo implorò lei, quando le immobilizzò di nuovo le mani. « Ti prego. » «Non voglio», mormorò lui, con il respiro irregolare per l'eccitazione, « ma faremo a modo mio.» Più tardi, sazi, Anna e Scott si stesero l'uno a fianco dell'altra, lasciando che il calore del fuoco asciugasse il sudore sul loro corpo. La luce chiara del giorno s'insinuava già sotto la porta del rifugio, quando Anna si mise a cavalcioni del corpo di Scott. I seni oscillavano sopra di lui, ma la donna rimase indietro, appena oltre la portata delle sue mani. « Stavolta faremo a modo mio », sussurrò. E lui sorrise felice, lasciandola fare. L'orologio a pendolo suonò nell'angolo della stanza, destando Anna, che era scivolata nel dormiveglia a fianco di Scott. Si allontanò da lui con precauzione, per non svegliarlo, e mise altri ceppi sul fuoco morente. Il giovane Butler era raggomitolato, immerso in un sonno profondo. Anna scivolò in bagno in punta di piedi per fare la doccia, cambiarsi e indossare un parka blu sopra la giacca della divisa da pilota. La porta di legno cigolò mentre l'apriva, e Scott si mosse nel sonno, cercandola al suo fianco. Di colpo aprì gli occhi e si mise a sedere. «Tornerò nel pomeriggio», gli promise Anna, avvicinandosi di nuovo a lui, ancora disteso sul piumino. Si chinò a baciarlo, sondando la sua bocca con la lingua. Scott cercò di afferrarla, ma lei si sottrasse con prontezza. «Se fai così, non arriverò mai al lavoro», gli disse sorridendo. « È già una fortuna che oggi abbia un volo soltanto. Non ho energie per fare altro. » « Anna, non andartene. » « Fa' la doccia. In cucina c'è qualcosa da mangiare. Avrai bisogno di tenerti in forze, ragazzo. Riposati, mentre sono fuori. Che ne dici della cucina cinese, per cena? » « Magnifico. » « Bene, allora mangeremo qui, così non dovremo vestirci. A presto, playboy. » E con un cenno di saluto se ne andò. 6 IL grattacielo della British Petroleum svettava alto e fiero nel centro della città di Anchorage, sfidando qualsiasi attività sismica o vulcanica a turbarne le linee purissime. D'estate, bordure di calendule gialle disegnavano aiuole geometriche intorno alla sede della BP Exploration, la società che possedeva il cinquanta per cento delle riserve petrolifere e di gas naturale del giacimento di Prudhoe e versava allo Stato il quaranta per cento delle sue entrate fiscali complessive. Ted Dawson era perfettamente consapevole dell'importanza della società, e si crogiolava nella gloria riflessa di quel gigante industriale. « Signori », annunciò, « con questo abbiamo chiuso, per oggi. » Gli otto uomini seduti intorno al tavolo raccolsero le carte che avevano davanti a sé, facendo scattare la chiusura delle valigette portadocumenti. « C'è solo un altro punto », disse Chuck Holden, un funzionario arrivato in volo ad Anchorage per la riunione. « A Prudhoe corre voce che lei abbia accettato di sponsorizzare Bud Damas per l'Iditarod. » Ted Dawson si lisciò i capelli biondi che gli spiovevano lisci sul collo della giacca. Il denaro e l'alcool avevano preteso il loro pedaggio dal suo corpo, un tempo atletico. Ora lo stomaco sporgente sosteneva una battaglia quotidiana con la cintura che lo comprimeva, e l'abitudine di mangiare bene aveva appesantito i lineamenti del volto, un tempo attraente. Dawson spinse indietro la sedia, appoggiando sul tavolo i piedi incrociati e intrecciando le dita sullo stomaco, nella speranza di nasconderne la sporgenza. « Sono voci », rispose. « L'argomento è stato discusso, e in linea di massima sembra una buona idea. Uno dei nostri dipendenti di Prudhoe sposa una nativa del posto, e questo è bene per le pubbliche relazioni. Poi vuole correre l'Iditarod, e la BP Exploration, una delle cinque prime compagnie private dello Stato, lo sponsorizza. » Dawson frugò nella tasca, tirando fuori un grosso fazzoletto azzurro e verde. Si soffiò meticolosamente il naso, si schiarì la gola, quindi puntò lo sguardo intenso degli occhi chiari sul dirigente di Prudhoe. « Può riferire che la BP Exploration è disposta a sponsorizzare uno dei nostri uomini di Prudhoe.» Ted Dawson abbassò i piedi dal tavolo, raddrizzandosi sulla sedia. «Faccia in modo di ottenere la massima copertura da parte della stampa», ordinò a un altro uomo vestito con eleganza, che sedeva al tavolo da riunione. « Sì, signore. » Ma Chuck Holden si affrettò a riprendere la parola prima che Ted potesse uscire dalla sala. Aveva promesso a Edwin, il suo più caro amico di Prudhoe, che avrebbe cercato di ottenere una doppia sponsorizzazione, anche se in quel momento, vedendo la bocca di Dawson serrata in una linea sottile per l'irritazione, si pentì della promessa fatta. « Signor Dawson, c'è un altro particolare. La donna inupiat sposata da questo trivellatore, Damas, è decisa a partecipare anche lei alla gara. » « E allora? » «La BP non potrebbe sponsorizzarli tutti e due? Sono ottimi lavoratori, molto popolari nel campo petrolifero. » Nella sala calò un silenzio spesso e profondo come uno strato di neve. Dawson congiunse le dita a piramide, appoggiandovi le labbra. Chuck fissò le unghie ben curate che premevano sulla carne tenera, augurandosi di non aver compromesso la possibilità di Bud di ottenere un contributo. Sapeva che Natû voleva essere sponsorizzata dalle corporazioni locali, ma sapeva pure che queste non avevano una posizione troppo solida sul piano finanziario. A Prudhoe nessuno poteva credere che la ragazza ce l'avrebbe fatta. Anche se ormai era sposata a Bud, l'amore segreto di Edwin per la ragazza era rimasto caldo e intenso. Voleva aiutarla a correre, ed era disposto ad accettare il sostegno di chiunque, purché servisse a realizzare il sogno della giovane. Aveva messo in croce Chuck prima della partenza, per estorcergli la promessa di darle una mano. Accidenti a Edwin, pensò Chuck Holden, mentre gli uomini intorno al tavolo cominciavano a innervosirsi. Perché ho permesso che mi coinvolgessero in questa faccenda? Avrei dovuto lasciare che Double Dick si allontanasse dalla sala. Di sicuro il suo è un soprannome azzeccato: «Doppio Uccello », per uno che, pur avendo una moglie di classe come Anna, mantiene due amichette in un rifugio di Anchorage e se la fa con tutt'e due insieme. Accidenti, pensò Chuck Holden, mi domando che cosa farebbe se sapesse come lo chiamano: probabilmente resterebbe di sasso. Quel pensiero lo fece sorridere. Ted Dawson lo fissò con aria acida. « L'idea di far sborsare centomila dollari alla compagnia le sembra divertente? » esclamò in tono brusco, scandendo le parole. «No, signore. Le chiedo scusa, ma stavo pensando ai soldi che ricaverò dalle scommesse quando il nuovo pozzo che stiamo trivellando a Prudhoe raggiungerà il massimo della produttività », replicò Chuck, riflettendo in fretta. Double Dick Dawson si raddrizzò sulla sedia. « Perché, voi altri ci puntate sopra? » «Su questo sì, signor Dawson. Hanno già superato lo strato di permafrost e stanno per oltrepassare il limite dei tre chilometri con la trivella direzionale. Direi che dovremmo essere sul punto di rastrellare dollari, » « Bene », rispose Dawson con un sorrisetto. « In cambio di questo denaro, può dare a tutti la buona notizia che la società per cui lavorano concederà una doppia sponsorizzazione per l'Iditarod.» « Grazie, signore. So che per loro vuol dire molto. Le sono grato.» Chuck non poteva credere che l'affannoso tentativo di spiegare il suo sorrisetto avesse procurato la sponsorizzazione sia a Bud sia a Natû. Dawson scostò la sedia dal tavolo. «Per oggi è tutto. Ho un altro appuntamento. » Tirò indietro il polsino della camicia per controllare l'orologio, ricavato da pepite d'oro puro dell'Alaska. Chuck la trovava un'ostentazione di cattivo gusto. « Sono in ritardo. » Dawson si affrettò a uscire e la porta sbatté alle sue spalle, mentre gli altri si rilassavano. « Double Dick ha intenzione di mantenere alta la sua fama », esclamò, sorridendo, uno degli uomini. «E non solo quella», aggiunse un altro, mentre tutti ridevano fragorosamente. « Ho già abbastanza problemi con una donna sola. Come fa lui a mantenere la pace con due che vivono nella stessa casa? » « Se avessi una moglie come Anna, cercherei di starle vicino », osservò un altro. «Prova a trascurare una come quella, e qualcun altro prenderà il tuo posto. » « Mi sorprende che nessuno dei piloti ci abbia provato. Lavora ogni giorno con quei tipi in uniforme, e si dice che le donne non sappiano resistere al fascino della divisa. » «Anna McInnes Dawson è una ragazza speciale», ribatté Chuck. «Ma per quale motivo resta con Double Dick? » domandò senza attendere risposta. Anna era popolare tra gli uomini di Prudhoe. Le piaceva fare scalo all'aeroporto di Dead Horse e chiacchierare con il personale, che nel corso degli anni aveva fatto amicizia con lei. Era cordiale anche con gli operai del quartier generale della BP. « Chi ci capisce niente con le donne, a parte il fatto che sono del tutto illogiche, che il loro comportamento è irrazionale e che non si può vivere né con loro né senza di loro? » pontificò uno dei dirigenti. Gli uomini ridacchiarono, uniti nell'interminabile lotta contro il sesso femminile. Le sedie si scostarono dal tavolo, e ben presto la sala rimase vuota e deserta. 7 TRAPPER e Natû decisero di cominciare l'addestramento di Bud a Barrow. «Lasciagli usare la muta di cani con la slitta pesante», suggerì Trapper. «Quando sarà in grado di condurla nel buio, sulla tundra pianeggiante, potrà passare a esercizi più impegnativi. » Decisero che, mentre Bud e Natû avrebbero condotto gli animali lungo la costa e sulla tundra, Trapper avrebbe battuto i villaggi di nativi, cercando di procurarsi sedici cani buoni e veloci, che avessero cuore e amassero correre. I Damas si trasferirono in casa di Trapper e la loro vita divenne una routine, tutta imperniata sul compito di nutrire i cani, pulirli e farli correre. Sockeye pareva intuire che c'era qualcosa d'importante nell'aria. Adesso si avviava al suo posto in testa alla muta pavoneggiandosi e camminando tutto impettito, oltre a ringhiare contro qualunque cane si azzardasse ad attaccare baruffa o aggrovigliare i finimenti. « Sockeye è diventato virtuoso come una prostituta pentita», commentò Natû. «E pensare che era sempre in prima linea, quando si trattava di attaccar briga. Di solito era lui a cominciare, e non aveva rivali nel passatempo di rodere i finimenti con i denti. » Bud annuiva con aria un po' dubbiosa. Non si sentiva ancora tranquillo di fronte a quell'husky che somigliava tanto a un lupo. Durante le corse di allenamento teneva d'occhio il cane con diffidenza, ed era ben contento di lasciare a Natû il compito di abbracciarlo e baciarlo, mentre, da parte sua, si accontentava di dargli una pacca sulla testa. « Io credo che Sockeye possa fare da cervello per la muta », disse Natû, tornando a Barrow dopo una severa corsa di allenamento lungo la costa. Bud annuì. I venti che soffiavano di traverso dal mare sospingevano la slitta e i cani, che correvano attraverso la tundra come altrettante piume d'oca al soffio della brezza estiva. Sockeye si batteva senza esitazioni contro la forza delle raffiche, imponendo agli altri husky di seguire la sua guida. «Ha la tempra di un cane wheel», aggiunse Natû, riferendosi agli animali più potenti, posti immediatamente davanti alla slitta, «ma abbiamo trovato un leader. » «Tu lo hai trovato», replicò Bud, prendendola tra le braccia. « Dobbiamo ancora scoprire il mio. Tu e Sockeye parlate il linguaggio dei cani. Ho l'impressione che quel lupo intuisca il lato selvaggio che c'è in te; è convinto che sia un lupo anche tu. » «Sockeye non è un lupo al cento per cento», replicò Natû, difendendo il cane che amava. « Sono sicura che ha almeno il naso e le orecchie da husky. » Bud scoppiò a ridere, prima di tornare ai secchi allineati presso la porta, per mescolare quello che chiamava pastone. « Accidenti », gemette, « come puzza questa roba. » «I cani non potrebbero correre così senza quella 'roba', come la chiami tu. » Bud chiuse la lampo del parka, sollevò un secchio e uscì. Il vento lo investì alle costole, facendolo barcollare, ma lui ritrovò subito l'equilibrio e si diresse verso il retro della casa, dov'erano sistemati gli animali. Il vecchio edificio di legno li riparava in parte dalla violenza del vento, consentendogli di distribuire ai cani la razione di cibo che spettava loro. Pescando in un sacchetto che aveva in tasca, ne estrasse delle strisce sottili di carne di castoro essiccata. Sockeye fu il primo a ricevere una di quelle ghiottonerie, e la divorò in un baleno, guardandolo con impazienza per averne ancora. « Quella non ti ha fatto nessun effetto, vero, golosone? » lo stuzzicò Bud, passando oltre per premiare anche gli altri cani della muta per il duro lavoro che avevano compiuto. Natû restò seduta ad ascoltare l'abbaiare e l'uggiolio isterico degli husky allevati dai nativi, che tendevano al massimo la catena cui erano fissati per raggiungere Bud e la carne secca di castoro. Al pensiero del castoro si sentì rivoltare lo stomaco e dovette correre in bagno con una mano sulla bocca. In ginocchio davanti alla tazza del water, disgustata dall'odore caldo e dolciastro del vomito, imprecò contro i limiti della sua natura di donna. «No, Oline», pregò, «non permettere che mi accada questo proprio adesso. Devo partecipare alla corsa. » Il suo corpo fu squassato da un altro spasmo, e dovette chinarsi di nuovo sulla tazza. Di colpo si accorse che i cani tacevano. Allora si affrettò ad alzarsi, facendo scorrere lo sciacquone prima di rinfrescarsi il viso con l'acqua fredda del lavandino. Non riuscendo a trovare il collutorio, fece dei gargarismi con l'acqua e si schiaffeggiò con forza le guance, perché il viso che vedeva riflesso nello specchio era pallido e affranto. Si stampò in faccia un sorriso ed entrò nella stanza principale proprio mentre Bud rientrava. « Dannato vento », brontolò il giovane. « Ho tanta fame che per poco non mangiavo il pastone dei cani. È avanzato un po' dello stufato di ieri sera? » Natû represse in silenzio un conato di vomito, voltando le spalle a Bud per riempirgli il piatto di stufato di pesce, poi scelse con cura una piccola porzione, eliminando la salsa prima di metterla nel proprio piatto. No, pensò, così vorrà sapere per quale motivo non mangio. Prendendo la forchetta, Natû sminuzzò il pesce, spargendolo nel piatto per dare l'impressione che fosse pieno. Bud attaccò a mangiare, badando appena al fatto che Natû giocherellava con il cibo. « Mangia », disse alla fine. « Per marzo avrai bisogno di tutta la tua forza. » Natû si affrettò a rispondere. « Mi sto esercitando a non consumare troppi viveri dopo l'allenamento », spiegò. «In questo modo l'olio di foca, il grasso di balena e il cioccolato basteranno a sostenermi per tutto il viaggio. » « Oh », mormorò Bud, allontanando il piatto. « In tal caso... » « No. Tu sei un uomo, e hai più bisogno di me di nutrirti. Ricordati che io discendo da generazioni di cacciatori di sussistenza. Siamo abituati a restare digiuni per lunghi periodi o a mangiare molto poco. » Bud si riprese il piatto con aria sollevata. Aveva una stazza notevole, e correre con i cani sembrava bruciare tutte le calorie che ficcava in corpo. Natû sospirò in silenzio. L'ha bevuta, pensò. Mi crede. Il richiamo stridulo del telefono fece balzare in piedi Bud. « Dev'essere Trapper. » Alzò il ricevitore stando in ascolto, mentre la mano serrava sempre più la stretta. Intanto Natû studiava i capelli scuri che gli spiovevano sul polso. A volte immaginava per gioco che Bud fosse Nanuq, l'orso che aveva sposato una donna, vivendo con lei nella sua tana durante l'oscurità invernale e dandole dei figli umani. Era una delle tante leggende inupiat su orsi ed esseri umani che Natû amava. Bud attaccò, sbattendo il telefono, poi attraversò la stanza a lunghe falcate e sollevò di peso dalla sedia la moglie, stringendola in un abbraccio soffocante. Natû sentì riaffacciarsi la nausea. Si sentiva risalire in gola il sapore stantio e oleoso del pesce, ma non poteva far sapere al marito che vomitava. Lui avrebbe insistito per farla visitare da un medico, interrompendo l'allenamento, e allora avrebbe saputo quello che lei era decisa a tenere segreto fin dopo la corsa. Con determinazione, inghiottì di nuovo la bile e il pesce. «Natû, Natû, ce l'abbiamo fatta», esultò lui, facendola roteare finché non cominciò a girarle la testa. «Era Chuck Holden. È ufficiale: Edwin ha convinto Chuck a chiedere la sponsorizzazione per tutti e due, e Dawson ha accettato. Double Dick ci ha prescelti. » Natû trattenne il fiato e deglutì a fatica quando Bud la depose di nuovo con i piedi per terra. «Magnifico, tesoro. Ora possiamo comprare dei buoni cani e l'attrezzatura per te. Sarai la migliore matricola di tutti i tempi! » Bud sorrise a sua moglie. « Quel che è certo è che ho i migliori insegnanti di tutti i tempi, con te e Trapper», rispose con serietà. «Sarà una bella notizia per lui, domani, quando tornerà a casa. Non dovrà farsi in quattro per trovare degli sponsor. I pezzi grossi ci lanciano una manciata di noccioline. » Trapper arrivò a Barrow due giorni più tardi del previsto. Persuadere le corporazioni dei nativi a versare il denaro per la sponsorizzazione si era rivelato più difficile di quanto pensasse. Nutriva buone speranze che la CIRI avrebbe sostenuto Natû, versando trentacinquemila dollari, ma non erano affatto disposti a finanziare Patrick. Il consiglio della NANA, invece, gli aveva promesso una risposta per il lunedì successivo. Non fu accolto dall'abbaiare di benvenuto degli husky. La casa era deserta e silenziosa; non c'erano pentole in caldo sui fornelli. Si lasciò cadere sulla sua poltrona, guardando fuori della finestra come se i suoi occhi potessero penetrare nell'oscurità. Si sentiva stanco e avvilito, e per la prima volta la vecchiaia alzava la cresta per schernirlo. Restò seduto a stuzzicarsi i baffi finché la mano non si abbassò e gli occhi si chiusero. Trapper Jack non sapeva che ora fosse quando la porta si spalancò ed entrarono Bud e Natû, ridendo e ansimando. Nessuno dei due si accorse di Trapper, seduto in silenzio nella stanza buia. « Vieni qui, mia piccola mogliettina inupiat », disse Bud, sollevando di peso Natû. Il viso del vecchio rimase inespressivo, mentre guardava quell'uomo abbracciare la giovane moglie. Questa si alzò in punta di piedi, intrecciando le dita tra i riccioli umidi e scuri sul collo del marito. «Ti amo, mio caro musher», rispose. « Perché, adesso Bud è un musher? » chiese Trapper a bassa voce. Si girarono di scatto per vedere da dove proveniva la voce. « Se è così, congratulazioni. Avete fatto un buon lavoro. Domani uscirò con te e potrai dimostrarmi le tue capacità, Bud.» Natû sentì la stanchezza nella voce del padre, e questo la mise a disagio. Trapper le era sempre sembrato indistruttibile e senza età, mentre ora si sarebbe detto che fosse un vecchio vulnerabile. Accese la luce per osservare il padre, ma il suo viso non tradiva nessun segno di debolezza. « La cena sarà pronta tra poco. » Natû cominciò a darsi da fare, apparecchiando il tavolo e facendo tintinnare le pentole mentre Bud sedeva vicino a Trapper per parlargli della sponsorizzazione della BP Rimase serio, ma ascoltò con attenzione il giovane, che completò la storia e poi alzò le mani in un gesto d'incredulità, vedendo che Trapper restava in silenzio. La sua mente era impegnata a ripercorrere le varie possibilità come se fossero l'intrico di fiumi della tundra, creando e scartando nuove combinazioni possibili riguardo alla sponsorizzazione della BP. Sapeva che l'offerta di Bud di dividere la somma con Patrick non era fattibile: le grandi società richiedevano un rendiconto dettagliato delle spese e non era ammissibile cedere venticinquemila dollari a un amico. Avrebbe dovuto convincere la CIRI ad aiutare Patrick, che aveva una piccola percentuale di sangue nativo, anziché Natû. Trapper parve riscuotersi dalla trance quando Natû gli mise davanti un enorme piatto di pasta. Aveva condito il piatto del padre con la carne di caribù anziché con il sugo in bottiglia, a base di pomodori e chili, che vendevano al supermercato. Trapper la ringraziò con un sorriso, chinandosi sul piatto per mettere in bocca una forchettata di pasta. Bud lanciò un bacio a Natû, rivolgendole un segno di apprezzamento. Quando era a Barrow, mangiava carne di alce e di caribù, ma dopo qualche giorno il suo stomaco cominciava a reclamare hamburger, patatine fritte, pasta e gelati. «Padre», disse Natû, quando Trapper scostò il piatto per prendere la tazza di tè, «penso che Bud e io siamo pronti per guidare i cani a Chugiak. È tempo di addestrarli sulle colline e tra gli alberi. » Trapper assentì, soffiando sulla tazza per diradare il vapore prima di sorseggiare il tè forte. « Mi piacerebbe usare l'equipaggio che hai formato qui e col quale ci siamo allenati. In questo modo sarò un'eschimese che corre con cani eschimesi e indossa abiti eschimesi », disse Natû in tono persuasivo. «Ma ora abbiamo denaro sufficiente per tutti e due, amore », disse Bud. Natû scosse la testa, e Bud la guardò con aria implorante. «Natû, se la BP ti sponsorizza, vorrà detenere i diritti e imporre il proprio logo sui tuoi abiti e sulle attrezzature », le disse Trapper con fermezza. «Proprio così. Cinquantamila dollari sono una bella somma di denaro. Prendili, usa le attrezzature migliori e porta a termine la corsa: vedrai che il prossimo anno le corporazioni native faranno la fila per aiutarti a correre con gli abiti tipici, usando le attrezzature tradizionali. » « Non lasciare che il tuo sogno di correre l'Iditarod sfumi per colpa del tuo orgoglio », disse Bud. « Penso che abbia ragione Trapper. » Natû stava per rispondere, quando si sentì risalire in gola la pasta al sugo. « Scusatemi », disse, prima di sparire nel bagno. Trapper osservò la porta chiusa. Natû aveva qualcosa di diverso dal solito, ma non riusciva a capire che cosa fosse. Scuotendo la testa, si girò ad ascoltare Bud. «Natû suggerisce di acquistare o 'prendere in affitto' venti o trenta cani a Chugiak, per allenarli e formare la mia muta. » Trapper annuì, guardando fuori della finestra. Bud non trovava più strano quel comportamento: gli inupiat davano sempre l'impressione di guardare qualcosa in lontananza. « Saremmo felici se tu venissi con noi a scegliere i cani e aiutarci ad addestrarli», continuò Bud. «Nella nostra capanna c'è spazio anche per te. » « Grazie. Nella zona di Chugiak e Knik ci sono dei buoni allevamenti e troveremo dei cani forti e veloci», rispose Trapper, alzando la testa quando Natû entrò nella stanza. Sembrava pallida e stanca. Probabilmente si allena troppo, pensò. « Domani vorrei vedere come Bud lavora sui cani da solo, Natû», le disse. « Voglio essere sicuro che sia pronto per affrontare gli alberi e le colline. » Trapper scorse il lampo di sollievo che passò negli occhi di Natû, rapido come la zampata fulminea di un orso polare. Dovrò tenerla d'occhio, pensò. Forse gli anni che ha passato lavorando nel campo petrolifero l'hanno rammollita. L'Iditarod non ammette debolezze. Forse sarà necessario aspettare un altro anno, prima di partecipare alla corsa. Dovrei essere in grado di decidere quando guideremo i cani a Chugiak. Nella capanna di Chugiak regnavano il buio e il silenzio. Natû si raggomitolò meglio sotto le coltri. Aveva i piedi freddi. Bud si girò, stringendosi la coperta intorno alle spalle ampie e lasciando ancora più scoperti i piedi nudi di Natû. Lei sospirò, avvicinandosi a Bud, e insinuò i piedi tra le gambe di lui, che reagì con un gemito di sorpresa. «No, Natû», mormorò, tentando di respingere i piedi freddi che scivolavano tra le sue gambe calde. « No, non è giusto. » « Non è giusto neanche prendersi tutte le coperte. » Bud aveva troppo sonno per discutere. Si girò invece verso Natû, stringendola tra le braccia, con la testa sul proprio petto, e coprendola con la pesante coperta azzurra. Natû rimase tranquilla finché riuscì a respirare, poi si scostò dal caldo strato di peli che copriva il torace del marito per prendere una boccata d'aria. Puntellò in alto la coperta, poi si rannicchiò di nuovo contro Bud. « Sei sveglio? » mormorò. «No, sto dormendo», rispose lui, sapendo ormai per esperienza che, se confessava di essere sveglio, avrebbe dovuto cominciare la routine quotidiana di esercizi con i cani. Aveva letto che, secondo Buser, un campione dell'Iditarod: «Coloro che partecipano alla gara svolgono un programma di allenamento degno di atleti olimpici per addestrare i loro animali, dopodiché devono lavorare con l'orario dei contadini per potersene prendere cura ». All'epoca Bud aveva pensato che fosse soltanto una battuta di spirito, ma ora capiva che era vero. Natû era spietata nella decisione d'insegnargli a sopravvivere nell'Artico e prestava un'attenzione meticolosa a ogni minimo dettaglio che riguardasse l'addestramento e la corsa dei cani. Bud aveva scoperto di faticare a tenere il suo passo, ma c'era ancora un settore in cui la supremazia spettava a lui, e si preparò a rinviare l'addestramento di quel giorno facendo valere quel primato. Sollevò la coperta per trovare le orecchie di Natû, prima una e poi l'altra, cominciando a baciarle con delicatezza, e lei lo abbracciò con un fremito di piacere. Non si accorse che la coperta le scivolava via dalle spalle, e per qualche tempo non pensò più né ai cani né all'allenamento, perdendosi nel calore del corpo dell'uomo che amava. Molto tempo dopo si rannicchiò in posizione fetale, mentre Bud la circondava con le braccia, appoggiando il mento sul soffice cuscino formato dai suoi folti capelli. Il lungo richiamo solitario di un lupo, punteggiato dall'uggiolio delle volpi, finì per svegliarlo, mentre Natû continuava a sonnecchiare soddisfatta, ignorando il richiamo che suscitava nel marito un terrore primordiale. La mossa più azzeccata che hai fatto in vita tua, Bud Damas, è stato sposare questa piccola inupiat, rifletté, alzandosi dal letto e guardando la giovane. Le rimboccò la coperta, controllando che avesse i piedi ben coperti. Si mosse in silenzio nella stanza, facendo attenzione a non svegliarla, visto che dormiva con un sorriso soddisfatto sulle labbra, poi entrò in bagno. «Bud?» chiamò lei, quando la porta si chiuse con un fruscio. «Accidenti a te, porta», scattò lui, prendendo a calci il battente colpevole del rumore. «Arrivo», esclamò, rientrando nella stanza. Si sedette sulla sponda del letto, respingendo di nuovo Natû sui cuscini. « Dormi », le ordinò. « Stamattina ci penso io a far mangiare i cani e a pulire il recinto. » Sorrise, posandole un dito sulle labbra quando lei fece per protestare. «Per questa mattina hai già fatto il tuo dovere. » Natû rispose con un sorriso. « Per la verità mi sembrava che fossi tu a fare tutto il lavoro, mentre io me la godevo. » Bud si chinò a baciarla. «Allora goditi ancora un po' di sonno. Voglio che te la prenda comoda. » Il dovere si scontrò con la sazietà. Alla fine Natû annuì e chiuse gli occhi. Lui continuò a fissarla per qualche minuto, come se tentasse d'imprimersi nella memoria i suoi lineamenti. «Ti amo tanto », sussurrò, allontanandosi. Natû socchiuse gli occhi per osservarlo mentre si vestiva, senza che lui se ne accorgesse. Sta diventando un buon musher, e più in fretta di quanto osassi sperare, pensò insonnolita. Da quando Bud aveva completato gli ottocento chilometri di corse con la slitta che erano un requisito obbligatorio per partecipare all'Iditarod, la sua sicurezza e la sua abilità erano diventate impressionanti. Prima di lasciarsi sopraffare dal sonno, Natû fece un ultimo tentativo per collaborare con lui. «Amore, senza di me impiegherai tutta la mattina per pulire il recinto e sfamare gli animali. Inoltre devo riportare il camion agli allevamenti. Avevo detto che mi serviva solo per trasportare i nuovi cani, e mi sento in colpa per averlo tenuto tanto a lungo. Sarò pronta in pochi minuti. » «Vogliamo scommettere?» Bud la salutò con la mano uscendo dalla stanza. «Frittelle ai mirtilli per iniziare la giornata. Oggi cucino io. » « Ma non è domenica, il giorno che tocca a te preparare la colazione », esclamò Natû. Ormai anche lei era in grado di gustare il cibo; nausea e vomito erano incubi del passato. Si sentiva di nuovo forte e in buona salute, e sapeva che Oline aveva esaudito la sua preghiera. « Facciamo finta di sì. Ti amo. » La voce di Bud si perse nel tonfo della porta d'ingresso che si chiudeva. Rimase in piedi all'esterno, sul portico, guardando il recinto dei cani. Era ancora buio. Il sole avrebbe sfiorato l'orizzonte soltanto a mezzogiorno. Bud stirò le braccia verso l'alto, inspirando a grandi boccate l'aria fredda del mattino. Gli alberi che svettavano sui box del canile erano spogli; i rami senza foglie sembravano denti scoperti sospesi sul recinto. Le luci all'ingresso spandevano un riverbero tenue sulle cucce più vicine, dove gli husky stavano rannicchiati nelle cassette di compensato piene di paglia, oppure in piedi sul tetto piatto, osservando quello che accadeva intorno a loro. Quelli di loro che erano in piedi sui box videro Bud, e subito si scatenò un pandemonio, mentre i cani tendevano le catene lunghe circa un metro e mezzo nel tentativo di raggiungerlo, e gli altri correvano in cerchio intorno al paletto piantato nel terreno. Il frastuono era assordante, ma Bud lo amava. Fissò al berretto di maglia la fascia con la lampada, tirò fuori una delle slitte che venivano riposte sotto le assi del portico, prese una pala e cominciò ad asportare i rifiuti lasciati dai cani. Passando davanti a ogni cuccia chiamava per nome l'husky che la occupava, affondando il viso nel suo pelame mentre lo abbracciava. Ormai amava l'odore caldo del mantello folto di quegli animali. Lui e Natû erano convinti che il segreto del successo con i cani fossero l'affetto e le lodi, e Bud aveva imparato ad abbracciarli e accarezzarli senza paura. Sapendo che la BP era disposta a sponsorizzarli, Bud, Natû e Trapper si erano procurati i cani migliori disponibili negli allevamenti vicini. Per la gara avrebbero scelto sedici tra i ventidue cani che avevano a disposizione. « È una vera fortuna che si siano fatti avanti con i soldi », meditò, mentre spalava metodicamente gli escrementi degli animali, rovesciando le palate nella slitta. Un husky dal muso bianco e dagli occhi di un pallido color turchese gli assestò un colpetto col muso sul braccio, mentre lui spalava il terreno intorno alla sua gabbia. « White-Out », disse lui, accarezzando il cane. Sentendo il proprio nome, l'husky uggiolò e tentò di saltargli tra le braccia, ma la catena lo trattenne. Lo avevano acquistato come cane di testa della muta, pagando ventimila dollari per quell'animale di razza perfettamente addestrato. Bud amava il cane, che lo ricambiava d'istinto: sembravano in contatto telepatico. Infilò la mano in tasca, tirando fuori un pezzo di pesce secco per il suo preferito, e White-Out lo inghiottì in un baleno, chiedendone impaziente dell'altro. « Basta così », disse l'uomo con fermezza, lasciando in tasca il secondo pezzo. «Prima devo dare da mangiare agli altri. Aspetta. » Alla fine il recinto dei cani fu pulito. La lettiera era stata cambiata, gli escrementi erano stati sepolti sottoterra e ogni animale aveva ricevuto un abbraccio o una carezza. Bud guardò il cielo. All'orizzonte si profilava una sottile linea grigia, pallida come un bambino malato. « È ora di mangiare. » Stava per salire i cinque larghi gradini di legno che portavano al portico, quando dallo spazio sottostante emerse una creatura delle dimensioni di un piccolo cane, con una grossa coda folta. Bud si soffermò a guardarla con stupore. Aveva circa metà dell'orecchio destro mancante e la punta della coda bianca. Invece di fuggire, la volpe non mostrava paura dell'uomo, anzi lo fissava tranquillamente. Lui si accovacciò sullo scalino, osservando con attenzione la volpe rossa. Era la prima occasione che aveva di vedere da vicino una di quelle creature intelligenti. «Le hai prese, piccola mia», osservò, notando che l'esterno delle orecchie era soffuso di nero. « La prossima volta scegliti un avversario più vicino alla tua taglia. » L'animale teneva gli occhi lucenti fissi su Bud, studiandolo con attenzione, e lui frugò in tasca alla ricerca del pezzo di pesce secco che aveva negato a White-Out. Si tolse il guanto, ficcandolo nella tasca interna per estrarre più facilmente il pesce. « Ecco qua », disse in tono carezzevole. « Non sembri affamata, hai un bel pelo folto, ma probabilmente è soltanto il mantello invernale. » La volpe si avvicinò, tenendo la coda bassa. « Sono sicuro che ti piace, povera piccola. » Bud mormorava parole rassicuranti con voce suadente, per non innervosirla. Tenne il pezzo di pesce tra le dita, allungando lentamente la mano verso la volpe, nel timore che un movimento brusco facesse fuggire spaventata la creatura selvatica. Trattenne il fiato quando la volpe arrivò a portata di mano. Il suo naso parve allungarsi, fiutando l'odore forte del pesce secco. Il giovane la guardò negli occhi, e d'improvviso rabbrividì. Gli occhi intelligenti dell'animale avevano assunto lo sguardo piatto e spento della follia. Prima che riuscisse a ritirare le dita, la volpe gli si avventò contro, e lui sentì un dolore bruciante alla mano, mentre i denti dell'animale gli squarciavano le carni. Si sedette sul gradino, fissando incredulo la ferita alla mano. Il sangue, denso e rosso come le carni di una balena appena scorticata, colò sui jeans stinti, lasciando una macchia scura che si allargava a vista d'occhio. La volpe si allontanò sfrecciando oltre il recinto dei cani, mentre gli husky tendevano la catena nel tentativo di raggiungerla e uggiolavano e ululavano per la frustrazione. Nel sentire i cani, Natû si mise a sedere, allungando la mano verso i jeans e il parka. « Sapevo che avrei dovuto aiutarlo », mormorò. « Da solo non può farcela. » Infilò le calze pesanti e calzò gli stivali alti imbottiti di piume. Ormai gli husky stavano ululando come lupi, mentre la volpe rossa si dileguava fra i tronchi scuri degli alberi e l'intrico dei rami caduti. Natû spalancò la porta, cercando Bud in mezzo ai cani. «Silenzio! » gridò. Alcuni husky smisero di ululare, ma gli altri rimasero con la testa protesa verso il pallido arco sopra di loro, intonando il canto che da secoli terrorizza l'uomo. Un lieve movimento ai piedi del portico attrasse l'attenzione di Natû. « Bud? » disse in tono interrogativo. « Tesoro, ti senti bene? Perché sei seduto lì? Bud! » Non ottenendo risposta, Natû scese i gradini e si accovacciò vicino a lui. Fissarono entrambi le gocce di sangue che cadevano sui suoi pantaloni. «Che cosa hai fatto? Come ti sei tagliato la mano?» gli domandò. « Una volpe », rispose lui a bassa voce. « È stata una volpe rossa. » Natû fissò con orrore il marito, abbracciandolo e cullandolo, in modo che non potesse leggere nei suoi occhi la sentenza di morte. Oline, gemette in silenzio, aiutami. Non lasciare che uno degli altri mondi si porti via mio marito. Quasi in risposta alla silenziosa preghiera rivolta all'antenata, Trapper uscì dalla capanna sbattendo la porta. La nota isterica nell'ululato dei cani lo aveva allarmato. « Che cosa è successo? » Attraversò il portico con prontezza sorprendente per un uomo della sua età, raggiungendo il punto in cui erano seduti, poi ascoltò in silenzio la storia di Bud. « Vieni dentro », ordinò alla fine. « Dobbiamo togliere il più possibile la saliva, lavando la ferita mentre è fresca. » Poi si rivolse a Natû. « Hai ancora il camion degli allevamenti? » Lei annuì, incapace di parlare. « Bene. Ci serve l'aiuto di un medico. » « Ma è solo un morso. Mi è successo di peggio », protestò Bud, sollevando la mano con due dita mancanti. Trapper e Natû si scambiarono un'occhiata. « È un piccolo morso, ragazzo mio, ma la responsabile è una volpe. » « E con questo? » «Tutti gli animali selvatici carnivori che si avvicinano agli esseri umani o alle case senza mostrare paura vanno considerati sospetti », spiegò Trapper. Bud abbassò la testa sulle ginocchia, come sul ceppo del boia. Allontanò più che poteva il braccio dal corpo, osservando il proprio sangue come se fosse un serpente che strisciava nella luce nebulosa. « Rabbia », mormorò con voce spezzata, poi alzò la testa per fissare Trapper senza vederlo. Il suono di quella parola sembrò il rintocco di una campana a morto sul piccolo gruppo. Natû si sentì stringere il cuore nel vedere la paura sostituire l'orrore negli occhi di Bud. «C'è una possibilità», disse il vecchio. «Svelti, in casa. Stiamo perdendo tempo. Avremmo già dovuto lavare la ferita con acqua e sapone. Se la volpe ha la rabbia, il virus viene trasmesso dalla saliva. » Bud si alzò vacillando e appoggiandosi al suocero, incapace di reggersi in piedi, come se fosse paralitico. « Quanto tempo mi resta? » domandò, osservando Trapper che teneva scostati i lembi della ferita mentre la puliva. «Non ne sono sicuro, ma, se l'animale ha la rabbia, credo che la malattia si manifesti in un periodo che va da quattro a sei settimane. » Trapper s'interruppe per versare acqua pulita sulla ferita. «Può durare soltanto dieci giorni, o anche fino a otto mesi. » «E dire che quella bestiola mi faceva pena. Sembrava che l'avessero picchiata», osservò Bud, stringendo a sé Natû, mentre Trapper gli serrava la mano in una stretta implacabile come una trappola per lupi. Bud sopportò il dolore con stoicismo, mentre Trapper sondava e puliva energicamente la carne viva. «Forse si è imbattuta in una volpe o in un lupo che si trovavano nello stadio aggressivo della malattia », spiegò il vecchio musher, asciugandosi la fronte con il dorso della mano. « Natû, hai portato il camion vicino alla capanna? » La ragazza si limitò ad annuire, non riuscendo a staccare gli occhi dal viso di Bud. «Telefona al medico. Dovrebbe trovarsi all'ambulatorio di Chugiak. Prova lì e spiegagli quello che è successo. Digli che partiremo da qui tra dieci minuti. » Lasciando Bud per un attimo, fece girare Natû su se stessa, spingendola verso il telefono. Lei si mosse come una sonnambula. « Presto », la incitò Trapper. Tornando da Bud, versò dell'acqua calda sulla ferita, e si rilassò soltanto quando sentì Natû parlare al medico del posto. La rabbia era una minaccia quotidiana per il popolo dell'Alaska, che era a stretto contatto con gli animali carnivori portatori della malattia. Trapper stesso aveva visto gli effetti del virus quando si propagava attraverso il sistema nervoso centrale fino a raggiungere il cervello umano. Le immagini dell'uomo colpito dalla rabbia, con i muscoli e il viso stravolti dalle contrazioni che gli squassavano il corpo, lo ossessionavano ogni volta che andava a controllare le trappole. Tentò di non pensare a quella scena di tanto tempo prima, per concentrarsi invece sulla ferita di Bud. Quando Natû attaccò il telefono, si riscosse, tornando al presente. « Avvia il motore del camion », le ordinò. « E trova il berretto di Bud. Fuori fa freddo, e lui ha avuto uno shock. Ha bisogno di stare al caldo. » Natû prese le chiavi dal banco della cucina, correndo fuori. «Attenta a quella volpe! Potrebbe tornare. » Lei si fermò sulla soglia. «Dovremo lasciare un biglietto a Patrick. Ha detto che sarebbe arrivato qui all'ora di colazione. » « Digli di prendere il fucile per controllare il recinto dei cani, mentre siamo via. Non vorrei che quella volpe impazzisse. Dovrà abbatterla. » Trapper calcò sulla testa di Bud il passamontagna di lana, spingendolo fin sulle orecchie. « Lasciagli anche il numero di telefono del medico. » Natû assentì, mentre la sua mano correva su un foglietto di carta che fissò con una puntina all'esterno della porta. La corsa fino al centro medico pareva interminabile, anche se si trattava soltanto di pochi minuti. Natû teneva stretto Bud come se non dovesse più sentire il contatto del suo corpo, imponendosi di non abbandonarsi a singhiozzi di terrore: doveva essere forte per l'uomo che adorava. Gli alberi correvano ai lati del camion, lanciato a tutta velocità per raggiungere il medico che poteva aiutarli. Natû aveva l'impressione che gli aghi pungenti degli abeti rossi fossero altrettante dita accusataci puntate verso di lei. Non gli hai parlato di suo figlio. Che farai se dovesse morire in preda al delirio, senza nemmeno capire quello che gli stai dicendo? Natû rabbrividì e chiuse gli occhi, cancellando dalla sua vista gli alberi. Bud la sentì fremere e premette la testa contro la sua spalla. Attesero insieme. Il medico li ricevette appena arrivarono. Trapper rimase ad aspettarli a bordo del camion, mentre i due entravano in ospedale. A lui quei luoghi rammentavano troppo le ore che aveva trascorso al capezzale della moglie, guardandola scivolare via, per unirsi agli antenati. La medicina non era stata in grado di salvarle la vita, e ora pregava che riuscisse ad aiutare il marito di sua figlia. Bud e Natû seguirono il medico in una stanzetta bene illuminata, dove Bud arricciò il naso nel sentire l'odore acre dei disinfettanti e dell'etere, cercando di non guardare il vassoio di strumenti e siringhe vicino al lettino delle visite. Come quasi tutti gli uomini, si sentiva a disagio nei confini angusti di un ospedale. «Mi spieghi che cosa è successo», gli disse il medico, prendendo la mano del giovane per esaminare la ferita. Bud raccontò la storia, restando in silenzio ad aspettare il responso del medico. Quando vide che teneva la testa bassa, continuando a prendere appunti, aggiunse: « Questo significa che dovranno legarmi a un letto per impedirmi di nuocere agli altri quando il virus attaccherà il cervello? » Si sforzò di controllare il tremito nella voce. « Lei ha visto troppi telefilm », ribatté il medico, nel tentativo di dissipare i timori di Bud. «Ma gli esseri umani muoiono di rabbia», insistette Bud. «Una delle conferenze che hanno tenuto nei campi petroliferi riguardava appunto la rabbia. Ora rimpiango di non avere prestato maggiore attenzione. » Rendendosi conto che quel ragazzo aveva bisogno di conoscere meglio il virus, il medico cominciò a spiegare la natura della malattia, la diagnosi e il trattamento. Come la maggior parte dei pazienti sotto shock, Bud sentiva soltanto in parte le sue parole. «Di solito la morte si verifica dai tre ai cinque giorni dopo l'insorgere dei sintomi. Uno dei primi segnali della rabbia è costituito da sensazioni anormali intorno alla ferita. » Bud si sentì subito formicolare la pelle intorno al morso. «Il terrore dell'acqua è dovuto alle contrazioni molto dolorose dei muscoli della gola per deglutire. » Bud deglutì due volte, sollevato di non provare dolore. « Lei è stato sottoposto al trattamento medico ben prima che scadessero le ventiquattr'ore dall'esposizione al virus. Gli esseri umani sono fortunati, perché deve trascorrere un lungo periodo d'incubazione prima che il virus raggiunga il cervello. » Il medico spinse gli occhiali in basso, verso la punta del naso, osservando il paziente al di sopra delle lenti. Quel gesto ricordò a Bud il padre, trivellatore di pozzi petroliferi nella natura selvaggia, e gli parve all'improvviso di essere tornato ai tempi in cui viveva nel suo accampamento, mentre il padre leggeva un giornale di cinque giorni prima. Lottò per ricacciare indietro le lacrime. Il medico finse di non accorgersi che Bud aveva gli occhi velati di lacrime. Probabilmente è lo shock, pensò. Di solito i duri sono quelli che reagiscono peggio. « Come le ho spiegato al suo arrivo, signor Damas, spesso la rabbia è letale. Consideriamo potenzialmente a rischio tutti i casi sospetti. Comunque lei, in quanto essere umano, ha davanti a sé un periodo d'incubazione da uno a tre mesi, prima che il virus possa moltiplicarsi e sopraffare l'organismo. » Natû si protese verso Bud per prendergli la mano, che era scossa dal tremito. Lui serrò le dita intorno alle sue, rilassandosi in modo visibile. Se soltanto fossero più numerose le persone che si rendono conto dell'importanza del contatto umano, pensava intanto il medico. È uno dei grandi miracoli della medicina. «Quindi, come vede, abbiamo il tempo d'immunizzarla», riprese, scegliendo le fiale e spezzando il sigillo di un ago da innestare sulla siringa ipodermica disposta in una vaschetta sul tavolo degli strumenti. «Ora le inietterò una dose di gammaglobuline, di cui metà intorno alla ferita. » Bud fece una smorfia, abbassando gli occhi sulle carni lacerate della mano. «L'altra metà, invece, finirà nel muscolo della natica. E dato che lei non è mai stato vaccinato contro la rabbia, riceverà anche una dose di antidoto antirabbico di cellule umane diploidi. » « Non capisco che cosa significa », disse Bud, serrando le mani sull'orlo del lettino per le visite sul quale era disteso. « Le gammaglobuline intorno alla zona del morso le forniranno una protezione immediata, mentre il vaccino stimolerà il suo sistema immunitario a produrre anticorpi contro la rabbia », spiegò con pazienza il medico. « In altri termini, il vaccino indurrà il tuo corpo a combattere qualunque virus possa essere rimasto nella ferita a causa della presenza di saliva», aggiunse con calma Natû. « Esatto. Ci sono alcuni elementi a nostro favore. La ferita è stata pulita, o meglio raschiata, subito dopo, e credo che vi sia rimasta dentro ben poca saliva. Inoltre il signor Damas viene sottoposto al trattamento meno di ventiquattr'ore dopo il morso della volpe. » Il medico tacque, per concentrarsi sul compito d'inserire ed estrarre più volte l'ago nelle carni intorno alla ferita. « L'importante è far arrivare queste sostanze il più vicino possibile alla lacerazione », grugnì, senza staccare gli occhi dalla mano di Bud, che digrignò i denti e chiuse gli occhi. Le iniezioni erano dolorose. «Bene. Ora si stenda a faccia in giù, abbassando i jeans. » Il medico tastò la zona prescelta, individuando il muscolo che cercava nella natica sinistra di Bud. Lui s'irrigidì in attesa della puntura. « Si rilassi, signor Damas. Risulta più facile, se il muscolo non è teso. » Bud sussultò quando l'ago penetrò nel muscolo. Si rallegrò di essere disteso sul lettino a faccia in giù, e serrò le natiche al punto che i suoi muscoli avrebbero fatto sfigurare un culturista. «Gridi pure, se vuole. So che è doloroso, signor Damas. » Ma il giovane tenne le labbra serrate, anche se sentiva il gusto dolciastro del sangue nel punto in cui si era morso l'interno della guancia. « Queste erano le gammaglobuline. Ora passiamo al vaccino. » Bud irrigidì nuovamente le natiche. « No, ora può voltarsi, signor Damas. L'antidoto va iniettato nella spalla. » Natû si avvicinò, per aiutarlo a tirare su i jeans e togliersi la camicia. Il medico studiò il torace e le braccia possenti del giovane. Questo tizio è tutto muscoli, pensò. Non gli piacerà. E poi tastò con mano abile la spalla di Bud, scegliendo il punto giusto per inserire l'ago. Vide i peli neri del torace, costellati di goccioline di sudore, aderire alla pelle, poi rimase a guardare mentre il vaccino penetrava nella spalla. « Signor Damas, questa è la prima dose. Dovremo ripetere l'operazione il terzo, settimo, quattordicesimo e ventottesimo giorno a partire dal morso. Resti a riposo. Ci rivediamo dopodomani. » Bud impallidì. «Ma io devo addestrare i cani, tenere pulito il recinto, allenarmi per la gara. Non posso prendermela comoda. » « Sì che puoi », ribatté Natû. « Il tuo corpo ha bisogno di riposo, se deve combattere il virus della rabbia, e ora vorresti sfinirti a correre con i cani? Non se ne parla nemmeno. » 8 SCOTT era seduto di fronte al caminetto del rifugio di Anna, a osservare le fiamme che danzavano intorno ai ceppi. Cercava di ricordare quanti giorni aveva già trascorso con lei. Il tempo non aveva più importanza. Non si era messo in contatto né con Patrick né con Trapper, perché non voleva che qualcosa interferisse con il suo amore. Le giornate trascorrevano come in sogno nell'attesa della sera, quando il rombo possente della Mercedes annunciava l'arrivo di Anna. L'inventiva e la profondità della loro passione non sembravano conoscere limiti. Scott aveva già avuto numerose storie con altre donne, ma era ipnotizzato da quella giovane, e conosceva per la prima volta la ricchezza dell'amore. È proprio quello che fa Anna, pensò, osservando le fiamme che lambivano il ceppo e subito dopo si ritraevano. Ogni volta che parlo del nostro futuro o di matrimonio, si tira indietro. Scott gettò altra legna sul fuoco. Il rifiuto di Anna a impegnarsi cominciava a preoccuparlo. Non voleva nemmeno discutere l'argomento; lo baciava, cambiando subito discorso. Il tonfo sonoro dello sportello di una macchina pose fine alle sue fantasticherie. Balzando in piedi, si precipitò alla porta del rifugio, ma lei entrò nella stanza prima che lui potesse aprire. «Vieni», gli disse. «Presto! L'ho appena saputo dagli uomini all'aeroporto di Dead Horse: Bud è stato morso da una volpe affetta dalla rabbia, e potrebbe averla contratta anche lui. » Scott, stordito dallo shock, aprì la bocca, ma senza riuscire a cavarne neppure un suono. «Salta in macchina. Natû e Bud sono con Trapper nel loro rifugio. Non è troppo lontano da qui.» Durante il tragitto, il giovane Butler aprì bocca una sola volta. « In che modo è arrivata la notizia ai campi petroliferi? » « Attraverso le voci dei nativi », rispose brusca Anna, che era tutta concentrata sul compito di controllare la potente automobile nelle curve, senza per questo perdere velocità. « Qui non c'è niente che resti segreto a lungo. » Neanche la nostra storia, aggiunse dentro di sé. D'un tratto frenò, sterzando bruscamente per imboccare una strada secondaria segnata da solchi di ruote, che sembrava poco più di un sentiero nella foresta di betulle e abeti. Nel buio, i fari illuminarono decine di occhi verdi e rossi. Scoppiò un coro assordante di latrati, che richiamarono sulla porta del rifugio un uomo alto e barbuto. « Patrick », mormorò Scott. Non vedeva il fratello dalla sera del matrimonio, e soltanto ora si rese conto di quanto gli fosse mancato. Scosse la testa, come ridestandosi da un sogno, mentre Anna gli sfiorava delicatamente il braccio. « Va' da loro. Non preoccuparti, mi terrò in contatto. So dove trovarti. » Come se intuisse che lui stava per protestare, aggiunse: « Ho una tabella di voli piuttosto fitta, per la prossima settimana ». Scott era diviso tra il desiderio di restare con Anna, l'ansia per Bud e l'esigenza di discutere con il fratello quell'amore appena sbocciato. La prese tra le braccia, e mentre la baciava ebbe l'impressione di non avere mai vissuto prima di conoscere lei. « Ti amo tanto », sussurrò. Anna potè risparmiarsi di rispondere perché Patrick scese di slancio gli scalini, spalancando lo sportello della macchina. «Torna presto», le disse Scott. «Giurami che lo farai. Promesso? » ripetè sottovoce. Anna alzò la testa verso Patrick, proteso verso l'auto, e nei suoi occhi non lesse altro che avversione. Era risentito con la donna che per la prima volta si frapponeva tra lui e il fratello. Patrick intuiva che Anna aveva conquistato una parte di Scott che sarebbe rimasta sua per sempre, una parte che non poteva dividere con lei. Ma lei lo ignorò. Sapeva chi era, ma non era disposta a scambiare convenevoli con un uomo tanto risentito. «Promesso», rispose a Scott, senza sapere se avrebbe potuto tenere fede all'impegno. Il giovane la strinse tra le braccia, e Anna, gettandogli a sua volta le braccia al collo, non riuscì a trattenersi dal lanciare una rapida occhiata di trionfo a Patrick. Questi, con i nervi a pezzi per la paura legata alla sorte di Bud e la tensione che regnava in casa, afferrò per il braccio Scott, tirandolo di peso fuori della macchina. « Ehi, Patrick, aspetta un momento », protestò il fratello. «Per queste stronzate avrai tempo in seguito», scattò Patrick. «Ora la famiglia ha bisogno del tuo aiuto. Bud, Natû e Trapper devono averci al loro fianco. » Scott si voltò per salutare con la mano, ma Patrick rinsaldò la presa, quasi trascinando di peso il fratello, mentre saliva in fretta le scale. Lo stridio delle gomme salutò Scott mentre raggiungeva la porta della capanna. Voltandosi, riuscì a scorgere i fanalini rossi degli stop inghiottiti dall'oscurità. Ebbe l'impressione che fosse il vestito rosso di Anna a scomparire, lasciandolo, e si sentì raggelare da una sensazione irragionevole di abbandono. Trapper era seduto su una vecchia poltrona davanti alla finestra che di solito inquadrava la vista del monte Denali. In quel momento, però, il suo splendore era offuscato dalle nubi. Il sole indugiava ancora, sospeso all'orizzonte, senza avere la forza di rischiarare il cielo. Scott lanciò una rapida occhiata nella stanza, in cerca di Bud e Natû. «Oggi è il settimo giorno», spiegò Trapper. «Sono al centro medico, dove Bud deve fare le iniezioni. » « Come sta? » « Bene », rispose Patrick. « Saranno felici di vederti, finalmente », aggiunse con una punta di rimprovero. « L'ho saputo soltanto poco fa », si difese Scott. « Siamo venuti subito. » « Siamo? » ripetè Trapper. « Chi c'è con te? » « Nessuno. Mi ha accompagnato un'amica, ma adesso se n'è andata. Oggi deve volare. » Il vecchio si girò verso Scott. Aveva notato la punta di amarezza nella voce di Patrick, ma l'aveva ignorata. Ora invece credette di capire la ragione dell'antagonismo del fratello maggiore. « Parte per le vacanze? » domandò. «No, fa il pilota. Vola per l'Alaska Airlines. È Anna McInnes. » Quel nome sembrava familiare a Trapper. « Ha sentito la notizia di Bud quando è atterrata a Dead Horse, ieri sul tardi. È stata Anna ad accompagnarmi qui in macchina. È una ragazza fantastica. » « Già », ribatté Patrick in tono sarcastico. « Al posto del cervello, in testa hai soltanto degli ormoni. Non sai niente di questa donna. » Trapper alzò la testa di scatto. Prima osservò l'espressione di Patrick, poi guardò Scott, come per tentare di leggere i suoi pensieri più riposti. Si trovò di fronte un uomo sicuro di sé, pronto a difendere il suo diritto di amare la donna che si era scelto, anche se questo significava allontanarsi dal fratello che ammirava. « Nella vita di un giovane arriva il momento in cui è sopraffatto dal desiderio di una compagna, dall'esigenza di avere una donna tutta per sé. A quanto pare, Scott è in preda a quella febbre, Patrick », disse Trapper con calma. « E troppo giovane, e di sicuro non riflette. Sparisce dalla circolazione per più di tre settimane, senza che nessuno sappia dove sia. Non si preoccupa del fatto che la mamma è impazzita per l'ansia. Non si mette neppure in contatto con noi. » Scott si rese conto improvvisamente che il suo isolamento nel rifugio di Anna aveva fatto soffrire le persone che amava. «Mi spiace, Trapper. Scusami, Patrick», disse allora. « È vero, non ragionavo. Hai ragione, fratello, devo avere scambiato il cervello con gli ormoni. Ma...» aggiunse, « Anna è meravigliosa e intendo sposarla. » Patrick lo fissò, pallido in volto. « Non subito, spero », disse Trapper in tono scherzoso, sperando di alleggerire la tensione. « Abbiamo bisogno del tuo aiuto con i cani. Bud dovrà restare a riposo per due o tre settimane. » « Certo », disse Scott con un sorriso. « Avete catturato la volpe? » « No. Probabilmente a quest'ora sarà già morta. » Scott si girò di scatto nel sentire una folata d'aria gelida che entrava nella stanza. «Scott, è fantastico vederti! » Natû si alzò in punta di piedi per baciarlo, mentre Bud chiudeva la porta, pestando i piedi sul pavimento. «Oggi fa un freddo terribile. È bello riaverti con noi, ragazzo. » Scott scrutò il viso di Bud, senza riuscire a trovare nulla d'insolito nel suo comportamento o nei suoi occhi chiari e limpidi. « Lieto di vederti. Mi spiace di aver tardato tanto a venire, ma l'ho saputo soltanto adesso. » «Avrei dovuto essere più prudente», commentò Bud. « E dire che vivo in Alaska da una vita, e da quando sono arrivato a Barrow badavo ai cani tutti i giorni. E poi vengo qui e mi preoccupo di sfamare una volpe selvatica. Immagino di essermelo andato a cercare. » Abbassò gli occhi sulla mano, sfilandosi nello stesso tempo con cautela il guanto spesso. Scott indicò la fasciatura. « Ti fa ancora male? » « No, serve soltanto a impedire che il guanto faccia attrito sulla cicatrice. È ancora un po' infiammata. » «E le iniezioni? » chiese Scott, che aveva sentito raccontare storie orripilanti sul dolore associato alle punture antirabbiche. Bud lanciò un'occhiata a Natû. «Quella è un'altra storia. Sembrano davvero dolorose», ammise lei. « Ma le sopporta bene. » Nell'ora seguente, il rifugio risuonò di voci sonore mentre i quattro giovani si scambiavano notizie. Dopo mangiato, Trapper si alzò e gli altri ascoltarono, mentre lui esponeva il programma di addestramento. « Padre? » disse Natû quando il vecchio tornò a sedersi. « Patrick e Scott possono tenere in allenamento la muta di Bud e pulire il recinto dei cani. Qui non avete bisogno di me, e i miei cani sono pronti per fare una bella corsa. » « Sì? » disse Trapper con diffidenza, come se intuisse che cosa stava per dire la ragazza. «So che Bud è fuori pericolo», ribatté Natû stringendo il braccio del marito. «Voglio provare il percorso fino a Rohn, pernottare lì e tornare il giorno dopo. » «Stai parlando di due o trecento chilometri», obiettò Scott. Trapper si lisciò i baffi, poi si passò le dita nella frangia di capelli radi che gli spioveva sulla fronte. « Il Rainy Pass può essere infernale, con il cielo alto di marzo, e poi sarai sola, senza aiuto. Non sono neppure sicuro che i cani siano pronti. » Bud vide l'espressione decisa di Natû e le sue labbra serrate. Vediamo come se la cava Trapper, pensò. «Andrò io con lei», si affrettò a intervenire Patrick. « Posso dare alla muta di Bud un assaggio di ciò che significa una vera corsa. » « Non fargli scoppiare il cuore », lo ammonì Trapper. Natû espirò lentamente. Non si era neanche accorta di avere trattenuto il respiro. « Ricorda, i cani devono desiderare di correre. Dev'essere una gioia, per loro, altrimenti t i ritroverai ad affrontare la loro resistenza passiva, e, a meno che tu non sia disposto a trasportarli di peso fino a casa, dovrai trascorrere la notte all'addiaccio con loro. » Patrick scoppiò a ridere. «Possiamo considerarla una corsa di svago», ribatté. « Mi piacerebbe molto. » «Sai che svago! » esclamò Bud. Aveva letto tutti i libri disponibili sull'Iditarod, e ora lo preoccupava il pensiero che Natû volesse scalare i novecento metri del Rainy Pass, nella catena dei monti dell'Alaska. Negli ultimi tempi sembrava stanca, e lui aveva notato che non mangiava di gusto. Pensava che fosse dovuto allo spavento che si era presa in seguito all'incidente; d'altra parte, però, se intendeva dedicare qualche giorno a mettere alla prova i cani sulla pista, voleva dire che era meno preoccupata per lui. Mi domando che cosa le sarà successo, pensò. Probabilmente me lo dirà lei, quando sarà pronta. Bud sapeva che Natû non poteva essere costretta a rivelare i suoi sentimenti. Avrebbe dovuto aspettare finché non si fosse confidata, spontaneamente, con lui. 9 L'AROMA allettante del salame, dei pomodori seccati al sole, delle olive e del formaggio mescolato alla pasta della pizza in cottura nel forno stuzzicò le narici di Anna McInnes. Era affamata, e aspettava con impazienza che la pizza ordinata fosse confezionata in una scatola. Stanca e irritabile, faceva tamburellare le dita sul banco. Appena arrivata con il volo da Seattle ad Anchorage, aveva preso la macchina per raggiungere il quartier generale permanente dell'Iditarod Trail Committee, a Wasilla. La ragazza dietro il banco del Pizza Hut locale, sull'Eagle River, osservava Anna con un'espressione rannuvolata dall'invidia e dall'avversione. Scommetto che può mangiarsi da sola tutta quella dannata pizza senza ingrassare di un etto, mentre a me basta una sola fetta per veder salire l'ago della bilancia. Non è giusto. Anna lanciò un'occhiata all'orologio, senza badare allo scintillio dei diamanti sul quadrante. Pensava soltanto che doveva arrivare a Wasilla prima che Claire lasciasse l'ufficio nella capanna di tronchi. «Faccia presto, per favore», disse alla commessa, chinandosi sul banco. Quel movimento mise in risalto le natiche sode e le cosce lunghe e forti, per la gioia di un gruppo di maschi locali in attesa delle loro ordinazioni. Uno di loro lanciò un fischio sommesso di apprezzamento. La ragazza che serviva Anna ficcò la pizza nella scatola di cartone con malgarbo, ammaccandola da un lato. Bene, pensò, spero che le venga un'indigestione, mentre lei e gli uomini seguivano con gli occhi Anna che si dirigeva verso la macchina. Lei lasciò cadere la scatola sul sedile del passeggero. Ne avrebbe mangiato un pezzo alla volta mentre guidava. Quarantasette chilometri, pensò. Non ci vorrà molto. Riuscirò a raggiungere Claire in tempo. L'insegna ricurva del quartier generale dell'Iditarod che sovrastava la strada, sorretta da due robusti pali di legno, informò Anna che era arrivata alla meta. Si leccò le dita, togliendosi le briciole dalle labbra mentre manovrava la Mercedes rossa per parcheggiare, poi tirò su la lampo del parka prima di scendere dalla macchina. Gli alti tronchi degli abeti rossi si piegavano al vento. Lei sollevò il cappuccio orlato di pelliccia e strinse il laccio che lo chiudeva, annodandolo sotto il mento. Inspirò a grandi boccate l'aria ricca di ossigeno. Si sentiva bene. Le luci erano accese nella capanna, il che significava che Claire c'era ancora. Era certa di poter convincere la sua vecchia amica ad ammettere Scott tra i volontari che collaboravano all'Iditarod. Spalancò la pesante porta di legno per entrare nella capanna. La porta dell'ufficio di Claire era chiusa, segno che lei era occupata. Anna si diresse verso il punto in cui era disposto il modello di slitta dell'Iditarod, completo di carico. La stupiva ancora il fatto che i partecipanti facessero tanto affidamento su quella slitta relativamente piccola, ritenendola in grado di contenere tutto il necessario per sopravvivere due settimane in una delle regioni del mondo più belle, ma anche più ostili. Da anni lei pilotava piccoli apparecchi lungo i milleseicento chilometri di quella pista tortuosa. Guardando dall'alto il percorso che somigliava alla traccia della bava di una lumaca su un oceano di ghiaccio, si era chiesta se i musher avrebbero partecipato alla corsa, sapendo in anticipo che aspetto aveva la spaventosa immensità della natura selvaggia. « Anna? » Claire uscì dall'ufficio, avvicinandosi all'amica che ammirava il Perpetuai Victors Iditarod Trophy. La grande coppa d'argento svettava alta sopra la base a due piani, sulla quale erano incisi i nomi dei vincitori della corsa. Anna non era mai stata sicura se la figura alata in cima, con le mani intrecciate in alto sopra la testa, fosse un simbolo di vittoria o un angelo. « Ciao, Claire, è bello vederti », rispose la ragazza, osservando gli husky disposti ai quattro angoli della base del trofeo, a guardia della coppa. «Secondo me, è la gara più bella del mondo», disse Claire. « I musher e i cani si dannano l'anima per vincerla. Tieni in mano quella coppa, e sarà come se stringessi un pezzo di cielo. » « Probabilmente è il momento in cui si avvicineranno di più al paradiso in tutta la loro esistenza», esclamò Anna scoppiando a ridere. «Claire, ho bisogno di parlarti. Hai tempo? » Lei annuì. Era contenta di vedere l'amica, anche se le notizie che doveva comunicarle la rattristavano. Chiuse la porta dell'ufficio, e le fece segno di sedersi. «Claire, so che sei sempre a corto di volontari per l'Iditarod. » Lei assentì, aspettando che Anna continuasse. « Ho un amico, un tipo che ho conosciuto da poco. È un fanatico dell'Iditarod e vuole aiutarmi con i lanci di viveri e il trasporto dei cani ritirati dalla corsa. Non mi dispiacerebbe poter contare su un po' di muscoli. » Claire non disse una parola, limitandosi a giocherellare con un mucchietto di graffette dai colori vivaci. Non era la reazione che Anna si aspettava, ed esitò un attimo, prima di continuare. « Mi farà risparmiare tempo. È anche allievo di Bruce, a Birchwood. Probabilmente il prossimo anno correrà come matricola. Se lo lasciassi firmare come volontario mi faresti un vero favore. » Anna s'interruppe, aspettando la risposta dell'amica. Claire, che sembrava a disagio, si dimenò sulla sedia. «Ti farò un favore con la notizia che sto per confidarti, Anna. » Prese in mano una graffetta rosa, raddrizzandola finché non divenne un pezzo appuntito di metallo diritto. « Pochi giorni fa ero ad Anchorage. Sai, stiamo cercando di escogitare un nuovo sistema per facilitare il controllo della massa di dieci o quindicimila appassionati che si affollano nella città per l'inizio della gara. » « Sì? » disse Anna, piano. «Corre voce che Ted stia ripensando alla sponsorizzazione di Bud e Natû Damas. » Anna ascoltò senza prestare troppa attenzione. Ad Anchorage le storie si spargevano come le infiltrazioni di petrolio. « Probabilmente sono le solite dicerie dei nativi », ribatté senza preoccuparsi. «Sono sicura che Bud si sarà ripreso dal morso e sarà di nuovo in forma per la corsa. » Claire torse la graffetta tra le dita, con aria infelice. Non voleva essere lei a distruggere la felicità che l'amica aveva appena trovato, ma doveva proteggerla. « No, Anna, la faccenda è più seria. Ted sa di te e del giovane Butler. » Anna fissò la graffetta rosa tormentata dell'amica. « Com'è possibile? » disse, così piano che le labbra turgide si schiusero appena. La sua mente galoppava all'impazzata, prendendo in esame e scartando, uno dopo l'altro, amici e conoscenti che potevano aver informato Ted del legame tra lei e Scott. « Probabilmente sono le solite chiacchiere », disse Claire in tono comprensivo. Non provava simpatia per Double Dick Dawson, ed era convinta che Anna meritasse di trovare l'amore altrove, ma Dawson era un uomo potente, e la loro commissione era obbligata a corteggiare gli sponsor. «Nessuno sa del mio rifugio. Ted non era presente al matrimonio, e ce ne siamo andati dal Cook senza farci notare. La Fourth Avenue era deserta, quando siamo saliti a bordo della mia auto. No, Claire, non può aver saputo di Scott. » L'amica scosse la testa, facendo oscillare la lunga treccia grigia che le finì sulla spalla. «E anche se lo sapesse, per quale motivo dovrebbe importargli? Non si è mai interessato a quello che faccio. Sa che ogni tanto esco con altri uomini. Anzi, pare che gli piaccia, forse perché gli offre una scusa per giustificare le due amichette che mantiene », esclamò Anna, lasciando affiorare per la prima volta una traccia di amarezza. «Oh, sa tutto del rifugio e di Scott. Nel 49° Stato non ci sono segreti. Siamo in Alaska, ricordi? La sua superficie potrà essere vasta, ma la popolazione è molto ridotta. » Anna scosse la testa, come per smentire i dati forniti da Claire, poi si accasciò sulla sedia. Il marito doveva averla fatta seguire. Ma perché? Era felice del suo ménage ad Anchorage. S'incontravano soltanto quando aveva bisogno di lei come una decorazione, un fiore da mettere all'occhiello. Allora esibiva Anna con la stessa fierezza con la quale i cacciatori posano vicino alle prede ambite che hanno abbattuto. Claire si protese oltre la scrivania, posando la mano indurita dal lavoro sulle dita affusolate di Anna. Il suo tocco sembrò riscuoterla dalla confusione e dallo shock in cui era caduta. « Perché Bud e Natû? » esclamò, raddrizzandosi sulla sedia. « Che cosa hanno a che vedere con Scott? E come mai Ted è così ostile a lui? » « Probabilmente risente degli effetti della mezza età. La gente non lo considera più un toro con due vacche a sua disposizione, ma un povero diavolo che cerca a tutti i costi di restare aggrappato alla giovinezza e alla virilità. È diventato uno zimbello, ed è proprio quel genere di situazione che Ted non può accettare. Tu e Scott avete ferito il suo orgoglio », disse Claire con un sorriso. Anna rifletté su quella spiegazione: era plausibile. « Ma che senso ha punire Bud solo perché crede che io faccia sul serio con qualcun altro? » «Ci sono uomini vanagloriosi e pieni di orgoglio. Quando si ferisce il loro orgoglio o la loro vanità, diventano irrazionali. Ted sa che Patrick e Scott Butler passano quasi tutto il loro tempo con Trapper Jack, che è il loro padrino. Trapper è un esponente autorevole a livello nazionale, e un oratore eloquente. È apertamente contrario allo sfruttamento del petrolio nel Refuge e di recente ha pronunciato sull'argomento un discorso di fronte alla commissione repubblicana. La 10-0-2 è la sua creatura. Inutile dire che non è uno dei beniamini di Ted. Inoltre Natû, la figlia di Trapper, è sposata con Bud... come tu ben sai, visto che hai conosciuto Scott al loro matrimonio. » Parlando, Claire osservava attentamente Anna. « Tuo marito ha fatto i compiti a casa, e le risposte non gli piacciono. D'un tratto si è reso conto che esiste un forte legame fra Scott, la coppia che lui dovrebbe sponsorizzare e Trapper Jack. » « Bene, capisco l'avversione di Ted per Bud e Natû, ma il loro legame con Scott è tenue, e, come ripeto, lui ha sempre ignorato gli altri uomini che ho frequentato. » Claire raddrizzò anche una graffetta gialla, posandola sulla scrivania vicino a quella rosa. «Ma quanti uomini ti sei portata al rifugio, Anna? Nessuno. Se devo dar credito alle voci, sei rimasta rintanata lassù con Scott più di tre settimane. » Anna si massaggiò la nuca. Il tempo era volato, mentre trascorreva ogni momento libero con Scott, sicura che nessuno sapesse della loro relazione e quindi le fosse possibile abbandonarsi alla passione. Le parole dell'amica l'avevano stordita, causandole lo stesso shock brusco e doloroso di chi sfonda il ghiaccio sottile e piomba di colpo nell'acqua nera e gelida. Anna aveva la sensazione che i suoi polmoni fossero stretti in una morsa che le faceva mancare l'aria, e non afferrò le prime parole di Claire. « Probabilmente Ted si sente minacciato. Definisce Scott il tuo bambolotto. » Quelle parole fecero infuriare Anna, che immaginava benissimo il sogghigno di scherno sul viso di Ted mentre cercava d'insudiciare la sua relazione con Scott. « Ha solo due anni meno di me », ribatté sulla difensiva. « E sotto certi aspetti è molto più vecchio. » Si sentì correre un brivido lungo la spina dorsale, ripensando al loro modo di fare l'amore. « Due anni sono un secolo, quando tuo marito pensa alla gioventù perduta e comincia a sentire i primi acciacchi della mezz'età », le rammentò Claire. « Anna, devi smettere di vedere Scott. Rompi pubblicamente con lui. Questo soddisferà Ted, e so che non ritirerà la sponsorizzazione. Il suo orgoglio sarà vendicato. » « No, assolutamente no. » Claire sollevò la pesante treccia, gettandola dietro le spalle. «Anna, ti prego, sii ragionevole. Fallo per i tuoi amici. Aiuta Scott. Se per te significa qualcosa, smetti di frequentarlo. » L'espressione di Anna spinse Claire a desiderare di abbracciare l'amica e cullarla per dissipare la sua sofferenza. Anna guardò fuori della finestra, dove soffici fiocchi di neve urtavano contro i vetri. Ora che si trovava di fronte alla necessità di lasciare Scott, si rendeva conto che in brevissimo tempo lui era diventato una parte essenziale della sua esistenza. Il pensiero di non trovarlo più nel rifugio ad attenderla ogni sera le era intollerabile. Pensa, Anna, s'incitò in silenzio. Rifletti. Non lasciarti manipolare ancora da Ted. Lentamente, mentre il sole saliva all'orizzonte per segnare la fine dell'inverno, le balenò alla mente una soluzione. Dentro di sé, Anna sorrise. «Claire», disse all'amica, «dimentica che ti ho chiesto di lasciar partecipare Scott all'Iditarod come volontario. So che vedrai Ted prima di me. Parlagli di questa conversazione e digli che ho già trovato un altro. Scott non fa per me. La relazione è finita, e Ted può rilassarsi. » L'amica corrugò la fronte, posando la mano su quella di Anna e guardandola negli occhi, ma senza vedere altro che un'espressione innocente. Sospirò. Era riuscita nel suo intento. Poteva riferire a Ted che Anna si era mostrata ragionevole, e Scott era stato soltanto un capriccio passeggero. Aveva contribuito a evitare l'imbarazzo che la commissione avrebbe dovuto affrontare se la sponsorizzazione fosse stata ritirata, dopo tutta la pubblicità che aveva ottenuto. Anna spinse indietro la sedia, abbracciando Claire mentre si dirigevano verso la porta. « Sei una vera amica », mormorò. « Grazie per avermi avvertito. » « Anna », le disse Claire mentre l'amica spingeva il pesante battente di legno. « La tua sbandata per Scott è davvero finita? » «Scott chi?» replicò ridendo Anna, mentre chinava la testa per evitare che le falde di neve le finissero negli occhi. «Già, Scott chi? » ripetè in tono rabbioso, correndo verso il parcheggio sotto la nevicata. Anna stava per tornare nella direzione da cui era venuta facendo stridere le gomme, quando si accorse che Claire la osservava dalla finestra. Allora fece marcia indietro con calma, le lanciò un bacio e si allontanò ad andatura moderata dalla sede dell'Iditarod Trail Committee. Passando sotto l'insegna sospesa sulla strada, batté il pugno sul volante finché il dolore alle nocche non la costrinse a smettere. « Maledetto, maledetto », gridò alle betulle, che intrecciavano i rami nudi. Gli alberi scuri oscillarono e annuirono, come per acconsentire. « Che tu possa marcire all'inferno! » 10 TRAPPER controllò e ricontrollò scrupolosamente le due pesanti slitte da lavoro, senza riuscire a scrollarsi di dosso la strana sensazione di disagio che lo raggelava come una tempesta di vento artico. Non faceva che guardarsi attorno nel tentativo di razionalizzare quel timore. Era la stessa sensazione che provava quando, nell'andare a caccia, intuiva la presenza della preda ma senza riuscire a vederla: una percezione istintiva del pericolo. Trapper aveva però un'esperienza talmente vasta della natura da liquidare senza problemi quello che il subconscio cercava di comunicargli; d'altra parte, non poteva impedire a Patrick e Natû di partire alla volta di Rohn per il solo motivo che qualcosa lo turbava. Preferì invece tirare in lungo l'ispezione alle slitte cariche. «Il cibo per i cani?» gridò a Natû, che stava infilando a Sockeye l'imbragatura rosso fuoco. « È sulla slitta di Patrick », rispose lei, appena fu riuscita a fissare saldamente tutt'e due le linee di traino dell'husky a quella centrale. Trapper la guardò con approvazione: la ragazza lavorava in modo rapido e professionale. Se la caverà bene, pensò. Ha con sé Patrick. Si vede che inizio a diventare vecchio e nervoso, soprattutto perché lei è mia figlia e solo da poco tempo ho sperimentato la gioia di riaverla con me. Si diresse verso Patrick, intento a infilare l'imbragatura gialla e azzurra alla muta di Bud. WhiteOut era tranquillo, con la testa rivolta all'indietro per sorvegliare gli altri husky che saltavano e abbaiavano a Patrick mentre collegava la neckline, ovvero la cima assicurata al collare di ogni cane, alla gangline, la linea di traino centrale. Poi passò subito a fissare i massicci ganci d'ottone della tugline, i finimenti che uniscono la linea di traino centrale agli anelli posti sul dorso dell'imbragatura di ogni animale. «Non usi le ancorette?» chiese Trapper, pensando ai tradizionali ganci in avorio usati dai nativi, che erano economici e avevano il vantaggio di non gelare e di poter essere usati senza togliersi i guanti. «No, per Bud soltanto gli ultimi ritrovati tecnologici, quindi moschettoni d'ottone», rispose Patrick ridendo. Gli husky che non erano stati prescelti per la corsa osservarono stupiti tutta quell'attività, poi alzarono la testa levando all'unisono un lamento. Quel richiamo dovette eccitare i cani già imbragati alle due linee di traino, che aggiunsero il loro frenetico uggiolio al lamento degli animali rimasti nel recinto. «Padre», disse Natû, «se non partiamo subito, il frastuono si sentirà fino ad Anchorage. Per favore, non permettere a Bud di lavorare nel canile finché il medico non avrà detto che sta bene. Scott ha accettato di sostituirlo. » Trapper passò oltre la figlia, posando la mano sul braccio di Patrick. « Abbi cura di lei », gli disse sottovoce. Il ragazzo annuì semplicemente, perché era troppo sbalordito per parlare, visto che di solito Trapper non lasciava trapelare le proprie emozioni. « E tu te la caverai bene, qui? » domandò a sua volta, temendo che Trapper avesse qualcosa che non andava. L'uomo rivolse uno dei suoi rari sorrisi al giovanotto al quale era tanto affezionato. « Sì. Possa la pista esservi propizia. » «Line out! » gridò Natû, e subito Sockeye tese la linea di traino. « Bravo », lo elogiò lei. Natû si era messa d'accordo con Scott perché accompagnasse Bud al centro medico, passando poi dal veterinario a ritirare cibo e provviste di medicinali per i cani, in modo che non fosse costretto ad assistere alla partenza. Sapeva quanto lo addolorasse il fatto che sarebbe stato Patrick a condurre i cani insieme con lei. « Di' a Bud che lo amo. Ci vediamo tra un paio di giorni. » Trapper alzò una mano, assentendo. « Via! » gridò lei, rivolta a Sockeye. La muta di Natû balzò in avanti e lei si aggrappò all'handle bar, l'impugnatura ricurva della slitta, per mantenere l'equilibrio, mentre la slitta, sussultando e sbandando, imboccava il versante della collina. Lanciando un'occhiata indietro, vide White-Out che si slanciava in avanti come se potesse trainare da solo la slitta di Patrick. Le zampe posteriori del grosso cane sembravano quasi superare quelle anteriori, mentre correva per raggiungere la muta di Natû. «Non riuscirai a guastare il morale della mia muta con tutto il chiasso che fai, White-Out, quindi fa' un bel sorriso quando la sorpassi per andare in testa », gridò. Nell'udire quelle parole, Sockeye tese l'imbragatura al massimo: la squadra di Natû sentì l'impulso trasmesso dal leader attraverso la linea di traino centrale, e si comportò di conseguenza, aumentando subito il distacco fra le due slitte. « Allora questa è una gara, eh? » mormorò Patrick, restando sul bordo della pista. « D'accordo, aspetta che arriviamo alle colline. » Le due mute procedevano quasi affiancate, felici di correre ed eccitate perché il percorso non era quello abituale. Natû rise forte. La vita era bella. Lei stava facendo quello che amava di più al mondo, e si sentiva sana e forte; ormai era certa che la gravidanza non avrebbe interferito con la sua partecipazione alla gara. Le mie antenate smettevano di lavorare e di remare sulle umiak soltanto quando vi erano costrette dalle doglie del parto. Per quale motivo dovrei essere diversa? E una situazione normale, e il mio corpo è fatto per accettarla. Nessuno ha intuito il mio segreto, quindi sono al sicuro. Sarò la prima donna incinta nella storia dell'Iditarod che passerà sotto l'arco istoriato di Nome. Bud sarà lì ad aspettarmi, e allora gli annuncerò che il suo amore non riguarda soltanto noi due. Trapper attese davanti alla casa finché non riuscì più a udire il fruscio dei pattini delle slitte sulla neve e il passo leggero degli husky. Poi risalì i gradini del portico, sedendosi cautamente sull'ultimo. Di lì fissò il recinto dei cani, tentando di dissipare la sensazione di perdita che minacciava di sopraffarlo. Gli husky smisero di ululare. Alcuni rientrarono nella propria cuccia per raggomitolarsi sulla paglia, altri invece rimasero in piedi sulla parte superiore del loro box, per guardare nella direzione presa dalle due slitte. Qualche gemito isolato sottolineava la loro sofferenza per essere stati lasciati nel recinto. Trascorsero lunghe ore. Trapper appoggiò la testa contro la balaustra di legno, chiuse le palpebre rugose e si addormentò. Il fascio di luce proiettato da una coppia di fari investì il box, scatenando tra i cani semiaddormentati una frenesia isterica. Il vecchio musher alzò la testa proprio mentre un camion Dodge metallizzato sterzava per immettersi nella spianata che veniva usata come parcheggio, a fianco del rifugio. Scott scese con un salto agile dalla cabina di guida, girando intorno al camion per aiutare Bud, che invece aveva già richiuso lo sportello e si stava avviando verso casa. Cominciava a essere stanco di sentirsi trattare come un invalido. L'idea che Patrick guidasse i suoi cani mentre lui doveva restare a casa, spalando escrementi di cane e aspettando le ultime iniezioni di vaccino antirabbico, lo mandava in bestia. Desiderava ardentemente allontanarsi da strade, automobili, fast food e folla. Avrebbe voluto restare solo con Natû, là dove i monti coperti di neve svettavano così alti da squarciare il velo scuro delle nubi, là dove si udiva soltanto il suono meraviglioso del silenzio. Con un sospiro, si lasciò cadere sul gradino accanto a Trapper. « Natû e Patrick hanno avuto qualche problema con i cani? » chiese, detestando di doverlo fare, ma troppo ansioso di conoscere i dettagli. « No. » « Chi è partito per primo? » «Natû, con White-Out che tentava di raggiungerla», rispose Trapper con un sorriso. « Non ci riuscirà. Quella ragazza guida i cani col pensiero. È impressionante. » «No, Bud. Natû usa il potere primordiale del subconscio. È una facoltà che non si può esprimere in modo razionale. Come i cani, anche lei sente la voce della terra. » Lui assentì. «È una ragazza speciale, e io sono un uomo fortunato. » « Lo sarai, se la smetti di dare da mangiare alle volpi », ribatté asciutto Trapper. Bud sorrise, e insieme osservarono Scott che girava intorno al camion, ispezionandolo con cura. Hank aveva regalato quel Dodge ai gemelli per il loro diciottesimo compleanno, e ad anni di distanza sembrava ancora nuovo. I giovani Butler sapevano come Hank avesse dovuto spendere i suoi risparmi per acquistare quel camion così costoso, ed erano molto fieri di possedere un automezzo che gran parte dei musher apprezzava quanto, se non di più, del premio in contanti di cinquantamila dollari che spettava al vincitore dell'Iditarod, insieme con un Dodge nuovo di zecca. « Scott ama quel camion. Lo tratta come un bambino », osservò Bud. «Un bambino! » Di colpo tutto fu spaventosamente chiaro agli occhi di Trapper. Sono stato un cieco e un idiota, si rimproverò in silenzio. Avrei dovuto capirlo. Anche sua madre era così, pallida, irrequieta; correva in bagno di continuo, non mangiava. E poi tutto era tornato di colpo alla normalità. No, pensò. Ho lasciato che mia figlia corresse con la slitta fino a Rohn senza accorgermi che era incinta. « No, no, no! » gridò. Bud distolse lo sguardo da Scott e dal camion per fissare lui. «Che cosa c'è?» domandò, allarmato dalla nota di disperazione nella voce di Trapper. « Tu lo sapevi? » sussurrò Trapper. « Te lo aveva detto? » « Che cosa? Chi? » esclamò Bud, ora davvero preoccupato per il suocero. « Natu», rispose l'uomo, senza spiegarsi. « Che cosa le è successo? Dov'è? Lo sapevo che non saremmo dovuti andare ad Anchorage dopo la visita al medico, ma Scott voleva lasciare una lettera per Anna McInnes all'aeroporto, e poi abbiamo ritirato le provviste per i cani che Natû voleva. Abbiamo impiegato quasi tutto il giorno. Dannazione, avrei dovuto trovarmi qui ! » «Forse sì e forse no», replicò Trapper in tono enigmatico. « Quella ragazza ascolta il proprio silenzio, e non è facile farla cambiare. » « Eppure hai appena detto che tutto è andato bene », osservò il giovane, fissandolo come se tentasse di leggergli nel pensiero. Sentendo salire la voce di Bud a livelli isterici, Trapper decise di non confidargli i suoi sospetti. Non poteva fargli certo del bene, e poi era un compito che spettava a Natû; ora, però, doveva trovare un espediente per calmare il genero. «Ho promesso d'informare gli amici di Skwentna che Patrick e Natû passeranno di lì. Laggiù non c'è nulla, soltanto la tenda del check-in, ma adesso sarà deserta. » Bud non sembrava ancora convinto. «È la prima volta che provano il percorso vero e proprio, e avranno bisogno di un pasto caldo in compagnia di amici. Patrick dice che è una corsa di svago, quindi il tempo non ha importanza. » Trapper si alzò a fatica. « Ti dispiacerebbe finire di pulire il recinto insieme con Scott? Io ho cominciato, ma senza portare a termine il lavoro. » « Certo. » Ricordando le parole di Natû, Trapper aggiunse: «Ma soltanto se il medico ti ha dato l'okay». « È così », rispose Bud, ansioso di fare un po' di esercizio fisico. «Su, vieni, Scott», esclamò poi. «Lascia perdere il tuo bebé e vieni a spalare merda con me. » Scott sogghignò. « Il mio lavoro preferito. » Mentre lavorava di buona lena con la pala, Bud cominciò a sudare sotto il berretto di lana, fischiettando piano. Era bello stare fuori al freddo, a lavorare con i cani. Si era abituato agli husky da quando aveva acquistato White-Out e Clarke. Non gli ricordavano più i lupi, e l'amore incondizionato di Clarke gli aveva fatto capire perché certe persone preferissero gli animali agli esseri umani. Trapper si affrettò a entrare in casa per mettersi in contatto con i suoi amici. Ormai Patrick e Natû dovevano essere vicini al punto di sosta di Skwentna, che distava soltanto un'ottantina di chilometri. Si sarebbe accertato che potessero godersi un buon pasto e una notte di riposo con Kiluk e Herbie Owens, prima di attraversare il famigerato Happy River Canyon, seguito dall'accesso stretto e ripido al Rainy Pass. Ora che aveva la certezza che sua figlia era incinta, Trapper temeva la corsa fino a Rohn. 11 GLI husky di Natû sbucarono correndo dalla foresta, e lei vide con piacere dinanzi a sé una distesa aperta di paludi gelate, nella quale erano incastonati piccoli specchi di ghiaccio che splendevano come diamanti sul vassoio di velluto di un gemmologo. Con gli occhi seguì la pista fino al punto in cui cominciava la discesa verso il fiume Susitna. Grazie alle notizie fornite dai media sulla corsa, Natû sapeva che fino a Skwentna avrebbero dovuto seguire un percorso tortuoso, fatto di continui saliscendi attraverso foreste di abeti rossi e sezioni del fiume Yentna. Si girò a controllare la posizione di Patrick, che l'aveva stupita con la sua capacità di guidare la muta di Bud. Era forte e sicuro di sé, quindi i cani rispondevano con prontezza ai suoi ordini. Quando vide comparire all'orizzonte White-Out, Natû lanciò gli husky sul terreno aperto, ridendo di gioia nel sentire Patrick incitare i suoi a raddoppiare gli sforzi. « La mia muta ha più cuore », esclamò, « e questa è una qualità che non si può comprare con il denaro. I cani di Bud sono perfetti, ma i miei sono nati per correre e vogliono farmi felice. » Il vento si portò via le sue parole prima che giungessero a Patrick. Lui vide soltanto il corpo robusto di Natû che guidava la pesante slitta con la facilità di un uomo forte. Lei era ubriaca di felicità. Il suo sogno di correre l'Iditarod si sarebbe avverato tra meno di due mesi. « Ce la faremo, piccolo mio », disse cantando, rivolta al bambino che doveva nascere. « Tu e io alzeremo gli occhi sulla lanterna appesa sotto l'arco di Nome. Correremo insieme. » Poi smise di cantare la ninnananna al bambino racchiuso nel suo grembo, per concentrarsi sul compito di guidare la muta su per il pendio di una collina costellata di abeti rossi. «Trapper e Bud saranno così fieri di noi.» S'interruppe soltanto quando la linea di traino si allentò: allora sentì un brivido di paura correrle lungo la spina dorsale. I suoi cani le stavano dicendo qualcosa. Ma cosa? Natû aguzzò lo sguardo per penetrare oltre la cortina di oscurità che l'avvolgeva, al di là del raggio luminoso della lampada che portava fissata con una cinghia alla fronte. Si sforzò di non cedere al panico, spostando la testa da destra a sinistra mentre la torcia elettrica penetrava nel buio come un raggio laser. Ormai la paura che intuiva nei cani si era trasmessa anche a lei. Per quanto indossasse il parka di caribù che Oline le aveva lasciato in eredità, Natû sentì le gelide dita della paura preannunciare l'insinuarsi furtivo del gelo attraverso il pelo isolante dell'indumento di pelle animale. Rabbrividì. La lampada di Patrick era soltanto una fioca lucciola, molto più indietro rispetto a lei. Il pensiero dei demoni controllati soltanto dagli sciamani le oscurò la mente, minacciando di annebbiare la ragione. «Sockeye», gridò, «Sockeye, parlami. Dimmi che cosa vedi. » Come in risposta al suo richiamo, il cane di testa deviò dalla pista per lanciarsi alla cieca nel bosco sulla sinistra del percorso, tirandosi dietro il resto della muta. Natû si aggrappò all'handle bar, cercando nello stesso tempo di calare sulla neve l'ancora per fermare la muta; ma i giganteschi ganci metallici non fecero presa sul terreno ghiacciato e la ragazza non ebbe neppure il tempo di piantarli nella neve con il tallone, e dovette affrettarsi ad allontanarli dal suo percorso, facendo oscillare lateralmente la fune alla quale erano fissati prima di ritirarli. Aveva visto quali danni potevano causare quando si conficcavano nelle carni, anziché nella neve. « Uau! » gridò. « Alt, Sockeye, alt! » Il vento si portò via i suoi ordini frenetici, giocando con le parole, portandole in alto e intrecciandole ai rami scuri dei pini, dove Sockeye non poteva udirle. Mentre i cani wheel, i più forti, che correvano subito davanti alla pesante slitta, deviavano per seguire Sockeye, la lampada di Natû inquadrò per alcuni secondi un paio di occhi gelidi e lucenti come il ghiaccio liscio. La giovane donna dovette alzare la testa per guardare quegli occhi, che si trovavano più in alto di una sessantina di centimetri. « No », gemette nel distinguere la giogaia carnosa, lunga quasi un metro, che pendeva flaccida dalla gola dell'animale. Poi girò la testa di scatto, e il raggio di luce gialla sfiorò le ramificazioni appuntite delle corna dell'enorme ruminante. «Un alce! » Natû si sentì serrare la gola da una morsa, mentre il terrore sopraffaceva il buon senso. La paura evidente degli husky si trasmise anche a lei. Si aggrappò disperatamente all'handle bar, tentando di orientarla in modo da aggirare gli alberi, mentre Sockeye si lanciava in una corsa folle nel tentativo di trainare la muta lontano dall'alce che restava immobile, contestando alla slitta il diritto di passare sulla pista. Natû ricordava la storia di un concorrente che aveva dovuto ritirarsi dalla gara perché un alce era piombato sulla sua muta, uccidendo o ferendo i cani, ed era stato fermato soltanto dall'intervento di un altro musher che aveva sparato all'animale. Lei non aveva portato con sé un'arma, e Patrick, che invece ne era munito, era rimasto indietro con la slitta di Bud. Natû aveva paura. Era spaventata e vulnerabile. Non riusciva più a vedere la lucina confortante della lampada di Patrick, e non poteva contare sul suo aiuto. « Dobbiamo tornare sulla pista », si disse a voce alta per rassicurarsi. « Altrimenti Patrick non saprà dove siamo. » Si guardò attorno nervosamente, nella speranza che l'alce - una bestia imponente, che poteva pesare fino a novecento chili - non la seguisse. Infatti, nonostante la curiosa andatura rigida e strascicata, l'animale era in grado di muoversi con velocità sorprendente. « Sockeye », implorò Natû, « ti prego, facci uscire di qui. Se prosegui in mezzo a questo bosco, ci porterai alla morte. » Soffocò un singhiozzo. Non era il momento di abbandonarsi al terrore e al panico. « Ti prego, Sockeye. » Rabbrividì ancora una volta, avvertendo il pericolo imminente. I rami neri la sferzarono mentre usava l'handle bar per inclinare la slitta sull'orlo dei pattini e sterzare in modo da aggirare gli ostacoli. Sapeva che, se non avessero lasciato la foresta per tornare sulla pista, non sarebbe riuscita ancora per molto a dirigere la slitta, che sembrava diventare sempre più pesante. Aumentò la presa sul rivestimento di cuoio grezzo che rafforzava l'handle bar per inclinare automaticamente la slitta mentre gli husky correvano, aggirando ostacoli che lei non riusciva neanche a vedere. La muta seguiva Sockeye come se corresse sulla neve fresca e compatta. «A destra! » gridò Natû in preda alla disperazione. «A destra! » Sockeye udì soltanto quell'ordine e, quasi fosse stanco di giocare a nascondino nella foresta di abeti, puntò subito in quella direzione, seguito dagli altri cani. Natû gli aveva lanciato già tanti ordini, rimasti tutti inascoltati, che si trovò impreparata di fronte a quella deviazione improvvisa. Alberi e rami sfrecciavano ai lati come scheletri neri nel raggio luminoso della torcia. Gli husky si lanciarono sotto le propaggini basse di una betulla, e Natû dovette schivare un ramo pesante che minacciava di sbarrarle la strada. Proprio in quel momento si udì uno schianto spaventoso, e il paraurti della slitta, che ne proteggeva la parte anteriore, s'infranse contro il tronco enorme di un abete caduto. Natû fu sbalzata dai pattini della slitta, che la colpì all'addome con tutto il suo pesante carico. Credette di morire, mentre lottava per riprendere fiato, sentendosi trafiggere alle costole e al ventre da un dolore profondo e acuto come un'ancora d'acciaio conficcata nelle carni, mentre la schiena le bruciava con l'intensità di un incendio causato da una fuoriuscita di petrolio. Non riusciva a muoversi. Giaceva inerte sulla neve, ascoltando il fioco abbaiare dei cani che trascinavano lontano da lei la slitta danneggiata. Era certa di essersi spezzata la spina dorsale, restando paralizzata. Il sangue le pulsava nelle orecchie, la testa le ronzava al punto che pensò di sentirla esplodere. Tentò cautamente di tirare un respiro profondo, perché i polmoni agognavano una boccata di ossigeno, ma il dolore alle costole glielo impediva. Rimase raggomitolata nella neve, con le braccia incrociate sul ventre in un gesto protettivo, come se potessero rimediare al danno causato dalla collisione con il tronco caduto. Era immobile, nel tentativo di percepire la presenza vitale del bimbo che portava in grembo. Dopo l'urto iniziale non aveva sentito altri dolori; forse il morbido sacco amniotico, imbottito di liquido, lo aveva protetto dalla violenza dell'impatto. Natû se lo impose: non avrebbe sentito altri dolori al ventre. Il feto sarebbe sopravvissuto; doveva sopravvivere. Lei non poteva perdere il figlio di Bud. Man mano che il suo respiro si normalizzava e la sua mente si schiariva, Natû cominciò a valutare la situazione. I cani avrebbero continuato a correre, trascinandosi dietro la slitta carica; con un po' di fortuna, questa si sarebbe inclinata di lato, rallentandone l'andatura. Sockeye sarebbe tornato quasi certamente sulla pista, non appena svanito l'odore acre dell'alce che lo aveva indotto alla fuga, in preda al panico. Forse Patrick avrebbe trovato la sua muta e sarebbe tornato indietro a cercarla. Il pensiero di vederlo colmò Natû di speranza, fin quando la ragione non le disse che era improbabile che lui ritrovasse il punto in cui si era addentrata nella foresta correndo all'impazzata. Sarebbe dovuto arrivare mezzogiorno, prima che la pallida luce del sole, ancora sospeso sull'orlo dell'orizzonte, lo aiutasse nelle ricerche. Il tempo pareva si fosse fermato al momento della caduta. Tutt'intorno regnava il silenzio. Natû era sola. La cinghia che tratteneva la lampada scivolò in basso, fermandosi intorno al suo collo. A poco a poco si accorse di riuscire a respirare soltanto a brevi tratti. « Oline », sussurrò, « stammi vicino. Sei stata l'unica madre che ho conosciuto. Hai atteso la morte sul ghiaccio con forza e dignità. Ora concedimi la tua forza. Dividila con tua figlia. » La sua preghiera fu accolta da un gelido silenzio. « Dovrò trascorrere la notte qui », disse a voce alta, come se quel suono potesse disperdere i lupi, l'alce e i demoni del buio. Tentò di alzare le braccia per fissare la lampada alla fronte, ma il dolore le dilaniò le costole con la ferocia di lupi affamati. Lasciando ricadere le braccia, attese che il respiro rallentasse di nuovo prima di portare cautamente la mano verso l'incavo della gola, dove si era fermata la lampada. Sebbene i guanti spessi la ostacolassero nei movimenti, riuscì ad afferrare la torcia, spostandola da una parte all'altra in modo da descrivere un arco nel buio. Quando vide il tronco dell'abete caduto, scosse la testa. « Sockeye, come avete fatto tu e gli altri ad aggirare quell'ostacolo, con la slitta così danneggiata? » Il suono della sua voce le fu di conforto. Rivolse la luce sulla neve, in cerca di un punto che le offrisse riparo dal vento e di un incavo nella neve dove potersi rannicchiare. «Sei fortunata, Natû», disse a se stessa. «Questa è una notte da tre cani soltanto, anziché da dodici », riferendosi al numero di animali che sarebbe stato necessario per tenerle caldo nel sonno. « Sembra abbastanza mite. » La neve si accumulava soffice contro il foro scuro del tronco abbattuto. Natû tentò di mettersi carponi per strisciare verso il tronco, ma il dolore la inchiodò al suolo. La lampada che portava sulla fronte le ricadde sul petto, risplendendo attraverso la sciarpa arancione che portava intorno al collo, da cui ricadeva formando pieghe morbide. Riuscì infine a spostarsi, un centimetro dopo l'altro, finché non si trovò rannicchiata, voltando le spalle al vento. Nonostante il dolore, tirò su il cappuccio, sapendo che avrebbe potuto conservare fino al cinquanta per cento del calore corporeo, se fosse riuscita a tenere la testa calda e ben coperta. Poi, come i suoi antenati, incassò il capo tra le spalle, chiuse gli occhi e lasciò che il sonno rallentasse l'attività del sistema respiratorio. Un fioco ululato la riportò alla realtà. « Sockeye », sussurrò, « sei tornato. » Ma non era Sockeye. I ramoscelli nudi che celavano il suo rifugio parvero suddividere il lampo giallo che si avvicinava in una dozzina di occhi. Lupi? Natû chiuse gli occhi. Quei bagliori parevano circondarla, ma lei non voleva vederli. L'alce, soddisfatto di aver costretto la muta a cedergli il passo, si allontanò dalla pista cercando nella neve il salice dell'Alaska, che era il suo cibo preferito. Arrivato sul posto in cui l'alce aveva costretto la muta di Natû a deviare dalla pista, White-Out s'irrigidì e rallentò il passo. Gli altri husky, avvertendo il suo disagio, smisero di tirare; le linee di traino si allentarono. Patrick lanciò l'ancora, conficcando nella neve, con la forza del tallone, i grandi moschettoni ricurvi, poi camminò lungo la fila di cani, parlando con loro e carezzandoli. Quando raggiunse White-Out, non riuscì a individuare nessun motivo valido per l'improvviso rifiuto di correre del leader. « Forza, ragazzo », lo incitò. « A quest'ora Natû sarà già a Skwentna. Sockeye ti farà vergognare, quando arriverai qualche ora dopo di lui. » Patrick assestò una pacca finale a White-Out, gli accarezzò le orecchie e tornò alla slitta. «Via!» gridò con voce possente, togliendo l'ancora. White-Out obbedì all'ordine, ma seguendo una pista che soltanto lui poteva sentire, e guidò la muta nella foresta di abeti, lontano dall'alce. « Fidati del tuo cane di testa », gli aveva sempre ripetuto Trapper. « Potrebbe salvarti la vita. » Il consiglio del vecchio risuonò nelle orecchie di Patrick, che tenne a freno la collera per essere stato trascinato nella buia foresta di abeti, dov'era difficile, oltre che pericoloso, correre in mezzo agli alberi. « Sarà bene che tu abbia una ragione valida per comportarti così, White-Out», brontolò, «altrimenti ti rimetterò nella muta insieme con gli altri, e troverò un altro leader per Bud. » Imprecò, impegnato nel tentativo di manovrare la slitta in mezzo ai pini neri, ai rami caduti e ai tronchi d'albero. Era una corsa snervante. Dovette deviare per evitare un tronco d'albero che si stagliava davanti a loro nel buio. «White-Out! » gridò, senza sperare troppo che il cane gli desse ascolto. « Esci da questa dannata foresta. Questo è il territorio dell'alce, e non voglio trovarmi di fronte a una di quelle bestiacce colleriche. Ascoltami! Pista! Torna sulla pista! » Gli rispose un abbaiare fioco, che però proveniva dal lato sinistro della slitta, e non dalla testa della muta, dove correva White-Out. Il cane, dotato di un udito di gran lunga superiore alle capacità dell'orecchio umano, rallentò subito. Sockeye abbaiò di nuovo. L'aria gelida fece giungere il suono alla muta di Patrick, che lo udì e lo comprese. Pur avendo ancora nelle narici l'odore dell'alce, che li spingeva ad allontanarsi dal suo territorio, i cani risposero subito a Sockeye, e in pochi minuti la foresta riecheggiò degli ululati delle due mute. Patrick era sbigottito. Che cosa facevano gli husky di Natû nella foresta? Si lasciò guidare da White-Out verso il punto in cui la slitta preparata con tanta attenzione da Natû si era incastrata in un intrico di rami marci, che avevano bloccato i cani eccitati. Gli husky scattavano l'uno contro l'altro e cercavano di mordere i finimenti nel vano tentativo di liberarsi. Prima che potesse impedirlo, anche i cani di Bud si gettarono nella mischia, e in pochi secondi Patrick si trovò a fronteggiare l'incubo di ogni musher: separare due mute di cani impegnati in una rissa gigantesca. Per prima cosa abbassò i lunghi ganci del freno, poi conficcò saldamente l'ancora nella neve prima di rovesciare la slitta sul fianco. «Questo dovrebbe bastare a tenerla ferma», si disse mentre risaliva la linea di traino centrale, rimettendo i cani al loro posto. Sentì la biancheria che portava sotto il parka inzupparsi di sudore, e aprì subito la lampo della tuta che indossava, rovesciando in fuori la parte superiore. Sapeva che la pelle umida perde calore circa venticinque volte più in fretta della pelle asciutta, e lo aspettava ancora parecchio lavoro per liberare la muta di Natû e calmare gli animali, che piroettavano e danzavano sulle zampe posteriori come impazziti. « Andiamo, dannazione », scattò mentre si sforzava di riportare i robusti cani wheel di Natû al loro posto nella linea di traino. Il sudore cominciò a colargli negli occhi, e lui si affrettò a tergersi la fronte con il dorso del guanto. « Non ci tengo proprio a finire assiderato perché voi altri non sapete comportarvi come si deve. » Trapper aveva inculcato a lui e a Scott la legge della sopravvivenza del 50-50-50, che in quel momento gli tornava alla memoria: se l'acqua raggiunge la temperatura di cinquanta gradi Fahrenheit, vale a dire poco al di sotto di dieci gradi centigradi sotto zero, un essere umano ha il cinquanta per cento di probabilità di sopravvivere per cinquanta minuti. «Dannazione», mormorò, quando il guanto pesante lo ostacolò nel tentativo di districare una delle linee di traino attorcigliate intorno a un cane. «Ma come hai fatto a combinare questo disastro?» ringhiò rivolto all'husky, che si sforzava ancora di raggiungere quello dietro di lui. Patrick stava per sfilarsi il guanto, quando si rammentò che le carni si congelano in trenta secondi quando il vento soffia a trenta miglia l'ora a una temperatura di meno trenta gradi Fahrenheit, vale a dire a quarantotto chilometri l'ora e circa trentaquattro gradi centigradi sotto lo zero. «La vecchia regola del 30-30-30. Grazie, Trapper», mormorò, tirando poi un bel respiro profondo. « Non mi sconfiggerete », mormorò. « Né voi cani né tu, Madre Natura. Posso sopportare tutta la merda che riuscirete a spalarmi addosso, e anche di più. » Alla fine gli husky eccitati e spaventati si calmarono. Patrick era stato tanto occupato con loro che aveva respinto in fondo ai recessi più oscuri della mente la realtà raccapricciante della scomparsa di Natû, ma ora non poteva fare a meno di affrontarla. «Natû! » gridò, portandosi le mani a coppa intorno alla bocca. «Natû! » Gli rispose soltanto un silenzio opprimente. Sollevando la parte superiore della tuta che portava per guidare la slitta, chiuse la lampo. « Non può essere lontana », si disse. Una volta sicuro che le due mute fossero ben separate e non potessero liberarsi, sganciò Sockeye dalla linea di traino. « Vediamo se riesci a trovare qualche traccia », gli disse. Ma non appena si mossero, gli husky ancora imbragati cominciarono a ululare e tendere i finimenti che li univano alla slitta e all'ancora con una violenza tale che Patrick dovette tornare indietro. Sapeva che, se le due mute fossero riuscite a liberarsi e a scattare, lui e Natû avrebbero dovuto rispondere di quell'errore a un'entità temibile e incapace d'indulgenza, la natura selvaggia, che non tollerava gli idioti. Riportò Sockeye in testa alla linea di traino centrale, agganciandolo al suo posto. Non voleva credere che Natû fosse ferita o in pericolo, ma quando si soffermò a esaminare la slitta con il paraurti anteriore ammaccato, si sentì chiudere lo stomaco in una gelida morsa di terrore. « Comportati bene, Sockeye », lo ammonì. « Forse avremo bisogno della slitta per trasportare Natû», e manovrò per liberare il mezzo dall'intrico dei rami, poi esaminò i pattini e tirò un sospiro di sollievo nel rendersi conto che poteva ancora correre. «Li sostituirò quando saremo a Skwentna», si disse. « Per ora dobbiamo trovare Natû. » Sockeye agitò la coda folta da husky, e la sua bocca parve atteggiarsi a un sorriso quando Patrick impartì il comando di partenza. I cani si muovevano più lentamente, stavolta, perché Patrick teneva abbassato il freno, che urtava contro rami e sassi nascosti, rompendo l'andatura. Ogni volta che erano costretti a fermarsi, Sockeye si girava a guardare Patrick con aria di rimprovero. « Hai perso Natû», lo sgridava il ragazzo. « Adesso trovala. » Mentre la slitta filava, Patrick guardava da una parte e dall'altra, pregando di riuscire a ritrovare Natû. Aveva smesso di gridare, perché il fiato gli serviva per correre. Aveva l'impressione che procedessero in circolo da ore e ore, e stava già ripetendo dentro di sé le parole che avrebbe pronunciato davanti a Trapper, quando la sua attenzione fu attirata da una chiazza di neve più chiara. Si sarebbe detto che sotto una grossa betulla ci fosse qualcosa di luminoso. Probabilmente era un vecchio segnale indicatore della pista che, chissà come, era finito in quel fosso, pensò. Ora Sockeye tirava con tanta energia che la muta sembrava volare per tenere il passo con lui. Patrick riuscì ad aggirare con la slitta malandata un grande abete rosso che sbarrava la strada con il tronco caduto. « Sockeye, sei impazzito, per caso? » gridò. « Il carico di questa slitta ci serve. Rallenta. Alt! » ruggì alla fine. Ma Sockeye rimase sordo a ordini, preghiere e lusinghe: aveva fiutato la pista di Natû ed era deciso a raggiungerla a tutti i costi. D'un tratto la linea di traino si allentò e la muta smise di correre. Gli husky si accovacciarono nella neve, guardandosi attorno come se fossero stupiti di ritrovarsi fuori della pista, fermi nel cuore della foresta. Soltanto Sockeye saltava e tirava l'imbragatura come se provasse un desiderio disperato di correre. Patrick abbassò il freno. « Ora basta con le fughe », ammonì i cani, mentre si dirigeva verso quel tratto di neve tinta d'arancio. Socchiuse gli occhi per cercare di vedere che cosa provocasse quel fioco chiarore davanti a lui. Non era abbastanza luminoso per essere un segnale indicatore della pista. Il fascio della lampada che portava fissata alla testa investì i rami nudi e sottili della betulla, che assunsero così un aspetto spettrale. Il raggio si rifranse, scheggiandosi, simile agli occhi di un branco di lupi, rendendo arduo il compito di distinguere se la massa scura che giaceva sul terreno fosse un animale o un ceppo d'albero. Di colpo Patrick si accorse che quella luce tenue arancione proveniva da una lampada come la sua, che splendeva attraverso un lembo di tessuto. « Natû? » chiamò in tono incerto. « Natû? » La figura, che era rannicchiata sotto i rami, restò immobile, come un grizzly a riposo. Patrick avanzò lentamente, abbassandosi a fatica, data la statura, per passare sotto le propaggini più basse. Si chinò, con circospezione, e puntò il fascio di luce della lampada sulla massa scura, nel timore che potesse trattarsi di un animale addormentato. Ora il raggio luminoso inquadrava la pelliccia di ghiottone del cappuccio di Natû, e Patrick si sentì inondare la bocca da un fiotto di bile forte e amara. La nausea era dovuta al sollievo: non avrebbe dovuto informare Trapper che sua figlia era morta o dispersa. Posò una mano sulle spalle curve della ragazza, sussultando per la sorpresa quando lei si ritrasse. « Natû, sono io, Patrick », disse allora a voce alta. Sockeye, stanco di stare seduto mentre era ancora imbragato, abbaiò contro Patrick, incitando il resto della muta a unirsi a lui nel coro di protesta. L'abbaiare dei cani indusse Natû a sollevare la testa dalle ginocchia, guardando Patrick. Allora le sue spalle furono scosse da singhiozzi silenziosi, e Patrick s'inginocchiò sulla neve vicino a lei, cullandola finché non rimase immobile. « Raccontami com'è andata », le disse, tenendola stretta. Le parole sgorgarono a fiotti dalle labbra di Natû, facendole rivivere il terrore delle ultime ore. Non accennò al dolore che provava, temendo che Patrick non la lasciasse proseguire. Lui l'ascoltava in silenzio, ammirando il suo coraggio. Anche la sua forza era stata messa a dura prova dal branco di cani lanciati in una corsa folle nella foresta, eppure Natû, quando la muta le era sfuggita, trascinando con sé tutto ciò di cui aveva bisogno per sopravvivere, non si era lasciata andare al panico, ma aveva pensato a raggomitolarsi per conservare le energie. Era quello il tipo di donna che doveva cercare, quando fosse stato pronto a sistemarsi e mettere su famiglia. La voce di Natû divenne più sonora a mano a mano che parlava, e i timori di Patrick si sopirono. Natû stava bene ed era in forze. Alla fine tacque. « Sei ferita? » le chiese, rendendosi conto che non aveva accennato a se stessa. Natû scosse la testa. Lui tese le mani per aiutarla a rimettersi in piedi, e lei strinse i denti, decisa a guidare i cani fino a Rohn, ma la forza di volontà non era sufficiente. Si abbandonò tra le braccia di Patrick, mentre il dolore le lacerava il ventre e la schiena. « Vieni, ti sistemo nel sacco a pelo della slitta », le disse lui. «No», sussurrò Natû, tentando ancora di rimettersi in piedi, ma Patrick dovette afferrarla al volo mentre barcollava. «Ora non ti stai comportando come la figlia di Trapper», la rimproverò in tono severo. «Dopo un breve riposo ti sentirai meglio e potremo ripartire, ma arriverai a Skwentna nel sacco a pelo. » D'improvviso Natû si sentì attirata dall'idea di viaggiare a bordo della slitta, anziché guidarla. « E va bene, Patrick, hai vinto tu », rispose, dato che la sola idea di camminare l'atterriva. Prima di lasciare il suo fianco per aprire il sacco a pelo, Patrick estrasse dalla tasca un pezzo di muktuk: « Mangia questo, ti scalderà». Natû masticò di gusto la striscia di grasso e pelle di balena, che le avrebbe fornito l'energia supplementare necessaria per mantenere alta la temperatura del corpo. Patrick la guardò, poi, convinto che il cibo le avrebbe fatto bene, si diresse verso la slitta per prepararla al trasporto di Natû fino a Skwentna. Aprì il sacco di nylon pesante fissato all'intelaiatura della slitta, controllando che le fasce di velcro e le fibbie lo tenessero saldamente ancorato. Lavorando in fretta, modificò la disposizione dell'attrezzatura e si batté la mano sulla tasca della tuta per controllare che ci fosse la rivoltella. Voleva essere preparato, nel caso che incontrassero di nuovo l'alce. Dopo avere svolto il caldo sacco a pelo, lo sistemò nell'involucro. «Silenzio, Sockeye», gridò mentre il leader della muta di Natû alzava il muso lungo per ululare rivolto alle cime degli alberi. Sapeva che erano pronti a muoversi. Sockeye aveva bisogno di correre. Stare lì accovacciato, nella foresta, con i sensi attenti a cogliere suoni e odori strani, lo innervosiva; il cane percepiva il disagio di Patrick e la sofferenza di Natû, e questo suscitava in lui il desiderio di fare qualcosa che potesse capire. Voleva prendere la guida della muta per riportarla sulla pista. «Silenzio! » Patrick non aveva l'abitudine di perdere la pazienza con i cani, ma era più preoccupato di quanto non volesse far capire a Natû. Rimase immobile per un istante, cercando di decidere se era più opportuno cercare di portare la muta da lei, oppure trasportarla di peso fino alla slitta, con il rischio di procurarle qualche lesione grave. Un'occhiata a Sockeye gli bastò per decidersi. Se lo avesse visto sganciare la muta di Bud, sarebbe impazzito per la frenesia di unirsi a loro. «Non ci tengo a un altro scontro all'ultimo sangue con voialtri », ammonì. Poi tornò a passi pesanti da Natû, che aveva il volto teso e cinereo. « Dov'è che senti dolore? » le domandò a bassa voce. Si era reso conto che lei gli aveva mentito, affermando di stare bene. « Al ventre », rispose Natû con un filo di voce. « Ora ti prenderò tra le braccia per trasportarti fino alla slitta, Natû. Portarti di peso è più facile che controllare due mute di cani impazziti convinti di poter correre all'impazzata in questa foresta come se fossero sulla pista, capito? » Natû inspirò a fondo prima di annuire. Patrick la sollevò di peso mentre lei restava in posizione fetale, stringendo le ginocchia tra le mani. Patrick tornò verso la slitta incespicando e barcollando. Gli riusciva difficile tenerla tra le braccia senza stringerle troppo il torace, ma alla fine raggiunse la slitta e vi depose sopra Natû con la stessa delicatezza che avrebbe usato nei confronti di un neonato. Eppure lei non riuscì a trattenere un gemito, mentre Patrick l'adagiava sul sacco della slitta. « Ecco fatto », le disse, tirando la doppia chiusura lampo del sacco a pelo. « Stai comoda? » Natû annuì, non fidandosi della propria voce. Patrick chiuse anche il grande sacco di nylon, cosicché s'intravedeva soltanto l'orlo di pelliccia del cappuccio di Natû. « Sembri un husky », le disse, sperando di sentirla ridere. Ma Natû non potè fare altro che una smorfia. «Cercheremo di venirne fuori un po' alla volta», le sussurrò Patrick. « La tua muta non può muoversi, a questo ho pensato io. » Nel dirlo, lanciò un'occhiata a Sockeye. « Un solo movimento, e non sarai più il leader della muta. » L'husky parve capirlo e si raggomitolò, coprendo il naso con la folta coda. Gli altri seguirono il suo esempio. « Torneremo verso la pista con la muta di Bud, lasciando che White-Out ritrovi la strada. Poi immobilizzerò la muta, lasciandoti la pistola per tornare indietro a prendere i tuoi cani. Speriamo che loro sappiano ritrovare la pista. Che io sia dannato se so dove siamo. » Natû annuì. Non riusciva a immaginare una soluzione migliore. « Tranquilla, andremo avanti finché non troveremo la pista », concluse Patrick, sfoggiando un ottimismo maggiore di quello che provava dentro di sé. 12 KILUK OWENS attaccò il telefono. La comunicazione era pessima, disturbata dalle scariche di elettricità statica, e la voce di Trapper s'interrompeva di continuo, ma lei aveva sentito quanto bastava per capire che Patrick e la figlia di Jack sarebbero dovuti arrivare a Skwentna già da alcune ore. «Pivelli», disse poi. «Matricole che corrono fino a Rohn. Senza che la pista sia preparata, senza funzionari di gara in servizio. Potrebbero essere dovunque, anche morti », aggiunse in tono cupo, sbattendo la porta per andare in cerca del marito nel fienile. « Chi è morto? » chiese Herbie, alzando la testa mentre la moglie entrava nel piccolo fienile attiguo alla loro vecchia capanna di tronchi. Herbie era nato in quella stessa catapecchia, costruita nel punto in cui confluivano le acque dei fiumi Skwentna e Yentna, e ora uno dei checkpoint dell'Iditarod si trovava proprio ai piedi della loro casa. Prima che venissero adottati i sistemi di registrazione in entrata e in uscita, tutti i musher dovevano concentrarsi nello stesso luogo, e aspettavano con ansia di godere di un caloroso benvenuto e di un pasto caldo nella dimora degli Owens. « Chi è morto? » ripetè Herbie, chino sulla slitta che era intento a costruire. Era un purista, e nella costruzione di una slitta da corsa non usava né bulloni né viti né chiodi. Kiluk accostò una seggiolina di legno per sedersi vicino al marito. Le piaceva guardarlo mentre fissava al loro posto le strisce di betulla curvata a vapore, dette babiche, servendosi di liste di cuoio grezzo. « Questa è speciale », osservò in tono ammirato. Herbie si lasciò sfuggire un grugnito compiaciuto, poi disse: «Non hai risposto alla mia domanda», chinandosi per controllare che le babiche fissate ai supporti verticali dei pattini li tenessero saldamente al loro posto. « Il cuoio grezzo è la soluzione migliore, perché consente alla slitta di assorbire gli scossoni sulle piste cattive, anziché sfasciarsi. » Kiluk assentì. Herbie Owens aveva una lista d'attesa lunga un chilometro di clienti che chiedevano slitte fabbricate a mano secondo l'uso eschimese, e lei era fiera del marito. « Ha telefonato Trapper. » Herbie alzò la testa di scatto. « Per parlare della 10-0-2 e dell'oasi protetta? » Sua moglie era parente di Trapper, e altrettanto contraria alla legge in discussione, mentre Herbie era incline a vedere le cose con maggiore elasticità. Secondo lui, a patto che la Wildlife Agency esercitasse uno stretto controllo sulle attività delle società petrolifere, e queste a loro volta s'impegnassero a sostituire la flora della tundra eventualmente danneggiata e a rispettare la fauna, si poteva concedere l'autorizzazione allo sfruttamento del petrolio racchiuso nei ricchi giacimenti petroliferi. Herbie, però, non osava dirlo apertamente di fronte a Kiluk. Lei era inupiat, e oltretutto apparteneva a una delle celebri famiglie di musher di Rohn, luogo in cui era nata, ed era quindi schierata con Trapper, come la maggior parte dei sourdough (questo era il soprannome degli abitanti dell'Alaska) e dei nativi. Coloro che sono nati nel cuore della meravigliosa natura selvaggia del 49° Stato hanno il privilegio di godere di un assaggio di paradiso in terra, ed è comprensibile che si mostrino gelosi e protettivi nei confronti del loro eden naturale. «Trapper ha telefonato per via della figlia, Natû», spiegò Kiluk, attendendo la reazione del marito. Gli occhi azzurro vivo di Herbie studiarono la moglie, che manteneva un'espressione indifferente. Lui sapeva che avrebbe dovuto estorcerle le informazioni: era un gioco che le piaceva molto. « Che cosa ha detto? E chi è morto? » « Dev'essere uscito di senno », rispose Kiluk, ritrovando in parte l'indignazione che aveva provato pochi minuti prima, nell'apprendere che Trapper aveva permesso a due novellini di correre in slitta fino a Rohn. Herbie annuì. Mentre Kiluk gli raccontava tutta la storia, le dita tozze e forti del marito continuavano a torcere e rinforzare le strisce di cuoio. « Devono aver completato tutt'e due le corse più brevi che li autorizzano a partecipare all'Iditarod », le fece notare lui. «E poi Natû è cresciuta a Barrow... Sistemare trappole, pescare e guidare la slitta sono tutte attività che ha nel sangue. Può darsi che siano matricole rispetto ai veterani dell'Iditarod, ma non sono certo novellini per quanto riguarda le corse in slitta. Anche se», aggiunse, «non potrei dire altrettanto di quel trivellatore che Natû ha sposato. Mi sorprende che Trapper gli consenta di partecipare. Lui sì che è una matricola. » «Ho promesso a Trapper che avremmo fatto in modo che la nostra muta, e forse anche un gatto delle nevi, andasse al posto di controllo di Yentna per vedere se quei due hanno bisogno di aiuto. » « Gatti delle nevi », ribatté Herbie con uno sbuffo di disprezzo, facendo scorrere la mano sul legno ricurvo dell'handle bar della slitta. « Le macchine non possono fiutare la pista. I cani invece intuiranno dove si trova la muta di Natû e la troveranno. Se non arrivano per l'ora del tè, ci metteremo in cammino sulla pista. A quell'ora del giorno la luce sarà ideale, e potrebbe aiutarci a trovare le tracce. » Kiluk sorrise, soddisfatta. «Telefonerò a Muktuk», osservò. «È sempre pronto, quando si tratta di far correre i cani. Se c'è qualcuno in grado di trovarli, è lui. » « Bene. » Herbie era lieto che la faccenda fosse sistemata. Per l'ora di pranzo avrebbe completato la costruzione della slitta e avrebbe potuto dedicare tutta la sua attenzione alle operazioni di salvataggio. «Probabilmente i cani faranno resistenza passiva», osservò. « Non è il loro solito percorso. Muktuk Peters li troverà stesi sulla neve in mezzo alla pista e li farà correre. Forse quegli animali non lo amano, ma di certo lo rispettano. Quando lui dice: 'Via', partono senza fare storie. » 13 TED DAWSON fissò il bicchiere di whisky che aveva davanti, facendo roteare il liquido ambrato sui cubetti di ghiaccio. Incrociò i piedi che aveva appoggiato sulla scrivania, sistemandosi comodamente sulla poltrona di cuoio e facendo schioccare per la soddisfazione le labbra carnose, mentre l'alcool gli scaldava la gola e lo stomaco. Gli affari procedevano bene. I preparativi per il grande ballo di beneficenza accompagnato da un banchetto, ormai imminente, erano a buon punto. La sua squadra di collaboratori gli aveva assicurato che avrebbero goduto di un'eccellente copertura da parte dei media, con particolare enfasi sul fatto che tutti i proventi sarebbero stati devoluti al Fish and Wildlife Management, l'ente per la salvaguardia dell'ambiente. Questo avrebbe contribuito a indorare la pillola della 10-0-2, pensò. Se riesco a condizionare la decisione dei dirigenti dell'oasi naturale, il mio futuro alla BP sarà una marcia trionfale fino alla vetta. Quel pensiero gli fece affiorare un sorriso sulle labbra, e la segretaria, ancora seduta accanto alla tavola del consiglio d'amministrazione, fu scossa da un brivido involontario. Ogni volta che sentiva l'impulso di umiliarla, Double Dick Dawson approfittava della sua posizione di autorità per insinuarle sotto la gonna le dita tozze, facendole scorrere lungo l'orlo delle mutandine. Era al corrente del fatto che lei, per quanto detestasse il suo principale, era una madre single che non poteva permettersi di perdere il posto. Dawson lo sapeva benissimo, e lo eccitava avere la segretaria alla sua mercé; godeva nel vederla ritrarsi disgustata, mentre lui esplorava le sue parti intime con le dita tozze. Anchorage non era più la città del boom economico. Dopo la fuoriuscita di greggio dalla petroliera Exxon Valdez, migliaia di operai erano tornati nei «48 giù in basso», come gli abitanti dell'Alaska definivano il resto degli Stati Uniti. «Signora Robbins», la chiamò Dawson, bevendo una generosa sorsata di whisky. La segretaria rimase immobile, come impietrita, facendosi forza per affrontare quello che l'aspettava. «Venga qui, e resti in piedi vicino a me. Desidero che prenda appunti. » « Sì, signore. » Lei si spostò per avvicinarsi alla sedia del principale, ma non troppo. « Posi il taccuino sul tavolo, così potrà scrivere come si deve. » «Sì, signore», rispose lei, chinandosi sopra la sua spalla per posare il blocco degli appunti. « Bene », disse Dawson in tono suadente, mentre la camicetta della segretaria si allargava sul collo lasciando scoperta la biancheria semplice, di poco prezzo. «Bene, molto bene. » Insinuò di scatto la mano nello scollo della camicetta, chiudendo pollice e indice intorno al capezzolo della donna, che ansimò per la fitta di dolore che s'irradiava a tutto il seno. Lei rimase immobile, digrignando i denti e odiando quell'uomo con tutte le sue forze. « Prenda nota », le ordinò Dawson. La mano le tremava, mentre trascriveva le sue parole. «Rintracci mia moglie e la informi che desidero trovarla in casa alle otto di domani sera. » Dawson s'interruppe e la segretaria restò in attesa, con la penna sospesa sulla pagina. « È tutto. Per ora può andare », scattò, improvvisamente stanco del gioco che faceva con quella povera donna. « Va bene, signore. » Si allontanò indietreggiando, disgustata dal modo in cui gli occhi di Dawson frugavano indiscreti il suo corpo. Avrebbe voluto andare a casa per lavarsi meticolosamente, sfregando la pelle finché non si fosse arrossata, cominciando a dolere. Quanto lo detestava! Spero che Anna sia a Barrow o in qualche altro posto dimenticato da Dio e non possa andare all'appuntamento con quel verme, pensò, chiudendo dietro di sé la porta dell'ufficio. Doveva essere ubriaca o fuori di sé, quando ha accettato di sposare quel viscido bastardo. Mentre aspettava l'ascensore, la segretaria estrasse dalla cartella di cuoio un fazzoletto di carta, insinuando senza farsi notare la mano nell'apertura della camicetta per sfregare il seno e il capezzolo che Dawson aveva toccato. Quando la porta si richiuse, Ted abbassò i piedi dal tavolo, si alzò risistemando i pantaloni e si avvicinò al bar, tenendo sospesa la caraffa di cristallo sul bicchiere finché non fu pieno a metà di whisky. « Alla tua, Dawson », brindò, rivolto a se stesso. Il telefono squillò, e lui imprecò, sollevando il ricevitore. « Signore, è Claire, dall'Iditarod Centre. Dice che è importante. » « Me la passi. » Ascoltando la spiegazione della donna, Dawson sorrise. «Grazie, Claire. Ovviamente la sponsorizzazione resta valida. Anzi, forse potrei anche aumentarla. Sì, terrò fede all' impegno con i Damas. Lei ha fatto un buon lavoro. Grazie di nuovo.» « E ora si tratta di vedere se questa è solo una delle solite storie di Anna », disse a se stesso. « Claire le crede, ma io voglio una prova. » Passò le dita sulle pieghe di pelle sotto il mento, poi assentì lentamente. Frugando nella tasca dei pantaloni, prese un cellulare nero. Quella telefonata era strettamente privata. Le sue due compagne di letto avrebbero trascorso da sole la sera dell'indomani; anzi, forse le prossime due notti. Era tempo che Anna McInnes assolvesse i suoi doveri coniugali di signora Dawson. Forse si sarebbe presentato alla cena di beneficenza tenendola sottobraccio; questo sarebbe servito a dissipare le voci che correvano ad Anchorage e davano la moglie perdutamente innamorata di quel bambolotto di Butler. L'idea di esigere il debito coniugale eccitò Double Dick. « A me », esclamò, vuotando il bicchiere. Anna McInnes Dawson era stanca, ed entrò nel terminal dell'aeroporto di Anchorage a testa bassa. I capelli biondi, raccolti all'indietro in una treccia alla francese per lasciarle libero il viso, intercettavano e trattenevano la luce delle sale e dei corridoi vivacemente illuminati. Stringeva in mano due buste voluminose. Aveva riconosciuto la calligrafia su entrambe, ma non aveva voglia di leggerle. «Voci di nativi», sbuffò. «C'è sempre qualcosa di vero in quello che dicono, ma quando sono vecchie di tre giorni puzzano, come il pesce. » A Barrow aveva sentito dire che Natû e Patrick erano in ritardo a Skwentna, e si parlava già di una spedizione di ricerca. Si struggeva dal desiderio di essere vicina a Scott per consolarlo; sapeva quanto fosse legato al fratello gemello. « Dannazione », esclamò, scontrandosi con una comitiva di turisti. « Vorrei non aver detto a Claire che con Scott era finita. Scommetto che avrà telefonato a Ted, e a quest'ora lui starà gongolando. Probabilmente è per questo che mi ha mandato la lettera. Dovrò leggerla, ma prima voglio vedere che cosa scrive Scott. » Appoggiandosi alla parete, Anna lacerò la busta della lettera che Bud e Scott avevano lasciato all'aeroporto per lei. Leggendola, si sentì salire le lacrime agli occhi. Non ho altro da offrirti che me stesso, ma tutto questo cambierà appena avrò la laurea... Ora so che ho bisogno di te perché la mia vita sia completa... Ti amerò per sempre, Scott. Anna soffocò un singhiozzo prima di aprire la lettera di Ted. Leggendo le sue parole gelide, impallidì, mentre la sua espressione s'induriva. Oh, no, pianse dentro di sé, come ho potuto dire a Claire che Scott non significava nulla per me? Come ho potuto essere tanto sciocca e cieca da sposare Ted Dawson? Ho combinato un disastro. Devo essere io a dargli la notizia; non deve saperla da nessun altro. Anna infilò la lettera di Scott nella tasca della giacca da pilota, con un gesto pieno di tenerezza, mentre lacerò quella di Ted, strappando più volte il foglio sino a ridurlo in pezzettini simili a coriandoli. « Salve, Anna. » Due piloti le passarono accanto, urtandola con le pesanti valigie, ma la donna non alzò nemmeno la testa, continuando a sminuzzare la lettera. «Il tizio che l'ha scritta dovrà vedersela brutta», commentò ridendo uno dei due. «Già. Anna è una ragazza fantastica, ma non vorrei scontrarmi con lei. » « È dura come un uomo », ribatté l'amico, salutando una hostess. «Lo è di più. » Double Dick Dawson era seduto sul divano color crema, in attesa di sentire l'auto di Anna che imboccava il vialetto d'accesso alla casa. Appena lei tolse la chiave dell'avviamento, dopo aver imballato il motore, Ted si alzò per raggiungere la porta d'ingresso. Anna indossava ancora la divisa di volo, e le sue labbra s'incurvarono per un attimo in una smorfia di fastidio nel vedere la figura del marito stagliarsi sulla soglia, sbarrandole l'accesso alla loro casa. Il maglione celeste serviva soltanto a mettere in risalto lo stomaco sporgente sopra la cintura e il rotolo di carne flaccida al di sopra del colletto a polo. Anna raggiunse i gradini di legno e, avvicinandosi, fiutò l'odore di whisky, caldo e dolce. Ci risiamo, pensò. Tentò di entrare in casa passandogli accanto senza toccarlo, ma Ted allungò di scatto il braccio, facendole perdere l'equilibrio. Il primo impulso di Anna fu di sferrargli un calcio, ma poi si rammentò dell' avvertimento di Claire e scoppiò a ridere. Fu un'imitazione scadente, ma servì allo scopo. «Signora Dawson, hai un gran bell'aspetto! Ancora meglio di quanto ricordassi», le disse il marito. «Anzi, così splendido che mi sembra necessaria un'ispezione più ravvicinata. » Anna fu assalita dalla nausea. Quello che temeva era accaduto anche prima del previsto: il pensiero che le mani di Ted esplorassero il suo corpo, quello stesso corpo che aveva donato con tanto abbandono a Scott, la disgustava. « Devo fare il bagno e lavarmi i capelli », obiettò. « Vengo direttamente dall'aeroporto. » « Certo, ma non metterci troppo. Ti aspetto in camera da letto. » Anna fece una smorfia, entrando in casa. Ted gliel'aveva offerta come dono di nozze, ma lei trascorreva quasi tutto il suo tempo nel rifugio, frequentando quella casa solo quando era strettamente necessario. Seduta davanti allo specchio, intenta a pettinarsi i capelli bagnati, cercò invano una scusa per tenere alla larga il marito. Devi farlo per Scott, disse a se stessa mentre apriva pian piano la porta della camera matrimoniale. Questo convincerà Ted che è davvero finita. Scott non dovrà mai sapere quello che ho fatto. Resterà il mio segreto. Ted era disteso sul letto, nudo, e guardava Anna con gli occhi iniettati di sangue. Sul comodino accanto al letto c'era un grosso bicchiere da whisky ormai vuoto. La donna osservò con disgusto quel corpo flaccido, esitando. «Togliti quel vestito, piccola. Voglio vederti.» Ted parlava con voce impastata. Anna prese un bicchiere dal comodino. « Un altro whisky? » suggerì, nella speranza che una dose generosa di alcool lo mettesse fuori combattimento. « No, vieni qui. » Anna si avvicinò al letto camminando in modo lento e cauto, come se scivolasse su uno strato sottile di ghiaccio. « Inginocchiati sopra di me. Lo sai che cosa mi piace », ordinò lui brusco, vedendo che restava ferma accanto al letto, con aria incerta. Anna si fece forza per affrontare quella prova, soffocando un ansito di repulsione quando Ted la costrinse a mettersi cavalcioni sopra di lui, con le natiche sode e muscolose serrate al di sopra della sua bocca. « Avanti », la incitò. « Oppure la tieni da parte per il tuo bambolotto? » Sentendo nominare Scott, Anna abbassò la testa sul corpo di Ted, e ben presto lo sentì gemere di piacere. Lo guardò con distacco finché non fu scosso dallo spasmo finale, poi tentò di scendere dal letto. « Non così presto, signora Dawson », reagì lui, afferrandola per una gamba. « Non ho ancora finito con te. » Anna s'impose di cancellare dal volto la repulsione che provava. « Bene », disse. « Ho sentito la tua mancanza. » « Mi dicono che ti sei trovata un giovane stallone », replicò Ted, studiando la sua espressione. «Chi, quel ragazzino?» ribatté Anna con aria di derisione. Ted sogghignò. Le avrebbe dimostrato che cosa si perdeva, stando lontana da lui. Le donne sono tutte uguali, pensò. Appena pensano di saper fare un lavoro da uomo, si montano la testa; ma a letto è tutta un'altra storia. Scott, pensava intanto Anna, tutto questo lo faccio per te. Come lo detesto! Poi, quando Ted fu sopra di lei, cancellò dalla mente il pensiero di Scott, perché non voleva che il suo amore fosse contaminato. Temeva che, se avesse lasciato insinuarsi nei suoi pensieri l'immagine del ragazzo alto dai capelli ramati, avrebbe potuto pensare di trovarsi con lui, anziché con Ted, mentre voleva che quell'esperienza restasse odiosa. «Ecco», mormorò Ted ansimando, mentre si sollevava per guardare Anna. Lei volse la testa di lato, mentre rivoletti di sudore le colavano dal viso, gocciolandole negli occhi. L'alito di Ted era greve di whisky, e i radi capelli biondi gli si erano incollati sulla fronte. Anna riuscì a rivolgergli un sorriso spento. « Devo andare in bagno », mentì. « Ti è piaciuto? » le gridò dietro Ted. «È stato favoloso», rispose lei, chiudendo la porta a chiave. Favoloso quanto uno scontro con un alce in amore, aggiunse in silenzio. « Meglio del giovane Butler? » «Te l'ho detto, è soltanto un ragazzino. » « Ricordati di domani sera, alle otto. » La voce del marito le giunse soffocata e indistinta. « Ho un volo. » «No, ho pregato la linea aerea di sostituirti, perché siamo impegnati con la cena di beneficenza della BP. » Anna si morse le labbra. Voleva mettersi in contatto con Scott il più presto possibile, per scoprire se c'era del vero nelle voci che giravano su Patrick e Natû. E si rendeva conto che avrebbe dovuto parlargli anche di Ted. Su in montagna, nella capanna di tronchi, si era chiusa in un mondo di fantasia, ma Claire l'aveva svegliata, facendole capire che qualcuno avrebbe potuto informare Scott dell'esistenza di Double Dick prima che lei avesse la possibilità di spiegargli la situazione. Anna entrò in salotto allo scoccare delle otto di sera. «Sei puntuale. Bene», commentò Ted, facendo roteare un sigaro da un angolo all'altro della bocca. «Pensavo che avresti indossato l'abito rosso. » «No, è in lavanderia», mentì Anna. L'abito rosso era riservato a Scott; non lo avrebbe mai portato per Ted. « Comunque quello nero è fantastico, a patto che le tette restino coperte», osservò lui, occhieggiando la scollatura vertiginosa. « Certo. Volevo fare buona impressione alla cena. » «Eccome. Resteranno tutti a bocca aperta, quando vedranno quello che metti in mostra. » Spense il sigaro schiacciandolo in un grande posacenere di cristallo. Ted ostentò un atteggiamento premuroso da cavaliere, facendo il giro della lunga Cadillac nera per aprire lo sportello ad Anna. Era consapevole delle telecamere e delle macchine fotografiche dei cronisti puntate su di loro e assiepate intorno alla macchina, più fitte di un nugolo di zanzare. «Di qua, signora Dawson», esclamò uno dei fotografi, sollevando la macchina. Girandosi verso di lui, Ted passò il braccio intorno alla vita sottile di Anna e riuscì a coprirle un seno con la mano pesante. Prima che lei riuscisse a sottrarsi alla sua stretta, il flash accecò entrambi. « Grazie, è stata fantastica. » «Ogni volta che vuole», fu la risposta espansiva di Ted. Anna si sciolse dal suo abbraccio, sollevando la gonna dell'abito lungo per salire le scale ed entrare nella sala. Era furiosa perché Ted era riuscito a strapparle un atteggiamento intimo in pubblico, ma si stampò sul viso un sorriso fisso, preparandosi a una lunga serata nella quale non avrebbe fatto altro che scambiare banalità, cercando di evitare il marito. 14 TRAPPER JACK prese posto sulla vecchia poltrona di fronte alla finestra, muovendosi con la lentezza di un invalido. Scott lo guardava sbigottito. È vecchio, pensò, come aveva già fatto Natù prima di lui. Quella scoperta lo raggelò. Trapper era stato l'eroe della sua infanzia, e lui idolatrava ancora quell'uomo ormai anziano, continuando a considerarlo giovane e forte. La consapevolezza che invece era entrato nell'autunno della vita lo rattristava e lo spaventava. « Caffè, Trapper? » L'altro annuì. Immerso nei suoi pensieri, fissava la finestra come se, con la forza di volontà, potesse indurre il monte Denali a liberarsi delle nubi per mostrarsi in tutta la sua imponenza. Lo squillo del telefono riscosse Trapper dalle sue fantasticherie. Precedendo Scott, la sua mano si chiuse sul ricevitore nero. Il ragazzo non capiva una parola di quella lingua tutta schiocchi, ma rabbrividì nel vedere indurirsi il viso, di solito inespressivo, di Trapper. Questi parlò a lungo senza essere interrotto, poi attaccò delicatamente. « Il mio caffè? » Scott rimase sbalordito. Si aspettava che Trapper parlasse della telefonata. « E lo zucchero? » « È finito. » « Andiamo a comprarlo. » Trapper indossò il vecchio parka, precedendolo verso il camion. Aveva deciso di parlare a Scott e Bud di Patrick e Natû soltanto quando gli Owens li avessero ritrovati. Sono ancora giovani, e il sangue scorre caldo nelle loro vene. Se glielo dico adesso, partiranno a precipizio per il posto di controllo di Yentna, e così avremo quattro dispersi, pensò Trapper, mentre lui e Scott salivano a bordo del camion. «Non rispondere al telefono, se dovesse squillare», gridò a Bud, ancora intento a preparare il pasto dei cani. « È quella mia cugina di Skwentna, che non parla l'inglese. » « Okay. Compra un po' di gomma da masticare, Scott », replicò Bud, tornando a dedicare la sua attenzione ai cani. Trapper lasciò a Scott il compito di comprare lo zucchero, mentre lui portava il camion a fare rifornimento. Quando tornò, percorse avanti e indietro i passaggi del supermercato in cerca del ragazzo, poi udì la sua voce dietro di sé. « Sono pronto a ripartire, Trapper. » Lui fissò il carrello che traboccava di cibarie. « Zucchero e gomma da masticare? » osservò ridendo. « Sembra tutto così buono, soprattutto quando fuori fa freddo. Patrick e Natû apprezzeranno i biscotti e le barrette al cioccolato. » Trapper sorrise. « D'accordo. Vediamo se ci riesce di pagare tutto. » Scott lasciò Trapper intento a pagare gli acquisti, mentre lui superava la cassa, aggirandosi tra gli scaffali carichi di cibo per cani, quasi tutto destinato ai musher. Lesse a tempo perso la lista degli ingredienti di alcune confezioni, poi, ficcando le mani nelle tasche anteriori del parka, tornò indietro verso la cassa per aiutare Trapper. La sua attenzione fu attirata da un espositore che conteneva quotidiani e riviste popolari, e si soffermò, notando qualcosa di familiare nel viso seminascosto sul giornale piegato a metà. Lo tirò fuori dall'espositore, e il mondo cominciò a girargli intorno. Credette di perdere i sensi. Il signore e la signora Dawson fotografati mentre stanno per fare il loro ingresso alla cena di beneficenza della BP, ieri sera ad Anchorage. Scott esaminò con attenzione la foto: impossibile sbagliare, il volto e il corpo erano quelli di Anna. Mentre guardava la donna che amava, notò la mano di Ted stretta sul suo seno. «No! » gridò, strappando il giornale a metà e lasciandone cadere a terra una parte, mentre tenne stretta in mano l'altra, che mostrava la testa di Anna e il sorriso compiaciuto di Ted Dawson. « Ehi », esclamò la donna al banco della cassa. «Va tutto bene, me lo metta in conto», disse Trapper con calma. « Non può farne a meno. A volte gli prendono queste crisi. » La donna assentì. Era abituata a comportamenti insoliti, perché spesso i luoghi selvaggi attirano gente strana. Accennò al fattorino di continuare a riporre gli acquisti nei sacchetti. Scott rimase in piedi con le spalle rivolte a Trapper, stringendo in mano il foglio di giornale senza rendersi conto del trambusto che aveva causato. « Vieni », gli disse Trapper, trascinandolo verso la porta. « Ne parleremo in viaggio. » Scott lo seguì alla cieca, incespicando nella scanalatura della porta scorrevole. « Sali a bordo, guido io », disse Trapper, dopo aver dato la mancia al fattorino e aperto lo sportello del camion blu. Viaggiarono in silenzio. Trapper attendeva che Scott parlasse, ma il giovane se ne stava in silenzio a rimuginare. Picchiò più volte sul palmo della mano aperta con il giornale appallottolato, come per pestare la faccia di Ted Dawson. «Non prendertela troppo, Scott», lo ammonì infine Trapper. «Non puoi condurre una slitta trainata dai cani con una sola mano buona. » Scott batté ancora una volta sul palmo, poi si accasciò sul sedile. Il ragazzo teneva gli occhi chiusi, ma le dita affusolate giravano e rigiravano la pallottola di carta, cercando di spianarla. Quando Scott lisciò sul ginocchio il foglio spiegazzato, comparvero due volti. Trapper riconobbe il viso flaccido di Dawson. La donna aveva un'aria vagamente familiare. S'impose di mettere a fuoco la mente su una distesa di neve candida e pura fin dove l'occhio riusciva a spingersi. Intatta. Incontaminata. Sorrise, tirandosi i lunghi baffi spioventi. Funzionava. Sgomberando la mente dai dettagli banali, era riuscito a ricordarsi di Anna: era la donna che aveva pilotato l'aereo durante il volo fino a Dead Horse e ad Anchorage. « Vuoi parlare di lei, Scott? » gli suggerì. « A volte aiuta a schiarirsi le idee. » Il ragazzo scosse la testa in segno di diniego, ma nello stesso tempo cominciò a parlare. «Sposata? Com'è possibile che Anna sia sposata? Me lo avrebbe detto. Noi ci amiamo, e l'amore non ha segreti. » Trapper annuì, spostando la gomma da masticare da una guancia all'altra. « Ti ama davvero, Scott. Me ne sono accorto quando è venuta alla capanna. » « Allora perché mentire? E su una cosa tanto importante come il matrimonio, poi? » « Forse la sua unione non è felice. A differenza di noi altri, voi non potete andarvene di casa e trovarvi un'altra persona senza tante storie. Una volta firmato il certificato, sciogliere il contratto è una faccenda lunga e sgradevole. » « Ma guarda che porco si è scelta », ribatté Scott, sull'orlo delle lacrime per lo shock e la collera. «Perché lui?» Colpì il giornale con il pugno e la pagina si strappò, lasciando a Ted soltanto un occhio e metà bocca. « Forse lo ha fatto quando era molto giovane. Lui è un uomo influente. Potere e denaro sono due veri afrodisiaci per una ragazza. Di solito, quando sono mature, se ne pentono. » Scott aprì gli occhi, fissando gli alberi neri come se vedesse il mondo per la prima volta. «Anna non è un'ochetta, è una donna intelligente. No, Trapper, la tua teoria può funzionare per una ragazza giovane e ingenua, ma non per Anna. Non ha scuse. Mi ha usato e mi ha mentito. » «Spesso donne e uomini si mentono a vicenda. Sono creature diverse che cercano di vivere insieme, ma è difficile. Se si unissero soltanto per accoppiarsi e poi andassero ciascuno per la sua strada, come fanno tanti animali, tra i sessi ci sarebbe molta più pace. » Nonostante la sofferenza che lo attanagliava, Scott si lasciò sfuggire un sorrisetto di fronte al quadro dipinto da Trapper. Il vecchio percepì quel sorriso e si rilassò. Il peggio è passato, si disse. Sopravvivrà. Spesso l'amore fa soffrire i giovani; è un'esperienza che o li distrugge o li rende più forti. La prossima volta Scott starà più attento, e forse si farà guidare dalla testa, anziché dagli ormoni. Il giovane raccolse il giornale strappato per studiare il volto di Anna mentre il camion percorreva sobbalzando la strada verso casa. Deglutì a fatica mentre l'automezzo si fermava di colpo, poi si ficcò nella tasca del parka la pagina appallottolata. Non era disposto a tollerare che Bud vedesse Ted e Anna Dawson ritratti insieme come marito e moglie. E una fortuna che Patrick e Natû siano in viaggio per Rohn, pensò. Non sono in vena di sorbirmi una paternale da « fratello maggiore ». Trapper caricò di pacchetti le braccia di Scott finché lui non riuscì a vedere più nulla al di sopra della pila. Bud li raggiunse, liberando la suola degli stivali dal fango e dalla neve sciolta sull'orlo del primo gradino. « Zucchero? » osservò in tono interrogativo. « Quei supermercati sono come vasetti di miele », spiegò Trapper. «Una volta dentro, le cose ti restano attaccate alle dita.» « Lo vedo. » Bud liberò Scott di una parte del carico, barcollando nel salire i gradini. « Qualche telefonata? » chiese Trapper, mentre i giovani facevano ruzzolare i pacchi sul banco da lavoro della cucina. « Una sola, ma non ho risposto. » « Bene. » Trapper si diresse all'apparecchio, compose in fretta un numero e rimase in ascolto a lungo. Rispose con qualche parola appena, poi attaccò delicatamente e si girò verso Scott. « Ora che abbiamo lo zucchero, dov'è il mio caffè? » 15 imprecò, tirando fuori dal forno una teglia di biscotti caldi. Le dita del vecchio guanto da forno si erano logorate e il metallo rovente gli restò incollato alla pelle. Corse all'aperto per affondare le dita nella neve, e il dolore cessò, mentre il freddo impediva al calore della scottatura di penetrare più a fondo. « Per correre l'Iditarod mi servono tutte le dita che ho », brontolò lui, risalendo sul portico anteriore della sua casa di tronchi. Muktuk viveva da solo. Le chiacchiere dei nativi dicevano che una volta si era sposato, ma sua moglie lo aveva piantato in asso dopo qualche mese per trovarsi un altro compagno. Correva voce che a giustificare la sua fuga fossero stati il carattere suscettibile di Muktuk e i suoi terrificanti scoppi d'ira. Tuttavia, coloro che conoscevano quel gigante dinoccolato, con i capelli ormai radi e la barba a ciuffetti in cui il grigio contendeva il campo al rosso, ammiravano la sua conoscenza del territorio, la sua abilità nella caccia e la sua capacità di controllare i cani, anche quelli più ribelli e sovreccitati. Più di un musher avrebbe voluto possedere l'abilità di Muktuk nel separare due mute di cani in lotta. La vista dell'uomo che sganciava dalla fila i piantagrane e se li ficcava sotto il braccio, portandoli di peso lungo la linea di traino con la stessa facilità di un paio di cuccioli, riduceva al silenzio non solo gli altri cani, ma anche gli spettatori. I caporioni della rissa alzavano gli occhi per guardare le zampe dei compagni che ciondolavano impotenti nell'aria sopra la loro testa, e stavano a sentire quando l'uomo ammoniva quelli che teneva sotto le braccia, spiegando che cosa sarebbe successo se avessero continuato a combinare guai. Pareva si rendessero conto del fatto che Muktuk era più grande e più forte di loro, e non avrebbe ammesso storie. Durante le gare, la sua muta era sempre quella che creava minori problemi. Le matricole si contendevano l'onore di lavorare con Muktuk e i suoi cani. In quel momento, l'uomo passò le dita che non si era scottato tra i peli radi della barba, calandosi nello stesso tempo il berretto rosso sulle orecchie. Fiutò l'aria: era in arrivo la neve. I cani, accorgendosi che non era uscito per farli correre, si raggomitolarono sul tetto del box, fissandolo con aria di rimprovero mentre rientrava in casa, chiudendo la porta. Il rumore di un gatto della neve che imboccava il vialetto lo mise in allarme e lo irritò. Quelle macchine lo infastidivano più degli sciami d'insetti che pungevano persone e animali durante le brevi e calde estati dell'Alaska. Si ficcò in bocca un biscotto intero, facendo una smorfia nel sentire il sapore amaro dei bordi bruciacchiati, ma un sorso di tè lo aiutò a ripulirsi la bocca; poi prese un altro dolce dalla teglia, liberandolo delle parti annerite prima di spalancare la porta. «Fuori! » gridò. «Porta subito via dal mio cortile quell'aggeggio rumoroso! » Captando la nota di collera nella sua voce, i cani si unirono alla protesta, ululando in coro ai suoi ordini. « Un messaggio per te da parte di Kiluk Owens », gridò il giovanotto che guidava il gatto della neve, lasciando il motore acceso nell'eventualità di doversi allontanare in fretta. Muktuk rifiutava di farsi installare il telefono nella capanna. « E dovrei correre a rispondere a un pezzo di plastica nera? Non sono un cane che debba obbedire agli ordini. Se qualcuno mi vuole, venga a cercarmi », soleva ripetere. Tutti nella regione sapevano dell'avversione di Muktuk per il telefono, ma erano ben pochi i volontari disposti a farsi avanti quando c'era bisogno di trasmettergli un messaggio, perché conoscevano bene i suoi accessi di collera imprevedibili. « Spegni quel macinino e vieni qui. » Il ragazzo accarezzò furtivamente il veicolo mentre si affrettava a smontare, come se temesse di non rivederlo più. «Pivelli», sbuffò con disprezzo Muktuk, ascoltando la storia. « L'Alaska darà loro una lezione. Sa distinguere subito i forti dai deboli. » MUKTUK PETERS «Allora verrai? » domandò il giovane, ansioso di tornare alla capanna degli Owens. « Sì, credo di sì. Chi altri potrebbe trovarli? » «Lo riferirò a Kiluk. Grazie. » « Spingi a mano quell'arnese puzzolente finché non sarai tornato sulla strada. Da queste parti non voglio sentire né cattivi odori né rumori. » « Sicuro. » Il ragazzo dovette esercitare tutto il suo peso per spostare il gatto della neve, ma l'ansia moltiplicava le sue forze, e ben presto si udì soltanto un rombo smorzato in lontananza. Muktuk spezzò a metà un biscotto, assaggiandolo con cautela; era buono, una volta eliminato lo strato di farina bruciata. « Così ora potete sbizzarrirvi », disse ai cani, che cominciarono ad abbaiare e ululare appena lo videro raccogliere i finimenti e le linee di traino. Si era scatenato un pandemonio: alcuni husky correvano in circolo intorno al paletto cui erano legati, mentre altri restavano accovacciati a ululare, ma nessuno rimase tranquillo al suo posto. Erano tutti impazienti di correre. Muktuk sorrise, passando tra i box dei cani per scegliere quelli che voleva. « Bene, Delilah, oggi sarai tu a condurre la muta insieme con Shark», decise, prelevando dalla sua cuccia una femmina di taglia piccola, con un occhio castano e uno azzurro. « Ma non alzare la coda. Non voglio noie da te. » La cagna trotterellò felice al suo fianco, quasi godesse nel sentire l'ululato angosciato degli husky ancora legati al palo. «Ricordati quello che ho detto», l'ammonì Muktuk mentre le infilava l'imbragatura. « Se vai in calore nel bel mezzo di questa corsa come hai fatto quella volta che siamo andati a Nome, ti cedo al primo novellino tanto stupido da prenderti con sé. » Delilah era sempre al suo fianco, e scodinzolava con entusiasmo. «Ti ho avvertito, sgualdrinella», disse Muktuk, accarezzandola sulle orecchie appuntite prima di tornare indietro col suo passo pesante per scegliere il resto della muta. Icani lanciavano richiami al suo passaggio, come bambini che implorassero una caramella, mentre lui si spostava da un box all'altro. Finalmente i prescelti furono imbragati, e le loro linee di traino furono agganciate a quella centrale. A quel punto rimasero tutti eretti e impettiti, come se fossero in posa per una foto. «Via! » Delilah guidava con fierezza la muta, dividendo le responsabilità con Shark. La linea di traino centrale era ben tesa e ogni cane svolgeva bene il suo compito: sapevano tutti che, nella gerarchia canina, Muktuk era il maschio dominante, anche se aveva solo due gambe. Il villaggio di Skwentna confondeva le idee sia ai musher sia ai concorrenti dell'Iditarod, con tutte le deviazioni e le stradine laterali che si diramavano dalla via principale, ma Muktuk vedeva solo quella. «Hau!» Delilah, obbediente come un cagnolino da grembo, guidò subito la muta in una svolta a sinistra, seguita pochi istanti dopo da Shark. L'husky non aveva esitazioni, correva come se fosse guidato da una bussola. Sembrava intuire che, se si fosse comportato bene, sarebbe diventato il leader incontrastato della muta. « Hike! » ordinò Muktuk, incitando i cani, e sorrise nel sentire l'impeto della loro potenza moltiplicarsi, mentre la slitta scattava in avanti. « Quest'anno arriveremo tra i primi dieci », si vantò. Come se lo udissero e capissero le sue parole, gli animali si slanciarono sulla distesa di neve, con la lingua penzoloni e la coda alta. Muktuk respirava profondamente l'aria gelida mentre i cani trainavano la slitta lungo la pista stretta. Il fruscio dei pattini sulla neve, il vento nei capelli, la purezza dell'aria lo inebriavano di felicità. Gli unici momenti in cui trovava la pace erano quelli in cui correva sulla pista con i suoi husky: allora diventava anche lui un animale, tutt'uno con l'ambiente che lo circondava. Di colpo intuì una certa irrequietezza in Delilah. « Se vai in calore adesso e rovini questa corsa, guai a te », le gridò. Il vento gli strappò le parole di bocca, riportandole a Skwentna, dove Herbie Owens e il ragazzo che aveva fatto da messaggero stavano preparando i gatti della neve per seguire Muktuk. Nessuno dei due voleva trovarsi troppo vicino alla slitta, perché tutti i cento abitanti circa del villaggio erano al corrente dell'avversione che quell'uomo provava per le macchine, ormai entrate nell'uso comune. D'improvviso, alle narici di Muktuk giunse un lezzo acido. Lo fiutò nell'aria, ma l'odore svanì subito. I cani, eccitati, levarono il muso al vento. «Una moffetta», disse Muktuk, masticando un ciuffo della barba che il vento gli aveva spinto in bocca. « Non provarci! » ruggì, rivolto a Delilah, quando la vide cominciare ad allontanarsi dalla pista. « Perché non ti comporti bene come Shark?» Quest'ultima, sentendo fare il suo nome, girò per un attimo la testa a guardare Muktuk, con le labbra socchiuse. Di rado si distingueva al punto di meritarsi una lode, anche se sarebbe stato difficile fare a meno di lei. L'uomo percorse a piedi la fila di cani della muta, seguendo la linea di traino fino a raggiungere la piccola femmina decisa a indulgere alla sua passione per la carne di moffetta. L'afferrò per la cima assicurata al collare, e Delilah dimenò inutilmente le zampe in aria, mentre lui la teneva sollevata prima di depositarla di nuovo sulla pista. Shark scoprì i denti, ringhiando contro di lui. « E tu riceverai lo stesso trattamento, se ti azzardi a fare qualche bravata», minacciò Muktuk. Poi prese a correre al fianco di Delilah, costringendola a restare sulla pista e ad affiancare Shark, in modo da tenere tesa la linea di traino e compatto il resto della muta. Mentre correva, lui lanciava occhiate all'indietro, controllando che gli altri cani non tentassero di seguire l'odore invitante della moffetta. « Dovresti uscire soltanto di notte, puzzola », gridò rivolto all'animale notturno che non poteva vedere. D'un tratto, Delilah tentò di sbirciare attraverso le sue gambe, pur senza smettere di correre. « Sì, vai pure da quella parte, per farti spruzzare negli occhi un po' di liquido della moffetta», le gridò Muktuk. « Ma come, dovresti essere il cervello della muta, e non sai quello che fa, quando viene attaccata e solleva la coda? » Muktuk le assestò un colpo violento, e Delilah rinunciò al tentativo di vedere la puzzola, ma non smise di alzare la testa per fiutare l'aria, speranzosa. « Stupido cane », brontolò Muktuk, ma poi, una volta sicuro che la moffetta era rimasta indietro, tornò sulla slitta. «Via! Siamo qui per ritrovare delle matricole, non per perdere tempo! » Sockeye alzò il naso, sollevandolo dal caldo cuscino della coda vaporosa. Fiutò l'aria con attenzione, guardando il resto della muta rannicchiata nella neve a formare monticelli bianchi, neri e marroni, poi si rincantucciò con il naso riparato dal folto pelame. Poco dopo balzò in piedi. L'odore era diventato più intenso e lo eccitava. Avvertì gli altri cani, ma Patrick aveva legato ad alcuni tronchi d'albero le cime dei collari e la linea di traino centrale, per impedire che gli animali potessero muoversi mentre lui guidava WhiteOut e la muta di Bud verso quella che sperava fosse la pista. Alternarsi alla guida attraverso la foresta era stato massacrante, perché doveva sempre restare a portata d'orecchio dalla muta rimasta indietro. Sockeye era l'unico cane che godesse di una certa libertà di movimento. Sotto i suoi occhi, un'ombra scivolò tra gli alberi della foresta, muovendosi in modo lento e silenzioso, come se temesse di farsi scoprire. Ora tutti i cani erano in piedi, con lo sguardo fisso nel buio: uno dei ceppi sembrava muoversi. Una femmina di volpe, più o meno della stessa taglia di un husky, uscì infine allo scoperto. Gli husky abbaiarono per manifestare la loro eccitazione e il loro interesse. L'animale, quasi consapevole del trambusto che stava provocando, aggirò lentamente la muta, per bloccarsi infine di fronte a Sockeye. Il cane e la volpe erano riusciti a risolvere i problemi creati da imbragature e finimenti, ed erano saldamente accoppiati, quando uno schianto di rami nel sottobosco li fece sussultare. «Sockeye! Stupido che non sei altro! Ma come, ti lascio solo un attimo, e tu che cosa combini? Ti trovi una volpe in calore, che magari ha anche la rabbia, ma sei talmente eccitato che non ci badi. Se morde qualche cane della muta di Natû ti uccido, e non è una minaccia a vuoto! » Patrick batté la mano sulla tasca dove avrebbe dovuto trovarsi la Magnum, poi si ricordò di averla lasciata a Natû. Comprese di non poter fare nulla finché l'accoppiamento non si fosse concluso, ma il pensiero di Natû, sola e inerme sulla slitta fino al suo ritorno, lo rendeva irrequieto. Cercò e trovò un ramo spesso, prima di tornare verso Sockeye, che ansimava. Patrick si tenne a distanza di sicurezza dalla volpe. Detestava le iniezioni ancora più di Bud, e non aveva la minima intenzione di subire la stessa tortura; ma la volpe, appena lo sentì, tentò di voltarsi per fuggire. Nei suoi occhi gialli si leggeva soltanto la paura. «Rilassati», mormorò allora Patrick. «Finché restate così, non posso fare niente. » Rimase a guardare i due animali per un istante, poi si lasciò cadere su un ceppo, sedendosi e preparandosi a una lunga attesa. Una volta che la volpe ebbe scelto Sockeye, il resto della muta perse ogni interesse. Infine gli organi sessuali del cane, congestionati dall'afflusso di sangue, si rilassarono e, sotto gli occhi di Patrick, la volpe si dileguò tra gli alberi. Lui restò seduto ancora per qualche istante, con gli occhi fissi sul punto in cui l'aveva vista svanire. Non era soltanto la bellezza spettacolare e spesso terrificante delle montagne e dei ghiacciai a incantarlo, ma momenti come quello, in cui si sentiva umile per avere assistito al coraggio di una creatura selvaggia. La volpe aveva lasciato la sicurezza dei boschi per avvicinarsi ai cani e alla slitta, che doveva portare con sé il lezzo dell'uomo, soltanto per potersi accoppiare, pensò. Puntando le mani sulle ginocchia si alzò, facendo roteare le articolazioni delle spalle per sciogliere la tensione della corsa con due slitte attraverso gli alberi. « E ora cerchiamo di tirare fuori Natû da questa foresta interminabile e di tornare sulla pista. » Fischiò, lanciando un richiamo sommesso. I cani compresero e si alzarono, stirandosi per sciogliere le zampe come se sfilassero a una mostra canina. « Line out», ordinò, e Sockeye si comportò in modo impeccabile, tenendo tesa la linea di traino centrale mentre Patrick scioglieva e riuniva le corde che aveva usato per immobilizzare la muta. «Via! » Sockeye dava l'impressione di seguire un tracciato immaginario e di tanto in tanto infilava il muso nella neve, poi lo sollevava e si tirava dietro il resto della muta. « L'incontro con la tua amichetta selvaggia ti ha fatto bene», commentò Patrick, quando sentì un coro di abbaiamenti che li salutava. L'husky si fermò vicino alla slitta di Bud, lanciando un ululato di saluto a Natû. « Sockeye, sei davvero matto », sussurrò lei. Patrick si chinò su di lei, sistemandole meglio il cappuccio in modo che coprisse i capelli. Era preoccupato, perché durante la sua assenza il viso di Natû era diventato cereo, come se tutto il sangue si fosse ritirato. Aveva gli occhi vitrei e la bocca ridotta a una linea sottile per il dolore. Dio, fa' che non abbia qualche emorragia interna, pensò. Devo raggiungere Skwentna per chiedere aiuto. Sono certo che gli amici di Trapper conosceranno qualcuno che può visitarla e fare qualcosa. « Ora ti porto via con la muta di Bud, che è più veloce », le disse, accarezzandole la guancia con tenerezza. Natû trattenne il fiato, sentendo il dolore, insidioso e minaccioso come un branco di lupi a caccia, diffondersi nella parte inferiore dell'addome. «No», rispose con voce ferma quando lo spasimo allentò la presa. « Mi sento bene. È meglio che guidi alternativamente le due mute finché non ritroveremo la pista. A quel punto potremo lasciare la mia bloccata sulla pista e correre fino a Skwentna con i cani veloci di Bud. Sarà facile trovare il mio gruppo, una volta tornati sulla pista. Se li lasci qui in mezzo agli abeti, invece, ci vorranno secoli per recuperarli. » Sockeye lanciò un altro ululato, come per dichiararsi d'accordo con lei. Patrick scosse la testa. Voleva riportare Natû al sicuro, fuori di quella foresta, con la muta più veloce. « Ti prego », lo implorò lei. «E va bene», si arrese Patrick con un sospiro, sperando che la pista fosse vicina. Sockeye continuò a sorprenderlo, scegliendo senza esitare la direzione da seguire nel folto degli alberi, Gli arbusti filtravano la luce, già fioca, e Patrick non aveva idea di dove si trovassero: doveva contare unicamente su Sockeye. D'improvviso la coda del cane si drizzò come la bandierina di uno starter. Smise di trotterellare e si avviò a passi lenti e sostenuti, con la testa alta. « Non sarà mica un'altra volpe in calore? » mormorò Patrick. Ma proprio in quel momento il cane si slanciò in avanti, tornando sulla pista; poi abbaiò una volta, in segno di trionfo, e si girò a guardare Patrick. « Non credere di darmela a bere, cane », gridò lui. « Ti eri perso, esattamente come me. Se hai trovato la pista, è stato soltanto un caso fortunato. » Ma non poteva certo essere in collera con lui. Gli sembrò che ci volesse un secolo per assicurare la muta prima di poter tornare a piedi da Natû. La sorprendente sequela di ululati gli indicò esattamente la loro posizione. Ogni volta che i cani interrompevano il loro canto, Natû ululava piano, e pochi minuti dopo il coro riprendeva a gola spiegata. « Brava », disse Patrick in tono scherzoso mentre la ragazza completava un assolo. Lei parve imbarazzata. « Era solo un modo per essere sicura che ci ritrovassi », disse per giustificarsi, con un sorriso fiacco. «Ora andiamo », aggiunse. I dolori si erano placati di nuovo, e Natû riuscì a rilassarsi un po' sulla slitta che sussultava. Procedettero lentamente in mezzo agli alberi, guidati da White-Out, che seguiva senza problemi il sentiero aperto da Sockeye. D'un tratto il silenzio fu infranto da un'assordante cacofonia di abbaiamenti e ululati. Natû si mise in ascolto, poi spiegò: «Stanno sfidando qualcosa. Sono inviti a una lotta all'ultimo sangue». Patrick fece una smorfia. « Gli husky possono essere i cani più adorabili ma anche i più ingovernabili del mondo. Dev'essere la vena di follia che hanno ereditato dai lupi. » « È questo che li rende così resistenti e ispira loro il desiderio di correre », ribatté Natû, che continuava a decifrare quei suoni. « Ma li rende anche bellicosi, di solito, con tutto e tutti », replicò Patrick. 16 SHARK e Delilah tiravano con energia, felici di correre. Finalmente Shark si era resa conto che per la durata di quella corsa avrebbe dovuto dividere la guida della muta con Delilah e aveva rinunciato ai tentativi di brutalizzarla, anche se continuava a sfidarla a un duello futuro. Delilah non si degnava di replicare, limitandosi a sbandierare la coda e ricambiare lo sguardo di Muktuk con gli occhi carichi d'amore. D'improvviso Shark smise di correre, per cominciare invece a saltellare, ringhiando e abbaiando. Lui, vedendo le linee di traino meno tese e quella centrale lenta, si precipitò in avanti, verso i cani guida. «No», ruggì, «lascia in pace i miei animali, dannato idiota dal naso grosso! » L'alce che aveva contestato il diritto di passaggio a Natû, spingendo la sua muta in mezzo alla foresta di abeti, era piantato di nuovo nel bel mezzo della pista. Non aveva trovato il suo prediletto salice dell'Alaska, e si trovava per la seconda volta tra i piedi un branco di cani. Stavolta caricò la muta senza esitare, volando sulle zampe agili. Muktuk sapeva quali danni poteva causare uno di quegli zoccoli, se avesse colpito i suoi husky. Shark sfidò l'alce a dare battaglia, lanciando spruzzi di saliva mentre lottava per liberarsi dall'imbragatura. Finalmente aveva trovato un avversario degno di lei. Muktuk le corse davanti per bloccarle la visuale e Shark, infuriata nel vedersi sfuggire l'alce, gli affondò i denti nel polpaccio. Lo sparo secco di una Magnum 44 le impose un silenzio stupito. L'alce avanzò ancora di alcuni passi, al rallentatore, poi si accasciò sulla neve con un tonfo improvviso, come il crollo di un edificio minato dagli artificieri. Muktuk si avvicinò al gigantesco ruminante, caduto con il collo contorto in modo tale che le corna si erano conficcate nella neve. Osservò la chiazza rossa che si allargava: gli occhi rivolti in alto erano spenti e cominciavano a coprirsi di un velo opaco che li faceva somigliare a una porcellana incrinata. « Ben ti sta », gli disse. « Questo ti insegnerà a non infastidire i miei cani. » L'odore del sangue e dell'alce eccitò Shark ancora di più della rara opportunità di mordere Muktuk, inducendola a mollare la presa sul suo polpaccio e a tendere l'imbragatura per raggiungere la carcassa dell'animale. L'uomo, ignorando il dolore, la costrinse a girare intorno all'animale morto, tenendola a distanza per evitare che gli assestasse un'altra zannata. Poi riprese la corsa a fianco dei due cani leader finché la muta e la slitta non ebbero superato quell'invitante montagna di carne. «Più tardi tornerò a prendermi quell'alce», borbottò. «Non mi dispiace avere una riserva in più per l'inverno. » Corse ancora per un tratto in testa alla muta, godendo dell'esercizio fisico. Shark lo guardò scoprendo i denti e Delilah lanciò un'occhiata al compagno. Era felice di dividere la guida della muta con lui, anche se sapeva bene che il cane dominante era sempre lei. «Alt! » ruggì Muktuk, asciugandosi infine la fronte con il dorso del guanto. Respirava profondamente, circondato da un forte odore di aglio, che secondo lui era una panacea per tutti i mali. I residenti di Skwentna erano costretti ad ammettere che Muktuk Peters non si ammalava mai, anche se qualcuno dubitava che questo fosse dovuto all'abbondante dose di aglio che consumava. D'altronde lo dava da mangiare anche ai suoi cani, e nessuno poteva mettere in dubbio che fossero i più sani e i più forti della regione. «Quelle dannate matricole si saranno anche perse», mormorò lui quando infine avvistò Sockeye e la muta di Natû saldamente bloccati di fianco alla pista, « ma i cani sono sani e salvi. » Dopo aver abbassato il freno della slitta e conficcato l'ancora nella neve, s'incamminò a fianco della muta di Natû, valutandone gli animali con occhio rapido ed esperto. «Che belle bestie. Buoni cani dei villaggi, forti e resistenti, e parecchi lupi. Più qualche husky d'allevamento di quelli costosi, probabilmente pagati dalla BP», commentò. « È un peccato sprecare questa muta per una matricola, anche se la figlia di Trapper non si può certo definire tale.» Tornò verso i suoi cani, che tendevano i finimenti per raggiungere Sockeye. «Silenzio! » urlò. Uno dei grossi wheel dog, le bestie più forti che sopportavano la maggior parte del peso della slitta, un piantagrane nero dagli occhi accesi, sfidò la sua autorità continuando ad abbaiare in tono di minaccia. Muovendosi con leggerezza e rapidità insospettabili in un uomo della sua taglia, Muktuk lo raggiunse e lo sollevò di peso, finché i loro occhi non si trovarono alla stessa altezza. Dapprima gli occhi del cane, uno azzurro e l'altro marrone, sostennero il suo sguardo, poi si abbassarono, e lui lo lasciò ricadere a terra. Ora tutto era tranquillo. Muktuk raggiunse faticosamente il punto in cui dalla foresta sbucavano le tracce di una slitta, e di lì si voltò a guardare le due mute ferme ai lati della pista. I cani erano tutti seduti in silenzio sulla neve, con gli occhi fissi su di lui. Soltanto Shark, la leader ricca di esperienza, mostrava ancora i denti, mentre gli altri sembravano pieni di comprensione e rispetto per la sua forza. Muktuk salì sul ciglio della pista. Camminava lentamente, spostandosi da una traccia all'altra per seguire le scie della slitta, come se si orientasse a tentoni in una bufera di neve. A intervalli di qualche minuto si fermava ad ascoltare, ma sapeva bene che, quando gli husky correvano, si sentiva soltanto il fruscio dei pattini della slitta; quello che sperava di udire nel bosco era lo schianto della vegetazione e dei rami urtati nella corsa. Ecco. Si fermò, riparandosi dietro il tronco di un albero. Il rumore che sentiva poteva essere prodotto da un alce in cerca di cibo nella neve. Ora si avvicinava, e Muktuk chiuse gli occhi. C'era qualcosa che sfrecciava attraverso gli alberi, un animale piccolo e basso di statura. Non era certo un alce, bensì un husky. «Natû! » gridò. La sua voce si ripercosse sui rami nudi, aleggiando nella foresta. « Questo può essere soltanto Muktuk Peters di Skwentna », disse la ragazza. « Devono averlo mandato alla nostra ricerca. » La prima reazione di Patrick fu un moto di stizza. Erano così vicini alla pista! Lui aveva ritrovato Natû e guidato le due mute attraverso la boscaglia, e ora la leggenda avrebbe accreditato il merito del salvataggio a Muktuk. Soltanto dopo, si rese conto che il gigantesco musher poteva condurli direttamente dagli Owens e procurare l'aiuto necessario; in questo modo lui non avrebbe dovuto angustiarsi per trovare la strada giusta nel dedalo di piste che entravano e uscivano da Skwentna. Appena White-Out si avvicinò, Muktuk uscì dal suo riparo dietro l'albero. « Natû, stai bene? » domandò in tono burbero, perché gli riusciva difficile esprimere ansia o simpatia. Lei assentì, e Patrick fece segno che dovevano proseguire. « Te la sei cavata bene », gli disse Muktuk, affiancandosi a lui dietro la slitta. «Che cos'ha?» domandò, rallentando la corsa per restare al passo. « Non lo so. Potrebbe avere la milza spappolata, oppure qualche altra lesione interna. L'ho tenuta d'occhio, e vedo che ha i crampi. Penso che abbia ragione lei, dev'essere l'addome. » « Al villaggio c'è Kiluk che fa le veci del medico. Lei riuscirà a capirci qualcosa. Rimetteremo in sesto Natû. Se è figlia di Trapper, dev'essere un tipo tosto, non preoccuparti.» Patrick annuì, concentrandosi sul compito di mantenere la slitta più stabile che poteva. Appena White-Out si avvicinò alla pista, la muta di Sockeye lo accolse con la gioia frenetica che di solito era riservata alla partenza dell'Iditarod. « I cani sono pazzi. Un momento si salutano così, e un istante dopo cercano di farsi a pezzi. Dannati lupi », brontolò Muktuk. «Ricordati una cosa: devi fidarti di un solo cane, il leader della muta. Lui è la tua vita. » Patrick assentì di nuovo. « Sicuro. » « Io, per esempio, ho una femmina piccola e maligna », continuò Muktuk. «Ha i denti affilati come uno squalo, e non si fa scrupolo di usarli, anche con me. La detesto, ma è capace d'intuire la pista sotto un metro di neve, di fiutare i trabocchetti che si aprono nel ghiaccio prima di raggiungerli. Non ha mai fatto finire i miei cani nell'acqua. » Si schiarì la gola, sputando su un cespuglio carico di neve un grumo di catarro che rimase sospeso sui rami per un attimo, come una lumaca, prima di cadere al suolo. Natû distolse lo sguardo, ritirando la testa nel cappuccio. La pelliccia di ghiottone le sfiorò la guancia, riportandole alla memoria la corsa in slitta fino alla capanna, dopo il ricevimento di nozze al Captain Cook Hotel. Le sembrava che fosse passato così tanto tempo! Una lacrima le corse sul viso, e lei la asciugò prima che si ghiacciasse sulla pelle. Alle sue spalle sentiva un mormorio basso di voci maschili. « Oggi la sto facendo correre insieme con Delilah, che è tutto un altro tipo », spiegava Muktuk. « Spero che Shark possa insegnare a Delilah i segreti della pista. Quanto agli altri, quella sgualdrinella li conosce già tutti. » Non farti sorprendere da Muktuk mentre piangi, si ammonì Natû. Tu sei un'inupiat, ricordalo. Discendi da un popolo che vive sulla massa continentale più vicina al Polo Nord, a meno di essere un orso polare che si aggira sul pack. « Tutto a posto, Natû? » La voce di Patrick interruppe le sue riflessioni. Lei deglutì, cercando di rendere salda la voce. « Certo, tutto bene. » « È una ragazza fantastica », commentò Patrick. Muktuk assentì. Per quanto lo riguardava, preferiva vivere senza gli impicci causati dalle donne. Il bagaglio e le noie che portavano con sé non valevano i brevi momenti di piacere che la loro compagnia poteva offrire. Sputò di nuovo, ma stavolta il muco viscido fu schiacciato dai pattini della slitta e Natû non dovette soffocare un conato di vomito a quella vista. Stava per ringraziare Oline di avere dato ascolto alle sue preghiere, fermando il dolore, quando ebbe l'impressione che il suo ventre stesse per squarciarsi, mentre la slitta sobbalzava, ricadendo dal ciglio sul centro della pista. Non riuscì a trattenere un gemito, premendosi le mani sull'addome. Patrick affidò la slitta a Muktuk per correre verso White-Out, in testa alla muta, e lo tenne fermo mentre l'altro guidava la slitta sulla pista. «Alt! » gridò Muktuk, abbassando il freno e gettando l'ancora della slitta prima di avvicinarsi a Natû. Nella penombra della foresta non l'aveva guardata bene in faccia, ma ora che si trovavano alla luce, lesse nei suoi occhi il dolore. « Patrick », gridò, « segui la mia muta e andiamo. » Il ragazzo, captando la nota di allarme nella sua voce, lasciò White-Out, allentò i freni e sfilò dalla neve l'ancora per seguire subito l'altra slitta. La pista sulla quale si trovavano era molto frequentata, ma Muktuk ignorò ogni biforcazione, puntando direttamente su Skwentna. «Alt! » La muta di Muktuk si fermò di colpo. Patrick non riusciva a capire quale fosse il motivo della sosta, ma diede comunque l'ordine di fermarsi. «Togliete di mezzo quei maledetti arnesi. Chiudeteli al loro posto, nella stalla! » Patrick fissò sbalordito Muktuk. Il sobrio musher si era tramutato di colpo in un pazzo scatenato, che pestava i piedi nella neve e vibrava pugni al cielo, squarciando il silenzio con il suo linguaggio colorito. Soltanto Shark, una delle due femmine che guidavano la sua muta, pareva capire e condividere quella collera, scoprendo i denti e unendosi agli insulti con il linguaggio dei cani, minacciando di fare a pezzi i gatti della neve e i loro occupanti. Le due mute di cani si fermarono sulla neve, accovacciandosi, in apparenza stupite, ma pronte a godersi lo spettacolo. D'improvviso, oltre la sommità del pendio, comparve la ragione dell'ira di Muktuk, che aveva udito i gatti della neve molto prima di Patrick. La loro vista parve addirittura moltiplicare la sua rabbia: i tre uomini a bordo dei veicoli non potevano sentire quello che diceva, ma le sue intenzioni erano evidenti. Il più anziano dei tre, Herbie Owens, scese dal veicolo, chinandosi subito dopo per farne tacere il motore, poi si avvicinò alle due mute. « Muktuk », disse in tono pacato e conciliante. « Ho portato con me questi stupidi arnesi soltanto per poter essere libero di riportare indietro una delle mute. » Muktuk si calmò immediatamente. Aveva simpatia per Herbie Owens, del quale rispettava la maestria di artigiano; un uomo che sapeva costruire slitte da corsa era una persona con la quale poteva intendersi. « Dov'è l'altra muta? » chiese Herbie, dirigendosi verso il punto in cui era rimasta Natû, chiusa nel sacco della slitta. «Tieni duro», la incoraggiò. «Kiluk ti aspetta. Andrà tutto bene. » « Più indietro, vicino alla svolta per Duck Lake », rispose intanto Muktuk, raddolcito dal fatto che la presenza delle macchine da lui detestate era giustificata. « Tu puoi proseguire con Natû. Io farò prima a trovare i cani con il gatto della neve che a piedi. » Muktuk si limitò ad assentire. «Via! » esclamò. Shark assestò un ultimo morso al cane dietro di lei, poi cominciò a tirare la slitta. Herbie attese che le mute fossero fuori della sua visuale prima di tornare verso i gatti della neve. I due giovani erano ancora seduti a bordo di uno dei due veicoli, rannicchiati come una coppia di pernici dell'Artico durante l'inverno. Il motore era rimasto in folle, ed erano pronti a fare dietrofront per tornare a Skwentna, se Herbie non fosse riuscito a rabbonire Muktuk. « Uno di voi può venire con me a cercare i cani. Io riporterò indietro la muta e tu prenderai il gatto della neve. Oh, un consiglio: non cercate di superare Muktuk. Lasciate che i cani arrivino al villaggio per primi. » Il giovane che aveva deciso di andare con lui in cerca di Sockeye e della muta di Natû salutò con un cenno l'amico, mentre saliva a bordo del gatto della neve di Herbie. « Aspettami. Torneremo a casa insieme. » « L'unione fa la forza? » lo schernì con garbo Herbie. « È una buona idea. Di queste macchine non ci si può fidare: non è saggio andarsene in giro da soli. » I ragazzi sospirarono. Stavano forse per subire un'altra noiosa predica sui rischi di morire assiderati durante una tormenta di neve solo perché poteva capitare che quei mezzi restassero a secco di carburante o accusassero un guasto meccanico, lasciando il conducente sperduto nel bel mezzo del nulla? Dovevano sentirsi ripetere per l'ennesima volta che, a differenza dei cani, le macchine sono gelide e immangiabili, quindi inadatte per un uomo che dipenda da loro per la sua sopravvivenza? «E poi», aggiunse Herbie, «potresti incontrare Muktuk, e non ci sarò io a blandirlo. Quando siamo arrivati qui, aveva appena cominciato a scaldarsi. » I sorrisi annoiati riservati dai giovani alle prediche dei vecchi svanirono. Nel giro di pochi minuti, i due gatti della neve erano pronti a partire verso Duck Lake e la muta di Natû. 17 ANNA spalancò la porta del suo rifugio, guardandosi attorno come se si aspettasse di vedere Scott. Invece fu accolta soltanto dall'odore stantio delle ceneri spente e dei tizzoni anneriti nel caminetto gelido. Si diresse verso la cesta che conteneva la legna spaccata e, soffocando un singhiozzo, la gettò nel focolare. Si levò una nube di cenere grigia che l'avvolse, rischiando di soffocarla. Sapeva che avrebbe dovuto pulire la grata prima di accendere di nuovo il fuoco. Tossì e starnutì, poi si sedette sui talloni, lasciando che le lacrime rigassero il volto coperto di cenere. Quando si asciugò gli occhi umidi e le guance con le nocche delle dita, si ritrovò le mani tatuate come per un rito arcaico di lutto. «Oh, Scott», mormorò tra i singhiozzi, «che cosa ho fatto? E dire che avevamo tutto... » Alla fine, stanca di piangere, si rifugiò nel bagno, fissando nello specchio gli occhi orlati di rosso e le guance striate di lacrime e di cenere. Tenne il viso immerso nel lavandino pieno di acqua fredda finché non ebbe l'impressione di annegare. Poi cercò alla cieca una salvietta. Si girò di scatto. «Scott», chiamò a gran voce, ma senza ottenere risposta. Eppure lui era nella stanza. Poteva sentire il suo odore, l'aroma del suo dopobarba. Si asciugò in fretta gli occhi. Ma certo, Scott era lì! Non poteva non riconoscere il profumo del suo corpo. Tremando, Anna guardò la salvietta che aveva usato per asciugarsi, accorgendosi che si trattava della T-shirt di Scott. All'esterno si udì il clacson di una macchina. Stringendo al viso la maglietta umida, Anna andò alla porta. Se è Ted, pensò attraversando il soggiorno, chiederò il divorzio. Non intendo lasciarmi toccare di nuovo da lui. Socchiuse appena la porta. « Claire », esclamò sorpresa. « Che cosa ci fai, qui? » « Dobbiamo parlare. Posso entrare? » « Certo. » Anna aprì la porta e l'amica arricciò il naso nel sentire l'odore di stantio. « Accendo subito il caminetto. Per favore, vuoi mettere sul fuoco l'acqua per il caffè? » disse Anna, dandosi da fare per pulire la grata e risistemare la legna. Ben presto le due donne si scaldarono, mentre le loro dita assorbivano il calore delle tazze di porcellana piene di caffè fumante. «E ora dimmi, Claire, che cosa c'è di tanto importante per farti venire fin qui? » « Altre voci, Anna.» « A che proposito? » «Patrick e Natû. » «Patrick? Ma Natû è sposata con Bud. Non si saranno...? » « No. Il fatto è che Natû voleva correre fino a Rohn con la muta dell'Iditarod, per farle provare la pista. Come sai, Bud non può ancora correre, perché aspetta il consenso del medico. Così Patrick si è offerto di condurre lui la sua muta. In quel modo, Natû non era sola e i cani di Bud potevano correre. » « E? » « Ieri è giunta voce a Wasilla che i due non sono arrivati a Skwentna. Gli Owens stanno organizzando una spedizione di ricerca. » « Ah, sì? » Anna bevve un sorso di caffè, fissando l'amica al di sopra dell'orlo della tazza. « Inoltre si dice che Trapper sia il solo che ha parlato con Kiluk e Herbie Owens. Secondo me è preoccupato per quello che Bud e Scott possono tentare di fare, se vengono informati del fatto che Patrick e Natû sono in difficoltà. » Anna sbatté la tazza sul tavolino basso, facendo schizzare i fondi del caffè su un manuale di volo che aveva posato appena entrata nella stanza. «Devo andare da Scott. Non fa che parlare di Patrick! Idolatra il fratello. » « Anna », riprese Claire, « ricorda che sono soltanto voci. Potrebbe rivelarsi tutto un equivoco. Anzi, in questo stesso istante Patrick e Natû potrebbero essere a pranzo con Kiluk e Herbie. » « Ecco perché devo andare a parlare con Trapper e vedere Scott », esclamò la donna, balzando in piedi e mettendosi a tracolla una borsa. « Se solo qui avessi un telefono, la vita sarebbe molto più semplice», l'ammonì Claire. «Già, e sarebbe più facile per tutti raggiungermi. No, grazie. » Arrivata alla porta, Anna si voltò. « Sei stata un tesoro a venire fin qui per darmi questa notizia », disse all'amica. Claire le rivolse un sorriso malinconico, tormentando l'estremità della folta treccia striata di ciocche grigie. « Si dice che in Africa i messaggi vengano trasmessi dal rullo dei tamburi. Q u i ho spesso l'impressione che le voci siano portate, e probabilmente alterate, dagli sciamani che se ne vanno in giro di notte, volando. » «Comunque sia, o con il rullo dei tamburi, o con il volo notturno degli sciamani, è certo che le voci corrono », ammise Anna. « Oh, a proposito », riprese Claire, « c'è ancora una cosa. Ted ha aumentato la somma destinata a sponsorizzare l'Iditarod, e i Damas sono stati inseriti definitivamente nel programma. » Il viso di Anna si rannuvolò. Per un attimo Claire si pentì di aver sollevato l'argomento di Ted Dawson. «Abbiamo visto tutti la vostra foto sul giornale, e sappiamo che sei stata tu a convincerlo a cambiare idea. Grazie. » Anna si sentì assalire dalla nausea al pensiero delle mani carnose di Ted che esploravano il suo corpo, ma s'impose di sorridere. « Non c'è di che. » Le due donne si separarono, e Anna si affrettò a uscire. Aveva bisogno di respirare aria pura per soffocare la nausea provocata dalle notizie di Claire. Intanto l'amica controllò che il fuoco fosse spento prima di uscire. « Grazie. » Le due donne si abbracciarono per un lungo momento. « Buona fortuna. » Anna alzò la mano in segno di addio, prima di percorrere a marcia indietro il sentiero segnato dai solchi delle ruote. I tre uomini nella capanna di tronchi erano immersi in una tristezza profonda e opprimente come un cumulo di neve. Scott era rimasto per ore davanti alla finestra, con le mani sprofondate nelle tasche, fissando il monte Denali senza vederlo. Oscillava avanti e indietro sui talloni, con la regolarità irritante di un metronomo, al punto che Bud provava l'impulso di scrollarlo per indurlo a parlare. Trapper era sordo a ogni domanda. Aveva sistemato la poltrona a metà strada tra il telefono e la porta di casa. Di tanto in tanto lanciava un'occhiata a Scott, apriva la bocca come per parlare, poi la richiudeva e tornava a carezzarsi i baffi e pettinarsi la barba con le dita. Bud si spostò per vedere l'orologio sulla parete. Era un regalo di nozze, ma lui e Natû detestavano gli orologi, quindi lo avevano sistemato in un angolino non troppo in vista, tra due armadietti della cucina. «È ora di andare a spalare merda di cane», annunciò, tentando di assumere un tono entusiastico. «Vieni anche tu, Scott? » Scott continuò a dondolarsi sui talloni, ignorando la domanda. « Bud ha bisogno di aiuto », disse brusco Trapper. « Ha subito un brutto colpo con il trattamento antirabbico, e voglio che torni a lavorare e a correre un po' alla volta. » Scott si girò a guardarlo come ridestandosi da un incubo. « Certo », rispose. « Ero distratto. Chiedo scusa, Trapper. » «Va tutto bene, ragazzo. Lo capisco. » Trapper guardò Scott uscire dalla stanza come un sonnambulo. La vita è dura quando si è giovani e idealisti, pensò. Ma imparerà a incassare e a evitare i colpi bassi. « Su con la vita. La gomma non poteva essere così cattiva », disse Bud con un sorriso, lanciando un badile a Scott, che lo prese al volo. « Non è la gomma. » « Hai voglia di parlarne? » chiese Bud, facendo forza sul manico della pala. Scott accarezzò le orecchie ritte di un husky che stava in piedi sul box. «Non c'è niente da dire, ma grazie lo stesso. » Scott provava simpatia per Bud, ma non era pronto a dividere con lui il suo inferno privato. Forse quando tornerà Patrick, pensò. Anche se per lui la cura a tutti i mali è trovarmi una ragazza calda a letto. Le donne sono l'unica cosa di cui posso fare a meno nella vita. Suo malgrado, gli tornò alla mente l'immagine della mano di Ted che copriva il seno di Anna, fino a riempire tutto il suo campo visivo. «Ehi», gli gridò Bud. «Ricordati che l'ultima corsa all'oro in Alaska si è svolta su un affluente del fiume Iditarod. È stato nel lontano 1908, o giù di lì. Noi dobbiamo soltanto rimuovere lo strato superficiale di sporco. » Ma Scott sfogava nel canile la sua rabbia e la sua frustrazione, facendo schizzare tutt'intorno neve e terriccio mentre spalava escrementi di cane sulla slitta. Bud rimase a guardare per un po', quindi scosse la testa e riprese il suo lavoro con gesti calmi e regolari. 18 Natû serrò i denti e chiuse gli occhi. Una fitta di dolore l'assalì, scuotendola, prima di placarsi. Avrebbe voluto urlare, gridare a Patrick di fermare quella slitta che sobbalzava di continuo. «Sono un'inupiat», sussurrò. «Oline, tu hai conosciuto il dolore. Questo non è niente. Io non devo aspettare che Nanuq affondi i denti nelle mie carni dilaniandole per nutrirsi. Tu eri vecchia e sapevi che cosa sarebbe accaduto. Lasciami condividere il tuo coraggio. » Ansimò, assalita da una fitta acuta e lancinante, come se la lama ricurva di un ulu, il coltello tradizionale degli eschimesi, affondasse nella parete del suo ventre. Muktuk sentì White-Out diminuire il distacco dalla sua muta. Bisogna ammettere che quel trivellatore, il marito di Natû, ha una muta veloce, pensò Muktuk. Quando avrà qualche Iditarod al suo attivo, sarà un tipo da tenere d'occhio. Finalmente apparve all'orizzonte il villaggio di Skwentna. Il tonfo sordo di un generatore pareva produrre un frastuono osceno per le orecchie di Patrick, quando guardò verso il basso, dove il fiume si snodava ai loro piedi in anse ghiacciate color argento. Stava cercando di memorizzare il più possibile il percorso, pensando alla gara, ma l'itinerario si confondeva già nella sua mente. « Hau! » Obbedendo all'ordine, la muta di Muktuk girò a sinistra, fermandosi davanti alla casa degli Owens. Kiluk uscì di casa a precipizio per raggiungere la slitta e aprì la lampo del sacco, parlando con Natû nella loro lingua. « Presto », ordinò poi a Patrick e Muktuk, « sollevatela senza scossoni e sistematela sul letto della mia stanza. » Le spalle di Natû furono scosse dai singhiozzi, mentre gli uomini uscivano e chiudevano la porta. Kiluk tenne stretta a sé Natû, che si rannicchiò contro il suo petto caldo e morbido. La donna continuò a cullarla dolcemente fin quando non si calmò. La stanza era calda e la ragazza si sentiva al sicuro. « Ora vediamo che cos'hai », disse Kiluk Owens, aprendo la chiusura lampo della tuta che Natû indossava per la corsa, poi le fece scorrere con abilità le mani sulle costole. «Probabilmente sono contusioni. Non sento nessuna frattura », annunciò. « No, il problema è un altro. Sapevi di essere incinta? » domandò mentre le sfilava i pantaloni e osservava il sangue che striava le cosce di Natû. Scosse la testa, vedendo dei grumi rosso scuro, e tastò le mutandine macchiate di rosso prima di gettarle nell'angolo della stanza. Natû la guardò, poi annuì. « Lo pensavo », rispose con un filo di voce. « Ma desideravo tanto partecipare all'Iditarod. » « Quella corsa folle cambia tutti quelli che gareggiano », esclamò Kiluk. «Non sono più gli stessi. Dopo aver sfidato la morte a faccia a faccia e aver visto paesaggi sognati soltanto dagli angeli, non fanno che desiderare di ripetere quell'esperienza. Alcuni lo fanno, altri conservano soltanto dei ricordi che li rendono infelici per tutta la vita. » Fece schioccare la lingua, scostandosi da Natû. «A quanto pare, correrai, ma da sola. » « No, no, no! » « Non puoi caricare tutti i tuoi desideri su una sola slitta, Natû. » Quelle furono le ultime parole che lei rammentò, in seguito. Le fitte di dolore che aveva sentito sulla slitta erano state soltanto un primo assaggio. Kiluk non lasciò entrare nessuno nella stanza. Natû non gridò quando la placenta si staccò dall'utero, e non si lasciò sfuggire un gemito neppure quando il feto fu espulso dal suo corpo, ancora rannicchiato nel sacco delle acque. Kiluk lo esaminò, stringendosi nelle spalle. Era una femminuccia. Massaggiando con le mani dure il ventre di Natû, con movimenti decisi verso il basso, per facilitare l'espulsione della placenta, rammentò le storie che le aveva narrato la nonna sulle antiche tribù inupiat, in particolare i netsilik che uccidevano le bambine appena nate, perché l'allattamento era di ostacolo a una nuova gravidanza e alla speranza di procreare un maschio, un cacciatore che potesse sfamare la f amiglia durante i terribili inverni artici. «Ecco fatto», brontolò Kiluk f acendo scivolare la placenta in una bacinella di plastica gialla che coprì subito e nascose sotto il letto. In seguito avrebbe fatto ciò che si doveva con i resti del feto. Terse il viso di Natû dal sudore, asciugandole il sangue dal labbro inferiore, dove si era morsa per impedirsi di gridare forte. « Ti sentirai molto meglio, ora che è finito tutto », le sussurrò con voce priva di emozione. «Ma il bambino, il bambino di Bud», sussurrò Natû. « Come faccio a dirglielo, Kiluk? » «Non devi. » Natû la fissò inorridita. «Non posso mentire su suo figlio. » «Sospettava che tu fossi incinta?» « No. » «Lo immaginava qualcun altro? Trapper?» « No, sono certa di no. » «Allora, mia piccola Natû, stammi bene a sentire», le disse Kiluk staccando un foglietto di carta igienica e incollando o sul labbro di Natû per fermare il sangue. « Mantieni il silenzio su questo, come hai fatto durante le doglie. » « Ma era un bambino! » protestò Natû. «N O , se non poteva respirare da sé dopo il trauma della nascita», ribattè con fermezza Kiluk. Natû chiuse gli occhi, e la donna la lasciò distesa in silenzio per qualche minuto, prima di riprendere il discorso. « Pensaci. Credi che dirlo a Bud servirà ad aiutarlo? Gli farai del male, e forse andrà in collera. Sono pochi gli uomini che sanno affrontare le cattive notizie. Di solito rifuggono dai problemi, ed è per questo che noi donne dobbiamo dire loro soltanto quello che sono in grado di assorbire e di fronteggiare. Sii forte. Devi esserlo, per tutti e due. » Natû si pizzicò la sella del naso con tanta forza da farsi lacrimare gli occhi. Sarebbe stata forte, non avrebbe pianto. Era stata colpa sua se aveva perso il bambino. Kiluk aveva ragione: per quale motivo Bud avrebbe dovuto soffrire? A far pendere decisamente la bilancia da quella parte fu il pensiero che lui potesse odiarla. «D'accordo», disse infine. «Ma quegli uomini che sono di là? » Accennò con la mano al soggiorno. « Loro non sanno niente. Hai subito una grave contusione alle costole e al ventre, e hai bisogno di qualche settimana di riposo », replicò Kiluk, riordinando la stanza e aprendo la finestra per dissipare l'odore dolciastro del sangue. « Ma devo arrivare a Rohn. » « No, a meno che tu non voglia che io racconti a Trapper e a Bud quanto sei stata stupida», esclamò Kiluk con asprezza. « Sei molto debole, e forse dovrai fare una trasfusione, o prendere delle pastiglie di ferro. Ho un cugino che lavora come medico nel nuovo centro medico di Tudor Road. È a soli venti minuti d'auto da Chugiak. » Natû scosse la testa e Kiluk si accigliò. «Sii ragionevole. Se vuoi partecipare all'Iditarod, devi rimetterti in forze. Fa' un controllo. Dopo un aborto spontaneo come questo può sopravvenire la setticemia. Io penso che sia stato espulso tutto, ma posso sbagliarmi. Non costa niente, e nessuno lo saprà. » Kiluk fece una pausa. « Certo, se non fai sul serio a proposito della corsa, allora non c'è bisogno che tu vada a farti visitare. Resta pure a casa e guarda alla televisione come gli altri vivono l'esperienza della pista. » Kiluk sorrise dentro di sé nel vedere l'espressione di Natû cambiare. Aveva funzionato. Natû sarebbe andata da suo cugino a fare un check-up. È una ragazza forte, in grado di sopportare un aborto nei primi mesi di gravidanza, decise Kiluk, preparandosi ad affrontare gli uomini. « È ora di pranzo », esclamò, entrando con aria energica nella stanza principale della casa. « E Natû? » domandarono in coro Patrick e Herbie. «Sta bene. Ha delle brutte contusioni alle costole e al ventre, ma niente di serio, per quanto mi risulta. Un po' di riposo, molta carne rossa, e sarà di nuovo in grado di smarrirsi in una foresta di abeti. » Patrick scostò dal tavolo una sedia di legno, lasciandovi- si cadere con sollievo. Non si era reso conto di quanto fosse preoccupato per Natû finché Kiluk non aveva annunciato che stava bene. «Sarà bene avvertire Trapper», esordì Herbie. Anche stavolta Kiluk tenne per sé la soddisfazione, attraversando la stanza. Prima che potesse sollevare il ricevitore, il telefono squillò, facendola trasalire. « Trapper», dissero in coro gli uomini. « È probabile », rispose Kiluk mentre si accingeva a rispondere. 19 TRAPPER ascoltò con estrema attenzione la storia che Kiluk raccontava. « No, Muktuk dice che avevano quasi raggiunto la pista quando li ha trovati. Sì, Natû sta bene, a parte le contusioni, ovvio. È un po' scossa, ma ricordati che è sempre un'inupiat. » Trapper sentì la porta aprirsi, ma non si girò. Anna rimase ferma sulla soglia, incerta se entrare o no. «Chiudete! » ordinò brusco Trapper, sentendosi investire in faccia dall'aria fredda. La donna obbedì in silenzio. « È tutto a posto, ragazzi. Li hanno trovati », disse Trapper, credendo di parlare con Bud e Scott. « Kiluk dice che Natû dovrebbe tornare indietro in aereo. Ha una contusione alle costole, perché è caduta dalla slitta o roba del genere. » Trapper era sorpreso che Kiluk non avesse accennato alla gravidanza. Probabilmente vedevo indizi che non esistevano, si disse. Bud avrebbe dovuto saperlo, e invece non ha detto niente. « Patrick può riportare indietro una delle due mute, ma ci serve qualcuno per quella di Natû», aggiunse. «Posso accompagnare Scott a Skwentna con l'aereo, in modo che possa guidare la slitta, e riportare indietro Natû. Ho qualche giorno libero. » Trapper si girò di scatto nel sentire quell'inattesa voce femminile. Anna era ancora in piedi, ma ora la porta alle sue spalle era chiusa. Gli occhi di Trapper parvero svanire nelle pieghe di pelle che circondavano gli occhi, mentre osservava quel volto che aveva visto pochi giorni prima sul foglio di giornale serrato nella mano tremante di Scott. Scott e Bud risalirono faticosamente il pendio fino alla spianata dov'erano disposti i canili. « Un altro carico dovrebbe bastare», disse Bud, trascinando la slitta vuota. Quando raggiunsero la sommità, Scott si bloccò di colpo come se avesse di fronte un alce in amore. Vicino alla casa era parcheggiata una Mercedes rosso fuoco, chiazzata di fango dopo la corsa nella melma. L'ira lottò contro l'ondata improvvisa di eccitazione, lasciandolo in preda a una sensazione di nausea. « Anna », sussurrò. Senza accorgersi che Scott si era fermato, Bud continuò a chiacchierare, raggiungendo il cumulo di escrementi che attendeva di essere scaricato nel pozzo nero ai piedi della collina. «Tu va' dentro a riposare, Bud. Ci penso io», disse Scott, attraversando il terreno a lunghe falcate per affiancarglisi. « Hai sentito Trapper? Non devi esagerare. » Il ragazzo diede una spinta amichevole a Bud, indirizzandolo verso la baracca, e cominciò a riempire la slitta, ansioso di allontanarsi dalla vista della capanna e dalla vicinanza di Anna Mclnnes Dawson. Bud si strinse nelle spalle. Era già qualche giorno che Scott si comportava in modo strano, ma se voleva completare lui il lavoro e continuare a sguazzare nella neve sciolta e nel fango ridotto in poltiglia dai cani che giravano intorno al paletto, lui era più che disposto a lasciarlo fare, per rientrare a godersi una tazza di caffè in compagnia di Trapper. Voleva trovarlo da solo, per chiedergli se Natû e Patrick erano a Skwentna. Era ansioso di sapere come correvano i suoi cani. Sarebbe stato bello sentire come si comportava White-Out. Gli sembrava strano che Trapper evitasse di parlare della corsa fino a Rohn. Immagino che sia normale per un padre preoccuparsi della figlia, pensò tuttavia Bud, che salì i gradini del portico senza notare l'auto sportiva rossa. Il suono di una voce di donna lo indusse a fermarsi di colpo fuori della porta. « Non posso parlare per lui, ma non credo che sia ancora pronto a vederla », dichiarò Trapper in tono deciso. « Oh, capisco, ma è stato tutto un terribile equivoco. Devo spiegarlo a Scott », lo pregò Anna. « Posso andare in aereo a Skwentna oggi stesso, e riportare a casa Natû. » Sentendo nominare la moglie, Bud spalancò la porta, entrando nella stanza e rischiando di travolgere la donna snella che gli dava le spalle, intenta a convincere Trapper. « Natû? Che cos'ha? Che cosa le è successo? » I suoi occhi sprizzavano lampi mentre si dirigeva verso il vecchio, apparentemente senza rendersi conto che camminando serrava e apriva i pugni. « Siediti, Bud. Natû sta bene. » Lui si rilassò leggermente. « Allora perché questa signora vuole andare a Skwentna in aereo? E chi è? » « Mi chiamo Anna Mclnnes. Faccio il pilota per l'Alaska Airlines, e spero di essere ancora una buona amica per Scott », fu pronta a rispondere. Bud la guardò per la prima volta con attenzione da quando era entrato. Lei rimase a testa alta, ricambiando l'occhiata con fermezza. Certo che Scott si è trovato una bella donna, pensò Bud. Mi domando che cosa è successo. Le tese la mano. Aveva il guanto incrostato di fango, ma Anna non ebbe esitazioni e la strinse con fermezza. « Salve. Scott ha parlato così spesso di lei e Natû che ho quasi l'impressione di conoscerla», disse lei con un sorriso. « Non posso dire altrettanto », replicò Bud. Probabilmente è lei la causa del malumore di Scott, rifletté, ammirando il modo in cui il suo viso grazioso diventava bellissimo quando sorrideva. Trapper osservò lo scambio di battute fra Anna e Bud. Nella società inupiat, probabilmente questa donna violerebbe i diritti del marito e sceglierebbe da sé a chi donarsi, anziché attendere che sia il consorte a prestarla. Ma penso che abbia un problema serio da affrontare con Scott. Indicò la porta. «Lei è venuta per parlare con Scott, signora Mclnnes. Lui è fuori, nel recinto dei cani. » « Ai piedi della collina, a scaricare i loro escrementi nel pozzo nero », spiegò Bud. Anna si limitò ad annuire, dirigendosi verso la porta. « Vado a cercarlo. La mia offerta resta valida. » Trapper si tirò la barba. Ammirava il modo in cui lei affrontava una situazione che doveva prevedere sgradevole. Bud rimase solo con Trapper, fissandolo dall'alto della sua statura. « E ora parlami di Natû e Patrick », gli disse. « Era di questo che trattavano tutte quelle telefonate tra te e Kiluk Owens? » Trapper annuì. « Siediti. » Bud ascoltò con attenzione, rivolgendogli soltanto qualche domanda. « Posso andare in aereo a Skwentna con Anna Mclnnes e riportare qui la muta di Natû», dichiarò alla fine, quando il vecchio ebbe concluso il racconto. « Ti sei ripreso in modo straordinario, ma, se corri adesso, per quest'anno non potrai partecipare come matricola all'Iditarod», gli fece notare Trapper. «E chissà se la BP ti sponsorizzerà di nuovo, il prossimo anno. Hai un'occasione d'oro, non gettarla al vento. Può andarci Scott. Ha bisogno di parlare con Patrick. È l'unico di cui possa fidarsi, al quale possa lasciar vedere il proprio dolore. » Anna inspirò a fondo l'aria fredda e umida, attraversando il recinto dei cani in cerca di Scott. La nebbia aleggiava sul terreno, oscurando le aperture dei box. Anna aveva l'impressione di vagare in un'atmosfera di sogno. Come poteva trovare Scott? Era chiaro che il recinto dei cani si trovava sulla sommità piatta di una collinetta, ma non riusciva a vedere il pendio, e non aveva idea di quale lato usassero per seppellire i rifiuti. Rifletti, le ordinò. Evidentemente è il lato più lontano possibile dalla casa. Quindi sto andando nella direzione giusta. Dove finiscono i canili deve cominciare il pendio. Proseguì, immersa nei suoi pensieri, componendo e scartando dentro di sé discorsi rivolti a Scott. All'improvviso si ritrovò a fissare il vuoto: eppure i segni dei pattini spiccavano chiaramente sul fango. « Ci siamo. Ora vediamo dov'è Scott. » Anna non si era resa conto di quanto fosse scivolosa la neve. Le slitte da carico, appesantite dagli escrementi, avevano scavato un solco profondo nel pendio fangoso della collina. Mentre si guardava attorno, cercando Scott, Anna lanciò un grido, accorgendosi di scivolare e cadere. Trovò un cespuglio al quale aggrapparsi, ma le radici cedettero sotto il suo peso, e lei atterrò battendo le reni. «Diavolo, non riesco neppure a reggermi in piedi! Che io sia dannata se intendo strisciare. Vuol dire che scenderò slittando sul didietro, come facevamo da bambini. » Anna piegò le ginocchia, accostando i talloni al fondoschiena, e si diede una spinta con le mani. Con sua grande gioia, funzionò. « Non sarà dignitoso, forse, ma ce la farò », si disse, serrando i denti. Scott era seduto, rannicchiato su se stesso vicino alla slitta di metallo vuota. Teneva la testa appoggiata sulle ginocchia e fingeva di non aver visto la Mercedes rossa. Il freddo gli penetrava nei vestiti, ora che aveva smesso di lavorare e stava fermo. Rimpiangeva di essersi tolto il parka, nella frenesia di spalare, ma non intendeva tornare nel recinto dei cani finché non avesse sentito ripartire l'auto di Anna. La signora Dawson e io non abbiamo niente da dirci, né ora né mai. Quelle parole gli echeggiavano nella mente, monotone come un mantra. Lui si aggrappava a quella frase come se fosse un'ancora di salvezza per conservare la salute mentale. Finalmente Anna arrivò in fondo al pendio, rotolando sulle ginocchia per rialzarsi, e vide lo scintillio argenteo della slitta prima ancora di vedere Scott. Avrebbe voluto chiamarlo, ma si accorse di essere rimasta senza fiato. Il cuore le martellava nelle orecchie, rintronandola. Desiderava correre, precipitarsi tra le sue braccia e sentirne la forza mentre lui la stringeva. Aveva bisogno di affondare il viso nel suo petto, di sentire i suoi baci sul collo e dimenticare l'orrore della settimana precedente. D'improvviso Scott alzò la testa, come se avvertisse la vicinanza di qualcuno. La voce di Anna s'incrinò quando tentò di parlare; aveva tante cose da dirgli. Ma gli occhi del ragazzo erano quelli di un estraneo. « La signora Dawson e io non abbiamo niente da dirci, né ora né mai », dichiarò in tono gelido. Poi afferrò l'impugnatura della slitta, trascinandola senza sforzo dietro di sé, in salita. Non si voltò neanche a guardare se Anna lo seguiva, o se era in grado di risalire la collina. Gli occhi della donna si riempirono di lacrime, mentre il labbro inferiore cominciava a tremare. « Non piangerò », si disse con fermezza, asciugandosi gli occhi. « Questa volta Ted non l'avrà vinta. Scott dovrà darmi ascolto. Come può rifiutarsi di parlare con me, se non ha neanche sentito la mia storia? Se la penserà ancora così dopo che gli avrò dato una spiegazione, lo accetterò, ma non prima. Io lo amo ! Come fa quell'idiota a non capirlo? » Anna s'incamminò su per il pendio, tentando di mettere i piedi nei gradini scavati nella neve da Scott per raggiungere il recinto dei cani. Anna sudava ed era senza fiato quando vide il primo box di legno, ma del ragazzo nessuna traccia. Il viso di Anna era irrigidito in un'espressione di fredda determinazione, mentre si dirigeva verso la capanna. Trascinava i piedi quando si avvicinò alla porta. «Vuoi essere umiliata davanti a Trapper Jack e Bud? » si disse. « Voglio Scott, e se questo significa sentirmi chiamare ancora 'signora Dawson', bene, posso accettarlo. » I tre uomini si girarono di scatto quando Anna rientrò nella stanza. Rimase immobile, alta e snella, ma con l'aria di un cucciolo di husky sfinito dopo la prima corsa di allenamento. Aveva i vestiti e il viso striati di fango, come un cacciatore in tenuta mimetica. Aveva gli occhi orlati di rosso dal pianto e dal freddo, ma la voce ferma. Ignorò Scott e Bud, rivolgendosi direttamente a Trapper. «Allora, accetta la mia offerta? Sono un buon pilota. Con me sua figlia sarà al sicuro. » Il vecchio la guardò con attenzione. Era chiaro che l'incontro con Scott non era andato bene. «Che cos'ha Natû?» chiese Scott a Trapper, continuando a ignorare Anna. Trapper alzò una mano per interrompere le spiegazioni di Bud. « Telefonerò a Bruce. Possiamo partire da Birchwood appena sarà pronto », disse risoluto Scott. «Non puoi», ribatté Anna brusca. «Bruce è a Hong Kong e non tornerà prima di quattro giorni. » Scott si voltò per la prima volta a guardarla. I suoi occhi erano spenti e induriti dall'avversione. Anna non era preparata alla possibilità che lui la odiasse e non volesse rivederla mai più: ma ora, cercando un segno dell'uomo che amava e trovando soltanto indifferenza, sentì crollare le sue difese. Voltandosi, si diresse precipitosamente verso la porta. Non intendeva piangere davanti a quei tre uomini. «Signora Mclnnes.» La voce di Trapper la trattenne quando aveva già la mano sulla maniglia. «Natû è la mia unica figlia. Le sarei grato se la riportasse qui. » « Non c'è di che. » Anna aprì la porta. «Oh, signora Mclnnes... Hanno bisogno di qualcuno che guidi la muta di Natû per riportarla qui assieme a Patrick, e Bud ha bisogno di riposo. Prenderebbe a bordo Scott? » Anna lo guardò di sopra la spalla, ignara dello spettacolo che offriva, con il didietro dei pantaloni impiastricciato di fango, sudicio come il pannolino di un neonato. « Mi troverò a Birchwood tra due ore. Chiunque voglia viaggiare con me dovrà trovarsi lì. » La porta sbatté alle sue spalle. « Trapper, posso trovare un altro pilota. Dammi soltanto un paio d'ore », pregò Scott. « Abbiamo già un pilota. Natû dev'essere visitata nel nostro nuovo ospedale. Kiluk ha già telefonato per un appuntamento. Fatti trovare a Birchwood. » Il ragazzo aveva sentito quel tono nella voce di Trapper soltanto quando lui e Patrick erano giovanissimi e avevano violato qualche regola sociale, o non avevano prestato il dovuto rispetto agli animali uccisi. « E sia », si rassegnò. Anna s'incamminò lungo la fila di apparecchi sulla pista di Birchwood, osservando ognuno degli aerei leggeri e assegnando un volto e un nome al proprietario. Alla fine si fermò vicino a un Cessna 180, battendo con la mano sulla coda a strisce bianche e arancioni. Fece il giro dell'apparecchio per compiere i controlli esterni, evitando volutamente di guardare l'entrata dell'aeroporto per vedere se arrivava Scott. Lui aveva familiarità con l'aeroporto e poteva benissimo trovarla da sé. Uno scricchiolio sulla ghiaia e lo scorcio di un paio di stivali sotto il ventre dell'apparecchio la informarono che lui era lì. Trattenne il fiato, e l'ondata familiare di eccitazione che invadeva il suo corpo ogni volta che vedeva Scott le fece fremere i nervi. Aspettò che la salutasse, ma quando vide che il silenzio si prolungava, tentò d'ignorare la sua presenza, continuando i controlli che precedevano la partenza. L'aereo oscillò quando Scott assestò un calcio allo pneumatico dalla sua parte. «Non ti preoccupare, ho già controllato le ruote e le gomme: sono a posto », gridò Anna, infilando sotto il berretto di volo una ciocca di capelli biondi. Scott non rispose; girando intorno al muso dell'apparecchio, aprì lo sportello e gettò un piccolo zaino sul sedile posteriore. «Nella stiva, prego», ordinò la donna in tono gelido. Scott sbatté lo sportello e tornò indietro per obbedirle. La linea rigida delle spalle rivelò ad Anna che era in collera. Peggio per lui, pensò. Fin quando sarò io a pilotare questo apparecchio, signor Butler, lei farà come dico io. Tirò in lungo i preparativi più che potè, ma alla fine salì a bordo. Scott la seguì da vicino, allacciandosi la cintura di sicurezza e guardando istintivamente il suo giaccone. Il vento stava rinforzando: ora la manica a vento era tesa, formando un angolo di quasi novanta gradi con il palo. I suoi occhi seguirono le dita snelle di Anna che sfioravano ogni strumento dopo il controllo. Avrebbe voluto prenderle la mano per portarsela alle labbra, ma l'immagine mentale di lei e Ted, che rifiutava di sbiadire, alimentava la sua collera. Si girò a osservare la ghiaia che schizzava via mentre l'apparecchio iniziava a rullare sulla pista. Anna accostò alla bocca il microfono, per fornire i dati sulla sua destinazione e l'ora prevista per l'arrivo. Scott distolse di proposito il viso per non guardarla, fissando invece gli alberi che diventavano sempre più piccoli a mano a mano che l'apparecchio saliva verso la quota di crociera. Il silenzio carico di collera divenne opprimente nella piccola cabina, e Anna tirò un respiro profondo. «Raggiungerò Skwentna sorvolando il percorso dell'Iditarod », annunciò. « Questa è la parte facile, ma può essere interessante studiare il terreno dall'alto. » Scott rispose con un grugnito, continuando a non guardarla. Tu soffri, pensò lei, ma sto male anch'io, Scott, e molto. Osservò il quadro dei comandi che aveva di fronte. Era umiliante vedere ignorate tutte le sue offerte di tregua. È colpa tua, disse a se stessa. Lo hai privato del suo orgoglio e ora vuole renderti la pariglia. Non può farlo fisicamente, quindi cerca di ferirti sul piano mentale. Sospirò, guardando fuori del finestrino laterale. Devi fare buon viso a cattivo gioco, pensò, ammirando lo spettacolo interminabile di laghi e fiumi che danzavano con le foreste e le colline. Scott tossì e Anna si girò a guardarlo, nella speranza che volesse rivolgerle la parola, ma lui teneva le labbra serrate; soltanto il guizzo di un muscolo sulla guancia tradiva le sue emozioni. Anna tornò a dedicarsi al suo compito, fingendo di studiare di nuovo il pannello dei comandi. Restò in silenzio come Scott finché non apparvero i fiumi Skwentna e Yentna, dal percorso tortuoso, simili a guarnizioni di lustrini abbandonate ai piedi del piccolo villaggio. «Quella davanti a noi è la catena montuosa dell'Alaska», esordì, indicando una barriera scura che bloccava l'accesso all'interno. «Durante la corsa bisogna salire a novecento metri per superarla, attraversando il Rainy Pass. A patto, naturalmente, di essere sopravvissuti alla folle corsa lungo il canyon scavato dall'Happy River. » Lanciò un'occhiata a Scott, ma lui restava immobile, fissando la catena dell'Alaska con un volto granitico. Apparve il villaggio, e Anna capì che dopo l'atterraggio non avrebbe avuto altre occasioni di restare sola con lui. Doveva indurlo a parlare. « Scott, so che sei in collera, e hai tutti i diritti di esserlo. Ma anche a me dovrebbe essere concessa la possibilità di spiegarmi. Ti amo tanto. Ascoltami, ti prego. » « Lei non ha niente da dirmi, signora Dawson », rispose lui, gelido, voltandosi di proposito a osservare la pista d'atterraggio. Anna si morse il labbro inferiore, concentrandosi sulla manovra. L'apparecchio toccò terra e vi rimase saldamente incollato. Lei lo fece rullare fino a raggiungere Patrick e Herbie, in attesa, e i due si girarono per sfuggire al vortice di sabbia e terriccio che li investì. Appena l'aereo si fermò, Scott spalancò lo sportello, saltando a terra per precipitarsi a salutare il fratello. « Cosa c'è che non va, ragazzo? Bisticci tra innamorati? Neanche un bacio di saluto per la signora in rosso? » lo stuzzicò Patrick. Poi, vedendo l'espressione degli occhi di Scott, rinunciò a insistere. Sapevo che sarebbe andata così, pensò mentre si dirigevano verso il furgone arrugginito di Kiluk e Herbie. Avevo ragione, lei non è il suo tipo. E ora lui ha voglia di prendersela con qualcuno. Tanto vale che sia io. Deve parlare, per liberarsi della tensione accumulata. Lo provocherò durante il viaggio verso casa, e mi farò raccontare che strega si è rivelata. Anna assistette all'abbraccio tra i due, e finalmente le lacrime ebbero la meglio su di lei, scorrendo sulle guance. Si chinò, fingendo di cercare qualcosa nella cartella che aveva infilato tra i due sedili della cabina di pilotaggio. Lo sportello si aprì. «Scott?» disse subito lei, alzando il viso rigato di lacrime verso l'apertura: invece era Patrick che faceva capolino nella cabina. « No, ma posso entrare ugualmente? » domandò, issandosi sul sedile senza attendere la risposta. «Mio fratello soffre le pene dell'inferno, signorina Mclnnes. L'ultima volta che l'ho visto piangere aveva cinque anni ed era caduto da un albero, fratturandosi un braccio e alcune costole. Penso che lei debba sapere che non mi piace che qualcuno usi mio fratello e gli faccia del male. Mi riferisco a lei. » Anna tirò su col naso, asciugandosi le lacrime sulla manica del giubbotto. « Non sono certo io », rispose. « Detesto me stessa, ma lui non vuole permettermi di dargli una spiegazione. Ho tentato per tutto il volo fin qui, ma non vuole neppure guardarmi. » Patrick provò una pena improvvisa per la donna che si era preparato a odiare. « Parli con me », le disse. « Io l'ascolterò. » Anna lanciò un'occhiata a Patrick. «Abbiamo tempo. Gli Owens stanno portando qui Natû con il camion di un amico, perché è nuovo e ha le sospensioni migliori del loro. Non vogliono infliggerle troppi scossoni, se possono evitarlo. » «Natû?» « Non si preoccupi », la rassicurò il ragazzo. « Kiluk dice che Natû potrà correre l'Iditarod. E ora mi spieghi come mai lei e Scott siete tanto infelici. » Posò la mano su quella di Anna, che era gelida e tremante, e quel contatto fu sufficiente a sciogliere la morsa della sofferenza e dell'orrore. Tra un singulto e l'altro, Anna gli parlò del suo disastroso matrimonio con Ted Dawson, dell'amore per Scott, del timore di averlo perduto, pregandolo d'intercedere per lei. «Non vuole parlare con me. Mi odia. Ma forse a lei darà ascolto. » Quando ebbe finito, Patrick rimase in silenzio, a testa bassa. Nonostante l'avversione iniziale per quella donna, che riteneva troppo sofisticata per Scott, credeva alla sua storia e provava compassione per lei, che lo supplicava di aiutarla a riconquistare l'amore del fratello. Sembrava completamente diversa, in jeans e giubbotto da pilota, con le guance ancora rigate di lacrime. Lo faceva pensare a Savannah, sua sorella, che correva da lui ogni volta che si sentiva ferita. Frugando in tasca, tirò fuori un foulard a scacchi verdi e arancioni che usava per tenere caldo il collo quando guidava la slitta. « Tenga, si asciughi gli occhi », le sussurrò in tono gentile. « Sono arrivati gli Owens. Non voglio che Kiluk pensi che l'ho fatta piangere io, altrimenti mi ucciderà. È una donna di ferro, e vorrei conservare la sua amicizia. » Anna gli rivolse un sorriso mesto. Patrick stava per scendere dall'apparecchio quando, d'impulso, si chinò a baciare Anna sulla guancia ancora umida. « Parlerò con il mio fratellino », le promise. « Ci aspetta una lunga corsa per tornare a Chugiak. Vedrò che cosa posso fare. » Anna tentò di ringraziarlo, invece scoppiò in singhiozzi. «Su, su, Anna. Se continua a bagnare quel foulard, non potrò usarlo per la corsa. » Anna trovò un fazzoletto di carta nella tasca dei jeans, si soffiò il naso e restituì il foulard a Patrick. Lui se lo gettò sulle spalle, affrettandosi a raggiungere il camion che Herbie Owens aveva appena parcheggiato. «Come mai Anna non viene a salutarci?» chiese Kiluk, mentre Patrick le apriva lo sportello. « Credo che abbia fretta di portare Natû in ospedale. Ha accennato anche al tempo », mentì il ragazzo. Scott alzò la testa per guardare il cielo. «A me sembra perfetto. » «È una brava ragazza, quella Anna Mclnnes», commentò Kiluk, osservando Patrick che aiutava Natû a scendere dal camion. «Sempre pronta a dare una mano. Quassù le vogliono tutti bene. » «Non vorrai riferirti alla signora Anna Dawson?» replicò Scott con asprezza. Kiluk si girò di scatto, con gli occhi scintillanti. Era in collera. Tanto Patrick quanto Herbie si preoccuparono di passare un braccio sulle spalle di Natû, in un gesto protettivo. « Ma Trapper non ti ha insegnato a non giudicare mai una persona prima di esserti messo nei suoi panni?» scattò. « Hai provato a metterti nei panni di Anna? » Patrick soffocò un sorriso al pensiero di Scott inguainato nell'abito rosso che la ragazza aveva indossato al matrimonio, ma si affettò ad assumere un'espressione seria per mascherare quel passo falso. « Se voi bianchi foste assennati come noi, vi sposereste soltanto quando ci sono dei bambini in arrivo », aggiunse Kiluk. Patrick ebbe l'impressione che Natû s'irrigidisse nel sentire quella frase. Probabilmente soffre più di quanto non voglia ammettere, pensò. «Andiamo, Natû, lascia che ti porti in braccio fino all'aereo», le disse, prendendola e sollevandola di peso come un neonato. Lei non protestò: le era di conforto sentirsi cullare. Herbie posò la mano sul braccio di Kiluk per farla tacere. Avrebbe dovuto sapere che la moglie non si era guadagnata quella reputazione temibile comportandosi con mitezza quando sentiva che veniva commessa un'ingiustizia. Kiluk aveva notato che Anna si asciugava gli occhi con il foulard a scacchi, e aveva visto Patrick baciarla con delicatezza sulla guancia. Le voci dei nativi l'avevano informata sia del romanzetto fra Scott e Anna sia del ritorno di Anna a fianco del marito, in pubblico. Kiluk non amava né Dawson né la compagnia petrolifera da lui diretta, e neppure il modo in cui trattava i suoi dipendenti. Godette al pensiero di come sarebbe rimasto stupito, se avesse saputo che cosa si diceva in giro di lui. Nelle sacche abitate dell'immensa e magnifica natura selvaggia le voci sono come zanzare, volano e pungono. Natû schiacciò il viso contro il finestrino, mentre Anna girava l'apparecchio per il decollo. «Scott sembra un bambino sorpreso a combinare una marachella », osservò, guardando Kiluk che la salutava con la mano, continuando a parlare. Anna lanciò una rapida occhiata al gruppetto riunito, prima di tornare a dedicare la sua attenzione alla pista e all'apparecchio. « Kiluk gli sta facendo una delle sue famose o, per meglio dire, famigerate, ramanzine », proseguì Natû. « Da piccola avevo il terrore di fare qualcosa che potesse urtarla. Oline non andava mai in collera. Gli inupiat non schiaffeggiano mai i bambini. Vorrei che adesso Oline fosse qui con me. » Anche se Natû si affrettò ad abbassare la testa, facendo ricadere sul viso i folti capelli neri, Anna vide la sua bocca tremare e i suoi occhi riempirsi di lacrime. « Soffri molto, Natû? Vuoi tornare a Skwentna e riposare finché non ti sentirai più forte? Verrò a prenderti quando sarai pronta. » « No, sto bene. Scusami. » Anna la scrutò, ma Natû aveva chiuso gli occhi e sembrava assopita. Lei lanciò ancora un'occhiata al furgone fermo ai margini della pista. Il gruppetto di persone rimase a guardare mentre il Cessna percorreva la pista sussultando, si staccava dall'asfalto, oscillava al vento come una farfalla con le ali danneggiate e infine virava per puntare su Birchwood. «È fatta», disse Kiluk. «I letti sono pronti, sul fornello c'è uno stufato di alce. Ora telefono a Trapper per avvertirlo che Natû sta tornando a casa. » « Probabilmente lui è già a Birchwood », ribatté, ridendo, Patrick. A bordo dell'aereo, Natû rimase in silenzio, a testa bassa. Se somiglia al padre, probabilmente può restare immobile per ore e ore, pensò Anna mentre l'apparecchio solcava il cielo limpido e azzurro. Ricordava le innumerevoli storie che Scott le aveva raccontato sulla sua infanzia con Trapper. Il tempo volò in fretta, ignorato come la bellezza selvaggia del paesaggio che scorreva sotto di loro. Anna riviveva i momenti passati con Scott, mentre Natû pensava a Bud e alle sue probabilità di partecipare all'Iditarod. 20 TRAPPER scese dal camioncino, socchiudendo gli occhi alla luce. Sembrava del tutto indifferente al vento che gli sferzava la barba, facendola sventolare sul parka con la regolarità di un tergicristallo sul parabrezza. Aveva raggiunto l'aeroporto di Birchwood appena ricevuta la telefonata di Kiluk. Doveva vedere sua figlia e scoprire se era incinta. L'idea di avere un nipotino lo riempiva di gioia: avrebbe avuto una giovane anima da plasmare e un ragazzo da trasformare in un vero inupiat, prima che giungesse anche per lui il momento di andare a raggiungere gli antenati. Un camion che affiancava il suo distolse la sua attenzione dal cielo. « Salve. » Gli si avvicinò una donna sulla quarantina, con una folta treccia che spuntava dal berretto di maglia come la coda di un gatto. « Sono Claire, e faccio parte dell'organizzazione dell'Iditarod, a Wasilla. » « Trapper Jack », replicò burbero il vecchio, riportando lo sguardo in alto. «È un nome molto noto da queste parti », disse la donna, osservando la figura tozza e robusta con la barbetta rada. « Vorrei che ci fossero più persone come lei a battersi in difesa di questa terra.» Trapper le concesse un breve sorriso, prima di tornare a scrutare il cielo. « Anna non potrà atterrare ancora per una ventina di minuti almeno, a causa di forti venti contrari. Mi fa molto piacere che sua figlia stia bene. » Claire si rese conto di balbettare. Non si era aspettata d'incontrare Trapper, che nel 49° Stato era una leggenda. « Ho sempre desiderato una figlia, ma non sono mai riuscita a trovare un uomo o, almeno, non uno che potesse farle da padre. Ora », aggiunse, abbassando lo sguardo sul proprio corpo informe e scostandosi la treccia dalla spalla, « è troppo tardi per questi sogni assurdi, così faccio da mamma a cani e musher, per tenermi occupata. » D'improvviso Claire smise di parlare, temendo di annoiare Trapper. « Mi scusi, di solito non sono così chiacchierona. » « Non si preoccupi. L'ansia scioglie la lingua, e credo che lei sia in pena per Anna», ribatté Trapper. Provava una simpatia istintiva per quella donna semplice. Forse da lei avrebbe potuto sapere di più sul conto di Anna e Scott. «Ho un thermos, a bordo del furgone», aggiunse. «Che ne dice di un bel tè bollente? » «Meglio dello champagne, oggi», rispose Claire, seguendolo verso il camioncino. Poco dopo erano seduti a bordo e bevevano un tè nero e forte. «Grazie», disse lei, facendo scorrere un dito lungo l'orlo macchiato del tappo del thermos che le serviva da tazza. « Qui dentro si sta meglio. Il vento stava dando una dimostrazione della sua forza, e io, a differenza dei musher, non amo combatterlo. » «Spero che alla signora Mclnnes piaccia volarci dentro », osservò Trapper, orientando la conversazione su Anna, la persona della quale voleva sapere di più. «Oh, è un vero asso. Un pilota di prim'ordine. Non si preoccupi per sua figlia. È in mani sicure. » Trapper riempì di nuovo la tazza di Claire. «Questa signora Anna Mclnnes... Ho visto la sua foto sul giornale, di recente, a una cena di beneficenza. Se non sbaglio, l'articolo la definiva una donna sposata, no? » «E lo è. Ufficialmente, almeno. Anna e io siamo amiche... Suo padre era istruttore di volo nei '48 Stati giù in basso'. Erano una famiglia onesta e lavoratrice della classe media americana. » «La spina dorsale della società», commentò Trapper, aggiungendo al tè dell'altro zucchero. «Già. Era una bambina intelligente. Aveva bellezza e cervello, due qualità che di rado vanno insieme. » Claire sospirò, torcendo l'estremità della treccia. « Io la invidiavo. Poi ci fu l'incidente. Il padre portava la famiglia in aereo a Denver, in visita a certi parenti. Fu sorpreso da una tempesta, e l'apparecchio precipitò. Le fiamme attirarono i soccorsi, ma l'unica superstite fu proprio Anna. I parenti le offrirono una casa. » Claire vuotò la sua tazza, posandola sul tappetino di gomma ai suoi piedi. «E poi non l'ho più rivista, finché non è ricomparsa qui in Alaska. Era venuta a lavorare come pilota per la Mark Air, una compagnia aerea che, come saprà, è fallita. E stato allora che ha conosciuto Ted Dawson, durante un volo verso i campi petroliferi della baia di Prudhoe. A quei tempi lui era un giovane dirigente, snello, di bell'aspetto, con un piede sulla scala del successo. Ma era più vecchio di Anna e aveva una pessima fama di donnaiolo. » Claire s'interruppe, rivolgendo lo sguardo oltre il parabrezza, per scrutare il cielo. «Vada avanti.» Trapper non voleva che la donna smettesse di parlare; desiderava saperne di più sul conto di Dawson. « Nessuno sa perché si sia gettata via sposando Ted. Forse cercava una figura paterna, forse aspirava alla sicurezza finanziaria. Qualunque sia stata la ragione, è stato un disastro. Non appena lui è riuscito ad averla, è stato assalito di nuovo dalla smania di darsi da fare. Abbiamo sperato tutti che la sua relazione con quel giovane Butler spezzasse la presa che Dawson ha su di lei, ma Double Dick è astuto e ha ricattato Anna per indurla a riprendere il suo ruolo di moglie. » « Ricatto è una parola molto forte. » « Quello che ha fatto Ted è stato crudele e meschino, e ha funzionato », ribatté Claire. « Ho fatto finta di credere ad Anna, quando mi ha detto che era finita e che Scott era stato soltanto un capriccio, ma il suo sguardo assente mi ha fatto capire che mentiva. » «Continui», la incitò Trapper, vuotando il thermos e ascoltando con attenzione la donna mentre parlava. Alla fine del racconto annuì, si lisciò i baffi e scese dal camioncino. « Sono arrivate », annunciò. Claire lo raggiunse. Il cielo era deserto e il sibilo del vento era l'unico suono che rompesse il silenzio. Rimasero immobili per qualche istante, poi Trapper puntò il dito. « Vede? Eccolo che arriva. » Claire non era sicura se il puntolino scuro fosse solo uno scherzo della sua vista sovraffaticata oppure un apparecchio. Il lieve ronzio, aumentando pian piano d'intensità, le dimostrò che aveva ragione Trapper. 21 « BlRCHWOOD in vista », annunciò Anna, sfiorando il braccio di Natû, che aprì subito gli occhi. « Chi c'è ad aspettarmi, insieme con Trapper? » le chiese. Anna era fiera della sua vista acuta, ma non riuscì neppure a riconoscere il vecchio. Era semplicemente una minuscola figura in lontananza. Scosse la testa. «Pronta per l'atterraggio?» domandò. « Cercherò di fare in modo che sia il più dolce possibile. » Rispettando la promessa, le ruote si posarono sull'asfalto aderendovi come le labbra di un amante. L'apparecchio rullò sino a fermarsi nel punto in cui le attendevano Claire e Trapper. Entrambi si affrettarono a raggiungere lo sportello, aiutando Natû a scendere, e attesero Anna, per abbracciarla e ringraziarla. Il sorriso di saluto che Natû rivolse a tutti era fiacco, ma si avviò verso il furgone con andatura decisa. Claire l'aiutò a salire, poi si avvicinò all'aereo per parlare con l'amica. Se una donna inupiat può partorire da sola d'inverno, e recidere con i denti il cordone ombelicale per separare il neonato dalla placenta, io posso comportarmi in modo normale dopo un semplice aborto spontaneo, pensò Natû, osservando Trapper che si avvicinava al furgone. Quei pensieri le diedero la forza di sorridere e parlare con Claire e con il padre, ma non fecero che sottolineare il senso di vuoto che provava. Aveva tenuto per sé il segreto del bambino così a lungo da avere l'impressione che ora una parte di lei fosse scomparsa per sempre, destinata a non essere reintegrata mai più. Con chi parlerò, adesso, quando guiderò la muta? si chiese in silenzio. Piccolo mio, non passeremo insieme sotto l'arco dell'arrivo a Nome. Non concluderemo la corsa insieme. « Tutto bene? » Lei trasalì. Non si era accorta che Trapper le stava parlando. Assentì, senza sapere a che cosa. Smettila, s'impose. Kiluk ha detto che non è un bambino fino a quando non può sopravvivere da solo al di fuori del grembo materno, e questo non ce l'ha fatta. « Kiluk ha già fissato l'appuntamento », le disse Trapper. Natû impallidì. Il padre le leggeva forse nel pensiero? Come faceva a sapere che stava pensando proprio a lei? Assentì di nuovo. Kiluk è stata saggia a insistere perché portassi direttamente Natû in ospedale per il controllo, pensò Trapper, osservando la figlia con la coda dell'occhio mentre il camion percorreva sobbalzando la strada inghiaiata. È molto pallida e silenziosa, e quando si muove ha le giunture rigide come quelle di una vecchia. Restò seduto nel camion ad aspettarla. Era entrato in ospedale con lei, ma come al solito gli odori di antisettico e il lieve squittio delle scarpe con la suola di gomma lo innervosivano. Stava seduto, immobile come su un blocco di ghiaccio marino nell'attesa che una foca emergesse per respirare in uno dei suoi aglu. Stoicismo e pazienza erano le due grandi virtù del popolo inupiat, e Trapper le possedeva entrambe, in abbondanza. Natû era distesa sul lettino del ginecologo, con le ginocchia sollevate e le gambe allargate. «Kiluk è un'ottima levatrice», dichiarò il medico, al termine dell'esame. « Penso tuttavia che sia opportuno un raschiamento, nel caso che qualcosa sia rimasto ancora nell'utero, e forse è utile anche un trattamento con gli antibiotici. » « Mio padre mi aspetta fuori e non sa niente. » « A volte è meglio così. Dirò che devo trattenerla in osservazione, e lui potrà passare a prenderla domattina. » «Grazie», sussurrò Natû. Questo le avrebbe concesso un po' di tempo prima di affrontare Bud. « Dottore », esclamò la ragazza, quando lui stava già per aprire la porta. « Sì? » «Io voglio correre l'Iditarod, in marzo. Questo non me lo impedirà, vero? » Il medico si sedette sulla sponda del lettino. « Qualche anno fa le avrei risposto che l'Iditarod era una gara troppo estenuante e pericolosa perché le donne potessero anche solo pensare di parteciparvi. Non credevo certo che una donna potesse mai portare a termine la corsa di millenovecento chilometri fino a Nome. » Lei sorrise. « Come al solito, mi hanno dimostrato che avevo torto. Non soltanto le donne hanno partecipato a quella gara spossante riuscendo a raggiungere il traguardo, ma l'hanno addirittura vinta, sconfiggendo più di una volta i migliori veterani di sesso maschile. Creando voi, Madre Natura vi ha fornito di qualità speciali di resistenza e sopravvivenza. Agli uomini ha lasciato gli avanzi. » Natû scoppiò a ridere. Era la prima volta che rideva, da quando Sockeye si era lanciato nella foresta. «Grazie», disse al medico. «Avevo bisogno di sentirglielo dire.» «Linee tese, e che la pista le sia propizia, Natû. Non ho dubbi sul fatto che si presenterà alla partenza. La guarderò alla televisione, e Kiluk terrà la radio accesa a tutto volume finché non staccheranno la lanterna dall'arco di Nome, dopo il passaggio dell'ultimo concorrente. » Si avviò in fretta alla porta. « E ora dorma. Il sonno è la medicina migliore. » Natû uscì dall'ospedale con le sue gambe. Si era ripresa in fretta e si sentiva bene e in forze. Si aspettava di vedere il padre, invece c'era un uomo alto e muscoloso, con i capelli neri lievemente arricciati. « Bud », strillò di gioia, correndogli incontro. Lui aprì le braccia, aspettando che la raggiungesse, poi l'abbracciò e la tenne stretta. Natû gli gettò le braccia al collo come se non volesse lasciarlo andare mai più. «Tesoro», sussurrò lui, chinandosi a baciarla sulla testa. « Credevo di averti perduta. Tu sei la mia ragione di vita. » Natû alzò la testa, guardando sorpresa Bud. Sapeva che lui l'amava, ma di solito non esprimeva i suoi sentimenti con tanta effusione. « Vieni », le disse. « Non piangere, altrimenti non mi permetteranno di riportarti a casa. Diranno che è necessario trattenerti ancora in osservazione, perché è chiaro che sono un marito manesco. » Natû soffocò le lacrime di gioia. « Andiamo subito via di qui », gli sussurrò. Il cugino di Kiluk li osservò mentre salivano sul camion, poi si voltò per seguire l'infermiera che era stata appena inviata a cercarlo. «Buona fortuna, Natû», mormorò. «Ho la sensazione che Trapper avrà di che essere fiero di sua figlia, in questa corsa. » 22 FIN dalla partenza da Skwentna, Patrick impose un'andatura massacrante. Era convinto che Scott avesse bisogno di disintossicarsi con l'esercizio fisico, così lasciò White-Out libero di correre, incitando la muta di Bud a tentare di distanziare i cani di Natû, guidati da Scott. L'espediente funzionò. Scott accettò la sfida. «Forza, Sockeye, non lasciarti battere da quel branco di cani di lusso. Voi siete nativi. Correre è il vostro gioco. Andiamo, su! » Saltò giù dai pattini per alleggerire il carico, correndo su per la collina a fianco della slitta. Patrick si girò a guardarlo, sogghignando. « Vola, ragazzo, vola! » esclamò. « Sarà più facile parlare con te, quando sarai stanco. » Shark sentì la muta avvicinarsi prima di Muktuk. Balzò in piedi, mettendo in allarme tutti gli altri cani, che se ne stavano tranquillamente distesi sulla neve, aspettando che lui macellasse l'alce e magari lanciasse loro qualche bocconcino. Shark lanciò subito la sfida a Sockeye, White-Out e le loro mute. «Zitta, piccola sgualdrinella irascibile! » gridò Muktuk. Il tono della sua voce fu sufficiente a calmare il resto della muta, ma Shark era abbastanza intelligente da rendersi conto che Muktuk non avrebbe lasciato perdere l'alce finché non fosse stato tagliato a pezzi e caricato sulla slitta, quindi continuò a ringhiare e lanciare insulti ai cani che si stavano avvicinando. Muktuk si alzò in piedi. Si era rimboccato fino ai gomiti le maniche della camicia e del parka. Il sangue gli colava lungo le braccia, gocciolando dalle dita e punteggiando la neve di macchioline scarlatte. « Un giorno o l'altro voglio scuoiarti, proprio come questo alce», la minacciò. «Che cane idiota! Cosa credi che ci sia, laggiù? » Muktuk si batté la mano sulla tasca, controllando che la rivoltella fosse al suo posto. Un altro alce ci starebbe proprio bene, pensò. Non mi dispiacerebbe fare provvista di carne secca. Tanto Muktuk quanto i suoi cani amavano masticare strisce di carne di alce essiccata. D'improvviso si girò su se stesso per guardare alle sue spalle: White-Out stava superando la sommità della collina, seguito a breve distanza da Sockeye e Scott. «Tieni quei cani alla larga da Shark e Delilah», gridò Muktuk, ma troppo tardi. Shark si slanciò contro White- Out, lo mancò e affondò i canini aguzzi nello swing dog, uno dei cosiddetti « cani altalena » che corrono alle spalle dei leader e possono prendere il loro posto, un husky di pura razza siberiana. Patrick abbassò il freno prima di correre a separare Shark e il cane azzannato, che era già pronto a uccidere la femmina di piccola taglia. « Porta avanti la tua muta », gridò Muktuk a Scott, mentre correva ad aiutare Patrick. «Non c'è nulla che Shark ami più di una bella rissa. » Scott comprese al volo e guidò la sua muta fuori dei guai. Una volta lontano, fermò i cani, accertandosi che non potessero far saltare i freni per unirsi alla rissa, poi si sedette sulla neve vicino a Sockeye, accarezzandogli le orecchie, che erano ritte come antenne radar pronte a lanciare l'allarme, interpretando gli ululati e gli abbaiamenti delle squadre alle loro spalle. Muktuk e Patrick raggiunsero Shark nello stesso momento. « Lascia che sia io a prenderla », disse il primo. « In queste condizioni, potrebbe morderti. » Imprecò, mentre il suo cane di testa rinunciava all'husky di Patrick per serrargli le mascelle sul braccio. Per fortuna le maniche rimboccate impedirono ai suoi denti di lacerare le carni. « Quel braccio mi serve per la corsa, sciocca », esclamò, staccandola e tenendola sospesa in aria, dove poteva far scattare le mascelle senza provocare danni e dimenare le zampe nel vuoto, tentando inutilmente di fare presa sul terreno. I ragazzi lasciarono Muktuk impegnato a gridare a Shark epiteti di cui non conoscevano neanche l'esistenza, ma che archiviarono per il futuro. «Sarebbe splendido raggiungere il rifugio di Rohn, passarci la notte e ripartire per Chugiak domattina », meditò Patrick. « Mi sta bene », rispose Scott, con maggiore entusiasmo nella voce di quanto il fratello gli sentisse da quando Anna lo aveva fatto scendere all'aeroporto per prendere Natû. «C'è qualche problema, però», aggiunse Patrick, riflettendo. « Kiluk ha telefonato a Trapper per dirgli che siamo diretti a casa. Ha già subito uno shock per la disavventura di Natû, e non è il caso di procurargliene un altro », convenne Scott, assentendo. « Inoltre siamo diretti alla stazione di Yentna e a Knik, non al Rainy Pass e a Rohn. » Patrick tirò fuori il fazzoletto da collo a scacchi. « Sai che cosa ti dico? Chi arriva per ultimo a Wasilla offre pizza e birra. » Prima che il fratello potesse replicare, era già sparito. « Di' addio al tuo denaro... Arrivo », esclamò Scott. Le ore trascorsero in un silenzio ipnotico, mentre i ragazzi erano tutti concentrati sulla pista e sui cani. Scott era felice di fingere che quella fosse l'Iditarod. Si accontentò di restare nella scia di Patrick fino alla periferia di Wasilla, perché i cani del suo rivale conoscevano bene la pista. Sfrutterò la tua conoscenza di questo tratto, poi potrò superarti prima di entrare in città, caro uomo della pizza, pensò. 23 IL primo sabato di marzo si avvicinava a velocità vertiginosa per Natû, Bud e Patrick, come un blizzard che soffiasse impetuoso dai ghiacci del mar di Bering. Natû restava china fino a notte alta sulla macchina per cucire allo scopo di confezionare stivaletti in più, destinati ai cani della muta di Patrick. Lei e Bud ne avevano mille paia a testa, per garantire che ogni cane avesse i piedi ben protetti durante la corsa; i booty facevano parte delle donazioni legate alla sponsorizzazione. Patrick, invece, era riuscito a metterne insieme soltanto centotrenta paia, soddisfacendo a stento la richiesta di otto booty per ogni cane iscritto alla gara. Natû aveva ricevuto in regalo un rotolo di polipropilene da un appassionato dell'Iditarod e, dato che non faceva parte della dotazione prevista, le sembrava di avere il diritto di usarlo per Patrick. Man mano che cresceva la pila di stivaletti rossi sul pavimento vicino alla macchina per cucire, il suo sorriso si allargava e lei rideva più spesso. Trapper trascorreva ore al telefono, convincendo piccole società commerciali a fornire imbragature e linee di traino, più i sette articoli tassativamente previsti dalla commissione e le altre attrezzature di sicurezza richieste dal regolamento. Herbie e Kiluk Owens arrivarono sul posto per partecipare all'allenamento della «squadra di Trapper». Herbie portava con sé due delle sue splendide slitte: una leggera, per cominciare la corsa, e una più pesante e splendidamente lavorata, a canestro, da caricare con l'attrezzatura prescritta e il materiale necessario per la corsa dopo la partenza del secondo tratto, alla periferia di Knik. Herbie era convinto che la sicurezza garantita da una slitta più pesante, specie quando si correva lungo la costa, con le tempeste improvvise, le raffiche di vento e le bufere di neve, fosse tale da bilanciare gli articoli extra che i cani avrebbero dovuto trainare. « Quel vento è capace di rovesciare slitte leggere, cani e musher con la facilità di un bambino che sventola una bandiera alla sfilata. Va' sul sicuro, e parti pure leggero, ma in seguito usa la slitta più grande e più pesante », suggerì a Patrick. «Io preparerò la mia e te la farò avere a McGrath. Chissà, forse potresti averne bisogno subito dopo la Dalzell Gorge e il Farewell Bum. » « Non ho la minima intenzione di sfasciare quella bellezza che hai appena creato. Deve durare per le prossime dieci edizioni dell'Iditarod», ribatté Patrick in tono serio. «Dopodiché avrò anch'io la possibilità di correre», aggiunse Scott. Kiluk sorrise. « La slitta di Herbie durerà fin quando ci saranno buoni musher a guidarla. Lui le costruisce in modo che possano affrontare le asprezze della pista senza ridursi a un mucchio di rottami. » La sua espressione diceva chiaramente che cosa pensava delle slitte moderne, assemblate con viti e bulloni. «A proposito», interloquì Trapper, allontanandosi dal telefono. «Ora abbiamo uno stabilizzatore con placche al carburo da trainare dietro la slitta, per assicurare un maggiore controllo in discesa e aumentare la presa sul ghiaccio liscio. La stessa ditta ci fornirà occhiali in policarbonato, che filtrano il novantanove per cento dei raggi UVA pur senza essere affumicati. Inoltre hanno aggiunto una lampada da portare sulla testa, la stessa di Bud, con raggio doppio, batterie al litio e lampadine al cripton. » Patrick si lasciò sfuggire un fischio. « Grazie, Trapper. » «Stamattina presto ha chiamato un'appassionata di cani da Dallas», riferì all'improvviso Kiluk. «Ha sentito dire che il bussolotto delle offerte è vuoto e vuole essere sicura che gli husky abbiano sufficiente unguento per i piedi. Così ci ha inviato viveri, prodotti contro la diarrea, collirio, unguenti antisettici e antibiotici, tutto per i cani. Oh, inoltre aggiungerà filtri solari, crema idratante, capsule antifreddo e pastiglie per la gola per il vostro Patrick, assieme a un infuso di erbe contro la diarrea. » Il ragazzo scoppiò a ridere. «Per poco non me ne dimenticavo. Ti manderà anche occhialoni antiabbaglianti, guanti chirurgici e una provvista di scaldamani chimici. Dice di essere una lettrice dei 'Consigli di Kate Pearson' sulla rivista Mushing e vuol essere sicura che tu possa cambiare in fretta gli stivalini ai cani e applicare loro l'unguento ai piedi, anche con il maltempo. » « Che Dio benedica tutti quelli che amano gli animali », commentò Patrick. Kiluk lanciò un'occhiata a Natû, ma lei era ancora curva sulla macchina per cucire, e la pila di booty rossi cresceva a ritmo costante. « Muktuk arriva domani », annunciò. «Metti sotto chiave il gatto della neve, Scott», lo ammonì Patrick. Risero tutti, tranne Scott, che adorava quel mezzo, recuperato nell'officina di un rottamatore e restaurato con cure amorevoli. « Non dicevi così quando i cani lo trainavano per allenarsi, prima che nevicasse. » «È vero, perché non c'era in giro Muktuk. » Patrick si rivolse a Trapper e Herbie. «Sarà fantastico avere con noi un veterano », osservò. « Questa per lui sarà la decima Iditarod, non è vero? » «Sì, e sempre con quel cane di testa piantagrane», ribatté Herbie. « Quella femmina, più invecchia e più sembra forte. L'anno scorso ha banchettato con il braccio di uno dei cameramen della CNN che filmavano la partenza. Quel tale non è riuscito a riprendere il primo musher che è partito, così ha rischiato di perdere il lavoro, oltre al braccio. I morsi dei cani sono un brutto affare, s'infettano subito. » Trapper si sedette al tavolo della grande stanza centrale, spuntando le voci di una lunga lista che teneva sotto gli occhi. «Ci siamo quasi», annunciò. «Gli inupiat di Barrow hanno preparato per noi degli 'spuntini d'acqua' congelati, a base di coregone, acqua e olio, che potremo dare ai cani nelle soste brevi. Inoltre hanno della carne di castoro affettata e congelata, nel caso Patrick incontri problemi nell'indurre i cani a mangiare. Di solito ne vanno matti anche quando rifiutano tutto il resto. » « Non riesco a credere a tanta generosità », disse Scott. « L'Iditarod è una grande occasione per manifestare coesione e solidarietà umana. Tutti dimenticano le divergenze che li dividono, e per due o tre settimane l'unica cosa che conti in Alaska è la corsa. Ma non illuderti che tutti i musher siano disposti ad aiutarti e darti consigli. Molti lo faranno, ma ne troverai anche altri che ti racconteranno storie dell'orrore e scuoteranno la testa guardando i tuoi cani. Se non sei più che convinto, comincerai a dubitare di te stesso e dei tuoi animali. Non farlo. Ricordati, dalle matricole non ci si aspetta che vincano, ma soltanto che portino a termine la gara per correre di nuovo. » Per Trapper questo era un lungo discorso. Da quando Natû era uscita dall'ospedale, lui era stato stranamente taciturno: la figlia si era accorta che la scrutava con attenzione quando guidava i cani, ma era contagiata dall'atmosfera di eccitazione, tensione e stress che precede l'inizio della corsa più dura del mondo, e aveva troppo poco tempo per preoccuparsi del silenzio del padre. Aveva riacquistato le energie, e si sentiva forte e sana come i suoi cani. Di notte, il canto bellissimo e ossessivo dei lupi atterriva o esaltava i musher che si raccoglievano nei boschi della tundra per gli ultimi preparativi e allenamenti. Gli husky intuivano la loro eccitazione e cantavano, raccontandosi storie sulla pista, vantandosi e sfidando gli altri a imprese audaci. Scott, Bud e Patrick giravano tra gli accampamenti per parlare con i musher, veterani e novellini, ammassando una gran quantità d'informazioni, più alcune storie spaventose. Ogni sera Trapper ascoltava i ragazzi per filtrare le informazioni, separando quelle false e tendenziose dai suggerimenti importanti. Una sera, accolti dall'ululato struggente dei loro husky, che li riconoscevano non appena si avvicinavano al canile, Scott e Patrick rientrarono stanchi dalla visita a un musher che si era accampato vicino alla loro capanna. «Dovrai mettere un po' di grasso su quelle ossa», esclamò Scott, stuzzicando il fratello. « Quel tipo lavora all'Istituto di Medicina dello Sport Artico, e dice che i musher devono essere robusti. Occorre almeno il diciannove per cento di grasso corporeo per partecipare a una corsa nella quale si perdono come minimo tredici chili, bruciando diecimila calorie al giorno. » Il fratello scoppiò a ridere. « E così, ti ricordi tutte quelle cifre? Deve averti colpito. Non preoccuparti, ragazzo. Io sono come un pezzo di carne essiccata, coriaceo e resistente. » Scott passò un braccio sulle spalle di Patrick. «Sii prudente, là fuori. La maggior parte predice che qualcuno ci rimetterà la pelle nell'Iditarod, quest'anno, e non vorrei che fossi tu. » Patrick si sforzò di vedere l'espressione del fratello, ma il suo viso era in ombra e i lineamenti si distinguevano a stento. « Suvvia, non crederai a tutto quello che dicono. » Il ragazzo tirò un respiro profondo, incerto se fosse quello il momento adatto per introdurre l'argomento di Anna. Non parlavano di lei da quando avevano fatto sosta a Wasilla per mangiare una pizza, e lui ne aveva approfittato per raccontargli la storia che c'era dietro la foto sul giornale. Allora aveva avuto l'impressione che Scott gli credesse, ed era convinto che il fratello si sarebbe messo in contatto con Anna, dato che lei non aveva telefonato e non si era fatta viva, ma Scott evidentemente non lo aveva fatto, il che induceva Patrick a ritenere che la spiegazione della condotta della donna non fosse servita a molto. «Non posso permettermi di rimetterci la pelle», disse infine. « Chi resterebbe qui a sbrogliare la tua vita amorosa? » Scott si lasciò sfuggire un grugnito. Era un suono sommesso e desolato. « La mia vita amorosa? Ma se è inesistente! » Pensò a tutte le lettere che aveva lasciato nella cassetta postale di Anna, al rifugio e all'aeroporto. Nessuna aveva ricevuto risposta. Patrick si sbagliava: era chiaro che la donna si era felicemente riconciliata con il ricco marito. No, non le scriverò più, pensò. All'improvviso vide una lama di luce uscire dalla porta di casa, illuminando i gradini del portico. « Buone notizie », gridò Bud, tenendo aperto il battente. «Chiudi la porta, stanno volando via tutte le strisce di velcro.» La voce di Natû arrivò cristallina ai due fratelli. «Puoi dirglielo anche quando saranno dentro, invece di farli restare fuori ad affrontare la tempesta. » Scott e Patrick furono sospinti nella stanza dal vento, simile a una mano gigante appoggiata sulla loro schiena. « Che notizie? » domandarono all'unisono. « Ora abbiamo un donatore per tutto il cibo che occorre ai cani di Patrick », annunciò Bud, « e non soltanto per gli spuntini. » «Carne fresca congelata, olio e ingredienti secchi. E li spediranno ai posti di controllo disposti lungo la pista», aggiunse Natû, con gli occhi scintillanti. « Non solo, ma il donatore ha aggiunto delle confezioni di HEET, quindi avrai il cherosene, più un fornellino e una cucina isolata, della capacità di ventisette litri, per preparare pasti caldi alla muta lungo il percorso. » « Grandioso », esultò Patrick, sollevando di peso Natû e staccandola dalla sua macchina per cucire. « Smettila! Mi resta solo qualche decina di strisce di velcro da applicare agli stivaletti, e poi avrò finito. Mettimi giù, pazzo!» « È una notizia meravigliosa », commentò Scott. « Chi è il benefattore di Patrick? » « Anna Mclnnes », rispose Trapper. « Ha preso accordi con una ditta di San Francisco, quando è stata laggiù, qualche giorno fa. » San Francisco? Che cosa ci fa Anna, laggiù? Lei fa parte dell'Elite Iditarod Flying Team, la squadra che si occupa dei voli legati alla corsa, e dovrebbe essere qui in Alaska, pensò Scott. Capì d'improvviso perché le sue lettere erano rimaste senza risposta: Anna non le aveva viste. «Da quanto tempo si trova nei '48 Stati giù in basso'?» domandò a Trapper, tentando di mantenere un tono indifferente. « Devi chiederlo a Bud, è stato lui a rispondere al telefono. Ha attaccato proprio nel momento in cui siete arrivati tu e Patrick », rispose il vecchio, impegnato a spuntare dalla lista gli articoli. Scott si sentì male. Avrebbe potuto sentire la voce di Anna. C'erano tante cose che doveva dire alla donna che amava; doveva scusarsi con lei, e chiederle di sposarlo non appena avesse finito l'università e trovato un lavoro. Non voleva rivederla più in compagnia di Ted Dawson. Era certo che, con l'appoggio di Trapper, Hank e Casey non avrebbero fatto obiezioni ai suoi progetti. I suoi genitori avrebbero adorato Anna, soprattutto dopo averla conosciuta e aver capito che lui non intendeva sposarla prima di poterla mantenere. Ma ora doveva parlare con lei. « Dov'è? Ha lasciato un numero di telefono? » chiese ansioso a Bud. « No, niente. Oh, ha aggiunto che quasi tutti i piloti erano a terra per colpa dell'australiana, e che lei doveva restare per qualche tempo nei '48 Stati giù in basso', ma è sembrata vaga sulla data del suo ritorno in Alaska. Ammesso che torni. » Scott si dedicò a esaminare gli stivaletti per i cani che Natû stava completando. « Sono splendidi, meglio di quelli che si vendono nei negozi », osservò. Patrick notò il tremito nella voce del fratello. « Io sono sicuro che Anna tornerà presto. Ama l'Alaska, e fa parte della squadra di piloti dell'Iditarod. » «Non esserne tanto sicuro», replicò Bud, ignaro di quello che Patrick stava cercando di fare. « Non sembrava affatto ansiosa di tornare qui. Non ha chiesto neppure notizie della gara. Forse si sta godendo la novità di volare nei '48 Stati giù in basso'. » «Può darsi», aggiunse Natû, lanciando sulla pila l'ultimo stivaletto, « ma so che era molto fiera ed eccitata di essere stata prescelta come pilota dell'Iditarod. Tornerà in tempo per la corsa. » Scott serrò gli occhi con forza. Dio, ti prego, fa' che torni. Concedimi una possibilità di dimostrarle quanto l'amo. Patrick si diresse verso il fratello, che era rimasto immobile, fingendo di esaminare gli stivaletti rossi, e gli strinse la spalla. « Anna non rinuncerà mai alla possibilità di partecipare come pilota all'Iditarod», gli sussurrò. «Vedrai che, una settimana prima della gara, sarà qui. » 24 ANNA MCINNES uscì dalla stanza, lasciando la porta aperta. «Allora darò le dimissioni», gridò all'uomo seduto dietro la scrivania. « Volerò per Smyth, su a Barrow, lavorerò per chiunque, ma non intendo perdermi l'Iditarod. » « Anna », la chiamò lui, seguendo con gli occhi l'ondulare delle sue natiche fasciate dai jeans stretch, che uscirono dal suo campo visivo con un guizzo. « D'accordo, hai vinto. Richiamerò Bill quaggiù e potrai tornare ad Anchorage. A patto... » Alzò la mano. « A patto che ceni con me, stasera. » « Affare fatto », rispose lei. « Purché porti tua moglie. » Uscì dalla stanza camminando a lunghe falcate, soddisfatta come un gatto davanti a una scodella di panna. Anna si lasciò sfuggire un lungo sospiro di sollievo, guardando fuori del finestrino laterale e vedendo le piane di marea scintillare nei toni dell'argento e del peltro, come uno specchio d'antiquariato. La superficie lucente era costellata di zolle scure di erba umida, nere come le chiazze degli specchi antichi. Al pensiero di rivedere Scott, Anna provava tutta l'eccitazione di una bambina alla vigilia di una festa, ma la sua gioia era incrinata dal timore. E se continua a non volermi né vedere né parlare? si domandò, guardando le pianure che continuavano a scorrere sotto l'apparecchio come una seta grigia marezzata. Trova il modo di convincerlo, la incitò una voce interiore. Se lo vuoi, vai laggiù a prenderlo. In risposta alle istruzioni della hostess, Anna raddrizzò lo schienale del sedile e abbassò il poggiapiedi. Si era divertita a volare da passeggera, per una volta. L'aereo si posò sulla pista con un tonfo brusco, che la indusse ad aggrapparsi ai braccioli delle poltrone. Anna prese la borsa di tela che aveva spinto sotto il sedile prima di avviarsi verso la cabina di pilotaggio. «Un bell'atterraggio grintoso», osservò per stuzzicare Jerry, il secondo pilota, che aveva eseguito la manovra. « E così oggi non sei soltanto una passeggera, ma anche un'esaminatrice», ribatté lui, imbarazzato dalla manovra malriuscita e sensibile alle critiche. « Vieni un po' qui, e vediamo se sai fare di meglio. » «Jerry, stavo solo scherzando. Ti adoro, se non altro perché mi riporti ad Anchorage. I '48 giù in basso' fanno schifo, non voglio rivederli mai più. » Poi gli lanciò un bacio sulla punta delle dita, facendosi largo tra i passeggeri per raggiungere la scaletta. «Io non sfiderei quella ragazza a fare di meglio», ammonì il comandante. « Ho volato con lei, e ha un talento naturale. Ha lavorato come istruttore per Moroney alla Tri Star, prima di sposare quel pezzo grosso della BP. » « Dev'essere davvero in gamba se ha volato per Bruce », osservò Jerry. « Lui accetta soltanto i migliori. » «E Anna lo è. Inoltre fa parte della squadra di piloti scelti dell'Iditarod. » Jerry lo guardò, stupito. «Con un atterraggio come questo, potresti farlo anche tu. Sbattilo giù sul ghiaccio e sta' sicuro che ci resta. » « Okay, ma adesso basta », ribatté Jerry, raccogliendo i documenti di volo e il berretto. « Andiamo. » I due piloti osservarono Anna ficcare un fascio di lettere e biglietti nella tasca laterale della borsa da viaggio e uscire dal terminal per raggiungere il parcheggio. « Deve avere ricevuto una buona notizia », commentò il pilota. « Guarda che sorriso! » Anna si fermò davanti alla cassetta della posta inchiodata a un palo vicino al suo rifugio, poi decise di lasciar perdere; tanto poteva trattarsi soltanto di bollette e circolari, tutta corrispondenza che poteva attendere. Prima doveva aprire le lettere di Scott che aveva nella borsa. Trovò la casa di tronchi fredda e umida. Anziché aprire subito le lettere, riordinò e accese il fuoco per cancellare il senso di desolazione che invade una casa disabitata, insieme con la polvere e uno sgradevole odore di funghi. Scorse in fretta la posta, posando sul divano le due lettere con la calligrafia di Scott. Quella più voluminosa, con gli scarabocchi di Ted Dawson sulla busta, la gettò nel fuoco senza neanche aprirla, spostandola con un bastoncino qua e là finché il fascio di fogli non si aprì, riducendosi in cenere. «Non voglio rivederti mai più, Dawson», mormorò. «Ho fatto quello che dovevo per impedirti di ritirare la sponsorizzazione agli amici di Scott. Ormai è troppo tardi perché tu possa fare marcia indietro, quindi sono libera. » Con le dita che tremavano per l'impazienza, lacerò la busta della prima lettera di Scott, imprecando sottovoce quando si accorse che, per la fretta, aveva strappato anche la lettera. Seduta a gambe incrociate sulla pelle di orso bruno davanti al fuoco, rimise insieme il foglio con cura, gettando la busta tra le fiamme. Leggendo, sentì salire le lacrime agli occhi. « Dio, ti ringrazio », sussurrò. « Hai ascoltato le mie preghiere. » Come la maggior parte della popolazione dell'Alaska, che vive circondata da una bellezza così splendida che la mente stenta ad accettarla, ma ne resta ipnotizzata e intrappolata, in una terra in cui gli inverni sono terrificanti nella loro asprezza e oscurità tanto che gli uomini si fanno piccoli piccoli nella speranza di sopravvivere, Anna sapeva che esisteva una Forza vitale talmente potente da superare di gran lunga le capacità di comprensione dell'uomo. Lei, come gli altri abitanti dell'Alaska, sapeva che Dio, quella Forza vitale, faceva parte dell'incanto strepitoso e della potenza impressionante della natura in quel Paese speciale. Anna aveva intravisto il volto di Cristo volando sulle montagne, abbaglianti nel loro candore, e lottando per procedere in mezzo a tempeste di vento e tormente di nevischio, quando aerei e piloti avrebbero dovuto restare a terra ma non potevano farlo, nell'eventualità che ci fosse qualcuno da salvare. Quando era arrivata in Alaska era cinica, eppure vi aveva trovato una ragione di vita e qualcosa in cui credere. «Grazie», ripetè sottovoce, asciugandosi gli occhi nel posare sulle ginocchia la seconda lettera di Scott. Restò seduta e immobile davanti al fuoco, stringendosi al petto le parole dell'uomo che amava. Lacrime di felicità caddero sulla pagina, macchiandola e sbavando l'inchiostro. Sentendo che il vento aumentava d'intensità e tamburellava ai vetri della finestra, Anna alzò la testa. Era buio. A malincuore, si alzò per dirigersi verso l'angolo cottura e preparare un po' di minestra e qualche fetta di pane tostato. Riportando verso il fuoco il vassoio carico, si chinò per scegliere un CD. La voce limpida di Roberta Flack riempì la stanza con la canzone preferita da lei e Scott. Anna sorbì lentamente la minestra, pensando ai loro momenti insieme. Ascoltò la musica finché non svanì. Premette di nuovo il pulsante, avvolta dalle note di quella melodia ossessiva, e raccolse la borsa di tela, armeggiando in cerca delle chiavi della macchina. «Devo vederlo subito», disse a se stessa. « Anche se non può lasciare Patrick e Trapper, perché l'Iditarod è troppo vicina, potrò almeno toccarlo, salutarlo con un bacio, dirgli che sono qui. » La canzone d'amore la seguì mentre correva verso la macchina. Ti devo tanto, Patrick, pensò, ma proprio tanto. Tu mi hai restituito Scott. Un giorno farò qualcosa per te. Prometto che ti ripagherò. Lo giuro. Avvicinandosi alla capanna di tronchi di Bud e Natû, Anna sollevò il piede dall'acceleratore, e l'auto scivolò in folle lungo la discesa fino alla casa vivacemente illuminata. Gli husky udirono la macchina e accolsero il suo arrivo con un coro assordante di abbaiamenti e ululati. Muktuk scosse la testa, senza staccare il dito dalla mappa spiegata sul tavolo. « È la frenesia che precede la corsa », commentò. « Si eccitano a vicenda sino alla follia. Quando arrivano alla partenza sono tutti pazzi furiosi, senza controllo e maledettamente pericolosi. La forza e la potenza di traino di sedici cani ben allenati e smaniosi di correre è spaventosa. » Anna chiuse lo sportello senza fare rumore, avvicinandosi in punta di piedi alla finestra senza tende. Erano tutti in piedi, intenti a osservare una carta geografica aperta sul tavolo della cucina. Muktuk parlava e gli altri ascoltavano, assorti. Le parole di Muktuk arrivavano fino a lei. Anna fissò Scott, cercando d'imprimersi nella mente ogni dettaglio come se non dovesse rivederlo mai più. « L'anno scorso due musher si sono ritirati alla partenza. La muta del primo ha puntato direttamente contro la folla, schiantandosi contro un camion. Il mezzo non ha subito danni, ma il musher si è fratturato tre costole e la slitta è andata distrutta. « La seconda muta ha corso per i primi due isolati. E andato tutto bene fino alla prima svolta a destra. I cani hanno svoltato, ma il musher no: è stato scaraventato dalla parte opposta. Quell'idiota ha fatto schioccare la frusta sugli husky, la forza d'inerzia lo ha sbalzato dalla slitta e si è fratturato una gamba. » Muktuk scoppiò a ridere senza allegria. « I giudici di gara hanno impiegato due ore per raggiungere e bloccare la muta impazzita. Avevano addentato tutto quello che trovavano sulla loro strada, correndo per i sobborghi di Anchorage. Mi pare che il bilancio finale fosse di tre gatti, due barboncini e un'oca domestica. » Scoppiarono tutti a ridere, e Anna sorrise, vedendo le rughette all'angolo degli occhi di Scott. Quanto ti amo, Scott Butler, pensò. Stava per avviarsi alla porta, quando lo vide prendere un blocco per appunti e una penna, cominciando a scrivere mentre Muktuk parlava e gli altri assentivano. Questo non è il momento giusto, pensò. È evidente che sono tutti presi dai preparativi finali per la corsa, e lui deve sapere esattamente cosa fare come assistente di Patrick, altrimenti quei cani trascineranno via lui e il fratello prima che finisca il conto alla rovescia, e saranno squalificati. Si allontanò dalla finestra a testa bassa. Quando rivedrò Scott, voglio essere sola con lui, voglio che venga a casa con me. Non posso accontentarmi di un bacio frettoloso, che è il massimo che posso sperare stasera, disse a se stessa. Vale la pena di aspettare ancora un po'. Domani devo cominciare a volare per scaricare i viveri e i cani che si saranno ritirati. Aspetterò che sia finita questa follia della partenza di Anchorage a beneficio dei media, per arrivare alla vera partenza, a Knik, e poi avrò Scott tutto per me. S'interruppe. Ne varrà la pena. 25 BUD, che ormai si era rimesso del tutto dalla grande paura della rabbia, restò sbalordito quando entrò nella Sullivan Arena, dove si doveva tenere il banchetto in onore dei musher, alla vigilia della corsa. Non si era aspettato di trovare quasi millecinquecento persone eccitate che gridavano, ridevano e bevevano tutte insieme. Un mare di facce sembrava sollevarsi e abbassarsi in sintonia con il livello del rumore nella sala. Dal mercoledì precedente l'inizio dell'Iditarod, il ritmo era accelerato fino a trasformarsi in un vortice sempre più ampio, nel quale sentiva di essere risucchiato, perdendo il controllo della situazione. Il mercoledì, a Wasilla, la squadra di Trapper si era presentata al veterinario ufficiale dell'Iditarod con il respiro corto, mentre il medico visitava e pesava uno per uno i sedici cani delle tre mute, sottoponendo ciascuno a un elettrocardiogramma. I turisti che affluivano ad Anchorage per la corsa assistevano con interesse al procedimento, assillando gli incaricati con domande incessanti. I visitatori della sede organizzativa dell'Iditarod coccolavano i cani e li coprivano di complimenti, come se visitassero una corsia di neonati. Quasi tutti gli husky gradivano quelle attenzioni, ma Shark si ribellò quando una donna grassoccia le andò incontro con andatura goffa, esclamando: «Bella cagnolina! Vieni qui, piccola». Attese che costei arrivasse alla portata dei suoi denti, poi si slanciò verso il suo braccio teso. Muktuk, che presagiva il disastro, volò letteralmente nell'aria, urtando la donna con la spalla e facendola cadere a terra prima che Shark potesse compiere il misfatto. Si scatenò una baraonda, mentre i funzionari accorrevano per placare l'ira della donna, e Muktuk ne approfittò per sganciare Shark dal paletto all'esterno del container caricato sul camion. « E così lo hai fatto di nuovo », ringhiò, rimproverandola mentre la teneva a braccio teso. « Bene, allora tornerai nel box finché il veterinario non sarà pronto a visitarti. » La rinchiuse nel piccolo scomparto riscaldato del rimorchio destinato ai cani, e subito lei insinuò una zampa nell'apertura, appoggiandovi la testa, nel tentativo d'indurre qualche ignaro appassionato della corsa ad accarezzarla. «Provaci», l'ammonì Muktuk. «Fallo una sola volta ancora, e Delilah diventerà la nuova leader della muta. Da sola. E tu potrai restare a Chugiak insieme con i cani scartati. » Shark gli ringhiò contro mentre lui si voltava per tornare dal veterinario. Nessuno degli animali fu escluso dalla corsa a causa di soffi al cuore, tumori o gravidanze ignote. Infine il veterinario inserì un microchip in una siringa ipodermica, iniettandolo sotto pelle nella collottola di ogni husky. « A che serve? » chiese Bud a Trapper. « Facilita il compito dei funzionari di gara, che ai check-point devono soltanto controllare il congegno con lo scanner, ricavandone subito la storia clinica del cane. » « Inoltre impedisce ai musher di mettere in gara dei cani freschi e riposati », aggiunse Muktuk in tono cinico. Il veterinario gli lanciò un'occhiata in tralice. «Lei ha sempre quella cagna così aggressiva?» s'informò. « Sicuro. Shark è la migliore della corsa. » «Allora le blocchi le mascelle con il nastro adesivo, quando dovrò esaminarla », disse il veterinario, guardandosi le mani. « Ogni anno mi tocca una cicatrice nuova. Comincio a essere a corto di dita. » «Incerti del mestiere», ribatté Muktuk con un largo sorriso. Il medico fece una smorfia, tornando a occuparsi dei cani di Trapper. «Che belle bestie. Spero che la pista vi sia propizia», disse, stringendo la mano a Bud, Patrick e Natû. Pazzi, pensò, passando a visitare la squadra successiva. Chiunque partecipi volontariamente a questa gara è matto. Matto da legare. Il giovedì, Bud e circa altri sessanta musher parteciparono all'incontro obbligatorio che si teneva al Regal Alaskan Hotel. Sembrava una specie di enorme e chiassosa riunione di classe, nel corso della quale i musher facevano conoscenza, si scambiavano notizie, scherzavano e ricevevano omaggi offerti dai principali sponsor della corsa. Bud si vide consegnare una borsa di tela e una serie di guanti da lavoro, che poi cedette a Patrick perché li aggiungesse alla sua riserva di materiale per l'Iditarod. Trascorsero ore intere mentre si faceva l'appello, i musher firmavano i sigilli commemorativi, pagavano la tassa d'iscrizione dovuta all'Iditarod Trail Committee e ascoltavano i discorsi tenuti da funzionari e sponsor. Bud si accorse che a un certo punto le parole diventavano prive di significato, un ronzio monotono che lo cullava come una ninnananna. Sussultò, riscuotendosi dalla sonnolenza in cui era scivolato, quando Patrick gli assestò una gomitata nelle costole. « Apri le orecchie », gli disse, « questo è il direttore di gara, che ci parlerà delle condizioni della pista. » Bud si drizzò di scatto, come se fosse stato arpionato dall'ancora di una slitta. «Buche sul ghiaccio nello Yukon. Al Rainy Pass venti forti che cancellano il tracciato. Vicino a Rohn il fiume forma una pista sassosa e difficile. » «Si direbbe una passeggiata», osservò Bud sottovoce, con un sorriso malizioso. « L'Iditarod può essere tante cose, mai una passeggiata, però», replicò un musher seduto a fianco di Patrick. «Potrete odiarla o gloriarvene, ma quando arriverete a Nome non sarete più gli stessi. » Scott annuì. Seguiva il fratello come un'ombra, senza fare commenti, ma assimilando tutto come una spugna. Quando fosse toccato a lui correre, avrebbe voluto sapere il più possibile sulla corsa più dura del mondo. Bud rimase in silenzio, sopraffatto dall'enormità dell'impresa in cui si era lanciato. Si guardò attorno per osservare gli altri musher, che sembravano eccitati ma anche rilassati. Natû si protese per stringergli la mano tra le sue. « Faremo finta che sia una corsa di allenamento», gli sussurrò. « Ricordati che non siamo qui per vincere, non siamo grossi nomi. Ce la caveremo bene. » Bud le accarezzò le dita, grato per quel contatto. Il musher seduto vicino a Patrick osservò Bud e Natû per qualche istante, poi disse: « La prima volta che ho partecipato a questa dannata corsa di pazzi ero tanto spaventato che per poco non mancavo la partenza. Non riuscivo a smettere di pisciare, e ho finito per guidare la muta alla partenza con le mutande bagnate. Ho continuato a farmela sotto fino all'uscita da Anchorage». Bud, Patrick e Scott scoppiarono in una risata fragorosa, e gli altri musher si girarono a guardarli. I veterani decisero che era l'isteria causata dal nervosismo; le matricole rimasero colpite dal fatto che qualcuno potesse divertirsi ascoltando la descrizione di quella che chiaramente era una corsa impossibile. Infine la riunione giunse al termine. Bud si fermò sotto la testa di alce impagliata nella hall del Regal Alaskan, guardando quel trofeo enorme con il grosso naso a bulbo e sorridendo a Scott. « Sembra il Pluto di Disney », commentò. « Non quando ne incontri uno vivo e aggressivo sulla pista », ribatté Muktuk. « A quel punto hai solo due possibilità: o gli cedi il passo e lo aggiri, oppure gli spari. » Natû rabbrividì, pensando alla muta che si slanciava nella foresta di abeti per evitare un alce. « Su, vieni », disse a Bud, che sembrava affascinato dalla testa impagliata. « Dobbiamo andare al banchetto delle sei per estrarre il numero d'ordine della partenza. » L'uomo si lasciò sfuggire un gemito. « L'unica cosa che vorrei fare è dormire. Queste ultime settimane sono state infernali. Mi sembra di avere corso già due Iditarod. » Muktuk sogghignò, mentre lui e Trapper seguivano Bud, Patrick, Scott e Natû all'uscita dal Regal. « Pregate perché vi tocchi in sorte una partenza tra i primi », gridò al gruppo. « Più aspetterete, e più gli animali diventeranno frenetici e il vostro cane di testa non saprà più quali pattini seguire, dato che alcuni inetti non ce la fanno neppure a uscire dall'abitato di Anchorage. Correranno su e giù per le strade pasticciando la neve che viene trasportata apposta con i camion il venerdì, per evitare che si debba partire sull'asfalto. » I visitatori che sostavano nella hall e uscivano dalla sala della riunione fissavano Muktuk, che sembrava gridare al vento, visto che i quattro giovani lo precedevano e Trapper lo ascoltava, ma senza voltarsi. «Un altro buon motivo per augurarsi una partenza tra i primi», gridò Muktuk, «è che avrete neve buona, utile per frenare e gettare l'ancora. L'asfalto non va altrettanto bene. » « Chi stai cercando di spaventare? » esclamò uno dei veterani, rivolto a Muktuk. «Sto solo cercando di tenere in forma quei ragazzi di Trapper, così non dovremo raccoglierne i pezzi sulla strada per Nome », ribatté lui con uno dei suoi rari sorrisi. Anchorage era in preda alla febbre, come un malato la cui temperatura sale fino a sfuggire a ogni possibilità di controllo. Mancava ancora qualche ora all'alba del primo sabato di marzo. Appassionati e turisti si dirigevano a piedi verso la Fourth Avenue, la strada che splendeva sotto un manto di neve alta appena disteso. La sera prima era caduta una leggera nevicata e il bianco strato sottile si sollevava sotto i loro passi, lasciando le impronte scure degli stivali sui marciapiedi cittadini. Le troupe televisive e i fotografi dei quotidiani erano già al loro posto. Gli appassionati della corsa sgomitavano per procurarsi un posto dal quale vedere ogni musher uscire dal cancello di partenza con la sua muta. Trapper seguiva da vicino i fanalini rossi del camion di Muktuk, con gli scomparti dei cani inseriti nel retro. Era ancora buio, ma in cielo aleggiava una vaga promessa di aurora. I lampioni stradali e le sgargianti insegne al neon proiettavano sulla neve colori intensi. Scott, Bud, Patrick e Natû erano stipati a fianco a fianco sul sedile anteriore. Il giorno della corsa era finalmente arrivato e, mentre Trapper seguiva Muktuk fino alla Fourth Avenue, Bud si sentì all'improvviso solo e spaventato. Il pane fritto, le uova e le spesse fette di prosciutto che aveva mangiato a colazione gli pesavano sullo stomaco irrequieto. Ora si pentiva di non avere seguito il consiglio di Trapper, bevendo soltanto acqua al banchetto della sera prima; contagiato dall'atmosfera di cameratismo e di eccitazione, aveva perso il conto delle birre consumate. «Certo che ieri sera hai abbondato un po' con i liquidi, tesoro», lo stuzzicò Natû. «Ma sono certa che l'abbondante colazione di questa mattina ti ha rimesso in sesto. » Bud trattenne un rutto. « Sì, è stata magnifica, Natû. Grazie. » Trapper guardò fuori del finestrino, fingendo di esaminare lo strato di neve sulla strada. Non voleva che Bud lo vedesse sorridere. Tutta sua madre, pensò. Sfrega del sale sulle ferite nello stesso momento in cui ti offre la sua comprensione. « Herbie è stato un asso nel sistemare i box dei cani sul retro del camion», osservò, guardando nello specchietto retrovisore. Quasi tutti gli husky dormivano, raggomitolati sulla paglia dei loro box, ma alcuni che avevano già partecipato alla corsa tenevano la testa sollevata fuori della piccola apertura, fiutando l'eccitazione che aleggiava nell'aria, più altri mille odori che soltanto il loro odorato fine poteva individuare, con la lingua rosea penzoloni e i denti scintillanti scoperti in ampi sorrisi. Ai passanti offrivano lo spettacolo di cani sul punto di essere ghigliottinati: ci si poteva aspettare di vedere la loro testa rotolare sul terreno mentre la lama calava sulla piccola apertura. Muktuk si fermò al semaforo, che proiettava sulla neve strisce rosso sangue, e Trapper lo imitò. In lontananza si sentiva il suono di altri camion e cani che abbaiavano, avvicinandosi. D'un tratto Shark sporse la testa dal suo box sul camion di Muktuk, ringhiando e abbaiando qualche oscenità canina all'indirizzo del camion di Trapper. Era infuriata con Clarke, il grosso maschio bianco castrato il cui unico difetto, secondo Patrick, era la costante esigenza di dimostrare che, pur essendo stato svirilizzato, era superiore a ogni altro esemplare del recinto. Questo causava un'infinità di ringhi e minacce. Clarke sembrava un avversario formidabile a causa della stazza, ma, come la maggior parte dei cani di grossa taglia, in realtà era gentile e affettuoso. Patrick riconobbe l'abbaiare di Clarke in risposta a Shark. «Quella cagnetta dovrebbe trovare qualcuno che la rimetta al suo posto », osservò. Trapper stava per dissentire, quando Shark ritirò la testa nel suo recinto e tornò a regnare il silenzio. Patrick amava quel grosso cane forte e brontolone, e lui ricambiava quell'amore con la devozione e il duro lavoro. Sembrava deciso a compiacerlo in ogni occasione. La muta di Trapper fece sentire la sua voce ben prima che raggiungessero la Fourth Avenue. « Sembra un incrocio tra il giorno della parata e un manicomio », osservò Scott. «Aspetta che arriviamo», lo avvertì Trapper. «Metti insieme settanta musher e più di mille cani aggressivi in una stessa zona e otterrai... » «La partenza dell'Iditarod», fu pronta ad aggiungere Natû. Aveva gli occhi scintillanti e i paraorecchie del berretto di pelo dritti come orecchie di lepre ai lati della testa. Muktuk trovò uno spazio per parcheggiare relativamente libero tra due camion, dopodiché appoggiò i piedi sul cruscotto, svolse dall'incarto un hot-dog e si versò una tazza di caffè. Sembrava del tutto indifferente alla corsa, al frastuono e alla folla. Aveva estratto il numero ventidue, e non aveva fretta d'imbragare la muta alla slitta. Shark, per esempio, si poteva agganciare alla linea di traino soltanto un paio di minuti prima della partenza. «Sì», lo sentirono borbottare in risposta a un musher che si era fermato vicino al suo camion per parlargli. « Ormai sono troppo vecchio per questa dannata corsa. Mi limiterò a venirvi dietro lemme lemme, aspettando che siate voi giovani ad aprire la strada. » Bevve un'altra sorsata di caffè, sospirando e chiudendo gli occhi. Il musher scosse la testa, allontanandosi. « Tutta scena », commentò Trapper. « Quel vecchio volpone può fare le scarpe a tutti i concorrenti. È arrivato per tre volte tra i primi cinque. Potrà anche andare a spasso, ma solo quando avrà finito la corsa. » Bud e Natû avevano avuto in sorte rispettivamente il numero tredici e sedici, e Patrick sarebbe partito tra i primi, con il numero nove. I tre balzarono giù dal camion, ansiosi di controllare per l'ennesima volta le linee di traino, da quella centrale a quelle dei singoli cani, e le slitte, anche se avevano verificato la sistemazione del carico già decine di volte. Ogni volta che avevano preparato tutto per l'ispezione finale di Trapper e Muktuk, quest'ultimo aveva scartato degli articoli extra. «Questa dannata roba di città non vi serve a niente», ringhiava. «Date ai cani tutto l'aiuto possibile. Non devono trascinarsi dietro questa attrezzatura inutile. Non siete in partenza per scoprire il Polo Nord. È stato già raggiunto! Le matricole si porterebbero dietro la mamma e la cucina a legna, se potessero fare a modo loro! » Alla fine Muktuk si era detto soddisfatto, riconoscendo che disponevano del necessario per la loro incolumità, ma non erano appesantiti da carichi superflui. Quando i cani videro i fratelli Butler, Natû e Bud scendere dal furgone Ford, si affacciarono ai loro box, tendendo la testa per quanto era possibile senza strangolarsi. Uggiolavano, guaivano e ululavano, implorando di essere liberati, ma i ragazzi, tenendo a mente il monito di Muktuk, li lasciarono dov'erano. « Sarete imbragati poco prima della partenza», disse Patrick, affondando il viso nella soffice pelliccia bianca del collo di Clarke, che gli leccò la guancia di rimando. Clarke era un grunt dog, uno di quei cani robusti posti al centro della muta; lui in particolare ne era il nerbo e il cuore, ma Patrick lo trovava intelligente e capace di eseguire i comandi, quindi a volte lo usava anche come cane di testa in coppia con Sockeye, che sembrava felice di quella soluzione. Era nato un profondo legame di affetto e di fiducia tra lui e quel robusto veterano, per il quale i giorni dell'Iditarod sarebbero dovuti finire l'anno prima. Patrick lo aveva preso con sé perché insegnasse al resto della muta, ma Clarke tirava così bene ed era così ansioso di correre che lui gli aveva assegnato un posto al centro dello schieramento. «Se si stanca posso sempre ritirarlo dalla gara», aveva detto. «Penso che meriti un ultimo tentativo per vincere l'Iditarod. » Muktuk aveva scosso la testa, sfregandosi gli occhi con le dita nodose. « Questa è una gara. Non puoi farti rallentare da un vecchio cane perché ti fa pena. » Patrick aveva serrato le labbra nella linea ostinata che Trapper conosceva, e che significava che niente avrebbe potuto fargli cambiare idea. Il ragazzo era affezionato a Clarke, e quindi avrebbe partecipato alla corsa. Il giovane ricordava bene come Trapper e Muktuk gli avessero detto che un cane che aveva corso più volte l'Iditarod aveva un valore incalcolabile, perché ricordava la pista, le rocce e i canyon anche dopo la corsa, ed era capace di seguire la pista a memoria anche quando la neve e il maltempo avevano cambiato il paesaggio, rendendolo irriconoscibile. « Presto uscirai e potrai prepararti alla partenza », mormorava ora Patrick a Clarke, che parve capire le sue parole, e uggiolò di piacere. 26 BUD deglutì nervosamente, lanciando un'occhiata al passeggero che aveva pagato il privilegio di occupare il posto sulla slitta alla partenza della corsa. Era un trivellatore alto e corpulento, che era stato tra i suoi colleghi di lavoro e amici prima che lui conoscesse Natû. Trapper, che era uno dei dieci handler, lo studiò. « Ce ne vorrebbero due come lui per trattenere questa muta», commentò. « Hanno assistito alla partenza di tutti gli altri e ora sono impazziti, in preda alla frenesia di correre. » Si girò a guardare il giovane handler che guidava la seconda slitta, dalla quale ci si attendeva che rallentasse la muta di Bud. Il giovanotto appariva allegro e sicuro di sé, mentre salutava la sua ragazza tra la folla. Ricordati che ti troverai in coda, quando questi cani «faranno schioccare la frusta » in curva, pensò Trapper. Tieniti forte, perché farai tutta una corsa fino all'Eagle River e alla seconda partenza da Knik, dove Bud dovrà lasciare te e la seconda slitta. Bud era abbastanza rilassato quando aveva assistito alla partenza di Patrick, che era stata perfetta. La muta guidata da Sockeye si comportava come se corresse regolarmente l'Iditarod. Natû non era stata altrettanto fortunata. Un appassionato sovreccitato era riuscito a superare il cordone di sicurezza proprio mentre il direttore di gara cominciava il conto alla rovescia, e il flash della sua macchina fotografica aveva innervosito il cane di razza pura che faceva da leader. Era una femmina, che era saltata in alto, uggiolando e abbaiando, e Natû non era riuscita a far sentire la sua voce a causa del frastuono della folla. Su, bella, aveva pensato. Fallo per me, calmati. Preparati a tirare. Oline, fa' che mi ascolti. Come se ascoltasse Natû, il cane si era tranquillizzato, e alla fine del conto alla rovescia lei era pronta a partire. Tirò un sospiro di sollievo. Le slitte venivano fatte partire a intervalli di due minuti, e lei non voleva farsi squalificare prima della partenza lanciata dal direttore di gara. Era in momenti come quelli che rimpiangeva di avere ceduto a Patrick il suo cane preferito, Sockeye, ma all'inizio lui aveva così poco, mentre lei sapeva che con la sponsorizzazione di cui godeva poteva permettersi di scegliere dei cani di testa ben allenati. Dopo lunghe riflessioni e controlli sulla genealogia canina, aveva scelto una piccola femmina grigia chiazzata di bianco; sembrava che fosse caduta in un barattolo di vernice. Si era innamorata all'istante di Natû, e scacciava qualunque altro cane tentasse di avvicinarsi a lei per farsi coccolare. « Quel cane ti sta attaccato come uno straccio unto », l'aveva stuzzicata Bud un giorno, e così la cagnetta era stata battezzata Oily, «untuosa», e fino a quel momento aveva tenuto fede al suo nome. Bud dispose la muta, camminando lungo la linea di traino centrale e accarezzando i cani uno per uno. Gli spettatori avevano l'impressione che stesse rassicurando gli husky, mentre, in realtà, tentava di calmarsi. Anna si fece largo tra la folla a gomitate, scostando una donna che sfoggiava un copricapo ricavato dalla testa impagliata di un lupo. « Che manicomio », brontolò Anna. « Peggiora ogni anno. Non sono sicura se sia la partenza di una corsa vera o una festa rave in maschera. » La telecamera inquadrò con uno zoom la donna con il copricapo a forma di testa di lupo, poi il cameraman notò Anna che tentava di aggirare la donna e, lanciando un fischio sommesso, puntò l'obiettivo su di lei, trovandosi un posto vicino al cancello della partenza. Lei aveva seguito con gli occhi Patrick e Scott, tenendosi a distanza. Mi domando se per Scott conterò mai tanto quanto Patrick, pensò mentre osservava i due fratelli che imbragavano i cani e controllavano la slitta. Le lacrime le salirono agli occhi quando Scott gettò le braccia al collo di Patrick e lo strinse con forza. Lui disse qualcosa che lo fece ridere, spingendolo a lanciare poi un'occhiata tra la folla, e Anna vide lo scintillio malizioso negli occhi di Scott, mentre tornava dal fratello, gli prendeva la testa tra le mani e lo baciava sulle guance. Patrick arrossì, assumendo un'espressione imbarazzata. « Non metterci troppo tempo. Ricordati che ti aspetto », Scott gridò forte al fratello già avvilito. La folla fischiò e applaudì i ragazzi. Anna sorrise, aspettando che avanzassero fino all'altezza del cancello di partenza prima di trovare un posto dal quale poteva seguirli mentre correvano per pochi isolati in linea retta, prima di dover svoltare imboccando una traversa per uscire dalla capitale impazzita. Di lì avrebbero raggiunto le statali alberate, costeggiandole fino al punto d'incontro con il loro camion e i loro handler, poco lontano dall'Eagle River, da cui avrebbero proseguito per la « nuova » partenza presso Wasilla, aggirando così le acque aperte dei fiumi Knik e Manastuka. Anna accarezzava ancora l'idea di una riconciliazione privata con Scott. Quando i due si furono allontanati, cominciò a farsi largo verso la linea di partenza. Riuscì a vedere soltanto di spalle Natû e la sua muta che sfrecciavano lungo il viale, ma era decisa ad augurare buona fortuna a Bud, perché sentiva che la vera matricola era lui, che aveva bisogno d'incoraggiamento. Spinse all'indietro il cappuccio del parka. Claire le aveva indicato i numeri di partenza della squadra di Trapper, e lei aveva deciso di decollare soltanto dopo che Bud fosse uscito dal cancello. Li ritroverò prima o poi lungo la pista, si disse. Il sole che stava sorgendo dissipò il manto scuro che oscurava la splendida corona di montagne che circonda Anchorage, scoprendo come un mago le cime incappucciate di neve scintillante come zucchero filato. Il paesaggio sembrava in attesa di un applauso, ma Bud era cieco alla sua bellezza. « Tredici ! » Bud rimase paralizzato. Era il suo numero. Ormai non poteva più tornare indietro. « Su, forza », lo incitò Trapper. « Prima riusciamo ad allontanare i cani dalla folla e dalla musica, più saranno tranquilli. » Gli handler si avvicinarono per trattenere gli animali. White-Out aveva dimenticato di essere una creatura a quattro zampe, e danzava come un cane ammaestrato di un circo. Aveva la lingua che pendeva dalla bocca aperta e roteava gli occhi spiritati. La muta seguiva il suo esempio. Bud vide i piedi degli handler sollevarsi da terra mentre si sforzavano di tenere gli husky al loro posto fino al termine del conto alla rovescia. Anna sorrise con dolcezza a un funzionario che teneva indietro la folla. « Mio fratello correrà l'Iditarod per la prima volta », gli disse. « Devo avvicinarmi per augurarg li buona fortuna, altrimenti da qui non potrà sentirmi. » Era fatta. Il giudice di gara le permise di raggiungere Bud, che era paralizzato dal terrore sui pattini della slitta. « Che la pista ti sia propizia, Bud », gli gridò. « Ti facciamo tutti tanti auguri. » Bud sorrise, alzando una mano in un rapido cenno di saluto, ma l'abbassò subito dopo. Il viso di Anna gli era familiare, ma aveva la mente appannata e non sarebbe stato in grado di dire né il suo nome, né quale rapporto avesse con la famiglia. Si piegò sulle ginocchia per assorbire lo scossone quando la slitta avesse cominciato a correre sulla strada, coperta da un leggero strato di neve. I pattini di plastica lo avrebbero lanciato sulla scia dei cani come una foglia secca al vento d'autunno. Il conto alla rovescia continuò inesorabile come il procedere del tempo. Bud si leccò nervosamente le labbra. « Dannati lupi », disse a bassa voce. « Quando sono eccitati, credono di andare ancora a caccia di caribù nella tundra. » Scosse la testa, rafforzando la presa sull'handle bar. « Nessuno è mai riuscito a estirpare in loro la natura selvaggia, per quanto dica Natû. » « Tre », annunciò il direttore di gara, e i cani cominciarono a tendere le linee di traino. « Due. » Ma guardalo, quel cane da diecimila dollari che dovrebbe guidare la muta. Balla in cerchio come un orso ammaestrato. «Uno. Via! » White-Out partì, dando l'impressione di non toccare neppure il terreno con i piedi mentre si lanciava lungo il viale. La potenza di traino dei sedici cani impazziti per la frenesia era impressionante. Bud serrò i denti e si aggrappò alla slitta con aria truce. Gli scorrevano davanti figure indistinte, parole che volavano via nel vento. Era cosciente soltanto di dover restare a bordo della slitta che stava lasciando Anchorage, preferibilmente in piedi, invece di lasciarsi trascinare bocconi lungo la Fourth Avenue. Aveva osservato la matricola che lo precedeva aggrapparsi disperatamente alla corda del cancelletto di partenza finché i funzionari non erano riusciti a fermare e trattenere la sua muta, consentendogli di risalire sulla slitta. «Soltanto qualche isolato, poi la svolta a destra, sulla traversa, e attenzione all'incrocio tra Cordova Hill e Sixteenth Street, oltre che al tunnel della East Twentieth», mormorò, ripetendo le istruzioni di Muktuk mentre si teneva aggrappato all'handle bar e i cani correvano come lupi famelici. Bud lasciò che White-Out seguisse le piste ciclabili della cintura verde cittadina di Chester Creek, correndo in direzione parallela alla statale Glenn e puntando verso il secondo checkpoint sull'Eagle River, dove i cani sarebbero stati caricati sui camion per la nuova partenza, presso Wasilla. « Ho fiducia nel mio cane di testa, Trapper », disse a voce alta, « anche se devo essere pazzo. Se continua così per tutta la strada fino a Nome, dovrò ritirarmi, oppure mi staccheranno da questa slitta a forza, una volta instaurato il rigor mortis. » Allentò per un attimo le dita, poi serrò nuovamente l'handle bar in una stretta mortale. «Se riesci ad arrivare ancora in piedi nel punto dove Trapper e gli altri ti aspettano, vuol dire che ce la farai », urlò a se stesso mentre la muta guidata da White-Out, che ormai Bud giudicava del tutto folle, sfrecciava lungo i sentieri laterali verso la fermata prima dell'Eagle River. Di tanto in tanto Bud gridava: «Gee», oppure: «Hau», tutti ordini che White-Out ignorava. Il cane gli lanciò un'occhiata di sopra la spalla, roteando ancora gli occhi, e Bud ebbe l'impressione di veder scintillare in quello sguardo un bagliore dell'antico retaggio dei lupi. Serrando i denti, pregò che White-Out rallentasse l'andatura massacrante che aveva imposto alla muta. «Alt! » gridò. Le ampie spalle dell'husky s'incurvarono e le zampe si tesero, mentre continuava a macinare chilometri. « Alt, lupo maledetto, pazzo furioso. Alt! » Con suo grande stupore, d'improvviso White-Out rispose all'ordine e rallentò. La linea di traino si allentò e il resto della muta smise di abbaiare. Bud staccò cautamente le dita dall'handle bar e abbassò il freno, non avendo la minima fiducia nel fatto che White-Out sarebbe rimasto immobile mentre lui si massaggiava le mani per alleviare i crampi. Si asciugò gli occhi con il dorso del guanto, liberandoli dalle lacrime provocate dal vento sferzante. Quando gli si schiarì la vista, comprese per quale motivo il cane si era fermato. Muktuk, Trapper, Patrick e Natû erano impegnati a scaricare dai camion i box per gli animali, che erano stati sfamati e sembravano felici di accovacciarsi sui loro letti di paglia. « Salve», gridò Patrick. « Divertente, non è vero? » Bud si limitò ad annuire, ma smise di massaggiarsi le dita. «A parte il frastuono e le macchine fotografiche», ribatté Natû. Si diresse verso Bud, alzandosi in punta di piedi e baciandolo, prima di sussurrargli all'orecchio: «Sono orgogliosa di te. Due matricole si sono già ritirate. Non sono neanche riuscite a lasciare Anchorage, e ho sentito dire che una è ricoverata in ospedale, con le costole rotte e una probabile perforazione a un polmone. » Bud l'abbracciò, tenendola stretta, poi la guardò mentre si allontanava per inginocchiarsi vicino a White-Out. Tenendo tra le mani la testa del cane, gli sfregò la guancia sul naso. «Ben fatto, ragazzo. Lo sapevo che avresti portato la muta sana e salva fin qui. » Con stupore di Bud, l'husky le posò la testa sul ginocchio, guardando in su con i suoi occhi dolci e gentili. Il lupo selvaggio e folle era scomparso: il leader della sua muta si comportava come un gattino. Bud passò oltre per salutare Trapper e Muktuk, resistendo all'impulso di piazzare un colpo con lo stivale sotto la coda di White-Out, quando gli passò vicino. «Guitto da strapazzo», brontolò, «racconta a Natû quello che hai fatto veramente. » « Non ha fatto altro che portarti qui », ribatté lei, difendendo l'animale. « Vuoi dire che ho pagato diecimila dollari perché il cane mi portasse quaggiù lanciandosi in una corsa folle? » protestò Bud. « Quale corsa folle? » interloquì in tono burbero Muktuk. « Questa è stata una passeggiata. Allegro, Bud, dopo i primi millecinquecento chilometri diventa più facile. » Bud cominciò a rilassarsi, raccontando la partenza da Anchorage. « La slitta ha toccato terra soltanto due volte, lungo la discesa da Cordova Hill. Attraversando la strada ho chiuso gli occhi e ho pregato che la polizia avesse bloccato il traffico », disse a Natû. « La mia seconda slitta con l'handler volava dietro di me come una bandiera al vento. » Lo scroscio argentino di risa di Natû lo rilassò del tutto, e Bud continuò a descrivere il tragitto fino all'Eagle River, sempre calcando le tinte. « Com'è la nuova partenza da Wasilla? » chiese poi in tono apprensivo, masticando una ciambella alla marmellata e mandando giù con gratitudine sorsate di caffè caldo. « Più tranquilla », rispose Trapper. «Più facile del percorso a rompicapo necessario per uscire da Anchorage », aggiunse Natû, notando per la prima volta la tensione sul volto del marito. Correrò con lui fino a Skwentna, pensò. Probabilmente White-Out lo sta mettendo alla prova: sarà un test di dominanza tra maschi. Aiuterò Bud a rammentargli che lui ha quattro zampe e fa parte di una muta; che non è al posto di comando e non può fare giochi di potere con il suo musher. «Alla nuova partenza vengono ad assistere soltanto gli appassionati più tenaci », continuò. « È meglio. » « Quanti saranno? » « Da dieci a quindicimila, si dice. » « Gli altri restano ad Anchorage a curarsi i postumi della sbornia presa al party organizzato il giorno della partenza », intervenne Muktuk. Bud riuscì a sorridere. «Da Knik in poi saremo soli. A volte avrai voglia di vedere gente e di sentire un po' di rumore, se non altro per tenerti sveglio », aggiunse il veterano. «Inoltre perderai la zavorra», disse Trapper, «visto che la seconda slitta con l'handler dovrà restare qui, ma prenderai quella più pesante con tutta l'attrezzatura regolamentare e ti adatterai al ritmo della corsa. » Bud avrebbe ricordato quelle parole, mentre si sforzava di raggiungere il checkpoint di Rohn. 27 SCOTT uscì con il camion dal parcheggio per dirigersi verso la casa di tronchi dei Damas, a Chugiak. Nella luce purissima del mattino i monti si stagliavano sullo sfondo del paesaggio come un vezzo di perle barocche dai riflessi cangianti, bianco, crema e rosa. Scott si sentiva solo e abbandonato, come un bambino rispedito in collegio dopo l'eccitazione delle vacanze estive. La capanna sembrava più piccola, derelitta come gli husky legati ai paletti fuori dei box. « Va tutto bene, ragazzi », disse in risposta ai lamenti lugubri che lanciarono nel vederlo. « So benissimo come dovete sentirvi. Per poco non ululavo anch'io, alla partenza, quando Patrick se n'è andato con Sockeye. Ma adesso arrotate bene i denti, vi darò da mangiare. » Trascinò fuori il sacco colmo di alimenti secchi per cani, allineando le ciotole. Mentre andava a far bollire l'acqua, si chinò per accendere il televisore. «Tanto vale vedere chi è partito slittando sul didietro, anziché in piedi », sussurrò, come se parlando da solo potesse infondere un po' di vita nella capanna. Si spostò in modo metodico tra il fornello e le ciotole, lanciando di tanto in tanto un'occhiata alla folla urlante sullo schermo. Allontanandosi dal fornello con una pentola di acqua bollente in mano, fu colpito da una testa di lupo trasformata in berretto invernale, e si fermò per osservarla meglio. Era grottesca. La lingua del lupo penzolava sulla fronte della donna che la indossava, mentre i denti bianchi erano scoperti e rivolti al cielo. « Oh, Dio mio », mormorò Scott con un brivido. Stava per allontanarsi e cominciare a mescolare il cibo nelle ciotole per farlo raffreddare, quando una donna che indossava pantaloni pesanti neri e un parka rosso ciliegia si fece largo, spingendo da parte la testa di lupo. «Anna...» Scott si sedette a gambe incrociate sul pavimento, davanti al televisore. La telecamera puntò sul viso di lei, e il ragazzo ne studiò ogni linea e ogni curva. Il suo volto fu illuminato da un sorriso. La donna che amava non era rimasta nei « 48 giù in basso ». Era tornata per la gara. Natû aveva ragione: niente avrebbe potuto impedirle di volare per l'Iditarod Air Force. « Se è qui, la vedrò », si disse, alzandosi in piedi mentre la telecamera tornava a inquadrare i cani e il musher in attesa alla partenza. Di colpo il parka rosso tornò a essere inquadrato. Anna stava dicendo qualcosa al musher, che era Bud. Gli husky strattonavano gli handler come se volessero andare a sbranare le pernici che avevano stanato. Scott guardò Bud che salutava con la mano la donna prima di tornare a incollarsi alla slitta. Era ancora in piedi sui pattini, percorrendo la Fourth Avenue, quando la telecamera tornò a inquadrare il concorrente successivo. «A quanto pare, Muktuk ha perso la scommessa», esclamò Scott con un gran sorriso. Infatti il veterano aveva scommesso con Trapper due pelli di volpe e una di orso che Bud non sarebbe riuscito neppure a uscire da Anchorage. « Sembra sicuro di sé, e i suoi cani corrono come lupi, e veloci, per giunta. Muktuk farà bene a preparare quelle pelli, perché Trapper esige sempre i suoi crediti. » Scott abbandonò la preparazione del cibo per i cani e corse invece al telefono. «Quartier generale dell'Iditarod, Wasilla», rispose una voce femminile in tono stanco. C'era tanto fracasso in sottofondo che Scott stentava a sentirla. Stava spiegando che era un amico di Anna Mclnnes, una dei piloti dell'Iditarod, e doveva mettersi urgentemente in contatto con lei, quando sentì il suo sospiro esasperato. La volontaria al centro organizzativo dell'Iditarod aveva una pila di messaggi sulla scrivania e una lista di persone alle quali telefonare, senza contare che la testa le martellava. Non desiderava altro che un po' di pace e di silenzio. « A quanto pare, lei dimentica che stiamo organizzando una corsa, qui. Non dirigiamo un club per single. » La voce della donna era salita di tono, fino a diventare uno strillo acuto, che attirò l'attenzione di Claire mentre passava vicino al banco della sala centrale per raggiungere il suo ufficio. « Chi è? » domandò. « Un giovanotto che cerca uno dei nostri piloti. » « E quale? » « Anna Mclnnes, chiunque sia. » Claire tese la mano verso il telefono. « Salve, sono Claire, un'amica di Anna. Qual è il problema? » Scott si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Si era aspettato di sentire il tonfo del ricevitore abbassato con rabbia. Claire parlò a lungo, e lui si affrettò ad annotare date e orari più in fretta che poteva. « Qui la situazione cambia rapidamente, quindi le informazioni che le ho dato potrebbero essere superate già all'ora di pranzo », concluse la donna. «Grazie di avermi prestato ascolto», le rispose Scott. « Quando vede Anna, le dica per favore che sono alla capanna di Bud e l'aspetto. » « Va bene. » Claire attaccò con un sorrisetto, scaricando sulla sua scrivania la bracciata di cartelle che portava. « Alla faccia tua, Double Dick », sussurrò. « È venuta l'ora della resa dei conti. » 28 Natû guardò Bud e la sua muta che correvano davanti a lei. I gatti della neve avevano preparato bene la pista che si snodava lungo il fiume Yentna. La muta di Bud deve superare la velocità di trenta chilometri l'ora, pensò Natû, osservando la facilità con la quale la sua riusciva a mantenersi al passo. Aveva temuto quella replica del viaggio fatto con Patrick, pensando che la memoria l'avrebbe riportata nella foresta di abeti e lei avrebbe rivissuto il gelo, il terrore e la sofferenza provati quando l'urto le aveva strappato dal ventre il bambino che aspettava. Ma quel giorno il tempo era splendido, il sole brillava in un cielo color pervinca, e per la prima volta, da mesi, lei aveva la sensazione di poter toccare con la mano il silenzio. In quella natura selvaggia non c'erano automobili, telecamere e folle di persone, ma soltanto una manciata di musher sparsi su una superficie pari alla metà dello Stato dell'Alaska. « Ti ringrazio, Kiluk », pensò. « Se non avessi dato retta al tuo consiglio, avrei parlato a Bud del bambino che avevo perduto, e non sarebbe felice e rilassato com'è adesso. Probabilmente lui e Trapper avrebbero tentato d'impedirmi di correre quest'anno, e mi sarei persa questa giornata meravigliosa. » Al checkpoint di Yentna trovarono Patrick, che aveva già superato il controllo e si era allontanato per risparmiare tempo, raggiungendo la tenda posta in un luogo disabitato, secondo un suggerimento dato loro da Muktuk. Natû e Bud andarono a passare il controllo, mentre il giovane Butler portava l'acqua attinta dal foro che aveva inciso nel ghiaccio del fiume. I tre novellini della corsa si concessero una breve pausa dopo avere superato il controllo e distribuito degli spuntini ai cani. « Da qui a Skwentna c'è un territorio pericoloso per via degli alci », osservò Patrick, senza guardare Natû. « Penso che sarebbe meglio se io corressi per primo e Bud facesse da retroguardia, visto che noi due siamo armati. » Lei si limitò ad annuire. Patrick aveva accettato di non dire niente a Trapper o a Bud dell'alce che aveva sospinto la muta di Natû fuori della pista. Durante la preparazione della corsa, l'incidente pareva dimenticato, e neppure Muktuk aveva accennato all'animale. « Penso che Bud e io faremo una sosta di ventiquattr'ore nella capanna di Rohn », annunciò Natû, controllando le linee di traino dei cani e le slitte prima della partenza dalla tenda desolata e solitaria del checkpoint di Yentna. «Buona idea. Ci vorrà un po' di riposo dopo quei tre punti critici: l'Happy River Canyon, il Rainy Pass con la Dalzell Gorge da superare proprio ai piedi del Rainy e la corsa fino al checkpoint di Rohn », rispose lui. « Io voglio vedere come corrono i miei cani dopo il tratto della Dalzell Gorge, che è lungo poco più di trenta chilometri. Forse potrei proseguire prima di fare una sosta, aspettando che abbiano davvero bisogno di riposo », disse Patrick. « D'accordo. Ci vedremo a Rohn », replicò Bud, allegro. «Qualcuno ha visto Muktuk?» chiese all'improvviso Natû. « Ho sentito alla radio che sta facendo una buona corsa e pare che riuscirà a entrare nella rosa dei primi venti. Quest'anno guadagnerà qualche premio », gridò Butler mentre lanciava alla muta il comando della partenza. Bud scoppiò a ridere. «Avanti! » Patrick sembrava in grado di ricordare la pista come gli husky, perché guidò senza esitare Natû e Bud al checkpoint di Skwentna. La ragazza guardò la casa degli Owens, che le sembrò vecchia e abbandonata. Le finestre erano sbarrate da assi inchiodate per impedire il passaggio agli orsi in vena di razzie, e non c'era un filo di fumo nell'aria gelida, a dare il benvenuto ai visitatori. Sapeva che avrebbe rivisto Kiluk e Herbie Owens nel villaggio di Safety, oppure a Nome, quando gli abitanti della città si univano ai musher stanchi in un'interminabile festa mista di eccitazione e sollievo; eppure fu assalita dalla nausea nel ricordare l'ultima volta che era stata in quella capanna, in compagnia di Patrick e Muktuk. « Quella storia è finita », si disse. « Ora concentrati sulla corsa. » Quando raggiunsero l'abitato, Bud ansimò e fermò la muta: di fronte a lui, a protezione dell'accesso all'interno del paese, sorgeva la catena dell'Alaska. I monti s'innalzavano fieri, alti e acuminati come denti di squalo nella luce limpida. «Impossibile», sussurrò, rendendosi conto che quella era la formidabile barriera che cingeva il temibile interno dell'Alaska, con il freddo spaventoso che si associava a quelle parole. « Sì, sono bellissime, vero? » ribatté Natû felice. « Siamo fortunati, Bud: da queste parti le previsioni indicano 'pista impraticabile', ma a quanto pare sfuggiremo alla neve alta. » Sentendo la voce della donna, Oily girò la testa per guardarla, abbaiando piano. «Hai ragione, piccola mia. Proseguiremo appena saremo stati registrati. È una fortuna per te che le nevicate siano in ritardo. Ti perderei di vista, in cinque metri di neve soffice.» Si abbassò per accarezzare l'animale, poi dovette ripetere la procedura con tutti i cani della muta. Vega, che correva dietro Oily, leccò la neve dal passamontagna di Natû, prima di passarle sul naso la lingua calda, e allora la ragazza abbracciò la femmina che aveva guidato la muta dal ricevimento di nozze al Captain Cook Hotel fino alla loro capanna di tronchi. L'aveva inserita nella muta su consiglio di Trapper. L'husky correva bene, e tra loro si era stabilito subito un intenso legame di fiducia e affetto. Una volta stabilito l'ordine gerarchico, Oily aveva accettato Vega, ma pretendeva ancora di essere coccolata per prima. Quando si furono sistemati, Natû trovò il marito impegnato in una conversazione con uno dei musher che si erano fermati alla tenda. « Ho appena saputo che l'Happy River Canyon è meglio, quest'anno. Gli uomini che guidano i gatti della neve e preparano la pista hanno costruito un argine di neve su un lato», annunciò Bud appena entrò Natû, passandole un braccio intorno alla vita. «Meglio di che? Dell'inferno?» ribatté un musher dai capelli brizzolati seduto sulla sua slitta a masticare un pezzo di carne secca. « Da quella dannata discesa si viene giù così in fretta che ci si ritrova su quella parete di neve senza neanche accorgersi che c'è. » Natû scrutò il musher, segaligno e rinsecchito come la carne che stava masticando. « Quante volte ha corso l'Iditarod? » gli domandò. « Questa è la settima volta. C'è chi ha fortuna e chi no », rispose in tono tetro. «Mi terrorizza al punto di farmela sotto, ma adoro questa corsa infernale. Non prendo droghe, non fumo, ma l'Iditarod è un vizio cui non so rinunciare. Mi chiamo Short Seppa », concluse, alzandosi in piedi e tirando su la cintola dei pantaloni. Natû e Bud lo guardarono mentre si ficcava in tasca la striscia di carne secca masticata a metà, accarezzava i cani e lasciava il checkpoint diretto verso quello successivo, presso il Finger Lake, che era ghiacciato. « Cercate di raggiungere l'Happy quando sarà già buio », consigliò loro Short Seppa nel congedarsi. «Perché? » chiesero i due, all'unisono. « È meglio se non potete vedere dove andate. » Natû si strinse nelle spalle. «Ci arriveremo ben prima del buio », disse al marito. «Potremmo sempre chiudere gli occhi», replicò lui scherzando. La ragazza gli sorrise. Ancora una volta si compiacque di avere dato ascolto a Kiluk. Bud era felice nella sua ignoranza, e il vigore della sua razza la aiutava a cancellare anche gli ultimi sensi di colpa. La catena montuosa più alta dell'America settentrionale appariva meno imponente, rivestita delle morbide sfumature color carne del sole al tramonto, eppure Bud si sentì serrare i muscoli dello stomaco quando alzò la testa verso le vette che incombevano su di loro. Con la fantasia, vide Natû e se stesso come minuscole formiche nere impegnate nel tentativo di arrampicarsi su una tovaglia inamidata che pendeva, ricadendo a pieghe, fino al pavimento. La sua mente era ancora tutta presa dall'assurdità di valicare le montagne con una muta di cani impazziti per l'eccitazione, ancora freschi e desiderosi di correre. Abbassò lo sguardo dalle cime imponenti appena in tempo per vedere Oily svanire. Un momento prima stava tirando la linea di traino, guidando con energia la muta di Natû, un momento dopo non c'era più. In pochi minuti parvero svanire come se nel ghiaccio marino si fosse aperto un corridoio d'acqua che li avesse inghiottiti. «Natû! » gridò. Le montagne silenziose e accigliate lo schernirono, rinviandogli il richiamo senza rispondere. «Alt! » gridò alla sua muta. «Alt! » Ma nel giro di pochi secondi White-Out seguì Oily, trascinando la slitta e Bud sull'orlo dell'abisso. Prima di precipitare incontro a quella che gli pareva una morte certa, l'uomo guardò il canyon che scendeva quasi in verticale verso il fiume sottostante. La maestosità delle montagne riduceva il fiume Happy a un semplice filo di cotone argenteo che serpeggiava tra le ombre gelide e cupe. Bud non ebbe il tempo di cercare con gli occhi Natû, perché sentì i suoi piedi perdere contatto con il terreno, appena la muta entrò nel canyon. I cani tentavano disperatamente di trovare un appoggio sulla pista stretta che costeggiava l'orlo di uno strapiombo roccioso. La folle corsa in discesa, con due ampi tornanti, mise a dura prova la volontà di Bud di proseguire la gara. Provò per la prima volta l'emozione che avverte una donna che deve partorire quando cominciano le doglie: terrore allo stato puro, abbinato alla consapevolezza che l'evento è inevitabile. Ormai la corsa era cominciata, e niente poteva fermarla. L'uomo serrò gli occhi e tese i muscoli, aggrappandosi all'handle bar. Il suo corpo rimbalzava contro le rocce, trascinato dietro la slitta lanciata a precipizio, ma lui non sentiva e non vedeva i massi. Pregava soltanto che quella corsa oscillante, selvaggia e incontrollata finisse presto. Dopo quella che gli parve un'eternità, si ritrovò lungo disteso sul fiume gelato, con i cani che formavano un groviglio, saltando e azzannandosi davanti alla slitta. Si rimise in piedi, tutto dolorante, alzando lo sguardo verso quella discesa a capofitto di centocinquanta metri. « Questa sì che è una corsa, vero? » Girandosi di scatto, Bud vide la moglie in piedi sui pattini della slitta, con i cani protesi in avanti, pronti a correre. « Ti sei fatta male? » le chiese. « No. Probabilmente qualche livido, ma la tuta imbottita mi ha risparmiato il peggio. » Natû si domandò se fosse saggio dire a Bud che aveva assistito inorridita alla sua caduta libera, certa che sarebbe rimasto ucciso. Quando la tua voce interiore parla, dalle ascolto. Sentì nitidamente le parole di Trapper. E quella voce le suggeriva di non incrinare la fiducia di Bud in se stesso, ma di lasciargli godere la corsa e fargli credere che stava guidando bene i cani. « Hai superato il canyon come un campione olimpionico di discesa libera», esclamò, ricacciando indietro la paura che provava per l'incolumità del marito per il resto della corsa. « Mi chiedo dove sarà Patrick », disse Bud, tentando di controllare il respiro. «Probabilmente sarà già arrivato alla capanna di Rohn e sarà steso su una delle brandine », rispose Natû. Attese con pazienza che il marito riportasse l'ordine nella sua muta. I cani dovevano rispondere a lui, come maschio dominante, quindi lei non poteva interferire. White-Out si stava dimostrando un buon leader; si sforzava di tendere la linea di traino centrale mentre Bud districava gli altri husky, cercando di tenersi lontano dalle loro mascelle mentre scattavano gli uni contro gli altri. « Sembri una vecchia signora che cerca di sbrogliare una matassa di lana », osservò ridendo Natû mentre lui camminava avanti e indietro lungo la fila, cercando di riprendere posizione. Bud abbozzò un sorriso fiacco, massaggiandosi la schiena. « Già, e io mi sento proprio una vecchia signora. » « Cercheremo un medico appena arrivati al check-in del Rainy Pass », replicò allora Natû, preoccupata. E correrò per il resto della gara al tuo fianco. Non intendo rischiare di perderti, aggiunse in silenzio, rinunciando alla possibilità di ottenere un piazzamento. Il Rainy Pass. Quel nome faceva venire la nausea a Bud. Tutti lo avevano messo in guardia nei confronti degli orrori che lo attendevano nell'ascesa di circa novecento metri, per non parlare della famigerata discesa di una trentina di chilometri lungo la Dalzell Gorge, mentre nessuno gli aveva parlato dell'Happy River Canyon: evidentemente pensavano che non fosse neanche degno di essere nominato, in confronto alla gola. Il fruscio dei pattini segnalò a Bud e Natû la presenza di un altro musher. Era una donna infagottata in una tuta giallo primula. «Com'è arrivata silenziosa», le disse Natû salutandola. «Già, come la paura nella natura desolata», ribatté la musher. « Sono parole di Keats, un poeta inglese. Ma ormai è morto. Mentre corro, imparo poesie a memoria. Mi aiuta a restare sveglia e fa un grande effetto ai miei amici», spiegò con un'alzata di spalle. Natû osservò la donna, che era di corporatura minuta; persino infagottata nella tuta artica aveva un'aria fragile e vulnerabile. Gli occhi erano nascosti dagli occhialoni scuri e il viso era arrossato e infiammato dal morso del vento, ma il sorriso era caldo e contagioso. Se partecipa alla corsa dev'essere un tipo tosto, pensò Natû. È lo spirito, non la taglia, a farti raggiungere l'arco, e questa bambolina sembra piena di temperamento. « Salve a tutti e due. Mi chiamo Violet, Vio per gli amici. » Tese la mano chiusa nella muffola, e Natû fece una smorfia nel sentire la sua stretta energica. Vio non ha soltanto dello spirito, pensò; non deve avere problemi a guidare una muta di husky. Probabilmente li solleva di peso come cuccioli. « Salve », le rispose. « Bud e Natû Damas. » Vio si morse le labbra, che erano già profondamente screpolate. « Sì, ho sentito parlare di voi. Si scommetteva se la BP vi avrebbe sponsorizzati o no. Mi fa piacere che abbia deciso per il meglio. Penso che ce la farete. » La coppia sorrise. Sulla pista, faceva piacere parlare con qualcuno. La donna cominciò a controllare i cani e le linee di traino. « Ho impiegato un'ora per mettere insieme l'attrezzatura e risistemare la slitta. Sono venuta giù dall'Happy River Canyon come una calza di Natale che veniva svuotata.» Osservò le mute di Bud e Natû. « A quanto pare, voi due ve la siete cavata bene», osservò. Si limitarono ad annuire. « Fate attenzione al Rainy Pass. La salita è peggio della discesa, checché ne dicano. Quando arrivate a Dalzell, chiudete gli occhi e recitate una preghiera. Se siete ancora lì quando li riaprite, vuol dire che la supplica ha funzionato. » E con un cenno di saluto della mano guantata se ne andò, una minuscola figurina gialla nel deserto bianco. «Guarda», sussurrò Natû, indicando a nord il monte Denali, sei volte più alto delle cime che svettavano accanto a lui: sembrava ergersi a testa alta nel sole, come se si gloriasse dei suoi raggi al tramonto, che striavano di venature color pesca e melone le sciarpe di neve dal candore intatto avvolte intorno alla montagna. Bud si fece ombra agli occhi, perché il Denali era abbagliante. « Mi sembrava bellissimo quando lo vedevo incorniciato dalla finestra della nostra capanna», mormorò. «Ma da qui... » Allargò le braccia, come se fosse rimasto senza parole. Oily abbaiò di nuovo, ma stavolta in modo insistente. «Va bene, andiamo», gridò Natû, e la sua muta sfrecciò lungo il fiume come se avesse appena ricevuto il via della corsa. Bud scosse la testa. « Sei davvero un osso duro », esclamò con ammirazione, poi serrò la presa mentre White-Out interpretava l'ordine di Natû come se comprendesse anche la sua muta. La Dalzell Gorge apparve come un incubo nel bel mezzo di un sogno meraviglioso. Bud scorse Natû mentre costeggiava in curva una stretta cengia di ghiaccio posta sul limite di un torrente impetuoso, che sembrava intenzionato a svellere i giganteschi massi umidi con la forza inesorabile di una valanga. La sua muta parve considerare la gola una sfida, come se procedere a serpentina da un lato all'altro del fiume impetuoso, su ponti di ghiaccio o tronchi isolati, non turbasse affatto i cani. Slittarono in discesa aggirando macigni alti una decina di metri e scivolarono sulla cengia di ghiaccio che serviva da sentiero, sempre con la lingua penzoloni e la coda ritta. White-Out sembrava deciso a stabilire un record di velocità per Dalzell, guidando la muta su un ponte largo appena la metà della slitta. Sentendosi sballottare da una roccia all'altra, Bud comprese per quale motivo Dalzell fosse una delle parole che ricorrevano più spesso nei discorsi di chi parlava dell'Iditarod, di solito accompagnata da aggettivi piuttosto coloriti. «Venti chilometri», mormorò. «Questo inferno dura solo venti chilometri, o sono trenta? Trenta. Venti. Trenta. Venti. » Ebbe l'impressione che quei numeri costituissero un ronzio esasperante. Gli sembrava che il cervello gli stesse per scoppiare, ma non cessavano di vorticargli nella testa. D'improvviso White-Out si fermò. Poco più avanti, la muta di Natû lottava per risalire un argine di neve. « Avanti, Oily. Su, ragazza mia », incitava la donna, mentre il cane di testa si sforzava di uscire dalla pozza di acqua gelida che si era aperta di colpo sotto il loro peso, appena dissimulata da un sottile strato di neve. Bud rimase a guardare, impotente, mentre Natû aggirava di corsa la pozza d'acqua nera, trascinando gli husky sul terreno solido. Temeva che, se l'avesse aiutata, lei sarebbe stata squalificata dalla gara. Vega tentò di seguire Oily, ma Natû l'aveva messa al centro della muta per offrirle la possibilità di cambiare posizione e riposare un po'. Gli husky annaspavano freneticamente per sfuggire all'acqua, nella quale galleggiavano ancora blocchi di neve. Tiravano con tutte le loro forze per raggiungere Natû sulla sponda opposta, trascinando di peso Vega, che non riuscì a ritrovare la presa sul terreno, lottando contro la forza combinata degli altri cani, e fu trainata sull'argine con il naso immerso nella neve, scavando un solco profondo. Natû intanto aveva fatto di corsa il giro della slitta, per spingerla a mano sulla neve compatta. « Vega », gridò, con la voce incrinata dalla paura e dall'orrore. « Vega, piccola mia. » La raggiunse, prendendo la cagna tra le braccia e cullandola avanti e indietro, seduta sulla neve. Gemeva, intonando il canto lugubre e solitario dell'orso polare. Bud conficcò nella neve l'ancora della slitta per avvicinarsi a piedi, aggirando la pozza insidiosa di acqua aperta. La ragazza lo fissò come se fosse un estraneo. Aveva ficcato un dito nella bocca dell'husky, cercando di liberarla dalla neve compatta che l'aveva soffocata quando aveva perso l'appoggio ed era stata trascinata di peso nell'acqua e su per la riva. L'uomo si accovacciò vicino a Natû. « Non piangere, tesoro », le disse. Si rese conto che le parole non erano in grado di alleviare la sua pena, perché Natû amava Vega. Allora l'abbracciò, costringendola con dolcezza a togliere le dita dalla bocca del cane. « Devi scaldarti le mani », le sussurrò. Poi la cullò, mormorandole parole dolci mentre lei infilava di nuovo le mani ghiacciate nelle muffole, stringendo le dita rigide intorno agli scaldini. I due rimasero abbracciati, mentre Natû accarezzava Vega, distesa sulle sue ginocchia. Gli occhi azzurro pallido dell'husky divennero opachi, perdendo ogni luminosità, mentre la morte la reclamava, ma il ronzio di un aereo che volava a bassa quota li indusse a distogliere lo sguardo dal cane per alzare la testa. Ai comandi c'era Anna Mclnnes, che guardò le due mute e la pozza d'acqua. «No», mormorò. «Fa' che non sia questa la tragedia che tutti prevedono per l'edizione di quest'anno. » Volò in cerchio sopra di loro, abbassandosi quanto più poteva senza spaventare i cani. «Torna dalla tua muta», disse Natû a Bud, rendendosi conto che, se l'aereo si fosse abbassato ancora, i cani avrebbero potuto lanciarsi all'impazzata. Da parte sua, aprì la lampo del sacco della slitta, trascinando sulla neve il corpo dell'husky, mentre le lacrime le rigavano il viso e il corpo era squassato dai singhiozzi. Sollevò teneramente Vega, baciandola sul naso ancora caldo, poi la chiuse nel sacco e tirò la chiusura lampo. Sapeva che avrebbe dovuto subire un interrogatorio stringente riguardo alla morte di Vega da parte della commissione dell'Iditarod, che adottava regole severe per quanto riguardava la cura dei cani; ma l'unica sua preoccupazione era la perdita del suo amato husky. Era un trauma quasi pari a quello dell'aborto spontaneo. Ma se non aveva visto la bambina perduta, aveva invece amato e coccolato Vega, lavorando con lei ogni giorno. Quell'animale era una parte di lei, e ora era chiuso nel sacco della slitta. « Andiamo », disse a Bud, che la seguì in silenzio, comprendendo di non poter fare niente per aiutarla. Infine Natû spinse la slitta dietro i cani della muta, che, dopo aver superato indenni la pozza d'acqua, ora tentavano di rotolarsi nella neve. Aveva il respiro affannoso, ma sganciò gli husky, uno alla volta, per consentire loro di liberarsi dall'acqua rimasta nel mantello, sfregandosi sulla neve. Intanto Bud teneva a freno la sua muta, per evitare che sfidasse i cani di Natû a una rissa. Quando infine l'uomo lanciò il comando della partenza, White-Out aggirò la pozza d'acqua come un veterano dell'Iditarod, prima di volgersi verso Natû, mentre superava la sua muta. Oily ringhiò, scoprendo i denti, ma lui, con quell'atteggiamento esasperante proprio dei maschi, la ignorò del tutto. 29 MENTRE si avvicinavano al checkpoint di Rohn, Bud sentì crescere l'eccitazione dentro di sé, al pensiero che avrebbero parlato con Patrick e forse ricevuto notizie di Muktuk; per qualche tempo, dimenticò i dolori e le contusioni. La capanna di tronchi di Rohn sembrava presa da una cartolina illustrata e depositata in mezzo a un bosco di pini alti e scuri. Una barriera frastagliata d'imponenti pinnacoli rocciosi sbarrava in parte il cielo notturno. Bud rovesciò la testa all'indietro per fissare quella trapunta di stelle, finché gli occhi non cominciarono a lacrimargli. « Vieni, dobbiamo farci registrare e lasciare un po' di riposo ai cani», gli disse Natû, baciandolo teneramente sulla guancia, ma ritraendosi subito quando le sue labbra incontrarono lo strato di neve e ghiaccio che gli si era formato sul viso. « Se non ti scaldi, ti verranno i geloni », lo avvertì, e Bud si massaggiò le guance con energia per riattivare la circolazione, affrettandosi a entrare nel rifugio. Per un attimo arretrò, disgustato. L'odore d'indumenti umidi che fumavano, appesi a corde tese sopra la stufetta di legno, di corpi non lavati e di caffè tenuto in caldo era tanto intenso da respingere. Pareva che ogni centimetro quadrato di spazio fosse invaso da musher esausti che sonnecchiavano, russavano o parlavano da soli. Natû osservò quella giungla di corpi, poi indicò un piccolo tavolino di legno sotto una finestra sbarrata da assi, poco lontano dalla stufetta. « Fermiamoci per un po', prima di fare la sosta prescritta di ventiquattr'ore», sussurrò lei. «Qui non potremo riposare, né noi né le nostre mute. » Lei e Bud scavalcarono corpi inerti per strisciare sotto il tavolo, dove si strinsero l'uno all'altra come due cucchiai riposti nel cassetto delle posate. Patrick aveva condotto i cani a Rohn la sera prima. Dopo averli sfamati e aver controllato i loro piedi, aveva deciso che avevano ancora troppe energie per la sosta regolamentare di ventiquattr'ore, e così aveva proseguito, scendendo nel letto del fiume cosparso di ghiaia, senza neve morbida sulla quale poter correre. « Pensi di farcela fino a Ophir, Sockeye? » gridò al suo cane di testa, che sembrava prendere molto sul serio la sua posizione di responsabilità. « Sarete stanchi, ma lì avremo la possibilità di riposare sul serio. La capanna di Rohn è come la Fourth Avenue il giorno della partenza. » Sockeye si limitò a tirare ancora più forte, e la slitta scattò in avanti sulle pietre gelide, lavate dal fiume grigio. Patrick ringraziava dentro di sé Herbie per avere costruito un tipo di slitta che poteva resistere agli scossoni e ai sobbalzi della corsa su quel letto di ghiaia asciutta, in un continuo saliscendi tra le sponde ghiacciate del fiume. Una volta risalito sulla riva, nel cuore della foresta di abeti, sentì il canto selvaggio e solitario di un lupo squarciare il silenzio. « Mi chiedo dove sarà Bud », disse. « Lui odia i lupi. Spero che Natû sia rimasta con lui. È un tipo tosto, ma l'Alaska inghiotte e sputa i duri come stuzzicadenti usati. » Sogghignò, nel buio. «Devo ricordarmi di ripetergli questa battuta, quando tornerò a Barrow. » Nell'ora successiva, lasciò vagare la mente, riandando all'infanzia, ai guai e ai divertimenti che lui e il suo gemello avevano provocato e goduto. Poi pensò a Scott e Anna. Serrò le labbra, rendendosi conto che il fratello ormai aveva scelto una strada che non avrebbero potuto percorrere insieme. Avrebbe dovuto odiare Anna Mclnnes, invece provava simpatia per lei, per quel poco che aveva visto, e poi non poteva odiare una persona che amava Scott. Era così immerso nei suoi pensieri, che il passato era divenuto presente e lui non si rese conto di avere raggiunto il Burn, un'immensa estensione di foresta distrutta vent'anni prima dal peggiore incendio della storia dell'Alaska, e che adesso era diventata un banco di prova per l'abilità e la volontà dei musher di proseguire la corsa. Le slitte restavano incastrate a intervalli di pochi metri nei ceppi carbonizzati degli alberi distrutti, e tagliare attraverso il bosco significava far impigliare gli animali in un altro groviglio di propaggini secche e monconi di tronco anneriti dal fuoco. Era una lotta infinita per liberare cani e slitte e, dal momento che una muta di husky che traina una slitta non può fare marcia indietro, l'unico modo per attraversare il Farewell Burn era andare avanti, tagliando rami, sgobbando e imprecando. La zona somigliava a un intricato labirinto di tracce, perché ogni muta cercava invano una via facile per superare i resti di quella foresta, un tempo magnifica. Patrick imprecò, mentre Sockeye procedeva intorno a un giovane arbusto che spuntava diritto e alto dal letto di cenere della tundra. « Che ti prende, Sockeye, non riesci a evitare neanche gli alberi nuovi? » gridò. « Abbiamo già abbastanza problemi a superare quelli vecchi. » Il giovane Butler aveva corso a fianco della slitta per quasi tutta la strada, dato che viaggiare sobbalzando su un terreno senza neve era peggio che sciare su piste nere e campi fitti di gobbe. Aveva le cosce che tremavano e i muscoli che bruciavano, ma era deciso a concludere la corsa con un buon vantaggio sulle altre matricole. « Trapper sarà fiero di me e la mamma capirà di averci trasmesso la sua vena di sangue eschimese. Io amo questa terra, e lo dimostrerò con una buona riuscita nell'Iditarod », gridò. I trecentosessanta acri di foresta devastata dall'incendio della tundra e di corsi d'acqua udirono la sua vanteria e la ignorarono. Il Burn aveva visto più di una volta uomini e donne in preda alle allucinazioni causate dalla mancanza di sonno, indotti a gridare barcollando e aprendosi la strada a colpi di accetta in quella distesa desolata dove i segnali indicatori della pista vengono abbattuti dal vento e i bisonti appaiono all'improvviso, terrorizzando i cani e rendendoli sordi a ogni comando del musher. Patrick non si rese conto di essersi spinto oltre quel limite finché non si ritrovò a tentare di abbattere un tronco d'albero inesistente. La lama tagliente dell'accetta sibilò oltre la sua testa e, non incontrando resistenza nella discesa, si conficcò nel fianco della slitta. Lui la liberò e si preparava a vibrare un altro colpo, quando una voce lo fermò, riportandolo alla realtà. « Il Burn è orribile, ma non al punto di usare la slitta come legna da ardere. » Violet arrestò la sua muta dietro quella di Patrick, poi avanzò a piedi per andargli incontro. Imbarazzato di essersi fatto sorprendere da una donna a tagliare un albero immaginario, Patrick cercò una scusa. « Era solo qualche ramo. » « Sì, lo so. Molti perdono la testa, nel Burn. Io vorrei far fare uno spuntino ai miei cani e preparare un po' di caffè. Mi tieni compagnia? » Patrick guardò quella figura minuta avvolta nella tuta gialla, e sorrise. « Una pausa mi sembra un'idea magnifica. » Rovesciarono le slitte sul fianco, per rendere più difficile ai cani la possibilità di partire senza controllo, anche se Vio osservò: « Qualunque muta che riesca a correre all'impazzata nel Burn finisce dritta nel Guinness dei primati ». Il caffè scaldò Patrick e la compagnia della donna lo aiutò a liberarsi dalle allucinazioni. La testa gli ricadde di lato e si addormentò. Vio lo guardò per qualche minuto. Avrebbe dovuto riprendere la corsa, ma si sentiva così bene, comoda e al caldo al riparo delle slitte, oltre al fatto che trovava Patrick molto attraente. « Lo lascerò dormire un'ora », si disse. « Ai miei cani non farà male un po' di riposo, e neanche a me. » Chiuse gli occhi. Ben presto cominciò a cadere la neve, spessa e soffice come piume d'oca, ricoprendo gli husky, le slitte e i musher, che divennero uno dei tanti rilievi candidi del terreno, parte integrante del Burn. Vio si riscosse, impacciata dal peso di Patrick, che si era accasciato di lato, ricadendole addosso. « Ho dormito troppo », sussurrò lei. « Devo muovermi. Fa buio, e non voglio attraversare l'ultimo tratto del Burn di notte. » Tentò di scrollarsi di dosso il ragazzo, ma lui era pesante e non si spostava. «Patrick», gridò. «Patrick! » Alla fine lui si lasciò sfuggire un grugnito, allontanandosi da lei. Violet non riusciva a capire che cosa fosse successo. Il peso continuava a opprimerla, eppure Patrick si era mosso. « Neve », mormorò lui. « Tormenta di neve. Seppellito. » Il giovane Butler aveva il respiro affannoso. L'idea di restare sepolto vivo sotto la neve lo atterriva, ma non si lasciò prendere dal panico, perché era già riuscito a sopravvivere a una tormenta quando andava a controllare le trappole. Quella volta, lui e Trapper si erano rannicchiati nella neve assieme ai cani, restando al caldo finché la tempesta non era finita. Passò la mano sulle assi robuste della slitta, poi lottò per mettersi in ginocchio. Una lama di luce gli ferì gli occhi. Lui fissò sbigottito il Burn: quell'inferno si era trasformato in un candido campo di neve. «Violet», esclamò, «vieni a vedere. Riesci a crederci? » Non ottenendo risposta, si rese conto che lei era ancora sepolta sotto il manto di neve. Cominciò a scavare e si pro- tese per raggiungerla. Una mano piccola e forte trovò le sue dita e vi si aggrappò. « Un bel cambiamento », commentò lei. « Ne merita un altro », ribatté lui. Scoppiarono a ridere, spazzolandosi la neve dagli abiti. «Ora cerchiamo di trovare i cani. Ammesso che ci siano ancora », disse Patrick. «Si staranno godendo la pausa di riposo», profetizzò Vio. « Ehi... non si sono neanche mossi. Pensano che la neve sia un piumino speciale ordinato su misura per loro. » Patrick e Vio camminarono lungo la fila di piccoli rilievi di neve, nei quali soltanto minuscoli sfiatatoi e nuvolette di vapore rivelavano la presenza di un cane. « Sockeye! » chiamò il ragazzo, con voce tonante. Sotto uno di quei monticelli s'intravide un movimento, e apparve Sockeye, battendo le palpebre alla luce del giorno come una talpa che emerge dalla tana. Clarke, il grosso cane degli allevamenti Tri Star, fu il primo a emergere allo scoperto dopo di lui, e si drizzò in piedi, impaziente di riprendere la corsa. «Adoro quel cane», disse Patrick, guardando Clarke. « È sempre pronto a correre e a fare più della sua parte. » Si avvicinò all'husky, accarezzandogli le orecchie, e il cane si alzò subito sulle zampe posteriori, appoggiando quelle anteriori sulle spalle di Patrick. Lui barcollò sotto il suo peso, cercando di evitare che Clarke gli lavasse la faccia con la lingua. «Dopo la corsa ho intenzione di cercare di acquistarlo dalla Tri Star. » « Non credo che avrai molta fortuna », commentò Vio. « È uno dei cani migliori del loro allevamento. » « Sì, lo so. È stata una fortuna che me lo abbiano concesso per questa corsa. » « Diana ha il cuore grande quanto un husky», replicò, ridendo, la donna. Uno alla volta, anche gli altri husky si riscossero, scuotendosi di dosso la neve. « Prossima fermata, Nikolai », disse Vio, stirandosi e allargando le braccia come per cingere tutto il Burn, ora divenuto bellissimo. « Sarà un piacere trovarsi in un villaggio nativo e mangiare qualcosa di decente. » «Già, sembrano convinti che la corsa sia Natale e che ogni musher sia Santa Claus », rispose sorridendo Patrick. « A proposito, grazie per il caffè. Avrei potuto conficcarmi quell'ascia nella gamba o nella testa. Non mi ero proprio reso conto di quanto sia facile avere delle allucinazioni. » « Non c'è di che. Questo è un settore in cui le donne godono di un piccolo vantaggio sugli uomini, durante la gara. » Patrick parve perplesso. « La privazione di sonno », spiegò lei. « Quando hai dei figli, dormi ben poco, e anche quando tutto sembra tranquillo, non è mai così. » «Hai dei figli?» chiese Patrick, scoprendo all'improvviso che non gli sarebbe piaciuto sentirsi rispondere di sì. « No. I cani sono i miei figli. Non ho mai trovato il tempo o l'uomo giusto. » Patrick si sentì subito sollevato. « Proseguiamo insieme per Nikolai », le propose. Vio lo studiò per qualche minuto in silenzio. « Dove hai intenzione di trascorrere la sosta di ventiquattr'ore? » gli domandò. «A Ophir. Mi dicono che è un posto tranquillo. I cani saranno davvero stanchi e potranno riposare a dovere. Intorno ci saranno pochi musher. » Vio assentì. « Era il mio progetto. Correrò fin lì con te, e da Ophir in poi torneremo a farci concorrenza. » « Affare fatto », rispose Patrick, con un gran sorriso, accorgendosi di trovare molto piacevole la compagnia di quella donna. Il riposo forzato sotto la coltre di neve aveva rivitalizzato il giovane Butler e i cani. La corsa fino a Nikolai filò alla perfezione, anche se qualunque cosa sarebbe sembrata perfetta, dopo l'estenuante lotta sostenuta per superare il Farewell Burn. Patrick e Vio furono contagiati dall'entusiasmo e dalla calorosa ospitalità che li accolsero a Nikolai. Non si trattennero a lungo, ma ripartirono per il checkpoint di McGrath con il morale alle stelle. La corsa fino a quel punto fu relativamente facile, dato che la pista costeggiava il fiume per quasi tutto il percorso. A poche ore dalla meta, però, il corso d'acqua formava una serie di anse strette e contorte, come se soffrisse di forti crampi allo stomaco. Patrick trovò frustrante vedere le luci di McGrath senza poter entrare in città. Aveva spento la lampada che portava fissata alla fronte, perché aveva scoperto che spesso gli husky ci vedevano meglio nel buio, ma d'improvviso la sua muta si fermò, girando su se stessa, con i cani che uggiolavano e tiravano freneticamente le linee di traino. Accese la lampada, e sulle prime non riuscì a capire che cosa fosse successo. « Cane a terra », gli gridò Vio. Patrick si sentì sfiorare la spina dorsale da un dito di ghiaccio. Era una corsa facile, su terreno aperto. Come poteva avere un animale a terra? Corse verso la parte anteriore della muta. Sockeye stava bene e ringhiava verso il cane alle sue spalle. « Alt, Sockeye, e fa' silenzio », gridò Patrick. Nella semioscurità vide uno dei grunt dog accasciato sulla neve. «Speriamo che non sia Clarke», sussurrò, mentre lui e Violet accorrevano in soccorso. Clarke aveva più cuore di tutti gli altri cani che aveva visto o con i quali aveva lavorato. « Vio, tieni la tua lampada puntata su Clarke », disse Patrick, ancora incerto sulla causa del collasso che aveva colpito l'animale. Il raggio di luce gialla investì Clarke, posandosi sulla linea di traino che gli si era attorcigliata intorno al collo, strangolandolo. La lingua gli pendeva molle dalla bocca, e la neve era chiazzata di escrementi nel punto in cui le viscere si erano vuotate nello spasmo dell'agonia. «È morto», sussurrò la donna in tono mesto. «Mi dispiace tanto.» « No », ribatté Patrick. « Non gli permetterò di morire. No, è un cane troppo in gamba. » Era chiaro che era scivolato e, dato che il resto della muta continuava a tirare, la linea di traino gli si era avvolta intorno al collo, strozzandolo. Violet rimase accanto a lui, mentre Patrick estraeva dal fodero il coltello multiuso, faceva scattare la lama e tagliava la cima per liberare il collo di Clarke. Il cane non si mosse. Il ragazzo s'inginocchiò vicino a lui nella neve, cominciando la respirazione a bocca a bocca per rianimarlo. Agli occhi della donna parve che durasse per ore: un uomo accovacciato su un cane morto, deciso a farlo tornare alla vita. D'improvviso Patrick fece un segnale di vittoria con il braccio, prima di accostare l'orecchio al muso di Clarke. « Respira », sussurrò, con la voce roca dopo lo sforzo fatto per pompare aria nei polmoni di Clarke. « E vivo. » Vio puntò la lampada sul viso di Patrick, poi di nuovo su Clarke, quando vide che lui aveva le guance rigate di lacrime. « Devo metterlo al riparo nel sacco della slitta, per farlo visitare dal veterinario di McGrath. » L'animale cercò di resistere, quando il giovane Butler cercò di chiuderlo nel sacco, mettendo bene in chiaro qual era la sua intenzione: voleva tornare al suo posto nella linea di traino. « Clarke, non puoi correre con gli altri », gli disse Patrick in tono malinconico. « Probabilmente dovrò lasciarti a McGrath e ti riporteranno in aereo alla Tri Star.» Passò le braccia intorno al collo dell'husky. « Mi mancherai, quando passeremo sotto l'arco dell'arrivo, ma ricordati che la tua forza ci ha aiutati a superare i punti peggiori della pista. » Parlando, riuscì a inserire Clarke nel sacco della slitta e a chiudere la lampo. Poi controllò le linee di traino degli altri cani, prima di tornare verso Vio, che lo aspettava. « Ti ringrazio. Avresti potuto proseguire e riposare più a lungo a Ophir. » La donna si limitò a scuotere la testa, poi replicò sottovoce: « Abbiamo deciso di correre insieme fin laggiù, e questo significa restare insieme per tutta la strada ». Le luci che segnalavano l'abitato di McGrath si profilavano in lontananza quando Clarke cominciò a dimenarsi per uscire dal sacco. Patrick si rifiutò di aprire la lampo, e l'husky aggiunse alle preghiere un gemito lugubre, che ben presto fu imitato dagli altri. Il giovane Butler guardò indietro, verso la muta di Violet, decidendo che l'ululato poteva influenzare anche i suoi cani. Arrestò Sockeye, e la muta, si fermò ad ascoltare quello che diceva Clarke. Patrick scese dai pattini della slitta, aprendo il sacco. Ne fu ricompensato da una lingua calda e umida che gli leccava la faccia. Poi Clarke balzò fuori e riprese lemme lemme il suo posto nella muta. Il giovane si strinse nelle spalle. « Che cosa devo fare? » gridò a Vio. « Vuole correre! » «Qualunque cane riesca a tornare dalla terra dei morti deve sapere che cosa è bene per lui», rispose la donna. « Lascialo fare. » Patrick era incerto, ma cedette quando vide la gioia dell'animale nel ritrovarsi fuori del sacco e di nuovo con i compagni della muta. Quando finalmente raggiunsero il checkpoint, il giovane si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. «Un veterinario», disse al primo funzionario di gara. « Mi serve d'urgenza un veterinario ufficiale di gara. » Una donna che indossava un parka rosso trapunto, con un passamontagna in tinta, voltò le spalle al tavolo dove stava versando del caffè. « Patrick », esclamò. Lui la fissò senza riconoscerla, preso com'era dal problema di Clarke e dalla possibilità di perdere l'husky, nonostante tutto. «Anna Mclnnes», gli disse lei. «Ci siamo incontrati a Skwentna. Ho lasciato Scott laggiù per caricare a bordo Natû. » D'un tratto il giovane rivide la donna che piangeva nella cabina di pilotaggio, pregandolo di raccontare la sua storia al fratello gemello. « Oh, certo, Anna. Mi scusi, ero preoccupato di non trovare un veterinario. » La donna sorrise. «Non importa, capisco bene com'è la corsa. Ho appena portato Paul a McGrath. Mi dice che ha dovuto emettere un certificato di morte per uno dei cani di Natû Damas. A quanto pare, lei è rimasta sconvolta. » « Già, Bud e Natû», esclamò Patrick. « Come se la cavano? » « Benissimo. Hanno deciso di non trascorrere a Rohn la sosta regolamentare di ventiquattr'ore. Faranno una breve pausa e si riposeranno in seguito. » Patrick avrebbe voluto farle altre domande sul cane di Natû, ma in quel momento una voce maschile e profonda tuonò alle sue spalle: « Chi mi cerca? Eccomi ». Girandosi di scatto, Patrick vide che due uomini, insieme con Vio e Anna, avevano formato un cerchio intorno a Clarke. « Non ha niente che non vada, per quanto riesco a vedere. Il cuore è a posto. I polmoni funzionano bene. Se non foste stati in due quando è caduto, direi che si è trattato di un'allucinazione. Clarke può portare a termine la corsa fino a Nome, e spero di essere lì per controllarlo quando avrà completato la gara. » Il veterinario si allontanò in fretta per recarsi da un altro musher appena giunto, lasciando i tre a guardare l'animale. « Sei un fenomeno, Clarke», disse Patrick. «Anche tu non sei stato male, con il tuo 'bocca a muso' », esclamò Vio con ammirazione. «Entriamo a cercare un po' di caffè», propose Anna, impaziente di sapere come aveva fatto Patrick a convincere Scott ad ascoltarlo quando le aveva parlato di lei. «Vi raggiungo tra un momento», disse Violet. «Devo parlare a Paul di uno dei miei swing dog. » Patrick e Anna annuirono, tornando verso il tavolo dove lei aveva riempito tazze di caffè per i musher. « Dimmi », esordì la donna, « come hai convinto Scott a darti ascolto? » « L'ho fatto correre finché non è rimasto senza fiato, così non poteva fare obiezioni. Poi l'ho fatto sedere a tavola davanti a una pizza con peperoni e a un caffè. La combinazione ha funzionato. Un uomo con la bocca piena non può fare altro che annuire. » Anna posò la tazza del caffè per gettare le braccia al collo di Patrick.« Non sai quanto significa questo per me », gli disse. « Grazie, Patrick. » « Pensavo che il mio fratellino fosse troppo giovane per una relazione seria », le confessò, continuando a tenerla tra le braccia. «Ma a quanto pare sapeva quello che faceva. Buona fortuna, Anna. Scott è un grande, il migliore. » Vio osservò la donna tra le braccia di Patrick, e scoprì con sorpresa che aveva voglia di separarli. Attenzione, si disse. Ti stai godendo la vita e la libertà. Se ti accaserai con qualcuno, non parteciperai più alla grande corsa. Il massimo che potrai fare sarà pulire la casa, cucinare e magari cambiare i pannolini a un neonato. Tu non vuoi cambiare stile di vita, non seriamente, almeno. Sii ragionevole. L'Alaska è piena di uomini soli. Continuò a controllare i cani e le linee di traino, ma scoprì che continuava a tenere d'occhio Anna. «Violet, vieni a finire il caffè prima che si raffreddi. » La voce di Anna risuonò nitida sulla neve, e lei non aveva scuse per ignorare l'invito. « Eccomi. Ho portato ciambelle fresche da Anchorage. » 30 DELILAH e Shark cambiarono istintivamente direzione quando il vento, armato di aghi di neve, le colpì con durezza sul muso e la muta le seguì con docilità. «Viaggiare in slitta è come navigare a vela», osservò Muktuk a voce alta. Parlava da solo per restare sveglio. « La slitta cigola come il legno di una nave che procede rollando. Devo piegarmi a sinistra quando la slitta rolla a destra, oppure viceversa, per evitare che si rovesci. » Scosse la testa, facendo cadere sulle spalle uno spolverio di ghiaccio e fiocchi di neve. «Navi e slitte. Mio padre e mio nonno navigavano lungo la costa a bordo delle baleniere, e adesso eccomi qui a navigare sulle onde della neve. » Sbuffò. « Stai invecchiando, Muktuk Peters », si disse in tono di rimprovero. « Pensa a quello che stai facendo, alla corsa, e non al passato. Come dice Trapper: 'Il passato è per quelli che hanno paura del presente e rifuggono dal futuro', e lui è un vecchio saggio che la sa lunga. » L'uomo sorrise, pensando all'anziano veterano. Avevano la stessa età, ma si sarebbe offeso se qualcuno avesse detto a lui che era vecchio. Abbassò i paraorecchi di pelliccia del berretto, allacciandoli saldamente sopra il passamontagna, e strinse il fazzoletto a scacchi vivaci di Patrick sotto lo scaldacollo. Aveva il viso rosso e infiammato nei punti in cui era spellato dal vento, e le labbra gonfie, coperte di vesciche; eppure non avvertiva il fastidio o non se ne curava, mentre socchiudeva gli occhi nel tentativo di vedere qualcosa più avanti dei cani. « Sembra che tutto il vento e il gelo dell'Alaska si riversino nello Yukon », brontolò. D'un tratto sollevò i paraorecchi di pelliccia, sentendo ululare nella notte il motore di alcuni gatti della neve. Non si guardò neppure alle spalle, ma guidò la muta oltre l'alto argine di neve che sorgeva sul lato sinistro del grande corso d'acqua. Due gatti della neve, che gareggiavano lungo il ghiaccio del fiume, piombarono rombando su di lui. Muktuk si girò verso di loro, facendo oscillare la lampada per avvertirli della presenza della sua muta. « Idioti », gridò ai due mezzi meccanici. « Quanti altri incidenti saranno necessari, prima che gettino a calci nel fiume voi e le vostre dannate macchine? Non c'è posto sulla stessa pista per le mute di cani e i gatti guidati da pazzi incoscienti a cento chilometri l'ora, e anche più. Voi e i vostri congegni rumorosi e puzzolenti! » Le sue maledizioni li seguirono lungo il fiume, finché non superarono la curva e sparirono alla vista. Ma il rumore dei motori non si allontanò: ci fu un silenzio improvviso, seguito da un terribile schianto metallico e da un ululare stridulo di cani. Muktuk si affrettò a superare l'ansa, e vide una slitta rovesciata sul ghiaccio. Il musher stava tentando di prendere tra le braccia il suo pesante swing dog, più un grunt dog. Quest'ultimo gemeva in modo straziante e, quando il musher tentò di sollevarlo, gli intestini ricaddero sul ghiaccio, congelandosi immediatamente. L'anziano veterano estrasse la rivoltella dalla tuta, rincorrendo i giovani a bordo dei gatti della neve. « Dannati assassini! » gridò. « Ora dovrò sparare a cani che hanno speso tutte le loro energie per raggiungere lo Yukon. Dovrei uccidere voi idioti, invece! » Risuonarono due colpi, e i giovani si dileguarono, procedendo a zigzag attraverso il fiume, terrorizzati dalla possibilità che i proiettili raggiungessero il bersaglio. Muktuk tornò indietro verso il musher, che, in ginocchio sulla neve, tentava di rimettere dentro le viscere del cane, mormorando parole incoerenti. L'uomo controllò allora lo swing dog, che aveva la testa sfondata e gli occhi pieni di sangue; lo guardò rivolgendogli un silenzioso appello attraverso la maschera rossa che gli copriva il muso e poi lo accarezzò dolcemente, gli appoggiò la canna della rivoltella dietro la testa e tirò il grilletto. Il cane si afflosciò ai suoi piedi, in silenzio, sul ghiaccio argenteo. Sotto la sua testa si solidificò una pozza nera, sorreggendone il capo come un cuscino di velluto. Muktuk si avvicinò al musher, che sussultò nel sentire i suoi passi. « Non tutti e due », implorò. Il vecchio si fermò, riconoscendo la voce. « Short, Short Seppa, sei tu? » Short annuì. « I miei cani, Muktuk. I miei cani », ripetè. « Stavo correndo con la luce spenta, perché il mio husky di testa ci vede meglio senza le ombre proiettate dalla lampada. » « Non puoi lasciar soffrire così il tuo cane. Ascolta i suoi lamenti », lo rimproverò in tono burbero. « Devo abbatterlo. » Short abbassò la testa. Un'esplosione squarciò il silenzio, e i due husky rimasero distesi sulla neve, irrigiditi dalla morte. Muktuk ripose in tasca la rivoltella, camminando lungo la sua muta per calmare i cani. Delilah cercò di saltare per leccargli la faccia, mentre Shark tentò di avventarsi su di loro, senza fare distinzioni, pur di riuscire a mordere qualcuno. «Hai visto che cosa è successo, stupida? Continua con queste sciocchezze e probabilmente finirai così anche tu. Morta. » Shark ignorò l'avvertimento, come faceva con tutte le minacce di Muktuk. Ringhiò contro Delilah, che invece decise d'ignorarla. Poi l'anziano veterano assestò una ruvida pacca sulla spalla di Short. « Proviamo a raddrizzare la tua slitta e vediamo se ci riesce di arrivare a Kaltag e toglierci dai piedi questa merda di fiume. » Seppa annuì in silenzio. «Correrò dietro di te fino a Kaltag e ti aiuterò a presentare il rapporto sui cani e sui gatti della neve», si offrì Muktuk. Short sembrava sul punto di piangere. « Andiamo, Seppa. Mi aspetto che tu arrivi prima di me. Porterò uno dei tuoi cani sulla mia slitta; l'altro prendilo tu. » Muktuk attese che Short non fosse più in vista prima di raccogliere dal ghiaccio il corpo pesante dell'animale, avvolgerlo in una coperta termica e legarlo alla sua slitta. Lo seguì con prudenza fino a Kaltag, temendo che altri ubriachi avrebbero festeggiato l'Iditarod correndo sulle loro dannate macchine, invece era tutto tranquillo. Quando fu vicino al villaggio, però, si trovò davanti Short seduto sulla slitta, con le spalle rivolte al vento, che si dondolava avanti e indietro. I suoi cani erano raggomitolati come palle di pelo e non si mossero quando lui si avvicinò. Con grande smacco di Shark, non reagirono quando lei si offrì di attaccare il cane di testa, e neanche quando estese l'invito a tutta la muta. «Ehilà! Stai bene, Short? » gridò Muktuk, mentre i suoi husky si tenevano alla larga dal musher seduto. Shark, invece, incapace di resistere a una simile occasione, scattò in avanti per affondare i denti nel braccio del musher, lacerandogli la tuta. Il sangue filtrò dal tessuto rosa fucsia. L'uomo brizzolato alzò la testa, con il viso scavato dalla disperazione e gli occhi velati dal terrore. « Ho corso sei volte questa dannata gara. E ora che è la settima volta mi tocca sentirle. Malasorte, ecco che cosa significa. » «Alt! » gridò Muktuk a Shark, che stava per scattare di nuovo contro Short. « Ti ammazzo, miserabile », minacciò. « Ora devo fermarmi. Non posso lasciare solo quest'uomo ferito, visto che sei stata tu a morderlo. » Short Seppa continuò a parlare come se non si fosse accorto che Shark gli aveva lacerato la tuta e che lui perdeva sangue. «È quello che ho detto a quella giovane coppia a Skwentna », continuò. « Il sette porta fortuna a qualcuno, sfortuna ad altri. A quanto pare la mia sorte si è decisa qui, vicino a Kaltag. » Alzò la testa per guardare Muktuk. « Hai mai sentito le voci? » « Sicuro. » « Quante volte? » Muktuk fu colto da un opportuno accesso di tosse. « Quello che ti serve è un bel caffè nero », ribatté. Non era interessato a quelle storie spettrali. Invece Short Seppa continuò a dondolarsi, in apparenza indifferente a quello che aveva detto il vecchio. «Non riesci a sentirle?» domandò all'improvviso, raddrizzandosi e aguzzando gli occhi verso la neve che turbinava nell'aria. «Ascolta... adesso battono le mani. » Lui alzò le spalle. « Probabilmente hai bisogno di dormire, più che di un caffè », decise. Gli occhi di Short s'illuminarono e fissò Muktuk come se lo vedesse per la prima volta. «I missionari», disse con calma. «Ricordi il massacro dei missionari vicino a Kaltag? Quelli che stanno per morire li percepiscono. Non li senti che bisbigliano e chiamano? » domandò in tono pietoso, sperando che qualcun altro potesse udire le voci spettrali. « Li sentono tutti », mentì l'altro, ansioso di confermare il rapporto di Short sui cani e sui gatti della neve, per poter continuare la corsa. « Vedi, il loro sangue ha macchiato la neve di rosso. » «Sono i riflessi del cielo», mormorò Muktuk con voce roca. « Guarda. I cieli lo hanno visto accadere, e ora ci mostrano come scorreva il sangue sulla neve di Kaltag», riprese Short Seppa, respingendo ogni spiegazione. « Di solito le luci del nord pulsano e danzano nella volta celeste », insistette Muktuk. « Non è il sangue. L'aurora boreale si vede dovunque, non solo a Kaltag. » Per un attimo parve che la sua logica facesse presa sulla mente di Short. «Acquerelli di Dio, li chiamano in altri posti», commentò, «eppure, ecco, servono a ricordarci l'accaduto. Tu le hai sentite, le voci, eppure corri ancora. » «Certo», confermò Muktuk, ansioso di rimettersi in marcia ma incapace di lasciare solo il musher in preda alla disperazione. « Su, vieni, medichiamo quel braccio. » Frugando nella tuta, tirò fuori un sacchetto di unguenti che portava appeso al collo, tenendoli appoggiati alla biancheria termica per evitare che si congelassero. Prese la confezione di Betadine con la mano guantata per intiepidirla. «Okay», disse infine, dopo aver massaggiato il tubo di pomata, «sembra abbastanza morbido per spremerlo. Fammi vedere. » Short allungò docilmente il braccio, restando a guardare Muktuk che spalmava l'unguento marrone sui segni dei denti di Shark. « Dovrai far disinfettare la ferita a Unalakleet », gli disse. « Ti chiedo scusa per Shark. L'unica ragione per cui tengo con me quella peste è che riesce a fiutare la pista e l'acqua aperta anche sotto un metro e mezzo di neve. » « Non importa. Un buon cane di testa è quello che decide il risultato della corsa, il più delle volte. » Muktuk guardò il vecchio musher con la manica strappata e si sentì in colpa. Gli aveva mentito. Shark aveva lacerato le carni e la tuta, che ora non era più a prova di vento. Per giunta Seppa era convinto di dover morire perché aveva sentito le voci dei missionari massacrati. Lui si sentiva responsabile nei suoi confronti. Mostrando una compassione che gli abitanti di Skwentna non avrebbero ritenuto possibile, rimise in piedi il vecchio. « Tieni », gli disse, armeggiando intorno al collo, « lascia che ti leghi intorno al braccio questo fazzoletto. Ti riparerà dal vento finché non arriveremo a Unalakleet. Correremo insieme fino a lì, ma mettiamoci in moto prima che si alzi di nuovo l'aria. Laggiù potremo separarci, prima di rivederci a Nome. » I cani di Short si alzarono in piedi, stiracchiandosi, poi si accodarono alla muta di Muktuk. Shark abbaiò, guardandoli con odio. « Silenzio », tuonò Muktuk. « Sei nella posizione di testa per trovare la pista, non per brutalizzare gli altri cani. Prossima fermata, Unalakleet », gridò. «Unalakleet, il luogo dove soffia sempre il vento dell'est», disse Short. «Dannazione.... Chi può capire un vento che spinge la neve parallela al terreno per quindici chilometri, o soffia a duecento metri l'ora senza raffiche? Nei '48 giù in basso' parlano di uragano appena arriva a settantatré metri l'ora. Forza, andiamo », gridò rivolto ai cani. « Bene », rispose Muktuk, lieto che Short avesse lasciato cadere l'argomento delle voci spettrali e della malasorte. « Rammenti quella spedizione di scalatori che furono spazzati via dalle pendici della vetta del Denali e non sono mai stati ritrovati? In fatto di vento e freddo, qui abbiamo di tutto. Il migliore posto maledetto da Dio che esista al mondo. » Short annuì, felice di aver trovato qualcuno che fosse d'accordo con lui, e sollevato di avere compagnia da Kaltag a Unalakleet. « Io sono stato sul Denali », confidò a Muktuk. « Ho fatto parte della spedizione che ha accertato che lassù c'era un fattore di raffreddamento di sessantacinque gradi sotto zero. « Un gelo come quello è capace di tagliarti un dito come una sega a mano, se lo tieni esposto al vento. Quell'aria infernale mi ha fatto perdere quattro dita dei piedi e due delle mani, tutte amputate al ritorno. Ecco perché mi sono dedicato alle corse in slitta. Qui almeno puoi gareggiare con i cani e riscaldarti. Su una montagna, invece, non puoi, a meno che tuo padre non fosse un montone di Dall.» Muktuk sorrise, ma rimase in silenzio, tenendo gli occhi aperti per notare qualunque segnale di rilassamento dei cani. Entrare nell'abitato di Unalakleet, un villaggio eschimese sulla costa settentrionale, fu come passare dalla segregazione in clausura a una parata d'onore a New York. Sirene che ululavano, campane delle chiese che suonavano a distesa e una folla animata e plaudente, radunata davanti all'Unalakleet Lodge. Muktuk e Short si segnarono al posto di controllo, dove la donna che li registrò si offrì di cucire lo strappo nella tuta di Seppa, e poi decisero di rivolgersi a un veterinario. «Dovrà fare qualcosa per quel suo cane», ammonì il medico. «La sua reputazione lo precede, come l'influenza. » Muktuk rispose con un grugnito. Troppe volte Shark lo aveva salvato, rifiutandosi di correre quando lui voleva incitarla, o camminando in punta di piedi con la coda ritta, per avvertirlo che il ghiaccio era sottile. « Ci vediamo a Nome », disse a Short, battendogli sulla spalla. « Buona corsa. E scusami di nuovo per Shark. » «Buona corsa anche a te. Grazie della compagnia. Mi ha aiutato davvero. » Muktuk avrebbe voluto riavere il fazzoletto che aveva legato intorno al braccio di Short. Lo aveva trovato annodato ai rami spogli di un arbusto lungo la pista, nei pressi di Skwentna, e se lo era messo al collo per restituirlo al proprietario, prima o poi. Era lo stesso foulard a scacchi verdi e arancioni che Scott aveva regalato al fratello per il ventunesimo compleanno, e Patrick lo usava sempre, considerandolo un amuleto per avere fortuna, salute e buona caccia, alla maniera degli inupiat. Il vecchio musher aveva un'aria così stanca, mentre stava seduto su una cassetta con le spalle curve, guardando il veterinario che sondava la ferita al braccio, che Muktuk si limitò a gridargli: «Short, porta quel fazzoletto a Nome. Non è mio, appartiene a un amico ». E Seppa annuì, alzando la mano in un cenno di saluto. 31 Natû si svegliò di soprassalto da un sonno profondo come la morte, assalita da un senso di nausea per il fiotto di adrenalina che le corse nelle vene mentre si sforzava di ricordare dove fosse. Bud si lasciò sfuggire un grugnito quando lei tentò di allungare le gambe in quello spazio angusto. Mentre l'abbracciava nel sonno, Natû si rese conto che erano a Rohn e potevano godersi ancora qualche ora di riposo. Tornò a rannicchiarsi nell'incavo del corpo di Bud. Ci sarebbe stato tempo in seguito per controllare le slitte, sostituire i pattini, rinnovare le provviste ed esaminare i cani. Ma scoprì che il suono delle mute che arrivavano e ripartivano le metteva addosso una smania di alzarsi e andare a lavorare con i cani. Uscì strisciando di sotto il tavolo, lasciando il marito addormentato. In questo momento, l'unica cosa che potrebbe svegliarlo è un'altra discesa per la Dalzell Gorge, e forse neanche quella, pensò. Appena aprì la porta di legno per sgusciare fuori, fu investita da una folata d'aria glaciale che le tolse il respiro e le fece capire che doveva andare in bagno. Avanzando sulla neve in mezzo ai cani addormentati, raggiunse le due toilette. Consistevano in semplici sedili di legno posti sopra un pozzo profondo, ma sulla pista rappresentavano un vero lusso. Pregustò la possibilità di abbassare i pantaloni della muta e sedersi per qualche minuto. « Dannazione », gemette nell'avvicinarsi alle due cabine di assi. C'erano dei paletti conficcati nella neve fradicia, per bloccare le porte. « Immagino di dover ricorrere alle latte HEET. » Si diresse verso la slitta, frugando nel carico. «Bene, credevo che fosse quasi pieno», osservò, sollevando la sezione anteriore di un bidone color giallo vivo. « Non è il suo uso normale », si disse mentre cercava riparo dietro il tronco di un grosso albero, aprendo la lampo della parte inferiore della tuta da neve. « Comunque il beccuccio funziona bene. Sempre meglio che calarsi i pantaloni e farsi infiammare la pelle dal vento. » Un musher con i baffi e la barba appesantiti dai ghiaccioli guidò la sua muta verso il checkpoint di Rohn, e uno dei funzionari di gara gli mostrò dove poteva sistemare i cani. L'uomo si registrò, poi cominciò a guardarsi attorno in cerca di un albero. « Chiedo scusa », disse, scorgendo Natû dietro il tronco. « Ho visto la neve gialla e ho pensato che fosse un uomo. » « Funziona allo stesso modo », ribatté la ragazza con un sorriso, lanciando un'occhiata indietro mentre sentiva una porta di legno aprirsi, cigolando. « Se ti sbrighi, fai in tempo a sederti. Là dentro fa più caldo. » « Grazie », gridò l'uomo. « Non c'è di che. » Natû scosse il beccuccio di plastica gialla per liberarlo dalle goccioline e sfilò dalla tuta il contenitore. Poi si affrettò a richiudere la lampo e a tornare verso le slitte. Oily, sentendo avvicinarsi la ragazza, si agitò, ma non alzò il naso dal cuscino caldo della coda piumosa. Natû ripose nella slitta il vaso da notte improvvisato, respirando a pieni polmoni l'aria frizzante. Mentre tornava verso la capanna, si fermò ad accarezzare la rozza scultura di un orso ritto sulle zampe posteriori. Era restia a lasciare l'aria pura per tornare nel rifugio affollato di umanità sudata. «Yogi», mormorò passando le dita sul naso dell'orso. «Tu sì che stai bene. La tua casa sono i boschi e i fiumi, o quello che ne abbiamo lasciato. » « Il caffè è pronto, là dentro », borbottò un musher che usciva dalla capanna, armeggiando con la lampo della tuta mentre correva verso gli alberi. « Deve pensare che ne ho bisogno, se me ne sto qui fuori a parlare con un tronco d'albero scolpito a forma di orso», commentò Natû, voltandosi per rientrare nella capanna. Quando aprì il pesante battente di legno, Bud si allontanò dal tavolo dove lui e altri tre musher stavano parlando a bassa voce. « Mi spiace per il vostro cane », disse uno di loro. «È dura perdere un valido elemento così presto», aggiunse un altro. Natû rispose con un cenno del capo. La morte di Vega era ancora troppo recente e lei non era ancora in grado di accettare la simpatia altrui. «C'è dell'acqua calda? » domandò. «E come lo avete saputo?» « Anna Mclnnes vi ha sorvolati poco dopo che era successo. È atterrata qui per scaricare un funzionario di gara e caricare un veterinario per McGrath. » «Dice che il tempo laggiù è di nuovo 'sereno e rigido', senza una nuvola in cielo, e bisogna essere un orso polare per stare bene con quel freddo», commentò sorridendo un altro musher mentre porgeva a Natû un boccale pieno di caffè. La ragazza scosse la testa. « No, grazie; niente caffeina per me, quando guido la muta. L'effetto deprimente annulla quello tonificante. Prenderò un po' di olio di foca per scaldarmi in previsione di McGrath. » «Che schifo», borbottò il musher, tenendo per sé il caffè. « Non so come fai a mandare giù quella porcheria. » Bud guardò Natû, pronto ad accorrere in sua difesa se si fosse adombrata per quella osservazione, ma lei si limitò a sorridere. « La mia gente la manda giù da migliaia di anni, e vive in regioni dove pochi altri potrebbero sopravvivere. Quando ti congelerai il didietro sullo Yukon, ti consiglio di provarlo: basta mangiare una tavoletta di cioccolato per non vomitare. » Gli altri musher risero della sconfitta del loro amico. Bud passò un braccio intorno alla vita della moglie. « Andiamo a occuparci dei cani », suggerì. « Un osso duro », commentò uno dei tre musher quando la porta si richiuse alle spalle della coppia. « E la figlia di Trapper Jack », spiegò un altro. « Ho sentito che è stato lui in persona ad allenare loro e quel suo figlioccio per la corsa. Sarà interessante sapere che piazzamento otterranno. » « Vorrai dire che sarà interessante sapere se finiranno la gara», ribatté l'uomo al quale Natû aveva consigliato di mangiare il cioccolato, se non riusciva a bere l'olio di foca senza vomitare. « La finiranno, su questo ci puoi scommettere. Quel Damas è un ex trivellatore, e la gente di quel tipo è capace di spostare le montagne. Cani e slitte sono una passeggiata, per loro. » «Ma non le bufere di neve, i white-out e il gelo dello Yukon», replicò il primo, al quale l'osservazione di Natû bruciava ancora. Natû e Bud si calarono lungo la sponda ripida del fiume, e le loro slitte finirono sulla ghiaia grigia con un brusco scossone. «Sai quanto farà bene ai pattini nuovi! » esclamò sarcastico Bud, guardando le poche chiazze di neve che si annidavano in mezzo al ghiaccio liscio e alla ghiaia. In lontananza la « montagna a piramide » sembrava sbarrare la visuale dell'estremità del fiume. « Non pensiamoci finché non avremo superato il Burn », consigliò Natû. «È una giornata splendida. Corriamo e aspettiamo di superare questo ostacolo, prima di preoccuparci di nuovo dei pattini della slitta. Questo tipo a cambio rapido sarà ideale per il Burn. A Nikolai vedremo in che condizioni sono le piste, e se la neve è abbastanza buona daremo uno spuntino ai cani e monteremo di nuovo gli XH neri. Lo so che sono morbidi», aggiunse, anticipando l'obiezione del marito, « ma offrono scarsa resistenza e i cani fanno meno fatica a trainare la slitta. » Bud assentì. Natû aveva più esperienza di lui, e senza dubbio aveva letto di più sull'argomento. «Immagino che le lamine d'acciaio coperte di plastica saranno meglio di quelle in legno incrostate di fango o ghiaccio », commentò, per stuzzicarla. Sei una piccola inupiat davvero curiosa, amore mio, pensò mentre seguiva Natû nel Burn. Hai una sensibilità istintiva per il terreno e sei capace di disegnare a memoria carte topografiche esatte fino al minimo dettaglio dei fiumi. Sai comprendere e discutere le ultime innovazioni tecnologiche nella costruzione di slitte e nell'abbigliamento da usare nell'Artico. Polietilene di peso molecolare ultraelevato o ad alta densità. Radian-Tex, Goretex e Thinsulate non sono semplici parole, per te. Te ne intendi più di me, eppure rifiuti di accettare che Edwin ti spieghi come funzionano i computer del MOC nei campi petroliferi del North Slope. E io ti amo più di quanto abbia mai creduto possibile. Quando entrarono nel Burn, la donna era silenziosa. « Qualcuno è stato gentile con noi », commentò, osservando quella distesa di neve, il cui candore era interrotto soltanto da qualche ramo nero o da un ceppo che spuntava come l'asta di una bandiera. «Se questo è il famigerato Burn, cerchiamo di uscirne prima che il vento rinforzi e tutta la neve svanisca », rispose Bud. «Per non parlare dei segnali con le bandierine fluorescenti », aggiunse Natû. Più tardi, Bud fermò la muta dietro quella della moglie; entrambi abbassarono i freni e si voltarono a guardare il Farewell Burn. « Mi domando quante volte questo posto si mostri così clemente con i musher», rifletté l'uomo. « Non troppo spesso. Abbiamo goduto di un tempo eccellente. Approfittiamo del margine che il Burn ci ha concesso per accelerare la corsa verso Iditarod. Alterneremo corsa-riposo-corsa, un programma ideale per i cani. » «Magnifico. Una volta arrivati laggiù saremo a metà strada da Nome, non è vero? » esclamò Bud, tutto felice. 32 TRAPPER JACK si lisciò i baffi ai lati della bocca finché non si unirono alla barba. Kiluk Owens lo teneva d'occhio mentre impastava il pane fresco, nella stanza pervasa dall'aroma caldo della farina intrisa d'acqua e del lievito. Trapper era preoccupato. Di solito restava seduto, immobile come una delle figurine scolpite nell'osso che gli eschimesi vendono ai turisti, invece quel giorno era irrequieto. Non faceva che ricavare treccioline dai peli radi della barba, per scioglierle subito dopo. Il suono della radio rendeva difficile la conversazione. Kiluk e Herbie la tenevano accesa tutto il giorno, mentre Scott restava in ascolto quasi tutta la notte. Avevano fissato alla parete una mappa, sulla quale il giovane Butler spostava i segnali che indicavano le posizioni raggiunte sulla pista da Patrick, Bud, Natû e Muktuk. Trapper, Scott e gli Owens erano arrivati la settimana prima nel villaggio di White Mountain, un piccolo centro abitato a meno di centotrenta chilometri da Nome, dove gli zii di Kiluk avevano una casa. In quella località i musher dovevano fare una sosta obbligata di otto ore prima di attraversare le famigerate colline Topkok, caratterizzate da cambiamenti climatici brutali e repentini. I musher sapevano che c'era il rischio di restare intrappolati da tempeste spaventose su quelle alture arrotondate, sterili e in apparenza interminabili. Erano pericolose perché la maggior parte dei concorrenti, una volta raggiunto White Mountain, alleggeriva le slitte e lasciava i cani che non considerava abbastanza veloci per lo sprint finale fino a Safety e, di lì, a Nome. Scott si allontanò dalla radio, osservato con aria carica di aspettativa da Kiluk, Herbie e Trapper. « Sembra che Bud e Natû abbiano messo le ali », annunciò. « Che cosa è successo? » chiese Kiluk con ansia. « Perché hai un'aria così preoccupata? » chiese Herbie, allarmato dall'improvviso pallore di Kiluk. « I bianchi hanno degli angeli con le ali a guardia delle tombe dei morti. Ho visto figure di creature celesti che volano verso le stelle con i morti. Che cosa è successo a Natû? » concluse con un gemito. «Scusami, Kiluk», disse subito Scott, passandole un braccio sulle spalle. «Era solo un'immagine per dire che hanno fatto presto ad attraversare il Burn. Stanno andando davvero in fretta. » «La corsa non è ancora finita», lo ammonì Trapper. «Molti musher commettono l'errore di rilassarsi troppo presto. Devono ancora superare lo Yukon, le colline Topkok e il ghiaccio marino della baia di Norton. Tutti passaggi insidiosi, ostici. » Comunque aveva un'espressione soddisfatta, quando tornò alla sua sedia per contemplare la nevicata. «Hanno attraversato il Farewell Burn e superato il checkpoint di Nikolai prima di ripartire. A quanto pare, hanno detto che intendono fermarsi a Iditarod. » « Ma laggiù non c'è niente, da quando si è esaurito l'oro. Quattordici milioni di dollari », protestò Kiluk. « Ora c'è qualcosa di più importante », ribatté Trapper, alzandosi dalla sedia di legno per attraversare la stanza e osservare la mappa del percorso. «Riposo. Una sosta indisturbata. Lì potranno dormire. » Natû aveva ascoltato con attenzione quando era stata elaborata la potenziale strategia della corsa: il villaggio di Iditarod non era indicato come possibile punto di sosta. Trapper si era preoccupato quando aveva sentito che Bud e Natû erano a Rohn, perché pensava che la perdita di Vega, più i rigori della Dalzell Gorge, dell'Happy River e del Rainy Pass fossero una prova troppo severa per loro. Dovevano essere stanchi. Lui aveva sperato che proseguissero ancora prima di rispettare la fermata prescritta dal regolamento. Non disse niente a Scott e agli Owens, ma pregò dentro di sé Oline, chiedendole di rendere Natû irrequieta e impaziente di lasciare la capanna di Rohn. Ora, mentre guardava la neve turbinare nel vento, sussurrò: « Grazie, Oline. Ti ringrazio di farle da madre e di badare ancora a mia figlia Natû». Vedendo il sorriso aleggiare sulle labbra di Trapper, Scott si rilassò. Doveva essere felice del modo in cui procedeva la corsa. Tornò vicino alla radio per sentire se c'erano notizie sul fratello. Il vecchio lo guardò per qualche istante mentre premeva i pulsanti della radio. « Non stare in pensiero per Patrick, Scott. Sta correndo come un veterano, non come una matricola, e del resto la donna che corre con lui non lo è », lo rassicurò Kiluk. « Quale donna? » chiese il giovane Butler, allontanandosi dalla radio. « Patrick corre da solo. » « Correva da solo. Ora con lui c'è una veterana, che indossa una tuta di un bel giallo vivace. » « E come lo sai? » «Voci», rispose Kiluk con una risata. Uno dei musher che si erano fermati poco tempo prima a White Mountain aveva raccontato a un'amica di Kiluk di avere superato sulla pista il figlioccio di Trapper e una donna in tuta gialla. « Voci di nativi », aggiunse poi, con aria misteriosa. 33 QUANDO Patrick e Vio ripartirono dal piccolo villaggio di Takotna per cominciare la corsa verso Ophir, dove avevano combinato di separarsi, lui provò una fitta di rimpianto all'idea di perdere la compagnia della donna. Lei era un'esperta di slitte e di cani, e amava l'Alaska. Correva con la sua stessa passione, e la mancanza di sonno non sembrava infastidirla. Per la prima volta Patrick ammirava una donna per le sue qualità, anziché per i suoi attributi fisici. Con sua sorpresa, Vio non manifestava interesse per lui come uomo, ma solo come concorrente. Il giovane Butler era abituato a vedere le donne affollargli intorno, quindi Vio rappresentava una piacevole novità. Lanciarono le due mute lungo la statale, costruita al tempo in cui, nel corso della guerra fredda con la Russia, era stata installata la linea DEW come sistema di allarme. Da lì la pista deviava per attraversare la regione aurifera, un tempo molto famosa. Vio era in testa quando entrarono nella città fantasma di Ophir, che aveva ricevuto il nome delle leggendarie miniere d'oro di re Salomone. I due fecero stendere al suolo i cani per esaminare le zampe alla ricerca di eventuali tagli o grumi di ghiaccio che si potevano formare tra le dita. Gli husky restavano distesi sulla neve, a occhi chiusi, limitandosi a sollevare un arto alla volta mentre Vio e Patrick controllavano il loro stato di salute. « Dormiranno bene », osservò lui, guardando la zona deserta che avevano scelto per la sosta. «Vado a prendere l'acqua, così potremo preparare il loro pasto. » « E il nostro », aggiunse Vio. « Uno dei motivi principali di allucinazioni e di errori, in questa corsa, è che i musher si occupano degli husky e dimenticano di mangiare. Così si stancano, il loro cervello s'intorpidisce e, invece di leggere i segnali di avvertimento che il tempo manda loro, proseguono alla cieca, di solito andando incontro al disastro. » «Parole sacrosante», replicò Patrick, cercando di non sorridere dell'espressione seria della donna mentre lo indottrinava. «Tu almeno mangi cibi eschimesi», proseguì lei, come se il giovane non avesse parlato. « Olio di foca e grasso di balena fanno miracoli per tenerti al caldo e conservare i livelli di energia, specie quando il gelo dello Yukon ti penetra nelle ossa. » « Il possente Yukon è davvero così ostile? » « Peggio. » Poco dopo Vio e Patrick avevano mangiato, disteso il sacco a pelo sulla slitta e tirato la copertura esterna fin sopra la testa. I cani erano raggomitolati a palla e dormivano già. Il giovane Butler si lasciò sfuggire un sospiro di contentezza. Lo stufato piccante di alce, scongelato e scaldato, era davvero ottimo. Chiuse gli occhi e si lasciò andare a un sonno profondo e ristoratore. Vio rimase sveglia ancora un po', scaldandosi le mani tra le cosce. L'oscurità del sacco a pelo con la chiusura doppia fu riempita da un'immagine così vivida che lei si domandò se fosse un'allucinazione: era Patrick, con le guance rigate di lacrime, mentre cullava tra le braccia Clarke. « Sì », bisbigliò, « se mai deciderò di cambiare la mia meravigliosa vita selvaggia sarà per te, Patrick Butler, o per uno come te. » Chiuse gli occhi, e i due musher dormirono indisturbati accanto ai loro husky. Qualcosa però destò il giovane, che intuì, più che udire, un suono o un movimento. Rimase immobile, con le orecchie tese. Lupi in cerca di cibo? Un alce, o un orso disturbato nel suo semiletargo? No, era qualcosa che si muoveva vicino a lui. Tese l'orecchio per captare qualche suono familiare. D'un tratto capì che cosa lo aveva riscosso dal sonno: era il rumore di una muta di cani che veniva sfamata e imbragata alla linea di traino. « No », sussurrò. « Ci eravamo accordati per correre insieme fino a Ophir e poi separarci, ma non in questo modo. » Si sforzò di aprire la doppia chiusura del sacco a pelo e scendere dalla slitta per parlare a Vio. «Dannazione», imprecò mentre la lampo gli scivolava via dalle dita. « Violet non può sgattaiolare via senza neanche salutare. » Si sentì assalire dalla nausea nel ricordare una conversazione che avevano avuto a McGrath. Ora le parole della donna risuonavano nella sua mente come una campana a morto, per i sentimenti che cominciava a provare per lei. «Questa corsa è una droga, ma non esistono centri di riabilitazione in grado di curare una tale forma di dipendenza. Non c'è altro da fare che continuare a correre sino alla fine del viaggio. » Gli aveva sorriso con aria beffarda. « Queste sono parole di Dryden, Patrick. « Devo correre l'Iditarod, il che significa che ho bisogno di denaro, e questo proviene soltanto dagli sponsor. Loro assegnano soldi e attrezzature esclusivamente ai concorrenti che si piazzano in buona posizione, quindi devo rientrare tra i primi venti. » Ripensando a quella conversazione, lui rammentò anche una delle sue tante citazioni, « silenti come ombre ». Gli pareva che avesse detto che proveniva da una delle poesie di Coleridge. « Probabilmente se n'è andata silenziosa come una delle sue dannate ombre», mormorò, continuando a lottare per aprire il sacco a pelo. Facendo scorrere la lampo, guardò verso il punto in cui riposava Vio con la sua muta. Si aspettava di vedere soltanto una distesa di neve interrotta da qualche ciuffo di vegetazione, invece trovò sedici husky stesi a riposare e una slitta con la copertura ancora chiusa dalla lampo. Tirò un sospiro di sollievo: Vio non lo aveva abbandonato di soppiatto. Mentre scendeva dalla slitta, Sockeye si alzò in piedi e si stirò, svegliando il resto della sua muta oltre a quella della sua compagna d'avventura. Patrick osservò la copertura gialla e arancione della slitta sollevarsi e abbassarsi mentre la donna si dimenava per uscire dal sacco a pelo, con gli occhi ancora gonfi di sonno. Si stirò, sbadigliò e parve sorpresa di trovare il giovane già in piedi, che la guardava. « Salve », le disse tutto allegro, scaricando dalla slitta la cassetta di alluminio che conteneva i recipienti da un litro di HEET, l'alcool da cucina, per preparare il cibo dei cani. Vio rimase a guardare mentre lui gettava in una pentola i pezzi di carne congelata prima di versarvi sopra l'acqua bollente appena preparata in un'altra pentola messa a scaldare sul fornello. Dopodiché mescolò gli ingredienti secchi. « Buona idea », commentò lei. « Chi ti ha insegnato quel trucco? » «Me ne ha parlato Natû. Legge tutto quello che viene scritto sull'Iditarod. Questo sistema elimina il gusto di acido o di carne bruciata che inquina i pasti dei cani per il resto del percorso. È meglio che usare una sola pentola per tutto. » Vio annuì, frugando nella slitta per tirare fuori un'attrezzatura da cucina simile, più i contenitori termici per conservare le provviste supplementari ed evitare di cucinare ancora lungo la pista. « Bene, è qui che abbiamo concordato di ridiventare avversari », esordì Violet, mentre osservava le due mute imbragate e unite alla linea di traino e le slitte caricate con cura meticolosa. Patrick deglutì a fatica. Si era aspettato qualcosa di più come addio, ma evidentemente la donna era ansiosa di proseguire la gara. « Buona corsa, Vio, e grazie della compagnia », le disse, sforzandosi di sembrare sereno, anche se quel sorriso non riusciva a raggiungere gli occhi. Violet alzò una mano in segno di saluto. «Via! » gridò, saltando sui pattini della slitta. Il giovane Butler la seguì con lo sguardo, mentre la sua muta saliva senza sforzo le pendici dei monti Beaver. « Forza, ragazzi, superiamo il grande passo prima che il vento si alzi e ci lasci senza un percorso da seguire. » Si guardò ancora attorno per osservare il luogo della sosta obbligata: senza Vio appariva molto desolato. Le ventiquattro ore erano passate in fretta, come una bufera improvvisa, e come la tormenta avevano portato con sé tutto, senza lasciargli niente. Patrick si riscosse. «Cominci a diventare sdolcinato», bisbigliò a se stesso. «Concentrati sulla corsa, come fa lei. » «Via, Sockeye», gridò. L'husky, che aveva ancora nelle narici l'odore della muta di Vio, partì a razzo, come se gli avessero affidato la missione di raggiungere e superare lei e i suoi cani. Trovava molto interessante una delle femmine dell'altra muta, e voleva approfondire la sua conoscenza. «Tiri come un forsennato, Sockeye», gridò Patrick, ignaro del motivo per cui il suo leader mostrava tanto entusiasmo ed energia. 34 SCOTT batté i piedi sul terreno per liberare gli stivali dalla neve prima di entrare nella capanna, massaggiandosi il petto con le braccia per scaldarsi. Trapper e Kiluk lo fissarono in silenzio. «Che notizie hai?» chiese Herbie, che non era dotato della pazienza e della rassegnazione alle avversità tipiche della moglie. « Muktuk ha deciso di non lasciare Shaktoolik per attraversare il ghiaccio marino », rispose Scott con voce monotona. « Soffia un forte vento da est, e una parte del ghiaccio permanente di terra si sta già spezzando e spostando verso il largo. Si aprono dei corridoi. Anche gli altri musher hanno seguito il consiglio dei nativi, proseguendo lungo la linea costiera e scegliendo di allungare il percorso di venticinque chilometri pur di non affrontare il pack della baia di Norton. » Il giovane si avvicinò quindi alla mappa per spostare lo spillo che contrassegnava la posizione di Muktuk. Trapper sospirò. « Il ghiaccio marino è una bestia temibile. Ringhia, geme e digrigna i denti. Ogni anno divora molti di coloro che si avventurano ad attraversarlo. » «Le nostre donne possono restare vedove anche tre o quattro volte prima di compiere venticinque anni», confermò Kiluk. « Quel bestione inghiotte i loro mariti quando si spingono sul ghiaccio per andare a caccia. » Scosse la testa prima di aprire lo sportello del forno, lasciando uscire un fiotto d'aria calda che intiepidì la cucina. « Il polso e il cuore battono a un ritmo diverso quando si procede sul ghiaccio», spiegò Trapper, citando un detto eschimese. « Muktuk ha fatto una scelta saggia. Ma ci sarà chi si lascerà accecare dal desiderio di vincere o di ottenere una sponsorizzazione, e spingerà la propria muta oltre ogni limite. » « E che ne dici di quella storia assurda del musher che ha guidato, sfamato e fatto riposare i suoi cani per due giorni su un tratto di pack coperto di neve che si era allontanato dalla terraferma? » domandò Scott, rivolgendosi a Trapper. « E tutto vero », rispose il vecchio in tono serio. « Si è accorto di quello che era successo soltanto quando hanno raggiunto l'acqua nera, al largo, nel mar di Bering. Per sua fortuna il vento è cambiato e il ghiaccio è stato sospinto di nuovo verso terra. Dicono che si è inginocchiato a baciare il suolo. » «Ora capisco perché il cuore ha un battito diverso in queste situazioni», replicò Scott. «Mi domando se è così che sono scomparsi tanti dei mariti di quelle giovani donne», rifletté. «Non riesco a immaginare niente di peggio che ritrovarsi su quello che sembra un tratto di ghiaccio solido e scoprire all'improvviso che è un'isola galleggiante. » Tremò al pensiero dell'immagine che aveva creato con la fantasia. « Qualcosa di peggio c'è, ed è scoprire che un orso polare, uscito a caccia, si trova sullo stesso blocco di ghiaccio alla deriva », osservò Herbie. « Mi vengono i brividi al pensiero di essere braccato da un cacciatore astuto come un uomo, ma senza dubbio meglio attrezzato per vivere tra le asperità dell'Artico. » Nessuno rise, perché tenevano in grande considerazione gli orsi e le loro abilità. Trapper guardò in lontananza la neve finché gli occhi non cominciarono a lacrimargli. Rivedeva per l'ennesima volta la figura di Oline, rannicchiata sul ghiaccio dell'isola di Pingkok, in attesa che nonno Nanuq, il possente orso polare, la trovasse e la sbranasse con la stessa facilità con la quale avrebbe divorato una giovane foca. «Sì», mormorò. «Ci vuole un grande coraggio per affrontare un cacciatore forte e astuto come quello. » «Perché, uno dei tuoi...? » Herbie non completò la frase perché Kiluk, muovendosi con rapidità sorprendente per una donna della sua stazza, gli si parò davanti, facendo dei segnali da cui capì che doveva tacere subito. « Sì », sussurrò Trapper, rispondendo a quella domanda troncata a metà. « Sì. » D'improvviso Scott alzò il volume della radio, ascoltando con attenzione prima di rivolgersi a Trapper. « Conoscete un certo Short Seppa? » domandò. « Sì. Corre l'Iditarod da anni. Perché? È un tipo in gamba, sempre pronto ad aiutare una matricola. Dà buoni consigli, non cerca di sviare o uccidere i propri avversari come qualcun altro che potrei nominare. » «Shark, il cane di testa di Muktuk, gli ha dilaniato il braccio. » « Sembra proprio un'azione degna di quella peste », fu il commento di Herbie. « Muktuk ha pulito la ferita e lo ha accompagnato a Unalakleet, dove lo ha lasciato alle cure di un veterinario. » « Muktuk? » esclamarono tutti con stupore. « No », affermò risoluto Kiluk, « devono aver capito male. Conosco quell'uomo. Non si fermerebbe per niente e nessuno. Shark azzanna tutto quello che si muove, e Muktuk ci è abituato. No, non è lui, devono riferirsi a qualcun altro. » Herbie e Trapper annuirono, in segno di assenso. « Quando corre, lui lo fa per vincere. Non aspira a un riconoscimento per le sue buone azioni. » Scott non dissentì, limitandosi a riportare la sua attenzione sulla radio. «Lungo la pista s'incontrano molti musher», replicò Trapper. «Alcuni diventano amici, altri non si rivedono più. Fa parte della corsa. » 35 BUD e Natû erano in equilibrio sui pattini della slitta, intenti a osservare la città fantasma di Iditarod. La routine corsa-riposo-corsa che Natû aveva imposto lungo il percorso fino a quel punto si era rivelata ottima per i cani, ma Bud si sentiva girare la testa. Aveva la nausea per mancanza di sonno, e i richiami di un branco di lupi a caccia di caribù, che sembrava seguirli da Ophir, lo turbavano più di quanto non fosse disposto ad ammettere. Gli edifici abbandonati, in lamiera arrugginita, squassati dal vento, parevano fluttuare al di sopra del terreno, nella luce di un celeste argenteo che precedeva l'alba. «I nativi l'hanno chiamata Iditarod. Un luogo lontano lontano », spiegò Natû. « Ce l'abbiamo fatta. Non è bella? Sembra l'interno di un guscio d'ostrica. » Natû vedeva soltanto i colori pastello che amava. Per lei, l'ululato dei lupi non faceva che accrescere la bellezza di quel luogo deserto. «Come facciamo a preparare il cibo dei cani, con quei dannati animali così vicini? » chiese Bud, tentando di scrutare l'oscurità che regnava tra i radi alberi alle sue spalle. «A loro interessa soltanto la carne viva che corre su quattro zampe », rispose Natû. « Resteranno ai margini del branco di caribù finché non ne troveranno uno stanco o debole, e allora lo isoleranno e lo abbatteranno. » Bud l'ascoltò, traendo conforto dal pensiero che i lupi sarebbero rimasti vicino ai caribù. « Scenderò al fiume a tagliare un buco nel ghiaccio per attingere l'acqua per i cani », continuò la ragazza. Era preoccupata per il marito. La stanchezza aveva inciso rughe profonde sul suo volto, e lui barcollava, in bilico sui pattini della slitta. « No, lo farò io », ribatté. Natû stava per obiettare, quando si accorse che l'orgoglio maschile dell'uomo aveva bisogno di essere lusingato. « Grazie, Bud. Quel secchio diventa pesante, quando è pieno d'acqua. » Lo seguì con gli occhi mentre si dirigeva verso il fiume. «Sono così orgogliosa di te, Bud Damas», mormorò mentre provvedeva a scaricare dalla slitta le pentole e l'attrezzatura da cucina per preparare il cibo dei cani, più un po' di stufato per lei e Bud. « Stai correndo come un veterano. Penso che Trapper sarà fiero di entrambi. Non ci assegneranno certo la lanterna rossa che pende dall'arco di legno istoriato di Nome, che è destinata al concorrente che arriva ultimo. » Appena mise piede sul ghiaccio, Bud rimase impietrito. Tra gli alberi c'era qualcosa che si muoveva con l'andatura furtiva e decisa di un cacciatore. Serrò gli occhi. Quando li riaprì, la creatura sembrava guardarlo con odio. Sotto i suoi occhi, l'animale si spostò di lato, affiancato da un altro. Il lupo è l'unico animale che riconosca un uomo immobile soltanto alla vista. Bud si sforzò di ricordare da chi aveva sentito quell'informazione. Era Trapper o Natû? Scosse la testa, e i lupi gli sembrarono ancora più grandi. « Quelle mascelle riescono a spezzare ossa troppo dure anche per i grizzly. Ingoiano bocconi grossi quanto il pugno di un uomo. » L'uomo volse le spalle al fiume, ma, in preda a un terrore febbrile, si allontanò da Natû e dai cani, cominciando a correre. Con suo orrore, i lupi gli vennero dietro. Avevano gli occhi piatti e gialli, la lingua pendula nella bocca aperta e frammenti di carne sanguinolenta incastrati fra i denti. Mentre correva, la sua attenzione fu attirata da una lama di luce gialla in mezzo agli alberi: proveniva da una piccola capanna di tronchi. Fuori era appesa una lanterna, per guidare e accogliere i viaggiatori stanchi nel deserto spaventoso dell'Alaska. Istintivamente, si mise a correre verso quel lume. « Forse la vista di un'abitazione umana impedirà ai lupi di seguirmi. » Mentre gli balenava alla mente una speranza di salvezza, la porta della capanna si aprì. L'accolse una donna con un sorriso pieno di calore. Bud si diresse, incespicando, verso di lei, precipitandosi nella stanza. « No! » gridò. La stanza era piena di lupi che si contendevano la carogna di un caribù. Corse alla porta, ma la donna lo afferrò per il braccio. « Resta », gli disse. « Va tutto bene, non sono più affamati e non ti faranno del male. » Bud si allontanò di scatto, ma i denti scintillanti e il lezzo del sangue lo fecero crollare in ginocchio. Gli animali uscirono dalla porta aperta della capanna, verso di lui. Li guidava il maschio che era a capo del branco. Quando Bud sentì il loro alito fetido, urlò, coprendosi la gola con le mani. Natû sentì l'urlo. Lasciò cadere le pentole e si fermò solo quanto bastava per prendere la rivoltella dalla slitta, prima di correre verso il fiume. Seguendo le sue tracce, trovò il secchio vuoto abbandonato sul ghiaccio. « Bud », chiamò. L'unica risposta era il vento che fischiava tra gli edifici abbandonati e la cacofonia metallica delle lamiere arrugginite. « Bud, dove sei? » Sul ghiaccio non si vedevano impronte, quindi si arrampicò sull'argine. Lungo il fiume risuonò un lungo ululato solitario, agghiacciante come il suono di una campana a morto. « Bene. Si stanno allontanando », mormorò lei. « Bud ne sarà sollevato. Fa finta di non badarci, ma diventa nervoso ogni volta che vediamo i caribù e sentiamo i lupi che vanno a caccia. » Bud picchiava i pugni sulla neve, lanciandola in aria a manciate. « Via! » gridava. « Andate via di qui! Se venite a prendermi morirò, ma battendomi come un uomo. » Natû si fece ombra agli occhi. Con la sua vista acuta, scorse un turbinio che sembrava una tormenta in miniatura. La neve volava in tutte le direzioni, ma da un solo punto. Si avvicinò con cautela, chiedendosi che specie di animale potesse causare quel trambusto. Dev'essere in agonia, pensò. « Bud », sussurrò sbalordita, riconoscendo il marito che, in ginocchio, mormorava oscenità a creature che soltanto lui poteva vedere. « Tesoro? » ripetè, sfiorandogli la spalla, ma lui si ritrasse a quel contatto. « No, non tornerò nella tua capanna per farmi divorare dai lupi. No, piuttosto ti ammazzo», gridò, respingendo Natû con tanta violenza che lei incespicò, scivolando in basso, sul ghiaccio del fiume. « Oline », sussurrò la ragazza, « ho bisogno del tuo aiuto. È troppo forte. Non posso costringerlo a tornare alle slitte. Qualunque cosa abbia visto, a lui sembra reale. Ma, se è in preda alle allucinazioni, potrebbe uccidermi. Dimmi cosa fare. Aiuta tua figlia. » Subito si sentì pervadere da quel senso di pace che provava quando parlava con lo spirito della sua ava. «Bud», gridò. «Ho preso io il secchio. Dov'è l'acqua? Bisogna far riposare i cani e sfamarli. Alzati e vieni ad aiutarmi. Non posso portare tutto da sola. » L'elenco dei loro compiti quotidiani parve riportare l'uomo alla realtà. « Natû? » disse come stordito, guardando il fiume ghiacciato. « E i lupi? La donna e la capanna con la lanterna? » « È la mancanza di sonno », rispose la ragazza. « Io non riesco a tenere gli occhi aperti. WhiteOut e Sockeye russavano già prima che me ne andassi. Basta riempire d'acqua un secchio e poi possiamo metterci a dormire. Abbiamo davanti a noi ventiquattro meravigliose ore di riposo. » Così fecero. Quando gli husky li sentirono tornare, si limitarono ad affondare ancora di più il naso nella folta coda. « I lupi, Natû? » domandò Bud, ancora intontito. « Se ne sono andati», rispose lei, con cautela, non sapendo se il marito fosse ancora in preda alle allucinazioni. « Ora dormi. Ne parleremo quando ti svegli. » Attese di sentirlo russare, prima di salire sulla slitta e infilarsi al caldo nel sacco a pelo, chiudendo gli occhi con un lieve grugnito di soddisfazione. Il vento rinforzò, ma non riuscì a disturbare il sonno delle mute e dei musher esausti. Il pallido sole era riuscito lentamente a raggiungere lo zenit e cominciava già a calare quando Natû sbirciò finalmente fuori del sacco a pelo. I cani erano ancora raggomitolati nel sonno, ma sotto i suoi occhi Oily si alzò, girò su se stessa annusando il punto in cui aveva dormito e si rimise giù. «È ora di mangiare», bisbigliò Natû dimenandosi per uscire dal sacco della slitta. Il vento freddo le servì da doccia, rinfrescandola e dissipando le ultime tracce di sonnolenza. Tutta allegra, riempì a metà un boccale con l'olio di foca, per Bud. Ridacchiò, immaginando la sua smorfia quando avesse tentato d'ingoiarlo, e aggiunse una tavoletta di cioccolato per mascherare il retrogusto. Si mise in tasca della carne secca da masticare durante la corsa e dispose sulla griglia quattro hamburger congelati, vicino alla pentola d'acqua bollente per il pasto dei cani. «Questo dovrebbe bastarti fino ad Anvik, dove ci fermeremo a fare rifornimenti lungo la strada per il famigerato Yukon, verso Kaltag », disse rivolta al marito, che dormiva ancora. Gli husky, accorgendosi che stavano per ricevere il pasto, abbaiarono eccitati. Erano riposati ma affamati. Il chiasso svegliò Bud, che emerse dal sacco a pelo con un'aria rilassata e perfettamente normale. Natû si aspettava che accennasse ai lupi e alle allucinazioni della sera prima, invece lui le si avvicinò mentre cucinava, affondando il viso tra i capelli che spuntavano dal berretto in pelle di caribù. « Ti amo, mia piccola moglie inupiat », le disse. La ragazza si girò di scatto a guardarlo, e il loro fiato si confuse in una sola nuvoletta nel gelo della sera, mentre le loro labbra si facevano calde e impazienti. « Pensi che ci staremmo, in due, nella tua slitta? » chiese Bud, con voce roca e incrinata dal desiderio. «No», rispose Natû, respingendo lui e la tentazione. « Ricordati della corsa. Non vorremo sprecare il vantaggio che ci ha assicurato il Burn? » « Giusto », convenne Bud. « D'ora in poi, la nostra meta è Nome. Non ci fermeremo per niente e per nessuno finché non raggiungeremo quell'arco sulla strada principale. » « Bevi questo », gli disse Natû, porgendogli l'olio di foca. «Al prossimo controllo troveremo del ghiaccio fluviale, e dovremo correre controvento in mezzo allo Yukon fino a Kaltag. » Bud rabbrividì nel sentir nominare quel corso d'acqua. «Saprai che cosa significa la parola 'freddo' soltanto quando ti troverai sul ghiaccio in mezzo al fiume, con temperature di cinquanta gradi sotto zero e venti contrari che soffiano alla velocità di novanta o cento chilometri l'ora », aggiunse Natû, guardandolo fare una smorfia mentre ingollava l'olio di foca e tendeva la mano per afferrare la tavoletta di cioccolato. « Il freddo è tale che puoi 'fare un goccio d'acqua e sedertici sopra', secondo un detto locale. In quella dannata valle dello Yukon s'incanalano tutte le correnti dell'Alaska. Dovremo venirne fuori il più presto possibile, altrimenti ci geleremo il culo », continuò per lei Bud, cercando di cancellare dalla bocca il gusto dell'olio di foca. «Tutti i musher odiano lo Yukon, e penso che ne abbiano motivo. Dovremo essere preparati a correre vicino ai cani, così potremo tenerci caldi.» Natû sorrise. «Del resto conosco un paio di trucchetti per tenere caldo te, Bud Damas », aggiunse. Lui scoppiò a ridere, poi ridivenne serio. «Amore, riguardo a ieri... Ho visto davvero la capanna di tronchi e i lupi. Mi sembra ancora di averli davanti agli occhi. » «Lo so, le allucinazioni sembrano terribilmente reali, e possono durare per settimane intere. Ma, credimi, io sono stata sul fiume, e non c'erano né i lupi né la capanna. « Comunque parecchi musher vedono una luce bianca accecante che li guida fuori dei punti critici. Di solito sono quelli che invocano aiuto pregando. I nostri antenati vengono in nostro soccorso, quando li invochiamo. Io credo che esista una Forza vitale che è molto al di là della nostra comprensione e, se riusciamo a entrare in contatto con essa, riceviamo aiuto. » Bud sorrise, lanciandole un bacio sulla punta delle dita. « Grazie per la comprensione. Scusami se ti ho colpito, ma in realtà volevo liberarmi dalla donna della capanna. » « Va tutto bene. Ma, se lo rifai, ti mando al tappeto, Damas. » «Alt! » gridò Natû, e Sockeye si fermò appena alle spalle della muta di Bud. Niente di quello che avevano detto Trapper o Muktuk lo aveva preparato all'immensità dello Yukon. Lui sapeva che nasceva in Canada e scorreva per più di tremila chilometri prima di gettarsi in una pianura alluvionale dell'ampiezza di circa cinque chilometri e mezzo, da cui sfociava nel mar di Bering, eppure allargò lo stesso le braccia, in segno di stupore. «Le cifre non significano niente finché non lo vedi», mormorò. Natû assentì. « Andiamo. Una volta raggiunta Anvik, sul versante opposto, ci attende una lunga corsa fino a Kaltag. » 36 PATRICK fischiettava, filando sulla slitta. Aveva quasi superato la regione dello Yukon, districandosi dal gruppo d'isolotti che precedevano Eagle Island. Sockeye era riuscito a mantenere la muta sulla pista nonostante gli affluenti che si diramavano dallo Yukon, e adesso stavano percorrendo i trentacinque chilometri prima di Kaltag, che molti musher trovano monotoni. L'uniformità del fiume, dei venti forti, del ghiaccio liscio e del tempo rigido e sereno li stanca e mette a dura prova la loro concentrazione. Devono fare attenzione a non lasciarsi suggestionare da miraggi e allucinazioni, o addormentarsi e cadere dalla slitta, rischiando di perdere la muta di cani e tutto il necessario per restare in vita. Patrick si accorgeva a malapena dell'ambiente che lo circondava, perché tutti i suoi pensieri erano rivolti a Vio e alla possibilità di un futuro con lei, ma la sua attenzione fu riportata sul fiume da Sockeye, che abbaiò in modo sonoro e incalzante. Il giovane Butler osservò la muta che correva davanti a lui e che aveva attirato l'interesse del suo cane di testa. I suoi occhi, già irritati dal vento, cominciarono a lacrimare quando sollevò le lenti scure per avere la conferma che il musher indossava una tuta giallo vivo. « Sì », esclamò, con un gesto di vittoria. « Sì, è lei. Sockeye», gridò, «va' a prenderli, ragazzo. Non lasciarti battere in velocità. » L'husky voltò la testa per guardarlo e abbaiò di nuovo, ma stavolta il significato era un arrogante: « O li batteremo o li faremo fuori ». Patrick osservò le spalle del cane gonfiarsi nello sforzo di trascinare la muta in avanti, e capì che ben presto sarebbero arrivati all'altezza di Vio. «Pista! » gridò quando Sockeye la raggiunse. Senza voltarsi, lei gli cedette il passo, anche se non era necessario, visto che correvano su un fiume di ghiaccio largo un chilometro e mezzo. Quando la sua slitta fu all'altezza della donna, Patrick gridò: « Salve », con l'intenzione di unire al saluto un invito ben formulato a proseguire di nuovo insieme, ma le parole gli rimasero in gola appena lei si girò a guardarlo. Aveva dei tamponi di ovatta infilati sotto gli occhialoni nel punto in cui toccavano il viso. Patrick osservò i lividi, viola e neri come un inverno artico, che costellavano le guance gonfie, poi lo sguardo gli cadde sul naso, un tempo diritto e sottile, ora schiacciato e contorto come quello di un pugile fallito. « Che cosa ti è successo, Vio? » le domandò. « Hai giocato a rimpiattino con i rami bassi? » « Non mi pare che nel bel mezzo dello Yukon crescano molti alberi », rispose lei con voce fioca e con un filo di sarcasmo. « No, ho preso in pieno un ramo su quella pista orribile che passa attraverso i boschi poco lontano da Shageluk, ma è stata colpa mia, perché non prestavo la dovuta attenzione. Forse la sosta regolamentare di ventiquattr'ore a Ophir mi ha intontito, perché non mi era mai successo prima. » Tentò di sorridere, ma il gonfiore le deformò la bocca, trasformando il sorriso in una smorfia orribile. Patrick distolse lo sguardo. Non poteva sopportare di vedere così sfigurato quel viso che era stato tanto grazioso. « So che abbiamo concordato di separarci a Ophir e di proseguire per Nome come avversari», le disse, «ma ora mi accorgo che non posso fidarmi di lasciarti sola in mezzo agli alberi. Probabilmente sei l'unica persona capace di trovare dei rami bassi in mezzo allo Yukon. Ora ti accompagno a Kaltag, dove troveremo qualcuno che ti rimetta in sesto quel naso. A meno che non ti piaccia recitare il ruolo di un pugile, e suonato, per giunta», aggiunse. Vio stava per protestare, ma poi annuì. La corsa lungo lo Yukon era una dura prova, e lei non riusciva a ripararsi il naso dal freddo. Aveva l'impressione che il gelo filtrasse attraverso la pelle, e le narici, ogni volta che respirava, bruciavano come una vescica rotta. Il gelo, unito al vento, faceva scendere la temperatura a livelli non soltanto pericolosi, ma addirittura letali. La donna aveva tentato di correre assieme ai cani per non perdere il calore corporeo, ma il ritmo monotono dei piedi che martellavano il ghiaccio le rimbombava nella testa fino a provocarle la nausea. Quando entrava e usciva dai checkpoint si riparava la faccia il più possibile con una sciarpa, perché non intendeva ritirarsi dalla corsa, non certo per colpa di un ramo. Patrick era preoccupato. Era certo che avesse il naso rotto, quindi tratteneva la sua muta, con grande disgusto di Sockeye, costretto a restare dietro la femmina del gruppo di cani di Vio che intendeva corteggiare. «Non guardarmi male», lo ammonì il giovane Butler, mentre correva in testa alla muta e poi tornava verso la slitta, per scaldarsi; ma ormai l'husky era entrato nello spirito della competizione, e trovava umiliante essere costretto ad adottare un'andatura più lenta, per cui continuava a manifestare la sua insoddisfazione ogni volta che lui gli passava vicino. Mentre risalivano il fiume di ghiaccio in direzione di Kaltag, l'aurora boreale aleggiava intorno e sopra di loro, proiettando sulla neve e sul ghiaccio veli di un rosa pallido e di un verde nebuloso. I cieli palpitavano di colori pulsanti. « È come correre su un arcobaleno », sussurrò Patrick, alzando la testa. « Il mio cuore è come un guscio iridescente / che naviga in un mare alcionio », replicò Vio. Il giovane la guardò con aria perplessa. « Shakespeare? » tirò a indovinare. « Lo dici sempre, per tutte le poesie. È Christina Rossetti.» Dentro di sé, Vio completò la strofa: « Il mio cuore è più lieto di ogni altro / perché il mio amore è venuto a me ». Patrick si sentì sollevato quando raggiunsero finalmente il villaggio di Kaltag. Aveva notato che, per quanto freddo facesse nello Yukon, Vio non correva per scaldarsi. « Speriamo che qui ci sia qualcuno in grado di aiutarla », bisbigliò, mentre incitavano i cani a risalire i diciotto metri dalla sponda del fiume fino al villaggio. Il funzionario del posto di controllo esaudì la sua preghiera. « Sì, ieri Anna Mclnnes ha portato qui Paul. Come sa, lui ha cominciato a studiare da medico, anche se poi ha deciso che preferiva lavorare con gli animali a quattro zampe. Gli chiederò di darle un'occhiata. » Si allontanò subito per andare in cerca del veterinario, e a Patrick rimase il compito d'informare Vio che aveva preso accordi per farla visitare da Paul. Restò sorpreso, scoprendo che non faceva obiezioni. « Ma mi aspetto che tu mi sostenga, se cercasse di farmi ritirare. Intendo portare a termine questa corsa, anche a costo di arrivare a Nome strisciando. Mi capisci, Butler? » I suoi occhi sprizzavano lampi. Savannah, la sorella di Patrick, gli aveva insegnato fin dai primi anni di vita a non discutere con una donna quando i suoi occhi sprizzano lampi. La determinazione che fa divampare le fiamme proviene dal profondo dell'anima, e non è il caso di scherzarci. « Ma certo, Vio », la rassicurò. Rimase fuori della porta, ascoltando le voci alterate. Infine Vio ne uscì brandendo con aria trionfante un flacone di pastiglie. «Analgesici», disse in risposta alla tacita domanda di Patrick. « Quanto al naso, posso sempre farmelo rompere di nuovo e sistemare dopo la corsa, se non mi piacerà l'aspetto che avrà una volta sparito il gonfiore. » Il giovane l'accompagnò verso il punto in cui avevano lasciato la muta. « Grazie, ragazzo », gli disse. « Sei stato gentile, sono in debito con te. » «No... questo era in cambio di quello che hai fatto per me al Bum. » Le passò un braccio intorno alla vita, con un gesto che voleva essere soltanto fraterno. Il corpo minuto di Vio si adattava perfettamente alla curva della sua spalla. Senza pensarci, lui abbassò la testa proprio mentre lei alzava la sua, e rispose alla domanda dei suoi occhi chiari dalle ciglia lunghe e folte, coprendole la bocca con le labbra. La bocca di Vio si raddolcì nel rispondere, e Patrick serrò la stretta. « Ehi, questa paziente va trattata con delicatezza. » Paul li guardava, in piedi, sulla soglia, con le mani sui fianchi e le gambe divaricate. « Devo ancora capire come fate voi Butler a trovare due delle donne più belle dell'Alaska e a toglierle dal mercato, quando uomini come me devono pubblicare ogni mese inserzioni sulla rivista Alaska Men per trovarne una, una qualsiasi, che possa amarci. » Vio rise della sua espressione afflitta, e la magia di quel momento con Patrick svanì. Calma, ragazza mia, si disse. Questa potrebbe diventare una dipendenza, come la corsa. Ricordati della tua libertà. Voltò le spalle ai due uomini per distribuire spuntini ai cani e controllare le linee di traino. Bastò un fischio sommesso al leader della muta, e i pattini della slitta frusciarono scivolando sulla neve in direzione di Unalakleet. «Ci vediamo a Nome», gridò rivolta a Patrick, mentre lui e Paul la guardavano scomparire in mezzo a una foresta di abeti. «Attenzione agli alberi, e buona corsa», tuonò il giovane. « Una ragazza fantastica », commentò Paul. « Il guaio è che nessuno riesce ad avvicinarla. Le interessano soltanto i cani e le corse, non gli uomini. » Patrick sorrise. Sentiva ancora la dolcezza delle labbra di Violet che rispondevano alle sue. Annuì. « Ho una corsa che mi aspetta, e preferirei la fibbia di bronzo dell'Iditarod alla lanterna destinata alla matricola che arriva per ultima a Nome», esclamò, preparandosi a seguire la scia di Vio. 37 TRAPPER distolse bruscamente lo sguardo dalla finestra, mentre il suo viso si raggrinziva per lasciare spazio a un ampio sorriso. Si alzò dalla sedia. «Siediti, siediti», gli fece Muktuk, occupando tutto il vano della porta come un grizzly dal manto peloso. La pelliccia di ghiottone che orlava il cappuccio del parka stava ritta come se fosse sollevata da un vento di tempesta; dalla barba rada gli pendevano dei ghiaccioli, e i baffi erano ridotti a un blocco di ghiaccio sotto il naso. Aveva gli occhi cerchiati di rosso per la stanchezza. «Chiudi la porta. Entra a scaldarti un po'», lo invitò Herbie. Muktuk annuì, lasciando scivolare dalle spalle il parka e battendo i piedi per scuotere la neve dagli stivali prima di andare a mettersi davanti alla stufa. « Ecco, siediti qui », gli ordinò Kiluk, posandogli davanti una grossa scodella di stufato d'alce e rovesciando sul tavolo, vicino al piatto, dei panini caldi. Il vecchio abbassò la testa sul piatto e non la sollevò finché non ebbe ripulito anche l'ultimo residuo di salsa con un pezzo di pane. «Grazie, Kiluk. Cucini lo stufato d'alce migliore del Paese », disse alla fine, tendendo il piatto per farselo riempire di nuovo. Attesero tutti in silenzio che Muktuk finisse di mangiare. «Dannata Unalakleet! Ho dovuto aprire la pista per i cani. » Annuirono tutti. Sapevano che lavoro massacrante fosse camminare con le racchette da neve davanti alla muta, per offrire agli animali un sentiero da percorrere nella neve alta. «Maledetta anche Shaktoolik, la patria delle bufere di neve! Non riuscivo a vedere neanche la mia mano, non distinguevo neanche Shark. Quella cagnetta deve avere un radar nella testa, deve avere impressa nella mente un'immagine della pista che la tiene in vita. « E dannata sia anche la baia di Norton! Mi sono tenuto alla larga dal ghiaccio marino. I nativi di Shaktoolik hanno detto che era infido, e loro dovrebbero saperlo, visto che ci vivono, ci vanno a caccia e ci muoiono. Il blizzard, la bufera, copre di neve il ghiaccio recente, così sembra buono, ma dato che è acqua di mare si solidifica lentamente e in modo irregolare. » Muktuk cominciava ad agitarsi, facendo mulinare le braccia mentre parlava. Kiluk gli porse una tazza di caffè con molto zucchero. « Noi nativi abbiamo più di duecento parole per definire i vari tipi di neve», osservò, offrendogli delle ciambelle da inzuppare. « Potrei aggiungerne qualcun'altra all'elenco », brontolò il vecchio, con aria cupa. «Ma nessuna che si possa inserire in un dizionario», commentò Scott. «Aspetta che venga il tuo turno, cucciolo», ringhiò Muktuk. « La mia parola preferita », continuò Kiluk, come se non ci fossero state interruzioni, « è quanik, 'neve nell'aria'. » «Spero che Patrick abbia il buon senso di tenersi alla larga dal ghiaccio marino», disse a un tratto Scott. «Dev'essere poco lontano da Shaktoolik. Forse la bufera sarà cessata prima che arrivi. » Muktuk si lasciò sfuggire un grugnito. « Maledetta bufera. » Patrick raggiunse Shaktoolik. Era stanco, dopo aver guidato i cani su e giù per i tornanti della pista sui monti che separano il gelido territorio interno dell'Alaska dalla costa del mar di Bering. Trapper gli aveva suggerito di riposare e distribuire spuntini agli husky sul versante sottovento delle colline, prima della brusca discesa verso il terreno paludoso, piatto e ghiacciato che li avrebbe portati a Shaktoolik. Il giovane Butler, mentre spingeva Sockeye a ignorare il vecchio villaggio, risalendo su un tratto di terreno più elevato verso il villaggio nuovo, fu contento di avergli dato ascolto. « Un posto di villeggiatura per le tempeste », commentò con ironia, quando fu investito dal vento che sibilava per le strade. Alzando la testa, vide cumuli di neve svettare sulle case. « Non c'è da meravigliarsi se i nativi si definiscono inupiat, 'l'unico popolo'. Vivendo qui, devono sentirsi i soli abitanti della terra. » Trovò ben presto il piccolo edificio governativo in cui doveva sostare. L'accoglienza fu calorosa e il cibo delizioso, ma gli altri musher assegnati allo stesso alloggio erano stranamente taciturni. Sembravano impegnati soltanto a controllare e riparare l'attrezzatura e gli indumenti, e Patrick sentiva la mancanza delle battute e delle storie orripilanti che i musher erano soliti scambiarsi, soprattutto se volevano spaventare qualche novellino. « Ho sentito dire che Muktuk ha deciso di non attraversare la baia di Norton, stavolta », osservò, tanto per rompere il silenzio. I musher si limitarono a grugnire, ma uno di loro alzò la testa per guardare il giovane. « Il blizzard è un po' calato, dopo il passaggio di Muktuk, ma giuro che il mio cuore smette di battere ogni volta che metto piede su quel ghiaccio che va su e giù, e riprende a funzionare solo quando arrivo a Koyuk. Sono cinquantasei chilometri di morte certa a ogni passo. Se non hai un cane di testa capace di fiutare il ghiaccio nuovo, sta' alla larga da quella porcheria. » Dopo quel lungo discorso tacque, guardandosi attorno come se si aspettasse di essere giudicato male per avere dedicato tanto tempo a una matricola. Uno dei musher alzò le spalle e aprì la porta. « Ghiaccio sicuro », esclamò l'uomo che aveva parlato a Patrick, ma l'altro non rispose. Udirono i suoi cani uggiolare d'impazienza appena uscì dalla casa. « Sono arrivato fin qui, e che mi venga un colpo se mi fido di quel ghiaccio. Preferisco aggiungere qualche chilometro alla corsa e arrivare a Nome con i miei piedi. Non voglio farmi portare laggiù da morto, congelato come una scultura », riprese il musher loquace. Patrick pensò al tempo che aveva perso a Kaltag aspettando che Paul visitasse Vio. « Trapper mi ha insegnato a pescare e cacciare sul ghiaccio marino», disse. «Sono abituato all'aprirsi di varchi improvvisi tra un blocco e l'altro, al vento che crea rughe da pressione e al rischio di trovarsi su piattaforme appena formate, che sembrano solide sotto lo strato di neve spessa. Penso che prenderò la scorciatoia attraversando la baia. » Il musher scosse la testa. « In questa corsa, la morte arriva sotto molte forme. » Vio guidò la muta a Shaktoolik quando era già buio. Ora che si trovava lontano dal freddo intenso dell'interno e dallo Yukon, il naso le dava un po' meno fastidio. Le avevano assegnato la stessa casa di Patrick. Quando vide il suo nome sulla lista, sorrise; sarebbe stato bello vederlo, anche se aveva deciso che dovevano restare soltanto amici. La corsa aveva consolidato la sua intenzione di restare libera. « Patrick Butler? » disse uno dei musher, facendole posto a tavola. « È partito all'alba. Ha deciso che il vento era calato abbastanza da tentare la traversata della baia di Norton, anche se i nativi ritengono che il ghiaccio marino sia instabile quando soffia la corrente dall'est. Lui ha detto che Trapper Jack lo ha allevato sul ghiaccio. Di certo sembrava molto sicuro di sé, quando se n'è andato. » « Se voglio raggiungere il checkpoint di Koyuk prima di lui, devo rimettermi subito in cammino », disse Vio. «Ehi», esclamò uno degli uomini mentre lei si avviava alla porta, « l'altro com'è ridotto? » La donna si tastò il naso con precauzione. « L'albero è un po' malconcio, ma si salverà », rispose, chiudendo la porta dietro di sé. La risata degli uomini le risuonava ancora nelle orecchie quando lasciò il villaggio, calandosi dalla spiaggia sul pack della baia. Vio detestava correre sul ghiaccio marino, che gemeva e scricchiolava sotto i piedi ogni volta che le onde del mare aperto s'insinuavano al di sotto della lastra, sollevandola e sballottandola come un mostro degli abissi in travaglio. Il vento di bufera, il blizzard, aveva aperto nel ghiaccio dei corridoi, e molti paletti dell'Iditarod con i segnapista fluorescenti arancioni erano stati rovesciati o spazzati via. Vio continuò a procedere con cautela anche dopo aver avvistato le luci di Koyuk. Sapeva che ci volevano ancora dalle cinque alle sei ore per arrivare al villaggio. Per tutto il tempo, continuò a scrutare la banchisa in cerca di un'altra muta di cani. Sapeva che Patrick la precedeva, ma sperava di raggiungerlo prima di Koyuk. « È una matricola, questa è la prima volta che valica la baia di Norton», ragionò con se stessa. «Io l'ho già traversata parecchie volte, quindi dovrei superarlo. » Eppure raggiunse Koyuk senza incontrare il giovane. Rifiutò di preoccuparsi per questo. « Forse aveva ragione lui, l'allenamento di Trapper Jack gli ha permesso di passare sul ghiaccio senza problemi », disse per consolarsi. Al checkpoint, quando chiese se Butler aveva già superato il controllo, l'addetta parve sorpresa. « Sappiamo che si è registrato alla partenza da Shaktoolik, ma da allora non abbiamo avuto altre notizie », le rispose. «Ha attraversato il ghiaccio marino prima di me e dovrebbe essere già qui », insistette Violet. « Trasmetterò l'avviso di cercarlo a chiunque intenda attraversare la baia di Norton. Non si preoccupi, potrebbe avere smarrito la pista. Sappiamo che parecchi segnali sono stati abbattuti dal vento. » Vio si morse le labbra. Sapeva come fosse impegnativo il lavoro dei supervisori e come fosse difficile tenere d'occhio ogni musher, ma in questo caso si trattava di Patrick. «Se non passerà dal posto di controllo nelle prossime ore, organizzerete una ricerca in aereo? » L'addetta al checkpoint guardò in faccia Vio come se la vedesse per la prima volta. « Certo, ma sicuramente uno dei concorrenti in partenza da Shaktoolik lo troverà sul pack. Non si preoccupi. La cosa migliore che può fare è proseguire fino a White Mountain, dove avete una sosta di otto ore. Senza dubbio la raggiungerà lì. » L'istinto suggeriva a Vio di restare a Koyuk e insistere perché mandassero un aereo in cerca di Patrick, ma il brivido del pericolo e l'avvicinarsi della meta le scaldavano il sangue a livelli di eccitazione febbrile. Annuì alla funzionaria. « Quando passerà di qui, gli dica di raggiungermi prima di White Mountain, se possibile. » La responsabile del checkpoint le sorrise, facendole un segnale con i pollici in alto. Ammirava le donne che affrontavano i rischi e la possibilità di morire partecipando alla gara più spietata e massacrante del mondo. Short Seppa controllò i cani e li rifocillò, distribuendo spuntini, prima di spalancare la porta della casa alla quale era stato indirizzato per riposare alla vigilia della traversata su quell'infido ghiaccio marino. « Salve, Short! » esclamò uno dei musher più anziani, accogliendolo. « Come te la passi? » «Bene, bene», rispose, sedendosi per approfittare di quello che la famiglia inupiat aveva da offrirgli. « Ah, olio di foca », esclamò, facendo a pezzi un panino soffice per intingerlo in quell'intruglio dall'odore nauseabondo. « Scaccerà il freddo, quando sarai sul ghiaccio. » « Hai intenzione di attraversare la baia? » chiese la donna inupiat. « Sì. L'ho già fatto sei volte, perché mancare all'appuntamento con la settima? » « I cacciatori dicono che il ghiaccio marino è cattivo, oggi. Il vento dell'est soffia spingendolo lontano da terra. C'è molto ghiaccio verde. Forse è meglio aggirare la baia via terra, per la settima volta. Il pack non va d'accordo col vento. Ci vogliono due o tre giorni prima che sia pronto a sostenere un uomo robusto, con la slitta pesante e i cani. » Short rise e annuì. « Si vede che pensi a Muktuk. Lui è più alto, più pesante e più vecchio di me, ed è partito con la bufera. Il ghiaccio marino non può essere tanto cattivo. » « Non ci si può fidare di lui. Magari lascia passare due uomini, e poi divora il numero tre. Quando ha fame, si apre come una trappola per i lupi. Non c'è scampo. » Tendendo il piatto alla donna per avere dell'altro stufato, Short si ricordò del lamento dei missionari massacrati vicino Kaltag, e rabbrividì. « Hai freddo? Tieni, metti questo. » La donna posò sulle spalle di Short un parka di caribù che apparteneva al marito e, per allacciarglielo sotto il mento, sciolse il foulard di Patrick. «No, no. Quello è di un amico. Ho promesso di restituirglielo a Nome. » « Va bene. Ecco, te lo metto in tasca, così non puoi dimenticarlo. Lascia la giacca al posto di controllo di Safety. Laggiù abbiamo molti amici. » « Grazie, è davvero caldo. » « Il meglio che c'è.» La donna sorrise, ma aveva una strana espressione negli occhi, quando seguì con lo sguardo Short che controllava le linee di traino e partiva alla volta della spiaggia e del ghiaccio della baia di Norton. Seppa fischiettava piano, guidando i cani lungo la spiaggia. Sentì il moto familiare delle onde sotto il ghiaccio, mentre lui e la muta scendevano sul pack, ma l'husky di testa non mostrava segni di disagio, anzi teneva la coda eretta e trotterellava senza sforzo. Guardandosi attorno, Short sospirò di felicità. Pareva che la bufera accecante si fosse placata. Fece addirittura capolino il sole, attraverso uno squarcio azzurro pallido, nel cielo grigio. La luce intensa veniva riflessa dal ghiaccio liscio e dalla neve, rifrangendosi in schegge di diamanti troppo lucenti perché l'occhio potesse sostenere la loro vista. Era come respirare ossigeno puro, e l'uomo provò l'impulso di gridare per esprimere la gioia e l'appagamento che provava. « Questa è l'Alaska. In quale altro posto al mondo si possono trovare terra, ghiaccio e neve senza una sola creatura vivente? Possono tenersi le loro fetide città. Il traffico, dove un uomo cerca di ucciderti soltanto perché gli hai tagliato la strada con la macchina. Pubblicità tutto il giorno, che ti induce a spendere il denaro guadagnato lavorando dalle otto a mezzanotte. « Le città dovrebbero essere spazzate via dalla faccia della terra. Dovremmo vivere come gli abitanti dell'Alaska e gli inupiat, prendendo soltanto quello che ci serve e rispettando la terra che il Grande Uno ci ha dato. Sì, così andrebbe tutto bene. » Short si girò per guardare la vasta distesa, di un candore abbagliante, provando la sensazione di trovarsi al centro di un cristallo gigantesco. Così facendo, non vide la coda del cane di testa alzarsi di scatto e il grosso husky tentare di procedere in punta di piedi. I peli dell'animale si drizzarono, come se fossero carichi di elettricità statica. Quando Seppa si girò di nuovo verso la muta, aveva ancora un sorriso sul volto, ma il fischio svanì e fu trasportato via dal vento mentre il leader della muta ululava. Il peso del corpo trascinò il cane oltre lo strato sottile di ghiaccio appena formato. Short si gettò a faccia in giù, allargando gambe e braccia per distribuire il peso, mentre gli altri husky, ululando di terrore, sprofondavano anche loro nel ghiaccio, trascinati dalle linee di traino nelle quali erano impigliati. L'uomo tentò allora di restare aggrappato alla banchina mentre la slitta pesante scivolava nei gelidi abissi neri, ma si sentì condurre a forza, inesorabilmente, nel baratro dov'erano annegati i suoi cani. In un ultimo, disperato tentativo di sopravvivere, dimenticando di avere soltanto pochi minuti di vita prima che le acque nere, apparentemente senza fondo, si richiudessero sulla sua testa, cercò disperatamente il fazzoletto di Patrick nella tasca esterna del parka di caribù, lanciandolo verso uno dei segnali fluorescenti. «Tieni, Muktuk, e grazie», mormorò con voce roca. Poi il suo corpo precipitò a spirale assieme alla slitta e agli husky, con la bocca spalancata, in un ululato silenzioso di terrore. «La sfortuna della settima volta», pensò, prima che il gelo spegnesse i sensi e fulminasse il cervello. Le increspature delle acque infernali si appianarono, nascondendo quella tomba d'acqua. Il soffio lieve del vento dell'est si propagò sul ghiaccio, sollevando il fazzoletto di Patrick, ma gli orli taglienti del segnale metallico lacerarono il tessuto, trattenendolo. Il vento rinforzò, avvolgendo ancor più il foulard a scacchi verdi e arancio intorno al contrassegno della pista. Il vento dell'est cominciò a richiudere il corridoio tra i ghiacci nel quale Short Seppa e i suoi cani proseguivano senza vita il loro viaggio in balia delle correnti, sotto la distesa del pack. Muktuk rispose al telefono al primo squillo, rimase in ascolto, poi grugnì, abbassando il ricevitore. Evitando gli occhi di Scott, si rivolse a Trapper. « Le notizie non sono buone. Nessuno ha visto Patrick sul ghiaccio. La maggior parte dei concorrenti ha già superato il controllo di Koyuk. Quel dannato vento dell'est ha ripreso a soffiare, anche se non forte come quando ho lasciato Shaktoolik. I musher riferiscono condizioni negative: corridoi aperti, ghiaccio nuovo e instabile. » Trapper non replicò. Scott ebbe l'impressione di scorgere la morte del fratello nei suoi occhi dalle palpebre pesanti. Kiluk e Herbie si scambiarono una lunga occhiata. L'uomo si avvicinò a Scott, impietrito davanti alla mappa. Stava lentamente e metodicamente cancellando la baia di Norton e Shaktoolik e, anche quando la matita ebbe perforato la carta, continuò a graffiare i due nomi che, ne era certo, avevano segnato la sorte di Patrick. Kiluk posò la mano sopra la sua per fermare il lapis che rosicchiava la carta, affamato come un ratto d'inverno. White-Out e Sockeye correvano senza sforzo attraverso le paludi ghiacciate. Il vento dell'est era forte, ma non al punto di ostacolarli. Bud e Natû avevano preferito non attraversare il ghiaccio marino. « Noi abbiamo più di cento parole per definire il ghiaccio », rispose Natû, quando Bud le domandò per quale motivo non prendevano la scorciatoia. « L'acqua salata non si solidifica come quella dolce», gli spiegò. «Un uomo può reggersi su meno di dieci centimetri di acqua dolce ghiacciata, ma se è salmastra ne occorrono almeno quindici. Attraversare il pack è come sfidare un campo minato. Possiamo incontrare ghiaccio grasso, ghiaccio nuovo, ghiaccio giovane e, naturalmente, ghiaccio vecchio con rughe da pressione alte fino a una dozzina di metri. » Bud annuì, arrendendosi alla sua esperienza. Mentre correva dietro Natû e la sua muta, tracciò mentalmente una mappa del resto del percorso fino a Nome. « Ci sono appena cinque posti di controllo prima di Nome », si disse tutto allegro. « Non avrei mai pensato di arrivare così lontano. » Il Rainy Pass, la Dalzell Gorge, lo Yukon, Ophir e i lupi sembravano tutti incubi che si dimenticano appena la luce del giorno restituisce coraggio. Ma doveva ancora imparare che la natura selvaggia è spietata, e nessuno può rilassarsi se non quando si trova sotto l'arco che domina Front Street, a Nome. Scott sentì bussare alla porta nonostante il fragore del vento. « Patrick », gridò spalancando la porta. La figuretta avvolta in una tuta gialla macchiata fu colta alla sprovvista ed entrò nella stanza, incespicando. Agli occhi di Scott la tuta gialla racchiudeva tutte le speranze del sole. « Patrick è con lei? » « No, quando ha attraversato il ghiaccio marino aveva un grande vantaggio su di me. Li ho pregati di mandare un aereo alla sua ricerca, se non avesse superato il controllo entro qualche ora. Avete sue notizie? » «Nessuno lo ha visto sul ghiaccio», rispose conciso Trapper. « E il pack è cattivo », aggiunse Muktuk. Il sangue defluì dal viso di Vio, che barcollò. « Si sieda », la invitò Kiluk, con la voce, di solito aspra, raddolcita dalla pietà. « D'accordo », rispose lei, lasciandosi cadere con gratitudine su una delle sedie. «Io sono Violet Vickers. Patrick e io abbiamo percorso una parte della pista insieme. » « Lo sappiamo », disse Scott, con una punta di amarezza nella voce. La donna alzò la testa di scatto. « Le voci dei nativi, immagino? Lei dev'essere Scott, il suo gemello. Mi ha parlato molto di lei. Se si tagliasse quel cespuglio di barba che ha, sareste molto simili. » Il ragazzo la fissò corrucciato. Vio era l'ultima persona che aveva parlato con il fratello, e le portava rancore per questo. Come se gli leggesse nel pensiero, la donna proseguì: « Non sono riuscita a dissuaderlo dall'idea di attraversare il pack. Ha lasciato Shaktoolik prima del mio arrivo, e l'ho rincorso nella speranza di trovarlo ». « In questa dannata corsa ogni musher deve fare quello che ritiene meglio », borbottò Muktuk. « Lei non può ritenersi responsabile di qualcuno che incontra sulla pista. » Mentre pronunciava quelle parole, si domandò all'improvviso come se la cavasse Short Seppa. In un certo modo si sentiva responsabile della sorte di quell'anziano musher. « Stavo giusto per chiamare e chiedere se Short Seppa ha già superato il checkpoint di Koyuk », disse allora. Tutti lo seguirono con lo sguardo mentre telefonava. Muktuk parlò a bassa voce, poi si voltò, come se dando le spalle ai presenti potesse impedire loro di sentire le sue parole. Scott rimase impietrito e uscì dalla stanza, appena lo sentì dire: «Una ricerca. Un pilota capace di atterrare sul ghiaccio marino. Sì, capisco. Già. Due persone? » Quando si girò di nuovo verso il resto della stanza, nessuno parlò. Avevano una sola scelta: aspettare. Anna Mclnnes si trovava a Unalakleet, e contava i cani che erano stati ritirati dalla gara perché i musher non li giudicavano abbastanza veloci per il tratto finale verso Nome. Erano quasi tutti avvolti in sacchi imbottiti che rendevano più sicuro il volo. Nessun pilota si augurava di trovarsi alle prese con una rissa tra husky, oltre al maltempo. Anna stava consultando un portablocco a molla, nel tentativo d'incastrare i voli necessari agli spostamenti di veterinari e giudici di gara con quelli destinati ai cani « droppati », quando si sentì chiamare per nome. « Ha qualche esperienza di atterraggi sul ghiaccio marino? » le chiese il funzionario del posto di controllo. Anna annuì. Aveva esperienza da vendere per quanto riguardava atterraggi su fiumi e laghi ghiacciati, e Bruce le aveva insegnato a guardarsi dalle insidie del pack, ma le rare volte in cui si era trovata ai comandi, erano entrambi nella cabina di pilotaggio. «Annuire non basta. Deve sapere il fatto suo, là fuori. Moroney è partito per Granite Mountain, e ci serve un aereo per la ricerca del giovane Butler. » «Patrick?» sussurrò Anna, stringendo la tavoletta al punto che gli orli le tagliarono il palmo delle mani. « Sì. È stato dato per disperso. Abbiamo lanciato l'allarme, ma nessuno di quelli che hanno traversato il pack ha visto lui o la sua muta. Ovviamente può trovarsi su una lastra ghiacciata che è andata alla deriva, lontano dalla costa. » « Oppure potrebbe aver incontrato ghiaccio instabile », aggiunse piano Anna. « Sì. Non c'è tempo di aspettare Bruce, perché sulla baia di Norton il tempo è imprevedibile. Ma se parte adesso, prima che si chiuda del tutto... » Prima che avesse finito di parlare, Anna gli mise tra le mani il portablocco. « Trovi qualcun altro che possa occuparsi di questo », gli disse. « Io vado. » « Anna », le gridò dietro l'uomo. « Sia prudente, là fuori. » « Si tratta di Patrick, non capisce? Di Patrick! » Il funzionario scosse la testa, perplesso. « Ma... io credevo che avesse una storia con il fratello gemello. » La donna entrò nella cabina di pilotaggio e compì in fretta i controlli di rito prima del volo. Scusami, Bruce, disse dentro di sé, ma non ho tempo da perdere. « Bisogna cercare anche Short Seppa, che non ha ancora superato il controllo di Koyuk », le urlò il giudice di gara, ma le sue parole furono trascinate via dal vortice delle eliche e dal rombo del motore. Il vento trascinava il Cessna 180 come se fosse un fiocco di neve, ma Anna lo tenne su una rotta costante per Shaktoolik. Durante l'avvicinamento, segnalò via radio che stava per cominciare una ricerca sul ghiaccio marino. « Vento stimato a quasi sessanta chilometri l'ora con una bufera di neve a terra », l'ammonì una voce metallica. Anna gemette. Avrebbe dovuto controllare l'area da una quota di circa novanta metri, che le consentiva una visibilità periferica di quasi un chilometro e mezzo; ma, una volta discesa in mezzo alla bufera di neve, sarebbe stata una fortuna se fosse riuscita a vedere pochi passi più in là. Il tempo parve trasformarsi in un'eternità. Gli occhi di Anna dolevano, costretti a fissare il pack in apparenza interminabile. Poi qualcosa apparve ai margini del suo campo visivo. Si sfregò gli occhi con energia. L'oggetto non si era mosso, ma lei non riusciva a identificarne la natura. Quando cambiò direzione, volando verso la chiazza scura sulla neve, capì di che cosa si trattava. Era una muta di cani, ma non riusciva a identificare il musher. Girò qualche volta in circolo, predisponendo la strumentazione di bordo per una discesa costante e tentando di ricordare le istruzioni che Bruce le aveva dato durante l'addestramento per l'atterraggio sul pack. « Fidati degli strumenti, perché scendere in mezzo a una bufera di neve è come chiudere gli occhi. Aspetta che l'apparecchio tocchi la superficie, e cerca di non farlo rimbalzare. Tocca il ghiaccio e restaci. » Mentre la muta di cani scompariva, Anna rimase al suo posto, atterrando in mezzo a una nuvola bianca e indistinta. Stava lambendo il pack nel bel mezzo di quello che viene definito white-out, o tempo lattiginoso. « Se urti contro qualcosa, non lo saprai mai. » D'un tratto le parole di Bruce assunsero un tono sinistro, e Anna si augurò soltanto di uscire da quel turbine bianco. « Ti prego, aiutami », pregò, imponendosi di non cedere al panico. L'apparecchio speronò con forza il ghiaccio, cominciando a slittare. La donna lottò per controllarlo, ansimante. Restò immobile per alcuni secondi, aspettando la terribile sensazione di discesa mentre il Cessna sprofondava nella sottile crosta di ghiaccio, prima di posarsi sul fondo dell'oceano gelido. Vedendo che non accadeva niente, Anna si asciugò il sudore dal viso e dalle mani. Poi cercò freneticamente il sacchetto foderato di plastica, cedendo a una nausea violenta, e ne richiuse subito la sommità, per escludere dalla cabina l'odore acre del vomito. Si rese conto che doveva trovare la muta di cani. Aveva individuato la loro posizione e sapeva che si stavano dirigendo verso il punto in cui era atterrata. Mentre restava ad aspettare, ascoltando il vento che investiva l'apparecchio, il suo occhio vide lampeggiare uno dei segnali fluorescenti che contrassegnavano la pista. Evidentemente il musher teneva accesa la lampada fissata alla testa, e il raggio di luce era caduto sul segnale. Anna lo esaminò, pensando che gli abeti che i nativi piantavano nel ghiaccio rappresentavano segnali molto migliori. D'un tratto il segnale si mosse. Anna sfregò sul finestrino la mano guantata. Non era il contrassegno che si muoveva, ma l'estremità di un pezzo di tessuto che vi era avvolto intorno. Un lampo colpì di nuovo il segnale, e la donna riconobbe il grande fazzoletto a quadri verdi e arancioni che Patrick le aveva offerto per asciugarsi le lacrime. Con un grido sommesso, si sforzò di aprire lo sportello, che cedette alla sua pressione. Il vento la trascinò fuori, scaraventandola sulla neve. Lei si rimise in piedi, avanzando in quello che sembrava un incubo. Era il foulard di Patrick. Lo sciolse dal segnale e lo tenne stretto in mano, come se in quel modo potesse garantire l'incolumità del ragazzo. « Forse il fazzoletto gli è volato via a qualche metro di distanza, e questa che si avvicina è la sua muta», sussurrò. « Sarà lieto di riaverlo. » « Ehi, laggiù! Sta cercando Short Seppa? » Non era Patrick, ma un musher con un grosso naso a becco sporgente sul labbro superiore, rivestito di un paio di folti baffi color carota, che fermò la slitta vicino a lei. « Short Seppa? » chiese Anna, sorpresa. «Sì. Hanno detto che avevano mandato un aereo, ma hanno chiesto anche a noi di tenere gli occhi aperti. In mezzo a questa dannata bufera non lo vedi nemmeno, a meno che non ci inciampi sopra. » «A me hanno detto di trovare Patrick Butler», ribatté Anna, « ma ora cercherò anche Short. » « Quello cos'è? » domandò l'uomo, indicando il foulard verde e arancione che svolazzava tra le mani della donna. « Il fazzoletto di Patrick. L'ho trovato avvolto intorno al segnale e l'ho riconosciuto. » «Probabilmente gli è volato via senza che se ne accorgesse. Non vedo per quale motivo avrebbe dovuto legare un foulard intorno a un contrassegno. » Il musher guardò in avanti, dove il cane di testa tentava di far invertire la direzione della muta. L'husky teneva la coda dritta come un palo e cercava di non spostare i piedi sul ghiaccio. «A meno che non tentasse di metterci in guardia sulla bufera. Ghiaccio sottile e instabile. » Il vento cessò per qualche istante. Davanti a loro si apriva un corridoio, con l'acqua scura terribile e letale come un serpente nero e velenoso. «Patrick? Lei pensa...? » Anna non riuscì a completare la frase. «È possibile. Poteva essere chiuso e coperto di neve, quando è arrivato lui. Probabilmente i bordi si richiuderanno nel giro di un'ora. » Anna fece per avvicinarsi all'acqua. «Se è finito dentro, sarà morto in pochi minuti. O forse secondi », sentenziò il musher, in tono cupo. « Venga qui », le gridò poi, mentre Anna continuava ad avvicinarsi lentamente a quell'acqua micidiale. «La bufera ha cancellato tutte le tracce. Non troverà più i segni di pattini o di orme. È già una fortuna che il fazzoletto sia rimasto impigliato, avvolgendosi intorno al segnale. » Anna sembrava non ascoltare. « È meglio che se ne vada di qui, se sta cercando Short », insistette l'uomo. «È un vecchio veterano, che ha traversato spesso la baia. Lo farò anch'io. « Deve cercare un uomo vestito con una muta di un rosa fucsia molto vivo. Dice che gli rammenta le luci dell'aurora boreale. Non che io ne abbia mai viste di quel colore. I tramonti, forse, ma non le luci danzanti. » Anna si affrettò a tornare verso il Cessna, ansiosa di allontanarsi dalla scena della morte di Patrick, timorosa del decollo sul ghiaccio, ora che sapeva di averne un tratto instabile proprio davanti alle ruote. «Buona fortuna», gridò il musher mentre lui e la sua muta si accingevano ad aggirare lo squarcio nel ghiaccio. «Grazie», mormorò Anna, indaffarata nella cabina. « Ne avrò bisogno. » Si mise al collo il foulard di Patrick. « Scott... Come farò a restituirti questo fazzoletto, invece di tuo fratello? » mormorò. «Perché devo essere proprio io a dirti che la sua tomba è sotto una lastra di ghiaccio galleggiante? » Era così sconvolta dalla scoperta della morte di Patrick che eseguì la routine del decollo da una pista breve senza neanche pensare al ghiaccio marino. « Il pack è in perenne movimento, si apre e si richiude, perché l'acqua di mare non gela facilmente», sussurrò. « Dannato ghiaccio! » Sbucando dalla nube lattiginosa che avvolgeva l'apparecchio, vide il musher allontanarsi dai segnali, costeggiando lo squarcio. « Buona fortuna », gridò, inclinando un'ala per salutarlo, nella speranza che lui guardasse in su; ma l'uomo era tutto concentrato sul leader della sua muta. La morte ha l'effetto di farti apprezzare la vita. Il musher era scosso al pensiero che sedici husky possenti, una slitta e un conduttore potessero svanire nel nulla, lasciando soltanto un corridoio d'acqua nera che serpeggiava nel ghiaccio, e voleva lasciarsi alle spalle la baia di Norton il più presto possibile. A ogni gemito e movimento del pack sotto di lui, si sentiva annodare lo stomaco. Serrò i denti, deciso a non pensare ai cani impigliati nei finimenti della slitta che oscillavano nella marea come un grottesco pendolo, e al musher, probabilmente trascinato sul fondo dal peso dei vestiti fradici, con gli stivali che facevano da zavorra. Nella casa di tronchi di White Mountain nessuno sorrideva. Trapper aveva finalmente persuaso Muktuk a continuare la corsa verso Nome. «Restando qui non puoi aiutare Patrick», aveva obiettato. « Ricorda che questa è una gara. » « Cominci a rammollirti », aveva aggiunto Kiluk. « Prima ti fermi per Short Seppa, ora vuoi aspettare notizie del giovane Butler. » « Probabilmente sarà alle tue calcagna alle porte di Nome », aveva insistito Herbie. « Avanti, prendi la guida della muta e affronta di nuovo le colline Topkok. Ti faremo avere notizie a Nome, appena sapremo qualcosa. » Muktuk aveva annuito, uscendo dalla stanza a lunghe falcate. Vedendolo, i cani avevano cominciato ad abbaiare. Erano stati sfamati, avevano riposato e intuivano che la fine della pista era vicina. Shark gli si era avventata contro, ma il vecchio musher l'aveva schivata e i denti dell'husky si erano richiusi senza fare danni. « Hai ancora voglia di mordere? Ti rammenti Topkok? Con quel vento sei volata via come un aquilone senza controllo, stupida cagnetta. Prova ad azzannare quello, ragazza mia. » Shark lo aveva guardato scoprendo i denti, come se sapesse che la stava prendendo in giro. Muktuk ricontrollò la slitta. Si era sbarazzato di tutto il possibile per alleggerirne il carico, ma aveva già attraversato quelle colline, e sapeva che su quelle alture spoglie e flagellate dal vento si potevano incontrare condizioni di tempo inclementi. Non voleva che i cani fossero trascinati via di peso appena superata la vetta, o inchiodati sul posto da una tempesta improvvisa. Prima dell'arrivo a Nome, era necessario soltanto registrarsi all'entrata e all'uscita del villaggio di Safety. Imprecando sottovoce, recuperò alcuni degli articoli che aveva già scartato, caricandoli sulla slitta. «Dannate colline, con il vento e le tempeste. La corsa non migliora mai. Pensavo che gli ultimi cento chilometri dell'Iditarod potessero essere decenti, ma no. C'è ancora lo 'Sfiatatoio di Topkok'. Potrebbero usare quella schifosa galleria del vento per selezionare gli astronauti. Abbassa un po' la cresta, Shark », gridò rivolto al suo cane di testa. Per tutta risposta, la sentì abbaiare in tono di sfida. Muktuk e la sua muta di husky lottarono per aprirsi la strada tra le colline tondeggianti e le valli di Topkok, che scorrevano ai lati. Infine Shark condusse la muta al posto di controllo di Safety, dove Muktuk scarabocchiò il suo nome sul registro, impaziente di partire per l'ultimo sprint verso Nome. L'husky si girò a guardarlo, con gli occhi sfavillanti di una luce beffarda, perché lui aveva dubitato della sua capacità di trovare la strada tra le colline. L'anziano musher ricambiò quello sguardo. « Sei stata fortunata. Il vento non aveva neanche cominciato a soffiare. Aspetta di vedere una bufera di neve, e vedrai che ti calmi. » Shark abbaiò di dispetto. «Che bel cane», commentò il giudice di gara, camminando accanto alla muta per esaminarla. « No », ribatté Muktuk, « è una femmina maligna, ma intelligente. » L'uomo si girò per fargli le sue rimostranze, ma il vecchio aveva già afferrato al volo il pettorale assegnato ai concorrenti per la tappa finale, ed era ripartito per Nome. A qualche chilometro dall'arrivo, vide gli spettatori seduti sui gatti della neve, insieme con folle di operatori televisivi e cronisti. « Tornatevene a Nome con le vostre macchine schifose », urlò, ma la sua voce si perse nel frastuono. « Ci aspettano gli spazi aperti dove possiamo respirare, la nostra casa è nel Grande Bianco, Shark! » gridò alla leader della muta. « Chi ha bisogno di queste idiozie? » La cagnetta sapeva che il tragitto sulla rampa che saliva dalla spiaggia indicava la fine della corsa. Come ogni maratoneta, era stanca ma felice. Ancora una volta aveva seguito la pista senza incidenti, portando Muktuk sano e salvo fino a Nome. Quando passarono sotto l'arco e la folla proruppe in un boato, simile al suono di onde poderose che s'infrangessero sulle rocce, Shark si girò verso Muktuk scoprendo i denti, come in un sorriso. E Delilah, dal canto suo, tenne la testa alta, come per farsi riprendere meglio dalle telecamere. 38 «ANNA! Anna Mclnnes!» Paul si sforzò di raggiungerla mentre lei tentava di farsi largo tra la folla per arrivare a Muktuk, e spingeva da parte cameramen e fotografi, ansiosa di parlargli. Voleva mostrargli il fazzoletto di Patrick e sapere da lui se Scott era ancora a White Mountain con Trapper. Ma nel superare il capannello di rappresentanti dei media che attorniavano Muktuk, inciampò e finì a terra vicino a Shark. « Che effetto fa vincere uno dei premi in denaro? » chiese un reporter, tenendo il microfono sotto il mento del vecchio musher, mentre il fotografo lo accecava con il lampo del flash. « Non altrettanto buono che trovarsi a Skwentna, lontano da tutta questa baraonda », brontolò lui, in risposta. Il giornalista arretrò con aria sorpresa. « Questo era Muktuk Peters, un veterano dell'Iditarod. È arrivato ventesimo, e noi tutti ci congratuliamo. Penso che intendesse dire che portare a termine questa gara è già una vittoria. » Anna sorrise nel vedere l'espressione disgustata di Muktuk quando il rombo dei gatti della neve che si avvicinavano a Nome si mescolò al frastuono che impazzava in Front Street, annunciando l'arrivo di altri musher. Shark adocchiò la gamba di Anna, coperta di rosso, vicino a lei, e non seppe resistere alla tentazione, affondando i denti nel polpaccio e scuotendo la testa con gioia feroce. L'urlo di Anna fece accorrere Paul. « Muktuk! » ruggì il veterinario. « Devi fare qualcosa per questa cannibale. Passo più tempo a ricucire le persone addentate da questo dannato husky che a controllare i cani. » L'anziano musher si aprì un varco tra la folla come un bulldozer, sollevando da terra Shark e tenendola a braccio teso. «Ora che ti sei fatta fotografare, credi di essere un secondo Dracula. Stupida cagnetta », mormorò. «Anna», disse Paul, esaminando lo strappo nella tuta. « Ti cercavo dappertutto. Ho delle notizie.» «Paul, Paul! Abbiamo urgente bisogno di te», intervenne un componente del comitato organizzatore, tirandolo per il braccio. « Tornerò », gridò lui ad Anna. « Va tutto bene. I denti mi hanno soltanto scalfito la pelle. Shark non sapeva quanti strati d'indumenti ho addosso », ribatté la donna. « Fa' pure con calma. » Dato che avevano deciso di non passare sul pack, Bud e Natû non ricevettero la segnalazione di ricerca per Short o Patrick. Proseguirono con crescente eccitazione per Elim, e poi per Golovin e White Mountain, senza sapere che il giovane Butler era disperso. « Non rientreremo nei primi venti, ma neanche negli ultimi », osservò Natû. « Chissà dove saranno Muktuk e Patrick », si chiese Bud mentre attraversavano la baia di Golovin. I Damas proseguirono per qualche tempo la corsa sul fiume, poi, superando una curva, videro il villaggio di White Mountain, annidato ai piedi di una collina. «Bene, ci siamo», disse Bud. «Trapper, gli Owens e Scott saranno tutti qui ad aspettarci. Muktuk e Patrick saranno senz'altro a Nome. » « E noi abbiamo di fronte otto meravigliose ore per sistemare il carico, scegliere i cani più veloci da tenere per l'ultima tappa e dormire », aggiunse Natû. Arrivarono in casa degli Owens, a White Mountain, ridendo di felicità, e rimasero impietriti, come di fronte a una ruga da pressione nel pack. I loro sorrisi svanirono di fronte all'espressione di Scott, di Trapper e degli Owens, che erano seduti immobili come cadaveri. « Siete passati sul ghiaccio marino? » chiese Trapper a bassa voce. « No. Gli inupiat hanno detto che le condizioni del pack erano cattive, quindi abbiamo deciso di correre lungo la costa », rispose Natû, sconcertata da quell'atmosfera tetra. «Ci sono notizie di Patrick e Muktuk?» chiese Bud. « Sono già arrivati al traguardo? » « Mio fratello è disperso sul ghiaccio », rispose Scott in tono brusco, prima di voltarsi verso la mappa. Natû guardò il marito senza parlare, poi gli appoggiò la testa sulla spalla, inzuppando di lacrime la tuta. Trapper incrociò lo sguardo di Bud e scosse la testa, indicando Scott. « Non piangere », sussurrò l'uomo all'orecchio della moglie. « Così facendo, non faciliti certo le cose per nessuno. » Estrasse dalla tasca un grande fazzoletto rosso, porgendolo a Natû, che si asciugò gli occhi, si soffiò rumorosamente il naso e se lo infilò nella manica. « Venite, voglio controllare i cani e le slitte assieme a voi per la traversata delle colline Topkok e lo sprint finale verso Nome », disse Trapper. Natû guardò sorpresa il padre. Durante la corsa non era consentito ricevere aiuto se non da un altro musher, e anche questo soltanto in circostanze speciali. Comunque annuì, facendo segno a Bud di seguirli. Una volta fuori, il vecchio li condusse dietro la casa per trovare scampo dal vento che soffiava incessante. « Abbiamo saputo che Anna Mclnnes ha trovato il fazzoletto di Patrick avvolto intorno a uno dei segnali della pista, a una cinquantina di metri da un corridoio aperto nel pack. Non c'era traccia di lui o della muta, ma speriamo che sia vivo e in forze ancora per vedere l'alba di molti grandi giorni. «Voi due dovete portare a termine la corsa. Con Scott cercate di comportarvi in modo normale. Le lacrime parlano di morte. Siate allegri, fategli capire che siete certi che il fratello sia vivo. » « E tu lo sei? » mormorò Bud. « Non so, posso soltanto sperare. La vita è dura, e sceglie a caso. Procedete con prudenza, senza correre rischi. Nessuna tappa della corsa è facile. Se così fosse, parteciperebbero tutti. Sulle colline Topkok infuriano bufere di neve che possono tenervi bloccati per giorni e giorni. I venti possono fiaccare il cuore dei cani e la loro volontà di correre. » Trapper cinse con un braccio le spalle di Natû e Bud. « Se il destino ha deciso di togliermi Patrick, non voglio che mi porti via anche voi. » La ragazza scoppiò nuovamente in lacrime, nascondendo il viso nella spalla del padre. Bud deglutì a fatica per mascherare quello che provava. Il suocero era sempre così taciturno e riservato che lui non era abituato a sentirlo abbandonarsi alle emozioni. « Ora rientro in casa per avvertire che state sistemando le slitte per proseguire sulle colline Topkok. » I due giovani lo guardarono allontanarsi in silenzio. « Dobbiamo fare come dice lui », commentò Bud in tono tetro, cominciando a scegliere le attrezzature che a suo parere si potevano scartare. « Certo. » Natû s'incamminò sulla neve verso i suoi cani, già addormentati. Oily alzò la testa per salutarla con un fiacco scodinzolio, poi la abbassò di nuovo con un tonfo, ricadendo nel sonno. La ragazza scelse due cani che non correvano altrettanto bene degli altri, isolandoli in un angolo protetto della casa. « Porta qui tutti i cani che vuoi scartare, e troverò un posto per loro finché non potranno venirli a prendere con l'aereo », gridò rivolta a Bud. Impiegarono quasi tre ore per medicare le zampe degli animali, cambiare gli stivaletti a quelli che ne avevano bisogno, sfamarli e decidere di che cosa potevano fare a meno. Quando rientrarono in casa, Kiluk aveva messo in tavola piatti pieni di cibo fino all'orlo. « Mangiate », ordinò. « Le colline Topkok sono un osso duro. » Si sedettero tutti a tavola, e Bud raccontò aneddoti dei suoi primi anni di apprendista trivellatore. Gli occhi di Scott non persero mai lo sguardo allucinato, ma ogni tanto le labbra del ragazzo si schiudevano in un sorriso fiacco. Alla fine il periodo di riposo di otto ore si concluse, e tutti si affollarono sulla soglia per salutare i due sposi. «Date una pacca all'arco di Nome per Patrick», gridò Scott. « Niente affatto. Sarà lui a farlo da sé », rispose Bud. Il giovane Butler sorrise, e Trapper notò, sollevato, che sembrava un po' più rilassato. Grazie, Bud, disse dentro di sé. Richiudendo la porta, recitò una preghiera silenziosa ai suoi antenati per l'incolumità della coppia prima di avvicinarsi alla mappa, guardandola come se la vedesse per la prima volta. Una tempesta di pugni sulla porta turbò la concentrazione di Trapper, ma, quando si voltò, Scott era già arrivato per primo ad aprire. Il giovane lanciò un grido, poi tornò a regnare il silenzio. Mentre lo raggiungeva di corsa, nella mente di Trapper corsero immagini di orsi, lupi o nativi ubriachi armati di coltello. Scott era già corso fuori quando Herbie, Kiluk e Trapper si affollarono sulla soglia: rideva e piangeva insieme, abbracciando una figura alta e massiccia. « Patrick », sussurrò Trapper, sfregandosi energicamente gli occhi. Kiluk singhiozzava senza ritegno, tra le braccia di Herbie. Alla fine Scott condusse in casa il fratello. Il gelo aveva ghiacciato le lacrime sul loro viso, ma il sorriso di Patrick era radioso, mentre abbracciava tutti, raccontando in fretta le sue avventure sul pack. « Quel viaggio mi è costato quasi due giorni. Ho dovuto aggirare un corridoio che continuava a riaprirsi come una ferita infetta. La deviazione ci ha sospinti in una zona di rughe da pressione alte come minimo una decina di metri, e così sono dovuto tornare indietro, dove pensavo che ci fossero i segnali indicatori della pista. «Sockeye non avrà mai corso l'Iditarod prima d'ora, ma una cosa è certa: conosce bene il ghiaccio. Ha fiutato le altre mute e ci ha riportati verso i segnali della pista, e poi finalmente a Koyuk, dove hanno sospeso le ricerche. Di lì abbiamo corso come se fossimo già in vista di Nome. Ora devo dare da mangiare ai cani e controllarli, per preparare la traversata delle colline Topkok. » « Hai bisogno di qualche ora di sonno », disse Kiluk, col viso ancora rigato di lacrime di gioia e di sollievo. Mentre lui parlava, mescolava il contenuto delle pentole sul fuoco. « E anche di un pasto caldo », aggiunse. Scott rimase a guardare Patrick mentre mangiava, come se volesse imprimersi, per sempre, nella mente la sua immagine. Bud e Natû raggiunsero senza problemi il versante orientale delle famigerate colline Topkok. Avevano appena superato la piccola costruzione di tronchi, il rifugio costruito dal Nome Kennel Club, quando le prime raffiche di vento preannunciarono una di quelle bufere di neve per le quali le colline spoglie erano tristemente famose. Durante la corsa avevano incontrato venti più impetuosi, e trovavano questi relativamente miti, finché White-Out, che correva in testa, non superò la cima di una delle alture, venne sollevato di peso e scrollato con la stessa facilità di una volpe che cattura un topo, prima di ricadere a terra. Il grosso cane ringhiò per la frustrazione, facendo scattare le mascelle a vuoto nel tentativo di azzannare il vento, ma le raffiche non consentirono loro di passare per la sommità delle colline, e dovettero adattarsi a passare lungo i fianchi. Natû era costretta a tenersi aggrappata all'handle bar della slitta, mentre le gambe venivano trascinate di lato come una bandiera strappata. A metà della traversata, il vento portò con sé i primi segnali di una forte tempesta di neve. «Vattene! » gridò invano la ragazza. « Stavamo andando così bene, e ora vuoi inchiodarci in questo posto desolato! » Lottarono contro le raffiche, tentando di tenere i cani lontani dai precipizi nei quali potevano precipitare senza vederli, accecati dal turbinio della neve. I segnali indicatori della pista erano stati travolti dal vento, e Natû sentì che gli husky cominciavano a perdersi d'animo. Procedevano di traverso come granchi per contrastare la bufera che li investiva senza pietà, spingendoli verso l'orlo dell'abisso. Avevano bisogno d'incoraggiamento e affetto, ma lei non osava allontanarsi dalla slitta, perché il vento l'avrebbe travolta e scaraventata giù dalle colline. Senza protezione, non sarebbe sopravvissuta a lungo. Natû riuscì a spostare la sua muta sul pendio occidentale dell'altura successiva, aspettando che il marito la seguisse. Ci mise tanto a raggiungerla che stava per tornare indietro a cercarlo, quando lui e la muta spuntarono dal versante opposto. « C'è qualcosa che non va? » chiese lei, preoccupata dal pallore improvviso del suo volto. « Niente », mentì Bud. Non intendeva dirle che il vento lo aveva sospinto con violenza contro l'handle bar della slitta, e da allora lui aveva difficoltà a respirare. Il dolore lo costringeva a piegarsi in due, lacerante come un colpo di maglio vibrato da un gigante. Non voglio ritirarmi. Natû e Trapper saranno fieri di me. Probabilmente è solo qualche costola rotta, e quelle devono saldarsi da sole. Non ci si può fare niente, si disse. D'improvviso il pensiero che l'osso spezzato potesse perforare un polmone gli prospettò un quadro diverso. Si concentrò allora nello sforzo di tirare soltanto respiri brevi e superficiali, l'unica soluzione che rendeva lo spasimo sopportabile. «Non possiamo mantenere questa andatura», disse a Natû. «White-Out è al limite delle forze e, se si ferma lui, tutta la muta si rifiuterà di proseguire. » «Dovremo fermarci qui ad aspettare che la tempesta passi », riconobbe Natû, muovendo appena le labbra screpolate e sanguinanti. «Non ce la faremo mai», affermò, sconsolato, Bud. « Maledetto il momento in cui siamo passati davanti al rifugio del Nome Kennel Club, ai piedi di queste dannate colline. Non so nemmeno se sto andando avanti o indietro, in questo white-out. Anche i cani lo detestano e sono disorientati. » «Mancano appena sessanta chilometri a Nome, tesoro. Ce la faremo, come ha fatto Riddles, un passo alla volta, in mezzo alla bufera, l'anno in cui una donna ha vinto per la prima volta l'Iditarod.» D'improvviso Oily drizzò le orecchie e abbaiò forte, in modo eccitato e frenetico. Natû si guardò attorno, senza riuscire a vedere altro che un turbinio di neve. Spalancò gli occhi. Che cosa si stava avvicinando, avvolto nel folto manto di ermellino della neve? Qualcosa che soltanto i suoi cani potevano riconoscere. « Oline », invocò. « Oline, resta al nostro fianco. » Pian piano videro avvicinarsi una figura scura che sembrava fluttuare dietro una linea di puntini neri oscillanti. Era un uomo, ma Natû non riconosceva il viso, coperto da una folta barba e da un pesante passamontagna. Passò vicino a loro, ma tenendo la sua muta lontano da quella della donna. Il suo cane di testa si comportava in modo molto strano, rischiando di strangolarsi nel tentativo di raggiungere Natû. Infine, non riuscendo a trascinare la muta verso di lei, si sedette sulla neve e cominciò a ululare, e solo allora la ragazza lo riconobbe. « Sockeye! » gridò. Affondando nella neve l'ancora della slitta, raggiunse a fatica l'animale, con il viso rigato di lacrime che asciugò sul suo manto soffice. Sockeye? Se Sockeye è qui, quel musher dev'essere Patrick, pensò. Avanzò barcollando nella bufera verso il punto in cui due uomini si stavano abbracciando, in preda a un'allegria isterica. In quel momento il giovane Butler assestò una pacca sulla schiena a Bud, che fu assalito da un conato di vomito e si accasciò in avanti. Patrick lo sostenne, abbassando la testa per udire le parole dell'uomo. « Le costole. Non dirlo a Natû. Prometti. » « Patrick, Patrick, ti credevamo morto », esclamò la ragazza. « Oh, che bello rivederti. » Gli gettò le braccia al collo, baciandolo. «E Scott?» chiese Natû, domandandosi come avesse reagito all'apparizione del fratello che considerava morto. «Saranno tutti a Nome per accoglierci all'arrivo», spiegò Patrick. « Non possiamo permettere a una bufera di bloccarci sulle colline Topkok, vero, Bud? » esclamò, cercando di fargli capire che avrebbe mantenuto il segreto. « Tre è il numero ideale per combattere contro la tempesta. Lasceremo che sia Sockeye a fare da leader. Considera il vento un nemico personale e lo attacca con tutte le sue forze. Tenete d'occhio lui. «Sicuro di poter correre, Bud?» chiese poi sottovoce, passandogli le mani sulle costole come casualmente, per far credere a Natû che stava controllando gli strati protettivi di abbigliamento indossati dal marito. « Sicuro. » « D'accordo. Se peggiora, fermati, e cercherò di farti una fasciatura stretta. È la soluzione migliore, a meno che la costola non sia fratturata e ci sia il pericolo che arrivi a perforare un polmone. » « Mi prometti di non dirlo a Natû? » lo pregò di nuovo Bud. « Ma certo. » Sockeye, abituato a trascinare sul ghiaccio carogne di balene e orsi, abbassò la testa, incurvò le spalle e puntò le zampe sul terreno. Gli husky di Patrick lo seguivano, sapendo che lui aveva la dote d'intuire la pista. Era uscito con Trapper così spesso, in tanti anni d'inverni nordici e bufere di neve, che avanzava tranquillo nella tempesta, trainandosi dietro la muta. Bud e Natû lo seguirono con le loro mute, grati a Sockeye che era tanto determinato da sfidare persino la bufera. E così, i tre proseguirono senza intoppi fino a Safety. Lì si fermarono solo per il tempo sufficiente a lasciare alcuni cani che si erano stancati troppo sulle colline Topkok, e a ritirare i pettorali prescritti dal regolamento per il tratto finale. Patrick tenne d'occhio Bud, ma non gli sembrava che soffrisse troppo, o comunque mascherava bene il dolore. I cani lasciarono Safety di gran carriera, come se intuissero che la fine della corsa era vicina. Aggirarono capo Nome seguendo una pista tortuosa, con enormi blocchi di ghiaccio che sovrastavano la baia come grattacieli. L'implacabile vento costiero si calmò, e ben presto avvistarono i primi segni di Nome: spettatori e gatti della neve. Quando furono sul punto di affrontare l'ultimo, breve tratto di ghiaccio marino prima d'imboccare Front Street, a Nome, Natû fermò la muta. Bud, che era dietro di lei, dovette bloccarsi a sua volta, ma rimase perplesso sul motivo per cui la moglie aveva arrestato la muta quando erano arrivati quasi in vista dell'arco decorato con la lanterna accesa, che oscillava al centro. «Lasciamo che Patrick ci preceda», sussurrò lei. «Se non si fosse unito a noi sulle Topkok, saremmo ancora lì, oppure avremmo dovuto ritirarci. White-Out era stanco, e Oily non è abbastanza forte da resistere a quei venti di bufera, anche se ha cuore sufficiente per dieci cani. « Sono stati Sockeye e Patrick a permetterci di farcela, ed è giusto che abbiano la gloria di passare sotto l'arco prima di noi. » Bud prese la moglie tra le braccia, sia pure con cautela, e fece una smorfia quando lei lo baciò. Il dolore sembrava peggiorare, ora che aveva smesso di correre. « Un motivo in più per amarti, mia piccola inupiat », le disse. « Tu hai cuore sufficiente per un'intera muta di husky. » Natû sorrise, guardando Patrick sommerso da una folla di fotografi e giornalisti. Il morso alla gamba cominciava a farle male, ma Paul non era ancora tornato. Anna Mclnnes e Muktuk erano fermi nei pressi dell'arco. « Mi domando che notizie aveva da darmi », bisbigliò lei. « Immagino che possano aspettare fino al suo ritorno. » Si girò verso Muktuk. « Hai sentito di Patrick? » gli domandò. La sua risposta fu inframmezzata dal suono stridulo delle sirene. « So solo che ha appena superato l'arco », rispose il vecchio, quando fu di nuovo in grado di farsi sentire. Anna lanciò un urlo. « Non è possibile, è morto sotto il pack. » Saltellava, nel tentativo di vedere al di sopra delle teste della folla. « Mi sollevi, Muktuk, devo vederlo », implorò. L'uomo si guardò le mani, poi guardò Anna. Infine la prese con circospezione per la vita, portandola verso l'alto con la stessa disinvoltura con la quale tirava su Shark. « È lui, è Patrick», gridò esultante Anna. Vicino a lui, di spalle, c'era un giovanotto alto. Evidentemente udì la sua voce al di sopra del frastuono perché, voltandosi, vide Anna, in rosso, sovrastare la gente come un palo totemico. «Scott! » «Anna! » «Vuole arrivare laggiù? » le chiese Muktuk, in tono burbero. « Gliene sarei grata. » L'uomo se la mise in spalla come una bambina. La folla si girò sorpresa, cedendogli il passo. «Dannazione al chiasso e alla gente», brontolò il gigante. «Mi domando per quale motivo partecipo alla corsa, se poi devo sopportare questo casino alla fine. » Raggiungendo Patrick e Scott, Muktuk e Anna trovarono anche Trapper e gli Owens. Anna corse prima di tutto da Patrick, scoppiando in lacrime. «Su, su, non sono arrivato neanche tra i primi venti», scherzò lui, sperando di far cessare il suo pianto. « Quando ho trovato il tuo fazzoletto da collo sul ghiaccio e ho visto dov'eri annegato, mi sono sentita così inutile e impotente. Sapevo che a Scott non avrei potuto riportare altro che un foulard, invece di te. » Patrick la tenne a distanza, guardandola con aria perplessa. Al di sopra del cappuccio orlato di pelliccia, guardò il fratello, che però scosse la testa, perplesso come e più di lui. « Quale foulard? » esclamò Muktuk, in tono più brusco di quanto volesse. « Quello a quadri verdi e arancioni che Patrick... » Anna s'interruppe. Non voleva che Scott sapesse che aveva pregato il fratello d'intercedere per lei. «... porta sempre», concluse in modo fiacco. « E dove lo ha trovato? » fece Muktuk. « Avvolto intorno a un segnale fluorescente, vicino a un corridoio aperto nel pack », rispose lei. Il vecchio musher tossì e sputò sulla neve. Pensando di averlo turbato, e un po' intimorita dalla sua leggendaria irascibilità, Anna proseguì la spiegazione. « Avevano bisogno di un aereo per la ricerca sul ghiaccio, perché Vio Vickers ti aveva dato per disperso, Patrick. Io ho decollato subito, ma sul pack c'era una bufera di neve, e sono stata fortunata a posarmi vicino al segnale con il fazzoletto da collo. » «Ha avuto una bella fortuna a non finire nel corridoio d'acqua », brontolò Muktuk. « Ci vuole esperienza per atterrare sul ghiaccio marino. Mi sorprende che Moroney glielo abbia lasciato fare. » « Lui non lo sapeva. Devo ancora dirglielo. » « È sicura che il fazzoletto fosse verde e arancio? » « Sì, ce l'ho qui. » E Anna lo prese dalla tasca. « È quello. L'ho usato io per fasciare il braccio di Short Seppa quando Shark ha tentato di staccargliene un pezzo. » Anna impallidì. «C'era un allarme per la ricerca di Short sul ghiaccio.» « Short Seppa... Allora quel corridoio... » Muktuk annuì. « Probabilmente la settima volta gli è stata fatale. Seppa aveva sentito le voci, poco lontano da Kaltag. Ho cercato di convincerlo che non era niente, ma il vecchio diceva che gli preannunciavano la morte. » Con grande sorpresa di tutti, Muktuk chinò la testa. «Dovunque tu sia, Short - probabilmente lassù in mezzo all'aurora boreale, con la tua tuta color fucsia -, sei stato un musher maledettamente in gamba. Hai fatto quello che amavi di più, correndo questa dannata corsa. Che la pista ti sia propizia. » Vio Vickers rimase all'esterno del cerchio di persone che si erano riunite attorno a Patrick, guardando Anna che piangeva di nuovo sulla sua spalla. « Lei di certo sa come si fa », bisbigliò con riluttante ammirazione. D'un tratto Patrick alzò la testa e riconobbe quel lampo giallo alle spalle di Scott. « Vio », esclamò. « Come ti sei classificata? » « Trentaduesima, credo », rispose lei. Scott si girò di scatto, pronto a essere cortese, ora che il fratello era salvo. « Congratulazioni. Sarò felice se potrò arrivare tra i primi quaranta, quando parteciperò a questa corsa. » Patrick porse la mano a Vio. « Vieni », le disse. « Herbie e Kiluk hanno preso in affitto una casa vicino a Nome. C'è posto in abbondanza per tutti.» La donna esitò. «Certo», disse Kiluk. «Sono sempre felice di un'altra presenza femminile in casa. » « Grazie. Non mi dispiacerebbe rinfrescarmi un po'. » Scott e Anna si avvicinarono l'uno all'altra come due calamite tenute separate e poi lasciate improvvisamente libere. « Mi sei mancato », gli sussurrò lei all'orecchio. « Ci rifaremo », le promise Scott. Non c'era vento, eppure il piccolo Cessna 180 oscillava, posato sulla sommità piatta della collina. Due cacciatori carichi di pesanti zaini e fucili da caccia osservarono stupiti l'apparecchio. «Spirit of Iditarod», disse uno dei due, leggendo la scritta sulla fusoliera. « È uno degli apparecchi dell'Iditarod Air Force, ma che ci fa da queste parti? » « In panne? » tirò a indovinare l'altro. « E dondola in una giornata senza vento? » «Probabilmente c'è un orso a bordo, in cerca di cibo. Andiamo a vedere. » Anna e Scott non si accorsero che i cacciatori si stavano avvicinando al Cessna. Erano rimasti separati troppo a lungo. Anna aveva progettato di trascorrere la notte alla capanna di Rohn, ma sorvolando la pista avevano visto un apparecchio a terra. «Cacciatori, probabilmente», aveva detto Anna. «Usano spesso il rifugio. » E aveva pilotato il piccolo aereo verso Nikolai. « Per quale motivo non andiamo da te? » si era informato Scott. « Perché ci sono cose che non possono aspettare », aveva ribattuto lei, « e conosco una collina dove non va mai nessuno. » Le labbra e le mani di Scott erano impazienti mentre armeggiava con la lampo della tuta di Anna. Lei aveva sollevato le natiche, mentre lui le sfilava gli slip, e sospirava, schiudendo le gambe per guidare Scott dentro di sé. « Non voglio più restare senza di te », aveva sussurrato Anna con voce roca. « Né io senza di te. » I movimenti di Scott erano diventati più vigorosi, e i bisbigli di Anna si erano trasformati in gemiti di piacere. II l primo cacciatore diede di gomito all'altro. « Tutto nello spirito dell'Iditarod », commentò, mentre si allontanavano in silenzio, per raggiungere le comodità della capanna di Rohn. Bud e Natû attesero qualche minuto. « Questa è una gara. Ora andiamo a rompere l'assedio, così Patrick avrà la possibilità di stare un po' con Scott e Trapper», disse Natû, guardando i giornalisti ancora assiepati attorno al giovane Butler, fitti come zanzare lungo un torrente pieno di trote. Lei e Bud guidarono le loro mute su per la rampa, in mezzo al fragore assordante delle sirene e agli applausi tonanti della folla. White-Out e Oily si comportarono come artisti del circo ben allenati, passando sotto l'arco in un tandem perfetto. Quando Bud li seguì, il dolore lo costrinse a piegarsi in due sull'handle bar, restando appoggiato alla sbarra, afflosciato e inerte come una bambola di pezza. Comunque rimase in equilibrio sui pattini, e i cani trascinarono orgogliosamente il loro musher semisvenuto davanti alle troupe televisive e ai fotografi. « Bud! » gridò Natû, ma la sua voce andò perduta nel vocio dei giornalisti che si assiepavano intorno a lui. Patrick comparve improvvisamente a fianco di Natû, seguito da Paul, per liberare il giovane dalla folla. Natû alzò la testa, sorpresa. «Parla tu con loro. Tuo marito si riprenderà subito», le gridò Patrick. Paul si ritirò in disparte assieme a Bud, tastandogli con delicatezza le costole e ascoltando il suo respiro superficiale. « Dovrai andare in ospedale per un controllo », gli disse con aria grave. « Ho il sospetto che una delle costole rotte possa avere perforato un polmone. È un miracolo che tu abbia potuto continuare a correre in queste condizioni, ma del resto ho visto che questa corsa spinge cani e musher a compiere imprese incredibili. Pazzi. L'Iditarod fa diventare pazzi. » Scosse la testa, osservando Bud. « Una cosa è certa, al banchetto di Nome riceverai il premio Matricola dell'anno », aggiunse. Lui fece una smorfia. « Ci dev'essere un modo migliore per vincere millecinquecento dollari e un trofeo», commentò con un sorriso malizioso. «Si avvicinano all'arco i coniugi Damas, matricole. Sponsorizzati dalla BP. » «Che cosa si prova, laggiù?» domandò un reporter, spingendo un microfono sotto il naso di Natû. « Che cosa si prova, laggiù? » ripetè Natû, in risposta alla domanda del giornalista. Avrebbe voluto stare con Bud, ma aveva fiducia in Patrick. «Lo capirete soltanto quando avrete corso questa gara, quando ci sarete stati anche voi. È un inferno, è un paradiso. È meravigliosa e purifica l'anima. E spaventosa e ti fa sentire in bocca il gusto del terrore. Ma nulla al mondo si può paragonare all'Iditarod. » RINGRAZIAMENTI Desidero ringraziare Bruce e Diana Moroney per avere sottratto del tempo prezioso ai loro numerosi impegni per accompagnare in aereo me e Di Siebens, la mia interprete americana, consentendoci di ammirare panorami talmente splendidi che credo siano stati sfiorati soltanto dalle ali degli angeli. Se non avessi sorvolato i quasi duemila chilometri degli itinerari settentrionali e meridionali percorsi dall'Iditarod, avrei dovuto fare affidamento soltanto su filmati e manifesti, che, per quanto ben fatti, non mi avrebbero consentito di rendermi conto dell'immensità di quel territorio. Nei due anni necessari a svolgere le ricerche per questo libro, ho conosciuto così tante persone pronte ad aiutarmi che mi è impossibile ringraziarle una per una. In ogni caso, vorrei assicurare agli abitanti dell'Alaska che è facile amare la loro terra, loro stessi e, naturalmente, i loro cani, senza i quali l'Iditarod non potrebbe esistere.