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DUEMILA
AMNESTY INTERNATIONAL RAPPORTO 2013
LA SITUAZIONE DEI DIRITTI UMANI NEL MONDO
AFRICA SUBSAHARIANA
ZIMBABWE
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AFRICA SUBSAHARIANA
ZIMBABWE
REPUBBLICA DELLO ZIMBABWE
Capo di stato e di governo: Robert Mugabe
Un clima di sfiducia tra i membri del governo di unità nazionale (Government National
Unity – Gnu) ha continuato a ritardare il varo d’importanti riforme decise con l’accordo
politico globale del 2008 tra il partito del presidente Mugabe, lo Zanu-Pf e il Movimento
per il cambiamento democratico (Movement for Democratic Change – Mdc), l’MdcTsvangirai (Mdc-T) e l’Mdc-Ncube (Mdc-N). Indiscrezioni su possibili elezioni nella seconda metà dell’anno hanno gettato nel panico le zone rurali, colpite dalle violenze appoggiate dallo stato in occasione delle elezioni del 2008. La polizia ha continuato a
reprimere la libertà d’espressione, associazione e riunione per tutto l’anno, con arresti
arbitrari, detenzioni illegali e procedimenti giudiziari con connotazioni politiche.
CONTESTO
Lo Gnu non è riuscito a definire una nuova carta costituzionale, essenziale per il paese
al fine di organizzare elezioni, senza episodi di violenza, nel 2013. A ottobre, si è tenuta
la seconda conferenza delle parti per rivedere una bozza del documento, in cui lo ZanuPf ha cercato di ribaltare alcuni elementi che limiterebbero i poteri dell’esecutivo e rafforzerebbero la dichiarazione dei diritti concordata durante il processo di negoziazione
tra i partiti. La Comunità per lo sviluppo dell’Africa del Sud (Southern Africa Development
Community – Sadc), rappresentata dal presidente sudafricano Jacob Zuma, non è riuscita
a ottenere riforme significative in grado di garantire elezioni senza violenza, malgrado
diverse visite in Zimbabwe da parte del suo gruppo di mediatori.
I commenti di alti esponenti di comando dell’esercito, della polizia e dei servizi d’intelligence sulle loro speranze rispetto ai risultati elettorali hanno alimentato i timori che le
forze di sicurezza, già implicate nella violenza elettorale del 2008, avrebbero ancora una
volta cercato d’influenzare le prossime elezioni a favore dello Zanu-Pf. Il presidente Mugabe e il primo ministro Morgan Tsvangirai si sono espressi apertamente contro la violenza
politica; tuttavia, non sono state adottate misure concrete per porre fine alle attività delle
forze di sicurezza a sostegno di una parte.
Benché il numero degli episodi di violenza politica di massa sia rimasto contenuto, principalmente perché durante l’anno non si sono svolti eventi politici di rilevanza, almeno
300 persone sono rimaste ferite a seguito di atti di tortura o altre violenze di matrice politica.
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RAPPORTO 2013
LIBERTÀ D’ESPRESSIONE, ASSOCIAZIONE E RIUNIONE
Difensori dei diritti umani e attivisti politici, che appartenevano ad altri gruppi rispetto
allo Zanu-Pf, hanno continuato a operare sotto pesanti restrizioni. Nelle zone urbane, i
principali perpetratori erano i poliziotti, che si sono serviti della legge sull’ordine pubblico e la sicurezza per limitare arbitrariamente i diritti alla libertà d’espressione, d’associazione e di pacifica riunione, interrompendo tra l’altro legittimi convegni e attività
dei difensori dei diritti umani e di altri partiti politici. Nelle zone semiurbane e rurali,
attivisti locali dello Zanu-Pf hanno continuato a interrompere impunemente le legittime
attività dei loro oppositori. Lo Zanu-Pf ha anche impiegato alcuni leader tribali per limitare l’accesso alle zone rurali. Sono stati denunciati episodi in cui soldati in abiti
civili hanno aggredito persone che partecipavano ai comizi organizzati dai due partiti
dell’Mdc.
Un funzionario dell’Mdc-T, Cephas Magura, è morto a maggio nel distretto di Mudzi, a seguito degli scontri
verificatisi tra sostenitori dell’Mdc-T e dello Zanu-Pf, nel centro affari di Chimukoko. Secondo le notizie riportate, sostenitori dello Zanu-Pf hanno aggredito persone che stavano partecipando a un incontro dell’Mdc-T, autorizzato dalla polizia. In seguito all’episodio, sette membri dello Zanu-Pf, tra cui un consigliere
di Mudzi, David Chimukoko, sono stati arrestati e incriminati per omicidio e violenza pubblica.
Il 21 settembre, un gruppo di soldati del distretto di Mutoko, nella provincia di Mashonaland Est, ha interrotto un incontro tenuto dal professor Welshman Ncube (dell’Mdc-N, il minore dei due partiti dell’Mdc),
picchiando i suoi sostenitori.
A novembre, nel distretto di Zhombe, della provincia delle Midlands, un altro gruppo di soldati ha attaccato
sostenitori dell’Mdc-T che partecipavano a un meeting nel centro affari di Samambwa. Decine di sostenitori
sono rimasti feriti, compresi due uomini sulla settantina, arrivati all’ospedale di Harare con fratture agli
arti e lesioni interne.
Alcuni dei 29 membri dell’Mdc-T arrestati a maggio 2011, in relazione alla morte del poliziotto Petros Mutedza, a Glen View, hanno trascorso oltre un anno in custodia. Tuttavia, Cynthia Manjoro ha ottenuto la libertà su cauzione a ottobre, dopo che un testimone dello stato aveva affermato che la donna era stata
arrestata e detenuta per incastrare un altro indiziato, suo amico. Anche Solomon Madzore, presidente dell’assemblea giovanile dell’Mdc-T, ha ottenuto la libertà su cauzione il 13 novembre assieme a un altro detenuto, Taruvinga Magaya. Molti ritengono che alcuni indiziati siano stati arrestati unicamente in quanto
noti attivisti dell’Mdc-T di Glen View. A fine anno rimanevano in custodia soltanto Last Maengahama, Tungamirai Madzokere, Rebecca Mafikeni, Yvonne Musarurwa e Simon Mapanzure.
Il 5 novembre, la polizia di Harare ha effettuato un’irruzione negli uffici dell’unità servizi di consulenza
(Counselling Services Unit – Csu), un ambulatorio medico registrato che fornisce servizi alle vittime di
violenza organizzata e di tortura. La polizia all’inizio si è presentata senza un mandato di perquisizione e
ha minacciato di forzare l’ingresso. Dopo diverse ore, gli agenti hanno esibito un mandato per recuperare
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AFRICA SUBSAHARIANA
“materiale offensivo e sovversivo”, che “deturpa qualsiasi casa, edificio, muro, recinto, lampione, cancello
o ascensore” e ha illegalmente sequestrato referti medici riservati di pazienti, un computer e documenti
non rientranti nel mandato. Cinque dipendenti dell’ambulatorio sono stati arbitrariamente arrestati. Due
sono stati rilasciati il giorno stesso ma altri tre, Fidelis Mudimu, Zachariah Godi e Tafadzwa Geza, sono
stati trattenuti illegalmente in custodia di polizia per quattro giorni. Il terzo giorno sono stati illegalmente
trasferiti a più di 400 km di distanza da Bulawayo. I tre uomini sono stati rilasciati su cauzione l’8 novembre, accusati di “aver procurato danni premeditati alla proprietà”, in violazione dell’art. 140 della
legge (di codifica e riforma) del codice penale. Le accuse formulate a carico di Fidelis Mudimu sono state
in seguito archiviate, dopo che era emerso che all’epoca in cui era stato commesso il reato, si trovava
fuori dal paese.
ARRESTI E DETENZIONI ARBITRARI
Per tutto l’anno, la polizia antisommossa ha regolarmente interrotto gli eventi promossi
dagli attivisti dell’organizzazione Women of Zimbabwe Arise (Woza). Molti membri dell’organizzazione sono stati percossi e alcuni feriti. Sono stati registrati almeno 200 arresti
di attivisti di Woza.
Il 19 gennaio, 17 attivisti sono stati arrestati a Bulawayo e condotti alla stazione di polizia di Donnington,
dove alcuni sono stati percossi e maltrattati. Gli attivisti sono stati in seguito trasferiti al commissariato
centrale di Bulawayo, dove sono proseguiti gli abusi, per poi essere rilasciati senza accusa.
Il 12 marzo, il pubblico ministero di Bulawayo ha illegittimamente revocato il provvedimento di cauzione
per le leader di Woza, Jennifer Williams e Magodonga Mahlangu, comparse in tribunale mentre erano in libertà su cauzione per rispondere di accuse pretestuose di rapimento e furto, e le ha rimandate in carcere.
Gli avvocati della difesa avevano chiesto il rinvio del caso a causa delle cattive condizioni di salute di
Jennifer Williams, suffragate da un certificato medico. Tuttavia, il procuratore l’ha accusata di fingere di
essere malata.
La mattina del 27 giugno, il giorno dopo una marcia pacifica, 101 membri di Woza sono stati arrestati a
Bulawayo e detenuti per cinque ore, prima di essere rilasciati senza accusa.
L’art. 33 della legge (di codifica e riforma) del codice penale ha continuato a essere arbitrariamente applicato e attivisti politici e altre persone sono stati incriminati per “minaccia all’autorità od oltraggio al presidente”. Almeno 12 persone sono state arrestate
per imputazioni di questo tipo.
A ottobre, Elton Mangoma, esponente dell’Mdc-T e ministro dello Sviluppo energetico nel Gnu è stato arrestato e incriminato per “minaccia all’autorità od oltraggio al presidente”, in relazione a una dichiarazione
che aveva rilasciato a marzo presso il centro produttivo di Bindura, nella provincia del Mashonaland Centrale.
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RAPPORTO 2013
TORTURA ED ESECUZIONI EXTRAGIUDIZIALI IN CUSTODIA DI POLIZIA
Almeno otto persone sono decedute in custodia di polizia in circostanze tali da far ritenere che siano state torturate o vittime di esecuzioni extragiudiziali.
Il 19 marzo, tre giovani che si trovavano trattenuti in custodia presso la stazione di polizia di Southerton,
ad Harare, sono morti in circostanze molto sospette. Tendai Dzigarwi e Rufaro Mahohoma erano stati arrestati il 18 marzo dalla polizia della sezione furti di veicoli, a Kambuzuma, alla periferia di Harare. Erano
stati arrestati in quanto sospettati del furto di un veicolo a motore. Il terzo uomo, Emmson Ngundu, era
stato arrestato il 19 marzo nel distretto di Zvimba. La polizia ha sostenuto che i tre uomini erano stati
uccisi durante un tentativo di fuga ma una perizia post mortem indipendente, condotta sul corpo di
Tendai Dzigarwi ha concluso che era morto a causa di un colpo d’arma da fuoco alla testa, sparato a
una distanza di 2-3 cm. I resoconti dei testimoni circa le ferite degli altri due uomini portano alla stessa
conclusione.
Il 13 settembre, due giorni dopo il suo rilascio, Harrison Manyati è morto all’ospedale centrale di Harare
per le ferite riportate durante le torture subite in detenzione nella stazione di polizia di Makoni, a Chitungwiza. Harrison Manyati era stato arbitrariamente arrestato e detenuto illegalmente il 7 settembre, dopo
essersi presentato alla stazione di polizia per chiedere informazioni su un suo amico, che era stato arrestato
per effrazione, furto e violazione di domicilio. La polizia lo aveva accusato di essere un complice e detenuto
per quattro giorni senza che fosse formulata una qualche accusa nei suoi confronti o senza farlo comparire
di fronte a un giudice. La polizia ha detto ai familiari che Harrison Manyati non aveva commesso alcun
reato. Quando è stato rilasciato, ha sporto denuncia per aggressione contro gli agenti di polizia. Secondo
un testimone oculare, Manyati era stato torturato durante i primi due giorni della detenzione e quindi trattenuto per due giorni per permettere alle ferite di rimarginarsi. Un referto indipendente post mortem ha
concluso che il decesso di Manyati era stato conseguenza diretta delle torture subite.
Blessing Matanda è stato trovato morto in una cella di polizia nel commissariato di base di Munyati, a
Kwekwe, il 4 ottobre, giorno in cui era stato fermato dagli agenti in circostanze poco chiare. Matanda aveva
raccontato a un parente che lo aveva visitato in cella che gli agenti che lo avevano arrestato avevano minacciato di “sistemarlo”. La polizia ha sostenuto che Matanda si era sparato ma non ha saputo spiegare
in che modo si fosse procurato un’arma. Un patologo indipendente ha messo in dubbio l’ipotesi del suicidio.
SGOMBERI FORZATI
Dopo ben sette anni, decine di migliaia di persone che erano state colpite dagli sgomberi
di massa effettuati nel 2005 nel contesto dell’operazione “Murambatsvina”, vivevano
ancora in insediamenti privi di scuole, assistenza medica, acqua, servizi igienici o strade.
Malgrado le autorità avessero ammesso pubblicamente in particolare la mancanza delle
scuole, non erano stati intrapresi provvedimenti per assicurare che le migliaia di bambini
in questa situazione potessero accedere all’istruzione primaria gratuita.
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AFRICA SUBSAHARIANA
DIRITTI DELLE PERSONE LESBICHE, GAY, BISESSUALI, TRANSGENDER E INTERSESSUATE
Nel paese hanno continuato a essere diffusi atteggiamenti di ostilità nei confronti delle
persone che non rientrano nei generi convenzionalmente riconosciuti e di discriminazione
contro le persone Lgbti. I mezzi d’informazione hanno contribuito ad alimentare i pregiudizi dell’opinione pubblica nei confronti delle persone Lgbti, pubblicando commenti
ostili contro queste persone pronunciati da leader politici, in particolare nel contesto del
dibattito sulla nuova costituzione. Lo Zanu-Pf e l’Mdc-T si sono accusati a vicenda di
“dare rifugio” alle persone Lgbti. La politicizzazione del dibattito sull’opportunità di vietare per legge la discriminazione per motivi legati all’orientamento sessuale o all’identità
di genere ha alimentato le vessazioni e le intimidazioni nei confronti delle persone Lgbti
da parte della polizia.
L’11 agosto, 44 membri dell’organizzazione Gay e lesbiche dello Zimbabwe (Gays and Lesbians of Zimbabwe – Galz) sono stati detenuti per una notte presso il commissariato centrale della polizia di Harare,
dopo che la polizia aveva fatto irruzione negli uffici dell’organizzazione, ad Harare. L’irruzione faceva seguito
a un incontro organizzato dal Galz per discutere la bozza costituzionale dello Zimbabwe e per lanciare un
rapporto sulle violazioni dei diritti umani perpetrate contro i suoi membri. Dolo il loro rilascio, la polizia si
è presentata a casa e sul posto di lavoro di alcuni membri dell’organizzazione, esponendoli al rischio di
svelare il loro orientamento sessuale e di conseguenza a un rischio maggiore di subire discriminazione.
Il 20 agosto, la polizia ha fatto irruzione negli uffici del Galz per una seconda volta e ha sequestrato computer e opuscoli. Il 23 agosto, il Galz è stato formalmente accusato di gestire un’organizzazione “non registrata”, in violazione dell’art. 6 (III) della legge sulle organizzazioni volontarie private. Per la prima volta
in 20 anni, il Galz è stato costretto a chiudere i propri uffici a tempo indeterminato, per timore di ulteriori
irruzioni da parte della polizia.
MISSIONI E RAPPORTI DI AMNESTY INTERNATIONAL
Delegati di Amnesty International hanno visitato lo Zimbabwe ad aprile, agosto e tra settembre e ottobre.
Zimbabwean authorities must stop abusing the law to curtail the work of human rights
activists (AFR 46/001/2012)
Zimbabwe: Brief to SADC on harassment and intimidation of NGO workers by police (AFR
46/016/2012)
Zimbabwe: Members of the public at risk as police crack down on gang suspects
(PRE01/434/2012) 181
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