Radivani” con l'obbligo di curare gratuitamente gli ammalati poveri e di fornire una dote alle fanciulle bisognose. Nel suo testamento, del 16 agosto 1768, si legge che “costituisce ed erigge esso testatore detto Monte, che vuole sia chiamato il Monte di Radivani di civili poveri e delle zitelle bisognose e periclitanti”. L'impegno era, come commenta Gaetano de Luca, di provvedere alla dote di dodici donne nubili povere “nella misura del letto di sedici ducati, di mantenere due giovani del monastero di santa Teresa e quattro orfane del Conservatorio dell'Immacola”. Di Radivani resta l'opera, inedita e non rintracciata, delle Observationes Diuturnae, un lavoro che, restando fedele allo spirito con cui esercitò la professione medica, proponeva una casistica ragionata delle situazioni patologiche incontrate nel suo lavoro. Morì anziano a Molfetta, il 19 settembre 1777. RR Felice Roseti (1687-1751), il medico che aveva bisogno d'aria Felice Roseti o Rosetti nacque a Torremaggiore (per alcuni a San Severo) nel 1687. Fu medico igienista, sismologo e vulcanologo. Dopo aver studiato a Napoli, trascorse buona parte della sua esistenza a Giovinazzo, dove esercitò la pratica medica. Fu accademico della Crusca e fu in scambio epistolare col noto naturalista Antonio Vallisneri (16611730): Sistema nuovo intorno all'anima pensante, e alla circolazione degli spiriti animali del signor Felice Rosetti, medico di Giuvenazzo nella Puglia, al signor cavalier Antonio Vallisnieri, etc. discusso in tre lettere, etc. fra il suddetto signor Rosetti, e sig. cav. Vallisnieri, pubblicato su «Raccolta d'opuscoli scientifici, e filologici» (1731). Si tratta di tre lettere in tutto (due di Roseti, l'una in latino e l'altra in italiano, e una, in italiano, di Vallisneri, tutte e tre del 1722), in cui il medico pugliese “sedem animae cogitanti esse meninges et circulationem spirituum a nervis per membranas probare contendit” [sostiene di provare che le meningi siano la sede dell'anima razionale e che la circolazione degli spiriti derivi dai nervi e avvenga attraverso le membrane]. Tra le sue opere si sono conservate delle Memorie ragionate in confermazione e spiegamento del parere dato intorno alla necessità che hanno i grandi ospedali di molt'aria e campo libero nelle loro vicinanze, pubblicate, forse a Napoli, non prima del 1744. Morì nel 1751. FPDC Celestino Galiani, il cappellano maggiore “Le lettere in Napoli dovevano molto al Galiani”. “Gli studi erano barbari prima di lui”. Se a Napoli si iniziò ad insegnare e studiare storia naturale, fisica sperimentale, astronomia, se la metafisica e l'etica insegnate nell'Università, “da vecchio gergo”, divennero veramente filosofia, “tutto questo di doveva al Galiani”. Celestino Galiani fu un personaggio chiave per il rilancio della cultura scientifica e filosofica nel Regno di Napoli nella prima metà del Settecento. Occupò posti di rilievo, che gli offrirono la possibilità di riformare il sistema agendo dall'interno. Fu promotore della riforma dell'Università di Napoli, sostenitore di sodalizi accademici, fautore di una cultura cattolica aperta al dialogo col moderno pensiero filosofico e scientifico. Eppure, quando venne al mondo, a San Giovanni Rotondo l'8 ottobre 1681, ben altro destino sembrava attenderlo. A causa di un “voto”, nacque “con già saldi e sporgenti i due incisivi medi superiori”. I genitori, Domenico e Gaetana Tortorelli, preoccupati chiamarono un frate cappuccino “che si dava aria da veggente” ad osservare il loro primogenito. Ne ottennero una sì strana consolazione: il neonato “sarebbe diventato un giorno o un grand'uomo o la feccia della canaglia”. Fortunatamente Galiani mostrò vivace intelligenza, prontezza di riflessi e generosità d'animo. Distintosi nell'allora “barbarica Foggia” per le doti intellettuali, indossato il saio, fu inviato nel monastero della Trinità di San Severo per l'anno di noviziato. Studiando “di giorno e di notte”, raggiunse una preparazione tale da meritare, dal capitolo generale dell'ordine, il premio di un soggiorno di studio nel monastero di Sant'Eusebio a Roma. Nel collegio romano, nel tempo libero il giovane monaco cercava tra gli enormi e polverosi scaffali della ricca biblioteca conventuale opere non lette. Oltre ai libri di teologia, lo attraevano i trattati di matematica e filosofia naturale. Passò in breve tempo dai semplici elementi di geometria euclidea alle complesse nozioni del calcolo infinitesimale. Lesse le opere di Galileo Galilei (1564-1642), di Pierre Gassendi (1592-1655), Isaac Barrow (1630-77), Bernard Lamy (1645-1714). Gli “piacque assaissimo” René Descartes (1596-1650) per quel modo di “spiegare la luce”. “Gli parve che uscendo da un oscuro carcere avesse cominciato a godere della luce del sole”. Galiani, Celestino (al secolo Nicola Simone Agostino) San Giovanni Rotondo 1681 Napoli 1753 Napoli Si accostò poi allo studio delle opere dell'astronomo inglese Isaac Newton (1643-1727). Studiò prima l'Optice [Ottica] nell'edizione latina curata da Samuel Clarke (1675-1729), com'è testimoniato da due dotte memorie manoscritte, le Animadversiones nonnullae circa l'Opticem Isaaci Neutoni [Alcune osservazioni sull'Ottica di Isaac Newton], e le Differenze tra le scoperte di Newton e l'ipotesi cartesiana. Poi i Principia mathematica (1687), un'opera introvabile sul mercato editoriale ufficiale dell'epoca che riuscì a procurarsi solo sfruttando gli opportuni canali diplomatici della Santa Sede. Una sua accurata analisi delle questioni cosmologiche affrontate dall'inglese è esposta nelle Osservazioni sopra il libro di Newton, intitolato Principia mathematica. Del 1714 circa è un Filosofia naturale, astronomia 99 altro suo manoscritto in cui mostrava di avere pienamente compreso i temi fondamentali della polemica cosmologica contro Cartesio (nome italianizzato di Descartes). Nella Epistola de gravitate et cartesianis vorticibus [Lettera sulla gravità e i vortici cartesiani], Galiani sosteneva la validità del sistema newtoniano e confutava quello cartesiano basato sul plenum e sul moto dei vortici (secondo il filosofo francese il vuoto in natura non esiste, tutto lo spazio è occupato dalla materia, infinitamente divisibile; il moto, poiché tutto è pieno, provoca uno spostamento di materia e crea dei vortici; la posizione dei pianeti e il loro movimento nel cosmo sono determinati dai vortici nei quali i pianeti “galleggiano”). A partire da questo momento, la sua carriera fu una parabola in ascesa. Da lettore di Teologia morale e Sacra scrittura a professore di Filosofia nel monastero di Sant'Eusebio; da insegnante “gratuito” di Matematica a docente di Storia della Chiesa e controversie dogmatiche alla “Sapienza”. Da abate del Monastero di Aversa a generale dell'Ordine dei celestini. Nel 1731 ebbe finalmente l'occasione di tornare in Puglia, grazie alla nomina ad arcivescovo di Taranto conferitagli dal sovrano Carlo d'Asburgo. Il 14 giugno lasciò la città papale con la “sola ricchezza accumulata nei trent'anni del suo operosissimo soggiorno romano”: i suoi amatissimi libri. Sapeva chiaramente che cosa fare appena giunto nella città costiera. Aveva tre magnifici progetti. “Creare nell'allora ignorante Puglia” un centro di studi sublimi, trasformando il seminario arcivescovile di Taranto in una piccola ma ben regolata università, nella quale “amici d'ogni parte di Italia con i quali era in trattative” avrebbero insegnato “a tutte spese della ricca mensa arcivescovile” storia della Chiesa, filosofia cartesiana, filosofia classica, scienze matematiche, fisiche e naturali. Istituire un grande ospizio con annessa scuola di arti e mestieri al fine di debellare una delle più funeste piaghe che affliggevano la Puglia: la povertà. Dirigere lo scavo del porto di Taranto e promuovere la bonifica delle paludi circostanti la città, fonti perenni di malaria. Non era ancora giunto a destinazione, che gli pervenne per staffetta il decreto di nomina a cappellano maggiore del Regno di Napoli. Il suo arcivescovato tarantino durò poco più delle vacanze natalizie: dal 12 dicembre al 22 gennaio. Quale gioia per Galiani essere nominato cappellano maggiore: “aveva sempre aspirato” a quel posto. Dall'alto di questa carica avrebbe potuto “coordinare in prima persona le sorti della cultura napoletana mediante la direzione del Pubblico Studio ed il diretto controllo sulle scuole private”. Giunto a Napoli, strutturò un piano di riforma degli studi che prevedeva: l'istituzione di nuovi insegnamenti, come Botanica, Chimica, Fisica sperimentale, Astronomia, per favorire lo sviluppo di nuovi settori di ricerca; la chiusura di quelle cattedre che non avevano più motivo d'essere; I compiti del cappellano maggiore “Le attribuzioni accentrate durante quattro o cinque secoli nelle mani del cappellano maggiore del Regno di Napoli erano divenute nel Settecento così numerose, delicate e importanti da rendere quell'ufficio quasi più complicato d'un odierno ministero. Prima d'ogni altro, il cappellano maggiore era non solo il grande elemosiniere del re (o, in mancanza del viceré) e, in quanto tale, capo della cappella palatina, ma a lui era deferita altresì la suprema giurisdizione ecclesiastica sulle cappelle regie, sui castelli, sulle fortezze, sulle galere, sulle milizie di terra e di mare, su quanti, insomma, in un modo o nell'altro, si trovassero al servigio diretto del re. Né a questa così ampia autorità spirituale era inferiore quella temporale. Vero e proprio magistrato giudicante, egli assistito da un consultore o assessore laico, da un segretario e da un mastrodatti o cancelliere conosceva in nome del re, e quindi quale giudice laico, di parecchie e mai ben determinate categorie di controversie relative a ecclesiastici (donde continui conflitti di competenza col foro ecclesiastico ai quali s'era già accennato); giudicava delle cause riferentisi ai diritti, privilegi e rendite delle chiese e delle cappelle regie e alla reddizione di conti dei regi economi; e finalmente sentenziava su qualsiasi competizione giudiziaria, civile e penale, dei chierici e cappellani regi. A lui inoltre spettava, da un lato riferire d'ufficio, insieme col suo consultore, sulla concessione del regio exequatur alle bolle, brevi, motupropri e qualunque provvisione venisse da Roma e su quella del regio assenso alle regole delle congregazioni laicali; e dall'altro, di dare pareri o consulte su affari politici e amministrativi della più varia indole, e particolarmente meriti o demeriti dei promovendi ai vescovadi o ad altri benefici di collazione regia. E finalmente il cappellano maggiore era anche prefetto dei Regi Studi: ragion per cui gli erano devolute la suprema autorità amministrativa, disciplinare, e in tarda epoca, anche giudiziaria sui professori e studenti dell'Università di Napoli; la presidenza di tutte le commissioni di concorsi a cattedre universitarie; la nomina dei sostituti a quelle temporaneamente vacanti; l'iniziativa di qualunque riforma organica; e per ultimo, dal 1735, la censura preventiva della stampa.” F. Nicolini, Monsignor Celestino Galiani, «Archivio Storico per la Province Napoletane», XIII (1931), pp. 248-358, segnatamente pp. 292-93. 100 Napoli contro Roma Il motivo iniziale dello scontro tra Napoli e Roma era stata la mancata investitura al trono di Carlo di Borbone da parte di Clemente XII. Il pontefice si era rifiutato di accettare dal futuro re l'omaggio vassallatico della chinea (un cavallo bianco, riccamente ornato, donato ogni anno dal re di Napoli al Papa in segno di omaggio vassallatico), secondo un cerimoniale risalente a Carlo d'Angiò, e aveva invece accettato quello dello spodestato Carlo VI d'Austria. Il rifiuto papale era un chiaro segno dell'intenzione della Chiesa di Roma di rivalersi sulle, sia pur poche, conquiste del movimento giurisdizionalista napoletano. Ad inasprire i rapporti con il papato erano stati alcuni provvedimenti presi da Carlo di Borbone. Il sovrano l'8 ottobre 1735 aveva negato la concessione dell'exequatur “a quelli che vengono dalla Corte di Roma per esercitare giurisdizione in questo Regno” se prima non avessero mostrato le necessarie credenziali ai rappresentanti del sovrano presso la Santa Sede. Il 19 aprile 1738 aveva stabilito che la “qualità Ecclesiastica essendo estrinseca e accidentale non potesse presumersi”, ma dovesse essere provata. Il 13 giugno 1738 aveva assolto dalla censura ecclesiastica gli agenti di polizia che avevano usato violenza sui religiosi che avevano ostacolato la cattura di criminali. Il 9 aprile aveva decretato che non potevano essere istituiti chiese e conventi senza il regio permesso. Nelle lunghe e controverse trattative, interrotte e riprese più volte, Galiani ebbe un ruolo centrale e, quando si giunse alle fasi finali dei negoziati, assunse la direzione della disputa fino alla firma del concordato, siglato tra Roma e Napoli il 2 giugno 1741. Con l'applicazione del concordato si andavano ad intaccare le immunità fiscali e giuridiche di cui beneficiava la Chiesa, ad esempio le proprietà ecclesiastiche venivano assoggettate all'imposizione fiscale, il diritto d'asilo veniva limitato alle sole chiese e ai reati più lievi; l'ecclesiastico accusato di omicidio veniva giudicato da un tribunale misto e giustiziato da un magistrato laico. l'aumento degli stipendi ai docenti; maggiore controllo sul conferimento delle lauree, “largite, senza garanzie sufficienti”. Il cambio di regime fermò la sua riforma. Riconfermato dal successivo governo, Galiani ripresentò lievemente modificato il piano al nuovo re, Carlo di Borbone. Le proposte contenute nel programma galianeo furono approvate, ma in realtà trovarono applicazione parziale: vennero abolite le cattedre ritenute inutili e affidate ai “migliori ingegni” quelle di nuova istituzione, ma non furono istituite tutte quelle strutture a supporto della didattica, come laboratori, osservatori, gabinetti. Instancabile studioso, animatore di dibattiti filosoficoscientifici, affabile comunicatore, amico e corrispondente dei maggiori personaggi di cultura e di politica del tempo, Celestino decise di non rendere pubbliche le sue idee per mezzo di opere a stampa. Le sue opinioni furono “rivelate” a pochi fidatissimi amici e non furono mai “esposte al volgo” per evitare la “censura di gente sì vulgare”. Galiani scrisse delle opere, ma esse circolarono in “redazioni manoscritte anonime” con prudenza e solo tra gli esperti. Egli “evitò accuratamente che i suoi scritti avessero un'incontrollata diffusione a stampa”. In questo modo si garantì “una notevole libertà di movimento” ed evitò ogni contrasto con l'Inquisizione. Fu inoltre uno dei principali attori nelle trattative per il concordato con la Sede apostolica, siglato tra Roma e Napoli il 2 giugno 1741. Grazie alla diplomatica e tenace condotta di Galiani, il Regno di Napoli vinse la sua prima lotta con la Santa Sede. Il primo gennaio 1752 fu colpito da un colpo apoplettico. Una cura termale ad Ischia sembrò restituirgli la salute. Riprese a lavorare con il suo solito fervore. Mesi dopo sopraggiunse un altro attacco, questa volta fu fatale. Morì a Napoli il 26 luglio 1753. BR Un quadro raffigurante un'ideale accademia del XVIII secolo Celestino rilanciò la cultura scientifica nella capitale del Regno. Negli stessi anni in cui riorganizzava il piano di studi universitari, fondò con alcuni amici l'Accademia delle Scienze a Napoli. Non dimenticò la sua “amatissima” Puglia. Appoggiò e sostenne l'apertura dell'Accademia degli Illuminati di Foggia nel 1733. Contribuì in prima persona all'istituzione dell'Università degli studi di Altamura nel 1747. 101 Cenni bibliografici Letteratura primaria: Ristretto della vita di Celestino Galiani, Società Napoletana di Storia Patria, Ms. XXIX. Osservazioni sopra il libro di Newton detto Principia Mathematica, Società Napoletana di Storia Patria, Ms. XXX. D. 2. Animadversiones nonnullae opticem Isaaci Neutoni, Società Napoletana di Storia Patria, Ms. XXX. D. 5. Epistola de gravitate et cartesianis vorticibus, Società Napoletana di Storia Patria, Ms. XXX. D.2, cc. 51-64. Letteratura secondaria: Di Rienzo E., Galiani, Celestino, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1998, LI, pp. 453-56. Carta moderna del Regno di Napoli - di qua dal faro (1740-44), con elencazione delle 15 province: Napoli, Terra di Lavoro, Basilicata, Principato citeriore, Principato ulteriore, Capitanata, Terra di Bari, Terra d'Otranto, Calabria citeriore, Calabria ulteriore prima, Calabria ulteriore seconda, Contado del Molise, Abruzzo citeriore, Abruzzo ulteriore primo, Abruzzo ulteriore secondo. Sono inoltre indicati gli Arcivescovadi e i Vescovadi Ferrone V., Celestino Galiani: un irrequieto cattolico illuminato nella crisi della coscienza europea, «Archivio Storico per la Province Napoletane», XCVIII (1980), pp. 277- 381. Ferrone V., Alle origini della cultura illuministica napoletana: Celestino Galiani e la diffusione del newtonianesimo, in M. Pinto, I Borbone di Napoli e i Borbone di Spagna, Guida, Napoli 1985, pp. 325-64. Nicolini F., Un grande educatore italiano Celestino Galiani, Giunti, Napoli 1951. L'Accademia delle Scienze di Napoli L'Accademia delle Scienze, detta anche Accademia degli Studi Pubblici, fu istituita nel 1732 da Celestino Galiani, Bartolomeo Intieri (1678-1757) e Niccolò Cirillo (1671-1734), con il sostegno economico di alcuni nobili come il cardinale Troiano Acquaviva, che assegnò una dotazione annua di cento ducati, e il principe di Scalea Francesco Spinelli (1686-1752), che fornì “tutte quelle Machine, e Strumenti, che sono necessarj alle sperienze, che ivi si fanno in Matematica, in Fisica, in Medicina, ed in Chirurgia”. Ebbe sede prima nel Palazzo Gravina, poi nel convento dei Santi Severino e Sossio. Fu per Napoli l'emblema della cultura dei novatores: gli accademici si impegnarono a diffondere le opere degli scienziati inglesi e olandesi (Isaac Newton, Pierre Bayle, John Locke, John Toland) e a rilanciare in sede scientifica la polemica contro la metafisica e la cultura impartita dai religiosi, in particolare dai gesuiti. Ideata prendendo a modello i più noti istituti scientifici europei, la Royal Society di Londra e l'Académie des Sciences di Parigi, avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni dei fondatori, un centro di ricerca per la conoscenza della natura geografica e fisica del Regno, un luogo dove gli studiosi potessero svolgere il proprio lavoro liberi da implicazioni ideologiche, filosofiche e teologiche. Presieduta nei primi anni dal capo dei novatores napoletani, il meccanicista cartesiano Niccolò Cirillo, l'accademia accoglieva tra i suoi soci, come ricorda Placido Troyli nella Istoria generale del Regno di Napoli (1748), “Francesco Maria Spinelli, cartesiano mentalista e neoplatonico, ma strenuo difensore dei moderni, Niccolò di Martino e suo fratello Pietro, Mario Lama e Giuseppe Orlandi, newtoniani agguerriti, Giambattista Lamberti, cartesiano, Michelangelo Ruberto, Domenico Sanseverino e Francesco Serao, gassendiani naturalisti diretti eredi della tradizione tardoinvestigante, Gioacchino Poeta, cartesiano seguace di Cirillo, Bartolomeo Intieri, empirista galileiano aperto alle teorie newtoniane e lockiane, e lo stesso Galiani”. 102 Molti soci dell'accademia erano intellettuali residenti nelle città di provincia del Regno. La loro partecipazione alle attività di ricerca promosse dal sodalizio non era assolutamente secondaria rispetto a quella dei colleghi napoletani. Attraverso “un regolare carteggio” si chiedeva loro di ricostruire non solo “un'esatta storia naturale di tutto questo Regno, de' suoi fossili e minerali, delle sue piante, delle sue tante acque minerali”, ma anche di fornire una descrizione accurata delle tecniche agricole, degli usi e delle tradizioni dei vari centri, nonché delle credenze, delle superstizioni, dei comportamenti religiosi e devozionali diffusi in “quelle terre”. Negli anni Quaranta, un'attenzione particolare fu riservata alla intricata questione dei tarantolati di Puglia, “intorno alla quale si erano annodati da sempre temi magici, religiosi, scientifici, antiche credenze popolari”. Sollecitato anche dalla contessa milanese Cecilia Borromeo, Celestino Galiani chiese ai soci di far luce sul tarantismo. Bisognava trovare una lettura razionale al fenomeno. Per farlo occorreva prima di tutto avere una visione quantitativa e qualitativa della “malattia”. A tal fine furono chiamati a raccolta da Galiani tutti i soci che avevano le competenze medico-scientifiche necessarie. Ad essi fu demandato il compito di raccogliere informazioni tramite l'invio di lettere in ogni località della Puglia. Era l'inizio di una vera e propria inchiesta. All'accademia pervennero in risposta relazioni più o meno dettagliate sulla manifestazione del “morbo”. Minuziose e circostanziate era quelle inviate da Lucera, un “vero covo di tarantolati” - se si presta fede alle parole dell'anonimo corrispondente - dove erano stati osservati e studiati decine di casi del “bizzarro fenomeno”. La tarantola, o falangio di Puglia, fu all'ordine del giorno per varie sedute appositamente convocate. L'incarico di “dirigere l'inchiesta” fu assegnato da Galiani al medico napoletano Francesco Serao. Il dottore ne tracciò la storia e illustrò i contributi di quanti avevano studiato la natura del morbo nelle sue diverse manifestazioni e avevano cercato di comprendere l'influenza che aveva la musica sulla fisiologia dei malati. Promosse la discussione dei lavori di Giorgio Baglivi [vedi scheda], Tommaso Cornelio (1614-1684), Epifanio Ferdinando [vedi scheda], Athanasius Kircher (1601-1680). Presentò un resoconto del contenuto delle relazioni inviate dai corrispondenti pugliesi e commentò con i soci accademici i casi descritti dai colleghi. Dalle testimonianze dei soci corrispondenti era possibile ricavare un quadro abbastanza chiaro del fenomeno in questione. I malati non sempre erano stati morsicati dalla tarantola. Erano generalmente “gente minuta, contadini mietitori”, persone che svolgevano un lavoro assai faticoso e prostrante, che erano esposte per tutto l'arco della giornata al torrido clima della campagna pugliese, che vivevano in condizioni precarie e miserevoli. Ma com'era possibile che si guarisse dalla malattia con la musica? Secondo Serao, la spiegazione andava cercata nella straordinaria forza di “una credenza”, di una suggestione. I tarantolati erano uomini e donne vittime di uno “stato alteratissimo d'animo”, gente con una personalità fragile che trovava nella musica e nella danza uno strumento di liberazione dal disagio, un mezzo di difesa dalle crisi mentali. Frutto degli incontri dedicati alla “tarantola overo falangio di Puglia” furono le Lezioni accademiche. Scritte da Serao, esse riportavano gli “atti” delle sedute e i risultati dell'inchiesta, nonché il parere dell'autore sul morbo apulo. La loro pubblicazione fu voluta da Galiani, promotore dello studio, il quale volle anche che fossero scritte in italiano e non in latino, lingua tradizionalmente adottata per i trattati scientifici, affinché avessero una più ampia diffusione. Il fenomeno dei tarantolati diventava un “relitto folklorico” da relegare ai margini del dibattito intellettuale. L'opera di Serao fu edita a Napoli nel 1742, due anni dopo si interruppero i lavori dell'Accademia delle Scienze. Caputi o Caputo, Nicola Nicola Caputi, un medico tra i ragni Tra i fondamenti della scienza sperimentale vi è l'osservazione diretta del fenomeno che si vuole studiare ovvero, nel caso della medicina, delle persone affette dalla patologia che si intende curare. Il salentino Nicola Caputi (o Caputo) aveva appreso questo assunto dal suo maestro Niccolò Cirillo (16711734), il medico napoletano fautore di una metodica che combinava l'osservazione con l'ipotesi scientifica. In tutti i suoi studi Caputi rispettò questo modo di procedere. Nella fisica come nella medicina, egli mostrò sempre “inclinazione sperimentale”. Nella raccolta e analisi di dati meteorologici sul clima della Terra d'Otranto, nella classificazione dei falangi pugliesi (dei ragni tipici della Puglia che, quando mordono, iniettano un veleno irritante che si credeva causasse il tarantismo, una sorta di isteria convulsiva curata per tradizione con una speciale danza molto ritmata), nella descrizione del tarantismo nelle sue diverse manifestazioni, nelle studio delle piante e dei pesci che popolavano lo stagno del convento degli Olivetani di Lecce. Era un medico di provincia, nel senso che aveva scelto di esercitare la professione a Lecce, la sua terra. Ma non era mai stato “contagiato” da alcuna forma di provincialismo. Sapeva “profittare” dei moderni mezzi di comunicazione - era un lettore assiduo delle memorie delle accademie francesi e inglesi - e fare buon uso degli strumenti di analisi disponibili all'epoca, del pluviometro, dell'idrometro, del microscopio. Campi Salentina 1696 Lecce 1761 Lecce Medicina, scienze della Terra Nato a Campi Salentina nel 1696, Caputi aveva studiato medicina a Napoli. Dotato di un “ingegno naturalistico non disprezzabile”, riuscì a mettersi in luce rispetto ai colleghi universitari, “a farsi notare”. Ottenne così la fiducia e la stima di Cirillo. Negli anni Trenta intraprese la sua prima ricerca: raccogliere i dati meteorologici sulla provincia di Terra d'Otranto. Fu l'occasione per condurre esperimenti “sulla pressione atmosferica”. Iniziava a manifestarsi la passione euristica del giovane medico salentino. Il suo professore universitario, Nicola Cirillo, divenne suo mentore e lo propose come socio all'Accademia delle Scienze, istituita a Napoli meno di un anno prima da Celestino Galiani La fisiologia del tarantato Nel tarantato, “che danza sfrenatamente, a causa delle violente vibrazioni delle fibre suscitate dai tremori armonici di uno strumento sonoro e deviante dal naturale ritmo delle loro oscillazioni, il sangue circola più lentamente, viene impedita la respirazione attraverso la pelle e viene turbato durante la danza tutto l'equilibrio del corpo [...]. Inoltre il rallentamento della circolazione del sangue, un qualunque impedimento delle abituale traspirazione, il ritardo della consueta secrezione dei liquidi in una qualche viscere del corpo determinano una maggiore tensione delle fibre affette da patologica rilassatezza”. Perciò i tubicini insensibili, che per la rilassatezza e la patologica mollezza erano stati separati dall'interferenza di quelli sani ed elastici, recuperando a poco a poco la naturale tensione. Eccederanno rispetto alla lunghezza del loro diametro e per questa strada quanto verrà ristabilita la circolazione dei liquidi tanto le particelle elastiche piene di spiriti vitali, introducendosi più facilmente nei tubi delle fibre, ripercorreranno i vecchi sentieri e soccorreranno il giusto equilibrio del corpo. N. Caputi, De tarantulae anatome et morsu [Anatomia e morso della tarantola] (1741); trad. it. di M. Monaco, Edizioni dell'Iride, Tricase 2001, p. 187. 103