1. Elementi di magistero
della Congregazione
sulla Scuola Salesiana
Giorgio Rossi*
1. “Le idee di don Bosco sull’educazione e sull’insegnamento e la missione attuale della scuola”
2. Cultura, laicità e fede: don Egidio Viganò
3. La scuola forma e evangelizza: don Juan Vecchi
4. L’educazione nella prospettiva dell’attualità: don
Pascual Chavez Villanueva
* Facoltà Scienze della Formazione Università degli Studi Roma Tre.
Elementi di magistero della Congregazione sulla Scuola Salesiana
L’approccio concernente il magistero degli ultimi tre Rettori Maggiori, don E.
Viganò (1977-1995), don J. Vecchi (1995-2002), don P. Chavez Villanueva (2002...)
circa la scuola salesiana, fa necessariamente riferimento all’esplicitazione dell’orientamento fondamentale o delle linee programmatiche che sono alla base del
loro pensiero.
Si vuole cioè rendere evidente come la dimensione educativo-culturale, impostata sulla prospettiva dell’evangelizzazione, sia il nucleo della proposta educativa e pastorale delle scuole e dei Centri di Formazione Professionale.
Il Quadro di riferimento fondamentale della pastorale giovanile salesiana ha
una trattazione molto lunga sulla proposta educativa nelle scuole e nei CFP salesiani 1. L’impegno educativo e culturale della scuola ha come principio ispiratore
e fondante il vangelo e quindi deve essere orientato verso l’evangelizzazione.
Questa proposta si esprime attraverso alcune priorità. Innanzitutto la scuola deve
fare sintesi tra cultura e fede. Per questo è compito specifico e prioritario delineare
un itinerario di apertura al trascendente. Questa base è comune a tutti, anche ai
non cristiani; per quelli aperti alla fede cristiana, lo sviluppo deve prevedere una
crescita progressiva verso Cristo, secondo specifiche modalità di educazione alla
fede.
Alla sintesi tra cultura e fede deve seguire la sintesi tra fede e vita e la sintesi
tra professione e fede, che viene operata accogliendo sempre più responsabilmente, come dice il Progetto Educativo Nazionale, la propria vita nell’incontro
gioioso con il Cristo 2.
Riteniamo quanto mai opportuno, a conferma di queste affermazioni di principio, presentare la tradizione educativa salesiana, allo scopo di mostrare attraverso
le parole stesse dei protagonisti, in particolare degli ultimi tre Rettori Maggiori,
convinzioni e continuità di un ambito educativo, la scuola appunto, che non è
mai venuto meno nella congregazione salesiana. Crediamo necessario iniziare con
una breve nota riguardante le idee di don Bosco sull’educazione e l’insegnamento,
così come ci sono state tramandate da un suo fedele collaboratore, don Francesco
Cerruti.
1
Dicastero per la Pastorale Giovanile Salesiana, La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di
riferimento fondamentale, Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma 2000, pp. 74-84.
2
ACS (Archivio CNOS/Scuola - Roma, collocazione), 35/C, SDB - FMA (Salesiani di Don Bosco
- Figlie di Maria Ausiliatrice), Progetto Educativo Nazionale Scuola e Formazione Professionale, approvato nella seduta CISI/CII dell’8-9 gennaio 1995, edito il 31 gennaio 1995, Tipografia Istituto Pio
XI, Roma 1995, pp. 52-55, aggiornato nel 2000 e ultimamente nel 2011.
28
1. “Le idee di don Bosco sull’educazione e sull’insegnamento
e la missione attuale della scuola”
Il titolo è quello di un preziosissimo opuscolo di don Francesco Cerruti, scritto
nel 1886, due anni prima della morte di don Bosco 3. La cosa migliore è quella di
riportare un lungo passo in cui, con accenti accorati, don Bosco parla della sua
concezione della scuola e del fatto che purtroppo non è riuscito a farsi capire neanche al termine della sua vita.
Circa la discordanza fra l’aspetto teorico del cattolicesimo e la sua osservanza
pratica, don Bosco diceva: “La causa è una sola, essa sta tutta nell’educazione pagana che si dà generalmente nelle scuole. Questa educazione, formata tutta su
classici pagani, imbevuta di massime e sentenze esclusivamente pagane, impartita
con metodo pagano, non formerà mai e poi mai, ai giorni nostri segnatamente in
cui la scuola è tutto, dei veri cristiani. Ho combattuto tutta la mia vita, seguitò don
Bosco con accento di energia e di dolore, contro questa perversa educazione, che
guasta la mente ed il cuore della gioventù ne’ suoi più begli anni: fu sempre il
mio ideale riformarla su basi sinceramente cristiane. A questo fine ho intrapreso
la stampa riveduta e corretta dei classici latini profani che più corrono per le
scuole; a questo fine incominciai la pubblicazione dei classici latini cristiani, che
dovessero con la santità delle loro dottrine e dei loro esempi, resa più vaga da
una forma elegante e robusta ad un tempo, completare quel che manca nei primi,
che sono il prodotto della sola ragione, render vani possibilmente gli effetti distruttori del naturalismo pagano e riporre nell’antico dovuto onore quanto anche
nelle lettere produsse di grande il Cristianesimo. Questo, in una parola, è lo scopo
a cui ho costantemente mirato in tutti quei molti avvertimenti educativi e didattici,
che diedi a voce e per iscritto a’ Direttori, maestri ed assistenti della Pia Società
Salesiana. Ed ora vecchio e cadente me ne muoio col dolore, rassegnato sì, ma
pur sempre dolore, di non essere stato abbastanza compreso, di non aver pienamente avviata quell’opera di riforma nell’educazione e nell’insegnamento, a cui
3
F. CERRUTI, Le idee di don Bosco sull’educazione e sull’insegnamento e la missione attuale della
scuola. Lettere due, Tipografia e Libreria Salesiana, S. Benigno Canavese 1886; sull’autore cfr. J.M.
PRELLEZO, Don Bosco y la ‘Storia della pedagogia’ di Francesco Cerruti (1844-1917), in L’impegno
dell’educare. Studi in onore di Pietro Braido, a cura di J.M. PRELLEZO, LAS, Roma 1991, pp. 435-450.
Il testo del saggio di don Prellezo è ora disponibile in traduzione italiana: Don Bosco e la ‘Storia
della pedagogia’ di Francesco Cerruti (1844-1917), in Selenotizie, supplemento a Scuola Viva, n. 4,
aprile 1997, pp. 20-28; F. CERRUTI, Lettere circolari e Programmi di insegnamento (1885-1917). Introduzione, testi critici e note a cura di J.M. PRELLEZO, LAS, Roma 2006; G. ROSSI, Scuola e formazione religiosa, in Selenotizie, n. 2, maggio-agosto 1998, pp. 3-5; si vedano anche i contributi di S. FERRAROLI, Quale educazione nella scuola dell’autonomia, Elledici, Leumann (Torino) 2000, specie
p. 25, per lo scritto del Cerruti, e Educare si può. Famiglia e scuola insieme, ibidem, 2010.
Elementi di magistero della Congregazione sulla Scuola Salesiana
ho consacrato tutte le mie forze e senza cui non potremo giammai, lo ripeto, aver
una gioventù studiosa schiettamente ed interamente cattolica” 4.
L’autore, Francesco Cerruti, a proposito dell’aspetto formativo della scuola,
precisa anche: “Sarebbe ben ingenuo chi credesse bastare a tal effetto quell’una
o due ore settimanali di catechismo; questo non equivarrebbe ad altro che ad un
bicchier di vin buono in una botte d’aceto. Lo spirito religioso del giovane, osserva
lo stesso protestante Keratry, non si forma che con la continuazione d’un insegnamento, in cui la divina legge sia ovunque diffusa” 5.
Dalle affermazioni di don Bosco e dalle riflessioni di don Cerruti è facilmente
arguibile che essi intendevano la funzione della scuola e dell’insegnamento come
finalizzati alla formazione di una mentalità fondamentalmente indirizzata verso
principi che si rifanno ai dettami evangelici, criticamente aperta e capace di giudizi
non monoliticamente orientati.
2. Cultura, laicità e fede: don Egidio Viganò
Nella “Lettera ai Salesiani di tutto il mondo” del 19 marzo del 1993, don Viganò
intesse un discorso articolato e impegnativo con varie sfaccettature, che hanno
come riferimento essenziale il tema, tante volte agitato e complesso, del rapporto
tra fede e scuola, e in particolare se e come la scuola può essere “educatrice” per
la fede. Evidenziamo solo alcuni aspetti maggiormente significativi di questa ricca
disamina.
La scuola appartiene, afferma don Viganò, all’ambito della cultura, partecipa
della sua autonomia secondo le esigenze di quella «laicità» che è insita nell’ordine
temporale. Questa «laicità» istituzionale è propria di ogni scuola in quanto tale;
non è in contrasto con l’ispirazione cristiana che qualifica l’impostazione della
scuola cattolica; la fede, infatti, non pone alcuna limitazione o condizionamento
alla natura e missione dell’ordine temporale e quindi della scuola, anzi ne purifica
e ne stimola le finalità difendendola dai tentativi di manipolazioni ideologiche di
vario tipo. In quanto «scuola», essa è proiettata alla promozione umana con la prospettiva di educare la persona per il bene della società civile. Le esigenze della
natura e missione culturale della scuola sono oggi molteplici e vanno crescendo
in ogni società. È nata così per la scuola una complessità in movimento. Essa si
manifesta innanzitutto nell’ordine della docenza in cui l’informazione scientifica
richiede sempre ristrutturazione di programmi e discipline, una loro nuova articolazione e corrispondenti novità dei metodi e strumenti didattici.
4
5
30
F. CERRUTI, Le idee di don Bosco, cit., pp. 4-5.
Ibidem, p. 12.
3. La scuola forma e evangelizza: don Juan Vecchi
Don Juan E. Vecchi risponde ad una domanda che in realtà viene continuamente proposta: la scuola cattolica è portatrice di formazione e di evangelizzazione di per se stessa o per far ciò deve diventare pretesto per altri interventi di
natura religiosa, quali la proposizione dottrinale, la preghiera in comune, le celebrazioni liturgiche, gli esercizi spirituali, l’associazionismo? In altre parole: la scuola
serve solo a raccogliere utenza per poter poi essere evangelizzata con altri strumenti, esterni al momento didattico proprio delle discipline? Accenneremo solo
ad alcune riflessioni che dovrebbero necessariamente essere più a lungo sviluppate.
Scrive don Juan E. Vecchi: «In primo luogo risulta chiaro che l’evangelizzazione
è la ragione ultima della scuola cattolica in quanto tale. Evangelizzare attraverso
la scuola significa infatti illuminare con la luce del vangelo l’educazione, i processi
di crescita e l’esperienza scolastica del giovane e dell’adulto. L’identità culturale e
pedagogica della scuola cattolica dunque non si esaurisce in qualche elemento
particolare istituzionalmente assicurato, come l’insegnamento religioso, le celebrazioni e la presenza di gruppi interessati alla catechesi. È l’esperienza educativa
nella sua globalità che va “evangelizzata”. Ciò postula una propria vita di evangelizzazione diversa da quella delle parrocchie, dei movimenti ecclesiali o degli stessi
oratori.
Del momento didattico vanno scoperte e attivate tutte le possibilità educative:
l’informazione scientifica settoriale, lo sviluppo delle capacità intellettive, il coinvolgimento totale della persona nel contatto con la realtà, la formazione progressiva di una visione del mondo, i valori connessi a ciascuna area della conoscenza,
gli interrogativi che provoca il rapporto personale che si stabilisce con coloro assieme ai quali si lavora nella ricerca” 6.
Cioè, a parere di don Vecchi, la scuola forma ed evangelizza secondo le modalità del momento didattico, perché informa, sviluppa, coinvolge, forma ad una
visione della realtà, prospetta valori, provoca interrogativi, stabilisce rapporti. Con
molta chiarezza il Progetto Educativo Nazionale su questo aspetto così si esprime:
“L’alunno viene aiutato a ristrutturare attivamente i contenuti e i metodi di apprendimento, ad esprimere il senso delle esperienze e delle certezze vissute e ad
emettere personali, liberi e motivati giudizi di coscienza, rischiarati e sostenuti dal
dialogo con la Rivelazione cristiana” 7. In ultima analisi la funzione della scuola è
6
J.E. VECCHI, Il progetto di formazione dei docenti, in Selenotizie, supplemento a Scuola Viva,
n. 3, marzo 1995, p. 8.
7
ACS, 35/C, SDB-FMA, Progetto Educativo Nazionale, cit., p. 47.
Elementi di magistero della Congregazione sulla Scuola Salesiana
quella di sviluppare il senso critico, creare mentalità, formare orientamenti, indurre
valori. Non è possibile né efficace proporre momenti specifici religiosi, sicuramente necessari, se il terreno non è adatto ad accettarli: di qui la necessità di un
lavoro globale, paziente, continuato. La scuola “necessariamente” orienta e crea
mentalità, proprio perché l’ambiente, in cui si è inseriti, e gli insegnanti non possono fare a meno di esprimere se stessi come sono e come pensano 8.
La condizione assoluta e irrinunciabile è quindi che i formatori siano formati
e orientati secondo principi e scelte che noi riteniamo giusti e veri. Si impone
quindi l’urgenza della formazione dei docenti: “Adopero la parola urgenza, dice
don Vecchi, perché non ne trovo un’altra più pressante” 9.
Già però don Vecchi aveva affrontato il tema della scuola in una relazione dal
titolo La scuola salesiana: piattaforma di evangelizzazione e di azione pastorale,
scritta nel 1983 quando era Consigliere Generale per la Pastorale Giovanile.
Secondo don Vecchi i temi cruciali della scuola cattolica sono essenzialmente
tre. Il primo è la cultura. La scuola cattolica si presenta in effetti come luogo di
crescita umana mediante l’assimilazione sistematica e critica della cultura. Il secondo tema è la evangelizzazione. Cosciente del fatto che l’uomo storico è quello
salvato da Cristo, la scuola cattolica tende a formare il cristiano nelle virtù che lo
configurano a Cristo suo modello e gli permettono di collaborare finalmente all’edificazione del Regno di Dio. Il terzo è la professionalità cioè la capacità pedagogica, il livello di riflessione e di efficienza nella elaborazione di un sapere e
nell’arte educativa. Si afferma difatti che se non è scuola, cioè luogo e ambiente
specializzato in educazione, non può essere anche cattolica.
Mette inoltre in rilievo due aspetti, l’incontro con la cultura e l’esperienza vitale
che non si oppongono ma neanche si identificano. Quale dei due aspetti emerge
nello stile salesiano? A quale si dà la preferenza? Secondo don Vecchi nell’equilibrio e nell’armonia, che si cerca in ogni soluzione, i salesiani prestano attenzione
preferenziale alla vita del ragazzo e in essa includono l’incontro con il patrimonio
culturale. La Congregazione non nacque con la finalità di fondare scuole, ma con
quella di tendere una mano ai giovani che si trovavano in una particolare situazione. Per risolvere questa situazione nacque il primo programma: l’Oratorio, la
cui caratteristica è seguire il ritmo della vita segnato dalla spontaneità giovanile
che non escludeva i momenti culturali e religiosi. La scuola ebbe inizio nell’Oratorio e si ispirò al modello oratoriano senza perdere la sua peculiarità sistematica
8
G. ROSSI, Cultura e fede nella comprensione del fatto storico, in Selenotizie, supplemento a
Scuola Viva, n. 3, marzo 1995; H.I. MARROU, La conoscenza storica, Il Mulino, Bologna 1975, p. 51.
9
J.E. VECCHI, Il progetto, cit., p. 7.
32
e disciplinare. Don Bosco accettò scuole per la necessità della vita del giovane e
non tanto per amore astratto alla cultura. Per la stessa ragione la Congregazione
accetta oggi le scuole, per la loro funzionalità a raggiungere i giovani nella loro
vita. Un intervento ascoltato al Capitolo Generale 21 diceva: “Non bisogna fare
della scuola un assoluto né un nemico della missione salesiana, ma vedere se
nella forma concreta come si sta conducendo ci mette a contatto coi giovani o ci
allontana dalla loro vita anche quando offriamo loro il servizio della istruzione”.
Don Vecchi conclude questo suo lungo intervento dicendo che al momento
in cui lui scrive la scuola è pur sempre l’ambiente in cui si prende contatto con
più giovani, durante un tempo prolungato e con il programma più organico. Parlare di rinnovarla è segno che vogliamo che continui. È il segno che crediamo
nella sua efficacia per la cultura, l’evangelizzazione e per la missione dei salesiani 10.
4. L’educazione nella prospettiva dell’attualità:
don Pascual Chavez Villanueva
Don Pascual Chavez, IX Successore di don Bosco, ha delle espressioni chiare
e decise sulla necessità dell’educazione nel contesto attuale. Impegna la famiglia
salesiana a lottare per “l’uguaglianza delle opportunità, per la libertà di insegnamento, per la creazione di una cultura della tolleranza, della comunione, della solidarietà, per una società che renda possibile l’educazione ai valori e dove si
prendano in conto tutte le dimensioni della persona”.
È estremamente utile riportare il suo pensiero che è in realtà la convinzione
stessa della Congregazione, in sintonia con la continuità di pensiero dello stesso
Fondatore.
“Sin dall’inizio la Famiglia Salesiana si presentò come un’istituzione educativa,
saldamente radicata alla scuola. Così don Bosco che, fin dai primi anni della sua
attività a Valdocco, introdusse con creatività il settore scuola al centro del suo apostolato giovanile, conservando in esso la finalità, il clima e i criteri oratoriani, e
cercando di fare di ognuna delle due opere “una casa che accoglie, una parrocchia
che evangelizza, una scuola che avvia alla vita, un cortile per incontrarsi”. Di pari
passo alla sua espansione mondiale, la congregazione si è convertita in un grande
movimento di diffusione della scuola popolare e cattolica in un duplice flusso: di
adeguamento alla realtà propria di ogni paese e di trasformazione attraverso il
10
J.E. VECCHI, La scuola salesiana: piattaforma di evangelizzazione e di azione pastorale, in
Collana Sussidi CISI, n. 1, 1983, pp. 3-34; fascicolo pro manuscripto con inserito il documento capitolare del CG 21, La scuola come ambiente di evangelizzazione.
Elementi di magistero della Congregazione sulla Scuola Salesiana
contributo del carisma salesiano e della originalità del suo metodo educativo. In
questo processo i Salesiani sempre si sono lasciati guidare dalla convinzione, convalidata dall’esperienza, che la scuola sia un ambiente privilegiato per l’educazione, un elemento valido per la promozione umana, una piattaforma di
evangelizzazione straordinariamente efficace.
Dall’analisi delle statistiche emerge con chiarezza l’importanza che la Famiglia
Salesiana ha sempre dato alle istituzioni di educazione formale: scuole elementari,
medie e superiori, istituti tecnici, scuole agricole, Centri di Formazione Professionale, politecnici, università, istituti di magistero, centri di alfabetizzazione, scuole
missionarie, parrocchiali, serali, festive. Ma non si tratta soltanto di quantità. Si è
cercato sempre di garantire la qualità dell’educazione.
Certo, non sono mancati momenti di contestazione e di crisi, nei quali la validità educativa e pastorale dell’istituzione “scuola” è stata messa in dubbio. Ma,
pur senza ignorare limiti e deficienze, si è puntato a rinnovarne il modello, cercando risposte sempre più coerenti e contestualizzate alle nuove sfide pedagogiche e pastorali. Non c’è dubbio che fra la scuola d’oggi e quelle di trent’anni fa –
per non dire di cento anni fa – esiste un’abissale differenza, persino a livello architettonico e di impiantistica. Oggi è pacifico per noi parlare di comunità educativo pastorale, di progetto, di nucleo animatore, di dimensione culturale della
scuola, della sua finalità evangelizzatrice, di animazione pastorale, di protagonismo
giovanile, di educazione integrale, di rapporto e influsso nel territorio.
Il fatto che la missione salesiana si centri sull’educazione non vuol dire che
questa si circoscriva al mondo della scuola. I campi dell’educazione e della cultura
sono ben più ampi, e presentano aspetti e sfumature che superano le potenzialità
della scuola, per la presenza di numerose altre agenzie educative. È evidente, tuttavia, che essa continua ad essere una piattaforma privilegiata di educazione, dialogo e confronto culturale, e perciò di trasformazione della società. Questa
preminenza della scuola sul resto si spiega con la coincidenza e durata dei processi educativi iniziali, con i ritmi e le procedure accademiche, con la molteplicità,
diversità e complementarietà degli interventi educativi che si realizzano lungo
l’anno scolastico; con la quantità di persone coinvolte; con la ricchezza e qualità
di rapporti interpersonali tra allievi e maestri, studenti e professori, educatori ed
educandi, perché l’educazione è una questione di trasmissione non solo di nozioni, idee, saperi, ma ancor più di valori, esperienze, visioni della vita; infine,
con l’accompagnamento personale che si può offrire ai giovani nella ricerca del
senso della vita e nella scoperta della propria vocazione” 11.
11
34
P. CHAVEZ VILLANUEVA, Uno spazio privilegiato, in Bollettino Salesiano, settembre 2002, pp. 2-3.
Don Chavez è ritornato ultimamente sul problema dell’educazione e della
scuola in diversi interventi. Vogliamo ricordarne due di particolare rilievo: il primo
è rappresentato dalla lectio magistralis tenuta all’Università di Genova il 23 aprile
2007 dal titolo Educazione e cittadinanza 12. Si sofferma sulla scuola in generale
e particolarmente sulla specificità della scuola salesiana in un corposo paragrafo,
nel quale viene indicata “La proposta odierna della scuola salesiana”. Egli afferma
che in questo processo di cambio, epocale e congiunturale, è vitale che la scuola
cattolica salesiana sappia conservare la sua identità, attingendo al genio pedagogico di don Bosco e affrontando le sfide odierne della nostra società. Il “sistema”
educativo di don Bosco è stato praticato, verificato e perfezionato in quello che
è stato definito il «laboratorio pedagogico» di Torino-Valdocco; è dunque decisamente “datato”, in quanto adeguato e consono ad un mondo che non esiste più;
è però sempre attuale e vitale, ma unicamente in quanto – e se – viene seriamente
attualizzato (“tradotto”, inculturato, ripensato, aggiornato), alla luce delle moderne
problematiche educative, ovviamente ignote ai tempi di don Bosco.
Il progetto educativo
Per don Bosco il presupposto per un progetto educativo vero e proprio è la
sollecitudine per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali dei giovani: vitto,
vestito, alloggio, sicurezza, lavoro, sviluppo fisico e psichico, inserimento sociale,
un minimo di valori ecc. Viene poi – ma i due momenti non sono cronologicamente separabili – l’educazione vera e propria del giovane volta alla promozione
ed all’espansione della dimensione cognitiva, affettiva ed etica: competenza decisionale, capacità di responsabilità morale e civile, indispensabile cultura di base
e professionale, cosciente e coerente impegno religioso ecc. Tali scopi sembrano
oggi ancora attuali, considerando come, a seguito delle profonde trasformazioni
avvenute nella società, sia in atto un deciso recupero delle valenze assistenziali e
sociali del progetto educativo salesiano, come anche di quelle valoriali proprie
della sfera affettiva, emotiva, naturale e soprannaturale. Oggi l’impegno educativo
si estende sempre di più e i compiti dell’educatore sono sempre più difficili da
eseguire e verificare. Se un tempo vi erano quasi solo il cortile, la chiesa, il laboratorio, la scuola, oggi siamo in presenza di diversi tipi di scuole, di istituti educativi e terapeutici, di comunità di accoglienza per ragazzi e giovani in difficoltà,
di centri di prevenzione contro la tossicodipendenza, di consultori, di interventi
umanitari per i giovani che vivono per la strada, di campi profughi con gran nu-
12
P. CHAVEZ VILLANUEVA, Educazione e cittadinanza. Formare “salesianamente” il cittadino, Università di Genova, 23 aprile 2007.
Elementi di magistero della Congregazione sulla Scuola Salesiana
mero di ragazzi e giovani, di centri di accoglienza per immigrati … E tutto ciò all’interno di una società complessa e cosmopolita.
Don Bosco sintetizzò l’obiettivo dell’educazione con una frase semplice e comprensibile: portare il giovane ad essere “un onesto cittadino e buon cristiano”.
Con questa frase voleva esprimere l’integrità del suo ideale: formare costruttori
della città e uomini credenti. In esso tutte le dimensioni della personalità sono tenute in conto. L’onesto cittadino del terzo millennio, è chiaro, non è più quello
inteso da don Bosco, figlio di un tempo in cui non si concepiva una “politica attiva” se non ad opera di una minoranza ricca e privilegiata, di cui difficilmente
avrebbero fatto parte i preadolescenti o gli adolescenti poveri o del ceto medio
raccolti nelle sue case. Neppure è quello che, nell’analisi e nella valutazione del
disagio sociale, tende, come don Bosco, a ricercarne le cause unicamente nelle
responsabilità morali e religiose dei singoli e non nei condizionamenti e determinismi di indole economica, politica o sociale. E neanche è solo quello piuttosto
passivo che obbedisce alle leggi, non dà problemi alla giustizia, pensa unicamente
ai “fatti suoi”. Il passaggio dall’assolutismo monarchico al parlamentarismo liberale
prima e alla democrazia poi, il sorgere della “questione sociale” con il socialismo,
il marxismo, il sindacalismo, la dottrina sociale della Chiesa, la richiesta universale
di cittadinanza attiva e democratica ecc. hanno lasciato pesantemente il segno.
Così come lo lasciano oggi l’inarrestabile avanzata del pluralismo, della globalizzazione, delle moderne tecnologie informatiche e telematiche, della pluriculturalità
diffusa.
Nella stessa prospettiva è evidente anche che il buon cristiano di oggi non sia
più come lo concepiva don Bosco e tanti come lui: un minimo di formazione religiosa, ricezione consuetudinaria dei sacramenti, devozioni ai santi quali modelli
e ideali di vita cristiana, lettura esclusiva di “buoni” libri, obbedienza assoluta alle
legittime autorità ecclesiastiche dentro l’unica e vera Chiesa, la cattolica, una vita
di progresso nelle virtù che poi si sarebbe felicemente conclusa con una morte
virtuosa. Un secolo di riflessione teologica e un Concilio Vaticano II sarebbero
passati invano e la multireligiosità e multiconfessionalità del mondo di oggi non
indicherebbero nulla. Bisogna dunque prendere atto che la ben nota formula di
“onesti cittadini e buoni cristiani” è oggi da rifondare sul piano antropologico e
su quello teologico, è da reinterpretare storicamente e politicamente. Una rinnovata antropologia dovrà individuare, tra i valori della tradizione, quali siano da
sottolineare nella società postmoderna e quelli invece nuovi da proporre; una rinnovata riflessione teologica preciserà i rapporti fra fede e politica, fra diverse fedi;
una rinnovata analisi storico-politica comporrà educazione e politica, educazione
e impegno sociale, politica e società civile.
36
L’ambiente educativo
La scuola salesiana presenta un secondo elemento distintivo: è il clima umano
o ‘ambiente’ che si respira nell’opera salesiana. Ci rendiamo conto della sua presenza solo quando ci fermiamo a pensarci su. Così può succedere che per il bambino o il giovane l’ambiente sia indefinibile quantunque entrambi lo percepiscano.
È quel che noi siamo soliti denominare “lo spirito di famiglia”. È proprio questo
ambiente, una specie di ecologia formativa e che costituisce uno degli elementi
essenziali del Sistema Preventivo di don Bosco, quello che lo rende valido in tutti
i contesti culturali e religiosi, come sta a dimostrarlo la esperienza assodata in Asia
e Africa, dove la maggioranza dei nostri studenti, genitori e collaboratori non sono
cristiani, ma trovano nella scuola salesiana un’atmosfera familiare che li fa sentire
a loro agio, a casa. L’ambiente fu una delle preoccupazioni di don Bosco. In una
epoca di regolamenti, egli pose in rilievo la spontaneità e lo spazio che si doveva
lasciarle. In una epoca di molti livelli di autorità, don Bosco mise in evidenza la
necessità della familiarità e del convivere con l’educando, proprio perché per lui
l’educazione era “una questione del cuore”, una trasmissione vitale di valori, la
creazione di un ecosistema dove si respirava ottimismo e bene, e dove circolava
una serie di valori che andavano configurando la personalità del giovane. Il nostro
impegno, egli diceva, è far sì che il ragazzo arrivi ad essere così amico nostro che
ci apra il cuore, e che noi possiamo influire su di lui a partire dallo stesso centro
della sua vita. In questo modo ci sarà possibile non solo offrirgli gli elementi di
tipo strumentale per destreggiarsi nella realtà, ma, ancor di più, accompagnarlo
nella elaborazione dei propri criteri e progetti di vita.
Oggi questo aspetto diventa ancora più rilevante tenendo in conto la carenza,
in molti casi, di una esperienza familiare che sia veramente la prima scuola della
vita. Questo rapporto ‘familiare’ è il modo più efficace, anche se non sempre consapevole, di vivere in comunità e di essere introdotti in società. Vi può essere un
rapporto di fredda e distante autorità; oppure un rapporto di educata formalità o
invece un rapporto di simpatia, di intimità e di servizio costante; quest’ultimo si
manifesta nella disponibilità a dialogare, a convivere, ad abbordare temi che interessano i giovani. Tale è il clima educativo di don Bosco.
Il primo compito dell’educatore è dunque quello di esserci e di non stare fuori
del campo dove viene giocata la partita. Se è vero che nell’educando ci sono tutte
le disposizioni per realizzare la sua vita piena, è altrettanto vero che, lasciato a se
stesso, potrebbe correre il rischio di non attuare tutte o completamente le sue
possibilità di crescita. L’educatore sicuro e rassicurante, consapevole del proprio
compito e responsabile, autorevole e non autoritario, cerca di instaurare un autentico dialogo e un costruttivo confronto con un giovane. Vitalmente implicato
Elementi di magistero della Congregazione sulla Scuola Salesiana
nella relazione educativa, la sua personalità, il suo passato, le sue paure, le sue
ansie incidono sulla formazione dell’educando. È la sua persona che educa.
Nell’educatore il giovane non cerca più tanto il padre che pensa a tutto in sua
vece, l’amico che gli organizza il tempo libero, il fratello che si interessa della sua
crescita, l’adulto che distribuisce ordini, o il sorvegliante che minaccia castighi,
ma l’uomo capace di mettersi accanto a lui, più attento alla sua persona che alle
esigenze generiche dell’educazione, più disponibile ad offrirgli un contributo positivo allo sviluppo delle sue potenzialità inespresse, che non attento a neutralizzare unicamente gli elementi negativi e controproducenti.
L’educatore, quindi, non si ritiene più possessore e interprete unico del sistema, per così imporre o proporre certezze preconfezionate; si rende capace di
interpretare i bisogni giovanili difficilmente esprimibili da loro stessi, di accompagnarli nella loro non facile ricerca delle risposte alle domande fondamentali della
vita, di rispettarli nel loro diritto di essere e sentirsi protagonisti, di ridurre la propria funzione predominante per educarsi mentre educa, sia sul facile terreno del
confronto che su quello difficile, ma altrettanto utile, dell’inevitabile scontro.
Lo spazio educativo
Don Bosco ha voluto attuare il suo progetto attraverso la cooperazione di vaste
cerchie di persone. Nell’utopia di un movimento vasto come il mondo ha sognato
la collaborazione e la complementarità di tutti i cattolici militanti e di tutti gli uomini di buona volontà interessati al futuro dell’umanità. Concretamente però la
sua esperienza si è attuata per lo più in un istituto: un sistema «istituzionale» chiuso,
separato, apolitico, autonomo dove tutto si svolgeva all’interno di un preciso spazio educativo autosufficiente, dove i maestri ufficialmente riconosciuti erano don
Bosco e i suoi “figli” e dove vigeva un’unica e semplice cultura: quella cattolica
della classe popolare, la cui unica aspirazione era il provvedersi di sufficienti mezzi
di vita terrena, in attesa del premio celeste di tale vita.
Oggi per poter ricreare questo spazio sembra necessario il massimo coinvolgimento, con relativa responsabilità morale, di tutti gli “operatori” di educazione,
auspicabilmente di tutti gli adulti che, a vario titolo, incidono sull’educazione dei
giovani e sulla loro capacità di compiere scelte esistenziali: genitori, insegnanti,
educatori, assistenti e operatori sociali, ecc. Formare alleanze condividendo strategie, tempi, modalità comporta logicamente non piccole difficoltà, tenuto conto
della disomogeneità e delle divergenze delle forze in questione. Ma si tratta di
una conditio sine qua non per cogliere i frutti del nostro impegno educativo ed
obbliga allo stabilimento di un forte, e cordiale, rapporto tra gli educatori. Gli
educatori possono mantenere tre tipi di rapporti, o lavorativo, ridotto fondamentalmente al minimo: la prestazione di un servizio e la corrispettiva remunerazione;
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o professionale, in cui oltre alla prestazione di servizi e alla remunerazione, esiste
un rapporto di amicizia e di discussione dei temi che toccano la comune professione; o vocazionale, proprio degli educatori che sono convinti del valore dell’educazione e la svolgono come missione.
Essere oggi professore è una professione tecnica (docente), ma soprattutto, una
vocazione personale (educatore). Formare ed educare, orientare ed insegnare richiamano una preparazione rigorosa che, pure, nel momento di mettersi in gioco,
lascia l’educatore dipendente dalla sua creatività, perspicacia e bontà, perché il soggetto davanti cui si trova, per la sua intelligenza viva e la sua libertà attiva, è sempre
un mistero con azioni e reazioni insospettate, al quale tutto è necessario e, tuttavia,
nulla gli è sufficiente. Orbene, il rapporto vocazionale tra gli educatori è quello che
unisce mediante idee di vita e valori identici che si vogliono coltivare in comune.
Questo tipo di rapporto è quello che meglio si addice a un gruppo di educatori
che desiderano portare avanti un progetto educativo con coerenza e con approfondimenti progressivi. In definitiva, si basa sulla convinzione che esiste un insieme di valori che stiamo coltivando ed una missione che stiamo realizzando
insieme. Da questo rapporto segue la possibilità di una maggiore personalizzazione di esso in rapporto alla «libertà» effettiva dell’educando, alle sue richieste di
autonomia nello scegliere obiettivi e mezzi per raggiungerli, alle “energie” di cui
è portatore che vanno rispettate e aiutate a svilupparsi con risorse e modalità differenziate nelle diverse stagioni della vita.
Educare così porta a proporre esperienze valide e coinvolgenti, fa crescere i
giovani dall’interno facendo leva sulla libertà interiore e contrastando i condizionamenti esteriori; “conquistar il cuore” dei giovani per invogliarli serenamente
verso i valori, correggendo le deviazioni e contenendone le passioni; li prepara al
futuro accoppiando alla formazione della mente l’acquisizione di abilità operative;
arriva là dove nascono e si radicano i comportamenti dei giovani per sviluppare
in loro una personalità capace di decisioni proprie e di discernimento; abilita i
giovani alla concretezza della vita sociale ed ecclesiale: ecco il difficile compito
dell’educatore salesiano.
Il secondo documento di grande importanza e rilievo è rappresentato dalla
lettera indirizzata ai confratelli il 25 aprile 2010 riguardante La pastorale giovanile
salesiana 13. Si sofferma il Rettor Maggiore sui diversi settori della pastorale giovanile e tra questi include in maniera non secondaria quello della scuola. Egli afferma che la presenza salesiana nel campo dell’educazione formale e in particolare
nella scuola è una delle più consistenti, significative e diffuse.
13
P. CHAVEZ VILLANUEVA, La pastorale giovanile salesiana, ACG 407, 2010.
Elementi di magistero della Congregazione sulla Scuola Salesiana
Nel 2007 la Congregazione era responsabile di 1208 Istituti scolastici di diversi
livelli, con un po’ più di un milione di allievi, soprattutto nella fascia dei preadolescenti, anche se in quest’ultimo sessennio sono notevolmente cresciuti gli allievi
delle scuole superiori, e in particolare di quelle di livello universitario. I Salesiani
che lavorano nel campo scolastico sono 2286 a tempo pieno e 1364 a tempo parziale, con la collaborazione di una schiera assai grande di laici, quasi 60.000.
La scuola salesiana è una presenza cristiana significativa nel mondo dell’educazione e della cultura; aiuta i giovani a prepararsi dignitosamente per la vita e
contribuisce a formare la mentalità ed a trasformare la società secondo i valori
umani e cristiani; per questo è uno strumento fondamentale per l’evangelizzazione. In parecchie nazioni dell’Asia o dell’Africa la scuola è sovente l’unica forma
di presenza di Chiesa consentita e in essa la comunità cristiana offre una testimonianza di servizio disinteressato ai settori più poveri della società, un ambiente
umano permeato dai valori evangelici, come testimonianza silenziosa di Gesù Cristo e anche come una preziosa opportunità per le famiglie cristiane del posto di
educare cristianamente i propri figli.
In questi anni la Congregazione ha fatto un notevole sforzo per rinnovare la
sua presenza in questo campo, soprattutto nei seguenti aspetti principali:
1° La qualità educativa e pastorale dell’ambiente in cui si vive, dei programmi e
delle proposte che si offrono, della metodologia che si adopera, delle stesse
strutture e risorse materiali, delle persone in essa impegnate, attraverso un
PEPS operativo e condiviso da tutta la comunità educativa, in modo che diventi
capace di orientare e guidare la dinamica quotidiana della scuola. In questo
senso è importante superare il pericolo di considerare la pastorale come un
settore accanto ad altri, piuttosto che la qualità di tutta la vita della scuola,
della cultura, della metodologia, dei rapporti, delle proposte, ecc. che in essa
si presentano e si realizzano; sovente ciò è ben presentato nei documenti, ma
rimane una sfida da riuscire a tradurre in pratica nella vita quotidiana della
comunità educativa.
2° La comunità educativo-pastorale: impegnarsi a costruire la scuola come comunità umana al servizio dell’educazione e dell’evangelizzazione dei giovani
e non soltanto come un’istituzione di servizi educativi. Una scuola è una comunità educativo-pastorale quando in essa il centro è costituito dalle persone,
soprattutto i giovani, con rapporti interpersonali, con la condivisione dei valori
della pedagogia e della spiritualità salesiana, con il coinvolgimento e il protagonismo di tutti nelle loro diverse funzioni.
3° Una scuola piattaforma di efficace e normale evangelizzazione, in modo speciale attraverso la promozione e trasmissione di una cultura e di una mentalità
ispirata ai valori evangelici. La pastorale giovanile salesiana nel campo del-
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l’educazione deve promuovere nei giovani non soltanto una vita cristiana, ma
anche una cultura ispirata alla fede e ai valori evangelici, che sia un’alternativa
alla cultura dell’ambiente sovente caratterizzata dal secolarismo, relativismo,
soggettivismo, consumismo. I contenuti culturali che si offrono nella vita quotidiana di una scuola, nelle diverse discipline, nella metodologia, nell’ambiente
e nei rapporti, ecc. non sempre ricevono l’attenzione che necessiterebbero per
garantire una coerenza tra i contenuti trasmessi o le metodologie adoperate e
i valori della fede cristiana, in modo che questa informi efficacemente la vita
personale, professionale e sociale delle persone e si stabilisca un fecondo rapporto tra fede e cultura.
4° Una scuola attenta e aperta ai giovani più poveri; con una dinamica e una metodologia che previene il fallimento scolastico e aiuta a superarlo con corsi di
recupero, scuole serali per i giovani che si trovano fuori della struttura scolastica, ecc.; che promuove, attraverso diverse materie e attività proposte, il contatto e l’inserimento nella realtà sociale, per scoprire le cause delle situazioni
di emarginazione e di esclusione che in essa si vivono e per suscitare l’impegno per superarle; una scuola che promuove la cultura del dialogo, della collaborazione, dell’accettazione del diverso, della solidarietà.
Questi obiettivi, rileva ancora don Chavez, sono stati promossi in questi anni
attraverso uno sforzo sistematico e continuo attuato in parecchie regioni della
Congregazione. Esemplare è il processo che si sta realizzando nell’America salesiana a partire dagli incontri continentali di Cumbayá (1994 e 2001) e Brasilia
(2008). Le conclusioni di questi incontri sono approfondite nelle diverse équipes
ispettoriali e zonali per tradurle in programmi operativi che guidano l’azione delle
differenti comunità educative, aiutandole a verificare la loro prassi educativa e a
trasformarla. Questo sforzo si realizza insieme con i vari gruppi della Famiglia Salesiana che gestiscono scuole in America.
Qualcosa di simile si sta sviluppando anche in Europa (incontri di Roma del
1994 e 2000, di Cracovia nel 2004 e di Siviglia nel 2010) e in Asia sud, attraverso
i coordinamenti interispettoriali o nazionali. Nel Brasile con queste stesse finalità
i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno costituito una rete delle scuole
salesiane, mediante la quale si promuove la formazione dei professori e l’elaborazione di testi scolastici secondo la pedagogia salesiana.
Questo cammino di rinnovamento esige certamente una più sistematica formazione permanente degli educatori. Oltre allo sforzo delle Ispettorie per garantire
una buona formazione educativa e salesiana con programmi sistematici, si sono
sviluppati in alcune Ispettorie o zone, diversi centri e progetti di formazione educativa e pastorale salesiana dei collaboratori laici, in modo speciale dei professori
delle nostre scuole.
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