IK-00
THE SPACES
OF CONFINEMENT
7 JUNE – 24 AUGUST 2014
CURATED BY
KATERINA CHUCHALINA
CASA DEI TRE OCI
GIUDECCA – ZITELLE
VENICE
In this project a number of international artists focus on an architecture of
exclusion, exploring ways of documenting and witnessing institutional spaces
designed to punish and sometimes
correct individuals who have been
separated from the rest of society.
Prisons, asylums and other correctional facilities are in constant
evolution, ideologically, structurally
and architecturally, encapsulating
whole narrative structures of violence
and resistance. How is a space of
confinement produced? How can itbe
witnessed? In what way can it can
be documented and visualised?
The spatial syntax of a prison is a distorted mixture of fantasy and reality.
The artists in the exhibition reflect on
spaces of constraint, confinement, and
containment. The functional aspects
of these spaces are beyond the visible;
they are distanced both spatially and
temporally from the fluid existence
of those on the outside. However,
these places of enclosure do not exist
separately from the everyday. Their
construction engenders a complex set
of psychological patterns that connect
to the human condition of all of us.
Michel Foucault used the
Panopticon, conceived by philosopher
and social theorist Jeremy Bentham
in 1793, ‘to reform prisoners, to treat
patients, to instruct schoolchildren, to
confine the insane and to put beggars
and idlers to work.’ Its principle, based
on the hyper visibility of the prisoners in contrast to the invisibility of
their warden, is widely recognised as
a scheme rather than architecture to
denote a combination of lines of visibility that forms relations of power.
With a rapidly increasing number
of those being held in confinement,
contemporary prisons are being built in
unprecedented numbers ­— spaces that
are monitored with new technologies
of control and observation. This new
reality produces not only new spaces
but also new vision techniques and new
realm of imaginary made up through
documenting devices of surveillance
systems. The enclosed space is now
demystified and deterritorialised, prisons are mirrors of society as well as its
counter-image and projection surface.
The artists trace these processes and
reveal the spaces of confinement as
laboratories for anthropological and
technical experiments testing behavioural patterns as well as manipulative
tools.
The enclosure of the prison is
often juxtaposed by its position in the
landscape. Prisons often act as visually
dominant reminders of colonial occupation, power structures. The landscape
of some prison locations can act as
a further form of separation from a
habitable world and lack of incentive
to escape into it. The artists explore
the limits of the documentation and
politics of seeing, working with remote
territories of ‘natural’ prisons like those
of the former Gulag camps. The few
surviving landscapes of some Sovietera camp prisoners exhibited are both
artworks and testaments of enduring
the invisible maximum-security walls of
the landscape. La mostra è un progetto collettivo
internazionale in cui gli artisti sono stati
chiamati a riflettere sull’architettura
dell’esclusione, alla ricerca di modi
diversi per documentare e testimoniare
gli spazi istituzionali destinati a punire
e talvolta a correggere gli individui
attraverso la loro separazione dal resto
della società.
Prigioni, manicomi e altri istituti
correttivi sono in costante evoluzione
dal punto di vista ideologico, strutturale
e architettonico, racchiudendo intere
storie di violenza e resistenza.
Come nasce uno spazio di reclusione?
Come può essere testimoniato? In che
modo esso può essere documentato
e visualizzato? La sintassi spaziale di
una prigione è una miscela distorta
di fantasia e realtà. Gli artisti in
mostra riflettono su questi spazi di
costrizione, reclusione e isolamento,
i cui meccanismi funzionali restano
dietro al visibile, data la divisione sia
spaziale che temporale dalla vita che
scorre al di fuori. Tuttavia, questo
non vuol dire che tali spazi abbiano
un’esistenza totalmente svincolata dal
nostro quotidiano. La loro costruzione
genera una serie di schemi psicologici
complessi che fanno parte della
condizione umana di ognuno di noi.
Michel Foucault ha utilizzato il
Panopticon, ideato dal filosofo e
sociologo inglese Jeremy Bentham
nel 1793, “per trasformare i prigionieri,
medicare i pazienti, educare i bambini,
isolare i pazzi e per dare un lavoro
ai mendicanti e ai fannulloni.” Il
principio del Panopticon, basato sulla
sovraesposizione dei prigionieri in
contrasto con lo sguardo invisibile dei
loro sorveglianti, nascosti all’interno
della torre, è ampiamente riconosciuto
come uno schema mentale ancor più
che architettonico, per esemplificare
l’insieme delle prospettive e dei punti di
vista che forma le relazioni di potere.
Al rapido incremento dei detenuti,
ha fatto seguito una crescita nella
costruzione delle prigioni che non
ha precedenti ­— spazi che vengono
monitorati con nuove tecnologie di
controllo e di sorveglianza. Questa
nuova realtà non produce solo nuovi
spazi ma anche nuove tecniche
di osservazione e nuovi mondi
dell’immaginario che emergono dagli
strumenti di documentazione dei
sistemi di sorveglianza. Lo spazio
chiuso ed isolato della prigione viene
allora demistificato e deterritorializzato,
le prigioni diventano specchio della
società e allo stesso tempo sua
controfigura e proiezione.
Gli artisti riflettono su questi processi
ed utilizzano gli spazi dell’isolamento
come laboratori per esperimenti
antropologici e tecnici che mettano
in luce schemi di comportamento e
strumenti di manipolazione individuale.
È possibile ritrovare il clima ostile
della prigione nella sua integrazione
con il paesaggio circostante. Le prigioni
spesso agiscono come ricordo visuale
dell’occupazione coloniale o
di altre istituzioni del potere dominante.
Il paesaggio ostile e il clima rigido
in cui sono state costruite alcune
prigioni possono agire come ulteriore
mezzo di separazione dal mondo
esterno, abitabile, e allo stesso tempo
scoraggiare la fuga verso di esso.
Gli artisti esplorano i limiti della
documentazione e le politiche di
rappresentazione di queste realtà,
lavorando con i territori remoti delle
prigioni “naturali” come quelle dei primi
campi Gulag. In mostra ritroviamo quei
pochi paesaggi superstiti, disegnati
da alcuni prigionieri dei Gulag in età
sovietica, che sono insieme opere
d’arte e testimonianza del tentativo di
affrontare i muri invisibili di massima
sicurezza del paesaggio circostante.
GROUND FLOOR MAP
6
1.
David Ter-Oganyan
2.
Donovan Wylie
3.
Conor MacGrady
4.
Valentin Fetisov
5.
Rebecca Lazier
6./14.
5
2
4
2
1
Bookshop
2
3
Rossella Biscotti
1.
David Ter-Oganyan
— Barrier, 2009
Site-specific installation
Courtesy the artist
In ordinary life, similar structures indicate one’s entrance into a
zone of heightened risk, in which the speed, manner and direction
of movement are distorted in line with the logic of coercion. It is
an architectural detail familiar to any citizen with experience of
spending time in an airport, at a demonstration, a football match,
or in a bank, which has been taken out of its context by the artist
and transformed into a labyrinth, reconstructing the psychophysical impact of a sojourn in situations of control, surveillance
or constraint.
In his work, David Ter-Oganyan has removed all the content
from the social scenario of a police corridor, focusing the viewer’s
attention on the bodily interaction with disciplinary space.
1.
David Ter-Oganyan
— Barriere, 2009
Installazione site-specific
Courtesy dell’artista
L’installazione di David Ter-Oganian è la ricostruzione di un
ordinario dispositivo spaziale che si usa per gestire la folla.
Nella vita quotidiana simili costruzioni indicano l’ingresso in uno
spazio di massima sicurezza, in cui la velocità, il moto e la sua
direzione sono alterati dalle logiche della coercizione. Questo elemento architettonico, familiare a tutti i cittadini abituati a passare
del tempo negli aeroporti o in banca, nelle manifestazioni o nelle
partite di calcio, viene decontestualizzato dall’artista e diventa
nello spazio espositivo una specie di labirinto che ricrea la sensazione psicofisica di trovarsi in uno spazio chiuso e di essere
sorvegliato, osservato o costretto.
David Ter-Oganian nella sua opera cancella qualsiasi contenuto allusivo allo scenario sociale di un corridoio di questura e
concentra l’attenzione sul contatto fisico dell’uomo con lo spazio
inflitto dalla disciplina.
2.
Donovan Wylie
— From the series The Maze,
2004
Digital c-print colour, inkjet print
colour
Courtesy of the artist and
Magnum Photos
The Maze Prison, built in 1976-1978, was an attempt by the
British Government to create an architectural solution to the
armed conflict in Northern Ireland. It held political prisoners
sentenced under the emergency legislation of 1972. In over thirty
years of the conflict, 10.000 people passed through the Maze, one
third of them lifers, with the average age of prisoners being 26
years old.
The prison became also known as «the H-blocks» as it consisted of eight identical cell blocks, each in the shape of an H
— functional prefabricated concrete cubic structures made up of
a series of separated or self-contained cell units that duplicated
facilities. These «H-blocks» became synonymous with the political
conflict, its potent symbol.
The experience of documenting prison space seldom coincides with the event, forever being at a distance, either physical or temporal. Donovan Wylie was an attentive visitor of an
abandoned prison — documenting, or rather measuring its space
with the help of photography. His pictures present us with merely
functional shots, only those angles that were provided for by the
architecture of the prison to aid observation. His perspective is
that of the prison warden; each meter of the territory examined,
each corner and empty square courtyard, is a potential scene
and theatre of warfare. Among Wylie’s photos, there is a shot
of the prison from above, taken by a satellite — a method often
employed to verify the goings on in territories inaccessible in
normal circumstances. For the history of prison architecture, this
is quite indicative, as discussion in such matters always turns
around the ground plan — whether it be of the radial, telephone
pole, or block system.
2.
Donovan Wylie
— Dalla serie del carcere Maze,
2004
Stampa digitale c-print
Courtesy dell’artista e di
Magnum Photos
Il carcere di Maze costruito nel 1976-1978 rappresentava un
tentativo del governo britannico di creare una soluzione architettonica al conflitto a fuoco nell’Irlanda del Nord. Ci scontavano la
pena i prigionieri politici condannati per la legislazione d’emergenza del 1972. Durante i trent’anni del conflitto, da Maze sono
passate più di 10 000 persone, di cui un terzo condannate alla
reclusione a vita, mentre l’età media dei detenuti era di 26 anni.
Il carcere è diventato noto anche come “blocchi-H” poiché
consisteva di 8 blocchi identici di celle a forma di H — funzionali
strutture cubiche prefabbricate, composte da una serie di celle
separate con doppi servizi. Questi “blocchi-H” sono diventati
sinonimi del conflitto politico e uno dei suoi simboli più potenti.
Il momento della documentazione dello spazio carcerario
rarissimamente coincide con l’evento stesso, ma di solito avviene
a distanza fisica o temporale. Donovan Wylie fu un ospite attento
che ha ripercorso il carcere abbandonato, documentando o
meglio misurando lo spazio stesso attraverso la fotografia.
Le fotografie ci forniscono solo inquadrature funzionali, le
angolature previste per l’osservazione dalla stessa architettura
del carcere. Il punto di vista dell’artista qui è quello delle guardie:
fissano ogni millimetro del territorio, ogni angolo, il quadrato
deserto del cortile che potrebbe diventare palcoscenico o campo
di battaglia. Tra le fotografie di Wylie ce n’è una fatta dall’alto, dal
satellite — un metodo che si usa per portare alla luce territori
inaccessibili. Essa è importante per la storia dell’architettura
carceraria poiché solitamente le discussioni si svolgono intorno al
piano terra dell’edificio.
3.
Conor MacGrady
— Eternal Summer, 2009
— The Nation Builders, 2010
— From the series Structure
(VI, IV, VIII, IX, X, XI), 2012
— Red Cell, 2012
Gouache on paper
Courtesy of the artist,
Saltworks Gallery and Carol
Jazzar Contemporary Art
The work of Conor MacGrady examines the role of authority in
contemporary society. In particular, it explores how power manifests itself in individuals and nation states and how it translates
into symbols, iconography, actions and a sense of self and place.
Rural landscapes examine the duality implicit in areas that are
repositories of the romantic ideal and yet contain hidden threats.
The drawings from ‘Structure’ refer to structures that are built
to enclose, encapsulate, or fortify, on the idea of architecture as
a means to contain and control and affect a sense of social order.
They follow on from the artist’s background in Northern Ireland
and his idea of Irish prisons as a drainage system, for the containment and removal of subversive or unwanted populations.
The predominance of white space in the drawings references
ideas of removal, disappearance, or absence.
Alongside the architecture of the prison, these structures reference bunkers and military installations. In some ways they are
the converse of the spatial dynamics in the large drawings.
They represent dense and constricted space — space that is
supposed to inspire fear, dread, repression and even, to a certain
extent, terror, whereas in the large works the space is that of the
panopticon, where terrain is subject to visual domination.
These pieces too, reference the panoptical state, where all activity is subject to surveillance and constant monitoring. Key to all
of these works is the idea of ideological enclosure — the current
global paradox of openness and mobility on one hand, and immigrant detention centres, rising nationalism and the barricading of
Fortress Europe on the other. 3.
Conor MacGrady
— L’eterna estate, 2009
— I Costruttori della Nazione,
2010
— Dalla serie Struttura (VI, IV,
VIII, IX, X, XI), 2012
— Cella Rossa, 2012
Acquerello su carta
Courtesy dell’artista,
di Saltworks Gallery e di Carol
Jazzar Contemporary Art
L’opera di Conor MacGrady analizza il ruolo dell’autorità nella
società di oggi ed esplora in particolare come si manifesta il
potere negli uomini e negli stati, come esso si traduce in simboli,
iconografie, azioni, identità di sé e del luogo. Nei paesaggi rurali
MacGrady studia il doppio carattere dei luoghi che dovrebbero
rappresentare ideali romantici ma che nascondono pericoli.
I disegni dalla serie Struttura si riferiscono alle strutture
costruite per recludere, per incapsulare o fortificare. Queste strutture sono basate su un’idea di architettura che serve a trattenere,
a controllare e a manifestare l’ideale dell’ordine sociale. Questa è
una delle conseguenze del passato dell’Irlanda del nord dell’artista e della sua visione sulle carceri irlandesi che assomigliano
a un impianto drenario che porta via tutti gli elementi sovversivi
o non voluti dalla popolazione. Il bianco che domina nei quadri
richiama le idee dell’assenza, della scomparsa e della rimozione.
Oltre all’archittettura delle prigioni queste struttuture fanno
pensare ai bunker e alle fortificazioni militari. Raffigurano anche
in qualche modo il dialogo del dinamismo spaziale sui disegni
immensi. Lo spazio denso e ristretto dovrebbe suscitare paura,
timore, repressione e anche un certo terrore, mentre nelle opere
estese come Costruttori della Nazione e L’eterna estate lo spazio
è quello del panopticon, dove il terreno è soggetto alle dimensioni
visuali. I disegni fanno anche riferimento allo stato panottico,
dove tutte le attività sono sorvegliate e controllate ininterrottamente. L’idea chiave di tutte le opere è quella del recinto
ideologico, ovvero il globale paradosso di oggi dell’apertura e
della mobilità da una parte, i centri d’identificazione e espulsione,
il crescente nazionalismo e lo sbarramento della Fortezza Europa
dall’altra.
4.
Valentin Fetisov
— Installation of Experience,
2011
Interactive installation
Courtesy of the artist
The work was created during
‘Infusion,’ a project organised
by Laboratoria Art&Science
Space, Moscow in collaboration with psychophysiologist
Olga Svarnik.
Valentin Fetisov researches the interrelationship of human and
machine by means of creating the psychological experience of
situations which mirror the circumstances of spatial experience in
everyday life, conditioned by technology.
This installation invites the viewer to enter a small room with
a monitor and video camera, after which the automatic doors
close behind him. In this way, the viewer is left locked up without
any instructions as to how to get out. The algorithm operating
the doors is extraordinarily simple, although this is impossible to
figure out for those finding themselves in there for the first time.
The viewer then sets about the search for logical regularity in
the space created. The situation of the exhibition refers him to
the logic of its creation and an appreciation of the artwork, just
as the individual locked up under observation begins to seek out
and analyse the logic of creation of the constructions that hold
him in, created by the justice system. One part of the visitors
unsuccessfully tries to discover the author’s intentions in the
room, while another tries to watch the screen or the camera, and
only a small proportion of those locked in push forcefully at the
doors with their hands, explaining the situation to themselves as
a technical fault. The psychological model for human behaviour in
a locked space under observation activates various mechanisms
in the human being for interrelations with the enclosed space:
identifying ourselves with it, submitting to it, making use of it or
overcoming its boundaries.
4.
Valentin Fetisov
— Installazione
dell’Esperienza, 2011
Installazione interattiva
Courtesy dell’artista
Questo lavoro è stato
realizzato durante
“Infusion,” un progetto
organizzato da Laboratoria
Art&Science Space, Mosca
in collaborazione con lo
psicofisiologo Olga Svarnik.
Valentin Fetisov esplora il rapporto tra il tecnologico e l’umano
creando esperienze psicologiche di situazioni che rispecchiano le
circostanze dell’esperienza spaziale della vita quotidiana condizionata dalle tecnologie.
L’istallazione invita lo spettatore a entrare in un piccola sala
dotata di un monitor e di una telecamera. Appena egli entra la
porta automatica si chiude dietro le sue spalle lasciandolo in
uno spazio ermeticamente chiuso senza nessuna istruzione per
potersi liberare. L’algoritmo che governa le porte è semplice ma
impossibile da capire al primo tentativo.
Lo spettatore è costretto così a cercare la logica dello spazio
creato. La situazione propostagli dalla mostra lo porta a esaminare anche la logica della creazione e della percezione delle opere
d’arte. Lo fa allo stesso modo della persona chiusa nello spazio di
detenzione che esamina la logica del funzionamento delle costruzioni detentive create dal sistema giudiziario. Una parte degli
spettatori cerca invano di trovare il disegno dell’autore dentro
la sala, altri fissano la camera o lo schermo e solo pochi forzano
le porte, sostenendo che si tratti di un errore tecnico. Il modello
psicologico delle persone osservate nello spazio chiuso comunica
diversi tipi di rapporto tra l’uomo e lo spazio chiuso: alcuni se ne
immedesimano, altri si sottomettono cercando di trarne profitto o
di superarne i limiti.
5.
Rebecca Lazier
— Coming Together/Attica
Choreography by Rebecca
Lazier in collaboration with
the dancers
Music: Frederic Rzewski, 1971.
40’40’’
Courtesy of the artist
5.
Filmed at The Invisible Dog
Art Center, Brooklyn,
New York on June 15, 2013
Part I – Coming Together
Part II – Silence
Part III – Attica
Rebecca Lazier’s choreographic performance Coming
Together/Attica is based on her profound research into the movement patterns of isolation and confinement. American musician
Frederic Rzewski wrote the music’s two parts in 1971 in response
to the prison riot in Attica, New York, in which the inmates
revolted and took control of a part of the institution, demanding
primarily ‘to be treated as human beings’.
The research mines the choreographic ‘squaring’ of the
incarcerated body, the additive and subtractive structures of the
movement, the effects of extended stillness, and the plastical
embodiment of space and time. The performance illustrates the
multi-layered artistic search for the structural elements. The
music scores are based on and inspired by the structure of the
text. The first part of the work, ‘Coming Together,’ uses words
written by the inmate Sam Melville, who was among the 43
people killed in the riot. The concluding part, ‘Attica,’ uses words
spoken to a reporter by Richard X. Clark, an inmate released
soon after the massacre: ‘Attica is in front of me.’ The dance in its
turn reveals how the experience of reading the text is translated
into a musical form, and expresses it in the repetitive patterns of
accumulation and decumulation of movement. The choreography
of the performance explores the possibility of communication and
the behavioural modes of being isolated among people — moving
in maximum closeness but without the possibility for real contact,
living parallel lives, inhabiting the same physical world but isolated emotionally and psychologically.
Rebecca Lazier
— Coming Together/Attica,
2013
Coreografia di Rebecca Lazier
in collaborazione con il corpo
di ballo
Musica: Frederic Rzewski, 1971
40’40’’
Courtesy dell’artista
Girato al The Invisible Dog
Art Center, Brooklyn, NY,
15/06/2013
Parte I – Coming Together
Parte II – Silenzio
Parte III – Attica
Lo spettacolo coreografico di Rebecca Lazier Coming
Together/Attica è basato sulla sua ricerca profonda dei movimenti
che comunicano la prigionia e l’isolamento. Nel 1971 il musicista
americano Frederic Rzewski ha scritto una musica in due parti
ispirata alla rivolta delle prigioni di Attica, a New York, quando i
detenuti si sono ribellati e hanno preso il controllo di una parte
del carcere, con la richiesta primaria di essere trattati come esseri
umani.
La ricerca estrae la ‘quadratura’ coreografica del corpo
incarcerato, la struttura additiva e sottrattiva del movimento
che risalta nella quiete estesa, nella personificazione plastica
dello spazio e tempo. Lo spettacolo dimostra la ricerca artistica
su diversi livelli degli elementi strutturali. La colonna sonora è
ispirata alla struttura del testo. La prima parte dell’opera Coming
Together cita le parole scritte dal detenuto Sam Melville, che era
tra le 43 persone uccise durante la sommossa. La parte conclusiva Attica invece, cita le parole dette al cronista da Richard X.
Clark, un carcerato che è stato liberato subito dopo il massacro:
‘Attica è di fronte a me’. La danza a sua volta rivela come l’ispirazione dalla lettura del testo viene tradotta in forma musicale
ed esprime in tal modo gli schemi ripetetivi di accumulazione e
decumulazione del movimento. La coreografia dello spettacolo
esplora la possibiltà di comunicazione, lo stato di isolamento
delle persone messe insieme, muovendosi nella prossimità
massima senza avere un contatto vero e proprio, vivendo le vite
parallele nello stesso spazio fisico, ma isolati emotivamente e
psicologicamente.
6.
14.
Rossella Biscotti
— I dreamt that you changes
into a cat… gatto…ha, ha, ha,
2013
Audio installation
Courtesy of the artist
Biscotti, who works in sculpture, photography and video, has
returned time and time again in her work to the places of closed
experience — prisons, courtrooms, disaster sites. Not limiting
herself to the collection of architectural and historical facts, she
always engages in immediate communication with people — the
witnesses and participants, through whom these narratives reveal
the essence of the relations between individuals and institutions,
between a society that condemns, encourages, punishes — and
the individual. The archive, which Biscotti is collecting, consists
of the poetry and dirt of prison, words, dreams, inappropriate
laughter, unrealisable hopes, flowers on graves, and the cracks
and graffiti on cell walls.
The audio installation, located in two places around the
exhibition space, is made up of the voices of female inmates of
the women’s prison on the island of Giudecca, only a few blocks
from the exhibition venue. Biscotti talked with the detainees for
several months, recording their dreams. The voices have the
power to recreate the locked space somewhere very close by, but
inaccessible. Between the inhabitants of the island, for whom the
prison has formed a spatial constant for many years, and those
of the ‘island within an island,’ a communications channel thereby
appears.
The artist declares this exhibition space life sentence-free to
support ‘Liberi dall’ergastolo’ campaign.
6.
14.
Rossella Biscotti
— Ho sognato che ti trasformavi in un cat… gatto… ha, ha,
ha, 2013
Installazione audio
Courtesy dell’artista
Rosella Biscotti nei suoi lavori scultorei, fotografici e video
è tornata spesso sul tema dello spazio chiuso, dell’esperienza
della prigione, del processo giudiziario o dei luoghi del disastro.
Biscotti raccoglie il proprio archivio documentale senza limitarsi
alla collezione di fatti architettonici e storici ma continuando la
sua esplorazione tramite il contatto personale con i testimoni o i
protagonisti degli eventi in questione. La sua narrazione svela la
sostanza del rapporto tra l’individuo e l’istituzione, tra la personalità e la società che la giudica, assolve o condanna. L’archivio
che la Biscotti raccoglie comprende la spazzatura proveniente dal
carcere, parole dette per caso, sogni, risa fuori luogo, speranze
mai realizzate, fiori sulle tombe, scritte e screpolature sulle pareti
delle celle.
L’istallazione audio, ripartita in vari punti dello spazio espositivo, consiste nelle voci delle detenute del carcere femminile
dell’Isola della Giudecca che si trova poco distante dal centro
espositivo. Per alcuni mesi l’artista ha registrato i sogni raccontati
dalle detenute. Queste voci che vagano qua e la per la mostra
ricreano la sensazione di uno spazio chiuso, impenetrabile ma
vicino. Tra gli abitanti dell’isola, per i quali il carcere rappresenta
una delle costanti topografiche, e le abitanti di questa “isola dentro l’isola” appare una specie di canale di comunicazione.
Chi parla in questa istallazione non è un eroe, ma un coro; la
trasmissione audio diventa teatro senza spettacolo; Il discorso
ripreso dal vivo documenta la routine quotidiana nello spazio
della detenzione.
Fa parte dell’opera di Biscotti anche un elemento politico: il
logo del movimento Liberi dall’ergastolo è stato integrato a vari
livelli nell’accompagnamento testuale della mostra.
L’artista dichiara questo spazio espositivo libero dall’ergastolo
per supportare la campagna del movimento Liberi dall’ergastolo.
1st FLOOR MAP
8
7
12
9
10
11
7.
Harun Farocki
8.
Ashley Hunt
9.
Sam Durant
10.
Markus Schinwald
11.
Jonas Staal
12.
Urban Fauna Lab
7.
Harun Farocki
— Prison Images, 2000
Video, color, b/w 60’
Commissioned by ZDF/3sat
Courtesy of the artist
7.
Harun Farocki
— Immagini di prigioni, 2000
Video, colore e b/n 60’
Courtesy dell’artista
La proiezione inizia ad ogni ora
Screening starts every hour
Harun Farocki is a creator of films that are difficult to classify — the categories of ‘essay’ and ‘documentary’ are without a
doubt insufficient — Farocki has developed a chance arrangement of images in his work that allows him to discover the
ideology that underwrites a technique and the way in which a
technique is likewise capable of generating new structures of
thought. These ‘essays for the classification of images,’ in the
words of Gilles Deleuze (a reference for Farocki), acquire different
forms in Farocki’s work and includes everything from images of
cinema’s precursors (easel painting, photography) to its inheritors
(video and digital). With these, Farocki interrogates the social
intersection between war, the economy and politics against the
backdrop of an audiovisual history of civilization.
The film ‘Prison Images’ quotes fiction films and documentaries as well as footage from surveillance cameras. The cinema
has always been attracted to prisons and nowadays prisons are
totally observed by video surveillance cameras which are producing unedited and monotonous films. As neither time nor space
is compressed, they are well-suited to conveying the state of
inactivity into which prisoners are placed as a punitive measure.
The film of Harun Farocki is asking, in his own words: ‘More than
anything else, electronic control technology has a deterritorialising effect. Locations become less specific. An airport contains a
shopping centre, a shopping centre contains a school, a school
offers leisure and recreation facilities. What are the consequences
for prisons, themselves mirrors of society as well as its counterimage and projection surface?’
Harun Farocki è un regista difficile da classificare — le categorie di “saggio” e “documentario” sono senza dubbio insufficenti.
Farocki ha sviluppato un’organizzazione casuale di immagini nel
suo lavoro che gli permette di scoprire l’ideologia sottesa a una
tecnica e il modo in cui la tecnica è anche in grado di generare
nuove strutture di pensiero. Questi “Saggi per la classificazione
delle immagini,” nelle parole di Gilles Deleuze (un punto di
riferimento per Farocki) acquisiscono forme diverse nel lavoro di
Farocki e comprendono tutto, dalle immagini dei precursori del
cinema (pittura da cavalletto, fotografia) ai suoi successori (video
e digitali). Con questi, Farocki interroga l’Intersezione sociale tra
guerra, economia e politica sullo sfondo di una storia audiovisiva
della civiltà.
Il film Immagini di Prigioni utilizza frammenti di fiction, di
documentari e di riprese fatte dalle telecamere di sorveglianza.
Il cinema è sempre stato attratto dalle carceri e oggi le carceri
sono totalmente osservate da telecamere di videosorveglianza
che producono film inediti e monotoni. Poiché né il tempo né
lo spazio sono compressi, essi sono particolarmente adatti a
trasmettere lo stato di inattività in cui si trovano i detenuti a
causa delle misure punitive. Il film di Harun Farocki chiede, con
le sue parole: “Più di ogni altra cosa, la tecnologia del controllo
elettronico ha un effetto deterritorializzante. Le località diventano
meno specifiche. Un aeroporto contiene un centro commerciale,
un centro commerciale contiene una scuola, una scuola offre
l’infrastruttura per il tempo libero e per le attività ricreative.
Quali sono le conseguenze per le carceri, esse stesse specchi
della società e allo stesso tempo sua contro-immagine e proiezione superficiale?”
8.
Ashley Hunt
— From Popular education
poster series:
Prison Maps: What Is The
Prison Industrial Complex?
and What Is The Context
for Today’s Prison Industrial
Complex?, 2002
Ashley Hunt investigates the way in which the penal system
has become a part of the contemporary economy and is beginning to develop in line with the logic of a profit-making enterprise,
expected to demonstrate continuous growth in its qualitative and
quantitative indices. The artist has become involved in activist
projects with communities which, in some phase of their existence, and for various reasons, have become prisons.
He transforms the results of his work, using accessible and
non-aestheticised media — video, photography and conceptual
maps, into educational installations to form part of his long-term
research The Corrections Documentary Project. Ashley Hunt’s
works follow the transformation of the mechanisms of criminalisation, exclusion and incarceration into a means for resolving the
contradictions of contemporary society.
In his ‘Prison Maps’ project, he charts the interactions of the
various social forces leading, for reasons unconnected with safety
or justice, to the growth of the penal system and the emergence
of the phenomenon of the Prison Industrial Complex.
Social agents (prison warden trades unions, agricultural corporations, associations for the victims of violence, professional
associations of judges, politicians etc.) directly or indirectly draw
economic or political benefit from the building of new prisons, the
growth of the numbers of inmates, the toughening of legislation
and the continuing criminalisation of socially vulnerable sections
of society. With the help of the visual language of the businesspresentation, the artist has arranged a high-impact conspiracy
theory narrative in which the prison becomes the invisible centre
of social processes.
The conceptual map ‘A World Map: In Which We See’ painstakingly sets out a diagram of the concepts, processes and forces
structuring the modern world, and draws attention to those
subjects who have been stripped of their rights (prisoners, refugees, POWs) and the place which they occupy in the cunningly
— A World Map: In Which We
See, 2004-present
Wall print
— Housing, Process,
Movement, 2000
Multi channel video installation, monitors, pipes
— A Prison in The Field, 2002
Single channel video, 18’
Courtesy of the artist
woven tapestry of economic and political processes, the global
system of laws, institutions and economies.
The film ‘A Prison in the Fields’ follows the campaign of a
Californian grassroots coalition to stop a new $600 million prison
from being built in Delano, CA. Following the points of view of
community representatives who are typically denied a voice in
representations by the mainstream media, a challenge is brought
to the typical myths that assert the value a prison can bring to
poor rural communities, as an engine for ‘economic growth’ and
‘development,’ as the real costs and realities of hosting a prison
are revealed. 8.
Ashley Hunt
— Dalla serie di poster
Educazione Popolare:
Mappe delle prigioni
Cos’è un complesso carcerario
industriale?
Qual è il contesto di un complesso carcerario industriale
oggi? 2002
Ashley Hunt investiga il modo in cui il sistema penale è
diventato parte dell’economia contemporanea e ha iniziato a
svilupparsi in linea con le logiche di un’impresa generativa di
profitto, con le aspettative di dimostrare una crescita continua
nei suoi indici qualitativi e quantitativi. L’artista è stato coinvolto
in progetti come attivista con le comunità che, in alcune fasi
della loro esistenza e per diverse ragioni, sono state a contatto
con le prigioni. Hunt trasforma i risultati del suo lavoro usando
media accessibili e non estetizzanti — video, fotografia e mappe
concettuali- in un’installazione pedagogica per formalizzare parte
della sua ricerca a lungo termine: The Corrections Documentary
Project (Progetto Documentario delle Istituzioni correttive).
Il lavoro di Ashley Hunt segue l’uso dei meccanismi di criminalizzazione, esclusione e incarcerazione come mezzo per risolvere
le contraddizioni della società contemporanea. Nel suo progetto
Mappe delle prigioni l’artista classifica le interazioni delle diverse
forze sociali per alcune ragioni, disconnesse dalla salvezza o
dalla giustizia, alla crescita del sistema penale e all’emergenza
del fenomeno dei complessi carcerari industriali. Gli agenti sociali
(Sindacati della Polizia Penitenziaria, Corporazioni Agricole,
associazioni delle vittime della violenza, associazioni professionali
di giudici, politici, etc.) direttamente o indirettamente ricevono un
benefit economico o politico dalla costruzione di nuove prigioni,
dalla crescita del numero di detenuti, dal peggioramento della
legislazione e dalla continua criminalizzazione delle sezioni
socialmente vulnerabili della società. Con l’aiuto del linguaggio
visivo di una presentazione d’affari, l’artista ha creato una
narrativa d’impatto degna di teorie cospirative in cui la prigione
diventa il centro invisibile dei processi sociali.
— La Mappa del Mondo:
nella quale vediamo,
2004-present
Stampa su carta da parati
— Abitazione, Processo,
Movimento, 2000
Video-installazione, monitor,
tubi
— Una prigione nel campo,
2002
Video, 18’
Courtesy dell’artista
La mappa concettuale La Mappa del Mondo: nella quale
vediamo delinea un diagramma di concetti, processi e forze strutturanti il mondo moderno, e attrae l’attenzione dei soggetti che
sono stati privati dei loro diritti (prigionieri, rifugiati) e il luogo che
loro occupano nell’intreccio di processi politici ed economici, nel
sistema globale delle leggi, delle istituzioni e delle economie.
Il film Una Prigione nel Campo segue la campagna iniziata dal
basso da una coalizione californiana per fermare la costruzione
di una nuova prigione da 600 milioni di dollari in Delano, (CA).
Seguendo i punti di vista delle comunità rappresentative, la cui
voce è solitamente silenziata nelle rappresentazioni dei media
mainstream, si coglie la critica all’idea che un carcere, poiché
motore per la “crescita economica” e lo “sviluppo”, possa portare
del valore alle comunità rurali povere,
9.
Sam Durant
— Gallows Composite B
(Billy Bailey Gallows, Lincoln
Conspirators Gallows, John
Brown Gallows), 2008
Wood, metal, mirrors and
basement
— History of Death Row
— Support for Life
— Death Penalty Last
9.
— Increases
— Financial Facts
— Recent Studies
— Criminologists’ View
— Race Executed
2008
Graphite on paper
Courtesy the artist
& Praz-Delavallade, Paris
In his project, Sam Durant draws attention to the history of
the death penalty, the procedures used to take away a human
life that have been sanctioned by the state and implemented in
the interests of society. Like any other country, the USA has a
long history of capital punishment but, unlike most others, still
executes its convicts. The aim of the project is to demonstrate
the historical depth of this practice and reveal the paradoxical situation whereby the cruelest of all possible punishments remains
an acceptable option in a modern society, despite the arguments
made in favour of abandoning the barbarity of judicial execution.
The installation takes the form of several models of the gallows used in various historical executions. Those reconstructed
for this purpose are: the gibbet of John Brown — one of the
first white abolitionists to begin the armed struggle against the
institution of slavery in the USA, executed in 1859; the gallows
used to hang the conspirators who helped plan the assassination
of Abraham Lincoln; and the scaffold climbed by Billy Bailey —
whose hanging in 1996 was the last, to date, to have been carried
out in the USA. The backdrop to the installation is provided by an
exhibition presenting information gathered on the history, economics and sociology of the use of the death penalty in America.
The gallows are stood on mirrors, mirrors being often present
in Durant’s work. The mirror interests Durant because of its
potent symbolic charge. The viewer finds himself involved in the
work, both through the reflected image and his own reflection
process.
Sam Durant
— Patibolo Composito B
(Patibolo di Billy Bailey,
Patibolo dei cospiratori di
Lincoln, Patibolo di John
Brown), 2008
Legno, metallo, specchi,
basamenti
— Storia del braccio della
morte
— Supporto per la vita
— Ultima pena di morte
— Crescite
— Fatti finanziari
— Studi recenti
— Punti di vista dei criminologi
— Razze giustiziate
2008
Grafite su carta
Courtesy dell’artista
& Praz-Delavallade, Paris
Nel suo progetto Sam Durant attira l’attenzione sulla storia
della pena di morte, sulle procedure utilizzate per togliere la
vita umana che sono state sanzionate dallo Stato e sviluppate
nell’interesse della società. Come qualsiasi altro paese, gli Stati
Uniti hanno una lunga storia relativa alla pena di morte, ma, a
differenza di molti altri paesi, continuano a giustiziare i condannati. L’obiettivo del progetto è quello di dimostrare la profondità
storica di questa pratica e rivelare la situazione paradossale per
cui la più crudele di tutte le pene può rimanere ancora un’opzione
accettabile in una società moderna, nonostante le argomentazioni
sollevate in favore dell’abbandono della barbarie dell’esecuzione
giudiziaria.
L’installazione prende la forma di vari modelli di patiboli impiegati in diverse esecuzioni storiche. Quelle ricostruite a questo
scopo sono: il patibolo di John Brown — uno dei primi abolizionisti bianchi che iniziò la lotta armata contro l’istituzione della
schiavitù negli Stati Uniti, giustiziato nel 1859; il patibolo utilizzato
per impiccare i cospiratori che avevano aiutato a pianificare l’assassinio di Abramo Lincoln; l’impalcatura scalata da Billy Bailey
— la cui impiccagione nel 1996 è stato l’ultima, ad oggi, eseguita
negli Stati Uniti. Sullo sfondo della struttura, una mostra presenta
le informazioni raccolte sulla storia, l’economia e la sociologia del
ricorso alla pena di morte in America.
I patiboli sono disposti su alcuni specchi, spesso presenti
nell’opera di Durant. Lo specchio interessa Durant per il suo
potente contenuto simbolico. Lo spettatore si trova coinvolto nel
lavoro, sia attraverso l’immagine riflessa, sia attraverso il processo
stesso di riflessione.
10.
Markus Schinwald
— Dictio Pii, 2001
Video (5 films), 16’20’’
Courtesy the Tate collection
In his film the Austrian video-artist Markus Schinwald has
arranged a non-linear hypnotic narrative evoking the sensations
of isolation and anonymity of the contemporary individual in
architectural space. The theme of Markus Schinwald’s work is
that of the body as a cultural construct, as an incessantly actualised site at which the subject is constituted both in its identity
and its instability and transversality. Subverting the architectonic
function of bodies, clothes and everyday rituals, Schinwald has
laced the arms of a jacket together and invented an elaborate
metal contraption that rests on the neck and supports the index
finger in a frozen gesture of attention. Language is another
crucial thread in Schinwald’s work; it is elliptical, mysterious, its
meaning obscure or fragmented, sputtered out by a disjointed
consciousness. The words may be spoken but are not meant to
be understood.
The film’s protagonists move along the corridors of derelict
buildings, living through the architectural structures that constitute our daily lives — corridors, passageways, flights of stairs,
rooms. In Schinwald’s film, frozen time takes the form of space
and, conversely, space is expressed via the temporal metaphors
of dust and ashes. The artist tells how he is sick and tired of
these rooms and their repetitive nature. In Schinwald’s hypersensitive reality, hotel corridors echo the school, prison, hotel
or hospital. The bodily and psychological experience of existing
within them can indeed be quite similar.
10.
Markus Schinwald
— Dictio Pii, 2001
Video (5 films), 16’20’’
Courtesy della Collezione Tate
Nel film di Shinwald il tempo fermato si trasforma in spazio e
lo spazio, al contrario, si esprime attraverso le metafore temporali
di cenere e polvere. L’artista esprime la sua stanchezza di questi
spazi e della loro costante ripetizione. Nella realtà iper-sensuale
di Schinwald i corridoi dell’hotel sono l’eco ripetitivo di una scuola,
di un carcere, di un albergo o un ospedale dove l’esperienza fisica
e psicologica dell’esistenza può essere simile.
11.
Jonas Staal
— Art, Property of Politics III:
Closed Architecture (based
on a concept by Fleur Agema),
2011
Installation
Courtesy of the Kadist Art
Foundation
In the third part of his project ‘Art, Property of Politics,’
researching the role of the visual arts in modern political processes, the artist Jonas Staal has turned his attention to the
course work of Fleur Agema. During her education at an architectural academy, this future member of the far-right Party for
Freedom and its spokesperson on social issues, set about designing a new type of prison. According to the ideas of the budding
architect and future politician, incarceration should be divided
into four stages, corresponding to four distinct architectural
solutions. The Bunker, the Habituation, the Wait and the Light
(changed to the Fort, the Encampment, the Artillery Installation
and the Neighbourhood in the final version) constitute four
sectors in the prison complex, differing in comfort levels and
inmates’ personal freedom and rights. The pressure applied by
Agema’s projected prison design was to stimulate the individual
towards reeducation, reformation, and return into society.
The rate at which a prisoner might move through these sectors
was to be dependent upon their behaviour and would be accompanied by an improvement in conditions. Thus, while found in
‘the Fort,’ the detainee is fully isolated in a small cell, practically
devoid of any light source and without any possibility to read,
whereas in ‘the Neighbourhood,’ which simulates an ordinary
residential area, he is able to work in the garden and go for walks.
In case of opposition to this process of forced re-socialisation, he
is held indefinitely in one stage, or sent back to an earlier level.
The artist employs the habitual language of architectural
visualisation to show how, in dependence upon political interpretation, architecture is transformed an implement of torture, while
unpacking the critical theory of a disciplinarian society in the
form of a guide to build a dystopia.
11.
Jonas Staal
— Arte, Proprietà della Politica
III: Architetture Chiuse
(da un’idea di Fleur Agema),
2011
Installazione
Courtesy di Kadist Art
Foundation
Nella terza parte del suo progetto “Arte, Proprietà della
Politica”, che ricerca il ruolo delle arti visive nei processi della
politica moderna, l’artista Jonas Staal ha diretto la sua attenzione
sulla tesi di Fleur Agema. Durante la sua educazione all’accademia di architettura, il futuro membro del Partito di estrema
destra “Partito per la Libertà” e responsabile dei servizi sociali, ha
disegnato un nuovo tipo di prigione. Secondo le idee del giovane
architetto e futuro politico, l’incarcerazione dovrebbe essere
divisa in quattro fasi, corrispondenti a quattro diverse soluzioni
architettoniche. Il Bunker, l’Adattamento, l’Attesa e la Luce (cambiata per la Fortezza, l’Accampamento, l’Installazione dell’Artiglieria e il Quartiere, nella versione finale della tesi) costituiscono
quattro settori del complesso della prigione e si differenziano per
il livello di comfort, dei diritti e della libertà personale dei reclusi.
La pressione dell’architettura della prigione disegnata da Agema
mira a stimolare l’individuo verso la rieducazione e il re-inserimento nella società. La velocità a cui il prigioniero si può muovere
attraverso questi settori deve dipendere dal loro comportamento
e portare ad un miglioramento delle loro condizioni. Dunque,
mentre si trova nella “Fortezza” il detenuto è completamente
isolato nella sua cella, praticamente deprivato da ogni fonte di
luce e senza la possibilità di leggere; mentre, nel “Quartiere”, che
simula una comune area residenziale, è in grado di lavorare nel
giardino e di uscire per una passeggiata. In caso di resistenza a
questo processo di ri-socializzazione forzata, il prigioniero verrà
tenuto a tempo indefinito in un settore o mandato indietro ad un
livello precedente.
L’artista impiega il linguaggio proprio della rappresentazione
architettonica per mostrare come, a seconda dell’interpretazione
politica, l’architettura si trasforma in uno strumento di tortura,
condensando così la teoria critica di una società disciplinare nella
forma di un manuale per costruire la distopia.
12.
Urban Fauna Lab
(Anastasia Potemkina,
Alexey Buldakov)
— The New Leaders of
Regional Development, 2014
Power point presentation,
model
Courtesy of the artists
Urban Fauna Lab is a platform for the study of parasitic
and symbiotic relationships and associated mutual adaptation in
urban environments at the intersection of architecture, biology,
philosophy, contemporary art.
The artists present a new project for the opening up of
Russia’s northern territories and reclamation of the sites of
former GULAG prison camps. This is a presentation of a project
for an “eco-friendly” data-centre, provoking a spontaneous selforganisation of biological life on an evolutionary scale. The artists
propose the erection of a source of heat energy — a data-centre
in the tundra, in a virtually lifeless space. They have created a
design for a social and biological utopia, comparable with that
which society has tried to create in its isolating institutions.
Heat is to form the boundaries of the territory, without the use of
walls.
Instead of a space limited by walls, a prison can be described
as an anchorage point for a large group of people, with all of its
subgroups. One of the factors involved in the effective isolation
of people from society is their formation of the conditions for
self-organisation.
The narrative in which diagrams, graphics and other indicators
are laid upon subtle watercolors with moss and maps patterns
is framed in the form of a presentation to persuade interested
parties of its high investment appeal. The economic drawbacks
of using sites on Stalinist work camps are contrasted with the
effectiveness of contemporary global economic projects, and are
laid out in the language of market research.
12.
Urban Fauna Lab
(Anastasia Potemkina,
Alexey Buldakov)
— I Nuovi Leader dello
Sviluppo Regionale, 2014
Presentazione Power point,
modello
Courtesy degli artisti
Urban Fauna Lab è una piattaforma per la ricerca sui rapporti
parassitici e simbiotici e sulla possibilità del loro inserimento
reciproco nell’ambiente urbano, in cui si intersecano architettura,
biologia, filosofia e arte contemporanea.
Urban Fauna Lab propone un nuovo progetto per la valorizzazione dei territori settentrionali della Russia, quelli in cui si
trovavano i lager dei GULAG. Si tratta della presentazione del
progetto di un centro-dati “eco-friendly”, che suscita la spontanea
organizzazione della vita biologica in scala evolutiva. Gli artisti
propongono di mettere una fonte di calore — un centro-dati —
nella tundra, in uno spazio completamente disabitato a livello
virtuale creando così nuova utopia sociale e biologica analoga a
quella che la società ha cercato di creare con le istituzioni d’isolamento. Il calore delimita il territorio rendendo superflui i muri.
Il carcere può essere descritto non solo come spazio delimitato da muri, ma anche come punto di ancoraggio d’insiemi
di persone con i propri sottoinsiemi. Uno degli elementi efficaci
nell’isolamento dell’individuo dalla società è la creazione delle
condizioni per la sua auto-organizzazione.
La narrativa composta da diagrammi, grafici e altri indicatori
diposti su delicati acquerelli con muschio e disegni di mappe,
viene formalizzata in una presentazione per convincere le parti
interessate del suo elevato appeal d’investimento.
L’uso del tutto inefficace del territorio dei lager staliniani viene
contrastato da quello efficace dei contemporanei progetti globali.
Il tutto espresso con il linguaggio di uno studio di marketing.
2nd FLOOR MAP
20
20
18
Arseniy Zhilyaev
14./6.
Rossella Biscotti
15.
Ines & Eyal Weizman
16.
Mikhail Nesterov
17.
Nikolai Lanceray
18.
Alexey Wangenheim
19.
Ivan Dembsky
Nikolai Sychev
Irina Borkhman
Lidiya Pokrovskaya
Ülo Ilmar Sooster
Ivan Sukhanov
20.
Michael Tolmachev
19
17
16
14
15
13.
13
13.
Arseniy Zhilyaev
— Save the light! 2013
Exhibition project: from
the series Svetopis (The
Blueprint) by Vasily Boyko
(7 elements, canvas, mixed
media), video, documents,
brochure
Courtesy of the VAC
Foundation, Moscow
This project was realised in 2013 in Moscow and was entitled
‘Save the Light!’ in the wake of the campaign launched in support
of the imprisoned activist Vladimir Akimenkov, then losing his
eyesight in a Moscow remand prison.
In this work, Zhilyaev employs the device of an imaginary group
exhibition, among whose fictitious participants are artists, fashioned in the image and likeness of real artists who left a notable
impression on the history of 20th century art. The three narratives
told are united by light as a metaphor of freedom. The documentation of the full project is reflected in a booklet, handed out at the
exhibit.
One of the participants of the exhibition is the imaginary
Russian avant-gardist, poet and artist, Vasily Boyko, whose life
story we learn in an archive installation consisting of ‘original’
documents. While 20 years an inmate of the Stalinist Gulag, Boyko
made a picture by subjecting a canvas to the extended impact of
the sunlight shining through his cell window. The prototype for this
imaginary artist was the Russian poet Vasilisk Gnedov, which was
to be one of the most radical poetic works of Russian futurism.
In their video work Untitled the London-based collective
‘Alliance of Precarious Images’ turns to the analysis of the linguistic
nature of the judicial speech produced by the Russian prosecutors
who conducted the case of the May 6 ‘mass riots’,
as well as several other much publicized cases involving artists
and oppositional activists. Since video — and audio — recording
without special permission was prohibited, most of the speeches
were recorded with the help of a hidden dictaphone with no videoimage available and are displayed against a background of a black
Youtube square.
Both the breaking up of language as a poetic method and
the use of light as a painting medium constitute the ultimate in
expressive gestures, produced in conditions of extreme endurance,
and fit well in the ranks of modernist experiments on the frontiers
between art and life.
13.
Arseniy Zhilyaev
— Salva la luce! 2013
Progetto espositivo: serie
Svetopis (Cianografie) di
Vasily Boyko (tela, diversi
media), video, documenti,
opuscolo
Courtesy di VAC Foundation,
Moscow
Il progetto è stato realizzato nel 2013 a Mosca con il titolo
“Salva la luce!”, dalla campagna in sostegno dell’attivista Vladimir
Akimenkov, detenuto politico in uno dei carceri di Mosca in cui sta
perdendo la vista.
Il progetto di Arseniy Zhilyaev impiega il dispositivo di una
mostra di gruppo immaginaria fatta da artisti immaginati e
modellati a somiglianza di artisti reali che hanno lasciato un segno
nella storia dell’arte del Novecento. Tre filoni narrativi sono uniti
dal tema della luce come metafora di libertà. La documentazione
dell’intero progetto si trova nell’opuscolo distribuito durante
l’esposizione.
Uno degli artisti esposti è Vassily Boyko, immaginario artista e
poeta russo d’avanguardia, la cui vita è raccontata nell’istallazione
d’archivio che contiene documenti “originali”. Detenuto per 20 anni
nei gulag di Stalin, Vassily Boyko creava i suoi quadri esponendo
a lungo i pezzi di tela al sole che passava attraverso la grata della
finestra della sua cella. Il prototipo di questo personaggio è il
poeta russo Vasilisk Gnedov che nei suoi libri mostrava la riduzione della lingua da una riga a una parola, poi a una lettera fino
ad arrivare al foglio bianco vuoto del suo “Poema della fine” (1913),
una delle opere più radicali del futurismo russo.
Un altro partecipante immaginario della mostra di Arseniy
Zhilyaev è il gruppo londinese “Alleanza delle Immagini Precarie”.
Nel loro video le voci dei giudici durante il processo contro il
“disordine pubblico” del 6 maggio 2012 risuonano dietro al quadrato nero dello schermo di youtube (la registrazione del processo
poteva essere consultata solo nella versione audio senza immagini
relative). Lo schermo nero si alterna con un certo ritmo a quello
bianco accompagnato dalle grida indecifrabili sullo sfondo.
La disintegrazione della lingua come anche l’atto pittorico eseguito attraverso la luce solare sono mezzi espressivi definitivi che
possono essere creati in circostanze di sopravvivenza estrema,
annoverabili tra le sperimentazioni moderniste ai limiti tra arte e
vita.
15.
Ines & Eyal Weizman
— Celltexts. Books and other
works produced in prison,
2008
Installation (books, web
project)
Courtesy of the artists
Ines & Eyal Weizman are architects and theorists, showing the
extended and elaborated version of their work made in 2008. The
work is organized around a collection of hundreds of books and
other texts from across the world, written under conditions of
enforced incarceration. The collection includes the work of writers who have been sent to prison for the contents of their writing,
for their political involvement, as well as of prisoners convicted of
other crimes who have used the time and seclusion of their incarceration to become writers. Through the collection of texts an
archipelago of prison cells emerges. The cells are thus revealed
as sites of intellectual production, marking the limit condition of
writing. The collection is assembled in recognition that spatial
confinement and isolation may induce a process of creative,
imaginative, and sometimes spiritual, cultural production. Commissioned and designed by and for the state, prison cells
acquire a potential subversive content, becoming critical spatial
apparatuses. Paradoxically, imprisonment emerges as an active
practice of citizenship, a mechanism of political opposition that
calls for a confrontation with or intolerance for certain forms of
government.
The texts are ordered not according to traditional fields of
designated knowledge but according to the number of days a
writer spent (or is spending) in prison. Catalogue entries (time
in prison, place of imprisonment, the charge and the sentence)
are chalk-written on the wall, allowing the collection to be
transformed and the catalogue expanded. The website, publicly
available beyond the exhibition, allows for a variety of search categories and taxonomies, allowing multiple connections between
the books on content, geographical and period parallels.
15.
Ines & Eyal Weizman
— Celltexts. Libri e altre opere
create in prigione, 2008
Installazione
Courtesy degli artisti
Ines e Eyal Weizman sono architetti e teoretici e presentano
nella mostra la versione ampliata e approfondita della loro opera
del 2008. L’installazione si svolge intorno ad una raccolta di centinaia di libri e di altri testi scritti in condizioni di forzata reclusione,
provenienti da tutte le parti del mondo. Nella raccolta ci sono sia
i libri di scrittori incarcerati per il contenuto dei loro scritti o per
la loro posizione politica, sia i libri scritti dai detenuti condannati
per altri delitti, che hanno usato il tempo della reclusione per
diventare scrittori. Attraverso questa raccolta di scritti emerge
un arcipelago di celle carcerarie. La cella appare come sede della
produzione intellettuale condizionata dai limiti dello spazio. La
raccolta è stata effettuata per far riconoscere che l’isolamento e
la reclusione possono suscitare la produzione creativa, immaginativa, culturale e talvolta spirituale.
Commissionate e progettate dallo e per lo Stato, le celle carcerarie acquistano un potenziale sovversivo, diventando spazio
dell’attivazione critica. Paradossalmente l’esperienza del carcere
si rivela come pratica attiva dell’essere cittadino, diventando in tal
modo meccanismo dell’opposizione politica, il cui scopo è evocare
l’intolleranza verso certe forme di amministrazione.
I testi non seguono l’ordine dei campi tradizionali della scienza,
ma la loro disposizione corrisponde al numero di giorni passati
dall’autore in prigione. I dati del catalogo (tempo passato in
prigione, luogo dell’incarceramento, colpa e sentenza) sono scritti
col gesso sulla parete, il che consente il rapido cambiamento
dell’esposizione e il continuo ampliamento del catalogo. Oltre
all’esposizione, un sito web permette varie possibilità di ricerca,
sia per categorie sia per tassonomie, facilitando così la creazione
di molteplici legami tra i libri sui contenuti e sui paralleli geografici e temporali.
16.
Mikhail Nesterov
(1862-1942)
— The nightingale is singing,
1917
Oil on canvas
Courtesy of the VAC
Foundation, Moscow
Mikhail Nesterov (1862 – 1942) is a Russian and Soviet painter,
famed as the originator of a particular ideology of the Russian
landscape, habitually termed as poetic, lyrical, depicting the
sparing subtle beauty of central Russian nature. The Nesterovian
landscape, repeated in endless variations in his paintings, features the subdued green of the forest, barely discernible flowers,
vast endless expanses and quiet waters. His lyrical hero is seeking peace, bliss, and solitude within nature.
Nesterov created an archetypical image of northern Russian
nature that it has become lodged in the collective national
memory, one of the immense spaces of the country and its geography. The colonisation of the Russian lands, the opening up of
their vastnesses, has historically been accomplished by means of
colonies, settlements, camps and prisons. The Nesterovian landscape functions as an artistic document of the Russian North, an
all-encompassing landscape that confine worse than any walls.
16.
Mikhail Nesterov
(1862-1942)
— L’usignolo canta, 1917
Olio su tela
Courtesy di VAC Foundation,
Moscow
Mikhail Nesterov (1862-1942) è un pittore russo noto come
il fondatore dell’ideologia del paesaggio russo, il cosiddetto
paesaggio “nesteroviano”, detto anche paesaggio poetico, lirico,
intimamente “russo”, che ritrae la bellezza discreta e silente della
natura della Russia centrale. I quadri di Nesterov rappresentano,
sempre con innumerevoli variazioni, esili betulle, pini incolti, il
verde sfuocato di foreste, grappoli delle bacche rosse di sorbo,
fiori appena visibili, distese sterminate di prati e di acque
immobili.
L’immagine della natura russa creata da Nesterov ha costruito
l’immaginario nazionale degli spazi immensi del paese e la sua
geografia reale. Storicamente la conquista dei territori russi è
avvenuta tramite insediamenti, colonie, costruzione dei lager e
delle prigioni. Il paesaggio nesteroviano è un documento artistico
del nord del Paese e una metafora delle passioni dell’uomo circondato dal paesaggio sterminato e universale, che allo stesso tempo
lo imprigiona più di qualsiasi muro o lo rende libero.
Documentation
Indagini
Serious efforts have been put into seeking out the technical
building documents for the construction of the Stalinist camps
— the plans and design documentation for the civilian buildings,
objects and camps of the GULAG system. Requests for the standard architectural documentation have been submitted to the
Federal System of Penal Facilities of the Russian Federation, to
regional, historical and memorial museums, and to the museums
of universities and schools in those regions where the camps
were located. The majority of letters remain unanswered. Such
documentation is found outside the field of public view and
beyond access, separate camp audit albums and plans are preserved in a restricted access collection of the State Archives.
The single accessible documentary record for display purposes has turned out to be the expedition photos taken by Saint
Petersburg’s Memorial society. These albums with technical
documentation have been discovered in the ‘Leader’ hiking club
of the village of Khandyga in Yakutia.
Seri sforzi sono stati fatti allo scopo di ritrovare i documenti
tecnici della costruzione dei campi staliniani — la documentazione dei piani e dei disegni degli edifici civili, degli oggetti e dei
campi del sistema dei GULAG. Le richieste per la documentazione
architettonica generale sono state presentate al Sistema Federale
di Strutture Penali della Federazione Russa, ai musei regionali o
storici, ai memoriali e ai musei delle università e delle scuole nelle
regioni in cui si trovavano i campi. La maggior parte delle lettere
sono rimaste senza risposta. Tale documentazione si trova al di
fuori del campo accessibile e visibile dal pubblico, mentre certi
album di ispezioni e progetti sono preservati in una collezione ad
accesso ristretto degli Archivi di Stato.
Il solo documento accessibile per scopi espositivi sono le foto
della spedizione scattate da Irina Flige, direttore del Memorial
Society di San Pietroburgo; l’album con la documentazione tecnica è stato trovato nell’archivio del club degli escursionisti ‘Lider’
nel villaggio di Khandyga in Yakutia.
17.
Nikolai Lanceray
(1879-1942)
— Sketch books, 1931
Reprinted in edition, 2014
The original drawings are
courtesy of the Memorial
Society, Saint-Petersburg
The mass repressions of the 1930s in Russia unleashed the
machinery of the penal system on massive scale, and thousands
of people passed through town prisons, being sent off without
delay to camps across the country or to be shot. Only a few of
them actually were incarcerated, yet fewer had any paper, and
of this paper only scraps are preserved of the sheets written or
drawn on at that time. And almost nothing of it is accessible for
public display.
These fragile notepads belonged to Nikolai Lanceray
(1879–1942), a Russian architect and artist. Lanceray was first
arrested in 1931, convicted of spying for France, and died in transit between prisons in 1942.
He drew sketches in these pads while incarcerated in the
‘model prison’ in Leningrad (Saint Petersburg). This jail held those
who had been selected to work in the so-called ‘sharashki’ —
the scientific research institutes and design departments under
the jurisdiction of the NKVD (the forerunner of KGB), in which
imprisoned scholars, engineers and technicians worked, chiefly in
the military and space industries.
While in prison, Lanceray worked on projects of the administrative buildings of the NKVD system and the Kremlin. Pictorial
reminiscences of family holidays are interspersed in Lanceray’s
sketches with detailed depictions of his cell and the objects
and dimensions within. Separate drawings show the window
hatches, bars, door furnishings, cross-sections. The drawings of
the watchtower show different times of day. The contorted and
bound bodies of Michelangelo’s slaves alternate with portraits
of the prisoners and guards, each in his own way ‘bound’ to the
place - all show the impact of endless waiting and tenseness.
The drawings are interrupted by graphic attempts not only
to document his place of detention, but also to extend the view
beyond the limits of the accessible and to depict the prison as
architecture. The architect’s viewpoint thus begins to move from
the interior of the cell, gradually extending the field of vision to
take in a patch of sky or a fragment of the court, finally to the
point where he attempts to regain his professional perspective — to see the building in its entirety from the viewpoint of its
architectural projection, from above.
17.
Nikolai Lanceray
(1879-1942)
— Quaderno di bozzetti,
ristampa 1931-2014
Courtesy di Memorial Society,
Saint-Petersburg
Negli anni ‘30 in Russia le repressioni di massa hanno messo in
moto una macchina punitiva che funzionava su scala industriale.
Per le prigioni passavano senza sostare a lungo migliaia di persone che venivano poi in fretta giustiziate o mandate nei Lager.
Poche restavano detenute in prigione e di queste, poche avevano
a disposizione della carta di cui si sono preservati rari frammenti
con scritte e disegni realizzati all’epoca. Nei musei pubblici non si
trova quasi nulla a proposito.
I due quaderni esposti sono unici e fragili documenti.
Appartenevano a Nikolay Lanceray (1879-1942), artista e architetto Russo, arrestato nel 1931 poiché accusato di aver tradito la
Patria ed esser stato una spia del governo francese, e morì nel
1942 durante un trasferimento da un Lager all’altro.
I disegni in questi quaderni risalgono al periodo della sua
reclusione nel tristemente noto carcere, ufficialmente chiamato
“prigione-modello”, in via Shpalernaya a Leningrado. In quella prigione, ancora ai tempi degli zar, erano detenuti molti rivoluzionari.
La prigione ospitava coloro che venivano reclutati a lavorare nelle
cosiddette “sharashki”, gli istituti di ricerca e di progettazione
che dipendevano dalla NKVD. Queste “sharashki” sfruttavano il
lavoro degli scienziati, ingegneri e tecnici detenuti e servivano le
industrie militari e spaziali.
Durante la reclusione, Lanceray ha lavorato alla progettazione
delle facciate e degli interni per diverse sedi della NKVD, per
alcuni edifici nel Cremlino. Nei disegni di Lanceray gli schizzi e i
ricordi delle vacanze in famiglia, di viaggi compiuti nel Caucaso,
si alternano a ritratti dettagliatissimi della cella, degli interni,
degli oggetti e dei volumi del luogo di reclusione. Altri disegni
ritraggono finestrelle, grate, stipiti delle porte e sezioni trasversali. I disegni della torretta indicano diverse ore del giorno. I corpi
storti e incatenati degli schiavi di Michelangelo si alternano alle
figure dei detenuti e delle guardie, anch’essi in qualche modo
“incatenati” al luogo. Tutti sono legati dall’interminabile attesa e
tensione.
Negli abbozzi grafici l’artista supera i confini della propria cella
nel tentativo di immaginare e di ritrarre l’edificio per intero, estendendo la vista oltre il limite dell’accessibile per rappresentare la
prigione come edificio e architettura.
Il suo sguardo si muove dall’interno della cella, ingrandendo
sempre più l’angolatura per comprendere uno scorcio del cielo, un
frammento del cortile e alla fine tornare alla visione professionale
dell’architetto e ritrarre l’intero edificio dall’alto, dal punto di vista
della proiezione architettonica.
18.
Alexey Wangenheim
(1881-1937)
— Drawings on paper,
1934-1937
Riddles, sketches
Courtesy the Memorial
Society, Moscow
The autumn of 1933 saw the completion of the first stage
of the Soviet Union’s large-scale research programme on the
Far North, an undertaking linked with the name of Alexey
Wangenheim (1881-1937) — a scientist, meteorologist, and organiser of the Soviet Hydrometeorological Service. He was arrested
in 1934 and sentenced to ten years in the camps. He was sent on
board a steamboat to the Solovetskiye Islands in the White Sea
(‘Solovki’ for short). The main island in the archipelago was home
to a monastery, founded in the fifteenth century, and has long
been a major religious centre in the Russian North. From 1923 to
1939, it was turned into a special purpose camp and prison, holding scientists, writers and clergy.
During his imprisonment on Solovki, Wangenheim worked in
the hothouses, on cultivating the territory of the camp, making
the flowerbeds, at the weather station, and in the library. He sent
home 168 letters, each including a little sheet with drawings,
botanical notes, and riddles for his daughter. As the scientist
instructed his daughter in geography, meteorology, and biology,
natural phenomena from the world around him were used: the
movement of steamboats on the horizon, the Northern Lights,
the thawing of ice in the bay, and the plants and animals in the
landscape round about.
In a natural prison like this the landscape constitutes the
strongest means of constraint. For the scientist, the space of his
prison became an object of scientific research and enthusiasm,
essentially and phenomenologically equal to the world of the
free. In the camp, Wangenheim gave lectures on ‘Opening up the
Arctic,’ and ‘Flights into the Stratosphere.’ In a letter home, he
wrote: ‘…socialism can also be built on Solovki. Studying the far
north has become my chief labour… I must finish the first atlas of
the distribution of wind energy in the USSR, and water, and then
of the solar cadastre too.’
18.
Alexey Wangenheim
(1881-1937)
— Disegni su carta (indovinelli,
schizzi), 1934-1937
Courtesy di Memorial society,
Moscow
Nell’autunno del 1933 è stata terminata la prima tappa del
grande programma nazionale sullo studio del Nord dell’URSS.
Questo programma è legato al nome di Alexey Wangenheim
(1881-1937) — scienziato, meteorologo e fondatore dell’Ufficio
Idrometeorologico dell’URSS. Nel 1934 è stato arrestato, accusato
di essere spia e sabotatore e condannato a 10 anni di lager.
L’hanno portato su una nave alle isole di Solovki nel Mar Bianco.
Sull’isola principale dell’arcipelago c’era un grande monastero fondato nel XV secolo e rimasto a lungo uno dei centri religiosi principali del Nord della Russia. Negli anni 1923-1949 vi si trovavano
un lager e un carcere speciale, che erano il luogo di reclusione
per tanti scienziati, studiosi, scrittori e sacerdoti. Nel 1937 Alexey
Wangenheim vi è stato fucilato.
Durante la sua detenzione sulle isole di Solovki, Wangenheim
ha lavorato nelle serre, nella stazione meteo, in biblioteca e
faceva anche lavori di rinverdimento del territorio del lager. Per il
suo ottimo lavoro gli erano state concesse 2 lettere mensili che
poteva spedire ai suoi cari. In tutto ha spedito a casa 168 lettere.
Ogni lettera conteneva anche un foglietto con disegni, erbari o
indovinelli per sua figlia. Lo studioso copriva tutta la superficie del
foglietto con racconti educativi per la figlia su temi di geografia,
meteorologia e biologia. Illustrava le leggi della natura e i popolari
indovinelli con i disegni del mondo che lo circondava: la nave che
appare all’orizzonte, l’aurora boreale, la neve che si scioglie in una
baia, diverse piante e animali.
Alexey Wangenheim, come molti altri, si trovava in una prigione
all’aperto, che rappresentava l’elemento più duro della costrizione.
Il paesaggio rinchiude l’uomo mentre l’esercizio di studiarlo e
riprodurlo diventa un punto d’attenzione per coloro che vi sono
rinchiusi. Il luogo dell’incarceramento per uno studioso è diventato
l’oggetto della ricerca, dell’entusiasmo, il che lo rendeva paragonabile dal punto di vista fenomenologico allo spazio della libertà.
Nel lager Wangenheim ha tenuto delle conferenze sulla
“Conquista dell’Artide” e sui “Voli fino alla stratosfera”. Da una sua
lettera alla famiglia: “... venendo al sodo devo dire che anche alle
Solovki si può costruire il socialismo. Il mio obiettivo qui è studiare
il Nord. Devo ancora finire il primo atlante sulla distribuzione dell’energia del vento nell’URSS, poi mi aspettano il catasto dell’acqua e
del sole”.
19.
Ivan Dembsky
Nikolai Sychev
Irina Borkhman
Lidiya Pokrovskaya
Ülo Ilmar Sooster
Ivan Sukhanov
1936-1953
Drawings on paper
Courtesy the Memorial
Society, Moscow and Sakharov
Centre, Moscow
These landscapes were made in different years by the camp
inmates of Siberia, Kazakhstan, and the Solovetskie Islands in the
White Sea. Professional artists and illustrators feature among the
authors.
All of them were made on scraps of paper that the authors
had managed to obtain, either by working in a sharashka [special
prison camp for scientists] or while doing renovation work on
the camps, often using colours of vegetable or animal origin.
The majority of drawings that were made in the camps were
destroyed during searches, confiscated during transfers, or simply lost or mislaid.
In the early stages of the repressions, it was strictly forbidden to depict the natural landscape; according to regulations,
such sketches could be used as escape plans. With time, it
became clear that the very landscape and climatic conditions
were enough in themselves to act as an insurmountable barrier
for the prisoners, and the prohibition was lifted. Following this,
imprisoned artists were actively recruited to decorate the camps’
club-rooms and the houses of the camp commandants.
Drawings made in prison are always distinguished by a sense
of closeness in the accessible viewpoints on a space that hides
behind itself an inaccessible distance - this is the perspective
from inside the space of exclusion. Landscapes created by people
in these conditions of the ‘open prison,’ are steeped in a deep
sense of merging into the terrain and self-identification with it.
19.
Ivan Dembsky
Nikolai Sychev
Irina Borkhman
Lidiya Pokrovskaya
Ülo Ilmar Sooster
Ivan Sukhanov
1936-1953
Disegni su carta
Courtesy di Memorial society,
Moscow e Sakharov Centre,
Moscow
Questi paesaggi sono stati realizzati in anni differenti dai
detenuti dei campi in Siberia, Kazakhstan e nelle isole Solovetskie
nel Mar Bianco. Tra i detenuti si trovavano artisti e illustratori
professionisti.
Tutti i disegni sono stati realizzati su frammenti di carta che
gli autori sono riusciti ad ottenere, lavorando nella “sharashka”
(campo di prigionia per scienziati) o svolgendo lavori di rinnovamento del campo, usando spesso colori di origine vegetale o
animale.
La maggioranza dei disegni che sono stati fatti nei campi sono
stati distrutti durante le ricerche, confiscati durante i trasferimenti o semplicemente persi o smarriti.
Nei primi momenti della repressione, era strettamente vietato
raffigurare il paesaggio naturale; secondo i regolamenti, codesti
disegni potevano essere usati come piani di fuga. Con il tempo,
è divenuto chiaro che il paesaggio e le condizioni climatiche
erano barriere insormontabili per i prigionieri e la proibizione è
stata abolita. In seguito, gli artisti detenuti sono stati attivamente
reclutati per decorare le sale dedicate alle attività sociali e le case
dei comandanti dei campi.
I disegni realizzati nelle prigioni sono sempre caratterizzati da
un senso di vicinanza nei punti di vista accessibili su uno spazio
che nasconde dietro di sé una distanza inaccessibile; questa è
la prospettiva da dentro lo spazio di esclusione. Paesaggi creati
da persone in queste condizioni di “prigionia naturale,” sono
immersi in un profondo senso di fusione nel terreno e di autoidentificazione con esso.
20.
Michael Tolmachev
— Natural zones, 2014
Video, panoramic projection;
sculpture (thermoplastics, 3D
printing); map (aerial view)
Courtesy of the artist
The work consists of video-landscapes filmed in the former
camp areas of Construction Project 501-503 by an unmanned
aircraft fitted with cameras. The video information, processed with
photogrammetric software, was taken as the material for the creation of a documentary sculpture of the landscape, crafted by 3D
printer.
Construction Project 501–503 is one of the most striking examples of the utopian projects of the Stalin era — a 1,200 km long railway in Arctic zone of Western Siberia. The line for the future route
passed through a mere handful of settlements, being soon joined
by the way-station ‘camp points’ for convicts, sited every 5-10 km
along the way.
Prisoners were brought to the site, where their first task was to
build watch towers and fix the posts on which the barbed wire was
stretched out — the future borders of the zone and its isolating
mechanism, and only then did they set about the construction of
barracks. The design documentation for the camp architecture
was made after its erection. After the death of Stalin in 1953 the
construction was stopped and the liquidation of the engineering
projects in the Arctic had begun.
In the 1930s-1950s, these distant spots constituted a state
within a state, regarded as a prison without bars in view of the
inaccessibility of the territory and the severity of the climate. The
surrounding landscape of the endless tundra bears within itself a
constraining function. The horizon became not only the limits of the
visible, beyond which its space continues, but also an insurmountable boundary, beyond which there was nothing but death.
Tolmachev seeks out the conditions in which a connection can
be made between event, space, and its maximum documentary
representation in the realm of existing images. He achieves this by
means of dynamic machine vision — a disembodied perspective,
deprived of the subjectivity of the cameraman and human eyesight.
The cameras provide a panoptical overview of the landscape for the
video-panorama, reconstructing the illusion of hyper-visibility.
20.
Michael Tolmachev
— Zone naturali, 2014
Videoproiezione panoramica,
scultura (termoplastica,
stampa 3D), mappa (veduta
aerea)
Courtesy dell’artista
Il lavoro di Michael Tolmachev consiste in paesaggi-video filmati
nell’area dei campi gulag del Progetto di Costruzione 501-503 da
un velivolo senza pilota dotato di telecamere. L’informazione video,
elaborata con un software di fotogrammetria, diventa fonte per
l’elaborazione di una scultura documentaria del paesaggio, realizzata
da una stampante 3D.
Progetto di Costruzione 501–503 è uno degli esempi più eclatanti
dei progetti utopici dell’epoca di Stalin — 1,200 km di ferrovia nei
territori dell’Artico nell’ovest della Siberia.
La linea per la futura strada passava attraverso una serie di insediamenti che sarebbero stati presto affiancati da punti provvisori di
ristoro per i detenuti, situati ogni 5-10 km lungo la strada.
I prigionieri venivano portati al sito dove il loro primo compito era
quello di costruire torri e fissare i posti di guardia su cui stendere
il filo spinato — i futuri confini della zona e il suo meccanismo di
isolamento — e, solo a quel punto, costruire la caserma. La documentazione della progettazione dell’architettura del campo è stata
realizzata dopo la sua erezione. Dopo la morte di Stalin nel 1953 la
costruzione è stata interrotta segnando la fine dei progetti di ingegneria nell’Artico.
Nel 1930-1950, questi luoghi lontani costituivano uno stato nello
stato, considerato come una prigione senza sbarre vista l’inaccessibilità del territorio e la severità del clima. Il paesaggio circostante
della tundra infinita porta in sé una funzione vincolante. L’orizzonte
diveniva non solo il limite del visibile, oltre il quale il suo spazio
continua, ma anche un limite invalicabile, oltre il quale non c’è altro
che la morte.
Tolmachev ricerca le condizioni in cui poter creare una connessione tra l’evento, lo spazio e la sua massima rappresentazione
documentaria nel regno delle immagini esistenti. L’artista realizza l’obiettivo mediante una visione artificiale dinamica — una prospettiva
disincarnata, priva della soggettività del cameraman e della vista
umana. Le telecamere forniscono una visione panottica del paesaggio per il video-panorama, ricostruendo l’illusione di iper-visibilità.
Musical performance
Programme-cycle of two
concerts ‘doppio fallo’
Performed by Ivan Bushuyev
and Dmitry Vlasik
The object of our interest is the relationship between the composer and performer in contemporary academic music. We are
interested in the musical score as a medium for the composer’s
thoughts and the basis of the musical speech of the interpreter,
as well as a condition, asserted on occasion by the composer, as
the point at which the performer appears as a subject. The performer’s situation of imprisonment within the conditional framework of the piece is important, and the resultant duality of his
position: wishing to remain inside the established rules, and thus
shrugging off part of the responsibility for the immediately experienced present, and simultaneously the de facto impossibility of
fully realising the composer’s intentions due to the unattainability
in principle of such perfection.
At the juncture between these positions appears the mistake,
a paradoxical departure beyond the bounds of the existing
contractuality, as a result of which the relationship between the
composer and performed is ruptured, but around which, at the
same time, all musical academic discourse is built.
The first concert features the premiere of a piece specially
written for the exhibition by the German composer Antoine
Beuger — Traces of halt and hesitation (of love and intimation).
The second concert includes music by Aleksei Sysoyev, John
Luther Adams, Klaus Lang, Gerard Grisey, Pierluigi Billone, Ivan
Bushuyev and Dmitry Vlasik.
Performance musicale
Ciclo di due performance
“doppio fallo”
Eseguite da Ivan Bushuyev
e Dmitry Vlasik
L’oggetto del nostro interesse è il rapporto tra il compositore
e il performer nella musica accademica contemporanea. Siamo
interessati alla partitura musicale come mezzo per l’espressione
dei pensieri del compositore, come base del discorso musicale
dell’interprete e come condizione, esercitata occasionalmente dal
compositore, in cui il performer appare come soggetto.
La situazione di reclusione del performer all’interno del contesto
del pezzo è fondamentale, e corrisponde alla dualità della sua
posizione: il desiderio di rimanere all’interno delle regole stabilite, togliendosi così parte della responsabilità per il presente
immediatamente esperito, e contemporaneamente l’impossibilità
di fatto di realizzare pienamente le intenzioni del compositore a
causa dell’irraggiungibilità di tale perfezione.
All’incrocio tra queste posizioni appare l’errore, una partenza
paradossale oltre i limiti del patto esistente, a seguito della quale
il rapporto tra il compositore e il performer si rompe, ma attorno
al quale, allo stesso tempo, ogni discorso musicale accademico si
costruisce.
La prima performance include la première di un pezzo scritto
per la mostra dal compositore tedesco Antoine Beuger — Tracce
di arresto e di esitazione (di amore e di intimazione).
La seconda performance include musiche di Aleksei Sysoyev,
John Luther Adams, Klaus Lang, Gerard Grisey, Pierluigi Billone,
Ivan Bushuyev and Dmitry Vlasik.
Colophon
Exhibition produced by
Mostra prodotta da
V-A-C Foundation, Moscow
President
Presidente
Leonid Mikhelson
Director
Direttore
Teresa Iarocci Mavica
Curated by
A cura di
Katerina Chuchalina
Organization
Organizzazione
Civita Tre Venezie
Silvia Carrer
Irene Lombardo
Graphic design
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Zaven
Translations
Traduzioni
Ben Mcgarr
Olga Gurevich
Silvia Franceschini
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