Lisa Bregantin
PER NON MORIRE MAI…
LA PERCEZIONE DELLA MORTE IN GUERRA E IL CULTO DEI CADUTI
NEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE
Per non morire mai…
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INDICE DELLA TESI
Introduzione, p. 1
Capitolo primo
LA MORTE E I MORTI DURANTE LA GUERRA
Percezione della morte e regolamenti, 7 – L’accertamento della morte, 14 – La
comunicazione delle notizie, 17 – L’identificazione delle salme e del loro luogo
di sepoltura, 27 – Le condizioni oggettive del funzionamento del servizio di
identificazione delle salme e registrazione delle sepolture, 37 – L’aspetto sanitario, 30 – I cappellani militari, 48 – Inadempienze, 53 – Alla ricerca della
tomba, 56 – Conclusioni, 60.
Capitolo secondo
I PRIMI CIMITERI. NECESSITÀ, CONTINUITÀ, “RELIGIOSITÀ”
Religione e religione. Primi passi per un nuovo culto, 62 – Culto e tombe, 67 –
La tomba: un legame con il suolo, 71 – La terra segnata, 73 – Il “prezzo” delle
tombe, 81.
Capitolo terzo
L’ORIGINE DEL CULTO: LA COMUNITÀ DEI SOLDATI
Introduzione al capitolo, 85 – Comunità del fronte, 86 – Comunità di compagni, 99 – La morte dei compagni, 104 – Il patto, 109 – Un culto umano, un
culto di soldati, un culto militare, 130.
Capitolo quarto
PROPOSTE COMMEMORATIVE SVILUPPATESI DURANTE IL CONFLITTO
Introduzione al capitolo, 132 – Perrucchetti, Morelli, Morrone, Boselli, 132 – La
Società di Solferino e S. Martino, 141.
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Capitolo quinto
I PRIMI ANNI DOPO LA GUERRA. 1919 E DINTORNI
Introduzione al capitolo, 148 – La situazione delle salme e dei cimiteri, 148 –
Versailles. Il peso dei morti, 167 – Le zone sacre, 171 – Conclusioni, 178.
Capitolo sesto
UN RIPOSO PER I CADUTI
Introduzione al capitolo, 179 – La restituzione delle salme, 179 – Proposte e
intendimenti. Gli anni venti, 187 – L’Albo d’Oro, 192 – I cimiteri, 196 – Le leggi
degli anni trenta, 204 – I sacrari degli anni trenta, 206 – Chi resta… Cosa resta…, 212.
Bibliografia, p. 215
Fonti, p. 226
APPENDICE
Per non morire mai…
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Sintesi della tesi
Studiare la guerra o anche semplicemente parlarne significa, a priori, parlare
di morte e morti, o meglio di caduti. Ciò è talmente naturale che spesso non ci
si sofferma su chi e cosa siano i caduti, su cosa avvenga di loro, dei loro corpi,
della loro memoria. Questo è ancor più vero, ed è quasi paradossale, per la
Grande Guerra. Spesso il monumento in città o in paese è scambiato per la
tomba dei caduti, non perché si creda veramente che i monumenti custodiscano dei resti, ma perché è tale l’abitudine di non associare alla parola caduti
dei corpi reali, che il monumento diventa a tutti gli effetti una tomba, e lo fu,
in realtà, una tomba simbolica per molte famiglie che non potevano raggiungere i cimiteri lontani dove riposavano, figli, fratelli, mariti, padri. Lo sdoppiamento dei luoghi di culto – monumenti e cimiteri – ha portato nel tempo a
trascurare nella memoria sia il prodotto dei vecchi cimiteri di guerra, ovvero i
sacrari, sia la loro evoluzione. È proprio questa evoluzione che si è cercato di
ricostruire seguendone tutte le fasi dai giorni di guerra alla definitiva sistemazione delle salme nei sacrari. Tuttavia non si può dimenticare che cimiteri
e sacrari non sono semplici contenitori di resti, ma la risultante di spinte e
passioni di uomini e soldati nate dal rapporto che questi hanno avuto con la
guerra e la morte in guerra. Perciò per capire le scelte legislative, artistiche e
logistiche di questi luoghi di culto è stato fondamentale anche studiare parallelamente le rielaborazioni di questi uomini, e di questi soldati delle passioni
vissute.
Questa necessità di avvicinarsi alla morte, implica anche un incontro-scontro
con il sacro, con la religione, che non si riscontra solo nell’attaccamento alla
fede, ma anche e soprattutto nella ricerca di un linguaggio adeguato ad
esprimere l’inesprimibile: il significato del sacrificio della vita. La religione
cristiana tutta imperniata sul significato del sacrificio di Cristo, della sacralità del sangue versato, è il veicolo più adatto per la creazione di una religione
laica che trova i suoi martiri nei caduti, i suoi santi nei combattenti, il suo paradiso nel ricordo di chi resta, nella madre, nei figli, nei compagni, nella patria.
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Questo legame tra sacrificio e guerra porta, già durante il conflitto, a pensare
e a proporre molte soluzioni per non dimenticare. Necessità private per le famiglie, pubbliche per lo stato, il quale ha i maggiori problemi nel proporsi
come centro focale di tutti i movimenti che ruotano attorno ai caduti.
Nel dopoguerra, sia per motivi economici che politici e sociali, lo stato annaspa per trovare una via che riconoscesse i sacrifici e le sofferenze del conflitto,
ma non le sue atrocità; che rendesse onore ai caduti, ma che non ne ricordasse
il numero enorme; che festeggiasse la vittoria, ma non la sua sconfitta.
Così quello che già si annunciava come un difficile passaggio, tra la gestione
militare e provvisoria delle salme dei caduti, ad una definitiva e civile, diventa
un affannoso costituirsi di comitati cittadini, di Commissioni Nazionali guidate dal governo, che distribuiscono competenze e dipendenze di difficile comprensione oggi, e scarsa efficacia allora.
L’arrivo del fascismo, che si arroga il titolo di unico interprete dei nuovi valori
nati dalla guerra, non velocizza, in realtà – almeno sul piano legislativo – la
sistemazione dei caduti. La soluzione dei sacrari, è solo la risultante di molteplici spinte createsi nel corso degli anni per la sistemazione dei caduti – molte
di esse già presenti durante la guerra o negli anni immediatamente successivi
–, tra le quali il fascismo risulta l’esecutore principale.
Le fonti utilizzate, spaziano dai documenti letterari (memorie, diari, lettere),
ai documenti a stampa (articoli di riviste e opuscoli di vario genere); ai documenti archivistici (Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore
dell’Esercito; Archivio Centrale dello Stato; Commissariato per le Onoranze ai
Caduti in Guerra). Oltre ai problemi dell’utilizzo in campo storico di documenti letterari, di cui si parla all’interno dei capitoli, le maggiori difficoltà si
sono incontrate con le fonti archivistiche, che abbondanti e particolareggiatissime per gli anni della guerra e dell’immediato dopoguerra, tendono a scarseggiare per gli anni successivi.
ANNO ACCADEMICO: 2004/2005
RELATORE: Prof. Mario Isnenghi
CORRELATORE: Prof. Alessandro Casellato, Prof. Nicola Labanca (esterno)
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Capitolo II
I PRIMI CIMITERI
Necessità, continuità e ‘religiosità’
Religione e religione. Primi passi per un nuovo culto
La tomba del santo fu dichiarata proprietà pubblica, come mai lo fu la tomba di alcun
altro. Essa fu resa accessibile a tutti e divenne il punto focale di forme di culto estese a
tutta la comunità1.
Può sembrare eccessivo partire con una citazione di uno studio che tratta di religione, di santi, e delle prime forme di insediamento del culto di questi ultimi.
Eccessivo, perché secondo la mentalità corrente, non può esistere, se non in
forma superficiale, decorativa e ad uso esclusivo del potere, un certo tipo di religiosità laica.
Innanzi tutto, parlare di ‘religiosità laica’ non significa parlare di una semplice
trasposizione di credenze e culti da un ambito religioso ad uno civile, operando
una banale scelta di criteri calibrata sulle necessità del momento; quanto piuttosto di una autorisposta da parte di una società – intesa nel suo popolo e nelle
sue istituzioni – in evoluzione e mutamento, dove circostanze nuove, come appunto questa guerra, impongono soluzioni di continuità con il passato che allo
stesso tempo rispondano anche ad esigenze nuove. La guerra, agendo sulle tradizioni legate ai morti e alla morte, crea una sorta di terreno di passaggio attraverso il quale, nel tempo anche uno stato, pur sfruttando tipologie di culto ben
note e radicate, riesce a proporre una forma di culto sua propria tendente a
legittimare se stesso attraverso la duplice forma del sacrificio di se e
dell’eroismo2; la prima di ascendenza cattolico/cristiana e la seconda più tipicamente classica3.
1 Peter Brown, Il culto dei santi. L’origine e la diffusione di una nuova religiosità, Einaudi,
Torino 2002, p. 17.
2 “E furono per desiderio espresso di S. E. il Comandante dell’Armata oltre alla celebrazione
delle cerimonie religiose, fatte ovunque delle commemorazioni intese ad esaltare i fratelli caduti, a tenere alta la memoria e la riconoscenza agli estinti, a venerare i tumuli sacri alla gloria e all’avvenire d’Italia, ad incitare le truppe con l’esempio dei prodi, a perseverare con costanza alla necessità della lotta”; Relazione periodica sul servizio delle notizie della I^ Arma-
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L. BREGANTIN
In ambito cristiano si parla sia di martirio4 che di sacrificio; il primo termine si
riferisce ai testimoni della fede, cioè i santi; il secondo, invece, è proprio della
figura di Cristo. La differenza tra i due termini è molto sottile ma essenziale per
capire con quale logica essi vengano usati all’interno del conflitto. Il martire è
colui che accetta volontariamente sofferenza e morte per testimoniare ciò in cui
lui crede; sofferenze e supplizi gli vengono inferti da persone o autorità contrari
ad essi, quella del martire è in sostanza una volontà passiva5. Il sacrificio, invece,
ta, 18 dicembre 1917, in A.U.S.S.M.E., fondo E-1, cart. 56, fasc. Relazioni periodiche 19161917-1918-1919.
3 “Se l’antica costumanza druidica dovesse rivivere la iniziazione del culto della patria, avverrebbe colà tra l’alte colonnate di pini tra i faggeti e le abetine.
Se è vero che le ragioni della poesia e della bellezza prevalgono, forse sarà concesso a questi
maceri eroi della triste guerra viaggiare i campi della beatitudine assieme ai semidei dei fulgidi cicli trascorsi.
Ma, io credo, l’aquile della patria, nei loro voli precipiti si poseranno ove più copioso corse il
sangue degli eroi maceri.”; Ugo D’Andrea, I bivacchi della gloria. Tre anni con i fanti della
Brigata Liguria, L’Eroica, Milano 1919, p. 81.
4 Il martirio, è il sacrificio supremo di se per affermare il proprio credo; questo sacrificio, non
è rappresentato solo dalla morte, ma anche e soprattutto dalla sofferenza che la precede, è
proprio la sofferenza che avvicina il martire a Dio, sia perché questa ripercorre le sofferenze
di Cristo per salvare l’umanità, sia perché sopportare una sofferenza disumana, è un chiaro
segno di una presenza divina accanto al martire. Il concetto di sofferenza proposto dalla guerra non è così lineare, innanzi tutto perché in esso si fondono, spesso fino a non distinguersi
più volontarismo, eroismo e umanità. Questi tre termini possono riassumere a grandi linee
idee, pulsioni, occasioni, che portano il soldato al suo martirio. Fino a che punto un atto possa
dirsi volontario o casuale non è facile distinguere. Riguardo volontario e casuale, è necessario
precisare che in questa fase di azione, cioè nel momento in cui il nuovo martire, per così dire,
compie o subisce il gesto che lo porterà alla morte, il termine volontario ha molti significati e
non solo quello canonico del soldato che per ideale si arruola nell’esercito ancor prima di essere obbligato a farlo. In questa situazione specifica la volontà è molto più vicina
all’irrazionalità. Resta chiaro però che questo non squalifica il gesto, ma lo inserisce nel terreno di passaggio della sofferenza dove uomo e Dio si incontrano, e il secondo aiuta il primo
nella sopportazione. Dev’essere dunque chiaro, che in questa sede non si discute di volontarismo storico, quanto piuttosto di volontà irrazionale nei gesti degli uomini di fronte alla morte.
Per noi oggi è quasi impossibile definire questo gesto; questa impossibilità non è data solo
dalla distanza temporale dagli eventi e dalle logiche che li hanno determinati, ma dai fatti
stessi. Infatti, se il martirio cristiano si caratterizza per la singolarità dell’evento e per
l’individualità spiccata di chi lo subisce, e proprio in quest’individualità si può rintracciare la
potenza del privilegio divino, per il martirio di guerra, invece, si assiste ad un processo inverso, il numero e la generalizzazione delle esperienze diventano la strada privilegiata per arrivare al divino. In effetti, seguendo la logica cristiana, solo un intervento divino poteva permettere a tanti uomini di sopportare la guerra e se necessario soccombere ad essa. La sofferenza
non ha più, dunque, solo un significato, ma migliaia di significati tanti quanti sono i soldati
che la sopportano, e la somma di queste sofferenze porta alla redenzione. A questo punto, le
strade tra la religione cristiana e la religione laica si distanziano, perché è qui che la seconda
ha necessità di affermarsi nel suo aspetto nuovo.
5 “Ci batteremo, ci faremo ammazzare tutti, dal Re all’ultimo fantaccino, ma non passeranno.
Passeremo noi, perché la ci chiamano le terre irredente antiche e nuove, perché ci chiamano i
vivi, perché di la ci chiamano i morti, perché di la ci chiamano i nostri martire da Cesare Battisti a Nazzario Sauro, agli altri cento, che, dopo aver affrontato il pericolo, affrontarono
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anche etimologicamente, rappresenta un’offerta volontaria a ciò che si ritiene
sacro, è una volontà attiva: Cristo, pur potendo sottrarsi alla propria morte sceglie di accettarla per salvare l’umanità. Durante la guerra, viene fatto uso di
entrambi i termini, ma quello che in realtà è sempre più spesso abbinato al concetto di ‘eroi caduti’ è sacrificio; infatti, la morte del soldato in battaglia viene
spesso paragonata a quella di Cristo6, cioè ad un’offerta volontaria per la salvezza: la salvezza della patria, di un compagno, di una posizione. Mentre Battisti, caduto in mano del nemico e per mano del nemico, accetta il proprio martirio, il soldato che muore in azione compie un sacrificio7. Se per la religione cristiana e quella pagana, il sacrificio è un’offerta a qualcosa che si ritiene sacro, in
questa guerra la morte di un soldato è ciò che rende sacro quello per cui muore.
Una nazione, una patria, uno stato, sono tali non solo perché così sono stati definiti, ma perché qualcuno accetta di morire per essi. Il sacrificio laico diventa
così un atto di legittimazione e di affermazione di un gruppo su altri gruppi. Il
sacrificio del soldato in guerra – tanto quello di chi muore quanto quello di chi
resta – è la dimostrazione dell’esistenza di un gruppo che si fonda non solo su
tradizioni comuni, su un potere, su una società, ma soprattutto su una sofferenza condivisa a tutti i livelli: “Credo nella Patria, e muoio per ricordare che alla
Patria la vita del cittadino è dovuta, senza ragione, senza speranza, per il
compimento di un rito civico immortale, per l’edificazione degli italiani che saranno. Questo, e non altro”8. L’affermazione del gruppo attraverso la sofferenza,
l’ausrtiaca forca, ci chiamano gli appiccati di Praga e di Loben.”; Leonida Bissolati, Diario di
guerra, Einaudi, Torino 1935, p. 120.
6 “[…] quando si vorrà dipingere l’anima forte e semplice del nostro popolo soldato, tale e
quale l’abbiamo vista e toccata quasi con le nostre mani, attraverso alle sue carni aperte, si
dovrà mettere in rilievo che nessuna forza fu dotata di maggiore espansione consolatrice e
corroborante, del Cristo Crocifisso. Questa è una convinzione che abbiamo acquistata, non
dai libri scritti apposta per fare l’apologia della religione, ma dai fatti ordinari e straordinari
costanti nei lunghi anni di guerra.”; Reginaldo Giuliani, Le vittorie di Dio. Note ed episodi
della trincea, Stella di S. Domenico, Torino 1936, p. 7.
7 È interessante a questo proposito, un testo pubblicato nel 1925, del quale non si possiede il
titolo completo, mancando copertina e frontespizio nella copia posseduta dalla Biblioteca di
Storia Moderna e Contemporanea di Roma. Il testo in questione si presenta diviso in tre capitoli, intitolati rispettivamente: MARTIRI, CADUTI, MORTI. Essendo un testo che vuole
ricordare i combattenti trentini per l’Italia, i Martiri sono rappresentati da Chiesa, Filzi e Battisti; i Caduti, da tutti i soldati trentini morti in combattimento; i Morti, sono, invece, quei
soldati che sono morti prima di raggiungere il fronte o per malattia non direttamente in zona
di guerra.
Questo testo è importante perché propone una differenziazione della morte all’interno
dell’eroismo che appiattisce. Anche per la memoria, come per le pensioni, è importante come
si muore. La distinzione dei termini, poi, sottolinea un avanzato grado di elaborazione del
culto degli eroi caduti, che nel 1925, si presenta molto più vicina ad uno spirito di combattente piuttosto che di quello del fascismo al potere.
8 Eno Mecheri (a cura di), Testamenti della Grande Guerra, Carnaro, Milano 1937, p. 68, Alberto Caroncini.
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L. BREGANTIN
non ha un semplice scopo nell’immediato, ma la funzione di creare una continuità con quello che sarà il futuro.
State sereni, che io ritornerò un giorno: avrò forse sofferto tutto il male dei nostri poveri
fratelli che vanno alla guerra, ma quelle sofferenze mi avranno fatto sentire, anche più,
che il sacrificio nostro (se sarò degno di parteciparvi anch’io) sarà benedetto e grande
perché fatto per il bene vostro, piccini d’oggi e uomini e madri di domani9.
Legittimare il gruppo significa garantire un futuro anche a chi muore grazie alla
glorificazione e la memoria che questo è in grado di assicurare per coloro che si
sacrificano per esso. Mentre il cristiano trova l’immortalità in Dio, il soldato in
guerra la trova nella memoria dei propri compagni, che sono il primo gruppo di
appartenenza, e nella memoria dello stato che rappresenterà poi, la somma di
memorie e di sofferenze. È dunque una memoria terrena strettamente legata
alla persistenza del gruppo che ha creato e che l’ha creata.
Numero e trascendenza, non sono solo delle diversità tra culto laico e culto religioso, ma sono anche un’espressione della modernità, sono la novità nella continuità (“Luigi Settino è l’eroe degli eroi, è un martire novo d’Italia, che col suo
sangue suggella romanamente la fede nell’avvenire. Il sangue dei martiri apre
alla patria, all’umanità nuove vie di civiltà e di progresso. O benedetto e puro
sangue fraterno come divino è il seme che tu spargi fra gli uomini. L’eterna
Clio l’eroico gesto di Luigi Settino nelle sue pagine immortali scrive a caratteri
d’oro, superba del novo ardimento. L’Italia su l’eroe si china e su la fronte
candida depone il bacio dell’immortalità10.”). L’affermazione del concetto del
numero, della maggioranza, sul singolo, non avviene semplicemente per necessità imposte dalla vita militare, ma anche percorrendo la via del fatto esemplare.
La figura dell’eroe11, esaltazione massima dell’individualità, funge da rappresentante della massa dei soldati; la forza del suo essere eroe non deriva solo dal gesto
personale ma dal fatto che alle spalle di quel atto ve ne stanno tantissimi altri12.
9 Giuseppe ed Eugenio Garrone, Lettere e diari di guerra 1914-1918, Garzanti, 1974, “Eugenio
ai bimbi Arullani, Moncalieri, 13 marzo 1916, p. 183.
“Caro babbo, serbate a mia memoria questi miei capelli, che vi diranno di me tante cose tenere e belle; mostrateli ai miei nipoti e dite loro che ovunque e sempre compii il mio dovere di
cittadino e di soldato, con santo entusiasmo e con lieto animo sacrificai la mia vita per la gloria e al grandezza d’Italia. Benedite vostro figlio, Arturo.”; Mecheri, Testamenti…, p. 46, Arturo Bonaccordi.
10 Antonio Magnani, Fiamme d’eroismo, Tipografia Operaia Romana, Roma 1921, pp. 16-17.
11 “Tra i molti figli gloriosi di questa grande famiglia, di massima luce rifulge per l’eroica sua
fine il soldato LUIGI SETTINO onore del 30° Reggimento Fanteria, e vanto di Cosenza, madre feconda ed orgogliosa di magnanimi prodi, temprati all’antica virtù.”; Magnani, Fiamme…, p. 15.
12 “[…] I vostri fratelli gloriosamente caduti, ai quali rivolgo il mio fervido e riverente saluto,
col loro nobile sacrificio hanno ben meritato della Patria, ed hanno lasciato a voi un prezioso
retaggio di gloria: ed io, in questo giorno – solenne e ricco di ricordi e di fasti per il vostro bel
Corpo – ve li porto ad esempio, ve li addito alla venerazione; ed ancora vi dico che l’Italia
Per non morire mai…
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A differenza della figura del santo che basa la sua fama nella particolarità,
quella dell’eroe si afferma come esempio di particolari virtù che però non sono
proprie solo del singolo, ma condivise dal gruppo a cui appartiene. Come
nell’antichità classica dove l’eroe è una figura di mediazione tra l’umano e il divino, così in questa guerra l’eroe è la mediazione tra la massa e l’ideale.
La guerra stessa impone a chi la combatte, a prescindere dal grado di cultura, di
crearsi dei meccanismi di sopravvivenza e accettazione dei fatti traendoli appunto dal proprio bagaglio culturale (“[…] Ah! Se una cosa mi piacque e mi
rallegrò lo sguardo nello scuro baratro della religione di Cristo, fu la visione
dei martiri! Ora altri martiri abbisognano, martiri e creatori, più belli dei
passati13.”). La religione cristiana è il terreno di maggiore comunicazione e vicinanza tra classi sociali differenti. Questa prevedendo, anche, un avvicinamento tra mondi sociali diversi proprio attraverso la sofferenza, favorisce attraverso di essa lo sviluppo di un linguaggio comune tra chi ha combattuto la
guerra14. Linguaggio che nasce dall’esperienza e che si concretizza in ambito
militare appunto attraverso il rapporto con le tombe e i cimiteri. La tomba del
soldato, infatti, diventa sempre più il centro focale di un rapporto incessante e
molto intimo tra vivi e morti proprio come lo è per quella civile, ma che sarà però destinata a diventare un luogo pubblico – come descritto dalla citazione iniziale – perché questo tipo di morti sono avvenute nella e per la comunità, sono
morti pubbliche prima che private.
Inizialmente l’organismo militare è l’unico luogo in cui il culto dei caduti attorno alle loro tombe, si esprime (“Là ove una semplice e rozza croce ricordava il
luogo di sepoltura di qualcuno dei nostri eroi si vede spesso un piccolo monumentino in cemento e in pietra che l’iniziativa e la pietà di questi custodi della
morte hanno saputo far sorgere; e per opera loro tali monumentini aumentano mano mano di numero, croci nuove sono apposte sulle tombe e in ogni
parte dei sacri recinti nascono fiori. E questi nostri soldati che onorano in tal
modo la memoria dei fratelli caduti compiono opera modesta ma pur grande
poiché conservano alle generazioni future le are presso le quali quelle si ispireranno, e, nel ricordo del sacrificio di tante giovani vite, avvieranno a sempre
guarda oggi a voi tutti con la stessa fede e con lo stesso orgoglio, col quale guardava i fieri soldati di Lamarmora.
Conservatevi sempre degni di loro, sicchè il vostro impetuoso apparire nelle battaglie sia
sempre simbolo di travolgente volontà di vittoria.”, Orazioni e proclami di S. A. R. Emanuele
Filiberto di Savoia Duca d’Aosta, a cura di un fante della Terza Armata, Zanichelli, Bologna
1926, pp. 49/50.
13 Mecheri, Testamenti…, p. 290, Arrigo Kers.
14 “Egli, gettando all’intorno uno sguardo acutissimo, con un accento secco e amoroso, che
ancor oggi mi suona nell’anima, gridò ai compagni che si lamentavano: ‘Fratelli, non piangete, ridete, ridete; è per Dio, è per la patria che si muore.’ Parole, così altamente eroiche, che si
sarebbe tentati di crederle una pia allucinazione, se non fossero state udite da molte orecchie”, Giuliani, Le vittorie…, pp. 47/48.
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L. BREGANTIN
maggiori destini la grande Italia nostra15”). Questo è dovuto a circostanze
oggettive quali l’esperienza di guerra e l’impossibilità di traslare le salme dal
luogo di inumazione16.
[…] che ragioni di ordine etico impongono che sia l’Esercito stesso a rendere alla memoria dei valorosi caduti l’omaggio doveroso, del quale nessuno, più dei compagni d’arme,
può sentire l’importanza morale e sentimentale17;
È questa un’assegnazione di ruoli che precede l’entrata dello stato politico
nell’universo dei caduti.
Culto e tombe
Sarebbe sbagliato partire a considerare la forma di culto assegnata ai caduti secondo la tipologia delle cerimonie contemporanee, che si presentano innanzi
tutto come prodotti adattati ad una società profondamente diversa da quella
che li aveva creati18.
Per entrare appieno nel culto, invece, è opportuno immergersi, sempre con occhio critico, non solo nella caoticità della guerra, ma anche in tutto quel bagaglio di tradizioni che il civile porta con se nella sua esperienza di soldato al
fronte e che mesce poi con tradizioni e usanze della nuova vita militare.
L’importanza data alla tomba, dunque, non avviene tanto dall’alto, come l’oggi
ci indurrebbe a pensare, quanto dall’impatto immediato e continuativo del soldato con la morte. Come si è tentato di spiegare nel capitolo precedente, le varie
procedure per il seppellimento e la creazione di cimiteri, sono una conseguenza
dell’esperienza sul campo; il soldato non aspetta la circolare per seppellire il
suo compagno, per onorarne la tomba, per alimentare la sua memoria;
Per la durata dell’azione fummo destinati ad altri lavori, non molto distanti, ma prima di
allontanarci, decidemmo con tre scalpellini e due bravi fabbri ferrai del drappello, che
nel prossimo giorno dei morti ci saremmo recati a mettere una lapide e una croce sulla
fossa del nostro superiore.
[…] Prima dell’alba eravamo in cammino, presto raggiungemmo il luogo della tomba,
mettemmo a posto solidamente la lapide e la croce. […] Attorno alla tomba di questo
eroe, martire del suo amore per la Patria e del suo dovere, promettiamo tutti di essere
Relazione periodica sul servizio delle notizie presso la I^ Armata, 13 luglio 1917; in A. U. S.
S. M. E., fondo E-1, cart. 56, fasc. Relazioni periodiche 1916-1917-1918-1919.
16 Vedi Cap. I°.
17 Comando Supremo, Riparto ordinamento e servizi, Onoranze ai caduti, 30 settembre 1919;
in A. U. S. S. M. E., fondo F-4, cart. 105, fasc. onoranze ai caduti.
18 Maurizio Ridolfi, Le feste nazionali,Il mulino, Bologna; Lisa Bregantin, Caduti nell’oblio. I
soldati di Pontelongo scomparsi nella Grande Guerra, Nuovadimensione, Portogruaro 2003.
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Per non morire mai…
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dei buoni cittadini e buoni figlioli.[…] Eravamo tristi, ma sollevati, come chi si è alleggerita la coscienza da un peso19.
Il soldato – inteso qui non solo nei termini stretti del suo grado, ma
nell’insieme degli uomini in prima linea e dei loro comandanti più vicini – agisce
non solo nelle forme in cui la guerra glielo permette, ma rispondendo anche a
tipologie di rapporto con le tombe che gli vengono dal suo ambiente di origine.
Per la strada che si fece abbiamo passato dei piccoli cimiteri e si vedeva la pietà dei compagni rimasti, che ad ogni tomba aveva la sua piccola croce e dei fiori. Queste cose verso
i morti, che volevano dire che erano sempre ricordati, mi fecero buona impressione, e
recitai una preghiera per quei poveri caduti20.
Queste righe, con le prime impressioni di un soldato appena giunto al fronte
negli ultimi mesi del 1915, trasmettono nella loro semplicità una serie di aspetti
fondamentali: il bisogno del soldato di una continuità con la vita che aveva appena lasciato, ed essendo la morte la paura maggiore, vedere dei cimiteri in ordine, quasi fossero quelli dei propri paesi, procura non solo sollievo per il fatto
che quello a cui si va incontro sia così non completamente ignoto, ma anche
una certa sicurezza nel fatto che dopo la morte ci sia ancora qualcosa; allo stesso modo questo passo evidenzia come da subito, siano i soldati ad occuparsi dei
propri morti, e non solo attraverso il seppellimento, ma anche con le cure normalmente dedicate ad essi anche nella vita civile – infioramento delle tombe,
ecc. – e questo ben prima delle circolari del ’16 e del ’17, che forniscono le principali direttive per questi servizi.
Inizialmente, cioè fino alla fine del 1916, come si apprende da una relazione stesa dal Comando Supremo del 30 settembre 1919, ogni Armata si occupava dei
propri caduti e dei propri cimiteri con criteri per così dire personali, “I cimiteri
erano stati, nei primi tempi, sistemati dalle varie Armate con criteri propri.
Così, mentre qualcuna aveva contrassegnato le tombe con croci in legno; altre
avevano usato croci in ferro; altre cippi in marmo o cemento; ecc. Questo,
senza contare i numerosi cimiteri [che erano n.d.a.] stati sistemati direttamente dai corpi, in vicinanza dei luoghi, in cui avevano combattuto. Anche i
modi di identificazione erano stati diversi. Così le generalità dei caduti su alcune tombe erano state scolpite in marmo; su altre impresse in lastre di zinco;
su altre ancora scritte su foglietti di carta ricoperte da una lastra di mica. Su
molte tombe poi, per necessità di cose, le generalità erano state scritte in lapis,
Natale Beccastrini, Ricordi, Società Editrice Dante Alighieri, Milano-Roma-Napoli 1918, pp.
61-63.
20 Pietro Ferrari, Vita di guerra e di prigionia. Dall’Isonzo al Carso, diario 1915-1918, Mursia, Milano 2004, p. 21.
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sulle croci erette sopra le tombe stesse21”. Questa indipendenza di gestione22,
da una parte ingenera le grosse difficoltà analizzate nel primo capitolo per
quanto riguarda il servizio di identificazione delle tombe e delle salme,
dall’altra però favorisce una grande espressività e varietà di approcci alla tomba
e ai cimiteri23.
E ho veduto poi quando le ondate vittoriose dei fanti precedevano avanti, ho veduto i
cimiteri improvvisati, alcuni enormi, vere necropoli popolate di croci, di erbe, di fiori, di
serenità, di silenzio; altri più piccoli, a ridosso di monti, o nel fondo di qualche vallata, o
sull’aspra pietraia carsica come piccole famigliole isolate; e in fine croci sperdute, lungo
il solco che sulla neve fanno i portatori coi muli, o isolate sul picco di qualche montagna,
o affacciatesi all’entrata di qualche caverna24.
Il soldato nella cura dei cimiteri esprime ciò che da sempre gli è stato insegnato
e cioè il rispetto per la morte e i morti25, tanto da provare disgusto quando questo
Comando Supremo. Riparto ordinamento e servizi, Memoriale per S. E. il Capo di Stato
Maggiore dell’Esercito, Presidente del Comitato per le onoranze ai caduti, 30 settembre
1919; in A. U. S. S. M. E., fondo F-4, cart. 105, fasc., onoranze ai caduti.
22 In realtà, anche con la famosa circolare 27900 del 16 ottobre 1916, che fornisce i criteri generali attraverso i quali procedere al seppellimento dei caduti e all’allestimento dei cimiteri,
non si unifica il servizio se non nei suoi aspetti normativi, per quanto riguarda l’applicazione
pratica, infatti, viene lasciata ampia indipendenza alle Armate e ai Corpi d’Armata.
23 “Essi [i cimiteri] però risentono della mancanza di unità d’indirizzo e della maggiore o minore buona volontà dei diversi Comandi a concedere personale, materiali e i mezzi per i necessari adattamenti. Cosicché si hanno dei cimiteri veramente monumentali, come quello di
Perteole ed il nuovo di Aquileja, altri ricchi di monumenti eretti dalla pietà dei commilitoni e
dei parenti (Drezenka, 11° Fanteria a Quota 99 del Calvario, Ponte di Legno ecc.) altri decorosi, ma semplici (Caporetto, Biacesa, Sagrado, Falcade, Temù,ecc.) altri appena passabili
(grosso, Caprile, Vallerisce, Isola Morosini ecc.), altri infine dove si contende il posto ai borghesi e si stenta a poter sotterrare i nuovi deceduti (Gravo, Santa Lucia Val di Sotto, Serpenizza ecc. ecc.).
Il cimitero di Muscoli, contenente 400 colerosi, venne sistemato in cemento armato con una
spesa di 20 lire per ogni tomba e quindi per un importo complessivo di 8000 lire. Colla stessa
proporzione di spese venne sistemato quello di S. Giorgio di Nogaro ed altri ancora. Sarebbe
stato più conveniente un adattamento più modesto ed adoperare il cemento risparmiato per
sostituire le croci in legno nei cimiteri di alta montagna, situati cioè sopra i 1500 metri, dove
il legno sepolto per lunghi mesi sotto la neve in poco tempo si rovina.
Inconvenienti simili si sono più volte verificati, ma non fu possibile intervenire e porvi rimedio, per rispetto all’autonomia conceduto a tale riguardo non solo a ciascuna Armata colla
circolare 27 aprile scorso N. 41721.”; Ufficio militare presso la Società di San Martino e solforino, Relazione sull’andamento del servizio di identificazione e registrazione delle salme e
delle sepolture dei militari morti nell’attuale guerra, durante l’anno 1917; in A. U. S. S. M.E.,
fondo L-3, cart. 262, fasc. Cimiteri caduti.
24 Raffaele Paolucci, Per quelli che più non ritornarono, Stab. Tip. Francesco Giannini, Napoli 1919, p.11.
25 “La pietà dei morti è uno dei pochi sentimenti gentili, che meglio fiorirono fra le sanguinarie abitudini della guerra. Il seppellimento dei cadaveri, che la Chiesa annovera fra le opere di
misericordia, come il dar da mangiare agli affamati e dar da bere agli asstati, formava un dovere che si imponeva a tutti i superstiti, ma specialmente al cappellano militare.”,Giuliani, Le
vittorie…, p. 159.
21
Per non morire mai…
141
rispetto non sia possibile: “Alla vista di questi morti abbandonati ed insepolti
mi sentii stringere il cuore, e piansi di compassione, e dissi: guarda la civiltà
moderna a che punto arriva, non si rispettano più nemmeno i poveri morti,
anche dopo morti si lasciano sul campo a marcire e ad essere sfragellati dalle
granate!26”. L’occuparsi delle tombe fa parte di una cultura molto antica, che
ha avuto fasi differenti a seconda del rapporto che la società ha avuto con la
morte27; nel caso di questa guerra, si assiste ad un disperato bisogno di normalizzare in senso civile ciò che diventava sempre più normale per la vita militare:
la morte in combattimento, la morte violenta. Ciò che il soldato non accetta è il
dispregio della guerra moderna verso il riposo eterno, e a questo cerca di porre
rimedio (“Nella seconda quindicina di agosto il sottoscritto – Tenente Colonnello Savignoni, ispettore del servizio notizie della I^ Armata [n.d.a.] – insieme al Colonnello Fisogni Direttore della Società Solforino e S. Martino, ha
eseguito un giro di ispezione in quasi tutti i cimiteri della Valle Giudicarla,
Valle Sabbia, Valle di Ledro ed ha potuto con soddisfazione constatare che
tutti quei luoghi sacri alla morte, molti dei quali sono tuttora sotto il tiro nemico, sono del tutto sistemati e tenuti in modo veramente encomiabile, mercè
la pietosa cura dei Cappellani dei corpi e dei bravi soldati ai quali ne è affidata la manutenzione, e in modo da onorare degnamente la memoria dei nostri fratelli caduti28.).
Il bisogno di risposte riguardo l’incerto domani del combattente può essere
espresso secondo un dettame religioso, con il pensiero di un paradiso dove andare, e laicamente con il desiderio di essere ricordati da chi resta; in entrambi i
casi, la tomba rappresenta il punto di contatto tra vivi e morti29.
Ferrari, Vita di guerra, p. 27.
Si vedano in proposito: Philippe Ariès, Storia della morte in occidente, Rizzoli, Milano
2001; Michel Vovelle, La morte e l’occidente, Laterza, Bari 2000; Adriano Favole, Resti di
umanità. Vita sociale del corpo dopo la morte, Laterza, Bari 2003; Alois, Riegl, Il culto moderno dei monumenti. Il suo carattere e i suoi inizi, Nuova Alfa Editoriale, Bologna
1990;Douglas J. Davies, Morte, riti e credenze. La retorica dei riti funebri,Paravia, Torino
2000; Robert Pogue Harrison, Il dominio dei morti, Fazi Editore, Roma 2004.
28 Relazione periodica sul servizio delle notizie della I^ Armata, 13 settembre 1917; in A. U. S.
S. M. E., fondo E-1, cart. 56, fasc. Relazioni periodiche 1916-1917-1918-1919.
29 Questo desiderio, è naturalmente sentito anche da chi è a casa, che si preoccupa per la sorte
del corpo del proprio caro caduto. Dopo Caporetto questa preoccupazione aumenta in virtù
del fatto che si teme che gli austriaci non rispettino le sepolture italiane. È nel concetto culturale della lotta fra gruppi umani che si manifesta l’ansia delle famiglie per le tombe dei propri
cari. Le famiglie in queste circostanze rinunciano, temporaneamente, anche ad una gestione
personale del lutto e della tomba, delegandone il compito all’autorità militare: “Mi piace poi
rilevare il sentimento di viva gratitudine verso l’Autorità Militare che si manifesta nella corrispondenza di tante persone così amaramente colpite dal destino e nello stesso tempo la fiducia e la tranquillità che dimostrano tante anime inasprite dalla disgrazia, al pensiero che vi sia
chi s’interessa a loro ed alla sorte dei loro cari perduti.”(Ufficio militare presso la Società di
Solferino e S, Martino, Relazione sull’andamento del servizio d’identificazione e registrazione
delle salme e delle sepolture dei militari nell’attuale guerra, durante l’anno 1917, in A. U. S. S.
M. E., fondo l-3, cart. 262, fasc. Cimiteri caduti.). Questa concessione del privato – familiare – al
26
27
142
L. BREGANTIN
Ci hanno commosso, in riva al fiume, a piè del monte Kuk le tombe dei soldati morti,
ornate di oleandri e di giaggioli dagli amici superstiti. Gentilezza del cuore del nostro
popolo! Questi cimiteri fioriti di rose fra tanta rovina, le rozze iscrizioni sulle croci di legno e di sasso danno un senso di serenità e quasi di dolcezza che l’acque limpide color di
fresca ametista dell’Isonzo, e la valle, adesso tutta soleggiata, aumentano30.
La tomba: un legame con il suolo
Il rispetto della morte si presenta come un fattore fondamentale non solo per il
mantenimento di un contatto con chi se ne è andato, ma anche perché il seppellimento dei morti in un dato luogo rende quella zona di proprietà della comunità a cui questi morti appartengono, rendendola in qualche modo sacra.
In altre parole, non basta mettere il morto nel terreno, come ho sottolineato prima, è
necessario porre un marchio su quella sepoltura. […] Non solo per le loro morti sacrificali, ma soprattutto per la loro sepoltura rituale, i morti che vengono ricordati consentono alla nazione di fare suo il continente su cui è venuta alla luce31.
Il legame con la terra e le tradizioni, è strettamente collegato con il legame che
una comunità ha con i suoi defunti32. Le tombe dei caduti nel territorio redento
segnano un diritto su quei luoghi conquistato con il sangue.
pubblico – militare – non è cosa da poco, e rappresenta il primo passo verso la gestione della
tomba e del lutto pubblico del tardo dopoguerra, quando sarà lo stato, in qualità di rappresentante civile di queste famiglie, a prendere le consegne dei caduti dalla memoria militare.
In altri casi è lo stesso soldato a chiedere ai familiari di essere lasciato tra i compagni: “Voglio
rimanere sepolto nella fossa scavata dai miei soldati sul confine della Patria, di fronte
all’odiato nemico.” (Mecheri, Testamenti…, pp. 23/24, Ferruccio Allegranzi); e ancora: “In
caso di morte in compagnia desidero:
Che nessuna ricerca sia fatta della mia salma, né che siano fatte pratiche per ottenerne il trasporto, dato che si conosca il luogo dove essa è sepolta, intendo io riposare accanto ai compagni d’arme in vita come in morte;” (Mecheri, Testamenti…, p. 60, Alessandro Buscaroli). Altri, invece, chiedono solo una preghiera: “Se poi il caso vorrà che io debba rimanere lassù, tra
gli altri eroi, allora abbiate sempre per me un pensiero e una preghiera.” (Mecheri, Testamenti…, p. 35, Giovanni Bassi.).
30 Ardengo Soffici, Kobilek. Giornale di battaglia, Vallecchi, Firenze 1919, p. 14.
31 Pogue Harrison, Il dominio…, p. 34.
32 “In un momento in cui, nessun personaggio importante sembrava occuparsi della città e,
alla prima avvisaglia di invasione barbarica, abbandonavano con indifferenza la regione al
proprio destino, l’intimo legame tra la comunità cristiana e i suoi umili defunti non era cosa
di poco conto.”, Brown, Il culto…, p.87.
“Si deve penare a rassicurarlo,a convincerlo che abbiamo vinto ugualmente, che si è voluto
evitare l’aggiramento, che i rinforzi non sarebbero giunti e che infine, ora, lo sbarramento è
più solido e la tenacia degli uomini sulla violenza del meccanismo è piena. Infatti col calar
della notte, l’azione languisce, poi muore. Qualche dì più tardi sui cieli dell’Alpe passerà la
vittoria latina. Essi non hanno tenuto la nostra linea i nostri morti. Il vallo è integro, il focolare è salvo; un dì la leggenda dirà delle rocce e del sangue che han fatto argine e baluardo, toccata la gloria e il limitare”; D’Andrea, I Bivacchi…, p. 81.
Per non morire mai…
143
Tutto il tessuto dell’impresa tremenda ed eroica a cui ora tende l’Italia è costituito da
migliaia e migliaia di sacrifici ugualmente sublimi; migliaia e migliaia di generosi figli
d’Italia, come il Tannini ed il Guidetti, fecero loro il voto di tutti i grandi nostri per la
completa redenzione della Patria, e questo voto hanno consacrato col loro sangue mobilissimo! Sacro cemento è questo sangue che spiritualmente unisce la Patria al Cielo…33
L’esilio dei soldati dalla vicinanza delle famiglie e dai cimiteri dei loro paesi, è
una sorta di ennesimo sacrificio compiuto, da morti, per segnare il suolo italiano.
Non ugualmente così, per quanto grandeggi la pietà dei compagni, potranno essere
portati ai loro cimiteri montani quelli che cadono, giovani, per la patria. Quale sospiro
deve romper con l’anima, estremo dal loro petto, verso quella dimora donde, se pur migranti, non mai avrebbero creduto di disertare! Non avranno essi, presso il loro villaggio, la casa, la famiglia superstite: non avranno la loro breve fossa, e una rustica croce.
Avranno molto di più, nel nostro ricordo: molto più: un monumento di luce; ma non
quello.
E giusto e bello sarebbe che ogni cimitero di monte, sacrasse loro, nel mezzo, su le altre,
una tomba, vuota dei loro corpi, ma che fremerebbe dei loro spiriti. E iscrivervi sopra:
ALLE ANIME
DEI CADUTI PER LA PATRIA
LUNGE DA LA TERRA NATIA
CON LA SPERANZA
D’ESSERE GLI ULTIMI
CHE LA GUERRA ESILIA
DALLA LOR TOMBA34.
Come si può notare, benché sia esplicita la sofferenza data dal distacco dalla
propria terra, non si rivendica un ritorno delle salme, ma si accetta e in un certo
qual modo si giustifica tale sacrificio per rendere più italiani quei suoli lontani.
Non è un caso che dopo la ritirata di Caporetto il pensiero espresso sia nelle
relazioni ufficiali che in molti diari e memorie vada ai compagni lasciati in quei
luoghi, lasciare li i propri morti significa rinunciare ad un sacrificio compiuto,
ad un legame con la terra e con il suolo instaurato grazie al sangue versato.
Dopo due anni di lotta, due anni d’inferno, due anni di martirio che hanno fatto del Carso un bianco altare di ossami, siamo tornati con la fronte china al conteso fiume, dal
quale partimmo ad ali spiegate, come aquile in rapido ed altissimo volo verso l’azzurro
infinito35.
Federico Paltrinieri, Gli anni di guerra quali vibrarono in cuore italiano, Zanichelli, Bologna 1920, pp. 66-67.
34 Francesco Pastonchi, Cimiteri alpestri, in “Touring club italiano”, a. XXII, n. 11, novembre
1916.
35 Amleto Albertazzi, L’inferno carsico, Cappelli, Bologna 1933, p. 240.
33
144
L. BREGANTIN
Il diritto di seppellire ed onorare i propri morti è dunque un modo per fare
propria una regione, un luogo, per trasformare una terra in una patria, e quindi
poterla difendere e reclamare.
Tu non tornerai a calpestare queste zolle, queste pietre, tu non tornerai a spogliare i nostri morti, i migliori di noi che già vegliano sulla nostra opera santa, sulla nostra estrema
speranza, e benedicono questa nostra dedizione!
Terra, sangue e morte, formano un tutt’uno difficile da sciogliere, che insieme
all’utilizzo di termini e rituali religiosi36, concorrono a chiudere il preludio di
quella che inizia a definirsi come ‘religiosità laica’37. La colonizzazione delle
tombe è un elemento imprescindibile per fare di una terra una nazione.
Come tornare su un ripido camminamento ove non si può passare che uno alla volta,
come starvi senza possibilità di offendere l’avversario sotto un diluvio di bombe a mano?
Occorre domandarlo alla volontà che in quegli attimi si fa in noi e ci attanaglia al terreno, al soffio caldo che corre gli animi e ci dice in modo indistinto ma imperioso che
quello è il posto ove si può solo morire perché l’idea è là, la patria è pur là e noi ne siamo
fino all’estremo i custodi e i tutelari.
Bisogna investirsi di questo soffio e di questa passione, sentirsi nell’animo il flusso di
questa grande e tragica religione della patria38.
La terra segnata
Nella seconda quindicina di agosto il sottoscritto, insieme al Colonnello Fisogni Direttore della Società di SolfErino e S. Martino, ha eseguito un giro di ispezione in quasi tutti i
cimiteri della Valle Giudicaria, Valle Sabbia e Valle di Ledro ed ha potuto con soddisfazione constatare che tutti quei luoghi sacri alla morte, molti dei quali sono tuttora sotto
il tiro nemico, sono del tutto sistemati e tenuti in modo veramente encomiabile, mercè la
pietosa cura dei Cappellani dei Corpi e dei bravi soldati ai quali ne è affidata la manutenzione39.
Penso di poter affermare, senza timore di essere smentita, che mai prima, in
una porzione di terreno limitata, ci sia stata una concentrazione così alta di
“luoghi sacri alla morte”, ovvero di cimiteri. Ritengo perciò opportuno, a titolo
esemplificativo, fornire un elenco dei cimiteri esistenti sul terreno occupato dal
36 Si veda in proposito: A. M. Banti, La nazione del Risorgimento. Parentela santità e onore
alle origini dell’Italia unita, Einaudi, Torino 2000.
37 “Io in questo momento sento di amare la Patria di un amore sacro, pari alla venerazione di
un figlio per un genitore, di un sacerdote per una Madonna.”; Mecheri, Testamenti…, p. 79,
Guglielmo Pezzini.
38 D’Andrea, I bivacchi…, pp. 93-94.
39 Relazione periodica del servizio delle notizie della I^ Armata, 13 settembre 1917; in A. U. S.
S. M. E., fondo E-1, cart. 56, fasc. relazioni periodiche 1916-1917-1918-1919.
Per non morire mai…
145
XXIX° C. d’A.40, dipendente dalla I^ Armata, fino al marzo del 1917. L’elenco si
divide in tre parti: Cimiteri Civili, ovverosia quei cimiteri preesistenti alla guerra ed utilizzati dai militari per inumare salme di soldati e ufficiali; Cimiteri di
Guerra, cioè cimiteri creati ex novo, appositamente per seppellire salme di militari; Tombe sparse, sono sostanzialmente delle tombe a carattere provvisorio
create in un qualsiasi luogo del fronte. Queste ultime sepolture vengono usate
in modo particolare durante delle azioni a causa della mancanza di tempo e
della pericolosità nell’effettuare i trasporti delle salme ai vicini cimiteri.
CIMITERI CIVILI41
Denominazione
------------------Numeri progressivi
dati dall’Intendenza
della I^ Armata
501
502
503. Alla Pieve
504. S. Virgilio
505
506
507
508
513
515
514
517
510
512
509
511
516
518
-
Località
Ubicazione
Quadretto
(carta di 1:25.000)
Borghetto
Ala
Avio
Sabbionara
Pilcante
S. Margherita
S. Valentino
Piazzina
Serravalle
Erbezzo
Brentonico
Besagno
Chizzola
Albaredo
Lizzana
Marco
Crosano
Castione
Malcesine
11 – 87
88 – 99
91 – 90
91 – 92
85 – 99
78 – 05
82 – 83
81 – 98
74 – 03
26 – 01
73 – 92
68 – 94
75 – 02
64 – 11
60 – 05
67 – 02
73 – 95
69 – 90
86 – 65
40 La scelta è caduta su questo elenco per via della sua completezza. Benché la data riportata
si riferisce alla fase iniziale della sistemazione di salme e cimiteri, in questo elenco sono già
presenti gran parte dei criteri che caratterizzeranno questo servizio fino al termine del conflitto.
41 Comando dei Carabinieri Reali del XXIX° Corpo d’Armata, Elenco indicante le località del
29° Corpo d’Armata ove esistono o sono stati formati dei cimiteri, 24 marzo 1917; in A. U. S.
S. M. E., fondo E-1, cart. 56, fasc. I^ Armata, Cimiteri salme inumate 1917.
L. BREGANTIN
146
CIMITERI DI GUERRA
Denominazione
SS. Maurizio e Lazzaro
S. Giorgio
S. Michele
Giovanna d’Arco
S. Martino
S. Barbara
S. Costanzo
S. Maddalena
S. Calino
S. Cecilia
Casera
Sasso Sega
Località
Ubicazione
Quadretto
(carta di 1:25.000)
Zugna
72 – 10
Zugna
74 – 10
Zugna
75 – 10
Zugna
75 – 10
Zugna
74 – 10
Zugna
76 – 10
Malga Zugna q. 1100
74 – 08
Cisterna Zugna
73 – 09
Coni Zugna
77 – 12
Chizzola
72 – 99
Fra Sasso Sega e Doss’Alto 68 – 86
q. 800
Cima Loner
82 – 16
Passo Buole
83 – 15
Doss Casina
66 – 79
Malga Val di Gatto
88 – 16
Cima Salvata
81 – 13
Fra le Scudelle e Doss’Alto 67 – 85
q. 700
Doss’Alto q. 804
69 – 82
Boscochiesanova
30 – 05
Prabubolo Alto
82 – 05
Prabubolo Basso
81 – 07
Zugna Torta
69 – 10
TOMBE SPARSE
Località ove trovansi tombe Ubicazione rispetto
sparse
carta di 1:25.000
Quadretto
A Doss Casina q. 525
66 – 77
Fra le scuole e la strada 75 – 03
provinciale a Serravalle
Verso serravalle q. 800
74 – 05
Presso la mulattiera Serra- 74 – 07
valle- Malga Zugna q. 1600
Presso la mulattiera Serra- 74 – 07
valle – Malga Zugna q. 1125
Fra Passo Buole e Cima 84 – 17
Mezzana
A Baita Tolghe
78 – 79
Sotto il costone Salvata 82 – 11
presso q. 1100
alla Note
Per non morire mai…
Monte Altissimo di Majo –
Le Mandriole q. 1420
M. Zignota q. 1607
Monte Zaragna q. 1784
Doss del Remit q. 1304
Varie tombe sparse a Malga
Zugna
147
74 – 77
85 – 93
71 – 80
69 – 79
72 – 10
Questi tre elenchi, rispetto a quelli del 1918, mancano solo del numero delle
salme contenute in ogni cimitero. Come si può vedere, solo ai cimiteri civili è
stato assegnato un numero progressivo, e questo perché solo questi avevano a
priori un carattere stabile e potevano essere identificati e catalogati con maggiore rapidità, rispetto ai cimiteri di guerra, che soprattutto nel primo periodo
del conflitto, nascevano senza precisi criteri normativi stabiliti a monte. Nel
proseguo della guerra, anche ai cimiteri militari viene assegnato un numero,
che serve ad identificarli negli elenchi riepilogativi, nei quali non viene trascritto, invece, il nome. La divisione delle cartine di 1:25.000 in quadranti numerati, permetteva invece una localizzazione della zona più precisa.
Riporto ora, l’ultima pagina di un elenco dei cimiteri della I^ Armata, risalente
al luglio del 1918. In questo elenco si vedrà l’evoluzione del servizio, ma soprattutto si potrà verificare ancor meglio il numero esorbitante di cimiteri presenti nella zona di combattimento, e la variabilità del numero dei defunti sepolti nei vari cimiteri.
ELENCO DEI MILITARI DEFUNTI E SEPPELLITI NEI CIMITERI SEGUENTI,
CHE SI TRASMETTONO AL COMANDO DELLA I^ ARMATA PER VISIONE42
Numero
Progressivo
841
842
843
844
845
846
847
848
849
850
Quantità
dei sepolti
Dei Cimiteri
Riporto
50769
839
771
899
1446
806
1447
1448
782
1031
Numero
Progressivo
17.519
63
9
97
10
13
6
2
2
35
3
856
857
858
859
860
861
862
863
864
865
Quantità
dei sepolti
Dei Cimiteri
Riporto
1541
1540
1539
1537
1543
760
1542
792
851
953
17872
34
9
17
22
3
3
24
4
6
1
42 Ufficio Notizie, Intendenza I^ Armata, Identificazione tombe – Registrazione salme, Elenco
dei militari defunti e seppelliti nei cimiteri seguenti, che si trasmettono al Comando della I^
Armata per visione, Z. d. G. 15 luglio 1918; in A. U. S. S. M. E., fondo E-1, cart. 56, fasc. I^
Armata, Cimiteri, salme inumate 1917.
L. BREGANTIN
148
851
852
853
854
855
1002
1538
854
999
1003
14
3
66
26
4
866
867
868
Da rip. N.
17872
846
770
1454
1
1
3
Totale N.
18.000
Questa che ho riportato è l’ultima parte di un lungo elenco comprendente, appunto, 868 cimiteri. La prima colonna indica il numero progressivo dei cimiteri
riportati nell’elenco, la seconda invece riporta il numero assegnato ad ogni cimitero dagli ufficiali informatori che seguono il servizio, mentre la terza colonna riporta il numero dei sepolti in ogni cimitero.
Come si può vedere è scomparsa la divisione tra cimiteri civili, cimiteri di guerra43, e tombe sparse, tanto che si può presumere che i cimiteri indicanti un solo
caduto siano, invece, delle tombe sparse, come del resto indica anche l’elenco
riportato in nota. La variabilità del numero è tuttavia indice anche di precarietà. Infatti, questi piccoli cimiteri sembrano disegnare nel terreno i flussi e riflussi degli attacchi e delle ritirate, e restano a marcare la terra come i segni
corrosivi di un ghiacciaio che avanza e poi si ritira. Nonostante questa sia una
guerra di posizione, i piccoli movimenti di tutti i giorni impediscono la formazione sul campo di grandi raggruppamenti di tombe, certo la configurazione del
terreno (in questo settore montuoso) favorisce ciò, ma al di là di questo dato
oggettivo, l’impressione che si ha di questi infiniti cimiteri sparsi, è che i morti
43 Naturalmente accanto a questi elenchi che avevano più che altro una funzione di conteggio,
esistevano ulteriori elenchi in cui al nome era assegnato il numero.
XVIII° CORPO D’ARMATA
Cimitero
Ubicazione
N. salme
Uff.
Selva di Grigno Di
guerra
– 135° R. F.
(752 B)
1.300 m da Selva 35° R. F.
nella strada Gri- 38° R. F. 86^ Batt. gno – Selva
Bombarde
Grigno
civile
Corpi vari
19
(773 B)
M. Colombara Tomba sparsa
(777)
Provenienza salme
134° Fant.
1
N. salme Note
truppa
6
1
1
1
30
+ 1 operaio
+ 5 prigionieri a. u.
Ten.
Comando della I^ Armata, Ufficio affari civili e stampa, Elenco dei cimiteri situati nel territorio delle Armate I^ e VI^ nei quali vennero depositate salme di Ufficiali e di Militari di
truppa; in A. U. S. S. M. E., fondo E-1, cart. 56, fasc. I^ Armata, Cimiteri, salme inumate 1917.
(Questo qui riportato è un brevissimo esempio).
Più o meno allo stesso modo funzionava la nomenclatura degli ospedali da campo, anch’essi
contrassegnati da numeri progressivi (Lisa Bregantin, Caduti nell’oblio. I soldati di Pontelongo scomparsi nella grande Guerra, Nuovadimensione, Portogruaro 2003).
Per non morire mai…
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seguano i vivi, o meglio ancora, che i vivi si portino appresso i propri morti. Il
piccolo cimitero sembra diventare la bandiera piantata sulla cima di una vetta
appena conquistata, quasi a dire “qui ci siamo arrivati”.
Di fronte a questi elenchi, può diventare difficile definire anche la parola
“cimitero”, intesa in senso laico e ampio di raggruppamento di tombe. Il fatto
che alle tombe sparse venga assegnato un numero come ad un qualsiasi cimitero, infatti, mette in crisi il concetto di cimitero come luogo di raccolta di salme,
suggerendo, invece, un concetto più sottile: ogni tomba è un cimitero, ogni
tomba è un punto di raccolta, in sostanza è la salma li sepolta che fa cimitero,
cioè luogo sacro e non il luogo di per se.
Naturalmente dietro all’utilizzo di questo sistema di numerazione, ci sono delle
ragioni tecniche e oggettive alla base – sarebbe stato troppo complicato, infatti,
eseguire numerazioni differenti a seconda del numero di salme contenute in un
cimitero, tenendo conto anche del fatto che non tutti i cimiteri potevano raggiungere una comune capienza – ma il concetto che suggerisce questa scelta
non ha per questo meno valore. Come si vedrà, infatti, nel dopoguerra, e come
suggeriscono le stesse testimonianze dei soldati, tutto il terreno è un terreno di
morti, di tombe non costruite, ma non per questo meno sacre; tutto il campo di
battaglia è una grande zona resa sacra dalla morte. Di fronte a questa constatazione, anche il criterio tecnico scelto per numerare insieme cimiteri e tombe
sparse, mostra il suo lato umano, quasi spirituale, nel rifiuto di dare un ordine
di importanza alle tombe. In questa fase di lavoro sui corpi, sulla fisicità della
morte, si assiste ad una sorta di uguaglianza nella morte, – cosa che come abbiamo visto non avviene a livello burocratico/pensionistico, in quanto la causa
di morte determina una serie di diritti per i parenti del caduto – uguaglianza
che si manifesta nel costante tentativo di dare un’identità, e quindi singolarità,
alle tombe dei soldati. In questa circostanza, non conta come si è morti, ma
conta solo di essere dei compagni caduti. È fondamentale però non confondere
questa devozione verso le tombe, con la memoria dei gesti. Questi due aspetti
del culto dei caduti, che si percepiscono durante la guerra, solo attraverso
un’analisi approfondita della documentazione burocratica della morte, si manifesteranno nella loro ambivalenza, non che contraddittorietà, nel dopoguerra
quando al fianco dei grandi cimiteri prima e sacrari poi, ci sarà l’Albo d’oro; i
primi saranno l’espressione della morte fisica, quasi uguagliatrice44, i secondi,
44 Le differenze non sono qui intese a livello gerarchico, cosa mai messa in dubbio nemmeno
dalla morte gloriosa, bensì per tipologia di morte, in quanto, soprattutto per quanto riguarda i
sacrari, per quello che è possibile vengono esclusi i caduti indegni. Un esempio è dato da alcuni documenti trovati all’archivio comunale di Vigonza (comune del padovano), in cui viene
esplicitamente negato, dal Commissariato per le Onoranze ai Caduti in Guerra, l’ingresso nel
tempio ossario di Padova di quattro salme di soldati giustiziati: “Risultano inumate N. 4 Salme di Militari Italiani GIUSTIZIATI. Se dal dipendente Ufficio Anagrafe viene in modo indubbio confermata tale causa di morte, le quattro Salme in oggetto non potranno essere comprese fra quelle da sistemarsi nel Tempio di Padova. Dovranno essere trattate alla stessa stregua delle Salme comuni.”; A. C. V., Categoria 8, Leva e truppa, B. 20, Ufficio Centrale per la
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invece, espressione della morte “burocratizzata”, in cui la morte acquista un
merito.
Il “prezzo” delle tombe
Benché il tema che si verrà a trattare in questo paragrafo, dia spunto per
l’analisi di molteplici problemi, primo fra tutti, l’insicurezza italiana di dare
forma al culto dei caduti nato nelle trincee; in questa sede lo si tratterà solo nel
suo aspetto, per così dire, economico.
A poco più di un mese dal termine del conflitto, giunge in visita al fronte italiano il capitano francese Benoit-Stein. Il motivo di questa visita, è quello di prendere visione di come in Italia si proceda con la sistemazione delle tombe dei caduti, e di farsi così un’idea per cosa fare al fronte francese. Ad accompagnarlo in
questa visita ad alcuni cimiteri italiani è lo stesso Colonnello Fisogni, Direttore
dell’Ufficio Militare presso la società di Solferino e S. Martino; la relazione che
stende quest’ultimo, al termine di questa visita è alquanto allarmata.
Dai discorsi fatti nelle diverse ore passate con lui (si riferisce al capitano francese, n. a.),
il sottoscritto (Colonnello Fisogni, n. a.) ha potuto farsi un concetto delle idee del Governo Francese in argomento, idee grandiose e che potrebbero in parte anche essere
giudicate poco opportune. […]
Basti ricordare che davanti ad un piccolo monumento esistente nel cimitero di Peri, il
Capitano Benoit disse: “Qualche cosa di simile si potrebbe adottare per tutte le tombe
francesi”.
Avendo lo scrivente fatto osservare che il monumento poteva costare circa 200 lire e
perciò la spesa totale per i morti francesi ascendere a 200 milioni, rispose: “La Guerra
costò un miliardo al giorno, si possono quindi spendere 200 milioni per i nostri morti;
del resto si è già ventilata una spesa media di 250 fr. per tomba, ivi compresa la sistemazione generale e la cinta murata dei cimiteri.”45.
Appare qui, quasi improvviso, un problema prosaico ma non meno fondamentale, che è quello dei soldi. La guerra era certo costata molto, ma si presentava
come una questione di vita o di morte, ora a guerra vinta si trattava di decidere
quale fosse il valore, anche economico, del sacrificio. Può sembrare cosa da poco, da pusillanimi, in realtà stabilire un valore alle tombe equivaleva a sancire
un impegno dello Stato e della Nazione in questo settore.
Non bisogna dimenticare che all’alba della pace, non solo niente era stato deciso in merito ai caduti, ma nemmeno l’organizzazione della memoria bellica
aveva preso un’unica piega; sostanzialmente lo Stato, nonostante alcune prese
Cura e le Onoranze dei Caduti in Guerra (C. O. S. C. G.), All’Onorevole Comune di Vigenza,
Padova 3 giugno 1930.
45 Ufficio Militare presso la Società di Solferino e S. Martino, Visite ai cimiteri militari del capitano Benoit-Stein, Brescia 30/12/1918; in A. U. S. S. M. E., fondo L-3, racc. 47, fasc. 8, feste
e cerimonie.
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di posizione durante il conflitto, si dichiarava a riguardo: neutrale. Valutare
quale impegno economico intraprendere nel campo dei caduti, significava
esprimere una linea politica di forte identificazione non solo con la guerra, ma
anche con i sacrifici da essa e per essa sostenuti; non solo, quest’impegno implicava anche una durata nel tempo non calcolabile; ed in fine, investire economicamente sui caduti, voleva dire sancire definitivamente quella religione
laica dello stato da cui questo capitolo ha preso le mosse.
In un certo senso, stabilire il “quanto”, portava con se accettare, da parte dello
stato, quell’invenstitura di Patria che il popolo della guerra gli porgeva, investitura per altro richiesta e sollecitata da esso stesso durante il conflitto. Investire sui caduti e quindi sul sacrificio comune, poteva inverare, fornendogli una
base, una parte almeno, di quel canone e quello spirito del Risorgimento italiano.
E così: “Se è giusto, patriottico e doveroso il provvedere molto decorosamente
all’ultima dimora dei nostri eroi, sembra che si possa fare una spesa molto
minore, se si tien presente quanto venne esposto nel memoriale diretto della
Società di Solferino e S. Martino a S. E. il Ministro dell’Interno. In ogni modo,
prima che venga presa una decisione qualsiasi a tale riguardo, il sottoscritto
si permetterà di presentare una relazione destinata a mettere in luce la complessa
questione della sistemazione dei cimiteri pei caduti nell’attuale guerra46.”.
Benché le difficoltà economiche dell’Italia, soprattutto dopo il termine del conflitto restino significative, la sistemazione dei cimiteri continuerà con costanza
fino ad arrivare, come si vedrà, alla “colossale sistemazione” voluta da Mussolini47.
Ufficio Militare presso la Società di Solferino e S. Martino, Visite ai cimiteri militari del
capitano Benoit-Stein, Brescia 30/12/1918; in A. U. S. S. M. E., fondo L-3, racc. 47, fasc. 8,
feste e cerimonie.
47 Renato Michelesi, Dove riposano gli eroi della Grande Guerra, in “Le vie d’Italia”, a. XLV,
n. 11 novembre 1939, pp. 1437-1443.
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I primi cimiteri - Università Ca` Foscari di Venezia