IK-00 THE SPACES OF CONFINEMENT 7 JUNE – 24 AUGUST 2014 CURATED BY KATERINA CHUCHALINA CASA DEI TRE OCI GIUDECCA – ZITELLE VENICE In this project a number of international artists focus on an architecture of exclusion, exploring ways of documenting and witnessing institutional spaces designed to punish and sometimes correct individuals who have been separated from the rest of society. Prisons, asylums and other correctional facilities are in constant evolution, ideologically, structurally and architecturally, encapsulating whole narrative structures of violence and resistance. How is a space of confinement produced? How can itbe witnessed? In what way can it can be documented and visualised? The spatial syntax of a prison is a distorted mixture of fantasy and reality. The artists in the exhibition reflect on spaces of constraint, confinement, and containment. The functional aspects of these spaces are beyond the visible; they are distanced both spatially and temporally from the fluid existence of those on the outside. However, these places of enclosure do not exist separately from the everyday. Their construction engenders a complex set of psychological patterns that connect to the human condition of all of us. Michel Foucault used the Panopticon, conceived by philosopher and social theorist Jeremy Bentham in 1793, ‘to reform prisoners, to treat patients, to instruct schoolchildren, to confine the insane and to put beggars and idlers to work.’ Its principle, based on the hyper visibility of the prisoners in contrast to the invisibility of their warden, is widely recognised as a scheme rather than architecture to denote a combination of lines of visibility that forms relations of power. With a rapidly increasing number of those being held in confinement, contemporary prisons are being built in unprecedented numbers — spaces that are monitored with new technologies of control and observation. This new reality produces not only new spaces but also new vision techniques and new realm of imaginary made up through documenting devices of surveillance systems. The enclosed space is now demystified and deterritorialised, prisons are mirrors of society as well as its counter-image and projection surface. The artists trace these processes and reveal the spaces of confinement as laboratories for anthropological and technical experiments testing behavioural patterns as well as manipulative tools. The enclosure of the prison is often juxtaposed by its position in the landscape. Prisons often act as visually dominant reminders of colonial occupation, power structures. The landscape of some prison locations can act as a further form of separation from a habitable world and lack of incentive to escape into it. The artists explore the limits of the documentation and politics of seeing, working with remote territories of ‘natural’ prisons like those of the former Gulag camps. The few surviving landscapes of some Sovietera camp prisoners exhibited are both artworks and testaments of enduring the invisible maximum-security walls of the landscape. La mostra è un progetto collettivo internazionale in cui gli artisti sono stati chiamati a riflettere sull’architettura dell’esclusione, alla ricerca di modi diversi per documentare e testimoniare gli spazi istituzionali destinati a punire e talvolta a correggere gli individui attraverso la loro separazione dal resto della società. Prigioni, manicomi e altri istituti correttivi sono in costante evoluzione dal punto di vista ideologico, strutturale e architettonico, racchiudendo intere storie di violenza e resistenza. Come nasce uno spazio di reclusione? Come può essere testimoniato? In che modo esso può essere documentato e visualizzato? La sintassi spaziale di una prigione è una miscela distorta di fantasia e realtà. Gli artisti in mostra riflettono su questi spazi di costrizione, reclusione e isolamento, i cui meccanismi funzionali restano dietro al visibile, data la divisione sia spaziale che temporale dalla vita che scorre al di fuori. Tuttavia, questo non vuol dire che tali spazi abbiano un’esistenza totalmente svincolata dal nostro quotidiano. La loro costruzione genera una serie di schemi psicologici complessi che fanno parte della condizione umana di ognuno di noi. Michel Foucault ha utilizzato il Panopticon, ideato dal filosofo e sociologo inglese Jeremy Bentham nel 1793, “per trasformare i prigionieri, medicare i pazienti, educare i bambini, isolare i pazzi e per dare un lavoro ai mendicanti e ai fannulloni.” Il principio del Panopticon, basato sulla sovraesposizione dei prigionieri in contrasto con lo sguardo invisibile dei loro sorveglianti, nascosti all’interno della torre, è ampiamente riconosciuto come uno schema mentale ancor più che architettonico, per esemplificare l’insieme delle prospettive e dei punti di vista che forma le relazioni di potere. Al rapido incremento dei detenuti, ha fatto seguito una crescita nella costruzione delle prigioni che non ha precedenti — spazi che vengono monitorati con nuove tecnologie di controllo e di sorveglianza. Questa nuova realtà non produce solo nuovi spazi ma anche nuove tecniche di osservazione e nuovi mondi dell’immaginario che emergono dagli strumenti di documentazione dei sistemi di sorveglianza. Lo spazio chiuso ed isolato della prigione viene allora demistificato e deterritorializzato, le prigioni diventano specchio della società e allo stesso tempo sua controfigura e proiezione. Gli artisti riflettono su questi processi ed utilizzano gli spazi dell’isolamento come laboratori per esperimenti antropologici e tecnici che mettano in luce schemi di comportamento e strumenti di manipolazione individuale. È possibile ritrovare il clima ostile della prigione nella sua integrazione con il paesaggio circostante. Le prigioni spesso agiscono come ricordo visuale dell’occupazione coloniale o di altre istituzioni del potere dominante. Il paesaggio ostile e il clima rigido in cui sono state costruite alcune prigioni possono agire come ulteriore mezzo di separazione dal mondo esterno, abitabile, e allo stesso tempo scoraggiare la fuga verso di esso. Gli artisti esplorano i limiti della documentazione e le politiche di rappresentazione di queste realtà, lavorando con i territori remoti delle prigioni “naturali” come quelle dei primi campi Gulag. In mostra ritroviamo quei pochi paesaggi superstiti, disegnati da alcuni prigionieri dei Gulag in età sovietica, che sono insieme opere d’arte e testimonianza del tentativo di affrontare i muri invisibili di massima sicurezza del paesaggio circostante. GROUND FLOOR MAP 6 1. David Ter-Oganyan 2. Donovan Wylie 3. Conor MacGrady 4. Valentin Fetisov 5. Rebecca Lazier 6./14. 5 2 4 2 1 Bookshop 2 3 Rossella Biscotti 1. David Ter-Oganyan — Barrier, 2009 Site-specific installation Courtesy the artist In ordinary life, similar structures indicate one’s entrance into a zone of heightened risk, in which the speed, manner and direction of movement are distorted in line with the logic of coercion. It is an architectural detail familiar to any citizen with experience of spending time in an airport, at a demonstration, a football match, or in a bank, which has been taken out of its context by the artist and transformed into a labyrinth, reconstructing the psychophysical impact of a sojourn in situations of control, surveillance or constraint. In his work, David Ter-Oganyan has removed all the content from the social scenario of a police corridor, focusing the viewer’s attention on the bodily interaction with disciplinary space. 1. David Ter-Oganyan — Barriere, 2009 Installazione site-specific Courtesy dell’artista L’installazione di David Ter-Oganian è la ricostruzione di un ordinario dispositivo spaziale che si usa per gestire la folla. Nella vita quotidiana simili costruzioni indicano l’ingresso in uno spazio di massima sicurezza, in cui la velocità, il moto e la sua direzione sono alterati dalle logiche della coercizione. Questo elemento architettonico, familiare a tutti i cittadini abituati a passare del tempo negli aeroporti o in banca, nelle manifestazioni o nelle partite di calcio, viene decontestualizzato dall’artista e diventa nello spazio espositivo una specie di labirinto che ricrea la sensazione psicofisica di trovarsi in uno spazio chiuso e di essere sorvegliato, osservato o costretto. David Ter-Oganian nella sua opera cancella qualsiasi contenuto allusivo allo scenario sociale di un corridoio di questura e concentra l’attenzione sul contatto fisico dell’uomo con lo spazio inflitto dalla disciplina. 2. Donovan Wylie — From the series The Maze, 2004 Digital c-print colour, inkjet print colour Courtesy of the artist and Magnum Photos The Maze Prison, built in 1976-1978, was an attempt by the British Government to create an architectural solution to the armed conflict in Northern Ireland. It held political prisoners sentenced under the emergency legislation of 1972. In over thirty years of the conflict, 10.000 people passed through the Maze, one third of them lifers, with the average age of prisoners being 26 years old. The prison became also known as «the H-blocks» as it consisted of eight identical cell blocks, each in the shape of an H — functional prefabricated concrete cubic structures made up of a series of separated or self-contained cell units that duplicated facilities. These «H-blocks» became synonymous with the political conflict, its potent symbol. The experience of documenting prison space seldom coincides with the event, forever being at a distance, either physical or temporal. Donovan Wylie was an attentive visitor of an abandoned prison — documenting, or rather measuring its space with the help of photography. His pictures present us with merely functional shots, only those angles that were provided for by the architecture of the prison to aid observation. His perspective is that of the prison warden; each meter of the territory examined, each corner and empty square courtyard, is a potential scene and theatre of warfare. Among Wylie’s photos, there is a shot of the prison from above, taken by a satellite — a method often employed to verify the goings on in territories inaccessible in normal circumstances. For the history of prison architecture, this is quite indicative, as discussion in such matters always turns around the ground plan — whether it be of the radial, telephone pole, or block system. 2. Donovan Wylie — Dalla serie del carcere Maze, 2004 Stampa digitale c-print Courtesy dell’artista e di Magnum Photos Il carcere di Maze costruito nel 1976-1978 rappresentava un tentativo del governo britannico di creare una soluzione architettonica al conflitto a fuoco nell’Irlanda del Nord. Ci scontavano la pena i prigionieri politici condannati per la legislazione d’emergenza del 1972. Durante i trent’anni del conflitto, da Maze sono passate più di 10 000 persone, di cui un terzo condannate alla reclusione a vita, mentre l’età media dei detenuti era di 26 anni. Il carcere è diventato noto anche come “blocchi-H” poiché consisteva di 8 blocchi identici di celle a forma di H — funzionali strutture cubiche prefabbricate, composte da una serie di celle separate con doppi servizi. Questi “blocchi-H” sono diventati sinonimi del conflitto politico e uno dei suoi simboli più potenti. Il momento della documentazione dello spazio carcerario rarissimamente coincide con l’evento stesso, ma di solito avviene a distanza fisica o temporale. Donovan Wylie fu un ospite attento che ha ripercorso il carcere abbandonato, documentando o meglio misurando lo spazio stesso attraverso la fotografia. Le fotografie ci forniscono solo inquadrature funzionali, le angolature previste per l’osservazione dalla stessa architettura del carcere. Il punto di vista dell’artista qui è quello delle guardie: fissano ogni millimetro del territorio, ogni angolo, il quadrato deserto del cortile che potrebbe diventare palcoscenico o campo di battaglia. Tra le fotografie di Wylie ce n’è una fatta dall’alto, dal satellite — un metodo che si usa per portare alla luce territori inaccessibili. Essa è importante per la storia dell’architettura carceraria poiché solitamente le discussioni si svolgono intorno al piano terra dell’edificio. 3. Conor MacGrady — Eternal Summer, 2009 — The Nation Builders, 2010 — From the series Structure (VI, IV, VIII, IX, X, XI), 2012 — Red Cell, 2012 Gouache on paper Courtesy of the artist, Saltworks Gallery and Carol Jazzar Contemporary Art The work of Conor MacGrady examines the role of authority in contemporary society. In particular, it explores how power manifests itself in individuals and nation states and how it translates into symbols, iconography, actions and a sense of self and place. Rural landscapes examine the duality implicit in areas that are repositories of the romantic ideal and yet contain hidden threats. The drawings from ‘Structure’ refer to structures that are built to enclose, encapsulate, or fortify, on the idea of architecture as a means to contain and control and affect a sense of social order. They follow on from the artist’s background in Northern Ireland and his idea of Irish prisons as a drainage system, for the containment and removal of subversive or unwanted populations. The predominance of white space in the drawings references ideas of removal, disappearance, or absence. Alongside the architecture of the prison, these structures reference bunkers and military installations. In some ways they are the converse of the spatial dynamics in the large drawings. They represent dense and constricted space — space that is supposed to inspire fear, dread, repression and even, to a certain extent, terror, whereas in the large works the space is that of the panopticon, where terrain is subject to visual domination. These pieces too, reference the panoptical state, where all activity is subject to surveillance and constant monitoring. Key to all of these works is the idea of ideological enclosure — the current global paradox of openness and mobility on one hand, and immigrant detention centres, rising nationalism and the barricading of Fortress Europe on the other. 3. Conor MacGrady — L’eterna estate, 2009 — I Costruttori della Nazione, 2010 — Dalla serie Struttura (VI, IV, VIII, IX, X, XI), 2012 — Cella Rossa, 2012 Acquerello su carta Courtesy dell’artista, di Saltworks Gallery e di Carol Jazzar Contemporary Art L’opera di Conor MacGrady analizza il ruolo dell’autorità nella società di oggi ed esplora in particolare come si manifesta il potere negli uomini e negli stati, come esso si traduce in simboli, iconografie, azioni, identità di sé e del luogo. Nei paesaggi rurali MacGrady studia il doppio carattere dei luoghi che dovrebbero rappresentare ideali romantici ma che nascondono pericoli. I disegni dalla serie Struttura si riferiscono alle strutture costruite per recludere, per incapsulare o fortificare. Queste strutture sono basate su un’idea di architettura che serve a trattenere, a controllare e a manifestare l’ideale dell’ordine sociale. Questa è una delle conseguenze del passato dell’Irlanda del nord dell’artista e della sua visione sulle carceri irlandesi che assomigliano a un impianto drenario che porta via tutti gli elementi sovversivi o non voluti dalla popolazione. Il bianco che domina nei quadri richiama le idee dell’assenza, della scomparsa e della rimozione. Oltre all’archittettura delle prigioni queste struttuture fanno pensare ai bunker e alle fortificazioni militari. Raffigurano anche in qualche modo il dialogo del dinamismo spaziale sui disegni immensi. Lo spazio denso e ristretto dovrebbe suscitare paura, timore, repressione e anche un certo terrore, mentre nelle opere estese come Costruttori della Nazione e L’eterna estate lo spazio è quello del panopticon, dove il terreno è soggetto alle dimensioni visuali. I disegni fanno anche riferimento allo stato panottico, dove tutte le attività sono sorvegliate e controllate ininterrottamente. L’idea chiave di tutte le opere è quella del recinto ideologico, ovvero il globale paradosso di oggi dell’apertura e della mobilità da una parte, i centri d’identificazione e espulsione, il crescente nazionalismo e lo sbarramento della Fortezza Europa dall’altra. 4. Valentin Fetisov — Installation of Experience, 2011 Interactive installation Courtesy of the artist The work was created during ‘Infusion,’ a project organised by Laboratoria Art&Science Space, Moscow in collaboration with psychophysiologist Olga Svarnik. Valentin Fetisov researches the interrelationship of human and machine by means of creating the psychological experience of situations which mirror the circumstances of spatial experience in everyday life, conditioned by technology. This installation invites the viewer to enter a small room with a monitor and video camera, after which the automatic doors close behind him. In this way, the viewer is left locked up without any instructions as to how to get out. The algorithm operating the doors is extraordinarily simple, although this is impossible to figure out for those finding themselves in there for the first time. The viewer then sets about the search for logical regularity in the space created. The situation of the exhibition refers him to the logic of its creation and an appreciation of the artwork, just as the individual locked up under observation begins to seek out and analyse the logic of creation of the constructions that hold him in, created by the justice system. One part of the visitors unsuccessfully tries to discover the author’s intentions in the room, while another tries to watch the screen or the camera, and only a small proportion of those locked in push forcefully at the doors with their hands, explaining the situation to themselves as a technical fault. The psychological model for human behaviour in a locked space under observation activates various mechanisms in the human being for interrelations with the enclosed space: identifying ourselves with it, submitting to it, making use of it or overcoming its boundaries. 4. Valentin Fetisov — Installazione dell’Esperienza, 2011 Installazione interattiva Courtesy dell’artista Questo lavoro è stato realizzato durante “Infusion,” un progetto organizzato da Laboratoria Art&Science Space, Mosca in collaborazione con lo psicofisiologo Olga Svarnik. Valentin Fetisov esplora il rapporto tra il tecnologico e l’umano creando esperienze psicologiche di situazioni che rispecchiano le circostanze dell’esperienza spaziale della vita quotidiana condizionata dalle tecnologie. L’istallazione invita lo spettatore a entrare in un piccola sala dotata di un monitor e di una telecamera. Appena egli entra la porta automatica si chiude dietro le sue spalle lasciandolo in uno spazio ermeticamente chiuso senza nessuna istruzione per potersi liberare. L’algoritmo che governa le porte è semplice ma impossibile da capire al primo tentativo. Lo spettatore è costretto così a cercare la logica dello spazio creato. La situazione propostagli dalla mostra lo porta a esaminare anche la logica della creazione e della percezione delle opere d’arte. Lo fa allo stesso modo della persona chiusa nello spazio di detenzione che esamina la logica del funzionamento delle costruzioni detentive create dal sistema giudiziario. Una parte degli spettatori cerca invano di trovare il disegno dell’autore dentro la sala, altri fissano la camera o lo schermo e solo pochi forzano le porte, sostenendo che si tratti di un errore tecnico. Il modello psicologico delle persone osservate nello spazio chiuso comunica diversi tipi di rapporto tra l’uomo e lo spazio chiuso: alcuni se ne immedesimano, altri si sottomettono cercando di trarne profitto o di superarne i limiti. 5. Rebecca Lazier — Coming Together/Attica Choreography by Rebecca Lazier in collaboration with the dancers Music: Frederic Rzewski, 1971. 40’40’’ Courtesy of the artist 5. Filmed at The Invisible Dog Art Center, Brooklyn, New York on June 15, 2013 Part I – Coming Together Part II – Silence Part III – Attica Rebecca Lazier’s choreographic performance Coming Together/Attica is based on her profound research into the movement patterns of isolation and confinement. American musician Frederic Rzewski wrote the music’s two parts in 1971 in response to the prison riot in Attica, New York, in which the inmates revolted and took control of a part of the institution, demanding primarily ‘to be treated as human beings’. The research mines the choreographic ‘squaring’ of the incarcerated body, the additive and subtractive structures of the movement, the effects of extended stillness, and the plastical embodiment of space and time. The performance illustrates the multi-layered artistic search for the structural elements. The music scores are based on and inspired by the structure of the text. The first part of the work, ‘Coming Together,’ uses words written by the inmate Sam Melville, who was among the 43 people killed in the riot. The concluding part, ‘Attica,’ uses words spoken to a reporter by Richard X. Clark, an inmate released soon after the massacre: ‘Attica is in front of me.’ The dance in its turn reveals how the experience of reading the text is translated into a musical form, and expresses it in the repetitive patterns of accumulation and decumulation of movement. The choreography of the performance explores the possibility of communication and the behavioural modes of being isolated among people — moving in maximum closeness but without the possibility for real contact, living parallel lives, inhabiting the same physical world but isolated emotionally and psychologically. Rebecca Lazier — Coming Together/Attica, 2013 Coreografia di Rebecca Lazier in collaborazione con il corpo di ballo Musica: Frederic Rzewski, 1971 40’40’’ Courtesy dell’artista Girato al The Invisible Dog Art Center, Brooklyn, NY, 15/06/2013 Parte I – Coming Together Parte II – Silenzio Parte III – Attica Lo spettacolo coreografico di Rebecca Lazier Coming Together/Attica è basato sulla sua ricerca profonda dei movimenti che comunicano la prigionia e l’isolamento. Nel 1971 il musicista americano Frederic Rzewski ha scritto una musica in due parti ispirata alla rivolta delle prigioni di Attica, a New York, quando i detenuti si sono ribellati e hanno preso il controllo di una parte del carcere, con la richiesta primaria di essere trattati come esseri umani. La ricerca estrae la ‘quadratura’ coreografica del corpo incarcerato, la struttura additiva e sottrattiva del movimento che risalta nella quiete estesa, nella personificazione plastica dello spazio e tempo. Lo spettacolo dimostra la ricerca artistica su diversi livelli degli elementi strutturali. La colonna sonora è ispirata alla struttura del testo. La prima parte dell’opera Coming Together cita le parole scritte dal detenuto Sam Melville, che era tra le 43 persone uccise durante la sommossa. La parte conclusiva Attica invece, cita le parole dette al cronista da Richard X. Clark, un carcerato che è stato liberato subito dopo il massacro: ‘Attica è di fronte a me’. La danza a sua volta rivela come l’ispirazione dalla lettura del testo viene tradotta in forma musicale ed esprime in tal modo gli schemi ripetetivi di accumulazione e decumulazione del movimento. La coreografia dello spettacolo esplora la possibiltà di comunicazione, lo stato di isolamento delle persone messe insieme, muovendosi nella prossimità massima senza avere un contatto vero e proprio, vivendo le vite parallele nello stesso spazio fisico, ma isolati emotivamente e psicologicamente. 6. 14. Rossella Biscotti — I dreamt that you changes into a cat… gatto…ha, ha, ha, 2013 Audio installation Courtesy of the artist Biscotti, who works in sculpture, photography and video, has returned time and time again in her work to the places of closed experience — prisons, courtrooms, disaster sites. Not limiting herself to the collection of architectural and historical facts, she always engages in immediate communication with people — the witnesses and participants, through whom these narratives reveal the essence of the relations between individuals and institutions, between a society that condemns, encourages, punishes — and the individual. The archive, which Biscotti is collecting, consists of the poetry and dirt of prison, words, dreams, inappropriate laughter, unrealisable hopes, flowers on graves, and the cracks and graffiti on cell walls. The audio installation, located in two places around the exhibition space, is made up of the voices of female inmates of the women’s prison on the island of Giudecca, only a few blocks from the exhibition venue. Biscotti talked with the detainees for several months, recording their dreams. The voices have the power to recreate the locked space somewhere very close by, but inaccessible. Between the inhabitants of the island, for whom the prison has formed a spatial constant for many years, and those of the ‘island within an island,’ a communications channel thereby appears. The artist declares this exhibition space life sentence-free to support ‘Liberi dall’ergastolo’ campaign. 6. 14. Rossella Biscotti — Ho sognato che ti trasformavi in un cat… gatto… ha, ha, ha, 2013 Installazione audio Courtesy dell’artista Rosella Biscotti nei suoi lavori scultorei, fotografici e video è tornata spesso sul tema dello spazio chiuso, dell’esperienza della prigione, del processo giudiziario o dei luoghi del disastro. Biscotti raccoglie il proprio archivio documentale senza limitarsi alla collezione di fatti architettonici e storici ma continuando la sua esplorazione tramite il contatto personale con i testimoni o i protagonisti degli eventi in questione. La sua narrazione svela la sostanza del rapporto tra l’individuo e l’istituzione, tra la personalità e la società che la giudica, assolve o condanna. L’archivio che la Biscotti raccoglie comprende la spazzatura proveniente dal carcere, parole dette per caso, sogni, risa fuori luogo, speranze mai realizzate, fiori sulle tombe, scritte e screpolature sulle pareti delle celle. L’istallazione audio, ripartita in vari punti dello spazio espositivo, consiste nelle voci delle detenute del carcere femminile dell’Isola della Giudecca che si trova poco distante dal centro espositivo. Per alcuni mesi l’artista ha registrato i sogni raccontati dalle detenute. Queste voci che vagano qua e la per la mostra ricreano la sensazione di uno spazio chiuso, impenetrabile ma vicino. Tra gli abitanti dell’isola, per i quali il carcere rappresenta una delle costanti topografiche, e le abitanti di questa “isola dentro l’isola” appare una specie di canale di comunicazione. Chi parla in questa istallazione non è un eroe, ma un coro; la trasmissione audio diventa teatro senza spettacolo; Il discorso ripreso dal vivo documenta la routine quotidiana nello spazio della detenzione. Fa parte dell’opera di Biscotti anche un elemento politico: il logo del movimento Liberi dall’ergastolo è stato integrato a vari livelli nell’accompagnamento testuale della mostra. L’artista dichiara questo spazio espositivo libero dall’ergastolo per supportare la campagna del movimento Liberi dall’ergastolo. 1st FLOOR MAP 8 7 12 9 10 11 7. Harun Farocki 8. Ashley Hunt 9. Sam Durant 10. Markus Schinwald 11. Jonas Staal 12. Urban Fauna Lab 7. Harun Farocki — Prison Images, 2000 Video, color, b/w 60’ Commissioned by ZDF/3sat Courtesy of the artist 7. Harun Farocki — Immagini di prigioni, 2000 Video, colore e b/n 60’ Courtesy dell’artista La proiezione inizia ad ogni ora Screening starts every hour Harun Farocki is a creator of films that are difficult to classify — the categories of ‘essay’ and ‘documentary’ are without a doubt insufficient — Farocki has developed a chance arrangement of images in his work that allows him to discover the ideology that underwrites a technique and the way in which a technique is likewise capable of generating new structures of thought. These ‘essays for the classification of images,’ in the words of Gilles Deleuze (a reference for Farocki), acquire different forms in Farocki’s work and includes everything from images of cinema’s precursors (easel painting, photography) to its inheritors (video and digital). With these, Farocki interrogates the social intersection between war, the economy and politics against the backdrop of an audiovisual history of civilization. The film ‘Prison Images’ quotes fiction films and documentaries as well as footage from surveillance cameras. The cinema has always been attracted to prisons and nowadays prisons are totally observed by video surveillance cameras which are producing unedited and monotonous films. As neither time nor space is compressed, they are well-suited to conveying the state of inactivity into which prisoners are placed as a punitive measure. The film of Harun Farocki is asking, in his own words: ‘More than anything else, electronic control technology has a deterritorialising effect. Locations become less specific. An airport contains a shopping centre, a shopping centre contains a school, a school offers leisure and recreation facilities. What are the consequences for prisons, themselves mirrors of society as well as its counterimage and projection surface?’ Harun Farocki è un regista difficile da classificare — le categorie di “saggio” e “documentario” sono senza dubbio insufficenti. Farocki ha sviluppato un’organizzazione casuale di immagini nel suo lavoro che gli permette di scoprire l’ideologia sottesa a una tecnica e il modo in cui la tecnica è anche in grado di generare nuove strutture di pensiero. Questi “Saggi per la classificazione delle immagini,” nelle parole di Gilles Deleuze (un punto di riferimento per Farocki) acquisiscono forme diverse nel lavoro di Farocki e comprendono tutto, dalle immagini dei precursori del cinema (pittura da cavalletto, fotografia) ai suoi successori (video e digitali). Con questi, Farocki interroga l’Intersezione sociale tra guerra, economia e politica sullo sfondo di una storia audiovisiva della civiltà. Il film Immagini di Prigioni utilizza frammenti di fiction, di documentari e di riprese fatte dalle telecamere di sorveglianza. Il cinema è sempre stato attratto dalle carceri e oggi le carceri sono totalmente osservate da telecamere di videosorveglianza che producono film inediti e monotoni. Poiché né il tempo né lo spazio sono compressi, essi sono particolarmente adatti a trasmettere lo stato di inattività in cui si trovano i detenuti a causa delle misure punitive. Il film di Harun Farocki chiede, con le sue parole: “Più di ogni altra cosa, la tecnologia del controllo elettronico ha un effetto deterritorializzante. Le località diventano meno specifiche. Un aeroporto contiene un centro commerciale, un centro commerciale contiene una scuola, una scuola offre l’infrastruttura per il tempo libero e per le attività ricreative. Quali sono le conseguenze per le carceri, esse stesse specchi della società e allo stesso tempo sua contro-immagine e proiezione superficiale?” 8. Ashley Hunt — From Popular education poster series: Prison Maps: What Is The Prison Industrial Complex? and What Is The Context for Today’s Prison Industrial Complex?, 2002 Ashley Hunt investigates the way in which the penal system has become a part of the contemporary economy and is beginning to develop in line with the logic of a profit-making enterprise, expected to demonstrate continuous growth in its qualitative and quantitative indices. The artist has become involved in activist projects with communities which, in some phase of their existence, and for various reasons, have become prisons. He transforms the results of his work, using accessible and non-aestheticised media — video, photography and conceptual maps, into educational installations to form part of his long-term research The Corrections Documentary Project. Ashley Hunt’s works follow the transformation of the mechanisms of criminalisation, exclusion and incarceration into a means for resolving the contradictions of contemporary society. In his ‘Prison Maps’ project, he charts the interactions of the various social forces leading, for reasons unconnected with safety or justice, to the growth of the penal system and the emergence of the phenomenon of the Prison Industrial Complex. Social agents (prison warden trades unions, agricultural corporations, associations for the victims of violence, professional associations of judges, politicians etc.) directly or indirectly draw economic or political benefit from the building of new prisons, the growth of the numbers of inmates, the toughening of legislation and the continuing criminalisation of socially vulnerable sections of society. With the help of the visual language of the businesspresentation, the artist has arranged a high-impact conspiracy theory narrative in which the prison becomes the invisible centre of social processes. The conceptual map ‘A World Map: In Which We See’ painstakingly sets out a diagram of the concepts, processes and forces structuring the modern world, and draws attention to those subjects who have been stripped of their rights (prisoners, refugees, POWs) and the place which they occupy in the cunningly — A World Map: In Which We See, 2004-present Wall print — Housing, Process, Movement, 2000 Multi channel video installation, monitors, pipes — A Prison in The Field, 2002 Single channel video, 18’ Courtesy of the artist woven tapestry of economic and political processes, the global system of laws, institutions and economies. The film ‘A Prison in the Fields’ follows the campaign of a Californian grassroots coalition to stop a new $600 million prison from being built in Delano, CA. Following the points of view of community representatives who are typically denied a voice in representations by the mainstream media, a challenge is brought to the typical myths that assert the value a prison can bring to poor rural communities, as an engine for ‘economic growth’ and ‘development,’ as the real costs and realities of hosting a prison are revealed. 8. Ashley Hunt — Dalla serie di poster Educazione Popolare: Mappe delle prigioni Cos’è un complesso carcerario industriale? Qual è il contesto di un complesso carcerario industriale oggi? 2002 Ashley Hunt investiga il modo in cui il sistema penale è diventato parte dell’economia contemporanea e ha iniziato a svilupparsi in linea con le logiche di un’impresa generativa di profitto, con le aspettative di dimostrare una crescita continua nei suoi indici qualitativi e quantitativi. L’artista è stato coinvolto in progetti come attivista con le comunità che, in alcune fasi della loro esistenza e per diverse ragioni, sono state a contatto con le prigioni. Hunt trasforma i risultati del suo lavoro usando media accessibili e non estetizzanti — video, fotografia e mappe concettuali- in un’installazione pedagogica per formalizzare parte della sua ricerca a lungo termine: The Corrections Documentary Project (Progetto Documentario delle Istituzioni correttive). Il lavoro di Ashley Hunt segue l’uso dei meccanismi di criminalizzazione, esclusione e incarcerazione come mezzo per risolvere le contraddizioni della società contemporanea. Nel suo progetto Mappe delle prigioni l’artista classifica le interazioni delle diverse forze sociali per alcune ragioni, disconnesse dalla salvezza o dalla giustizia, alla crescita del sistema penale e all’emergenza del fenomeno dei complessi carcerari industriali. Gli agenti sociali (Sindacati della Polizia Penitenziaria, Corporazioni Agricole, associazioni delle vittime della violenza, associazioni professionali di giudici, politici, etc.) direttamente o indirettamente ricevono un benefit economico o politico dalla costruzione di nuove prigioni, dalla crescita del numero di detenuti, dal peggioramento della legislazione e dalla continua criminalizzazione delle sezioni socialmente vulnerabili della società. Con l’aiuto del linguaggio visivo di una presentazione d’affari, l’artista ha creato una narrativa d’impatto degna di teorie cospirative in cui la prigione diventa il centro invisibile dei processi sociali. — La Mappa del Mondo: nella quale vediamo, 2004-present Stampa su carta da parati — Abitazione, Processo, Movimento, 2000 Video-installazione, monitor, tubi — Una prigione nel campo, 2002 Video, 18’ Courtesy dell’artista La mappa concettuale La Mappa del Mondo: nella quale vediamo delinea un diagramma di concetti, processi e forze strutturanti il mondo moderno, e attrae l’attenzione dei soggetti che sono stati privati dei loro diritti (prigionieri, rifugiati) e il luogo che loro occupano nell’intreccio di processi politici ed economici, nel sistema globale delle leggi, delle istituzioni e delle economie. Il film Una Prigione nel Campo segue la campagna iniziata dal basso da una coalizione californiana per fermare la costruzione di una nuova prigione da 600 milioni di dollari in Delano, (CA). Seguendo i punti di vista delle comunità rappresentative, la cui voce è solitamente silenziata nelle rappresentazioni dei media mainstream, si coglie la critica all’idea che un carcere, poiché motore per la “crescita economica” e lo “sviluppo”, possa portare del valore alle comunità rurali povere, 9. Sam Durant — Gallows Composite B (Billy Bailey Gallows, Lincoln Conspirators Gallows, John Brown Gallows), 2008 Wood, metal, mirrors and basement — History of Death Row — Support for Life — Death Penalty Last 9. — Increases — Financial Facts — Recent Studies — Criminologists’ View — Race Executed 2008 Graphite on paper Courtesy the artist & Praz-Delavallade, Paris In his project, Sam Durant draws attention to the history of the death penalty, the procedures used to take away a human life that have been sanctioned by the state and implemented in the interests of society. Like any other country, the USA has a long history of capital punishment but, unlike most others, still executes its convicts. The aim of the project is to demonstrate the historical depth of this practice and reveal the paradoxical situation whereby the cruelest of all possible punishments remains an acceptable option in a modern society, despite the arguments made in favour of abandoning the barbarity of judicial execution. The installation takes the form of several models of the gallows used in various historical executions. Those reconstructed for this purpose are: the gibbet of John Brown — one of the first white abolitionists to begin the armed struggle against the institution of slavery in the USA, executed in 1859; the gallows used to hang the conspirators who helped plan the assassination of Abraham Lincoln; and the scaffold climbed by Billy Bailey — whose hanging in 1996 was the last, to date, to have been carried out in the USA. The backdrop to the installation is provided by an exhibition presenting information gathered on the history, economics and sociology of the use of the death penalty in America. The gallows are stood on mirrors, mirrors being often present in Durant’s work. The mirror interests Durant because of its potent symbolic charge. The viewer finds himself involved in the work, both through the reflected image and his own reflection process. Sam Durant — Patibolo Composito B (Patibolo di Billy Bailey, Patibolo dei cospiratori di Lincoln, Patibolo di John Brown), 2008 Legno, metallo, specchi, basamenti — Storia del braccio della morte — Supporto per la vita — Ultima pena di morte — Crescite — Fatti finanziari — Studi recenti — Punti di vista dei criminologi — Razze giustiziate 2008 Grafite su carta Courtesy dell’artista & Praz-Delavallade, Paris Nel suo progetto Sam Durant attira l’attenzione sulla storia della pena di morte, sulle procedure utilizzate per togliere la vita umana che sono state sanzionate dallo Stato e sviluppate nell’interesse della società. Come qualsiasi altro paese, gli Stati Uniti hanno una lunga storia relativa alla pena di morte, ma, a differenza di molti altri paesi, continuano a giustiziare i condannati. L’obiettivo del progetto è quello di dimostrare la profondità storica di questa pratica e rivelare la situazione paradossale per cui la più crudele di tutte le pene può rimanere ancora un’opzione accettabile in una società moderna, nonostante le argomentazioni sollevate in favore dell’abbandono della barbarie dell’esecuzione giudiziaria. L’installazione prende la forma di vari modelli di patiboli impiegati in diverse esecuzioni storiche. Quelle ricostruite a questo scopo sono: il patibolo di John Brown — uno dei primi abolizionisti bianchi che iniziò la lotta armata contro l’istituzione della schiavitù negli Stati Uniti, giustiziato nel 1859; il patibolo utilizzato per impiccare i cospiratori che avevano aiutato a pianificare l’assassinio di Abramo Lincoln; l’impalcatura scalata da Billy Bailey — la cui impiccagione nel 1996 è stato l’ultima, ad oggi, eseguita negli Stati Uniti. Sullo sfondo della struttura, una mostra presenta le informazioni raccolte sulla storia, l’economia e la sociologia del ricorso alla pena di morte in America. I patiboli sono disposti su alcuni specchi, spesso presenti nell’opera di Durant. Lo specchio interessa Durant per il suo potente contenuto simbolico. Lo spettatore si trova coinvolto nel lavoro, sia attraverso l’immagine riflessa, sia attraverso il processo stesso di riflessione. 10. Markus Schinwald — Dictio Pii, 2001 Video (5 films), 16’20’’ Courtesy the Tate collection In his film the Austrian video-artist Markus Schinwald has arranged a non-linear hypnotic narrative evoking the sensations of isolation and anonymity of the contemporary individual in architectural space. The theme of Markus Schinwald’s work is that of the body as a cultural construct, as an incessantly actualised site at which the subject is constituted both in its identity and its instability and transversality. Subverting the architectonic function of bodies, clothes and everyday rituals, Schinwald has laced the arms of a jacket together and invented an elaborate metal contraption that rests on the neck and supports the index finger in a frozen gesture of attention. Language is another crucial thread in Schinwald’s work; it is elliptical, mysterious, its meaning obscure or fragmented, sputtered out by a disjointed consciousness. The words may be spoken but are not meant to be understood. The film’s protagonists move along the corridors of derelict buildings, living through the architectural structures that constitute our daily lives — corridors, passageways, flights of stairs, rooms. In Schinwald’s film, frozen time takes the form of space and, conversely, space is expressed via the temporal metaphors of dust and ashes. The artist tells how he is sick and tired of these rooms and their repetitive nature. In Schinwald’s hypersensitive reality, hotel corridors echo the school, prison, hotel or hospital. The bodily and psychological experience of existing within them can indeed be quite similar. 10. Markus Schinwald — Dictio Pii, 2001 Video (5 films), 16’20’’ Courtesy della Collezione Tate Nel film di Shinwald il tempo fermato si trasforma in spazio e lo spazio, al contrario, si esprime attraverso le metafore temporali di cenere e polvere. L’artista esprime la sua stanchezza di questi spazi e della loro costante ripetizione. Nella realtà iper-sensuale di Schinwald i corridoi dell’hotel sono l’eco ripetitivo di una scuola, di un carcere, di un albergo o un ospedale dove l’esperienza fisica e psicologica dell’esistenza può essere simile. 11. Jonas Staal — Art, Property of Politics III: Closed Architecture (based on a concept by Fleur Agema), 2011 Installation Courtesy of the Kadist Art Foundation In the third part of his project ‘Art, Property of Politics,’ researching the role of the visual arts in modern political processes, the artist Jonas Staal has turned his attention to the course work of Fleur Agema. During her education at an architectural academy, this future member of the far-right Party for Freedom and its spokesperson on social issues, set about designing a new type of prison. According to the ideas of the budding architect and future politician, incarceration should be divided into four stages, corresponding to four distinct architectural solutions. The Bunker, the Habituation, the Wait and the Light (changed to the Fort, the Encampment, the Artillery Installation and the Neighbourhood in the final version) constitute four sectors in the prison complex, differing in comfort levels and inmates’ personal freedom and rights. The pressure applied by Agema’s projected prison design was to stimulate the individual towards reeducation, reformation, and return into society. The rate at which a prisoner might move through these sectors was to be dependent upon their behaviour and would be accompanied by an improvement in conditions. Thus, while found in ‘the Fort,’ the detainee is fully isolated in a small cell, practically devoid of any light source and without any possibility to read, whereas in ‘the Neighbourhood,’ which simulates an ordinary residential area, he is able to work in the garden and go for walks. In case of opposition to this process of forced re-socialisation, he is held indefinitely in one stage, or sent back to an earlier level. The artist employs the habitual language of architectural visualisation to show how, in dependence upon political interpretation, architecture is transformed an implement of torture, while unpacking the critical theory of a disciplinarian society in the form of a guide to build a dystopia. 11. Jonas Staal — Arte, Proprietà della Politica III: Architetture Chiuse (da un’idea di Fleur Agema), 2011 Installazione Courtesy di Kadist Art Foundation Nella terza parte del suo progetto “Arte, Proprietà della Politica”, che ricerca il ruolo delle arti visive nei processi della politica moderna, l’artista Jonas Staal ha diretto la sua attenzione sulla tesi di Fleur Agema. Durante la sua educazione all’accademia di architettura, il futuro membro del Partito di estrema destra “Partito per la Libertà” e responsabile dei servizi sociali, ha disegnato un nuovo tipo di prigione. Secondo le idee del giovane architetto e futuro politico, l’incarcerazione dovrebbe essere divisa in quattro fasi, corrispondenti a quattro diverse soluzioni architettoniche. Il Bunker, l’Adattamento, l’Attesa e la Luce (cambiata per la Fortezza, l’Accampamento, l’Installazione dell’Artiglieria e il Quartiere, nella versione finale della tesi) costituiscono quattro settori del complesso della prigione e si differenziano per il livello di comfort, dei diritti e della libertà personale dei reclusi. La pressione dell’architettura della prigione disegnata da Agema mira a stimolare l’individuo verso la rieducazione e il re-inserimento nella società. La velocità a cui il prigioniero si può muovere attraverso questi settori deve dipendere dal loro comportamento e portare ad un miglioramento delle loro condizioni. Dunque, mentre si trova nella “Fortezza” il detenuto è completamente isolato nella sua cella, praticamente deprivato da ogni fonte di luce e senza la possibilità di leggere; mentre, nel “Quartiere”, che simula una comune area residenziale, è in grado di lavorare nel giardino e di uscire per una passeggiata. In caso di resistenza a questo processo di ri-socializzazione forzata, il prigioniero verrà tenuto a tempo indefinito in un settore o mandato indietro ad un livello precedente. L’artista impiega il linguaggio proprio della rappresentazione architettonica per mostrare come, a seconda dell’interpretazione politica, l’architettura si trasforma in uno strumento di tortura, condensando così la teoria critica di una società disciplinare nella forma di un manuale per costruire la distopia. 12. Urban Fauna Lab (Anastasia Potemkina, Alexey Buldakov) — The New Leaders of Regional Development, 2014 Power point presentation, model Courtesy of the artists Urban Fauna Lab is a platform for the study of parasitic and symbiotic relationships and associated mutual adaptation in urban environments at the intersection of architecture, biology, philosophy, contemporary art. The artists present a new project for the opening up of Russia’s northern territories and reclamation of the sites of former GULAG prison camps. This is a presentation of a project for an “eco-friendly” data-centre, provoking a spontaneous selforganisation of biological life on an evolutionary scale. The artists propose the erection of a source of heat energy — a data-centre in the tundra, in a virtually lifeless space. They have created a design for a social and biological utopia, comparable with that which society has tried to create in its isolating institutions. Heat is to form the boundaries of the territory, without the use of walls. Instead of a space limited by walls, a prison can be described as an anchorage point for a large group of people, with all of its subgroups. One of the factors involved in the effective isolation of people from society is their formation of the conditions for self-organisation. The narrative in which diagrams, graphics and other indicators are laid upon subtle watercolors with moss and maps patterns is framed in the form of a presentation to persuade interested parties of its high investment appeal. The economic drawbacks of using sites on Stalinist work camps are contrasted with the effectiveness of contemporary global economic projects, and are laid out in the language of market research. 12. Urban Fauna Lab (Anastasia Potemkina, Alexey Buldakov) — I Nuovi Leader dello Sviluppo Regionale, 2014 Presentazione Power point, modello Courtesy degli artisti Urban Fauna Lab è una piattaforma per la ricerca sui rapporti parassitici e simbiotici e sulla possibilità del loro inserimento reciproco nell’ambiente urbano, in cui si intersecano architettura, biologia, filosofia e arte contemporanea. Urban Fauna Lab propone un nuovo progetto per la valorizzazione dei territori settentrionali della Russia, quelli in cui si trovavano i lager dei GULAG. Si tratta della presentazione del progetto di un centro-dati “eco-friendly”, che suscita la spontanea organizzazione della vita biologica in scala evolutiva. Gli artisti propongono di mettere una fonte di calore — un centro-dati — nella tundra, in uno spazio completamente disabitato a livello virtuale creando così nuova utopia sociale e biologica analoga a quella che la società ha cercato di creare con le istituzioni d’isolamento. Il calore delimita il territorio rendendo superflui i muri. Il carcere può essere descritto non solo come spazio delimitato da muri, ma anche come punto di ancoraggio d’insiemi di persone con i propri sottoinsiemi. Uno degli elementi efficaci nell’isolamento dell’individuo dalla società è la creazione delle condizioni per la sua auto-organizzazione. La narrativa composta da diagrammi, grafici e altri indicatori diposti su delicati acquerelli con muschio e disegni di mappe, viene formalizzata in una presentazione per convincere le parti interessate del suo elevato appeal d’investimento. L’uso del tutto inefficace del territorio dei lager staliniani viene contrastato da quello efficace dei contemporanei progetti globali. Il tutto espresso con il linguaggio di uno studio di marketing. 2nd FLOOR MAP 20 20 18 Arseniy Zhilyaev 14./6. Rossella Biscotti 15. Ines & Eyal Weizman 16. Mikhail Nesterov 17. Nikolai Lanceray 18. Alexey Wangenheim 19. Ivan Dembsky Nikolai Sychev Irina Borkhman Lidiya Pokrovskaya Ülo Ilmar Sooster Ivan Sukhanov 20. Michael Tolmachev 19 17 16 14 15 13. 13 13. Arseniy Zhilyaev — Save the light! 2013 Exhibition project: from the series Svetopis (The Blueprint) by Vasily Boyko (7 elements, canvas, mixed media), video, documents, brochure Courtesy of the VAC Foundation, Moscow This project was realised in 2013 in Moscow and was entitled ‘Save the Light!’ in the wake of the campaign launched in support of the imprisoned activist Vladimir Akimenkov, then losing his eyesight in a Moscow remand prison. In this work, Zhilyaev employs the device of an imaginary group exhibition, among whose fictitious participants are artists, fashioned in the image and likeness of real artists who left a notable impression on the history of 20th century art. The three narratives told are united by light as a metaphor of freedom. The documentation of the full project is reflected in a booklet, handed out at the exhibit. One of the participants of the exhibition is the imaginary Russian avant-gardist, poet and artist, Vasily Boyko, whose life story we learn in an archive installation consisting of ‘original’ documents. While 20 years an inmate of the Stalinist Gulag, Boyko made a picture by subjecting a canvas to the extended impact of the sunlight shining through his cell window. The prototype for this imaginary artist was the Russian poet Vasilisk Gnedov, which was to be one of the most radical poetic works of Russian futurism. In their video work Untitled the London-based collective ‘Alliance of Precarious Images’ turns to the analysis of the linguistic nature of the judicial speech produced by the Russian prosecutors who conducted the case of the May 6 ‘mass riots’, as well as several other much publicized cases involving artists and oppositional activists. Since video — and audio — recording without special permission was prohibited, most of the speeches were recorded with the help of a hidden dictaphone with no videoimage available and are displayed against a background of a black Youtube square. Both the breaking up of language as a poetic method and the use of light as a painting medium constitute the ultimate in expressive gestures, produced in conditions of extreme endurance, and fit well in the ranks of modernist experiments on the frontiers between art and life. 13. Arseniy Zhilyaev — Salva la luce! 2013 Progetto espositivo: serie Svetopis (Cianografie) di Vasily Boyko (tela, diversi media), video, documenti, opuscolo Courtesy di VAC Foundation, Moscow Il progetto è stato realizzato nel 2013 a Mosca con il titolo “Salva la luce!”, dalla campagna in sostegno dell’attivista Vladimir Akimenkov, detenuto politico in uno dei carceri di Mosca in cui sta perdendo la vista. Il progetto di Arseniy Zhilyaev impiega il dispositivo di una mostra di gruppo immaginaria fatta da artisti immaginati e modellati a somiglianza di artisti reali che hanno lasciato un segno nella storia dell’arte del Novecento. Tre filoni narrativi sono uniti dal tema della luce come metafora di libertà. La documentazione dell’intero progetto si trova nell’opuscolo distribuito durante l’esposizione. Uno degli artisti esposti è Vassily Boyko, immaginario artista e poeta russo d’avanguardia, la cui vita è raccontata nell’istallazione d’archivio che contiene documenti “originali”. Detenuto per 20 anni nei gulag di Stalin, Vassily Boyko creava i suoi quadri esponendo a lungo i pezzi di tela al sole che passava attraverso la grata della finestra della sua cella. Il prototipo di questo personaggio è il poeta russo Vasilisk Gnedov che nei suoi libri mostrava la riduzione della lingua da una riga a una parola, poi a una lettera fino ad arrivare al foglio bianco vuoto del suo “Poema della fine” (1913), una delle opere più radicali del futurismo russo. Un altro partecipante immaginario della mostra di Arseniy Zhilyaev è il gruppo londinese “Alleanza delle Immagini Precarie”. Nel loro video le voci dei giudici durante il processo contro il “disordine pubblico” del 6 maggio 2012 risuonano dietro al quadrato nero dello schermo di youtube (la registrazione del processo poteva essere consultata solo nella versione audio senza immagini relative). Lo schermo nero si alterna con un certo ritmo a quello bianco accompagnato dalle grida indecifrabili sullo sfondo. La disintegrazione della lingua come anche l’atto pittorico eseguito attraverso la luce solare sono mezzi espressivi definitivi che possono essere creati in circostanze di sopravvivenza estrema, annoverabili tra le sperimentazioni moderniste ai limiti tra arte e vita. 15. Ines & Eyal Weizman — Celltexts. Books and other works produced in prison, 2008 Installation (books, web project) Courtesy of the artists Ines & Eyal Weizman are architects and theorists, showing the extended and elaborated version of their work made in 2008. The work is organized around a collection of hundreds of books and other texts from across the world, written under conditions of enforced incarceration. The collection includes the work of writers who have been sent to prison for the contents of their writing, for their political involvement, as well as of prisoners convicted of other crimes who have used the time and seclusion of their incarceration to become writers. Through the collection of texts an archipelago of prison cells emerges. The cells are thus revealed as sites of intellectual production, marking the limit condition of writing. The collection is assembled in recognition that spatial confinement and isolation may induce a process of creative, imaginative, and sometimes spiritual, cultural production. Commissioned and designed by and for the state, prison cells acquire a potential subversive content, becoming critical spatial apparatuses. Paradoxically, imprisonment emerges as an active practice of citizenship, a mechanism of political opposition that calls for a confrontation with or intolerance for certain forms of government. The texts are ordered not according to traditional fields of designated knowledge but according to the number of days a writer spent (or is spending) in prison. Catalogue entries (time in prison, place of imprisonment, the charge and the sentence) are chalk-written on the wall, allowing the collection to be transformed and the catalogue expanded. The website, publicly available beyond the exhibition, allows for a variety of search categories and taxonomies, allowing multiple connections between the books on content, geographical and period parallels. 15. Ines & Eyal Weizman — Celltexts. Libri e altre opere create in prigione, 2008 Installazione Courtesy degli artisti Ines e Eyal Weizman sono architetti e teoretici e presentano nella mostra la versione ampliata e approfondita della loro opera del 2008. L’installazione si svolge intorno ad una raccolta di centinaia di libri e di altri testi scritti in condizioni di forzata reclusione, provenienti da tutte le parti del mondo. Nella raccolta ci sono sia i libri di scrittori incarcerati per il contenuto dei loro scritti o per la loro posizione politica, sia i libri scritti dai detenuti condannati per altri delitti, che hanno usato il tempo della reclusione per diventare scrittori. Attraverso questa raccolta di scritti emerge un arcipelago di celle carcerarie. La cella appare come sede della produzione intellettuale condizionata dai limiti dello spazio. La raccolta è stata effettuata per far riconoscere che l’isolamento e la reclusione possono suscitare la produzione creativa, immaginativa, culturale e talvolta spirituale. Commissionate e progettate dallo e per lo Stato, le celle carcerarie acquistano un potenziale sovversivo, diventando spazio dell’attivazione critica. Paradossalmente l’esperienza del carcere si rivela come pratica attiva dell’essere cittadino, diventando in tal modo meccanismo dell’opposizione politica, il cui scopo è evocare l’intolleranza verso certe forme di amministrazione. I testi non seguono l’ordine dei campi tradizionali della scienza, ma la loro disposizione corrisponde al numero di giorni passati dall’autore in prigione. I dati del catalogo (tempo passato in prigione, luogo dell’incarceramento, colpa e sentenza) sono scritti col gesso sulla parete, il che consente il rapido cambiamento dell’esposizione e il continuo ampliamento del catalogo. Oltre all’esposizione, un sito web permette varie possibilità di ricerca, sia per categorie sia per tassonomie, facilitando così la creazione di molteplici legami tra i libri sui contenuti e sui paralleli geografici e temporali. 16. Mikhail Nesterov (1862-1942) — The nightingale is singing, 1917 Oil on canvas Courtesy of the VAC Foundation, Moscow Mikhail Nesterov (1862 – 1942) is a Russian and Soviet painter, famed as the originator of a particular ideology of the Russian landscape, habitually termed as poetic, lyrical, depicting the sparing subtle beauty of central Russian nature. The Nesterovian landscape, repeated in endless variations in his paintings, features the subdued green of the forest, barely discernible flowers, vast endless expanses and quiet waters. His lyrical hero is seeking peace, bliss, and solitude within nature. Nesterov created an archetypical image of northern Russian nature that it has become lodged in the collective national memory, one of the immense spaces of the country and its geography. The colonisation of the Russian lands, the opening up of their vastnesses, has historically been accomplished by means of colonies, settlements, camps and prisons. The Nesterovian landscape functions as an artistic document of the Russian North, an all-encompassing landscape that confine worse than any walls. 16. Mikhail Nesterov (1862-1942) — L’usignolo canta, 1917 Olio su tela Courtesy di VAC Foundation, Moscow Mikhail Nesterov (1862-1942) è un pittore russo noto come il fondatore dell’ideologia del paesaggio russo, il cosiddetto paesaggio “nesteroviano”, detto anche paesaggio poetico, lirico, intimamente “russo”, che ritrae la bellezza discreta e silente della natura della Russia centrale. I quadri di Nesterov rappresentano, sempre con innumerevoli variazioni, esili betulle, pini incolti, il verde sfuocato di foreste, grappoli delle bacche rosse di sorbo, fiori appena visibili, distese sterminate di prati e di acque immobili. L’immagine della natura russa creata da Nesterov ha costruito l’immaginario nazionale degli spazi immensi del paese e la sua geografia reale. Storicamente la conquista dei territori russi è avvenuta tramite insediamenti, colonie, costruzione dei lager e delle prigioni. Il paesaggio nesteroviano è un documento artistico del nord del Paese e una metafora delle passioni dell’uomo circondato dal paesaggio sterminato e universale, che allo stesso tempo lo imprigiona più di qualsiasi muro o lo rende libero. Documentation Indagini Serious efforts have been put into seeking out the technical building documents for the construction of the Stalinist camps — the plans and design documentation for the civilian buildings, objects and camps of the GULAG system. Requests for the standard architectural documentation have been submitted to the Federal System of Penal Facilities of the Russian Federation, to regional, historical and memorial museums, and to the museums of universities and schools in those regions where the camps were located. The majority of letters remain unanswered. Such documentation is found outside the field of public view and beyond access, separate camp audit albums and plans are preserved in a restricted access collection of the State Archives. The single accessible documentary record for display purposes has turned out to be the expedition photos taken by Saint Petersburg’s Memorial society. These albums with technical documentation have been discovered in the ‘Leader’ hiking club of the village of Khandyga in Yakutia. Seri sforzi sono stati fatti allo scopo di ritrovare i documenti tecnici della costruzione dei campi staliniani — la documentazione dei piani e dei disegni degli edifici civili, degli oggetti e dei campi del sistema dei GULAG. Le richieste per la documentazione architettonica generale sono state presentate al Sistema Federale di Strutture Penali della Federazione Russa, ai musei regionali o storici, ai memoriali e ai musei delle università e delle scuole nelle regioni in cui si trovavano i campi. La maggior parte delle lettere sono rimaste senza risposta. Tale documentazione si trova al di fuori del campo accessibile e visibile dal pubblico, mentre certi album di ispezioni e progetti sono preservati in una collezione ad accesso ristretto degli Archivi di Stato. Il solo documento accessibile per scopi espositivi sono le foto della spedizione scattate da Irina Flige, direttore del Memorial Society di San Pietroburgo; l’album con la documentazione tecnica è stato trovato nell’archivio del club degli escursionisti ‘Lider’ nel villaggio di Khandyga in Yakutia. 17. Nikolai Lanceray (1879-1942) — Sketch books, 1931 Reprinted in edition, 2014 The original drawings are courtesy of the Memorial Society, Saint-Petersburg The mass repressions of the 1930s in Russia unleashed the machinery of the penal system on massive scale, and thousands of people passed through town prisons, being sent off without delay to camps across the country or to be shot. Only a few of them actually were incarcerated, yet fewer had any paper, and of this paper only scraps are preserved of the sheets written or drawn on at that time. And almost nothing of it is accessible for public display. These fragile notepads belonged to Nikolai Lanceray (1879–1942), a Russian architect and artist. Lanceray was first arrested in 1931, convicted of spying for France, and died in transit between prisons in 1942. He drew sketches in these pads while incarcerated in the ‘model prison’ in Leningrad (Saint Petersburg). This jail held those who had been selected to work in the so-called ‘sharashki’ — the scientific research institutes and design departments under the jurisdiction of the NKVD (the forerunner of KGB), in which imprisoned scholars, engineers and technicians worked, chiefly in the military and space industries. While in prison, Lanceray worked on projects of the administrative buildings of the NKVD system and the Kremlin. Pictorial reminiscences of family holidays are interspersed in Lanceray’s sketches with detailed depictions of his cell and the objects and dimensions within. Separate drawings show the window hatches, bars, door furnishings, cross-sections. The drawings of the watchtower show different times of day. The contorted and bound bodies of Michelangelo’s slaves alternate with portraits of the prisoners and guards, each in his own way ‘bound’ to the place - all show the impact of endless waiting and tenseness. The drawings are interrupted by graphic attempts not only to document his place of detention, but also to extend the view beyond the limits of the accessible and to depict the prison as architecture. The architect’s viewpoint thus begins to move from the interior of the cell, gradually extending the field of vision to take in a patch of sky or a fragment of the court, finally to the point where he attempts to regain his professional perspective — to see the building in its entirety from the viewpoint of its architectural projection, from above. 17. Nikolai Lanceray (1879-1942) — Quaderno di bozzetti, ristampa 1931-2014 Courtesy di Memorial Society, Saint-Petersburg Negli anni ‘30 in Russia le repressioni di massa hanno messo in moto una macchina punitiva che funzionava su scala industriale. Per le prigioni passavano senza sostare a lungo migliaia di persone che venivano poi in fretta giustiziate o mandate nei Lager. Poche restavano detenute in prigione e di queste, poche avevano a disposizione della carta di cui si sono preservati rari frammenti con scritte e disegni realizzati all’epoca. Nei musei pubblici non si trova quasi nulla a proposito. I due quaderni esposti sono unici e fragili documenti. Appartenevano a Nikolay Lanceray (1879-1942), artista e architetto Russo, arrestato nel 1931 poiché accusato di aver tradito la Patria ed esser stato una spia del governo francese, e morì nel 1942 durante un trasferimento da un Lager all’altro. I disegni in questi quaderni risalgono al periodo della sua reclusione nel tristemente noto carcere, ufficialmente chiamato “prigione-modello”, in via Shpalernaya a Leningrado. In quella prigione, ancora ai tempi degli zar, erano detenuti molti rivoluzionari. La prigione ospitava coloro che venivano reclutati a lavorare nelle cosiddette “sharashki”, gli istituti di ricerca e di progettazione che dipendevano dalla NKVD. Queste “sharashki” sfruttavano il lavoro degli scienziati, ingegneri e tecnici detenuti e servivano le industrie militari e spaziali. Durante la reclusione, Lanceray ha lavorato alla progettazione delle facciate e degli interni per diverse sedi della NKVD, per alcuni edifici nel Cremlino. Nei disegni di Lanceray gli schizzi e i ricordi delle vacanze in famiglia, di viaggi compiuti nel Caucaso, si alternano a ritratti dettagliatissimi della cella, degli interni, degli oggetti e dei volumi del luogo di reclusione. Altri disegni ritraggono finestrelle, grate, stipiti delle porte e sezioni trasversali. I disegni della torretta indicano diverse ore del giorno. I corpi storti e incatenati degli schiavi di Michelangelo si alternano alle figure dei detenuti e delle guardie, anch’essi in qualche modo “incatenati” al luogo. Tutti sono legati dall’interminabile attesa e tensione. Negli abbozzi grafici l’artista supera i confini della propria cella nel tentativo di immaginare e di ritrarre l’edificio per intero, estendendo la vista oltre il limite dell’accessibile per rappresentare la prigione come edificio e architettura. Il suo sguardo si muove dall’interno della cella, ingrandendo sempre più l’angolatura per comprendere uno scorcio del cielo, un frammento del cortile e alla fine tornare alla visione professionale dell’architetto e ritrarre l’intero edificio dall’alto, dal punto di vista della proiezione architettonica. 18. Alexey Wangenheim (1881-1937) — Drawings on paper, 1934-1937 Riddles, sketches Courtesy the Memorial Society, Moscow The autumn of 1933 saw the completion of the first stage of the Soviet Union’s large-scale research programme on the Far North, an undertaking linked with the name of Alexey Wangenheim (1881-1937) — a scientist, meteorologist, and organiser of the Soviet Hydrometeorological Service. He was arrested in 1934 and sentenced to ten years in the camps. He was sent on board a steamboat to the Solovetskiye Islands in the White Sea (‘Solovki’ for short). The main island in the archipelago was home to a monastery, founded in the fifteenth century, and has long been a major religious centre in the Russian North. From 1923 to 1939, it was turned into a special purpose camp and prison, holding scientists, writers and clergy. During his imprisonment on Solovki, Wangenheim worked in the hothouses, on cultivating the territory of the camp, making the flowerbeds, at the weather station, and in the library. He sent home 168 letters, each including a little sheet with drawings, botanical notes, and riddles for his daughter. As the scientist instructed his daughter in geography, meteorology, and biology, natural phenomena from the world around him were used: the movement of steamboats on the horizon, the Northern Lights, the thawing of ice in the bay, and the plants and animals in the landscape round about. In a natural prison like this the landscape constitutes the strongest means of constraint. For the scientist, the space of his prison became an object of scientific research and enthusiasm, essentially and phenomenologically equal to the world of the free. In the camp, Wangenheim gave lectures on ‘Opening up the Arctic,’ and ‘Flights into the Stratosphere.’ In a letter home, he wrote: ‘…socialism can also be built on Solovki. Studying the far north has become my chief labour… I must finish the first atlas of the distribution of wind energy in the USSR, and water, and then of the solar cadastre too.’ 18. Alexey Wangenheim (1881-1937) — Disegni su carta (indovinelli, schizzi), 1934-1937 Courtesy di Memorial society, Moscow Nell’autunno del 1933 è stata terminata la prima tappa del grande programma nazionale sullo studio del Nord dell’URSS. Questo programma è legato al nome di Alexey Wangenheim (1881-1937) — scienziato, meteorologo e fondatore dell’Ufficio Idrometeorologico dell’URSS. Nel 1934 è stato arrestato, accusato di essere spia e sabotatore e condannato a 10 anni di lager. L’hanno portato su una nave alle isole di Solovki nel Mar Bianco. Sull’isola principale dell’arcipelago c’era un grande monastero fondato nel XV secolo e rimasto a lungo uno dei centri religiosi principali del Nord della Russia. Negli anni 1923-1949 vi si trovavano un lager e un carcere speciale, che erano il luogo di reclusione per tanti scienziati, studiosi, scrittori e sacerdoti. Nel 1937 Alexey Wangenheim vi è stato fucilato. Durante la sua detenzione sulle isole di Solovki, Wangenheim ha lavorato nelle serre, nella stazione meteo, in biblioteca e faceva anche lavori di rinverdimento del territorio del lager. Per il suo ottimo lavoro gli erano state concesse 2 lettere mensili che poteva spedire ai suoi cari. In tutto ha spedito a casa 168 lettere. Ogni lettera conteneva anche un foglietto con disegni, erbari o indovinelli per sua figlia. Lo studioso copriva tutta la superficie del foglietto con racconti educativi per la figlia su temi di geografia, meteorologia e biologia. Illustrava le leggi della natura e i popolari indovinelli con i disegni del mondo che lo circondava: la nave che appare all’orizzonte, l’aurora boreale, la neve che si scioglie in una baia, diverse piante e animali. Alexey Wangenheim, come molti altri, si trovava in una prigione all’aperto, che rappresentava l’elemento più duro della costrizione. Il paesaggio rinchiude l’uomo mentre l’esercizio di studiarlo e riprodurlo diventa un punto d’attenzione per coloro che vi sono rinchiusi. Il luogo dell’incarceramento per uno studioso è diventato l’oggetto della ricerca, dell’entusiasmo, il che lo rendeva paragonabile dal punto di vista fenomenologico allo spazio della libertà. Nel lager Wangenheim ha tenuto delle conferenze sulla “Conquista dell’Artide” e sui “Voli fino alla stratosfera”. Da una sua lettera alla famiglia: “... venendo al sodo devo dire che anche alle Solovki si può costruire il socialismo. Il mio obiettivo qui è studiare il Nord. Devo ancora finire il primo atlante sulla distribuzione dell’energia del vento nell’URSS, poi mi aspettano il catasto dell’acqua e del sole”. 19. Ivan Dembsky Nikolai Sychev Irina Borkhman Lidiya Pokrovskaya Ülo Ilmar Sooster Ivan Sukhanov 1936-1953 Drawings on paper Courtesy the Memorial Society, Moscow and Sakharov Centre, Moscow These landscapes were made in different years by the camp inmates of Siberia, Kazakhstan, and the Solovetskie Islands in the White Sea. Professional artists and illustrators feature among the authors. All of them were made on scraps of paper that the authors had managed to obtain, either by working in a sharashka [special prison camp for scientists] or while doing renovation work on the camps, often using colours of vegetable or animal origin. The majority of drawings that were made in the camps were destroyed during searches, confiscated during transfers, or simply lost or mislaid. In the early stages of the repressions, it was strictly forbidden to depict the natural landscape; according to regulations, such sketches could be used as escape plans. With time, it became clear that the very landscape and climatic conditions were enough in themselves to act as an insurmountable barrier for the prisoners, and the prohibition was lifted. Following this, imprisoned artists were actively recruited to decorate the camps’ club-rooms and the houses of the camp commandants. Drawings made in prison are always distinguished by a sense of closeness in the accessible viewpoints on a space that hides behind itself an inaccessible distance - this is the perspective from inside the space of exclusion. Landscapes created by people in these conditions of the ‘open prison,’ are steeped in a deep sense of merging into the terrain and self-identification with it. 19. Ivan Dembsky Nikolai Sychev Irina Borkhman Lidiya Pokrovskaya Ülo Ilmar Sooster Ivan Sukhanov 1936-1953 Disegni su carta Courtesy di Memorial society, Moscow e Sakharov Centre, Moscow Questi paesaggi sono stati realizzati in anni differenti dai detenuti dei campi in Siberia, Kazakhstan e nelle isole Solovetskie nel Mar Bianco. Tra i detenuti si trovavano artisti e illustratori professionisti. Tutti i disegni sono stati realizzati su frammenti di carta che gli autori sono riusciti ad ottenere, lavorando nella “sharashka” (campo di prigionia per scienziati) o svolgendo lavori di rinnovamento del campo, usando spesso colori di origine vegetale o animale. La maggioranza dei disegni che sono stati fatti nei campi sono stati distrutti durante le ricerche, confiscati durante i trasferimenti o semplicemente persi o smarriti. Nei primi momenti della repressione, era strettamente vietato raffigurare il paesaggio naturale; secondo i regolamenti, codesti disegni potevano essere usati come piani di fuga. Con il tempo, è divenuto chiaro che il paesaggio e le condizioni climatiche erano barriere insormontabili per i prigionieri e la proibizione è stata abolita. In seguito, gli artisti detenuti sono stati attivamente reclutati per decorare le sale dedicate alle attività sociali e le case dei comandanti dei campi. I disegni realizzati nelle prigioni sono sempre caratterizzati da un senso di vicinanza nei punti di vista accessibili su uno spazio che nasconde dietro di sé una distanza inaccessibile; questa è la prospettiva da dentro lo spazio di esclusione. Paesaggi creati da persone in queste condizioni di “prigionia naturale,” sono immersi in un profondo senso di fusione nel terreno e di autoidentificazione con esso. 20. Michael Tolmachev — Natural zones, 2014 Video, panoramic projection; sculpture (thermoplastics, 3D printing); map (aerial view) Courtesy of the artist The work consists of video-landscapes filmed in the former camp areas of Construction Project 501-503 by an unmanned aircraft fitted with cameras. The video information, processed with photogrammetric software, was taken as the material for the creation of a documentary sculpture of the landscape, crafted by 3D printer. Construction Project 501–503 is one of the most striking examples of the utopian projects of the Stalin era — a 1,200 km long railway in Arctic zone of Western Siberia. The line for the future route passed through a mere handful of settlements, being soon joined by the way-station ‘camp points’ for convicts, sited every 5-10 km along the way. Prisoners were brought to the site, where their first task was to build watch towers and fix the posts on which the barbed wire was stretched out — the future borders of the zone and its isolating mechanism, and only then did they set about the construction of barracks. The design documentation for the camp architecture was made after its erection. After the death of Stalin in 1953 the construction was stopped and the liquidation of the engineering projects in the Arctic had begun. In the 1930s-1950s, these distant spots constituted a state within a state, regarded as a prison without bars in view of the inaccessibility of the territory and the severity of the climate. The surrounding landscape of the endless tundra bears within itself a constraining function. The horizon became not only the limits of the visible, beyond which its space continues, but also an insurmountable boundary, beyond which there was nothing but death. Tolmachev seeks out the conditions in which a connection can be made between event, space, and its maximum documentary representation in the realm of existing images. He achieves this by means of dynamic machine vision — a disembodied perspective, deprived of the subjectivity of the cameraman and human eyesight. The cameras provide a panoptical overview of the landscape for the video-panorama, reconstructing the illusion of hyper-visibility. 20. Michael Tolmachev — Zone naturali, 2014 Videoproiezione panoramica, scultura (termoplastica, stampa 3D), mappa (veduta aerea) Courtesy dell’artista Il lavoro di Michael Tolmachev consiste in paesaggi-video filmati nell’area dei campi gulag del Progetto di Costruzione 501-503 da un velivolo senza pilota dotato di telecamere. L’informazione video, elaborata con un software di fotogrammetria, diventa fonte per l’elaborazione di una scultura documentaria del paesaggio, realizzata da una stampante 3D. Progetto di Costruzione 501–503 è uno degli esempi più eclatanti dei progetti utopici dell’epoca di Stalin — 1,200 km di ferrovia nei territori dell’Artico nell’ovest della Siberia. La linea per la futura strada passava attraverso una serie di insediamenti che sarebbero stati presto affiancati da punti provvisori di ristoro per i detenuti, situati ogni 5-10 km lungo la strada. I prigionieri venivano portati al sito dove il loro primo compito era quello di costruire torri e fissare i posti di guardia su cui stendere il filo spinato — i futuri confini della zona e il suo meccanismo di isolamento — e, solo a quel punto, costruire la caserma. La documentazione della progettazione dell’architettura del campo è stata realizzata dopo la sua erezione. Dopo la morte di Stalin nel 1953 la costruzione è stata interrotta segnando la fine dei progetti di ingegneria nell’Artico. Nel 1930-1950, questi luoghi lontani costituivano uno stato nello stato, considerato come una prigione senza sbarre vista l’inaccessibilità del territorio e la severità del clima. Il paesaggio circostante della tundra infinita porta in sé una funzione vincolante. L’orizzonte diveniva non solo il limite del visibile, oltre il quale il suo spazio continua, ma anche un limite invalicabile, oltre il quale non c’è altro che la morte. Tolmachev ricerca le condizioni in cui poter creare una connessione tra l’evento, lo spazio e la sua massima rappresentazione documentaria nel regno delle immagini esistenti. L’artista realizza l’obiettivo mediante una visione artificiale dinamica — una prospettiva disincarnata, priva della soggettività del cameraman e della vista umana. Le telecamere forniscono una visione panottica del paesaggio per il video-panorama, ricostruendo l’illusione di iper-visibilità. Musical performance Programme-cycle of two concerts ‘doppio fallo’ Performed by Ivan Bushuyev and Dmitry Vlasik The object of our interest is the relationship between the composer and performer in contemporary academic music. We are interested in the musical score as a medium for the composer’s thoughts and the basis of the musical speech of the interpreter, as well as a condition, asserted on occasion by the composer, as the point at which the performer appears as a subject. The performer’s situation of imprisonment within the conditional framework of the piece is important, and the resultant duality of his position: wishing to remain inside the established rules, and thus shrugging off part of the responsibility for the immediately experienced present, and simultaneously the de facto impossibility of fully realising the composer’s intentions due to the unattainability in principle of such perfection. At the juncture between these positions appears the mistake, a paradoxical departure beyond the bounds of the existing contractuality, as a result of which the relationship between the composer and performed is ruptured, but around which, at the same time, all musical academic discourse is built. The first concert features the premiere of a piece specially written for the exhibition by the German composer Antoine Beuger — Traces of halt and hesitation (of love and intimation). The second concert includes music by Aleksei Sysoyev, John Luther Adams, Klaus Lang, Gerard Grisey, Pierluigi Billone, Ivan Bushuyev and Dmitry Vlasik. Performance musicale Ciclo di due performance “doppio fallo” Eseguite da Ivan Bushuyev e Dmitry Vlasik L’oggetto del nostro interesse è il rapporto tra il compositore e il performer nella musica accademica contemporanea. Siamo interessati alla partitura musicale come mezzo per l’espressione dei pensieri del compositore, come base del discorso musicale dell’interprete e come condizione, esercitata occasionalmente dal compositore, in cui il performer appare come soggetto. La situazione di reclusione del performer all’interno del contesto del pezzo è fondamentale, e corrisponde alla dualità della sua posizione: il desiderio di rimanere all’interno delle regole stabilite, togliendosi così parte della responsabilità per il presente immediatamente esperito, e contemporaneamente l’impossibilità di fatto di realizzare pienamente le intenzioni del compositore a causa dell’irraggiungibilità di tale perfezione. All’incrocio tra queste posizioni appare l’errore, una partenza paradossale oltre i limiti del patto esistente, a seguito della quale il rapporto tra il compositore e il performer si rompe, ma attorno al quale, allo stesso tempo, ogni discorso musicale accademico si costruisce. La prima performance include la première di un pezzo scritto per la mostra dal compositore tedesco Antoine Beuger — Tracce di arresto e di esitazione (di amore e di intimazione). La seconda performance include musiche di Aleksei Sysoyev, John Luther Adams, Klaus Lang, Gerard Grisey, Pierluigi Billone, Ivan Bushuyev and Dmitry Vlasik. Colophon Exhibition produced by Mostra prodotta da V-A-C Foundation, Moscow President Presidente Leonid Mikhelson Director Direttore Teresa Iarocci Mavica Curated by A cura di Katerina Chuchalina Organization Organizzazione Civita Tre Venezie Silvia Carrer Irene Lombardo Graphic design Progetto grafico Zaven Translations Traduzioni Ben Mcgarr Olga Gurevich Silvia Franceschini www.v-a-c.ru