Rivista di temi di Critica e Letteratura artistica
numero 3 - 20 maggio 2011
Direttore responsabile: Giovanni La Barbera
Direttore scientifico: Simonetta La Barbera
Comitato Scientifico: Claire Barbillon, Franco Bernabei, Silvia Bordini,
Claudia Cieri Via, Rosanna Cioffi, Maria Concetta Di Natale,
Antonio Iacobini, César García Álvarez, Simonetta La Barbera,
Donata Levi, François-René Martin, Emilio J. Morais Vallejo,
Massimiliano Rossi, Gianni Carlo Sciolla, Philippe Sénéchal.
Redazione: Carmelo Bajamonte, Francesco Paolo Campione,
Roberta Cinà, Nicoletta Di Bella, Roberta Priori, Roberta Santoro.
Progetto graf i c o , e d i t i n g e d e l a b o r a z i o n e d e l l e i m m a g i n i :
Nicoletta Di B e l l a e R o b e r t a P r i o r i .
Università degli Studi di Palermo
Facoltà di Lettere e Filosofia
Dipartimento di Studi culturali
Società Italiana di Storia della Critica d’Arte
ISSN: 2038-6133 - DOI: 10.4413/RIVISTA
Copyright © 2010 teCLa – Tribunale di Palermo – Autorizzazione n. 23
del 06-10-2010
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Rivista di temi di Critica e Letteratura artistica
numero 3 - 31 maggio 2011
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4
Simonetta La Barbera
Presentazione
12
Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy
Un grande corrispondente europeo.
Aubin-Louis Millin tra Francia, Germania e Italia
46
Nicoletta Di Bella
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
84
Carmelo Bajamonte
Appunti su uno scritto poco noto di Agostino Gallo
106
Iolanda Di Natale
Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica allo studio della storia
dell’arte siciliana dal tardo antico al barocco
144
Roberta Priori
Vedere attraverso e oltre l’opera d’arte.
Erwin Panofsky e l’educazione estetica in presenza di disabilità visiva
168
Marcella Marrocco
Il museo negli scritti di Giulio Carlo Argan
Rivista di temi di Critica e Letteratura artistica
A
nche questo terzo numero di teCLa offre ai lettori alcuni
interessanti contributi che prendono in esame aspetti particolari
della cultura artistica sia europea che nazionale, ma anche siciliana,
in un arco di tempo compreso tra gli albori dell’Ottocento e la prima
metà del secolo successivo.
I
l primo articolo, Un grande corrispondente europeo. Aubin-Louis Millin tra
Francia, Germania e Italia, proposto in due parti distinte da Monica PretiHamard e da Bénédicte Savoy, prende in esame la figura di Aubin-Louis Millin,
uno dei principali attori della vita intellettuale e delle istituzioni culturali nella
Francia post- rivoluzionaria. Oltre ai ruoli ufficiali che lo impegnarono soprattutto
nella riorganizzazione degli istituti di istruzione pubblica – il Louvre e la Biblioteca
nazionale di Francia – che erano stati arricchiti dalle campagne di confisca delle opere
d’arte e di libri praticate da Napoleone in Italia (1796), fu raffinato intellettuale in contatto
con numerosi studiosi. Le due autrici ricordano l’importanza del viaggio in Italia compiuto dal
settembre 1811 al novembre 1813, durante il quale Millin visitò diverse città della Penisola e le cui
Rivista di temi di Critica e Letteratura artistica
tappe sono solo parzialmente descritte nel Voyage en Savoie, en
Piémont, à Nice et à Génes, edito a Parigi nel 1816, sulla scia dei viaggi
di studio e di ricerca quali quelli di Lanzi, di Cicognara, di Seroux
d’Agincourt e sui quali Gianni Carlo Sciolla ha fornito illuminanti
disamine. Soprattutto, dalle autrici sono analizzati i rapporti che
il francese ebbe con intellettuali in particolare tedeschi ed italiani,
individuando all’interno della sua corrispondenza due importanti carteggi
che contengono gli scambi epistolari con l’archeologo tedesco Karl August
Böttiger e con l’erudito romano Francesco Cancellieri e dalla lettura dei quali
le informazioni fornite consentono di evidenziare i forti rapporti culturali che
caratterizzavano lo spazio europeo del sapere nei primissimi anni del secolo XIX.
Da questa corrispondenza risaltano sia le scelte di gusto dei corrispondenti sia gli
aspetti del collezionismo del periodo, anche “il fissarsi di una storia della disciplina
archeologica e dei suoi metodi, con interessanti riflessioni teoriche che palesano sia i
modelli di erudizione e di circolazione ereditati dal XVIII secolo sia la creazione di strumenti
moderni, democratici, rapidi e istituzionalizzati di diffusione del sapere”.
Rivista di temi di Critica e Letteratura artistica
N
icoletta Di Bella, analizzando gli ­Scritti d’arte di Carmelo
La Farina (1786 - 1852), affronta gli stessi temi in un ambito più
ristretto, ma non per questo meno interessante, quale è spesso
quello della letteratura artistica siciliana, in questo caso messinese
dell’Ottocento. L’articolo prende in esame la figura di Carmelo
La Farina, intelligente conoscitore della cultura locale, indagandone
alcune pubblicazioni, in particolare le ΄lettere artistiche΄ destinate ai più
autorevoli membri della intellighenzia isolana e raccolte, nel 1835, in un
volume intitolato Intorno le Belle Arti, e gli artisti fioriti in varie epoche in Messina –
Ricerche ordinate in più lettere. Egli privilegia in modo innovativo per i suoi tempi,
l’aspetto filologico piuttosto che quello descrittivo, spesso riscrivendo le vicende
più salienti della storia artistica della città del Faro, ritornando nelle Lettere sulle
tradizionali attribuzioni della precedente storiografia locale, correggendone diverse,
facendo anche più volte nuova luce intorno alle notizie biografiche che riguardavano gli
artisti messinesi.
Rivista di temi di Critica e Letteratura artistica
A
nche l’articolo di Carmelo Bajamonte Appunti su uno scritto
poco noto di Agostino Gallo è dedicato ad un conoscitore siciliano,
l’erudito palermitano Agostino Gallo, il cui breve saggio, pubblicato
nel 1863, ha come argomento precipuo le arti decorative siciliane
(argenteria e oreficeria, marmi mischi, maiolica ecc.) e le attività dei
più importanti artisti attivi fra la fine del XVIII e il XIX secolo ai
quali più volte, come attestano le varie Notizie intorno agli artisti siciliani
raccolte e consultabili nei manoscritti da lui redatti e oggi conservati presso
la Biblioteca Regionale di Palermo, dedica particolare attenzione analizzando
anche le cause che avevano favorito il fiorire di questa particolare produzione.
L’intento dichiarato dall’autore, che lo accomuna ai quasi coevi esiti di Giuseppe
Meli e di Gioacchino Di Marzo con i quali la storiografia artistica siciliana inizierà ad
approdare al rango di critica d’arte, è quello “di riabilitare la fortuna critica della scuola
artistica siciliana in un più ampio contesto storiografico e di creare un momento unificante,
all’insegna di un’arte italiana, proprio all’indomani dell’Unità”.
Rivista di temi di Critica e Letteratura artistica
L
I
o scritto di Iolanda Di Natale, Giuseppe Agnello: contributi
sulla stampa periodica allo studio della storia dell’arte siciliana dal tardo
antico al barocco, prende appunto in esame l‘attività di questo storico
dell’archeologia e dell’arte siciliane. Agnello, i cui lavori sulla produzione
artistica paleocristiana e medievale isolana sono stati fondamentale
punto di riferimento per le successive generazioni di studiosi, ha fornito
con le sue numerose e pluritematiche ricerche un interessante proseguo
e approfondimento degli studi di Gioacchino Di Marzo, Paolo Orsi ed
Enrico Mauceri, soprattutto, un significativo contributo alla conoscenza del
sistema artistico sia siracusano sia della Sicilia tutta, con riferimento anche alle arti
decorative e alla produzione artistica del Barocco isolano.
n Vedere attraverso e oltre l’opera d’arte. Erwin Panofsky e l’educazione estetica in presenza di
disabilità visiva, Roberta Priori analizza una particolare applicazione che il metodo iconologico
teorizzato da Erwin Panofsky trova nell’ambito dell’educazione estetica nei casi di disabilità visiva.
Rivista di temi di Critica e Letteratura artistica
La studiosa si sofferma sulle fasi che caratterizzano il metodo didattico
sviluppatosi alla fine degli anni Novanta presso il Museo tattile di
Pittura antica e moderna Anteros dell’Istituto per ciechi Francesco
Cavazza di Bologna. La percezione sensoriale (che corrisponde alla
panofskiana lettura preiconografica), la cognizione (che corrisponde
alla lettura iconografica) e l’interpretazione (che corrisponde alla lettura
iconologica) dell’opera d’arte, nella lettura della Priori si evidenziano come
i tre momenti che possono aiutare i non vedenti e gli ipovedenti per una
più profonda comprensione dei manufatti. L’autrice parte dall’analisi di alcune
opere giovanili e del periodo amburghese di Erwin Panofsky, in cui lo studioso si
confronta con la tradizione critico-metodologica fornitagli dagli studi di Heinrich
Wölfflin e di Alois Riegl ma anche dalle teorie di Aby Warburg e di Ernst Cassirer,
evidenziando come nel percorso che lo porta alla sistematizzazione teorica del metodo
tripartito, sia possibile rintracciare quelle possibilità, che prendendo spunto dal pensiero
panofskiano, si possono indirizzare non soltanto all’educazione estetica dei non vedenti e anche
“all’applicabilità degli aspetti educativo - pedagogici all’interno del complesso dibattito su percezione
e significazione delle forme dotate di valore estetico”.
Rivista di temi di Critica e Letteratura artistica
I
nfine, Marcella Marrocco, nello scritto Il museo negli scritti
di Giulio Carlo Argan, pone degli interrogativi sull’attualità delle
posizioni arganiane osservando che il critico durante tutta la sua
attività, di studioso prima e di politico poi, ha considerato i musei,
analizzati sia in riferimento alla loro struttura, soprattutto alla loro
funzione sociale, quali oggetto di studio e di quella riflessione critica che
lo ha quindi portato ad occuparsi della città intesa quale Gesammtkunstwerk,
come oggetto estetico e come soggetto politico. La Marrocco ripercorre il
percorso critico di Argan che partendo dalla lettura di Read e Dewey ed avendo
i fondamenti metodologici nel pensiero dei suoi maestri, Venturi e Panofsky, nel
definire la sua imago urbis assegna un ruolo centrale proprio ai musei che come luogo
di incontro tra istanze storiche e istanze estetiche si pongono come spazio didattico
privilegiato per l’educazione del cittadino.
Con quella che la studiosa definisce ‘lucida previsione’, Argan anticipa i concetti di museiscuola e anche di una nuova scena urbana, di una nuova piazza che non è solamente luogo di incontro
Rivista di temi di Critica e Letteratura artistica
e di scambio culturale, ma anche metafora dei valori della società.
In questa lucida previsione di quelli che sono oggi i nuovi modelli
museali, “dalla critica del museo-logo, del museo-archiscultura
all’apprezzamento di quei musei capaci di porsi come nuova
«direttrice urbana», la Marrocco individua nelle posizioni arganiane
spunti di riflessione ancora validi per il dibattito contemporaneo.
Ancora una volta concludo questo breve editoriale con un
ringraziamento ai colleghi che in qualità di componenti del comitato
scientifico e di attenti e generosi revisori hanno contribuito con le loro
osservazioni e suggerimenti, alla possibilità di offrire ai lettori un materiale che
spero risulti di interessante ed utile lettura.
Simonetta La Barbera
Un grande corrispondente
europeo. Aubin-Louis Millin
tra Francia, Germania e Italia
di Monica Preti-Hamard e Bénédicte Savoy
Nell’ambito di un convegno dedicato alle dinamiche degli scambi
artistici in Europa e ai loro attori, ci è parso interessante interessarci
alla sua attività di corrispondente tra la Francia, l’Italia e il mondo
tedesco. Una ricerca ovviamente parziale, che acquista senso solo
se viene messa in rapporto con altre ricerche, in particolare coi
lavori pionieristici realizzati da Cecilia Hurley durante gli scorsi
anni2.
C
hiunque si interessi alle scienze e alle arti nella Parigi del
periodo rivoluzionario e napoleonico ha incontrato il suo nome.
Aubin-Louis Millin (1759-1818) è uno dei principali attori della
vita intellettuale e delle istituzioni culturali francesi intorno al 1800.
Contemporaneamente soprintendente del Gabinetto delle Medaglie
e Antichità a Parigi, tessitore di reti di contatti, perno di un vasto
sistema di informazioni letterarie, redattore del famoso “Magasin
encyclopédique”, uno dei più efficaci strumenti di diffusione delle
novità scientifiche europee in Francia, Millin è senz’altro una delle
personalità che meglio incarnano i tre imperativi della République des
lettres: propagazione, emulazione, scambio1.
Per analizzare il ruolo d’intermediario di Millin, la sua
corrispondenza offre un ricco campo di ricerca. Essa permette di
seguirlo da vicino: dinamiche transfrontaliere un po’ evanescenti;
canali di diffusione internazionali; la costruzione di un sapere e di
un discorso omogeneo su obiettivi scientifici comuni (monumenti
antichi, monete e medaglie, testimonianze architettoniche, ecc.).
Nelle pagine seguenti ci proponiamo di delineare una cartografia
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
12
numero 3 - maggio 2011
sommaria della rete epistolare di Millin nello spazio germanico e
in Italia, insistendo soprattutto sul carattere complementare della
sua attività di corrispondente e quella di viaggiatore. Tenteremo
poi di individuare, alla luce di due precisi scambi epistolari, le
funzioni della corrispondenza, la natura delle informazioni e degli
oggetti scambiati, l’impatto di questi scambi sull’elaborazione di
un sapere comune. Cercheremo infine di valutare, in termini di
transferts culturali, quali effetti triangolari abbia comportato il
doppio dialogo tra Millin e le comunità dotte italiane e tedesche.
In ultima analisi, si tratta di contribuire ad una migliore conoscenza
delle interrelazioni forti che caratterizzavano lo spazio europeo
del sapere sotto l’Impero.
Millin descrive così le sue attività in una lettera del 9 gennaio 1812
scritta da Roma. Attività certo diverse da quelle che svolge di solito a
Parigi, ma tuttavia caratterizzate, come quelle, dalla preoccupazione
costante di accumulare conoscenze e documenti sul patrimonio
artistico messo alla sua portata; di curare le sue reti sociali e le
amicizie professionali; ma anche, e soprattutto, di alimentare la sua
vasta corrispondenza. Una corrispondenza di cui i ventotto volumi
che la racchiudono al dipartimento dei manoscritti della Bibliothèque
nationale de France ci suggeriscono l’ampiezza (tanto più che questi
volumi presentano non poche lacune). Questi ventotto volumi
contengono soprattutto le lettere ricevute da Millin. Gli autori sono
dotti francesi, ma anche più di trecento eruditi europei rappresentati
da almeno una lettera. In generale tuttavia essi sono presenti
con diverse lettere, il cui insieme conta talvolta diverse centinaia
di pagine. Tra i corrispondenti europei si annoverano almeno
novantacinque autori germanofoni, distribuiti in tutta l’Europa
centrale, da Amburgo a Trieste e da Strasburgo a San Pietroburgo.
Ma vi figurano anche tedeschi di Parigi o di Roma. Sono presenti
inoltre quasi centocinquanta italiani, alcuni inglesi, degli scandinavi,
degli olandesi e qualche spagnolo. La maggior parte delle lettere
ricevute di Millin è in francese, anche se l’erudito parigino insiste
molto sulla propria capacità di leggere il tedesco e l’italiano.
La rete di corrispondenti europei di Millin. Millin e lo spazio
germanofono
Bénédicte Savoy
J’ai bien peu de momens libres, il faut voir le monde et le recevoir,
courir les monumens quand il fait beau, visiter les cabinets et les
artistes lorsque le tems est – comme depuis 8 jours – detestable,
rediger mes notes et entretenir ma correspondance avec le ministre,
mon administration, mes parens, mes amis, et les redacteurs
subrogés du magasin3.
Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy
Un grande corrispondente europeo. Aubin--louis millin...
13
numero 3 - maggio 2011
Il suo plurilinguismo ha talvolta un tono militante. Esso
gli conferisce una fama internazionale di poliglotta, come
testimoniano queste parole, scritte nel 1813 dallo spagnolo Juan
Andrés, napoletano d’adozione:
di strumenti moderni, democratici, rapidi e istituzionalizzati di
diffusione del sapere. In effetti, tra i corrispondenti tedeschi di
Millin si annoverano tanto dei rappresentanti della pura tradizione
filologica universitaria tedesca quanto dei conservatori di biblioteche
più o meno pubbliche, dei pedagoghi, ma anche e soprattutto dei
librai e degli esponenti del giornalismo. Anche se Millin non ha mai
viaggiato in Germania, era considerato dalla comunità scientifica
d’oltre Reno come un alleato estremamente importante. È spesso
lui che si sforzava di contattare per ottenere informazioni affidabili
sulla vita culturale parigina. È a lui che venivano spesso raccomandati
i giovani da introdurre in società. Questo status privilegiato, questa
visibilità particolare di Millin non è un fenomeno esclusivamente
franco-tedesco. Ne si ritrovano le forme, forse un po’ attenuate, nel
contesto franco-italiano. Millin, che non era mai andato in Germania,
viaggiò a lungo in Italia. La sua corrispondenza italiana, intensa e
diversificata, ci testimonia l’importanza che rivestirono i suoi viaggi.
Vi scrivo in italiano […]. Potrei scrivervi anche in ispagnolo,
tutte due lingue a voi egualmente note che la francese, come
pure il tedesco e l’inglese, […] che formano la vostra poliglottia4.
Un poliglottismo limitato certo a conoscenze soprattutto passive,
ma che è una delle armi principali di Millin nel paesaggio intellettuale
francese. Ama infatti sottolineare sistematicamente, nelle lettere ad
alcuni corrispondenti tedeschi:
Votre langue ne m’est point etrangere et comment sans sa
connaissance suivre les travaux philologiques, malheureusement
la plupart de nos litterateurs et de nos savants l’ignorent, c’est ce
qui fait que nous sommes si peu au courant de ce qui se passe hors
de notre republique5.
Millin e l’Italia, Millin in Italia
Monica Preti-Hamard
Essere al corrente e mettere al corrente, ecco cosa interessa Millin.
La specificità (e l’interesse particolare) del suo modus operandi va
senz’altro ricercata nella sintesi che egli propone tra modelli di
erudizione e di circolazione ereditati dal XVIII secolo e la creazione
«J’avois toujours désiré de faire le voyage d’Italie. Mes regards
se tournoient sans cesse vers cette terre classique […]» scrive
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
Aubin-Louis Millin in aprtura del suo
Voyage en Savoie, en Piémont, à Nice et à
Gênes6. È in Italia che Aubin-Louis Millin,
all’età di cinquantadue anni, compì
il suo unico viaggio fuori di Francia.
Vi consacrò due anni, dal settembre
1811 al novembre 1813, durante i quali
egli visitò una gran parte della Penisola.
Questo viaggio, tanto desiderato e
lungamente preparato, rappresentava il
coronamento della sua carriera di savant
e di responsabile di istituzioni culturali:
«J’aurai un plaisir infini à vous voir en
Italie assurer par la vue des objets et des
lieux les connaissances que vous avez
déjà su acquérir si loin de ce beau Pays
[…]», gli scriveva Seroux d’Agincourt
che, sin dal 1809, lo aspettava a Roma7.
Gli obiettivi di Millin erano, da una parte,
quello di verificare ed approfondire le sue
conoscenze, dall’altra, quello di riunire
un materiale documentario (soprattutto
Gioacchino Camilli, Tombeau du cardinal
Roverella à Saint Clément (Giovanni Dalmata e aiuti, Monumento funebre del cardinale Bartolomeo Roverella, 1477), Paris, BnF .
Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy
libri e stampe) destinato ad arricchire le
collezioni della Bibliothèque nationale ed
anche le proprie.
In Italia egli fece inoltre realizzare, da
artisti impiegati sul posto, diverse migliaia
di disegni principalmente di «monuments
inédits», ma anche di siti, paesaggi e costumi
locali. Questo ricco materiale doveva
servirgli da base per future pubblicazioni
e per l’insegnamento dell’archeologia che
da numerosi anni impartiva al Cabinet
des Médailles e la cui principale novità
era proprio l’analisi diretta delle opere
(originali o riproduzioni)8.
Millin avrebbe voluto pubblicare il
resoconto completo del suo viaggio
d’Italia, accompagnato da illustrazioni.
Un progetto ambizioso che occupò gli
ultimi anni della sua vita: «C’est pour moi
un sujet de recherches et d’études, et de
correspondance continuelle» – scriveva al
collega ed amico Karl August Böttiger da
Un grande corrispondente europeo. Aubin--louis millin...
15
numero 3 - maggio 2011
F
Parigi il 26 aprile 18149; progetto che tuttavia rimase incompiuto.
Furono pubblicati solo alcuni libri su argomenti specifici, qualche
articolo nel “Magasin encyclopédique” e i quattro primi volumi
del Voyage, riguardanti il Nord dell’Italia e senza illustrazioni10.
Nonostante l’importanza di questo viaggio, non esiste ancora
alcuno studio approfondito sull’argomento. Disponiamo peraltro
di fonti eccezionali che sono tuttavia sparse e difficilmente
utilizzabili separatamente: esse si trovano per la maggior parte alla
Bibliothèque nationale de France, ma sono disseminate nei suoi
diversi dipartimenti11.
L’analisi incrociata delle diverse fonti, che ho intrapreso, consente
di studiare questo importante viaggio che, come si intuisce,
offre innumerevoli possibilità e assi di ricerca: storia del viaggio,
“transferts culturels”, storia del collezionismo, storia della disciplina
archeologica e dei suoi metodi, ecc. Inoltre la ricostruzione del corpus
di disegni fatti eseguire da Millin in Italia e la loro identificazione
potrà offrire una testimonianza straordinaria di monumenti e siti
alcuni dei quali hanno subito modificazioni o sono oggi scomparsi.
Mi limiterò qui ad evidenziare due aspetti: le motivazioni e
gli interessi che mossero Millin ad intraprendere il viaggio in
Italia; l’organizzazione di quello che definirei un “bureau de
correspondance itinérant”.
in dall’inizio Millin giustifica il suo viaggio come
un’iniziativa di interesse generale in una lettera inviata,
appena partito, ad un collega membro dell’Istituto e subito
pubblicata nel “Magasin encyclopédique”12. Egli vi afferma
che l’Italia, ambita meta di tutti i viaggiatori del passato,
non è più la stessa – «Tout a été changé» –; si propone
dunque di essere l’“osservatore” di tali mutamenti e ne vuole
rendere conto al pubblico con una nuova descrizione13.
Il campo di interessi e la rete di persone incontrate durante il
suo viaggio sono vastissimi. Nello spirito dell’universalismo
enciclopedico, le sue ‘curiosità’ spaziano dall’arte antica e moderna
ai fenomeni naturali, dalla lingua alla religione, dalle istituzioni agli
usi e costumi. Ma soprattutto Millin va alla ricerca di «monuments
inédits», ossia di reperti antichi che ancora non erano stati studiati
né resi pubblici attraverso l’incisione o, qualora lo fossero stati,
erano copiati male e quindi conosciuti in maniera parziale o erronea.
Attraverso nuove riproduzioni e descrizioni, basate sull’esperienza
diretta, egli desidera diffonderne la conoscenza ‘esatta’.
Gli orizzonti cronologici dell’antico sono per Millin vasti,
coprendo, oltre all’antichità greca e romana, anche le antichità
cristiane e il Medioevo. Egli si interessa inoltre alle testimonianze
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
della storia francese in Italia come per esempio, nel Sud, i
monumenti normanni e angioni. La stessa larghezza di vedute
riguarda il tipo di opere studiate: Millin non si interessa solo ai
“capolavori” dell’arte monumentale, ma a tutte le espressioni
artistiche (codici, iscrizioni, medaglie, vasi o suppellettili) che possa
aiutare alla comprensione della “cultura figurativa” di un’epoca.
Egli rivela in questo modo una concezione etno-antropologica
dell’Antichità e del Medioevo come scoperta globale di
una civiltà, di cui occorre ricostruire tutti i tasselli con ogni
testimonianza possibile. Questo approccio dell’Antichità e del
Medioevo era del resto in sintonia con le ricerche più avanzate
della Roma della fine del XVIII secolo, di quel circolo cosmopolita
di collezionisti e studiosi quali Seroux d’Agincourt, Lanzi,
Borgia, Zelada e Zoega, al quale Millin apparteneva idealmente.
Gli obiettivi di Millin in Italia trovano anche consonanze
profonde con il programma “antropologico” della Société des
Observateurs de l’homme di cui fu membro. Animata dall’“idéologue”
di Louis-François Jauffret, questa Société, benché effimera
(1799-1804), ebbe un ruolo importante nella transizione dei
saperi che caratterizza il passaggio tra Sette e Ottocento.
Essa è legata alla nascita di una moderna pratica epistemologica
sulle questioni riguardanti l’uomo, considerato nei suoi
aspetti fisici, morali e intellettuali all’interno delle varie civiltà.
Una pratica basata sull’osservazione empirica e sperimentale, sui
viaggi, sullo scambio interdisciplinare nonché sulla divulgazione
attraverso l’insegnamento e la pubblicazione14.
S
ono questi le motivazioni e gli interessi che mossero Millin
in Italia e che determinarono il suo itinerario15. Millin seguì un
percorso quanto più completo possibile percorrendo la Penisola
dal Nord al Sud.
Arrivato in Italia attraverso il Moncenisio, egli visita Torino e
il Piemonte e si dirige poi direttamente a Roma. Nella capitale
pontificia si trattiene per due lunghi soggiorni (dal 30 novembre
1811 a metà marzo dell’anno successivo, poi dal 29 aprile al 14
giugno 1814). Nel frattempo, trascorre più di un anno nel Regno
di Napoli che visita sistematicamente. Non si limita a Napoli,
ma percorre anche la Calabria, il Molise, gli Abruzzi e le Puglie.
La disfatta dell’esercito francese in Russia lo induce a prendere
la via del ritorno, visitando di passaggio la Toscana, Venezia e la
Lombardia con un breve soggiorno a Milano. In tutto, egli visitò
oltre duecento tra città e località minori.
Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy
Un grande corrispondente europeo. Aubin--louis millin...
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numero 3 - maggio 2011
Si tratta di un viaggio minuziosamente preparato ed organizzato.
Millin, che parte accompagnato da un segretario, l’alsaziano Jacques
Ostermann, ha accumulato un bagaglio di conoscenze, di libri e di
documenti; dispone inoltre dell’appoggio politico ed istituzionale
nonché di una vasta rete di relazioni:
Un viaggio di studio e di ricerca, dunque, ed in questo si avvicina più ai
viaggi di un Lanzi17, di un Cicognara o di un Seroux d’Agincourt che
ai viaggi pittoreschi di tradizione settecentesca: tuttavia egli non ha
l’ambizione di tracciare una storia dell’arte panoramica ed esaustiva.
Uomo di comunicazione e grande divulgatore, desiderava
rendere pubbliche le sue scoperte, comunicarle alla comunità
internazionale dei conoscitori per permettere lo scambio di idee e
di informazioni e, in questo modo, di far progredire la conoscenza.
La velocità e la vastità di trasmissione erano inoltre per lui
essenziali al fine di evitare che gli studiosi avanzassero su false
piste, ritardando così il progresso comune.
Dal regesto della posta inviata che teneva regolarmente
aggiornato, si constata che, nonostante gli incessanti spostamenti,
egli inviava in media fino a cinquanta lettere per settimana.
Bisogna pensare che percorreva territori allora tutti
sotto il controllo diretto o indiretto della Francia e che
poteva quindi beneficiare di una rete postale centralizzata.
Gli italiani e gli stranieri residenti in Italia indirizzavano le
loro lettere nelle città sedi delle direzioni delle poste più vicine
al luogo dove egli si trovava; Millin pertanto comunicava
regolarmente a tutti i suoi spostamenti: il suo viaggio è pubblico.
La posta in provenienza dai diversi paesi d’Europa, invece,
[…] je vais donc voir ce beau pays et y passer un assez longtems
car je ne veux pas le parcourir rapidement, j’y ai une foule de
relations de nationaux de françois et d’etrangers, un coffre rempli
de tous les voyages un peu interessant derrière ma voiture16.
Grazie ai suoi contatti internazionali e alla sua conoscenza
delle lingue, egli può infatti procurarsi e leggere un grandissimo
numero di libri di viaggiatori che siano francesi, inglesi,
tedeschi o danesi. Ricorre anche alle diverse guide locali e
alla letteratura specializzata. Durante il viaggio, egli continua
inoltre a tenersi informato dell’attualità della ricerca facendosi
inviare da tutta Europa gli articoli di giornali riguardanti l’Italia.
Il suo fine è di verificare e di completare le informazioni a sua
disposizione, ciò che spiega le metodicità del suo viaggio e il fatto
che scelga di perlustrare le regioni d’Italia meno note, come la
Calabria, il Molise, gli Abruzzi o le Puglie, visitando anche territori
quasi sconosciuti.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
Forme
continuava ad essere inviata a Parigi da dove gli era spedita, senza
spesa, ovunque si trovasse. Un’organizzazione che egli stesso
aveva perfettamente messa a punto prima di partire. Così scriveva
all’amico e collega Karl August Böttiger a Dresda, dieci giorni
prima della partenza:
e funzioni della corrispondenza di
Millin:
due esempi
Le lettere di Aubin-Louis Millin a Karl August Böttiger
Bénédicte Savoy
Come abbiamo detto, la corrispondenza tra Millin e Böttiger
costituisce solo un sott’insieme in seno all’ampia serie di lettere
“tedesche” ricevute o spedite dall’erudito parigino; ed acquisisce un
pieno senso solo in rapporto ad altri tipi di fonti (le pubblicazioni
scientifiche degli autori, i cataloghi delle loro biblioteche, i rendiconto
delle loro opere, i resoconti di viaggio che li menzionano). Essa
permette tuttavia di studiare la natura dei rapporti che univano Millin
ai rappresentanti tedeschi della sua disciplina, intesa in senso largo.
Da questo punto di vista, questa corrispondenza illumina in
particolare il modo in cui venne creato e si fece oggetto di cure
un asse transnazionale, strategico, del sapere e della sua diffusione
pubblica (in particolare nel campo dell’archeologia), asse che le
successive costruzioni storiografiche hanno spesso sminuito o affatto
dimenticato. Infine, in un’epoca in cui le diverse specializzazioni
universitarie e scientifiche si stanno differenziando, questa
corrispondenza permette di cogliere la percezione rispettiva che i
suoi autori avevano del loro ambiente scientifico che lo circondava19.
Il faut mon cher ami m’ecrire comme si j’etois a Paris, et m’adresser
de meme ce que vous auriez a m’envoyer. On gardera les livres,
gravures & jusqu’a mon retour et les lettres me seront expediées
sans frais partout ou je serai […] je voulois emporter votre livre
sur l’acheologie de la peinture mais il n’est pas encore arrivé ;
j’ai dit de me l’adresser sous bande, car je desire bien le lire et en
faire l’application aux monumens que je pourrai observer dans
mon voyage. On m’adressera de meme dans mon absence les
ouvrages qu’on aura mis chez moi et dont j’aurai trouve le titre
interessant afin que je puisse me tenir au courant j’ai pour cela
le timbre de la direction des postes, ainsi il ne m’en coutera rien.
Vous voyez que nous pouvons entretenir nos liaisons comme a
Paris18.
L’attività di corrispondente è per Millin essenziale e non può
tollerare alcuna interruzione. Due importanti carteggi, quello
con l’archeologo tedesco Böttiger e quello con l’erudito romano
Francesco Cancellieri sono rappresentativi delle diverse funzioni di
questa forma di scambio.
Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy
Un grande corrispondente europeo. Aubin--louis millin...
19
numero 3 - maggio 2011
Il “Magasin encyclopédique” è al centro dello scambio epistolare
che ci interessa; il “Neuer Teutscher Merkur”, il “Journal des
Luxus und der Moden”, la rivista “London und Paris” e, più
tardi, il “Morgenblatt für gebildete Stände”, queste gazzette nelle
quali Böttiger è a diverso titolo coinvolto, vi sono costantemente
evocate. Ultimo punto comune: due secoli dopo la loro morte,
Millin e Böttiger appaiono oggi come attori secondari, schiacciati
retrospettivamente dal peso di personalità che hanno potuto
frequentare, come Dominique-Vivant Denon o Ennio Quirino
Visconti per l’uno, Goethe, Wieland o Herder per l’altro.
Millin è già conosciuto e riconosciuto in Germania quando
Böttiger lo accosta nel febbraio 1797. Fatto significativo, egli viene
individuato in primo luogo come professionista della diffusione, e
il suo nome si trova associato subito a quello del suo giornale.
Chi era Böttiger? In un articolo pubblicato nel 2001, Claude Rétat
ricorda che Millin fu considerato dai suoi contemporanei come il
“Monsieur Archéologie” del momento, «operaio, rappresentante
e quasi apostolo dell’archeologia»20. Con una piccola forzatura
potremmo utilizzare le stesse qualifiche per l’archeologo tedesco
Böttiger – archeologo, ma anche uomo di stampa e di rapporti
come Millin –. La simmetria dei loro percorsi, del resto, non si limita
a questo: Millin nasce nel luglio 1759, Böttiger nel giugno 1760.
Studi di filologia moderna per il primo, classica per il secondo.
Seguace l’uno di una filantropia educativa (Millin), professionista
della pedagogia l’altro (fu direttore del collegio di Weimar), essi
insegnano entrambi la loro scienza ad un pubblico di cultori
non specialisti – Millin d’estate (per mancanza di riscaldamento),
Böttiger d’inverno –. Tutti e due sono attivi massoni21.
L’uno e l’altro riuniscono vaste biblioteche private, che aprono generosamente al pubblico interessato nelle loro rispettive città. E tutti e
due occupano, l’uno in Francia, l’altro in Germania, una posizione
chiave nel paesaggio del giornalismo dotto. Propagazione, emulazione, scambio: consci della necessità che hanno le scienze, le lettere
e le arti, di mantenere i «mezzi di corrispondenza e comunicazione
che son loro tanto necessari»22, Millin e Böttiger utilizzano i
giornali come gli strumenti privilegiati della loro azione scientifica.
C’est surtout le nouveau Magasin encyclopédique rédigé par vous,
lui écrit Böttiger, qui m’a fait admirer l’étendue de vos connaissances
et le rare talent de les rendre publiques en différentes voies23.
Ampiezza delle conoscenze e talento nel renderle pubbliche: in
termini di strategia editoriale, legarsi a Millin, alle sue connessioni
e al suo giornale avrebbe offerto a Böttiger una pubblicità inedita
sulla scena europea, e gli avrebbe allo stesso tempo permesso di
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
20
numero 3 - maggio 2011
ottenere informazioni di prima mano sulla vita scientifica francese
e, più in generale, sugli argomenti alla moda che, in un contesto
non adeguatamente rappresentate nel “Magasin encyclopédique”:
«Pardonnez, Monsieur, la franchise avec laquelle je vous parle, c’est
justement la littérature allemande qui me paraît être bien défectueuse
dans le journal. Elle n’y entre presque pas»25.
Al di là di questo incipit, tutto sommato classico, anche se costituisce
un’eccezione nel campo franco-tedesco, si rimane colpiti dal
fatto che Millin prenda l’iniziativa di dare subito allo scambio un
carattere di autentico dialogo scientifico: tra il 1797 e il 1817, la
corrispondenza presenta il tessuto di un sapere condiviso che, in
questi primi anni del XIX secolo, è all’origine di pubblicazioni quasi
simultanee, in Francia e in Germania, su argomenti molto vicini.
Si è discusso in altra sede della forte compenetrazione scientifica e
metodologica dei procedimenti di Millin e Böttiger26. È importante
sottolineare come al centro delle preoccupazioni del tedesco e del
francese ci sia l’Italia. L’Italia e le sue ricchezze archeologiche; l’Italia
e le sue collezioni di opere d’arte; l’Italia e il progresso scientifico di
cui essa è ancora capace. In questo modo, dietro Millin e Böttiger,
due comunità scientifiche si sforzano, sotto l’Impero, di elaborare
un sapere e un linguaggio comune su oggetti che fanno parte di ciò
che l’epoca considera come il patrimonio dell’umanità.
In modo significativo, è in genere nel campo tedesco che il francese
Millin va a procurarsi le informazioni e gli strumenti concettuali
di estrema concorrenza editoriale, permettono ai giornali tedeschi
di vender bene. In effetti, in quegli anni, in cui la geografia
culturale dell’Europa si riorganizza a vantaggio di Parigi, una delle
preoccupazioni dei circoli illuminati tedeschi è quella di accedere
ad un’informazione affidabile di provenienza francese.
Böttiger è dunque alla ricerca d’informazioni sicure sull’effervescente
vita letteraria e teatrale parigina, ma anche e soprattutto sulla
riorganizzazione degli istituti di istruzione pubblica – Louvre e
Bibliothèque nationale de France – che erano stati da poco arricchiti
dalle campagne di confisca delle opere d’arte e di libri praticate
in Italia (1796). Böttiger lo scrive in modo palese a Millin: «J’ai
beaucoup de questions à vous faire sur le Muséum dont vous êtes
le conservateur», prima di suggerire che questo rapporto potrebbe
essere anche l’occasione di ottimizzare a distanza, imitando o
mutuando le pratiche di Millin, alcune delle proprie competenze
pedagogico-scientifiche: «[J’ai beaucoup de questions à vous
faire] sur le plan de vos cours en archéologie, sur laquelle je vais
publier moi-même»24. Come controparte, Böttiger offre al suo
corrispondente di mandargli traduzioni, informazioni regolari sulle
novità archeologiche, filologiche e letterarie tedesche, che considera
Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy
Un grande corrispondente europeo. Aubin--louis millin...
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numero 3 - maggio 2011
che gli permettono di cogliere le novità archeologiche o bibliografiche Per diversi mesi, e in modo regolare, Millin informa il suo
dell’Italia. Valga a testimonianza, tra numerosissimi altri esempi, corrispondente dell’arrivo e della ripartizione degli oggetti confiscati,
questa annotazione sulla scoperta dei «manoscritti di Ercolano»:
ma anche delle grandi collezioni private inglesi e francesi formatesi
in Italia, quella dei vasi etruschi di Thomas Hope (1796-1831),
Nous possedons a l’institut six manuscrits d’Herculanum dont nous
quella di Edmé-Antoine Durand (1768-1835) o quella di Joséphine
sommes tres embarrassés ce seroit le cas d’y appliquer la méthode du
Bonaparte, per esempio. La maggior parte di queste informazioni
cher Sickler, il faudroit la connoitre27.
vengono pubblicate da Böttiger, ed alimentano tanto i suoi lavori
scientifici che i suoi giornali. Intorno al 1800, il polo germanofilo e
In senso inverso, Millin propone molto concretamente il suo aiuto
germanofono della Bibliothèque nationale, intorno a Millin, svolge
per l’elaborazione di opere tedesche su alcune questioni italiane, come
quindi un ruolo importantissimo nella diffusione internazionale di
lo suggeriscono queste frasi, tratte da una lettera a Böttiger:
informazioni sul patrimonio archeologico europeo.
J’ai reçu l’ouvrage de M. Reichard, dites Lui que je pourrai Lui fournir
des notes pour son Itinéraire d’Italie28. Je Lui conseille beaucoup de
reduire ainsi son grand ouvrage29 en différentes parties parce qu’il
pourra toujours perfectionner successivement l’une ou l’autre à
mésure que l’édition s’épuisera, et il pourrait aussi mettre à part ses
conseil généraux sous le titre Guide des voyageurs30.
La corrispondenza di Aubin-Louis Millin e Francesco
Cancellieri
Monica Preti-Hamard
Francesco Cancellieri32 – considerato al suo tempo da Giulio
È vero che, visto dalla Germania, e nel contesto del trasferimento Perticari «principe dei viventi eruditi nelle cose italiane»33 – non è
a Parigi di migliaia di opere d’arte confiscate in Italia, Millin occupa tra i più illustri corrispondenti di Millin, ma l’importante carteggio
una posizione privilegiata. Quando Böttiger lo sollecita nel febbraio conservato, che si estende per oltre un decennio, offre numerosi
1797, il trasferimento massiccio di questo patrimonio artistico spunti per lo studio della vita culturale ed artistica a Parigi e a Roma
italiano domina l’attenzione degli ambienti illuminati tedeschi31. nei primi decenni dell’Ottocento; esso fornisce inoltre importanti
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
Giovanni Antonio Baruffaldi (dis.),
Filippo
Cenci,
Francesco
Cancellieri
romano, 1819, in Catalogo di tutte le produzioni
letterarie edite ed inedite della Ch. Me. dell’abate
Francesco Girolamo Cancellieri, coll’elenco dei
manoscritti lasciati ai suoi eredi, Roma, Dalla
Tipografia Ferretti, 1846.
informazioni sul viaggio
in Italia del Francese
e sulla sua attività
di corrispondente e
d’intermediario.
Conviene prima soffermarci brevemente
sulla personalità di
Cancellieri.
Nato a Roma nel 1751
e formatosi presso le
scuole gesuitiche del
Collegio Romano, anche
dopo la soppressione
della Compagnia di
Gesù (1773), continuò
ad essere sostenuto
dall’influente “partito
gesuitico” che ne
facilitò la carriera e
ne determinò orientamenti ed interessi
culturali. Il lungo pontificato di Pio VI, segnato da numerose iniziative
intese alla celebrazione trionfalistica della Roma archeologica e di
quella pontificia, fornì a Cancellieri le occasioni e le grandi linee
della sua abbondante attività letteraria. I suoi interessi principali – la
storia della liturgia cattolica e dei riti romani, e la topografia sacra
della città di Roma – si manifestano nelle sue opere maggiori, quali
il trattato De secretariis basilicae Vaticanae (1786) o la Storia de’ solenni
possessi de’ Sommi Pontefici (1802), vere summae di sapere antiquario,
ed in un gran numero di scritti minori dedicati ad aspetti particolari
della liturgia sacra o a singoli monumenti; questi ultimi destinati,
nell’intenzione dello stesso autore, non soltanto agli studiosi,
ma anche ad un pubblico più largo di turisti italiani e stranieri.
Si intravedono già qui le qualità che dovettero fare di Cancellieri
un interlocutore privilegiato per Millin: la sua conoscenza
approfondita delle fonti per la storia della Roma classica e
cristiana, la sua rigorosa tecnica di raccolta e di pubblicazione
dei documenti, nonché la sua vocazione di colto divulgatore.
Proprio grazie alle sue pubblicazioni Cancellieri si
affermò come figura di prestigio nella Roma del tempo.
Nominato soprintendente della Stamperia vaticana nel 1802,
mantenne la carica anche dopo l’occupazione francese e sotto
la Restaurazione fino alla morte nel 1826, ma il suo ruolo fu
Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy
Un grande corrispondente europeo. Aubin--louis millin...
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numero 3 - maggio 2011
gli estratti tradotti in francese e i resoconti dei suoi libri, che in
molti casi redige egli stesso35. Così nella prima lettera conservata a
Cancellieri, scritta da Parigi il 16 agosto 1806, egli argomenta:
sempre più marginale, rimanendo sostanzialmente legato ad una
cultura attardata, erudita e classificatoria.
È all’apice della sua carriera e nel fasto della Parigi imperiale al
momento dell’incoronazione di Napoleone, che Cancellieri, giunto
nel 1804 al seguito della spedizione pontificia, incontra Millin.
Un incontro che, sostenuto da interessi ed amicizie comuni, evolverà
in una relazione duratura, documentata da un’ampia corrispondenza
inedita, oggi conservata in parte alla Bibliothèque nationale de France
ed in parte alla British Library di Londra34. Benché lacunoso, questo
carteggio, composto di oltre duecentocinquanta lettere, copre gli
anni dal 1806 al 1818. La corrispondenza più abbondante riguarda
gli anni dal 1812 al 1818 per ragioni che vedremo. Due funzioni
principali motivano questa epistolario bilingue (Millin scrive in
francese, Cancellieri in italiano): lo scambio di informazioni e di
materiale bibliografico; l’organizzazione e la raccolta di documenti
iconografici sull’Italia.
Ce sera par ces extraits successifs que je ferai connaître parmi
nous vos utiles travaux qui n’ont encore obtenu en France toute la
celebrité qu’ils meritent car c’est en repetant plusieurs fois a nos
francois les noms des savans etrangers qu’on les leur fait connaître.
M. Visconti avant son arrivée n’etait gueres connu chez nous que
par les frequentes notices que j’ai données de ses ouvrages et
dans mon journal et dans mes cours sur les antiquités, il en est
de même du celebre Bottiger qui est sans contredit un des plus
habiles philologues. Comme il n’a ecrit qu’en allemand son nom
ne serait pas connu si je n’avais pas donné souvent des notices sur
ses ecrits. C’est le seul merite que j’aie aupres des gens de lettres et
*** qui m’a valu la bienveillance de plusieurs. Je serai tres heureux
de pouvoir obtenir toujours la votre et la continuation de votre
amitié36.
Come appare chiaro, il “Magasin encyclopédique” fu per Millin
lo strumento principale per consolidare ed estendere la sua rete
di relazioni internazionali. In questa lettera egli afferma inoltre il
suo ruolo di promotore delle culture italiana e tedesca in Francia
e sollecita nello stesso tempo una circolazione triangolare di
informazioni.
I
n primo luogo Millin e Cancellieri scambiano le proprie
pubblicazioni. Fin dall’inizio, Millin apre inoltre al corrispondente
italiano le colonne del “Magasin encyclopédique” e vi inserisce
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
«M. Visconti», citato nella lettera, è Ennio Quirino Visconti37,
archeologo illustre e direttore del Museo Capitolino, prima del
suo esilio politico a Parigi (1799) dove fu nominato conservatore
delle Antichità del musée central des Arts. Professore e membro
dell’Institut (dal 1803) e come tale collega di Millin, intrattenne con
quest’ultimo strette relazioni. Dopo la sua morte, il francese ebbe
il progetto di consacrargli una vasta opera biografica che, tuttavia,
non fu realizzato. Ne reca testimonianza una lettera all’amico e
collega tedesco Böttiger:
Attraverso la biografia di Ennio Quirino Visconti, un italiano
stabilitosi a Parigi, Millin voleva rendere conto di una stagione
feconda di scambi tra eruditi e studiosi in tutta Europa che, in questi
anni tra la fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX, lavoravano per
fondare un nuovo approccio alle opere d’arte.
Nello stesso spirito, in un’altra lettera a Cancellieri, egli suggeriva
al suo corrispondente l’opportunità di stabilire un sistema regolare
che consentisse di inviare a Roma il “Magasin encyclopédique” in
cambio di altri giornali romani come le “Memorie Enciclopediche”
di Giuseppe Antonio Guattani e le “Efemeridi di Roma” che, da
Parigi, sarebbero [stati] più facilmente comunicabili alle nazioni
dell’Europa settentrionale:
Si me charge de cette tache ce n’est pas en speculation car il ne m’en
reviendra rien certainement, et peut etre sera-ce le contraire. je ferai
un ou deux volumes contenant tout ce que je pourrai recueillir sur
la vie de Visconti et sur ses ouvrages dont je donnerai une analyse,
j’examinerai l’influence qu’ils ont eu selon les epoques, les pays,
les genres sur l’acheologie et l’erudition. J’y joindrai ou plutot j’y
melerai une histoire litteraire du dernier siecle dans sa fin et des dix
sept annees de celui-ci depuis Winckelmann, en faisant connaître
les savants, antiquaires, ***des arts avec qui il a ete en rapport et
enfin les etablissemens, les musées a tout les monumens qu’il a
decrits, je mettrai dans une Appendix ce qu’on pourra recueillir de
sa correspondance, et des lettres qui lui ont été adressées, enfin je
recueillerai les petites notes inedites que je pourrai rassembler. Le
tout sera accompagne de son portrait; l’ouvrage splendidement
imprimé chez Didot. Voilà mon plan, j’ecrirai a toutes mes relations
en Europe […]38.
Cela ne peut que tourner à l’avantage des artistes et des gens de
lettres de Rome, puisque ce sera un moyen de faire connaître leurs
succès et leurs productions, non seulement aux français, mais
encore aux nations du Nord qui obtiennent plus facilement les
journaux de France que ceux d’Italie39.
Millin fu per Cancellieri, il quale non conosceva il tedesco, il principale
intermediario per gli scambi con la Germania che rimasero tuttavia
assai limitati: è al francese che chiede l’opportunità di spedire alcuni
libri a Gottinga per un’eventuale traduzione in tedesco ed è ancora
Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy
Un grande corrispondente europeo. Aubin--louis millin...
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numero 3 - maggio 2011
M
a Millin che invia gli esemplari delle sue opere destinati a Böttiger
affinché ne parli nei suoi giornali d’oltre Reno, chiedendo in
cambio opere di bibliografia.
Cosciente del pericolo di emarginazione della cultura romana,
Cancellieri continuò a sollecitare la pubblicazione di articoli
ed estratti dei suoi lavori nel “Magasin encyclopédique”40.
a soprattutto Cancellieri fu per Millin un contatto
essenziale durante il suo viaggio in Italia, diventando il suo «directeur
des arts à Rome» come lo definisce ad un altro suo corrispondente,
Giuseppe Capecelatro, arcivescovo di Taranto ed erudito insigne42.
Infatti, dopo aver lasciato Roma nel marzo 1812 per recarsi nel Sud
dell’Italia, Millin lo incarica di sorvegliare il lavoro dei disegnatori
e dei copisti romani al suo servizio43. Un lavoro sul quale si tiene
peraltro regolarmente informato e che continua a dirigere da lontano
tramite uno scambio intenso di lettere. Nello stesso tempo, egli
informa il corrispondente romano dell’itinerario del suo viaggio,
delle sue scoperte e degli altri disegni che fa eseguire in diversi
luoghi. Queste lettere forniscono quindi dettagli essenziali sul
viaggio di Millin, sui disegnatori, sul tipo di lavoro a loro richiesto, sui
monumenti disegnati, sull’organizzazione e le modalità di raccolta
di questa ricchissima collezione di copie. Ancora più interessante, in
molti casi ho potuto mettere in relazione le numerose informazioni
contenute nelle lettere con i disegni conservati alla Bibliothèque
nationale de France.
Nel corso del suo viaggio, Millin sceglie personalmente i disegnatori
e i monumenti da disegnare. Tra gli artisti che ho già potuto
identificare figurano il torinese Angelo Boucheron44, il veneziano
Lavori che del resto devono molto a Millin. Egli prodiga infatti
all’amico, in lunghe lettere, le sue osservazioni, correzioni ed
aggiunte in uno spirito di collaborazione, per favorire il progresso
della scienza comune41.
Da parte sua, Cancellieri fu un informatore prezioso per il
francese, tenendolo aggiornato sulle scoperte archeologiche,
sulle novità bibliografiche e sul variegato mondo culturale ed
artistico romano.
Tramite il suo corrispondente, Millin poteva disporre velocemente
anche di tutta la produzione di opuscoli e di scritti minori,
estremamente prolifica a Roma, di cui Cancellieri si teneva
minutamente informato anche grazie al suo impiego di direttore
della Stamperia di Propaganda Fide.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
V
Luigi Zandomeneghi45, i romani Bartolomeo Pinelli46 e Gioacchino
Camilli47, il tedesco Franz-Ludwig Catel48 che lo seguì nel viaggio
in Calabria eseguendo, oltre che copie di monumenti, disegni di
paesaggi e di vedute, infine Michele Steurnal, Carlo Pecorari e
Filippo Marsigli49 attivi a Napoli. Lo stesso Millin informava i suoi
orrei adesso soffermarmi più particolarmente sui disegni
che il francese fece eseguire a Roma. Tra i copisti romani al suo
servizio, oltre ai già citati Gioacchino Camilli e Bartolomeo Pinelli,
andrà aggiunto l’abate Giuseppe Guerigi53, archivista della basilica
vaticana, esperto in paleografia, al quale egli affidò la copia delle
iscrizioni di monumenti e lapidi.
Riguardo poi alla scelta dei soggetti da copiare, Millin procedette in
due maniere: attraverso ampie campagne sistematiche o per singoli
monumenti. Nel primo caso rientrano i disegni di monumenti inediti
dei musei Vaticani commissionati a Bartolomeo Pinelli, il quale fu
incaricato di eseguire anche le incisioni destinate ad illustrare un
complemento ai volumi dei musei Pio-Clementino e Chiaromonti54;
tale complemento non fu tuttavia poi pubblicato per mancanza di
tempo e di mezzi nella situazione politica mutata55. La campagna di
copie affidate a Pinelli si estendeva inoltre a numerosi altri monumenti
antichi di diversi luoghi pubblici e collezioni private56. Un’altra
ampia campagna di copie riguardava le iscrizioni inedite antiche
e medievali di cui Millin riunì un’importante raccolta («véritable
trésor lapidaire» secondo le sue stesse parole)57, oggi conservata
nel dipartimento dei manoscritti della Bibliothèque nationale de
France in ben diciannove volumi58. Le copie delle iscrizioni furono
corrispondenti dei progressi della sua raccolta documentaria senza
poter celare la gioia quasi frenetica che gli procurava: «on diroit
que je veut emporter Rome dans des feuilles de papier»50, scriveva
a Böttiger o ancora, a Capecelatro, «Le nombre des monumens
inedits que j’y ai recuellis est si considerable que je n’ose le dire. Le
vrai peut quelques fois n’être pas vraisemblable, et cela aura l’air
d’une charlatanerie»51. Questo tipo di appropriazione “virtuale” è
tuttavia ben diverso da quella, “reale”, che altri francesi imponevano
nello stesso periodo al patrimonio italiano52.
Quello che Millin ricerca in primo luogo è la fedeltà e l’esattezza delle
copie: non vuole integrazioni di alcun tipo, né alcun abbellimento;
inoltre esige che i disegni siano interamente eseguiti davanti alle
opere originali. Il suo obiettivo è riunire una documentazione che
abbia valore “scientifico”, suscettibile di essere resa pubblica ed
accessibile a tutti.
Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy
Un grande corrispondente europeo. Aubin--louis millin...
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numero 3 - maggio 2011
verosimilmente realizzate tutte
dall’abate Guerigi59. I primi
undici volumi contengono
le
iscrizioni
antiche
(greche, romane e cristiane)
suddivise, nei primi quattro,
secondo la loro provenienza
(essenzialmente la Biblioteca
Vaticana e i Musei Vaticani) e
negli altri sette per temi60.
Gioacchino Camilli, Tombeau d’un
religieux en mosaïque dans l’église de Sainte
Sabine (lastra tombale di Munio
de Zamora, padre generale dei
Domenicani, 1300), 1813, firmato
in basso a destra “Camilli fece”,
iscrizioni lungo il lato destro:
“Palmi romani 19 on(ce) 9” e in
basso a sinistra: “61”, BnF .
sua firma). Per alcune di esse, lo stesso Camilli eseguì delle copie
colorate all’acquarello. Questo materiale era destinato ad una
pubblicazione, anch’essa rimasta inedita, sulle iscrizioni sepolcrali
di Roma dal V secolo al
1450. Grazie ai proficui
scambi
che
questo
convegno ha consentito,
ho potuto individuare le
origini e le motivazioni
di questo importante
progetto concepito da
Millin in piena epoca di
riscoperta dei “primitivi”
e ancora tutta da studiare.
L’idea gli fu suggerita da
Cancellieri che conosceva
i
materiali
(appunti Gioacchino Camilli, Fragment d’un pavé en
mosaïque trouvé dans la villa de Mattei en 1814,
manoscritti e xilografie) iscrizioni in basso a sinistra:
raccolti dall’antiquario e “Trovato nel viale di mezzo della
collezionista seicentesco villa Mattei nel marzo 1814”; in basso
al centro: “Scala di Palmi Perfetto
Francesco Gualdi per Romano”; in basso a sinistra: “115”,
la pubblicazione di un BnF.
I successivi otto volumi
contengono le iscrizioni
medievali classificate nell’ordine
alfabetico
delle
chiese di provenienza: più di
ottanta edifici vi si trovano
recensiti; oltre alle trascrizioni
epigrafiche, essi contengono
numerose lapidi figurate:
in questi casi vi interviene
il disegnatore Gioacchino
Camilli (che spesso appone la
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
disegnatori) non segue in questo caso un piano sistematico di
raccolta, ma è determinata dall’interesse storico-artistico dei reperti
o dall’attualità di una scoperta, come per esempio il mosaico trovato
nel 1814 nella villa Mattei. A Roma Millin s’interessò soprattutto alle
antichità cristiane allora neglette e quindi maggiormente esposte al
rischio di distruzione, come rende conto nelle lettere ai suoi colleghi
dell’Institut a Parigi, poi pubblicate nel “Magasin encyclopédique”:
Je ne suis pas contenté d’épuiser, autant que je l’ai pu, les monumens
antiques grecs ou romains qui enrichissent les Musées et qui
décorent les palais et les ville, j’ai aussi porté mon attention sur
les monumens chrétiens qui sont plus imminement menacés de la
destruction. Je n’ai point fait dessiner ceux qu’on trouve dans les
ouvrages de Ciampini, de Boldetti, de Bottari, et dans quelques écrits
particuliers, quoique Ciampini surtout les ait très-mal représentés;
mais j’ai reproduit quelques-uns de ceux qui sont gravés dans
l’ouvrage du respectable M. Dagincourt. Il les a donnés d’après une
échelle qui convient à son plan; mon but a été d’attirer l’attention du
gouvernement sur les monumens qu’ils représentent. Ces dessins
sont faits avec la plus grande fidélité; la couleur des marbres et des
émaux y est imitée, ainsi que celle de l’or; je ne regretterai point
mes soins et ce que ces dessins m’ont coûté, s’ils produisent l’effet
que j’en espère. Cette recherche m’a fait trouver encore, dans des
sacristies, des monumens et des ustensiles chrétiens très-curieux,
tels que la chape de Léon III, qu’on prétend que ce Pape portait
quand il a sacré Charlemagne, le piviale de Silvestre II, etc.62
Gioacchino Camilli, Eglise Sant’Andrea Catabarbara Patricia – Rome,
Paris, BnF.
trattato sulle lapidi sepolcrali figurate delle chiese di Roma, rimasto
anch’esso inedito61. L’analisi comparata di questi progetti condotti
a due secoli di distanza potrà fornire spunti interessanti per la
comprensione della complessa vicenda della fortuna dei “primitivi”
nonché per lo studio dei “transferts culturels” tra Francia e Italia.
Sempre grazie all’appoggio e al sollecito aiuto di Cancellieri, Millin
poté dirigere da lontano, durante il suo viaggio, l’esecuzione delle
copie di numerosi altri “monumenti inediti”, affidate per la maggior
parte a Gioacchino Camilli. La scelta dei monumenti da copiare
(di cui il Francese aveva lasciato precise liste a Cancellieri e a suoi
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conte Montalivet tra il
gennaio e il febbraio
1812 per sensibilizzarlo
alla valorizzazione di quei
monumenti64.
Alcuni disegni fatti
eseguire
da
Millin,
oggi conservati alla
Bibliothèque nationale
de
France,
recano
testimonianza della sua
curiosità e della sua
particolare attenzione per
diverse antichità cristiane: Gioacchino Camilli, Dalmatique dite la chapel de Saint Léon tirée de l’église de Saint Pierre
dalle decorazione mu- (dalmatica detta di Carlo Magno, oggi al museo
sive,
alla
scultura, del Tesoro di San Pietro, Città del Vaticano),
firmato e datato in basso a destra
alla suppellettile e ai “Camilli Fece 1812”, iscrizioni in basso a
paramenti ecclesiastici. sinistra: “103”, “Cappa di S. Leone III”; al
Alcune lettere scambiate centro: “Dalmatique du Vatican”, BnF.
tra Millin e Cancellieri riguardano le copie eseguite da Gioacchino
Camilli dei due preziosi paramenti pontifici sopra menzionati,
«la chape de Léon III» (dalmatica detta di Carlo Magno, oggi
Gioacchino Camilli, Mosaïque de l’Apside dans l’Eglise de
S. Théodore Temple de forme ronde, anciennement consacré à Rome
(Il Redentore tra i SS. Pietro, Paolo, Teodoro e un altro santo, VI
sec.), 1812, firmato e datato in basso al centro: “G. Camilli
disegnò 1812”, iscrizione in basso a sinistra: “1002”, BnF.
In linea con Seroux d’Agincourt63, rianimando la tradizione
dell’erudizione sacra sei-settecentesca, Millin ebbe un ruolo non
secondario nella rivalutazione dell’arte medievale all’inizio del XIX
secolo: oltre a promuoverne lo studio e divulgarne la conoscenza,
egli dimostrò inoltre una moderna coscienza patrimoniale,
sensibilizzando i poteri pubblici alla salvaguardia e alla conservazione.
Proprio «les monuments écclesiastiques» e «les églises des premiers
temps du christianisme» sono al centro delle sue preoccupazioni
in altre lettere che egli scrisse da Roma al ministro degli Interni
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
al museo del Tesoro
di San Pietro, Città
del Vaticano)65 e «le
piviale de Silvestre
II» (piviale detto “di
San Silvestro”, oggi
Museo della Basilica
di San Giovanni in
Laterano)66; copie che
ho entrambe ritrovate
alla Bibliothèque nationale de France.
Anche in questo
Gioacchino Camilli, Dalmatique dite la chape de caso Cancellieri agiSaint Léon tirée de l’église de Saint Pierre (dalmatica
detta di Carlo Magno, oggi al museo del Tesoro di sce, oltre che come
San Pietro, Città del Vaticano), 1812, firmato in intermediario, come
basso a destra “G. Camilli fe.”, iscrizione in
informatore. Così, a
basso a destra: “Cappa di S. Leone III nella
Sagrestia di S. Pietro”; in basso a sinistra: proposito della “cappa
“104”, BnF.
di Leone III”, in una
lettera del 4 maggio 1812 informa Millin dell’esistenza di un
disegno appartenuto al Cardinale Stefano Borgia e allora in
possesso di Monsignor Valenti:
Gioacchino Camilli, Une grande chape à fond d’or avec un grand
nombre de figures (piviale detto “di San Silvestro”, oggi al
Museo della Basilica di San Giovanni in Laterano), disegno
colorato all’acquarello su fondo oro, BnF.
Ora [Camilli] penserà a fare il disegno della cappa di Leone III. Io
sapevo che il Cardinale Borgia l’avea fatto eseguire, ma non mi era
noto in quali mani fosse ora passato. Avendo fatte molte ricerche,
mi è stato supposto, che possa essere presso Monsignor Valenti.
Io vi sono andato due volte, ma non l’ho potuto trovare in casa.
Domani vi tornerò, e se mi riuscirà di averlo, glielo farò copiare
con tanta minor fatica, e con maggior sollecitudine, con non poco
di lei risparmio67.
Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy
Un grande corrispondente europeo. Aubin--louis millin...
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numero 3 - maggio 2011
Millin risponde da Castrovillari, in Calabria, il 23 maggio
seguente, convenendo sull’opportunità di cercare il disegno
Borgia, ma insistendo sulla sua volontà di avere la copia richiesta,
preferibilmente dall’originale68. Nel frattempo Cancellieri aveva
scritto al suo corrispondente per informarlo che Camilli, essendo
andato a vedere il disegno in quattro fogli di Monsignor Valenti,
«non l’ha trovato esatto, né nelle figure, né nei colori. Onde lo ha
cominciato sull’originale con somma diligenza, e son certo, che verrà
una bella cosa» (Parigi, 15 maggio 1812)69. Il disegno era già finito
all’inizio dell’agosto seguente e i lavori proseguivano alacremente,
come possiamo constatare dalle lettere dei mesi seguenti. Vale la
pena riportarne alcuni passaggi per rendere conto dell’efficacia del
sistema di corrispondenza epistolare instaurato da Millin durante il
suo viaggio:
dans le premier volume ou le second du Museo Pio-Clementino
en frontispice, je n’en ai pas besoin. Ces figures n’offrent aucune
difficulté ainsi j’espere qu’il sera discret pour le prix si il veut
surtout que je le puisse occuper jusqu’à mon second retour en
octobre 1813, ce qui sera facile. […] (Naples, 6 août 1812).
[…] Il Sigr Camilli ha già terminato tutti i mosaici del Pavimento
della Stanza delle Muse, avendo tralasciato soltanto il mascherone
di mezzo, che suppone, che a lei non serva. Ora si accinge a fare il
Piviale di S. Silvestro, il Musaico di S. Teodoro, la Gemma di S. M.
in Campitelli, l’avorio della Barberina, e la Porta di S. Prudenziana,
col Deposito che era a S. Clemente […] (Roma, 6 novembre 1812).
[…] M. Camilli a tres bien fait de ne pas dessiner le masque du
milieu de la mosaique du musée. Il y a un trait leger de l’ensemble
de cette mosaique dans un des frontispices du grand ouvrage de
votre celebre Visconti, mais je desirois les petits cadres colories
parce que c’est le seul monument ou on voye des comediens avec
leur costume theatral en couleur. Le Terence n’a pas le meme
avantage.
Je vois que ce brave jeune homme a encore de l’ouvrage pour
quelques jours, puisqu’il travaille bien et qu’il est interessant et
honnete j’aime mieux n’employer que lui afin de l’employer plus
longtemps dans ces tems difficiles […] (Naples, 9 novembre 1812).
[…] Si monsieur Camilli a terminé la cappa il peut s’occuper d’un
dessin que je veux faire executer. C’est celui de la mosaïque de
la Salle des Muses, qui represente differentes scenes de theatre.
Je desire que chaque exagone ou il y a une scene ou une figure
soit separé parce que mon objet est d’en faire le sujet d’une
dissertation sur le costume theatral70. Il faut donc que les couleurs
soient fidelement imitées il faut aussi faire dans le dessin des petits
cubes irregulier qui fassent juger que c’est une mosaïque et non
une peinture. Quand a la vue generale de la mosaïque elle doit etre
[…] Il Sigr Camilli sta lavorando il disegno del Piviale di S. Silvestro,
che sarà più laborioso di quello di Leone III, formandolo tutto in
un foglio, che rassomiglierà a un gran ventaglio, ed il monumento
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
del card. Roverella a S. Clemente. Io l’ho diretto a Monr Callisto
Marini, canonico di S. Giovanni, con un mio biglietto di
raccomandazione, con un altro del marchese Longhi, pel musaico
di S. Teodoro, e con uno del P. Burini per licenza di disegnare
l’immagine di S. M. in Campitelli. È andato alla Barberina dove gli
hanno fatto vedere un Dittico e tre miniature in carta pecora. Non
ha saputo capire quale di queste tre Ella desidera. Onde la prego
a significarmelo più chiaramente, per non errare. Egli suppone
che sia la più grande, con varj busti di diverse figure assai belle. Se
fosse questa, subito vi porrà mano.
Le trasmetto la nota di tutte le sue opere, con un foglio a parte di
quelle, che mi sembra, che vi si debbano aggiungere […] (Roma,
13 novembre 1812).
Gioacchino Camilli, Dalmatique dite la chape de Saint Léon tirée de l’église
de Saint Pierre(dalmatica detta di Carlo Magno, oggi al museo del Tesoro di San
Pietro, Città del Vaticano), 1812, firmato in basso a destra “Camilli fece”,
iscrizione in basso in basso a sinistra: “105”, BnF.
[…] Je ne connois pas le piviale [il Piviale di San Silvestro] c’est M.
Pouyard qui me l’a indiqué.
[…] Je ne me rappelle pas d’un diptyque a la Barberini mais tres
bien du guerrier a cheval tableau d’ivoire du bas empire. Je vous ai
prié de voir si il etoit dans le Thesaurus diptycorum de Gori.
Il faut pour les peintures que je reprenne les notes de Pinelli […]
(Naples, 15 novembre 1812).
[…] Il Piviale di S. Sivestro è ormai finito, ed è pienissimo di figure.
Il Dittico Barberino è già stato disegnato da Pinelli, col Guerriero
a Cavallo, e con altre Pitture onde non occorre pensarvi […]
Gioacchino Camilli, Dalmatique dite la chape de Saint Léon tirée de l’église de
Saint Pierre (dalmatica detta di Carlo Magno, oggi al museo del Tesoro di San
Pietro, Città del Vaticano), 1812, firmato in basso a destra “Camilli fe.”,
iscrizione in basso a sinistra: “106”, BnF.
(Roma, 24 novembre 1812).
Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy
Un grande corrispondente europeo. Aubin--louis millin...
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Gli ultimi due lavori affidati a Gioacchino
Camilli, che egli terminò dopo il rientro di
Millin in Francia, sono le copie del Rotulo
di Giosué e del Mosaico di Palestrina.
Il ben noto Rotulo di Giosué71, rotulo
bizantino del X secolo ed una delle prime
vestige d’iconografia biblica, fu copiato
da Gioacchino Camilli in 33 tavole oggi
incollate in un volume in folio della
Bibliothèque nationale de France72. Per
guidare la realizzazione di questo prezioso
documento che Millin, seguendo Seroux
d’Agincourt, riteneva più antico e risalente
all’epoca paleocristiana73, egli prodigò
numerosi consigli e redasse apposite
note all’attenzione del disegnatore
raccomandando soprattutto la più grande
fedeltà all’originale: «Je demande surtout
que rien ne soit embelli. J’ai bien peur que
quelques figures ne l’aient été alors j’aurois
une image et non une copie. Faite grande
attention a l’exactitude pour le style. Je
Gioacchino Camilli, Histoire de Josué d’après un manuscrit grec de la Bibliothèque du Vatican (Rotulo di Giosué, X sec., Codice vaticano palatino greco 431),
iscrizione in alto a destra : “Tava 1a”, BnF.
teCLa - Rivista
recommande surtout les inscriptions. Cela
est tres essentiel car il faut que la forme
des caracteres soit exacte»74.
Millin desiderava inoltre vedere le
tavole via via che erano ultimate,
facendosele inviare nelle diverse tappe
del suo viaggio di ritorno per apportare
eventuali modifiche. Così, dopo averla
esaminata, chiese che la tavola n. 9 fosse
rifatta in quanto i colori «des figures se
raccordent mal»75; egli reiterava inoltre
le raccomandazioni affinché anche le
proporzioni fossero rispettate per poter
ricostituire esattamente il rotulo.
Solo a lavoro ultimato Camilli poté
iniziare un’altra impegnativa impresa
per il committente francese: la copia a
grandezza naturale del mosaico nilotico
di Palestrina. Questo celebre mosaico
era stato al centro dell’attenzione di
collezionisti ed eruditi sin dalla sua
scoperta nel XVI secolo per il suo
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
interesse antiquario e naturalistico76. Lo stesso Millin nel 1799
aveva pensato di scrivere una memoria sugli animali e i vegetali che
vi sono rappresentati per la Societé d’histoire naturelle alla quale
apparteneva; un progetto caldeggiato dal suo amico Böttiger e al
quale Millin dovette allora rinunciare in quanto la realizzazione
delle tavole illustrative sarebbe stato un impegno troppo difficile
ed oneroso77. Non è quindi sorprendente che il Francese, avutane
la possibilità, avesse chiesto al suo disegnatore romano una copia
del mosaico, che egli volle realizzata e colorata davanti all’originale.
Camilli vi si applicò soggiornando numerosi mesi a Palestrina nel
1815; infine, il 25 aprile 1816, inviò a Parigi la copia in 44 fogli78.
A Millin mancò il tempo di realizzare la pubblicazione progettata,
ma presentò subito la copia all’appena ricostituita Académie des
inscriptions et belles-lettres. Per renderla accessibile ad un più largo
pubblico propose inoltre a Auguste de Forbin, direttore dei Musées
Royaux, di esporla al Louvre:
Je suis obligé de la garder en porte feuilles a cause de ses dimensions,
elle perd ainsi de son interet.
Peu de personnes peuvent la voir et en avoir connaissance, et si
elle etoit au musée […] je serai charmé qu’un pareil monument
soit exposé aux regards du public79.
Gioacchino Camilli, Histoire de Josué d’après un manuscrit grec de la
Bibliothèque du Vatican, (Rotulo di Giosué, X sec., Codice vaticano
palatino greco 431), iscrizione in alto a destra: “Tava 32a”, firmato
e datato in basso a destra: “Camilli a Roma 1814”, 1814, BnF.
Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy
Un grande corrispondente europeo. Aubin--louis millin...
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elitaria del collezionismo da “cabinet” o alla sociabilità
di un ristretto circolo di conoscitori e “antiquaires”.
Egli favorì dunque in ogni modo un ampio scambio di informazioni.
Lo dimostrano gli epistolari che abbiamo qui analizzato, i quali
forniscono inoltre spunti inediti per studiare gli incroci di interessi
e di relazioni tra Francia, Germania e Italia attivi nella costituzione
europea di una scienza archeologica, troppo spesso ricondotta
a definiti ambiti nazionali. A questo riguardo, non sembra
quindi esagerato considerare l’insieme della corrispondenza
di Millin come l’opera principale della sua carriera di studioso.
Gioacchino Camilli, “Mosaïque de Palestrina”, firmato e datato in basso a
destra: “Gioacchino Camilli fece a Palestrina 1815”, BnF
L’attività del collezionista era per Millin indissociabile da quella del
divulgatore. Inoltre, l’esperienza visiva era per lui una condizione
necessaria per la conoscenza («voir» et «avoir connaissance»)80: la
pratica del viaggio assume qui tutta la sua importanza in quanto
consente l’osservazione diretta dei “monumenti” e la loro
riproduzione esatta, permettendone una classificazione metodica
e trasmissibile.
Allontanandosi dalla tradizione erudita, basata essenzialmente
sullo studio dei testi, Millin è tra i fondatori di una nuova
scienza archeologica, che non corrispondeva più alla pratica
Appendice
1. Aubin-Louis Millin a Francesco Cancellieri [Londra, BL,
Add 22891 - Vol. VII]
J’avois pensé que ces dessins avoient ete faits sur des papiers
uniformes et s’ajustant ensemble par les extremités des figures,
comme les planches des colonnes Trajane et Antonina. Comment
un homme qui a ces ouvrages sous les yeux a t’il pu prendre du
papier de differentes tailles, ne pas regler la hauteur des champs
des peintures, et ne pas le faire de maniere a pouvoir s’ajuster?
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
Des que le rouleau sera termine nous songerons a la mosaïque et
ensuite au reste. Il faut toujours finir une chose avant de songer
aux autres.
Je repete a M. Camilli qu’a ces observations pres je suis tres content
de son dessin. Je l’engage a y mettre son nom qu’il a omis parce
que il ne peut que lui faire honneur.
Je l’assure de mon amitié.
pour sa reputation ni pour son existence a venir.
Il faut refaire la feuille qui n’est pas conforme aux autres.
Quand je serai a Paris et qu’il sera question de publier le Josue, je
pourrai manager avec lui pour le graver et le colorier.
3. Aubin-Louis Millin a Auguste comte de Forbin [Parigi,
Bnf, Mss. fr. 24686, foll. 182-184]
Aubin Louis Millin
De grace que M. Camilli ne fasse plus mes dessins sur du papier
de rebut et casse, il est impossible de les conserver quand ils ont
des coupures.
Lettera non datata (ma 1817)
Monsieur le Comte
Vous avez vu la belle imitation que j’ai fait faire a Rome de la
mosaïque de Palestrine. Il n’existe aucune autre copie fidele de
ce precieux monument qui, outre l’interet qu’il presente pour
l’histoire de l’art, a encore le merite d’offrir aux yeux les scenes,
les mœurs, les images, les sites, les plantes et les animaux de la
haute ægypte relativement aux tems ou il a ete fait. Tout a ete
calque avec le plus grand soin. La couleur a ete imitee sur le lieu
même ou j’ai entretenu pendant plus de trois mois un artiste,
dirigé par un chanoine qui depuis trente ans s’occupe de l’histoire
de son pays. J’ai fait faire cet ouvrage il y a cinq ans uniquement
par cet attrait qui me porte a recueillir tout ce que je puis trouver
de nouveau sur les connaissances qui ont ete l’objet constant de
mes etudes et il est de mon devoir de m’en occuper. Je l’ai mis
il y a environ six mois sous les yeux des membres de l’academie
des belles lettres, tous mes confreres qui sont aussi les votres se
2. Aubin-Louis Millin a Francesco Cancellieri [Parigi, Bnf,
Mss. fr. 24680, fol. 179]
Florence, 18 août 1813
Note sur M. Camilli Josue
Il y a au n° 9 des figures qui se raccordent mal, c’est un leger
inconvenient. Je ne vous en parle que pour lui recommander ce
genre d’exactitude si nous faisons la mosaïque [de Palestrina].
J’ai rassemblé mon Josue. Il manque encore le nos 5. 14. 25. 26.
pour qu’il soit terminé. Je brule de les recevoir. Cet ouvrage lui
fera honneur quand je le ferai voir a l’Institut et ne sera perdu ni
Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy
Un grande corrispondente europeo. Aubin--louis millin...
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sont ecries qu’un pareil ouvrage etoit perdu chez un particulier,
qu’il devroit etre dans un etablissement public puisque l’artiste,
le naturaliste, l’antiquaire y pouvoient trouver, chacun selon
leurs yeux, des sujets d’observations et qu’enfin sa place etait au
musee royal. J’ai repondu que mon intention avait ete de faire
peindre cette mosaïque pour moi, que je ne pretendais pas vouloir
cacher et enfouir une chose qu’on croyait utile, que je la cederais
volontiers, mais que ne le faisant pas pour argent ni pour besoin,
je ne pouvois pas entamer sur ce point des sollicitations vives.
Depuis j’ai eu l’honneur de vous voir, vous avez examiné cette
peinture, elle vous a paru ainsi qu’a vos confreres interessante.
Je suis obligé de la garder en porte feuilles a cause de ses dimensions,
elle perd ainsi de son interet. Peu de personnes peuvent la voir et en
avoir connaissance, et si elle etoit au musée je pourrais la consulter
comme tout le monde et je n’en aurais pas moins le merite de
l’avoir fait executer. Si vous jugez Monsieur le Comte que l’affaire
puisse s’arranger, j’y suis tout disposé et je serai charmé qu’un
pareil monument soit exposé aux regards du public.
Il me serait toujours agreable de traiter avec un homme tel que
vous et si la proposition vous plait, les conditions seraient bientôt
reglées.
Agréez l’assurance de la haute consideration et du sincere
attachement avec les quels j’ai l’honneur d’etre
Monsieur le Comte
Votre devoué confrere
A. L. Millin
Tutte le immagini sono gentilmente concesse dalla Bibliothèque nationale de
France di Parigi, ad eccezione dell’immagine di p. 23, del Kunsthistorisches
Institut in Florenz, Max-Planck-Institut di Firenze.
1
Questo articolo è il testo di una conferenza presentata in occasione del
convegno internazionale Roma e la creazione di un patrimonio culturale europeo nella prima
età moderna. L’impatto degli agenti e corrispondenti d’arte e d’architettura, sotto la direzione
di Christoph Frank, Roma, Villa Medici, 13-16 ottobre 2005. La conferenza è
stata presentata a due voci: Bénédicte Savoy si è occupata delle relazioni di Millin
con la Germania, Monica Preti-Hamard di Millin e l’Italia. Sull’argomento sono
inoltre in preparazione gli atti del convegno Voyages et conscience patrimoniale. AubinLouis Millin (1759-1818) entre France et Italie (Parigi, Institut national du patrimoine,
27-28 novembre 2008, Roma, Sapienza Università di Roma, 12-13 décembre
2008), a cura di Anna Maria D’Achille, Antonio Iacobini, Monica Preti-Hamard
e Gennaro Toscano (in corso di stampa presso Campisano Editore, Roma).
Le trascrizioni dei documenti sono conservative. I tre asterischi *** indicano una
parola o una porzione di testo illeggibili.
Abbreviazioni
Bnf : Parigi, Bibliothèque nationale de France
BL : Londra, British Library
Ringraziamenti
Teniamo a ringraziare Chistophe Frank per aver creato l’occasione di presentare
a Roma questo contributo a due voci nonché Philippe Sénéchal per la rilettura
dell’articolo e i suoi sagaci commenti.
2 C. Hurley, Le non-dit comme principe d’écriture sous la Révolution: les Antiquités
nationales (1790-1798) d’Aubin-Louis Millin, in “Zeitschrift für schweizerische
Archäologie und Kunstgeschichte”, 53, 1996, pp. 275-284; Ead., Aubin-Louis
Millin: programme du cours d‘histoire des arts chez les anciens, Paris 1805 with manuscript
notes by Antoine Maire Chenavard, in “Scholion”, 0.2001, pp. 57-66; Ead., Building on ruins: Aubin-Louis Millin’s Antiquités nationales (1790-1798), tesi sotto la
direzione di Jean-Daniel Morerod e Georg Germann, Université de Neuchâtel,
Faculté des Lettres et Sciences humaines, Institut d’histoire, 2004; Ead., Un
cosmopolitisme journalistique: les généalogies du “Magasin encyclopédique”, in Aubin-Louis
Millin et l’Allemagne. Le Magasin encyclopédique - Les lettres à Karl August Böttiger,
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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peints qui y ont été découverts en 1813, C. Wassermann, Paris 1816; Description d’une
mosaïque antique du musée pio-clémentin à Rome, représentant des scènes de tragédies, impr.
de P. Didot l’aîné, Paris 1819.
11 Il dipartimento dei Manoscritti conserva, oltre ai ventotto volumi della
“correspondance littéraire” di Millin (preziosi anche per studiare il viaggio in
Italia e la rete di corrispondenti italiani), 19 volumi contenti le copie di iscrizioni
antiche e medievali fatte eseguire da Millin durante il suo soggiorno italiano,
principalmente a Roma. Il Département des Estampes et de la Photographie
conserva inoltre più di 1000 disegni del viaggio d’Italia. Questo importante
fondo segnalato una ventina di anni fa da Françoise Arquié Bruley (Au Cabinet des
Estampes, dessins executés en Italie de 1811 à 1813 pour Aubin-Louis Millin, in “Revue de
la Bibliothèque nationale de France”, 15, 1985, pp. 25-43) non è poi stato studiato,
anche per le difficoltà di identificarlo nel suo insieme. Infatti, acquistato dalla
biblioteca a due riprese, nel 1819 e nel 1822, in seguito alle nuove classificazioni
ottocentesche, esso è stato diviso in diverse ripartizioni tematiche, topografiche o
per artisti: è soltanto grazie ad un inventario manoscritto compilato al momento
dell’acquisizione, che oggi possiamo tentare la ricostruzione di questo corpus
smembrato. Alla Bibliothèque de l’Arsenal esistono inoltre sette cartoni di note
ed appunti di Millin durante il suo soggiorno in Italia.
12 Lettre de M. Millin à M.*** par M. Millin....
13 Millin ribadisce queste idee, quasi negli stessi termini, in apertura del primo
volume del suo Voyage, pubblicato nel 1816, in un contesto politico ancora
mutato: «L’Italie a été plusieurs fois décrite; ainsi ce n’étoit pas l’espoir d’y faire
quelque heureuse découverte qui m’inspiroit le désir de voir ce pays si vanté. Je
voulois examiner moi-même les grands monumens dont il s’enorgueillit, et que
les meilleurs dessins et les gravures les plus fidèles ne peuvent qu’imparfaitement
représenter. D’ailleurs quoiqu’on ait publié tant de descriptions de l’Italie, il
n’existe aucun ouvrage qui en donne une idée conforme à celle qu’on doit s’en
faire aujourd’hui. Richard, Lalande, Wolkmann, Bernouilli, et ceux qui leur ont
succédé, ont enrichi leurs ouvrages de détails importans, et seroit de meilleurs
guides, mais leurs écrits manquent d’ordre; ils ont tout recueilli sans goût et sans
choix, et la marche des événements a tellement vieilli ces ouvrages, qu’il reste peu
d’observations dont on puisse profiter. Des souverainetés ont été détruites, les
lois et l’administration ont été changés; et, quoique les derniers événemens aient
Atti del convegno, (Amiens 2003), a cura di G. Espagne e B. Savoy, HildesheimZurich-New York 2005, pp. 107-119.
3 Millin a Böttiger, Rome, 9 janvier 1812, in Aubin-Louis Millin et l’Allemagne…,
lettera n. 102, pp. 513-515: p. 514.
4 Bnf, Mss. fr. 24697.
5 Millin a Böttiger, Paris, 3 mars 1797, Aubin-Louis Millin et l’Allemagne…,
lettera n. 2, pp. 296-300: p. 297.
6 A.-L. Millin, Voyage en Savoie, en Piémont, à Nice et à Gênes, 2 voll., C. Wassermann, Paris 1816.
7 Lettera di Seroux d’Agincourt a Millin, Rome, 13 novembre 1809, Bnf,
Mss. fr. 24697.
8 L. Therrien, L’histoire de l’art en France: genèse d’une discipline universitaire, Paris
1998, pp. 37- 44; C. Hurley, Aubin-Louis Millin: programme du cours d’histoire des arts
chez les anciens....
9 Aubin-Louis Millin et l’Allemagne..., lettera n. 105, pp. 519-520.
10 A.-L. Millin, Voyage en Savoie...; Id., Voyage dans le Milanais, à Plaisance, Parme,
Modène, Mantoue, Crémone, et dans plusieurs autres villes de l’ancienne Lombardie, 2 voll.,
C. Wassermann, Paris 1816. Articoli: Lettre de M. Millin à M.*** par M. Millin,
membre de l’Institut impérial, contenant quelques additions à son voyage de Paris à Lyon
(Grenoble, le 25 septembre 1811), in “Magasin encyclopédique”, ottobre 1811, V, pp.
347-387 (estratto: Paris, J. B. Sajou, 1811); Lettre de M. Millin, membre de l’Institut
impérial de France, et de la Légion d’honneur, à M. Boulard, ancien notaire, et membre
de plusieurs académies, contenant quelques détails de son voyage de Lyon à Chambéry, in
“Magasin encyclopédique”, novembre 1811, VI, pp. 93-134 (estratto: Paris, J. B.
Sajou, 1811); Lettre de M. Millin,... à M. Langlès, membre de l’Institut, sur le carnaval
de Rome (Rome, 12 février 1812), in “Magasin encyclopédique”, aprile 1812, II,
pp. 241-312 (estratto: Paris, J.-B. Sajou, 1812) ; Royaume de Naples, in “Magasin
encyclopédique”, gennaio 1814, I, pp. 155-157; Extrait de quelques lettres adressées à
la classe de la littérature ancienne de l’Institut impérial par A.-L. Millin, pendant son voyage
d’Italie, in “Magasin encyclopédique”, marzo 1814, II, pp. 5-75 (estratto: Paris, J. B.
Sajou, 1814). Libri: Description des tombeaux qui ont été découverts à Pompeï dans l’année
1812, Impr. royale, Naples 1813; Description d’une médaille de Siris, dans la Lucanie, C.
Wassermann, Paris 1814; Description d’un vase trouvé à Tarente, C. Wasermann, Paris
1814; Description des tombeaux de Canosa, ainsi que des bas-reliefs, des armures et des vases
Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy
Un grande corrispondente europeo. Aubin--louis millin...
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sondaggi e ricerche capaci di fare emergere la base comune franco-tedesca
della storia dell’archeologia in Europa. Storia all’interno della quale il “Magasin
encyclopédique” – come in molti altri campi – svolge un ruolo importante. Essa,
del resto, per essere completa, dovrebbe tener conto sistematicamente di altri
assi transnazionali (ed includere certamente l’Italia e la Germania, ma anche, per
esempio, la Danimarca), come pure di campi di studio vicini all’archeologia così
come era intesa all’inizio del XIX secolo, quali la filologia o le scienze naturali.
20 C. Rétat, Revers de la science..., p. 99.
21 Riguardo all’appartenza di Millin alla Mère-Loge du Rite écossais philosophique,
si veda C. Rétat, Revers de la science…, p. 107. Su Böttiger e la massoneria, si veda
E. F. Sondermann, Karl August Böttiger, Literarischer Journalist der Goethezeit in Weimar, Bonn 1983, in particolare pp. 34-35.
22 Prospectus del 1805, citato da C. Rétat, Revers de la science…, p. 101.
23 Millin a Böttiger, Paris, 12 février 1797, Aubin-Louis Millin et l’Allemagne...,
lettera n. 1, pp. 293-295.
24 Ibid.
25 Ibid.
26 B. Savoy, Des musées nationaux aux vases antiques du comte de Paroy. Regards
allemands sur les collections parisiennes autour de 1800, in Collections et marché de l´art
en France, 1789-1848, Atti del convegno, (Parigi 4-6 dicembre 2004), a cura di
M. Preti-Hamard e Ph. Sénéchal, inha/Presses Universitaires de Rennes, ParisRennes 2005, pp. 387-405.
27 Millin a Böttiger, Paris, 22 janvier 1816, in Aubin-Louis Millin et l’Allemagne...,
lettera n. 114, pp. 533-536: p. 534.
28 Probabilmente: H. A. O. Reichard, Guide des voyageurs en Italie et en Suisse;
faisant partie de la 6e éd. originale du Guide des voyageurs en Europe, Weimar 1810, annunciato nel “Magasin encyclopédique”, 1811, II, pp. 222-223 e ibid., III, p. 194.
29 Cfr. H.A.O. Reichard, Guide des voyageurs en Europe, 6a ed., 4 tomi, Weimar,
1812.
30 Millin a Böttiger, Paris, 24 avril 1811, in Aubin-Louis Millin et l’Allemagne..,
lettera n. 97, pp. 501-506: 503-504.
31 B. Savoy, Patrimoine annexé. Les biens culturels saisis par la France en Allemagne autour de 1800, 2 voll., Maison des Sciences de l’Homme, Paris 2003, I, capitolo VI.
32 A. Petrucci, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XVII, ad vocem, Roma
rétabli plusieurs Etats, et renouvelé plusieurs institutions, ces révolutions ont
amené de grandes variations dans les mœurs et les usages. J’ai donc cru qu’il étoit
encore possible de donner une nouvelle description de l’Italie, et de lui imprimer
quelque intérêt, en visitant cette riche contrée, et en profitant de tous les ouvrages
dont elle a été le sujet». A.-L. Millin, Voyage en Savoie…, I.
14 Lo studio più recente e stimolante su questa Société è: J.-L. Chappey, La
Société des Observateurs de l’homme (1799-1804), Société des études robespierristes,
Paris 2002. Si veda anche A. Castorina, Un observateur de l’homme e lo studio
dell’archeologia: note su Millin, in “Prospettiva”, 69, 1993, pp. 88-93.
15 Itinerario che ho potuto ricostruire precisamente completando le fonti edite con le informazioni contenute nella corrispondenza.
16 Millin a Böttiger, Paris, 31 août 1811, in Aubin-Louis Millin et l’Allemagne...,
lettera n. 100, p. 511.
17 L. Lanzi, Viaggio del 1793 Pel Genovesato e il Piemontese, a cura di G. C. Sciolla,
Libreria Editrice Canova, Treviso 1984.
18 Ibid.
19 Ad oggi, non esiste ancora una sintesi sullo spazio del sapere archeologico
in Europa nel XIX secolo né, più semplicemente, alcuno studio approfondito
sull’opera archeologica di Böttiger o di Millin. Vanno tuttavia segnalati, tra i
lavori più recenti, le ricerche che René Sternke sta conducendo per la sua tesi
sulla corrispondenza di Böttiger e Désiré Raoul Rochette (su Raoul-Rochette
vi veda anche la voce a lui consacrata da È. Gran-Aymerich e N. Lubtchansky,
in Dictionnaire critique des historiens de l’art actifs en France de la Révolution à la Première
Guerre mondiale, a cura di Philippe Sénéchal e Claire Barbillon, inha, Paris 2009:
http://www.inha.fr/spip.php?article2506); la tesi di Cecilia Hurley sulle Antiquités
nationales di Millin (cfr. nota 1); l’articolo di C. Rétat, Revers de la science. Aubin-Louis
Millin, Alexandre Lenoir, in Rêver l’archéologie au XIXe siècle: de la science à l’imaginaire,
a cura di E. Perrin-Saminadayar, Publications de l’Université de Saint-Étienne,
Saint-Etienne 2001, pp. 97-119; e, più generalmente, È. Gran-Aymerich, Naissance
de l’archéologie moderne, 1798-1945, cnrs éditions, Paris 1998. Considerando inoltre
che ci si trova di fronte, nella corrispondenza di Millin, ad una straordinaria
abbondanza di informazioni spesso allusive (titoli di libri, nomi di persone,
allusioni a dibattiti eruditi ecc.), non è questione qui di avanzare risultati definitivi.
La presentazione che segue è piuttosto concepita come un invito a proseguire
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
Millin. Roma, 4 dicembre e 22 dicembre 1812, ibid., foll. 94r. e 105r.).
42 «Je reçois toujours les lettres de votre brave abbé Cancellieri, mon directeur
des arts à Rome, c’est à dire qu’il a bien voulu se charger de conduire et de
payer, avec mon argent, les artistes qui travaillent pour moi». Lettera di Millin
a Capecelatro, Reggio [Calabria], 22 juin, 1812, Bnf, Mss. fr. 24681, fol. 4r. Su
Capecelatro, si veda P. Stella, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 18, ad vocem,
Roma 1975, pp. 445-452 nonché il recente artcolo di M. Toscano, The figure of the
naturalist-antiquary in the Kingdom of Naples: Giuseppe Giovene. and his contemporaries, in
“Journal of History of Collections”, 2007, 19, pp. 225-237.
43 F. Cancellieri, Le Sette cose fatali di Roma antica, Luigi Perego Salvioni,
Roma 1812, «Dedica al Ch. Sig. Cav. Albino Luigi Millin», pp. 3-4: «[…] dopo
la vostra partenza, seguita ai 9 dello scorso marzo, io vi ho accompagnato col
cuore a Napoli, nell’Abruzzo, nella Puglia, e fin nel fondo della Calabria, dove
vi ha spinto, ad onta di ogni difficoltà e pericolo, l’ardente desiderio di visitare
la Magna Grecia, madre feconda di tante insigni scuole filosofiche, la patria
invidiabile di tanti eroi, in cui le belle arti hanno fiorito fin dai tempi più remoti,
e dove la natura presenta anche adesso il vago spettacolo de’ più rari fenomeni,
e la stessa sua popolazione un luminoso teatro di oggetti degni di osservazione.
// Di più vi ho scritto in ogni ordinario e non contento di essermi impiegato
nell’adempimento delle vostre molteplici commissioni, per fare eseguire le copie
fedeli ed esatte delle iscrizioni di tutte le nostre chiese, e del Museo Vaticano,
e i disegni coloriti a contorno de’ più belli monumenti sacri e profani di questa
città, che fin nelle rovine spirano ancora la prisca e nativa lor maestà, mi sono
occupato nella vostra assenza di questo lavoro, per dedicarlo all’illustre vostro
nome».
44 Angelo Boucheron (Torino, ca. 1776-1859), plasmatore, disegnatore ed incisore, figlio del famoso argentiere del Regno Sardo Giovan Battista Boucheron
(Torino, 1742-1815).
45 Luigi Zandomeneghi (Colognola, 1778-Venezia, 1850), scultore allievo
di Canova.
46 Bartolomeo Pinelli (Roma, 1781-1835), disegnatore, incisore e pittore,
celebre soprattutto per le sue vedute della città e dei costumi romani. Non citiamo qui l’abbondante bibliografia sull’artista, la cui attività per Aubin-Louis Millin
tuttavia, a mia conoscenza, non è stata studiata.
1974 (con indicazione di fonti e bibliografia).
33 F. Seni, Vita di Francesco Cancellieri, Roma 1893, p. 52.
34 Bnf, Mss. fr. 24680 e Londra, BL, Add 22891-Vol. VII. A Parigi sono
conservate le lettere di Cancellieri e numerose copie delle lettere di Millin (tuttavia
in gran parte illeggibili). Il volume della British Library contiene gli originali delle
lettere di Millin: esso fa parte di 12 volumi di lettere e altro materiale manoscritto
che lo stesso Cancellieri vendette nel 1824 al collezionista inglese Dawson Turner
(1775-1858); la biblioteca li acquistò alla vendita della collezione di quest’ultimo,
cfr. Catalogue of Additions to the Manuscripts in the British Museum in the Years 18541860, London 1875, pp. 757-765.
35 Le opere di Francesco Cancellieri iniziano ad essere regolarmente recensite
nel “Magasin encyclopédique” dal giugno 1806 fino al gennaio 1816.
36 BL, Add 22891-Vol. VII.
37 Su Ennio Quirino Visconti (Roma, 1751 - Parigi, 1818), si veda l’esaustiva
voce bio-bibliografia redatta da Daniela Gallo, in Dictionnaire critique des historiens de
l’art actifs en France de la Révolution à la Première Guerre mondiale, a cura di P. Sénéchal,
C. Barbillon, inha, Paris 2009: http://www.inha.fr/spip.php?article2565.
38 Lettera datata: Paris, 25 février 1817 (ma piuttosto 1818), in Aubin-Louis
Millin et l’Allemagne.., lettera n. 121, p. 548.
39 Paris, 9 mars 1809. BL, Add 22891-Vol. VII.
40 «Ecco il primo libro che comincia a trattare delle lodi del P. abate di
Costanzo.[…] Io pongo questo nuovo mio figlio fra le sue braccia amorose, e
lo raccomando alla sua bontà, affinché egli gli faccia avere un posto onorevole
nel suo magazzino [il “Magasin encyclopédique”]. Dal valutabilissimo di Lei
suffragio dipende la sua riputazione onde sono sollecito di sentire qual ne sarà
il suo pregiatissimo giudizio» (Lettera di Cancellieri a Millin, Roma, 24 ottobre
1814, Bnf, Mss. fr. 24680, fol. 317r.).
41 Cancellieri riceve ammirato le precise osservazione e correzioni di Millin
che integra regolarmente in fase di stampa o in edizioni aggiornate: «Ma chi può
mai paragonarsi a Lei, Biblioteca ambulante, Archivio animato, e vero Emporio
di ogni sapere?»; «Tutte le sue Lettere sono vere Lezioni le più istruttive, ed io le
leggo col maggior interesse e sempre più la ringrazio de’ suoi Lumi, che con tanta
pazienza ha trovato il tempo di somministrarmi per la mia Biblioteca Pompejana
che più non si riconoscerebbe con tante belle giunte» (Lettere di Cancellieri a
Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy
Un grande corrispondente europeo. Aubin--louis millin...
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numero 3 - maggio 2011
carres qui forment a eux seules 8 planches. C’est une speculation de capitaliste
certainement les auteurs auroient dirigé l’ouvrage autrement s’ils avoient ete les
maitres. J’ai fait dessiner tout ce qui n’est pas publié dans cet ouvrage je n’ai
pris cependant que les morceaux qui sont utile pour l’instruction en laissant les
statues indeterminables et j’ai de quoi faire deux volumes si on vouloit vendre du
papier comme on l’a fait pour le Musée Chiaramonti, mais le tout rendu au trait
pourra tenir en un volume 4°. […]/ J’ai aussi fait dessiner tout ce qui restoit dans
le musée du Vatican, j’ai parcouru tous ses magazins et j’y ai trouvé et fait dessiner
une trentaine de pieces interessantes, c’est cette dernière partie que j’ai laissée
a faire a mon dessinateur en partant de Rome» (Millin a Böttiger, Naples, 24
avril 1812, in Aubin-Louis Millin et l’Allemagne.., lettera n. 104, p. 517). «Monsieur
Pilat est ici avec l’empereur d’Autriche. Il m’a dit que Hartmann était employé
à Vienne, ce qui me fait beaucoup de plaisir. Je ne sais s’il a publié, comme il
le voulait, sa traduction du Museo-Chiaromonti si les observations que Vous
proposez de lui donner n’ont pas encore été employées, je pourrais Vous fournir
de bons renseignemens. Les auteurs ont mis peu de critique dans le choix qu’ils
ont fait des pièces. Ils n’ont presque publié que des statues & ont tenu peu de
compte des restaurations. Enfin ils ont donné dans des groupes comme antiques
des figures connues pour modernes. J’ai les dessins, & même les gravures de tout
ce qu’ils ont négligé, & il y a des morceaux bien plus curieux pour l’érudition
que ceux qu’ils ont publiés» (Millin a Böttiger, Paris, 26 avril 1814, in Aubin-Louis
Millin et l’Allemagne..., lettera n. 105, p. 520). Il mese seguente, Millin aspettava
altre incisioni per la pubblicazione progettata: «J’attends les gravures que Pinelli
me doit remettre pour publier la suite des monumens des musées de Rome dont
j’ai, comme vous le savez, à-peu-près cent planches» (Millin a Cancellieri, Paris,
23 mai 1814, BL, Add 22891 - Vol. VII).
56 Nella corrispondenza Millin-Cancellieri si trovano alcune di queste liste
di opere da copiare, comunicate da Millin a Pinelli: Bnf, Mss. fr. 24680, foll. 3235, 126 e BL, Add 22891-Vol. VII. I luoghi di provenienza dei «monumenti»
da disegnare sono, oltre ai Musei Vaticani (compresi i «Magazzini»), numerose
chiese (Santa Prudenziana, Santa Maria dei Monti, San Giovanni in Laterano,
Santa Maria in Trastevere, Santi Cosma e Damiano, Santa Maria sopra Minerva),
la Biblioteca Barberini nonché diverse collezioni private (Villa Albani, Villa
Madama, «casa Ruffini», «chez Mr Maximilien», «Prince Poniatowski», «chez Mr
47 Gioacchino Camilli, disegnatore e calcografo attivo a Roma nella prima
metà dell’Ottocento.
48 Franz-Ludwig Catel (Berlino, 1778-Roma, 1856), disegnatore e pittore. Nel
1812 accompagnò Millin per parte del suo itinerario nel Sud dell’Italia.
49 Cfr. G. Toscano, Le Moyen Âge retrouvé: Millin et Ingres à la découverte de Naples
‘angevine’, in Ingres, un homme à part?: entre carrière et mythe, la fabrique du personnage, a
cura di C. Barbillon, P. Durey, U. Fleckner, La Documentation Française, Paris
2009, pp. 275-310.
50 Millin a Böttiger, Rome 9 janvier 1812, in Aubin-Louis Millin et l’Allemagne...,
lettera n. 102, p. 514.
51 Millin a Capecelatro, Reggio [Calabria], 22 juin, 1812. Bnf, Mss. fr. 24681,
fol. 4 v.
52 Proprio negli stessi mesi (dal settembre al dicembre 1811) era in Italia
Dominique-Vivant Denon con la missione di prelevare una scelta di quadri
“primitivi” destinati al Musée Napoléon: cfr. M. Preti-Hamard, L’exposition des
‘écoles primitives’ au Louvre: ‘la partie historique qui manquait au Musée’, in DominiqueVivant Denon: l’œil de Napoléon, catalogo della mostra (Parigi, 20 ottobre 1999 - 17
gennaio 2000) a cura di P. Rosenberg, M.-A. Dupuy, Editions de la Réunion des
Musées Nationaux, Paris 1999, pp. 226-253.
53 Le notizie di questo personaggio si ricavano dalla corrispondenza di Millin.
54 E.Q. Visconti, Il museo Pio-Clementino descritto da Ennio Quirino Visconti, 7
voll., Roma 1782-1807 (il primo volume redatto da Giovanni Battista Antonio
Visconti); F.A. Visconti, G.A. Guattani, Il museo Chiaramonti aggiunto al PioClementino da n. S. Pio VII con l’esplicazione de Filippo Aurelio Visconti e Giuseppe
Antonio Guattani. Pubbl. da Antonio d’Este e Gaspare Capparone, 2 voll., Roma 1808.
55 Non mi è stato per ora possibile rinvenire i disegni e le incisioni di
Bartolomeo Pinelli, spesso menzionati nella corrispondenza Millin - Cancellieri.
Millin parla di questo progetto di pubblicazione anche nella sua corrispondenza
con Böttiger: «Hartmann a tort de publier le Musée Chiaramonti, cet ouvrage est
indispensable pour ceux qui ont un gout decidé pour l’antiquité et qui possedent
le Musée Pio Clementin mais il lui est bien inferieur je ne dis pas seulement
pour le texte mais aussi pour les planches elles ne representent guere que des
statues et des bustes, dans lesquels on n’a guere tenu compte des restaurations,
les bas reliefs y sont peu nombreux, il y en a je crois deux ce sont des autels
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temi di Critica e Letteratura artistica
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con le opportune illustrazioni tutti questi monumenti, come attesta il ch. Charles
Guillaume Krafft nella Notice sur Aubin Louis Millin […] Parigi 1818 […]
dice M. Millin rapporta un recueil précieux et unique d’inscriptions depuis le
cinquième siècle jusqu’à l’année 1450. Avec les desseins des figures, qui ornent
ces monuments». Devo la segnalazione e la trascrizione di questo documento a
Fabrizio Federici il quale ha condotto importanti ricerche su Francesco Gualdi.
Si veda: F. Federici, Il trattato Delle memorie sepolcrali del cavalier Francesco Gualdi: un
collezionista del Seicento e le testimonianze figurative medievali, in “Prospettiva”, 110111, aprile-luglio 2003 (2004), pp. 149-159. Lo stesso studioso sta attualmente
preparando un’edizione critica del trattato per le Edizioni della Scuola Normale
Superiore di Pisa.
62 Extrait de quelques lettres adressées à la classe de la littérature ancienne de l’Institut
impérial…, pp. 67-68.
63 Su Seroux d’Agincourt, si vedano i recenti studi: I. Miarelli Mariani,
Seroux d’Agincourt e l’histoire de l’art par les monuments. Riscoperta del medioevo, dibattito
storiografico e riproduzione artistica tra fine XVIII e inizi XIX secolo, Bonsignori,
Roma 2005; Eadem, Les «Monuments parlants»: Seroux d’Agincourt et la naissance de
l’histoire de l’art illustrée, in Histoire de l’art par les monumens depuis sa décadence au IVe
siècle jusqu’à son renouvellement au XVIe: ouvrage enrichi de 325 planches par J. B. L. G.
Seroux d’Agincourt, introduzione al vol. VII, Aragno, Torino 2005; D. Mondini,
Mittelalter im Bild. Seroux d’Agincourt und die Kunsthistoriographie um 1800, Zurich
InterPublishers, Zürich 2005.
64 Per la trascrizione di queste lettere, cfr. M. Preti-Hamard, “Je me suis trouvé
bien neuf en arrivant dans cette ville”. Millin à Rome et ses lettres au ministre de l’Intérieur
comte de Montalivet (janvier-février 1812), in “Les Cahiers d’Histoire de l’Art”, 7,
2009, pp. 82-98.
65 Seta blu decorata in seta, argento e argento dorato. Numerose ipotesi sono
state formulate su questo paramento che oggi si ritiene essere un sakkos bizantino
del XIV secolo. Si veda: Byzantium: Faith and Power (1261–1557), catalogo della
mostra (New York, 23 marzo - 4 luglio, 2004), a cura di H. C. Evans, New Haven
and London 2004, cat. n. 177, pp. 300-301 (con bibliografia precedente).
66 Lino decorato in seta, oro, argento e perle, indossato da Bonifacio VIII
nel primo Giubileo celebrato nel 1300 (fine XIII-inizi XIV secolo). Si veda:
Tesori d’arte sacra di Roma e del Lazio dal Medioevo all’Ottocento, catalogo della mostra
Venuti», «madame la princesse de Dietrischtein», «l’atelier de Canova»).
57 Extrait de quelques lettres adressées à la classe de la littérature ancienne de l’Institut
impérial…, p. 69.
58 BnF, Mss. fr. 24656-24674.
59 Riguardo alla copia delle iscrizioni dei Musei Vaticani, Cancellieri scriveva:
«Le Iscrizioni di Guerigi vengono a venti per volta ogni sabato. Onde puo
immaginarsi a qual numero siano giunte. Le profane de’ Magazzeni del Museo
del Vaticano sono scritte a due, e a tre per foglio, quando son corte, per non
abusare della sua generosità, benché la fatica di andare fino al museo, di muoverle,
di alzarle per poterle copiare, sia maggiore di quella fatta per copiare nel suo
gabinetto le Cristiane» (Lettera di Cancellieri a Millin, Roma, 28 giugno 1812, Bnf,
Mss. fr. 24680, fol. 31 r.).
60 I titoli manoscritti descrivono il contenuto dei diversi volumi (BnF, Mss.
fr. 24656-24666): «Vigna Carpegna; chiostro di S. Paolo; biblioteca Vaticana» –
«Cippi posti nel corridore del Museo Vaticano» – «Nelle rimesse dietro il Museo Vaticano; corridore del Museo vicino alla porta della biblioteca; campana
della chiesa S. Balbina» – «Nelle rimesse dietro il Museo Vaticano; stanza dietro
il Museo Vaticano; inscriptiones solo Ostiensi, jussu Pii VII erutæ; iscriptiones
græcæ» – «Inscriptiones antiques de Rome: Dei, deæ, sacrorum ministri … artifices, officinatores, negotiatores» – «Inscriptiones antiques de Rome: Duces exercitus … epitaphia patronorum, liberorum et servitorum» – «Inscriptiones antiques
de Rome: Epitaphia maritorum et uxorum» – «Inscriptiones antiques: Epitaphia
parentum et liberorum, fratrum et sororum, item alumnorum» – «Monumenta
græca et monumenta romana veterum Christianorum» – «Monumenta veterum
Christianorum» – «Epitaphia defuntorum nomine vel ab incertis posita».
61 F. Cancellieri, Notizie sulla storia dell’Accademia dei Lincei, Biblioteca
Apostolica Vaticana, Cod. Vat. Lat. 9683, fol. 469 r.: «Avendo io fatto conoscere
nel 1813 al mio incomparabile amico cavalier Millin l’importanza, e l’utilità di
questo lavoro [l’opera di Gualdi sulle «memorie sepolcrali»], che perciò era assai
da dolersi, che non si fosse ultimato, io l’indussi a intraprenderlo. Egli dunque
incaricò varj esperti giovani di andare a disegnare esattamente i depositi ne’
pavimenti, e ne’ muri di tutte le chiese, e di tutti i chiostri di questa città, per
farne ben rilevare i diversi vestiarj, e di ricopiarne con fedeltà tutte le iscrizioni.
Onde partì carico di questo tesoro, con animo di far incidere, e di pubblicare
Monica Preti-Hamard - Bénédicte Savoy
Un grande corrispondente europeo. Aubin--louis millin...
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405. Le 44 tavole sono conservate sciolte entro un volume gran folio della Bibliothèque nationale de France: Gb-61-Ft 6 (113 cm.)
79 Lettera non datata (ma 1817) di Millin a Auguste comte de Forbin, BnF,
Mss. fr. 24686, foll. 182-184. Se ne veda la trascrizione in appendice.
80 Sull’affermarsi dell’importanza dell’esperienza visiva negli studi antiquari,
si veda l’ormai classico: A. Momigliano, Ancient History and the Antiquarian, in
“Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, 13, 1950, pp. 285-315; anche
in Contributo alla storia degli studi classici, I, Roma 1955, pp. 67-106. Si veda inoltre:
A. Schnapp, La conquête du passé. Aux origines de l’archéologie, Carré, Paris 1998 (trad.
italiana: La conquista del passato: alle origini dell’archeologia, a cura di G.P. Tabone,
Leonardo, Milano1994.
(Roma, 1 novembre 1975 - 11 gennaio1976) a cura di M. Andaloro, A. Costamagna, L. Cardilli Alloisi, Roma 1975.
67 Bnf, Mss. fr. 24680, fol. 22r.
68 BL, Add 22891-Vol. VII: «Il sera mieux sans doute de calquer le dessin de
la chape: cela sera moins long et moins couteux mais si on ne peut le trouver il
faudra le faire d’après l’original».
69 Bnf, Mss. fr. 24680, fol. 24 r.
70 Questa “dissertazione” fu pubblicata postuma (Description d’une mosaïque
antique du Musée Pio-Clémentin à Rome, représentant des scènes de tragédies; par A. L.
Millin …, P. Didot, Paris 1819). Tuttavia, un «Avertissement» in apertura del
volume indica che l’autore ne aveva completato interamente la preparazione:
Millin, non solo aveva scritto il testo, ma aveva anche diretto l’esecuzione delle
incisioni per le tavole illustrative, tratte dai disegni eseguiti da Gioacchino
Camilli a Roma; aveva inoltre letto la Description all’Académie des belles-lettres,
nella seduta del 10 aprile 1818.
71 Esso si compone ora di 15 membrane sciolte di varia grandezza, ma fino al
1902 questo era lungo circa 10 metri e mezzo. Si veda: P. Franchi de’ Cavalieri,
Il Rotulo di Giosuè: codice Vaticano Palatino Greco 431; riprodotto in fototipia e fotocromografia, Milano 1905.
72 BnF Est., Ad-131-Fol.
73 Cfr. J.B.L.G. Seroux d’Agincourt, Histoire de l’art par les Monuments, depuis sa
décadence au IVe siècle jusqu’à son renouveau au XVIe, 6 voll., Paris 1823, III, Planches
XXVIII-XXX.
74 Florence, 13 juillet, 1813, BL, Add 22891 - Vol. VII. Se ne veda la trascrizione
in appendice.
75 Florence, 18 août 1813, Bnf, Mss. fr. 24680, fol. 179. Se ne veda la trascrizione
in appendice.
76 C. Forni Montagna, Nuovi contributi per la storia del mosaico di Palestrina, in
“Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e
filologiche”, serie 9, vol. 2 1991, pp. 227-293.
77 Si vedano le lettere di Millin a Böttiger (Paris, 28 juin e Paris, 3 octobre 1799)
e di Böttiger a Millin (Weimer, 3 octobre 1799), in Aubin-Louis Millin et l’Allemagne...,
lettere nn. 30, 33, 34, pp. 367-371, 376-380 e 380-383, qui pp. 370, 377-378 e 381.
78 Lettera di Camilli a Millin, Roma, 25 aprile 1816, BnF, Mss. fr. 24679, fol.
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temi di Critica e Letteratura artistica
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S critti d’arte di
C armelo L a F arina
(1786 - 1852)
di Nicoletta Di Bella
Davvero lungo l’elenco delle società scientifiche2 delle quali il
Nostro fu membro; socio promotore dell’Accademia Peloritana
dei Pericolanti3, vi fu accolto come socio ordinario col nome di
“Accertato”, a soli sedici anni, il 20 marzo 1802 e dal 1830 ricoprì il
ruolo di Segretario Generale.
Il primo discorso4 letto nella prestigiosa istituzione nel luglio 1806,
a soli vent’anni, in cui si proponeva di «descrivere le Antichità della
nostra Messina, mostrarne le reliquie, ed additarne i mezzi per
conservarle»5, fu proprio a sostegno della necessità dell’istituzione
a Messina di una Cattedra di Belle Arti e di un Museo Civico6,
inteso con una impostazione e uno spessore culturale ben diversi
rispetto a quelli delle più famose quadrerie di Ruffo, Arenaprimo o
Brunaccini7, delle ricche wunderkammern e delle raccolte di mirabilia,
anche se frutto della stessa molteplicità di interessi. In Sicilia infatti,
C
armelo La Farina, una delle figure più interessanti nel
panorama della cultura messinese dei primi decenni del secolo
XIX, fu uomo politico, archeologo, erudito e conoscitore, di grande
apertura mentale e dotato di una propensione all’indagine filologica
di notevole modernità.
Nato a Messina nel 1786, studiò Lettere classiche all’Accademia
Carolina. Nel 1815 sostituì Andrea Gallo in qualità di professore
di Matematica nella stessa istituzione (divenuta poi Università di
Messina), all’età di soli diciassette anni. In seguitò si laureò a Catania
in Giurisprudenza e dal 1839 insegnò Geometria Trigonometria e
Sezioni Coniche nella neonata Regia Università degli Studi1.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
i primi esiti degli orientamenti più attuali rivolgono la propria
attenzione agli ‘strati medi’ della popolazione, un pubblico di dotti,
scrittori, eruditi e anche artisti, fino a quel momento non ammessi
alle grandi collezioni, che con la diffusione dell’istruzione richiedono
e ottengono l’accesso agli oggetti e alle fonti8. Le raccolte, le
biblioteche, insieme alle accademie, diventano i principali strumenti
di formazione intellettuale dei nuovi ceti borghesi9. Non mancano a
diverso livello locale dimostrazioni concrete di organi di propulsione
culturale e didattica quali il ‘museo’, con annessa biblioteca e sede
dell’Accademia degli Etnei, del principe di Biscari Ignazio Paternò di
Castello, «inaugurato a Catania nel 1758 per “l’utilità degli studiosi
e il decoro della patria” ammirato dal Riedesel e da Goethe»10.
Il discorso di Carmelo La Farina può intendersi un vero e proprio
manifesto ideologico della sua attività futura: «descrivere le antichità
di Messina»11 – sia quelle ritrovate casualmente tra le macerie
scampate ai terremoti sia i manufatti archeologici esito delle
campagne di scavo –, recuperandole, mostrando e conservando gli
originali nei musei, valutando i danni dell’incuria del tempo e degli
uomini e i rischi ancora incombenti, eventualmente sostituendo gli
originali con delle copie esposte alle intemperie, come confermerà
anche in anni più maturi12, agganciandosi alla tradizione storiografica
precedente, che, già con figure di eruditi quali Francesco Susinno13,
Antonino Mongitore14,
Gaetano Grano15 e
Jakob Philipp Hackert16,
Fedele da San Biagio17,
aveva sottolineato l’importanza del recupero
delle fisionomie cittadine
attraverso la ricostruzione del panorama
artistico locale18.
Il proposito di realizzare
un Museo Civico entro
le mura del Palazzo
Senatorio aveva riscosso
Ignoto, Ritratto di Tommaso Alojsio Juvara, notevole successo tra
Palermo, Biblioteca Comunale. Foto Enzo Brai.
gli Accademici19 che,
spronati dall’abate Cassinese D. Gregorio Cianciolo20 – strenuo
sostenitore insieme a La Farina e in quegli anni alla loro guida –
collaborarono fattivamente mediante la donazione di pregiate opere
d’arte21. Queste prime collezioni, in seguito, furono ulteriormente
implementate grazie alla partecipazione del Senato messinese che
intervenne sia assegnando alcuni locali, sia tramite finanziamenti,
Nicoletta Di Bella
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
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numero 3 - maggio 2011
scambi e acquisti, tra i quali i cinque pezzi superstiti del Polittico di
San Gregorio di Antonello da Messina22.
Intanto La Farina, cui era stata conferita da parte del Senato cittadino
la nomina a Prefetto onorario23 del neonato Museo Civico sito
presso i locali dell’ex Archivio degli Atti Notarili, veniva inviato in
vari posti dell’Isola per acquistarvi monete24, ceramiche, marmi ed
altri oggetti che andavano ad ampliare le collezioni25, ulteriormente
accresciute a seguito della soppressione delle Corporazioni religiose
nel 1866 e al trasferimento nei locali dell’antico monastero di San
Gregorio26.
L’interesse per l’istituzione di borse di studio e la grande attenzione
per le arti figurative compaiono spesso quali tematiche ricorrenti in
molti dei dibattimenti cui egli prese parte all’Accademia Peloritana27.
Il supporto ai giovani artisti è difatti una delle costanti che traspaiono
negli scritti dell’erudito messinese28, sebbene l’apprezzamento
per l’arte contemporanea, nel momento in cui vengono meno la
committenza religiosa e quella laica tradizionale, sia subordinato
alle capacità di emulare l’antico e di esaltare le patrie glorie29.
Strenuo sostenitore di giovani promesse locali30, La Farina
propugnava presso il Municipio lo stanziamento di borse di
studio31 al fine di consentire alle nuove leve di completare la propria
formazione all’estero, perfezionandosi in contesti culturalmente
più aggiornati32. L’attenzione alla formazione degli artisti è pari
all’apprezzamento senza riserve nei confronti dei grandi nomi del
momento: tra tutti Antonio Canova, Bertel Thorvaldsen, Pietro
Tenerani33, esponenti di quella cultura neoclassica che ebbe in La
Farina uno degli animatori nel contesto messinese e di cui ennesimo
riflesso è la passione per l’archeologia.
Ancora nell’Ottocento il pensiero predominante in Sicilia è
caratterizzato da riflessioni di impronta winckelmanniana, che
avevano consolidato nella coscienza intellettuale locale – grazie
anche alla pratica, ancora in voga, da parte di visitatori stranieri,
di compiere il viaggio in Sicilia allo scopo di indagare i reperti
dell’antichità – l’idea di un retaggio da riscattare, in un contesto
di rifiorita attenzione nei confronti dell’archeologia sostenuta
anche da molteplici iniziative, quale ad esempio, l’istituzione della
“Commissione di Antichità e Belle Arti” ad opera del governo
Borbonico nel 182734.
Non è semplice delineare brevemente le idee sull’arte dominanti
a Messina nella prima metà dell’Ottocento. Sin da un primo
sguardo, infatti, risulta evidente come le correnti culturali della città
peloritana siano frutto di contraddizioni e integrazioni derivate
da un’estrema varietà di situazioni che si concretizzano nell’opera
degli artisti e negli scritti degli esponenti della letteratura critica.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
48
numero 3 - maggio 2011
Il più disaminato
dei
dibattiti
del
periodo, la polemica
tra Neoclassici e
Romantici, vede il
Nostro tra i suoi
interpreti messinesi35.
Sebbene la posizione
provinciale dei protagonisti della vicenda
culturale non consenta di definire quale
vera e propria querelle
l’atteggiamento conflittuale e le vistose
contraddizioni tra le
Pietro Tenerani, Monumento a Ferdinando II di
Borbone, Messina, giardino di via Garibaldi. due tendenze di
gusto36, l’attenzione
ad estenuati modelli di cultura neoclassica, e l’attrazione verso
suggestioni romantiche ancora accademizzanti, mancò di forti
tensioni, nonostante il moltiplicarsi di periodici tematici37, il
contributo apportato da studi di stampo europeo38 e i molteplici
saggi di eruditi di cultura illuministico-borghese.
L’aspetto più evidente si ebbe in un’accezione classicistica di
derivazione accademica sulla scorta della coeva trattatistica
francese39 che ribadiva i seicenteschi principi di “nobiltà” e
“decoro”40 e gli ormai abusati assunti di supremazia del disegno
sul colore e di “Bello” connaturato all’arte classica già ampiamente
permeati in ambito locale41, ma che sfociò in un rinato amore per
le arti, esplicitato da molteplici iniziative. L’apporto di alcuni spunti
prettamente romantici, maggiormente evidenti dopo gli anni ’30,
non venne disdegnato, ma incontrò difficoltà ancor maggiori
a causa della poderosa matrice culturale borbonica saldamente
ancorata in Sicilia42 e che all’indomani dell’Unità tornerà a farsi
sentire, seppur in senso più eclettico e con diverse implicazioni
ideologiche43. Nel primo quarantennio del secolo, si affacciavano
in Sicilia i primi tentativi di affermare le nuove istanze romantiche,
fortemente osteggiate dagli spiriti più conservatori, in una sorta di
istinto di protezione del clima intellettuale locale.
Soprattutto tra i membri più giovani dell’Accademia Peloritana
emerge qualche tentativo di approccio a posizioni che in ambito
extra-isolano appaiono già consolidate, per quanto timidamente
difese. Tra i dibattiti discussi in quegli anni all’Accademia, quello del
1832 intitolato Del Romanticismo44 di Felice Bisazza45, autore appena
Nicoletta Di Bella
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
49
numero 3 - maggio 2011
ventitreenne, che esponeva la sua testimonianza
Questa volontà di ricostruzione si orientò in senso estremamente
eclettico, in un mix di neomanierismo, revival gotico, riesumazioni
rococò e espedienti neopalladiani sulla scia della presenza inglese
nella Sicilia di quegli anni51, in un momento in cui era fortemente
sentita l’esigenza di ricostituire un senso di continuità con i fasti
del passato seppur adeguandosi nella forma alle richieste della
committenza, mentre le nuove spinte romantiche si mantenevano a
livello epidermico, insufficienti per modificare in modo profondo la
‘formazione intellettuale’ nel suo complesso, ogni aspetto dell’arte,
ma anche la moda, il costume e le arti decorative.
Il tentativo di superamento della percezione di decadenza causata
della perdita di modelli culturali per la generazione degli artisti di
quegli anni52, in bilico tra la memoria di una produzione artistica
classicheggiante e i nuovi contenuti ‘spirituali’, riscattava appieno,
nella portata degli interessi, la qualità non sempre eccelsa53,
innestandosi perfettamente con la nascita di iniziative quali
l’istituzione del Museo Civico e la promozione dei giovani artisti da
parte dell’Accademia Peloritana54.
con un sostanziale fraintendimento dello spirito romantico. La
posizione di “equilibrista” che molta critica gli imputò, il tentare
una conciliazione tra due schieramenti che nell’Isola vedevano i
classici in netta preponderanza sullo sparuto gruppo romantico,
rivela non solo la difficoltà (o forse meglio, la paura dettata anche
da un abito spirituale irresoluto) di assumere atteggiamenti netti,
ma anche la fatica a comprendere fino in fondo la portata della sua
stessa proposta46.
I
l pungolo liberale portato dai moti del ’48 caldeggerà il pensiero
romantico tra i teorici siciliani e i custodi del patrimonio artistico
isolano, talvolta incarnati in figure di spicco del movimento
risorgimentale47. Fino ad allora era mancata in Sicilia una vera e
propria speculazione teorica – ad esclusione di generiche indicazioni
sui manufatti architettonici48 – benché una prima manifestazione
delle nuove tendenze si fosse palesata sulla stampa periodica49 –
soprattutto in dispute ancora lontane dalla ricerca di vere e proprie
nuove articolazioni formali – per progetti e restauri della città,
sull’impeto dello slancio architettonico nato successivamente al
sisma del 178350.
Tra la fine degli anni ’20 e i primi anni ’30 alcune memorie
archeologiche55 – ma anche un studio di natura scientifica56 – a firma
di La Farina appaiono anche tra le pagine del palermitano “Giornale
di Scienze, Lettere ed Arti per la Sicilia”, di cui è collaboratore
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
50
numero 3 - maggio 2011
ordinario57, già dal 1823,
per esplicita richiesta del
Marchese delle Favare,
Direttore Generale di
Polizia e Luogotenente
Generale di Sicilia. La
partecipazione al “Giornale”, diretto da Giuseppe
Bertini, si conclude nel
’33 con la pubblicazione
delle prime notizie su
un giovane incisore
messinese, nell’articolo
intitolato Messina. Biografia Tommaso Alojsio Juvara, Ritratto di
Carmelo La Farina, Messina, Biblioteca
di Tommaso Aloisio58.
Universitaria Regionale.
Il Nostro affronta questioni
connesse all’archeologia in diversi saggi. Del 1822 è il volume Su di
un antico sarcofago nella chiesa de’ PP. Conventuali di Messina59, corredato
da un’incisione in rame. Ancora nel ’32 ribadisce il suo interesse
verso temi di natura archeologica pubblicando nella città dello
Stretto un interessante contributo relativo al rinvenimento di un
sepolcreto romano60 a seguito degli scavi della piazza S. Giovanni
Gerosolimitano, da lui diretti su incarico del marchese della Cerda.
Nel 1844 pubblica per i tipi di Giuseppe Fiumara una memoria
intitolata Sopra un anello segnatorio. Considerazioni61. Fu anche recensore
per la “Sentinella del Peloro”62, un periodico di idee liberali e
progressiste che ebbe però breve vita63.
P
er quanto gli scritti di La Farina risentano della sua formazione
classicistica, l’attenzione alle opere dell’antichità si palesa anche
nell’interesse per il recupero, la conservazione e la tutela di prodotti
medievali64 e l’esposizione nei musei di «opere vetustissime, […]
monumenti rimasti dell’età di mezzo e de’ secoli bassi», oltre che di
reperti di storia naturale e di “macchine” moderne65. Un’attenzione
che, va sottolineato, è un’esigenza di tutela che sebbene arrivi a
sfiorare tendenze di gusto romantico66, è in realtà una necessità
di natura conservativa connessa alla volontà di incrementare
continuativamente le collezioni museali67. Anche in questo caso
si tratta di un fenomeno tutt’altro che provinciale, prodotto della
cultura illuministica e delle manifestazioni più floride dell’erudizione
locale, non legato esclusivamente a rivendicazioni campaniliste
nemmeno in quei casi in cui l’apertura critica ed estetica furono
meno accentuate68, bensì diffuso a livello europeo: opere d’arte
Nicoletta Di Bella
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
51
numero 3 - maggio 2011
e vestigia dell’antichità acquistano nuovi significati alla luce dello
studio delle fonti e si trasformano a loro volta in «semiofori»69.
I manufatti di epoca medievale, considerati emblemi di un periodo
di magnificenza e autonomia politica dell’Isola, ben si prestavano
al ruolo di portavoce del messaggio di «memoria di antiche glorie
italiane»70 e pertanto
divennero oggetto delle
«cure pressoché esclusive
di quanti operavano
nel campo della tutela
degli edifici storici»71,
dando le mosse ad
un’azione di salvaguardia metodologicamente
fondata alla ricerca delle origini, promuovendo
massicce campagne di
interventi, e soprattutto
nella seconda metà del
secolo, ad operazioni di liberazione dalle
Carmelo La Farina, Intorno le belle arti,
superfetazioni settecenMessina 1835.
tesche arrivando talvolta a sconcertanti
restauri di ripristino e ad
integrazioni, sebbene a
Messina in modo meno
invasivo che a Palermo72.
La ricchezza e la varietà delle problematiche
affrontate dal poliedrico
studioso raggiunge il
suo apice nelle lettere
pubblicate sui più
prestigiosi periodici
isolani, in cui rettifica
molte notizie errate73, Carmelo La Farina, Intorno le belle arti,
Messina 1835, frontespizio.
dà notizia di acquisti
effettuati per la «pubblica galleria, in cui come bello sacrario si sono
ricolti i dipinti della scuola messinese»74, oltre che a segnalare la
presenza di opere credute perdute – sia a Messina che nelle zone
limitrofe – e a suggerire attribuzioni, sempre fornendo un’accurata
documentazione in proposito75. E ancora ricorda acquisizioni di
manoscritti e documenti da parte dell’Accademia Peloritana dei
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
52
numero 3 - maggio 2011
Pericolanti76, a dimostrazione della modernità
del suo atteggiamento di grande apertura verso
l’indagine filologica che lo porta al voler sempre
trascrivere personalmente le notizie d’archivio,
riportando con estrema accuratezza date,
firme, iscrizioni di fondamentale importanza per la ricostruzione documentaria,
iconografica e iconologica di opere ormai
perdute e ad una costante verifica delle fonti
(Giuseppe Buonfiglio77, Placido Samperi78,
Caio Domenico Gallo79) e non solo locali,
ma anche Vasari80 e Lanzi81 cui corregge non
poche sviste, dimostrando un atteggiamento
estremamente aggiornato, che trovava illustri
riscontri nell’ambito della critica filologica
internazionale82. È il caso della biografia di
Onofrio Gabrieli83 della quale emenda alcuni
errori84, pubblicando tra le altre notizie,
il documento di Battesimo che consente
di anticipare di tre anni, al 1619, la data di
nascita fino a quel momento tramandata dalle
fonti85. Anticipa anche al 165086 il ritorno in
patria dell’artista dal soggiorno tra Napoli,
Roma e Venezia, grazie ad un documento
ritrovato nella Sagrestia della chiesa di S.
Paolo delle Monache, che fissa a quella data
anche l’esecuzione del Martirio di S. Placido del
Marolì87, suo concittadino e compagno durante
i nove anni del periodo veneziano, di cui Lanzi
dà un giudizio molto poco lusinghiero88.
T
Antonio Catalano “il Vecchio”, Sacra
Famiglia con S. Anna, Cefalù (PA), Chiesa
dei Cappuccini. Foto Enzo Brai.
Nicoletta Di Bella
ra le comunicazioni più interessanti
fornite da La Farina, le notizie relative ad
Antonio Catalano89 nella quarta lettera, indirizzata a Giuseppe Grosso Cacopardo90, in cui
espunge dal catalogo dell’artista la Madonna
del Rosario per la chiesa dell’Annunziata “alla
Ciaera”, firmata «minchello cardili fec»,
recuperata dopo il terremoto del 1908 e oggi
in deposito al Museo regionale di Messina91
aggiungendo un altro nome alla famiglia dei
pittori Cardillo e la S. Anna nella chiesa di S.
Giovanni nel villaggio Castanea92, chiaramente
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
53
numero 3 - maggio 2011
firmata e datata «gaspar camarda pingebat 1612», estendendo l’arco
temporale entro cui collocare l’attività dell’artista93, cui assegna
anche la Madonna del Rosario di Venetico, firmata e datata 160694.
Le Lettere Artistiche, dedicate ai più autorevoli membri della cultura
isolana – in ordine di successione a Agostino Gallo95, Pietro Lanza96,
Lazzaro Di Giovanni97, Giuseppe Grosso Cacopardo98, Placido
Vasta99, Nicolò Americo Fasani100, Giuseppe Alessi101, Gaetano
Grano102, Francesco Arrosto103, Tommaso Aloysio Juvara104–
vennero raccolte da La Farina nel 1835 in un volume intitolato
Intorno Le Belle Arti, e gli Artisti fioriti in varie epoche in Messina – Ricerche
di Carmelo La Farina ordinate in più lettere105. Edito a Messina dalla
Stamperia Fiumara, la stessa dello “Spettatore Zancleo”, consta
di 94 pagine comprendenti l’indice delle lettere e le errata corrige.
Ricevette lusinghiere recensioni in ambito locale106, ma anche su
Giuseppe Arifò109, Carlo Gemmellaro110, Salvatore Betti111, Lorenzo
Majsano112, Carmelo Allegra113, tratte da periodici quali “Lo
Spettatore Zancleo”, “il Faro”, “Scilla e Cariddi”114. La Corte non
seguì l’elenco115 redatto originariamente da La Farina, ma ne ricopiò
le note autografe e fornì copie dattiloscritte degli originali116, nelle
quali, in una chiosa, fornisce la spiegazione del metodo seguito
per la redazione di postille e annotazioni117. La Corte Cailler
precisa anche l’intenzione di La Farina di ripubblicare un volume
comprensivo di tutte le lettere, probabilmente ventiquattro118 e
fornisce un lungo elenco degli artisti e degli argomenti che il Nostro
aveva trattato o aveva intenzione di trattare119.
Le lettere impostate secondo una formula stilistica convenzionale, un preambolo dedicato al destinatario, il vero e proprio
articolo denso di notizie storiche e documentarie già accennate nel
titolo e la conclusione con un breve commiato, come già osservato,
furono, inizialmente in gran parte pubblicate sullo “Spettatore
Zancleo”120 e si ponevano in modo speculare agli scritti di Giuseppe
Grosso Cacopardo apparsi sul periodico “Maurolico”121 – della cui
riviste non isolane, ad esempio il “Giornale Arcadico” di Roma, la
“Gazzetta Privilegiata” di Bologna.
U
na Seconda Parte delle lettere, raccolta da Gaetano La
Corte Cailler107 e da lui intitolata Intorno le Belle Arti, e gli artisti fioriti
in varie epoche in Messina - Ricerche ordinate in più lettere, Parte II, Messina
1835-1845, consta di sette lettere indirizzate ad Anastasio Cocco108,
Commissione deputata alla compilazione egli fece parte – negli
stessi anni.
Anche nei saggi più brevi La Farina mostra la sua obbiettività
e competenza nel ricostruire cronologie di artisti ignorati, nel
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
54
numero 3 - maggio 2011
rinnovare il catalogo di quelli già
parzialmente noti e nel documentare
personalità fino a quel momento
sconosciute, sempre con precisa analisi
filologica e riscontro dei documenti
d’archivio, manifestando lo sguardo
attento dell’esperto conoscitore122.
Nella quinta lettera123, la figura di
Francesco Laganà, artista pressoché
ignoto, viene arricchita da interessanti
attribuzioni dell’erudito messinese
che gli riconferma la paternità della
Madonna del Rosario della chiesa dei
PP. Basiliani di Mili Superiore (Me)124
irridendo l’ignoranza dell’artista
che si firma francesco. laganà. §
pingebat. 1B38, scambiando la B col
il 6. Riconducendo i modi del pittore
a quelli di Andrea Quagliata, passa
a segnalare due dipinti non ricordati
dalle fonti, il San Liberale Vescovo, nella
chiesa di S. Liberale a Messina, firmato
Giovan Paolo Fonduli, Andata al Calvario, Castelvetrano
(TP), chiesa di S. Domenico. Foto Enzo Brai.
Nicoletta Di Bella
e datato 1625 e l’Angelo Custode, per il
convento di S. Agostino a Taormina,
firmato e datato 1627, che considera
opere giovanili125.
È la competenza dettata dall’esperienza e dall’uso di un occhio attento
ed allenato che lo spinge a confutare,
nella terza lettera, datata 20 gennaio
1834 126 e diretta a Lazzaro Di
Giovanni, la permanenza a Messina
dell’artista cremonese Giovan Paolo
Fonduli127, affermando che la tavola
firmata io. paulus funduli cremonen.
pingebat 1593 e rappresentante San
Diego, realizzata per il convento degli
osservanti di S. Maria di Gesù inferiore
e successivamente passata al Museo
Nazionale, non fosse stata eseguita
nella città del Peloro, come affermato
da Grosso Cacopardo128, ma che si
trattasse di una copia di quella dipinta
per la chiesa degli Osservanti di
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
55
numero 3 - maggio 2011
Palermo nel 1589 e passata successivamente in casa
del Principe di Palagonia.
Polidoro da Caravaggio, S. Giordano, Adorazione
dei Pastori, Messina, Museo Regionale (già Messina, chiesa
di S. Maria dell’Altobasso). Foto Enzo Brai.
L’acume nella ricerca d’archivio e l’attenzione nello studio delle fonti, si palesano
ancora una volta nella seconda lettera, indirizzata a Pietro Lanza, intitolata
Sull’anno di morte di Polidoro Caldara da Caravaggio129, artista che ebbe grande fortuna
nelle pagine della letteratura artistica isolana, nella quale il Nostro, inizia con una
lunga annotazione biografica tratta dalle pagine di Vasari130 e precisa subito: «benché
[questo racconto] paja sottile e minuto, m’induce ad alcune osservazioni, da che
può torsi argomento di varie inesattezze»131, dimostrando con acuti ragionamenti
come la data del 1543, indicata come anno di morte dell’artista lombardo, fosse
errata, anche se sino a quel momento accettata anche dalla trattatistica locale132
che aveva contestato quanto sostenuto in merito al luogo di sepoltura. Il brano
di Vasari viene criticato punto per punto da La Farina che ne demolisce le ipotesi
di fondatezza dimostrando la superficialità con cui nelle pagine dell’aretino erano
esposti numerosi avvenimenti, quali la realizzazione degli apparati trionfali133 in
occasione della venuta di Carlo V nel 1535, e collocati cronologicamente dal toscano
prima dell’esecuzione della celebre Andata al Calvario di Polidoro, oggi al Museo di
Capodimonte, di cui si hanno notizie certe134. Uno degli argomenti che La Farina
porta a sostegno della propria tesi è la data di consegna del dipinto dell’Adorazione
dei Pastori, commissionato al Caldara dai confrati di S. Maria dell’Alto (Me), portato
a termine, secondo le fonti, dal Guinaccia135. Il dipinto, ipotizza La Farina citando
Samperi, rimase incompiuto a causa della morte improvvisa dell’artista, da fissarsi
dunque poco oltre il 1534136; in realtà la data di consegna dell’agosto del ’34 è
nota solo dal documento di commissione stipulato il 5 febbraio 1533137. Il Nostro
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
sottolinea ancora che dal 1535 cessa
ogni notizia sul pittore lombardo;
inoltre, nessuna menzione ai fatti
criminosi che portarono alla morte
di Polidoro è accennata nei registri
della Confraternita degli Azzurri,
fondata nel 1541 con la funzione di
assistere i condannati a morte, né si
trovano memorie di eventuali spese
processuali nell’archivio della Corte
Stratigozionale o nei libri della Tavola
Pecuniaria138. Questi elementi, lo
portarono dunque a sostenere la tesi
di un possibile scambio di cifre nella
datazione proposta da Vasari139.
Ancora una volta, sono le puntuali
indagini documentarie che consentono
a La Farina di rilevare, nella lettera
indirizzata a Francesco Arrosto140,
notevoli incongruenze nella cronologia
Polidoro da Caravaggio, Andata al Calvario, Napoli, Museo e
relativa a Giovanni Simone Comandè Gallerie Nazionali di Capodimonte (già Messina, chiesa
dell’Annunziata dei Catalani). Foto Enzo Brai.
tramandate dalla storiografia artistica,
Nicoletta Di Bella
consentendo di anticipare la tradizionale
data di nascita del 1580 al 1558141.
Lo stesso dicasi per le correzioni
apportate alla biografia di Filippo
Tancredi142, figura di spicco nella
produzione pittorica non solamente
isolana del secolo XVII, di cui
anticipa la data di morte dal 1725143
al 13 ottobre 1722, nella sesta lettera
rivolta a Felice Bisazza, nelle quali,
ricostruendo il profilo del pittore
puntualizza la genealogia materna
dell’artista, concludendo con parole
taglienti: «[…] quali cose, mio caro
Felice, ho voluto sporti, perché tu ti
facessi accorto della poca o nissuna
diligenza di alcuni scrittori che a
furia lanciata ti dicono le più curiose
novelle di questo mondo»144. Rettifiche
a datazioni proposte dalle fonti sono
presenti anche nella dodicesima lettera
intitolata Si fissa l’anno del ritorno in patria
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
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del famoso dipintore
Antonino Barbalonga
da Messina145, dedicata
a Tommaso Aloisio
Juvara, possessore
di un bozzetto del
Barbalonga per il
dipinto raffigurante
San Filippo Neri146.
Le riflessioni dello
studioso messinese
avevano fornito un
ricco apporto alla
critica a lui più
prossima e a quella sucFrancesco Cardillo, Madonna col Bambino,
cessiva, ad esempio S. Anna e S. Venera, Novara di Sicilia (ME),
nella
ricostruzione chiesa Madre. Foto Enzo Brai.
della figura di artisti poco conosciuti, quali Francesco Laganà, o
Andrea Quagliata, o dei pittori Francesco e Stefano Cardillo. Questi
ultimi, padre e figlio, furono oggetto della prima lettera indirizzata
ad Agostino Gallo147, in cui La Farina esordisce evidenziando subito
la vaghezza di informazioni sicure relative alla figura dei due artisti,
ribadendo ancora una
volta la necessità di
valutare senza leggere
«a spento lume le altrui
opinioni intorno alla
cronologia degli artisti,
elemento necessariissimo per la storia
critica delle belle arti»
attingendo «a buone
sorgive, dopo non poche operose ricerche,
e disamine»148. Nella
piena applicazione del
“metodo” proposto,
Francesco Cardillo, Pietà, Castroreale
lo studioso prosegue
(ME), chiesa Madre. Foto Enzo Brai.
con una breve analisi
delle notizie sui due artisti messinesi pervenute fino alla redazione della
Memorie di Hackert-Grano149 che include il pittore “Cardillo” nella scuola
di Polidoro, citando Samperi150, Buonfiglio151 – che prendeva in esame
esclusivamente la figura di Francesco – ma anche Caio Domenico
Gallo152, che a sua volta citava il manoscritto di Francesco Susinno153.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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dei Mercanti, citando il brano in cui l’autore delle Memorie messinesi
descrive il dipinto quale opera di «Francesco Cardillo messinese di
tanta perfezione che i nostri lo rapportano come opera di Rubens»163.
Contesta a Grosso Cacopardo di aver anche affermato, riferendo
l’opinione di Caio Domenico Gallo, che Cardillo dipingeva con
“grazia” e “tenerezza” tali da farlo confondere col Correggio164 e
sottolinea come la sua opinione fosse condivisa da autorevoli firme,
quale ad esempio Giuseppe Bertini, che già alla precoce data del ’23
scriveva:
Nella lettera è presente solo un breve accenno154 all’attività di
ritrattista per cui l’artista era celebre, ma fornisce notizie più attuali
citando Grosso Cacopardo155 che, rifacendosi a sua volta a quanto
affermato da Gallo, aveva confutato l’attribuzione a Francesco
dei due quadri del Monastero dell’Alto raffiguranti S. Benedetto e S.
Bernardo, perduto, e la Visitazione156, gravemente danneggiata durante
il terremoto del 1908 e oggi al Museo Regionale di Messina, mentre
gli riferisce la tela firmata «Cardillus me fecit» in un piccolo cartiglio
retto nel becco da un cardellino157, raffigurante la Madonna del Soccorso
col Bambino incoronata da angeli tra San Michele e San Francesco della
chiesa Madre del comune di Soccorso158, riportando erroneamente
il titolo di Natività.
Anche la Strage degli Innocenti nel chiostro del Carmine, perduta
durante il terremoto del 1783159, è citata da La Farina come opera
di Francesco sulla scorta di quanto scritto dal Grosso Cacopardo160,
mentre Susinno la dice opera di Stefano e Gallo la legge inizialmente
quale frutto di una collaborazione tra i due, ipotesi che La Farina
smentisce decisamente affermando che i pittori non lavorarono
mai insieme dato che il padre morì quando Stefano era appena
dodicenne161. Segnala, ancora, la Madonna di Monserrato per la
cappella del castello di “Consaga” (Gonzaga), commissionata da
Francesco Beltrandes e datata 1600162 e il San Francesco per l’Oratorio
chi non darebbe, per figura, in grandi scrosci di risa all’udire lo
storico Gallo che credè di Rubens il quadro di S. Francesco fra le
spine di Stefano Cardillo? Né ha maggior peso quanto dello stesso
scrive il N. A. Questa pittura a chi non conosce il Cardillo, sembra un’opera
del Coreggio: tale e tanta è la grazia e la tenerezza colla quale è dipinta165.
È interessante notare come La Farina avesse infatti superato il topos
della storiografia siciliana del XIX secolo che tendeva a ricordare
acriticamente la produzione artistica isolana del ‘600 nell’ambito del
classicismo di derivazione raffaellesca. Il Nostro prosegue l’aspra
critica al suo conterraneo osservando come questi perseverava
nell’errore, scambiando volutamente padre e figlio «senza quel fior
di critica, di cui è usato far tesoro nelle sue filologiche ed artistiche
Nicoletta Di Bella
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
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disamine»166, pur di non ricusare
l’attribuzione della Madonna di
Monserrato167 a Stefano, alla luce
delle evidenti affinità stilistiche con
la Pietà rinvenuta a Castroreale168,
datata 1603 e firmata Francesco169.
La Farina espunge dunque dal
catalogo di Stefano tutte le opere
note, perdute e non, seppur lasciando una possibilità per la
distrutta Strage degli Innocenti, ipotesi
con la quale concorda la critica
più recente170. Si limita a segnalare
Il fa per tutti, o sia calendario e notizie per alcuni dati biografici reperiti nel
l’anno 1814, copertina, 1814.
corso delle sue ricerche: l’anno di
nascita, 1585, il matrimonio con Flavia Cuttuni appena diciottenne,
il 27 gennaio 1613, e la data di morte, l’1 febbraio 1635171.
il 1812 e il 1822. Già
alla precoce data del
1812, infatti, Carmelo
La Farina fornisce
alcune brevi notazioni
di carattere artistico,
non mancando di
apportare alcuni importanti e preziosi
contributi, segno di
un’attenzione che
gli consentirà di
effettuare in anni
più maturi attribuzioni
inedite,
supportate Deodato Guinaccia, Annunciazione, Messina, Museo
dalle sempre più Regionale (già Messina, chiesa di S. Maria delle Grazie).
Foto Enzo Brai.
puntuali ricerche in
archivio e dalla minuziosa analisi delle opere. È il caso, solo per
citare un esempio, della perduta Annunciazione per la chiesa degli
Agostiniani “alla Ciaera” del 1585174, che per primo La Farina assegna
a Deodato Guinaccia175 sulla scorta del confronto stilistico col
dipinto di medesimo soggetto realizzato dall’artista per i Carmelitani
A
lcuni dei temi affrontati nelle lettere erano stati oggetto
della rubrica Notizie sui pittori messinesi172 pubblicata nella “Strenna (o
Calendario Astronomico) Il fa per tutti”173 edita per dieci anni, tra
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
di S. Teresa a Portareale nel 1551
e oggi al Museo di Messina,
già ricordato anzitempo in un
piccolo cameo176.
di intellettuale con aperture e interessi che sembrano presagire
la figura del moderno storico dell’arte – con un orizzonte quasi
pre-venturiano – che ha di certo avuto un ruolo rilevante nello
studio delle vicende artistiche isolane, autore di acute osservazioni
e scopritore di utilissime notizie documentarie fondamentali per
l’avvio di molte moderne ricerche su artisti siciliani.
O
ltre ai numerosi scritti
per gli atti delle varie istituzioni
di cui era membro, gli articoli di
tema artistico e le monografie177,
decisamente corposo è anche
il numero delle riviste alle quali
La Farina apportò contributi di
stampo scientifico e letterario.
Per lo “Spettatore Zancleo” e per
“Il Faro”, scrisse altri interessanti
Saro Zagari, Carmelo La Farina, contributi, quali Congettura sul sito
Messina, Museo Regionale.
dell’antico Nauloco178 e la Biografia
dell’astronomo messinese Antonio Maria Jaci179, oltre che alcuni prospetti
statistici sulla cittadina dello Stretto180, che vennero poi continuati
sul “Giornale degli Atti dell’Intendenza del Valle di Messina” 181.
Appare dunque evidente la versatilità e l’eclettismo di una figura
________________________
L’autore ringrazia Enzo Brai per la ricerca iconografica e la selezione delle
immagini.
1 Carmelo La Farina fu titolare del prestigioso titolo di Cancelliere
Archiviario del Comune. Nel 1811, fu nominato membro e geometra esaminatore
della Deputazione metrica di Messina, dove propugnò l’adozione del sistema
metrico decimale, sebbene fortemente osteggiato dai più. Nel 1828 venne
incarcerato ingiustamente, e tradotto nelle Prigioni Centrali di Palermo, con
le accuse di “falsità in pubblica scrittura” riscontrate su alcuni atti durante le
ispezioni delle Imperiali Reali Truppe Austriache. La sua innocenza fu accertata
dopo un anno di carcere nel forte di Castellammare, a seguito di un ricorso
richiesto dal La Farina stesso. Dopo il reintegro alle mansioni, e ripresa la propria
attività di erudito, Carmelo La Farina ebbe modo di mostrare la molteplicità
dei suoi interessi con una notevole e diversificata mole di pubblicazioni. Fu
anche effettivo al Congresso degli Scienziati nel 1846 e membro della Società
Economica della Provincia di Messina e di quella della Calabria Ulteriore seconda.
Nel 1845-46 ricoprì il ruolo di Giudice di Gran Corte Criminale a Catanzaro. In
merito all’attività politica del La Farina – padre del patriota Giuseppe – egli va
menzionato anche quale membro del Parlamento siciliano durante la rivoluzione
Nicoletta Di Bella
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
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1971, M. Guttilla, Orientamenti estetici e ambiti culturali del restauro tra Settecento e
Ottocento nella storiografia artistica: i Dialoghi palermitani di Fedele Tirrito, in Padre
Fedele da San Biagio fra letteratura artistica e pittura, catalogo della mostra a cura di
G. Costantino, S. Sciascia, Caltanissetta 2002, pp. 73-96; per ulteriore bibliografia
si veda Ead., Pittura e incisione del Settecento, in Storia della Sicilia, vol. x, Editalia Domenico Sanfilippo Editore Roma 2000, pp. 287-364.
3 Fondata nel 1728, l’Accademia rivestiva un ruolo di enorme importanza
nella vita culturale della Messina del tempo. Basti ricordare che l’Università fu nel
1679 abolita, per essere riaperta solo nel 1838 e che dal luglio 1829 all’Accademia
fu concessa la facoltà di conferire lauree. Cfr. G. Oliva, Memorie storiche e letterarie
della Reale Accademia Peloritana di Messina, in “Atti della R. Accademia Peloritana”,
a. V-VI (1884-1888), pp. 1-254.
4 C. La Farina, Discorso Accademico di D. Carmelo La Farina recitato a 2. Luglio
dell’anno 1806, in Discorsi Accademici inediti, ms. sec. XIX della Biblioteca del Museo
regionale di Messina ai segni MS 32. 2, pp. 431-449, ripubblicato in M.P. Pavone,
Aggiunte alla storiografia artistica messinese del primo Ottocento. I “Discorsi” di due soci
dell’Accademia Peloritana: Domenico Bottaro e Carmelo La Farina, in Miscellanea di studi e
ricerche, a cura di G. Barbera, “Quaderni dell’attività didattica del Museo Regionale
di Messina”, 12, La Grafica Editoriale-Edizioni Di Nicolò, Messina 2002, pp. 77101 e in part. 92-101. Cfr. G. Oliva, Memorie storiche e letterarie…, a. CLXXXVIIXLXXXVIII, vol. XXVII, Messina 1916, pp. 168-169.
5 C. La Farina, Discorso Accademico di D. Carmelo La Farina…, sec. XIX, p.
431 [2002, p 92].
6 Ibid., p. 447 [2002, pp. 99-100].
7 G. Grosso Cacopardo, Saggio storico delli varij Musei che in diversi tempi ànno
esistito a Messina, Messina 1853, in Opere, vol. I, scritti minori (1832-1857), a cura di
G. Molonia, Società messinese di storia patria, Messina 1994, pp. 434-475; G.
La Corte Cailler, Pitture già in casa Arenaprimo, in “Archivio Storico Messinese”
(da qui in poi abbreviato in “ASM”), a. III, 1903, pp. 203-207; V. Ruffo, Galleria
Ruffo nel secolo XVII in Messina, in “Archivio Storico Siciliano”, n.s., a. XXXIX,
1914, ff. 3-4, pp. 329-349; Id., Galleria Ruffo nel secolo XVII in Messina (con lettere
di pittori ed altri documenti inediti), in “Bollettino d’Arte”, a. X, 1916, ff. 1-2, pp.
21-64; ff. 3-4, pp. 95-128; ff. 5-6, pp. 165-192; ff. 7-8, pp. 237-256; ff. 9-10, pp.
284-320; ff. 11-12, pp. 369-388; O. Moschella, Il collezionismo a Messina nel secolo
del ’48 in quanto rappresentante dell’Università di Messina. A seguito della
restaurazione borbonica fu rimosso dai numerosi incarichi civili e scientifici che
ricopriva, compresi quelli universitari, quando il suo nome risultò tra quelli dei
professori implicati nelle vicende legate ai moti. Morì a Messina il 28 ottobre
1852. Cfr. G. Molonia, Premessa, in C. La Farina, Intorno alle Belle Arti…, 2004,
pp. 11-39; per il ruolo di esaminatore della Deputazione metrica di Messina e gli
scritti in proposito, cfr. C. La Farina, Relazione del rapporto tra i pesi e le misure usate
in Messina pria di gennaio 1811, ed i pesi e le misure della nuova Legge, in cui vi sono inserite
la Tavola di riduzione delle due corde abolite alla generale di Canne 16 per uso de’ Notaj;
e le cinque Tavole del nuovo sistema metrico della Sicilia, Letterio Fiumara e Giuseppe
Nobolo socj, Messina 1811, pubblicata anche in “Il fa per tutti o sia Calendario,
e notizie per l’anno 1813”, 1812, p. 98. Cfr. anche A. Narbone, Bibliografia sicola
sistematica o apparato metodico alla storia letteraria della Sicilia, vol. III, G. Pedone,
Palermo 1854, p. 30; G. Oliva, Annali della città di Messina continuazione all’opera
storica di C. D. Gallo, con cenni biografici dei cittadini illustri della seconda metà del secolo 19,
vol. VIII, Società messinese di storia patria, Messina 1954, p. 264.
2 La Farina era membro delle siciliane Accademia delle Scienze Lettere
ed Arti (Palermo), Zelanti (Acireale), Civetta (Trapani), Lilibetana (Marsala),
Floriomontana (Monteleone), e fuori dai confini isolani la Società libera di
emulazione (Rouen), l’Istituto di Corrispondenza Archeologica (Roma),
l’Etrusca Accademia (Cortona), l’Istituto e Reale Accademia (Firenze, Arezzo),
la Valdarnese (Montevarchi), gli Incamminati (Modigliana), e infine gli Eutoliti
(San Miniato), Cosentina (Cosenza). Già dal XVII secolo nell’Isola le Accademie
assolvono, insieme alle Biblioteche pubbliche e ai Circoli e alle adunanze letterarie,
al ruolo di cassa di risonanza della cultura erudita locale. Vi si discettava dei temi
più svariati, dando ampio spazio anche a tematiche di respiro europeo, quali il
progresso delle Scienze e delle Arti. Cfr. A. Mongitore, Le Accademie di Sicilia,
ms. del secolo xviii ai segni QqE32, Biblioteca Comunale di Palermo; D. Schiavo,
Saggio sopra la storia letteraria e le antiche Accademie della città di Palermo, E spezialmente
dell’Origine, Istituto e Progresso dell’Accademia del Buon Gusto del Sac. Dott. Domenico
Schiavo direttore di essa Accademia, Socio Colombario di Firenze, ed Accademico Augusto di
Perugia, in Saggi di dissertazione dell’accademia palermitana del Buon Gusto, Stamperia de’
SS. Appostoli in Piazza Vigliena, Presso Pietro Bentivegna, Palermo 1755, vol.
I, pp. III-LI; G. Palermo, Sull’utilità delle pubbliche Accademie, S. Sciascia, Palermo
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temi di Critica e Letteratura artistica
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XVII, EDAS, Messina 1977; Ead., Il depauperamento del patrimonio artistico messinese
dopo la rivolta, in La rivolta di Messina (1674-1678) e il mondo mediterraneo nella seconda
metà del Seicento, atti del convegno (Messina, 10-12 ottobre 1975), a cura di S. Di
Bella, L. Pellegrini, Cosenza 1979, pp. 595-604; S. Di Bella, Collezioni messinesi
del ‘600: quadri dispersi di pittori siciliani e non, A. Sfameni Editore, Messina 1984;
Id., Collezioni messinesi della prima metà del ‘700, A. Sfameni, Messina 1985; Id.,
Mercato antiquario messinese del ‘700: una vendita di quadri e monete, in Moant IIa Mostra
di Antiquariato, catalogo della mostra (Messina, 6-21 maggio 1989), Messina
1989, s.p.; Id. Il collezionismo a Messina nei secoli XVII e XVIII, in “ASM” 74, 1997,
pp. 5-90; T. Pugliatti, Antiquariato e collezionismo. Fonti di recupero di un patrimonio
disperso, in Moant IIa Mostra…, 1989, s.p.; Ead., Collezionismo e antiquariato a Messina
dal Cinquecento al Novecento, in Aspetti del collezionismo in Italia da Federico II al primo
Novecento, in “Quaderni del Museo Regionale Pepoli”, Trapani 1993, pp. 95-124;
Wunderkammer siciliana, alle origini del museo perduto, catalogo della mostra (Palermo,
4 novembre 2001 - 31 marzo 2002), a cura di V. Abbate, Electa Napoli, Palermo
2001; D. Ligresti, Sicilia aperta (secoli XCV-XVII). Mobilità di uomini e idee, in
“Quaderni - Mediterranea. Ricerche storiche”, 2006, 3, pp. 300-302.
K. Pomian, Collezionisti, amatori e curiosi. Parigi - Venezia xvi-xviii secolo, Il
8 Saggiatore, Milano 2007, pp. 54-55.
9 C. De Benedictis, Per la storia del collezionismo italiano, Ponte alle Grazie,
Firenze 1991, p. 135.
10 Ibid., p. 124. In ambito palermitano si ricordano alcune donazioni che
portarono all’istituzione di una pubblica galleria accorpata alla Regia Università
degli Studi, quale quelle del principe di Belmonte ma anche il legato testamentario
autografo di Enrico Pirajno barone di Mandralisca, datato 26 ottobre 1853, in cui
annunciava la volontà di costituire un «Liceo coi suoi Gabinetti e Biblioteca»
nei locali del proprio palazzo. V. Abbate, Per Mandralisca collezionista e studioso,
in Giovanni Antonio Sogliani (1492-1544), a cura di V. Abbate, Silvana Editoriale,
Cinisello Balsamo 2009, pp. 15-16.
11 C. La Farina, Intorno le Belle Arti, e gli artisti fioriti in varie epoche in Messina.
Ricerche di C. La Farina ordinate in più lettere, parte I, Stamperia Fiumara, Messina
1835, p. 84: «…descrivere le antichità della nostra Messina, mostrare le reliquie ed
additare i mezzi come conservarle […] molto si è perduto per incuria del tempo
e degli uomini […] e quei pochi [monumenti] che ci rimangono forse anche essi
si perderanno coll’andare degli anni, se una giusta provvidenza non darà riparo a
questo sconcerto». Cfr. M.P. Pavone, Aggiunte alla storiografia artistica…, p. 100.
12 Cfr. C. La Farina, Su di un antico sarcofago nella chiesa de’ PP. Conventuali di
Messina. Pochi cenni del Dottore in ambe le leggi Carmelo La Farina, Professore di Matematica
nella R. Accademia Carolina de’ Pubblici Studj, Prefetto del pub. Museo Peloritano ec. Socio
corrispondente dell’Accademia del buon gusto, ed attual Promotore in quella de’ Pericolanti,
ov’è detto l’Accertato, Antonino d’Amico Arena, Messina 1822, p. 26: «…le antiche
iscrizioni, e le medaglie, [...] sono i principali, ed i più irrefrenabili documenti da
tramandare alla posterità la storia civile, e religiosa dei popoli».
13 Storiografo e sacerdote, Francesco Susinno (1660/1670 - 1739 circa)
fu anche pittore. I molti viaggi di studio, prima a Napoli e poi nel 1700 a Roma,
dove conobbe Carlo Maratta, sono evidenti nei frequenti richiami ad opere viste
a Messina e provincia, a Catania, a Palermo, a Siracusa e nella vicina Calabria.
La sua opera manoscritta Le Vite dei Pittori Messinesi, completata nel 1724, è stata
edita nel 1960, a cura di Valentino Martinelli; in essa Susinno dimostra capacità
critica e attributiva davvero inusuali per la sua epoca, e grande attenzione alle
nuove istanze storiografiche. Cfr. F. Susinno, Le Vite de’ Pittori Messinesi, (Messina
1724), a cura di V. Martinelli, Le Monnier, Firenze 1960.
14 Antonino Mongitore (Palermo, 1663 - 1743), canonico del capitolo
della Cattedrale di Palermo, consultore e qualificatore del Sant’Uffizio, ebbe una
prolifica produzione letteraria principalmente orientata ad argomenti riguardanti
l’ambito siciliano in genere, con un’attenzione particolare alle attività delle
numerose accademie dell’epoca. La sua opera Memorie dei pittori, scultori, architetti e
artefici in cera siciliani (1740 ca., ed. a cura di E. Natoli, Palermo 1977) fu la principale
fonte per il Villabianca (G.M. Emmanuele e Gaetani di Villabianca, Le divine
arti della pittura e della scultura, a cura di D. Malignaggi, Giada, Palermo 1988) e per
Gaspare Palermo (G. Palermo, Guida istruttiva per potersi conoscere con facilità tanto
dal siciliano, che dal forestiere tutte le magnificenze e gli oggetti degni di osservazione della città
di Palermo capitale di questa parte dei R. Dominj, Reale Stamperia, Palermo 1816). Alla
morte venne sepolto nella chiesa di San Domenico a Palermo.
15 Gaetano Grano (Messina, 21 novembre 1754 - Messina, 13 marzo 1828),
laureato in medicina, fu precettore di retorica nella Reale Accademia Carolina,
presso cui esercitò la carica di bibliotecario dal 1780 al 1828, anno della morte.
Nel 1806 figura tra i fondatori del Museo Civico Peloritano. Membro di numerose
Nicoletta Di Bella
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
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dei beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione, Dipartimento dei
beni culturali ed ambientali ed educazione permanente, Palermo 2002) in cui
affronta, con evidente intento didascalico ma non senza una moderna apertura, la
ricostruzione del percorso artistico degli artefici, siciliani e non, che maggiormente
contribuirono alla formazione della cultura figurativa della Sicilia, tentando una
sintesi di concetti generali e nozioni particolari della coeva teoria sull’arte. R.
Cinà, Conoscitori nella Sicilia del Settecento. Padre Fedele da San Biagio, in La critica d’arte
in Sicilia nell’Ottocento, a cura di S. La Barbera, Flaccovio, Palermo 2003, pp. 84-86.
18 S. La Barbera, Giuseppe Maria Di Ferro teorico e storico dell’arte, in Miscellanea
Pepoli. Ricerche sulla cultura artistica a Trapani e nel suo territorio, a cura di V. Abbate,
Museo regionale Pepoli, Trapani 1997, pp. 147-166.
19 I dibattiti in merito alla sistemazione del neonato museo impegnarono
i nomi più illustri dell’élite culturale messinese anche in anni successivi. Si veda
ad esempio: G. La Corte Cailler, Sistemazione della Pinacoteca, in “ASM”, a. II,
ff. 1-2, 1901-1902, p. 134; Id., Museo Civico, ivi, a. II, ff. 3-4, 1901-1902, pp.
153-155; G. Oliva, Museo Civico, ivi, a. IV, ff. 1-2, 1903, pp. 230-232; Id., Pel
riordinamento del Museo, ivi, a. VIII, ff. 1-2, 1907, pp. 147-148; S.A., Per Istituzione
di un Museo Nazionale e di un Ufficio dei Monumenti a Messina, ivi, a. XVIII, f. unico,
1917, pp. 135-137.
20 Per la figura di Gregorio Cianciolo, il cui nome è ricordato sull’iscrizione
marmorea apposta sulla porta del neonato museo Civico, si vedano: G. Grosso
Cacopardo, Biografia del P. D. Gregorio Cianciolo, in “Il Maurolico, Giornale di
Scienze, Lettere e Arti”, a. II, vol. 3, n. 7, settembre 1838; G. Coglitore, Storia
monumentale-artistica di Messina, Tipografia del Commercio, Messina 1864.
21 Tra le prime eterogenee collezioni che andarono a costituire il nucleo
iniziale delle raccolte del Museo Civico Peloritano ci si avvalse di quelle di
Tommaso Alojsio Juvara, Giuseppe Arenaprimo, Gregorio Cianciolo, Giuseppe
Grosso-Cacopardo e Giuseppe Carmisino. Facevano parte delle collezioni molti
dipinti di scuola messinese, «marmi delle epoche greche, romane e saracene» ma
anche oggetti di storia naturale, armi e armature da guerra risalenti alle epoche
più svariate. G. Oliva, Memorie storiche e letterarie…, a.a. CLXXXVII-XLXXXVIII,
vol. XXVII, Messina 1916, p. 169; cfr. G. La Farina, Messina e i suoi monumenti,
Stamperia di G. Fiumara, Messina 1840: «[nel Museo Civico] si trovava una
ragguardevole galleria di quadri […] il ricco Presepe di Polidoro di Caravaggio,
accademie, tra le quali quella degli Zelanti ad Acireale, fu ripetutamente eletto
Presidente dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti. Tra le numerose cariche
che ricoprì, quella di Priore di S. Maria della Latina nel 1786, quella di Giudice
ecclesiastico della Regia Udienza nel 1789 e quella di Giudice delegato della Regia
Monarchia in Messina nel 1791. Nel 1814 venne accettato quale membro della
commissione per la compilazione dei codici del Regno delle Due Sicilie. Fu infine
Giudice Interno del Regio Tribunale di Monarchia in Sicilia nel 1817 e, nello stesso
anno, Abate-Regio Priore di S. Andrea di Piazza. Infine, fu Vescovo in Partibus della
Santissima Basilica di Terra Santa, Consigliere del Re delle Due Sicilie Ferdinando
IV di Borbone. Nel 1821 rifiutò la carica di Luogotenente Generale in Sicilia.
Quale corrispondente di Scinà, Landolina e Gregorio, collaborò con J.P. Hackert
alla redazione delle Memorie de’ Pittori Messinesi edito a Messina nel 1792. Nel 1797
contribuì alla realizzazione dei Viaggi alle due Sicilie e in alcune parti dell’Appennino
dell’abate Spallanzani e nel 1841 pubblicò la Guida alla Città di Messina.
16 Jakob Philipp Hackert (Prenzlau, 15 settembre 1737 - San Pietro di
Careggi, 28 aprile 1807), artista tedesco, lavorò molto in Italia. Si stabilì a Roma
nel 1768 e fu pittore di corte per il re di Napoli. Nel 1792 pubblicò le Memorie
de’ Pittori Messinesi, redatto con il notevole apporto di Gaetano Grano che non
aveva voluto comparire come autore. Si veda: Memorie de’ Pittori Messinesi di J.F.
Hackert e G. Grano, con introduzione note e appendice bibliografica di S. Bottari,
in “ASM”, XXVIII-XXXV, n.s., 1934, pp. 1-53.
17 Matteo Sebastiano Palermo Tirrito (San Biagio Platani, 18 gennaio
1717 - Palermo, 9 agosto 1801) fu frate cappuccino, pittore di buon livello e
letterato; nell’ambiente agrigentino e palermitano ebbe la sua prima formazione,
che completò con diversi viaggi a Roma dove fu anche alle dirette dipendenze del
papa, che gli commissionò alcuni affreschi. Membro dell’Accademia dell’Arcadia
in Roma, dell’Accademia del Buon Gusto a Palermo e dell’Accademia degli
Ereini pure a Palermo, frequentò quella rinomatissima di S. Luca presso la cui
Scuola del Nudo ebbe occasione di studiare con Sebastiano Conca e Marco
Benefial. Fu autore di molteplici componimenti, sebbene in questa sede prema
ricordare principalmente i Dialoghi familiari sopra la pittura difesa ed esaltata dal P.
Fedele da S. Biagio pittore cappuccino col Sig. Avvocato D. Pio Onorato palermitano alla
presenza de’ suoi Allievi nella Bell’Arte, disposti in quindici giornate (Palermo 1788, ed.
cons. a cura e con introduzione di D. Malignaggi, Regione siciliana, Assessorato
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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e Faustina “minore” moglie di Marco Aurelio, La Farina scrive: «Non poche di
queste medaglie furono da me acquistate, ed altre vennero in potere al culto e
diligente Grosso Cacopardo».
25 In merito al dipinto raffigurante la Madonna in trono col Bambino tra due
Santi di Battista Dalliotta, La Farina scrive: «[…] la quale pittura esistea (nell’anno
1821) nella chiesa di S. Giorgio, nel villaggio di Briga. Al qual villaggio che sta
a undeci miglia dalla città io mi recai nel 1832; e chiesi di presente ivi giunto
di quel quadro: che vidi in miseranda condizione e tramestato colla polvere e
quasi vile oggetto calcato. Me ne venne dolore: che veder così volti in bassi gli
egregi dipinti, o quei che servono a fermare, o rischiarare le nostre memorie, non
può che con generoso fremito patirsi. E quindi curai, come meglio potei, farne
acquisto. E nella quadreria diedi non indecoroso loco a quella pittura». Cfr. C. La
Farina, Lettera VII. Si adducono…, 1835, pp. 101-102. Gioacchino Di Marzo è tra
i primi studiosi ad accogliere questa attribuzione, cfr. Delle Belle arti in Sicilia dal
sorgere del secolo XV alla fine del XVI, vol. iii, libro vii, Palermo 1862, p. 301.
26 Cfr. G. La Corte Cailler, Museo Civico, in “ASM”, 1902, II, 3-4, pp. 153155; Id., Per riordinamento del Museo, in “ASM”, 1907, VIII, 1-2, pp. 147-148; Id., Per
l’istituzione di un Museo Nazionale e di un Ufficio dei Monumenti a Messina, in “ASM”,
1917, XVIII, , pp. 153-155; F. Campagna Cicala, Dal collezionismo…, p. 13. Per
la costituzione di Musei Pubblici e Gallerie e l’acquisizione di opere e strutture
sia tramite donazioni volontarie sulla base di modelli «evergetici» che tramite
sequestri da parte delle istituzioni, si veda K. Pomian, Collezionisti, amatori…,
pp. 352-354. Sui problemi e le scelte effettuate dal nuovo stato nazionale in
relazione al patrimonio artistico acquisito con la soppressione delle Corporazioni
religiose cfr. P. Picardi, Il patrimonio artistico romano delle corporazioni religiose soppresse,
protagonisti e comprimari (1870-1885), De Luca Editori D’Arte, Roma 2008.
27 Miscellanea in due volumi di manoscritti relativi a trattazioni e discorsi
declamati dai soci dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, raccolte tra il 1737 e
il 1803 e il 1803 e il 1808, ai segni Ms. 32. 2 della Biblioteca Regionale del Museo
di Messina.
28 C. La Farina, Messina. Biografia di Tommaso Aloisio, in “Giornale di Scienze,
Lettere ed Arti”, t. 42, n. 53, f. 125,1833, pp. 197-200.
29 M.P. Pavone, Aggiunte alla storiografia…, pp. 77-101.
30 Tra i molti artisti, lo scultore Giuseppe Arifò, l’incisore Tommaso Alojsio
quadro ricco di figure, e di stupenda composizione; la strage degli Innocenti,
ardito lavoro del Rodriguez; la vedova di Naim, sterminato quadro del Menniti;
un S. Diego di Gio. Paolo Funduli cremonese; la trasfigurazione di Gesù Cristo
di Antonio Catalano; il martirio di S. Placido del Vanoubracken; Giacobbe al
pozzo, Saulle e Davidde, Ester, Giacobbe e i suoi figliuoli, Assalonne, Davidde e
l’Amalechita, composizioni a mezza figura dello Scilla, ed altri non pochi, per lo
più della rinomata scuola messinese»; S. La Farina, Sul Museo Peloritano, Tip. del
Commercio, Messina 1860; G. La Corte Cailler, Il Museo Civico di Messina, ms.
1901, ed. a cura di N. Falcone, Pungitopo, Marina di Patti 1981.
22 F. Campagna Cicala, Dal collezionismo privato alle pubbliche raccolte. Recenti
acquisizioni del Museo regionale di Messina, in Acquisizioni e documenti sul patrimonio storicoartistico del Museo regionale di Messina, a cura di G. Barbera, “Quaderni dell’attività
didattica del Museo Regionale di Messina”, 9, La Grafica Editoriale - Edizioni Di
Nicolò, Messina 1999, p.13.
23 La Farina ottenne la carica di Prefetto del Museo dal 1813 e per questo
incarico gli venne anche attribuito un vitalizio, come sappiamo dalla lettera che
scrisse al suo corrispondente Agostino Gallo per essere agevolato in alcune
lungaggini burocratiche, legate ai mancati pagamenti. Nella lettera datata 8
maggio 1823 Carmelo La Farina lamenta al suo corrispondente palermitano la
lentezza del procedimento di nomina a Prefetto e i molti impedimenti per la
consegna delle iniziali 24 onze – poi aumentate a 30 nel 1821 – che avrebbe
dovuto ricevere come corrispettivo. Preme perché Gallo si adoperi in suo favore
riguardo al ricorso avanzato al Luogotenente Generale di Napoli. Cfr. ms. sec.
XIX ai segni Qq 10 110, della Biblioteca Comunale di Palermo; Stato discusso per
l’esercizio dell’anno 1822 (Da aver vigore anche pel 1823), opera a stampa conservata
presso la Biblioteca del Museo Regionale di Messina. Cfr. anche G. Molonia,
Premessa, in C. La Farina, Intorno alle Belle Arti…, 2004, pp. 11-12.
24 Nell’articolo intitolato Congettura del prof. C. La Farina sul sito dell’antico
Nauloco (estratto dal “Il Faro che siegue lo Spettatore Zancleo. Giornale di
Scienze Lettere e Arti”, a. IV, vol. I, f. 3, Marzo 1836, p. 165-168, nota 2) riguardo
al ritrovamento in contrada Bagni, nei pressi dell’attuale Spadafora (Me) di antichi
resti murari, di vasche, e di un «vaso di grossa argilla» contenente 200 monete di
bronzo coniate dalla zecca di Roma in un arco di tempo che va dall’81 d.C. al
175 d.C. per gli imperatori Domiziano, Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio
Nicoletta Di Bella
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
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numero 3 - maggio 2011
letteratura siciliana nel 1835 tra le pagine del palermitano “Il Vapore. Giornale
istruttivo e dilettevole accompagnato dal figurino di moda” (1836, a. III, t. III, n.
19, pp. 249-251), diretto dagli stessi Linares. Lo scritto non dava sufficiente risalto
al ruolo dei letterati messinesi nella vicenda culturale del tempo; riferendosi
all’attività giornalistica dello “Spettatore Zancleo”, il compilatore asseriva che «se
la passava a far riviste, a dare e soffrire ingiurie», che il “Maurolico” «appariva
come il sole di febbraio»; riguardo a “L’amico delle donne”: «un nuovo giornale
usciva con l’anno 1835 in Messina tutto croci, tutto sepolcri, tutto romantico,
e moriva in sul nascere»; per “L’Innominato”: «un secondo ne appariva e con
qual nome? Voi chiederete, non so io, non sa lui, non ebbe battesimo». La
polemica, iniziata dai compilatori dello “Spettatore Zancleo” (1836, a. V, nn. 4,
5, 17) e fomentata successivamente sulla “Trinacria” (1836, n. 17) con accuse
di parzialità che nascondevano in un malcelato campanilismo, ragioni politiche,
raggiunse il suo apice con attacchi personali ai redattori del “Vapore” – che
ribatterono (1836, vol. III, n. 24, pp. 193-194) a loro volta sostenuti dai redattori
palermitani de “Il Telegrafo” (1836, n. 48), della “Cerere, giornale officiale di
Sicilia” (1836, nn. 19, 148, 184 e 189), dell’“Imparziale” (1836, nn. 39, 42 e 47)
– causando la sospensione da parte delle autorità dello “Spettatore Zancleo”.
Le offensive si acuirono ulteriormente tra le pagine de “Il Faro” (1836, n. 7), al
punto da giungere ad una sfida a duello tra due redattori delle testate, impedita
in extremis dal duca di Cumia, direttore generale della polizia siciliana. Alcune
firme messinesi comparse in questa controversia andarono a formare il nucleo
costitutivo della seconda edizione del “Maurolico”, col sostegno del “Gabinetto
Letterario”, stampata, ancora una volta, dai torchi di Tommaso Capra nel 1841.
Cfr. G. Arenaprimo, La stampa periodica in Messina dal 1675 al 1860. Saggio storico
e bibliografico, in “Atti della R. Accademia Peloritana”, VIII, 1892-1893, p. 89; G.
Oliva, Annali della città di Messina…, 1893, pp. 271-272, 290-291; Una lezione ai
Signori fratelli Linares, compilatori del «Vapore», Malta, Nuova tip. Italiana, 1836, 4°
(irreperibile già ai tempi di Oliva che lo precisa in Annali…, pp. 271-272); A. e V.
Linares, Alla gioventù messinese i fratelli Linares sulla lezione pubblicata colla data apocrifa
di Malta in risposta all’articolo di polemica del «Vapore», diretto ai compilatori del «Faro»,
Palermo, Lao, 1836, 4°; G. Pitrè, ad vocem Felice Bisazza, in Nuovi profili biografici
contemporanei italiani, Palermo 1868, p. 191; N.D. Evola, Polemiche giornalistiche e
albori di italianità in Sicilia, estratto da “La Sicilia nel risorgimento italiano”, a. III, f.
Juvara, il pittore Michele Panebianco, ma anche gli scienziati Carmelo Pugliatti e
Natale Catanoso.
31 C. La Farina, Belle arti, in “Lo Spettatore Zancleo”, III, n. 32, 1835, pp.
254-255; Id., Belle Arti, in “Lo Spettatore Zancleo”, III, n. 33, 7 ottobre 1835,
pp. 263-264.
32 Si veda ad esempio, su Giuseppe Arifò, pensionato messinese a Roma
per studiare scultura presso lo studio di Pietro Tenerani: ibid.
33 Fu dietro pressioni di Carmelo La Farina che il Senato messinese assegnò
al Tenerani la commissione per il monumento bronzeo a Ferdinando II di
Borbone che fu eseguito a Monaco di Baviera nel 1839 e che venne fuso durante
i moti insurrezionali del 1848. Per Tenerani (Torano (Rt), 1789 - Roma 1869) e
le vicende relative alla realizzazione del monumento a Ferdinando di Borbone si
veda O. Raggi, della vita e delle opere di Pietro Tenerani, del suo tempo e della sua scuola
nella scuola, Firenze 1880; S. Susinno, Premesse romane alla scultura purista dell’Ottocento
messinese, in La scultura a Messina nell’Ottocento, catalogo della mostra a cura di L.
Paladino, (21 agosto - 31 ottobre 1997), Assessorato regionale dei Beni Culturali,
ambientali e della Pubblica Istruzione, Messina 1997, p. 51; S. Grandesso, Pietro
Tenerani (1789-1869), Silvana, Cinisello Balsamo 2003.
34 F.P. Campione, La nascita dell’estetica in Sicilia, in “Aestethica Preprint”, 76,
aprile 2006, pp. 27-48.
35 Per la figura di La Farina e un utile spaccato sull’entourage culturale in cui
gravitava, si veda F. Bisazza, Della presente civiltà messinese. Lettera di Felice Bisazza al
suo degno amico Gaetano Grano, in “Lo Spettatore Zancleo”, II, n. 44, 31 dicembre
1834, pp. 340-350. La Farina è citato insieme a Giuseppe Grosso Cacopardo «per
l’amore per le patrie cose». Cfr. G. Molonia, Premessa, in C. La Farina, Intorno alle
Belle Arti…, 2004, p. 17.
36 Per l’apertura italiana verso la cultura europea e tedesca sulla stampa
periodica sulla scorta degli scritti di Madame Amia Luisa de Staël-Holstein, che,
come è ben noto, diede l’avvio della discussione fra classicisti e romantici con la
pubblicazione nel gennaio 1816 dell’articolo intitolato Sulla maniera e l’utilità delle
traduzioni sul periodico «La Biblioteca italiana», cfr. C. Carmassi, La letteratura tedesca
nei periodici italiani del primo Ottocento (1800-1847), Jacques e i suoi quaderni editore,
Pisa 1984. A Messina un acceso dibattito si ebbe a seguito della pubblicazione
dell’articolo dei fratelli Antonino e Vincenzo Linares Un colpo d’occhio sulla
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
I, pp. 3-18; M.I. Palazzolo, Intellettuali e giornalismo nella Sicilia preunitaria, Società
di Storia patria per la Sicilia Orientale, Catania 1975; S. La Barbera, Linee e temi
della stampa periodica palermitana dell’Ottocento, in Percorsi di critica. Un archivio per le
riviste d’arte in Italia dell’Ottocento e del Novecento, a cura di R. Cioffi, A. Rovetta, Vita
e Pensiero, Milano 2007, pp. 87-121.
37 Tra i primi periodici che diffusero le idee romantiche, il già citato la
“Biblioteca italiana. Giornale di Letteratura Scienze ed Arti” (Milano 1816-1859),
l’“Antologia. Giornale di Scienze, Lettere e Arti” (Firenze 1821-1832), quasi a
continuazione del “Conciliatore”, del “Giornale Euganeo” e del “Gondoliere”
in Veneto, il “Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti” (1832-1834) e
“Il Vesuvio” (1835) a Napoli. Cfr. Storia letteraria d’Italia, a cura di A. Balduino,
L’Ottocento, a cura di A. Balduino, tomo 2, ed. cons. Piccin nuova libraria, Padova
1990, p. 879. F. Bernabei, C. Marin, Critica d’arte nelle riviste lombardo-venete. 18201860, Canova Edizioni, Treviso 2007; D. Levi, Cavalcaselle. Il pioniere della conservazione
dell’arte italiana, Giulio Einaudi Editore, Torino 1988, Ead., Storiografia artistica e
politica di tutela: due memorie di G.B. Cavalcaselle sulla conservazione dei monumenti (1862),
in Gioacchino Di Marzo e la Critica d’Arte nell’Ottocento in Italia, atti del convegno
(Palermo 15-17 aprile 2003), a cura di S. La Barbera, Officine Tipografiche Ajello
e Provenzano, Bagheria 2004, pp. 53-76 ; A.C. Tomasi, Giovanni Battista Cavalcaselle
conoscitore e conservatore, Marsilio Editore, Venezia 1998. In ambito isolano va
evidenziata la fitta rete di rapporti con gli intellettuali del continente, che avveniva
tramite una serrata corrispondenza, con lo scambio e la collaborazione tra testate,
ove non mancarono vivaci dibattiti e polemiche e la circolazione della produzione
letteraria. Tra i periodici siciliani, il “Giornale di Scienze, Lettere e Arti per la
Sicilia”, pubblicato a Palermo da 1823, diretto dall’abate Giuseppe Bertini fino
al 1833 quando vi subentrò Vincenzo Mortillaro di Villarena. Fu a causa delle
tendenze indipendentiste del Mortillaro che la pubblicazione fu soppressa nel
’42 per poi riprendere nel ’48 col titolo di “Giornale di Scienze Lettere ed Arti
per la Sicilia. Nuova Serie”, di cui furono editi solo quattro fascicoli; “Il Mercurio
siculo” (1818; 1823-1831); “La Cerere, giornale officiale di Sicilia” (1823-1847);
“Lo Stesicoro, Giornale catanese” che comincia le sue pubblicazioni il primo
aprile del 1835 durante la provvisoria sospensione del “Giornale del gabinetto
letterario dell’Accademia Gioenia” (1834, 1839-43, 1850-51) e prosegue la stampa
fino al luglio del 1836; “La Specola”, che cessa la sua attività, dopo un solo anno
di pubblicazioni, iniziate il primo febbraio del 1840 e terminate il 15 giugno del
1841; i messinesi il “Maurolico”, pubblicato dal 5 ottobre 1833 all’aprile del 1840,
lo “Spettatore Zancleo” (Messina 1831-1836, 1839-1847) e il “Faro” (Messina
1836-1839). Cfr. N. D. Evola, Polemiche giornalistiche e albori di italianità in Sicilia,
estratto da “La Sicilia nel risorgimento italiano”, a. III, f. I, gennaio-giugno 1933,
pp. 3-18; M.I. Palazzolo, Intellettuali e giornalismo nella Sicilia preunitaria, Società
di Storia patria per la Sicilia Orientale, Catania 1975; Percorsi di critica…, 2007, e
in part. i saggi di C. Bajamonte, F.P. Campione, S. La Barbera. Per la figura di G.
Bertini si veda ad vocem Bertini Giuseppe, in Dizionario Biografico degli Italiani (da
questo momento D.B.I.), vol. IX, Roma 1967, pp. 546-547; ad vocem in Enciclopedia
della Sicilia, a cura di C. Napoleone, Ricci, Parma 2006, p. 162.
38 K.F. von Rumohr, Italienische Forschumgen, 3 voll., Berlin-Stettin 18271831, Schlosser, Frankfurt am Main 1920; A. Thiers, Salon de 1822 et collection des
artiche insérés an Constitutionnel, sur L’Exposition de cette année, Maradan, Paris 1833;
Id., Salon de 1824, in “Le Constitutionell”, 30 agosto 1824, pp. 3-4; J.D. Passavant,
Rafael von Urbino und sein Vater Giovanni Santi, Brockhaus, Leipzig 1839-1858; E.J.
Delécluze, Louis David, son école et son temps, Didier Libraire-editeur, Paris, 1855;
G.B. Cavalcaselle – J.A. Crowe, The early flemish painters. Notices of their lives and
works, J. Murray, London 1857 (ed. it. Storia dell’antica pittura fiamminga, Le Monnier,
Firenze 1899); Id., A history of Painting in North Italy: Venice, Padua, Vicenza, Verona,
Ferrara, Milan, Friuli, Brescia, from the fourtheenth to sixteenth century, 2 voll, J. Murray,
London 1871; Id., Storia della pittura in Italia dal secolo ii al secolo xvi, Le Monnier,
Firenze 1886-1908 (ed. it. A cura di A. Mazza, voll xi, Le Monnier, Firenze 1908);
G. Morelli (I. Liermolieff), Kunstkritische Studien uber italienische Malerei: Die
Galerien Borghese und Doria Pamphli in Rom, F. A. Brockhaus, Leipzig 1890, (ed. it.
Della pittura italiana: le gallerie Borghese e Doria Pamphili in Roma, studii storico critici,
Treves, Milano 1897); Id., Die Galerien zu München und Dresden, F. A. Brockhaus,
Leipzig 1891; Id., Die Galerie zu Berlin, F. A. Brockhaus, Leipzig 1893; Giovanni
Morelli e la cultura dei conoscitori, Atti del Convegno Internazionale (Bergamo 4-7
giugno 1987) a cura di G. Agosti, M. E. Manca, M. Panzeri, con il coordinamento
scientifico di M. Dalai Emiliani, 3 voll. Pierluigi Lubrina Editore, Bergamo 1993.
39 A.C. Quatremère de Quincy, Essai sur la nature, le but et les moyens de l’imitation
dans les beaux arts. Par m. Quatremère de Quincy, Jules Didot, Paris 1823, motiva
l’arte proprio in quanto apparenza, l’imitazione in quanto atto creativo ‘altro’,
Nicoletta Di Bella
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
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numero 3 - maggio 2011
preparando la giustificazione del Romanticismo. Cfr. R. Schneider, L’esthétique
classique chez Quatremére de Quincy, Hachette, Paris 1910; P.H. Valenciennes,
Eléments de perspective pratique à l’usage des artistes suives de réflexion et de conseils à un
élève sur la peinture et particulièrment sûr le genre de paysage, Desenne, Duprat, Paris
1800; L. Venturi, Storia della critica d’arte, Einaudi, Torino 1964, p. 251; L. Gallo,
“Sentimento del colore” e “Colore del sentimento”: la riscoperta di Pierre-Henri de Valenciennes
nell’opera di Lionello Venturi, in Lionello Venturi e i nuovi orizzonti di ricerca della storia
dell’arte, Atti del convegno internazionale di studi (Roma 10-11-12 marzo 1999,
Accademia Nazionale dei Lincei, Università “La Sapienza”, Facoltà di Lettere e
Filosofia, Istituto di Storia dell’arte Università “La Sapienza”, Museo Laboratorio
di Arte Contemporanea), a cura di S. Valeri, in “Storia dell’Arte” n. 101 (n.s. 1)
Nuova Serie - Gennaio-Aprile 2002, Anno XXXIII, diretta da M. Calvesi e O.
Ferrari, CAM Editrice, Roma 2002, pp. 118-129.
40 M.P. Pavone, Storiografia artistica, in Mostra sulla cultura e le ipotesi di ricostruzione
della Messina del terremoto. La trama culturale, a cura di F. Campagna Cicala, G. Campo,
(Messina 18 febbraio - 18 marzo 1989), Assessorato regionale dei beni culturali
ambientali e della p.i. (Palermo), Amministrazione provinciale, Amministrazione
comunale, Facoltà di scienze politiche, Messina 1989, pp. 40-43.
41 P. Fedele da San Biagio, Dialoghi sopra la pittura….
42 M.P. Pavone, Storiografia artistica a Messina nell’Ottocento: Carmelo La Farina,
Giuseppe Grosso Cacopardo, Carlo Falconieri e Giuseppe La Farina, in “ASM”, 52, 1988,
pp. 23-60 e in part. 23- 24; G. Molonia, Arte cultura e società a Messina nell’Ottocento,
in La scultura a Messina…, 1998.
43 M.P. Pavone, Aggiunte alla storiografia…, 2002, p. 78.
44 F. Bisazza, Del Romanticismo, Memoria letta da Felice Bisazza nella ordinaria
ragunata del 27 settembre 1832 della Classe di Belle Arti della Regia Accademia Peloritana,
Pappalardo, Messina 1833 (poi in F. Bisazza, Opere…, vol. III). Cfr. anche G.
Oliva, Memorie storiche e letterarie…, a.a. CLXXXVII-XLXXXVIII, vol. XXVII,
Messina 1916, pp. 208-210.
45 Felice Bisazza (Messina, 1809-1867), poeta, traduttore e teorico della
poesia romantica, collabora a molti periodici, specie messinesi: “L’Osservatore
Peloritano”, “Il Maurolico”, “Lo Spettatore Zancleo”, “L’Innominato”, “Il Faro”,
“La Sentinella del Peloro”, “Il Nuovo Faro”, “La Rivista Periodica”, “L’Amico
delle Donne”, “La Trinacria”, “Aristocle”, “Il Giornale del Gabinetto Letterario”,
“La Farfalletta”, “Scilla e Cariddi”, “La Lanterna”, “Empedocle”, “La Lucciola”,
“Il Tremacoldo”, “Il Caduceo”, “L’Eco Peloritano”, “L’Estro”, “L’Interprete”,
“Gazzetta di Messina”, “La Parola Cattolica”, “Il Dicearco”, “Il Veridico”. Per
Bisazza cfr. ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, p. 167; S. Ribera, Biografia di
Felice Bisazza, in F. Bisazza, Opere di Felice Bisazza da Messina pubblicate per cura del
Municipio, 3 voll., Tipografia Ribera, Messina 1874; M. Tosti, Felice Bisazza e il
movimento intellettuale in Messina nella prima metà del XIX secolo, Prem. Off. Graf. La
Sicilia, Messina 1921; I. Stellino, Felice Bisazza, in La cultura estetica in Sicilia fra
Ottocento e Novecento, a cura di L. Russo, “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università degli Studi di Palermo – Studi e Ricerche”, 18, 1990, pp. 13-29; S.
Correnti, La cultura siciliana agli albori del XIX secolo, in “Studi e ricerche di Sicilia”,
CEDAM, Padova 1963, pp. 65-110.
46 F.P. Campione, La nascita dell’estetica…, p. 60.
47 Tra i protagonisti dei moti risorgimentali che si occuparono di Belle Arti,
risaltano i nomi, oltre che di Carmelo La Farina, anche dei più accesi difensori
del pensiero romantico in Sicilia, quali il figlio di quest’ultimo, Giuseppe, di
Felice Bisazza, Francesco Paolo Perez, Lionardo Vigo, Domenico Ventimiglia e
Gaetano Daita.
48 Va notato, a tale proposito, la varietà di argomentazioni relative alla
rivalutazione dell’architettura medievale, evidenziando come il fenomeno sia
strettamente connesso al recupero delle tradizioni nazionali e in particolare alle
istanze patriottico-risorgimentali. Cfr. F. Tomaselli, Il ritorno dei Normanni –
Protagonisti ed interpreti del restauro dei monumenti a Palermo nella seconda metà dell’Ottocento,
Officina, Roma 1994, p. 44; P. Palazzotto, Teoria e prassi dell’architettura neogotica a
Palermo nella prima metà del XIX secolo, in Gioacchino Di Marzo…, pp. 225-237.
49 A tale proposito Pavone menziona l’articolo di Enrico De Sangro ne
“Il Tremacoldo”, a. I, n. 28, 1856. Cfr. M.P. Pavone, Storiografia artistica a Messina
nell’Ottocento: Carmelo La Farina, Giuseppe Grosso Cacopardo, Carlo Falconieri e Giuseppe
La Farina, in “ASM”, 52, 1988, p. 28.
50 Per la bibliografia relativa si veda G. Molonia, La stampa periodica a
Messina (1808-1863) – Dalla «Gazzetta Britannica» alla «Gazzetta di Messina», Di
Nicolò, Messina 2004; cfr. anche La produzione bibliografica. Premessa all’esposizione
bibliografica in Mostra sulla cultura…, pp. 44-53.
51 Per la bibliografia relativa cfr. M. Accascina, Profilo dell’architettura a
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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Messina dal 1600 al 1800, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1964, cap. VI e relative
note, pp. 228-229; F. Basile, Lineamenti della storia artistica di Messina. La città
dell’Ottocento, Edizioni Leonardo, Roma 1960, con esauriente bibliografia in nota.
52 V. Saccà, La Cattedra di Belle Arti nella Università di Messina, Tipografia
D’Amico, Messina 1900, p. 96.
53 M.P. Pavone, Storiografia artistica in Mostra sulla cultura…, pp. 40-43.
54 Ibid.
55 Del 1829 una memoria archeologica in una lettera indirizzata a Giuseppe
Bertini, Direttore del “Giornale di Scienze, Lettere e Arti per la Sicilia” intitolata Su
una antica iscrizione scoperta in Messina e che oggidì si conserva nel Museo Peloritano. Lettera
del Dott. Carmelo La Farina Prefetto dello stesso all’Ab. Giuseppe Bertini, in “Giornale
di Scienze, Lettere e Arti per la Sicilia”, 1829, t. 25, f. 73, pp. 76-78 (estratto dal
“Giornale Letterario di Sicilia”, n. LXXIII, Palermo MDCCCXXIX, ristampato
con aggiunte nel 1832). Cfr. E. Braun, Archeologia. Scavi taorminesi, in “Il Faro che
siegue lo Spettatore Zancleo. Giornale di Scienze Lettere e Arti”, a. IV, vol. I,
1836, pp. 251-253; G. La Farina, Messina e i suoi…, 1840, p. 75; G. Rizzo, Iscrizioni
tauromenitane, in “ASM”, IV, 1903, ff. 1-2, p. 108.
56 C. La Farina, Sopra una scaturigine di acqua sulfurea in Messina ed analisi di
essa acqua, in “Giornale di Scienze, Lettere e Arti per la Sicilia”, 1823, tomo 2, n.
53, fasc. 4, pp. 82-83.
57 I periodici siciliani dell’Ottocento. Periodici di Palermo, vol. I, a cura di P.
Travagliante, C.u.e.c.m., Catania 1995, p. 24.
58 C. La Farina, Messina. Biografia di Tommaso…, pp. 197-200.
59 Id., Su di un antico sarcofago…, 1822.
60 Id., Sposizione di alcune lapidi sepolcrali rinvenute in Messina nel largo di
S. Giovanni Gerosoliminitano di Carmelo La Farina, Segretario Generale della Reale
Accademia de’ Pericolanti, Prefetto del Museo Peloritano e Corrispondente della Commissione
di Antichità e Belle Arti, per A. D’Amico Arena, Messina 1832. Cfr. I. Bitto, Le
iscrizioni greche e latine di Messina, vol. I, Di.Sc.A.M, Messina 2001, pp. 87-94, nn.
29-32.
61 Id., Sopra un anello segnatorio. Considerazioni, Stamperia G. Fiumara, Messina
1844.
62 Id., Rassegna critica. Antichità termitane. Esposte da Baldassarre Romano, Palermo
un vol. in ­­8° di pag. 175 con 2 tavole, in “Sentinella del Peloro. Foglio Periodico”, a. I,
2° sem., n. 29, Messina 15 Aprile 1841, pp. 229-231.
63 Edita per i tipi di Michelangelo Nobolo, la “Sentinella del Peloro. Foglio
Periodico” con il motto “Avanti”, dal 1 ottobre 1839 al n. 30 del 30 aprile 1841.
Sebbene fossero previste 36 uscite annue la pubblicazione fu molto irregolare:
tra gennaio e luglio 1840 furono pubblicati solo 10 numeri. Tra il 1839 e il 1841
ospitò numerosi saggi di storia dell’arte di Giuseppe La Farina, tra i quali Messina
e i suoi…, (1840) che fu gravemente censurato. Cfr. G. Molonia, La stampa
periodica…, p. 116-117.
64 I «monumenti di antichità del medioevo» per cui la Commissione di
Antichità e Belle Arti «promuoverà e regolerà i ristauri; imprenderà e regolerà gli
scavamenti di antichità di pubblica appartenenza», ponendoli per la prima volta
sullo stesso piano di quelli «di archeologia», solo dopo il maggio 1863, quando
l’allora Ministro per la pubblica Istruzione Michele Amari emanò un rivoluzionario
regolamento specifico per la Sicilia per la tutela del patrimonio culturale che
comprendeva anche l’introduzione di un moderno sistema di catalogazione
degli oggetti d’arte. La Commissione provinciale di Messina fu istituita col Regio
Decreto n. 2885 del 23 dicembre 1875. Si veda anche Regio decreto 3 maggio 1863
n. 772 che approva il regolamento della Commissione di Antichità e Belle Arti della Sicilia,
Archivio Centrale dello Stato, Direzione Generale di Antichità e Belle Arti, Roma,
I vers., b. 501; cfr. F. Tomaselli, Il ritorno dei Normanni…, pp. 57-58.
65 C. La Farina, Discorso Accademico…, sec. XIX, p. 449 [2002, pp. 100-101].
66 Tra le pagine dello “Spettatore Zancleo” Giuseppe La Farina esplicita
in un articolo intitolato Il romanticismo dello spettatore, ciò che «intendiamo noi
per romanticismo […] quel sistema che pone il bene per fine di ogni scienza ed
arte, il bello per mezzo, l’inspirazione per principio […]. Il nostro romanticismo è
quello che si addice ad un uomo che non degrada se stesso, è quel sistema che mira
a perfezionamento, che tende a progresso, che (come li appella il compagno
Silvio Pellico)[Silvio Pellico fu prigioniero nel carcere dello Spielberg insieme
a Giorgio Guido Pallavicino Trivulzio, che fu presidente della Società nazionale
italiana fondata da Giuseppe La Farina insieme a Daniele Manin. L’associazione
si poneva come obiettivo l’unificazione e l’azione popolare, ribadendo il principio
dell’indipendenza italiana, promuovendo la posizione moderata di Cavour
a discapito dei metodi insurrezionali mazziniani; disponeva di un suo organo
periodico: “Il Piccolo corriere d’Italia”] dominerà l’Europa, perché nasce dal
Nicoletta Di Bella
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
69
numero 3 - maggio 2011
69 K. Pomian, Collezionisti, amatori…, pp. 47.
70 F. De Stefano, Storia della Sicilia dall’XI al XIX secolo, a cura di F.L. Oddo,
Laterza, Bari 1977, p. 263.
71 F. Tomaselli, Il ritorno dei Normanni…, p. 45.
72 Nella seconda metà del secolo si avrà un’intensificazione delle operazioni
volte alla tutela, ma anche al ripristino, degli edifici di epoca medioevale, molto
trasformati da interventi seguiti al terremoto del 1783. Con Giuseppe Patricolo
(Palermo, 1834-1905) alla guida dell’Ufficio Regionale per la Conservazione dei
Monumenti dal 1884 si assistette a Messina al compimento di numerose campagne
di restauro «con la stimolante prospettiva di poter finalmente porre a confronto
l’architettura normanna palermitana con gli esempi più tardi della città peloritana».
Tra gli esempi più pregnanti a Messina, si citano i restauri del Duomo ad opera di
G. Patricolo. Cfr. G. La Monica, Giuseppe Patricolo restauratore, ILA Palma, Palermo
1985, di San Francesco, di Santa Maria degli Alemanni, di Santa Maria della Scala,
dell’Annunziata dei Catalani. Cfr. M.A. Oteri, La cultura neomedievalista a Messina
nell’Ottocento e i restauri della chiesa di S. Francesco d’Assisi, in Francescanesimo e Cultura
nella provincia di Messina, atti del Convegno di studio (Messina 6-8 novembre 2008),
Biblioteca francescana – Officina di studi medievali, Palermo 2009, p. 219 e pp.
213-224.
73 Cfr. C. La Farina, Intorno le Belle Arti…, 1835 e in part. Lettera VI. Si
purga di talune mende la biografia di Filippo Tancredi. Al chiaro e gentile Felice Bisazza, pp.
47-56; Lettera IX. Si stabilisce l’epoca della morte di Antonio Catalano, ed altra pittura si
produce di Gaspare Camarda. Al chiarissimo Giuseppe Grosso Cacopardo pp. 72-74; Lettera
XI. Si producono alcuni dipinti di G. Simone Comandè, del Van-Houbracken, del Bova, del
Menniti. Al Chiarissimo Dr. Francesco Arrosto, pp. 81-83; Lettera XII. Si fissa l’anno del
ritorno in patria del famoso dipintore Antonino Barbalonga da Messina. Al Valoroso Artista
Tommaso Aloisio, pp. 84-90; Id., Lettera XIV. Si producono per la prima volta talune
statue di Gio. Battista Mazzolo, scultore messinese, e si corregge un trascorso del Vasari
nella vita del Frate Montorsoli. All’alacre ingegno di Giuseppe Arifò, in “Lo Spettatore
Zancleo. Giornale Periodico”, a. III, n. 29, 29 luglio 1835, pp. 228-231; Id., Lettera
XV. Si corregge da talune mende la biografia di Onofrio Gabriele, pittore da Messina. Al
Chiarissimo Dr. Carlo Gemellaro Professore di Storia Naturale nella R. Università degli
Studi in Catania, in “Il Faro che siegue lo Spettatore Zancleo. Giornale di Scienze
Lettere ed Arti”, a. IV, vol. I, 1936, pp. 37-49; Id., Lettera XVI. Memorie del dipintor
presente stato di civiltà e non vi è forza umana che possa far gire retrogrado un
popolo quando una forza morale a perfezionamento lo sospinge». G. La Farina,
Il romanticismo dello spettatore, in “Spettatore Zancleo”, 1835, a. III, n. 10, pp. 7576; P. Barocchi, Testimonianze e polemiche figurative in Italia, G. D’Anna, Messina,
Firenze 1972, pp. 71 e ss.; Ead., Storia moderna dell’arte in Italia. Manifesti polemiche
documenti.Dai neoclassici ai puristi 1780-1861, vol. I, Giulio Einaudi Editore, Torino
1998; S. Bordini, L’Ottocento 1815-1880, Carocci, Roma 2002, pp. 41-47; C.
Savettieri, Dal Neoclassicismo al Romanticismo, Carocci, Roma 2006, pp. 132-153.
Giuseppe La Farina, patriota, figlio di Carmelo, nacque a Messina nel 1815. Nel
1835 si laureò in giurisprudenza nell’Università di Catania. Partecipò attivamente
al dibattito tra classicisti e romantici e curò tra le pagine de “Lo Spettatore
Zancleo” le recensioni di opere letterarie, storiche, musicali, teatrali, i resoconti
di avvenimenti artistici e culturali ed una rubrica fissa intitolata “Rassegna di
giornali siciliani”. Partecipò al movimento insurrezionale antiborbonico del 1837,
a seguito del quale fu costretto a lasciare Messina e a stabilirsi a Firenze. Nel
marzo 1838 tornò a Messina, ma nel 1841 nuovamente accusato di cospirazione,
fu costretto a tornare a Firenze dove rimase fino al febbraio del 1848. Tornato in
Sicilia fu chiamato a far parte, come deputato messinese, del nuovo Parlamento
di Palermo. Assunse il Ministero della Pubblica Istruzione e fece anche parte
della missione diplomatica inviata in alcune capitali della penisola per raccogliere
consensi verso il governo siciliano. Fu, per un anno, alla direzione del ministero
della Guerra. Per cinque anni fu esule prima a Marsiglia, poi a Parigi e infine a
Tours. Nel 1854 si trasferì a Torino. Dopo l’ingresso di Garibaldi a Palermo nel
1860, Cavour gli diede il delicato incarico di rappresentare in Sicilia il governo, dal
quale fu cacciato. Nel 1861 fu eletto deputato e poi vice presidente della Camera.
Morì a Torino il 5 settembre 1863. Le sue ceneri furono portate a Messina nel
1872 in occasione dell’inaugurazione del Gran Camposanto. Per G. La Farina si
veda Giuseppe La Farina, Atti del convegno di Studi (Messina, 21-22 maggio 1987),
a cura di P. Crupi, Pungitopo, Marina di Patti 1989.
67 «Mi conforta il riflettere non esser nuovo in Italia il pensiero di raccogliere
ogni documento storico o notizia riguardante l’arte del disegno, […] sia di una
città o provincia che, dell’intera nazione». Cfr. C. La Farina, Discorso Accademico…,
2002, p. 86, nota 16.
68 C. De Benedictis, Per la storia…, p. 133.
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temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
da Firenze Filippo Paladini. Al chiarissimo professore Salvatore Betti Segretario perpetuo
dell’Accademia Pontificia di S. Luca, in “Il Faro. Giornale di Scienze, Lettere ed Arti”,
a. IV, t. II, n. VIII,1836, pp. 65-77.
74 C. La Farina, Intorno le Belle Arti…, 1835, p. 64 e in part. Lettera VII. Si
adducono…, pp. 57-65.
75 Ibid., e in part. Lettera IV. Di alcuni dipinti di Antonio Catalano finor sconosciuti,
e di altri a lui non direttamente attribuiti. Al culto e gentile Giuseppe Grosso Cacopardo,
pp. 37-42; Lettera V. Si aggiunge Francesco Laganà al novero dei pittori messinesi, e si
annunciano altri dipinti di Andrea Quagliata. All’Onorando Ab. Placido Vasta, pp. 4346; Id., Intorno le Belle Arti, e gli artisti fioriti in varie epoche in Messina. Ricerche di C.
La Farina ordinate in più lettere, parte II, Messina 1835-1845 e in part. Lettera XIII.
Si tiene parola del messinese dipintore Stefano Giordano, e della Cena del Signore dallo stesso
condotta. Al Chiarissimo Dr. Anastasio Cocco, in “Lo Spettatore Zancleo. Giornale
Periodico”, a. III, n. 24, 17 giugno 1835, pp. 190-191.
76 Pavone precisa che Carmelo La Farina manifesta una notevole
soddisfazione in occasione dell’acquisto del manoscritto degli Annali del Gallo
da parte dell’Accademia Peloritana. Cfr. M.P. Pavone, Aggiunte alla storiografia…,
p. 86, nota 13.
77 G. Buonfiglio e Costanzo, Messina, Città Nobilissima descritta in viii libri,
(Venezia1606), rist. anast., a cura di P. Bruno, G. B. M., Messina 1985.
78 P. Samperi, Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio protettrice di Messina,
Messina 1644. Cfr. la rist. anast. in 2 voll. con introduzioni di G. Lipari, E. Pispisa,
G. Molonia, Intilla, Messina 1990 e Id., Messana S.P.Q.R. Rerumq. Decreto Nobilis
Exemplaris et Regni Siciliae Caput Duodecim titulis illustrata. Opus posthumum r. p. Placidi
Samperii Messanensis Societatis Jesu in duo volumina distributum…2 voll., typis Rev.
Cam. Archiep. Placidi Grillo, Messina 1742.
79 C.D. Gallo, Annali della Città di Messina Capitale del Regno di Sicilia, vol.
I, Messina 1756 (contiene l’Apparato agli Annali…), vol. II, 1758; vol. III, 1804;
vol. IV 1875. Cfr. Annali della Città di Messina, Tipografia Filomena (poi Reale
Accdemia peloritana, poi Società messinese di storia patria), Messina 1877-1882.
80 A differenza di Grosso Cacopardo, nella Lettera XIV. Si producono per
la prima volta…, La Farina è critico nei confronti dello storiografo toscano, cui
accusa un’imprecisione relativamente alla vita del Montorsoli, quando scrive
«avendo trovato [i messinesi] un uomo secondo il gusto loro, diedero, finite le
fonti, principio alla facciata del Duomo, tirandola alquanto innanzi». Lo studioso
precisa che sull’architrave della porta a sud ovest è riportato l’anno di costruzione,
1518, e che il 1528 è indicato sull’architrave della porta laterale, ricordando che
il Montorsoli giunse a Messina solo nel 1547; cfr. G. Vasari, Vite de’ più eccellenti
pittori, scultori e architetti scritte da Giorgio Vasari pittore e architetto aretino illustrate
con note di Mons. Giovanni Gaetano Bottari e P. Della Valle. Con la Vita dell’autore
scritta da lui medesimo e l’introd. Alle tre arti del disegno, architettura, scultura e pittura, 16
voll., Societa tipografica de’ classici italiani, contrada di s. Margherita, no 1118,
Milano 1807-1811, t. 13, p. 580. Dalle ricerche documentarie (Registri senatori
del 1534 e 1535, vol. 28, fol. 42, cfr. C. La Farina, Intorno alle Belle Arti…, 2004,
pp. 155-156, nota 9) La Farina desume inoltre che nel 1534 il Mazzolo realizzò
tre delle quattordici statue marmoree per la porta maggiore del Duomo; in “Lo
Spettatore Zancleo”, a. III, n. 29, Messina 29 luglio 1835, pp. 228-231. Cfr. anche
F. Caglioti, Due opere di Giovambattista Mazzolo nel Museo regionale di Messina (ed una
d’Antonello Freri a Montebello Jonico) in Aspetti della scultura a Messina dal XV al XX
secolo, a cura di G. Barbera, “Quaderni dell’attività didattica del Museo Regionale
di Messina”, 13, 2003, pp. 37-60; S. Di Bella, Scultori ed opere da alcuni documenti
d’archivio, ibid., pp. 155-164; S. La Barbera, La scultura della Maniera a Messina. Note
di letteratura artistica, ibid., pp. 135-154; Ead., La scultura della Maniera nella letteratura
artistica messinese, in AA.VV., Fontane d’acqua a Messina, Catalogo della mostra a cura
di G. Barbera, Regione Siciliana, Assessorato Beni Culturali, Messina 2004, pp.
133-152. Confuta anche le imprecisioni riguardo alle note biografiche di Filippo
Paladini, e in particolare Lanzi che riferendo quanto scrive Gregorio (Discorsi
intorno alla Sicilia di Rosario di Gregorio abbate di S. Maria di Roccadia e Professore
del diritto publico siciliano della R. Università di Palermo. Con discorsi inediti, Pedone e
Muratori, Palermo, t. I, p. 210) gli attribuisce il San Giuseppe di Casteltermini, opera
del trapanese Andrea Carreca, per il quale chiede un parere ad Agostino Gallo:
«Mi occorre pregarvi per una nota delle dipinture così esistenti di F. Paladini, e s’è
possibile con la indicazione degli anni della loro esecuzione, dovendomi valere in
un articolo che vado a scrivere su quest’artista, di cui la biografia scritta dal Grosso
contiene a mio avviso diverse lagune, ed inesattezze». Cfr. Lettera di Carmelo La
Farina ad Agostino Gallo, 20 agosto 1835, ms. sec. XIX, QqG 10 110 della Biblioteca
Comunale di Palermo. Cfr. Lettera XVI. Su Filippo Paladino, in “Il Faro. Giornale di
Scienze, Lettere ed Arti”, a. IV t. II, n. VIIII, 1836, pp. 65-77.
Nicoletta Di Bella
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
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numero 3 - maggio 2011
84 Lionardo Vigo nelle Lettere di L.V. a Ferdinando Malvica sopra una gita da
Catania a Randazzo, in “Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia”, t. X,
f. 29 (Palermo maggio 1934, pp. 196-218) scambia il San Michele arcangelo con
l’angelo Custode.
85 C. La Farina, Lettera XV. Si corregge da talune mende…, 1836, pp. 37-49.
Sulle lettere artistiche di Carmelo La Farina, cfr. infra.
86 Confuta Grosso Cacopardo (Memorie de’ pittori messinesi e degli esteri che in
Messina fiorirono dal secolo XII sino al secolo XIX, Messina 1821, p. 134) che data il
rientro a Messina al 1662.
87 Domenico Marolì (Messina 1612 - Scaletta Zanclea (Me) 1676). Allievo
di Antonello Riccio, studiò anche a Venezia presso il Veronese. Operò a Bologna.
Ridotto in schiavitù dai turchi che assalirono la nave che lo riportava in patria,
riuscì a tornare a Palermo, dove realizzò numerosi dipinti. Rientrato a Messina fu
coinvolto negli avvenimenti politici del 1674 e dovette emigrare. Ritornò prima a
Venezia e morì in Spagna durante i moti del 1676. Per la bibliografia a lui relativa
si veda ad vocem in L. Sarullo, Dizionario artistico dei siciliani. Pittura, a cura di
M.A. Spadaro, Novecento, Palermo 1993, pp. 334-335; ad vocem in Enciclopedia della
Sicilia…, p. 547.
88 L. Lanzi, Storia Pittorica della Italia…, vol. I, p. 468, nota 2.
89 Antonio Catalano detto “l’Antico” (1560 - 1630). Per la bibliografia a lui
relativa si veda ad vocem in Dizionario artistico..., 2, pp. 87-88; T. Pugliatti, La pittura
del Cinquecento in Sicilia. La Sicilia orientale, Electa, Napoli 1993, pp. 256-269, 337,
note. 4-5; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, p. 251.
90 C. La Farina, Lettera IX. Si stabilisce l’epoca…, 1835, pp. 72-74.
91 Domenico Cardillo, ad vocem in Dizionario artistico..., 2, p. 74. L’opera
è certamente databile alla seconda metà del XVI secolo, data la presenza nel
paesaggio di sfondo della lanterna del porto nel braccio di S. Raineri, costruita su
disegno del Montorsoli nel 1555. Oggi la firma citata da La Farina è illeggibile,
essendo andata distrutta la parte inferiore della tavola. Cfr. Cardillo, ad vocem in
D.B.I., 19, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1976, pp. 770-772.
92 Il dipinto, citato in Messina e dintorni. Guida a cura del Municipio, Prem.
stab. G. Crupi, Messina 1902, pp. 383, risulta disperso. T. Pugliatti, Arte e storia
nella provincia di Messina, Samperi, Messina 1986, pp. 56, 72, precisa che nella
chiesa esiste ancora il dipinto attribuito al Camarda raffigurante l’Immacolata e
81 La Farina consultò l’opera di Lanzi nella sesta edizione: L. Lanzi, Storia
Pittorica della Italia, 6 voll., Milano, G. Silvestri, 1823. Cfr. C. Gauna, La Storia
Pittorica di Luigi Lanzi. Arti Storia e Musei nel Settecento, L.S. Olschki, Firenze
2003. Nella Lettera I. Su i pittori Francesco e Stefano Cardillo da Messina La Farina è
estremamente polemico nei confronti del Lanzi. Scrive infatti: «Non è a dirsi quanta
diligenza, ed amore ci vogliono in questi benedetti studî, quanto lieto ozio, e sorriso
di fortuna; ma quanta più pacatezza, e meno slancio, e meno impeto nel giudicare:
nel giudicare quindi in siffatte cose ci vuol fermezza, e non interrotte ricerche, e
studio i vecchi archivî, che mal si adattano ad occhi infermi, come quelli ad esempio,
che invece di compilare delle opere le copiano, e non le san copiare, e certi altri di
cui giova far silenzio.» (Intorno alle Belle Arti, e gli artisti fioriti in varie epoche in Messina Ricerche di Carmelo La Farina ordinate in più lettere, Stamperia Fiumara, Messina 1835,
p. 3). Per Lanzi si veda L. Lanzi, Storia Pittorica della Italia dal Risorgimento delle Belle
Arti fin presso la fine del XVIII secolo, 6 voll. (Bassano 1795-1809), ed. a cura di M.
Capucci, 3 voll. Sansoni editore, Firenze 1968-1974; G. Perini, Luigi Lanzi: questioni
di stile, questioni di metodo, in Gli Uffizi: quattro secoli di una galleria. Fonti e documenti, atti
del convegno internazionale di studi, (Firenze 20-24 settembre 1982), a cura di
P. Barocchi e G. Ragionieri, Bonechi Editoriale, Firenze 1982, pp. 215-265; Sulle
diverse edizioni della Storia Pittorica cfr. P. Barocchi, Sulla edizione lanziana della Storia
pittorica dell’Italia, 1795-1796, in “Annali della Scuola Normale Superiore. Classe di
lettere e filosofia”, s. IV, quaderni nn. 1-2, (Giornate di studi in onore di Giovanni
Previtali, a cura di F. Caglioti), 2000, pp. 293-319; Ead., Sulla edizione del 1809 della
“Storia pittorica dell’Italia” di Luigi Lanzi, in “Saggi e Memorie di storia dell’arte”,
n. 25, 2001, pp. 297-307; M. Rossi, Le fila del tempo. Il sistema storico di Luigi Lanzi, in
“Quaderni della Fondazione Carlo Marchi”, n. 31, L.S. Olschki, Città di Castello
(PG) 2006, pp. 57-92.
82 Per la critica delle fonti, l’originalità dell’opera d’arte contrapposta alla
copia, l’osservazione di opere d’arte tra spiritualità e tecnica nella letteratura
critica del tempo si veda, ad esempio, K.F. von Rumohr, Italienische….
83 Onofrio Gabrieli (Gesso (Me) 1619 - 1706). Si veda Onofrio Gabrieli 16191706, catalogo della mostra a cura di G. Barbera e F. Campagna Cicala (Gesso
(Me), 27 Agosto-29 Ottobre 1983), Industria Poligrafica della Sicilia, Messina
1983; ad vocem in D.B.I., 51, Catanzaro 1998, pp. 68-70; ad vocem in Enciclopedia della
Sicilia…, 2006, p. 429.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
Santi, attribuito con certezza da G. La Farina, Messina e i suoi…, p. 154.
93 Gaspare Camarda (1570 ca. - 1655), allievo di Antonio Catalano, quando
scrive La Farina era documentato solo fino al 1606. Per la sua figura e la bibliografia
a lui correlata si veda ad vocem in Dizionario artistico…, 2, pp. 65-66; T. Pugliatti,
La pittura del Cinquecento…, pp. 264-266.
94 C. La Farina, Lettera IX. Si stabilisce l’epoca…, 1835, pp. 72-74.
95 Agostino Gallo (Palermo 7 febbraio 1790 - 16 maggio 1872) collezionista
di quadri, libri, cimeli di ogni tipo relativi alla storia, alla cultura e all’arte siciliana.
Raccolse 152 ritratti ad olio di siciliani illustri che donò alla Biblioteca comunale
di Palermo. La sua collezione di 103 quadri fu invece donata al Museo nazionale
e oggi è conservata presso la Galleria regionale di Palazzo Abatellis. Fra le molte
sue opere riguardanti la letteratura, la storia, l’archeologia, l’arte, le poesie, le
liriche, le biografie, i saggi di critica d’arte, ricordiamo il Saggio su pittori siciliani
vissuti dal 1800 al 1842 del 1842, e la manoscritta Storia delle Belle Arti in Sicilia
dall’epoca greca sino al secolo XIX, oggi edita a stampa (a cura di A. Mazzè, Regione
siciliana, Assessorato dei beni culturali ambientali e della pubblica istruzione,
Palermo 2000). Membro di moltissime accademie e associazioni culturali, italiane
e straniere, collaborò a numerose pubblicazioni periodiche, fra le quali “L’Ape.
Gazzetta letteraria di Sicilia” (1822), il “Giornale di scienze, lettere e arti per
la Sicilia (1832-1840) e “L’Indagatore siciliano”. Promosse la realizzazione di
un Pantheon di glorie siciliane nella chiesa di S. Domenico, in cui fossero eretti
monumenti commemorativi ai siciliani più illustri e oggi è lì sepolto, ricordato
da un mezzobusto opera di Benedetto Civiletti. Per la figura di Agostino Gallo
e per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem Dizionario dei siciliani illustri, F.
Ciuni, Palermo 1939, pp. 236-237; ad vocem in D.B.I., 51, Istituto dell’Enciclopedia
Italiana, Catanzaro 1998, pp. 697-699; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, pp.
433-434; F.P. Campione, Agostino Gallo: un enciclopedista dell’arte siciliana, in La critica
d’arte dell’Ottocento, a cura di S. La Barbera, Flaccovio, Palermo 2003, pp. 107-127.
96 Pietro Lanza Branciforti, Principe di Scordia, di Trabia e di Butera
(Palermo 19 agosto 1807 - Parigi 27 giugno 1855). Letterato, politico patriota,
fu, giovanissimo, direttore della sezione Lettere ed Arti nell’Accademia di
Scienze, Lettere ed Arti e della Commissione Antichità e Belle Arti. Dal 1835
al 1837 fu Pretore di Palermo ed in seguito, dal 1841 al 1848, ministro degli
Affari ecclesiastici per il Regno delle due Sicilie. Attivo durante i moti del 1848,
durante il governo provvisorio assunse la presidenza del Quarto comitato
(amministrazione civile, istruzione pubblica e commercio). Costretto all’esilio
dopo la restaurazione borbonica, morì a Parigi. Numerosi i suoi scritti di natura
storica e letteraria; si ricordano in particolare Degli Arabi e del loro soggiorno in
Sicilia del 1832, apprezzato da Michele Amari, e Considerazioni sulla storia di Sicilia
dal 1532 al 1789 da servir d’aggiunte e di chiose al Botta del 1836. Per la figura di
Pietro Lanza e per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in Dizionario dei
siciliani…, p. 287.
97 Lazzaro Di Giovanni (Palermo 1769 - 5 novembre 1856), intellettuale e
conoscitore del patrimonio artistico cittadino, fu «custode e intendente di Belle
Arti della collezione d’arte dell’Università di Palermo, nucleo iniziale del futuro
Museo Nazionale insieme alla raccolta di Giuseppe Ventimiglia e Cottone,
principe di Belmonte, di cui il Di Giovanni fu fidecommissario. Redasse
l’inventario della collezione e curò l’allestimento nei locali dell’università adibiti
a pinacoteca, riordinò la raccolta di disegni. Ufficiale della Regia Segreteria
di Stato della Sicilia dal 1815 fino alla morte, sospese l’incarico nel 1820,
probabilmente per la partecipazione ai moti rivoluzionari palermitani. Membro
della Commissione di Antichità e Belle Arti, curò il restauro del Paradiso di
Pietro Novelli. Scrisse un circostanziato inventario delle opere d’arte esitenti
nelle chiese di Palermo, che lasciò manoscritto». Per la figura di Lazzaro Di
Giovanni e per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in D.B.I., XV, Istituto
dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1991, p. 43; L. Di Giovanni, Le opere d’arte
nelle chiese di Palermo, trascrizione e commento critico a cura di S. La Barbera,
Flaccovio, Palermo 2000.
98 Giuseppe Grosso Cacopardo (Messina 2 settembre 1789 - 18 dicembre
1878), fu storico dell’arte, erudito, archeologo. Continuatore dell’opera del Grano
Memorie de’ pittori messinesi (1821), fu anche autore della prima Guida per la città di
Messina (1841). Fondatore e redattore del “Maurolico”. Per la figura di Giuseppe
Grosso Cacopardo e per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in Dizionario
dei siciliani…, 1939, pp. 259-260; ad vocem in D.B.I., LX, Istituto dell’Enciclopedia
Italiana, Roma 2003, pp.11-13.
99 Per la figura di Placido Vasta, si veda G. Oliva, Annali della città di
Messina…, vol. VIII, 1954, pp. 351-352.
100 Nicolò Americo Fasani, fu «Uffiziale di carico nella real Segreteria
Nicoletta Di Bella
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
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numero 3 - maggio 2011
Grano, estratto da “Il Maurolico, Giornale del Gabinetto Letterario di Messina”,
n.s., a. I, f. 7, 1842; G. Noto, Elogio del dotto prelato monsignore don Gaetano Grano,
Firenze, co’ tipi di G. Marenich, 1828; G. Oliva, Annali della città di Messina…, p.
240-243.
103 Francesco Arrosto (Messina 2 luglio 1798 - marzo 1840), successe al
padre Gioacchino alla cattedra di chimica della reale Accademia Carolina che gli
fu tolta a seguito della sua partecipazione ai moti del 1837. Fu membro effettivo
della Società economica della valle di Messina che gli assegnò il premio “Paolo
Cumbo”. Fu membro della Labronica di Livorno e socio benemerito della Reale
Accademia peloritana in cui, dal 1829, ricoprì la carica di segretario per la classe
di scienze fisiche e matematiche. Per la figura di Francesco Arrosto e per la
bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in Dizionario dei siciliani…, pp. 48-49; ad
vocem in Enciclopedia della Sicilia…, p. 130.
104 Tommaso Alojsio Juvara (Messina 13 gennaio 1809 - 30 maggio 1875),
incisore, formatosi alla scuola del Camuccini, fu presidente della Calcografia
Camerale. Insegnò calcografia a Messina nel ’46, a Napoli nel ’50 e a Roma nel
’72, condividendo la carica di Direttore con Paolo Mercuri. Tra le sue opere più
celebri, la Madonna alla Reggia di Napoli e il San Carlo Borromeo, di fronte alle quali
si suicidò nel 1875. Per la figura di Tommaso Alojsio Juvara e per la bibliografia
a lui relativa si veda Litografia, in “Passatempo per le Dame”, a. 4, n. 28, 9 luglio
1836, pp. 125-126 [ma 225-226]; A. Gallo, Lettera di Agostino Gallo all’egregio incisore
Tommaso Aloisio Messinese professore d’intaglio in Napoli, in “La Lira”, a. I, n. 51, 6
novembre 1852, pp. 203-204; Id., Sull’influenza ch’esercitarono gli artisti italiani in varii
regni d’Europa ad introdurvi, diffondervi o migliorar l’arte d’intagliar cammei in pietre dure
e tenere, incidere in rame, cesellare e smaltare in argento e in oro, Tipografia Barcellona,
Palermo 1863, p. 13; A. Gallo, Notizie degli incisori siciliani, a cura di D. Malignaggi,
Università degli studi di Palermo, Palermo 1994, pp. 125-128. T. Aloysio-Juvara,
Della storia e dello stato odierno dell’arte dell’incisione, in “Nuove Effemeridi Siciliane di
Scienze, Lettere ed Arti”, a. I, dispense IX-X, dicembre 1869 - gennaio 1870, pp.
404-416; ad vocem in Dizionario dei siciliani…, p. 276; ad vocem, in Allgemeines Lexikon
der bildender Kunstler, a cura di U. Thieme - F. Becker XIX, F. Ullmann, Leipzig
1926, pp. 357-358; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, p. 511; Neoclassicismo e
aspetti accademici. Disegnatori e incisori siciliani, a cura di D. Malignaggi, Università
degli studi di Palermo, Palermo 2004.
e Ministero di Stato dell’Interno di Napoli». Cfr. G. Molonia, Intorno alle Belle
Arti…, p. 101, nota 1.
101 Giuseppe Alessi (Enna 1 febbraio 1774 - Catania 31 agosto 1837),
sacerdote e canonista, fu geologo, archeologo e numismatico. Iscritto a numerose
accademie italiane e straniere, insegnò Diritto Canonico all’Università di Catania.
Lasciò la sua collezione geologica all’Accademia Gioenia di Catania e la biblioteca
e la raccolta di reperti archeologici alla Chiesa Madre di Enna. Tra i suoi scritti
ricordiamo la Storia Critica della Sicilia dai tempi favolosi alla caduta dell’Impero Romano,
2 voll., dai torchi dei FF. Sciuto, Catania 1834-1843. Per la figura di Giuseppe
Alessi e per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in Dizionario dei siciliani…,
p. 27; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, pp. 101-102.
102 Gaetano Grano, (Messina, 21 novembre 1754 - 13 marzo 1828) medico,
ma anche latinista, letterato, storico, antiquario, studioso di numismatica e
paleografia, di storia naturale, fisica, filosofia e legge. Fu precettore di retorica
nella Reale Accademia Carolina, della quale, nel 1780, gli fu conferita la carica
di bibliotecario, che mantenne fino alla morte nel 1828. Fu più volte Presidente
dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti e Socio dell’Accademia degli Zelanti di
Acireale. Nel 1806 contribuì alla fondazione del Museo Civico Peloritano. Ricoprì
numerosi incarichi istituzionali e non: Priore di S. Maria della Latina (1786),
Giudice ecclesiastico della Regia Udienza (1789) , Giudice delegato della Regia
Monarchia in Messina (1791), Membro della commissione per la compilazione
dei codici del Regno delle Due Sicilie e Giudice Interno del Regio Tribunale di
Monarchia in Sicilia (1814), Abate-Regio Priore di S. Andrea di Piazza, Vescovo
in Partibus della Santissima Basilica di Terra Santa, Consigliere del Re delle Due
Sicilie Ferdinando IV di Borbone (1817). Nel 1821 Luogotenente Generale in
Sicilia, carica da lui rifiutata. In contatto con numerosi personaggi di rilievo
della cultura del tempo come Domenico Scinà, Saverio Landolina ed Rosario
Gregorio. Coadiuvò Jakob Philipp Hackert nella stesura delle Memorie De’
Pittori Messinesi (Messina 1792), anche se non volle che il suo nome vi figurasse.
Collaborò anche con l’Abate Lazzaro Spallanzani alla redazione dei Viaggi alle
due Sicilie e in alcune parti dell’Appennino”. Da segnalare la Guida alla Città di Messina,
anche questa pubblicata anonima nel 1826. Possessore di una pregiatissima
collezione naturalistica e di una ricca pinacoteca purtroppo dispersa. Cfr. ad vocem
in Enciclopedia della Sicilia…, p. 466; V. Scarcella, Cenni biografici di mons. Gaetano
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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105 La prima raccolta riporta in copertina Ricerche di Carmelo La Farina ordinate
in più lettere, mentre sul frontespizio appare la dicitura Intorno Le Belle Arti, e gli
Artisti fioriti in varie epoche in Messina - Ricerche di Carmelo La Farina ordinate in più
lettere. Stampata a Messina nel 1835 dai torchi dei Fiumara, fu annunciata da Felice
Bisazza tra le pagine dello “Spettatore Zancleo” nella rubrica Rivista Letteraria
(“Lo Spettatore Zancleo”, III, n. 25, 1 luglio 1835, p. 93), e fu recensita da molte
riviste dell’epoca. Una Seconda Parte fu raccolta da Gaetano La Corte Cailler
che la intitolò Intorno le Belle Arti, e gli artisti fioriti in varie epoche in Messina - Ricerche
ordinate in più lettere, Parte II, Messina 1835-1845 che però non fu mai pubblicata.
106 Recensione di S. Betti, Intorno le Belle Arti, e gli artisti fioriti in varie epoche
in Messina; ricerche di Carmelo La Farina ordinate in più lettere - Messina 1835 dalla
Stamperia Fiumara, in “Il Faro. Giornale di Scienze, Lettere ed Arti”, a. IV, t. II,
1836, pp. 98-99; pubblicato anche in C. La Farina, Intorno alle Belle Arti…, 2004,
pp. 229-230; Recensione di G. Di Lorenzo, Intorno le Belle Arti, e gli artisti fioriti in
varie epoche in Messina; ricerche di Carmelo La Farina ordinate in più lettere - Messina 1835
dalla Stamperia Fiumara, in -8° di pag. 93, in “Giornale di scienze, letteratura ed arti
per la Sicilia”, a. XIII, vol. 50, t. II, aprile - maggio - giugno 1835, pp. 207-210.
107 Gaetano La Corte Cailler (Messina 1 agosto 1874 - 26 gennaio 1933)
inizia giovanissimo a collaborare con alcuni giornali locali, scrivendo di storia ed
arte messinese e nel 1898 ottiene un impiego come copista presso la Cancelleria
del Tribunale di Messina. Nel 1899 è nominato socio ordinario della Reale
Accademia Peloritana ed è socio fondatore e firmatario del primo Statuto sociale
della Società Messinese di Storia Patria. Nel 1901 viene immesso in servizio come
guardasala al Civico Museo Peloritano, allora ospitato nel soppresso monastero
di S. Gregorio, di cui compila una guida. Diviene direttore nel 1904. Nel 1902 il
Municipio pubblica la Guida di Messina e dintorni del quale La Corte Cailler è uno
dei maggiori estensori. Strenuo ricercatore di documenti d’archivio riguardanti
la storia e la cultura artistica di Messina, dopo il terremoto del 1908, la famiglia
si trasferisce a Palermo per pochi anni. Ritornato a Messina, il 2 giugno 1910
ricostituisce, con i pochi amici sopravvissuti, la Società Messinese di Storia Patria.
Ricopre numerosi ruoli: ispettore onorario comunale di Antichità e Belle Arti,
componente della Commissione conservatrice dei monumenti, degli scavi ed
oggetti di antichità ed arte della Provincia di Messina, ispettore bibliografico
onorario. Per G. La Corte Cailler si veda “ASM”, III serie, XXXII, 41, Messina
1983, volume interamente dedicato alla sua figura, e in particolare: G. Molonia,
Gaetano La Corte Cailler: note biografiche, ivi, pp. 17-27; G. La Corte Cailler, Il mio
Diario, a cura di G. Molonia, 3 voll., Edizioni g. b. m., Messina 1998-2003; S. La
Barbera, Dalla coinnosseurship alla nascita della Storia dell’arte in Sicilia: il ruolo di
Adolfo Venturi, in Adolfo Venturi e la Storia dell’arte oggi, Atti del Convegno (Sapienza
Università di Roma, 25-28 ottobre 2006) a cura di M. D’Onofrio, Franco Cosimo
Panini Editore, Modena 2008, pp. 309-328.
108 Anastasio Cocco (Messina 29 agosto 1799 - 26 febbraio 1854) fu
farmacologo e naturalista. Nel 1819, a vent’anni, fu ammesso all’Accademia
Peloritana dove lesse il suo primo discorso Sull’origine, progressi ed utilità della
botanica. Dal 1827 professore di Materia medica alla Reale Accademia Carolina,
appena elevata al rango di Università, professò la necessità di basare lo studio e
l’applicazione delle scienze mediche sul metodo dell’osservazione, dell’analisi e
della sperimentazione. Dal 1851 fu segretario della Reale accademia Peloritana.
Per la figura di Anastasio Cocco e per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem
in Dizionario dei siciliani…, p. 127; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, p. 287.
109 Giuseppe Arifò (Messina 1803-1842), scultore. Studiò a Roma presso
l’Accademia di S. Luca con il Tenerani insieme ad Antonio Gangeri, Giuseppe
Prinzi e Saro Zagari. Le sue opere, menzionate tra gli altri anche da Gaetano La
Corte Cailler (Il Museo Civico di Messina…, p. 173), sono ad oggi scomparse. Per
la biografia di Giuseppe Arifò e la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in L.
Sarullo, Dizionario artistico dei siciliani. Scultura, a cura di B. Patera, Novecento,
Palermo 1995, p. 10.
110 Carlo Gemmellaro (Catania 4 novembre 1787 - 21 ottobre 1866) fu
medico chirurgo, zoologo, botanico e archeologo. Prese parte alla battaglia
di Waterloo. Dal 1831 fu nominato professore di Storia Naturale prima e di
Geologia e Mineralogia poi, all’Università di Catania. Noto soprattutto per i suoi
studi di vulcanologia, creò una fiorente scuola di geologi tra le fila dei membri
della catanese Accademia Gioenia. Per la figura di Carlo Gemmellaro e per la
bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in Dizionario dei siciliani…, p. 243; R.
Cristofolini, Carlo Gemmellaro, geologo e vulcanologo, in L’Accademia Gioenia. 180 anni
di cultura scientifica (1824-2004). Protagonisti, luoghi e vicende di un circolo di dotti, a cura
di Mario Alberghina, Giuseppe Maimone Editore, Catania 2005, pp. 131-135.
111 Salvatore Betti (Orciano di Pesaro (An) 1792 - Roma 1882) fu professore
Nicoletta Di Bella
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
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Felice e Domenico Bisazza, Luigi Pellegrino, Giovan Battista Calapai, Riccardo
Mitchell, Lorenzo Maisano, Francesco Bertolami, Carlo Gemmellaro, Giuseppe
De Spuches, il barone Pasquale Galluppi. G. Arenaprimo, La stampa periodica…,
1892-1893, pp. 84-85.
115 La numerazione è fedele da XIII a XVI. La Corte Cailler ipotizza che la
lettera XVII, da “Scilla Cariddi”, che non riuscì a reperire, possa non essere mai
esistita, o al più che potesse trattare di Giuseppe Camarda o di Letterio Paladino,
argomenti annunciati per le lettere XIX e XX, anch’esse mancanti. G. La Corte
Cailler, Intorno le Belle Arti…, p. 82 bis. La lettera inizialmente numerata dal
La Farina come XVII e intitolata Si riconosce per opera di Luca Villamaci la statua
di S. Vittorio Angelica fu pubblicata col numero XVIII tra le pagine del “Il Faro.
Giornale di Scienze, Lettere e Arti”, a. VI, t. IV, fasc. 15, 1838.
116 Solo per le lettere XIII, XIV, XV e XVIII. La lettera XVI fu ritagliata
dal giornale.
117 La Corte Cailler aggiunge delle integrazioni, e riporta, oltre alle glosse di
La Farina, anche gli emendamenti apportati dall’Arenaprimo che aveva posseduto
il manoscritto autografo dopo Grosso Cacopardo, cui era pervenuto dopo la
morte dell’autore.
118 «In breve anderò a pubblicare la seconda parte delle mie lettere, che
non sono meno di altre dodici…», ancora «Io vado nel parere, completando la
pubblicazione di circa altre 12 lettere, ristampate tutte in un volume con qualche
addizione alle prime…». Cfr. Lettera di Carmelo La Farina ad Agostino Gallo datata
11 giugno 1835 e Lettera di Carmelo La Farina ad Agostino Gallo datata 20 agosto
1835, ms. della Biblioteca Comunale di Palermo, XIX sec., ai segni 2 Qq G 110.
119 Francesco e Stefano Cardillo, Polidoro Caldara, Deodato Guinaccia, Gio.
Paolo Funduli, Antonio Catalano, Francesco Laganà e Franco Bonajuto, Gio.
e Nicolino Van Houbracken, Filippo Tancredi, Dalliotta, Giannotto, Giovanni
Fulco, Antonello Resaliba, Animali del presepe, Gaspare Camarda, Salvatore
Mittica, Ignazio Brugnani, Comandè, Antonino Bova, Mariano Menniti, Antonino
Barbalonga, Stefano Giordano, Gio. Battista Mazzolo, Onofrio Gabrieli, Filippo
Paladino, Domenico Campolo, Andrea Quagliata, Michele Maffei.
120 Il periodico, di chiara connotazione nazionalistica e taglio
antimunicipalistico, di dichiarato intento politico letterario, foggiato sul modello
del “Giornale di Scienze Lettere e Arti” di Bertini e vicino ideologicamente alla
di Storia dell’arte, Mitologia e Costumi presso l’Accademia Pontificia di San Luca
in cui subentrò a Guattani, nel 1830, nel ruolo di segretario perpetuo. Strenuo
difensore del classicismo, assunse posizioni palesemente antiromantiche nei suoi
scritti tra le pagine del “Giornale Arcadico di Scienze, Lettere ed Arti” che diresse
dal 1819. Per la figura di Salvatore Betti e per la bibliografia a lui relativa si veda
ad vocem in D.B.I., vol. IX, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1967, pp.
724-726; A. Cerutti Fusco, Gaspare Salvi (1786 - 1849) Architetto e professore di
architettura teorica nell’Accademia di San Luca e il dibattito architettonico del tempo, in
La cultura architettonica nell’età della restaurazione, a cura di G. Ricci, G. D’Amia,
Mimesis, Milano 2002, p. 281.
112 Lorenzo Maisano (S. Lucia del Mela (Me) 1791 - Messina 1847),
medico, insegnò Medicina Pratica all’Università di Messina. Membro fondatore
della Società Cuveriana di Parigi, fu anche socio ordinario della Commissione
Provinciale di Vaccinazione, socio ordinario prima e vicedirettore poi della Prima
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali dell’Accademia Peloritana dei
Pericolanti e socio corrispondente di quella di Scienze Mediche di Palermo, della
Gioenia di Catania e di quella degli Zelanti di Acireale. Per la figura di Lorenzo
Majsano si veda R. Lombardo, Biografia del fu Lorenzo Majsano, professore di Clinica
Medica scritta da Raffaele Lombardo, professore di Fisiologia, Tip. di Commercio,
Messina 1847.
113 Carmelo Allegra (Messina 1810 - 1880), sacerdote, insegnante di francese.
Fondatore del giornale “Scilla e Cariddi”, periodico di carattere politico. A causa
della sua attività antiborbonica fu diffidato dalla Questura ed incarcerato nel 1847.
Durante la rivoluzione del 1848 diresse “L’aquila siciliana”, in seguito rinominata
“Trinacria”. Sospeso dall’insegnamento al tempo della restaurazione borbonica,
scrisse Prose di vario genere (Messina 1846) e collaborò a numerose testate. Per la
figura di Carmelo Allegra e per la bibliografia a lui relativa si veda ad vocem in
Dizionario dei siciliani…, pp. 28-29.
114 Diretta da Carmelo Allegra, fu pubblicata bimestralmente dal 1843 al
1846 per i tipi di Michelangelo Nobolo. Tra i collaboratori, oltre Carmelo La
Farina, Giovanni Giamboj, Marino Zuccarello Patti, Remigio Bisignani, Leonardo
Antonio Forleo, Saverio D’Amico, Nicolò Camarda, Giovanni Minà Morici,
Domenico Ragona Scinà, Antonio Fulci, Ercole Tedeschi Amato, Lodovico
Fulci Gordone, Andrea Di Gregorio, Silvestro La Farina, Antonio Minà La Grua,
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temi di Critica e Letteratura artistica
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sui dubbi precisando la propria appartenenza a quella schiera di «eletti, che non
leggono a spento lume le altrui opinioni intorno alla cronologia degli artisti,
elemento necessariissimo per la storia critica delle arti belle». Cfr. C. La Farina,
Lettera I. Su i pittori Francesco e Stefano Cardillo da Messina, in Intorno alle Belle
Arti…, 1835, p. 3.
123 Cfr. C. L a F arina , Lettera V. Si aggiunge Francesco Laganà…, 1835,
pp. 43-46.
124 V.M. Amico, Dizionario topografico della Sicilia. Tradotto dal latino ed annotato
da Gioacchino Di Marzo, t. I, Tipografia di Pietro Morvillo, Palermo 1855, p. 119.
Il dipinto è oggi conservato presso la parrocchia dei SS. Pietro e Paolo.
125 Per Andrea Quagliata (Messina 1594 - 2 giugno 1660), si veda ad vocem
in Dizionario artistico..., 2, p. 431; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…, p. 809.
Per i dipinti citati cfr. G. La Corte Cailler, Sicilia monumentale. Alcune opere
d’arte osservate in Taormina, in “Atti della R. Accademia Peloritana”, a. XVII,
1902-1903, p. 92.
126 C. La Farina, Lettera III. Se il Pittor Gio: Paolo Fondoli Cremonese possa noverarsi
tra gli esteri, che in Messina fiorirono, in Intorno alle Belle Arti…, 1835, pp. 31-36.
127 Cfr. G. Biffi, Memorie per servire alla storia degli artisti cremonesi, ed. critica a
cura di L. Bandera Gregori, in “Annali della Biblioteca Statale e Libreria Civica di
Cremona”, a. XXXIX, n. 2, 1989.
128 G. Grosso Cacopardo, Memorie de’ pittori messinesi…, pp. 88-89.
129 C. La Farina, Lettera II. Sull’anno di morte di Polidoro Caldara da Caravaggio,
in Intorno alle Belle Arti…, 1835, pp. 17-30.
130 G. Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori…, t. 9, pp. 248 e sgg.
131 C. La Farina, Lettera II. Sull’anno di…, 1835, p. 21.
132 Vasari lo vuole nella chiesa Cattedrale, mentre Buonfiglio e Gallo
asseriscono che sia tumulato nella chiesa del Carmine. J.P. Hackert, G. Grano,
Memorie de’ Pittori Messinesi, Stamperia reale, Napoli 1792, p. 22; G. Grosso
Cacopardo, Memorie de’ pittori messinesi…, p. 47; C.D. Gallo, Annali della Città di
Messina…, vol. I, 1756, p. 98. Alle opere citate da Grosso Cacopardo, La Farina
aggiunge al catalogo dell’artista lombardo due opere di piccole dimensioni, che
curiosamente comprendevano entrambe un piccolo autoritratto del pittore. Si
tratta di un Martirio di S. Placido, che ricorda in casa del «fu Presidente Finocchiaro»
e poi passato in collezione Geraci, già citato da G. Bertini (Estratti di opere di autori
“Antologia” del Gabinetto Vieusseux, fu pubblicato a partire dal 1831 per i tipi
d Giuseppe Fiumara. Nel 1836, il giornale sempre guidato dal La Farina, dovette
cambiare il suo titolo in “Il Faro” a causa delle polemiche politico-letterarie
sostenute contro il palermitano “Il Vapore” dei fratelli Linares, appoggiati dalla
polizia. I compilatori, spinti da «l’amore per la bella patria» manifestarono,
immediatamente dopo la sospensione, la volontà di riprendere le pubblicazioni
con l’intento di «condurre al vero per mezzo del bello […] per svegliare gli spiriti
divenuti ormai neghittosi per un sonno troppo lungo per causa del quale troppo
à sofferto l’amor nostro nazionale» con l’obbiettivo di «portare nella ognor massa
crescente dell’umano sapere quell’unità che manca e senza della quale non avran
pace gli animi, né i popoli vera quiete» (“L’Indagatore”, 1834, I, pp. 61-35). “Il
Faro” aveva in copertina una epigrafe (Felix quem faciunt alien pericola cautum) e
un verso (La verità nulla menzogna frodi). Dal 1839 il giornale riacquistò il nome
di “Spettatore Zancleo” e il proprio stampo prettamente politico e continuò le
sue pubblicazioni settimanali in modo regolare fino al 1847. Cfr. S. La Barbera,
La stampa periodica palermitana…, p. 87-121. Qualche sporadico numero di natura
letteraria uscì con scarso successo, con contributi di autori minori. Cfr. G.
Arenaprimo, La stampa periodica…, 1892-1893, pp. 158-160, 162-166; G. Oliva,
Annali della città di Messina…, estratto da “La Sicilia nel risorgimento italiano”, a.
III, f. I, pp. 3-18.
121 Pubblicato dal 5 ottobre 1833 all’aprile del 1840. Tra i principali
corrispondenti i nomi dell’intellighenzia siciliana del periodo: oltre al citato
Grosso Cacopardo, Francesco Arrosto, Felice Bisazza, Antonio Catara Lettieri,
Anastasio Cocco, Agostino Gallo, Carlo Gemelli, Alojsio Juvara, Agatino
Longo, Lorenzo Maisano, Raffaello Politi, Carmelo Prestigiovanni, Giovanni
Saccano, Antonio Sarao, Domenico Ventimiglia, Lionardo Vigo. Dal maggio
1841 la nuova serie del giornale in cui La Farina figura tra i corrispondenti,
fu edita per i tipi di Tommaso Capra col titolo di “Il Maurolico. Giornale del
Gabinetto Letterario di Messina”. Intitolato solo “Giornale del Gabinetto
Letterario di Messina” dal 1842 al 1 settembre 1874, quando fu chiuso per
ordine del Governo. Cfr. G. Arenaprimo, La stampa periodica…, 1892-1893, pp.
166-169; G. Oliva, Annali della città di Messina…, 1893, pp. 263, 270-271.
122 Relativamente alle attribuzioni ai pittori messinesi Francesco e Stefano
Cardillo, nella prima lettera indirizzata ad Agostino Gallo, La Farina manifesta i
Nicoletta Di Bella
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
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e di studi, sia del gruppo di angeli avvinghiato al tempietto dell’Adorazione dei
Pastori, che di apparati per i “Trionfi” per Carlo V. Cfr. Il disegno conservato al
Kupferstichkabinett di Berlino, inv. K.d.Z. 26458, 79.D.34; cfr. A. Marabottini,
Polidoro…, pp. 176, 215, 333-334.
138 Lo stesso La Farina precisa che i libri del Banco iniziano dal 1837,
sebbene Gallo negli Annali li dati a partire dal 1586. Ci informa che molti
dei tomi furono rubati e venduti come carta dopo il terremoto del 1783.
Cfr. C. La Farina, Lettera II. Sull’anno di morte…, 1835, pp. 28-29, nota “p”.
140 C. La Farina, Lettera XI. Si producono alcuni dipinti…, 1835, pp. 81-83.
141 Gaetano La Corte Cailler è concorde: «Non è possibile che Comandè,
nato nel 1580, assistesse alla scuola di Paolo Veronese, morto nel 1588». Cfr. le
annotazioni autografe, ripubblicate in C. La Farina, Intorno alle Belle Arti…, 2004,
p. 130, n. 4. Già Susinno ne Le Vite de’ pittori messinesi (ms. 1742, ed a cura di
V. Martinelli, Pubblicazioni dell’Istituto di storia dell’arte medievale e moderna,
Facoltà di lettere e filosofia, Università di Messina, Firenze 1960, pp. 121-125) e
Mongitore nelle Memorie dei pittori, scultori, architetti e artefici in cera siciliani (1740 ca.,
ed. a cura di E. Natoli, S.F. Flaccovio, Palermo 1977, p. 100), datano la nascita
dell’artista al 1558.
142 Filippo Tancredi (Messina 1655 - 1722). Per la sua figura e la bibliografia
a lui relativa si veda M. Guttilla, Filippo Tancredi, in “Quaderni dell’A.F.R.A.S.”,
n. 3, Palermo 1974; ad vocem in Dizionario artistico..., 2, pp. 518-519; M. Guttilla,
Pittura e incisione nel Settecento, in Storia della Sicilia, Editalia - Domenico Sanfilippo
Editore 2, Roma 1999, pp. 290-297; Ead., Gli studi pioneristici di Maria Accascina
sulla pittura del Settecento. Sviluppi, conferme e piccole novità, in Storia, critica e tutela
dell’arte nel Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale, Atti
del Convegno Internazionale di Studi in onore di Maria Accascina (Palermo Erice 14-17 giugno 2006), a cura di M.C. Di Natale, Salvatore Sciascia Editore,
Caltanissetta 2007, pp. 300-315 e in part. 309; ad vocem in Enciclopedia della Sicilia…,
p. 946; Ead., Cantieri decorativi a Palermo dal tardo Barocco alle soglie del Neoclassicismo,
in Il Settecento e il suo doppio, Rococò e Neoclassicismo, stili e tendenze europee nella Sicilia dei
viceré, atti del convegno internazionale di studi (Palermo 10-12 novembre 2005), a
cura di M. Guttilla, Kalòs, Palermo 2008, pp. 177-207 e in part. 185.
143 J.P. Hackert, G. Grano, Memorie de’…, p. 64; G. Grosso Cacopardo,
Memorie de’ pittori messinesi…, p. 207.
siciliani. Memorie de’ pittori Messinesi, ecc. Sei Lettere MSS. di Giuseppe Grosso Cacopardi.
Continuazione dell’Estratto, in “Giornale di Scienze, letteratura e Arti per la Sicilia”,
a. I, t. IV, 1823, pp. 101-102) e una Deposizione dalla croce, nello studio dei fratelli
Giuseppe, Letterio e Pietro Subba, passata successivamente in mano al La Farina
stesso. Le attribuzioni sono accettate anche dalla critica successiva, cfr. G. Di
Marzo, Delle Belle arti…, 1862, p. 231; T. Pugliatti, La pittura del Cinquecento…, p.
132. Infine segnala anche un S. Giacomo apostolo, perduto nel terremoto del 1693,
per la chiesa dei Conventuali di Catania nella cappella dei Principi della Torre
(F. Cagliola, Almae siciliensis Provincaie Ordinis Minorum Canventualium S. Francisci
manifestationes novissimae, sex explorationibus camplexae, Venezia 1644, ed. a cura di F.
Rotolo, Palermo, Officina di Studi Medievali, 1984, p. 73).
133 Ci rimangono svariati disegni e schizzi oltre che una testimonianza diretta
e particolareggiata in un libretto in versi opera di Colagiacomo d’Alibrando,
datato il 1 settembre 1534 e dedicato al nobile Pietro Ansalone committente del
dipinto; C. d’Alibrando, Il Triompho il qual fece Messina nella Intrata del Imperator
Carlo V e Molte altre cose Degne di notizia…, Messina 1535, pubblicato anche in
C.D. Gallo, 1758, t. II, libro VII, pp. 499-516. Cfr. A. Marabottini, Polidoro da
Caravaggio, Edizioni dell’Elefante, Roma 1969, pp. 176, 215, 333-334; P. Leone
De Castris, Polidoro da Caravaggio fra Napoli e Messina, Roma 1988-1989, pp. 130132.
134 Tutte le notizie relative al dipinto si evincono dal libretto di Colagiacomo
d’Alibrando, dedicato a Pietro Ansalone. Cfr. T. Pugliatti, La pittura del
Cinquecento…, p. 121; P. Leone de Castris, Polidoro da Caravaggio…, pp. 130-131.
135 Per l’opera, Marabottini (Polidoro…) ipotizza il nome di Stefano
Giordano. Teresa Pugliatti considera l’ipotesi attributiva al Guinaccia
«improponibile per ragioni cronologiche» (La pittura del Cinquecento…, 1993, p.
124).
136 In ambito isolano solo G. Di Marzo (Delle Belle arti in Sicilia…, 1862,
p. 235) concorda con La Farina nel correggere la data di morte proposta da
Vasari, anticipandola al ’34.
137 E. Mauceri, Polidoro da Caravaggio a Messina, in “Sicilia”, 1928, gennaio,
pp. 3-5. È stato suggerito (T. Pugliatti, La pittura del Cinquecento…, pp. 123125) che dato l’alto numero di richieste, l’esecuzione della pala dell’Alto fosse
stata rimandata, ipotesi confortata dalla presenza nello stesso gruppo di schizzi
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
144 C. La Farina, Lettera VI. Si purga di talune…, 1835, pp. 47-56.
145 Id., Si fissa l’anno del ritorno in patria del famoso dipintore Antonino
Barbalonga da Messina. Al Valoroso Artista Tommaso Aloisio, in Intorno alle Belle
Arti…, 1835, pp. 84-90.
146 Alojsio Juvara rispose a La Farina con una lettera intitolata Intorno a taluni
dipinti di Antonino Barbalonga, pubblicata nel 1837 ne “Il Faro. Giornale di Scienze,
Lettere ed Arti”, a. V, v. III, n. 13, pp. 69-76; la lettera è ripubblicata in Appendice,
II – Belle Arti, in C. La Farina, Intorno alle Belle Arti…, 2004, pp. 221-229.
147 Datata “Messina, 9 dicembre 1833”, cfr. C. La Farina, Lettera I. Su i
pittori..., 1835, pp. 3-16.
148 Ibid., p. 3.
149 J.P. Hackert, G. Grano, Memorie de’…, p. 19.
150 P. Samperi, Messana S.P.Q.R.…, p. 614, n. 267; Id., Iconologia della gloriosa…,
p. 601.
151 G. Buonfiglio e Costanzo, Messina, Città Nobilissima…, 18r.
152 C. D. Gallo, Annali della Città di Messina…, vol. III, 1804, pp. 107, nota
21, 183.
153 F. Susinno, Le Vite…, p. 168.
154 C. La Farina, Lettera I. Su i pittori..., 1835, p. 4. La Farina aveva già
accennato ai dipinti dell’Alto in Notizie di alcuni Pittori Messinesi, in “Il fa per
tutti …”, 1812, p. 127
155 G. Grosso Cacopardo, Memorie de’ pittori messinesi…, pp. 26, 64, ascrive
a «un Cardillo da Messina» fiorito «verso gli ultimi del 1400» i due dipinti.
Anche G. La Farina (Messina e i suoi…, pp. 57-58) concorda con questa
ipotesi. Gallo è citato pure da Di Marzo (Delle Belle arti in Sicilia…, 1862, p.
171) che ricorda i due dipinti e in merito alla Visitazione precisa, che «in un
angolo si scorge con tutta leggiadria dipinto un cardellino, siccome emblema
del cognome del dipintore. Il quale così innanzi si mostra in quell’opera, per
singolar progresso dell’arte nel comporre con grande sviluppo le figure, nel
disegnare e colorire con somma energia e con profonda scienza, e nel trattar
con molta abilità la prospettiva, ch’è degno di appartener veramente alla scuola
del cinquecento; e forse fiorì al di là dell’epoca, che il Gallo stabilì per lui nel
cadere del decimo quinto secolo». La segnalazione è ripresa successivamente
da Brunelli che però non concorda con Di Marzo in merito all’ipotetica
datazione. Lo studioso riscontra i modi del Giuffrè nello stile dell’artista che
nel dipinto raffigurante la Visitazione «pose e non pose la sua firma. Non scrisse
il nome ma in un angolo pose un cardellino…» sulla base del raffronto con
un dipinto di analogo soggetto realizzato per la chiesa del Varò a Taormina
(E. Brunelli, Note antonelliane, in “L’Arte”, 1908, pp. 300-304 e in part. 300301; cfr. ad vocem Cardillo in Allgemeines Lexikon der bildender Kunstler, a cura di U.
Thieme - F. Becker, V. F. Ullmann, Leipzig 1911, p. 585, Id., Antonino Giuffrè,
il vecchio Cardillo, Alfonso Franco, in “Giornale di Sicilia”, 21 maggio 1931, p. 3).
Per le ipotesi sulla figura di un ‘maestro Cardillo’ si vedano anche G. Columba,
Terremoto di Messina. Opere d’arte recuperate dalle R. Soprintendenze dei Monumenti,
dei Musei e delle Gallerie di Palermo, Stabilimento tipografico Virzì, Palermo 1915,
p. 42, che riferisce l’attribuzione di Carmelo La Farina; E. Mauceri, Dipinti
inediti dei sec. XV e XVI nel Museo Nazionale di Messina, in “Bollettino d’Arte”,
a. XIII, ff. 5-6-7-8, maggio-agosto 1919, pp. 77-79; Id., Il Museo Nazionale di
Messina, La Libreria dello Stato, Roma 1929, p. 39; S. Bottari, Ricerche intorno agli
Antonelliani, in “Bollettino d’Arte”, s. II, a. X, f. VII, gennaio 1931 (a. IX), pp.
291-316 e in part. 315-316, nota 24; Id., Introduzione, in J.P. Hackert, G. Grano,
Memorie di Pittori Messinesi, Stamperia Reale, Napoli 1792, ed. con introduzione,
note e appendice bibliografica a cura di S. Bottari, in “ASM”, n.s., a. XXVIIIXXXV, 1934, p. 19.
156 La critica più recente è concorde nel ritenere che il dipinto non possa essere
assegnato a Francesco. Cfr. Cardillo, ad vocem in D.B.I., 19, Istituto dell’Enciclopedia
Italiana, Roma 1976, pp. 770-772; ad vocem in Dizionario artistico..., 2, pp. 74-75; ad
vocem in Enciclopedia della Sicilia…, p. 228.
157 G. Rosini, Storia della pittura italiana esposta coi monumenti, presso Niccolo’
Capurro, Pisa 1845, vol. v, p. 43; T. Pugliatti, La pittura del Cinquecento…, pp. 168170.
158 Frazione di Gualtieri Sicaminò (Me). Per i Cardillo si veda, ad vocem in
D.B.I., XIX, Roma 1976, pp.780-782.
159 C.D. Gallo, Apparato agli Annali…, p. 183.
160 G. Grosso Cacopardo, Memorie de’ pittori messinesi…, p. 64; F. Susinno, Le
Vite…, p. 168; C. D. Gallo, Annali della Città di Messina…, vol. III, 1804, p. 183;
C. La Farina, Lettera I. Su i pittori…, 1835, p. 13
161 G. Grosso Cacopardo, Memorie de’ pittori messinesi…, 1821, p. 64; F.
Nicoletta Di Bella
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
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numero 3 - maggio 2011
Susinno, Le Vite…, p. 168; C. D. Gallo, Annali della Città di Messina…, vol. III,
1804, p. 183; C. La Farina, Lettera I. Su i pittori…, 1835, p. 13.
162 Questo dipinto era citato da Grosso Cacopardo come opera del solo
Stefano. La Farina riporta Samperi che la definisce «opera a meraviglia bella»
P. Samperi, Iconologia della gloriosa Vergine…, p. 601. Cfr. Memorie de’ pittori
messinesi…, pp. 102-103.
163 G. Grosso Cacopardo, Guida per la città di Messina scritta dall’Autore delle
Memorie de’ pittori Messinesi, presso Giuseppe Pappalardo, Siracusa (Messina)
1826, rist. anast. Bologna 1989, p. 29. Giuseppe La Farina cita il documento
parzialmente pubblicato dal padre (C. La Farina, Lettera I. Su i pittori..., 1835, p.
14) ribadendo che «questa pittura dava il Gallo al Rubens, ed il Grosso a Francesco
Cardillo; ma non è d’attribuirsi né all’uno né all’altro. Nel catalogo de’ confrati,
che ha cominciamento col 1588, sta scritto “Agostino Massena genovese entrò
li 11 marzo 1629; regalò l’egregio quadro, che si conserva nel nostro Oratorio
di quando il P. S. Francesco si gettò nudo tra le spine: opera di eccellente pittore
fatta venire dal medesimo dalle Fiandre. Il prezzo è costato duecento scudi di
nostra moneta.” Or dunque è a dirsi che al Cardillo non partiene, né tantomeno
al Rubens, il quale nel 1629 era già da un decennio passato da questa vita», cfr.
Messina ed i suoi monumenti, Messina 1840, p. 71; parimenti Salvatore Lanza descrive
il dipinto informando che «si attribuisce a Rubens o a Francesco Cardillo, ma
pare non possa essere né dell’uno né dell’altro, avuto riguardo all’anno in cui fu
eseguito», cfr. Guida del viaggiatore in Sicilia, Palermo 1859, p. 134. In questi anni
l’attenzione alla penetrazione della cultura fiamminga in Sicilia si ha anche da parte
di Gioacchino Di Marzo che ne La Pittura in Palermo nel Rinascimento, del 1899,
segnala alcuni esempi di opere ed artisti provenienti dalle Fiandre evidenziandone
il forte impatto in ambito locale. Questi studi saranno approfonditi dallo studioso
anche nel saggio intitolato Di Antonello da Messina e dei suoi congiunti (in Documenti
per servire alla Storia di Sicilia, pubblicati a cura della Società Siciliana per la Storia Patria,
s. IV, v. IX, Palermo 1903 e saranno ulteriormente indagati metodologicamente
nello scritto degli ultimi anni dedicato al pittore anversate Guglielmo Borremans
(Guglielmo Borremans di Anversa, pittore fiammingo in Sicilia nel secolo XVIII (17151744), Virzì, Palermo 1912).
164 G. Grosso Cacopardo, Guida per la città di Messina…, 1826, rist. anast.
Bologna 1989, p. 120.
165 G. Bertini, Saggio sulle Memorie de’ Pittori Messinesi, ed Esteri, che in Messina
fiorirono: Messina 1821, n. 8 Fasc. I e II, in “L’Iride. Giornale di Scienze, Lettere ed
arti per la Sicilia”, a. I, t. II, Palermo 1822, pp. 100-118 e in part. Parte II. Estratti
di autori siciliani…, in “Giornale di Scienze, Letteratura ed Arti per la Sicilia”, a. I,
t. IV, 1823, p. 87.
166 C. La Farina, Lettera I. Su i pittori..., 1835, p. 9.
167 Nel volume posseduto da La Corte Cailler, appartenuto a Grosso
Cacopardo prima e all’Arenaprimo poi, è presente una postilla apposta nel 1903
ricopiata dagli originali autografi di La Farina, in cui si precisa che «Il quadro della
Madonna di Monserrato, nella cappella del forte Gonzaga “venne sotto i nostri
occhi, da chi lo aveva in serbo, audacemente trafugato”». Cfr. Premessa, in C. La
Farina, Intorno alle Belle Arti…, 2004, p. 50, nota 20.
168 G. Grosso Cacopardo, Belle Arti. Continuazione delle Lettere sulla pittura
dell’Autore delle Memorie dei Pittori Messinesi. Lettera III, “Maurolico. Foglio periodico”,
s. I, n. 6 (Messina 9 novembre 1833), pp. 42-43; cfr. G. Grosso Cacopardo,
Opere…, 1994, pp. 30-31.
169 Queste ultime due opere, insieme alla tela con la Madonna col Bambino,
Sant’Anna e Santa Venera della chiesa Madre di Novara di Sicilia, firmata “Ego
feci” entro un piccolo cartiglio portato dal solito cardellino, datato 1607 e dunque
probabilmente sua ultima opera, sono le uniche sopravvissute. Dal Registro dei
Morti della chiesa del convento di S. Girolamo dei Domenicani di Messina, al
foglio 194, si evince che Francesco Cardillo morì il 29 ottobre 1607, come lo stesso
La Farina informa. Cfr. G. Borghese, Condizioni di Novara sotto l’aspetto della civiltà e
dell’arte, in “ASM”, 1905, a. VI, ff. III-IV, pp. 223-262; Id., Novara di Sicilia e le sue opere
d’arte (da documenti inediti), in “ASM”, 1906, a. VII, ff. III-IV, pp. 223-262; Cardillo, ad
vocem in D.B.I., XIX, Roma 1976, pp.780-782, osserva che sia la Pietà che la Madonna
e Santi di Novara rivelano l’adesione a modi manieristico-controriformati e una
spiccata attenzione verso effetti naturalistici e cromatici vicini ai modi di Antonio
Catalano l’Antico, discordando in modo piuttosto evidente dalle espressioni della
Madonna di Soccorso, in cui evidenti caratteri polidoreschi spiccano nel registro
inferiore, specie nella figura del demone. Cfr. P. Leone de Castris, Polidoro da
Caravaggio…, p. 178, 184; T. Pugliatti, La pittura del Cinquecento…, pp. 169-170.
170 Cfr. Cardillo Francesco, ad vocem in Dizionario artistico..., 2, pp. 74-75; ad vocem
in Enciclopedia della Sicilia…, 2006, p. 228.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
L’attribuzione è accettata con qualche riserva da G. La Farina (Messina e i suoi…,
1840, pp. 38-39), e successivamente da G. Di Marzo (Delle Belle arti in Sicilia…,
1862, p. 309), s.a., Messina e dintorni, guida a cura del Municipio, Prem. stab. G.
Crupi, Messina 1902) e A. Salinas e G.M. Columba (Terremoto di Messina (28
dicembre 1908). Opere d’arte recuperate dalle RR. Soprintendenze dei Monumenti, dei Musei
e delle Gallerie di Palermo, Palermo 1915, p. 25), che lo dicono «recuperato nel
museo», sebbene non figuri tra le opere esistenti. Cfr. T. Pugliatti, La pittura del
Cinquecento…, p. 332, nota 8.
176 Id., Notizie di alcuni Pittori Messinesi, in “Il fa per tutti…”, 1812, p. 125.
177 Si ricordano tra le altre: C. La Farina, Elogio funebre per Sua maestà Ferdinando
I Borbone, Re del Regno delle Due Sicilie, nella straordinaria tornata della reale Accademia
de’ Pericolanti del dì 8. Febbraio 1825. Letto dal Socio Carmelo La Farina Dottore in ambe
le leggi, professore di matematica nella reale Accademia Carolina, deputato, ed esaminatore
geometra per l’equazione de’ pesi, e delle misure, prefetto del pub. Museo, ed Accademico del
Buon Gusto, Giuseppe Fiumara, Messina 1825; Id., Inno da cantarsi nel Real Teatro
della Munizione della Città di Messina la sera de’ 29 luglio 1828 nella sempre lieta occasione di
essere ornato dall’Eccellentissimo Signore Marchese della Favara, brigadiere de’ reali Eserciti,
Gentiluomo di Camera con esercizio, Cavaliere degl’insigni Reali Ordini di S. Gennaro, e di
S. Ferdinando, e del Merito, cavaliere di 1.ma Classe dell’ordine Imper. Austriaco della Corona
di Ferro, Cavaliere di Giustizia del Real Ordine Militare di S. Stefano P. e M. Consigliere
di Stato Ministro Luogotenente Generale di S. M. (D. G.) in questa parte de’ Reali Dominj
ec. ec. ec. Parole di Carmelo La Farina, Antonino d’Amico Arena, Messina 1828; Id.,
Pell’assunzione alla Sacra porpora di D. Francesco di Paola Villadicani, Cardinale del titolo
di S. Alessio, Arcivescovo di Messina ec.ec., Discorso pronunziato nella Reale Accademia
Peloritana il dì 12 ottobre 1843 dal suo Segretario Generale Professore Carmelo La Farina
giudice di tribunale civile, Stamperia di G. Fiumara, Messina 1843; Id., Cenni biografici
dell’eminentissimo principe D. Francesco di Paola Villadicani, patrizio messinese dei principi
di Mola, dei marchesi di Condagusta, dei baroni Lando, Pirago, e Cartolano, Cardinale
Presbitero si S. R. C., del titolo di S. Alessio, già Vescovo di Ortosia, Arcivescovo di Messina,
Conte di Regalbuto, Barone di Bolo, Signore di Alcara, ec. ec. ec., per Carmelo La Farina,
Giudice di Gran Corte Criminale, Professore di Geometria e Trigonometria nell’Università
Messinese, prefetto del Pubblico Museo, Membro effettivo del VII Congresso degli Scienziati
Italiani, Membro dell’istituto di corrispondenza Archeologica di Roma, della Società libera di
emulazione di Roano, e dell’Etrusca della Valdarnese di Montevarchi, degl’Incamminati di
171 Reg. dei Matrimoni, fol. 41, retro, num. 173. Pubblica anche notizie
riguardo ai fratelli di Stefano, figli di Francesco, formatosi alla scuola di Antonello
Rizzo, del quale sposò la figlia Giovannella da cui ebbe quattro figli: Stefano (21
febbraio 1595), Vincenzio (29 agosto 1596) morto a soli ventotto anni, Flavia (30
novembre 1600), Anna Maria (5 febbraio 1603). Cfr. Reg. dei Morti, fol. 33, num.
910; Reg. dei Matrimoni, della Parrocchiale Chiesa di S. Nicolò dell’Arcivescovado
del 1593, fol. 98, retro; Morto il 6 gennaio 1625, Reg. dei Morti, fol. 6, num.
144; Reg. dei Natali, della Parrocchiale Chiesa di S. Nicolò dell’Arcivescovado
sotto i giorni indicati. G. Molonia fa notare che C.D. Gallo, erroneamente segnala
Stefano come l’ultimo dei figli e non il primo quale è effettivamente (Annali della
Città di Messina…, t. III, Messina 1803, p. 107, nota 21).
172 Nel 1812 riporta notizie relative a Pietro Oliva, Polidoro, Guinaccia,
Mariano e Antonio Riccio (C. La Farina, Notizie di alcuni Pittori Messinesi, in “Il
fa per tutti o sia Calendario, e notizie per l’anno bisestile 1812”, 1812, pp. 121127) e segnala notizie Su un antico sarcofago esistente a Messina (in Ibid., pp. 41-43). In
nota menziona anche un breve saggio sulla famiglia degli «Antonii» in riferimento
alle Memorie degli artisti messinesi di Grosso Cacopardo, «dottissimo anonimo
concittadino», pubblicate l’anno precedente in un articolo intitolato “Strenna
Galante dell’Animoso Accademico Peloritano», cfr. C. La Farina, Notizie di alcuni
Pittori Messinesi, in Ibid., pp. 121, nota 1. Nel 1813 riferisce di G. S. Comandè, A.
Catalano, A. Rodriguez (C. La Farina, Continuazione delle notizie su alcuni Pittori
Messinesi, in “Il fa per tutti o sia…”, 1812, pp. 139-144); nel 1814 cita M. Minniti,
A. Socino, F. Giannitti, D. Marolì, A. Quagliata (C. La Farina, Continuazione delle
notizie su alcuni Pittori Messinesi, “Il fa per tutti o sia …”, 1814, pp. XX-XXIV).
173 “Il fa per tutti o sia Calendario, e notizie per l’anno bisestile 1812” (1813,
1814, 1815, 1816, 1817, 1818, 1819, 1820, 1821, 1822) fu pubblicato dal 1812
per dieci anni, dai torchi di Giovanni del Nobolo. Cfr. G. Arenaprimo, La stampa
periodica…, 1892-1893, p. 147, nota 1; Id., Almanacchi e Strenne di altri tempi, in
“Eros. Rivista artistica letteraria”, I, 1900, f. I, pp. 9-12.
174 L’opera era stata riferita in precedenza alla “scuola di Polidoro”, o più
genericamente definita “di stile raffaellesco”. Cfr. C.D. Gallo, Apparato agli
Annali…, 1755, p. 172; G. Grosso Cacopardo, Guida per la città di Messina…,
1826, p. 2; Id., Guida per la…, 1841, p. 2.
175 C. La Farina, Lettera VII. Si adducono varie notizie..., 1835, pp. 60-61.
Nicoletta Di Bella
Scritti d’arte di Carmelo La Farina (1786 - 1852)
81
numero 3 - maggio 2011
Modigliana, degli Entoleti di S. Miniato, dell’Accademia di Scienze e Lettere di Palermo, degli
Zelanti di Aci-Reale, della Civetta di Trapani, della Lilibetana di Marsala, dell’Accademia
Cosentina, della Florimontana di Monteleone, Membro della Società Economica della Provincia
di Messina, e di quella della Calabria Ulteriore Seconda, segretario Generale della Reale
Accademia Peloritana, Stamperia di Tommaso Capra, Messina 1846.
178 C. La Farina, Congettura del prof. C. La Farina…, Marzo 1836, pp. 165168. Cfr. F. Bisazza, Archeologia. Congettura del professore Carmelo La Farina, sul sito
dell’antico Nauloco. Messina (estratto dal Faro, fascicolo III, Marzo 1836) 8. Di pag. 6, in
“Il Faro che siegue lo Spettatore Zancleo. Giornale di Scienze Lettere e Arti”, a.
IV, vol. II, f. 9, Settembre 1836, pp. 190-191.
179 C. La Farina, Congettura del prof. C. La Farina sul sito dell’antico Nauloco,
estratto dal “Il Faro che siegue lo Spettatore Zancleo. Giornale di Scienze Lettere
e Arti”, a. IV, vol. I, f. 4, Aprile 1836, pp. 253-260.
180 C. La Farina, Statistica della Città di Messina, in “Lo Spettatore
Zancleo”, a. II, n. 22, Messina 28 Maggio 1834, p. 176; ivi, a. II, n. 22,
Messina 3 Giugno 1835, p. 173-175; Id., Statistica della Città di Messina in
“Il Faro. Giornale di Scienze Lettere e Arti”, a. IV, vol. I, Messina 1836, pp.
311-314; ivi, a. V, vol. III, “da Gennaro a Giugno”, Messina 1837, pp. 81-85.
181 C. La Farina, Statistica della Città di Messina, in “Giornale degli Atti
per l’Intendenza del Valle di Messina”, a. 1835, f. III, pp. 62-63. Edito dal 3
maggio 1818, giorno dell’insediamento nel palazzo municipale del Barone di
Mandrascate, Intendente del Vallo di Messina, il periodico fu pubblicato con
regolarità, inizialmente ogni decade, poi dal 1822 divenne mensile e nel ’37 se
ne pubblicò un solo numero di appena 8 pagine, a causa della epidemia di colera
che aveva colpito la città. Dal numero 4 del 1838 mutò il suo nome in “Giornale
dell’Intendenza della Provincia di Messina e le pubblicazioni durarono fino al
1859. G. Molonia, La stampa periodica…, 2004, p. 68.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
82
Appunti su uno scritto
poco noto di Agostino Gallo
di Carmelo Bajamonte
del canonico Cesare Pasca, su cui avremo occasione di tornare
nell’apparato critico5. Sembra restituire, invece, una sensibilità
diversa, e in un’inedita ottica nazionalistica, uno scritto compilato
nel giro di anni successivi all’Unità da uno dei maggiori intellettuali
siciliani del periodo.
È da assegnare infatti ad Agostino Gallo6 il merito di aver posto
in congruo rilievo, in un libretto singolare quanto negletto7,
un’area distinta di attività artistiche indagata nelle sue vicende e
contestualizzata nei livelli più vari. Lo studio, coscienziosamente
preparato con la volontà di individuare le caratteristiche distintive
della cultura isolana in seno a quella italiana, è rimasto a oggi in
una sorta di limbo, escluso sia dalla letteratura del XVIII secolo –
che possiamo ritenere di mediocre gittata perché occupatasi di arte
in maniera episodica e disaccentata – sia dal sistema storiografico
I
l panorama della letteratura artistica siciliana dell’Ottocento
riguardo alle arti decorative presenta esiti di natura mistilinea.
Sull’argomento disponiamo di una nutrita produzione letteraria1,
sebbene si tratti per la più parte di studi municipalistici di computisti
eruditi, spesso approntati con un armamentario teorico spuntato:
nella prima metà del XIX secolo, è facile scorgere tali declinazioni
nelle pagine di padre Benigno da Santa Caterina2, di Giuseppe Maria
Fogalli3 o di Giuseppe Maria Di Ferro4, le cui notazioni sulle arti
sono sparse in testi di varia natura (biografie, guide, panegirici, testi
confessionali). Anche nella stampa periodica si trovano affrontati
alcuni aspetti della produzione delle arti tecniche come negli articoli
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
84
numero 3 - maggio 2011
del secolo seguente, quando con il fiat di Gioacchino Di Marzo la
critica d’arte in Sicilia fu8.
Agostino Gallo – è forse il caso di rammentarlo – è un poliedrico
esponente della Repubblica delle lettere, organico alle istituzioni
culturali (fu socio di accademie italiane, Deputato della R.
Università, Segretario Archeologo della Commissione di Antichità
e Belle Arti di Palermo), pubblicista e ben provveduto divulgatore
con le chiavi di un’ampia comunicazione. ‘Giano bifronte’ fra
enciclopedismo settecentesco
e nuovi approcci alla storia
dell’arte, si darà a più imprese
spezzettate lasciando una
congerie di appunti, rimasti
in gran parte manoscritti
per troppa abbondanza di
propositi9. In questo articolato apparato bibliografico,
quanto andremo a leggere
rappresenta una messa in
ordine di appunti e interventi
Giuseppe Patania, Agostino Gallo,
pubblicati su periodici 1826,
Biblioteca
Comunale,
delle Due Sicilie, dedicati Palermo. Foto Enzo Brai.
all’intaglio ligneo10 o ad artefici
poco noti al grande pubblico
quali Michele Laudicina11 o
Girolamo Bagnasco12.
Apparso prima sul quindicinale “Diogene” di Palermo
– un giornale scientifico e
letterario diretto dall’amico
e biografo Paolo Sansone,
che si avvaleva di Gallo in
veste di redattore – l’apografo
viene poi girato al “GiornaA. Gallo, Sull’influenza ch’esercitarono
gli artisti italiani in varii regni d’Europa, le Arcadico” di Roma13,
Palermo 1863.
diretto dall’archeologo e
Commissario alle antichità dello Stato Pontificio Pietro Ercole
Visconti14, nipote di Ennio Quirino, al quale erano giunti da
Palermo anche altri lavori fra cui la Necrologia di Giuseppe Patania15
e una Vita di Angelo Marini16. Il lavoro sarà infine pubblicato come
estratto, sempre nel 1863, con i tipi dello stabilimento Barcellona
di Palermo.
Dedicata all’«insigne scultore italiano che nelle forme corrette ed
eleganti e nella grazia ingenua elevò l’arte a maggior gloria» – cioè
Carmelo Bajamonte
Appunti su uno scritto poco noto di Agostino Gallo
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numero 3 - maggio 2010
a Pietro Tenerani, uno dei segnatari del Manifesto del Purismo
(1843), forse l’artista (in Sicilia nel 183817) che più di ogni altro
in quel momento incarnava gli ideali estetici dello scrittore –
l’operetta riprende il disegno del Saggio su’ pittori del 184218, di
di far noto ai siciliani i vanti eccelsi di questa terra […]; mostrare
altresì agli stranieri che non è vano lo studio dei nostri monumenti,
ed esortarli che prima di scrivere dell’universa Italia vengano qui e
veggano, e non ci appartino dalla gran famiglia degli stati italiani21.
cui ricalca sia le motivazioni ideologiche – nell’esercizio di una
critica militante versata soprattutto negli artisti contemporanei
– sia il modo di organizzare la materia, basato con gesto di
riepilogo su una rassegna di personalità e indirizzi che ancorché
stringata testimonia nel numero la vivacità del caleidoscopio
siciliano.
Gallo compendia in una ventina di pagine un profilo storicoartistico ideologizzato e mirato a riabilitare la regione nel novero
delle scuole artistiche italiane. Nel contesto di un Ottocento
nazionalistico19, è dunque messa a punto una strategia tendente a
costituire in unità le singole realtà locali secondo precise priorità:
fare l’Italia artistica sulla base di una convergente proposta
storiografica; compensare il ritardo accumulato nei confronti
degli ‘esteri’; e, nel caso specifico della Sicilia, legittimare
l’appartenenza a pieno titolo a tale sistema sopraregionale non
senza partigianeria e un pervasivo spirito di revanche20. Un’urgenza
di cui si farà interprete anche un giovanissimo Gioacchino Di
Marzo che nel primo volume Delle Belle Arti esibiva il manifesto
Ora l’aspetto da porre in rilievo è la modalità con la quale Gallo
tenta di risolvere un complesso d’inferiorità, ingaggiando il
confronto su un terreno secondo lui propizio, quello delle arti
decorative, riconosciute di pari dignità estetiche e creative rispetto
alle maggiori. In un discorso che lo scrittore riteneva suscettibile di
approfondimenti22, l’attenzione si appunta in prima battuta su tale
ambito, nell’intento di rivendicarne la preminenza nello scenario
italiano, poiché nella «sede natia di Cerere» una tradizione artistica
che affondava radici in un passato antico aveva visto prosperare la
glittica, la ceroplastica, il commesso marmoreo, l’arte dello smalto,
i capolavori di argenteria e oreficeria, la maiolica, tutte arti non
secondarie per l’incommensurabile estro inventivo e la perfezione
tecnica che le significava.
Aggiunti al commentario i testi di due autori di solida preparazione
– Andrea Pietro Giulianelli23 e Aubin-Louis Millin24 – Agostino
Gallo produce in apertura un elenco d’intagliatori dell’antichità,
tralasciando ex professo – e rimarca con intonazione sarcastica – i
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
Non credo sia necessario
uno sforzo interpretativo per
riconoscere la piena continuità con la tradizione filorinascimentale, giocata su un’idea
conservatrice del Disegno, padre
delle arti e fondamento del bello.
Ma Gallo, in maniera ancor più
radicale, e quasi ribaltando lo
schema evolutivo e le dinamiche
cicliche di progresso e decadenza
dell’arte, trovava già nella Sicilia
Aubin Louis Millin, Introduzione dell’età classica il principio di
allo studio delle pietre intagliate, una perfezione, sboccata poi
Palermo 1807.
nel XII secolo e rifiorita nel
Cinquecento. La Sicilia, dove la gliptica era già diffusa nelle colonie
greche, produsse «infiniti lavori di tal genere della più bella invenzione,
del più elegante disegno, e della più diligente e graziosa esecuzione»29;
oggetti piccoli e facilmente trasportabili, «divenuti preda degli avidi
viaggiatori» e portati nei loro musei, che «hanno dovuto incitare i
loro artisti o a imprenderne simili, o a migliorare il loro bulino, e
certo a propagarvi l’amore di quest’arte»30.
nomi degli incisori siciliani di gemme e di medaglie, «per annunziarli
il primo nella mia storia delle nostre belle arti antiche e moderne, e
non esporli innanzi alla rapacità di qualche pirata [scil. Gioacchino
Di Marzo] che scrivacchia sullo stesso argomento»25. Lo scrittore
dimostra di aver letto anche Angelo Mazzoldi26 dal quale fa
discendere uno schema di periodizzazione delle arti, nate etrusche,
sul suolo italico, anziché greche, che incontra l’ascendente della sua
parabola nel Rinascimento.
Che in Italia risorgesse prima che altrove il disegno figurativo dopo il
rinascimento delle arti è stato provato da tutti gli scrittori anche stranieri.
Ed essendo esso base ed elemento indispensabile dell’intaglio in pietre dure
e della incisione o cesellatura in metalli, certo è che l’Italia dovea precedere
in questi rami tutte le altre nazioni27.
Chiosa poi:
l’arte di incidere in pietre dure piccolissime figure ed ornati offre maggiori
difficoltà che quella di scolpire in grande nel marmo, ed è per sé stessa
oggetto di massimo lusso reale o principesco, e di gran costo per il tempo
indispensabile a condurre gli oggetti a perfezione, così non poteva salire al
massimo grado di essa che nel secolo del più squisito gusto e più fastoso
lusso e di maggior ricchezza in Italia, che fu tutto il corso del XVI secolo28.
Carmelo Bajamonte
Appunti su uno scritto poco noto di Agostino Gallo
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L’esaltazione del primato italiano, cui si giunge attraverso scorciatoie
– i «buoni lavori» delle officine Malvica alla Rocca38 per la raffinata
idealistiche e letterariamente retoriche, induce Gallo a confutare
eleganza dei motivi ornamentali neoclassici; allunga invece una
la «strana opinione» di Cesare Cantù31
fitta ombra sulle cineserie e con accenti
sul primato della Francia nell’arte dello
energici ne stigmatizza il brutto nei
smalto: egli fa così osservare che in Sicilia
«vasoni dipinti della Cina e del Giappone,
sin dall’epoca normanna e aragonese si
pesantissimi per la porcellana […] goffi
realizzarono mirabilia di arte suntuaria
per le ridicole figure di quegli stupidi
quali la Corona di Costanza32, il «calice di
cinesi, da stupidi artisti effigiati e dipinti»39.
forma greca, fregiato di antiche miniature
Qui Gallo spara a zero, malevolo e con
e smalti»33 custodito nella chiesa di S. Maria
un tono pontificale, espressione di quel
di Randazzo34, il Paliotto Carandolet del
classicismo che ne aveva irreggimentato
Tesoro della Cattedrale di Palermo35. Qui
il gusto, orientandone le direttrici della
è opportuno rilevare la piena sintonia con
ricerca storiografica nonché molte
un clima culturale sensibile alla riscoperta
scelte collezionistiche fra cui, appunto, i
etico-estetica del medioevo normanno“bianchi” Malvica40.
svevo, anche in termini di tutela e restauro
Preso l’abbrivo dagli elenchi di intagliatori
architettonico36, in anni che videro a guida
scrutati da Vasari e Baldinucci (i.e. Matteo
del dicastero della Istruzione Pubblica
del Nassaro, Giovanni Jacopo Caraglio,
Michele Amari storico islamista37.
Valerio Vicentino, Alessandro Cesari,
Vincenzo Riolo, Ritratto di Valerio Villareale, Palermo,
Nel paragrafo successivo è toccato il tema Biblioteca Comunale. Foto Enzo Brai.
Jacopo da Trezzo, Annibale Fontana
della «porcellana ben dipinta con figure ed ornati» e Gallo trova
e gli altri), Gallo fa splendere, in un’ideale linea di continuità, la
idoneo lodare – dopo Faenza, Ginori e la Real Fabbrica di Napoli
pleiade dei comprimari siciliani. Apre un artista di prim’ordine,
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
Il mercato di monete e medaglie celebrative, placchette e bassorilievi
su pietre dure – tramite cui si erano incrementate le collezioni
archeologiche di musei locali quali il Salnitriano46 o il Martiniano47
– toccò l’apice con la cultura neoclassica e, dalla fine del ’7 all’800,
svolse un’importante funzione di educazione al gusto antico48.
Queste classi di oggetti concorsero a orientare il fare artistico verso
l’imitazione dei classici anche nella didattica accademica; furono
argomento d’illustrazioni49 corredate da tavole con effigi gemmali
o monetali costituenti l’enorme congegno mnemotecnico di un
Valerio Villareale41 scultorerestauratore del Real Museo
Borbonico, direttore degli
scavi di Pompei, e dal 1815,
anno del suo rientro a Palermo,
professore di Scultura e
direttore dello Stabilimento di
Belle Arti della R. Università
degli Studj42, il quale
più per diletto e per picca di
emulare l’antico volle ancora
incider cammei e gemme, e vi
riuscì egregiamente, come nella
scultura in marmo [con opere
che] son modello di elegante stile
e contestano che ancor vive tra’
siciliani l’antico genio ellenico43.
Raffaello Politi, Un cammeo in onice,
in “Poliorama Pittoresco”, Napoli
1843.
È arcinoto che negli anni dell’apprendistato romano l’artista,
introdotto nel circuito antiquario grazie anche alla mezza parentela
con lo scultore incisore e medaglista Benedetto Pistrucci44, era
molto concentrato nella realizzazione di gemme incise benvolute
all’emporio d’arte della capitale in fibrillazione per l’antico45.
Melchiorre Di Bella, Giuseppe Garofalo,
numismatica, in Opuscoli siciliani, XIII, 1772.
Carmelo Bajamonte
Appunti su uno scritto poco noto di Agostino Gallo
89
Tavola
numero 3 - maggio 2011
museo cartaceo, che rivela – lo ha notato
Pomian50 – l’interesse essenzialmente
iconografico verso le immagini incise
su tali manufatti (al di là della qualità
della pietra). Saremmo dunque in errore
se sottovalutassimo il ruolo-guida
dell’antiquaria, in Sicilia vicaria della
critica d’arte fino ai primi tre decenni
del XIX secolo, o il gran fermento
della coeva stampa periodica51 di cui i
tanti articoli apparsi nel “Giornale di
Scienze, Lettere e Arti per la Sicilia”
di Palermo reggono un’esauriente
campionatura52. Al di là del redditizio
commercio dell’antico – anche a prezzi
stracciati stando alla testimonianza di
un fine collezionista, l’erudito danese
Frederik Münter, che fu tra noi sullo
scorcio del XVIII secolo53 – non
dovrebbero esser trascurati i buoni
esiti di un mercato parallelo di oggetti
moderni venduti per autentici. Perché
Michele Laudicina (attr.), Cammei, Trapani, Museo regionale Pepoli.
«anche falsificare poteva essere un gioco, ma era soprattutto una sfida: nei confronti dell’antico
che si imitava, nei confronti degli esperti cui si sottoponeva l’opera»54, come ricorda Gallo in
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
quell’aneddoto55 su un ‘falso antico’ acquistato da un grand-tourist,
incisione de’ cammei e gemme che copiava dagli antichi, e per tali
li vendeva a gran prezzo agli stranieri»63. Artista prolifico «molto
esperto e risoluto nel maneggio del bulino», bravo sì, ma con un
talento più imitativo che originale, non riuscendo altrettanto ispirato
nei lavori d’invenzione, se una sua agata orientale raffigurante
Ferdinando I a cavallo lasciò un tale scontento nell’entourage reale
che all’artista non fu corrisposto nemmeno il pattuito64. Laudicina
– epigono di Villareale come i fratelli Giuseppe e Raffaele65 – istruì
nell’arte di intagliare cammei e incidere conchiglie i due nipoti
Michele jr. – scomparso nel 1837 – e Giuseppe, ancora attivo nel
1863 «con riputazione di valoroso artista»66.
Salutato da Gallo come uno dei migliori artisti contemporanei,
Tommaso Aloysio Juvara, allievo di Vincenzo Camuccini a Roma e
di Paolo Toschi a Parma e «fra i primi incisori italiani moderni pel
corretto disegno, per la morbidezza delle carni, la grazia e la varietà
del bulino, imitativa degli oggetti»67. La storia dell’incisione, oltre
Vincenzo Catenacci o Filippo Rega, non può prescindere da altri
nomi eccellenti, primi fra tutti i fratelli Bartolomeo e Luca Costanzo
da Sambuca68, principali artefici della produzione medaglistica dei
Borbone69, «che seppero imitar sì bene le più rare monete grecosicule, fra le quali la Sicheliotan, da illudere i più esperti conoscitori
stranieri che le compravano come antiche»70. Laudator temporis acti,
realizzato proprio da Villareale, abilissimo nel modellare anche
statuette fittili à la grecque56.
Objets d’art per amatori facoltosi decisi a procacciarsi cammei –
spesso adeguati alle funzioni decorative dell’oreficeria e montati
in gioielli e parures – o incisioni su conchiglia, un materiale più
economico della pietra dura e anche più facile da scolpire visto che
per incidere le valve non era necessario il banco con castelletto57.
Opere spesso premiate pubblicamente con medaglie d’oro o
d’argento58 nelle mostre periodiche organizzate dal Reale Istituto
d’Incoraggiamento di arti e manifatture, da Ferdinando II di
Borbone «con tanta sapienza al bene di questo regno stabilito»59.
Di più: l’ambiente orafo trova sponda negli interventi sui periodici
(si leggano per esempio gli encomi sull’orafo palermitano Giovanni
Fecarotta60) e, su scala nazionale, in pubblicazioni come il saggio di
“oreficeria archeologica” licenziato a Firenze nel 1862 dall’orafo e
antiquario romano Augusto Castellani61.
V
olevo continuare questo ragionamento e notare come, non a
caso, l’altra figura menzionata sia il già ricordato Michele Laudicina,
professore di Gliptica a Trapani62, che «diessi di proposito alla
Carmelo Bajamonte
Appunti su uno scritto poco noto di Agostino Gallo
91
numero 3 - maggio 2010
Gallo pratica ancora il luogo winckelmanniano della superiorità
degli antichi cui i moderni fanno bene a tendere – «il genio eccitato
dal clima e da’ grandi modelli»71 – e svela un debole verso oggetti
simili, amati anche sotto forma di impronte, che amava mostrare
nella casa-museo all’Olivella summa delle sue esperienze e luogo di
incontro per artisti, dotti, visitatori72.
Non meno interessanti mi sembrano le glosse sul medaglista
Giuseppe Barone73, su Ignazio Melazzo – «valente e franco incisor
di medaglie» ma scaltro contraffattore di conî, al fresco già dal
182774 –; sull’orafo Marco Di Chiara, allievo di Giuseppe Patania
e Valerio Villareale, del quale Gallo aveva scritto nel 1839 su
“L’Oreteo” di Palermo75; su Paolo Cataldi, infine, altro «abilissimo
orafo, che speculò un metodo e una macchina per riprodurre
medaglie antiche»76. In particolare, l’attività di quest’ultimo artista,
originario di Buccheri e attivo nel Val di Noto, risulta documentata
in alcune carte d’archivio inedite da cui vien fatto di supporre che
il problema delle falsificazioni fosse tenuto in un certo conto dalla
politica culturale borbonica77.
solo l’esistenza di un mercato di copie e contraffazioni nei conî –
che automaticamente consentiva alle richieste di un collezionismo
competitivo disposto a tutto pur di completare le serie mancanti
– ma un largo orizzonte che intriga storia economica e storia del
gusto, argomento che rinvio volentieri a una prossima occasione.
Del resto già Domenico Sestini, regio antiquario di S.A.R. il
Granduca di Toscana, ricorda come nel XVIII secolo a Catania, città
in cui prestava servizio come bibliotecario presso Ignazio Paternò
Castello V principe di Biscari, godesse largo successo un’officina di
falsificatori esperta nell’imitazione degli esemplari più rari78.
Detto questo occorre aggiungere che non solo l’anticomania
caratterizzava la cultura artistica isolana, ma tutta una produzione
di cui Gallo arguisce il pregio intrinseco dai materiali trattati con
un raffinamento creativo di straordinaria sottigliezza e vivacità. Ma
lasciamolo dire:
In Sicilia diverse produzioni naturali, come le agate, i diaspri, e
altre pietre a diversi colori, l’ambra, il corallo, le madriperle, le
conchiglie, hanno apprestato agli artisti nell’intaglio i materiali
più belli e svariati, onde effigiarvi graziose figurine. Talché fu
promosso un commercio attivissimo con gli stranieri da più secoli,
principalmente sostenuto da Trapani, città addetta a tali incisioni,
e feconda di vivaci e industriosi ingegni79.
N
on è l’unico riferimento all’attività di falsari, su cui sono
riuscito a recuperare una casistica eterogenea testimoniante non
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
92
numero 3 - maggio 2011
Maestranze siciliane, Paliotto (part.), II metà XVII sec., chiesa di S. Giuseppe dei Teatini,
Palermo. Foto Enzo Brai.
Oltre alla silografia impiegata per i libri illustrati nell’editoria sin
dal XV secolo80, la Sicilia poteva vantare a parere dello scrittore
il primato assoluto nell’uso delle «gemme fittizie», le paste vitree
colorate e dorate. Invenzione per consuetudine ascritta al francese
Homberg agli inizi del XVIII secolo, ma qui già attestata in epoca
fenicio-punica81, ricomparsa con l’arte musiva in età normanna e
tornata in voga nell’Ottocento con Angelo e Luigi Gallo82, fratelli di
Carmelo Bajamonte
Agostino, tramite molteplici impieghi anche nel campo del restauro
«per riparare i guasti degli antichi musaici»83.
Suscita attenzione anche il passo sul fantasioso artificio dei marmi
policromi al quale Gallo affida tutta la sua soddisfazione per il
genio siciliano: «Il talento speculativo de’ siciliani si valse di questi
marmi per imitar la natura nel comporre con vari pezzetti, secondo
le proprie tinte, fiori, piante e ornati che risultano di grande effetto
e bellezza»84. Un giudizio molto positivo che potrebbe spendersi
sia per l’ornamentazione barocca sia per lavorazioni del XIX
secolo, come i pavimenti e i rivestimenti in marmo e mosaico della
neogotica casa Forcella, citati a non finire dalla contemporanea
letteratura artistica come non plus ultra di bello artificio85.
Gallo scandaglia la cattivante peculiarità del mischio siciliano – cui,
a differenza del mosaico fiorentino impiegato negli opifici medicei
solo per «mobili e tavolini», è tributato «l’onore di anteriorità e
d’invenzione […] laonde Palermo può andare fastosa per questo
riguardo più che la bella ed elegante Firenze e la magnifica Roma»
– con cui dal XVII secolo si approntò il rutilante addobbo
permanente per chiese e cappelle. Nell’iperbole di queste righe – più
che sottolinearvi la scarsa conoscenza di un’opera quale la Cappella
dei Principi, mausoleo di Ferdinando I de’ Medici (1604), e dei
relativi studi monografici86, a dimostrazione del fatto che nella città
Appunti su uno scritto poco noto di Agostino Gallo
93
numero 3 - maggio 2011
toscana non si producessero
soltanto arredi lapidei –
può essere applaudita la
maturità di giudizio sul
valore delle decorazioni a
marmo mischio che a quella
data non doveva essere così
pacifica, se l’autore biasima
in una nota la dismissione
degli apparati marmorei e la
demolizione della parrocchia
di S. Giacomo la Marina di
Palermo87, avvenute proprio
nel 1863 quando il suo scritto
A.Fecarotta(Dis.eLit.),Cinquemani odorava ancora di inchiostro.
& Marotta (Lit.), Urna di S. Rosalia.
Fra le «sotto-specie» della
scultura è annoverata l’argenteria depauperata lungo i secoli da alienazioni consumate «con
pietosa fraude». È il caso di annotare che l’arte degli argentieri
del XVII secolo, fucina di “macchine” barocche come l’Urna di
S. Rosalia (1631) della Cattedrale di Palermo88, si ritrova affiliata
stilisticamente alla blasonata scuola gaginiana tardo rinascimentale,
giacché sono «gli ultimi
scolari degli scolari di
Antonio
Gagini»89,
e
soprattutto Nibilio90 –
che Gallo confonde con
Niccolò, figlio di Giacomo,
stando alla lezione tràdita
da Vincenzo Auria nel
Gagino redivivo (1698) –, a
essersi distinti per le loro
belle fatiche, fra cui ricorda
il paliotto di seta ricamata
con placche d’argento per
i benedettini di S. Martino
R. Politi, Giacomo Bongiovanni e Giuseppe
delle Scale91.
Vaccaro, in “Poliorama Pittoresco”,
Non mancano cenni alla Napoli 1843.
ceroplastica, «ch’è pure de’ tempi greci e romani in Sicilia, non
indietreggiò nell’epoca moderna, particolarmente in Palermo»92,
e a un’artista ricca di intuizioni, Anna Fortino, allieva di Rosalia
Novelli e Giacomo Serpotta93, alle cui «opere squisite» Agostino
Gallo aveva fatto assumere un rilievo di primo piano già nell’articolo
uscito su “Passatempo per le Dame”94. Affine all’arte della cera è la
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
94
numero 3 - maggio 2011
coroplastica «madre del
di Caltagirone, «addetti
cisello e dell’incisione»,
a modellare in argilla
in cui si distinsero
i costumi villaneschi
in
epoca
classica
delle nostre contrade
Demofilo, Gorgaso e
con tal verità ed
il pittore Zeusi, il cui
espressione da recar
luogo natale (Eraclea
sorpresa e diletto.
Minoa)
era
stato
Laonde sono avidaprima reclamato alla
mente
ricercati
e
Sicilia95. Sono trascorsi
comprati dagli strapochi anni dal 1858,
nieri»99.
quando Raffaello Politi,
Mi occorre spendere
corrispondente di Gallo,
qualche parola in
pubblica i Cenni biografici
merito a una certa
su’ valentissimi plasticisti da
insistenza di Gallo
Caltagirone Bongiovanni e
sulla commerciabilità
Vaccaro96, già passati sul
di queste manifatture,
Giovanni Antonio Matera (e bottega), Presepe, Palermo, Collezione privata. Foto Enzo Brai.
“Poliorama Pittoresco”
elemento che è forse
di Napoli nel 184397. Il palermitano sembra guardare all’excursus
uno dei più significativi nel suo opuscolo, da decifrare come pieno
storico della ceramica tratteggiato dall’amico siracusano, con cui
convincimento di un alto standard qualitativo e di un possibile
scambiava idee, libri, quadri98: è comparabile l’impostazione diacroallargamento imprenditoriale per alcune officine di industria
nica culminante proprio nei gruppi di terracotta dei Bongiovanni
artistica100, che avevano ottenuto incoraggianti riconoscimenti
Carmelo Bajamonte
Appunti su uno scritto poco noto di Agostino Gallo
95
numero 3 - maggio 2011
anche nell’International Exhibition di Londra del 1862101. È facile
accorgersene anche quando il palermitano illustra i presepi in
legno, tela e colla di «un certo Matera», elogiato per la «insuperabile
semplicità, verità ed espressioni ne’ pastori»102. L’occhio da
conoscitore ne coglie le specificità del linguaggio con i richiami
al naturalismo pittorico seicentesco e alle sculture di Bernini –
come era stato già notato da Jacob Burckhardt103 – e l’attitudine
per una messa in scena atipica rispetto alla tradizione napoletana,
i cui scarabattoli «senza l’artificio d’un paesaggio artistico, non
producevano il bell’effetto di quelli di Palermo»104.
Prima di finire un’ultima osservazione: con questi brevi accenni Gallo
arma la prora verso ulteriori studi che cadono ai primissimi anni del
Novecento, in un’ottica riferibile, grosso modo, alla museologia e alla
storia del collezionismo – si prenda come esempio il tentativo di
approfondimento svolto da Salvatore Romano proprio sulle opere di
Giovanni Matera105 – o al problematico aspetto dell’attribuzionismo
e alla fortuna critica di artefici di difficile identificazione, come i
Nolfo scultori trapanesi, sulle cui tracce doveva muovere, con
risultati non sempre illuminanti, il canonico trapanese Fortunato
Mondello106.
Ho idea, dunque, che la proposta d’interpretazione affacciata
da Agostino Gallo – un autore che anche in anni recenti non ha
smesso di appassionare la critica – si ponga principalmente come
un superamento del divario fra arti alte e applicate in una nuova
prospettiva nazionale. Un primo apporto, non senza distorsioni
campanilistiche e tratti inconferenti, ma però apprezzabile nell’attesa
del riconoscimento che le seconde vivranno presto in Sicilia, solo
che si rifletta sulla fondazione del Museo Artistico Industriale diretto
dallo scultore Vincenzo Ragusa (1884)107, sulla vivace diffusione di
periodici specialistici108, e sull’Esposizione Nazionale di Palermo
del 1891-’92, con numerose divisioni dedicate alle arti industriali109.
________________________
L’autore ringrazia Enzo Brai per la ricerca iconografica e la selezione delle
immagini.
1 Sul tema cfr. S. La Barbera, Le arti decorative nelle fonti e nella letteratura artistica
siciliana, in Splendori di Sicilia. Arti Decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo
della mostra a cura di M.C. Di Natale, Charta, Milano 2001, pp. 260-277.
2 Benigno da Santa Caterina, Trapani nello stato presente, profana e sacra, mss.
del 1810-1812, custoditi ai ss. 199-200 presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani.
3 G.M. Fogalli, Memorie biografiche degl’illustri trapanesi per santità, nobiltà, dottrina
ed arte, ms. della I metà del XIX secolo, custodito ai ss. 14 C 8 presso la Biblioteca
del Museo regionale “A. Pepoli” di Trapani.
4 Per il trapanese Giuseppe Maria Berardo Di Ferro e Ferro cfr. S. La Barbera,
Giuseppe Maria Di Ferro teorico e storico d’arte, in Miscellanea Pepoli. Ricerche sulla cultura
artistica a Trapani e nel suo territorio, a cura di V. Abbate, Trapani 1997, pp. 147-166.
5 C. Pasca, Cenno di Cesare Pasca beneficiale della real cappella Palatina di Palermo.
Delle pietre dure e dell’arte di lavorarle – Dell’uso e commercio dei marmi – Su gli smalti e
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
96
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Visconti (1802-1880), in “Bollettino dei Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie”,
XIX, 1999, pp. 113-127. In anni precedenti il rapporto fra Agostino Gallo e Pietro
Ercole Visconti era stato animato dalla polemica letteraria su Angelo Costanzo
e Vittoria Colonna, come ricordato da A. Gallo, Risposta alle osservazioni critiche
del chiar. cav. Pietro Ercole Visconti sulla vita di Angelo di Costanzo scritta da Agostino
Gallo, in Poesie italiane e latine e prose di Angelo di Costanzo or per la prima volta ordinate
e illustrate con la giunta di molte rime inedite tratte da un antico codice la versione poetica de’
carmi latini e la vita dell’autore per opera di Agostino Gallo siciliano, Lao, Palermo 1843.
15 A. Gallo, Necrologia di Giuseppe Patania, in “GASLA”, t. CXXIV, gennaiofebbraio-marzo,1852, pp. 344-354
16 Id., Vita di Angelo Marini siciliano insigne scultore ed architetto del secolo XVI per la
prima volta messo in luce da Agostino Gallo da Palermo, in “GASLA”, t. CLXXIII, n.s.
XXVII, giugno, luglio e agosto 1861, 1862, pp. 327-356.
17 Allo scultore carrarese il Decurionato messinese commissionò la statua
in bronzo di Ferdinando II. Cfr. L. Paladino, Situazione della scultura a Messina
nell’Ottocento, in La scultura a Messina nell’Ottocento, catalogo della mostra a cura di
L. Paladino, Assessorato regionale BB.CC.AA. e P.I., Messina 1997, pp. 19-25.
18 A. Gallo, Saggio di Agostino Gallo su’ pittori siciliani vissuti dal 1800 al 1842,
in G. Capozzo, Memorie su la Sicilia tratte dalle più celebri accademie e da distinti libri
di società letterarie e di valent’uomini nazionali e stranieri con aggiunte e note per Guglielmo
Capozzo socio di varie accademie, vol. III, Virzì, Palermo 1842, pp. 123-147. Per il
Saggio cfr. S. La Barbera, Il «Saggio sui pittori siciliani vissuti dal 1800 al 1842» di
Agostino Gallo, in Le parole dei giorni. Scritti per Nino Buttitta, vol. I, a cura di M.C.
Ruta, Sellerio, Palermo 2005, pp. 358-377.
19 Vedi F. Bologna, La coscienza storica dell’arte d’Italia, Garzanti, Milano 1992,
in part. pp. 165 e ss. Per la situazione siciliana cfr. S. La Barbera, Dall’erudizione
alla connoisseurship alla critica d’arte in Sicilia. Metodologia degli studi sull’arte dalla fine del
secolo XVIII ai primi decenni del XX secolo, in Metodo della ricerca e Ricerca del metodo.
Storia, arte, musica a confronto, atti del convegno di studi (Lecce, 21-23 maggio 2007)
a cura di B. Vetere con la collaborazione di D. Caracciolo, Congedo, Galatina
2009, pp. 283-310.
20 «Si comprendeva ormai che la migliore aureola glorificante da offrire alla
Sicilia consisteva nell’esaltarne il valore, per cosi dire, materno nei confronti della
cultura italiana: la Trinacria, erede incorrotta e continuatrice di greci e di latini,
l’arte del mosaico – Sulle crete e l’arte di lavorar la terra cotta – Delle terre che si possono
usare nella pittura e dell’asfalto, in “La Lira. Giornale artistico-letterario-teatrale” [poi
“La Lira”], a. I, n. 26, 27 marzo 1852, pp. 101-102: «Ho voluto qui brevemente
parlare dello stato attuale di alcune arti in Sicilia, e delle materie indigene che
servono all’esercizio di esse, per essere un soggetto poco trattato dagli altri. Mi
sono prefisso in questo un doppio scopo: di promuovere dai privati imprenditori
il miglioramento di esse arti, e l’introduzione dei materiali proprî del nostro suolo,
e quando l’opera de’ privati non bastasse chiedere la protezione della pubblica
autorità». Ivi, p. 101.
6 Per il profilo di Agostino Gallo (1790-1872) cfr. F.P. Campione, Agostino Gallo:
un enciclopedista dell’arte siciliana, in La critica d’arte in Sicilia nell’Ottocento. Palermo, a
cura di S. La Barbera, Flaccovio, Palermo 2003, pp. 107-127.
7 A. Gallo, Sull’influenza ch’esercitarono gli artisti italiani in varii regni d’Europa ad
introdurvi, diffondervi o migliorar l’arte d’intagliar cammei in pietre dure e tenere, incidere in
rame, cesellare e smaltare in argento e in oro, Tipografia Barcellona, Palermo 1863.
8 Per la figura e l’opera di Gioacchino Di Marzo cfr. S. La Barbera, Gioacchino
Di Marzo critico d’arte dell’Ottocento, in Sul Carro di Tespi. Studi di storia dell’arte per
Maurizio Calvesi, a cura di S. Valeri, Bagatto Libri, Roma 2004, pp. 211-228.
9 G.M. Mira, Bibliografia Siciliana ovvero Gran Dizionario Bibliografico delle opere
edite e inedite, antiche e moderne di autori siciliani o di argomento siciliano stampate in Sicilia
e fuori, vol. I, Gaudiano, Palermo 1875, pp. 387-394; A. Gallo, Autobiografia (ms.
XV. H. 20.1.), ed. a cura di A. Mazzè, Biblioteca centrale della Regione siciliana di
Palermo, Palermo 2002, in particolare pp. 100-132.
10 A. Gallo, Notizia intorno all’arte dell’intaglio in legno dell’epoca Sveva in Sicilia, in
“Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia” [poi “ESLS”], t. V, a. II, 1833,
pp. 94-96.
11 Id., Necrologia, in “ESLS”, t. V, a. II, 1833, pp. 104-105, in cui tra i lavori di
«tutto finimento» del Laudicina sono menzionati gli oggetti della collezione del
principe di Trabia.
12 Ibid., pp. 105-107.
13 A. Gallo, Sull’arte dell’intaglio in pietre dure o tenere in Italia. Saggio di Agostino
Gallo da Palermo, in “Giornale Arcadico di Scienze, Lettere ed Arti” [poi “GASLA”],
t. CLXXXI, n.s. XXXVI, gennaio-febbraio 1863, 1864, pp. 50-85.
14 Per il quale cfr. D. Pacchiani, Un archeologo al servizio di Pio IX: Pietro Ercole
Carmelo Bajamonte
Appunti su uno scritto poco noto di Agostino Gallo
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raccolte con diligenza da Agostino Gallo da Palermo (ms. XV. H. 16, cc. 1r-25r; ms. XV.
H. 15, cc. 62r-884r), ed. a cura di A. Anselmo, M.C. Zimmardi, Biblioteca centrale
della Regione siciliana di Palermo, Palermo 2004. Sulle polemiche fra Gallo e Di
Marzo cfr. A. Mazzè, L’incompiuta Storia delle Belle Arti: progetti e polemiche, in A.
Gallo, Notizie intorno agli architetti siciliani e agli esteri soggiornanti in Sicilia da’ tempi più
antichi fino al corrente anno 1838. Raccolte diligentemente da Agostino Gallo palermitano per
formar parte della sua Storia delle belle Arti in Sicilia (ms. XV. H. 14), ed. a cura di A.
Mazzè, Biblioteca centrale della Regione siciliana di Palermo, Palermo 2000, pp.
V-XXIII.
26 A. Mazzoldi, Delle origini italiche e della diffusione dell’incivilimento italiano
all’Egitto, alla Fenicia, alla Grecia e a tutte le nazioni asiatiche poste sul Mediterraneo,
Guglielmini e Redaelli, Milano 1840.
27 A. Gallo, Sull’influenza…, pp. 5-6.
28 Ivi, p. 6.
29 Ibid.
30 Ibid.
31 Ibid. Con molta probabilità con riferimento alla lettera Sugli smalti pubblicata
dal briviese a Milano nel 1833.
32 Ibid. Sull’opera, custodita nel Tesoro della Cattedrale di Palermo, cfr. C.
Guastella, in Federico e la Sicilia dalla terra alla corona, vol. II, arti figurative e suntuarie,
catalogo della mostra a cura di M. Andaloro, Ediprint, Siracusa 1995, scheda 6,
pp. 63-74; M.C. Di Natale, Ori e argenti del Tesoro della Cattedrale di Palermo, in M.C.
Di Natale, M. Vitella, Il Tesoro della Cattedrale di Palermo, Flaccovio, Palermo 2010,
pp. 39-52.
33 A. Gallo, Sull’influenza…, p. 20.
34 E. Mauceri, Monumenti di Randazzo, in “L’Arte”, IX, 1906, pp. 185-192, fig.
3, p. 186; S. Bottari, Le oreficerie di Randazzo, in “Bollettino d’Arte”, a. VII, s. II,
n. I – luglio, 1927, pp. 301-309, fig. 1; M. Accascina, Oreficeria di Sicilia dal XII al
XIX secolo, Flaccovio, Palermo 1974, p. 127.
35 A. Gallo, Vita di Angelo Marini…, p. 348, nota 1. Per l’opera cfr. C.
Guastella, in Federico e la Sicilia…, vol. II, scheda 21, pp. 123-133; M. Vitella, I
manufatti tessili della Cattedrale di Palermo, in M.C. Di Natale, M. Vitella, Il Tesoro…,
pp. 112-114.
36 F. Tomaselli, Il ritorno dei Normanni. Protagonisti ed interpreti del restauro dei
ponte tra la classicità e i tempi nuovi dell’Italia moderna». G.C. Marino, L’ideologia
sicilianista. Dall’età dei «lumi» al Risorgimento, Flaccovio, Palermo 1971, p. 199.
21 G. Di Marzo, Delle Belle Arti in Sicilia dai Normanni sino alla fine del secolo XIV,
vol. I, Salvatore Di Marzo, Palermo 1858, pp. 67-68.
22 «[…] in altri miei saggi proverò del pari che ciò avvenne anche per
l’architettura, per la scultura in marmo, la pittura e la musica e per molte
invenzioni utili al consorzio civile». A. Gallo, Sull’influenza…, p. 19. Un’urgenza
evidentemente molto sentita da Agostino Gallo che nel 1863 aveva fondato
insieme con alcuni studiosi siciliani anche l’Assemblea di Storia Patria, con lo scopo
di far conoscere il contributo dato dalla Sicilia all’Unità italiana e al progresso
della civiltà. Cfr. V. Di Giovanni, La prima Società di Storia Patria in Palermo (17771803), in “Archivio Storico Siciliano”, n.s., a. VIII, 1883, pp. 497 e ss.
23 A.P. Giulianelli, Memorie degli Intagliatori moderni in pietre dure, cammei, e gioje,
dal Secolo XV fino al Secolo XVIII, Fantechi e Compagni, Livorno 1753.
24 Introduzione allo studio delle pietre intagliate del Sig. A.L. Millin. Conservatore
degli antichi monumenti nella Biblioteca di Parigi, e Professore d’istoria e delle antichità nella
medesima. Dal francese nell’idioma italiano ridotta, Solli, Palermo 1807. Il nome di
Aubin-Louis Millin de Grandmaison circola moltissimo in Sicilia sia attraverso il
Dizionario portatile delle favole (Bassano 1804) che con questa Introduzione allo studio
delle pietre intagliate, pubblicata in prima edizione a Parigi nel 1796, tradotta a spese
di Francesco Abate e stampata nel 1807 per i tipi Solli. L’edizione previde un
apparato di «poche note, che riguardano alcuni articoli dell’arte d’intagliare in
Sicilia» e su artisti dello scolpire in piccolo, come i fratelli trapanesi Andrea e
Alberto Tipa. In aggiunta alla descrizione delle pietre e della «parte meccanica
della gliptica», di tipologie e collezioni italiane e europee, una parte dello scritto
è dedicata alla «critica delle pietre intagliate» cioè a dire «l’arte di formare un
giudizio, sia intorno alla bellezza, ovvero all’antichità delle medesime», nella
consapevolezza che «il saper distinguere le pietre antiche da quelle moderne è
cosa assai difficile, e si sono da se stessi ingannati i più abili conoscitori», p. 43.
Per Aubin-Louis Millin (Parigi 1759-1818) cfr. M. Preti-Hamard-B. Savoy, infra.
25 A. Gallo, Sull’influenza…, p. 5, nota 2. Le notizie manoscritte sono ora A.
Gallo, Lavoro di Agostino Gallo sopra l’arte dell’incisione delle monete in Sicilia dall’epoca
araba sino alla castigliana (ms. XV. H. 15, cc. 1r-45v) Notizie de’ figularj degli scultori e
fonditori e cisellatori siciliani ed esteri che son fioriti in Sicilia da più antichi tempi fino al 1846
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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nota 1, p. 27. Villareale v’insegnò anche Glittica e Osteologia dal 1827 al 1837.
43 A. Gallo, Sull’influenza…, p. 12. Qui Gallo riprende un topos della letteratura
su Villareale come artista neoclassico che «ha più diritto alla nostra gratitudine
per aver preso la scultura da mani di Ignazio Marabitti che immegliandola bensì
non poté però rialzarla alle vere sue forme di bellezza per le capricciose e sconce
maniere invalse verso la metà del secolo XVIIo». E. Amato, La Psiche del sig. Valerio
Villareale, in “Il Contemporaneo. Giornale periodico di Scienze e Lettere, di Arti
e Mestieri”, a. I, n. 4, 15 febbraio 1846, p. 32.
44 Nel 1802 Villareale sposò Teresa Lucchi cugina del Pistrucci. Cfr. G.A.
Guattani, Memorie enciclopediche romane sulle Belle arti, antichità etc., vol. I, Salomoni,
Roma 1806, p. 124. Si veda pure Sgadari di Lo Monaco, Pittori e scultori siciliani
dal Seicento al primo Ottocento, Agate, Palermo 1940, p. 151.
45 S. Costanzo, Valerio Villareale, in “Passatempo per le Dame” [poi “PpD”], a.
4, n. 38, 17 settembre 1836, pp. 301-305 scrive che l’artista «anche in questo ramo
[la gliptica] seppe trarsi l’altrui ammirazione facendo de’ non pochi squisiti lavori
che gli procacciaron fama perché di un’attitudine originalissima, e con quei tagli
assoluti di che i Greci usavano per dar finimento ad opere di cotal natura» p. 303.
Per la situazione romana vedi L. Pirzio Biroli Stefanelli, Glittica, medaglistica,
oreficeria. Artisti-artigiani per l’Europa, in Maestà di Roma da Napoleone all’Unità d’Italia.
Universale ed Eterna Capitale delle Arti, catalogo della mostra, Electa, Milano 2003,
pp. 517-520; A. Pinelli, Il Neoclassicismo nell’arte del Settecento, Carocci, Roma 2005,
pp. 69-77. Imprescindibile F. Haskell, N. Penny, L’antico nella storia del gusto. La
seduzione della scultura classica 1500-1900, Einaudi, Torino 1984.
46 Per il museo, istituito dal gesuita Ignazio Salnitro nel 1730 nei locali del
Collegio Massimo dei Gesuiti di Palermo, cfr. R. Graditi, Il museo ritrovato. Il
Salnitriano e le origini della museologia a Palermo, Assessorato regionale BB.CC.AA. e
P.I., Palermo 2003.
47 Sul museo dell’antica abbazia benedettina di San Martino delle Scale la cui
origine (1744) si deve all’iniziativa del priore Giuseppe Antonio Requesens e di
don Salvadore Maria Di Blasi, cfr. V. Abbate, «Ut mei gazophilacii … nova incrementa
pernosceres»: Salvadore Maria Di Blasi e il Museo Martiniano, in Wunderkammer siciliana
alle origini del museo perduto, catalogo della mostra a cura di V. Abbate, Electa,
Napoli 2001, pp. 165-176; R. Equizzi, Palermo San Martino delle Scale. La collezione
archeologica: storia delle collezione e catalogo delle ceramiche, «L’Erma» di Bretschneider,
monumenti a Palermo nella seconda metà dell’Ottocento, Officina, Roma 1994, pp. 55 e ss.
Sul mito del medioevo nel XIX secolo cfr. I. Porciani, Il Medioevo nella costruzione
dell’Italia unita: la proposta di un mito, in Italia e Germania. Immagini, modelli, miti fra due
popoli nell’Ottocento: il Medioevo, a cura di R. Elze, P. Schiera, Il Mulino - Duncker &
Humblot, Bologna-Berlin 1988, pp. 163-191.
37 Senatore del Regno unitario dal 1861 per volere di Cavour, Michele Amari
(1806-1889) resse il dicastero dal dicembre del 1862 al settembre del 1864.
38 R. Daidone, Le officine palermitane di maiolica della seconda metà del Settecento.
Testimonianze e documenti, in Terzo fuoco a Palermo 1760-1825. Ceramiche di Sperlinga e
Malvica, catalogo della mostra a cura di L. Arbace, R. Daidone, Arnaldo Lombardi,
Palermo 1997, pp. 17-29.
39 A. Gallo, Sull’influenza…, p. 9. Per le cineserie cfr. H. Honour, L’arte
della cineseria. Immagine del Catai, Sansoni, Firenze 1963. Per le ricadute locali
P. Palazzotto, Riflessi del gusto per la cineseria e gli esotismi a Palermo tra Rococò e
Neoclassicismo: collezionismo, apparati decorativi e architetture, in Argenti e cultura Rococò
nella Sicilia centro-occidentale 1735-1789, catalogo della mostra a cura di S. Grasso,
M.C. Gulisano, Flaccovio, Palermo 2008, pp. 535-561.
40 Gallo ci informa che nella sua collezione erano: «due statuette, una
sacerdotessa, ed una Melpomene, che son pregevoli». A. Gallo, Intorno ad un
lavoro di maiolica in Palermo, rappresentante la Beata Vergine col Bambino, modellato da
Luca della Robbia fiorentino, in “GASLA”, t. CLIX, n.s. XIII, gennaio-febbraio,
1859, pp. 59-73. L’articolo, dedicato a una robbiana con la Madonna col Bambino del
convento di S. Domenico di Palermo, anticipa alcuni temi dell’opuscolo sulle arti
applicate siciliane di cui noi. Per la robbiana con la Madonna del cuscino cfr. F. Negri
Arnoldi, Due esempi di terracotta in Sicilia, in Splendori di Sicilia…, pp. 108-113.
41 Per Valerio Villareale (1773-1854) cfr. D. Malignaggi, Valerio Villareale,
catalogo a cura di D. Favatella, “Quaderni dell’A.F.R.A.S. Scultura”, 1, Palermo
1976. Si veda anche I. Bruno, Valerio Villareale un Canova meridionale, allegato
a “Kalós – arte in Sicilia”, a. XII, n. 1, Gennaio-Marzo 2000. Per l’attività di
restauratore cfr. V. Chiaramonte, Valerio Villareale, scultore e conoscitore, tra cultura
antiquaria e restauro, in Gli uomini e le cose. I. Figure di restauratori e casi di restauro in
Italia tra XVIII e XX secolo, atti del convegno nazionale di studi (Napoli, 18-20
aprile 2007) a cura di P. D’Alconzo, ClioPress, Napoli 2007, pp. 25-57.
42 F. Meli, La Regia Accademia di Belle Arti di Palermo, Le Monnier, Firenze 1939,
Carmelo Bajamonte
Appunti su uno scritto poco noto di Agostino Gallo
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Linee e temi della stampa periodica palermitana dell’Ottocento, in Percorsi di Critica…, pp.
87-121.
52 Vedi per esempio N. Maggiore, Ricerche su di alcune medaglie di Camarina
antica città della Sicilia, in “Giornale di Scienze, Lettere e Arti per la Sicilia” [poi
“GSLA”], t. 28, fasc. 84, 1829, pp. 269-288; G. Politi, Invito a’ dotti Archeologi per
la interpretazione d’un antico Cammeo di Giuseppe Politi siracusano, in “GSLA”, t. 49,
fasc. 146, 1835, pp. 127-134; O. Abbate, Lettera al chiarissimo P. Vito Cavallo. Per
un cammeo, in “L’Oreteo. Nuovo Giornale”, a. II, n. 23, 1840, pp. 182-183. Per
i lineamenti dell’antiquaria in Sicilia cfr. D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di
Sicilia nel secolo decimottavo, vol. II (Palermo 1825), Edizioni della Regione Siciliana,
Palermo 1969, pp. 76-107; vol. III (Palermo 1827), pp. 117-141. Per gli studi di
numismatica nel XIX secolo cfr. R. Macaluso, Storia degli studi di numismatica antica
in Sicilia: F. Ferrara, G. Alessi, C. Gemmellaro, G. Romano, in “Sicilia Archeologica.
Rassegna periodica di studi, notizie e documentazione edita dall’Ente Provinciale
per il Turismo di Trapani”, a. XI, n. 38, dicembre 1978, pp. 59-65.
53 «Le dette monete son vendute per un certo discreto prezzo […] in guisachè
senza molta spesa se ne può acquistare una mediocre raccolta». F. Münter, Viaggio
in Sicilia di Federico Munter tradotto dal tedesco dal tenente d’artiglieria cav. D. Francesco
Peranni con note e aggiunte del medesimo. Prima versione italiana, vol. I, Abbate, Palermo
1823, p. 149. Cfr. E. Di Carlo, Dai Diarî di Federico Münter (il suo soggiorno a Palermo),
in “Archivio Storico per la Sicilia”, a. IV-V, 1938-1939, pp. 471-481; T. FischerHansen, Frederik Münter in Syracuse and Catania in 1786: antiquarian leglislation and
connoisseurship in 18th century Sicily, in Oggetti, uomini, idee. Percorsi multidisciplinari per la
storia del collezionismo, atti della tavola rotonda (Catania, 4 dicembre 2006) a cura di
G. Giarrizzo, S. Pafumi, Fabrizio Serra, Pisa-Roma 2009, pp. 117-137.
54 C. Savettieri, Dal Neoclassicismo al Romanticismo, Le fonti per la Storia
dell’arte, 6, Carocci, Roma 2006, p. 131.
55 «[…] fu presentato da un rivenditore ad un viaggiatore un bel cammeo
imitante l’antico, inciso dal nostro artista, e quegli volendosi accertare di esser
greco, ne chiese il suo parere. Il Villareale si tolse scaltramente d’imbarazzo
con indicargli un antiquario che dicea di aver maggior conoscenza di lui in quel
genere; e confermato dal medesimo di essere antico, il viaggiatore lo comprò a
gran prezzo». A. Gallo, Sull’influenza…, p. 12.
56 «Lo egregio scultore palermitano Valerio Villareale modellò con questa
Roma 2006.
48 Per gli aspetti più generali di questo fenomeno cfr. E. Paul, Falsificazioni
di antichità in Italia dal Rinascimento alla fine del XVIII secolo, in Memoria dell’antico
nell’arte italiana. I generi e i temi ritrovati, t. II, a cura di S. Settis, Einaudi, Torino 1985,
pp. 413-439; K. Pomian, Collezionisti, Amatori e Curiosi. Parigi-Venezia XVI-XVIII
secolo [1987], il Saggiatore, ed cons. Milano 2007, pp. 306 e ss.; Le gemme incise nel
Settecento e Ottocento. Continuità della tradizione classica, atti del convegno di studio
(Udine, 26 settembre 1998) a cura di M. Buora, «L’Erma» di Bretschneider, Roma
2006.
49 R. Politi, Un cammeo in onice, in “Poliorama Pittoresco. Opera periodica
diretta a diffondere in tutte la classi della società utili conoscenze di ogni genere,
e a rendere gradevoli e proficue le letture in famiglia”, a. VII, sem. II (11 Febbrajo
– 5 Agosto 1843), n. 51, 29 luglio 1843, pp. 401-403; Id., Due cammei e due intagli
in onice descritti dall’artista Raffaello Politi, Stamperia dell’Intendenza, Noto 1847.
L’articolo è corredato dalla litografia di G. Riccio del cammeo appartenente alla
variegata collezione di Politi; il secondo contributo, dedicato a Nicola Santangelo,
ministro segretario di stato di Francesco I, è una succinta descrizione di quattro
gemme antiche della medesima collezione. Su Politi cfr. C. Bajamonte, Raffaello
Politi (1783-1870). Fra antiquaria e critica d’arte, tesi di Dottorato di Ricerca in Storia
dell’arte medievale, moderna e contemporanea in Sicilia (ciclo XVIII - 2004/2007),
Università degli Studi di Palermo, Tutor Prof.ssa Simonetta La Barbera. Per il
periodico napoletano cfr. N. Barrella, Il dibattito sui metodi e gli obiettivi dello studio
sull’arte a Napoli negli anni quaranta dell’Ottocento e il ruolo di «Poliorama Pittoresco», in
Percorsi di Critica. Un archivio per le riviste d’arte in Italia dell’Ottocento e del Novecento, atti
del convegno (Milano, 30 novembre – 1 dicembre 2006) a cura di R. Cioffi, A.
Rovetta, Vita e Pensiero, Milano 2007, pp. 21-34.
50 K. Pomian, Dalle sacre reliquie all’arte moderna. Venezia-Chicago dal XIII al XX
secolo, il Saggiatore, Milano 2004, in part. pp. 192 e ss.
51 F. Minolfi, Intorno ai giornali e all’odierna cultura siciliana cenno di Filippo Minolfi,
Gabinetto Tipografico all’insegna di Meli, Palermo 1837; E. Rocco, Giornali
siciliani, in “Il Progresso delle Scienze, delle Lettere e delle Arti. Opera periodica
compilata per cura di G.R.”, vol. IX, a. III, Napoli 1834, pp. 262-268. Il periodico
napoletano, fondato nel 1832 e diretto da Giuseppe Ricciardi, si occupò anche di
periodici “al di là del Faro”. Sul ruolo della stampa periodica cfr. S. La Barbera,
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l’organizzazione delle esposizioni di belle arti, con modalità simili a quelle di
altre città italiane, risultò uno dei cardini del sistema dell’arte del XIX secolo.
L’istituto fu sottoposto alla Commissione di Pubblica Istruzione ed Educazione
e dotato di una sorta di bollettino d’informazione intitolato “Novello Giornale
del Reale Istituto d’Incoraggiamento”. Negli anni 1834-1838 le “Effemeridi”
di Palermo pubblicheranno i resoconti dei lavori a firma dell’abate Emmanuele
Vaccaro segretario del R. Istituto. Gli elenchi di belle arti e dei premi conferiti
furono continuati nella forma di opuscoli fino al periodo postunitario. Cfr. R.
Busacca, Sullo Istituto d’incoraggiamento e sulla industria siciliana. Ragionamento economico
di Raffaele Busacca, Gabinetto Tipografico all’insegna di Meli, Palermo 1835. Sotto
l’aspetto artistico, uno dei rarissimi contributi lo offre D. Malignaggi, Accademie
e promozioni delle arti nei primi anni dell’Ottocento siciliano, in La formazione professionale
dell’artista. Neoclassicismo e aspetti accademici, a cura di D. Malignaggi, Palermo 2002,
pp. 7-27. Per il quadro italiano S. Pinto, La promozione delle arti negli Stati Italiani
dall’età della riforma all’Unità, in Storia dell’arte italiana. Parte seconda. Dal Medioevo
al Novecento, Vol. II, Dal Cinquecento all’Ottocento. II Settecento e Ottocento, Einaudi,
Torino 1982, in part. pp. 791-1079; Arti Tecnologia Progetto. Le esposizioni d’industria
in Italia prima dell’Unità, a cura di G. Bigatti, S. Onger, Franco Angeli, Milano 2007.
60 Cfr. K., Di un ostensorio, in “Il Buon Gusto. Giornale istruttivo e dilettevole
per la Sicilia”, a. I, n. 17, 1 aprile 1852, p. 66-67; Y., Belle Arti. Un grande ostensorio,
in “La Lira”, a. I, n. 29, 17 aprile 1852, p. 115. Si veda anche Sul grande ostensorio
dei RR. PP. Benedettini di S. Martino lavoro di Giovanni Fecarotta incisore e giojelliere di
Palermo. Parole di un amico ed ammiratore di lui, Palermo 1854. Gli scritti trattano
della «più bella opera di oreficeria, che ai nostri giorni si fosse mai veduta […]
in argento dorato; pezzi d’oro e gemme», realizzata per i pp. Benedettini di San
Martino delle Scale da Giovanni Fecarotta. Per l’ostensorio oggi perduto cfr. S.
Barraja, Un episodio di conservazione della suppellettile ecclesiastica, in L’eredità di Angelo
Sinisio. L’Abbazia di San Martino delle Scale dal XIV al XX secolo, catalogo della
mostra a cura di M.C. Di Natale, F. Messina Cicchetti, Palermo 1997, fig. 3, p. 321.
Gli appunti manoscritti di Gallo sull’orafo, risalenti al quarto decennio del XIX
secolo, sono ora A. Gallo, Notizie degli incisori siciliani, a cura di D. Malignaggi,
Palermo 1994, pp. 123-124. Per gli aspetti tecnico-innovativi dell’oreficeria
siciliana cfr. R. Vadalà, Nuove forme dell’oreficeria europea nella Sicilia dell’Ottocento, in
Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito
creta [un particolare tipo di argilla proveniente dal feudo Misercannone presso
Monreale] come per saggio dei gruppi di figure diverse, e riuscirono così belle da
imitare le statuette greche». C. Pasca, Sulle crete e l’arte di lavorare la terra cotta, in “La
Lira”, a. I, n. 33, 15 maggio 1852, pp. 129-130. Durante il XIX secolo con questa
stessa argilla rossa furono realizzati dalla R. Fabbrica di Napoli anche vasi figurati
del tutto simili ai classici. [J.J. Haus], Dei vasi greci comunemente chiamati etruschi
delle lor forme e dipinture dei nomi ed usi loro in generale colla giunta di due ragionamenti
sui fondamentali principj dei Greci nell’arte del disegno e sulla pittura all’encausto, Reale
Stamperia, Palermo 1823, p. 16; cfr. pure G. Galbo Paternò, Sull’arte ceramografica
in Sicilia e su gli esperimenti che si sono ai nostri giorni eseguiti. Pochi ricordi di Giovanni
Galbo-Paternò Baronello di Montenero, Virzì, Palermo 1847.
57 C. Pasca, Cenno di Cesare Pasca…, p. 102. Nell’articolo oltre a Michele
Laudicina e ai Tipa è ricordato il trapanese Giovanni Anselmo, intagliatore di
conchiglie attivo intorno alla metà del XVIII secolo.
58 M.S.G. [Stefano Mira e Sirignano Marchesino di San Giacinto], Reale
Istituto d’Incoraggiamento, in “PpD”, a. II, n. 23, 7 giugno 1834, pp. 180-181.
Nella premiazione del 1834, tenutasi come quella di Napoli il 30 maggio giorno
onomastico di Ferdinando II, fra le tante furono conferite medaglie d’argento
a Gioachino Bongiovanni di Caltagirone per le manifatture di terracotta, ad
Alberto di Giorgio da Trapani per manifatture di coralli, agli argentieri Antonino
Pampillonia e Giovanni Ficarrotta (o Fecarotta). Quest’ultimo fu insignito
della medaglia d’argento anche nel 1836, «per diversi perfetti lavori in oro e
argento a smalto e cesellatura», e nel 1846. Nel 1838 ottenne la medaglia d’oro.
Nell’esposizione del 1836 fu premiata con medaglia d’argento anche Teresa
Gargotta e Salinas (madre di Antonino) «per lavori di conchiglie indigene
maestrevolmente eseguiti». S. Costanzo, Reale Istituto d’Incoraggiamento, in ivi, a.
4, n. 24, 11 giugno 1836, pp. 192-195. Su questi temi cfr. C. Bajamonte, I “musei
effimeri” dell’Ottocento. L’origine delle esposizioni d’arte in Sicilia, in c.d.s.
59 Proemio, in “Effemeridi scientifiche e letterarie e lavori del R. Istituto
d’Incoraggiamento per la Sicilia”, a. III, t. IX, Gennaio Febbrajo e Marzo, 1834, p.
IV. Il Reale Istituto – fondato il 9 novembre 1831 da Ferdinando II su modello del
precedente istituito a Napoli che aveva avviato la consuetudine delle premiazioni
periodiche per le migliori manifatture del Regno (1826) – mirava a promuovere
le attività legate all’agricoltura, al commercio e alle manifatture. Mediante
Carmelo Bajamonte
Appunti su uno scritto poco noto di Agostino Gallo
101
numero 3 - maggio 2011
Juvara ad Agostino Gallo, a cura di G. Molonia, in “Messenion d’oro. Trimestrale di
cultura e informazione”, n.s., n. 20, aprile-giugno 2009.
68 A. Gallo, Notizie degli incisori…, pp. 116-117; D. Malignaggi, L’Acquaforte.
Vincenzo Riolo, Francesco La Farina, Bartolomeo e Luca Costanzo Incisori, Palermo 2008.
Si veda pure P. Sgadari di Lo Monaco, Pittori e scultori…, p. 35 che definisce
Luca «abilissimo contraffattore di quadri antichi di cui fece poco scrupoloso
commercio».
69 Cfr. E. Ricciardi, Medaglie del Regno delle Due Sicilie 1735-1861, I.T.E.A. Edit.
Tip., Napoli 1930.
70 A. Gallo, Sull’influenza…, p. 14, nota 1. Sulla moneta cfr. Esame della celebre
del signor
medaglia antica battuta in nome di tutti i siciliani coll’epigrafe
marchese G. Haus, in “GSLA”, t. 18, fasc. 52, 1827, pp. 71-97. Fra i contributi più
segnalo E.
recenti al problema delle monete con la leggenda
Sjoqvist, Numismatic notes from Morgantina. 1. The Sikeliotan Coinage, in “Museum
Notes”, American Numismatic Society, n. 9, 1960.
71 A. Gallo, Sull’influenza…, p. 18.
72 G. Raymondo Granata, Duecentosessanta giorni in Palermo nel 1861 ovvero
biografia e gabinetto scientifico-artistico dell’archeologo signor Agostino Gallo, Stamperia del
Commercio, Messina 1863, p. 51 ricorda infatti «dodici grandi e mezzani quadri
formante un’accolta di circa 1500 medaglie in gesso, in gran parte cavate da camei
e gemme antiche».
73 Un elenco delle sue medaglie è in A. Gallo, Lavoro di Agostino Gallo sopra
l’arte dell’incisione..., pp. 39-40.
74 «Ignazio Milazzo, come imputato di contraffazione di moneta, fu rinchiuso
nella casa di correzione di Palermo al 26. Dicembre 1827. A 2. Marzo 1830
fu condannato all’Ergastolo». Archivio di Stato di Palermo [poi A.S. Pa.], Real
Segreteria di Stato presso il Luogotenente Generale in Sicilia. Polizia, filza 222,
fasc. 20/2, doc. 908, verbale in data in data 13 agosto 1835. Per le notizie sull’orafo
cfr. A. Gallo, Notizie degli incisori…, pp. 129-130.
75 Ibid., Sopra una medaglia di Tiziano incisa in metallo da Marco di Chiara, in
“L’Oreteo. Nuovo Giornale”, a. I, n. 1, 1839, pp. 5-6.
76 Id., Sull’influenza…, p. 14, nota 2.
77 A.S. Pa., Real Segreteria di Stato presso il Luogotenente Generale in Sicilia,
Ripartimento Interno, Busta 18, Relazione di Gabriele Judica Regio Custode delle
nazionale, atti del convegno internazionale di studi in onore di Maria Accascina
(Palermo-Erice, 14-17 giugno 2006) a cura di M.C. Di Natale, Salvatore Sciascia,
Caltanissetta 2007, pp. 466-474.
61 A. Castellani, Dell’oreficeria antica. Discorso di Augusto Castellani, Le Monnier,
Firenze 1862. Su Augusto Castellani (1829-1914) cfr. I Castellani e l’oreficeria
archeologica italiana, catalogo della mostra, «L’Erma» di Bretschneider, Roma 2005.
Cfr. anche G. Pucci, Antichità e manifatture: un itinerario, in Memoria dell’antico nell’arte
italiana. Dalla tradizione all’archeologia, t. III, a cura di S. Settis, Einaudi, Torino
1986, pp. 251-292; P. Giusti, Gioielli e «bisciuttieri» a Napoli nell’Ottocento, in Civiltà
dell’Ottocento. Le arti a Napoli dai Borbone ai Savoia. Le arti figurative, catalogo della
mostra, Electa Napoli, Napoli 1997, pp. 221-225.
62 F. Mondello, Bozzetti biografici di artisti trapanesi de’ sec. XVII, XVIII e
XIX, Tip. Modica-Romano, Trapani 1883, pp. 40-44; F. Pipitone, La graduale
trasformazione dalla bottega artigiana all’accademia nella prima metà dell’Ottocento in Sicilia,
in La formazione professionale dell’artista. Neoclassicismo e aspetti accademici, a cura di
D. Malignaggi, Università degli Studi di Palermo, Palermo 2002, in part. pp. 5574; R. Vadalà, Corallari e scultori attivi a Trapani e nella Sicilia occidentale dal XV al
XIX secolo, in Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia
occidentale tra il XVIII e XIX secolo, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale,
Assessorato regionale BB.CC.AA. e P.I., Palermo 2003, ad vocem, pp. 382-383.
63 A. Gallo, Sull’influenza…, p. 12. Cfr. pure Id., Notizie degli incisori…, pp.
131-134; M.C. Di Natale, Gioielli di Sicilia, Flaccovio, Palermo 2000, pp. 255-260.
64 A. Gallo, Necrologia…, p. 105; Id., Notizie de’ figularj degli scultori e fonditori…,
pp. 255-256.
65 Id., Sulla scuola di scultura fondata in Palermo dal sig. Valerio Villareale, in “PpD”,
a. 5, n. 19, 13 maggio 1837, pp. 145-148.
66 Id., Sull’influenza…, p. 13.
67 Ibid. Si veda inoltre Litografia, in “PpD”, a. 4, n. 28, 9 luglio 1836, pp. 125126 [ma 225-226]; A. Gallo, Lettera di Agostino Gallo all’egregio incisore Tommaso
Aloisio Messinese professore d’intaglio in Napoli, in “La Lira”, a. I, n. 51, 6 novembre
1852, pp. 203-204; Id., Notizie degli incisori…, pp. 125-128. T. Aloysio-Juvara,
Della storia e dello stato odierno dell’arte dell’incisione, in “Nuove Effemeridi Siciliane di
Scienze, Lettere ed Arti”, a. I, dispense IX-X, dicembre 1869 – gennaio 1870, pp.
404-416. Sul rapporto fra Agostino Gallo e l’artista cfr. Lettere di Tommaso Aloysio
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
102
numero 3 - maggio 2011
Marchese Forcella in Palermo. Cenno di Angelo Osnato da Caronia, Messina 1845. Si
tratta di Palazzo Forcella-de Seta, riconfigurato dal 1833 per volere del marchese
Enrico Carlo Forcella secondo un eclettismo revivalistico che qui trova forme
compiute e originali. Cfr. G. Di Benedetto, Palazzo Forcella-de Seta, in “Kalós –
arte in Sicilia”, a. 10, n. 2, Marzo-Aprile 1998, pp. 24-31. P. Palazzotto, Teoria e
prassi dell’architettura neogotica a Palermo nella prima metà del XIX secolo, in Gioacchino
Di Marzo e la Critica d’Arte…, pp. 228-230.
86 Mi riferisco in particolare a A. Zobi, Notizie storiche riguardanti l’Imperiale e
Reale stabilimento dei lavori di commesso in pietre dure di Firenze raccolte e compilate da
Antonio Zobi, Le Monnier, Firenze 1841.
87 Sulla chiesa cfr. A. Mazzè (a cura di), Le parrocchie, Flaccovio, Palermo 1979,
pp. 73-153.
88 Per l’arca cfr. M.C. Di Natale, S. Rosaliae Patriae Servatrici, Palermo 1994,
pp. 11-80.
89 A. Gallo, Sull’influenza…, p. 18.
90 Le prime precisazioni sull’argentiere Nibilio Gagini, nipote di Antonello, si
devono a G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI. Memorie
storiche e documenti, 2 voll., Tipografia del Giornale di Sicilia, Palermo 1880 e 1883.
Cfr. M.C. Di Natale, Gioacchino Di Marzo e le arti decorative, in Gioacchino Di Marzo
e la Critica d’Arte…, pp. 157-167.
91 Cfr. M.C. Di Natale, Paliotto, scheda II.37, in Ori e Argenti di Sicilia dal
Quattrocento al Settecento, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Electa,
Milano 1989, pp. 211-212.
92 A. Gallo, Sull’influenza…, p. 19.
93 Cfr. A. Turrisi Colonna, Sopra Anna Fortino. Lettera di Annetta Turrisi Colonna
a Nicolò suo fratello, in “ESLS”, a. VI, t. XXIII, 1838, pp. 36-42. Sulla Fortino
scriverà anche S. Mira e Sirignano, Biografie e cose varie, Tipografia del Giornale di
Sicilia, Palermo 1873, pp. 76-84.
94 A. Gallo, Lavori artistici in cera di Anna Fortino palermitana, in “PpD”, a. 4, n.
33, 13 agosto 1836, pp. 261-264.
95 Id., Sulla vera patria di Zeusi pittore dell’epoca greca e cenni biografici dello stesso per
Agostino Gallo, Palermo 1861. Lo studio fu ripubblicato in “GASLA”, t. CLXXV,
n.s. XXX, gennaio-febbraio, Roma 1863, pp. 81-148.
96 R. Politi, Cenni biografici su’ valentissimi plasticisti da Caltagirone Bongiovanni e
antichità di Noto al ministro Marchese Ferreri, in data 16 novembre 1818, cc.
23-24.
78 D. Sestini, Sopra i moderni falsificatori di medaglie greche antiche nei tre metalli e
Descrizione di tutte quelle prodotte dai medesimi nello spazio di pochi anni, Tofani, Firenze
1826, per il quale cfr. S. Pafumi, Museum Biscarianum. Materiali per lo studio delle
collezioni di Ignazio Paternò Castello di Biscari (1719-1786), Alma, Catania 2006, p. 113.
79 A. Gallo, Sull’influenza…, p. 15. Gallo accenna in nota alla collezione del
conte Corrado Ventimiglia che contava 400 varietà di pietre dure. Su una raccolta
del XVIII cfr. il Catalogo di una raccolta di pietre dure native di Sicilia esistente presso l’abate
D. Domenico Tata, Raimondi, Napoli 1772. Su questi temi cfr. soprattutto M.C. Di
Natale, I maestri corallari trapanesi dal XVI al XIX secolo, in Materiali preziosi…, pp.
23-56.
80 Cfr. Immagine e testo. Mostra storica dell’editoria siciliana dal Quattrocento agli inizi
dell’Ottocento, a cura di D. Malignaggi, Assessorato regionale BB.CC.AA. e P.I.,
Palermo 1988.
81 «Perocché in alcuni sepolcri greci e cartaginesi, apertisi in diverse città di
Sicilia e in quelli di Palermo nella strada di Mezzomonreale [l’area della necropoli
punica di corso Calatafimi] de’ tempi Fenici e Cartaginesi, si sono rinvenute fiale,
vasettini e gingilli di ragazzi in vetri colorati». A. Gallo, Sull’influenza…, p. 16.
Su questi aspetti si veda A. Spanò Giammellaro, I vetri della Sicilia punica, Unione
Accademica Nazionale, Corpus delle Antichità Fenicie e Puniche, Bonsignori,
Roma 2008.
82 Per le attività dei fratelli Gallo cfr. A. Rotolo, La cultura meccanica siciliana
dal XVII al XIX secolo, Fondazione Ignazio Buttitta, Palermo 2009, pp. 118-120.
83 A. Gallo, Sull’influenza…, p. 16. Si veda anche C. Pasca, Su gli Smalti e l’Arte
del Mosaico, in “La Lira”, a. I, n. 31, 1 maggio 1852, pp. 122-123, in cui, oltre a
Angelo Gallo, è ricordato Sebastiano Zerbo, che a seguito dell’incendio scoppiato
nel 1811 all’interno del Duomo di Monreale nel 1817 ne restaurò i mosaici con
l’impiego di paste vitree. Sulle pratiche del restauro musivo cfr. M. Guttilla, Un
interprete del restauro musivo dell’Ottocento: Rosario Riolo e il suo ambiente, in Gioacchino
Di Marzo e la Critica d’Arte nell’Ottocento in Italia, atti del convegno di studi nazionali
(Palermo, 15-17 aprile 2003) a cura di S. La Barbera, Palermo 2004, pp. 246-262.
84 A. Gallo, Sull’influenza…, p. 16.
85 Cfr. C. Pasca, Cenno di Cesare Pasca…, p. 102; Sull’interno della casa del Sig.r
Carmelo Bajamonte
Appunti su uno scritto poco noto di Agostino Gallo
103
numero 3 - maggio 2011
Vaccaro riprodotti con aggiunte e parte istorica dell’arte di modellare in creta, Tipografia
Blandaleone, Girgenti 1858. Si veda inoltre A. Ragona, I figurinai di Caltagirone
nell’Ottocento, Sellerio, Palermo 1996.
97 R. Politi, Giacomo Bongiovanni e Giuseppe Vaccaro, in “Poliorama Pittoresco”,
a. VII, sem. II (11 Febbrajo – 5 Agosto 1843), n. 32, Napoli 18 Marzo 1843,
pp. 249-250. L’articolo è accompagnato da uno «schizzo litografico» raffigurante
il gruppo con il Ciabattino. Anche nella stampa periodica locale sono segnalati
contributi sui due maestri calatini. Cfr. P. Palazzotto, Cronache d’arte ne «La
Cerere» di Palermo, in Percorsi di Critica…, pp. 123-142.
98 Cinquantuno lettere autografe ad Agostino Gallo (7 Maggio 1826 – 12 Settembre
1866), ms. del sec. XIX, custodito ai ss. 2 Qq G 113, n. 36 presso la Biblioteca
comunale di Palermo.
99 A. Gallo, Sull’influenza…, p. 18. Altre notizie su Giacomo e Giuseppe
Vaccaro Bongiovanni sono in Id., Notizie de’ figularj degli scultori e fonditori…, pp.
269-272.
100 Anche Francesco di Paola Avolio esprime l’idea di rilanciare economicamente
il settore dell’arte dei figulini e di «svegliare l’addormentate braccia ad opere
migliori». F. Avolio, Delle antiche fatture di argilla che si ritrovano in Sicilia, Lorenzo
Dato, Palermo 1829, pp. xlii-xliii. Gioacchino Di Marzo ricorda, piuttosto,
l’importanza delle officine trapanesi: «Da più di un secolo gli artisti trapanesi
si rivolsero a cavar profitto dall’abbondanza degli alabastri del patrio territorio,
e dalla pesca del corallo e delle conchiglie», nominando fra gli artisti Giovanni
Anselmo, Andrea e Alberto Tipa, Michele Laudicina e Pietro Bordino «di cui si
sono venduti eccellenti lavori a fondo ed a rilievo sopra agate orientali». Dizionario
topografico della Sicilia di Vito Amico. Tradotto dal latino ed annotato da Gioacchino Di
Marzo chierico distinto della Real Cappella Palatina, vol. II, Pietro Morvillo, Palermo
1856, p. 624.
101 Nel catalogo dell’Esposizione di Londra – classi 33 (Works in precious Metals
and their imitations and Jewellery) e 35 (Pottery) – figurano fra gli altri Giuseppe Laodicini
(!) per i cammei su conchiglia, il corallaro trapanese Carlo Guida, Gaetano Armao
di Santo Stefano di Camastra per riproduzioni di vasi etruschi, Giuseppe Vaccaro
Bongiovanni. Questi artisti parteciparono anche all’Esposizione Nazionale di
prodotti agricoli e industriali e di belle arti di Firenze del 1861.
102 A. Gallo, Sull’influenza…, p. 19. Per Giovanni Matera (1653-1718) cfr. G.
Bongiovanni, Giovanni Antonio Matera un grande scultore di figure “in piccolo”, allegato
a “Kalós – arte in Sicilia”, a. III, n. 6 Novembre-Dicembre 1991. Si veda pure G.
Cocchiara, I pastori del Matera, in “Sicilia”, n. 36, 1962, nn.
103 J. Burckhardt, Il Cicerone. Guida al godimento delle opere d’arte in Italia [1855],
vol. I, Sansoni, Firenze 1992, p. 784.
104 A. Gallo, Sull’influenza…, p. 19. Sul presepe napoletano si veda almeno
L. Correra, Il Presepe a Napoli, in “L’Arte”, II, 1899, pp. 325-346; F. Mancini, Il
Presepe napoletano. Scritti e testimonianze dal secolo XVIII al 1955, SEN, Napoli 1983;
M. Piccoli Catello (a cura di), Il Presepe Napoletano. The Neapolitan Crib, Guida,
Napoli 2005.
105 S. Romano, Di alcune eccellenti figure in legno scolpite dal trapanese Matera verso
il 1700 e che ora trovansi a Monaco nel Museo Nazionale bavarese, in “Archivio Storico
Siciliano”, n.s., a. XXVII, 1902, pp. 241-255. Puntualizza quanto scritto da
Salvatore Romano F.A. Belgiorno, I presepi di Matera a Monaco tra storia e leggenda,
in “Kalós – arte in Sicilia”, a. 14, n. 3, Giugno-Settembre 2002, pp. 6-9.
106 F. Mondello, L’Arte nel Presepio per le piccole figure degli scultori Nolfo di
Trapani, con 4 illustrazioni, ms. del 1905, custodito ai ss. 190 presso la Biblioteca
Fardelliana di Trapani. Per il canonico trapanese (1834-1908) cfr. M. Vitella,
Fonti del XIX secolo per la Storia dell’arte in Sicilia: il canonico Fortunato Mondello, in
Metodo della ricerca…, pp. 407-420.
107 Cfr. V. Crisafulli, 1884 Vincenzo Ragusa e il Museo Artistico industriale Scuole
Officine, in 1884 Vincenzo Ragusa e l’Istituto d’Arte di Palermo, a cura di V. Crisafulli,
Kalós, Palermo 2004, pp. 13-41.
108 Si veda per esempio R. Cinà, Arte e gusto sulle pagine de “L’Arte Decorativa
Illustrata”, in “teCLa-Effemeride”, 2010, www.unipa.it/tecla/effemeride/1_
effemeride.php, DOI 10.4413/EFFEMERIDE. Sulla rivalutazione delle arti
decorative rimando a G.C. Sciolla, La riscoperta delle arti decorative in Italia nella prima
metà del Novecento. Brevi considerazioni, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento…,
pp. 51-58; F. Bologna, Dalle arti minori all’industrial design. Storia di una ideologia,
Laterza, Bari 1972.
109 Esposizione Nazionale 1891-92 in Palermo. Catalogo generale, Stabilimento
Tipografico Virzì, Palermo s.d. [ma 1891]; “Palermo e l’Esposizione nazionale
del 1891-92. Cronaca illustrata”, Treves, Milano 1892; “L’Esposizione Nazionale
illustrata di Palermo. 1891-92”, Sonzogno, Milano 1892. Cfr. A.M. Fundarò,
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
104
numero 3 - maggio 2011
Le arti industriali siciliane nell’Esposizione di Palermo, in Dall’artigiano all’industria.
L’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-1892, a cura di M. Ganci, M. Giuffrè,
Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo 1994, pp. 237-264.
Carmelo Bajamonte
Appunti su uno scritto poco noto di Agostino Gallo
105
Giuseppe agnello:
contributi sulla stampa periodica
allo studio della storia dell’arte
siciliana dal tardo antico al barocco
di Iolanda Di Natale
cultura siciliana, qual è quello fra le due guerre, cui seguono i difficili
anni della “ricostruzione”.
La formazione giovanile di Giuseppe Agnello1 si svolge presso il
L’
Seminario di Siracusa, iscrivendosi nel 1910 al corso di laurea in
Lettere Moderne presso l’Università di Catania. Guida e modello
sarà per lui il Vescovo Luigi Bignami2, che consapevole delle qualità
del giovane lo esorta a lasciare la vita ecclesiastica per seguire
quella degli studi3. Al prelato Agnello dedicherà una delle sue opere
giovanili, Un Vescovo umanista. Luigi Bignami4, pubblicata nel 1925.
Abbandonata la vita clericale Agnello si dedica pienamente agli
studi, particolarmente attratto dalle letterature neolatine e nel 1913
consegue, a pieni voti, la laurea in Lettere Moderne discutendo una
brillante tesi dal titolo La leggenda di S. Oliva5, relatore il Prof. Paolo
Savj Lòpez6, filologo formatosi presso la scuola fiorentina7 che si
attività di Giuseppe Agnello si inserisce a pieno titolo
nel novero delle più significative espressioni di impegno civile e
scientifico che il secolo appena trascorso ha generato. La sua è una
vicenda senz’altro ammirevole data l’esemplarità di questa figura
di studioso e “politico” in grado di offrire un contributo rilevante,
pur se ancora di matrice erudita, allo sviluppo del sistema culturale
regionale, proprio in funzione della sua partecipazione al più ampio
panorama nazionale.
Questi aspetti, che saranno illustrati nelle pagine seguenti, rendono
articolata e affascinante la sua opera, in un periodo cruciale per la
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
106
numero 3 - maggio 2011
storici dell’arte italiani, i cui precedenti illustri si trovano in primis in
area tedesca, ma anche francese e anglosassone. Proprio negli anni
in cui Agnello si appresta a pubblicare la sua autobiografia, escono
il Diario di un borghese (1948 e 1962) di Ranuccio Bianchi Baldinelli,
Riassumendo una vita. Note autobiografiche (1960) di Enrico Mauceri,
Tempo di ricordi (1955) di Alfredo Gargiulo; opere che, idealmente,
potrebbero tutte farsi risalire al primo illustre esempio di biografia
di uno storico dell’arte, rappresentato dal volume di Adolfo Venturi,
Memorie autobiografiche (1927)11. Inframmezzati al racconto delle tristi
e difficili vicende che vedono il Nostro protagonista negli anni del
fascismo e della coraggiosa resistenza al regime, in La mia vita nel
ventennio emergono anche episodi legati alle amicizie con importanti
archeologi e studiosi del tempo, con intellettuali impegnati nella
comune lotta e, ancora, resoconti di viaggi, sempre in Italia (gli
viene infatti imposto il divieto di recarsi all’estero). Proprio i legami
con i più importanti studiosi del tempo, le loro visite, tra le quali
si ricorda quella dello storico Adolf Schulten, di Benko Hovart e
ancora quella di Eduard Sthamer, rappresentano per Agnello un
momento di distensione e di svago. Assidui sono i soggiorni romani
in occasione dei quali frequenta il salotto del principe Ruffo della
Scaletta, intrattiene rapporti con Giuseppe Maragotti (direttore
del settimanale “L’Idea”, de “L’Illustrazione Vaticana” e ancora di
riuniva intorno alla figura di
Domenico Comparetti8. Qui
il giovane studioso instaura
importanti relazioni con la
scuola fiorentina. L’influenza
su di lui esercitata dai maestri
fiorentini è evidente nel
suo metodo storiografico
improntato a quel positivismo
di matrice scientifica che non
può non essere ricondotto
proprio agli sviluppi raggiunti
Giuseppe Agnello
9
in seno a quel cenacolo .
Declinata l’offerta del Prof. Savj Lòpez di proseguire l’attività
di ricerca in Germania, nel 1913 Giuseppe inizia ad esercitare la
professione di insegnante prima, nella scuola media di Adrano
e, successivamente, presso il Liceo-Ginnasio “R. Settimo” di
Caltanissetta10. La mia vita nel ventennio, opera di natura autobiografica,
inserisce Agnello all’interno di quel florido filone della memorialistica
degli storici dell’arte particolarmente fiorente tra Ottocento e
Novecento, che sembra potersi ricondurre – come nota Gianni
Carlo Sciolla – alla tradizione delle autobiografie di artisti e di
Iolanda Di Natale
Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica...
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“Sicilia del Popolo”) e con Mario Recchi, fine intellettuale e critico
d’arte, fondatore della rivista “Archivi”; partecipando anche agli
incontri serali nella casa del Prof. Giulio Emanuele Rizzo12.
pevole volontà di partecipazione: sono questi, infatti, anni di grande impegno, non solo in ambito politico, ma anche in quello degli
studi. Proprio a partire dal rientro nella città di Archimede, infatti,
iniziano a prender forma i primi e cruciali fondamenti di quelle ricerche che ne caratterizzeranno la
ricchissima produzione scientifica. Siracusa viveva
allora un clima di interessante fervore culturale
e artistico, generatosi intorno alla figura di Paolo
Orsi17, archeologo di notissima fama, giunto a
A Firenze entra in contatto col Prof. Gaetano
Pieraccini13 e frequenta l’editore Attilio Vallecchi
per il quale pubblica nel 1925 il saggio Paolo
Orsi14; a Genova incontra Giovanni Ansaldo
che gli propone di collaborare al “Lavoro”,
con scritti di natura letteraria e non politica; a
Milano rinsalda il legame con l’amico Francesco
Siracusa nel 1890 in qualità di Ispettore degli Scavi e
Cianciò, anche lui docente di lettere. Contatti
dei Musei. Lo stesso Agnello, ricordando le lunghe
e relazioni questi che ci permettono di meglio
passeggiate, le lezioni e le campagne di scavo al
approfondire la figura dello studioso ed il suo
seguito dell’illustre studioso, non mancherà mai di
lavoro di ricerca alla luce di quell’ampio clima di
riconoscere il debito nei confronti di quell’uomo
studi e contatti nazionali ed internazionali che lo
che era stato per lui maestro e modello indiscusso
vedono spesso protagonista.
di cultura e preparazione.
Cartina
topografica
di
Ortigia
Il volume che, come si ha avuto modo
L’interesse sempre più forte per la politica è,
(dal sito della Società di Storia
di anticipare, ricostruisce i difficili anni
invece, alla base dello scritto pubblicato nel 1921,
Patria di Siracusa).
del ventennio fascista15, prende avvio
a seguito del discorso da lui letto in occasione dei
dall’anno 1919 quando, dopo nove mesi di permanenza in festeggiamenti per il VI Centenario Dantesco: Passioni politiche e
terra francese, a metà gennaio Agnello rientra in Sicilia16. ire di parte nella vita di Dante18. Un comune destino sembra legare
La stabilità lavorativa e coniugale segna una nuova e più consa- Agnello al sommo poeta: quello del perseguitato. Disattese le
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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speranze di un ritorno ad una democrazia giusta e forte, anche a
Il 1925 è per Giuseppe un anno colmo di dolori, ma è anche il
Siracusa nell’estate del 1920 era stata costituita la prima associazione
periodo in cui inizia a dedicarsi alacremente agli studi, coltiva con
fascista. Il fare politica viene vissuto da Agnello
costanza quegli interessi per l’archeologia
quale «strettissimo dovere di ogni cittadino che
e per l’arte, emersi negli anni universitari e
si preoccupi delle sorti della propria patria»19.
fiorentini ed ancora progrediti a seguito del
Questa la ragione che lo spinge nel 1920 a
proficuo contatto con Paolo Orsi. Con lo
costituire la sezione siracusana del Partito
studioso di chiara formazione positivista,
Polare Italiano20, per il quale si presenta nella
la cui attività, discostandosi dalla tradizione
lista popolare alla elezioni del 1924, in aperto
antiquariale, assume caratteri decisamente
contrasto al listone fascista, pur consapevole di
innovativi, Agnello, ha in comune la medesima
andare incontro a un «certo sbaraglio». Il difficile
frequentazione dell’Istituto di Studi Superiori
clima che precede le elezioni viene ancor più
di Firenze24.
esasperato dalla pubblicazione del suo libello
La lezione in particolar modo del D’Ancona
Il Carnevale politico nel siracusano21. I risultati delle
e del Comparetti25, testimoni del cruciale
elezioni, ben noti, costituiscono una delle pagine
passaggio dalla filosofia alla filologia e dalla
più tristi della storia della democrazia in Italia22.
storiografia filosofica a quella filologica, ma
Imboscate, insulti, pedinamenti, intimidazioni
anche della crisi dell’idealismo di matrice
si susseguono con regolarità quotidiana
tedesca e del prorompente imporsi al suo
G. Agnello, Siracusa Medievale. Monumenti
all’indirizzo dell’autore del Carnevale politico – inediti, Muglia Editore Catania, Catania, posto di tendenze propriamente positiviste,
volumetto giunto sin nelle mani di Mussolini23 – 1926.
è riscontrabile, altrettanto fortemente, in
cercando il regime di dimostrarne con ogni mezzo l’inconciliabilità
Orsi quanto in Agnello26. Del resto è stata più volte messa in luce
della posizione politica assunta rispetto all’impiego statale.
la filiazione dei suoi studi da quelle tematiche che, in tarda età,
Iolanda Di Natale
Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica...
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avevano attirato l’interesse del
suo maestro27, sotto la cui spinta e
protezione prendono forma quei
primi e fondamentali contributi
sul Medioevo isolano28. Periodo
salda ‘base estetica’, indispensabile a un corretto giudizio sull’arte.
Quale risultato di questi primi studi tra il 1923 e il 1926 pubblica
sugli annuari del 1923-24 e del 1924-25 del R. Liceo-Ginnasio
“T. Gargallo”, da lui personalmente curati, due interventi che
riscossero l’apprezzamento di Pietro Toesca e Benedetto Croce,
rispettivamente intitolati Paolo Orsi e Siracusa Medievale. Monumenti
inediti31. Quest’ultimo, ristampato presso l’editore Muglia di Catania
nel 192632, segna l’esordio di Agnello storico dell’arte. Già da
questa prima opera, se da un lato è evidente l’iniziale dipendenza
nei confronti di quel filone di studi precedentemente avviato
dall’Orsi33, dall’altro si può intuire l’orientamento verso cui la ricerca
dello studioso siracusano si stava autonomamente indirizzando. Il
volume viene preparato e anticipato da una serie di articoli apparsi
su importanti testate regionali e, soprattutto, nazionali. A partire
dal giugno 1925, infatti, dalle pagine de “Il Giornale d’Italia” e “Il
Mondo” si susseguono numerosi e nodali contributi dedicati dallo
studioso alla ricostruzione e all’ampliamento delle conoscenze
sull’arte bizantina e medievale, sino ad allora quasi del tutto
inesplorate34.
I diversi lavori monografici compilati dallo studioso durante
tutto l’arco della sua vita, sono sempre preparati e anticipati da
saggi ed articoli pubblicati sulla stampa periodica e dallo spoglio
questo, sino ad allora, poco
investigato dagli studiosi locali,
ad eccezione del grande storico
Gioacchino Di Marzo, iniziatore
di questo ricco filone di ricerche
e approfondimenti, la cui figura
è stata messa in luce anche da
G. Agnello, Foglio
Roberto Longhi che ne ha posto
manoscritto, Biblioteca
Comunale di Siracusa.
in evidenza l’importanza degli
studi sull’arte siciliana e sottolineato la validità delle attribuzioni29.
L’approccio di Agnello nei confronti del Medioevo presenta
un notevole passo in avanti rispetto agli studiosi siciliani a lui
contemporanei, rivelando una particolare consonanza coi coevi
studi sull’argomento portati avanti in ambito nazionale, in special
modo, da Pietro Toesca30, allievo di Adolfo Venturi, al quale può
essere assimilato sia per affinità di temi (il Medioevo in primis) e
tipologie di ricerche, sia per il convincimento della necessità di una
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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alla Enciclopedia italiana35. Se il filosofo rifiuta di fare del Professore
«un martire o un perseguitato politico», non dello stesso avviso si
dimostra Pietro Fedele, succeduto a Gentile alla guida del Ministero
della P.I. I primi di giugno del 1926 arriva l’ordine di trasferimento.
Non pochi fedeli ed illustri amici, nonostante le sollecitazioni del
Professore a desistere rispetto ad ogni tentativo di intervento in
sua difesa, si espongono al fine di ottenere un provvedimento di
revoca all’ingiusto trasferimento, tra tutti il senatore Paolo Orsi e il
Vescovo Carabelli36. Ogni tentativo risulta nullo e solo pochi mesi
dopo il trasferimento a Cento, in Emilia Romagna, il 24 agosto,
Agnello viene raggiunto da un avviso del Gabinetto del Ministero
della Pubblica Istruzione con cui gli si comunica che, per essersi
posto in posizione di incompatibilità con le direttive generali del
Governo, si procedeva alla sua definitiva dispensa dal servizio.
La risposta del Professore, esemplare nel rigore del ragionamento e,
ancor più, nell’alto valore civile e morale, espressione della grande
dignità dell’uomo, segna l’inizio di un lungo periodo da esiliato in
patria37. In quegli anni di isolamento Agnello si dedica con ancor
più passione e solerzia agli studi d’arte: indaga e riporta alla luce
una Sicilia ancora inedita, riscoperta ed illustrata tra molteplici
difficoltà, connesse ad uno studio tanto ampio e, sino ad allora,
raramente praticato, condotto con sagacia, senza alcun sostegno
bibliografico emerge con
chiarezza come il rapporto
che lega le monografie
agli interventi su stampa
periodica possa essere
considerato inscindibile: un
continuo gioco di scambi e
rimandi, approfondimenti,
aggiornamenti e stralci,
che è caratteristica propria
di
questa
amplissima
produzione scientifica, il
cui alto grado qualitativo
si
accompagna
alla
G. Agnello, Guida del Duomo di ricchezza quantitativa e la
Siracusa, Officine D’Arte Grafica
cui ampiezza di temi viene
A. Lucini & C., Milano 1930.
piacevolmente supportata
da un prosa scorrevole ed incisiva. Nonostante l’impegno profuso
da Agnello nell’adempimento della sua professione, le pressioni
affinché venga allontanato dall’insegnamento continuano con
insistenza, raggiungendo l’allora Ministro dell’Istruzione Giovanni
Gentile che, poco più tardi, inviterà però lo studioso a collaborare
Iolanda Di Natale
Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica...
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L’
da parte delle autorità. I risultati di queste impegnative indagini
vengono pubblicati con un’intensità quasi frenetica, per lo più sotto
forma di saggi e di articoli destinati alla stampa periodica: giornali
quotidiani, settimanali e riviste.
Per tutta la durata del ventennio fascista, infatti, questa tipologia di
interventi rappresenta l’unico modo a disposizione del «pericoloso
sovversivo» per far sentire la sua voce di studioso e per diffondere
i risultati del suo lavoro scientifico. Raramente, durante gli anni
del regime, Agnello riesce ad ottenere l’appoggio di enti pubblici
o di case editrici disposti a pubblicare i suoi lavori monografici,
considerati, a tutt’oggi, uno dei più fecondi contributi allo studio
della storia dell’arte siciliana dal tardo antico sino al Barocco.
Il ruolo assunto dalla stampa periodica tra il XIX e XX secolo è stato
negli ultimi anni posto in rilievo dalla critica che ne ha evidenziato
l’importanza rispetto sia al dibattito, sia alla divulgazione degli
studi di storia dell’arte e dell’architettura38. Un fenomeno questo
attività di Giuseppe Agnello, relativamente alle “cose di
Sicilia”, espressa nei numerosi saggi, negli articoli, ma soprattutto
nelle recensioni, lascia trapelare la fitta rete di scambi, di relazioni e di
dialogo culturale che questo appartato studioso di Canicattini riesce
a mantenere, anche in anni storicamente difficili, con la comunità
scientifica italiana ed europea; relazioni e scambi che, proprio dalle
pagine della stampa periodica, prendono corpo oltrepassando gli
angusti confini dell’Isola. Fondamentale, in questo senso, l’amicizia
col già citato Paolo Orsi, ma anche quella con Umberto CanottiBianchi41, suo editore, cui è legato non solo dai comuni interessi
culturali e scientifici, ma anche dalla medesima posizione politica
che non di rado rende difficili e pericolosi i più semplici contatti
fra i due studiosi, entrambi considerati pericolosi attivisti e, per
questo, sempre tenuti sotto stretto controllo dalle forze di polizia
del regime.
Ancora un’altra significativa amicizia, cui si è già in precedenza
accennato, è quella che lega Agnello all’Arcivescovo Carabelli,
al quale dedicherà nel 1933 un saggio breve: Monsignor Carabelli
e l’arte42. È proprio l’Arcivescovo che, incurante dello sdegno
generale espresso dalle più alte cariche del regime, in occasione della
riapertura del Duomo di Siracusa, invita lo studioso a presenziare
diramato e ricco di fecondi apporti di cui Agnello, come molti
studiosi, risulta essere pienamente conscio: pubblica, infatti, non
solo negli “Archivi Storici” regionali, ma anche in periodici come
“L’Osservatore Romano”, “Siculorum Gymnasium”39 e, ancora,
“Brutium” di Alfonso Frangipane40.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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alla conferenza di presentazione del lungo e poderoso intervento
di restauro. La conferenza, tenuta il 14 gennaio del 1927 presso il
Palazzo Arcivescovile, a seguito della revoca della concessione del
Teatro Comunale, nonostante l’inquietudine della vigilia e le voci
di una possibile invasione
del palazzo, è un successo;
l’interesse dello studioso per
le vicende artistiche inerenti
il Duomo siracusano43 è
testimoniata dai numerosi
articoli apparsi con continuità
ininterrotta a partire dal 1926.
Questi studi, variegati ed
ampi, sia per quantità, che
per tematiche, consentono
allo studioso di spaziare
su argomenti molteplici, G. Agnello, Un monumento millenario.
attraversando un arco di Il Duomo di Siracusa già Tempio di
tempo che dal mondo greco Athena, in “Italia Nostra”, XXXIV,
1928.
classico giunge sin dopo il
Settecento e di poter, inoltre, affrontare le più svariate sfaccettature
dell’arte, da quella figurativa a quella decorativa, muovendosi
liberamente dall’analisi del grande artista a quella del più oscuro
artigiano44. Attratto inizialmente dalle vicende architettoniche,
assolutamente eccezionali, del tempio cristiano, considerato monumento siracusano per eccellenza, Agnello ben presto allarga i
suoi interessi anche ai molti
tesori custoditi all’interno del
Duomo.
Proprio in funzione della
particolare attenzione da
lui riservata alla storia e agli
sviluppi dell’architettura, si
è più volte proceduto alla
sua identificazione – peraltro
riduttiva – quale “storico dell’architettura”. Limitazione
questa che non spiegherebbe,
ad esempio, il grande interesse
I. Marabitti, S. Paolo, 1757, Siracusa, assegnato da Agnello all’apCattedrale
profondimento delle vicende
legate alla Cappella del SS. Sacramento, detta “Torres” dal nome
dell’Arcivescovo committente e fondatore, fonte illimitata di spunti
per studi su artisti e artigiani operanti all’interno della Cattedrale
Iolanda Di Natale
Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica...
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siracusana nei secoli XVII e XVIII: Andrea Vermexio, cui si deve
il progetto originario, insieme ai figli; i capimastri delle Regie
Fabbriche, Antonio Greco, Cosimo Russo e Giuseppe Guido; gli
scultori maltesi Michele Casanova e Marcello Gaffar, cui spetta la
decorazione scultorea con angeli, sirene, putti e stemmi , solo per
citarne alcuni.
Un’attenzione tutta particolare viene poi riservata a tre artisti: il
pittore messinese Agostino Scilla, il romano Luigi Vanvitelli e
lo scultore fiorentino Filippo Della Valle. Il primo, cui si deve
la decorazione pittorica della cappella, viene esaltato dallo
studioso negli articoli Un ignoto frescante del Seicento: Agostino Scilla
e Gli affreschi di Agostino Scilla nella Cappella del SS. Sacramento nella
Chiesa Cattedrale di Siracusa. Agli altri due, artefici rispettivamente
dello splendido ciborio e del paliotto marmoreo con l’Ultima
Cena, Agnello dedica, tra il 1927 e 1967, numerosi articoli
Al palermitano Ignazio Marabitti, il «più insigne rappresentante
della scultura siciliana del XVIII sec.» e, peraltro, allievo di Filippo
Della Valle a Roma dal 1740 ca., Agnello dedica un numero cospicuo
di approfondimenti, principalmente connessi all’attività siracusana,
con riferimento alla committenza chiesastica e al Duomo; l’attività
del rinomato scultore viene puntualmente confermata dalle preziose
fonti d’archivio.
Del resto, è indubbio che la ricerca e lo spoglio del documento
d’archivio, ai fini di un’attenta indagine storico-filologica,
rappresentino per Agnello una delle principali linee di impostazione
del lavoro dedicato alla ricostruzione e all’analisi delle problematiche
concernenti tanto la storia dell’arte, quanto l’archeologia. Ai
numerosi saggi ed articoli, lo studioso non manca mai di allegare
una ricchissima messe di scritti e documenti rinvenuti presso archivi
e biblioteche, frutto di una rigorosa ed attenta ricerca, spesso anche
estenuante, da cui, anche in tarda età, non sembra in alcun modo
potersi esimere.
Da questa passione per il documento d’archivio nascono, ad
esempio, importanti interventi sulla stampa periodica cui si devono
aggiungere i diciassette saggi pubblicati sulla rivista “Archivi”, diretta
da Mario Recchi, alla quale collabora dal ’37 al ’60, scrivendo nella
sezione dedicata ai “Documenti d’Archivio per la Storia dell’Arte”.
Tornando agli studi dedicati al Duomo, in merito al rifacimento
settecentesco del prospetto, Agnello concentra la sua attenzione
su un altro artista, l’architetto Pompeo Picherali. Protagonista
della ricostruzione di Siracusa, dopo il disastro tellurico del 1693,
il nome del Picherali era riemerso solo agli inizi del XX secolo,
quando Enrico Mauceri aveva pubblicato un contributo su “L’Arte”
di Adolfo Venturi, dedicato alla maggiore chiesa siracusana.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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Ma sarà proprio Agnello a far pienamente luce su questa figura di
scientifico o giudizio critico. Da questa convinzione prende forma
architetto e pittore locale, vicino alla potente famiglia romana dei
quella battaglia che vedrà Agnello impegnato in prima fila nella
Colonna, attivo presso la chiesa del Carmine e
sensibilizzazione rispetto a tematiche quali la
in quella di S. Domenico e citato, in qualità di
tutela, la conservazione e la salvaguardia del
perito, nei lavori di rifacimento della facciata
bene storico-artistico e paesaggistico65.
della Cattedrale61. Ancora, al periodo dei primi
Larga parte degli studi cui si è accennato
studi sul Duomo di Siracusa62 e, soprattutto,
(sia in materia propriamente di arte che di
del suo restauro, risalgono le prime consapevoli
tutela) trova largo spazio su riviste collegate
prese di posizione nei confronti del cruciale
alla Chiesa: contrariamente all’atteggiamento
tema della tutela dei beni storico-artistici63
delle istituzioni statali deputate alla diffusione
– secondo grande polo d’interesse dei suoi
e promozione della cultura, le istituzioni
studi – i cui presupposti teorici risalgono al
ecclesiastiche si dimostrano molto più attente al
principio del “restauro scientifico” di Gustavo
lavoro portato avanti dallo studioso siracusano
Giovannoni64. L’analisi storico-critica, anche
che più volte è chiamato a collaborare con le
per Agnello, deve sempre essere accompagnata
principali testate scientifiche ed informative di
e verificata da un’attenta ricerca sul campo,
arte sacra, quali: “Arte Cristana”, “L’Illustrazione
facendo ricorso a sopralluoghi, rilievi, fotografie
vaticana”, “L’Osservatorio romano”, “Per
G.
Agnello,
Le
argenterie
di
e ricerche documentarie finalizzate a restituire, Canicattini Bagni, in Πεπραγμένα του l’Arte sacra”, “Presenza cristiana”, “Rivista
nella sua interezza, il complessivo sistema storico Θ’Διεθους Βυζαντινολογικου Συνεδρίου, di archeologia cristiana”, “Rivista diocesana
1955.
e culturale. La salvaguardia del bene, inteso
di Siracusa” e “Rendiconti della Pontificia
quale documento primario, da conoscere “in presa diretta”, risulta
Accademia Romana di Archeologia”. Lo stretto legame con la
allora indispensabile, necessaria e propedeutica a qualunque studio
Chiesa è, oltretutto, testimoniato dall’invito mossogli nel 1928 a far
Iolanda Di Natale
Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica...
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parte della Commissione
per l’Arte Sacra della
Diocesi
di
Siracusa
(successivamente, nel ’46,
verrà anche nominato
ispettore onorario ai
monumenti). La difficile
ricostruzione delle origini del cristianesimo e del
suo diffondersi nell’isola
rappresenta uno dei
campi di ricerca favoriti
da Agnello.
A questo tema egli dedica
però numerosi studi
G. Agnello, Le argenterie di Canicattini Bagni,
monografici incentrati
in
“Πεπραγμένα
του
’Διεθους
Βυζαντινολογικου Θ’Συνεδρίου”, 1955. sull’arte bizantina: risale
Patena e cucchiaio bizantini.
al 1942 Paolo Orsi - Sicilia
Bizantina66; al 1951 I Monumenti bizantini della Sicilia67, preludio al più
celebre L’architettura bizantina in Sicilia68, edito nel 1952, in cui il campo
di indagine viene dallo studioso allargato a tutta la Sicilia Orientale.
Il volume sembra idealmente porsi a completamento della mono-
grafia di Arduino Colasanti69 che, invece, aveva del tutto trascurato
il “capitolo siciliano” nel complesso e articolato quadro italiano.
Questi lavori si presentano già per alcuni spunti che Agnello non
mancherà di approfondire in tappe successive (soltanto con Palermo
bizantina70 edito nel 1969, si potrà considerare completo essendo
anche allargato a tutta la Sicilia, il quadro da lui dedicato all’arte
bizantina) andando, non solo ad arricchire sempre più la storia dei
monumenti d’arte del thema di Sicilia, ma anche a confermare quella
convinzione che, da lui in poi, si riscontrerà in maniera ininterrotta
in tutta la storiografia artistica, a sostegno della continuità culturale
che il mondo bizantino ebbe in Sicilia almeno fino alla metà del
XII secolo71. Anche nel caso di questi studi le monografie del
Nostro vengono anticipate da importanti contributi destinati
alla stampa periodica: a partire dal 1931 vengono pubblicati in
puntate su “Arte Sacra” quattro articoli dedicati a Siracusa Bizantina
(restituiti, in forma organica nel ’32 nelle pagine dell’“Archivio
Storico per la Sicilia Orientale”); nel ’36, sempre in “Arte Sacra”,
esce Architettura rupestre bizantina: Il cenobio di S. Marco nel Siracusano
(su questo tema Agnello interverrà, tre anni dopo, al V Convegno
Internazionale di Studi Bizantini tenutosi a Roma nel settembre del
1936); al 1951, invece, risale il saggio Monumenti bizantini della Sicilia,
pubblicato su “La Nuova Italia” e ancora altri numerosi articoli72.
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temi di Critica e Letteratura artistica
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Si tratta di ricerche su monumenti ancora esistenti nella Sicilia orientale
sempre più innanzi, spingendosi i suoi interessi sino al Barocco.
che testimoniano, con la loro sopravvivenza, il momento chiave
Agnello, infatti, più volte dimostra di considerare la produzione
della diffusione del
artistica isolana mediecristianesimo nell’isola.
vale, come frutto di
L’attenzione riservata
quella rinascita ellenizdallo studioso a questo
zante che, dopo il
periodo storico, la
tramonto della civiltà
volontà di affrontare
classica, torna a paletali studi secondo un
sarsi nel trionfo della
più organico approccio
cultura di derivazione
metodologico, ha perbizantina73.
messo di collocare tali
Se all’arte normanna
preesistenze non solo
Agnello dedica dinel novero della grande
versi interventi sulla
eredità greca, ma anche
stampa
periodica74,
di quella latina, sino ad
pietra miliare dei suoi
allora poco celebrata.
studi è, fuor di ogni
L’indagine
sull’arte G. Agnello, Architettura Bizantino-Normanna. La Basilica dei SS. Giovanni e Marziano in Siracusa, dubbio, L’architettura
del periodo bizantino in “Bollettino d’Arte del Ministero della P.I., Luglio 1929. Facciata della Chiesa dei sveva in Sicilia75, opera,
SS. Giovanni e Marziano di Siracusa.
rappresenta solo il
ancor oggi attuale
capitolo iniziale di uno studio che, ripercorrendo tutta la storia
e ineguagliata, alla quale resta strettamente legato il suo nome76.
artistica isolana di età medievale, lo porterà progressivamente
Il volume, già pronto nel 1931, su consiglio di Orsi, è inviato
Iolanda Di Natale
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dall’autore all’Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte. Sebbene il
manoscritto ottenga, in un primo momento, l’approvazione della
Commissione e di Adolfo Venturi, rimane nei cassetti dell’Istituto
per ben due anni, costringendo così lo studioso a ritiralo.
Le ragioni di una simile indifferenza non sono sicuramente da
ricercare nella scarsa qualità del manoscritto che, sempre grazie
all’intervento di Orsi, nel 1935, fu pubblicato nella “Collezione Meridionale” diretta da Umberto Zanotti-Bianco, ricevendo, appena
un anno dopo, il premio dell’Accademia d’Italia, tra la sorpresa
dell’autore e di coloro che malevolmente lo avevano sempre ostacolato e deriso.
Nel volume Agnello affronta con spirito decisamente pionieristico,
data la povertà degli studi precedenti, l’analisi di una quindicina di
edifici praticamente ignoti o dimenticati, spesso destinati ad altri usi
impropri fra cui il castello Maniace di Siracusa, l’Ursino di Catania, il
castello di Augusta, la Torre di Federico di Enna, monumenti cui, nello
stesso anno, sarà dedicata la pubblicazione di Guido Di Stefano77.
L’intenzione di Agnello è quella di segnalare e illustrare un primo
nucleo di monumenti di architettura militare, realizzati per volere di
Federico II, attraverso la sua metodologia rigorosamente analitica
che sappiamo basata sull’analisi stilistica e sulla ricerca documentaria
al fine di restituirli correttamente al loro ambiente storico-artistico.
Onde evitare di incorrere in troppo facili e arbitrarie deduzioni o
di generalizzare su influenze e derivazioni, lo studioso si attiene
sempre ad un esame il più obbiettivo possibile. Volontà questa che,
fin dai primi scritti, caratterizza la sua produzione, rivelandone
l’intento di fare più “storia” che “critica”.
Pur evitando quindi di formulare un giudizio critico, Agnello, già
da L’architettura sveva in Sicilia, richiama l’attenzione su di un periodo
storico all’interno del quale individua l’origine di una vera e propria
rivoluzione artistica indissolubilmente legata alla figura del suo
ideatore, Federico II, e che, proprio nell’isola, raggiunge la sua
forma più compiuta. I suoi studi sull’architettura sveva, prendono
le mosse da quelli del francese Emile Bertaux il quale, avvalendosi
delle ricerche condotte sulla Sicilia dal collega Join-Lambert, aveva
espresso l’idea della piena goticità dei castra federiciani e della loro
discendenza da una vera e propria scuola, soprattutto in merito
all’architettura militare78.
È interessante notare come nelle sue analisi comparative Agnello non
trascuri di rintracciare affinità e rispondenze con l’architettura militare
bizantina e musulmana, ponendo a confronto le espressioni artistiche
dell’Africa settentrionale con quelle della Sicilia, rintracciando le
relazioni con il gotico e con le architetture mediate dall’azione
dei Crociati e quelle di derivazione propriamente cistercense.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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Proprio queste argomentazioni, mai aprioristiche o fideistiche,
già in L’architettura sveva era stata anticipata la preparazione e
rafforzano l’impianto teorico dello studioso che, come si è già detto,
che, nonostante, la differente titolazione, voluta dallo Zanotti
risulta sempre scevro da preconcette impostazioni ideologiche79.
per ragioni editoriali, è concepito da Agnello come effettiva
Alcuni particolari momenti dell’architettura fedecontinuazione del primo. Il volume è incentrato
riciana vengono, oltretutto, discussi anche in
sull’analisi di castelli minori o non pienamente
diversi articoli pubblicati nel corso degli anni
riconducibili all’età federiciana o la cui originaria
sul “Bollettino Storico catanese” dove compare nel
conformazione, altamente compromessa
1940 Il Castello di Catania nel quadro dell’architettura
da superfetazioni, interventi ed adattamenti
sveva; al 1950 risale Lo stato attuale di monumenti
successivi, ne rende parziale la lettura (per
svevi in Sicilia; in “Siculorum Gymnasium” sono
esempio la Torre di Vindicari e quella di Menfi, il
pubblicati Monumenti svevi ignorati e Riflessi svevi nel
Catello di Rometta e quello di Agira o ancora S.
Castello di Scaletta; in occasione della “Celebrazione
Maria degli Alemanni a Messina)84. L’importanza
Federiciana”, nel 1951, esce Arte ai tempi di Federico
riservata all’analisi dell’arte federiciana, in Sicilia,
II. I monumenti svevi nel Siracusano; sulla rivista
porta lo studioso a ribadire l’importanza di queste
“Palladio”80 pubblica il saggio S. Maria della Valle
forme architettoniche, costruttivamente e stilistio la «Badiazza» in Messina, sulla medesima rivista,
camente intese che, spingendosi ben al di là dell’età
un decennio prima era comparso un analogo
federiciana, si propagano in epoca angioina
G. Agnello, L’architettura sveva in Sicilia,
contributo a firma del messinese Stefano Bottari81; Collezione Meridionale Editrice, Roma ed aragonese, sino alla metà del Quattrocento,
e ancora Il Castello svevo di Prato, il Castello svevo di 1935.
periodo in cui gli elementi ispani definitivamente
Milazzo82. Molti dei lavori sopra citati sono raccolti, con aggiunte e
prendono il sopravvento sulle reminiscenze sveve. La riscoperta
modifiche, nell’ultimo lavoro dedicato dallo studioso all’architettura
della Sicilia medievale e rinascimentale deve sicuramente molto
sveva: L’architettura civile e religiosa in Sicilia nell’età sveva83, di cui
alla figura di questo studioso, le cui ricerche, pionieristiche nel
Iolanda Di Natale
Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica...
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numero 3 - maggio 2011
campo, rappresentano uno dei maggiori contributi allo sviluppo
degli approfondimenti sulla storia artistica isolana di questi secoli.
Studi che mantengono, ancor oggi, nell’impianto generale, la
loro validità e coerenza85. Sebbene alcune posizioni siano state
in tempi recenti riviste e spesso corrette, il contributo scientifico
dato da Giuseppe Agnello rappresenta un significativo punto di
partenza per tutti gli studiosi delle generazioni future, fra cui non
si può non ricordare Giuseppe Bellafiore che al tema della Sicilia
bizantina, normanna e sveva dedicherà due volumi: Architettura in
Sicilia nell’età islamica e normanna (827-1194) e Architettura dell’età sveva
in Sicilia (1194-1266)86. Se larga parte degli studi sin ora esaminati
si concentrano sull’arte dei cosiddetti “secoli bui”, un consistente
nucleo di saggi ed articoli viene riservato dallo studioso a tematiche
che dal Rinascimento giungono sino al pieno Settecento. Già nel
1927, compare su “L’Osservatore Romano” un articolo dedicato
a L’Annunciata di Antonello da Messina87. Ancora una volta Agnello,
allora giovane esordiente, prende le mosse dal suo maestro Paolo
Orsi che recatosi nel 1888 a Palazzolo Acreide, aveva personalmente
voluto prendere visione dell’Annunciazione di Antonello da Messina,
oggi conservata presso la Galleria Regionale di Palazzo Bellomo a
Siracusa, opera ritenuta una delle più importanti fra quelle realizzate
dal pittore precedentemente al soggiorno veneziano del 1475.
Nel sottolineare la profonda influenza esercitata nella Sicilia
quattrocentesca dalle tendenze spagnole e catalane, evidente nella
profusione dei broccati, nelle dorature, nei caratteristici sfondi a
“estofado” – tendenza decorativa rappresentata da artisti gravitanti
Antonello da Messina, Annunciazione, 1474, Siracusa,
Galleria regionale di palazzo Bellomo.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
Allo studio, a lui sicuramente più congeniale, dell’architettura del
primo Quattrocento, Agnello dedica L’architettura aragonese-catalana
in Siracusa93, opera edita nel 1942 nella “Collezione Meridionale”
diretta da Umberto Zanotti-Bianco. Il lungo saggio è incentrato
particolarmente sulle vicende di due dei più bei palazzi siracusani,
sino ad allora praticamente sconosciuti: Palazzo Gargallo sede
della storica Camera Regionale (istituita dall’aragonese Federico il
Semplice nel 1361 c.a.) e Palazzo Greco (oggi sede dell’Istituto del
Dramma Antico), la cui fondazione viene fatta risalire a quel clima di
straordinaria floridezza commerciale tradottosi, proprio nella prima
metà del XVI secolo, in una eccezionale vivacità edilizia tra influenze
esotiche e serena compostezza rinascimentale94. L’insediarsi nella
città di un governatore, del personale della Magna Curia, delle
magistrature speciali aveva generato – secondo lo studioso – una vera
e propria competizione tra nobiltà spagnola e locale, che ebbe nella
produzione architettonica le sue più interessanti manifestazioni. Il
rinnovamento del volto edilizio di Ortigia andò così in profondità
da caratterizzare indelebilmente l’aspetto della città tanto che,
insieme al più tardo barocco, il connotato gotico-catalano ne rimane
una componente di preminenza95. Agnello tornerà sul tema delle
influenze spagnole sull’arte siciliana ancora in alcuni interventi:
Influssi e ricordi spagnuoli nel Siracusano, Influssi e ricordi spagnuoli nel
intorno alla corte di Alfonso d’Aragona, quali Pietro de Saliba88,
Tommaso de Vigilia89 o Riccardo Quartararo90 – Agnello rileva come
anche Antonello non rifugga da queste tendenze, pur possedendo
la sua arte una forte propensione all’eclettismo, che gli consente,
inoltre, di fondere mirabilmente elementi fiammingheggianti con
elementi gotici. Lo studioso individua nella prima produzione
dell’artista elementi riconducibili alla scuola di Jacomart Baço – il
riferimento è al S. Zosimo della Cattedrale di Siracusa – osservando
che nella tavola dell’Annunciata iniziano a emergere «i primi germi
del rinnovamento. La stilizzazione gotica, l’eccessiva ricerca
di ornati, il rigidismo geometrico cedono il posto a una severa
nudità ambientale, ad una schietta armonia divisionistica, ad una
più diffusa vibrazione di colori […]. Le figure della Madonna e
dell’Angelo appaiono ispirate ad una minore severità ascetica e
animate quasi da un contatto più diretto colla realtà, da una più
sincera osservazione della vita»91.
Affiora da queste pagine tutta la forza dello storico dell’arte,
informato del dibattito nazionale e regionale, dai conoscitori e
storici, quali G.B. Cavalcaselle, G. Di Marzo e G. La Corte, fino
ai più recenti aggiornamenti di Adolfo e Lionello Venturi e di
Stefano Bottari92, all’interno del quale il Nostro si inserisce a
pieno titolo.
Iolanda Di Natale
Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica...
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Siracusa, Palazzo Greco, inizio XIV sec.,
Siracusa.
Ragusano pubblicati
anche in lingua
spagnola in “Revista
Geográfica Española”;
mentre approfondirà ulteriormente le
caratteristiche dell’architettura catalanoaragonese, allargando
l’analisi anche a quella
della penisola, ne
L’architettura aragonesecatalana nell’Italia insulare e continentale, saggio
edito in “Rivista sto-
si considera la trascuratezza con cui, per lungo tempo, la letteratura
artistica nazionale e, purtroppo anche regionale, aveva affrontato
lo studio dell’ arte siciliana dei secoli XV e XVI97. Si devono infatti
al Di Marzo98 i primi studi pionieristici e sistematici sulla Sicilia
rinascimentale, studi che hanno l’indiscusso merito di aver restituito
alla storia nomi ed opere sino ad allora ignorati.
Se il contributo dato da Agnello alla rivalutazione dell’arte figurativa
in particolare siracusana del Quattrocento99 non è rapportabile
a quello del Di Marzo o di altri studiosi quali Mauceri, Bottari o
Accascina100, ciò non ne limita la validità e l’accuratezza dell’analisi,
attenta, anche a segnalare importanti tavole, degnissime di nota, se
pur anonime. Si tratta di una serie di opere di grande interesse,
perché punti di riferimento e di comparazione per l’identificazione
di un comune centro di elaborazione locale101. Al di là delle
attribuzioni avanzate, ciò che l’autore tiene a sottolineare nel volume
è l’esistenza di una scuola locale improntata alla forte influenza
che sugli artisti locali esercitavano i maestri spagnoli, catalani e
barcellonesi – primo fra tutti il Borassà, alla cui influenza Agnello
lega la prima produzione antonelliana – iniziatori e promotori di
una attività artistica e industriale che in nessun’ altra città, come a
Siracusa, seppe penetrare con sì tanta forza, in pittura quanto in
architettura.
rica del Mezzoggiorno” nell’anno 196796.
Esclusi questi sporadici interventi, lo studioso, tratta organicamente
il tema del Rinascimento nel 1964, relativamente alla sola Siracusa,
in Siracusa nel Medioevo e nel Rinascimento. Nel volume ampio rilievo
viene riservato oltre che all’architettura, anche alla locale scuola
pittorica, indagando personalità che in molti casi restano ancor oggi
celate nel buio. Si tratta di un’operazione di particolare interesse se
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
All’arte figurativa del XVI secolo il Nostro dedica numerose
ricerche, ancora una volta pazientemente condotte tra archivi e
attraverso sopralluoghi, volte a portare alla luce nomi ed opere a
lungo dimenticate. Queste ricerche hanno, per esempio, permesso
di fare luce su un pittore vissuto sullo scorcio del XVI secolo, attivo
a Siracusa, quale Giuseppe Piccione102.
è ancora più motivato per il fatto che la città nella lavorazione del
marmo non ha mai posseduto una tradizione locale di rilievo, così
i grandi ordini religiosi e le casate patrizie si rivolgevano alle più
rinomate botteghe della Sicilia occidentale, osservando anche che
la città vantava una lunga e notevole tradizione nella particolare
lavorazione della pietra calcarea.
Ma i più significativi contributi dedicati dallo studioso all’approfondimento di questo periodo riguardano la fiorente
stagione della scultura; numerosi sono quelli che si inseriscono
all’interno dei più generali e già ricordati studi dedicati al Duomo
di Siracusa, dove sono conservate pregevoli opere riconducibili a
una delle più interessanti scuole fra quelle che la storiografia isolana
possa annoverare, quella dei Gagini. In particolare lo studioso si
occupa della Madonna della Neve e della S. Lucia103; opere del celebre
S
e, per gli interventi dedicati al Quattrocento e al Cinquecento,
Agnello molto deve al suo conterraneo Enrico Mauceri, come
dimostra la bibliografia di Siracusa nel Medioevo e nel Rinascimento104,
tutt’altro respiro e autonomia possiedono gli studi dedicati al
Barocco. L’interesse dello studioso per questo periodo storico –
come nota il figlio Santi Luigi che affiancherà il padre in molte
delle ricerche e degli approfondimenti sul Barocco – emerge
in tempi decisamente precoci, come testimonia la recensione
a Rinascimento e Barocco di Heinrich Wölfflin, pubblicata nel 1929
in “Per l’Arte Sacra”. Sicuramente è stata proprio la lettura di
questo fondamentale saggio, pienamente inscrivibile all’interno
di quella generale rivalutazione italiana (in primis Longhi) ed
europea della produzione artistica del secolo XVII, ad avviarlo
verso questi studi. Tale processo era allora ancora agli albori e,
Antonello di cui si conserva presso il Museo Bellomo di Siracusa
anche un pregevole sarcofago realizzato nel 1506 per Giovanni
Cardenas, Governatore della Camera Regionale. Agnello non
manca di ricordare l’opera di Francesco Laurana (la Lastra tombale di
Giovanni Cabastida, Governatore della Camera Regionale) e quella di
Giovan Battista Mazzolo (il Monumento funebre di Eleonora Branciforti).
Il ricorso, come egli stesso precisa, ad artisti continentali che
sappiamo da Di Marzo attivi in numerosi centri dell’isola, a Siracusa
Iolanda Di Natale
Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica...
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numero 3 - maggio 2011
certamente, non si può affermare che si diffondesse con facilità
negli ambienti intellettuali ed eruditi del tempo, soprattutto se si
considera che un simile dibattito si originava in seno ad una cultura
fortemente classicista ed ancora tutta incentrata sugli studi del
Rinascimento, non solo a livello nazionale, e caso tipico è stato
quello di Benedetto Croce, ma ancora più in ambito isolano.
Agnello, conscio di questa situazione, riguardo alla dimensione
siciliana, afferma che sebbene alcuni approfondimenti, dovuti ad
autori quali Salvatore Caronia Roberti105, Filippo Meli106, Alessandro
Giuliana Alajmo107, Enrico Mauceri108, Maria Accascina109, avessero
già portato a nuove ed importanti acquisizioni, la necessità di
fare ancora molto, esigeva un continuo aggiornamento rispetto al
contesto nazionale ed internazionale. A tal proposito ricorda come,
anche nel quadro del nuovo interesse per il Barocco, promosso
da Corrado Ricci intorno al terzo decennio del XX secolo110, la
Sicilia fosse rimasta ancora relegata in una dimensione provinciale,
a eccezione solo della rilettura critica di alcune emergenze
architettoniche barocche come quelle di Palermo, Catania o Noto.
Lo storico siracusano in occasione del Congresso Internazionale di
Studi sul Barocco (Lecce 1969) nel suo intervento su L’architettura
barocca in Sicilia111, non manca, inoltre, di sottolineare il ruolo di
apripista svolto dal veloce compendio sull’architettura siciliana che
G. Agnello, I Vermexio. Architetti ispanosiculi del secolo XVII,
La Nuova Italia Editrice, Firenze 1959.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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famiglia dei Vermexio, architetti “proto barocchi”115, la cui bottega
Enrico Calandra, architetto allievo di Ernesto Basile e Giuseppe
si forma intorno alle figure del già ricordato Andrea e del figlio
Damiani Almeyda, pubblica con Laterza nel 1938112, dedicando due
Giovanni116. Le indagini
capitoli al Seicento e al
condotte da Agnello,
Settecento. L’architettura
sempre attraverso l’inbarocca in Sicilia scritto
dispensabile ricerca
ricco di notevoli spunti
d’archivio, verificata e
di riflessione, si pone
supportata da un’attenta
come momento di sintesi
analisi stilistica, hanno
dei molti studi portati
messo in rilievo la
avanti da Agnello sul
complementarietà
tema ampio e variegato
tra l’attività di Andrea
del Barocco; una serie
e di Giovanni, dove
di studi in forma di
l’abilità del capofamiglia,
saggi e articoli apparsi
ancora
chiaramente
su periodici e riviste a
incline a moduli tardo
partire dal 1928 e sino al
rinascimentali, viene
1975, dedicati ad aspetti
G. Agnello, I Vermexio. Architetti ispanosiculi del XVII, 1959.
perfezionata dal figlio
quanto mai vari e spesso
Chiesa del Sepolcro di S. Lucia di Siracusa.
e discepolo, capace di
scarsamente indagati, con
destreggiarsi tra il vecchio e il nuovo, muovendosi liberamente tra
particolare riferimento all’indagine sull’attività delle maestranze113.
castigata sobrietà e tormentosa ricchezza, quest’ultima di impronta
Tra questi un importante nucleo – successivamente raccolto in
chiaramente barocca. A questa prestigiosa famiglia di architetti,
una intelligente monografia apparsa nel 1959114 – è dedicato alla
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Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica...
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cui lo studioso dedicherà il volume I Vermexio architetti ispano-siculi
del secolo XVII edito nel 1959, va attribuita una vera e propria
trasformazione della città: il loro nome si può ricondurre a più
bei capolavori del XVII e XVIII secolo, simboli di quel ridestato
desiderio di rinnovamento: il Palazzo Senatorio117, la Chiesa del
Sepolcro di S. Lucia118, la Chiesa di S. Lucia extra moenia, la Chiesa e
il Collegio dei Gesuiti119, la Chiesa di S. Filippo Neri, la Chiesa di S.
Benedetto, la Chiesa di Monte Vergini120, il Palazzo Arcivescovile121
e la cappella Torres.
Con identica acribia, Agnello esamina anche altre figure
di architetti dei secoli XVII e XVIII, pressoché ignoti,
come per esempio Luigi Caracciolo, cui dedica due
articoli dal titolo Un architetto ignorato del sec. XVII. Ma il
suo interesse non si limita, certo, alla sola architettura e
scultura, argomento su cui torna con uno scritto dedicato
allo scultore fiorentino Gregorio Tedeschi, attivo in Sicilia agli inizi
del XVII secolo122 e autore di una S. Lucia (1634) collocata presso
la Chiesa del Sepolcro123.
In due interessanti saggi, Note e documenti inediti su artisti ignorati del
secolo XVIII in Sicilia e Pittori siciliani dei sec. XVI‑XVII‑XVIII,
pubblicati sulla rivista “Archivi”, rispettivamente nel 1937 e
nel 1947, lo studioso si occupa di una serie di artisti locali, sino
ad allora poco noti, o addirittura sconosciuti: Luciano Alì,
Ermenegildo Martorana, Gregorio Lombardo, Rosario Minniti,
Giacomo Ferlito, Antonino Maddiona, Francesco Callia, Mario
Cordua, Antonino Calvo, Antonino Bonincontro e Mauro e
Giuseppe Troia124. La ricognizione sulla pittura cinque-seicentesca
meridionale, non si limita alla riscoperta di figure ignorate e
pressoché dimenticate. Agnello, infatti, dedica una serie di contributi
molto interessanti a Mario Minniti125, sodale di Caravaggio, e
al pittore calabro Mattia Preti126 artisti che colloca nella corretta
prospettiva storica (avvalendosi anche di una importante mole
di documenti provenienti dagli archivi locali), riconducendone
la filiazione stilistica al naturalismo di matrice caravaggesca127.
Com’è risaputo, non fu solo il Minniti che, tra i giovani pittori
siciliani, subì l’influsso di Michelangelo da Caravaggio. Il passaggio
di quest’ultimo da Messina aveva sconvolto, non meno che a
Roma, le frigide tradizioni accademiche dei pittori locali che, come
i Catalano e i Comandè, tenevano allora incontrastato il campo.
Non pochi seguirono la nuova maniera, ma solo due – il nostro
pittore [Mario Minniti] e Alonso Rodriquez – riuscirono meglio
ad assimilarla esprimendosi con atteggiamenti personali. Sono
appunto queste comuni caratteristiche che rendono spesso così
difficile l’esame del definitivo giudizio di attribuzione128.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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un ventennio di isolamento civile e
culturale, nel 1943 a seguito dello sbarco
delle truppe anglo-americane, Agnello si
ritrova protagonista della vita cittadina,
essendo chiamato a collaborare con le
Autorità alleate per il riordinamento e la
sistemazione dei servizi più urgenti132. A
Siracusa è anche tra i fondatori del Partito
Democratico Cristiano, eletto alla Consulta nazionale133 nel 1945 è presentato
alle elezioni per la Costituente134. A questo
Borgianni. Proprio con Longhi, Agnello
periodo risalgono due volumi frutto
entrerà in contatto, dopo la pubblicazione
dell’impegno politico e letterario: Buona
di un articolo su una copia del Seppellimento
sera colonnello Stevens135 e Chi farà il processo
di S. Lucia di Caravaggio (1608 ca.), allora
al fascismo?136. Boicottata la candidatura, il
custodita presso la chiesa del Collegio
18 marzo 1947 Agnello viene espulso dal
dei Gesuiti129. La tela, realizzata nel 1797
partito. Abbandonata la militanza politica
dal pittore-copista siracusano Raffaello
lo studioso si dedica completamente
Politi130, è stata oggetto di studio da parte
alle sue ricerche e all’insegnamento.
di Agnello e giudicata positivamente
da Longhi che tuttavia la esclude dal Michelangelo Merisi da Caravaggio, Il Seppellimento di Già nel 1943 era stato chiamato
dall’Università di Catania a reggere la
catalogo del Caravaggio, al quale era Santa Lucia, 1608, Siracusa, Chiesa di S. Lucia.
cattedra di Archeologia Cristiana137.
stata dubitativamente attribuita131. Dopo
Un interesse, quello per i caravaggeschi,
perfettamente in linea con alcuni
importanti filoni di ricerca della Storia
e della Critica d’arte in Italia fra le due
guerre, portati avanti da Lionello Venturi
e da Roberto Longhi. In particolare,
Longhi indirizzerà la grande stagione
di studi sul naturalismo e sulla pittura
barocca e ricordo solamente i contributi
su Caravaggio, Mattia Preti, Orazio
Iolanda Di Natale
Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica...
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A seguito di revisione di concorso Agnello, nel 1948, riprende la
docenza, vincendo la cattedra di Archeologia Cristiana sempre
presso l’Ateneo catanese, presso cui insegnerà sino al 1959 (anno
del pensionamento) per poi nuovamente rientrarvi due anni
dopo, usufruendo della legge promulgata nel ’59, che prevedeva
l’innalzamento dell’età pensionabile a settantacinque anni per
coloro i quali, a causa della persecuzione fascista, avevano subito
un ritardo della carriera. Dal 1949 al 1957 gli viene affidato anche
l’insegnamento di Storia delle Religioni e nell’anno accademico
1949-50 assume la cattedra di Storia dell’Arte Medievale e Modena,
ricoperta da Stefano Bottari138 che si era trasferito a Bologna.
Si è lungamente discusso in occasione delle giornate di studio
dedicate all’attività scientifica di Agnello139 sulla possibilità di
inquadrarne le ricerche all’interno di quello che è l’ambito di
pertinenza dell’Archeologia Cristiana. È indubbio che, quando lo
studioso assume l’incarico presso l’Ateneo catanese, pur avendo
già fornito importanti contributi sull’arte paleocristiana, il nucleo
più significativo di studi e di ricerche era nell’ambito della storia
dell’Arte Medievale. Agli anni dell’insegnamento universitario
risalgono le più sistematiche ricerche inerenti necropoli, cimiteri
subdiali e ipogei del siracusano, tuttavia, non si possono trascurare
alcuni articoli apparsi già a partire dal ’26140, relativi ad indagini
condotte su monumenti
paleocristiani e bizantini quali
la Chiesa di S. Pietro141 o la
Chiesa dei Santi Giovanni
e Marziano142. Al di là delle
difficili inclusioni dell’attività
di Agnello all’interno di una o
dell’altra disciplina, risultano
particolarmente significative
le parole pronunziate da
Salvatore Russo143, Presidente
della Società Siracusana di
Storia Patria, Istituto di Studi
Paolo Orsi.
144
Storici . Lo stesso Agnello
nel discorso letto in occasione della prolusione dell’anno accademico
1948-49, oltre a fissare l’ambito epistemologico della disciplina,
richiamando alla necessità immediata di un programma di ricerche
e scavi volti al recupero del documento primario e insostituibile che
è il monumento in se stesso, dimostra anche di considerare in una
chiave moderna e innovativa la stessa periodizzazione, scavalcando
i limiti tradizionali della disciplina e allargando quindi il campo di
studi dell’Archeologia cristiana oltre il IV secolo, sino all’età araba.
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temi di Critica e Letteratura artistica
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A
Come già sottolineato, il problema della ricostruzione delle origini
del cristianesimo, in primis, per la città di Siracusa e, successivamente,
anche per la Sicilia nel suo complesso, costituisce uno dei perni
fondamentali attorno al quale si muovono e prendono forma i
numerosi studi di Agnello ai quali va riconosciuto il merito di avere
riportando alla luce un’età, quella paleocristiana, allora ancora poco
indagata e conosciuta149.
Indubbiamente, come accennato all’inizio di questo scritto, le prime
ricerche dedicate alla Sicilia paleocristiana, nascono certamente da
quell’interesse per l’Archeologia, da lui vissuto quale momento di
verifica analitica delle notizie provenienti dalle fonti letterarie; due
discipline intese come complementari e sussidiarie l’una all’altra.
Si deve ribadire che un ruolo fondamentale, nell’ipostazione
metodologica e nell’approccio alla disciplina, gli era pervenuto
dal contatto con Paolo Orsi, a cui va attribuito il merito di avere,
per primo, posto come necessaria un seria campagna di scavo,
volta a restituire alla città siracusana, la sua importante storia non
solo pagana, ma anche cristiana. Almeno fino alla seconda metà
dell’Ottocento, infatti, la cultura archeologica in Sicilia non si era
occupata del periodo tardo antico, se non per riferimenti sporadici
di carattere informativo. Alle campagne di scavo condotte dal
Nostro si deve il riconoscimento dell’importanza della Siracusa
lla luce di ciò, si può meglio comprendere l’impostazione
riservata a numerosi studi, molti dei quali sono da lui raccolti e
poi pubblicati in Le arti figurative nella Sicilia bizantina145. Mi riferisco
agli articoli scritti lungo un esteso arco di tempo che va dal 1928
al 1959 e che rivelano la propensione di Agnello verso tutte le
forme dell’arte; attenzione che diviene palese anche negli articoli
dedicati alle arti applicate, argomento particolarmente caro allo
studioso146, come attestano numerosi articoli dedicati a questi
particolari manufatti147. Negli approfondimenti sulla Sicilia di età
bizantina che compie negli anni della piena maturità, Agnello pone
in risalto come ancora nei due decenni a metà dello scorso secolo,
fosse ancora poco noto e quindi di difficile analisi critica, l’analisi
degli avvenimenti artistici intercorsi in quel periodo che iniziato
nel 535 con la riconquista della Sicilia per opera di Belisario, poteva
ritenersi concluso nell’827 solo sulla carta politica, dal momento che
la dimensione culturale prevalentemente greca continuerà in Sicilia
ben oltre e nonostante la parentesi musulmana148. Tale conclusione
viene supportata dallo studioso facendo ricorso ad un orizzonte
storico quanto mai ampio, in studi che spaziano dall’architettura,
sino a temi propri dell’archeologia cristiana (pittura paleocristiana,
catacombe o santuari rupestri…).
Iolanda Di Natale
Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica...
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sotterranea di età cristiana, essendo emerso un quadro totalmente
nuovo delle catacombe di S. Lucia (la cui superficie venne
quadruplicata rispetto a quella rilevata dall’Orsi) e di quella della
Vigna Cassia. Sempre a lui si deve anche una attenta ricognizione,
fondamentale per sua stessa ammissione, “delle campagne”, “dei
monti”, “del suburbio”, del territorio limitrofo alla città.
Da docente spinge i suoi allievi a non limitarsi alla sola area del
siracusano, spronandoli a cercare ed ad indagare anche i diversi
luoghi d’origine, estendendo così le ricerche a quei siti nei quali lui
stesso, in prima persona, non sempre era nelle condizioni di recarsi.
Molte di queste ricerche sia seguite personalmente da Agnello, sia
sotto la sua supervisione, dai suoi allievi sono state pubblicate nella
“Rivista di Archeologia Cristiana”, organo ufficiale della Pontificia
Commissione di Archeologia Cristiana150, che nel 1951 affida allo
studioso l’incarico di Ispettore per le Catacombe di Siracusa e della
quale diviene membro nel 1957; dal 1950 al 1960 è anche consultore
della Pontificia Commissione centrale per l’Arte Sacra151.
Un’intensità eccezionale quella che caratterizza la produzione
scientifica di Agnello. Con ritmo insistente si succedono, oltre
ad una importate monografia dedicata alla Pittura paleocristiana
della Sicilia152, anche numerosissimi saggi apparsi su “Nuovo
Didaskaleion”153, su “Presenza Cristiana”, su “Italia Nostra”, su
“Palladio”, su “Siculorum Gymnasium”154. Su testate giornalistiche
locali e nazionali (“La Voce di Siracusa”, “Settegiorni di Siracusa”,
“L’Osservatore romano”, “La Sicilia”) vengono inoltre pubblicati,
a partire dal 1960, diversi articoli spesso firmati “SIGMA”155.
Nell’ambito degli studi di Archeologia va anche ricordata
un’iniziativa di particolare merito, che vede Agnello non solo quale
ideatore, ma anche come primo promotore: a lui il merito di aver
dato avvio ai Congressi Nazionali di Archeologia Cristiana156 (di
cui a partire dal 1952 sarà Presidente del Comitato scientifico157), il
primo dei quali si svolge proprio a Siracusa nel 1950. Si tratta di una
progetto di particolare rilievo volto, da un lato a stimolare gli scavi
e le ricerche a livello sia nazionale che locale, dall’altro a richiamare
l’attenzione su una disciplina, sino ad allora, di appannaggio quasi
esclusivo della Chiesa e dei suoi funzionari. Con questi Congressi,
Agnello rivendica anche per l’Archeologia Cristiana un ruolo di
guida all’interno delle ricerca scientifica, tanto nelle Università
quanto a livello delle Sovraintendenze.
La Bibliografia compilata dal figlio dello studioso, Santi Luigi con la
collaborazione di Giuseppe Palermo, conta 619 testi, tra monografie,
saggi su periodici e articoli su giornali158.
Giuseppe Agnello muore a Siracusa il 28 settembre 1976.
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e indispensabile alle indagini cui verteranno i successivi studi.
6 Sull’eminente filologo Paolo Savj Lòpez, (Torino 1876 - Napoli 1919), si
veda: F. Picco, Opere di Paolo Savj-Lòpez, Athenaeum, Pavia 1920; L. Sorrento,
Paolo Savj Lòpez: commemorazione letta nell’aula Magna della R. Università di Catania
il 16 giugno 1919, Tip. Santo Garufi, Catania 1920; M. Marescalchi, Paolo Savj
Lòpez, Direzione della Nuova Antologia, Roma 1921. Sul debito scientifico
dell’Agnello nei confronti di colui che fu il suo primo maestro, cfr. A. Prandi, Per
Giuseppe…, p. 25 e P. Testini, Giuseppe Agnello, in “Archivio Storico Siracusano”,
n. IV, 1975-76, p. 7.
7 Mi riferisco alla Scuola di Studi Filologici e Letterari dell’Istituto di Studi
Superiori di Firenze, formatasi a partire dal 1860 intorno alle emblematiche
figure del Comparetti e del D’Ancona. Si veda a tal proposito E. Garin, La cultura
italiana tra ‘800 e ‘900, Laterza, Bari 1962.
8 Sulla figura di Domenico Comparetti, cfr. G. Pugliese Carratelli, ad vocem
“Comparetti Domenico”, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 27, pp. 672-678
e Domenico Comparetti tra antichità e archeologia, individualità di una biblioteca, catalogo
della Mostra (Firenze 1998), a cura di M.G. Marzi, Il ponte, Firenze 1999.
9 Il figlio dello studioso Santi Luigi sottolinea l’importanza che l’ambiente
dell’Istituto Superiore toscano ebbe nella formazione non solo culturale del
Nostro, proponendola, anche in virtù del contatto, avvenuto negli anni fiorentini,
con l’emblematica figura di Gaetano Salvemini, quale chiave di lettura della
futura presa di posizione civile e morale del genitore nei confronti del diffuso
malcostume politico del Mezzogiorno d’Italia e delle vergognose ingerenze del
regime fascista.
10 Dopo un breve periodo di insegnamento a Catania, chiamato alle armi,
prende parte alle operazioni militari sul fronte francese inquadrato in un
reparto delle T.A.I.F. (Truppe Ausiliarie Italia-Francia). A Siracusa, nel 1915,
incontra Pia Accardi, giovane professoressa di origini toscane. A questa donna
dal temperamento deciso e coraggioso Agnello dedicherà nel 1962 il volume
autobiografico La mia vita nel ventennio, Mascali Editore, Siracusa 1962.
11 Si veda a tal riguardo G.C. Sciolla, L’autobiografia di Enrico Mauceri e le memorie
degli storici dell’arte tra Ottocento e Novecento, in Enrico Mauceri (1860-1966). Storico
dell’arte tra connoisseueship e conservazione, Atti del Convegno internazionale
(Palermo 27-29 settembre 2007) a cura di S. La Barbera, Flaccovio, Palermo
______________________
1 Giuseppe Agnello nasce il 5 febbraio del 1888 a Canicattini Bagni, piccolo
centro della provincia di Siracusa. Maggiore di due figli, è da subito destinato al
seminario, per volere della madre e dello zio sacerdote, Giuseppe Cultrera. Per la
ricostruzione della vita e della produzione dello studioso, oltre che alle informazioni
gentilmente fornite dal nipote Prof. Giuseppe Agnello, si è fatto riferimento ai
volumi: Per Giuseppe Agnello, Società Siracusana di Storia Patria, Siracusa 1977;
Giuseppe Agnello. Atti delle Giornate di studio nel decennale della scomparsa, a cura di S.L.
Agnello (Canicattini Bagni-Siracusa, 28-29 novembre 1986), Flaccavento, Siracusa
1993; G. Agnello, La mia vita nel ventennio, Mascali Editore, Siracusa 1962 e S.L.
Agnello, G. Palermo, Bibliografia degli scritti di Giuseppe Agnello, Quaderni della
Società Siracusana di Storia Patria, III, Siracusa 1978.
2 Su Luigi Bignami, cfr. V. Maraschini, Un Vescovo Milanese-Siciliano. Mons. Luigi
Bignami Arcivescovo di Siracusa, (con presentazione di Ettore Baranzini, Gasparini),
Tip. Tipez, Milano 1942.
3 La lettera datata 11 luglio 1910 fa parte della corrispondenza tra il Vescovo
Bignami e il Prof. Agnello; ne viene riportato un frammento in G. Giarrizzo,
Prefazione a Il Carnevale politico nel Siracusano, a cura di G. Agnello, Comitato
Nazionale A.N.P.I., Siracusa 1985 (ristampa del volume edito dalla Società
Tipografica di Siracusa, Siracusa 1924), p. VIII.
4 G. Agnello, Un Vescovo umanista. Luigi Bignami, Società tipografica,
Siracusa 1925. Il volume riporta il discorso tenuto da Agnello in occasione della
commemorazione del Vescovo nel terzo anno dalla sua scomparsa, organizzata
dal Circolo della Libertà Cattolica. Il discorso è stato pubblicato preceduto da
una introduzione e seguito da una postilla. Si vedano anche gli altri scritti dedicati
al Vescovo: G. Agnello, Un vescovo umanista, in “Il Popolo”, 22 marzo 1925,
p. 3; Id., Mons. Bignami ed il suo sogno di rinascita del duomo, in “Foglio ufficiale
dell’Arcidiocesi di Siracusa”, suppl. XV – 6, 1926, p. 3.
5 La tesi, pubblicata sotto forma di saggio nel 1925, è preceduta da numerosi
studi, nel corso dei quali il giovane laureando si cimenta con la lingua tedesca,
acquisendone ben presto la completa padronanza, supporto questo funzionale
Iolanda Di Natale
Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica...
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non quale poeta, esaltando, piuttosto, rilevandone la civiltà e la nobile umanità
con le quali il sommo poeta, seppe conciliare «passioni politiche» e «desiderio
di redenzione morale».
19 Id., La mia vita…, p. 79.
20 Il P.P.I. fu fondato nel 1919 da Don Luigi Sturzo al quale Agnello era legato
da una profonda stima, testimoniata anche da una affettuosa corrispondenza.
Due lettere sono riportate in G. Agnello, La mia vita…, pp. 104-105. A questo
periodo risalgono numerosi articoli inviati a “Il Popolo”, in cui lo studioso
compie una chiara disamina della convulsa situazione politica di quegli anni.
Si vedano a tal proposito: G. Agnello, Fascismo e massoneria, in “Il Popolo”,
24-25 aprile 1923; Id., Il risveglio massonico, ivi, 30 aprile-1maggio 1923; Id.,
Disordini durante una processione, ivi, 18-19 maggio 1923; Id., Equivoco massonicofascista, ivi, 8-9 giugno 1923; Id., Attendo l’on. Mussolini, ivi, 13-14 giugno 1923;
Id., Sindacalismo fascista in tribunale, ivi, 20-21 giugno 1923; Id., Violenze sindacali
fasciste condannate, ivi, 30 giugno-1 luglio 1923; Id., Vibrata protesta dell’Ordine dei
medici, ivi, 27-28 settembre 1923; Id., Echi della fasta della Vittoria. Commemorazioni
e conflitti a Siracusa, ivi, 14-15 novembre 1923; Id., Convegno popolare a Siracusa, ivi,
28-29 dicembre 1923; Id., Gravi provocazioni fasciste contro giovani cattolici siracusani,
ivi, 19 febbraio 1924; Id., Spedizione punitiva fascista contro manifesti popolari, ivi, 13
marzo 1924.
21 Id., Il Carnevale politico nel siracusano, Società Tipografica, Siracusa 1924.
Il volume verrà ristampato nel 1985 con una prefazione introduttiva curata
da G. Giarrizzo. Il volumetto pubblicato dall’autore con la precisa volontà di
intervenire in forma pubblica in risposta ai violenti attacchi provenienti dalle fila
del fascio, raccoglie parte degli articoli comparsi in forma sfusa sul quotidiano
politico “Il Popolo”..Si tratta nello specifico degli articoli: G. Agnello, I partiti
politici nel Siracusano. Liberismo – Democrazia – Radicalismo, in “Il Popolo”, 7
dicembre 1923; Id., Dopo il convegno dei Prefetti a Siracusa, ivi, 13-14 dicembre
1923; Id., I partiti politici nel siracusano. Il socialismo, ivi, 28-29 dicembre 1923; Id.,
I partiti politici nel siracusano. Il Fascismo, ivi, 16 gennaio 1924; Id., I partiti politici
nel siracusano. Il Popolarismo, ivi, 7 febbraio 1924.
22 Sulle elezioni del 1924 si veda G. Agnello, La colossale tratta dei bianchi nel
siracusano, in “Il Popolo”, 19 aprile 1924.
23 Id., La mia vita…, pp. 54-55.
2009, pp. 59-66.
12 Melilli (Siracusa) 1869 – Roma 1950. Fu Archeologo, studioso di arte e
numismatica antica, collaborando a Siracusa con Paolo Orsi e quindi funzionario
nell’amministrazione delle Belle Arti presso il Museo Nazionale di Napoli e presso
di Roma partecipando alle campagne degli scavi del Foro e del Palatino. Nel 1907
vinse il concorso per la cattedra di Archeologia presso l’Università di Torino,
insegnando successivamente anche a Roma e a Napoli. Tra le sue numerose opere
ricordo Teatro Greco (1916), La pittura ellenistico-romana (1930), Prassitele (1932),
Monete greche della Sicilia (1946).
13 Firenze 1864-1957. Sull’illustre figura, cfr. Gaetano Pieraccini. L’uomo, il medico,
il politico (1864-1957), catalogo della mostra (Firenze 19 maggio - 21 giugno 2003)
a cura di F. Carnevale, Z. Ciuffoletti, M. Migliorini Mazzini, M. Rolih, Olschki
Editore, Firenze 2003.
14 G. Agnello, Paolo Orsi (con bibliografia inedita in appendice), Vallecchi
Editore, Firenze 1925.
15 Sul fascismo si veda S. Lupo, Il fascismo: la politica di un regime totalitario,
Donzelli editore, Roma 2000.
16 Dopo esser stato assegnato all’Ufficio pensioni di Siracusa, sul volgere
dell’anno, torna finalmente all’insegnamento; divenuto professore di ruolo,
esercita la professione presso il Liceo-Ginnasio di Reggio Calabria fino al 1920
quando fa rientro a Siracusa, assegnato al Liceo-Ginnasio “T. Gargallo”.
17 Paolo Orsi (Rovereto 1859-1935) compie la sua formazione a Vienna, a
Padova e a Roma (presso la Regia Scuola Italiana di Archeologia) e a Firenze,
dove approdato nel 1885, in qualità di bibliotecario alla Biblioteca Nazionale
Centrale, si accosta all’entourage del Comparetti. Inviato a Siracusa nel 1890
Orsi dà subito avvio ad una serie intensissima di ricerche che gli consentono di
tracciare il primo quadro storico, sistematico delle originarie culture dei Siculi
della Sicilia preellenica. A tal proposito, cfr. G. Libertini, Centuripe a Paolo Orsi
animatore e Maestro degli studi di antichità siciliane, Libreria Tirelli, Catania 1926; U.
Zanotti Bianco, Paolo Orsi, Palermo 1921; Bibliografia degli scritti di Paolo Orsi, con
prefazione di S. L. Agnello, a cura di A.M. Marchese, Scuola normale superiore,
Pisa 2000.
18 G. Agnello, Passioni politiche e ire di parte nella vita di Dante, Società
Tipografica, Siracusa, s. d. [ma 1921]. L’intervento esaminava la figura di Dante,
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temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
(Sicilia), in “Roemische Quartalschrift für christliche Alterthumskunde und für
Kirchengeschichte”, XV, 1901, p. 345-351.
34 G. Agnello, L’Arte bizantina in Sicilia, in “Il Giornale d’Italia”, (Cronaca
siciliana), 26 giugno 1925; Id., Arte bizantina I, in “Il Giornale d’Italia”, (Cronaca
di Siracusa), 2 agosto, 1925; Id., L’Arte medievale a Siracusa, in “Il Mondo”, 18
agosto, 1925; Id., Castel Maniace e l’arte imperiale sveva a Siracusa, ivi, 23 agosto
1925; Id., Siracusa bizantina, ivi, 28 agosto 1925; Id., Arte bizantina II, in “Il
Giornale d’Italia”, (Cronaca siciliana), 20 ottobre 1925; Id., L’architettura sotto gli
aragonesi, in “Il Mondo”, 29 ottobre 1925; Id., Medio-Evo inedito, in “Il Popolo”,
6 novembre 1925.
35 Cfr. G. Agnello, Siracusa (Archeologia e arte: Medioevo ed età moderna), in
Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, XXXI, Istituto della Enciclopedia
Italiana, Roma 1936, pp. 873-874 e le voci Squillace (Medioevo ed età moderna),
Ibidem, XXXII, p. 430 e Stilo (Arte: Medioevo ed età moderna), Ibidem, p. 739.
36 Il Vescovo Carabelli, succeduto alla cattedra arcivescovile siracusana, alla
morte del Bignami, intrattiene con Agnello un rapporto di affettuosa amicizia.
37 Sulla corrispondenza tra Agnello e i funzionari del Ministero della P.I., cfr.
G. Agnello, I documenti di un esonero, Tipografia Santoro, Siracusa, s.d. [ma 1926].
38 Riviste d’arte tra Ottocento ed Età contemporanea. Forme, modelli e funzioni, a cura di
G.C. Sciolla, Skira Editore, Milano 2004.
39 Si veda per esempio G. Agnello, Monumenti svevi ignorati, in “Siculorum
Gymnasium. Rassegna semestrale della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università
di Catania”, III, 1-2, 1950.
40 R. Cioffi, Per uno studio delle riviste d’arte del primo Novecento: note su Alfonso
Frangipane e la rivista “Brutium”, in L’arte nella storia. Contributi di critica e storia dell’arte
per G.C. Sciolla, a cura di V. Terraroli, F. Varallo, L. De Fanti, Skira, GenèveMilano 2000, pp. 85-93.
41 Fondatore con Paolo Orsi della “Società Magna Grecia” e della rivista
“Archivio Storico per la Calabria e la Lucania”, svolge un’intensa attività
soprattutto in difesa del patrimonio monumentale e ambientale. Sulla figura di
Umberto Zanotti-Bianco si veda: V.E. Alfieri, Umberto Zanotti Bianco, la Nuova
Italia, Firenze 1956; S. Zoppi, Umberto Zanotti-Bianco: patriota, educatore, meridionalista:
il suo progetto e il nostro tempo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2009.
42 G. Agnello, Monsignor Giacomo Carabelli e l’arte, in Memoria di S. E. Rev.
24 Cfr. Guida agli archivi delle personalità della cultura in Toscana tra ‘800 e ‘900.
L’area fiorentina, a cura di E. Capannelli, E. Insabato, Olschki, Firenze 1996.
25 Cfr. C. Gambaro, Domenico Comparetti e il suo contributo all’archeologia, Tesi di
laurea in Storia dell’archeologia classica, Università degli Studi di Firenze, a.a.
1988-1989, relatrice prof. Maria Grazia Marzi; Domenico Comparetti tra antichità
e archeologia. Individualità di una biblioteca, Catalogo della mostra (Firenze, 28
gennaio-28 febbraio 1998) a cura di M. G. Marzi, Il Ponte, Firenze 1999.
26 A tal proposito si veda C. Dionisotti, Ricordi della scuola italiana,
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1998.
27 G. Agnello, Paolo Orsi....
28 Si ricorda a tal proposito il contributo pionieristico fornito a questi studi da
Adolfo Venturi; per un approfondimento, cfr. A. Iacobini, Adolfo Venturi pioniere
di una disciplina nuova: la storia della miniatura in Adolfo Venturi e la storia dell’arte oggi,
Atti del convegno (Roma 25-28 ottobre 2006), a cura di M. d’Onofrio, Edizioni
Panini, Modena 2008, pp. 269-286.
29 Sul contributo fornito dal Di Marzo alla rivalutazione degli studi sull’arte
siciliana medievale si è fatto riferimento alla registrazione audio, gentilmente
messami a disposizione dalla Prof.ssa S. La Barbera, dell’intervento tenuto da
M. Andaloro in occasione del Convegno di Studi su Gioacchino di Marzo e la
Critica d’arte nell’Ottocento, (Palermo 14-16 aprile 2003) a cura di S. La Barbera.
Si veda pure a tal proposito: S. La Barbera, Di Marzo e “La Pittura in Palermo
nel Rinascimento”, in Gioacchino di Marzo e la Critica d’arte nell’Ottocento…, pp.
168-180.
30 Sulla figura del Toesca, cfr. R. Longhi, Pietro Toesca, in AA.VV., Letteratura
italiana. I critici, vol. V, Marzorati, Milano 1987, pp. 3347-3351.
31 G. Agnello, Paolo Orsi, in “R. Liceo-Ginnasio T. Gargallo” di Siracusa.
Annuario per l’anno 1923-24, Società tipografica, Siracusa 1924 e Id., Siracusa
medievale. Monumenti inediti, in “R. Liceo-Ginnasio T. Gargallo” di Siracusa.
Annuario per l’anno 1924-5, Società tipografica, Siracusa 1925.
32 Id., Siracusa Medievale. Monumenti inediti (Con illustrazioni fuori testo), Muglia
Editore, Catania 1926.
33 Si vedano a tal proposito P. Orsi, Incensiere bizantino della Sicilia, in
“Byzantinische Zeitschrift”, V, 1896, p. 567-569; Id., Chiese bizantine nel territorio di
Siracusa, ivi, VII, 1898, p. 1-28 ; Id., Stauroteca bizantina in bronzo di Ragusa Inferiore
Iolanda Di Natale
Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica...
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numero 3 - maggio 2011
ma Monsignor Giacomo Carabelli Arcivescovo di Siracusa, (numero unico), Società
Tipografica, Siracusa 1933.
43 Ad Agnello si deve la compilazione di una approfondita guida del Duomo
di Siracusa, purtroppo, in un primo momento, poco diffusa a causa delle
ingerenze del regime fascista, che ne ostacolò la diffusione. Cfr. G. Agnello,
Guida del Duomo di Siracusa, Officina d’Arte Grafica A. Lucini & C., Milano, s.
d. [ma 1930]; Id., Guida del Duomo di Siracusa, 2ª edizione aggiornata, Officina
d’Arte Grafica A. Lucini & C., Milano, s. d. [ma 1949]; Id., Guida del Duomo di
Siracusa, 3ª edizione aggiornata, Mascali Editore, Siracusa 1964.
44 Un cospicuo numero di interventi inerenti il Duomo di Siracusa è stato
dedicato dallo studioso alle arti decorative. Cfr. G. Agnello, I tessuti e i ricami
d’arte della Cattedrale di Siracusa e i loro recenti restauri, in “Arte sacra”, III, 1933,
pp. 211- 216; Id., Splendori di vita artistica. I cancelli in ferro battuto nella Cappella del
SS. Sacramento della Cattedrale di Siracusa, in “Vita nostra”, IV,11, 1939, p. 2; Id.,
Splendori d’arte nel Duomo di Siracusa. I cancelli in ferro battuto nella Cappella del SS.
Sacramento, in “L’Avvenire”, (Cronaca siciliana), 14 novembre, 1939, p. 2; Id.,
Il SS. Sacramento nell’arte. Le argenterie nella Cattedrale di Siracusa, in “Vita nostra”,
V, 3, 1940, pp. 2-3; Id., Il SS. Sacramento nell’arte. Le argenterie del Duomo, in “Vita
nostra”, V, 4, 1940, pp. 1-2; Id., Il SS. Sacramento nell’arte. Le argenterie del Duomo, in
“Vita nostra”, V, 5, 1940; Id., Gli antichi stalli corali del Duomo di Siracusa, in “Arte
cristiana”, LIX, 1971, pp. 174-181. Agnello è tra i primi a dare avvio al processo
di rivalutazione di questi manufatti artistici e dei loro artefici; si ricordano a tal
proposito gli studiosi: Gioacchino Di Marzo, Enrico Mauceri, il cui contributo è
stato evidenziato negli atti dei due convegni Gioacchino Di Marzo e la critica d’arte
nell’ Ottocento in Italia, Atti del convegno, (Palermo, 15-17 aprile 2003) a cura di S.
La Barbera, Officine Tipografiche Aiello e Provenzano, Bagheria (Palermo) 2004;
Enrico Mauceri (1869-1966)… e ancora, Maria Accascina il contributo della quale è
stato recentemente posto in luce da Maria Concetta Di Natale. Cfr. Storia, critica e
tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale, Atti
del convegno Internazionale in onore di Maria Accascina (Palermo-Erice, 14-17
giugno 2006) a cura di M.C. Di Natale, Salvatore Sciascia Editore, Palermo 2007.
45 G. Agnello, Giovanni Torres e la fondazione della Cappella del SS. Sa­cramento nella
Chiesa Cattedrale di Siracusa, in “Vita nostra”, IV, 6, 1939, pp. 2-3. Il progetto iniziato
sotto l’Arcivescovo Torres, verrà ultimato sotto il suo successore l’Arcivescovo
Capobianco, intorno alla meta del Seicento.
46 Id., Architetti e scultori ignorati nella Cappella Torres a Siracusa, in “Archivi”,
XVIII, 1951, pp. 143-61.
47 Sul pittore rimando a V. Abbate, Quadrerie e collezionisti palermitani del
Seicento, in Pittori del Seicento a Palazzo Abatellis, a cura di V. Abbate, Electa,
Milano 1990, pp. 58-63; G. Barbera, A. Scilla, Talìa incorona Epicarmo, scheda
n. 21, in Pittori del Seicento…, pp. 145-147; V. Abbate, La stagione del grande
collezionismo, in Porto di Mare 1570-1670. Pittori e pittura a Palermo tra memoria e
recupero, a cura di V. Abbate, Electa, Napoli 1999, pp. 107-131.
48 Per Vanvitelli, cfr. C. De Seta, Luigi Vanvitelli, Electa, Napoli 1998. In
particolare per l’attività alla Reggia di Caserta si veda Casa di Re. Un secolo di storia
alla Reggia di Caserta. 1752-1860, catalogo della mostra a cura di R. Cioffi, Skira,
Milano 2004.
49 G. Agnello, Capolavori ignorati del Vanvitelli e del Valle nella Cattedrale di
Siracusa, in “Per l’Arte Sacra”, IV- 5, 1927, pp. 3-15.
50 Id., Un ignoto frescante del Seicento: Agostino Scilla, in “Per l’Arte sacra”, IV, 6,
1927, pp. 3-8; Id., Gli affreschi di Agostino Scilla nella Cappella del SS. Sacramento nella
Chiesa Cattedrale di Siracusa, in “Vita nostra”, IV, 7, 1939, pp. 2-3, ripubblicato in
Id., Gli affreschi di Agostino Scilla nella Cappella del SS. Sacramento, in “L’Avvenire”,
(Cronaca siciliana), 8 luglio 1939, p. 4.
51 Id., Capolavori ignorati...; Id., Ricordi vanvitelliani a Siracusa, in Atti dell’VIII
Convegno Nazionale di Storia dell’Architettura (Caserta, 12-15 ottobre 1953), Centro
di Studi per la Storia dell’Architettura, Roma 1956, pp. 99-104; Id., Due cibori
di Luigi Vanvitelli, in “Arte cristiana”, LV, 1967, pp. 71-74; Id., Un capolavoro: il
ciborio di Luigi Vanvitelli nella Cappella del SS.mo Sacramento nella Cattedrale di Siracusa,
(Cronaca siciliana) in “L’Avvenire”, 13 agosto 1939, p. 4; Id., Una nobile opera di
scultura: l’«Ultima Cena» di Filippo Valle nella Cappella del Sacramento della Cattedrale di
Siracusa, in “L’Avvenire”, (Cronache di Sicilia), 12 novembre 1939, p. 4.
52 Per Ignazio Marabitti (1719-1797), cfr. D. Malignaggi, Ignazio Marabitti, in
“Storia dell’Arte”, n. 17, 1974; L. Sarullo, Dizionario degli Artisti Siciliani. Scultura,
vol. III, Novecento, Palermo 1993, ad vocem a cura di F. Pipitone, pp. 205-209.
53 Si veda in particolare G. Agnello, L’architettura di Siracusa nel Sei e nel
Settecento, in “Palladio”, I-IV, gennaio-dicembre 1968, pp. 111-132.
54 Id., Arte gesuitica, in “ Per l’Arte sacra”, VII, 1930, pp. 78-83.
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temi di Critica e Letteratura artistica
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63 Agnello concepisce l’opera d’arte tanto nel suo valore estetico, quanto in
quello sempre più consapevole di documento del nostro patrimonio storico e
culturale. Principio, questo, che ci consente di inquadrarne la sensibilità artistica
nel novero delle più moderne posizioni verso le quali progressivamente si
andava indirizzando il dibattito di studiosi e critici dell’arte in ambito nazionale
ed internazionale, relativamente alla politica di conservazione e tutela di quei
beni che ancora a quel tempo, e per molto ancora, la nostra legislazione avrebbe
definito come “cose artistiche”. A tal proposito, cfr. W. Cortese, Il patrimonio
culturale. Profili normativi, Terza Editrice, Palermo 2007.
64 Per Giovannoni l’intervento di restauro deve necessariamente poggiare su
una preliminare ricerca filologica. A sostegno di tale idea, il monumento, inteso
sempre come documento, va studiato e tutelato a prescindere dal periodo storico
di appartenenza o da una sua presunta maggiore dignità, applicazione questa che
troverà poi nella cosiddetta Carta di Atene (1931) i suoi principi fondanti. Cfr. M.
Vecco, L’evoluzione del concetto di patrimonio culturale, Milano 2007, p. 183.
65 Per quanto concerne la rivalutazione del paesaggio, inteso quale patrimonio
nazionale, negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, il governo giolittiano si
muove verso questa direzione promuovendo una nuova coscienza “geografica”,
intesa sia nella sua valenza territoriale che storica, in relazione anche alla
formazione di una coscienza nazionale. Un ruolo di rilievo va attribuito a Corrado
Ricci, protagonista del dibattito nazionale che precedette la legge 1909, a sostegno
di una nuova consapevolezza del valore paesaggistico e della necessità della sua
tutela; valore questo successivamente sancito dal provvedimento del 23 giugno
1912 (legge n. 688) nel quale le disposizioni in materia di tutela e salvaguardia
vengono estese a ville, parchi e giardini di rilevanza storico-artistica. Si veda a
tal proposito: A. Emiliani, Quattro punti di politica istituzionale, in La cura del bello.
Musei, storie, paesaggi per Corrado Ricci, catalogo della mostra (Ravenna, 9 marzo 22 giugno 2008), a cura di A. Emiliani, C. Spadoni, Milano 2008, pp. 27-43; R.
Balzani, Per le antichità e le belle arti. La legge 364 del 20 giugno 1909 e l’Italia giolittiana,
Bologna 2003. Per un maggiore approfondimento si veda anche: D. Levi, I luoghi
e l’ombra incerta del tempo. Enrico Mauceri e due suoi mentori, Corrado Ricci e Paolo Orsi,
in Enrico Mauceri (1869-1966)..., pp. 77-85. Dal 1950 al 1974 Agnello è Presidente
della Commissione per la tutela delle bellezze naturali della provincia di Siracusa.
Cfr. G. Agnello, Il Museo di Siracusa e l’urgenza di un provvedimento riparatore, in “Il
55 Id., Il prospetto della Cattedrale di Siracusa e l’opera dello scultore palermitano Ignazio
Marabitti, in “Archivi”, IV, 1937, pp. 63-74 e pp.127-143; Id., L’opera dello scultore
Ignazio Marabitti nella Cappella del SS. Sacramento della Cattedrale di Siracusa, in “Vita
nostra”, V, I, 1940, p. 2.
56 Id., Opere ignorate dello scultore Ignazio Marabitti, in “Archivi”, XXII, 1955, pp.
228-248.
57 Id., La Biblioteca Alagoniana e il risveglio intellettuale a Siracusa nella seconda metà del
‘700, in “Sicilia”, 11-6, 1927, pp. 5-10, saggio edito nella rivista “Sicilia” nel 1927;
Id., La biblioteca Alagoniana nella vita intellettuale del Settecento a Siracusa, in “Archivio
storico Siracusano”, II, 1956, pp. 127-135. Il saggio è preceduto dalla notizia che
il testo riporta parzialmente il discorso letto l’8 maggio 1954 in occasione della
inaugurazione della biblioteca Alagoniana, trasferita dalla vecchia sede nei nuovi
locali annessi al palazzo Arcivescovile; Id., Le penose condizioni dell’Archivio di Stato
di Siracusa, in “Archivio Storico Siracusano”, X, 1964, pp. 167-169 importante
intervento di denuncia in quanto i preziosi volumi in essa conservati rischiavano
di andare perduti a causa di infiltrazioni d’acqua; Id., L’Ordine di Malta e la fonte
documentaria degli archivi privati, in “Archivio Storico di Malta”, IX, 1937-38, pp.
203-211.
58 Interamente distrutto dal terremoto del 1693 viene ricostruito, tra il 1728
ed il 1753, su disegno dell’architetto trapanese Andrea Palma. Cfr. G. Agnello,
Memorie inedite varie sul terremoto siciliano del 1693, in “Archivio Storico per la Sicilia
orientale”, VII, 1931, pp. 390-402.
59 A tal proposito, cfr. G. Agnello, Memorie inedite varie sul terremoto siciliano del
1693, ivi, VII, 1931, pp. 390-402.
60 E. Mauceri, La facciata della Cattedrale di Siracusa, in “L’Arte”, X, 5, 1907.
61 Sulla vita e sulle opere del Picherali, cfr. G. Agnello, Pompeo Picherali
architetto siracusano del sec. XVIII alla luce di nuovi documenti, in “Archivio Storico
della Sicilia”, II-II, 1936-37, pp. 271-47; Id., Su Pompeo Picherali ed il prospetto
del Duomo siracusano, in “Brutium”, XVIII, 1939, pp. 12-14; Id., Nuove notizie
sull’architetto siracusano Pompeo Picherali, in “Archivio Storico della Sicilia”, VI,
1940, pp. 185-238 e Id., Nuovi documenti sull’architetto Pompeo Picherali, in “Archivio
Storico siciliano”, II, 1947, pp. 281-315.
62 I d., Il Duomo di Siracusa e i suoi restauri, in “Per l’Arte sacra”, IV, 1-2,
1927, pp. 2-40.
Iolanda Di Natale
Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica...
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numero 3 - maggio 2011
Corriere di Sicilia”, 13 settembre 1925, p. 3; Id., La chiesa della Madonna dei Miracoli
in Siracusa e l’opera dei recenti restauri, in “Arte e Restauro”, XIV, 1/2, 1937, pp. 2326; Id., La rinascita di antichi monumenti religiosi. La chiesa della Madonna dei Miracoli a
Siracusa, in “L’Illustrazione va­ticana”, VIII, 1937, pp. 680-683; Id., Monumenti di
Siracusa. Il Castello svevo ritrova l’antico splendore, in “Il Giornale d’Italia”, (Cronaca
siciliana), 19 marzo 1947, p. 2; Id., Difficoltà finanziarie per i restauri a Palazzo Abela,
in “Il Giornale d’Italia”, (Cronaca siciliana), 18 giugno 1949, p. 2; Id., Risorge
il bel chiostro di San Domenico, in “Il Corriere di Sicilia, (Cronaca di Siracusa), 23
giugno 1949, p. 2; Id., Nobili antichi monumenti d’arte destinati agli usi meno adatti, in
“La Sicilia”, (Cronaca di Siracusa), 8 novembre 1949, p. 2; Id., Lo stato attuale
dei monumenti svevi in Sicilia, in “Itine­rario della Cultura e della Scuola siciliana”,
1-3, 1950, pp. 4-6; Id., Castel Maniace sia restituito all’arte, in “Corriere di Si­cilia”,
(Cronaca di Siracusa), 14 giugno 1950, p. 2; Id., La mutilazione di piazza L. Greco
Cassia. Affiora la «re­sponsabilità storica» del sovvertimento edilizio cittadino, in “Giornale
dell’Isola”, (Cronaca di Siracusa), 24 agosto 1950, p. 2; Chiuso per noi il «ritorno»
polemico sulla costruzione del­l’edificio I.N.A.I.L. con una controreplica del prof. Agnel­
lo, in “Corriere di Sicilia”, (Cronaca di Siracusa), 29 agosto 1950, p. 2; Id., Un
importante restauro: la chiesa paleocristiana di S. Pie­tro a Siracusa, in “Arte cristiana”,
XXXVIII,, 1951, pp. 25-30; Id., Le gravi condizioni della Piazza Santa Lucia, in
“Corriere di Catania”, (Cronaca di Siracusa), 13 gennaio 1953, p. 4; Id., Minaccia
di franare Piazza Santa Lucia a causa degli scavi nella sottostante catacomba, in “La
Sicilia”, (Cro­naca di Siracusa), 13 gennaio 1953, p. 4; Id., Il colossale a tutti i costi?,
in “Presenza cristiana”, V-10, 1957, p. 3 [A proposito dell’erigendo san­tuario
alla Madonna delle lacrime a Siracusa]; Id., Passa alla controffensiva il prof. Agnello
stigmatizzando il modernismo di mons. Musumeci, in “La Domenica”, 9 giugno 1957,
p. 3; Id., Il concorso per il tempio alla Madonnina delle lacrime, in “Arte cristiana”, XLV,
1957, pp. 79-86; Id., Il tempio delle lacrime, in “Il Mondo”, 9 luglio 1957, p. 13; Id.,
Squilla il campanello d’allarme per il languente patrimonio artistico, in “La Domenica”,
13 luglio 1958, p. 2; Id., La necessità di valorizzare insigni monumenti sottolineata in
una conferenza al Rotary Club, in “La Sicilia”, (Cronaca di Siracusa), 22 luglio
1958, p. 5; Id., Sfumò per un gioco d’intrighi la sistemazione del Castello Maniace, in “La
Domenica”, 27 luglio 1958, p. 3; Id., Tutelare i nostri monumenti, in “La Voce di
Siracusa”, 25 luglio 1959, p. 1; Id., La questione del costruendo Palazzo di Giustizia e
la proposta di «vincolo» della zona di Montedoro, in “La Sicilia”, (Cronaca di Siracusa),
12 novembre 1960, p. 5; Id., Si difende e contrattacca la commissione per le bellezze pa­
noramiche, in “Siracusa nuova”, 12 novembre 1960, p. 2; Id., La profanazione dei
monumenti esige drastici e urgenti ri­medi, in “La Voce di Siracusa”, 20 gennaio 1962,
p. 1; Avvilito e infranto il fascino della nostra suggestiva città, in “La Voce di Siracusa”,
17 novembre 1962, p. 1; Id., Il problema di Castel Maniace e le responsabilità della so­
printendenza ai monumenti, in “Settegiorni di Siracusa”, 24‑25 novembre 1962, p.
4; Id., Intervista col Prof. Giuseppe Agnello, Presidente della Commissione per la tutela delle
bellezze naturali e pano­ramiche, in “Settegiorni di Siracusa”, 1-2 dicembre 1962, pp.
4 e 11; Id., Per il restauro della basilica di S. Marziano a Siracusa, in “Arte cristiana”,
LI, 1963, pp. 25-28; Id., I guasti di Siracusa, in “Le Vie d’Italia”, LXIX, 1963, pp.
920-928; Id., Problemi archeologici ed esigenze industriali, in “Sette giorni di Siracusa”,
12-13 gennaio 1963, pp. 7‑8; Id., Il sacco di Siracusa, in “Il Mondo”, 5 febbraio
1963, p. 15; Id., Le ferite di Siracusa, in “Le Vie d’Italia”, LXX, 1964, pp. 946-956;
Id., Vicende poco note della Venere Landolina, in “Siculorum Gymnasium”, XVIII,
1965, pp. 120-143; Id., Siracusa, in “Italia nostra”, 47, 1966, pp. 31-32; Id., I
monumenti bizantini della Sicilia e la loro tutela, in Byzantino-Sicula, Istituto Siciliano
di Studi Bizantini e Neoellenici, Palermo, 1966 (“Quaderni, 2”), pp. 7-17; Id.,
L’ipogeo Politi a Siracusa e la storia della sua scoperta, in “Siculorum Gymnasium”,
XIX, 1966, pp. 226-244; Id., Lo scempio edilizio di Siracusa, in “Il Cittadino”, 27
luglio 1967, pp. 1 e 4; Id., Raso al suolo dall’ANAS l’artistico portale settecentesco di
viale Scala Greca, in “Siracusa Nuova”, 2 novembre 1968, p. 1; Id., I primi tentativi
per il riscatto del Teatro Greco di Siracusa, in “Dioniso”, XLII, 1968, pp. 216-244;
Id., Il decreto del vincolo di Ortigia e la storia delle sue vicende, in “Archivio storico si­
racusano”, XIILXIV, 1967-68, pp. 209-214; Id., Il vincolo di Ortigia: storia delle
sue vicende, in “La Domenica”, 25 maggio 1969, pp. 1-2; Id., Siracusa, in “Italia
nostra”, 69-70, 1970, p. 43; Id., Dopo anni di abbandono e di distruzioni si intravede
un futuro migliore per gli antichi castelli di Sicilia, in “Cro­nache castellane”, 23, 1970,
pp. 715-716; Id., Sculture romaniche tra i ruderi, in “Atti e Memorie del­l’Istituto per
lo Studio e la Valorizzazione di Noto antica”, 1970, pp. 107-112; Id., Si intravede
un futuro migliore per gli antichi castelli di Sicilia, in “La Sicilia”, 3 novembre 1970,
p. 3; Id., Disprezzo per la tutela della città e delle sue antiche bellezze naturali, in “Il
Gazzettino di Siracusa”, 20 marzo 1971, pp. 1 e 3.
66 P. Orsi, Sicilia bizantina, a cura di G. Agnello con prefazione di U. ZanottiBianco, Vol. I, Arti Grafiche Aldo Chicca Editore, Tivoli 1942 (“Collezione
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
in Atti del Con­vegno Internazionale di Studi Ruggeriani (Palermo 21-25 aprile 1954),
1, Scuola linotypografica Boccone del Povero, Palermo 1955, pp. 295-301;
Id., L’architettura religiosa militare e civile dell’età normanna, in “Archivio storico
Pugliese”, XII, 1959, pp. 159-196 e Id., L’architettura monastica nel Trecento, in
“Ortigia”, 1-3, 1927, pp. 9-10.
75 Id., L’architettura sveva in Sicilia, (con disegni di R. Carta e G. Di Grazia),
Collezione Meridionale Editrice, Roma 1935, (“Collezione Meridionale diretta da
U. Zanotti-Bianco, s. III: Il Mezzogiorno Artistico, 10”).
76 Id., L’architettura sveva in Sicilia, Roma 1935, riedizione a cura di W. Krönig,
Siracusa 1986.
77 Id., La destinazione militare dei monumenti d’arte, in “Realtà nuova”, XV, 1950,
pp. 447-448. È il caso del Castello Maniace di Siracusa, la cui destinazione militare
rese necessaria una serie di trasformazioni che alterarono profondamente la
facies dell’edificio. È merito di Giuseppe Agnello l’aver restituito graficamente la
straordinaria pianta del monumento federiciano.
78 A tal proposito, cfr. E. Bertaux, Castel del Monte et les architectes français de
l’empereur Frédéric II, Paris 1897 (Extrait des Comptes Rendus des Séances de
l’Académie des Inscriptions et Belles- Lettres); Id., L’art dans l’Italie méridionale de
la fin de l’empire romain à la conquête de Charles d’Anjou, 3 voll., A. Fontemoing, Paris
1904. Per Bertaux e gli aggiornamenti sulla sua opera, cfr. V. Papa Malatesta,
Émile Bertaux tra storia dell’arte e meridionalismo. La genesi de L’art dans l’Italie méridionale,
École française de Rome, Roma 2007; L’art dans l’Italie Méridionale, Aggiornamento
dell’Opera di Emile Bertaux sotto la Direzione di Adriano Prandi, tomi IV-VI,
École Française de Rome & Università di Bari, Rome1978; W. Krönig, Castel del
Monte-Frédéric II et l’architecture française…, pp. 929-951; C.A. Willemsen, I castelli di
Federico II nell’Italia meridionale, Società Editrice Napoletana, Napoli 1979.
79 Si vedano S. Bottari, Ancora sulle origini dei castelli svevi della Sicilia, in Atti
del Convegno Internazionale di Studi Federiciani (Palermo, Catania, Messina, 1018 dicembre 1950), Tip. A. Renna, Palermo 1952, pp. 501-506; Id., La genesi
dell’architettura siciliana del periodo normanno, in “Archivio Storico per la Sicilia
Orientale, s. 2, VIII, 1932, 28, 1, pp. 320-337; Federico e la Sicilia. Dalla terra alla
corona. Architettura e archeologia, a cura di C.A. Di Stefano, A. Cadei, Ediprint,
Siracusa-Palermo 1995; G. Di Stefano, L’architettura gotico-sveva in Sicilia, F. Ciuni,
Palermo 1935; Id., L’architettura religiosa in Sicilia nel secolo XIII, in “Archivio Storico
Meridionale diretta da U. Zanotti-Bianco-s. III: Il Mezzogiorno Artistico, 15”).
67 G. A gnello, I monumenti bizantini della Sicilia, La Nuova Italia Editrice,
Firenze 1951.
68 Id., L’architettura bizantina in Sicilia, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1952
(“Collezione Meridionale diretta da U. Zanotti-Bianco, s. III: Il Mezzogiorno
Artistico, 16”).
69 A. Colasanti, L’arte bizantina in Italia, Bestetti e Tumminelli, Milano 1912.
70 G. Agnello, Palermo bizantina, Verlag Adolf M. Hakkert, Amsterdam 1969.
71 Si vedano a tal proposito: M. Andaloro, L’orizzonte tardoantico e le nuove
immagini, Jaca Book, Milano, 2006; Id., La croce dipinta di Siracusa e l’orizzonte
bizantino-mediterraneo, in Federico e la Sicilia. Dalla terra alla corona. Arti figurative e arti
suntuarie, a cura di C.A. Di Stefano, A. Cadei, M. Andaloro, I-II, Siracusa-Palermo
1995, pp. 474-480; E. Kitzinger, Alle origini dell’arte bizantina. Correnti stilistiche
nel mondo mediterraneo dal III al VII secolo, ed. a cura di M. Andaloro, P. Cesaretti,
Jaca Book, Milano 2005; A. Iacobini, Le porte del paradiso: arte e tecnologia bizantina
tra Italia e Mediterraneo, Campisano, Roma 2009; La cristianizzazione in Italia tra
Tardoantico ed Altomedioevo, Atti del IX Congresso Nazionale di Archeologia
Cristiana (Agrigento 20-25 novembre 2004), a cura di R.M. Bonacasa Carra, E.
Vitale, Carlo Saladino Editore, Palermo 2007.
72 G. agnello, Architettura bizantino-normanna. La basilica dei Santi Gio­vanni e
Marziano in Siracusa, in “Bollettino d’arte del Ministero della P.I.”, IX, 1929-1930,
pp. 3-24; Id., S. Lorenzo Vecchio presso Pachino, ivi, XXXIII, 1948, pp. 63-68; Id.,
La basilichetta trichora del Salvatore a Catania, in “Rivista di Archeologia cristiana”,
XXIII‑XXIV, 1947-1948, pp. 147-168; Id., La chiesa della Favorita presso Noto, in
“Bollettino d’arte del Ministero della P.I.”, XXXIV, 1949, pp. 307-310; Id., Un
importante restauro: La chiesa paleocristiana di S. Pie­tro a Siracusa, in “Arte cristiana”,
XXXVIII, 1951, pp. 25 ‑30.
73 Proprio a questa civiltà va ricondotta – secondo lo studioso – la prima arte di
matrice propriamente cristiana, punto di partenza indispensabile all’interpretazione
dei successivi sviluppi artistici, da quello normanno a quello svevo.
74 Id., Le sculture normanne di Santa Lucia di Mèndola nel Museo di Siracusa,
in “Bollettino d’arte del Ministero della P.I.”, VII, 1927-1928, pp. 586-595;
Id., Architettura bizantino-normanna. La basilica dei Santi Giovanni e Marziano in
Siracusa, ivi, IX, 1929-1930, pp. 3-24; Id., Aspetti della scultura normanna in Sicilia,
Iolanda Di Natale
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Siciliano”, 1938, pp. 51-60; Id., Monumenti della Sicilia Normanna, 2ª edizione a cura
di W. Kroning, Flaccovio, Palermo 1978; H.W. Kruft, Storia delle teorie architettoniche
da Vitruvio al Settecento, Laterza, Roma Bari 2004.
80 G. Agnello, Problemi ed aspetti dell’architettura sveva, in “Palladio. Rivista di
storia dell’architettura e restauro”, n. s., X, 1-2, 1960, pp. 37-47.
81 S. Bottari, Intorno alle origini dell’architettura sveva nell’Italia meridionale e in
Sicilia, in “Palladio”, n.s., 1, 1951, pp. 21-53.
82 G. Agnello, Il castello di Catania nel quadro dell’architettura sveva, in “Bollettino
storico catanese”, V, 3, 1940; Id., Lo stato attuale dei monumenti svevi in Sicilia, in “Itine­
rario della Cultura e della Scuola siciliana”, 1-3, 1950, pp. 4-6; Id., Monumenti svevi
ignorati, in “Siculorum Gymnasium”, III, 1950, pp. 106-121; Id., L’Arte ai tempi di
Federico II. I monumenti svevi del Si­racusano, in “L’Illustrazione siciliana”, IV - 7 / 10,
1951, pp. 23-30; Riflessi svevi nel castello di Scaletta, in “Siculorum Gymnasium”, V,
1952, pp. 199-209; Id., S. Maria della Valle o la «Badiazza» in Messina, in “Pal­ladio”,
111, 1953, pp. 49-66; Id., Il castello svevo di Prato, in “Rivista dell’Istituto nazionale
di Archeologia e Storia dell’Arte”, III, 1954, pp. 147-227; Id., Il Castello svevo di
Milazzo, in “Rivista dell’Istituto nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte”, IV,
1955, pp. 20-41.
83 Id., L’architettura civile e religiosa in Sicilia nell’età sveva, Collezione Meridionale
Editrice, Ro­ma 1961 (“Collezione Meridionale diretta da U. Zanotti-Bianco-s. III:
Il Mez­zogiorno Artistico, 19”).
84 Per gli aggiornamenti sull’arte federiciana in Sicilia si veda: M. D’Onofrio,
Il castello di Federico II a Gaeta, in Arte d’Occidente. Temi e metodi, Studi in onore di A.
M. Romanini, vol. I, Edizioni Sintesi Informazione, Roma 1999, pp.151-158; I
Normanni popolo d’Europa MXXX-MCC, catalogo della mostra (Roma, 28 gennaio
- 30 aprile 1994, Venezia, 20 maggio - 18 settembre 1994) a cura di M. D’Onofrio,
Marsilio, Venezia 1994; Federico e la Sicilia. Dalla terra alla corona. Arti figurative e
arti suntuarie, a cura di M. Andaloro, catalogo della mostra (Palermo 1994-1995),
Ediprint, Palermo 1995; F. Basile, L’architettura della Sicilia Normanna, V. Cavallotto,
Catania - Caltanissetta - Roma 1975; M. Righetti Tosti-Croce, La scultura del
castello di Lagopesole, in Federico II e l’arte del Duecento italiano. Atti della settimana di
studi, I, a cura di A. M. Romanini, Congedo, Galatina 1980, pp. 237-252.
85 Molti degli studi portati avanti da Agnello sul tema della Sicilia medievale
sono stati ripresi, in tempi recenti, da non pochi studiosi. A tal proposito si
ricordano, ad esempio, gli approfondimenti sull’architettura federiciana condotti
da Henri Bresc e Ferdinando Maurici, I castelli demaniali della Sicilia (secoli XIIIXV), in Castelli e fortezze nelle città italiane e nei centri minori italiani (secoli XIII-XV),
a cura di Francesco Panero e Giuliano Pinto, Centro Internazionale di Ricerca
sui Beni Culturali, Cherasco 2009, pp. 271-317 o da Antonio Cadei, La forma del
castello: l’Imperatore Federico II e la Terrasanta, Zip, Pescara 2006; ancora si ricordano
gli studi sia di archeologia, che di architettura medievale condotti da Camillo
Filangeri, Monasteri basiliani di Sicilia: mostra dei codici e dei monumenti basiliani siciliani,
Atti del convegno (Messina 3-6 dicembre 1979), STASS, Palermo 1980.
86 Cfr. G. Bellafiore, Architettura in Sicilia nell’età islamica e normanna (827-1194),
A. Lombardi, Palermo 1990; Id., Architettura dell’età sveva in Sicilia 1194-1266, A.
Lombardi, Palermo 1993; Id., Dall’Islam alla Maniera. Profilo dell’architettura siciliana
dal IX al XVI secolo, Flaccovio, Palermo 1975.
87 G. Agnello, L’Annunciata di Antonello da Messina, in “L’Osservatore
Romano”, 9 ottobre 1926, p. 2. Il medesimo articolo, con qualche variante e col
titolo La chiesa dell’Annunziata e la pala di Antonello da Messina, viene pubblicato
l’anno successivo anche su “Aχραιων”, numero unico diretto da G. Mi­gliore
Leone, Società Tipografica Editrice, Siracusa 1927, pp. 9-12 e in “Per l’Arte
sacra”, IV‑4, 1927, pp. 5-11. Si veda a tal proposito S. La Barbera, Enrico Mauceri
connoisseur, museologo e storico dell’arte, in Enrico Mauceri..., pp. 31-57.
88 Sull’artista, cfr. E. Brunelli, Pietro de Saliba, Tipografia dell’Unione
cooperativa editrice, Roma 1906.
89 Sull’artista, cfr. M.C. Di Natale, Tommaso de Vigilia I, (con introduzione di
M. Calvesi), in “Quaderni dell’A.F.R.A.S.”, n. 4, 1974; Ead., Tommaso de Vigilia II,
(con introduzione di M. Calvesi), in “Quaderni dell’A.F.R.A.S.”, n. 5, 1977.
90 Sull’artista, cfr. E. Mauceri, Riccardo Quartararo a Napoli, in “L’Arte”, VI,
fasc. I-IV, 1903, pp. 128-129; S. Bottari, Da Tuccio di Gioffredo a Riccardo Quartararo,
in “Arte Antica e Moderna” (estratto), 1959, pp. 170-171; F. Meli, Documenti su
Riccardo Quartararo, in “Arte Antica e Moderna”, 1965, pp. 375-383; T. Pugliatti,
Pittura del Cinquecento in Sicilia. La Sicilia occidentale 1484-1557, Electa, Napoli 2008,
in part. pp. 119 e ss.
91 G. Agnello, La chiesa dell’Annunziata…, in “Per l’arte sacra”, pp. 8-9.
92 Si vedano a tal proposito i diversi contributi forniti da questi studiosi: G.
Di Marzo, Di Antonello da Messina e dei suoi congiunti. Studi e documenti, Palermo
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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cura di S. La Barbera, Flaccovio, Palermo 2003; S. La Barbera, Note sulla letteratura
artistica siciliana dei secoli XVII-XX, in L. Di Giovanni, Le opere d’arte nelle chiese di
Palermo, trascrizione e commento a cura di S. La Barbera, Flaccovio, Palermo
2000, pp. 7-40; G.C. Sciolla, La critica d’arte del Novecento, UTET, Torino 1995; M.
Accascina, Indagini sul primo Rinascimento a Messina e provincia, in Scritti in onore di
Salvatore Caronia, La Cartografica, Palermo 1966, pp. 1-16.
98 Si vedano a tal proposito G. Di Marzo, La pittura in Palermo nel Rinascimento.
Storia e Documenti, Reber, Palermo 1899; Id., Delle belle Arti in Sicilia, S. Di
Marzo, F. Lao, Palermo, 1858-1866.
99 Sulla pittura figurativa del siracusano si veda Da Antonello a Paladino. Pittori
messinesi nel siracusano dal XV al XVIII secolo, catalogo della mostra (Siracusa 14
dicembre 1996 - 28 febbraio 1997) a cura di G. Barbera, Ediprint, Siracusa 1996.
100 Su Maria Accascina, cfr. Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento….
101 Vengono citati, a tal proposito, un polittico con Madonna in trono col Bambino
tra i SS. Lucia e Marziano della chiesa di S. Martino e due opere conservate presso
il Museo Bellomo: una Vergine in trono col Bambino e il Polittico di S. Maria. La critica
allora riconduceva le opere o al pittore locale Stefano da Zevio o, in funzione dei
legami intravisti con il Serra e con il Borassà, a un pittore locale di formazione
spagnola legato alla scuola o addirittura ad un autore spiritualmente vicino a
Gentile da Fabriano.
102 Si veda a tal proposito G. Agnello, Pittori siciliani dei secoli…., p. 47.
103 Cfr. S.L. Agnello, Attività gaginiane e precisazioni documentarie, in “Bollettino
storico catanese”, 1946.
104 Nella bibliografia Agnello cita tra le sue fonti diversi lavori di Enrico
Mauceri: La pittura Siracusana nel sec. XV, in “Rassegna d’Arte, X, 1910, pp. 23-27
e Su alcuni pittori vissuti a Siracusa nel Rinascimento, in “L’Arte”, VII, 1904, pp. 161167.
105 S. Caronia Roberti, Il Barocco in Palermo, a cura del Banco di Sicilia,
Palermo 1935; Id., L’architettura del Barocco in Sicilia, Tip. De Magistris e V. Bellotti,
Palermo 1955.
106 Giuseppe Agnello si serve in particolare di F. Meli, Degli architetti del Senato
di Palermo nei secoli XVII e XVIII, Scuola tip. Boccone del povero, Palermo 1938.
107 Si vedano per esempio A. Giuliana Alajmo, Andrea Palma e la sua sconosciuta
opera in Sant’Antonio Abate, Antonino Perna, Palermo 1949; Id., Gli architetti del
1902; Id., Di Antonello d’Antonio da Messina. Primi documenti messinesi, in “Archivio
Storico Messinese”, II, 1903; Id., Nuovi studi ed appunti su Antonello da Messina con
25 documenti, Libreria Editrice Ant. Trimarchi, Messina 1905; J. A. Crowe, G.B.
Cavalcaselle, The Early Flemish Painters. Notices of their lives and works, J. Murray,
London 1857 (ed. it. Firenze); S. Bottari, Antonello da Messina, Principato, Messina
- Milano 1939; G. La Corte Cailler, Antonello da Messina. Studi e ricerche di G. La
Corte Cailler con documenti inediti, in “Archivio Storico Messinese”, IV, 1903, pp.
332-441.
93 G. Agnello, L’architettura aragonese‑catalana in Siracusa, Arti Grafiche Aldo
Chicca Editore, Tivoli 1942 (“Collezione Meridio­nale diretta da C. ZanottiBianco-s. III: Il Mezzogiorno Artistico, 14”).
94 Si veda a tal proposito E. De Benedictis, Della Camera delle Regine siciliane.
Memoria storica, Tip. Di A. Norcia, Siracusa 1890.
95 Anche in questo caso si tratta di studi pioneristici e larga parte del
materiale pubblicato da Agnello circa i due palazzi è praticamente inedito. A tal
proposito si vedano anche S. Russo, Siracusa medievale e moderna, A. Lombardi,
Palermo 1992; A. Conejo da Pena, La arquitectura civil en la Sicilia del siglo XV:
influencias del levante de la Corona de Aragón, in “Quaderni del Mediterraneo”, 10,
2003, pp. 119-166; Siracusa città e fortificazioni, catalogo della mostra (Siracusa 19
giugno - 19 luglio 1987) a cura di L. Dufour, Sellerio, Palermo 1987; Id., Siracusa
tra due secoli. Le metamorfosi di uno spazio 1600-1695, A. Lombardi, Palermo 1998;
Verso un repertorio dell’architettura catalana, Province di Caltanissetta,Catania, Enna,
Messina, Palermo, a cura di L. Anderozzi, Aracne, Roma 1996; Verso un repertorio
dell’architettura catalana, Province di Agrigento, Ragusa, Siracusa,Trapani, a cura di G.
Pagnano, Siracusa 2005; G. Pagano, I paramenti lapidei di età aragonese a Siracusa,
in Verso un repertorio..., pp. 41-56.
96 Id., Influencias y recuerdos españoles en la región de Siracusa, in La Huella de España
en Sicilia, “Revista Geográfica Española”, Madrid (traduzione italiana Influssi e
ricordi spagnuoli nel Siracusano, in Spagna in Sicilia) pp. 88-104; Id., Influencias y recuerdos
españoles en Ragusa y su región (Influssi e ricordi spagnuoli nel Ragusano), pp. 125-134; Id.,
L’architettura aragonese‑catalana nell’Italia insulare e continentale, in “Rivista storica del
Mezzogiorno”, 1-1/2, 1966, pp. 243 -259.
97 Si veda per una più dettagliata ed approfondita trattazione degli indirizzi della
critica d’arte rispetto alla questione siciliana La critica d’arte in Sicilia nell’Ottocento, a
Iolanda Di Natale
Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica...
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numero 3 - maggio 2011
vermexiano di S. Lucia a Siracusa, in “Archivio storico della Sicilia orientale”, VII,
1954, pp. 153-177.
119 Id., Architettura gesuitica. La Chiesa del Collegio di Siracusa, in “Per l’Arte
sacra”, V-1, 1928, pp. 7-16.
120 Per una trattazione dell’opera dei Vermexio a Siracusa, si veda G. Agnello,
I Vermexio…, pp. 25.
121 Id., Il Palazzo dei Vescovi a Siracusa e l’opera di Andrea Ver­mexio, in “Palladio”,
II, 1952, pp. 65-70; Id., Giovanni Torres Osorio vescovo ed umanista, in “Archivio
storico della Sicilia orientale”, IX, 1933, pp. 223-276; Id., Rinascimento e barocco
nella Casa dei Vescovi a Siracusa, in “L’Illustrazione vaticana”, V, 1934, pp. 21-22.
122 Per lo scultore, cfr. L. Sarullo, Dizionario degli Artisti Siciliani. Scultura, vol.
III, Novecento, Palermo 1993, ad vocem a cura di V. Scavone, C. Vella, p. 325.
123 G. Agnello, Gregorio Tedeschi scultore fiorentino del sec. XVII e la sua attività in
Sicilia, in “Archivi”, VII,1940, pp. 180-197.
124 Id., Note e documenti inediti su artisti ignorati del secolo XVIII in Sicilia. Luciano
Alì - Ermenegildo Martorana - Gregorio Lombardo - Rosario Minniti - Giacomo Ferlito,
in “Archi­vi”, III, 1936, pp. 286-299; Id., Pittori siciliani dei sec. XVI‑XVII‑XVIII:
Mario Minniti - Antonino Maddiona - Giuseppe Piccione - Francesco Callia - Mario
Cordua - Antonino Calvo - Antonino Bonincon­tro - Mauro e Giuseppe Troia, ivi, VI,
1939, pp. 42-54.
125 Id., Un caravaggesco: Mario Minniti, in “Archivi”, VIII, 1941, pp. 60-80. Per
gli aggiornamenti sul siracusano Mario Minniti (1577-1640) rimando a Mario
Minniti. L’eredità di Caravaggio a Siracusa, catalogo della mostra Siracusa 30 maggio
- 19 settembre 2004) a cura di G. Barbera, V. Greco, Electa, Napoli 2004.
126 G. Agnello, Mattia Preti e alcune sue tele sconosciute, in “Per l’Arte sacra”,
IX, 1932, pp. 53-57. Su Mattia Preti (Taverna 1613 - La Valletta 1699), cfr. Mattia
Preti tra Roma, Napoli e Malta, catalogo della mostra (Napoli, 1999), Electa, Napoli
1999.
127 Id., Il caravaggismo in Sicilia ed Alonso Rodriguez pittore messinese, in “Bollettino
d’Arte”, s. II, IV, 1924-1925, pp. 559-571.
128 Id., Un caravaggesco…, p. 71.
129 Id., Una tela ignorata del Caravaggio (?) a Siracusa, in “Per l’Arte Sacra”,
V, 1, 1928, pp. 7-16.
130 Su Raffaello o Raffaele Politi (Siracusa 1783 - Agrigento 1870), cfr. G.
Senato di Palermo. Mariano Smiriglio. I. La vita. II. Le opere: Porta Felice, Tip. A. Perna,
Palermo 1950; Id., L’architetto della Catania settecentesca. G.B. Vaccarini e le sconosciute
vicende della sua vita, in “L’Illustrazione siciliana. Periodico d’arte di pensiero e
critica”, a. III, n. 1- 2, gennaio-febbraio, 1950, pp. 17-18.
108 Cfr. E. Mauceri, Il Caravaggismo in Sicilia e Alonso Rodriguez, pittore messinese,
estratto da “Bollettino d’arte”, XIX, giugno, IV, s. II, 12, pp. 559-571.
109 In particolare M. Accascina, Profilo dell’architettura a Messina dal 1600 al
1800, a cura del Comune di Messina, Ateneo, Messina 1964.
110 Per l’attività di Corrado Ricci si veda La cura del bello….
111 G. Agnello, L’architettura barocca in Sicilia, in Barocco europeo, barocco italiano,
barocco salentino, Atti del Congresso Internazionale sul Barocco (Lecce e T. d’O., 2124 settembre 1969), a cura di P.F. Palumbo, Centro di Studi Salentini, (“Congressi
Salentini, I”), Lecce 1970, pp. 157-182.
112 E. Calandra, Breve storia dell’architettura in Sicilia, Laterza, Bari 1938.
113 G. Agnello, Scultori e marmorari catanesi del Settecento a Siracusa, in “Catania”,
IV,1932, pp. 163-172; Id., Aspetti artigiani dell’architettura barocca in Siracusa, in
“Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura”, Università di Roma, VI-VIIVIII, fasc. 31-48, 1961, pp. 281- 286.
114 Id., I Vermexio, architetti ispano-siculi del secolo XVII, “La Nuova Italia”
Editrice, Firenze 1959, (“Collezione Meridio­nale diretta da U. Zanotti-Bianco-S.
III: Il Mezzogiorno Artistico, 17”).
115 Il volume monografico è stato preceduto dagli articoli: Id., Architettura
vermexiana. Il palazzo Corvaia a Siracusa, in “Archivio storico siracusano”, I,
1955, pp. 23-30; Id., Monumenti vermexiani sconosciuti, in Atti del V Convegno
Nazionale di Storia dell’Architettura, (Perugia 23 settembre 1948) Noccioli,
Firenze 1957, pp. 395-405.
116 Per l’aggiornamento bibliografico rimando a L. Sarullo, Dizionario degli
artisti siciliani. I. Architettura, a cura di M.C. Ruggieri Tricoli, ad voces a cura di M. T.
Montesanto, Novecento, Palermo 1993, pp. 434-435.
117 G. Agnello, L’opera di Giovanni Vermexio nel palazzo del Senato a Siracusa, in
“Archivi”, XI-XVI, 1949, pp. 46-81.
118 Id., La Chiesa del Sepolcro di S. Lucia e l’opera di Giovanni Vermexio, in Santa
Lucia. Terzo Centenario del Patrocinio di Santa Lucia, numero unico a cura della
On. Deputazio­ne della Cappella di S. Lucia, Siracusa, 5 maggio 1946; Id., Il tempio
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - maggio 2011
138 Per Stefano Bottari (1907-1967), cfr. G.C. Sciolla, La critica d’arte del
Novecento…, p. 252.
139 Mi riferisco alle “Giornate di studio in onore di Giuseppe Agnello nel
decennale della scomparsa” tenutesi a Canicattini Bagni e a Siracusa il 28-29
novembre 1986. Al convegno intervennero il Prof. Vincenzo la Rosa, il Sen.
Giuseppe Alessi dell’Istituito dell’Enciclopedia Italiana, Salvatore Pricoco e
Anna Maria Marchese docenti dell’Università di Catania, Salvatore Boscarino
docente dell’Università di Palermo, Salvatore Russo, allora Presidente della
Società Siracusana di Storia Patria, Corrado V. Giuliano della Lega per l’ambiente
di Palermo e Gioacchino Gargallo di Castel Lentini, docente presso l’Università
“La Sapienza” di Roma.
140 In vero molti articoli di questo primo periodo si riferiscono all’attività
portata avanti dall’Orsi nel campo dell’Archeologia Cristiana: Paolo Orsi e gli studi
cristiano-bizantino della Sicilia e della Calabria, La Sicilia sotterranea cristiana e la Sicilia
bizantina nel volume dedicato allo studioso dall’“Archivio Storico per la Calabria
e la Lucania”. Si vedano G. Agnello, Paolo Orsi e gli studi cristiano‑bizantini della
Sicilia e della Calabria, in “L’Illustrazione vaticana”, VII, 1936, pp. 81-84; Id., La
Sicilia sotterranea cristiana e la Sicilia bizantina, in Paolo Orsi 1859-935, volume a cura
dell’Archivio storico della Calabria e Lucania, Roma 1935, anche riportato in
“Archivio storico per la Calabria e la Lucania”, V – 3/4, 1935, pp. 253-274.
141 Si veda a tal proposito G. Agnello, Siracusa Medievale…, pp. 14-19.
142 Id., Architettura bizantino-normanna…, in “Bollettino d’Arte”, IX, 192930, pp. 72-79; Id., Esplorazioni nella cripta di S. Marziano a Siracusa, in “Arte
sacra”, IV, 1934, pp. 67-68.
143 S. Russo, Ricerca storica e memorie patrie, in Giuseppe Agnello. Atti…, p. 139:
«…quando ci si chiedeva se Giuseppe Agnello fosse un politico, un archeologo
o uno storico dell’arte, o se fosse uno storico dell’arte con delle simpatie per
l’archeologia, o un archeologo con delle aperture per la storia dell’arte, sono
tutti interrogativi che mi lasciano molto perplesso. In realtà la sua natura, il
suo sentimento fondamentale è questo amore inesausto per il passato e per la
ricerca del passato».
144 La Società viene istituita il 3 dicembre 1953 nella sala della Giunta
Municipale di Siracusa. Tra i fondatori: il Sindaco di Siracusa, Marcello Alagona,
Mario Tommaso Gargallo, Santi Luigi Agnello, Paolo Albani, Giorgio Badame,
Russo, Cenni su la vita e le opere di Raffaello Politi, Tip. Montes, Girgenti 1870; L.
Sarullo, Dizionario degli Artisti Siciliani. Pittura, vol. II, Novecento, Palermo 1993,
ad vocem a cura di E. Sessa, pp. 416-418. Cfr. pure C. Bajamonte, Raffaello Politi
“bizzarro scrittore, insigne archeologo, artista intelligente”, in “Kalós – arte in Sicilia”, a.
19, n. 2, Aprile-Giugno 2007, pp. 28-33 e A. Palermo, Raffaello Politi uomo e scrittore
(Siracusa, 1783-Girgenti, 1870), s.e., Marino 2007.
131 Per la vicenda del quadro si veda S.L. Agnello, Due secoli ad un catalogo,
in Centri e periferie del Barocco, vol. III, Barocco mediterraneo. Sicilia, Lecce, Sardegna,
Spagna, a cura di M.L. Madonna, L. Trigilia, Officina, Roma 1992, pp. 351. Il
dipinto si trova oggi nella chiesa di S. Giuseppe di Siracusa. Cfr. anche Sulle
orme di Caravaggio tra Roma e la Sicilia, catalogo della mostra a cura di V. Abbate,
G. Barbera, C. Strinati, R. Vodret, Marsilio, Venezia 2001, scheda 13 a cura di
G. Barbera, p. 134.
132 Nel ruolo di Provveditore agli studi, affidatogli dall’A.M.G.O.T. (Allied
Military Government of Occupied Territories-Amministrazione militare alleata
dei territori occupati), lo studioso ripristina e riorganizza le scuole del siracusano,
che grazie al suo intervento già nell’autunno dello stesso anno riprendono con
regolarità a funzionare in tutta la provincia.
133 Si vedano a tal proposito i diversi articoli apparsi nel 1946: G. Agnello,
Intervento alla Consulta nazionale, 19 febbraio e 4 marzo 1946, in “Atti Parlamentari”,
Consulta nazionale, Assemblea della Camera dei Deputati, Roma 1946; Id.,
A proposito di una polemica, in “La Gazzetta”, 3 marzo 1946 e Id., Candidati alla
Costituente e moralità politica, in “L’Idea Popolare”, 30 maggio 1946.
134 Id., Giuseppe Agnello candidato alla D.C., in “L’Idea Popolare”, 30
maggio 1946, p. 1.
135 Id., Buona sera colonnello Stevens, Mascali editore, Siracusa 1946.
136 Id., Chi farà il processo al fascismo?, Mascali editore, Siracusa 1947.
137 In quegli anni l’Ateneo etneo si preparava ad inaugurare un nuovo filone
di studi e ricerche che – citando le parole di Salvatore Pricoco, docente presso
l’Ateneo catanese e allievo dello stesso Agnello – si possono racchiudere nel
termine “cristianistica”. Sino ad allora gli insegnamenti avevano concentrato
e indirizzato le migliori risorse verso l’indirizzo classico, di antica e robusta
tradizione, tralasciando le indagini sul Medioevo alla sola filologia romanza. Cfr.:
S. Pricoco, Il Docente, in Giuseppe Agnello. Atti…, p. 62.
Iolanda Di Natale
Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica...
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a sentire la necessità di avviare nuove ricerche in Sicilia anche per il periodo
della cristianizzazione. Lo stesso Giovanni Battista De Rossi, contemporaneo
dello Schultze e archeologo cristiano “romano” per eccellenza, ideatore e
promotore della Pontificia Commissione di Archeologia Cristiana, pur non
avendo conoscenza diretta dei monumenti siculi ne caldeggiava vivamente gli
studi. Il voto fu accolto, agli inizi del Novecento, da Joseph Führer e da Paolo
Orsi, al quale si deve il quadro più vasto ed organico della Sicilia Paleocristiana e
Bizantina fino agli studi di Giuseppe Agnello. Importanti lavori sul patrimonio
cimiteriale cristiano ed ebraico si devono anche ad altri due insigni archeologi:
Antonino Salinas (per la Sicilia Occidentale) e Francesco Saverio Cavallari (per la
Sicilia Orientale), quest’ultimo, primo Sovraintendente alle Antichità di Sicilia il
cui operato fu proseguito prima proprio da Orsi e poi, a partire dal 1941, da Luigi
Bernabò-Brea. Sui recenti studi inerenti la Sicilia paleocristiana e le prime forme
d’arte della civiltà cristiana si veda Atti del IX Congresso Nazionale di Archeologia
Cristiana (Agrigento, 20-25 novembre 2004), a cura di R.M. Carra Bonacasa, E.
Vitale, Carlo Saladino Editore, Palermo 2007; La Sicilia centro-meridionale tra il II e
il VI sec. d. C., catalogo della mostra (Caltanissetta - Gela, aprile-dicembre 1997)
a cura di R.M. Bonacasa Carra, R. Panvini, Sciascia, Caltanissetta 2002; R.M.
Carra, Insediamenti e spazio cristiano in Sicilia, in Materiali per una topografia urbana.
Status quaestionis e nuove acquisizioni, Atti del V convegno sull’’archeologia tardoromana e
altomedievale in Sardegna, Oristano, S’Alvure, 1995, p. 241-270.
150 Istituita da Pio IX il 6 gennaio 1852 per iniziativa del gesuita Giuseppe
Marchi (1795-1860), già conservatore dei sacri cimiteri, e del “padre fondatore”
degli studi di Archeologia Cristiana, Giovanni Battista de Rossi (1822-1894), con
lo scopo di “custodire i sacri cimiteri antichi, per curarne preventivamente la
conservazione, le ulteriori esplorazioni, le investigazioni, lo studio, per tutelare
inoltre le più vetuste memorie dei primi secoli cristiani”. Con i Patti Lateranensi
(art. 33 del Concordato) la sua autorità e sfera d’azione e di studio fu estesa a tutte
le catacombe esistenti sul territorio italiano. Sull’ argomento si veda: R. Jacqard,
L’Institut pontifical d’Archéologie Chrétienne. Journal de cinquante années (1925-75), Roma
1975. Sull’Ispettorato di Siracusa si veda A. Ferrua, La Sicilia nella mia vita, in
L’Accademia selinuntina di Scienze, Lettere, Arti di Mazara del Vallo ed il Premio Sélinon
1987, Mazara del Vallo 1987.
151 Tra i più importanti ricordo: G. Agnello, Sicilia cristiana. Le catacombe
Luigi Bernabò Brea, Sebastiano Capodieci, Salvatore Grillo, Vittorio Guardo,
Michele Minniti, Rocco Moscato, Corrado Piccione e Raffaele Strano. A reggere
la presidenza nei primi anni è Mario Tommaso Gargallo vero ispiratore del
sodalizio, alla sua morte lo succederà nel 1958 Giuseppe Agnello. L’impegno
fondamentale è costituito dalla pubblicazione dell’Archivio Storico Siracusano che per
serietà scientifica e il rigore documentario dei contributi di qualificati collaboratori
ha conseguito e mantiene un posto di alta considerazione nel mondo culturale
italiano e internazionale.
145 G. Agnello, Le arti figurative nella Sicilia bizantina, Istituto Siciliano di Studi
Bizantini e Neoellenici, Palermo 1962 (“Testi e Monumenti pubblicati da Bruno
Lavagnini. Monumenti. 1”). I diversi capitoli sono il frutto di una ristampa, talora
con aggiunte e modificazioni, di studi apparsi negli anni 1928-1959.
146 Id., Capitoli e ordinamenti degli orafi e degli argentieri dal XV al XVIII secolo, in
“Archivi”, XXIII, 1956, pp. 99-115; Ibidem, Orafi e argentieri dei secoli XVI, XVII,
XVIII, pp. 265-294; Ibidem, Orafi e argentieri dei secoli XVI, XVII, XVII, pp. 343361; Id., Un maestro del ferro battuto. Domenico Ruggeri, in “Per l’Arte sacra”, VI, 1929,
pp. 72-78; Id., Argentieri e argenterie del Settecento (I), ivi, pp. 12-25; Id., Argentieri e
argenterie del Settecento (II), ivi, VI, 1929, pp. 151-165; Id., III Mostra d’arte sacra.
Rassegna regionale retrospettiva del paramento e dell’arredo (Caltanissetta, 14-28
aprile 1954), Ente Pro­vinciale per il Turismo, Caltanissetta 1954, pp. 11‑14.
147 Id., Arte bizantina. Il cofanetto eburneo dell’ex Cattedrale di Lentini, in “Per
l’Arte sacra”, X, 1933, pp. 44-52; Id., Un nuovo importante contributo alla storia e alla
lettura degli antichi codici della melurgia bizantina, in “Rivista musicale italiana”, XLIII,
1939, pp. 109-114; Id., Cimeli bizantini. La stauroteca di Lentini, in “Siculorum
Gymnasium”, IV, 1951, pp. 85-89; Id., Sculture bizantine della Sicilia, in “Siculorum
Gym­nasium”, V, 1952, pp. 76-91 (seguono altre tre puntate, una nel vol. VI del
1953 alle pp. 222-35 una nel vol. VII del 1954 alle pp. 104-117 e, infine, l’ultima
nel vol. X del 1957 alle pp. 101-122); Id., Croci bizantine di Sicilia, in “Siculorum
Gymnasium”, VI, 1953, pp. 88-98; Id., Il ritrovamento subacqueo di una basilica
bizantina prefabbricata, in “Byzantion”, XXXIII, 1963, pp. 1-9.
148 Per tali aspetti, cfr. F. Maurici, Castelli medievali in Sicilia. Dai bizantini ai
normanni, Sellerio, Palermo 1992, pp. 13-47; Sicilia romana e bizantina, a cura di C.
Quartarone, Grafill, Palermo 2006.
149 Prima di Giuseppe Agnello era stato Victor Schultze, nel 1877, il primo
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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e S. Maria a Siracusa, in Atti del II Congresso Nazionale di Archeo­logia Cristiana
(Matera, Venosa, Menfi…, 25-31 maggio 1969), “L’Erma” di Bretschneider,
Roma 1971, pp. 25-43; Id., Discorso inaugurale, ivi, pp. 486-490; Id., Ringraziamento
e commiato del Presidente, ivi, pp. 494-497; Id., Gli ultimi scavi nella catacomba di S.
Maria a Siracusa, in Atti del III Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana, Edizioni
Lint, Trieste 1974 (“Antichità alto-­adriatiche”, VI), pp. 443-465. Sugli interventi
di Agnello ai Congressi Nazionali ed Internazionali di Archeologia Cristiana si
veda pure: Rilievi strutturali e sepolcri a baldacchino nelle catacombe di Sicilia, in Actes
du Ve Congrès International d’Archéo­logie Chrétienne (Aix-en‑Provence, 13-19 septembre
1954), Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana - Société d’Edition Les BellesLettres, Città del Vaticano - Paris 1957 (“Studi di Antichità Cristiana”, XXII);
Id., The Frescoes in the Crypt of St. Martian at Syracuse, in X. Milletlerarasi Bizans
Tetklkleri Kongresi Tebligleri (Actes du Xe Congrès International d’Etudes Byzantines)
(Istanbul, 15-21. IX. 1955), Publication du Comité d’Organisation du X. Congrès
International d’Etudes Byzantines, Istanbul 1957, p. 109; Id., Recenti scoperte e studi
sui cimiteri paleocristiani della Si­cilia, in Atti del VI Congresso Internazionale di Archeolo­
gia Cristiana (Ravenna, 23‑30 settembre 1962), Pontificio Istituto di Archeologia
Cristiana, Città del Vaticano 1965 (“Studi di Antichità Cristiana”, XXVI), pp.
279-294; Id., Recenti scoperte di monumenti paleocristiani nel Siracu­sano, in Akten des
VII. Internationalen Kongresses für Christliche Archäologie (Trier, 5 11 September 1965),
Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana - Deutsches Archáologisches Institut,
Città del Vaticano - Berlin 1969 (“Studi di Antichità Cristiana”, XXVII), pp. 309326; Id., Le catacombe di Sicilia e di Malta e le loro caratteristiche strutturali, in Atti del
XV Congresso di Storia dell’Archi­tettura (Malta, 11-16 settembre 1967), Centro di
Studi per la Storia dell’Architettura, Roma 1970, pp. 213-235.
157 Id., Prefazione, in Atti del I Congresso Nazionale di Archeolo­gia Cristiana
(Siracusa, 19-24 settembre 1950), “L’Erma” di Bretschneider, Roma 1952,
pp. 5-6.
158 Ancora ne sono stati recentemente aggiunti dal nipote a completamento
della già ricchissima enumerazione.
dell’altipiano di Ragusa, in “Rivista di Archeologia cristiana”, XXIX, 1953, pp. 6787; Id., Sicilia cristiana. I monumenti dell’agro netino, ivi, XXX, 1954, pp. 169-188;
Id., Catacombe inedite di Cava d’Ispica, ivi, XXXV, 1959, pp. 87-104; Id., Necropoli
paleocristiane nell’altipiano di Sortino, ivi, XXXX, 1963, pp. 105-129; Id., Nuovi
ritrovamenti nella catacomba di S. Maria a Siracusa, ivi, XLIX, 1973, pp. 7-31.
152 Id., La pittura paleocristiana della Sicilia, Società Amici Catacombe,
Città del Vaticano 1952, (“Collezione ‘Amici delle Catacombe’, XVII”).
153 La rivista storica dell’Ateneo catanese, fondata nel 1912 da Paolo Ubaldi
e rifondata dal Prof. Emanuele Rapisarda, rimane attiva fino al 1934, anno della
morte del suo ideatore. Dall’atto della sua rifondazione, in occasione della quale il
titolo viene modificato da “Didascaleion” a “Nuovo Didascaleion”, la rivista esce
sempre, più o meno con continuità ininterrotta sino al 1970.
154 G. Agnello, L’oratorio ipogeico di Castelluccio, in “Nuovo Didaskaleion”,
II, 1948, pp. 36-50; Id., Problemi archeologici della Sicilia paleocristiana, in “Pre­senza
cristiana”, 11-14, 1954, p. 3; Id., Gli affreschi dei santuari rupestri della Sicilia. Le grotte
di Lentini, in “Rendiconti della pontificia Accademia romana di Archeologia”,
XXX‑XXXI, 1957-­59, pp. 189-204; Id., Siracusa, in “Italia nostra”, 17, 1960, pp.
26-27, resoconto dei ritrovamenti archeologici sotto il Palazzo del Senato; Id., Un
sacello pagano con affreschi nella catacomba di S. Lucia a Siracusa, in “Palladio”, XIII,
1963, pp. 8-16; Id., L’ipogeo Politi a Siracusa e la storia della sua scoperta, in “Siculorum
Gymnasium”, XIX, 1966, pp. 226-244.
155 Id., In Piazza Archimede ritrovamenti archeologici, in “La Voce di Siracusa”,
26 marzo 1960, p. 2; Id., Nel sottosuolo del Palazzo del Senato. Ritrovamenti archeo­
logici, ivi, 15 aprile 1960, p. 2; Id., Problemi archeologici ed esigenze industriali, in “Sette
giorni di Siracusa”, 12‑13 gennaio 1963, pp. 7-8; Id., La scoperta di nuove catacombe
a Siracusa, in “L’Osservatore romano”, 17 aprile 1964, p. 5; Id., Nuova rivelazione
catacombale della Siracusa paleocristiana, in “La voce di Siracusa”, 6 giugno 1965,
p. 2; Id., Sulla catacomba di Manomozza, in “La Sicilia”, (Cronaca di Siracusa), 21
aprile 1970, p. 6; Id., Sensazionale scoperta a Siracusa di un vasto complesso catacombale,
in “La Sicilia”, 21 ottobre 1970, p. 3.
156 Id., Prefazione, in Atti del I Congresso Nazionale di Archeolo­gia Cristiana
(Siracusa, 19-24 settembre 1950), “L’Erma” di Bretschneider, Roma 1952; Id.,
La Sicilia cristiana e i suoi illustratori…, ivi, pp. 7-29; Id., La necropoli e la chiesa
rupestre di Bibinello…, ivi, pp. 31-47; Id., Recenti esplorazioni nelle catacombe Cassia
Iolanda Di Natale
Giuseppe Agnello: contributi sulla stampa periodica...
143
Vedere attraverso
e oltre l’opera d’arte.
rwin anofsky e l’educazione
estetica in presenza di disabilità
visiva
di Roberta Priori
E
p
Pittura antica e moderna “Anteros” dell’Istituto per Ciechi “Francesco
Cavazza” di Bologna viene svolta un’intensa attività didattica rivolta
alle persone non vedenti e ipovedenti. La curatrice e autrice dei
contenuti tecnico-scientifici del museo, Loretta Secchi, in sinergia
con l’Associazione Scuola di Scultura Applicata, la Cattedra di Ottica
fisiopatologica dell’Ospedale Sant’Orsola, l’Unione Italiana Ciechi e
l’Istituto per Ciechi “Francesco Cavazza” di Bologna, ha partecipato
all’elaborazione di un metodo funzionale al raggiungimento di una
più profonda comprensione dell’opera per i non vedenti attraverso
l’iconologia2. All’interno del vasto corpus di studi panofskiano3, il
S
e oggi per uno studioso dell’arte la collocazione del proprio
oggetto di studio in un contesto e la contemporanea decifrazione
delle concezioni personali culturali che esso ha in sé, è un metodo
d’analisi ormai consolidato, si può senza alcun dubbio affermare che
questo si deve alle intuizioni del teorico tedesco Erwin Panofsky.
Il metodo di ricerca e interpretazione dei fenomeni artistici da lui
teorizzato, quello iconologico, domina tuttora il dibattito riguardante
gli studi storico-artistici1 e continua a stimolare riflessioni sulle pratiche
volte all’apprendimento della storia dell’arte e nell’ambito della
didattica sperimentale delle arti. Dal 1999 presso il Museo Tattile di
saggio Iconography and Iconology. An introduction to the Study of Reinassance
Art, pubblicato nel 1955 in Meaning in the visual art 4, rappresenta un
punto di arrivo della riflessione di Panofsky sul metodo di indagine
dell’opera d’arte e sancisce la nascita dell’iconologia come disciplina.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
144
numero 3 - Maggio 2011
Quando infatti Erwin Panofsky affidava a questo celebre contributo
la definizione di iconologia come «ramo della storia dell’arte che si
occupa del soggetto o significato delle opere d’arte contrapposto
a quelli che sono i loro valori formali»5, affermava lucidamente
del metodo tripartito le potenzialità del pensiero panofskiano rivolte
all’educazione estetica in presenza di disabilità visiva e l’applicabilità
dei suoi aspetti educativo-pedagogici all’interno del complesso
dibattito su percezione e significazione delle forme dotate di valore
estetico.
che la forma e il contenuto potessero e inevitabilmente dovessero
coesistere per una comunicazione unitaria e approfondita del
fenomeno artistico.
Osserva in proposito Claudia Cieri Via:
L’
educazione
estetica dei non vedenti
è stata negli ultimi anni
al centro di numerosi
studi che hanno visto
la nascita di diversi
contributi teoretici volti
a sviluppare metodi
pedagogici che possano
garantire
non
solo
l’accesso ai beni culturali
ma favorire la formazione
e l’integrazione sociale
dei disabili della vista
all’interno di un or-
L’iconologia, come metodo di studio delle immagini e in
particolare delle opere d’arte si caratterizza sostanzialmente per
un’implicita finalità conoscitiva volta a cogliere nell’immagine e/o
nell’opera d’arte non solo il come o il cosa ma anche il perché dei
fenomeni artistici, indagando sulla genesi, sui diversi aspetti del
loro manifestarsi, in rapporto alla tradizione artistica e letteraria
e al contesto storico-culturale, con un’attenzione infine per i
fenomeni di diffusione e di ricezione6.
Percezione formale, cognizione e interpretazione – il cosa, il come
e il perché – dell’opera d’arte rappresentano quindi i passaggi che
conducono alla sintesi interpretativa cui giunse Panofsky attraverso
l’elaborazione del metodo iconologico e costituiscono l’anello di
congiunzione tra le caratteristiche del suo pensiero e il tema di questo
studio: rintracciare nel percorso che conduce alla sistematizzazione
Roberta Priori
Erwin Panofsky
Vedere attraverso e oltre l’opera d’arte...
145
numero 3 - maggio 2011
mai acquisito riconoscimento della funzione educativa e
psicoriabilitativa dell’esperienza estetica7.
La Secchi sintetizza così:
Su queste premesse opera l’équipe coinvolta nella sezione didattica
del Museo “Anteros” composta da esperti in teoria dell’arte,
psicologia della percezione tattile e ottica, storia e pedagogia
1.
2.
dell’arte, tiflologia e scultura applicata.
3.
La collezione del museo comprende circa quaranta esemplari di
Percezione tattile delle forme e delle strutture (anche ottica in
caso di uso del residuo visivo) = lettura preiconografica10.
Cognizione delle forme e riconoscimento della loro identità =
analisi iconografica11.
Significazione della rappresentazione e sua estensione di senso
= interpretazione iconologica12.
capolavori della pittura dei periodi compresi tra l’età classica e
quella contemporanea: riproduzioni tridimensionali in bassorilievo
Tre livelli interpretativi: livello esterno fenomenico, semantico e
documentario13, dunque, che si rivelano teorie essenziali per un
corretto approccio all’opera d’arte e che vedono «teoria dell’arte,
formalismo, storia degli stili, contenutismo, semiotica e psicologia
della percezione confluire nell’applicazione didattica, adattata alle
esigenze percettive e cognitive dei disabili della vista, del metodo
tripartito panofskiano»14.
A questo punto è necessario ripercorrere seppur brevemente alcuni
passaggi della produzione teorica di Panofsky, soprattutto giovanile,
per comprendere meglio le peculiarità del suo pensiero in merito alla
percezione e cognizione delle immagini all’interno del denso dibattito
teorico sviluppatosi a partire dalla seconda metà del XIX secolo
in Europa e la funzionalità del suo metodo interpretativo rivolta
prospettico di celebri dipinti8, rilievi tecnici, copie di rilievi
rinascimentali, tavole propedeutiche al concetto di stile storico, tavole
funzionali alla comprensione della prospettiva e delle categorie della
rappresentazione9.
La lettura tattile di un bassorilievo avviene in tre fasi.
Queste tre fasi, specifica la Secchi, coincidono con tre
livelli di lettura, correlati e inscindibili, che vengono sempre
rispettati ma praticati in proporzioni diverse. Dopo aver letto
le strutture geometriche nascoste e gli schemi interni della
composizione (analisi preiconografica), riconosciuto i contenuti
convenzionali dell’immagine (analisi iconografica), ed esplorato
il senso dell’opera d’arte (analisi iconologica), il lettore giunge
all’esperienza estetica, anche in relazione al suo pregresso
culturale e alle sue potenzialità percettive.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
146
numero 3 - maggio 2011
all’educazione estetica dei non vedenti e ipovedenti. L’analisi dello
In risposta alle concezioni espresse da Wölfflin, teorico formalista,
stile, della forma e del contenuto di un’opera d’arte ha dominato le
in una conferenza sul problema dello stile nelle arti figurative, tenuta
ricerche teoriche dell’arte e il pensiero panofskiano è stato più volte
il 7 dicembre 1911 presso l’accademia Prussiana delle scienze17,
al centro di aspre e controverse
Panofsky pubblica nel 1915 uno
critiche, rimproverandosi allo
dei suoi primi contributi teorici:
studioso un’interpretazione delDas Problem des Stils in der bildenden
l’opera deficitaria della conoscenza
Kunst 18, che possiamo considerare
dei valori della forma15.
il primo manifesto del suo sistema
L’esigenza di Panofsky, fin dai
interpretativo. In esso affiora
suoi primi scritti, è appunto quella
una precisa critica all’estetica di
di affrontare le questioni cruciali
Wölfflin.
delle ricerche metodologiche della
Le tematiche della conferenza di
Scienza dell’arte (Kunstwissenschaft),
Wölfflin contenevano già le idee
di rintracciare un metodo che
che egli svilupperà in una delle
permetta un approccio alternativo
sue più importanti pubblicazioni:
e complementare all’opera d’arte,
Kunstgeschichtliche Grundbegriffe.
e di codificarlo nell’ambito della
Das Problem der Stilentwicklung in
tradizione della Kunstgeschichte,
der neuren Kunst19. In quest’opeTavola propedeutica alla conoscenza dei concetti prospettici.
intesa come disciplina16.
ra la forza dell’interpretazione
Quando Panofsky, nel secondo decennio del XX secolo, comincia a
formalista, già trattata da Wölfflin in Reinassance und Barock del 1888
scrivere i suoi primi saggi, la disciplina della Storia dell’arte è quasi
in cui affronta il problema dello stile dal Rinascimento al Barocco20,
esclusivamente dominata da parametri di analisi e giudizio formalisti.
sembra raggiungere l’apice21.
Roberta Priori
Vedere attraverso e oltre l’opera d’arte...
147
numero 3 - Maggio 2011
fissi e immutabili essendo essi il risultato di un’interpretazione
attiva e pregni di un profondo significato espressivo.
Lo stile, per Panofsky, si forma dunque non sulle impressioni
visive fisiologiche, ma sulla loro interpretazione23. Già nel modo
in cui si rapporta a Wöllflin, Panofsky manifesta la necessità di
non considerare più separata la forma dal contenuto.
Inoltre, in Das Problem der Stils in der bildenden Kunst, Panofsky,
ancora in opposizione a Wölfflin, traccia una relazione fra il
termine visione e le possibili interpretazioni del suo significato.
Così i vari vocaboli che rimandano all’idea di visione – sehen
(vedere), Auge (occhio), optische (ottico) – se intesi unicamente
nel loro senso letterale, rimangono relegati ad un ambito
meccanicistico, vuotati di ogni significazione che non faccia
riferimento ad una mera funzionalità fisica. Dunque, sostiene
Panofsky,
Tavola propedeutica alla conoscenza dei concetti prospettici
L’approccio critico di Panofsky trova origine nella distinzione
wölffliana fra il contenuto espressivo delle opere d’arte e le
forme che sono i veicoli di tale espressione. Per Wölfflin
le forme dipendono dal modo di vedere e di raffigurare di
tutta un’epoca, cioè dall’“occhio” e non dalla disposizione
individuale degli artisti. «Per Panofsky invece la visione è un
processo fisiologico immutabile nel corso della storia»22: quello
che varia è l’interpretazione di ciò che si vede. Così i modi di
rappresentazione, differenti e tipici per ogni epoca, non sono
colui che ponesse alla base della proprie considerazioni
questo concetto fisiologico - obiettivo della visione, dovrebbe
effettivamente affermare che la visione rientra in una sfera
“inferiore” dell’attività artistica, in una sfera che sta al di qua
dell’espressione, e che essa non ha nulla a che fare col sentimento o
col temperamento […]; ma egli dovrebbe anche ammettere che la
visione in questo senso non svolge ruolo alcuno nella costituzione
di uno stile: l’occhio in quanto organo, che agisce soltanto nella
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
148
numero 3 - Maggio 2011
registrazione della forma ma non per la costituzione della forma,
non sa nulla del “pittorico”, delle “ superfici”, della forma “chiusa”
o della forma “aperta”. La visione nel senso figurato della parola
sta al di qua di qualsiasi espressione, ma anche al di qua di ciò che
Wölfflin denomina “ottica”24.
Panofsky, allora, si domanda: se l’occhio è uno strumento organico
e non psicologico, come sottintenderebbe Wölfflin, possiamo
separare la relazione dell’“occhio” con il mondo dalla relazione
della psiche (Seele) col mondo?25.
Fornendo ai termini che rimandano all’idea di visione (occhio, vedere,
ottico) una connotazione che superi il semplice riferimento all’attività
fisiologica, Panofsky sottolinea il ruolo fondamentale svolto dalla
psiche (Seele). Considerata il “luogo” del sentire e del temperamento,
infatti, la Seele conferisce un contenuto espressivo a ciò che l’occhio
vede, quasi gonfiando ogni lavoro artistico di valori e intenzioni
che superano lo stadio immediatamente fruibile delle forme.
Di conseguenza, lo stile non sembra avere una doppia origine: «una
forma intuitiva priva di significato psicologico» da una parte, e «un
contenuto costituito dallo stato d’animo e interpretabile in termini
espressivi», dall’altra26.
Pertanto, mettendo in correlazione l’intima dimensione
fornita dall’“occhio” e l’elaborazione individuale fornita dalla
Tavola propedeutica alla conoscenza dei concetti prospettici
(figura geometriche)
Seele, Panofsky arriva a dimostrare il ruolo combinato della
rappresentazione e dell’espressione nell’esperienza percettiva.
L’opera d’arte, considerata individualmente o in relazione con
altre immagini, è il risultato di un’interazione fra le categorie
generali della rappresentazione e la Seele individuale. Gli artisti,
Roberta Priori
Vedere attraverso e oltre l’opera d’arte...
149
numero 3 - Maggio 2011
sostiene Panofsky, ognuno dando voce alla propria psiche,
determinano comunque categorie stilistiche generali. Insomma:
l’esigenza espressiva dell’artista, […] si manifesta sì in forme
generali ma anche queste ultime […] derivano da […] una volontà
di forma che in certo modo è immanente a tutta un’epoca e che
si fonda su un atteggiamento fondamentale identico dello spirito,
non dell’occhio27.
Al contrario di Wölfflin, dunque, per Panofsky, per usare una
terminologia che si pone in linea con la critica kantiana, la
singola opera d’arte e l’arte di un periodo sembrano affini come
manifestazioni di una volontà aprioristica di forma e di espressione28.
È in questo senso quindi che per il non vedente nella prassi di
apprendimento dell’opera d’arte la percezione della forma può
avvenire, in una prima fase, proprio attraverso la «denominazione
dei soggetti primari, [l’]apprezzamento dei valori comunicativi
delle forme, l’individuazione di geometrie nascoste e tipologie
stilistiche»29. E, come accade per la relazione fra occhio e psiche, le
categorie generali di Wölfflin ottengono pieno valore solo quando
sono poste in relazione con forme reali e particolari. Per Panofsky
questa relazione crea e allo stesso tempo spiega il problema dello
stile: se la relazione dell’occhio con la Seele sembra essenziale per
Bassorilievo con sottoquadri del Duca Federico
da Montefeltro di Piero della Francesca.
attivare la categoria dello stile e per fornirla di valore analitico ed
euristico, allora questa reale interazione sarebbe anche responsabile
della molteplicià e dell’eterogenità della forma individuale.
Lungi comunque dall’offrire un completo ragionamento sulle
categorie di Wölfflin, Panofsky conclude il suo saggio asserendo
che una spiegazione esaustiva non è in ogni caso possibile perché
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
150
numero 3 - Maggio 2011
Studio delle tecniche di esplorazione tattile con uso di sensori
la causalità non può essere sempre determinata. Tuttavia, continua, anche «se la
conoscenza scientifica non è in grado di rilevare le cause storiche e psicologiche
delle forme generali della raffigurazione artistica, a maggior ragione il suo compito
Roberta Priori
dovrebbe essere quello di indagare il suo senso (Sinn)
metastorico e metapsicologico, cioè di chiedersi che
cosa significhi il fatto che un’epoca raffigura in modo
lineare o pittorico, in superficie o in profondità. Ma
la scienza dell’arte si alienerebbe la possibilità stessa
di porre queste domande, che sono infinitamente
feconde, se, invece di concepire i grandi fenomeni
rappresentativi come imponenti manifestazioni dello
spirito (Geistes), volesse per così dire determinarli
mediante leggi naturali e se volesse vedere in essi
modalità della visione che non sarebbero più in alcun
modo interpretabili»30. L’individuazione del significato
convenzionale e culturale insieme all’individuazione
del tema costituisce un ulteriore passaggio della
lettura dell’opera.
Operare come un teorico della conoscenza, permette
inoltre a Panofsky di assumere il ruolo di interprete.
Da questo punto di osservazione egli è in grado di
considerare (vedere) ciò che sta nell’oggetto e allora
«un gesto involontario, privo di qualsiasi proposito
espressivo può essere espressivo»31. Convalidando il
ruolo dell’interprete contemporaneo delle opere d’arte
Vedere attraverso e oltre l’opera d’arte...
151
numero 3 - maggio 2011
S
di uno stesso artista, o registrando le reazioni estetiche ai vari lavori
dei diversi artisti contemporanei, Panofsky si avvia a determinare
la sostanza e la funzione dei concetti fondamentali della Storia
dell’arte: la determinazione di categorie interpretative; la ricerca dei
principi che regolamentano il rapporto tra l’opera e il suo contesto,
soltanto per citarne qualcuno32. Procede nell’intento, quindi, di
econdo Panofsky: «il più importante rappresentante della vera
filosofia dell’arte può essere considerato Alois Riegl»; è stato lui
ad essere «andato più lontano nella determinazione e nell’applicazione dei concetti fondamentali […]: se lo stesso concetto di
volere artistico (Kunstwollen) è stato coniato da lui, egli ha scoperto
alcune categorie che sono in larga misura adatte a definirlo […].
I suoi concetti di “ottico” e di “tattile” […] mirano già […] a chiarire
un senso che è immanente ai fenomeni artistici»33. Il concetto di
Kunstwollen, allora teorizzato da Riegl nell’opera Stilfragen 34, trova una
determinare le basi teoriche e filosofiche per l’analisi dell’opera e
per la sua comprensione fenomenica attraverso il confronto con la
figura di Alois Riegl.
Sandro Botticelli, Nascita di Venere, e bassorilievo
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
152
numero 3 - maggio 2011
probabile definizione nell’«impulso, tendenza formale impersonale
che orienta l’insieme della produzione artistica delle differenti
epoche storiche»35, una sorta di volere genetico, una necessità intima
quest’ultimo con altri fenomeni e non da una fonte di conoscenza
di ordine superiore: risalire dal punto di vista iconografico alle fonti
di una determinata raffigurazione, far derivare un determinato
complesso di forme dalla storia dei tipi oppure da determinati
influssi, spiegare la realizzazione artistica di un certo maestro
nell’ambito della sua epoca oppure sub specie del suo carattere
individuale, tutto ciò significa mettere i fenomeni in relazione
l’uno con l’altro, nell’ambito del grande complesso globale dei
fenomeni che vanno indagati, e non determinare la loro posizione
e il loro significato da un punto d’Archimede fissato al di fuori
della loro cerchia d’essere36.
che, insieme, genera e condiziona opera e stile. La volontà artistica
interiore, quindi, si fa artefice del progredire stilistico attraverso i
tempi, racchiudendo in sé non soltanto l’atteggiamento spirituale di
un’epoca ma anche gli intenti più profondi dell’artista.
Nello scritto del 1920 intitolato Der Begriff der Kunstwollen, Panofsky
continua la sua riflessione sulle problematiche metodologiche della
scienza dell’arte.
Sebbene il saggio sia anteriore al periodo amburghese, possiamo
sicuramente allinearlo agli scritti teorici che seguiranno e che
costituiranno le basi teoriche del suo pensiero, anche dopo
l’emigrazione negli Stati Uniti. L’inizio dell’opera ci introduce
subito lungo una delle principali linee di riflessione dei primi saggi
teorici di Panofsky:
Panofsky ci avverte subito che la Storia dell’arte dovrebbe riferire
i propri studi anche ad una «conoscenza di ordine superiore»,
piuttosto che rifarsi solamente ad una «conoscenza di ordine
storico». Determinare la posizione e il significato di un fenomeno
d’arte non può prescindere da un’indagine dei fattori esterni ad
essa, occorre infatti un’analisi di diversi fenomeni relazionati tra
loro, nell’ambito dell’intero complesso dei fenomeni che vanno
indagati. Teorizzare di una certezza fondata esclusivamente
sull’apporto informativo della fonte, per esempio, sarebbe come
generare un postulato privo di conferme oggettive.
Nel saggio, Panofsky sottolinea anche come le opere d’arte
fossero ancora tradizionalmente analizzate in relazione alla
Il fatto che gli oggetti artistici affaccino di necessità la pretesa
di venir considerati in modo che non sia semplicemente storico,
costituisce la maledizione e insieme la fortuna della scienza
dell’arte. Una considerazione puramente storica, sia che proceda
rifacendosi esclusivamente al contenuto o alla storia della forma,
spiega il fenomeno opera d’arte solo a partire dalla relazione di
Roberta Priori
Vedere attraverso e oltre l’opera d’arte...
153
numero 3 - Maggio 2011
loro collocazione (ruolo) all’interno di differenti griglie formali
ed iconografiche. Lo studioso è ben consapevole che queste
classificazioni analizzavano i fenomeni artistici prescindendo
dall’opera d’arte in quanto fenomeno intellegibile in sé, osservando
che «non basta spiegare un’opera d’arte [come fa Wölfflin]
rifacendosi ad altre opere d’arte, oppure ad altri eventi accaduti
nella stessa epoca […]: come filosofi dobbiamo prima di tutto
fissare alcuni principi interpretativi che ci mettano in grado di
guardare all’opera d’arte nel suo valore intrinseco»37. Tali principi,
come osserva la Neher, ci forniranno quello che Panofsky definisce
un punto d’Archimede, cioè «uno spunto di spiegazione che fonderà
la Storia dell’arte e che darà alle nostre intuizioni un’urgenza che va
oltre l’opinione contingente e il fatto raccolto»38 « per indicare, così
come scrive Ann Michael Holly, il modo in cui le parole possono
essere in grado di esprimere la potenza ontologica di una singola
rappresentazione visiva»39.
«Si può affermare, che l’attività di Warburg ha mostrato alla storia
dell’arte, per parlare alla Dürer, un neu Künigreich (nuovo regno)
e l’ha dotata dei mezzi per conquistarlo». Così scrive Panofsky nel
necrologio di Aby Warburg, che venne pubblicato in “Hamburger
Fremdenblatt”41 il 28 ottobre 1929, due giorni dopo la scomparsa
dell’amato maestro.
Da qui si può partire per comprendere quanto fondamentale, secondo
Panofsky, sia stato il contributo di Warburg alla storia dell’arte,
quanto peso abbia avuto l’influenza dello studioso nella sua stessa
opera e quanto incisivo sia stato il suo apporto per lo sviluppo di un
approccio contestuale all’opera d’arte. L’indagine storico artistica
di Warburg, infatti,
propende per una
conoscenza contenutistica ed iconografica
dell’opera d’arte.
I suoi scritti,
pubblicati
per
intero nel 1932,
possono consi- E. Panofsky, Working on “Ovide moralisé” in verse
derarsi tra i massimi in Stockholm.
F
ino ad ora risulta evidente rileggendo i saggi giovanili di Erwin
Panofsky quanto il Nostro ricerchi una conciliazione fra l’approccio
formale e quello contenutistico all’opera d’arte soprattutto dal
momento in cui si avvicina alla figura di Aby Warburg40.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
154
numero 3 - Maggio 2011
contributi del tempo agli studi sulla pittura rinascimentale 42.
Già nei primi saggi43 Warburg lascia trasparire in modo evidente
il suo metodo innovatore: l’attenzione all’ermetismo, alla
commistione di diverse culture lo conducono a considerare la
propria ricerca come un «percorso di ricostruzione organica della
creazione artistica»44.
L’immagine nell’opera d’arte è per lui principalmente un aiuto
per l’espressione di una memoria sociale. L’immagine doveva
essere considerata nel suo rapporto con la religione e con i suoi
riti, con la poesia, e cioè legata ad un concetto di cultura inteso
come un tutto, come un insieme articolato e inscindibile.
La frequentazione di Warburg45, durata circa un decennio,
influenzerà gli interessi di Panofsky verso nuovi e più ampi campi
di ricerca.
Nel necrologio, egli sottolinea «l’attenzione assoluta per i
dettagli apparentemente meno significanti, nell’indagine dei quali
[Warburg] scorse sempre la premessa di ogni conoscenza e la
volontà (o meglio necessità) di considerare la storia della cultura
umana come una storia delle passioni umane, che nella loro
orrida semplicità […] rimangono costantemente uguali in uno
strato dell’esistenza solo in apparenza celato dalla civilizzazione
e – che proprio per questo – lo spirito, che conferisce la forma,
deve contemporaneamente manifestare e domare con creazioni
culturali»46.
Ancora: gli scritti redatti tra gli anni Venti e Trenta da Panofsky,
risentono fortemente delle letture e della frequentazione
dell’ambiente che si sviluppa intorno all’istituto Warburg, fondato
nel 1922 e costantemente in collaborazione con le attività del
Kunstistorisches Seminar47.
L’attenzione del pensiero panofskyano trova una nuova direzione:
l’analisi non è più soltanto prettamente formale, ma scandaglia
i motivi che originano l’opera, i riflessi culturali che la rendono
manifestazione di un significato espresso.
L’ interpretazione di Warburg rappresenta, quindi, per Panofsky,
una chiave di volta utile alla trasformazione della storia dell’arte
in una disciplina in cui l’origine dello stile venga considerato
come il risultato di un insieme di condizioni che abbracciano
ogni aspetto dell’esperienza umana e costituisce la base per la
lettura iconologica panofskiana. «Warburg – continua Panofsky
– dovette provare a comprendere storicamente non solo la
letteratura e la teoria dell’arte, ma anche il culto, la lingua, la
filosofia, la matematica e le scienze naturali, in breve, la somma
di quello, che Ernst Cassirer tenterà di fondare sistematicamente
come mondo della “forma simbolica”»48.
Roberta Priori
Vedere attraverso e oltre l’opera d’arte...
155
C
numero 3 - maggio 2011
(1923-1929)50. Come già dal titolo si può dedurre, punto centrale
della filosofia di Cassirer è il simbolo51. Le forme simboliche – la
lingua, il pensiero, l’arte e così via – sono il mezzo attraverso cui
si estrinseca la realtà. Egli investiga «ogni tipo di sforzo umano
senza distinzione, poichè ognuno di essi include, nella sua struttura,
le forme simboliche di cui lo spirito fa uso per comprendere la
realtà»52 e, ancora, sviluppa i percorsi e le ramificazioni delle forme,
assirer e Panofsky furono colleghi all’università di Amburgo
e al Warburg Institute fin dagli inizi degli anni Venti.
Per anni Panofsky si recò a seguire le sue lezioni e un vivace e fertile
scambio di pensiero caratterizzò la loro amicizia.
Cassirer appare come attento interprete neokantiano fin dalle sue
prime pubblicazioni49. Ad Amburgo, negli anni Venti, si dedicherà
alla sua monumentale opera Die Philosophie der Symbolischen Formen
mostrando come uno stesso concetto assuma un diverso significato
Tavole propedeutiche alla conoscenza degli stili Romanico e Gotico
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
156
numero 3 - maggio 2011
in base ai differenti sistemi filosofici in cui esso trova applicazione
come elemento costruttivo.
La teoria di Panofsky sulla Storia dell’arte rispecchia fin da subito
ciò che egli aveva imparato da Cassirer. Diverse saranno le tematiche
che consolideranno il loro sodalizio intellettuale: i comuni interessi
per il neoplatonismo53; l’adesione al programma critico kantiano;
l’idea che i contributi culturali umani debbano essere compresi
nelle loro strutture di fondo, per poterli confrontare in tutte le
loro diverse manifestazioni54. I riflessi della teoria cassireriana
costituiranno per Panofsky un fondamento filosofico che
caratterizzerà l’interpretazione dell’aspetto tematico - oggettivo55
dell’arte e saranno palesati in uno dei suoi saggi teorici più fortunati
e conosciuti: mi riferisco al saggio sulla prospettiva56.
La prospettiva come “forma simbolica” è uno dei saggi più famosi e
significativi tra quelli riguardanti gli anni amburghesi nel quale la
tesi principale esposta da Panofsky è che la prospettiva lineare non
è il solo e naturale modo di rappresentare lo spazio tridimensionale
pittorico, ma anche una convenzione appropriata all’esperienza
occidentale dello spazio. Egli è ben consapevole del fatto che ci
siano stati altri metodi di rappresentazione che hanno cercato di
catturare aspetti della visione trascurati nella prospettiva lineare,
osserva, però, che il modo in cui lo spazio è organizzato nelle
opere d’arte corrisponde alla comprensione teorica dello spazio nel
periodo preso in considerazione. I fuochi della considerazione di
Panofsky sono l’Antichità e il Rinascimento.
È ben nota la sua dimostrazione che gli antichi erano consapevoli
delle curvature prospettiche cui può essere soggetta l’esperienza
visiva basandosi anche su diversi testi filosofici e teoretici, come
quello sull’ottica di Euclide57.
Periodo dopo periodo, Panofsky mette in rapporto il trattamento
artistico delle relazioni spaziali, particolari varianti di prospettive
realizzate dagli artisti di una determinata era, con le tendenze
filosofiche e scientifiche.
Nella forma simbolica si condensano sintomi e problematiche
scientifiche, politiche, religiose ed economiche del periodo che ha
prodotto l’opera d’arte. Si solleva, quindi la possibilità che culture
differenti abbiano inteso il mondo intorno a loro in modi differenti.
Ecco perché «diviene essenziale per le varie epoche e province
dell’arte chiedersi non soltanto se conoscano la prospettiva, ma di
quale prospettiva si tratti»58.
La spiegazione di Panofsky dello sviluppo dello spazio pittorico è
posto in uno schema di sviluppo che termina con il Rinascimento
e che inaugura la moderna concezione matematica dello spazio
inteso come luogo infinito e omogeneo59. Si ritiene che si potrebbe
Roberta Priori
Vedere attraverso e oltre l’opera d’arte...
157
numero 3 - Maggio 2011
perfino comparare la funzione della prospettiva rinascimentale,
continua Panofsky, con quella della filosofia critica60.
Nell’ultima parte del saggio, Panofsky tenta una riconciliazione
in modi diversi fra i principi interpretativi delle parti precedenti e
alcune questioni – quelle relative alla forma e al contenuto – trattate
nei suoi primi contributi teorici. Questa parte, poi, trova una sua
naturale prosecuzione nel manifesto teoretico del 1925, il saggio
intitolato Sul rapporto tra la storia dell’arte e la teoria dell’arte in cui si
ritrova un’esposizione più ampia degli schemi neo-kantiani già
trattati nei saggi precedenti. Prosegue dunque da parte di Panofsky
la teorizzazione di una nuova metodologia critica della Storia
dell’arte: ovvero ciò che può essere considerato uno dei principali
apporti panofskiani alla tradizione del metodo tedesco.
Nei cinque anni che separano questo saggio dal “concetto di
Kunstwollen” c’è stato, nella concezione panofskiana, un mutamento
del modo di intendere e costruire i fondamenti della Storia dell’arte
(Grundbegriffe). L’occasione per il cambiamento è data dal contatto
con Edgard Wind, di cui Panofsky e Cassirer all’università di
Amburgo avevano esaminato la tesi di dottorato. Gli interessi di
Panofsky per il significato intrinseco, per la coerenza e l’antitesi
della coppia obiettivismo/soggettivismo, mutuati da Riegl61,
una riformulazione, diventando antitesi ontologica fra “plenum”
e “forma” (Fülle und Form), antitesi considerata dallo studioso la
categoria fondamentale della realizzazione artistica62. Plenum e forma
costituiscono i due poli entro cui le singole opere d’arte possono
essere situate, «l’incontro tra percezione indiscriminata e capacità di
organizzazione dei dati sensibili»63. Tutto ciò che è un’opera d’arte,
realizza una risoluzione in plenum e forma64, cercando di fornire le
categorie che regolamentano il processo artistico, producendo un
ulteriore spunto fondamentale utile al tentativo di analisi sistematica
del prodotto dell’arte.
Questo breve percorso espositivo su Erwin Panofsky – muovendosi
attraverso i suoi scritti, teorico-metodologici – ha voluto evidenziare
le linee del pensiero critico di uno dei più esimi studiosi di storia
dell’arte che, prima di altri, ha applicato i suoi sforzi nella continua
ricerca dei motivi oggettivi dominanti il prodotto artistico e il suo
significato, non limitandosi esclusivamente all’esame della forma
pura. Panofsky infatti, come abbiamo visto, considera la caratteristica
e l’interpretazione della forma tanto necessaria quanto di pari livello
per un apprezzamento completo dell’opera d’arte, perché essa è «eine
unlöslich verschränkte Einheit seiner Elemente Form, Idee (Motiv
und Bedeutung) und Gehalt ist» [un’indissolubile, intrecciata unità
dei suoi elementi: forma, idea (Motivo e Significato), e contenuto]65.
sono sempre presenti. Quest’ultimo riferimento, però, subisce
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
158
numero 3 - Maggio 2011
Gli scritti sin qui citati vanno intesi allora come i presupposti
epistemologici all’approccio panofskyano alla storia dell’arte, la
genesi tematica e teoretica di quel metodo iconologico che sarà
poi teorizzato nel periodo americano e che offre i presupposti per
un lettura dell’opera in cui caratteristiche strutturali, estetiche e
stilistiche diventano comprensibili e interpretabili per il vedente e
per il non vedente.
E se è vero che l’approccio iconologico verrà coerentemente
sistematizzato solamente nel 193966, è vero anche che i fondamenti
necessari alla sua teorizzazione vanno ricercati proprio nei lavori
degli anni amburghesi, primo fra tutti quel Zum Problem der Beschreibung
und Inhaltsdeutung von Werken der bildenden Kunst pubblicato nel 1932 e
ritenuto uno dei più importanti scritti dell’ultimo periodo tedesco67.
Q
Lettura tattile
concernente i principi generali di raffigurazione»68, sfruttando
quindi, una conoscenza stilistica che esclusivamente un esame
storico può produrre.
Allora una descrizione che si limitasse unicamente all’apprezzamento
formale descriverebbe il prodotto artistico come elemento di una
creazione completamente privo di ogni senso. Ogni descrizione, nota
allora Panofsky, deve trasformare gli elementi costitutivi dell’opera
uesto testo rappresenta il momento culminante
dell’elaborazione critica che sfocierà nella formulazione del metodo
tripartito iconologico.
Per arrivarci Panofsky prende le mosse dalla questione essenziale che
riguarda la pura descrizione di un’opera d’arte. Essa, afferma ancora
il teorico, va necessariamente compiuta non soltanto sulla base delle
percezioni immediate dell’oggetto ma tenendo presente «il sapere
Roberta Priori
Vedere attraverso e oltre l’opera d’arte...
159
numero 3 - Maggio 2011
d’arte in simboli «di qualcosa di raffigurato». Riconoscendo il carico
di valori significativi che muove la creazione artistica.
Atteso questo, l’oggetto della descrizione non può più essere
soltanto la forma ma unitamente ad essa il senso della forma. Senso
che appartiene alla regione che il Nostro definisce “anteriore”.
Una regione in cui resiste l’immediata esperienza esistenziale, le
informazioni immediatamente accessibili perché conosciute, poiché
secondo le parole di Panofsky, “culturalmente consaputo”. Se così
non fosse, citando ancora un esempio inserito nel saggio, «un
uomo che non avesse mai sentito parlare del contenuto dei Vangeli,
riterrebbe probabilmente la Cena di Leonardo la rappresentazione
di un gruppo di commensali piuttosto agitati che fossero in
disaccordo su una faccenda di denaro»69.
Esiste allora un primo strato “primario”, che Panofsky definisce
“regione del senso fenomenico”, intuibile attraverso l’esperienza
esistenziale, e uno strato secondario – la “regione del senso del
significato” – cui possiamo pervenire soltanto in base ad un
sapere tramandato per “via letteraria”. Pertanto, senza precedenti
È chiaro, dunque, come la relazione tra i dati della raffigurazione e
le rappresentazioni dell’esperienza sia il risultato di una familiarità
con i principi generali della raffigurazione che permettono poi la
realizzazione dell’opera. Cioè, come nota il teorico, con la “conoscenza
dello stile” raggiungibile soltanto attraverso una penetrazione della
situazione “storica”. Per dirla con Panofsky, insomma, «un’opera
d’arte estranea, per tempo o per genere, a colui che vuole descriverla,
prima di poter essere descritta, deve venire articolata nella storia
dello stile»70. Intesa così, dunque, la descrizione di un’opera d’arte si
trasforma in un’interpretazione che fa diretto riferimento alla storia
della raffigurazione. E all’intuizione descrittiva nel senso del fenomeno
si affianca l’intuizione iconografica nel senso del significato.
E se per il senso del fenomeno era determinante la conoscenza
dello stile, per il senso del significato ciò che risulta essenziale è la
“conoscenza dei tipi”. E con quest’ultima espressione, “i tipi”,
Panofsky, intende «una raffigurazione in cui un senso fenomenico
determinato si è così saldamente fuso con un determinato senso del
significato da diventare tradizionalmente il veicolo di quest’ultimo»71.
La conoscenza dei tipi, inerisce, allora, a quel bagaglio di fonti che
rimanda alle informazioni vive nella “coscienza del tempo”. La
storia dei tipi, pertanto, ci permette di selezionare quale, tra due
testi probabilmente adatto all’interpretazione dell’opera, sia in realtà
conoscenze letterarie non potremmo comprendere ciò che intendesse
rappresentare Leonardo nel senso del significato. Potremmo invece
soltanto descriverlo limitandoci esclusivamente, e sottolinea Panofsky
“grezzamente”, a ciò che salta subito all’occhio.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
160
numero 3 - Maggio 2011
Sarà pertanto la storia di ciò che ci è stato tramandato a delimitare
il campo delle possibilità interpretative di un opera d’arte.
E se poi la corretta interpretazione arriva a superare lo strato
costituito dal senso del significato, ecco allora che essa si eleva
fino a raggiungere quella regione alta che Panofsky definisce la
«regione del “senso del documento” ovvero la “regione del senso
dell’‘essenza’»75. Così, raggiungendo il suo senso più profondo
e sublime, ogni manifestazione d’arte, superando il suo senso
fenomenico o di significato, raggiunge un contenuto ultimo
“essenziale”, «l’involontaria e inconscia», per dirla con le parole
del Nostro, «autorivelazione di un’atteggiamento di fondo verso il
mondo»76.
Da ciò segue, naturalmente, che il compito dell’interpretazione sia
quello di affondare nello strato ultimo del «senso essenziale». Solo
così essa potrà disvelarne il senso profondo, cogliendo la pienezza
della sua emanazione come testimonianza elevata del «senso unitario
della concezione del mondo»77.
Il senso essenziale, o significato intrinseco o simbolico di un’immagine
dotata di valore estetico, come abbiamo visto, è quindi il punto
di arrivo di un percorso conoscitivo e permette l’integrazione di
persone che attraverso l’arte, intesa come scienza o come storia delle
idee, possono così percepire e interpretare ciò che non vedono.
quello che meglio realizza il senso del suo significato. In una diversa
sezione del saggio, infine, Panofsky, rimandando alle proposizioni
di Heidegger e alle sue considerazioni sul pensiero kantiano72,
arriva all’espressione di un concetto che egli definisce l’«essenza
dell’interpretazione». Muovendosi, infatti, dal concetto generale
desunto da Heidegger per cui «di qualsiasi conoscenza filosofica ciò
che conta non è ciò che essa dice nella proposizione che enuncia,
bensì ciò che di non detto essa propone attraverso ciò che essa
dice»73, e adattandolo al campo della descrizione artistica, Panofsky,
ricava l’assunto per cui una descrizione deve necessariamente
superare lo stadio iniziale della considerazione per valutare quello
più complesso dell’interpretazione.
Esiste però, nell’ambito “pericoloso” dell’interpretazione il rischio
per nulla secondario di incorrere in una descrizione falsata.
Ancora citando Heidegger, allora, il Nostro trova, nella limitazione
dell’arbitrio, il limite a qualsiasi attività interpretativa.
La fonte dell’interpretazione, dunque, deve essere sempre costituita
dalla facoltà conoscitiva e dal patrimonio conoscitivo del soggetto
che compie l’interpretazione, cioè dalla nostra esperienza
esistenziale di vita, quando occorre scoprire semplicemente il
senso del fenomeno, dal nostro sapere letterario quando si tratta
del senso del significato74.
Roberta Priori
Vedere attraverso e oltre l’opera d’arte...
161
numero 3 - Maggio 2011
________________________
determinata dalla conoscenza sensoriale e intellettuale dell’immagine e permette
la condivisione di codici linguistici, semantici e tecnici che hanno il pregio di
arricchire la comunicazione e l’integrazione tra persone vedenti e non vedenti».
L. Secchi, L’educazione estetica per l’Integrazione…, p. 63.
Per una esaustiva e completa bibliografia sulla percezione dei non vedenti
rimando a L. Secchi, L’educazione estetica per l’Integrazione…, pp. 167-173. Per
un’introduzione agli aspetti teoretici pedagogici dell’educazione estetica ed un
panorama delle iniziative rivolte ai non vedenti nell’ambito dei beni culturali in
Italia e in Europa cfr. AA. VV. L’arte a portata di mano. Verso una pedagogia di accesso
ai Beni Culturali senza barriere, Atti del convegno, Portonovo di Ancona 21 – 23
ottobre 2004, Armando editore, Roma 2006.
8
Il bassorilievo prospettico ha origini nel Rinascimento fiorentino e la sua
particolarità è la presenza del sottosquadro, cioè di «profili staccati dal piano di
posa, corrispondenti alle qualità estetiche del disegno, delle linee di contorno e
dei volumi dei corpi. Per questa ragione, spiega la Secchi, il bassorilievo tecnico
mutua le regole della rappresentazione dalla pittura prospettica quattrocentesca
e le traduce in valori tattili. (…) Le ragioni per le quali si è ritenuto opportuno
tradurre la pittura in bassorilievo, a uso delle persone disabili della vista, sono
le seguenti: la pittura prima d’ora era stata avvicinata dalle persone non vedenti
solo mediante descrizioni verbali supportate dall’esplorazione tattile di disegni
a rilievo e ciò non facilitava l’acquisizione, percettiva e cognitiva, dei concetti di
scorcio, spazio prospettico, relazione spazio-temporale tra elementi, contorno,
volume, superficie, valore espressivo ed estetico della forma. Tra disegni a rilievo
e bassorilievi vi è però una significativa complementarietà». Ibid. p. 64. Sulla
realizzazione del bassorilievo tecnico si veda L. Secchi, P. Gualandi, Logiche di
ideazione e realizzazione della pittura tridimensionale per una didattica speciale delle arti, in
AA. VV. L’arte a portata di mano. Verso una pedagogia di accesso ai Beni Culturali senza
barriere…, 2006, pp. 235-245 e L. Secchi, P. Gualandi, Tecniche di rappresentazione
plastica della realtà visiva, in Toccare l’arte. L’educazione estetica di ipovedenti e non vedenti, a
cura di A. Bellini, Armando, Roma 2000. Infine sull’uso descrittivo, informativo
e colmativo della parola cfr. L. Secchi, Tra sensi e intelletto. Cecità e forza dello sguardo
interiore, in “L’integrazione scolastica e sociale”, edizioni Erikson, v. 7, n. 3, giugno
2008.
9
Cfr. L. Secchi, L’educazione estetica per l’Integrazione…, 2004, pp. 63-66.
Tutte le immagini sono state gentilmente concesse dal Museo Tattile di pittura
Antica e Moderna “Anteros” di Bologna, ad eccezione di quelle delle pp. 145
e 154 (Copyright ©2011 Institute for Advanced Study, Princeton).
1
Cfr. C. Cieri Via, Nei dettagli nascosto. Per una storia del pensiero iconologico,
Carocci, Roma 20092.
2
Cfr. L. Secchi, L’educazione estetica per l’Integrazione, Carocci, Roma 2004.
Per un approfondimento sull’istituto e il museo si consiglia la consultazione del
sito www.cavazza.it.
3
L’opera completa di Panofsky, che comprende i primi scritti teorici, quella
svolta ad Amburgo tra il 1921 e il 1933 e quella successiva del periodo statunitense
– quest’ultima redatta quasi esclusivamente in lingua inglese –, comprende
diciassette libri e circa centocinquanta articoli. All’interno della monumentale
opera panofskiana possiamo distinguere tre grandi linee: gli scritti nei quali prevale
la ricerca storico-artistica, quelli dedicati alla teoria dell’arte e quelli riguardanti
la metodologia. La principale fonte bibliografica in lingua italiana sulle opere di
Panofsky, è reperibile in E. Panofsky, Studi di Iconologia, I temi umanistici nell’arte del
Rinascimento, Einaudi, Torino 1975, pp. 349-370, alla quale rimanda anche Gian
Carlo Sciolla in G.C. Sciolla, La critica d’arte del novecento, Utet, Torino 1995, p. 145.
La fonte bibliografica in lingua tedesca, invece, è quella in E. Panofsky, Sinn und
Deutung in der bildenden Kunst, a cura di R. Heidt, DuMont, Köln 1996, pp. 477-491.
4
E. Panofsky, Meaning in the Visual Arts, New York 1955 (trad. it. Il
significato nelle arti visive, Torino 1996). Il testo era già apparso come introduzione
al saggio Studies in Iconology del 1939. Cfr. E. Panofsky, Studies in Iconology, Oxford
University Press, New York 1939 (trad.it. Studi di Iconologia, Einaudi, Torino 1975,
pp. 3-38). Cfr. C. Cieri Via, Nei dettagli nascosto…, pp. 181-199.
5
E. Panofsky, Il significato nelle arti visive…, p. 31.
6
Cfr. C. Cieri Via, Nei dettagli nascosto…, p. 17.
7
A questo proposito aggiunge la Secchi: « La conoscenza della pittura nelle
persone non vedenti rafforza i processi immaginativi e aiuta la comprensione
del mondo della rappresentazione grafica e plastica. Inoltre il rapporto con
il valore estetico dell’immagine predispone alla pratica dell’interpretazione
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - Maggio 2011
für Ästhetik und allgemeine Kunstwissenschaft”, 10, 1915, pp. 460 – 467, trad.
it., Il problema dello stile nelle arti figurative, in La prospettiva come “forma simbolica”
e altri scritti, Feltrinelli, Milano 1994, pp. 145-156. Cfr. S. Tedesco, Il metodo
e la storia, Aesthetica Preprint, Supplementa, Centro internazionale Studi di
Estetica, Palermo 2006, pp. 13-33.
19
H. Wölfflin, Kunstgeschichtliche Grundbegriffe: Das Problem der Stilentwicklung
in der neueren Kunst, München 1915, trad. it., Concetti fondamentali della storia dell’arte,
Longanesi, Milano 1953.
20
H. Wölfflin, Renaissance und Barock, München 1888, trad. it. Rinascimento
e Barocco. Ricerche intorno all’essenza e all’origine dello stile barocco in Italia, Vallecchi,
Firenze 1928.
21
Egli definisce infatti l’opera d’arte come una «storia delle forme
che procede da una continuità interiore dell’evoluzione». H. Wölfflin,
Kunstgeschichtliche Grundbegriffe: Das Problem der Stilentwicklung in der neueren Kunst,
München 1915, trad. it., Concetti fondamentali della storia dell’arte, Longanesi,
Milano 1984, p. 456. Cfr. A. M. Holly, Panofsky and the Foundations of Art
History, Cornell University Press, Ithaca, NY 1984, trad it. Panofsky e i fondamenti
della storia dell’arte, Jaca Book, Milano 1991, p. 38.
22
G.C. Sciolla, La critica d’arte del Novecento…, 1995, p. 127.
23
Cfr. ibid.
24
E. Panofsky, La prospettiva come “forma simbolica” …, p. 149.
25
Ibid., p. 148. «Ma le cose stanno veramente così? Possiamo veramente
dire che sia soltanto il diverso atteggiamento dell’occhio a promuovere ora uno
stile pittorico, ora uno lineare, ora uno stile subordinante, ora uno coordinante?
E anche se ci decidessimo ad esprimerci in questo modo, a chiamare cioè le
possibilità della linearità, ecc. possibilità ottiche, e a definire ciò che determina
la scelta di queste possibilità come un particolare atteggiamento dell’occhio,
potremmo ancora considerare questo “occhio” come uno strumento organico
e per nulla psicologico, e ritenere che sia possible distinguere di principio il
suo rapporto col mondo dal rapporto complessivo dello spirito col mondo?».
26
E. Panofsky, La prospettiva come “forma simbolica” …, p. 146.
27
Ibid., p. 155.
28
Panofsky parla di Ausdruckwillen (volontà espressiva) e Gestaltungswille
(volontà di forma).
10
Questo primo livello di analisi individua «soggetti primari e avviene
attraverso percezione tattile e ottica (in caso di uso del residuo visivo)». Cfr L.
Secchi, L’educazione estetica per l’Integrazione…, 2004, p. 63; R. Arnheim, Aspetti
percettivi dell’arte per i ciechi, in Per la salvezza dell’arte, Feltrinelli, Milano 1994;. R.
L. Gregory, Occhio e cervello. La psicologia del vedere, Il Saggiatore, 1966 Milano; Y.
Hatwell, Elaborazione dei dati spaziali e sviluppo cognitivo dei non vedenti, in AA.VV.,
Vedere con la mente: conoscenza, affettività, adattamento nei non vedenti, a cura di D.
Galati, Franco Angeli, Milano 1992.
11
In questo passaggio si arriva all’individuazione del tema e del suo
significato convenzionale. Cfr. L. Secchi, L’educazione estetica per l’Integrazione…,
2004, p. 74.
12 Ibid., p. 72. In questo terzo livello, conclude la Secchi, «si cerca il significato
intrinseco, simbolico ed estensibile, dell’immagine. Nel confronto tra opere di
medesimo tema iconografico, appartenenti ad epoche e artisti diversi, si svela la
costante risignificazione dei contenuti e delle forme». Ibid., p. 74.
13
Cfr. G.C. Sciolla, La critica d’arte del Novecento…, 1995, p. 132.
14
L. Secchi, L’educazione estetica per l’Integrazione…, 2004, p. 73.
15
Tra questi basti citare l’ espressione coniata da Otto Pächt, esponente
della Nuova Scuola viennese, nel 1964 di “Storia dell’arte per ciechi” per definire
gli indirizzi di studio iconologici.
16 In una lettera a Erbert von Einem datata 1 aprile 1962, Panofsky afferma:
«Con le mie ricerche mi sono proposto non tanto di produrre qualcosa di
“originale”, ma piuttosto, e per quanto hanno potuto le mie forze, di salvare per
il XX secolo il più possibile della tradizione del XIX (Vöge, Riegl, Goldschmidt,
Warburg, perfino un po’ di Friedländer e di Wölfflin). Difatti, è importante che
esistano degli eclettici nella scienza come nell’arte. Sono orgoglioso di aver
imparato dagli studiosi di lingua tedesca e di essere considerato, non a torto,
un rappresentante del metodo tedesco». H. Von Einem, Erwin Panofsky zum
Gedänknis, in “Wallraf-Richartz-Jahrbuch”, XXX, 1968, pp. 362-367.
17
H. Wöllflin, Das Problem des Stils in der bildenden Kunst, in “Sitzungberichte
der Königlichen Preussischen Akademie der Wissenschaften”, XXXI, 1912,
p. 572 e sgg; l’intervento contiene già le idee che saranno sviluppate in
Kunstgeschichtliche Grundbegriff nel 1915.
18
E. Panofsky, Das Problem des Stils in der bildenden Kunst, in “Zeitschrift
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29
L. Secchi, L’educazione estetica per l’Integrazione…, 2004, p. 74.
30
E. Panofsky, La prospettiva come “forma simbolica”…, p. 155.
31
E. Panofsky, La prospettiva come “forma simbolica” …, p. 156.
32
In realtà Panofsky, durante tutto il suo percorso formativo e teorico, si
confronterà sempre con la figura e la portata delle tesi elaborate da Wölfflin. In
non pochi interventi riconosce l’unicità e l’importanza del teorico formalista e
sottolinerà sempre il debito che la moderna disciplina della storia dell’arte ha
nei suoi confronti. Il lavoro di Wölfflin, per esempio, su Albrecht Dürer: Die
Kunst Albrecht Dürer, Bruckmann, Monaco 1905 - trad. it., Albrecht Dürer, Salerno,
Roma 1987 – sarà un riferimento fondamentale e imprescindibile per alcuni
scritti di Panofsky sull’artista; cfr. E. Panofsky, Dürers Stellung zur Antike, in
“Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte”, I, pp. 43-92 (trad. it. Albrecht Dürer e
l’antichità classica, in Il significato nelle arti visive, Einaudi Torino1996, pp. 227-76) e E.
Panofsky, Dürers Darstellungen des Apollo und ihr Verhältnis zu Barbari, in “Jahrbuch
der preussischen Kunstsammlungen”, XLI, 1920, pp. 359-377. Arriverà persino
a dedicargli uno scritto: Heinrich Wölfflin. Zu seinem 60. Geburtstage am 21. Juni
1924, in “Hamburger Fremdenblatt”, 21 giugno 1924. Ancora, negli scritti
amburghesi, Wölfflin sarà un punto di confronto continuo e imprescindibile e
sarà esplicitamente considerato fra i grandi teorici della Storia dell’arte di lingua
tedesca, cfr.. E. Panofsky, Das erste Blatt aus dem «Libro» Giorgio Vasaris; eine Studie
über die Beurteilung der Gotik in der italienischen Renaissance, mit einem Exkurs über zwei
Fassadenprojekte Domenico Beccafumis, in “Städel-Jahrbuch”, VI, pp. 25-72; trad. it.
La prima pagina del «Libro» di Giorgio Vasari, in Il significato nelle arti visive, Torino
1962, pp. 171-224.
33 E. Panofsky, Der Begriff des Kunstwollens, in “Zeitschrift für Ästhetik und
Allgemeine Kunstwissenschaft”, XIV, pp. 321-39; trad. it. Il concetto del «Kunstwollen»,
in La prospettiva come “forma simbolica” e altri scritti, Milano 1994, pp. 157-177, p. 159
e sgg. Sulla “tattilità dell’occhio” e sulla funzione informativa del tatto Alois Riegl
ha lasciato osservazioni molto utili alla riflessione sul ruolo della tattilità nella
teoria dell’arte tra XIX e XX secolo: «Nelle sue analisi sulle forme della visione
e sul Kunstwollen (volontà artistica) troviamo costanti riferimenti alla visione da
lontano e da vicino, oppure alla visione intermedia che permette di bilanciare il
bidimensionalismo visivo con la ricostruzione intellettuale del volume attraverso
l’evocazione della percezione tattile e la comprensione della plasticità dei corpi»,
cfr. L. Secchi, L’educazione estetica per l’Integrazione…, p. 49. «La vista – afferma Riegl
in Grammatica storica delle arti figurative, la raccolta delle lezioni pubblicate dopo la
sua morte nel 1966 – non può penetrare le cose: vede sempre e solamente quella
superficie delle cose che è rivolta verso chi guarda. Cioè l’occhio non vede una
forma tridimensionale, ma una superficie bidimensionale: vede solo l’altezza e la
larghezza, non la profondità. Abbiamo bisogno di un altro senso per convincerci
dell’esistenza della profondità, cioè il tatto. La vista rivela solo l’esistenza della
profondità, ma solamente il tatto può accertarsi della sua forma». Ibidem . Cfr.
A. Riegl, Historische Grammatik der bildenden Künste, tr. it. Grammatica storica delle
arti figurative, Cappelli, Bologna 1983, pp. 360-61. Cfr. A. Von Hildebrand, Il
problema della forma nelle arti figurative, Andrea Pinotti e Fabrizio Scrivano, a cura di,
Aesthetica, Palermo 2001. Cfr. M. Mazzocut-Mis, Voyerismo tattile. Un’estetica dei
valori tattili e visivi, Il Melangolo, Genova 2002.
34
A. Riegl, Stilfragen, Siemens, Berlin 1893; trad. it. Problemi di stile, Feltrinelli,
Milano 1963.
35
D. Arasse, Note sur Alois Riegl et la notion de”volonté d’art”(Kunstwollen), in
“Scolies. Cahiers de recherches de l’Ecole Normale Supérieure”, 2, 1972, pp.
123-32, come sottolineato da G.C. Sciolla, La critica d’arte del Novecento…, pag 16.
36
E. Panofsky, Der Begriff des Kunstwollens, in “Zeitschrift für Ästhetik
und Allgemeine Kunstwissenschaft”, XIV, pp. 321-39. trad. it. Il concetto del
«Kunstwollen», in La prospettiva come “forma simbolica”…, pp. 157-177, p. 157-158.
Per punto di Archimede è generalmente riconosciuto quel principio di certezza
che non trae origine dalle proprie percezioni. La definizione si vuole far risalire a
Cartesio. «Non ci è noto come il termine “punto di vista archimedeo” sia divenuto
un’espressione ricorrente nella teoria della storia dell’arte, ma sappiamo che W.
Worringer già lo usò nel saggio del 1907 Abstraktion und Einfühlung. Cfr. A.M.
Holly, Erwin Panofsky e i fondamenti della storia dell’arte,… 1984, p. 76.
37
A. M. Holly, Panofsky e I fondamenti della storia dell’arte…, pp. 76-77.
38
Cfr. A. Neher, “The Concept of Kunstwollen”, neo-Kantianism, and Erwin
Panofsky’early art theoretical essays, in “Word & Image”, vol. 20, 1, Taylor & Francis
Ltd, Essex 2004, pp. 41-51. Panofsky dichiara che la fondazione della Storia
dell’arte deve essere intesa in termini kantiani e rifacendosi, dunque, al pensiero
del grande filosofo tedesco, indica la sua idea di Kunstwollen: la Storia dell’arte
dovrebbe iniziare un’indagine dentro ciò che può essere individuata come la
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - Maggio 2011
Trascinatori indiscussi e figure cardine dell’ambiente amburghese - definito
uno dei più vivaci centri della Germania prebellica - furono Aby Warburg e
Ernst Cassirer, punti di riferimento fondamentali nell’evoluzione del pensiero
panofskiano.
41
Riedito in E. Panofsky, A. Warburg, in “Repertorium für
Kunstwissenschaft”, LI, 1930, pp. 1 - 4; trad. it. Aby Warburg in E. Panofsky,
Imago pietatis e altri scritti del periodo amburghese (1921-1933)…, pp. 183-188.
42
A. Warburg, Gesammelte Schriften, Die Erneuerung der heidnischen Antike.
Kulturwissenschaftliche Beiträge zur europäischen Renaissance, Teubner, Leipzig- Berlin
1932; trad. it. La rinascita del paganesimo antico. Contributi alla storia della cultura, Nuova
Italia, Firenze 1987, p. 248; cfr. nuova edizione: Id., Opere I-II. La rinascita del
paganesimo antico e altri scritti, I (1889 – 1914); II (1917-1929), a cura di M. Ghelardi,
Aragno, Torino 2004-07. Cfr. C. Cieri Via, Nei dettagli nascosto…, pp. 31-129.
43
A. Warburg, Sandro Botticellis “Geburt der Venus” und “Frühlig”. Eine
Untersuchung über die Vorstellungen von der Antike in der italienischen Frürenaissance, L.
Voss, Hamburg-Leipzig 1893, tr. it. La “nascita di Venere” e la “Primavera”di Sandro
Botticelli. Ricerche sulle immagini dell’antichità nel primo Rinascimento italiano, in La
rinascita del paganesimo antico, 1987, pp. 121 e sgg .
44
L. Secchi, nota introduttiva a E. Panofsky, Imago Pietatis e altri scritti del
periodo amburghese (1921-1933)…, 1998, p. 27.
45
L’attività di Warburg del tutto legata alla fondazione ad Amburgo di
un’originale biblioteca, fu costantemente rivolta alla ricerca comparata. «L’idea
decisiva era che i libri nel loro insieme – ciascuno con la sua maggiore o minore
quantità di informazione e ciascuno potenziato da quelli vicini- potessero guidare
lo studente, attraverso i loro titoli, alla considerazione delle forze fondamentali
dello spirito umano e della sua storia», cfr F. Saxl, The history of Warburg’s Library
(1886/1944) redatto nel 1943, rimasto incompiuto, fu integrato da Gombrich:
cfr. E. H. Gombrich, Aby Warburg: an Intellectual Biography, The Warburg Institute,
London 1978, tr. it. Aby Warburg. Una vita intellettuale, Feltrinelli, Milano 1983. Cfr.
A. M. Holly, Panofsky e I fondamenti della storia dell’arte …, p. 107.
46
E. Panofsky, Imago pietatis e altri scritti del periodo amburghese (19211933)…, p. 184.
47
Tra gli scritti sui motivi iconografici religiosi si segnala: Id., Das
Braunschweiger Domkruzifix und das «Volto Santo» zu Lucca, in Festschrift für Adolph
categoria che equivale all’arte, cercando i “criteri di determinazione”, cogliendoli
in base a concetti fondamentali, dedotti a priori, non attribuirli allo stesso
fenomeno, ma alle condizioni della sua esistenza e del suo essere “così”. Panofsky
crede fermamente che in tal modo si possa pervenire ad una comprensione delle
basi dell’arte “parallela” alla conoscenza empirica formulata da Kant. A suo avviso
i passi più importanti in questa direzione sono stati fatti da Riegl, che sebbene
non riuscì mai a centrare l’argomento direttamente, ha dato la chiave di lettura
con la quale cercare “le leggi inerenti che stanno sotto l’attività artistica”. Osserva
infatti che Riegl «introdusse un concetto che […] doveva designare la somma
o l’unità delle forze creative che in esse si esprimevano, che l’organizzavano sia
formalmente sia contenutisticamente dall’interno: il concetto di “volere artistico”
[Kunstwollen]»; cfr. E. Panofsky, La prospettiva come “forma simbolica”…, 1994, p.
159. Ancora, il concetto di Kunstwollen «definisce le caratteristiche fenomeniche
dell’argomento in questione non in senso generale, come il concetto specifico
scoperto per via astrattiva, ma mediante un concetto fondamentale, che riveli il
senso - significato immanente e che riveli le radici più proprie dell’essenza del
fenomeno»; «[…] il volere artistico non può essere altro che ciò che “sta” (non
per noi, bensì obiettivamente) come un senso ultimo e definitivo nel fenomeno
artistico». Ibid., p. 166. Ciò che abbiamo bisogno di fare nella Storia dell’arte, allora,
è iniziare un’analisi critica o trascendentale dei nostri giudizi sull’arte, allo scopo
di determinare il loro puro contenuto artistico. Panofsky non stava insinuando
che il concetto di Kunstwollen potesse individuare tutte le categorie artistiche, ma
credette che forse poteva fornirci quella centrale perché il Kunstwollen spiegava
come gli elementi della struttura visiva fossero trasformati da processi interni e
specifici all’arte, anche se inizialmente dipendono dalla relazione che la coscienza
stabilisce col mondo.
39
A. M. Holly, Panofsky e I fondamenti della storia dell’arte…, pp. 93.
40
Cfr. T. Lancioni, Il senso e la forma. Il linguaggio delle immagini fra teoria dell’arte
e semiotica, ed. Leonardo, Bologna 2000. Nel 1921 Panofsky viene nominato
Privatdozent e posto alla guida del Kunsthistorisches Seminar di Amburo dove
manterrà questa carica fino al 1926, anno in cui diventerà professore ordinario.
Panofsky si dedicherà all’insegnamento fino al 1933 circondato dai colleghi
Edgar Wind, Charles de Tolnay e manterrà stretti contatti con Fritz Saxl, Rudolf
Wittkower e Gertrud Bing della Kulturwissenschaftliche Bibliothek Warburg.
Roberta Priori
Vedere attraverso e oltre l’opera d’arte...
165
numero 3 - Maggio 2011
53
E. Panofsky, Idea: Ein Beitrag zur Begriffsgeschichte der älteren Kunsttheorie,
G. B. Teubner, Leipzig - Berlin 1924, trad. it. Idea, Contributo alla storia dell’estetica,
La nuova Italia, Firenze 1996. In questo saggio monografico Panofsky esamina
l’evoluzione della nozione platonica d’idea dall’antichità a Bellori. Idea sviluppa in
termini storici ciò che Cassirer aveva sostenuto durante una conferenza, tenutasi
alla biblioteca Warburg, sulla dottrina platonica del bello in arte, pubblicato in
E. Cassirer, Die Idee des Schönen in Platos Dialogen, in “Vorträge der Bibliothek
Warburg”, II, Hamburg 1924.
54
R. Heidt Heller, Erwin Panofsky (1892- 1968), in Altmeister moderner
Kunstgeschichte…, pp. 164-187.
55
R. Heidt Heller, Erwin Panofsky (1892- 1968)…, 1999, p. 168. La Heidt
utilizza per indicare il termine «oggettivo» l’aggettivo tedesco «gegeständlich». C’è
una ben articolata distinzione nella lingua tedesca: mentre das Objekt, letteralmente,
denota un oggetto nel mondo, das Gegenstand, nell’accezione filosofica, invece,
implica la comprensione di un oggetto da parte della mente in modo che esso si
manifesti come una ri - rappresentazione, o elemento per l’analisi.
56
E. Panofsky, Die Perspektive als «simbolische Form», in “Vorträge der
Bibliothek Warburg” 1924-25, Leipzig- Berlin 1927, pp. 258 – 330, trad. it. La
prospettiva come “forma simbolica”, in La prospettiva come “forma simbolica”…, pp. 37-141.
57
Ibid., pp. 46-54.
58
Ibid., p. 50.
59
«Così la grande evoluzione che da uno spazio di aggregati conduce a
uno spazio sistematico giunge a una provvisoria conclusione; ma a sua volta
questa conquista della prospettiva non è altro che una espressione concreta di
ciò che contemporaneamente era stato scoperto dalla filosofia teoretica e dalla
filosofia della natura. […] L’infinità in atto, che per Aristotele non era neppure
concepibile e che per l’alta Scolastica lo era soltanto nella forma dell’onnipotenza
divina, […], ha ormai assunto la forma della Natura naturata. […]. Nonostante
l’afflato mistico, questa concezione dello spazio è già quella che più tardi verrà
razionalizzata da Cartesio e formalizzata nella teoria kantiana». E. Panofsky,
La prospettiva come “forma simbolica”…, pp. 70-71.
60
La prospettiva può essere concepita in termini kantiani sia perché essa
è «come un consolidamento e una sistematizzazione del mondo esterno, sia
come un ampliamento della sfera dell’io», ibid., p. 72. Neher sottolinea nel suo
Goldschmidt zum 60. Geburtstag, Leipzig, pp. 37-44, trad. it. Il crocifisso del duomo di
Braunschweiger e il “volto Santo” di Lucca, in Id., Imago Pietatis e altri scritti del periodo
amburghese, Il Segnalibro, Torino, 1998. Cfr. Id., Bemerkungen zu Dagobert Frey’s
“Michelangelostudien”.., 1921, pp. 35-45. Cfr. E. Panofsky, F. Saxl, Dürers «Melanconia
I»; eine quellen- und typengeschichtliche Untersuchung, Leipzig-Berlin 1923. Cfr. E.
Panofsky, Dürers Stellung zur Antike, in “Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte”,
I, 1921, pp. 43-92, trad. it. Albrecht Dürer e l’antichità classica…, pp. 227-76. Nel
1922 il saggio è stato pubblicato a Vienna. E. Panofsky, F. Saxl, A Late-Antique
Religious Symbol in Works by Holbein and Titian, in “Burlington Magazine”, XLIX,
1926, pp. 177-181; ripubblicato in Meaning in the Visual Arts…; trad. it. L’ «Allegoria
della prudenza» di Tiziano: poscritto, in Il significato nelle arti visive…, pp. 149-168.
48
E. Panofsky, Imago pietatis e altri scritti del periodo amburghese (19211933) …, p. 185.
49
E. Cassirer, Das Erkenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschaft der
neueren Zeit, I - III, Berlin 1906 - 1920; IV, Stuttgart 1957; trad.it., Storia della
filosofia moderna, I: Il problema della conoscenza nella filosofia e nella scienza dall’umanesimo
alla scuola cartesiana; II: Il problema della conoscenza nella filosofia e nella scienza da Bacone
a Kant; III: Il problema della conoscenza nei sistemi postkantiani; IV: Il problema della
conoscenza nei sistemi posthegeliani, Einaudi, Torino 1952, 53, 55, 58.
E. Cassirer, Kants leben und Lehre: Immanuel Kant Werke, Berlin 1918; trad.it. Vita e
dottrina di Kant, La Nuova Italia, Firenze 1977).
50
E. Cassirer, Philosophie der symbolischen Formen, 3 voll., Berlin 1923-1929;
trad. it. Filosofia delle forme simboliche, La Nuova Italia, Firenze: vol.I: Il linguaggio,
1961, 1976; vol. II: Il pensiero mitico, 1964, 1977; vol III/ 1, III/ 2: Fenomenologia
della conoscenza, 1966. Cfr. M. Van Vliet, a cura di, Ernst Cassirer et l’art comme forme
symbolique, PU Rennes, Rennes 2010.
51
Secondo la stessa definizione di Cassirer: «La filosofia delle forme
simboliche non solo cerca le categorie della conoscenza dell’oggetto nella sfera
teoretico - intellettuale, ma parte dal presupposto che simili categorie si debbano
trovare ovunque, così che da un caos di impressioni si formi un cosmo, cioè una
caratteristica e tipica “visione del mondo”». Cfr. E. Cassirer, Filosofia delle forme
simboliche…, 1923-1929, II, p. 43; cit. in A. M. Holly, Panofsky e i fondamenti della
storia dell’arte…, 1991, p. 128.
52
A. M. Holly, Panofsky e i fondamenti della storia dell’arte…, 1991, p. 132.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
166
numero 3 - Maggio 2011
articolo che i saggi panofskiani sulla prospettiva e sulle umane proporzioni
presentano un punto di vista autorevole nei confronti del passato ed hanno un
carattere espressamente ermeneutica; inoltre, la Neher ricorda che il fine dei
due saggi non è normativo, come invece accade nel saggio sul Kunstvollen. Cfr.
A. Neher “The Concept of Kunst wollen”…, 2004, p. 47.
61
Cfr. E. Panofsky, La prospettiva come “forma simbolica” …, pp. 179 e sgg.
62
La prima formulazione dell’antitesi “plenum” “forma” va attribuita a
Wind. Cfr. E. Wind, Zur Systematik der künstlerischen Probleme, in “Zeitschrift für
Ästhetik und allgemeine Kunstwissenschaft”, 18 (1924/1925), pp. 438-486.
63
L. Secchi, L’educazione estetica per l’Integrazione…, 2004, p. 68.
64
E. Panofsky, Über das Verhältnis der Kunstgeschichte zur Kunsttheorie, in
“Zeitschrift für Ästhetik und Allgemeine Kunstwissenschaft”, pp. XVIII, pp.
129-61; trad. it. Sul rapporto tra la storia dell’arte e la teoria dell’arte, in La prospettiva
come “forma simbolica” …, p. 181.
65
R. Heidt Heller, Erwin Panofsky (1862 – 1968) in H. Dilly (a cura di),
Altmeister moderner Kunstgeschichte…, pp. 164-187, p. 164.
66
§ n. 4.
67
Precedente a questo testo è Hercules am Scheidewege und andere antike
Bildstoffe in der neueren Kunst, (Ercole al bivio e altre antiche rappresentazioni nell’arte
nuova, 1930), uno studio delle trasformazioni e propagazioni di un tema classico
(Ercole al bivio) nell’arte medievale rinascimentale. Cfr. G.C. Sciolla, La critica
d’arte del Novecento…, 1995, pp. 131-132.
68
E. Panofsky, La prospettiva come “forma simbolica” …, p. 216.
69
E. Panofsky, ibid., p. 216.
70
Ibid., p. 220
71
Ibid., p. 222
72
M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, Longanesi, Milano, 1973.
E. Panofsky, La prospettiva come “forma simbolica” …, p. 224.
73
74
Ibid., p. 226.
75
Ibid, p. 227.
76
Ibid., p. 228.
77
Ibid. In ultima analisi, a conclusione di saggio Panofsky, inserisce in
Suna tavola sinottica gli elementi indispensabili per una piena e profonda
interpretazione di ogni prodotto artistico.
Roberta Priori
Vedere attraverso e oltre l’opera d’arte...
167
Il Museo negli scritti di
Giulio carlo argan
di Marcella Marrocco
delle arti fondato sulla prospettiva, e di un valore metaforico
dell’immagine urbana, Argan assegnerà un ruolo centrale
proprio ai musei, che come luogo di incontro tra istanze
storiche e istanze estetiche ma anche dell’autenticità dell’opera,
si pongono a suo parere come spazio didattico privilegiato in
cui il cittadino ha la possibilità di educarsi all’esercizio del
giudizio di valore che, come sottolinea lo studioso, è atto
critico, esercizio di libere scelte, in ultima analisi “atto politico”.
Musei scuola certo, ma anche nuova scena urbana, nuova piazza,
luogo di incontro e di scambio culturale, metafora dei valori della
società, nuovo “centro” capace di esercitare sulla città e sulla civitas
un forte potere seduttivo, assumendo all’interno dello spazio
urbano il ruolo un tempo svolto dal tempio, dalla cattedrale, dal
palazzo comunale.
I
musei, il loro allestimento, la loro funzione sociale sono oggetto di studio e di interesse da parte di Giulio Carlo Argan sin
dai primi anni della sua attività di critico e di funzionario delle
Belle Arti, impegnato, sotto il ministero Bottai, nella tutela del
patrimonio artistico1, ma avranno un ruolo centrale anche negli
anni più maturi della sua riflessione critica, quando l’attività di
studioso prima, e di politico poi, lo porterà ad occuparsi della città
Gesammtkunstwerk come oggetto estetico e come soggetto politico.
Nella definizione della sua imago urbis, di un’estetica urbana che
ha i suoi assi portanti nell’identificazione tra storia dell’arte e
storia della città, nel riconoscimento di un “sistema urbano”
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
168
numero 3 - Maggio 2011
Già nel 1938, in occasione di una recensione sul nuovo ordinamento
della Galleria e del Museo della Ceramica di Pesaro, Argan individua
che le varie penalizzazioni cui l’opera è sottoposta all’interno dei
musei, soprattutto l’allontanamento dal luogo per essa pensato e
nella funzione educativa il fine principale del museo, osservando che
immaginato dall’artista, con la conseguente perdita della funzione
l’allestimento museografico, mai mero intervento tecnico, si configura
sociale originaria, sono una sorta di male necessario in nome della
come frutto di giudizio di valore, di
salvaguardia e della tutela.
atto critico. Il museo è il luogo in
Sin da questa prima fase della
cui l’opera viene ricondotta al suo
sua attività di critico e di storico
originale valore e torna ad essere
dell’arte Argan dunque riconosce
testimonianza storica «dei rapporti
ai musei il ruolo fondamentale di
che possono e devono esserci tra
luoghi promotori di cultura, in
l’arte del passato e l’odierna»2.
quanto «luogo di ricerca scientifica
Alla base delle sue considerazioni
e di attività didattiche organizzate»6,
museografiche espresse tra gli anni
luogo di educazione collettiva7
Trenta e Cinquanta3 è dunque la
e centro nevralgico della città
moderna, terreno di incontro tra
ferma convinzione della funzione
l’arte e la civitas, luogo di crescita
pedagogica del museo, concepito
Parigi, Louvre, veduta esterna.
culturale e civile, naturalmente
non solo come luogo in cui si
deputato alla formazione di tutti coloro che, a vari livelli, si occupano
conservano le opere, ma nel quale soprattutto lo storico, secondo il
della progettazione della città.
suo metodo4, mette in atto giudizi critici, opera una selezione, che è
atto critico, non di manufatti ma appunto di valori.
Alla base di quest’idea del museo come scuola8, certamente derivata
Pur riconoscendo validità teorica all’analisi di Benjamin5, Argan
dal pensiero di Read9 e da suggestioni che rimandano ad una lettura
si discosta dalle conclusioni del filosofo tedesco, evidenziando
dell’opera di Dewey, Art as experience, tra gli anni Quaranta e Cinquanta,
Marcella Marrocco
Il Museo negli scritti di Giulio Carlo Argan
169
numero 3 - Maggio 2011
c’è il riconoscimento della
validità di un’educazione
basata sull’esperienza diretta dell’opera d’arte,
ovvero sul ripercorrere
in maniera attiva la storia
dell’esperienza estetica10.
L’arte in tal modo si
configura come foriera di
un processo educativo di
tipo formale ed estetico
che, non più passivo ma
basato sull’esperienza, è
il solo che possa portare
l’uomo, e il cittadino, ad una
matura consapevolezza del
proprio agire nello spazio
G.C. Argan, Intervista sulla fabbrica
dell’arte, a cura di T. Tini, Bari 1980. e nel tempo, quindi del
proprio agire storico11. Da
qui la funzione sociale dell’arte e del museo, sottolinea Argan, e la
consapevolezza che si possa non solo «educare attraverso l’arte» ma
anche – e qui la differenza con Read – «educare all’arte»12.
Il museo allora non può più essere concepito come luogo della
contemplazione estatica, ma come organismo vivo, vitale, attivo,
capace di coinvolgere il visitatore, di farlo diventare attore, non
più solo spettatore, di un processo comunicativo; esso diviene lo
spazio della presa di coscienza e della memoria dei valori sui quali si
riconosce una determinata civiltà e all’interno del quale il cittadino
può ancora cercare la propria identità politica e culturale. Spazio
essenziale all’interno della città contemporanea, contribuisce al
costituirsi della polis, può influenzarne le scelte etiche e le strategie
di sviluppo13. Esiste però un divario profondo tra la funzione che
i musei sono chiamati ad assolvere e lo stato dei musei italiani.
Nell’esercizio
del suo ruolo di
Ispettore centrale,
Argan ne denuncia la crisi, la
loro
incapacità
di portare avanti
il compito educativo e la funzione
socio-politica cui
Roma, Centrale Montemartini.
sono
chiamati.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
170
numero 3 - Maggio2011
Una delle cause
è da rintracciarsi,
secondo il critico,
nella stessa natura
delle
istituzioni
museali italiane,
spesso
ospitate
in edifici storici
all’interno dei
quali ragioni conRovereto, MART, ingresso.
servative e di salvaguardia finiscono per limitare fortemente la flessibilità dello
spazio interno e la sua strutturazione funzionale14.
Già alla fine degli anni Quaranta, in un documento dal titolo I
Musei d’arte moderna e il loro moderno ordinamento15, rimasto inedito e
recentemente pubblicato in un saggio di Valentina Russo, Argan
insiste sulla necessità di costruire nuovi musei come atto necessario alla
valorizzazione delle opere, non più per la loro salvaguardia e tutela ma
come riconoscimento critico della capacità che le opere stesse hanno
di farsi foriere di valori ancora attuali e moderni, della loro capacità di
collocarsi, anche spazialmente e temporalmente, all’interno di strutture
moderne, realizzate secondo codici comunicativi contemporanei.
Da qui la necessità,
accanto
alle
sale
espositive, di laboratori per la ricerca e il
restauro, biblioteche,
fototeche, sale di
consultazione e di
studio, ovvero di
Palermo, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo
tutte quelle strutture Abatellis, cortile interno, veduta esterna.
indispensabili
allo
studio dell’opera come complesso documento storico. Poiché
la ricerca storica è per definizione continuamente in fieri, anche
le strutture museali dovranno allora essere pronte ad accogliere,
attraverso un’organizzazione funzionale e variabile degli spazi,
i risultati dell’attività scientifica, mettere in atto un’esposizione
flessibile, da modificare ed aggiornare coerentemente con gli
sviluppi della ricerca16. In occasione della II Conferenza generale
dell’International Council of Museums, tenutasi a Londra dal 17 al 22
luglio 1950, Argan afferma con forza questo concetto:
È certo che il carattere monumentale dell’edificio rappresenta
sempre un impedimento allo sviluppo di un museo secondo
un razionale programma scientifico e museografico. È perciò
Marcella Marrocco
Il Museo negli scritti di Giulio Carlo Argan
171
numero 3 - Maggio 2011
l’ordinamento
originario
(ma solo laddove esso si
è mantenuto
perfettamente
integro), perché
testimonianza
storica
d el
New York, MOMA, interno.
«gusto raffinatissimo» del tempo19, pur riconoscendo però la possibilità di
migliorare, senza stravolgere, gli allestimenti museografici di
grandi musei, come per esempio il Louvre o gli Uffizi, attraverso
nuovi sistemi di illuminazione e sempre mirando alla costituzione
di un «ambiente neutro»20. La terza tipologia è quella di musei
recentemente allocati in edifici storici, senza che vi sia alcuna
relazione tra le collezioni e il contesto nel quale sono ambientate,
collocazione giustificabile solo se si voglia sottrarre gli edifici
al degrado e all’abbandono, e che può risultare comunque
un’operazione di grande rilievo scientifico, se eseguita con metodo
critico e con rigore filologico. Apprezza, ad esempio, la sistemazione
di Palazzo Abatellis, nell’antico quartiere palermitano della Kalsa,
necessario stabilire i limiti entro i quali la simbiosi di un
monumento e museo deve essere accettata come un’esigenza o
un mezzo per la protezione del patrimonio artistico, e al di là
dei quali deve essere respinta come un’assurda mortificazione
dell’attuale coscienza dei valori artistici. In altri termini si tratta di
distinguere i casi in cui l’unità di monumento e museo, nelle sue
varie gradazioni, costituisce un vero e proprio documento storico,
e i casi in cui è affatto occasionale o ricercata artificiosamente
in forza del decaduto e deprecabile criterio museografico
dell’ambientamento storico dell’opera d’arte17.
Argan ovviamente distingue tra edifici il cui apparato decorativo
costituisce
già
esso
stesso un museo (la cui
efficacia educativa risulta
alquanto limitata, ma per
i quali risulta prevalente,
nell’interesse dei curatori,
la conservazione dell’integrità del documento)18,
e quelli le cui collezioni
sono ab antiquo legate ad
un edificio monumentale,
Roma, MAXXI, interno.
per i quali va rispettato
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
172
numero 3 - Maggio 2011
alla trentennale direzione di Palma Bucarelli23.
La vitalità della Galleria ha avuto per tanti anni un effetto
coinvolgente e trainante sulla vita culturale di Roma24. Un impegno,
quello della Bucarelli per la GNAM,
che in non poche occasioni, denuncia
Argan, si è dovuto scontrare però
con l’ostruzionismo non solo della
politica ma anche di tanti esponenti
del mondo della cultura che non hanno
compreso come, per realizzare un
grande museo d’arte contemporanea,
fosse indispensabile una coraggiosa
e impegnativa strategia culturale,
sostenuta da ingenti investimenti25.
sede dell’allora Museo Nazionale, oggi Galleria Regionale della
Sicilia, ad opera dell’architetto Carlo Scarpa21.
Diverso il discorso per i nuovi musei che dovrebbero essere ospitati
invece in architetture appositamente
realizzate secondo i più moderni
criteri, tenendo presenti le principali
funzioni, quella scientifica e quella
didattica, che sono chiamati ad
assolvere22.
Nella maggior parte dei casi i grandi
musei italiani, lamenta Argan, sono
rimasti fermi nella rigida custodia
di determinati valori estetici, non
hanno aperto le porte alla cultura
Lo stesso ostruzionismo alcuni anni
novecentesca, non hanno messo in
più tardi avrebbe incontrato Argan,
atto una politica mirata all’acquisizione
Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, esterno.
divenuto sindaco di Roma, nel
di opere di artisti contemporanei,
promuovere il progetto di ampliamento della GNAM, che avrebbe
come è accaduto invece nelle principali istituzioni museali straniere,
reso il museo «moderno anche nel disegno e nella funzione»26.
sono rimasti volutamente chiusi alle nuove tendenze della cultura
Argan fu accusato in quell’occasione di voler realizzare un Beauborg
mondiale, e non per mancanza di fondi, ma per «difetto di cultura».
romano. Come egli stesso ribadisce, non si trattava di avversione
Piccola eccezione per tanti anni, nell’arretrato panorama italiano, la
«contro l’arte moderna ma contro l’ipotesi di un museo moderno».
Galleria Nazionale d’Arte Moderna, grazie al personale impegno e
Marcella Marrocco
Il Museo negli scritti di Giulio Carlo Argan
173
numero 3 - Maggio 2011
In realtà, fin dal primo disegno, l’ingrandimento della Galleria non
era pensato come la semplice aggiunta di un certo numero di stanze
ma come un organismo strutturalmente nuovo, in cui l’apparato
informativo, didattico, sociale di animazione sarebbe stato anche
quantitativamente prevalente rispetto alla zona espositiva»27.
Come sottolinea nell’intervista rilasciata ad Achille Bonito Oliva,
il progetto rimase per tanti anni bloccato e l’attività della Galleria
penalizzata.
La vicenda della Galleria Nazionale d’Arte Moderna è esemplare
per comprendere l’orientamento ideologico - culturale di quegli
anni sui musei. Se il museo moderno, ribadisce Argan, deve essere
un luogo dove si fa esperienza diretta dell’arte, esso non può essere
estraneo ai fermenti culturali della modernità né può trascurare
l’importanza metodologica del confronto. Da qui la necessità di
una politica museale che incentivi i lasciti, le donazioni di privati,
gli investimenti nell’acquisizione di opere d’arte straniere28, nella
precisa convinzione che
al museo sacrario e al museo forziere non deve succedere il
museo-collettore, ma il museo laboratorio che documenterà l’arte
come oggetto di ricerca scientifica e la ricerca scientifica stessa, nel
comune rigore delle diverse metodologie29.
Dunque un museo che non teme di «utilizzare» la cultura e l’arte,
che non considera le opere come venerabili reliquie, ma che aspira
a diventare esso stesso propulsore di vita30.
I
n tal senso apprezza anche i musei americani (una particolare
menzione va al Museum of Modern Art di New York, definito
«esemplare»31 e ad Alfred Barr che ne fu il direttore negli anni
precedenti la seconda guerra mondiale32), i quali, pur essendo
strutturati su modelli distanti da quelli europei, si rivelano organismi
funzionanti, «centri vivi di cultura, scuole di educazione estetica,
fortemente legati alla vita della comunità»33.
Argan sostiene a gran voce l’idea di aprire i musei alle città,
di farli divenire luogo di incontro e di crescita, di studio e di
confronto, arricchendoli di strutture adeguate alle nuove funzioni34,
privilegiando in particolare un apparato comunicativo non rigido e
statico, ma problematizzato e interattivo, strutturato secondo criteri
simili a quelli seguiti nelle mostre, che risultano più coinvolgenti nei
confronti del pubblico.
La validità di una mostra sta, a suo avviso, proprio nel suo essere
costantemente supportata da un serio lavoro di ricerca; la sua
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
174
numero 3 - Maggio 2011
funzione è quella di porre dei quesiti, dei problemi, di far parlare
allo stesso tempo scientificamente pertinente, lo spazio espositivo
l’opera d’arte, di farla dialogare con altre opere d’arte, ma anche
museale35.
Si comprende facilmente a questo punto perché Argan avversi,
con il pubblico e con gli studiosi. La mostra dovrebbe essere il
seppure con accenti meno drastici
luogo in cui si cerca di dare delle
del suo collega ed amico Cesare
risposte ai quesiti che le opere
Brandi36, o del francese André
hanno già posto e ove si pongono
altre domande (come avviene in un
Chastel37, tutte quelle mostre che
sistema comunicativo che funzioni
non siano supportate da un serio
realmente e che abbia come fine
lavoro scientifico e che non abbiano
l’accrescimento generale delle cocome fine ultimo il progresso degli
noscenze). La sua validità, come
studi e l’avanzamento della ricerca38.
tale, secondo Argan, sta tutta nella
Proprio perché il fine del museo
capacità che essa ha di funzionare
deve essere quello di promuovere
come ulteriore laboratorio di ricerca
la crescita culturale della comunità,
e di sperimentazione, oltre che come
Argan sottolinea l’importanza di
spazio educativo.
uno stretto collegamento tra museo
Londra, Tate Modern, Turbine Hall.
Anche a livello espositivo, l’allee università, luogo privilegiato
stimento di una mostra può avere
della ricerca, da un lato, museo
utili ricadute sulla sistemazione stabile del museo, nel momento
e tessuto produttivo della città dall’altro. Il riconoscimento del
in cui il lavoro preparatorio e le strategie espositive sperimentate
museo anche come istituzione capace di determinare importanti
per le esposizioni temporanee fungano da laboratorio di ricerca
ricadute sulla vita produttiva della città potrà, secondo Argan, non
museografica, in modo tale da rendere sempre più coinvolgente, e
solo sottrarre alla crisi i musei italiani, ma riconoscere il loro ruolo
Marcella Marrocco
Il Museo negli scritti di Giulio Carlo Argan
175
numero 3 - Maggio 2011
attivo nella valorizzazione dell’immagine urbana39, come egli stesso
chiarisce nel corso di una celebre intervista rilasciata nel 1980.
In questa attribuisce al museo la possibilità di essere, all’interno
della città intesa come opera d’arte totale, un centro propulsore
di crescita per l’intera comunità, luogo dell’educazione estetica
nel quale è possibile ripercorrere criticamente la storia delle forme
attraverso le quali l’uomo ha organizzato la sua esistenza civile e
storicizzata40.
Il museo in tal senso esercita una precisa funzione “politica”,
collabora cioè alla costruzione di una polis moderna e funzionale
nella quale è ancora possibile l’incontro tra il cittadino e i valori
estetici e civici sui quali si fonda il divenire storico di una comunità.
Perché questo possa avvenire è però necessario che i musei si
adeguino all’altezza del loro compito, rendano possibile al loro
pubblico l’esercizio alla comparazione e al confronto, senza i quali
non possono esserci né critica né giudizio di valore, che sono i
fondamenti di una cultura libera e socialmente consapevole, è
inoltre indispensabile che si aprano alla cultura contemporanea e
compiano una necessaria trasformazione da «musei patrimoniali» a
«musei funzionali»41.
Il museo patrimoniale, basato sull’accrescimento delle collezioni,
aveva una sua ragion d’essere all’interno di un sistema capitalistico
teCLa - Rivista
che guardava all’opera d’arte, da un lato come importante e sicura
forma d’investimento, dall’altro come strumento di promozione,
da parte delle società imprenditoriali, della propria immagine, vera
e propria operazione di marketing. Entrato in crisi quel tipo di
organizzazione sociale, non avrebbe più senso un museo, specie se
d’arte contemporanea, basato su un valore, quello della proprietà
dell’oggetto, non più attuale.
Inevitabilmente il nuovo museo deve rispecchiare le nuove
dinamiche della società, che investono tutti i settori della cultura,
e in primo luogo puntare sulla capacità di comunicazione e
sull’attivazione di servizi.
Ad Argan è perfettamente chiaro come il potere del futuro non stia
più nel possesso materiale di beni, ma nella capacità di controllare
e guidare l’informazione e la comunicazione. Il museo può ancora
educare alle libere scelte, al confronto, all’esercizio della critica
come strumento di libertà. Il problema, avverte, non è quello di
educare dall’alto le masse ai valori della cultura e dell’arte contro
l’impoverimento spirituale dilagante e contro la mercificazione
della cultura stessa. Il compito del museo moderno non è quello
di fornire delle alternative di gusto ma di educare all’esercizio della
critica, di porsi come attivatore di crescita e di sviluppo culturale nei
confronti della città. Esso sarà strutturato come una «attrezzatura
temi di Critica e Letteratura artistica
176
numero 3 - Maggio2011
scientifica specializzata per la ricerca estetica»42 e come uno spazio
esposizione permanente45 e, senza mettere in discussione la proprietà
in cui si possa ancora realizzare un incontro reale tra l’artista e il
pubblica del patrimonio culturale, tende a svincolare l’istituzione
suo pubblico, una nuova scena urbana che consenta di utilizzare le
museale da un rigido controllo statale, e a prevedere un sistema di
moderne tecnologie per fare esperienza viva della storia, spazio nel
musei collegati tra loro e con più avanzati istituti e centri di cultura.
quale il visitatore
Un luogo di incontro, sperimentazione e ricerca. La nuova scena
urbana dell’incontro tra l’artista
è costretto a sperimentare, a
e il suo pubblico, tra l’opera
compiere atti percettivi predisposti e controllati da quel
e il suo fruitore, ma anche e
tecnico della percezione che è,
soprattutto, luogo di incontro
oggi l’artista43.
della civitas, nuova piazza, centro
E ancora:
di una polis moderna e funzionale,
che recupera all’interno del
la metodologia, mettere a
museo il suo rapporto con le
punto
l’attrezzatura
della
sperimentazione estetica, ma
radici storiche e umanistiche
deve anche fissare i precedenti
della propria cultura. Ciò da
storici della ricerca; dimostrare
cui il museo moderno non può
che non da oggi gli artisti
prescindere, tanto più nell’epoca
contestano il sistema, anzi hanno
Londra, Tate Modern.
sviluppato entro il sistema (prima
della riproducibilità tecnica
che fosse il sistema a metterli
dell’opera d’arte, è il rapporto
fuori) una critica del sistema44.
con gli originali. Il museo deve rimanere il luogo in cui si fa esperienza
Da questo punto di vista Argan è certamente un precursore. Giunge
dell’originale, dell’autenticità come valore, il luogo in cui l’unicum che è
addirittura a preconizzare un museo nel quale non vi sia alcuna
l’opera continua a intercettare nel presente la nostra coscienza46.
Marcella Marrocco
Il Museo negli scritti di Giulio Carlo Argan
177
numero 3 - Maggio 2011
Perché
il
museo d’arte
contemporanea
possa
assolvere il
suo difficile
compito e diventare però
realmente un
centro propulsore
di
Roma, MAXXI , interno.
vita, cioè non
soltanto un contenitore di opere ma un organismo dinamico,
capace di attivare spinte culturali forti sul tessuto urbano, e dotato
come tale di una sua precisa azione urbanistica, fondamentale è la
sua «localizzazione»47. Argan non ha dubbi sul fatto che il museo
difficile, la cui riuscita non sempre è proporzionale agli investimenti,
sia economici che organizzativi. Anche musei imponenti per il
progetto che li sosteneva e per gli investimenti che vi sono stati
destinati, hanno spesso fallito questo fondamentale obiettivo. Non
a caso egli cita, come esempio significativo, il Beaubourg. Per molti
anni il Centre George Pompidou, con la sua natura volutamente
irriverente, provocatoria, capace di segnare una cesura profonda
con un certo monumentalismo tipico dell’architettura museale48,
è stato l’icona del museo contemporaneo, tappa fondamentale,
come sottolinea Franco Purini, del passaggio dal museo tradizionale, patrimoniale e conservatore, all’odierno museo dell’iperconsumo49.
E, come ogni
icona, è divenuto
oggetto di un
acceso dibattito
culturale.
Argan considera il
Centre Pompidou
una grande macchina organizzaParigi, Centre George Poumpidou, esterno.
tiva, un luogo in
funzionale, contrariamente al museo d’arte antica, tradizionalmente
collocato nei centri storici, possa assolvere al meglio la sua funzione
se collocato in zone periferiche della città. Il museo può divenire
allora non solo luogo di crescita e di formazione, ma una struttura
capace di attivare sul territorio un’intensa attività culturale e di
contrastare l’isolamento delle periferie. Si tratta di un compito
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
178
numero 3 - Maggio 2011
cui si fa un’importante e meritoria operazione di divulgazione
da istituzione culturale, comunque benemerita, a «direttrice
culturale, ma dove l’arte viene «consumata», non «prodotta».
urbana» 50; è risultato incapace di porsi come «centro» urbano,
come «faro che irradia» 51 la città circostante 52.
Il museo parigino cioè, secondo il critico, a dispetto della
sua struttura polifunAngelo Trimarco ha
zionale e della sua
sottolineato a tal proimmagine aperta alla
posito come Argan sia
multiculturalità,
non
stato poco favorevole
è riuscito a proporsi
a quei musei definiti
come spazio critico in
«archisculture» che si
cui l’arte «si fa», non è
impongono sul tessuto
riuscito a trasformarsi in
urbano con la forza
luogo della creatività in
imponente della loro
atto.
immagine, finendo per
A partire dalla sua
offuscare, con la loro
collocazione
urbana,
capacità seduttiva, la
nel centro storico di
percezione delle opere
Parigi,
assolutamente
che vi si conservano 53.
dissonante con la sua
Negli ultimi venti anni
Guggenheim, Bilbao.
struttura in acciaio e
l’immagine e la funzione
cemento, secondo Argan, il Beaubourg non interagisce veramente
del museo nel contesto urbano sono radicalmente mutate.
con la natura del quartiere parigino, non attivando un dialogo
Oggi l’idea di una localizzazione decentrata dei musei
costruttivo con lo spazio urbano, non ha compiuto il salto
d’arte contemporanea è considerata in parte superata.
Marcella Marrocco
Il Museo negli scritti di Giulio Carlo Argan
179
L’
numero 3 - Maggio 2011
architettura dei nuovi musei, o gli interventi di
ammodernamento e ristrutturazione degli antichi, sono quasi tutti
volti al recupero, anche urbanistico, della centralità della funzione
museale54.
La tendenza più diffusa è quella della costruzione di vere sculture
urbane, architetture che si impongono per l’originalità delle loro
forme, per la forza comunicativa della loro immagine e talvolta
sembrano ingaggiare una sfida con le opere che sono chiamate
ad esporre, quasi volessero divenire musei di se stesse55. Proprio
il contrario di quella essenzialità, di quella discrezione formale più
volte invocata da Argan. Dunque nel momento in cui si celebra il
centenario della nascita del grande critico torinese viene spontaneo
interrogarsi sull’attualità della concezione arganiana dei musei.
In attesa di leggere gli atti dei numerosi convegni che si sono
succeduti su questi temi56, ritengo che l’attualità delle tesi arganiane
stia tutta proprio nel riconoscimento di una funzione “urbanistica”
del museo quale possibile «attivatore» di crescita morale e civile
della città, idee forse attuali proprio in quanto allora erano «troppo
avanti», utopistiche57. Lo dimostra lo spazio sempre più ampio che
alla questione del rapporto museo-città viene riservato nell’ambito
del dibattito culturale contemporaneo58.
teCLa - Rivista
Qualunque sia l’idea di museo che si voglia portare avanti oggi,
asettico contenitore architettonico, laboratorio scientifico e di ricerca
o archiscultura che si impone come “logo urbano”, è indubbio che
il museo rappresenti attualmente una delle poche istituzioni capaci
ancora di far valere la propria forza simbolica positiva. Come scrive
Angelo Trimarco sulla scia delle tesi arganiane, il museo come luogo
d’incontro e di crescita civile ma anche di svago e di divertimento,
ha preso il posto un tempo occupato dalle cattedrali o dai palazzi
del potere ed è divenuto il luogo a partire dal quale è stata spesso
ripensata la forma di una città; agisce così da “catalizzatore”, capace
di attivare una ricostruzione dell’identità cittadina59.
In alcune circostanze l’intervento, non stravolgendo e non
modificando completamente la percezione dell’immagine urbana, è
riuscito a porsi come un elemento aggregante e risignificante60. In
molti casi poi la nuova architettura museale è divenuta l’occasione
per attuare un’opera di risanamento del tessuto urbano, recuperando
architetture industriali dismesse e attivando un processo
d’interazione con il territorio circostante, creando all’interno delle
città nuovi percorsi culturali, alternativi rispetto a quelli storici e
tradizionali. Esempio tra i più riusciti di questa nuova tipologia di
architettura museale la Tate Modern di Londra61. Oggetto di analogo
intervento di riuso, anche se di proporzioni più limitate è stata in
temi di Critica e Letteratura artistica
180
numero 3 - Maggio 2011
Italia la Centrale Montemartini, oggi polo decentrato dei Musei
che Argan considerava l’unico ruolo possibile per l’Urbs, quello
Capitolini, realizzato nei locali della prima centrale termoelettrica di
di capitale culturale, con l’apertura di due nuovi grandi musei, il
Roma. Scelto nel 1997 come sede per un’esposizione temporanea
MAXXI e l’ampliamento del MACRO.
dal titolo Le macchine e gli dei, è poi divenuto, a
La struttura architettonica del MAXXI,
partire dal 2005, sede espositiva permanente
aperto al pubblico nel maggio 2010, ma già
delle nuove acquisizioni dell’istituzione
da anni fruibile come work in progress, primo
capitolina e si pone, insieme alla vicina sede
museo in Italia destinato all’architettura e
universitaria di Roma Tre, come importante
alle arti del XXI secolo, va ad innestarsi
centro di sviluppo e di rivalutazione del
sul preesistente complesso militare dell’ex
quartiere Ostiense.
caserma Montello e va ad inserirsi in un
Dopo anni di stasi, durante i quali l’appello
quartiere di Roma, il Flaminio, oggetto
di studiosi come Argan era rimasto
negli ultimi anni di una forte opera di
inascoltato, anche l’Italia ha visto il nascere
risemantizzazione62. Non opera isolata
di nuovi spazi museali destinati all’arte
il MAXXI, ma inserita all’interno di una
contemporanea (dal MART di Rovereto
riqualificazione dell’area, che coinvolge
al MADRE di Napoli, dal Museo d’Arte
anche gli importanti impianti sportivi che
Contemporanea del Castello di Rivoli
vi sorgono, può contare soprattutto sulla
Giulio Carlo Argan in un’immagine
all’ampliamento della GNAM, più volte
forte attrazione esercitata dall’Auditorium
degli anni ’50.
auspicato, come si è già detto, dallo stesso
di Renzo Piano. Il Parco della Musica,
Argan, e per il quale si era battuto da storico dell’arte e da sindaco).
sede della prestigiosa Orchestra Santa Cecilia, infatti, con le sue tre
Negli ultimi mesi Roma, proprio mentre le veniva riconosciuto il
sale, vere casse di risonanza che si aprono nel cielo della capitale,
nuovo status giuridico di Roma Capitale, è tornata a ricoprire quello
affiancate da biblioteche, spazi multimediali, spazi espositivi, ma
Marcella Marrocco
Il Museo negli scritti di Giulio Carlo Argan
181
numero 3 - Maggio 2011
anche bar, ristoranti, bookshop, tende a porsi oggi come uno dei
principali poli culturali della città, luogo di incontro tra la cultura
tradizionale e nuove forme di sperimentazione e di ricerca e sempre
più connotato come spazio ove si attua una continua fusione tra le
varie forme d’arte. In questo contesto, la realizzazione del MAXXI si
inserisce come polo dialettico, capace di dialogare con la prestigiosa
istituzione, come spazio fluido, di passaggio e interconnessione, capace
di determinare insieme ad essa, una forte concentrazione di funzioni
culturali aperte al contemporaneo, in un’area storica della città63.
Nell’intento della progettista c’era l’intenzione di creare un luogo
di svago e di divertimento, che fosse allo stesso tempo luogo
di crescita culturale per i cittadini, offrendo loro un’alternativa
concreta e possibile ai “non luoghi” dei centri commerciali. Il
museo, che non teme di utilizzare materiali moderni come l’acciaio
e il vetro e colori come il rosso, vuole tuttavia dialogare con la
città, creare con essa un continuum, a partire dall’uso del basalto per
la pavimentazione delle terrazze, lo stesso materiale con cui sono
realizzati i marciapiedi di Roma, e dalla presenza sul tetto di fontane
a sfioro, con un richiamo evidente ad “altre” fontane che da secoli
segnano fortemente l’imago urbis.
Ma se musei come la Tate Modern, il British, la nuova sede del
MACRO e per certi versi lo stesso MAXXI, hanno mantenuto,
nonostante la modernità dell’architettura, un rapporto di dialogo
con la storia e il contesto urbano nel quale sono inseriti, diversa
è la valutazione che si può fare a proposito delle cosiddette
«archisculture», architetture museali che tendono invece a rompere,
almeno sul piano architettonico, e quindi visivo, un legame con la
struttura dei vecchi centri urbani e a imporsi con la forza dirompente
del loro impatto estetico.
Certamente il museo che più di tutti ha fatto e fa discutere in tal
senso è il Guggenheim di Bilbao. Simbolo del museo-logo, opera
A
ltro grande evento per Roma l’ampliamento del MACRO,
il Museo dell’Arte Contemporanea di Roma, già inaugurato, ma la
cui apertura definitiva al pubblico è avvenuta il 4 dicembre 2010.
Il nuovo museo progettato da Odile Decq, un parallelepipedo
trasparente dal “cuore rosso”, ha il suo punto di forza nelle terrazze,
concepite, come ha lei stessa dichiarato, come delle piazze-giardini,
come luogo di incontro aperto ai cittadini della capitale.
Ho voluto regalare loro un modo di star bene e d’incontrarsi. Una
nuova forma di piazza, che ricorda le terrazze romane e che emoziona.
Uno spazio che, grazie all’incontro con la cultura, spinge a farsi delle
domande. Non un luogo morto64.
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
182
numero 3 - Maggio 2011
aveva evidenziato l’incapacità di interazione con il contesto urbano
architettonica che certamente è riuscita ad imporsi nell’immaginario
e del quale Ciorra sottolinea il carattere autoreferenziale, processo
collettivo con una forza dirompente, esso è stato tuttavia oggetto
che ha raggiunto il livello massimo con il Guggheneim di Gehry66.
di accesissimi dibattiti e di critiche infiammate. Secondo Joseph
Non a caso il Beaubourg di Renzo Piano e Richard Rogers, il Nuovo
Rykwert, è riuscito a costituirsi non solo come luogo di attrazione
Louvre, ripensato da Ieoh Ming
turistica ma addirittura ha avuto
Pei, e naturalmente il Guggheneim
un effetto altamente positivo nel
di Bilbao sono considerati da
controllo del separatismo basco65.
Franco Purini emblemi dei musei
Eppure il “caso Bilbao” viene
dell’iperconsumo.
considerato da molti studiosi
Un museo, quello dell’iperconsumo,
come punto di arrivo di una
nel quale l’arte viene «consumata»67,
crisi d’identità della tradizionale
al pari di una merce qualunque, in
funzione museale, e di conseguenza
qualche modo opacizzata dalla stessa
della stessa istituzione museo,
architettura museale: quest’ultima
sempre più avviata da un lato verso
tende a porsi come «edificio logo»,
operazioni di marketing turistico
immagine seduttiva ma al tempo
e di utilizzazione commerciale,
stesso scarnificata della città,
dall’altro ormai scollegata dalla
incapace di intessere un osmotico
realtà urbana e dal contesto di
scambio, una vera comunicazione e
riferimento logico, sempre più
Giulio Carlo Argan in un’immagine degli anni ’80.
interazione con il tessuto urbano68.
preoccupata di interagire con la
Questi contenitori accostano generi artistici assolutamente difdimensione “mondo”. Si tratta di un processo che, come sottolinea
ferenti e secondo nessun criterio scientifico o storico. Il rischio
Pippo Ciorra, ha avuto inizio proprio con il Beaubourg, di cui Argan
Marcella Marrocco
Il Museo negli scritti di Giulio Carlo Argan
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numero 3 - Maggio 2011
più forte, avverte Purini, per questi musei, che somigliano molto
ai grandi centri commerciali, è quello della perdita dell’identità
spaziale e temporale; essi non dialogano più con il contesto urbano,
non lo caratterizzano ma lo dominano, divengono icone di una città
metropolitana ma rimangono incapaci, come del resto sosteneva a
gran voce Argan per il Beaubourg, di vivificarlo e di far sì che si attui
quella che è una delle prime funzioni del museo, cioè la costituzione
di uno spazio critico, luogo in cui si fa esperienza “critica” dell’arte.
Viene da chiedersi a questo punto, insieme a Salvatore Settis69,
quale possa essere, nel contesto molteplice del contemporaneo,
che oscilla tra musei-archisculture, macchine dell’iperconsumo
dove la cultura diviene un gadget dal valore aggiunto70 e tendenza
ad una musealizzazione diffusa, che si estende al territorio e agli
spazi urbani e che in nome di una politica conservativa, sottrae,
talvolta con eccessiva facilità l’opera al contesto, de-storicizzandola,
quale possa essere la formula che consente di mediare esigenze
conservative e di tutela, istanze estetiche e funzione educativa.
L’unica risposta possibile sembra essere proprio quel rapporto con
la città, che è rapporto storico, ed è rapporto osmotico e dialettico,
incontro tra il futuro e il preesistente, sul quale può costituirsi la
costruzione di un’identità culturale della civitas moderna71. Rapporto
con la città che è cosa diversissima dalla musealizzazione della città.
Argan, già negli anni ’70, era contrario a mettere in atto un processo
di questo tipo, convinto che l’unico modo per mantenere in vita i
centri storici non fosse quello di relegarli a funzioni turistiche ma
di riportarvi dentro la vita, di potenziarne le funzioni culturali, di
farvi tornare gli abitanti.
Nella riflessione di Settis sembrano riecheggiare, aggiornati alla
situazione contemporanea, gli interrogativi di Argan non solo sulla
funzione, ma addirittura sulla reale capacità di sopravvivenza dei
musei, almeno nella loro forma tradizionale. L’intervento di Settis
sembra muoversi su una sorta di continuum ideale con il percorso
tracciato da Argan. Richiama infatti l’attenzione sul fondamentale
rapporto tra il museo e la città, sostenendo con forza la tesi secondo
cui il museo, quasi come una nuova piazza urbana, si pone come luogo
dell’identità civica, luogo in cui è possibile fare esperienza del senso
di appartenenza ad una comunità politica e ai suoi valori storici72.
Colpisce, quasi a sottolineare questo senso di continuità con
l’idea arganiana di museo e di città, il riferimento ad un «sistema
di relazioni» che è uno dei fondamenti su cui Argan costruisce
l’intera teoria sulla città ma soprattutto l’insistenza sulla necessità
di fare esperienza diretta, attraverso l’arte, dei valori della civitas e
sull’importanza del recupero di una coscienza storica dell’essere
cittadini, certamente favorita dalla fruizione critica, e ovviamente
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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numero 3 - Maggio 2011
libera, del patrimonio artistico, all’interno e fuori dai musei, come
possibilità di salvezza dell’arte e della città.
Già nel 1968 Argan scriveva:
critico militante, sindaco di Roma, Catalogo della Mostra documentaria (Roma, 28
febbraio - 30 aprile 2003), a cura di C. Gamba, Bagatto Libri, Roma, 2003, pp.
31-36; V. Russo, Giulio Carlo Argan. Restauro, critica, scienza, Nardini, Firenze 2009;
M. Serio, Al centro delle strutture di tutela: il rapporto con Bottai, in Giulio Carlo Argan.
Storia dell’arte e politica dei beni culturali, a cura di G. Chiarante, Graffiti, Roma 2002,
pp. 21-27; O. Ferrari, Dalle riforme del ’39 agli anni del dopoguerra, ibid., pp. 28-38.
2 G.C. Argan, L’ordinamento della Galleria e del Museo della Ceramica di Pesaro
(1938) ripubblicato in Id., Promozione delle arti, critica delle forme, tutela delle opere.
Scritti militanti e rari (1930-1942), a cura di C. Gamba, Christian Marinotti
Edizioni, Milano 2009, pp. 226-230: p. 226. In particolare, del nuovo allestimento
della Galleria Argan apprezza la scelta del curatore di esporre solo le opere più
significative sul piano artistico, riservando delle sale didattiche a quelle aventi
puro carattere documentario; loda poi le tinte neutre delle pareti che esaltano
i valori cromatici delle ceramiche esposte, e ancora apprezza l’uso di materiali
moderni per la realizzazione delle teche, attraverso cui si realizza l’attualizzazione
delle opere. Ibid., pp. 228-230.
3 Id., Progetto di Riordinamento della Real Galleria Estense di Modena, (1935), in
“Annali dell’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli”, 12, 2002, pp. 147-161;
Id., Le mostre degli antichi capolavori italiani a Chicago e a New York: la mostra di Chicago,
(1940), in V. Russo Promozione delle arti…, pp. 258-261. Si veda su questi argomenti
anche V. Russo, Museografia e restauro, in Ead., Giulio Carlo Argan. Restauro, critica,
scienza…, pp. 63-70.
4 In merito alla possibilità di applicare all’arte il metodo storico, fondamentale
è il saggio La Storia dell’arte che Argan pubblicherà nel 1969 (Cfr. G.C. Argan,
La storia dell’arte, in “Storia dell’arte”, I, nn. 1-2, 1969, pp. 5-37, ripubblicato in
Id., Storia dell’arte come Storia della città, a cura di B. Contardi, Editori Riuniti, Roma
1984, pp. 19-81), vero e proprio manifesto programmatico del suo pensiero
critico, dedicato «alla venerata memoria di Lionello Venturi ed Erwin Panofsky».
Da Panofsky Argan trae l’assunto secondo cui lo studio dell’arte si pone come
disciplina umanistica, fondata sulle categorie storiche di spazio e tempo (Cfr. La
storia dell’arte come disciplina umanistica, in E. Panofsky., Il significato nelle arti visive,
Einaudi, Torino 1999, pp. 3-28, e Il problema dello stile nelle arti decorative, in Id., La
prospettiva come forma simbolica. E altri scritti, Feltrinelli, Milano 1999, pp. 151-154:
p. 153. Cfr. R. Priori, infra. Per un approfondimento su questo tema si veda S.
La sola possibilità che rimane all’arte di non essere assorbita
e atomizzata dall’apparato tecnologico è di non perdere, di
conservare attraverso il museo il contatto con la propria storia:
proprio perché sia più chiara e portante la sua azione politica
(nel senso di Baudelaire) nel presente. L’arte non deve porsi
come recupero della perduta libertà degli istinti, ma come aspro
processo di liberazione, che ha i suoi precedenti storici ed è ancora
molto lontano dal suo compimento. Non vogliamo la libertà dalla
civiltà-repressione, ma la liberazione della civiltà tecnocratica.
Non vogliamo fermare il progresso, vogliamo che il suo ritmo
batta con il ritmo storico della civiltà73.
______________________
1 La carriera di Argan come conservatore inizia nel 1933 con la nomina ad
ispettore alle Belle Arti, ruolo svolto in primis presso la Soprintendenza all’Arte
Medievale e Moderna di Torino, poi, dall’agosto del 1934, presso la Regia Galleria
Estense di Modena; nel 1935 è trasferito alla Soprintendenza alle Gallerie di
Roma, presso la Direzione Generale Antichità e Belle Arti e, nominato nel 1936
Soprintendente di II classe, viene comandato al Ministero, dove svolgerà la sua
attività fino al 1956, anno della nomina a Professore Straordinario di Storia
dell’Arte Medievale e Moderna presso l’Università di Palermo. Cfr. G.C. Argan,
Intervista sul Novecento, rilasciata a M. Perelman e A. Jaubert, Graffiti editore, Roma
2005, pp. 11-22; Giulio Carlo Argan. Progetto e destino dell’arte, Atti del Convegno
(Roma, 26-28 febbraio 2003) a cura di S. Valeri, in “Storia dell’Arte”, supplemento
al n. 112, settembre-dicembre 2005; Giulio Carlo Argan (1909-1992). Storico dell’arte,
Marcella Marrocco
Il Museo negli scritti di Giulio Carlo Argan
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Tedesco, Panofsky: la scienza dell’arte e il problema del tempo storico, in Id., Il metodo e la
storia, Aesthetica Preprint, Supplementa, Centro internazionale Studi di Estetica,
Palermo 2006, p. 15). «La storia dell’arte è la sola possibile scienza dell’arte» scrive
Argan nel 1969 (G.C. Argan, La storia dell’arte…, p. 21). Sulla scia di Panofsky,
anche per Argan giudicare storicamente un fatto, e l’opera d’arte si pone come il
più elevato esito del fare umano, significa in primo luogo analizzarne la capacità
di funzionare all’interno di un determinato contesto culturale, cogliere il rapporto
tra quel fatto che è l’opera, e innumerevoli altri fatti, evidenziare il rapporto di
necessità intercorrente tra l’opera e la dimensione spazio-temporale di cui è
espressione, riconoscere l’opera d’arte come una struttura complessa, nella quale
interagiscono, con pari efficacia, una parte iconica e una semantica, entrambe
inserite in un rapporto relazionale con la storia della cultura (riconoscere quindi
a pieno titolo la Kulturgeshichte come componente essenziale della storia dell’arte),
accertare se essa è ancora in grado di parlare alle coscienze, di interagire con la
società. Significa quindi porre l’opera non come fatto isolato e casuale, opera
del genio avulsa dal contesto, ma al contrario valutarla come esito complesso e
articolato di un agire finalizzato, che, in quanto tale, si pone come agire storico,
l’espressione più elevata di un complesso sistema relazionale. Il valore aggiunto
dell’opera d’arte, ciò che la rende un unicum, è proprio il bagaglio di esperienze e
conoscenze che è insito nel fare umano, che è un fare storico. «La materia supera
così la propria inerzia, il proprio limite fisico originario; entra in rapporto col
mondo, diventa portatrice di esperienza storica», scrive Argan in Progetto e destino, Il
Saggiatore, Milano 1968, p. 21. Mentre però Panofsky, come sottolinea Salvatore
Tedesco, riconosce all’opera d’arte una doppia natura, che è insieme storica, e
quindi come tale condizionata dal tempo storico, e al tempo stesso sovrastorica,
ovvero proiettata idealmente verso la ricerca di universali e incondizionate
condizioni di validità (Cfr. S. Tedesco, Panofsky: la scienza dell’arte…, p. 18), l’analisi
metodologica di Argan sembrerebbe restringere il proprio campo e limitarsi a
considerare la dimensione storica, spazialmente e temporalmente determinata,
dell’opera d’arte. Mentre quindi Panofsky mira alla costruzione di una teoria
dell’arte che coincida idealmente con la storia dell’arte, il metodo di analisi
proposto da Argan si muove esclusivamente sul piano dell’analisi storica. Scopo
del giudizio storico, scrive Argan, non è l’accertamento dell’artisticità dell’arte,
ma della sua capacità di funzionare all’interno di un dato sistema culturale, che è
un sistema relazionale, della capacità di farsi portatrice di valori che sono valori
culturali di un dato luogo e di un dato tempo, e di verificare la validità o meno
di quei valori ogni qual volta l’opera si sottopone al giudizio della coscienza,
ovvero pretende di costituirsi come ‹‹assoluto presente››. In tal senso, avverte
Argan, la storia dell’arte è una storia speciale in quanto a differenza della storia
politica essa non si compie in assenza bensì in presenza dell’evento. L’Hic et nunc
dell’opera d’arte, il suo esserci e il suo attualizzarsi, il suo divenire sempre presente
al presente della coscienza che la giudica, il suo ‹‹flagrante accadere›› costituiscono
gli elementi che differenziano la storia dell’arte dalla storia in generale (Cfr. G.C.
Argan, La storia dell’arte…, p. 30).
5 Benjamin sosteneva che l’esponibilità cui l’opera era sottoposta nella cultura
contemporanea, anche all’interno dei musei, aveva agevolato il processo di
allontanamento del pubblico dall’opera reale in cambio di una sempre maggiore
diffusione del suo valore iconico. Cfr. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua
riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 2000, pp. 27-29. Sulla stessa linea si muove E.
Migliorini, L’arte e la città, Fiorino, Firenze 1975, pp. 27-30, per il quale il museo
sancisce definitivamente la separazione non più sanabile tra l’opera d’arte e la
città.
6 G.C. Argan, L’arte nel quadro della cultura moderna, in Id., Storia dell’arte come
storia della città…, p. 96.
7 Sulla funzione educativa dei musei nel pensiero di Argan si veda pure C. De
Carli, Argan: L’arte di educare, in Rileggere Argan. L’uomo. Lo storico dell’arte. Il didatta.
Il politico, Atti del Convegno (Bergamo, 19-20 Aprile 2002), a cura di M. Lorandi
e O. Pinessi, Moretti & Vitale, Bergamo 2003, pp. 94-110.
8 G.C. Argan, Il Museo come scuola, in “Comunità”, n. 3, 1949, pp. 64-66; Id.,
La funzione educativa dei musei, s.d. [ma 1951-1954], ACS, Min. Pubbl. Istr., Dir.
Gen. AA.BB.AA., III Div., 1929-1960, b-307, in V. Russo, Giulio Carlo Argan.
Restauro, critica, scienza…. Anche Lionello Venturi era stato un convinto assertore
della finalità strettamente didattica del museo e dell’importanza di un’intensa
collaborazione scuola-museo. Si veda in proposito L. Venturi, I nostri musei d’arte
moderna, in “Ulisse”, anno XI, fasc. XXVII, 1957, p. 1372-1374.
9 Il pensiero di Argan è sostanziato dalla condivisione delle tesi di Herbert
Read, oltre che da una neppure troppo velata accettazione dell’impostazione
didattica del Bauhaus, al cui interno l’artista, come nel caso di Klee, è esso stesso
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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ripropone continuamente come un problema che esige una soluzione nel presente
della nostra coscienza, l’opera d’arte è veramente assoluta, universale, eterna».
16 Secondo Argan le esposizioni dovranno avere tutte le caratteristiche
necessarie alla corretta visione delle opere esposte: dalla neutralità architettonica
e tonale dello spazio espositivo alla presenza di pareti divisorie mobili, dalla
corretta illuminazione, da adattare caso per caso alle opere, alla realizzazione di
intere pareti in vetro, caratteristiche che solo «un’architettura modernissima» e
progettata per tale scopo può avere.
17 G.C. Argan, I musei allestiti in edifici storici, (1950), in V. Russo, Giulio Carlo
Argan. Restauro, critica, scienza…, pp. 151-157: p. 151. Cfr. sullo stesso tema Id.,
L’architettura del museo, in “Casabella - Continuità”, XVIII, 202, agosto-settembre
1954, p. V; Id., Problemi di museografia, ivi, XIX, 207, settembre-ottobre 1955, pp.
64-67.
18 Argan ritiene validi questi criteri soprattutto per i musei d’arte decorativa,
perché la salvaguardia dell’unità documentaria ed estetica tra suppellettili e
struttura architettonica contribuisce a sottolineare la continuità tra arti maggiori
e minori; cita come esempio virtuoso il Museo di S. Martino della Certosa di
Napoli, dove il mantenimento dell’unità armonica tra arti decorative e struttura
del museo non risulta minimamente intaccato dall’applicazione di moderni
criteri di allestimento. A tal proposito non manca di sottolineare l’importanza di
incentivare la nascita e il potenziamento di musei di arte decorativa e applicata, che
potrebbero trovare degno contesto in ville e palazzi di valore artistico sparsi per il
territorio italiano, anch’essi esposti ad un altissimo rischio sul piano conservativo,
e che costituirebbero tra l’altro, un documento importante delle varie tradizioni
artistiche locali. Ibid., p. 153.
19 Ibid., p. 154.
20 Ibid., p. 155.
21 «Per un antico edificio» scrive Argan «non v’è miglior riuso che farne un museo
moderno, è giusto che il lascito storico di una città stia nei vecchi centri. Per Scarpa
era questione di principio, pensava che il restauro rigorosamente filologico di un
monumento e la sistemazione modernissima di un museo potessero benissimo
coesistere e collimare, il principio di metodo dell’operazione era il medesimo: si
trattava sempre di riportare dei testi antichi alla condizione di perfetta attualità
che era anche recupero della loro autenticità. La galleria palermitana, come dello
un educatore, proiettato verso la tensione ideale della ricerca, della continua
innovazione, e per il quale l’educazione artistica non può disgiungersi dalla
continua ricerca di valori, formali ma anche sociali. Cfr. G.C. Argan, Arte, scuola
e città, in “Metro”, n. 15, 1968, pp. 4-12; Id., Il museo d’arte moderna, in “Metro”, n.
14 (1968), pp. 5-11. Argan fu traduttore e curatore dell’opera di H. Read, Educare
con l’arte, a cura di G.C. Argan, Edizioni di Comunità, Roma 1954.
10 Tanto per Argan quanto per Read l’arte contribuisce a sviluppare e potenziare
le capacità espressive dell’uomo, facilitando quel processo di integrazione fra
l’individualità del singolo e la comunità che è caratteristica, e al tempo stesso
condicio sine qua non, di una società democratica. Sulla relazione tra la concezione
educativa del museo e il rapporto con le teorie di Read e Dewey si veda pure
E. Bonfanti, M. Porta, Città, museo e architettura. Il gruppo BBPR nella cultura
architettonica italiana 1932-1970, Vallecchi, Firenze 1973, pp. 150-151.
11 G.C. Argan, Il Museo come scuola…, p. 65.
12 Id., Prefazione a H. Read, Educare con l’arte…, pp. 9-17.
13 Si confrontino su questo punto le tesi arganiane con gli attuali studi di
museologia e si potrà constatare come la posizione del critico torinese sia ancora
oggi di grande attualità. Cfr. G. Pinna, Una storia recente dei musei, in A. Lugli,
G. Pinna, V. Vercelloni, Tre idee di museo, Jaca Book, Milano 2005, p. 10. Sulla
funzione sociale e politica dei musei concorda pure Adalgisa Lugli, che riconosce
al museo del Novecento lo status di «simbolo», «punto di riferimento culturale di
prima grandezza»; cfr. Ead., Museologia, in A. Lugli, G. Pinna, V. Vercelloni, Tre
idee di museo…, p. 48; A. Mottola Molfino, Il libro dei musei, Allemandi, Torino
1991, pp. 147-166.
14 Argan osserva che la monumentalità degli edifici storici che ospitano
importanti collezioni, quando non costituisce essa stessa un unicum, sul piano
storico-documentario, con le opere che vi si conservano, finisce per essere
fortemente limitante nella lettura e nell’interpretazione critica delle opere. Infatti,
l’impossibilità di intervenire sulla distribuzione degli spazi, la loro mancata
organizzazione in chiave funzionale, l’assenza frequente di laboratori, biblioteche,
strumenti didattici, sale destinate a convegni, impedisce ai musei storici italiani di
assolvere alla loro funzione educativa.
15 G.C. Argan, I Musei d’arte e il loro moderno ordinamento, in V. Russo, Giulio
Carlo Argan. Restauro, critica, scienza…, p. 141, osserva che: «Proprio in quanto si
Marcella Marrocco
Il Museo negli scritti di Giulio Carlo Argan
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26 Ibid., p. 41.
27 Ibid.
28 Argan osserva che un museo d’arte contemporanea che non sia in grado di
offrire al suo visitatore, occasionale o abituale, un quadro rappresentativo della
cultura contemporanea che è, per se stessa internazionale e multiculturale, è un
museo che ha fallito la sua primaria funzione, quella educativa e formativa.
29 G.C. Argan, Un Museo non è un deserto, in “L’espresso”, XXI, n. 10, 9 marzo
1975, ripubblicato col titolo Musei Italiani in Id., Occasioni di critica, a cura di B.
Contardi, Editori Riuniti, Roma 1981, pp. 48-49. Su questo tema si veda A.
Mottola Molfino, Il libro dei musei…, pp. 147-166. La studiosa cita più volte le
opinioni di Argan (ibid., p. 157, p. 162) in merito all’indebolimento delle funzioni
culturali del museo, determinato dalle sempre più pressanti esigenze turistiche, e
alla necessità di potenziarne la «funzione scientifico - culturale - didattica». Non
condivide però l’idea arganiana del museo come scuola. Cfr. ibid., p. 129.
30 G.C. Argan., La crisi dei musei italiani, in “Ulisse”, anno XI, fasc. XXVII
(1957), pp. 1397-1410, p. 1398.
31 Id., I musei d’arte e il loro moderno ordinamento…, p. 144.
32 Id., Musei d’arte moderna, in Museo perché, museo come…, p. 39.
33 Id., La crisi dei musei italiani…, p. 1399.
34 Argan avanza anche l’ipotesi di dotare i musei di mense, luoghi di ristoro,
librerie che possano rendere più confortevole la permanenza degli studiosi
all’interno dei musei, precorrendo per certi aspetti la Legge Ronchey sui servizi
aggiuntivi. Si veda in proposito G.C. Argan, Il museo come problema architettonico e
urbanistico, s.d., in V. Russo, Giulio Carlo Argan. Restauro, critica, scienza…, pp. 158-161.
35 Id., Musei d’arte moderna…, p. 45. Cfr. Id., La crisi dei musei italiani…, pp.
1400-1401: «Ma è certamente possibile avvicinare la struttura interna del museo
a quella della mostra: evitare le sistemazioni fisse e monumentali, gli ordinamenti
rigidi, le presentazioni solenni e immutabili».
36 C. Brandi, Il problema delle esposizioni, in “Ulisse”, anno XI; fasc. XXVII,
(1957), pp. 1383-1391.
37 A. Chastel, L’uso della storia dell’arte, Laterza, Roma - Bari 1982, pp. 94-102.
38 Lo studioso condivide con Brandi la convinzione che, in ogni caso,
l’organizzazione di una mostra debba essere subordinata alla messa in stato di
sicurezza e alle ragioni di conservazione dell’opera. Cfr. G.C. Argan, La crisi dei
stesso Scarpa il museo veronese di Castelvecchio, è un esempio di quella che
potrebbe parere, ma non è, una coincidenza di contrari: l’antico e il moderno,
Scarpa sapeva fare della puntuale critica dei testi un’invenzione artistica». Cfr.
G.C. Argan, Introduzione, in G.C. Argan, V. Abbate, E. Battisti, Palazzo Abatellis,
Novecento, Palermo 1991, p. 8.
22 Argan, in qualità di Ispettore Centrale al Ministero della Pubblica istruzione
sottolinea la necessità di associare alla struttura conservativa dei musei italiani
la funzione didattica, di dotare i musei di un direttore tecnico-scientifico con
competenze didattiche, di potenziare le mostre, di collegare l’attività del museo
alla produzione industriale e alle scuole d’arte, di dotare i musei italiani, sulla falsa
riga di quelli americani, di uno staff tecnico specializzato nell’allestimento delle
esposizioni. Cfr. Id., La funzione educativa dei musei (ACS, Ministero della Pubblica
Istruzione, Dir. Gen. AA.BB.AA., III Div., 1929-1960, b. 307), s.d. [ma 19511954], in V. Russo, Giulio Carlo Argan, Restauro, critica, scienza…, pp. 145-148.
23 Alla direttrice Argan riconosce il merito di avere colto l’importanza della
trasformazione del museo in uno spazio funzionale, di aver dato voce, nei limiti
del possibile, e pur nel rispetto dell’italianità dell’istituzione, ad una prospettiva
internazionale, l’unica possibile per un museo che aspiri a essere espressione di
una cultura moderna, mondiale e globalizzata, e ancora di aver aperto le porte alle
donazioni di artisti come Burri, Capogrossi, Fontana e di aver esposto Pollock,
Rothko, Mondrian, Picasso, Klee e tanti altri. Per l’ attività di Palma Bucarelli cfr.
Palma Bucarelli: il museo come avanguardia, catalogo della mostra (Roma, 26 giugno
2009 - 17 gennaio 2010), a cura di M. Margozzi, Electa, Milano 2009.
24 A. Bonito Oliva, Care istituzioni. Intervista a Giulio Carlo Argan, in “Figure”,
fasc. 2-3, 1982, pp. 19-25.
25 G.C. Argan, Musei d’arte moderna, in Museo perché, museo come, De Luca, Roma
1980, pp. 39-40, osserva che non era stata compresa l’importante funzione di un
museo d’arte contemporanea per la crescita culturale della Capitale. L’Italia era
rimasta per decenni indifferente davanti alle opere dei grandi maestri dell’arte
contemporanea e si era lasciata spesso sfuggire opere di Manet, di Cézanne, di
Matisse, di Picasso, e non solo per colpa dello stato ma per la responsabilità
di tanti studiosi che non avevano fatto propria la battaglia per l’arte moderna,
che non avevano aperto le porte del museo alle donazioni private dei grandi
industriali del Nord.
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temi di Critica e Letteratura artistica
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comproprietà. Sarà un luogo attrezzato per la sperimentazione ad alto livello sui
processi della comunicazione; dotato di apparecchiature scientifiche moderne,
di un’estrema adattabilità, di una grande disponibilità di spazio e di mezzi. Sarà
manovrato da una numerosa equipe di specialisti e di ricercatori. Sarà in rapporto
con tutti i rami della ricerca scientifica e tecnologica. Sarà, infine, un centro di
ricerca al cui funzionamento (e non gestione, come vorrebbero alcuni artisti
ragionieri) dovranno partecipare, come nella scuola, tutte le “componenti”:
artisti, critici, tecnici, consumatori. Sarà dunque una struttura capace di rinnovarsi
continuamente, col proprio movimento stesso».
44 Ibid.
45 Id., Un’idea di Roma…, pp. 75-76.
46 Id., Musei d’arte moderna…, p. 43. Cfr. Id., La Storia dell’arte…, p. 30.
47 Id., Musei d’arte moderna…, p. 43.
48 Sul valore urbanistico del Beaubourg si veda R. Piano, Giornale di bordo,
Passigli Editore, Firenze 2005, p. 28.
49 F. Purini, I musei dell’iperconsumo, in Museums. Next generation. Il futuro dei musei,
Catalogo della Mostra (Roma 21 settembre 2006 - 29 ottobre 2007), a cura di P.
Ciorra, D. Tchou, Electa, Milano 2006, pp. 51-55: p. 5; un’interpretazione analoga
del Beaubourg è quella che si può leggere in S. Suma, Nuovi musei tra iperconsumo e
ipertrofia, in Il museo all’opera. Trasformazioni e prospettive del museo d’arte contemporanea,
a cura di S. Zuliani, Bruno Mondadori, Milano 2006, pp. 103-109.
50 Diversa è l’opinione di A. Mottola Molfino, Il libro dei musei…, p. 239.
51 G.C. Argan, Musei d’arte moderna…, p. 39.
52 Laddove invece la vocazione urbanistica è fortemente rivendicata da Renzo
Piano: l’architetto ne sottolinea la capacità incisiva sul territorio e, al contrario di
Argan, considera la collocazione del museo al centro della città indispensabile allo
svolgimento della sua funzione urbana. Cfr. R. Piano, Giornale di bordo…, p. 30.
53 «Agli inizi degli anni Ottanta dell’altro secolo – e dunque sul limitare dei
due millenni – ad Argan il nesso arte-architettura-città è sembrato ineludibile a
condizione appunto che il museo diventi scena urbana, uno spazio vitale della
città. Essenziale diviene perciò, nella sua riflessione la scelta del luogo. La sua
speranza – è anche utopia – è che il museo della nostra contemporaneità, che
distingue da quello d’arte antica, ospitato nei palazzi antichi del centro storico,
nato dal farsi del lavoro quotidiano degli artisti, deve abitare una zona residenziale
musei italiani…, pp. 1397-1410, in particolare pp. 1400-1401.
39 Ibid., pp. 1406-1407. Sul ruolo riconosciuto da Argan ai musei scrive M.
Calvesi, Giulio Carlo Argan, in Giulio Carlo Argan. 1909-1992. Storico dell’arte,
critico militante…, p. 14: «Al vertice della visione estetica di Argan si collocava
l’idea (utopica se confrontata al presente, ma storicamente incarnata nei grandi
modelli del Rinascimento) della città dell’uomo. Non una città-museo, ma una
città dove i musei-scuola fossero il documento della pregnanza storica e civile
dell’arte, e dell’arte mostrassero l’organico sistema, ovvero un sistema-guida
della produzione, dal dipinto o dalla scultura all’oggetto di arredo e delle arti
minori, e da queste matrici formali all’organizzazione dello spazio architettonico
e urbanistico, e cioè appunto della città».
40 «[I musei] non devono servire a ricoverare opere d’arte sfrattate o costrette
a battere il marciapiede del mercato. Non avrebbero spazio bastante e non è
questo il loro compito. Dovrebbero essere istituti scientifici o di ricerca, con una
funzione didattica aggiunta; ed essere i grandi e i piccoli nodi della rete disciplinare
dell’archeologia e della storia dell’arte. Poche opere esposte permanentemente,
anche nessuna; molto personale scientifico, ma studiosi aperti e non “conservatori”;
molte mostre piccole e grandi, a rotazione, con il materiale dei musei integrato
da prestiti. Nessuna dipendenza da ministeri e direzioni generali: gestione diretta
da parte di uno scelto personale tecnico-scientifico. Modello per l’uso di quella
veramente Gesamtkunstwerk che è la città. In altre parole il museo non dovrebbe
essere il ritiro o il collocamento a riposo delle opere d’arte ma il loro passaggio
allo stato laicale, cioè allo stato di bene della comunità: il luogo in cui davanti
alle opere non si prende una posizione di estasi ammirativa, ma di critica o di
attribuzione di valore». G.C. Argan, Intervista sulla fabbrica dell’arte, a cura di T.
Trini, Laterza, Roma-Bari 1980, pp. 124-125.
41 Id., Musei d’arte moderna…, p. 43. Cfr. Id., Il museo d’arte moderna, in “Metro”,
n. 14 (1968), pp. 5-11; Id., Un’idea di Roma, intervista di Mino Monicelli, Editori
Riuniti, Roma 1979, p. 76.
42 Id., Il museo d’arte moderna…, p. 9.
43 Ibid., p. 10: «Il museo di domani, il museo di massa, non sarà più una mostra
permanente di oggetti riscattati dal piano della merce a quello di modello di valore,
dalla proprietà del privato a quella della comunità; e proposti ad un’amministrazione
che, in ultima analisi, sarà soltanto la sublimazione del compiacimento della
Marcella Marrocco
Il Museo negli scritti di Giulio Carlo Argan
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nel 2002 dall’Accademia Nazionale di S. Luca in collaborazione con la DARC
e la Triennale di Milano e coordinata da Franco Purini (si vedano I musei
dell’iperconsumo. Materiali di studio, Atti del Convegno Internazionale (Roma, 21
marzo 2002), a cura di P. Ciorra, S. Suma, Accademia Nazionale di San Luca,
Roma 2003; il convegno Il museo all’opera. Trasformazioni e prospettive del museo d’arte
contemporanea, tenutosi a Salerno il 25-26 novembre 2005, promosso dalla Cattedra
di Museologia dell’Università degli Studi di Salerno e dalla Fondazione Filiberto
Menna; il convegno Il Futuro dei Musei tenutosi a San Pietroburgo il 30 giugno
2006; la mostra tenutasi dal 21 settembre al 29 ottobre 2006 al MAXXI di Roma
dal titolo Musei nel XXI secolo. Idee, progetti, edifici (su quest’ultima si veda Museums.
Next generation…).
59 Cfr. A. Trimarco, Post-storia…, pp. 64-65.
60 Si pensi alla cupola di vetro e acciaio del British Museum, realizzata nel 2000
da Norman Foster, che mentre realizza all’interno del celebre museo londinese
spazi destinati ai cosiddetti servizi aggiuntivi, crea al contempo una forma
architettonica che, attraverso la trasparenza del vetro, pone in comunicazione le
rovine greche con il cielo della metropoli contemporanea e realizza una sorta di
agorà interna al museo, luogo di incontro e di comunicazione.
61 La Tate Modern, a Londra, realizzata nel 2000 da Herzog e de Meuron
recuperando la struttura della dismessa centrale elettrica di Bankside, è riuscita
ad attivare una ri-segnificazione del territorio – la realizzazione è parte di un più
ampio progetto di riqualificazione del Waterfront fluviale della città, ai margini dei
Docklands – sottolineata pure dalla contemporanea costruzione del Millennium Bridge,
opera di Norman Foster, ponte che collega fisicamente e prospetticamente la Tate
alla cattedrale di St. Paul, ma anche il tempio londinese dell’arte contemporanea
alla City, cuore produttivo e finanziario di Londra, istituendo così un ponte ideale
tra passato e futuro, tradizione e modernità, cultura ed economia. Sulla specificità
dell’intervento architettonico si veda K. Powell, Tate Modern, in Id., New London
architecture…, pp. 76-77; Id., Millennium Bridge, ibid., pp. 40-41; Millennium Bridge, in
N. Foster, Catalogue. Foster and Partners…, pp. 204-205. Anche F. Purini, I musei
dell’iperconsumo…, p. 55, riconosce alla Tate Modern la capacità di costituirsi come
spazio capace di creare un dialogo significativo tra passato e contemporaneità
all’interno del tessuto urbano londinese, un museo attivatore di cultura, «che non
consuma la città».
di massa, prossima alla città, un’area ampia e disseminata nel sociale. Per Argan è
dunque più importante la collocazione urbanistica che l’immagine architettonica
del museo, da pensarsi invece come «effimera, labile, volumetrica», in grado di
accogliere funzioni e servizi informativi sempre più complessi». Cfr. A. Trimarco,
Il museo. Arte e decostruzione, in Id., Post-storia. Il sistema dell’arte, Editori Riuniti,
Roma 2004, p. 67.
54 M.C. Taylor, Dalla semplicità alla complessità: come cambia l’architettura museale,
in Capolavori del Guggenheim. Il grande collezionismo da Renoir a Warhol, Catalogo della
Mostra (Roma, 4 marzo - 5 giugno 2005), a cura di E. Siciliano, L. Dennison,
Skira, Milano 2005, pp. 33-41; F. Dal Co, Il Guggenheim Museum: da tempio dell’arte
non-oggettiva a museo globale, ibid., pp. 43-51.
55 Si veda in proposito anche A. Trimarco, Post-storia…, p. 64: «Così il
Guggenheim Bilbao Museoa, oltre ad essere un’archiscultura, in antagonismo, si è
detto riduttivamente, con l’arte – espone in maniera flagrante se stesso piuttosto
che rispettosamente, il lavoro dell’arte – si pone anche, al culmine di una parabola
inaugurata negli anni Settanta dal Centre Pompidou, come «catalizzatore delle
trasformazioni urbane».
56 Si fa riferimento alle iniziative e ai convegni promossi dal Comitato
Nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Giulio Carlo Argan e
in particolare al Convegno in onore di Giulio Carlo Argan, promosso dall’Accademia
Nazionale dei Lincei, tenutosi a Roma il 19 novembre 2009 (con interventi di
Salvatore Settis e Marisa Dalai Emiliani su Argan, il museo e la conservazione
dei Beni Culturali); il Convegno Arte, Città, Politica. La battaglia per la cultura di
Giulio Carlo Argan, Roma, 16 giugno 2010, promosso dall’associazione Bianchi
Bandinelli; il Convegno internazionale promosso sempre dal Comitato Nazionale
per le celebrazioni del centenario e dalla Fondazione Bruno Zevi sul tema:
Progettare per non essere progettati: Giulio Carlo Argan, Bruno Zevi e l’architettura, tenutosi
a Roma il 28 settembre 2010 presso l’Auditorium del MAXXI.
57 Cfr. M. Calvesi, Giulio Carlo Argan…, p. 14; E. Bonfanti, M. Porta, Città,
museo e architettura…, p. 151 e nota 154; A. Trimarco, Post-storia…, p. 67.
58 Si ricordino, fra le numerose iniziative, registrate negli ultimi anni, la mostra
Musei per un nuovo millennio. Idee, progetti edifici (Cfr. Musei per un nuovo millennio, Idee,
Progetti Edifici, a cura di V. Magnago Lampugnani, A. Sachsa, Monaco - Londra
- New York 2001); la ricerca e il convegno su I musei dell’iperconsumo, promosso
teCLa - Rivista
temi di Critica e Letteratura artistica
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72 S. Settis, Ma il museo ha un futuro?…, p. 53.
73 G.C. Argan, Il museo d’arte moderna…, p. 10.
62 A. Vittorini, Il contesto urbano, il concorso, l’avvio dei lavori, in MAXXI. Museo
Nazionale delle Arti del XXI Secolo, a cura di P. Baldi, Electa, Milano 2006; Ead.,
Una nuova centralità per l’area flaminia, ibid., pp. 66-69.
63 Cfr. S. Settis, Roma al futuro, in MAXXI…, pp. 28-31; P. Baldi, La missione
istituzionale, ibid., pp. 33-35.
64 L’incontro-Odile Decq, contro l’archistar system, a cura di F. Giuliani, in “la
Repubblica”, 26 ottobre 2010.
65 Cfr. J. Rykwert, La seduzione del luogo. Storia e futuro della città…, pp. 295297. Sulla funzione svolta dal Guggenheim di Bilbao concorda pure M. Carta,
Bilbao: rinnovamento urbano ad Abaidoibarra, in Id., Next city: culture city, Meltemi,
Roma 2004, pp. 89-91, che considera l’edificazione del Guggenheim di Gehry come
«l’azione pilota» di un piano di intervento volto al recupero delle aree urbane
dismesse e al potenziamento della cultura urbana come risorsa per lo sviluppo
e la crescita economica e sociale della città, a partire dalla riscoperta dell’identità
geografica del luogo, in particolare dalla valorizzazione del waterfront.
66 P. Ciorra, No Building no party? La prossima generazione di musei, in Museums.
Next generation…, pp. 10-15.
67 Cfr. A. Bonito Oliva, Musei. I supergadget nella città del 2000, in “la Repubblica”,
16 ottobre 2006.
68 F. Purini, I musei dell’iperconsumo, in Museums. Next generation…, pp. 51-55: p. 51.
69 S. Settis, Ma il museo ha un futuro?, estratto dall’intervento al convegno Il
futuro dei musei tenutosi a San Pietroburgo il 30 giugno 2006, in “la Repubblica”,
30 giugno 2006, p. 53.
70 Si veda in proposito A. Bonito Oliva, Musei. I supergadget…, pp. 34-35.
71 Esempio interessante in Italia è quello del Museo MADRE di Napoli. La
scelta fortemente voluta di concepire uno spazio per l’arte contemporanea come
«museo aperto» nel cuore pulsante e vivo di una città storica come Napoli si è
tradotta in un intervento dal forte significato urbanistico. Il museo infatti sorge
all’interno dell’antico Palazzo Donnaregina, in pieno centro storico, ristrutturato
e restaurato per l’occasione da Alvaro Siza, che ha curato un intervento discreto,
quasi invisibile, dettato, come sottolinea Gravagnuolo (L’architettura dei musei
d’arte…, p. 34) «dalla volontà di cancellare piuttosto che di aggiungere», riuscendo
a realizzare uno spazio che dialoga con il centro della città, senza lacerarne il
tessuto storico.
Marcella Marrocco
Il Museo negli scritti di Giulio Carlo Argan
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