Anno XXVIII
Numero 91
Dicembre 2009
IMQ, via Quintiliano 43 - MI
Poste Italiane S.p.A.
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DCB_Milano
91
BRAVI, BRAVISSIMI PER
UN AMBIENTE DI QUALITÀ
STORIA DEL TEAM VELICO CHE HA SCELTO LA CERTIFICAZIONE DI QUALITÀ E AMBIENTALE
PRIMO PIANO: L’ACQUA
•
•
•
•
Dove la terra fa acqua
Privatizzazione: i sì e i no
Il lato oscuro delle deroghe
Imbottigliata o da rubinetto?
I L
M A G A Z I N E
STORIE DI QUALITÀ:
BARCHE E VELE
PRODOTTI DI QUALITÀ:
IMPRONTA ECOLOGICA
•
•
•
•
• E tu quanto inquini?
• Come ridurre la CO2
• La rintracciabilità di legno
e plastiche
Nautica sostenibile
Il rito della Barcolana
Vita da lupi di mare
Franco Pace: il mago dell’acqua
P E R
U N A
V I T A
D I
Q U A L I T À
QUALITÀ DELLA VITA
• Le Isole Vergini Britanniche
• Memoria da record
• A scuola di golf
E
S I C U R E Z Z A
Per un ambiente di qualità
Di Giancarlo Zappa
Numero 91
Direttore Responsabile
Giancarlo Zappa
Capo redattore
Roberta Gramatica
Art direction
Antonio Fortarezza
Coordinamento grafico
Fortarezza & Harvey
[email protected]
Hanno collaborato:
Federico Cerrato, Alessandra Cicalini, Cristina
Ferrari, Walter Molino, Monica Pasquarelli, Andrea
Pierini
Foto di:
Franco Pace, Fabio Taccola, Ufficio Stampa
Lightbay Sailing Team, Federico Cerrato
Direzione, Redazione, Amministrazione
IMQ, Istituto Italiano del Marchio di Qualità
Via Quintiliano 43 - 20138 Milano
tel. 0250731 - fax 0250991500
L’ambiente è una risorsa che finalmente stiamo riscoprendo! La crescente consapevolezza dell’impatto e delle conseguenze che i comportamenti del passato, del nostro
presente e del futuro possono avere sull’ambiente, ci chiama a soffermarci su alcuni
suoi elementi che per troppi anni abbiamo dato per scontati. Primo fra tutti l’acqua. Una
fonte essenziale, ma non ancora a disposizione di tutta la popolazione mondiale. Inesauribile, ma in massima parte inutilizzabile. Fonte di energia, ma anche oggetto di dispute e scontri per una sua corretta gestione e distribuzione.
Attenti a rispettare l’ambiente sono anche gli sportivi, perfino quelli che praticano sport
insospettabili in termini di inquinamento. Ad esempio, la vela. Sport verde? Non come
si potrebbe pensare stando al fatto che un team velico ha deciso di certificare il proprio
sistema di gestione per la qualità e ambientale e dunque con l’obiettivo di ridurre il proprio impatto ecologico.
Ma è soprattutto il consumatore che sta facendo sempre più caso all’impatto sull’ambiente di ciò che acquista. Forse lo fa ancora in modo inconscio e non sempre in maniera funzionale e razionale. Ma non ha importanza, perché quello che davvero conta
è che ogni giorno la nostra coscienza ecologica cresca, anche se impercettibilmente. Fino
a 4 o 5 anni fa, ci saremmo mai sognati di domandarci quanta CO2 poteva emettere
l’organizzazione di un concerto o l’invio di un pacco? Probabilmente no. Invece oggi ci
sono cantanti beniamini del pubblico che, nelle loro tournée, oltre a fare questo calcolo
fanno in modo di annullare o di compensare l’inquinamento da loro prodotto.
Lo stesso percorso viene seguito anche da note compagnie di spedizione internazionali.
E addirittura ci arriva la notizia che la Svezia è il primo luogo al mondo nel quale le etichette alimentari indicano, insieme a ingredienti e composizioni, anche la quantità di
anidride carbonica emessa per produrre gli alimenti stessi.
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Di tutte queste tematiche e di altre ancora, abbiamo parlato in questo nuovo numero
di IMQ Notizie, nel quale, come sempre, troverete anche i consigli per trascorrere il
tempo libero, viaggiare, leggere e migliorare la qualità della nostra vita.
The mark of responsible forestry
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Buona lettura
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essere liberamente riprese citando la fonte
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problemi della sicurezza e della certificazione.
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Direttore responsabile: Giancarlo Zappa
Autor. Tribunale Milano n. 17 del 17/1/1981
Stampa: Mediaprint - Milano
In conformità a quanto previsto dal D.lgs. 30 giugno 2003 n.
196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), e fatti
salvi i diritti dell'interessato ex ate. 7 del suddetto decreto, l'invio di IMQ Notizie autorizza I'Istituto Italiano del Marchio di
Qualità stesso al trattamento dei dati personali ai fini della spedizione di questo notiziario.
IMQ NOTIZIE N. 91
SOMMARIO
PRIMO PIANO: ACQUA, CROCE E DELIZIA DELL’UMANITÀ
2 DOVE LA TERRA FA ACQUA
Non si può dire che sulla terra l’acqua manchi, però non è distribuita equamente e,
spesso, quella presente non è utilizzabile
4 CHE ENERGIA!
Energia dalle onde del mare, oppure dalla sua salinità e ancora, perché no, dall’acqua
calda del sottosuolo
2
6 LA BATTAGLIA DELLE ACQUE
I pro e i contro della partita per la privatizzazione della distribuzione dell’acqua
8 QUELLA DEI SINDACI È BUONA, MA QUANTO COSTA?
Indagine di Altroconsumo sulla qualità e sui costi dell’acqua da rubinetto
11 IL LATO OSCURO DELLA DEROGA
12 STAPPO O APRO?
Acqua imbottigliata e acqua da rubinetto a confronto
8
STORIE DI QUALITÀ: VELA CERTIFICATA
14 BRAVI, BRAVISSIMI, PER UN AMBIENTE DI QUALITÀ
Lightbay Sailing Team, il primo team velico a ottenere da IMQ la certificazione
dei sistemi di gestione per la qualità e ambientale
19 SICUREZZA A BORDO
Una norma CEI definisce i requisiti di sicurezza degli impianti elettrici di navi e barche
20 O MARE VERDE, O MARE VERDE O MARE VEE...
Nautica sostenibile: le nuove regole per le aree marine protette
14
22 BARCOLANA: TUTTI INSIEME APPASSIONATAMENTE
Storia di una regata, nata quasi per gioco, che oggi raduna quasi 2.000 barche
26 CHI HA OSATO SFIDARE LA COPPA AMERICA
Arriva il Louis Vuitton Trophy. Intervista all’ing. F. Binetti Pozzi
30 VITA DA LUPI DI MARE
Faccia a faccia tra Gabriele Benussi e Piero Moschetta
32 IN BARCA COME IN CASA
Quando la barca copia il design di casa
34 TI DISEGNO UNA BARCA
Come sono cambiate le barche: intervista a Michele Lucchini, interior project manager
34
38 BARCHE DA LEGGERE, GUARDARE E ASCOLTARE
Le barche nella cultura
40 QUANDO IL SOLE VIAGGIAVA IN BARCA
Riti in barca
42 IL MAGO DELL’ACQUA
Intervista a Franco Pace, fotografo di barche e di mare di fama internazionale
42
PRODOTTI DI QUALITÀ: IMPRONTA ECOLOGICA
44 CARBON FOOTPRINT
Come calcolare l’impatto umano sull’ambiente
46 TI VENDO UN V.E.R.
Piantare alberi, utilizzare fonti pulite a energia rinnovabile o acquistare V.E.R.: le tre
strade per la riduzione delle emissioni di CO2
48 CASE HISTORY ECOLOGICHE
Greenpeace, FSC, PEFC, Plastica seconda vita
44
QUALITÀ DELLA VITA
52 VIAGGI: LE ISOLE VERGINI BRITANNICHE
54 SALUTE: COME POTENZIARE LA MEMORIA
58 SPORT: A SCUOLA DI GOLF
60 LIBRI, MUSICA E VIDEO: CONSIGLI E RECENSIONI
54
RUBRICHE
62 Panorama News
64 Brevi IMQ
1
PRIMO PIANO: ACQUA, CROCE E DELIZIA DELL’UMANITÀ
DOVE LA
FA ACQU
NON SI PUÒ DIRE CHE SULLA TERRA L’ACQUA MANCHI,
PERÒ NON È DISTRIBUITA EQUAMENTE E, SPESSO,
QUELLA PRESENTE NON È UTILIZZABILE.
ECCO DUNQUE UN BREVE SCENARIO DELLA NOSTRA
TERRA VISTA LÀ DOVE FA ACQUA.
2
IMQ NOTIZIE N. 91
TERRA
A
Il pianeta Arrakis, detto Dune, è coperto da un unico immenso deserto,
con una scarsa popolazione, i Fremen,
costretta a vivere in rifugi risparmiando
ogni goccia d'acqua. Qui ogni cosa è finalizzata a sfruttare al massimo la poca
acqua disponibile: dalle piante che assorbono ad elevate velocità l'umidità
del terreno, agli animali che prelevano
dal sangue delle vittime l'acqua per
idratarsi. Anche gli esseri umani che si
avventurano nel pianeta sono costretti
ad indossare speciali tute, in grado di
recuperare ogni particella di vapore
emanato dal corpo. Dune - frutto dell’immaginazione dello scrittore Frank
Herbert (1965) - potrebbe rappresentare il futuro della Terra, se lo sfruttamento umano continuerà nel modo
irresponsabile che tutti conosciamo.
Di acqua, sul nostro pianeta, certo non
ne manca allo stato attuale, ma la sua
smisurata quantità non è distribuita in
modo tale da garantire una pacifica
convivenza ai 9 miliardi di esseri umani
che si prevede la popoleranno nel non
lontano 2050. Quasi il 98 per cento di
essa è salata, e della restante, il 70 per
cento circa è contenuta in ghiacciai e
nevi perenni, mentre circa il 30 per
cento nel sottosuolo. Soltanto lo 0,3 per
cento è potenzialmente disponibile, tra
fiumi e laghi. Stiamo parlando dello
0,006 per cento dell’acqua totale del
pianeta, la quale non è certo distribuita
in modo uniforme poiché la maggior
parte di essa è concentrata in alcuni bacini della Siberia, nella regione dei
grandi laghi in Nord America e in tre
laghi dell’Africa, mentre circa il 27 per
cento si trova nei cinque maggiori sistemi fluviali: Rio delle Amazzoni,
Gange, Congo, Yangtze e Orinoco.
L’acqua - nel cui ciclo di vita i nostri corpi
sono inseriti organicamente – oggi è
fonte di apprensione e paura, non solo
per le possibili conseguenze derivanti
dallo scioglimento dei ghiacci, ma
anche e soprattutto come potenziale
origine di instabilità politica ed economica, se non addirittura di conflitti tra
Stati. Quasi il 40 per cento della popolazione mondiale dipende da sistemi
fluviali comuni a due o più paesi: l’India e il Bangladesh, che si disputano il
Gange; il Messico e gli Stati Uniti, entrambi toccati dal Colorado; la Slovacchia e l'Ungheria con il Danubio. Gli
esempi sono moltissimi, e non conforta
osservare lo scenario del Medio
Oriente, dove le dispute sull'acqua
stanno assumendo un’importanza crescente.
Gli Stati tecnologicamente più progrediti, inclusa la Cina, stanno facendo progressi nei metodi di bombardamento
delle nuvole, per ottenerne pioggia,
anche se il primo tentativo di successo,
lo scorso ottobre, si è in realtà trasformato in beffa, non avendo prodotto
che gelida neve. A livello più microscopico, c’è chi cerca di ottenere energia
dall’acqua, estraendone l’idrogeno,
quasi alla ricerca di una nuova pietra filosofale, ma già con qualche progresso
compiuto, come il prototipo di bicicletta a pedalata assistita alimentata ad
idrogeno, realizzato dall’Itae-Cnr di
Messina, che con un pieno può fare 150
chilometri. Altri fanno da battistrada in
comportamenti responsabili, come la
città australiana di Bundanoon, che ha
messo al bando l’acqua in bottiglia,
mentre la Samsung ha realizzato una
casa rinnovabile al 100 per cento, dove
l’acqua utilizzata viene riciclata per il
giardinaggio. L’acqua ci distruggerà o
sarà la nostra salvezza? Nei miti di
molte delle civiltà terrestri essa ha avuto
una funzione prima distruttiva, poi rigenerante, con la salvezza affidata
spesso ad un uomo solo, come nella tradizione babilonese e poi ebraica. Per
guarire è necessario immergersi nell’acqua, dal Gange fino a Lourdes. Ma ci
sarà acqua a sufficienza per tutti?
3
PRIMO PIANO: ACQUA, CROCE E DELIZIA DELL’UMANITÀ
CHE ENE
ENERGIA DALLE ONDE DEL
MARE, OPPURE DALLA SUA
SALINITÀ E ANCORA, PERCHÉ NO, DALL’ACQUA
CALDA DEL SOTTOSUOLO.
ECCO LE ALTRE FORME DI
SFRUTTAMENTO DELL’ENERGIA IDRICA.
Quando i mulini erano bianchi, era del
tutto naturale sfruttare l'energia dell'acqua, un elemento costantemente sotto gli
occhi di tutti, mai timido nel dimostrare la
sua grande forza energetica, in torrenti,
fiumi e cascate. Oggi ne parliamo come di
una forma "alternativa" di energia, dando
per scontato che il liquido che copre il 71
per cento della superficie terrestre non sia
di per sé sufficiente a sfamare il nostro cre-
4
scente appetito di consumi. D’altra parte,
però, ci proviamo in tutti i modi a cavarne
energia, perché l'acqua è pulita e generosa
e democratica, se pensiamo che già dodici
secoli fa aveva contribuito all'evoluzione
umana contro la schiavitù. Fu allora che, a
conti fatti, si poté accertare che il lavoro di
una sola pala di mulino ad acqua equivaleva a quello di 40 schiavi, così che si cominciò ad abbandonare il lavoro umano e
animale (è il mulo, ancora oggi, che dà il
nome ai generatori eolici) per sfruttare
l'energia dei fiumi. Questo almeno fino al
XIX secolo, quando cominciò a prevalere
un'altra forma di energia basata sull'acqua: il motore a vapore.
Oggi l'energia idroelettrica è una realtà
consolidata, ma si cerca di sfruttare l'acqua in almeno altre tre direzioni: catturando l'energia presente nel mare, sotto
forma di onde e maree; ricavando energia
dalla salinità dell'acqua; sfruttando l'acqua
calda presente nel sottosuolo. Da quasi un
secolo e mezzo, dighe e centrali idroelet-
triche fanno parte del paesaggio delle nostre montagne, contribuendo a consolidare, nel nostro immaginario, l’idea che
l’idroelettrico sia una risorsa energetica pulita, disponibile e rinnovabile. E infatti fino
ai primi anni '60, proprio grazie all'idroelettrico, la produzione energetica italiana
è stata in larga parte rinnovabile. Alcune
delle centrali dell'arco alpino, peraltro, rappresentano tutt'oggi ottimi esempi di architettura industriale. Con la crescita del
fabbisogno energetico, hanno poi prevalso
le forme che oggi consideriamo meno pulite, anche se l’idroelettrico rappresenta pur
sempre l'11 per cento della produzione.
Oggi questa forma di sfruttamento sta vivendo una nuova crescita, specialmente in
Cina e nel resto dell'Asia. Ma è meglio non
illudersi: anche queste centrali sono colpevoli di rilasciare grosse quantità di biossido
di carbonio durante la fase di costruzione
e del successivo allagamento della riserva.
Per non parlare degli effetti sociali delle migrazioni di massa delle popolazioni residenti nelle aree allagate.
IMQ NOTIZIE N. 91
RGIA!
Molto meno conosciuti sono i tentativi di
ricavare energia dal mare, sfruttando il
movimento delle onde, quello delle maree
o le differenze termiche. Uno dei tentativi
più curiosi, ma anche più promettenti, è
quello compiuto dalla società anglo-svedese Minesto (gruppo Saab), che sta realizzando degli aquiloni sottomarini formati da un'unica ala da 12 metri e sottostante turbina - vincolati da un cavo al
fondale, ma liberi di muoversi in orizzontale per sfruttare l'energia cinetica delle
correnti. Ciascun aquilone è in grado di
produrre mezzo megawatt di energia.
Anche nello stretto di Messina si cerca di
sfruttare l'antica energia di Scilla e Cariddi,
grazie ad un prototipo di turbina verticale
- Kobold - piantata nel fondo del mare. Poi
c'è la recente scoperta di Doriano Brogioli,
ricercatore all'università di Milano-Bicocca,
il quale ha realizzato un pre-prototipo di
supercondensatore, che sfrutta l'aumento
di energia che si verifica in prossimità di
elettrodi immersi in un liquido che contiene ioni, quando l'acqua di immersione
passa da salata a dolce. Anche la salinità
del mare, dunque, può essere sfruttata, in
luoghi particolari come gli estuari dei fiumi,
anche se ancora non è chiaro quali di queste fantasiose trovate riuscirà a trovare un
impiego effettivo e proficuo.
ALLA SCOPERTA
DELL'ACQUA
CALDA
Riscaldare due edifici comunali e fornire
a enti pubblici e ad aziende private della
zona l’opportunità di sfruttare l’acqua
calda che si trova nel sottosuolo della
laguna di Grado. Questi gli obiettivi che
si pone un progetto finanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia e dal Comune di Grado, sostenuto dall’Unione
Europea attraverso il fondo strutturale
Obiettivo 2. Il progetto, che comporta
un impegno totale, per la Regione e il
Comune, di 2,4 milioni, si sta concretizzando con lo scavo di un pozzo, nella
zona più occidentale dell’isola di Grado,
sulla spiaggia. Se si riuscirà a raggiungere il bacino d’acqua calda del sottosuolo, alla temperatura di circa
cinquantacinque gradi, saranno poi
realizzati impianti per il teleriscaldamento di edifici di proprietà del Comune. È stato calcolato che sarebbe
possibile prelevare dal sottosuolo (senza
intaccare l’ecosistema sotterraneo in
quanto è prevista la successiva re-immissione dell’acqua nelle falde), ventidue litri d’acqua al secondo alla
temperatura di 55 gradi. Ciò permetterebbe una produzione stimata annua di
circa due megawatt di energia. Ossia,
consentirebbe di risparmiare circa
1.700 tonnellate di petrolio l’anno per
il riscaldamento: l’equivalente di ottomilaottocento barili di greggio.
5
PRIMO PIANO: ACQUA, CROCE E DELIZIA DELL’UMANITÀ
LA BATTAGLIA
DELLE ACQUE
ACQUA AI PRIVATI SÌ,
ACQUA AI PRIVATI NO.
ACQUA BENE PUBBLICO SÌ,
ACQUA BENE PUBBLICO NO.
I PRO E I CONTRO DELLA PARTITA
PER LA GESTIONE DELLE FONTI.
6
IMQ NOTIZIE N. 91
Da una parte, i mercatisti duri e puri: privatizzazione dei servizi e società finanziarie. Dall'altra, i resistenti del principio
inderogabile dell'acqua “bene comune”.
Varrebbe la pena di archiviarla subito
come una delle tante battaglie ideologiche italiane, ora che le ideologie sono passato remoto, se non fosse che in mezzo ci
siamo noi, 56,1 milioni di italiani (già, non
proprio tutti) raggiunti dai 6,5 miliardi di
metri cubi di acqua pubblica distribuita sul
territorio nazionale. E se non fosse che il
sistema, letteralmente, rischia di affondare, a guardare lo stato generalmente disastroso degli oltre 212 mila chilometri di
acquedotti e degli oltre 173 mila di fognature che attraversano il Belpaese. Numeri che impediscono di pensare a un
futuro migliore per gli 8 milioni di italiani
che non hanno accesso all'acqua potabile
e i 18 milioni che bevono acqua non depurata. A grandi linee è questo il Risiko
della grande disputa in corso sulla “privatizzazione” dell'acqua. Allora vale la pena
fare un tentativo di guardare nel modo
più neutrale possibile ai termini della questione. Innanzitutto c'è da dire che questa
è una partita con un finale già scritto.
Dopo la riforma dei servizi pubblici locali
(legge 133/2008), il Decreto 135/2009,
convertito in legge nel novembre scorso,
stabilisce una quota minima obbligatoria
di partecipazione dei privati nelle società
che gestiscono il servizio idrico integrato
(acqua, fognature e depurazione). Tra chi
si oppone al provvedimento si parla di referendum abrogativo, ma intanto la
nuova situazione prevede che nelle società a partecipazione mista, i soci privati
non potranno avere una quota inferiore
al 40% e in quelle quotate in borsa si profila la necessità di ridurre il peso del socio
pubblico a non più del 30%. E i tempi?
Per le società municipalizzate, cioè di proprietà completamente pubblica, il termine
è fissato al 31 dicembre 2011. Sguardo
neutrale, si diceva. Per prima cosa, allora,
guardiamo alle tariffe: gli avversari della
privatizzazione avvertono che questa porterà un'impennata dei costi per i cittadini.
Tra i tanti, il più citato è l'esempio di
Arezzo, dove la società che gestisce l'erogazione dell'acqua è in mano a privati e
spedisce le bollette più care d'Italia, dietro
solo a Firenze.
A studiarlo bene, Arezzo è un caso particolare. Qui il processo di privatizzazione
del sistema idrico è iniziato dieci anni fa,
con la costituzione della società mista
“Nuove acque” che raggruppa 36 comuni dell'Alto Valdarno, Monte dei Paschi, Banca Etruria e il colosso francese
Suez. “Acqua in brocca” è lo slogan sui
cui è iniziata una massiccia e articolata
campagna promozionale per pubblicizzare tra i cittadini il consumo di acqua di
rubinetto. Manifesti, iniziative pubbliche,
fontanelle nelle scuole, visite guidate all'acquedotto: nulla è stato lasciato al
caso. E i risultati si vedono: in dieci anni la
percentuale di cittadini che bevono solo
acqua minerale si è ridotta dall'ottanta al
46 per cento. Le bollette salate spiegano
che non è una questione di costi. L'acqua
di Arezzo costa ai cittadini 440 euro all'anno per ogni 200 metri cubi (la quantità media utilizzata dalle famiglie
italiane), solo Firenze (448 euro all'anno)
è più cara. E l'acqua in brocca di Arezzo
costa quattro volte più che quella di Milano (110 euro), che da sempre fa vanto
della sua municipalizzata. Dunque, il successo aretino non dipende dal portafogli
e solo in parte, c'è da ritenere, dalla pubblicità. La chiave di volta è la qualità: se
l'acqua del rubinetto non fosse buona,
addio consumatori. “Se oggi quasi il
50% della popolazione beve l'acqua dal
rubinetto è anche grazie ai 27 nuovi impianti di depurazione delle acque reflue
con fitodepurazione, essiccamento dei
fanghi di depurazione e successiva cogenerazione di energia. Si tratta di investimenti già realizzati per 111 milioni e di
altri 140 previsti, per infrastrutture che resteranno alla comunità anche alla scadenza del contratto di 25 anni”, spiega
Gianni Giani, presidente del Consorzio Intesa Aretina, socio privato di Nuove
Acque. Siamo al punto: se è vero che in
Italia ci sono moltissimi comuni che
hanno gestito l'acqua in maniera virtuosa
mantenendo basse le tariffe (in media le
più basse in Europa), è anche vero che ce
ne sono altrettanti che non ce la fanno
più a sostenere costi e manutenzioni, abbassando di conseguenza il livello di servizio e della qualità dell'acqua, mettendo
a rischi la salute dei cittadini e assistendo
impotenti alle falle del sistema, che disperde ogni anno anno addirittura il 37%
dell'acqua in distribuzione. Per rimettere
in sesto le reti idriche italiane servirebbero
62 miliardi di euro: impossibile trovarli,
ecco perché il Parlamento sta accelerando sulla privatizzazione.
COSA PREVEDE
LA LEGGE
La questione della privatizzazione dell'acqua è
aperta da anni, ma è diventata molto concreta
a partire dalla riforma dei servizi pubblici locali
(legge 133/2008) e fino alla recente conversione in legge, lo scorso 19 novembre, del decreto Ronchi (135/2009). La nuova legge,
fortemente criticata da regioni ed enti locali,
prevede che la gestione dei servizi pubblici con
rilevanza economica sia affidata solo con gara
pubblica e facendo riferimento a criteri di economicità. L'applicazione della nuova disciplina
prenderà il via entro la fine del 2010, quando
scadranno tutte le concessioni relative ai servizi
idrici finora rilasciate senza gara d'appalto. Da
quel momento gli acquedotti e i servizi connessi
potranno essere gestiti anche da società esclusivamente private.
l'Inghilterra è forse l'esempio più virtuoso:
privatizzazione totale ma controlli asfissianti dell'Authority e tariffe aggiornate
ogni cinque anni. I supporter dell'acqua
pubblica e basta, ricordano però che in
Europa, nella maggior parte dei casi, i privati sono sì entrati nella gestione, ma la
mano pubblica ha mantenuto sempre la
maggioranza, diversamente da quanto si
appresta a sancire la normativa italiana,
che non prevede la creazione di un'Autorità di controllo indipendente per monitorare le tariffe applicate e la loro
congruità rispetto agli investimenti e la
qualità del servizio fornito. Il timore non
è campato in aria: i costi enormi per
l'adeguamento delle reti idriche rischiano
di far saltare il banco. In tempi di crisi appare difficile l'accesso al credito per piccole imprese e consorzi, di fronte a
investimenti così alti. Il rischio è che alla
fine la partita si risolva a tutto vantaggio
di qualche multinazionale priva di alcun
legame con il territorio. Difficile, in conclusione, dire chi ha ragione. Di certo, la
strada della privatizzazione è già avviata,
resta da capire se (e per chi) sarà veramente un affare.
Fonti dei dati citati nell'articolo: Altroconsumo, Cittadinanzattiva, Acque
nuove, AVCP (Autorità Vigilanza Contratti
Pubblici di lavori, servizi e forniture)
Efficienza promessa, a prezzo di tariffe
più alte. Mettendo il naso fuori dall'Italia,
7
PRIMO PIANO: ACQUA, CROCE E DELIZIA DELL’UMANITÀ
QUELLA DEI
E’ BUONA.
MA QUANTO
L'acqua del rubinetto? Buonissima
nelle maggiori città italiane. Lo ha rilevato una recente indagine sul campo
di Altroconsumo, che ha giudicato eccellente l'acqua pubblica di Potenza e
Campobasso, e di altre città italiane.
Molte differenze, invece, tra le tariffe
applicate ai cittadini.
Gli esperti di Altroconsumo hanno esaminato le caratteristiche che rendono
un'acqua di qualità - come durezza, residuo fisso, sodio, cloriti, nitrati - oltre
che la sicurezza, controllando in laboratorio se vi fossero inquinanti tra i più
insidiosi e incriminati, come metalli pe-
8
IMQ NOTIZIE N. 91
SINDACI
H2O
GLOSSARIO
CI COSTA?
PH: su una scala da 0 a 14, misura basicità
o acidità dell'acqua. Valori inferiori a 7 indicano che l'acqua è acida, valori superiori
al 7 indicano che è basica (o alcalina). Se il
valore è 7, l'acqua è neutra. L'acqua potabile presenta un PH che oscilla da un valore
di 6.5 a 8.5; variazioni significative sono da
attribuirsi ad inquinamento della falda.
DUREZZA: è determinata dalla presenza di
sali, magnesio e calcio. La legge impone valori compresi tra 15 e 50 gradi francesi,
dove per “acque dure” si intendono quelle
con grado di durezza uguale o superiore ai
40° f. Nonostante la denominazione possa
far temere il contrario, le acque dure non
sono dannose per l'uomo.
NITRITI: si tratta di ioni negativi che presentano un elevato grado di tossicità per
l'uomo, specialmente per i bambini, comportando rischi di patologie come la metemoglobina. La legge stabilisce che non
superino i 0,50 mg/l.
santi, pesticidi e solventi. Il risultato è
cristallino, come l'acqua dei capoluoghi di Regione e Provincia di tutta Italia.
Secondo
l'associazione
di
consumatori non bere l'acqua di casa
significa rinunciare a un prodotto
buono, equilibrato perché oligominerale e super-economico, dato che costa
250 volte meno che l'acqua griffata e
venduta in bottiglia.
Diverso è il discorso sulle tariffe, molto
diverse da città a città. Confrontando
la bolletta annua su tre diversi profili
di consumo si scopre che a Firenze si
spende il 300% in più che a Milano. Se
una famiglia media utilizza 200 metri
cubi di acqua all'anno, in un anno
spende per l'acqua a potabile a Firenze
e ad Arezzo quanto per l'elettricità,
oltre 440 euro. La stessa famiglia, a Milano e Venezia, spenderebbe rispettivamente 110 e 154 euro. Nel mezzo tra
i due estremi della classifica, esempi
virtuosi come Catania, Roma, Catanzaro, Aosta e Campobasso, dove la
stessa famiglia spende sotto i 200 euro.
Ferrara, Ravenna, Perugia, Genova,
Lecce e Bari, invece, seguono le due
città toscane nella parte alta della classifica delle più care, tutte ben oltre i
300 euro.
NITRATI: meno pericolosi dei nitriti, il loro
valore non deve comunque essere superiore ai 50 mg/l. Quando ciò avviene si è
probabilmente in presenza di inquinamento dovuto, con buona probabilità, a residui di fertilizzazione agricola o ad impianti
fognari non a norma.
CLORURI: la legge stabilisce che i valori
presenti nell'acqua devono rimanere al di
sotto dei 250 mg/l. Per quanto non comportino un rischio tossicologico, elevate
concentrazioni conferiscono sapore e
odore sgradevoli. Nelle zone costiere, l'inquinamento da cloruri è sovente provocato
da infiltrazioni marine.
SOLFATI: sono presenti nell'acqua in seguito al naturale passaggio attraverso rocce
che contengono zolfo. Valori superiori a
250 mg/l sono fuori norma; la contaminazione da solfati può essere causata da scarti
industriali.
9
PRIMO PIANO: ACQUA, CROCE E DELIZIA DELL’UMANITÀ
ACQUA IN NUMERI
FONTE: Cittadinanzattiva
CONSUMI IN ITALIA (in mld di mc)
6,5 acqua distribuita
5,5 acqua consumata
COME SI TRASPORTA (in km)
212.261 in acquedotto
173.483 in fognatura
ITALIANI SERVITI
56,1 milioni
USO DOMESTICO
39% bagno o doccia
20% usi sanitari
12% bucato
10% lavaggio stoviglie
19% altro
MERCATO
Giro d'affari Italia: 2,5 miliardi di euro anno
580 milioni investimenti annuo
FONTE: AVCP Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori,
Servizi e Forniture
RISORSE IDRICHE NAZIONALI per area geografica
65% Nord
15% Centro
20% Sud e Isole
RIPARTIZIONE DEI CONSUMI
46% agricoltura
19% produzione idroelettrica
17% manifatturiera
18% forniture pubbliche
LE PRIME 10 CITTA' CON LE TARIFFE PIU' CARE
(spesa annua in euro per 200 mc di consumo) FONTE ALTROCONSUMO
BEVI L'ACQUA DI CASA
Diffondere la cultura dell'acqua del rubinetto e
dare un colpo di piccone
ai pregiudizi che l'hanno
trasformata nella sorella
povera e meno sicura di
quella in bottiglia. “Bevi
l'acqua di casa” è il claim
della campagna lanciata
da Altroconsumo a margine della ricerca sulla qualità dell'acqua pubblica in 35 città italiane. L'acqua del rubinetto
non è un ripiego più economico, spiega l'Associazione, ma
una scelta intelligente.
10
Firenze 448
Arezzo 440
Ferrara 388
Ravenna 385
Perugia 365
Genova 334
Lecce
330
Bari
330
Frosinone299
Padova 289
LE CITTA' CON LE TARIFFE PIU' BASSE
(spesa annua in euro per 200 mc di consumo) FONTE ALTROCONSUMO
Milano 110
Venezia 154
Campobas.175
Aosta
176
R.Calabria 180
Catanzaro192
Roma
196
Catania 198
Pescara 205
Bolzano 207
IMQ NOTIZIE N. 91
IL LATO
OSCURO
DELLA
DEROGA
Poi dice che uno si attacca alla bottiglia.
Anche se test e analisi dimostrano la
buona qualità dell'acqua pubblica italiana, pochissimo si sa del regime di deroga in cui Comuni e Regioni possono
distribuire l'acqua nonostante alcune
alterazioni. In un recente rapporto di
Cittadinanzattiva emerge che dal 2001
a oggi sono risultate alterazioni dell'acqua in 13 Regioni. Ma di che alterazioni
si tratta? Arsenico, cloriti, selenio, trialometani, vanadio, nichel. Niente
paura, non si tratta di alterazioni tossiche, qui il punto è la mancata informazione. Gli enti territoriali, infatti, ogni
volta che distribuiscono l'acqua in deroga, sarebbero tenuti a informare i cittadini. E, soprattutto, a risolvere il
problema riscontrato entro un lasso di
tempo circoscritto. Cosa che non è riuscita a fare, per esempio, la Regione
Lombardia, che dall'inizio del 2010 non
potrà più avanzare richieste di deroghe
(adesso arrivano anche sul tavolo della
Commissione Europea) e che, se in alcuni Comuni continueranno ad essere
riscontrati valori di arsenico superiori
alla norma, sarà costretta a sospendere
l'erogazione dell'acqua. L'arsenico, è
vero, fa paura. Ma non c'è nessuno che
tenta di avvelenare i nostri acquedotti.
La presenza di questa e altre sostanze
dipende dalla loro esistenza sul territorio. La soluzione è semplice ma, per le
esangui casse dei nostri enti locali,
molto costosa in termini di manuten-
zione, controlli, investimenti. Il funzionamento della deroga l'ha spiegato in
dettaglio il magazine allegato al Corriere della Sera del 15 ottobre scorso. Se
il gestore dell'acquedotto rileva un valore superiore alla norma, si rivolge alla
Regione per chiedere l'autorizzazione
a proseguire l'erogazione dell'acqua. La
Regione presenta l'istanza al Ministero
della Salute che a sua volta gira la pratica all'Istituto Superiore della Sanità.
Da qui parte la richiesta di un parere al
Consiglio Superiore della Sanità, prima
di tornare ai Ministeri Ambiente e Salute che, congiuntamente, possono firmare o negare l'autorizzazione. Per chi
non abbia vissuto in Finlandia o in Norvegia negli ultimi venti o trent'anni, è
facile capire che un percorso burocratico-amministrativo del genere darebbe
il tempo a un potenziale virus di estendersi in tutta la rete idrica nazionale.
Già, perché nell'attesa della deroga che comunque non risolve il problema,
ma autorizza semplicemente a ignorarlo - la distribuzione dell'acqua prosegue. Certo, adesso siamo in Europa. E
infatti dal 2010, in nome del controllo e
della trasparenza, oltre a tutti i passaggi
di carte descritti se ne aggiungerà un
altro, quello dell'UE, che almeno, oltre
a mettere un timbro e una firma sulla
deroga, pretenderà di sapere cosa si è
fatto per mettersi in regola.
11
PRIMO PIANO: ACQUA, CROCE E DELIZIA DELL’UMANITÀ
STAPPO O
PAURE, PIACERI,
MODE E FALSI
MITI DELL’ACQUA
IN BOTTIGLIA
E DA RUBINETTO.
12
Ma l'acqua del rubinetto è sicura? Ho letto
che l'Università di Napoli ha diffuso dati che
provano che in molti Comuni l'acqua è contaminata: ma le Università non sono le
stesse che fanno l'analisi chimico-fisica delle
acque? Basta fare un giretto tra siti e forum
di consumatori per scoprire che Internet è
per molti versi lo specchio della realtà: informazioni sommarie, luoghi comuni, molti
dubbi e soprattutto tanta diffidenza. In
un'epoca in cui, almeno nelle intenzioni, i
Grandi del mondo sembrano aver preso a
cuore la salute e il futuro del pianeta, non si
può ignorare, parlando di acqua, l'enorme
business mondiale dell'imbottigliamento.
Bere acqua minerale, negli anni, è diventato
uno status, poi un abitudine e per alcuni
perfino un vizio, di pari passo con i massicci
e crescenti investimenti pubblicitari delle
multinazionali che - così come con molti
altri prodotti - hanno trasformato la nostra
percezione dell'acqua da bevanda basica
per dissetarsi a fonte di salute e se non addirittura di bellezza.
È il mercato, naturalmente, con i suoi pregi,
la sua creatività e le sue inevitabili distorsioni. In Italia, il consumo dell'acqua in bottiglia cresce al ritmo del 7% annuo,
aumentando esponenzialmente l'impatto
ambientale (trasporti e smaltimento) in un
segmento in cui i vincoli sono sempre meno
stringenti. Anche se alcune acque in bottiglia differiscono da quella di rubinetto solo
IMQ NOTIZIE N. 91
APRO?
per il fatto di essere distribuite in bottiglia
piuttosto che attraverso condutture (in Europa e negli Stati Uniti esistono infatti più
standard regolatori che tengono sotto controllo l’acqua di rubinetto di quante ce ne
siano per l’industria dell’acqua in bottiglia)
è del tutto evidente che il prodotto confezionato può avere il vantaggio di essere generalmente più sicuro in aree in cui le falde
sono state contaminate, come ammesso
anche in una recente pubblicazione del
WWF dal titolo “Acqua in bottiglia: capire
un fenomeno sociale”. Nello studio si cerca
di capire, al netto dell'efficacia della pubblicità, da cosa dipenda la nostra sfiducia
nei confronti dell'acqua di rubinetto. “Il nostro atteggiamento nei confronti dell’acqua
di rubinetto è stato forgiato dall’inquinamento che sta soffocando fiumi e torrenti,
i quali dovrebbero essere delle vene di vita”,
scrive Richard Holland, direttore della campagna Living Waters (Acque Viventi) del
WWF. “Dobbiamo proteggere e mantenere accuratamente protette queste acque
alla fonte, e non solo durante le operazioni
di trattamento, in modo da poter tranquillamente berle dal nostro rubinetto”. La
paura, più o meno indotta, spiega molto di
questo fenomeno. Il mercato dell’acqua in
bottiglia è in parte incentivato dalla preoccupazione riguardo alla qualità delle acque
di falda e soprattutto dal marketing di
molte marche che la ritraggono come prelevata direttamente alla sorgente e quindi
più sana di quella del rubinetto. Eppure, secondo i dati della FAO (l’Organizzazione
delle Nazioni Unite per l’alimentazione e
l’agricoltura), in termini di valori nutrizionali
l’acqua in bottiglia non è meglio di quella
del rubinetto. Può contenere piccole quantità di minerali, ma vale lo stesso per l’acqua
di molti fornitori pubblici e municipali. Bere
una o l'altra è una scelta soprattutto di
gusto, legata al sapore e alla voglia di bollicine. La pubblicità dell'acqua in bottiglia
punta molto sulla scarsa presenza di sodio
o il residuo fisso molto basso, elementi rispetto ai quali la differenza con l'acqua di
rubinetto è minima o assente. La qualità
dell’acqua potabile italiana è buona, non ci
sono motivi fondati per ritenere l'acqua minerale più salutare. Ciò non significa che
l'acqua in bottiglia non sia di buona qualità,
ma sopravvalutarla è poco ragionevole.
Nessuna virtù particolare dunque e nessun
rischio: bere dalla bottiglia o dal rubinetto
fa una notevole differenza solo per il portafoglio. Siamo fatti così: ci indigniamo in
estate se costretti a pagare tre euro una
bottiglietta da mezzo litro sulla salita del
Partenone, e poi, in autunno, riprendiamo
le nostre abitudini di acquisto delle gustose
e salutari acque imbottigliate.
IL COSTO GLOBALE
DELL'IMBOTTIGLIAMENTO
Secondo la rivista scientifica “Science
Africa” ogni anno vengono utilizzate un
milione e mezzo di tonnellate di plastica
per imbottigliare acqua. Svariate sostanze chimiche tossiche sono poi rilasciate nell’ambiente durante la
produzione e lo smaltimento delle bottiglie. Inoltre, un quarto degli 89 milioni
di litri di acqua imbottigliata ogni anno
sono consumati al di fuori dal loro paese
di origine. Le emissioni di gas serra e ossido di carbonio, causate dal trasporto
all’interno delle e fra le diverse nazioni,
contribuisce al problema globale dei
cambiamenti climatici.
L'ACQUA
IN SCATOLA
Si chiama Boxed Water e ha messo l'acqua in una scatola riciclabile. L'idea è
innovativa, l'esperimento tutto da verificare, ma è certo un buon segnale che
perfino chi l'acqua la vende inizia a ragionare sulla diminuzione dell'impatto
ambientale. In questo caso l'acqua in
scatola supera il concetto della bottiglia: Boxed Water usa per il packaging
dell’acqua il 90% di materiale riciclato,
un involucro che provoca emissioni di
CO2 in maniera sensibilmente inferiore
rispetto alle classiche bottiglie di plastica. Non solo: l'azienda ha promesso
che, se il business decollerà, il 20% dei
profitti sarà distribuito a fondazioni che
si occupano di acqua e ambiente e a
progetti di rimboschimento.
13
STORIE DI QUALITÀ: TEAM VELICO CERTIFICATO
BRAVI, BRAV
E DI QUALIT
LIGHTBAY SAILING TEAM È IL PRIMO TEAM VELICO A OTTENERE DA IMQ LE
CERTIFICAZIONI DEI SISTEMI DI GESTIONE PER LA QUALITÀ E AMBIENTALE.
SCOPRIAMO IL PERCHÉ DI QUESTA SCELTA E IL DIETRO LE QUINTE DEI PROTAGONISTI.
14
IMQ NOTIZIE N. 90
AVISSIMI,
TA’
Se pensate che la barca vela sia un mezzo
di trasporto verde, come potrebbe esserlo
la bicicletta, provate a parlare con Carlo
Alberini, armatore e team manager del
team velico Lightbay Sailing Team (LBST).
Perché qualche dubbio ve lo metterà. E
non per provocazione o anima integralmente ecologista, ma per esperienza diretta. Perché lui, da ex imprenditore, da
qualche tempo ha deciso di portare nel
mondo dei team sportivi, e in particolare
nel suo team, la certificazione dei sistemi
di gestione per la qualità e ambientale.
Una decisione che può suscitare qualche
curiosità a pensarci bene, perché non a
tutti potrebbero essere così immediati i
vantaggi che strumenti nati per il mondo
dell’industria quali, per l’appunto, la certificazione dei sistemi di gestione aziendali,
possano essere di utilità per un team sportivo, laddove quello che conta è la competitività della squadra.
Ma la cosa ci stupirebbe meno se ci chiedessimo quali sono i requisiti che rendono
una squadra competitiva e che in realtà si
traducono in capacità e organizzazione.
Facciamo un esempio pratico. Il percorso
di certificazione del sistema qualità, condotto con IMQ sulla base della norma ISO
9001, ha portato il team velico di Carlo
Alberini ad analizzare la propria organizzazione mettendo in evidenza gli aspetti
positivi, quelli migliorabili, le diverse criticità e, ovviamente, i correttivi da apportare. Ha introdotto modifiche nei
comportamenti dei membri del team e
anche cambiamenti nei materiali utilizzati.
Ha portato alla stesura di regole e procedure ben precise, condivise da tutti i membri della squadra, responsabilizzandoli e
impegnandoli a definire con precisione il
proprio comportamento, a terra e a
bordo, affinché potesse essere misurabile
e dunque migliorabile. Sono poi state monitorate le modalità di trasporto, le procedure organizzative, i materiali utilizzati e
loro modalità di impiego con l’obiettivo di
ridurne gli sprechi. Anche i partner, gli
sponsor e i fornitori della squadra sono
stati selezionati attentamente avendo cura
di privilegiare solo quelli che potessero garantire affidabilità, sensibilità ambientale
e, ovviamente, efficienza. Il tutto ha comportato un taglio degli sprechi, sia econo-
15
STORIE DI QUALITÀ: TEAM VELICO CERTIFICATO
mici sia ambientali di immediato riscontro,
ma anche una ottimizzazione dell’organizzazione. Dal punto di vista interno la
certificazione ha portato a organizzarsi
con ruoli chiari per gli atleti professionisti
e non, consentendo di volta in volta la migliore scelta in base alle condizioni previste e quelle storiche del campo di regata.
Parallelamente, la certificazione del sistema di gestione ambientale, secondo la
norma ISO 14001, ha portato a individuare leggi e regolamenti applicabili all’attività velica - circa 25 - e alla redazione
di un documento di analisi ambientale iniziale nel quale sono stati schematizzati i
rischi, le ricadute pericolose per l’ambiente
nei vari momenti connessi alla attività nautica, ovvero dalla manutenzione ordinaria
della barca a quella straordinaria, ai mezzi
ed alle attrezzature e ovviamente i correttivi da apportare e, nel caso di rischio di
inquinamento ambientale, le azioni di
intervento da mettere in pratica. Ad esempio arginando i danni in caso di dispersione di sostanze inquinanti quali oli,
carburante o gas durante una regata; riducendo al minimo i motori o utilizzando
gli appositi mezzi di tamponamento; limitando l’impiego di sostanze chimiche e la
produzione di rifiuti pericolosi; ricorrendo
a smaltitori autorizzati o, ancora, gestendo in maniera differenziata la produzione di rifiuti solidi derivante dal
consumo di cibi e bevande a bordo.
Ecco come, votando le proprie azioni e la
propria organizzazione al totale rispetto
dell’ecologia, Lightbay Sailing Team incarna l’ideale collettivo della vela come
sport “verde”. E chissà che l’esperienza di
questo team, con le certificazioni rilasciate
da IMQ, non possa essere seguita anche
da altri team velici o dalle squadre di sport
diversi, desiderosi di misurarsi con l’esigenza di un’organizzazione strutturalmente forte che si ponga continuamente
dei nuovi obiettivi e che agisca nel pieno
rispetto delle norme ambientali. Senza dimenticare che, se mantenuta nel tempo,
la certificazione comporta vantaggi competitivi e organizzativi che sono alla base
di ogni vittoria.
16
IMQ NOTIZIE N. 91
DIETRO LE QUINTE
DELLA CERTIFICAZIONE:
LA PAROLA
AI PROTAGONISTI
CARLO ALBERINI, L’ARMATORE.
Come è nata l’idea di certificarsi?
La nostra squadra sta seguendo un percorso di miglioramento dell’organizzazione, dei processi interni ma anche di
selezione dei fornitori e di attenzione per
l’impatto sull’ambiente che anche uno
sport come la vela può avere. Affinché
questi nostri sforzi non fossero solo un intento, ma un’azione concreta, abbiamo ritenuto opportuno dotarci di un sistema
qualità e di un sistema di gestione ambientale e di farlo certificare da un ente autorevole come IMQ. Per noi certificarsi ha
significato innanzitutto sottolineare il momento di cambiamento. La nascita di una
struttura e la definizione di ruoli, compiti
e procedure, portano infatti a comunicare
non solo una volontà di professionismo e
organizzazione, ma anche ad esprimere
attraverso la certificazione, il raggiungimento di tale risultato. Risultato che è indice di maggiore sicurezza e di elevata
professionalità per tutti coloro che vengono a contatto con il team. Come dicevo,
le idee devono essere confortate dai fatti e
certificandosi Lightbay Sailing Team ha voluto mettere nero su bianco tutto ciò che
sta facendo e farà per migliorare se stesso
e l’impatto nei confronti dell’ambiente. Essere certificati significa per noi porsi degli
obiettivi, dichiararli e avere la certezza che
un organo di controllo super partes vigili
sul comportamento e sui risultati.
In ottica di rispetto dell’ambiente, oltre alla
certificazione secondo la ISO 14001, abbiamo anche allo studio un progetto interessante ed innovativo, che prevede la
progettazione e la realizzazione di una
barca a vela che risponda a caratteristiche
maggiormente eco-compatibili: dai materiali utilizzati, alla gestione della barca
stessa. Noi crediamo, e lo vorremmo poter
dimostrare anche in acqua, che oggi è
possibile applicare i nuovi materiali che derivano da riciclo o progettare pensando già
a fine vita della barca senza penalizzare la
competizione ed i risultati.
17
STORIE DI QUALITÀ: TEAM VELICO CERTIFICATO
CARMINE ROBERTO COSENTINO,
RESPONSABILE QUALITÀ LBST.
PIERANGELO DI LAZZARO,
CONSULENTE.
CLAUDIO PROVETTI, DIRETTORE
FUNZIONE CSQ (CERTIFICAZIONE
SISTEMI DI GESTIONE) DI IMQ.
Un esperto di diritto e di qualità in un
team sportivo, come mai?
Per portare consapevolezza, nuove conoscenze e migliorare la professionalità. Da
parte del team è stata una scelta fatta con
lungimiranza i cui risultati si misureranno
nei prossimi anni; da parte mia ho raccolto
una sfida, quella di traslare delle competenze e delle conoscenze formatesi in ambito aziendale in una sfera completamente
differente. Dopo averci lavorato ho scoperto che anche un team velico ha delle
responsabilità, proprio come qualsiasi altra
azienda. Non si chiamano utili, sono definiti risultati, ma alla fine i bilanci si fanno
comunque.
Qual è il ruolo del consulente nella
fase di certificazione?
Anzitutto è quello di sensibilizzare
l’azienda, qualora già non lo fosse, sull’utilità della certificazione che non è un
mero atto burocratico come alcuni pensano. La certificazione è un bellissimo strumento per poter conoscere meglio la
propria azienda e migliorarla là dove è
possibile. Le norme che stanno alla base
della certificazione pongono dei requisiti,
e alle organizzazioni in fase di certificazione viene richiesto di spiegare come
questi vengono assolti. Il ruolo del consulente è quello di aiutare l’azienda nell’identificare se stessa e tracciare un
proprio ritratto, preciso e dettagliato. Volendo semplificare e riassumere in alcune
domande i quesiti che le norme pongono,
potremmo così elencarle: dimmi chi sei
e cosa fai, dimmi come sei organizzato, ora dimmi come gestisci il tuo processo
interno e come gestisci i requisiti contrattuali, i tuoi progetti, i tuoi approvvigionamenti, la produzione o l’erogazione di un
servizio, ora che hai individuato tutto questo, come fai per misurare, raggiungere e
migliorare i tuoi processi e i tuoi obiettivi?
Compito del consulente è anche quello di
fare in modo di coinvolgere tutte le risorse
umane perché, come in tutte le cose,
anche con la certificazione i risultati sono
più efficienti quando c’è il coinvolgimento
e la consapevolezza da parte di tutta
l’azienda.
Qual è in concreto il valore della certificazione?
Parto anzitutto dalla considerazione che
se, per la prima volta in Italia, un team velico ha deciso di dotarsi di un sistema di
gestione per la qualità e per l’ambiente e
di certificarlo, credo sia notizia degna di
nota e mi auguro che offra lo spunto ad
altre realtà. Per quanto riguarda la certificazione questa non vuole e non deve essere un atto formale, e tantomeno un
punto d’arrivo, bensì uno strumento di miglioramento continuativo. Se condotta e
vissuta con impegno e determinazione,
essa può portare a notevoli risultati derivanti dalla capacità di darsi degli obiettivi
sempre più ambiziosi e al passo coi tempi,
misurarsi e intervenire su gli aspetti di debolezza, rafforzando i punti di forza della
propria organizzazione.
18
IMQ NOTIZIE N. 91
SICUREZZA
A BORDO
A definire le caratteristiche che un impianto elettrico di una barca deve avere
per poter essere sicuro esiste una norma
specifica. Si tratta della Norma CEI del
Comitato Tecnico 18 “Impianti elettrici di
navi ed unità fisse/mobili fuori costa (offshore)” ed in particolare dalle norme corrispondenti alla serie EN 60092.
La Norma CEI 18-56 “Impianti elettrici a
bordo di navi. Parte 507: Imbarcazioni da
diporto” (corrispondente alla norma internazionale EN 60092-507) specifica le
prescrizioni per il progetto, la costruzione
e l’installazione di sistemi elettrici sulle
unità da diporto che navigano nelle
acque interne e per mare.
La Norma si applica ai sistemi elettrici:
• monofase in corrente alternata a tensione nominale non superiore a 250 V;
• trifase in corrente alternata a tensione
nominale non superiore a 500 V;
• in corrente continua a tensione nominale non superiore a 50 V.
LE BARCHE RAPPRESENTANO DEGLI AMBIENTI MOLTO
PARTICOLARI: UN MICROCOSMO ASSIMILABILE A UNA
CASA, PER QUANTO RIGUARDA GLI IMPIANTI ELETTRICI, MA SEMPRE A STRETTO CONTATTO CON L’ACQUA E CHE DUNQUE RICHIEDE ACCORTEZZE
PARTICOLARI.
La norma contempla, in particolare, le
conseguenze che un grave incendio, un
rischio elettrico, le influenze ambientali e
le sollecitazioni meccaniche particolarmente gravose potrebbero avere sull’impianto, nel caso di impianto con energia
elettrica fornita sia da un generatore sia
da batterie con capacità sufficiente ad
alimentare i servizi essenziali e, nello
stesso momento, in grado di caricare le
batteria all’80% della sua capacità in 10
ore.
Gli ambiti sviluppati riguardano il sistema
elettrico a bordo, i collegamenti a massa
e a terra e i sistemi di protezione contro
i fulmini
Fonte CEI
19
STORIE DI QUALITÀ: VELA VERDE
O MARE VERDE,
O MARE VERDE,
O MARE VEE...
NAUTICA SOSTENIBILE:
LE NUOVE REGOLE PER LE AREE MARINE PROTETTE.
20
IMQ NOTIZIE N. 91
Da una parte le aree marine italiane
protette, un patrimonio originale e
straordinario nel panorama europeo e
mediterraneo, capace di coniugare tutela della biodiversità, fruizione turistica e sviluppo sostenibile; dall’altra il
comparto produttivo nazionale della
nautica da diporto, che rappresenta
uno dei settori di eccellenza del made
in Italy, che negli anni ha investito
molte risorse in tecnologie di valenza
ambientale posizionandosi al vertice
del mercato mondiale. Due mondi, apparentemente distanti, avvicinati attraverso il tavolo di confronto istituito
presso il Ministero dell'Ambiente, con
la partecipazione del Ministero dei Trasporti, delle Capitanerie di Porto, degli
Enti gestori delle aree marine protette,
delle associazioni di categoria della
nautica e delle associazioni ambientaliste. Il risultato è un “Protocollo tecnico per la nautica sostenibile nelle
aree marine protette” che individua
nuove regole per la fruizione delle
zone tutelate da parte della nautica da
diporto e l’avvio di una revisione complessiva dei regolamenti di queste aree.
Un passaggio reso necessario dal rapido accrescimento del loro numero
che ormai interessa circa il 12% del
mare italiano, avvenuto in presenza di
un quadro normativo frammentario e
spesso incoerente. Al contempo, anche
la navigazione da diporto è stata normata in maniera non sempre commisurata ai reali impatti prodotti sul mare
e sulle coste. Ragionare di nautica sostenibile significa oggi promuovere le
tecnologie più idonee a garantire una
fruizione etica del mare e delle aree costiere da parte dell’uomo, sia per finalità turistiche che di trasporto. L’attività
di ricerca e di sviluppo si concentra
dunque sul miglioramento delle tecnologie esistenti, spaziando dalle caratteristiche degli scafi e dei materiali
utilizzati per realizzarli, fino ad arrivare
alle motorizzazioni ed ai combustibili
impiegati. I lavori del tavolo di confronto hanno anche individuato alcuni
punti di debolezza del settore rispetto
alla nautica, suggerendo raccomandazioni e soluzioni praticabili da adottarsi
nel medio-lungo periodo mediante
l'attivazione di un numero verde nazionale e di un sito internet dedicato
alle aree marine protette, l'adozione di
un programma di incentivi all'utenza
per l'installazione delle "casse nere"
sulle imbarcazioni usate, l'adozione di
un piano di interventi finanziari affin-
ché i porti turistici e i marina contigui o
all'interno delle aree marine si dotino
di attrezzature idonee alla raccolta dei
liquami e la finalizzazione dei regolamenti alla destagionalizzazione.
La prima area a recepire il protocollo è
stata il Regno di Nettuno, istituita
come area marina protetta nel dicembre 2007 intorno alle isole di Ischia e
Procida e Vivara. Lì le imbarcazioni da
diporto possono navigare in assetto
“dislocante”, ovvero con tutta la superficie di galleggiamento a contatto
con l'acqua. Altri vincoli sono la velocità non superiore a cinque nodi, una
navigazione entro trecento metri dalla
costa, la dotazione di casse per la raccolta dei liquami e motori conformi alla
disciplina comunitaria in materia di
emissioni gassose e acustiche. Resta il
divieto assoluto, naturalmente, per
ogni tipo di acquascooter. Regole precise anche in caso di avvistamento di
cetacei, una delle specie marine a maggior rischio di estinzione. Non sono
consentite soste superiori ai trenta minuto né è possibile avvicinarsi a meno
di 100 metri dal luogo dell'avvistamento.
DAL GIAPPONE
IL TRAGHETTO
A ZERO EMISSIONI
Sarà il primo traghetto “plug-in” al mondo, capace di trasportare 800 passeggeri.
Nascerà in Giappone dal colosso navale IHI Corporation, società impegnata da
tempo su progetti di riduzione di gas serra. Il progetto di base prevede un'imbarcazione di trenta metri alimentata dalla propulsione fornita da un motore a batterie ricaricabili. In realtà non si tratta di una novità assoluta nel mercato dei
trasporti navali: piccole imbarcazioni alimentate a batteria, esistono da tempo,
ma in questo caso si tratterebbe di una prima assoluta per tipologia e grandezza
del mezzo. Non emetterebbe biossido di carbonio o ossido di azoto, l'obiettivo di
IHI Corporation è anche quello di tagliare i costi del carburante. Il mezzo, una
volta in funzione, dovrebbe essere in grado di percorrere circa 120 chilometri con
una carica di sei-otto ore. Per la filiale responsabile del settore innovazione, la IHI
Marine United, il lancio sul mercato sarà fissato per il 2015, data in cui è prevedibile siano commercialmente disponibili batterie ricaricabili ad alte prestazioni e
a costo inferiori a quelli attuali.
21
STORIE DI QUALITÀ: REGATE STORICHE
BARCOLA
TUTTI INSIEME
APPASSIONATA
C’ERA UNA VOLTA LA BARCOLANA. E C’E’ ANCORA. UN EVENTO NATO 40 ANNI
FA, QUASI PER GIOCO, TRA UNA CINQUANTINA DI BARCHE A VELA, DIVENTATO
IN BREVE TEMPO UNA TRADIZIONE CHE, LA SECONDA DOMENICA DI OTTOBRE,
RICHIAMA NEL GOLFO DI TRIESTE QUASI 2.000 BARCHE. PERMETTENDO A
GRANDI PICCOLI, NOTI E MENO NOTI, DI GAREGGIARE. TUTTI INSIEME.
22
IMQ NOTIZIE N. 91
LANA.
AMENTE
Era la seconda domenica di ottobre del
1969, quando l’uomo aveva appena
smesso di guardare la Luna raggiunta
solamente pochi mesi prima, che a Trieste un gruppo di amici inventava la
Coppa d’Autunno. L’evento, che
avrebbe acquisito il suo attuale nome
solamente parecchi anni dopo, iniziò
quasi per gioco, con una regata inventata da poche persone che alla prima
edizione contava 51 iscritti. La regola era
una sola: nessuno doveva essere considerato diverso pur non avendo la stessa
barca, quindi il vincitore era chi tagliava
per primo il traguardo, che fosse un 30
metri o 6 poco importava. Alla prima
edizione la spuntò Betelgeuse, un Alpa
9 (barca nata nel 1967 dalla lunghezza
di 9,10 metri, costruita in vetroresina dai
cantieri omonimi) timonato da Piero
Napp che incise il suo nome sulla prima
coppa. Da allora sempre più velisti, incuriositi dal regolamento e dalla voglia
di vincere, iniziarono a segnare la seconda domenica di ottobre sul calendario, un’occasione per chiudere la stagione velica, divertirsi, mangiare in compagnia e magari “tirare qualche bordo”
prima del rimessaggio invernale. Il primo
record venne fissato nel 1974: 100 iscritti
e a spuntarla fu Kaiten, timonata da Sergio Furlan, olimpionico di dragone che,
insieme all’armatore Gianni Zalukar, tagliò il traguardo in una giornata di bora
forte.
Quella che era nata come semplice regata sociale iniziò a diventare evento nel
1983, quando al via si presentò Azzurra,
il primo consorzio italiano iscritto all’America’s Cup. In quell’anno si iscrissero
596 barche, troppa la voglia di “tirar
bordi” al fianco dei campioni. Ma anche
23
STORIE DI QUALITÀ: REGATE STORICHE
merito di chi, imparando dalla Coppa
America, aveva iniziato a parlare di merchandising nel mondo nautico, inviando
il manifesto della Barcolana in giro per
i circoli azzurri alla ricerca di iscritti. Le
partecipazioni celebri non si fermarono
in quell’anno. Nel 1986 fu la volta del
Moro, armato dalle famiglie Ferruzzi e
Gardini. Allora il nome “Moro di Venezia” non era ancora abbinato a uno
scafo rosso timonato da Paul Cayard,
ma era una semplice, se così si può definire, barca bianca con i bordi verdi. Con
la vittoria conseguita un anno dopo, il
Moro diventò protagonista anche del
primo esempio di “diplomazia da bar”.
Già allora si partiva lungo la costiera
Barcolana per doppiare la boa posta davanti all’Istria e ritorno. Quell’anno soffiava lo Scirocco che, nell’alto Adriatico,
porta onde. Alla partenza tutti optarono per le “mure a sinistra” (n.d.r.: in
mare si parla di “mura a dritta” quando
il vento soffia dal lato destro e le vele si
tendono a sinistra rispetto all’asse longitudinale della barca. In regata ha diritto di precedenza la barca “mura a
dritta” e cioè quella con le vele sul lato
sinistro, senza alcun riferimento alla direzione del vento). Solo Livio Lonzar,
marinaio e velista del circolo organizzatore, la società Velica Barcola Grignano,
decise di andare contro corrente con le
“mure a dritta”. Secondo le regole del
mare Lonzar aveva dunque la precedenza e quando si ritrovò davanti il
Moro, timonato dal primo professionista della vela, Tiziano Nava, chiese cortesemente il diritto di rotta. Nava, che i
regolamenti solitamente li rispettava,
optò invece per proseguire con la sua
andatura visto che virando avrebbe dovuto fare richiesta simile alle altre 670
barche iscritte. Lonzar se la prese e all’arrivo presentò regolare protesta. Passarono poco meno di 24 ore e Gardini
inviava il suo timoniere, Nava, nuovamente in missione a Trieste: qualche bicchiere di vino e qualche pacca sulle
spalle e la protesta da parte di Lonzar
venne ritirata. Ma già allora vincere la
Barcolana era un vezzo e Gardini, il cui
cuore era stato rapito dal mare, dopo
aver vinto in acqua, non voleva certo
perdere per una semplice protesta. Nel
24
1990 alla Barcolana arrivarono anche i
“mostri” del mare, i maxi (per via della
loro lunghezza che raggiungevano i 20
metri), reduci dalla durissima Whitbread, la regata in equipaggio che fa il
giro del mondo. Cino Ricci, ormai innamorato dell’evento Triestino, si presentò
con Gatorade, ma non fu fortunato perché trionfò la bonaccia e il maxi era
troppo pesante per riuscire a imporsi.
Nel 1992 arrivò anche il principe Ranieri
che, di barche sulla linea di partenza, ne
trovò ben 962. La Barcolana era già record e il segreto era facile: semplicità
nelle regole e soprattutto la possibilità
di gareggiare vicino a mostri sacri del
mare, magari battendoli anche. Nel
2002 si arrivò al record assoluto: 1969
iscritti, numero che nessun’altro evento
nel mediterraneo ha mai raggiunto.
Anno dopo anno la Barcolana è così diventata evento senza che nessuno se ne
rendesse conto. L’indotto creato su Trieste è di difficile comprensione, anche se
in realtà, la seconda domenica di ottobre, basta guardare l’affollamento delle
rive per capirne di più. Gli alberghi, i ristoranti e i gazebi degli sponsor vengono presi letteralmente d’assalto
semplicemente per poter far vedere la
giacca tecnica acquistata per l’occasione
e poi dimenticata in armadio per i restanti giorni dell’anno.
La vela da sempre viene vista come uno
sport elitario e quindi per pochi privilegiati, forse per colpa di regole molto restrittive e complesse, di una
terminologia degna di una lingua straniera e soprattutto della lontananza
dalla terra ferma. La Barcolana, invece,
cancella questi limiti e il suo successo è
proprio nell’abbattere le barriere e i luoghi comuni. Ma quello che in particolare colpisce chi vive per la prima volta la
seconda domenica di ottobre triestina, è
la possibilità di restare a stretto contatto
con i campioni e vedere e spesso salire
sugli scafi ammirati nelle foto. In pratica,
per un giorno, uno soltanto purtroppo,
tutti sono velisti e tutti abbattono quelle
barriere che tengono lontane le persone dal magico mondo della vela.
IMQ NOTIZIE N. 91
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STORIE DI QUALITÀ: REGATE DI CLASSE
CHI HA
OSATO
SFIDARE
LA COPPA
AMERICA
LA LOUIS VUITTON CUP, NATA PER SELEZIONARE LO SFIDANTE DI
COPPA AMERICA, DIVENTA LOUIS VUITTON TROPHY E SFIDA
COPPA AMERICA CON UN NUOVO CIRCUITO DI REGATE BASATE
SULLA SFIDA TRA UOMINI PIÙ CHE TRA BARCHE.
CHI VINCERÀ? IMPOSSIBILE DIRLO. MA UN BUON RISULTATO C’È
GIÀ: IL RITORNO DI AZZURRA.
Mentre la Coppa America continua a essere arenata in tribunale a New York, paralizzata dai litigi tra il defender Alinghi
ed il challenger BMW Oracle da oltre 2
anni, le “regate di Coppa” quelle fatte di
uomini, di mare, di vento e di avvincenti
match race a novembre parlavano francese e si facevano ammirare lungo la
Promenade a Nizza.
Si chiama Louis Vuitton Trophy ed è il
nuovo circuito di regate internazionali
organizzate sul modello della Coppa
America: una serie di round robin eliminatori e poi una sfida tra due finalisti.
A Nizza dal 7 al 22 novembre 2009 si è
svolta la prima tappa di questo circuito,
organizzato da Bruno Troublé, storico
velista francese per Louis Vuitton, e da
WSTA (World Sailing Team Association),
associazione nata nel settembre 2008,
sotto la direzione di Laurent Esquier, che
raggruppa molti dei team che in passato
hanno partecipato all’America’s Cup.
Così la Louis Vuitton Cup, regata eliminatoria nata nel 1983 per decretare il
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challenger ufficiale di Coppa America, e
disputata fino al 2007, nel 2009 è diventata un circuito vero e proprio.
L’organizzazione del Louis Vuitton Trophy è agile, snella ed economicamente
molto più accessibile della Coppa America, perché i team non regatano su barche di proprietà, ma usano quelle messe
a disposizione dall’organizzazione. I
conti così iniziano a tornare ed i partecipanti, per essere alla prima tappa del
primo anno, non sono certo mancati. A
Nizza l’intero evento - 3 settimane di villaggio, barche accoglienza, incontri, attività varie - è costato 4,5 milioni di euro
e le spese per i team si sono limitate alle
trasferte, alle vele ed ovviamente alle
persone di equipaggio e short team.
Otto i team presenti, alcuni veterani
come BMW-Oracle Racing (Usa), Emirates Team New Zealand (Nzl), K-Challenge (Fra), TeamOrigin (Gbr), a cui si
sono affiancati i nuovi team Swedish
Challenge Artemis (Sve), Sinergy Russian
Sailing (Russ), Team French Spirit (Fra) e
l’unico italiano: Azzurra (Ita).
Azzurra, un nome che riporta immediatamente al 1983 e alla “Azzurra” disegnata da Andrea Vallicelli, la prima
indimenticata barca italiana sfidante in
Coppa America. Stesso nome, stesso
Yacht Club (Costa Smeralda) e come allora unico team italiano a rappresentare
il tricolore. Un ritorno che ha un sapore
di buono, di Italia che ha voglia di vincere e di dire la sua nella massima
espressione della vela. Il nuovo team Azzurra è capitanato da Giovanni Maspero
- ottimo velista nelle classi one design
come Farr40, Melges32 Melges 24-,
come skipper ci sarà Francesco Bruni ed
alla tattica il veterano Tommaso Chieffi.
Intanto il Louis Vuitton Trophy dopo
Nizza, ha in calendario altre due date per
il 2010: marzo a Auckland, in Nuova Zelanda e a maggio alla Maddalena. E poi?
Poi si faranno i bilanci, i conti e si vedrà
chi ha ragione tra i detrattori di questa
formula, secondo cui manca la sfida tra
progettisti, oppure i sostenitori che vedono nel gareggiare su barche simili assegnate con sorteggio prevalere la sfida
tra gli uomini e non tra i mezzi.
IMQ NOTIZIE N. 91
LA COPPA AMERICA
VISTA DALLA PARTE
DELL’INGEGNERE
INTERVISTA ALL’ING. FRANCESCO BINETTI POZZI, RESPONSABILE
DEL DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA E DESIGN COMPONENTI
PER L'IDRAULICA E PER I WINCHES, DEL TEAM BMW ORACLE RACING
(BOR90), PROTAGONISTA DI COPPA AMERICA.
Come sei arrivato a
far parte di un
team di Coppa
America?
Lavorare per un team
di Coppa America è
sempre stato il mio
sogno fin da ragazzino, fin da quando
con l'Optimist ho incominciato ad andare a vela sul lago
Maggiore, seguito e spronato da papà. I primi
successi e le medaglie, come i titoli italiani di
classe Europa, mi hanno convinto a scegliere
ingegneria per poter avere una competenza
specifica nel mondo della nautica. Dopo la
laurea ho lavorato per Cariboni, un'azienda
del settore nautico specializzata in parti custom per grosse imbarcazioni a vela. Con
Gianni Cariboni abbiamo incominciato a fare
i primi progetti per un team di Coppa America, Prada, per la sfida del 2000.
Successivamente per la voglia di essere più
coinvolto da vicino nel mondo della Coppa
ho accettato l'offerta di Harken, una ditta che
fornisce i winches a quasi tutti i team di
Coppa America. Grazie al lavoro svolto in
Nuova Zelanda con Harken, dove per la finale di Coppa America ero stato scelto dal
team Alinghi come interfaccia per lo sviluppo
delle parti custom dei winches, sono stato
chiamato da BMW Oracle racing per far parte
del design team. Ho quindi fatto la scorsa
campagna di Coppa America con il team
americano e anche questa volta mi ritengo
molto fortunato nel poter dire di essere membro del team Oracle. Per questa Coppa sono
il responsabile del design dei componenti custom per l'idraulica e per i winches. Dopo le
ultime modifiche al regolamento apportate
da Alinghi sono stato promosso a responsabile del progetto motore a bordo del nostro
multiscafo. Il progetto è stato una grossa
sfida personale, abbiamo avuto la possibilità
di collaborare con il nostro sponsor BMW che
ci ha dato un grosso supporto tecnico.
Come è composto un team?
Un team di Coppa America è organizzato e
funziona come una grande azienda. Esistono
infatti i vari dipartimenti ognuno dei quali fa
riferimento al proprio manager. Esiste poi una
figura molto importante che è quella del coordinator che ha appunto il compito di coordinare i vari team e garantire una perfetta
comunicazione tra i vari dipartimenti. Nello
specifico, per esempio: sailing team, design
team, boat builder, elettronica, idraulica, rigging, relazioni interne, relazioni esterne, ufficio stampa e, in questo momento con un
ruolo molto importante, il dipartimento legale.
Come interagite con i velisti?
Come sempre nel mondo della Coppa America i velisti hanno un continuo feed back con
i progettisti. Il design team segue da vicino
ogni sessione di prove in mare e test seguendo la barca da un “performance tender” che è sempre in contatto con BOR90.
In questo modo possono monitorare migliaia
e migliaia di dati trasmessi dalla barca, analizzarli e compararli.
Quanto si è evoluta la Coppa?
Questa trentatreesima Coppa America è completamente differente dalla scorsa edizione. I
team hanno costruito multiscafi rivoluzionari
e altamente tecnologici per il match che si terrà
a febbraio 2010, nelle acque di Valencia. Il
Deed of Gift fornisce ampi parametri per il design della barca. Enormi sono gli sforzi che il
team sta facendo per migliorare le prestazioni.
LEGENDA
WINCHES: argani, verricelli
DEED OF GIFT: documento ufficiale che
governa la Coppa America
GRINDER: verricello a due manovelle
Come è cambiato il rapporto abilità del
velista/tecnologia?
Ogni nuova edizione della Coppa America introduce nuove tecnologie e tutto il team
punta all'eccellenza, così anche per questa
edizione, ma alla fine si tratta sempre di una
barca a vela. La tecnologia facilita molte cose
a bordo, ma l'ultima parola rimane quella dei
velisti che fanno sempre e comunque la differenza tra il vincere e il perdere.
Importanza della sicurezza a bordo
Questa è un aspetto che il team prende
molto sul serio. In tutte le grandi barche i carichi sulle parti e sulle cime sono consistenti e
su questi multiscafi ancora maggiori.
I designer danno ai velisti una serie di condizioni limite da non superare (red line limits)
per tutto l'equipaggiamento a bordo. Inoltre
il team ha un supporto medico e un sommozzatore che segue costantemente BOR90
ogni volta che naviga. Ogni membro dell'equipaggio considera la propria incolumità
come priorità.
Qual è il fascino della Coppa?
La Coppa America da sempre è la ricerca dell'eccellenza attraverso l'uso della tecnologia,
anche se, per questa edizione della Coppa,
sono cambiate le regole e ora è possibile mettere a bordo il motore in alternativa ai grinder.
Il motore è più efficiente ma noi siamo convinti che abbia tolto uno degli elementi della
competizione che erano fondamentali per la
Coppa. Ma, ancora una volta, l'uso della tecnologia fa parte dello spirito della Coppa
America.
Com’è scandita la tua giornata?
Appena arrivo alla base alla mattina presto,
dopo la colazione, che si fa tutti insieme, per
prima cosa si ricontrollano le cose sistemate
durante la notte e si verifica che tutte le parti
funzionino e siano efficienti. Quando la barca
lascia gli ormeggi per navigare in mare per
me inizia il lavoro di progettazione e coordinamento del mio engine department. Spesso
però seguo la barca dal “performance tender” per essere pronto ad intervenire su qualsiasi mal funzionamento e per verificare che
i dati trasmessi dalla barca siano nei limiti da
me prestabiliti. Il pranzo è sempre alla base
(come mi manca il mangiare italiano!).
Quando si installa qualche nuovo componente, esco a bordo di BOR90 per controllare
di persona il funzionamento del pezzo e qualche volta mi è capitato anche di timonare.
Quando la barca rientra inizia il lavoro di controllo e service dei pezzi di mia competenza
per la manutenzione quotidiana.
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STORIE DI QUALITÀ: I VIAGGIATORI DEL MARE
LUPI
DI
MARE
SKIPPER, COMANDANTE, CAPO BARCA. COMUNQUE
LO CHIAMATE, QUANDO SALITE IN BARCA È A LUI
CHE È AFFIDATA LA SICUREZZA DEL VOSTRO VIAGGIO. CON TUTTI I SUOI PRO E QUALCHE PICCOLO
CONTRO.
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IMQ NOTIZIE N. 91
Lupo di mare si nasce o si diventa? Sono
finiti ormai i tempi in cui la conduzione di
un’imbarcazione, a motore o a vela che
sia, era appannaggio di capitani coraggiosi usciti dai più rinomati istituti nautici. Lo sviluppo della nautica da diporto,
grazie anche all’evoluzione tecnologica
che ha reso più semplice la conduzione,
ha permesso a chiunque di “salire sul
ponte di comando” e andar per mare.
Ma non ha cancellato il fascino del responsabile della conduzione della barca:
il comandante, il capo barca, lo skipper.
Andiamo a conoscere meglio questa figura che ancora oggi rappresenta il
punto di riferimento in barca e che, in
mare, ha il comando assoluto sull’equipaggio oltre alla responsabilità dell’imbarcazione. Si tratta di una professione,
di un lavoro, ma anche di una passione
che non s’impara sui banchi di scuola,
ma sul campo, anzi, sul mare, fatta di sacrifici e di fatica, ma anche di soddisfazioni e di momenti di relax, dove sono
necessarie competenza, preparazione ed
equilibrio per gestire persone ed emergenze con calma e fermezza.
Che ci si trovi in regata o, più semplicemente, in una piacevole crociera tra
amici, una volta a bordo l’equipaggio
deve infatti funzionare come una cosa
sola e le manovre devono essere svolte
nel minor tempo possibile, in tutta sicurezza. Non vi è quindi spazio per discussioni e votazioni - quelle lasciamole per
la sera quando si deciderà la destinazione
del giorno dopo, in crociera, oppure
quando si commenterà la regata analizzando errori e successi - in barca deve valere la regola del “uno decide, gli altri
agiscono”.
Gioie e dolori, onori e oneri sembrano
parole chiave nella vita dello skipper. Perché lui è il solo verso cui tutti si gireranno
in attesa di un comando o per chiedere
aiuto, e sarà sempre lui a portare la barca
in porto durante un temporale. Lui s’immergerà a controllare l’elica o passerà la
notte a controllare se l’ancora tiene durante una burrasca, oppure, aspetto decisamente più prosaico, avrà lui l’infelice
compito di sbloccare un bagno intasato.
In regata sarà lo skipper a condurre la
barca alla vittoria, ma anche a prendersi
la responsabilità di una sconfitta e a spiegare all’armatore cosa non ha funzionato.
Ma sempre e in ogni caso, sarà lui a decidere in base alla sua esperienza, cosa
deve fare l’equipaggio.
Non si pensi, a questo punto, che la crociera tanto attesa durante l’inverno potrebbe trasformarsi in un incubo stile
“galera romana”, il compito dello skipper è anche quello di facilitare la coesione tra i membri dell’equipaggio,
istruire e mettere a disposizione la sua
esperienza e, se del caso, cucinare prelibatezze marinare. E poi, una volta ormeggiata la barca in una splendida rada,
con il sole che lentamente scende all’orizzonte, potrà rilassarsi e sfruttare
tutto il suo fascino raccontando di viaggi
in mari lontani o di avventure in terre da
sogno.
Buona fortuna quindi a tutti quelli che intendono intraprendere questa professione o, più semplicemente amano andar
per mare, e quando sotto una pioggia incessante, in calma piatta, alle sette del
mattino vi chiederete “chi me l’ha fatto
fare”… aspettate il primo refolo di vento
e lo scoprirete.
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STORIE DI QUALITÀ: I VIAGGIATORI DEL MARE
LUPI DI MARE
A CONFRONTO
Intervista a Gabriele Benussi
Cosa significa andar per mare e cosa
rappresenta la vela?
Andare per mare ha un significato di libertà, contatto con la natura e soprattutto è avere la possibilità di sfruttare
mare, vento senza intaccare l'ambiente
che ci circonda.
Cosa significa sicurezza, in barca?
La sicurezza è importantissima: controllo
della barca, attrezzature, dotazioni di sicurezza non mancano mai. In condizioni
impegnative usciamo in mare esclusivamente con equipaggi molto preparati ed
è d'obbligo indossare il salvagente.
L’importanza del team in barca a vela
L'equipaggio è, a tutti gli effetti, una
squadra dove i ruoli anche seppur molto
diversi tra di loro hanno una fondamentale importanza per raggiungere il risultato che ci si pone. Una delle
caratteristiche che deve avere un Team
vincente è grande spirito di sacrificio e di
collaborazione.
Un consiglio per chi volesse imparare
ad andare in vela
La vela non è solo uno sport, ma una
passione che coinvolge corpo e spirito.
Per chi avesse l'intenzione di avvicinarsi
consiglio di farlo attraverso dei corsi di
vela che si tengono ad ogni livello e per
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Foto di Fabio Taccola
Il ruolo dello skipper in barca, compiti e responsabilità
È da 20 anni che la vela per me è diventata una professione e credo sia uno dei
lavori più belli al mondo. Ci sono momenti di grande gioia quando si vince e
al contrario quando le cose vanno male
s’impara a perdere rinforzandosi psicologicamente pensando agli errori fatti.
ogni età.
Le capacità che deve avere in buon
skipper
E’ un ruolo che ha molte sfumature, che
vanno a incidere direttamente con il risultato della barca. Prima della regata
devo consultare delle previsioni meteo locali "molto dettagliate" e verifico l'orografia della costa sulle carte nautiche,
così mi posso fare una prima idea della
zona dove si regata. Poi sul campo faccio
tutte le misurazioni possibili con bussola
di rilevamento, correntometro e, infine,
quando si parte spesso entra in gioco
l'istinto, che in alcuni casi è l'arma in più.
Un buon skipper deve avere la capacità
di ragionare con molta calma e raziona-
lità anche nei momenti in cui le decisioni
devono essere prese in pochi attimi e soprattutto deve prendere quelle giuste.
I migliori posti dove hai veleggiato
Ci sono campi di regata dove si trovano
anche paesaggi fantastici, ad esempio in
Sardegna dove spira sempre il vento, ma
anche oltre oceano ci sono delle regate
molto importanti: Miami e Key West
sono campi di regata invidiabili.
Il fascino del lupo di mare, c’è ancora?
Il fascino del lupo di mare funziona sempre. Normalmente i velisti sono sempre
abbronzati, rilassati, hanno girato il
mondo e hanno un forte sex appeal.
IMQ NOTIZIE N. 91
SKIPPER DA REGATA O DA CROCIERA? IL MEZZO DI TRASPORTO È SEMPRE QUELLO, LE ONDE
DA SOLCARE ANCHE, CAMBIANO INVECE LE FINALITÀ. PER SAPERNE DI PIÙ SIAMO ANDATI A
INTERVISTARE DUE DI LORO: GABRIELE BENUSSI, SKIPPER E TATTICO DEL LIGHTBAY SAILING
TEAM NONCHÉ CAMPIONE PLURIDECORATO IN DIVERSE CLASSI VELICHE, E PIERO MOSCHETTA,
NAVIGATORE E ORGANIZZATORE DI CROCIERE ED EVENTI VELICI, AUTORE DEL LIBRO “SULLE
ROTTE DEI CARAIBI”. ECCO IL LORO FACCIA A FACCIA.
Intervista a Piero Moschetta
dire che un buon comandante “doveva essere uguale e nello stesso tempo diverso dal
suo equipaggio, nel primo caso per farsi accettare e nel secondo caso per farsi ubbidire”.
Cosa significa sicurezza, in barca?
E’ il punto di partenza per poter iniziare a
parlare non solo di vela, ma di mare in generale. Senza questo punto fermo, la barca
diventa uno dei tanti mezzi di trasporto per
mare, con le conseguenze che poi leggiamo
a fine stagione estiva. Essere sicuri in mare significa valutare tutte le possibilità, le variabili
e anticipare gli imprevisti e, se questo non è
possibile, bisogna saper reagire ad essi nel
più breve tempo possibile.
Cosa significa andar per mare e cosa
rappresenta la vela?
Da quando ho iniziato a fare i primi bordi in
Adriatico, per poi avere la possibilità di navigare in molti mari del mondo, molte cose
sono cambiate nella mia vita, ma l’unica cosa
che è rimasta sempre uguale, è il grande
senso di libertà e di “non-tempo” che sento
non solo quando navigo, ma anche quando
sono fermo in porto. La barca ed il mare, infatti non sono solo “andare” da qualche
parte, ma sono un mondo a sé, da amare,
capire e da trasmettere.
Il ruolo dello skipper in barca, compiti e
responsabilità
Capo barca, comandante, skipper, chiamiamolo come vogliamo, ma alla fine significa
avere la responsabilità del mezzo e delle persone a bordo. L’Ammiraglio Nelson soleva
L’importanza del team in barca a vela
Per quanto riguarda il mio lavoro, mi trovo a
confrontarmi sia con i gruppi che porto in
barca sia con quelli coinvolti in eventi aziendali e formazione outdoor, con i quali si lavora soprattutto per formare o consolidare
un gruppo di lavoro. “Quando si è più uniti
si è più efficaci”: lo sapevano bene i marinai
che nel corso dei secoli hanno affrontato il
mare, ed è per questo che il mare unisce gli
uomini. Formare un equipaggio vuole dire
formare un gruppo unito, e un gruppo unito
è un nucleo in cui i suoi membri sono in sintonia, dividono gli sforzi in un progetto comune, diventano “committed”, diventano
un team vincente e di successo. Questo concetto, anche se in maniera più blanda e ludica, rispecchia molto anche quanto accade
in un gruppo di persone che non si conoscono e che iniziano una vacanza in barca
insieme. Non ci si conosce, ma si deve da subito condividere spazi (spesso pochi), orari,
cibo, ed è veramente difficile potersi “isolare”, anche se con l’aiuto di un i-pod, perché alla fine il gruppo è lì e diventa un
tutt’uno con la barca.
Un consiglio per chi volesse imparare ad
andare in vela
Capire perché si sceglie la vela. Per andare
veloci? Scegliete un corso di deriva per poi
perfezionarvi in scafi veloci come gli skiff. Per
scoprire luoghi nuovi? Iniziate dal cabinato
a vela piccolo, per imparare tutte le manovre
e poi iniziare il percorso didattico che porta
alla autonomia nella conduzione e, perché
no, dopo qualche anno, navigare con gli
amici in libertà. Per conoscere gente nuova?
In barca troverete i vostri futuri migliori amici,
o perderete i vostri attuali. La vela è uno sport
che di per sé unisce le persone, nella passione, nelle manovre di bordo e nel dopovela. Comunque la si pensi e quale sia
l’indole che spinge ad un corso di vela, bisogna partire dalle basi, da una sana fatica fisica e mentale. Dal capire che ci vuole tempo
per condurre un’imbarcazione in sicurezza,
da soli e specialmente portando altre persone. E che, soprattutto, un foglio di carta
come la patente nautica non serve a nulla, se
non per la legge italiana.
Le capacità di un buon skipper
Competenza, professionalità, capacità di relazione, capacità psicologiche, capacità di
gestione, leadership, velocità di reazione ed
infine essere sempre aggiornato.
I migliori posti dove hai veleggiato
La Polinesia Francese, e in particolare l’isola di
Maupiti, raggiunta accompagnati dai delfini
e dal silenzio dell’Oceano, per poi approdare,
da soli, in una baia dai colori mai visti prima.
Per restare invece con i piedi per terra, a
poche ore da Milano, il luogo che ritengo
migliore per un mix di bellezza della natura,
charme e caratteristiche di vento è il Golfo di
Saint Tropez. Se è così famoso, una ragione
c’è.
Il fascino del lupo di mare, c’è ancora?
Indossare il nuovissimo giubbotto da vela
sponsorizzato dai Team della America’s Cup
ai molti aperitivi velici milanesi non fa certo
“lupo di mare”, e nemmeno dichiarare di
aver surfato onde di 10 metri durante qualche tempesta (immaginaria o quasi). Lupo
di Mare lo si è di natura o lo si diventa sul
campo (il mare).
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STORIE DI QUALITÀ: DIETRO E DENTRO LA BARCA
IN BARCA
COME
IN CASA …
UNA VOLTA ERANO LE CASE A RIPRENDERE ALCUNI DETTAGLI E STILI DEGLI
ARREDAMENTI DESTINATI ALLE BARCHE. OGGI È ESATTAMENTE IL CONTRARIO. NUOVE PROFESSIONALITÀ E TECNOLOGIE CONSENTONO DI ARREDARE LE BARCHE CON LA STESSA FANTASIA, GUSTO E SPESSO LUSSO DI
UNA CASA. ANZI. A VOLTE ANCHE DI PIÙ.
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IMQ NOTIZIE N. 91
In “Mi faccio la barca”, film di Sergio
Corbucci del 1980, assistiamo alla contrapposizione tra due modi estremi di andare per mare, una classica barca a vela,
la scassata barchetta “Biba” di Jonny Dorelli, e un moderno panfilo a motore, Il
Kabir, di proprietà, nel film, di un giovane
Christian De Sica.
È ancora così forte questa distinzione?
Vita spartana in spazi ristretti per i velisti,
agio e relax per gli amanti del motore?
Basta passeggiare sui moli di alcune marine o leggere le principali riviste di nautica per accorgersi che tutto questo non
è più così vero. Da alcuni anni, infatti, si
assiste, grazie alle evoluzioni nei materiali e nel loro utilizzo, a profondi cambiamenti nella progettazione delle
barche da crociera che, soprattutto negli
interni, assomigliano sempre meno a
barche e sempre di più a veri e propri appartamenti galleggianti.
Ma facciamo un passo indietro, prima
della nascita della nautica da diporto.
Dalla seconda metà dell’Ottocento fino
agli anni ’50 del secolo scorso, le imbarcazioni erano costruite con metodi tradizionali, perlopiù in legno o acciaio, e le
conoscenze tecnologiche non consentivano lo sviluppo di ampi spazi interni.
Stiamo parlando di quei magnifici esemplari di imbarcazioni a vela o motore che
ancora oggi ammiriamo ai raduni
d’epoca. Barche bellissime, molto performanti per l’epoca, ma sicuramente
con la vivibilità interna di gran lunga inferiore a qualsiasi imbarcazione di pari dimensioni costruita attualmente. In quegli
anni la costruzione di una barca non prevedeva la distinzione tra interno ed
esterno. Era lo stesso progettista o il cantiere (in molti casi si trattava della stessa
figura) che si occupava della progettazione e della realizzazione, senza distinzione tra interno ed esterno, dando
priorità alle linee d’acqua per le imbarcazioni a vela e alla stabilità per quelle a
motore.
Questo accadeva molto tempo fa. Al
giorno d’oggi, nella costruzione di una
barca, che si tratti di una costruzione in
serie o di una barca realizzata in modello
unico per un armatore (realizzazione custom), raramente il progetto viene realizzato da un unico professionista.
Soprattutto quando si tratta di barche di
grandi dimensioni, la tendenza degli armatori è di dividere gli incarichi tra architetto navale, che si occupa della parte
strutturale e delle linee dello scafo, e interior designer, dedicato al progetto degli
interni e sempre più spesso delle sovrastrutture, coinvolgendo in taluni casi,
anche architetti “terrestri” di fama mondiale. Questo perché, mentre la progettazione dello scafo deve seguire rigide
regole di idrodinamica, con calcoli ingegneristici per calcolare stabilità e prestazioni e arrivare al miglior compromesso
tra velocità e dislocamento, la disposizione e lo stile degli interni lascia molto
più spazio al gusto di designer creativi.
Una volta finalizzati i disegni finali, con
interventi dello stesso armatore che, oltre
al brief iniziale interviene passo passo
nello sviluppo del progetto, il tutto viene
affidato al cantiere per la costruzione,
sotto la supervisione del progettista o di
Project Manager che hanno il compito di
trasformare le idee dei progettisti in disegni tecnici e supervisionare alla loro
realizzazione.
Tutto molto diverso dal lavoro degli abili
maestri d’ascia che, agli inizi del secolo
scorso, costruivano le “regine del mare”
riproducendo i disegni tracciati a china
dal progettista sul pavimento di un capannone per poi iniziare a tagliare tronchi con l’ausilio di pochi strumenti
manuali. Oggi tutte le fasi di progettazione sono ormai realizzate con l’ausilio
di computer e macchinari tecnologici e
le tecniche costruttive sono le stesse utilizzate per la realizzazione di aeroplani o
auto da corsa.
L’evoluzione tecnologica e progettuale di
questi anni ha fatto si che, a parità di lunghezza, le imbarcazioni moderne offrano
oggi una vivibilità interna praticamente
doppia rispetto alle loro “nonne”. L’utilizzo di materiali innovativi e più resistenti, dall’alluminio alla vetroresina fino
al carbonio, ha consentito infatti lo sviluppo di progetti di maggiori dimensioni,
soprattutto in larghezza, rendendo gli interni più spaziosi e aprendo la via a un
nuovo modo di “arredare” una barca.
Dagli anni ’80 circa le disposizioni classiche degli interni, i materiali da sempre
utilizzati nelle costruzioni nautiche, gli
stili che da sempre hanno caratterizzato
le dinette e le cuccette lasciano spazio a
innovazione e stili differenti, anche con
l’intervento di stilisti e architetti “terrestri”. Ne è un esempio Philip Stark che
negli anni ’90 progetta gli interni di una
serie di imbarcazioni di un noto cantiere
francese, o di Renzo Piano, che disegna
personalmente gli interni delle sue barche a vela. Ed è così che gli ultimi anni
del secolo scorso vedono lo sviluppo di
barche con un design degli interni “minimal”, in risposta allo stile in voga a
terra, mentre di recente assistiamo ad un
forte allontanamento dallo stile classico
“da barca”, verso un design sempre più
in linea con l’arredamento e il design terrestre. Questa tendenza colpisce le produzioni di serie come le realizzazioni
custom, dove, nel secondo caso, i desideri degli armatori non lasciano limiti alla
fantasia.
Addio quindi alle porte arrotondate e sollevate da terra, retaggio dei boccaporti
stagni delle navi, ai mobili integrati nella
fiancata, alle cucine ridotte e ai bagni di
piccole dimensioni. Entrare in una moderna barca a vela o a motore - i limiti
sono solamente dati dalla maggiore o
minore superficie arredabile - è come entrare in un appartamento al mare. Scale,
ascensori, cucine degne di un ristorante,
lampade e lampadari, arredi di design e
tessuti di alta gamma, marmi e specchi.
Stiamo naturalmente parlando di quei
mega yacht che solcano il Mediterraneo
attirando lo sguardo di curiosi e ammiratori. Ma anche nelle taglie più piccole il
salto di qualità rispetto al passato è immediatamente percepibile.
Se consideriamo poi il mondo delle barche a motore, dove le linee d’acqua
hanno un valore relativo - non per altro si
chiede la potenza del motore prima del
nome del progettista - quello che definisce veramente il valore dell’imbarcazione
è il design di tutto ciò che è emerso: le
sovrastrutture, il colore e gli interni. Tutto
questo è opera di questa nuova tipologia di professionisti, designer e progettisti tecnici, sconosciuti ai non addetti ai
lavori, che hanno saputo fondere lo stile
e il design moderno con le esigenze particolari di un oggetto che deve pur sempre vivere in mare.
33
STORIE DI QUALITÀ: DIETRO E DENTRO LA BARCA
TI
DISEG
UNA
BARC
34
IMQ NOTIZIE N. 91
FA DA TRAMITE TRA IL PROGETTISTA E IL CANTIERE, TRADUCE IN PRATICA LA CREATIVITÀ DEGLI ARCHITETTI E SUPERVISIONA I LAVORI DI REALIZZAZIONE. È L’INTERIOR PROJECT MANAGER, UNA PROFESSIONE DI GRANDE FASCINO E ALTRETTANTA RESPONSABILITÀ, COME CI RACCONTA UNO DI LORO, MICHELE LUCCHINI,
CO-TITOLARE DI UNA SOCIETÀ DI ENGINEERING E MANAGEMENT CHE DA ALCUNI
ANNI SEGUE LA REALIZZAZIONE DEGLI INTERNI E DELLE SOVRASTRUTTURE DI BARCHE DI GRANDI DIMENSIONI A VELA E MOTORE.
GNO
CA
Da un’unica figura che progettava e supervisionava la costruzione della barca, e
in taluni casi la realizzava nel proprio cantiere, negli ultimi anni si è passati ad un
team di professionisti, ognuno esperto
nel proprio campo, che si inseriscono
nelle diverse fasi di realizzazione della
barca dei nostri sogni. Una delle figure di
rilievo in questo processo è quello dell’Interior Project Manager (IPM). Il suo
compito è quello di trasformare le idee
creative di architetti e armatori in progetti
concreti, controllandone la realizzazione
e verificando qualità e sicurezza. l’IPM
entra in campo, solitamente coinvolto
dal cantiere o dallo stesso armatore, all’inizio del progetto e lavora fianco a
fianco con l’Interior Designer per definire
spazi e modalità costruttive. Il passo successivo consiste nel tradurre le idee e i disegni in progetti realizzativi (molte
apparecchiature sono ormai a controllo
numerico) in base alle sue esperienze costruttive e nell’uso dei materiali. Passati i
disegni alle aziende che si occuperanno
della realizzazione, l’IPM segue poi tutta
la produzione e l’allestimento verificando
in corso d’opera e al termine dei lavori
che qualità e sicurezza rispondano ai requisiti richiesti.
Michele, quanto pesa il design degli
interni nella progettazione di una
barca?
Ormai su barche non di serie e di una
certa dimensione il design interno, in termini di impegno progettuale e lavoro
esecutivo, conta fino a un massimo del
50% dell’intero progetto. Questo a condizione che sia supportato da una validità tecnica del prodotto, inteso come un
buon progetto marino (il design dello
scafo) e un’ottima capacità realizzativa
(la capacità del cantiere ). Soprattutto
nelle imbarcazioni a motore ciò che differenzia uno scafo da un altro e ne delinea il valore sono le sovrastrutture e gli
interni, che definiscono la linea e lo stile
di una barca e che ne identificano il valore del progetto. Anche a livello di investimento, se restiamo nell’ambito delle
imbarcazioni a motore, gli interni pesano
per il 30-40% del valore commerciale
complessivo. Se invece parliamo di imbarcazioni a vela l’importanza degli arredamenti interni assume valore minore
rispetto alle linee d’acqua e al piano velico. In questo caso parliamo del 20%
circa dell’investimento.
Imbarcazioni a vela e a motore, quali
sono le principali differenze tecniche?
Una barca a vela ha dimensioni interne
ridotte rispetto a una a motore, richiede
dunque uno sforzo nella ottimizzazione
degli spazi attraverso un efficiente coordinamento tra allestitore e parte tecnica
del cantiere, in modo da rendere al meglio il progetto del designer. Nelle barche
a motore invece è più facile individuare i
limiti di spazio, ma la massa di informazioni da gestire è nettamente superiore.
Sul fronte puramente tecnico realizzativo, non vi sono differenze, poiché le
specifiche tecniche imposte dalle normative sono fondamentalmente le
stesse.
Qual è in concreto il ruolo dell’Interior Project Manager nella realizzazione di una barca?
Escludendo per il momento il progettista
nautico, colui che progetta le linee dello
scafo e che pertanto si occupa sostanzialmente dell’esterno dell’imbarcazione,
nella realizzazione degli interni intervengono due figure distinte: l’Interior Designer e il Project Manager. Il primo si
occupa della progettazione e del design
di tutto ciò che è “emerso” visibile. Se
fossimo a terra parleremmo di architetto
e non è un caso che frequentemente architetti famosi si dedichino alla progettazione di interni di barche. Il project
manager, invece, fa in modo che le idee
stilistiche vengano realizzate nel pieno ri-
35
STORIE DI QUALITÀ: DIETRO E DENTRO LA BARCA
36
IMQ NOTIZIE N. 91
spetto delle norme di sicurezza, occupandosi della progettazione tecnica e
della supervisione del cantiere durante la
realizzazione.
Che rapporto esiste tra queste due figure. Sono due professioni complementari o sovrapposte?
Sicuramente complementari, soprattutto
quando il coinvolgimento del IPM avviene fin dalle prime fasi di studio. In
questo modo si viene a creare una sinergia tra tutte le figure coinvolte e si arriva
ad una visione globale del progetto. Lavorando fianco a fianco con il designer
capita infatti di suggerire soluzioni tecniche particolari che permettano la messa
in opera delle sue idee in accordo con i
requisiti tecnici ed economici. Non sempre i designer sono aggiornati sugli ultimi materiali disponibili o sulle resistenze
di particolari legni, così come non è compito loro studiare la scomponibilità degli
arredi per poter entrare e uscire dai passaggi, spesso ridotti, che si hanno a
bordo di un'imbarcazione.
Nella fase di progettazione e realizzazione il proprietario vuole dire la
sua?
Il cliente ha sempre ragione e per questo
andrebbe sempre accontentato. A parte
la battuta, capita sovente che l’armatore,
soprattutto se si tratta della seconda o
terza barca, abbia delle richieste specifiche relativamente agli interni, cosa d’altra parte comprensibile quando si parla
di barche di una certa dimensione che si
sviluppano su centinai di metri quadrati.
La vera difficoltà sta nel gestire le due tipologie di richieste che principalmente riceviamo, quelle dettate da una
conoscenza tecnica dell’armatore e
quelle invece puramente estetiche. Le
prime si risolvono a tavolino studiando
con l’armatore la soluzione migliore da
adottare, sulle seconde c’è meno margine di discussione in quando legate al
gusto estetico personale. In quel caso
vale la battuta iniziale.
Quali sono le ulime tendenze stilistiche nella realizzazione degli interni
di una barca?
Dopo la rivoluzione minimalista della fine
degli anni ’90, che ha visto la nascita di
progetti all’apparenza essenziali (la tecnologia c’era comunque, ma non era visibile), ora si sta assistendo a una
diversificazione di stili e design. Non esiste attualmente una corrente stilistica
vera e propria. Dallo stile tradizionale si
è passati all’esatto opposto e ora si
stanno ricucendo gli estremi. Questo
porta i designer a sviluppare progetti
molto diversi tra loro. Forse l’unica tendenza in atto è quella che vuole gli interni di una barca sempre più simili a
quelli di un’abitazione, sia come design
sia per i materiali e gli accessori utilizzati.
Vale di più l’esperienza della tradizione o la tecnologia?
Gli interni di un’imbarcazione devono essere perfetti nel design e nei dettagli.
Nessun armatore accetterebbe un’anta
che non chiude o una maniglia che si
stacca. Se poi consideriamo che la barca
è un mezzo in movimento sottoposto a
sollecitazioni e vibrazioni si capisce come
la cura dei dettagli e la perfezione nelle
realizzazioni sia fondamentale. Per arrivare ai risultati di eccellenza richiesti è necessario conoscere i materiali, applicare
le tecnologie costruttive acquisite con
l'esperienza e impiegare le capacità artigianali di mani esperte. Ogni componente dell’arredamento interno viene
sezionato, squadrato, bordato e lavorato
da moderni macchinari a controllo numerico, ma è altrettanto importante la
cura dei mastri falegnami che provvedono al premontaggio dei componenti,
alla finitura rigorosamente a mano, all'assemblaggio finale, all'imballaggio per
il trasporto e all'installazione a bordo.
Qualità e sicurezza, due fattori importanti: come vengono garantiti?
Qualità e sicurezza derivano direttamente dalle scelte tecniche dei materiali
e dai dettagli costruttivi, per questo è importante avere fornitori affidabili e un
cantiere con esperienza e capacità tecniche. Il ruolo del project manager sta proprio nel riuscire a trasformare le idee del
designer in un prodotto con caratteristiche costruttive tali da garantire la miglior
sicurezza e resistenza, fondamentali in
una barca.
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STORIE DI QUALITÀ: BARCHE E CULTURA
BARCHE
DA LEGGERE,
GUARDARE
E ASCOLTARE
38
IMQ NOTIZIE N. 91
DALL’ODISSEA A TRE UOMINI
IN
BARCA
PAS-
SANDO PER TURNER E
PUCCINI. BREVE EXCURSUS TRA LE RAPPRESENTAZIONI DELLA BARCA
NELLE ARTI UMANISTICHE.
Quando pensiamo alla barca, forse a tutti
noi, da una certa generazione in poi, il
primo riferimento che viene in mente è il
refrain di Fin che la barca va di Orietta
Berti. Ma, canzonette a parte, se solo ci
soffermassimo a pensare ci stupiremmo
della centralità che questo mezzo di navigazione e trasporto ha avuto nella produzione umanistica. I riferimenti iniziano da
molto lontano, dalla notte dei tempi e dei
miti, da personaggi come Giasone e i suoi
Argonauti, dalle peripezie di Ulisse raccontateci nell’Odissea e da quelle del po-
polo troiano raccolte da Virgilio nell’Eneide.
In tutti questi scritti la barca rappresenta il
mezzo di trasporto verso il proprio futuro e,
in un una sorta di metafora della vita umana,
conduce i protagonisti in un viaggio iniziatico che li porta al premio finale: il regno per
il capo degli Argonauti, Giasone, l’amata patria per Ulisse e una nuova patria per gli esuli
troiani.
Lasciando miti e antichi eroi, la barca si trova
protagonista in testi ancora più familiari e conosciuti. Nella Bibbia, la celeberrima arca di
Noè porta alla salvezza il genere umano e
permette la ricostruzione del mondo distrutto dal diluvio universale, mentre nel
Nuovo Testamento la barca è lo strumento di
lavoro degli apostoli pescatori convertiti da
Gesù Cristo in “pescatori di uomini”. Nella
Divina Commedia dantesca la barca diventa
invece trasportatrice di anime, traghettate
sull’Acheronte da Caronte.
Barca, dunque, che diventa metafora di vita,
ma anche di morte e non solo nel bianco e
nel nero della pagina scritta, ma anche nella
varietà dei colori impressi sulla tavolozza dei
pittori. Riferimento obbligatorio è La Zattera
della Medusa di Géricaut (1818), quadro
ispirato ad un fatto drammatico realmente
accaduto: il naufragio della Medusa e l’agonia dei supersiti prima del salvataggio ad
opera della nave Argo. E ancora La nave negriera di Turner (1840), anche questo ispirato a un avvenimento reale: gli schiavi neri
gettati in mare per poter riscuotere le assicurazioni sulla vita.
E perché poi non citare le forti e vibranti note
della musica? L’imbarcazione è protagonista
anche nell’opera lirica, basti ricordare Il vascello fantasma di Wagner (1842) ripreso ne
L’Olandese volante (1841) dello stesso Wagner e la Madama Butterfly di Puccini
(1904). Ne Il vascello fantasma, trascrizione di
una leggenda marinara, il veliero è la sintesi
stessa della vita in quanto il protagonista è
condannato da una maledizione a viaggiare
per sempre sul mare e può toccare l’agognata terra solo una volta ogni sette anni. La
nave invece diventa promessa di una vita felice in Madama Butterfly poiché dovrebbe riportarle il marito da anni lontano, ma
l’iniziale gioia diventa tragedia quando la giovane donna scopre che l’uomo amato si è
risposato.
Abbandoniamo pennelli e canti e torniamo
alla letteratura cronologicamente più vicina
al nostro tempo. Parliamo di Moby Dick, la
grande balena bianca inseguita per anni dal
capitano Achab attraverso i mari di tutto il
mondo a bordo della baleniera Pequod nel
romanzo di Melville (1851). Indimenticabile
anche Il vecchio e il mare di Hemingway
(1952), con la vittoria morale del vecchio protagonista nonostante la perdita dell’ambita
preda. I Malavoglia di Verga (1881) in cui la
barca Provvidenza, nonostante il nome benaugurante, è addirittura lo strumento del
destino che col suo naufragio stravolge la
vita dei suoi proprietari recando loro sventura e morte.
E ancora, sebbene di tono ben diverso, lo
spassoso Tre uomini in barca di Jerome
(1889) con la descrizione dell’esilarante gita
in barca sul Tamigi di tre amici, apprendisti
naviganti, e del loro cane. Arriviamo infine
ai giorni nostri con due autori contemporanei molto conosciuti: Georges Simenon e
Bjorn Larsson. Simenon è l’autore di intricati
casi affidati al suo famosissimo commissario
Maigret, figura nata durante i due anni nei
quali l’Autore visse a bordo dell’Ostrogoth
navigando fra Francia, Germania e Olanda.
Di questo periodo è il Cavallante della Provvidenza (1931), romanzo ambientato nel canale che collega la Senna alla Saona e quindi
la Francia al mare. Da ricordare anche il diario che Simenon ha scritto durante una sua
crociera nel Mediterraneo del 1934 intitolato
Il Mediterraneo in goletta o Mare nostro, in
cui la goletta viene definita “la più poetica
delle immagini”.
E poi Larsson, scrittore-navigatore di romanzi
di mare in cui la barca è simbolo di libertà,
quali Bisogno di libertà e La saggezza del
mare, ma anche scrittore di pirati e galeoni
nel suo libro La vera storia del pirata Long Silver (1995), figura arcinota de L’Isola del Tesoro di Stevenson. E non si può terminare
questa ampia carrellata senza parlare della
presenza della barca in un altro dei generi artistici più seguiti: la filmografia. Come non
ricordare, allora, il film Titanic o La maledizione della prima luna, con la divertente storia del rapimento del Galeone Perla Nera e
del suo imprevedibile capitano Jack Sparrow:
"Una nave non è solo un albero e un ponte.
La Perla è libertà". E proprio su tali parole
chiudiamo questo rapida carrellata tra le barche nella cultura, augurando buona navigazione a tutti sulle ali - anzi in questo caso sulle
vele - della libertà.
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STORIE DI QUALITÀ: BARCHE E CULTURA
QUANDO
IL SOLE
VIAGGIAVA
IN BARCA
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IMQ NOTIZIE N. 91
BARCA PER NASCERE, PER VIVERE,
PER SPOSARSI. MA BARCA ANCHE
PER LASCIARE LA VITA TERRENA.
BREVE VIAGGIO TRA RITI E UTILIZZI
DELLA BARCA NELLE DIVERSE EPOCHE E CULTURE.
A cosa serva oggi una barca, è argomento piuttoso noto. Lo è forse meno a
cosa servisse molti anni fa, all’epoca dei
nostri antenati, quando le barche vantavano passeggeri insoliti o decisamente illustri. Stiamo pensando ad esempio a
Noè e alla sua arca che trasportò un campionario di animali tali da fare invidia a
tutti gli zoo del futuro. Oppure ai tempi
dei grandi miti e al più famoso dei capitani (o, come si direbbe oggi, di skipper)
di barca: il sole. Perché forse non è a tutti
noto che il bellissimo Helios/Apollo, divinità del sole, prima di farsi convincere da
modelli di trasporto tecnologicamente
più avanzati, inizialmente usava percorrere la volta celesta con una barca. Poi,
allora come oggi, le mode cambiarono e
anche lui si decise ad abbandonare la vecchia barca per un più rapido cocchio.
Tra gli Egizi era di gran voga la Barca
sacra, un battello fluviale elevato a simbolo di imbarcazione rituale che veniva
usata come mezzo di trasporto in ambito
funerario e religioso.
Un utilizzo, quello funerario, che ha accompagnato la barca in molte epoche e
in molti luoghi. In età preromana, ad
esempio, quando le barche venivano decorate con piume di uccelli acquatici che,
appartenenti alla sfera dell’acqua, dell’aria e della terra, rappresentavano il collegamento col mondo dell’aldilà e
conducevano le anime dei defunti nella
loro destinazione ultraterrena. Ma anche
tra gli antichi veneti che, avendo collocato
le necropoli al di là dei fiumi, erano obbligati a trasportare i corpi dei defunti, diretti verso la loro ultima dimora, solcando
le acque fluviali. E, ancora, tra i boriosi vichinghi che usavano deporre il corpo dei
comandanti nella loro imbarcazione per
poi seppellirle o dargli fuoco.
Ma accanto alla morte, per fortuna anche
nei riti legati alla barca c’è la vita. E così
ecco la barca diventare, in territori come
l’Oceania frammentata in migliaia di isole,
strumento indispensabile di comunica-
zione e di gioia, in perfetta armonia con
il diffuso immaginario che identifica quei
mari come Paradiso terrestre. Dunque la
barca protagonista anche di matrimoni,
con il corteo nuziale che raggiunge il
luogo della cerimonia navigando su piroghe costruite appositamente per l’occasione. O il battesimo della barca stessa,
quando l’imbarcazione appena costruita
viene portata a “bere l’acqua del mare
dopo essere stata addobbata a festa con
collane di fiori freschi e benedetta dall’Arì,
una sorta di sacerdote mah’oi vestito con
un gonnellino di foglie di pandano e
palma da cocco, che battezza la barca
con foglie di Ti, pianta sacra che scaccia
gli spiriti maligni. Un rito ben diverso dal
nostro varo delle barche, fatto con la bottiglia di champagne lanciata contro lo
scafo dalla madrina e l’auspicio, per i superstiziosi, che la bottiglia si rompa, ma
che non spacchi la chiglia, come accaduto in un episodio diventato famoso,
sotto gli occhi allibiti di tutti i presenti.
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STORIE DI QUALITÀ: BARCHE E FOTOGRAFIA
IL MAGO DE
42
IMQ NOTIZIE N. 91
ELL’ACQUA
Un’immagine può raccontare tante cose,
da una gita divertente a un ricordo da cancellare. L’unica certezza della fotografia è
racchiusa nella verità: non ti potrà mai tradire e non ti dirà mai una bugia, quello che
c’è si vede. Questione di punti di vista, ma
anche questione di chi c’è dietro alla macchina. Uno scatto è in fondo una frazione di
secondo nella quale succede tutto e che
probabilmente resterà per sempre, quasi
come un diamante.
L’uomo ha da sempre ricercato un supporto
per la sua memoria e per il proprio piacere
ed è questa la magia dell’insieme. Raccontare una regata, un viaggio e la bellezza di
una vela sul mare non è cosa che tutti però
possono fare. Il primo è stato Frank Baken
che iniziò nel 1888 con una semplice scatola
di legno. Da allora di strada il mondo dell’immagine ne ha fatta tanta e, come sempre, ad emergere sono stati gli italiani,
popolo di santi, poeti, navigatori e soprattutto fotografi. Come Franco Pace che, della
sua passione, ha fatto un lavoro, passando
dalla tela al teleobiettivo e diventando uno
dei fotografi più famosi. Noi l’abbiamo incontrato per capire se ci sono differenze tra
uno scatto e l’altro e la risposta che abbiamo
ricevuto è semplice come la sua persona: “Il
modo migliore per capirlo è di renderle visibili e analizzare le reazioni del pubblico.”
La vela sembra un soggetto facile: una
vela bianca sul mare, ma in realtà ogni
scatto racchiude una visione diversa e un
modo di vedere il mondo. Il suo com’è?
Per poter ritrarre bene un soggetto bisogna
innanzitutto conoscerlo e le barche non
fanno eccezione.
Nel celebre film Amici Miei di Mario
Monicelli la figura del genio veniva
riassunta con la frase “è fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione” che ricorda molto da vicino la
definizione che si potrebbe usare per
un fotografo.
Sono esattamente le prerogative indispensabili per avere buoni risultati dalla fotografia, ma non vuol dire che per essere un
bravo fotografo bisogna essere un genio...
D’Epoca, Moderne e Coppa America:
quali le barche che più l’hanno emozionata?
Le barche d'Epoca trasmettono un grande
fascino, quelle Moderne, grazie all'alta tecnologia, offrono prestazioni e situazioni di
azione molto spettacolari; in entrambi i casi
si incontrano opportunità di realizzare immagini che danno emozioni. Alla fine forse
preferisco le barche d'Epoca che non sono
invase da scritte e marchi di sponsor, presenti in maniera eccessiva nelle barche Moderne, disturbando l'estetica dell'immagine.
La Coppa America secondo me ha preso
oggi una piega troppo commerciale a discapito del fascino che l'evento aveva fino
ad alcune edizioni fa.
Si è conclusa da poco la mostra a lei dedicata a Trieste, quant’è stato difficile
per lei scegliere gli scatti dal suo archivio che ne conta più di cinque milioni?
È stato un lavoro lungo, condotto per selezioni successive, cercando di ottenere un insieme di immagini che offrisse una buona
varietà di inquadrature e una visione equilibrata del mondo della vela nei suoi vari
aspetti. Una parte importante del lavoro è
stata anche pensare un allestimento che
fosse adatto a contenere le immagini.
Domanda alla quale penso sia impossibile rispondere, ma ci provo comunque: qual è la sua foto preferita?
Più che una foto preferita direi che c'è un
gruppo di foto preferite, diverse e complementari tra le quali non saprei fare una
scelta, ma che insieme possono dare un'impressione di come mi piace fotografare le
vele.
Da pittore a fotografo.
Pittore è una definizione eccessiva mi sono
sempre dedicato al disegno e poi alla pittura; penso sia stato soprattutto un buon
training per trovarsi con l'occhio allenato a
scegliere il taglio della foto al momento
dello scatto.
È stato rapito prima dal mare o dalla
passione per la fotografia?
Penso che essere affascinati dal mare e dal
mondo delle barche sia un fatto abbastanza naturale, direi quasi inevitabile vivendo in una città come Trieste. Per me è
stato certamente così; parallelamente ho
sviluppato altri interessi come il disegno e
la pittura e in seguito la fotografia.
Dei giornalisti si dice “sempre meglio
che lavorare”, dei fotografi?
Non so cosa si dica dei fotografi, penso
che usando un linguaggio universale siano
una categoria privilegiata come per esempio i musicisti. Come per la musica, l'importante è che le immagini trasmettano
delle emozioni; il sistema per capirlo e migliorare è quello di farle vedere al pubblico.
Aprendo l’album dei ricordi ci saranno
tante situazioni in cui si è scoperto a
scattare una foto in modo strano e sicuramente una in particolare.
Ho vissuto la notte della tempesta del Fastnet nel '79 (n.d.r.: era l’undici agosto e
nel corso della celebre regata vi fu una
tempesta devastante che portò alla morte
di 15 velisti, l’abbandono di 24 barche e
194 ritiri su 303 barche partite. Nel mondo
della vela viene considerato come un
punto fondamentale per la sicurezza) e nel
2004 a Phuket ho nuotato nell'onda dello
Tsunami, ma né in un caso né nell'altro ho
scattato delle foto.
Termino chiedendole quale sarebbe lo
scatto che avrebbe voluto fare nella
sua vita magari “rubandolo” a un collega?
Niente più di quello che ho fatto, mi va benissimo così, solo quelli futuri…
E proprio imbracciando la macchina
Franco Pace ci saluta e si avvia in giro per
il mondo a cercare ancora una volta di impressionare la magia del momento su una
semplice pellicola che speriamo possa durare come un diamante.
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PRODOTTI DI QUALITÀ: IMPRONTA ECOLOGICA
CARBON-F
(I
E TU QUANTO SPORCHI?
AUMENTA SEMPRE DI PIÙ LA PRESENZA DI SITI INTERNET CHE MISURANO
L’IMPATTO CHE I NOSTRI COMPORTAMENTI POSSONO AVERE SULL’AMBIENTE. SIAMO ANDATI A VISITARNE UNO E ABBIAMO SCOPERTO CHE...
44
IMQ NOTIZIE N. 91
FOOTPRINT
IMPRONTA ECOLOGICA)
“Se tutti vivessero come te, ci vorrebbe
un territorio fertile grande tre volte quello
disponibile”. La sentenza del test eseguito sul sito di Ecological Footprint network è impietosa: c'è poco da credersi
virtuosi consumando carne non più di
due volte a settimana, acquistando prodotti freschi regionali, spegnendo ogni
sera tv, stereo, computer (anziché lasciarli
in stand by) e rinunciando a possedere
l'automobile. Ma che cos'è esattamente
questa (pesante) impronta ecologica con
cui insozziamo il nostro povero pianeta?
Si tratta, molto semplicemente, di un indice statistico che misura la richiesta
umana nei confronti della natura, ovvero
quanto territorio biologicamente produttivo viene utilizzato da un individuo,
una famiglia, una città, una regione, un
paese o dall'intera umanità per produrre
le risorse che consuma e per assorbire i rifiuti che genera. L'idea originaria di questo calcolo risale al 1996 e si deve
all'ecologo William Rees della British Co-
lumbia University, i cui studi sono poi stati
proseguiti dal suo più brillante collaboratore, Mathis Wackernagel. È lui che
puntualmente, nei primi giorni d'autunno (nel 2009 è successo il 25 settembre), suona la campanella dell'Overshoot
day, avverte cioè che la popolazione
mondiale ha consumato tutte le risorse
naturali a disposizione per l'anno in
corso. Gli ultimi tre mesi dell'anno, dunque, sono stati in deficit. Esattamente
come per una famiglia, o un'azienda,
che abbia esaurito le risorse a disposizione tre mesi prima della fine dell'anno
ma continuasse imperterrita a spendere,
Wachernagel ammonisce che prima o
poi i nodi verranno al pettine. Ma come
si misura la nostra impronta ecologica sul
pianeta? Il metodo consiste nell'attribuire, sulla base dei dati statistici di ogni
paese e delle organizzazioni internazionali, un certo numero di ettari globali pro
capite come consumo di territorio biologicamente produttivo. Secondo i calcoli
più recenti l'impronta ecologica dell'umanità è di 2,2 ettari globali pro capite, mentre quella dell'Italia è di 4,8
ettari con una biocapacità di 1,2 ettari
pro capite. Nella classifica mondiale che
il WWF pubblica ogni due anni nel Living
Planet Report (l'ultima edizione è del
2008, ma i dati sull'impronta ecologica
sono aggiornati al 2005) siamo al 29°
posto, in coda rispetto al resto dei paesi
europei. In generale, secondo il rapporto,
se tutti gli esseri umani avessero un'impronta ecologica pari a quella degli abitanti dei paesi ad alto indice di sviluppo,
non basterebbe l'attuale pianeta per sostenerla. Se proseguirà l’attuale ritmo di
consumo di acqua, suolo fertile, risorse
forestali, specie animali tra cui le risorse
ittiche, nel 2050 di pianeti, ne serrviranno almeno due. Dunque, c'è molto
da fare: a cominciare dal misurare la nostra personale o familiare impronta ecologica sul sito www.footprintnetwork.org.
L'IMPRONTA DELLE AZIENDE
(da: www.footprintnetwork.org)
Le aziende che guardano avanti e gestiscono proattivamente i propri
rischi e opportunità ambientali possono beneficiare di un rilevante
vantaggio competitivo. L’Impronta Ecologica viene usata per aiutare
le aziende a migliorare la propria capacità di previsione del mercato,
a definire il proprio indirizzo strategico, a gestire la propria performance ed a comunicare i propri punti di forza. Fornendo un’unità di
misura comune, l’Impronta aiuta le aziende a definire punti di riferimento, a definire obiettivi quantitativi ed a valutare alternative per le
future attività. Compatibile con tutti i livelli delle operazioni aziendali,
l'Impronta fornisce risultati sia aggregati che di dettaglio. Le analisi sull’Impronta Ecologica rivelano dove regioni, settori industriali e aziende
incontreranno crescenti limiti nella disponibilità di risorse quali energia, foreste, terreni coltivabili, pascoli e pesca. Esse aiutano inoltre ad
identificare strategie di successo in un mondo dalle risorse limitate, inclusi prodotti e servizi che saranno sempre più necessari in futuro.
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PRODOTTI DI QUALITÀ: IMPRONTA ECOLOGICA
TI VENDO U
PIANTARE ALBERI, UTILIZZARE
FONTI PULITE A ENERGIA RINNOVABILE O ACQUISTARE V.E.R.: LE
TRE STRADE PER LA RIDUZIONE
DELLE EMISSIONI DI CO2
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IMQ NOTIZIE N. 91
UN V.E.R.
C’è chi pianta alberi, chi sfrutta fonti
pulite a energia rinnovabile o cerca di
rendere più efficiente l’utilizzo di
quelle tradizionali e chi invece va ad
acquistare VER, i crediti Verified Emission Reductions. Stiamo parlando di
hobby o shopping curiosi? Niente di
tutto questo, ma dei principali metodi per ridurre l’impatto delle nostre
attività sull’ambiente e per compensare le emissioni di CO2 prodotte.
Il CO2, di per sè, non è sostanza rischiosa, nel senso che si tratta di un
gas naturale, non certo tossico e nocivo per l'uomo come i composti chimici e le micro o nano polveri, ma
tuttavia pericolosissimo poiché influisce sull’effetto serra modificando
temperatura e DNA del nostro pianeta. Per cercare di limitarne le conseguenze la soluzione è quella di
ridurne le emissioni o di annientare,
con soluzioni alternative, quelle generate.
Per affrontare tale battaglia al primo
posto si colloca la riforestazione o
l’afforestazione delle aree che comportano un pareggiamento dei conti:
con la mia attività ho prodotto tot di
tonnellate di CO2, ma in compenso
ho piantato tot ettari di alberi che andranno ad neutralizzarlo (gli alberi
assorbono CO2 e la fissano nella biomassa legnosa)
Al secondo posto la possibilità di ridurre i consumi energetici migliorando l’efficienza, intervenendo ad
esempio sull’illuminazione pubblica,
sugli impianti termici ed elettrici, sulla
mobilità, e sulle industrie (consumando meno combustibile fossile si
emette meno CO2).
Al terzo posto la possibilità di puntare
su fonti rinnovabili pulite, quali il fotovoltaico, l’eolico, la geotermia, il solare termico, l’idroelettrico, che non
rilasciano CO2 nell’atmosfera.
C’è infine una quarta via per chi volesse cercare di limitare le conseguenze
del
proprio
impatto
ambientale: l’acquisto di VER. Si
tratta di crediti maturati e messi in
vendita da aziende o imprese che, attraverso uno degli interventi sopra
elencati, sono state in grado di ridurre le emissioni di CO2. Per ogni
tonnellata di CO2 non emessa - e certificata da enti a ciò predisposti l’azienda può maturare un VER che
può essere utilizzato a bilancio di proprie attività o venduto ad aziende che
non hanno la possibilità di ridurre le
loro emissioni, ma che, in qualche
modo, vogliono contribuire al miglioramento dello stato di salute del nostro pianeta.
Il numero degli acquirenti di VER o di
interessati alla riforestazione dei territori, negli ultimi anni sta velocemente aumentando. E non parliamo
solo di grandi aziende dai grandi consumi e le tante emissioni. Ma anche
di personaggi di spettacolo, cantanti,
squadre di calcio, comuni, banche,
case editrici, che per compensare le
emissioni prodotte nell’organizzazione di spettacoli, concerti, tornei ed
eventi vari, ricorrono a una di queste
due strade. Forse si tratta solo di
moda dell’ecologico, ma anche se così
fosse, benvengano le mode se poi, a
riscuoterne i benefici, è il nostro pianeta e la qualità della nostra vita.
I SERVIZI
IMQ-ECO
Servizi
* Audit ecologico di prodotto
* Supporto LCA (Life Cycle
Assessment)
* Audit energetico immobili
e impianti
* Certificazione energetica
immobili
Direttive CE
* Compatibilità elettromagnetica (EMC)
* Emission trading system
* Eco-Design
* RoHS
Certificazione sistemi
di gestione aziendali
* Sistemi di gestione ambietale (ISO 14001)
Misure
* Acustiche
* Campi elettromagnetici
* Consumi energetici
* Emissioni CO2
* Fonometriche
47
PRODOTTI DI QUALITÀ: IMPRONTA ECOLOGICA
E LA
BOTTIGLIA
SI TAGLIA
IL COLLO
BASTANO 4 MILLIMETRI PER RISPARMIARE FINO A 100 MILA EURO, RIDUCENDO LEGGERMENTE IL COLLO
DELLE
BOTTIGLIE
IN
PLASTICA.
L’AZIENDA CHE LO HA FATTO HA OTTENUTO INTERESSANTI RISPARMI NELL’UTILIZZO DELLE PLASTICHE. IL TUTTO
INSERITO IN UN PIANO PIÙ GENERALE
DI RIDUZIONE DELL’IMPATTO AMBIENTALE, ORMAI PERSEGUITO DA
QUALCHE ANNO.
48
IMQ NOTIZIE N. 91
Le nuove bottiglie della bevanda più famosa del mondo
sono diventate più piccole. Poca roba, intendiamoci, si tratta
appena di 4 millimetri, che però consentiranno alla country
italiana di una delle multinazionali più discusse di sempre,
di ridurre l'utilizzo di plastica di ben 80 tonnellate all'anno.
I 4 millimetri in meno della nuova confezione da mezzo litro,
infatti, sono stati sottratti dal collo della bottiglia. Per chiuderla, quindi, servirà un tappo di plastica più piccolo. Un accorgimento minimo di grande impatto che assicurerà
all’azienda produttrice anche un risparmio di 100 mila euro.
Ma curiosità a parte, in buona sostanza, perché questa notizia dovrebbe interessarci? Innanzitutto, perché meno plastica sul mercato significa anche meno plastica sul nostro
territorio. E poi perché questo risparmio di prodotto (e di
denaro) rientra in un più articolato piano di riduzione dell'impatto ambientale di cui, da cinque anni, si è dotata
l'azienda, e i cui effetti sono riassunti in un Rapporto socioambientale pubblicato annualmente. Il tentativo è lodevole:
integrare cultura d'impresa (leggi: profitti) e sostenibilità
ambientale, provando a rendere un po' meno inquinanti le
varie fasi del processo produttivo. Oltre alla riduzione degli
imballaggi, la medesima azienda ha infatti ottenuto interessanti risultati sul fronte dei consumi idrici e del risparmio
energetico.
Dal Rapporto emerge come nel 2008 i consumi idrici siano
diminuiti di circa il 22% rispetto al 2007, mentre il 10% dell’acqua utilizzata è stato reimpiegato all’interno degli impianti per altri usi secondari prima di essere definitivamente
avviata al trattamento finale di depurazione. Sono poi stati
velocizzati i processi di produzione ed implementati nuovi sistemi di controllo di estrazione dell’acqua dai pozzi, consentendo una riduzione del 39% degli scarichi idrici rispetto
al 2007. Grazie al miglioramento dei processi, oggi, per fare
un litro di bevanda, ci vogliono 1,8 litri d'acqua contro i 2,2
dei tre anni precedenti. Sul fronte energetico, l’ottimizzazione dei processi produttivi e l’utilizzo di tecnologie avanzate ha comportato una riduzione dei consumi del 6% negli
ultimi due anni, così come i sistemi di refrigerazione più efficienti e a basso consumo energetico hanno determinato
una riduzione dei consumi pari al 35%. Infine, nei primi
mesi del 2009, sono stati avviati, presso uno degli stabilimenti, i lavori per la realizzazione di un impianto di cogenerazione in grado di produrre energia elettrica e,
contestualmente, energia termica e refrigerante, permettendo un’impotante riduzione dei costi energetici legati all’attività produttiva e una riduzione delle emissioni di CO2.
Nel 2010 inizierà la costruzione di altri due impianti di cogenerazione presso altrettanto sedi. Ci auguriamo con i medesimi risultati in termini di impatto ambientale, un
argomento che ci sta a cuore e al quale siamo fortemente
interessati.
49
PRODOTTI DI QUALITÀ: IMPRONTA ECOLOGICA
L’ECOGUIDA DI GREENPEACE:
PROMOSSI
E BOCCIATI
DELL’HI-TECH
Nokia davanti a tutti, poi Samsung e
Sony-Eriksson. Passi avanti significativi di
Philips, ma anche bruschi arretramenti di
Dell e Lge. Non è la classifica di Champions league, ma quella della tredicesima
edizione dell'Ecoguida trimestrale di Greenpeace sui prodotti tecnologici, una
graduatoria che misura l'impegno delle
multinazionali per rendere i propri prodotti quanto più eco-friendly possibile. La
classifica dell’associazione ambientalista
50
prende in considerazione ciò che hanno
fatto le prime 18 aziende tecnologiche
per l’ambiente, e dunque i prodotti fabbricati con materiali non tossici, l’uso di
tecnologie rinnovabili, ma anche impegni
e scadenze entro cui raggiungere gli
obiettivi più ambiziosi. In testa, da più di
un anno, c'è Nokia, la multinazionale finlandese che sovrasta tutti nell’eliminazione di molte sostanze tossiche (come i
bromurati e i ritardanti di fiamma) da
tutti i suoi apparecchi di ultima generazione, nell’efficienza energetica e per il
buon programma di riciclaggio. Sul podio
ci sono Samsung e Sony-Eriksson, che si
distinguono per la riduzione delle emissioni. Notevole, rispetto all'ultima classifica, il salto in avanti di Philips: grazie ai
tagli alle emissioni e all’adesione agli impegni internazionali nella lotta ai cambiamenti climatici, la multinazionale
olandese passa dal settimo al quarto
posto in soli tre mesi. Alla Philips però,
ammonisce Greenpeace, molto resta da
fare per la mancanza di un piano efficiente di riciclaggio dei rifiuti elettronici.
L'associazione ambientalista riconosce
l'impegno di Hewlett Packard (Hp) che ha
messo sul mercato un computer portatile
quasi privo di pvc (polivinil cloruro) e bfrs
(ritardanti di fiamma bromurati), sostanze
che rimangono ancora solo nell'alimentatore e nei cavi, anche se, come vedremo poi, ha mantenuto solo in parte
gli impegni presi.
Stabili restano Toshiba e Motorola che
hanno lasciato invariati i loro piani ambientali, già sufficientemente a posto.
C'è anche chi peggiora, però. Come Lge
e Dell, che perdono posizioni per non
aver rispettato gli impegni presi in passato nell’eliminazione delle sostanze pericolose dai loro prodotti. Insufficienti
anche Apple, Panasonic e Lg, che hanno
buone politiche di eliminazione di sostanze tossiche (specialmente Apple che
le ha eliminate in tutti i suoi prodotti), ma
sono giudicate disastrose nella gestione
dei rifiuti elettronici e sull’efficienza energetica. Note negative anche per Acer e,
come anticipato, di nuovo Hp, per aver
mantenuto solo in parte le promesse sull’eliminazione delle sostanze tossiche. Tra
i peggiori anche Microsoft e Fujitsu, indietro nel campo dei rifiuti ed un po’ in
tutto il resto, e Lenovo, penalizzata per
non aver mantenuto le promesse e rimandato l’eliminazione delle sostanze
tossiche (ma nella prossima classifica potrebbe risalire di colpo). Ultimo posto e
maglia nera infine a Nintendo, con un
punteggio vicino allo zero: nonostante le
promesse, le emissioni di gas serra continuano ad aumentare e non si vedono miglioramenti in nessun settore.
La nuova edizione dell'Ecoguida, pubblicata
ad ottobre, valuta le imprese anche in base
a criteri di uso di energia ed emissione di gas
serra e ha accompagnato idealmente il
summit mondiale sul clima di Copenhagen.
IMQ NOTIZIE N. 91
ORME DI LEGNO
E DI PLASTICA
Da dove vengono i nostri mobili di legno
pregiato? E quegli ecologici portapenne di
plastica riciclata? Se le tante campagne di
sensibilizzazione stanno contribuendo a
farci diventare consumatori sempre più consapevoli, alla nostra esigenza di scegliere
meglio i prodotti si accompagna una costante e più ampia necessità di informazione sulla loro origine. Così, come oggi ci
appare irrinunciabile conoscere la località e
il nome dell'azienda produttrice della mozzarella che acquistiamo al supermercato,
anche per i prodotti “no food” è giusto sapere qualcosa di più. Le domande iniziali
non sono scelte a caso. Cominciamo dal
legno: da 25 anni esiste il FSC (Forest Stewarship Council) organizzazione non governativa internazionale, che si propone di
fornire un marchio di riconoscimento di legname proveniente da foreste gestite in
maniera eco e socio-sostenibile. E da oltre
dieci anni c’è l'associazione internazionale
PEFC (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes) nata per iniziativa volontaria di rappresentanti di
proprietari forestali privati di alcuni Paesi europei, che ha messo a punto un sistema di
certificazione per la gestione sostenibile forestale a livello nazionale e regionale, riunendo insieme proprietari forestali,
consumatori finali, utilizzatori, liberi professionisti, mondo dell'industria del legno e
dell'artigianato. A differenza di FSC nato
principalmente da motivazioni di natura
ambientale e sociale, PEFC si è costituito per
tutelare fondamentalmente gli interessi dei
proprietari privati di foreste. Obiettivo del
PEFC, che dal 2001 ha una sede anche in
Italia, è quello di garantire la sostenibilità
della gestione dei boschi e la rintracciabilità
dei prodotti legnosi e cartacei, commercializzati e trasformati, che provengono dai boschi certificati PEFC. In tutto il mondo i
consumatori chiedono che sia possibile risalire all'origine del legname utilizzato per
la creazione del prodotto finale, e mostrano
di preferire quei manufatti realizzati con legname proveniente da foreste gestite in
modo sostenibile e certificate da un ente indipendente. E anche in Italia, paese che importa la maggior parte della materia prima,
la richiesta è stata fatta propria anche dalle
industrie di trasformazione italiane. Considerazioni di carattere etico e di trasparenza
sono invece alla base dell'attenzione prestata al tema dalle pubbliche amministrazioni, sempre più interessate a spiegare ai
cittadini che i boschi vengono gestiti in maniera sostenibile da un punto di vista sociale
e ambientale, adeguandosi a criteri di
buona pratica forestale internazionalmente
riconosciuti.
Riguardo alla provenienza della plastica, invece, segnaliamo l'interessante esperienze
di IPPR, l’Istituto per la Promozione delle Plastiche da Riciclo. Per dare evidenza ai prodotti dei quali un'azienda garantisce
l'identificazione, la rintracciabilità ed il contenuto percentuale di materie plastiche riciclate provenienti da post-consumo, I’IPPR
nel 2004 ha messo a punto la certificazione
Plastica Seconda Vita. Un’iniziativa nata
a seguito di un Decreto ministeriale del
2003, il D.M 203/03, che stabiliva le norme
affinché gli uffici pubblici e le società a prevalente capitale pubblico coprissero il fabbisogno annuale di manufatti e beni con
una quota di prodotti ottenuti da materiale
riciclato nella misura non inferiore al 30%
del fabbisogno medesimo.
IMQ NOTIZIE RISPETTA
LA CATENA DI CUSTODIA
Certificazioni come la FSC e la PEFC
hanno introdotto il concetto di catena
di custodia (chain of custody). Una sorta
di telefono senza fili che consente di
certificare il prodotto finale, solo se tutti
i protagonisti della filiera - produttori e
fornitori - accettano di certificarsi. Ad
esempio la nostra rivista, IMQ Notizie,
è stampata su carta certificata FSC il
che vuol dire che la prima a essere certificata è stata la materia prima (la cellulosa), poi la cartiera, che ha prodotto
la carta, in seguito si è certificato il trasformatore che da questi fogli realizza
un formato disponibile per lo stampatore, che a sua volta si è dovuto certificare per poter realizzare libri, pubblicazioni, brochure certificate.
SOLO LEGNO
CERTIFICATO
ALLE OLIMPIADI
DI LONDRA 2012
Infrastrutture e impianti per i Giochi
olimpici di Londra 2012 utilizzeranno
legno con garanzia di sostenibilità, proveniente da fonti certe e legali con
chiara prova della catena di fornitura. Lo
ha stabilito l’Olympic Delivery Authority
(ODA – Autorità per le Forniture Olimpiche), aggiungendo che almeno il 20%
dei materiali utilizzati per la realizzazione delle strutture permanenti e per il
Villaggio olimpico dovranno essere materiali già utilizzati in altre strutture o riciclati. In particolare, ai fornitori di
legname sarà richiesta la certificazione
con schemi approvati dal Central Point
of Expertise on Timber procurement
ente governativo inglese che riconosce il
PEFC come schema di certificazione.
CRITERI DI
CERTIFICAZIONE
FORESTALE PEFC
(fonte: www.pefc.it)
1) Mantenimento e appropriato sviluppo delle risorse forestali e loro
contributo al ciclo globale del carbonio;
2) Mantenimento della salute e vitalità dell'ecosistema forestale;
3) Mantenimento e promozione delle
funzioni produttive delle foreste
(prodotti legnosi e non);
4) Mantenimento, conservazione e
adeguato sviluppo della diversità
biologica negli ecosistemi forestali;
5) Mantenimento e adeguato sviluppo delle funzioni protettive
nella gestione forestale (in particolare suolo e acqua);
6) Mantenimento di altre funzioni e
condizioni socio-economiche.
L’unico organismo italiano attivo sia per lo
schema FSC sia per
quello PEFC è ICILA, società del Gruppo IMQ
51
QUALITÀ DELLA VITA: VIAGGI
CHIAMATEL
LE VERGINI
DI SUA MA
ISOLE VERGINI BRITANNICHE, VELA, RELAX,
Volete una vacanza all’insegna del relax,
della natura e… della vela? La risposta sta
in un acronimo: BVI, pronunciato all’inglese, Biviai, come usano i locali. L’arcipelago delle BVI, le Isole Vergini Britanniche
è, infatti, uno dei migliori posti dove trascorrere una vacanza in barca a vela. Scoperto dal padre di tutti i navigatori,
Cristoforo Colombo, l’arcipelago delle Las
Once Mil Virgenes, così chiamate in ricordo del martirio Sant’Orsola, è ancora
oggi un eden d’incontaminata bellezza e
dai grandiosi scenari. Acque cristalline e
fondali stupendi, giardini lussureggianti
di corallo e misteriosi relitti trasformati in
sculture viventi. Attorno, baie e insenature dove ormeggiare in tranquillità protetti dalle scogliere e accarezzati dagli
52
alisei che qui soffiano tra i 15 e i 20 nodi
con una temperatura costante tutto
l’anno. Se a questo aggiungiamo il fatto
che le BVI sono una delle poche destinazioni caraibiche che non risentono delle
perturbazioni estive e che i numerosi approdi nelle 60 isole che compongono l’arcipelago sono ottimamente organizzati
per l’assistenza alle imbarcazioni in transito, comprendiamo il titolo di Yachtman’s friendly destination che le isole
sfoggiano con orgoglio.
E chi alla vela preferisce una vacanza “a
terra”? In questo caso le BVI offrono infinite possibilità di svago e relax, lontano
dal rumore e all’insegna della natura. Ne
sa qualcosa Sir Richard Branson, patron
della Virgin, che, affascinato dalla bel-
lezza di questi luoghi e dalle loro potenzialità turistiche, ha acquistato un’intera
isola, Necker Island, trasformandola in un
resort dove non è difficile trovare personaggi del mondo dello spettacolo o famosi uomini d’affari in fuga dal caos delle
metropoli. Sono passati dall’isola di Mr.
Virgin la Principessa Diana, assidua frequentatrice dell’isola, Annie Lennox che
qui si rifugiava in cerca di tranquillità
dopo i tour musicali e, non ultimo, David
Beckham che la scorsa estate ha affittato
tutta l’isola per il suo 10° anniversario di
matrimonio.
Ma Necker Island non è l’unica isola dell’arcipelago a vantare visitatori famosi.
Tutto l’arcipelago è stato per lungo
tempo terreno di caccia e rifugio per fa-
IMQ NOTIZIE N. 91
LE BVI,
ESTÀ
SPRING REGATTA
Per i veri amanti della vela, ogni anno in
primavera alle BVI si tiene un’importante
regata velica, la BVI Spring Regatta, kermesse velica più amata dei Tropici che raduna le più belle barche che frequentano
i Caraibi e che misurano le performance
agonistiche tra isole, isolotti ed estuari turchesi. Ospitata, come da tradizione, al
Nanny Cay Marina di Tortola, la BVI Spring
Regatta nasce negli anni ‘70 grazie a un
gruppo di velisti locali convinti che era
giunto il momento di organizzare un
grande evento velico alle BVI. In quegli
anni nelle isole si erano infatti insediati i
bareboat, gli yacht privati e piccole flottiglie e dalle 20 imbarcazioni della prima
edizione, la BVI Spring Regatta è cresciuta
sia per dimensioni sia per importanza.
Tutti gli aggiornamenti sulla Spring Regatta nel sito ufficiale dell’evento:
http://www.bvispringregatta.org.
NATURA E RISPETTO DELL’AMBIENTE
mosi pirati e corsari. Jost Van Dyke, isolotto di appena 10 chilometri quadrati,
deve il suo nome al famigerato pirata
olandese che lo scelse come base d’attacco per le sue scorrerie, mentre il canale
che scorre tra le isole porta il nome di un
altro navigatore famoso, il vice ammiraglio della flotta di Sua Maestà, Sir Francis
Drake, il primo inglese a circumnavigare il
globo nella metà del ‘500 famoso anche
per i suoi atti di pirateria nei confronti
delle nazioni nemiche. Il pirata Barbanera,
uno dei più feroci e sanguinari del suo
tempo e Henry Morgan, il creatore del
Codice della Pirateria, scorrazzavano tra
le isole in cerca di navi da depredare. Non
è un caso che l’isola dove il romanziere
Robert Louis Stevenson “seppelli” il suo
tesoro sia identificata proprio come
Norma Island, nell’arcipelago delle BVI.
Sessanta isole, di cui solo sedici abitate,
un mare di un blu da lasciare senza parole, ogni isola delle BVI è custode di una
peculiarità che la distingue dalle altre.
Bianchissime spiagge e rigogliose montagne a Tortola, coloratissimi coralli nell’atollo di Anegada, spettacolari
formazioni rocciose a Virgin Gorda,
spiagge bianche a Jost Van Dyke.
Come fare per visitarle tutte? Con l’I
sland Hopping, la moda di spostarsi di
isola in isola che ha preso piede in questi
anni e che alle BVI è particolarmente facile grazie alle distanze ridotte e ad un ottimo sistema di trasporti interni in battello
o con piccoli aerei. È così possibile rag-
giungere le isole più estreme e disabitate
dell’arcipelago, visitare uno dei venti parchi naturali che proteggono un ecosistema unico al mondo o ammirare le
balene grigie e le tartarughe marine che
in queste acque vengono ogni anno a riprodursi.
Le BVI sono tutto questo, un microcosmo
difeso con orgoglio dagli abitanti delle
isole sensibili alle tradizioni e al rispetto
dell’ambiente, che conferma le isole
come destinazione ideale per una vacanza all’insegna dell’ecoturismo, altra
caratteristica delle Isole Vergini Britanniche.
www-bvi.turismo.com
53
QUALITÀ DELLA VITA: SALUTE
VOLEVO
DIRTI
UNA
COSA ...
Il dietro le quinte
di una memoria
di ferro
54
IMQ NOTIZIE N. 91
Sensoriale, a breve e a lungo termine: sono
le tre facce della nostra memoria, una facoltà posseduta da ogni essere umano e,
come tale, sottoposta agli scherzi del
tempo. Capita spesso, infatti, di assistere
a un indebolimento della capacità di trattenere i ricordi man mano che diventiamo
vecchi: in qualche caso, purtroppo, si è colpiti da malattie come il morbo di Alzheimer che la annullano del tutto, ma in
generale la memoria subisce le insidie degli
anni esattamente come la pelle e la muscolatura. E tuttavia, come per queste ultime esistono rimedi - naturali e clinici - per
rallentarne l'invecchiamento, anche il nostro cervello può essere stimolato per trattenere a sé nozioni e vissuto. E mai come
in questo caso la prevenzione, oltre che la
migliore delle cure, è anche un ottimo
modo per tenersi mentalmente in forma.
Ma come funziona questo allenamento
della memoria? Il presupposto irrinunciabile è che il ricordo si sia sedimentato stabilmente nella nostra testa. La memoria del
primo tipo, quella sensoriale, si attiva infatti quando ricordiamo informazioni uditive, visive e tattili per qualche secondo o
addirittura frazione di secondo. È chiaro
dunque che per mantenere traccia di esperienze così brevi serve che le medesime subiscano un “allungamento”, che transitino
cioè almeno nella memoria a breve termine, dotata della capacità di conservare
una piccola quantità di informazioni fino
a pochi minuti.
Per ricordarle per sempre (o per lo meno
per moltissimi anni), serve il passaggio successivo, nella memoria a lungo termine,
quella su cui lavorano i manuali e le tecniche aiuta-memoria.
Il principio di fondo è lo stesso usato alle
elementari per imparare le poesie: per ricordare qualcosa a lungo, bisogna ripeterselo più volte. Sul portale Medicina.live, per
esempio, si suggerisce di scrivere sulla carta
una serie di cinque numeri in ordine sparso,
poi di guardarla attentamente, quindi, a
occhi chiusi, di rammentarne la posizione
esatta. L'esercizio andrebbe peraltro ripetuto aumentando progressivamente la serie
numerica fino a raggiungere il proprio personale limite di memoria.
Un'altra strada, divertente e impegnativa,
è quella dei giochi enigmistici: è scientificamente provato infatti che mettersi alla
prova con rebus, cruciverba e sciarade
abbia effetti sorprendenti soprattutto sugli
anziani. Una ricerca del Trinity College di
Dublino ha sottoposto a una serie di passatempi di questo genere un campione di
volontari tra i 65 e i 94 anni, mettendo in
luce un reale miglioramento nelle loro capacità mnemoniche. Perché funzionino
davvero, però, non bisogna fissarsi sempre
con lo stesso tipo di gioco, bensì variare. E
magari non limitarsi alle parole crociate facilitate!
Per chi non si accontenta del fai-da-te, esi-
stono anche metodi più strutturati, come
quello proposto da Gianni Golfera
(www.metodogolfera.com), una specie di
Pico della Mirandola dei nostri tempi, che
pare sia capace di ricordare a memoria il
testo di ben 261 libri, al punto da esser
stato ingaggiato anche dalla Nasa per testare gli errori umani sulle navicelle destinate a esplorare lo spazio.
I fan dei rimedi naturali, invece, potrebbero
provare il guaranà, l'eleuterococco, la lecitina di soia e il polline di api, oltre al magnesio e alla rodiola rosea, tutte sostanze
anti-stress secondo il portale specializzato
rodiola.it. Perché per mantenere attiva la
memoria è fondamentale imparare anche
a star calmi. Uno degli scherzi più frequenti
dei vari stadi di tensione è la sensazione di
vuoto improvviso che ci fa dimenticare il codice pin del bancomat che usiamo da anni
o, al contrario, il classico “déjàvu”, che ci
fa vivere il presente come una proiezione
nel passato. Sensazioni che abbiamo imparato a controllare, consapevoli che si
tratta solo di momenti di debolezza del nostro cervello, da vivere con leggerezza e
magari come stimolo per concederci un po'
di riposo o qualche sessione di allenamento
mnemonico. Le micro-amnesie, talvolta, ci
inducono a riflettere sui motivi che le
hanno scatenate. L'importante è non ingigantirle anche perché, in fondo, chi non ha
qualcosa da dimenticare volentieri?
55
QUALITÀ DELLA VITA: SALUTE
I CONSIGLI D
56
IMQ NOTIZIE N. 91
ELL’ESPERTO
INTERVISTA AL DR. MASSIMO TANZI
A nessuno piace dimenticarsi i compleanni dei propri cari, eppure capita,
soprattutto se siamo sotto stress:
l'emotività gioca brutti scherzi alla
memoria. Lo spiega il dottor Massimo
Tanzi, geriatra, fisiatra e specialista in
Medicina dello sport, una caratteristica, quest'ultima, che gli dà l'autorevolezza per affermare che tra i
migliori sistemi per tenere in allenamento “il muscolo dei ricordi” fa benissimo proprio l'attività fisica.
“Mens sana in corpore sano” vale
sempre, quindi?
Senza dubbio. Fare esercizio con regolarità rinforza la memoria di adulti
e anziani: lo hanno scoperto i ricercatori australiani dell’Università di Melbourne, autori di uno studio
pubblicato su “Jama”, una prestigiosa rivista scientifica.
E i farmaci aiutano?
Più che altro le vitamine del gruppo
B influiscono sul buon funzionamento del sistema nervoso. E poi il
thè verde.
E come mai?
Sembra che questa bevanda rallenti
l’invecchiamento cerebrale. Lo sostengono i ricercatori dell'università
giapponese Tohoku di Sendai, secondo cui due-tre tazze al giorno di
thè verde produrrebbero un minor
deterioramento delle funzioni cerebrali, riducendo le probabilità di contrarre Alzheimer e Parkinson, due
malattie da loro molto meno diffuse
di quanto non accada in Occidente.
Com'è possibile invece che l'emotività incida sulle performance della
nostra memoria?
Alla base di quel che ricordiamo o
cancelliamo c'è sempre la motivazione. In altri termini, ricordiamo meglio materie di studio e argomenti
che incontrano il nostro gusto, mentre tendiamo a cancellare quel che
non ci piace. Dunque è facile che se
siamo molto agitati, come capita per
esempio durante un esame, l'emotività finisce per disturbare la memoria
provocando quei vuoti che molti di
noi hanno sperimentato.
Come possiamo esercitare la memoria per evitare questi momenti imbarazzanti?
Per esempio, se stiamo studiando,
può essere utile trasformarsi in attori
o attrici: immedesimarsi in un personaggio storico rende più facile e divertente fissarne il ricordo. Poi è
molto meglio ripetere una lezione
una volta al giorno per più giorni consecutivi, anziché tante volte lo stesso
giorno. L'ideale sarebbe trovare un
interlocutore; in alternativa, si può ricorrere ad un registratore. Infine è
inutile sottolineare su di un libro
tutto e subito: meglio aspettare la seconda lettura ed evidenziare solo le
parole chiave.
nobiologia, cioè la disciplina che ha
come oggetto di studio l'osservazione
dei cicli biologici dell'organismo, indica che il momento più o meno idoneo per svolgere determinati compiti,
quindi anche per esercitare la memoria, è estremamente variabile da soggetto a soggetto. Ci sono infatti
persone che rendono meglio nelle
prime ore del mattino e quelle che
hanno le migliori performance nel
tardo pomeriggio.
Per tutte vale comunque la regola del
riposo: una buona dormita è la migliore medicina per la mente.
E se tutto questo non basta?
Qualcuno ricorre ai Fiori di Bach: pare
che funzionino...
Esercizi del genere sono validi per
tutti?
In linea di massima sì, anche se la cro57
QUALITÀ DELLA VITA: SPORT
PASSEGGIAN
TRA I GREEN
A scuola di golf:
come e dove iniziare
Da quando il golf è diventato “libero”, è più facile che a qualcuno
venga voglia di praticarlo. Da circa tre
anni, infatti, la Federazione Italiana
Golf, oltre 96 mila iscritti tra dilettanti
e professionisti per 378 club federati
nel 2008, ha introdotto il cosiddetto
tesseramento libero, un sistema che
permette di imparare i primi rudimenti semplicemente pagando 60
euro di iscrizione annuale. Con la tessera della FIG, dunque, si può entrare
in qualsiasi club federato e accedere
ai campi-pratica, che non sono ancora
il “green”, ossia lo spazio erboso in cui
si giocano le vere partite, bensì una
zona prevista in ogni golf club con
una profondità di almeno 150 metri,
in cui tirare i primi colpi. Qualcuno
dirà: sì, ma dove vado senza l'attrezzatura? E soprattutto: quanto mi
58
costa? La Federazione rassicura: per
partire basterà avere un paio di scarpe
da tennis (e magari un abbigliamento
comodo) più un gruzzoletto da tra i
200 e i 600 euro per le dieci lezioni di
partenza, dopodiché ai principianti
sarà fornito il primo bastone (e le relative palline), ossia l'unico strumento
veramente indispensabile per testare
il proprio talento golfistico. Insomma,
la spesa iniziale è relativa tenendo
conto che per arrivare a giocare sul
green occorreranno almeno otto
mesi.
Superata questa fase, si sostiene
l'esame teorico, passato il quale si ottiene il lasciapassare per il campo. E a
questo punto i costi salgono un po'.
L'accesso all'area di gioco (detta
“green fee”) costa infatti dai 40 ai 120
euro, ma soprattutto i circoli chiedono
l'iscrizione. Risparmiare su quest'ultima, per fortuna, oggi è possibile: di
solito, nei circoli non esclusivi, si dà un
contributo a fondo perduto di 200
euro più altri 100 come caparra, una
somma che viene restituita se l'anno
dopo non si rinnova l'adesione. Esistono poi varie formule di abbonamento. C'è chi riesce ad esempio a
cavarsela con 1.000 euro all'anno più
una quota per l'affitto dell'armadietto e il deposito della sacca-carrello. Oppure sono molto diffusi gli
abbonamenti a ingressi, un po' come
succede in piscina: con 700 euro si può
giocare durante l'anno per 35 volte. A
Milano, poi, c'è un privato che si è inventato un nuovo business che potrebbe rivoluzionare il mercato degli
abbonamenti: si tratta del “green pass
tour” che dà la possibilità anche ai
IMQ NOTIZIE N. 91
L'ABC DEL GOLF
SECONDO LA FIG
NDO
BUNKER
E' l'ostacolo artificiale di sabbia posto di solito a difesa del green
CAMPO
Può essere da 9 o da 18 “buche” composte nel modo seguente:
PAR 3
di lunghezza inferiore a 228 metri
PAR 4
di lunghezza da 228 a 434 metri
di lunghezza superiore ai 434 metri
PAR 5
CUP
E' la buca vera e propria dove far cadere la pallina
FAIRWAY
E' quella parte del percorso, con l'erba rasata, che sta tra il tee di
partenza e il green di arrivo
FLAG
E' la bandiera che indica dov'è posta la buca
GREEN
E' l'area di arrivo di ogni buca
OUT OF BOUNDS
Sono tutte le zone di terreno al di fuori del campo segnalate con paletti bianchi
PAR
Il par della buca è il numero di colpi stabiliti per completarla
ROUGH
E' la parte del percorso con l'erba incolta
TEE
E' l'area di partenza della buca
WATER HAZARD
E' l'ostacolo d'acqua che può trovarsi in qualsiasi parte del campo
e che è segnalato con paletti colorati
giocatori novellini di giocare sui campi
più importanti dietro adesione fittizia
a piccoli club di quartiere, versando a
questi ultimi solo 150 euro. In questo
modo, chi vuole avere a disposizione
un campo anche quando se ne va in
vacanza o si fa un weekend fuori
porta, ha molte più chance. Chi è arrivato a questo punto, nel frattempo si
sarà procurato anche l'attrezzatura
personale e anche in questo caso è
possibile contenere la spesa. Da Decathlon, per esempio, si trovano bastoni
a 40 euro. E poi c'è Internet: la Callaway, una delle più importanti aziende
produttrici di articoli per il golf, ha
messo in piedi un buon mercato dell'usato. Su eBay, invece, pare girino
parecchi prodotti contraffatti. In ogni
caso, l'opuscolo dimostrativo della Federazione spiega che all'inizio ba-
stano quattro o cinque bastoni; di
questi, servono almeno due ferri, per
tiri lunghi, medi e corti; poi un legno,
per quelli lunghi, e un putter, per i tiri
detti “in green”, cioè in buca. E qui
comincia il divertimento, anche perché si gioca tutti insieme, donne (con
qualche metro di vantaggio) e uomini, giovani e anziani. Certo, i più
lenti rischiano di rallentare il gioco, ed
è per questo che nei circoli più prestigiosi le schiappe non sono ben viste.
Il golf prevede infatti che per giocare
si debba avere il cosiddetto “handicap”, ossia, per i maschi, 28 colpi di
vantaggio sui 72 che servono per completare il percorso di 18 buche (nei
campi da 9 bisogna fare due giri), e 34
per le femmine. Chi gioca sul serio,
poi, sa tutto anche sul bon ton del
golf, che tra le altre cose dice di ri-
mettere a posto le zolle dopo aver tirato e di aspettare che gli altri giocatori si siano allontanati prima di
procedere con il colpo. Soprattutto, il
giocatore ambizioso sa che ad alti livelli non sarà più possibile girare con
una sacca sguarnita e un abbigliamento poco curato, ma si tratta di un
problema che non scoraggia i dilettanti, che secondo la FIG sono in crescita
costante
dal
1998.
Il
tesseramento libero, in particolare,
avrebbe prodotto un ulteriore incremento: la Federazione calcola oltre
5.800 “liberi” nel 2008, con con una
crescita rispetto all'anno prima del 31
per cento. Basta non scoraggiarsi
dopo aver perso una quantità indefinita di palline...
59
LIBRI, FILM, VIDEO, MUSICA
come metamorfosi affonda le
sue radici nella religiosità mediterranea. Per questo D'Arrigo
ha potuto creare un epos moderno, riprendendo, come
Joyce nell'Ulisse, un tema mitico: perché in un'età in cui il
mito dominante è quello di dissolvere i miti arcaici, solo la tragedia incommensurabile della
loro perdita può essere il tema
della tragedia.
LIBRI
DANUBIO
Claudio Magris
Garzanti, 2006
FONTAMARA
Ignazio Silone
Oscar Classici
Mondadori, 1988
Un fiumiciattolo usato per irrigare i campi è all'origine della
catastrofe dei cafoni di Fontamara, impotenti di fronte ai
padroni che ne promettono la
divisione “tre quarti e tre
quarti”, e la cessione dei diritti
dopo non cinquant'anni, ma
“soli” dieci lustri, ma nessuno
sa quanto siano. Dalla prepotente deviazione di un rigagnolo Silone traccia uno
sconfortante ritratto del proletariato, che beffardamente
trova nella coscienza di classe
la fine violenta delle proprie
sofferenze.
Seguire il percorso dei fiumi
può essere il modo più fluido
per raccontare la storia dei
paesi e delle città che l'acqua
incontra nel suo corso. Lo fa
Claudio Magris in “Danubio”:
un libro che è insieme reportage, saggio di storia, geografia culturale. Ma è soprattutto
testimonianza di quella mitteleuropa dall'identità aperta e
continuamente in questione, a
sfidare le barriere culturali dei
Reich di ogni tempo.
HORCYNUS ORCA
Stefano D'Arrigo
Rizzoli, 2003
TRE UOMINI
IN BARCA
Jerome K. Jerome
Feltrinelli, 2003
Seguendo la corrente del
fiume, i tre amici Jerome, Harris e George, assieme al fido
Montmorency, viaggiano per
giorni sulla loro fragile imbarcazione, scorrendo lungo le
campagne inglesi, e vivono
sempre nuove e inattese avventure che strappano risate di
continuo. Una serie di gag comiche sulle gioie e sui dolori
della vita in barca, nel miglior
stile dello humor inglese, condite di descrizioni realistiche
delle regioni attraversate dalla
simpatica brigata e brevi notazioni di filosofia per non addetti ai lavori.
Horcynus Orca è un mitico e
epico poema della metamorfosi. La concezione del mondo
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IMQ NOTIZIE N. 91
POESIA FIABE
MUSICA FILM
L’Allegria
I FIUMI
Giuseppe Ungaretti
Mondadori, 2005
…… omissis
Ho ripassato
Le epoche
Della mia vita
Questi sono
I miei fiumi
Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil’anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre.
Questo è il Nilo
Che mi ha visto
Nascere e crescere
E ardere d’inconsapevolezza
Nelle distese pianure
Questa è la Senna
E in quel suo torbido
Mi sono rimescolato
E mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
Contati nell’Isonzo
Questa è la mia nostalgia
Che in ognuno
Mi traspare
Ora ch’è notte
Che la mia vita mi pare
Una corolla
Di tenebre
FIABE ECOLOGICHE.
LA GUERRA
DELL’ACQUA
E ALTRE STORIE
Roberto Melchiorre
Ianieri, 2009
Tre fiabe in cui i cattivi non
sono più lupi e streghe, orchi e
draghi, ma chi oltraggia l'ambiente e priva i bambini (ma
anche gli adulti) del godimento
della natura.
Età di lettura: da 8 anni.
RIDE ACROSS
THE RIVER
Brothers in Arms
Dire Straits,1985
“Brothers in arms” è tutt’oggi
l’album più rappresentativo
della band sudlondinese dei
Dire Straits. Siamo nel 1985 e
l’album entra nel Guinness dei
Primati per essere il primo
disco a raggiungere il milione
di copie vendute in supporto
CD.
“Brothers in arms”appartiene
a quell’ampia schiera di album
rappresentativi della storia del
rock, uno di quei lavori che
non possono mancare nella
collezione di tutti gli appassionati di questo potentissimo
mezzo di comunicazione. Un
successo meritato, il suo, che
ha iscritto i Dire Straits nella
lunga lista dei più grandi esponenti del pop internazionale.
LA LEGGENDA
DEL PIANISTA
SULL’OCEANO
Regia di
Giuseppe Tornatore
Con Tim Roth
e Pruitt Taylor Vince
Italia, 1988
Trovato in fasce il 1° gennaio
1900 a bordo del transatlantico Virginian, T.D. Lemmons,
detto Novecento, cresce sulla
nave, impara a suonare il
piano, diventa l'attrazione dell'orchestra di bordo e non ne
scende mai. Quando la nave in
disuso sta per essere demolita
con la dinamite, il suo amico
Max (P.T. Vince) è convinto che
sia ancora a bordo.
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PANORAMA NEWS
ANIE
CEI
L’INTERA FILIERA DEL
FOTOVOLTAICO UNITA
IN UN COMUNE OBIETTIVO
DI SVILUPPO DEL MERCATO
IL CEI AGGIORNA
LA PIATTAFORMA
E-LEARNING "PROFCEI"
Trasmessa al Ministro Scajola e al Ministro
Tecnici e Professionali di tutta Italia
Prestigiacomo la proposta sul nuovo Conto
Energia condivisa da GIFI aderente a Confindustria ANIE, APER E ASSOSOLARE
GIFI (Gruppo Imprese Fotovoltaiche Italiane), aderente a Confindustria ANIE, APER ed ASSOSOLARE, hanno inviato al Ministero dello Sviluppo Economico e al Ministero dell’Ambiente
una posizione condivisa inerente la revisione del Conto Energia al 2011. Come previsto all’art. 6, comma 3 del DM 19
febbraio 2007, infatti, per gli impianti fotovoltaici che entreranno in esercizio negli anni successivi al 2010 dovranno essere ridefinite con apposito decreto le tariffe incentivanti,
tenendo conto dell’andamento dei prezzi dei prodotti energetici e dei componenti per gli impianti fotovoltaici.
Dopo un lungo e impegnativo lavoro di analisi che ciascuna
delle suddette Associazioni ha condotto al proprio interno,
le stesse hanno successivamente ritenuto opportuno condividere i risultati ottenuti e convergere verso un proposta unitaria di revisione del conto energia, che possa garantire
continuità alla crescita del mercato del fotovoltaico.
Le tre Associazioni hanno voluto così avviare e accelerare il
processo di consultazione con i Ministeri preposti alla definizione del decreto interministeriale, auspicando che si giunga
entro l’anno, come tra l’altro annunciato più volte dallo stesso
Governo, alla sua pubblicazione. Ciò scongiurerebbe tutti gli
ulteriori effetti negativi sul mercato del crescente clima di incertezza che ha già caratterizzato il semestre in corso.
Ufficio stampa Confindustria ANIE
Tel. 02 3264.818 - 211
[email protected]
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Il progetto didattico online per gli Istituti
Anche quest'anno, già a partire dal mese di ottobre, la piattaforma e-learning “ProfCEI” è ripartita con i corsi gratuiti
per l'anno scolastico 2009/2010 ed importanti aggiornamenti.
A sette anni dalla sua attivazione - oltre 700 gli Istituti che
hanno aderito all'iniziativa, per un totale di circa 1.384 professori e 4.300 studenti - ProfCEI è stato aggiornato con una
serie di lezioni arricchite da grafici e figure, corredate da esercitazioni e test.
Un’intera lezione del corso di impianti elettrici per le classi IV
e V è stata dedicata all’attuale e dibattuto argomento della
"Qualità dell’energia elettrica". Al termine della lezione lo
studente acquisisce le principali nozioni sui disturbi elettrici
che possono causare un basso livello di Power Quality. I principali aspetti evidenziati sono: l’interruzione dell’alimentazione elettrica, le variazioni della tensione, dissimmetrie e
squilibri, distorsioni della forma d’onda, Flicker, la legislazione
europea, le norme europee EN e le norme CEI di riferimento.
Un’altra nuova lezione è interamente dedicata al recente
“Decreto ministeriale 37/08”, presentando la struttura del
decreto, l’ambito dell’applicazione, le imprese abilitate,
l’estensione della redazione del progetto rispetto alla legge
46/90, le competenze tecniche richieste dal decreto, il criterio di realizzazione ed installazione degli impianti tecnologici
e la dichiarazione di conformità alla regola dell’arte.
Sull’onda del gradimento riferito nelle precedenti edizioni per
i contenuti multimediali ed interattivi, fin dal primo giorno
dell'anno scolastico 2009/2010 sono a disposizione tutti i
nuovi contenuti completati con animazioni flash, fogli di calcolo MS Excel scaricabili per la simulazione di problemi e fenomeni elettrici a diversi livelli di approfondimento ed esercizi
numerici svolti.
Due interessanti animazioni flash sono presenti nella nuova
lezione sulla “Qualità dell’energia elettrica” e nelle pagine
“Qualità dell’energia elettrica” e “Distorsione della forma
d’onda di tensione e corrente”.
Segnaliamo in aggiunta nella lezione “Cavi per Energia in
MT” pagina “Portata”, un nuovo foglio di calcolo per il di-
IMQ NOTIZIE N. 91
mensionamento di una linea elettrica a carichi distribuiti, e
nella lezione “Correnti di Cortocircuito – Calcoli” nella pagina “Metodo MVA”, un foglio Excel per il calcolo della corrente di cortocircuito.
ProfCEI è il progetto didattico on line CEI nato allo scopo di
fornire un supporto per la formazione dei futuri professionisti del settore attraverso la preparazione di corsi di sostegno
all'apprendimento svolti in conformità agli attuali orientamenti ministeriali.
Il coordinamento e supervisione, è stato affidato dal CEI al
Professor Angelo Baggini, docente della Facoltà di Ingegneria dell'Università degli Studi di Bergamo.
I corsi gratuiti di web learning ProfCEI sono dedicati alle classi
III, IV e V degli Istituti Tecnici e Professionali di tutta Italia con
indirizzo di Elettrotecnica, Elettronica ed Automazione. L’adesione al ProfCEI è totalmente libera e gratuita per tutti gli Istituti d’Italia che aderiscono all’iniziativa.
Per ulteriori informazioni, è possibile visitare il sito
http://profcei.ceiweb.it
ANIE SERVIZI INTEGRATI
BANDI DI GARA IN UN CLICK
Continua la convenzione ANIE Servizi Integrati e IMQ per la promozione del servizio
di segnalazione delle gare d’appalto
In un’unica e-mail la segnalazione di tutte le gare di appalto
pubblicate sugli organi ufficiali nazionali e comunitari, per lavori, forniture e servizi. È questo il “servizio di segnalazione
gare” di Anie Servizi Integrati, che viene proposto ai clienti
IMQ a condizioni agevolate.
Il servizio segnala quotidianamente le gare d’appalto a livello
nazionale e comunitario per lavori, forniture e servizi. Grazie
ad un’approfondita conoscenza dei settori elettronico, hightech e settori contigui, il servizio è in grado di fornire un’informazione specifica ma soprattutto mirata. Un sistema
sofisticato di profilazione dell’utente consente di segnalare
solo i bandi di interesse.
L’abbonamento comprende, oltre all’invio quotidiano dei
bandi, una serie di servizi a valore aggiunto gratuiti
In particolare:
- Sportello Appalti: risposta via e-mail a quesiti sulla partecipazione alla gara
- Newsletter “Appalti Oggi”: bollettino mensile di informazione e aggiornamento
- Segnalazione dei vincitori di gara
Il Servizio offre, a chiunque sia interessato, un periodo di
prova assolutamente gratuito della durata di un mese, al termine del quale può decidere o meno di sottoscrivere l’abbonamento.
Per informazioni:
Assistenza commerciale
tel. 023264290
[email protected]
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BREVI IMQ
Calendario IMQ 2010
Gli auguri di IMQ
Nel calendario IMQ 2010 Ampère veste i panni dell’investigatore: il detective della qualità. Quella verificata e certificata da sempre dalle società del Gruppo IMQ. Nel
corso dei 12 mesi i grandi investigatori polizieschi del cinema, della Tv e della letteratura - tenenti, detective privati, ispettori famosi - vengono via via interpretati dalla
nostra mascotte. Personaggi di grande intuito e sempre
attenti ad ogni dettaglio: la stessa attitudine che caratterizza gli operatori del Gruppo IMQ, sempre pronti a
verificare e certificare la qualità, l’efficienza e la sicurezza
all’interno delle aziende e nelle case degli italiani. Una
missione portata avanti ogni giorno con passione e creatività.
Una Renna che per Natale chiede dei parazoccoli antiscivolo e antincendio, Babbo Natale che esprime il desiderio di una slitta con air-bag e climatizzatore, un albero
di Natale che la notte del 24 dicembre vorrebbe avere
sulla sua cima una stella vera e un biscotto natalizio che
vorrebbe un forno in grado di moltiplicarlo il più velocemente possibile.
Sono i divertenti auguri di IMQ per il Natale 2009. Giocati sull’ironia, su una grafica che rispetta i canoni classici
del Natale e su una piccola idea in più: il biglietto, infatti,
può essere ritagliato creando dei simpatici segnalibri da
utilizzare per le vostre letture.
Nuovo sito IMQ
Pronti per una nuova navigazione? E allora appena possibile, con il nuovo anno, collegatevi al sito www.imq.it,
Lo ritroverete completamente ristrutturato e rinnovato.
Nuova grafica, nuova alberatura, nuova modalità di interrogazione. Il tutto con un unico obiettivo: rendere
tutti i servizi e le informazioni offerte da IMQ di rapido
accesso e facile consultazione. Per vedere se ci siamo riusciti vi aspettiamo per un giro on line. Buona navigazione.
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Pubblicità IMQ
We love you! È questa l’head line della campagna
stampa voluta da IMQ per concludere il 2009 e iniziare il
nuovo anno con un pensiero di amore.
We love you. E sapete perché? Perché portiamo sicurezza
e qualità nelle vostre case e nella vostra vita quotidiana.
Perché lavoriamo concretamente per il rispetto dell’ambiente. E lo facciamo da quasi 60 anni, sempre con la
stessa passione. Ogni giorno. Se questo non è amore...
La campagna sarà pubblicata su Corriere della Sera e Il
Sole 24 ore.
IMQ NOTIZIE N. 90
CURIOSITÀ
15 COSE DA NON FARE (IN BARCA)
I marinai sono superstiziosi?
Molto. E per questo è bene
ricordare i principali comportamenti da evitare
quando si sale a bordo.
1) indossare abiti di un
altro marinaio
2) fare cadere fuori bordo
un bugliolo o una scopa
3) imbarcare un ombrello,
bagagli di colore nero e
fiori
4) guardare alle proprie
spalle quando si salpa
5) salire a bordo della nave
con il piede sinistro
6) poggiare una bandiera
sui pioli di una scala o ricucirla sul cassero di
poppa
7) lasciare le scarpe con la
suola verso l’alto (presagio di nave capovolta)
8) accendere una sigaretta
da una candela
9) evitare il suono prodotto dallo sfregamento
del bordo di un bicchiere o di una tazza
10) evitare il rintocco della
campana di bordo se
non mossa dal rollio
11) pronunciare le parole:
verde, maiale, uovo, tredici, coniglio
12) parlare di una nave affondata o di qualcuno
annegato
13) cambiare nome a una
barca o battezzarla con
un nome che finisce con
la lettera “a”
14) indossare un orecchino
d’oro (usanza antica che
serviva a coprire le spese
di sepoltura qualora il
marinaio fosse deceduto)
15) toccare il solino o la
schiena di un marinaio
Ma soprattutto, tutti concordi superstiziosi e non: in
barca è vietato augurare
buona fortuna.
Benvenuto invece il classico
“in bocca al lupo” o, ancora
meglio, “buon vento”!
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BRAVI, BRAVISSIMI PER UN AMBIENTE DI QUALITÀ